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9 Capitolo I L’ontologia della coscienza tra Husserl e Heidegger 1. La formazione di Lévinas: l’incontro con la filosofia Nel primo dei colloqui con Philippe Nemo pubblicati nel volume Etica e Infinito, Lévinas descrive l’incontro con la filosofia di Husserl. L’intervista, registrata e trasmessa da France-Culture tra febbraio e marzo 1981 è la riflessione di un intellettuale maturo che ricorda gli anni del suo apprendistato filosofico. Il valore della ricerca husserliana è attribuito al metodo rigoroso che consente di «“lavorare in filosofia” senza trovarsi immediatamente rinchiusi in un sistema di dogmi» 1 . Questa libertà e questa «apertura» rispetto a un sapere già dato e presupposto, accompagnate da una professione di serietà filosofica, ricorrono spesso come elementi distintivi del pensiero di Husserl. In un saggio del ’59 Lévinas definisce la fenomenologia come un «metodo in modo eminente, poiché essa è essenzialmente aperta. Essa può essere applicata nei campi più svariati come il metodo della fisica matematica dopo Galileo e Descartes, come la dialettica dopo Hegel e soprattutto Marx, o come la psicanalisi dopo Freud» 2 . Il nostro autore si dichiara più volte fedele al metodo fenomenologico e distingue spesso il metodo dal sistema, negando la sua obbedienza ad un 1 EI, p. 55. 2 EDE, p. 125.

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Capitolo I

L’ontologia della coscienza tra Husserl e Heidegger

1. La formazione di Lévinas: l’incontro con la filosofia

Nel primo dei colloqui con Philippe Nemo pubblicati nel volume Etica e

Infinito, Lévinas descrive l’incontro con la filosofia di Husserl. L’intervista,

registrata e trasmessa da France-Culture tra febbraio e marzo 1981 è la

riflessione di un intellettuale maturo che ricorda gli anni del suo apprendistato

filosofico.

Il valore della ricerca husserliana è attribuito al metodo rigoroso che

consente di «“lavorare in filosofia” senza trovarsi immediatamente rinchiusi

in un sistema di dogmi»1. Questa libertà e questa «apertura» rispetto a un

sapere già dato e presupposto, accompagnate da una professione di serietà

filosofica, ricorrono spesso come elementi distintivi del pensiero di Husserl.

In un saggio del ’59 Lévinas definisce la fenomenologia come un «metodo in

modo eminente, poiché essa è essenzialmente aperta. Essa può essere

applicata nei campi più svariati come il metodo della fisica matematica dopo

Galileo e Descartes, come la dialettica dopo Hegel e soprattutto Marx, o come

la psicanalisi dopo Freud»2.

Il nostro autore si dichiara più volte fedele al metodo fenomenologico e

distingue spesso il metodo dal sistema, negando la sua obbedienza ad un

1 EI, p. 55. 2 EDE, p. 125.

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corpo di dottrine specifiche o a precetti di scuola; l’omaggio rivolto al

pensatore tedesco riguarda l’agilità e la duttilità della sua filosofia.

Nell’intervista di Poirié del 1996, Lévinas definisce la novità delle Ricerche

logiche, il primo testo husserliano con cui ebbe modo di confrontarsi: «j’eus

l’impression d’avoir accédé non pas à une construction spéculative inédite de

plus, mais à de nouvelles possibilités de penser, à une nouvelle possibilité de

passer d’une idée à l’autre»3. Si potrebbero citare altre ricorrenze di questo

giudizio in cui Husserl figura come una guida non dogmatica, sebbene

autorevole. Nel famoso ritratto che Lévinas traccia del suo maestro, contenuto

in Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, si delinea l’immagine di una

personalità che anche nel carattere morale rispecchiava «la fisionomia della

sua opera piena di rigore e tuttavia aperta, coraggiosa e che continuamente

ricominciava come una rivoluzione permanente»4.

Lévinas racconta che la scoperta delle Ricerche logiche fu casuale e la sua

lettura «senza guida»: il tramite fu una collega, Gabrielle Peiffer, con cui in

seguito collaborò nella traduzione delle Meditazioni cartesiane.

All’approfondimento impegnato dei testi seguì la frequentazione diretta

dell’autore: su suggerimento di Jean Hering, che insegnava alla Facoltà di

teologia protestante di Strasburgo, già allievo di Husserl a Gottinga e primo

diffusore del suo pensiero in Francia con l’opera Phénoménologie et

philosophie religieuse5, il nostro autore si recò da Strasburgo a Friburgo per

3 F. Poirié, Emmanuel Lévinas. Qui êtes-vous?, La Manufacture, Lyon 1987, p. 73; d’ora in poi Poirié. 4 E. Lévinas, La rovina della rappresentazione, apparso in Edmund Husserl 1859-1959, Nijhoff, La Haye 1959, poi in EDE, p. 142. 5 J. Hering, Phénoménologie et philosophie religieuse. Études d’histoire et de philosophie religieuse, Alcan, Paris 1926.

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seguire gli ultimi due semestri dell’insegnamento di Husserl e per rendersi

conto di persona della promessa rappresentata dalla sua teoria. In questo

modo riuscì finalmente a misurarsi con la cultura tedesca: aveva già tentato

dopo il liceo di trasferirsi dalla Lituania in Germania, ma allora la sua

preparazione in un istituto ebraico lituano venne ritenuta insufficiente per il

passaggio ad un’università germanica. Questo pregiudizio razziale lo aveva

convinto a ripiegare per la vicina Strasburgo, da poco reintegrata tra i

possedimenti della Francia, e gli aveva aperto le porte alla conoscenza di un

altro mondo intellettuale, quello francese, a cui rimarrà legato, tanto da

adottare la cittadinanza e la lingua francese per tutte le sue opere.

Al momento in cui arriva in Germania Lévinas ha un passato di letture e di

incontri cui sarà sempre debitore. I docenti di Strasburgo che egli menziona

come suoi mentori in una confessione6 che sembra conservare i toni

entusiastici dell’età giovanile, sono le personalità di Maurice Pradines7,

fautore di una originale «filosofia della sensazione», Charles Blondel8,

6 Cfr. Poirié, p. 70: «Les quatre personnes que j’ai rencontrées à Strasbourg comme professeurs de philosophie, maîtres unissant à mes yeux naïfs ou plutôt perspicaces toutes les vertus de notre Université, sont restés pour moi les vrais hommes, les inoubliables!». 7 M. Pradines (Glovelier, Svizzera 1874-Parigi 1958) insegnò filosofia generale a Strasburgo e alla Sorbona. Autore di una Philosophie de la sensation in due volumi: Le Problème de la sensation, Belle Lettres, Paris 1928 e La sensibilité élémentaire, del 1934. Affrontava le teorie psicologiche da un punto di vista filosofico. Il suo studio della percezione metteva in luce l’intelligenza della sensazione e il suo ruolo nell’attività umana. Egli si concentrò anche sulla tendenza all’autoconservazione dell’uomo in rapporto al suo bisogno di esteriorità. Altre opere da ricordare: La fonction perceptive, Cours de la Sorbonne (1941), Delanoël-Gonthier, Paris 1981; Traité de psychologie générale, Puf, Paris, 1943; L’aventure de l’esprit dans les espèces, Flammarion, Paris 1954; Le beau voyage, Le Cerf, Paris 1982. 8 C. Blondel (Lione 1876-1939), allievo di Lévy-Bruhl, fu professore di psicologia sperimentale all’Università di Strasburgo e in seguito assunse la cattedra di psicologia patologica alla Sorbona. Lévinas ricorda le sue tendenze antifreudiane. Egli rifiutava la concezione di inconscio in quanto realtà individuale e poneva l’enfasi sulle significazioni collettive e intersoggettive. Scrisse: La psycho-physiologie de Gall, ses idées directives, Alcan, Paris 1914; La psychanalyse, Alcan, Paris 1924; La mentalité primitive, avec la préface de Lévy-Bruhl, Librairie Stock, Paris 1926; Introduction à la psychologie collective, A. Colin, Paris 1928; La psychographie de Marcel Proust, Vrin, Paris 1932.

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studioso di psicologia anti-freudiano, il sociologo Maurice Halbwachs9,

teorico della morfologia sociale, in seguito vittima della persecuzione nazista,

Henry Carteron10 che affrontava la filosofia antica con un’impostazione

aristotelico-tomistica e un’ispirazione cattolica. In diverse occasioni questi

intellettuali sono ricordati come «veri uomini» e «il prestigio senza confronti»

che Lévinas attribuisce loro è legato soprattutto a doti di umanità:

Uomini: ecco che cosa sono! È, questa, un’esclamazione spontanea che mi viene

immancabilmente in mente quando rievoco quegli anni così ricchi, e che nulla nella

vita ha potuto smentire. Maurice Halbwachs è morto da martire durante

l’Occupazione. Proprio il contatto con questi maestri mi ha rivelato le grandi virtù di

onestà intellettuale e di intelligenza, ma anche di chiarezza e di eleganza,

dell’università francese11.

Negli anni Venti, trascorsi nel contesto di Strasburgo, Lévinas fa i primi

passi nello studio dei classici della filosofia, leggendo le opere di Platone,

Aristotele, Cartesio e Kant. La cultura francese mette le radici nella sua

9 M. Halbwachs (Reims 1877-Buchenwald 1945), allievo di Bergson e di Durkheim, professore di sociologia a Strasburgo e alla Sorbona, nel 1938 è nominato presidente dell’Institut Français de sociologie, nel 1944 è titolare della cattedra di psicologia collettiva al Collège de France. In quello stesso anno è arrestato dalla Gestapo insieme al figlio, internato a Fresnes e deportato a Buchenwald, dove muore nel 1945. Pose le basi per lo studio della memoria collettiva e si occupò di psicologia delle classi sociali, con un interesse particolare per il fenomeno dell’identità sociale. Scrisse: La classe ouvrière et le niveaux de vie, Alcan, Paris 1913, Le cadres sociaux de la mémoire, Alcan, Paris 1925; Le causes du suicide, Alcan, Paris 1930; L’évolution des besoins dans les classes ouvrières, Alcan, Paris 1933; Esquisse d’une psychologie des classes sociales, Rivière, Paris 1938; La topographie légendaire des Evangiles en terre sainte. Etude de Mémoire collective, Presses Universitaires de France, Paris 1941; La mémoire collective, Presses Universitaires de France, Paris 1950. 10 H. Carteron (1891-1927), professore di filosofia antica a Strasburgo, esperto di Aristotele e di Tommaso d’Aquino, morto prematuramente. Tra le sue opere si ricordano la traduzione della Fisica di Aristotele, Les Belle Lettres, Paris 1926; Remarques sur la notion de temps d’áprès Aristote, in «Revue philosophique de la France et de l’étranger», 7-8 juillet-août 1924, pp. 68-81. 11 EI, p. 52.

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formazione attraverso l’influenza di Bergson e Durkheim, che erano stati i

maestri dei suoi maestri.

Bergson è evocato come fondamentale precursore di Heidegger nel

formulare una nuova concezione di temporalità emancipata dalla logica

scientifica, come si evince da questo passo: «Je pense que toutes les

nouveautés de la philosophie du temps moderne et post-moderne, et en

particulier la vénérable nouveauté de Heidegger, ne seraient pas possibles

sans Bergson»12. In Etica e infinito, il Saggio sui dati immediati della

coscienza è citato insieme ad Essere e Tempo tra i cinque libri ritenuti

essenziali nella storia della filosofia13. Anche Durkheim è presente nel

pensiero di Lévinas; la sua «sociologia razionale» è ribattezzata in termini

husserliani come una moderna «eidetica della società»14. L’articolazione della

realtà umana in più «livelli dell’essere» richiama l’idea di Husserl di conferire

forme diverse all’intenzionalità; nel primo scritto dedicato alla

fenomenologia, Lévinas parla del progetto husserliano di una costituzione

differente degli oggetti secondo «regioni» proprie, e sostiene che questo può

essere considerato il fondamento di ciò che anche Durkheim tentò di

realizzare fornendo alla sociologia un metodo e un campo d’indagine

autonomi15.

Certo la rivisitazione del pensiero di Bergson attraverso Heidegger e di

quello di Durkheim attraverso Husserl si pone solo attraverso

un’impostazione retrospettiva: si tratta di accostamenti originali rispetto al

12 Poirié p. 72. 13 Cfr. EI, p. 60. Oltre a questi, il Fedro di Platone, la Critica della Ragion pura di Kant, la Fenomenologia dello Spirito di Hegel. 14 EI, p. 53 15 THI, p. 146.

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modo in cui Bergson e Durkheim erano (e sono tuttora) interpretati. Il giovane

Lévinas che studia a Strasburgo non è ancora in grado di operare un simile

confronto, ma ciò che d’interessante si può ravvisare in queste letture

incrociate e a posteriori, è come il sostrato culturale francese sia stato

fondamentale per accedere alla filosofia tedesca.

Tra le fonti giovanili a cui il nostro autore attinge vi sono anche quelle

letterarie: i classici russi, Puskin, Lermontov, Gogol, Turgenev, Tolstoj,

Dostoevskij, e lo Shakespeare delle tragedie, dell’Amleto, del Macbeth e del

Re Lear. Le pagine di questi scrittori, in particolare quelle dei narratori russi,

sono giudicate un’ottima base per la filosofia, perché animate da

un’interrogazione radicale e orientate verso il «senso dell’umano»16. Si

possono definire come l’ispirazione che rimane al fondo della teoria: «livres

traversés par l’inquiétude, par l’essentiel, l’inquiétude religieuse, mais lisibles

comme quête du sens de la vie»17. La sentenza del personaggio di

Dostoevskij, spesso citata: «Siamo tutti colpevoli di tutto e di tutti davanti a

tutti, e io più degli altri»18, risuona nella fase matura della speculazione

lévinasiana come l’eco di quella responsabilità estrema e totale, che è uno dei

concetti più caratteristici del pensiero di Lévinas e che acquista un senso

ancora più forte proprio perché pronunciata da un intellettuale sopravvissuto

alla strage nazista.

Un altro passo di cui il filosofo è debitore al romanziere è quello di Delitto e

Castigo in cui Sonia, un personaggio che, per la sua estrazione sociale e la sua

condizione derelitta, appartiene al mondo degli ultimi, mostra di provare per il 16 Cfr. EI, p. 50. 17 Poirié, p. 69. 18 EI, p. 98; vedi anche in EN, p. 143.

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protagonista Raskolnikov che confessa la sua colpa, un sentimento di

«insaziabile compassione»; in questa fame che non può essere colmata si

intravede il nucleo del «desiderio d’Altri», inteso non come appagamento, ma

come qualcosa che nasce nel soggetto «al di là di tutto ciò che può mancargli

o che può soddisfarlo»19. Ci si chiede quanto la struttura dei romanzi di

Dostoevskij, in cui il dialogo è il centro e il fine di tutto l’intreccio, possa

essere stata determinante nel percorso di un autore che ha impostato la sua

etica, la sua filosofia prima, sul dialogo con l’Altro. Come scrive Michael

Bachtin: «lo schema fondamentale del dialogo in Dostoevskij è molto

semplice: la contrapposizione dell’uomo all’uomo, come contrapposizione

dell’«io» e dell’«altro»20.

Nella ricognizione delle fonti e delle letture di Lévinas, ancora prima della

letteratura e della filosofia, bisogna menzionare la Bibbia, «il Libro nel quale

si dicono le cose prime, quelle che dovevano essere dette perché la vita umana

abbia un senso»21. Nella coscienza dell’autore, educato al rigore degli studi

ebraici e rabbinici dalla più tenera età e fino alla fine studioso appassionato

del Talmud, la Bibbia rappresenta sia «la pienezza etica» che «le misteriose

possibilità dell’esegesi»22: essa contiene un mistero esplorabile che non

smette di rivelarsi in profondità. Le Scritture concedono la dimensione della

trascendenza, un valore e un concetto che Lévinas cercherà anche nella

filosofia. Secondo un commento dell’autore: «il Dio rivelato della nostra

spiritualità giudaico-cristiana conserva tutto l’infinito della sua assenza

19 Cfr. E. Lévinas, La traccia dell’altro, pubblicato in Tijdschrift voor Filosofie, 1963, n. 3, poi in EDE, p. 222. 20 M. Bachtin, Dostoevskij, Einaudi, Torino 1968, 2002, p. 332. 21 EI, p. 50-51. 22 Ibid.

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nell’ordine personale stesso. Si mostra unicamente attraverso la sua traccia,

come nel capitolo 33 dell’Esodo. Andare verso di lui non significa seguire

questa traccia che non è un segno, ma andare verso gli Altri che si trovano

nella traccia»23. Il Dio della tradizione ebraica brilla per la sua assenza, è

quello che ammonisce Mosé: «tu non potrai vedere il mio volto, perché

nessun uomo può vedermi e restare vivo»24. Lévinas lo paragona talvolta ad

un autore nascosto che ha lasciato nella sua assenza un segno, un messaggio

di trascendenza, come «colui che desiderava cancellare le proprie tracce

affinché il crimine fosse perfetto», ma che ha, in modo quasi impercettibile,

fissato la sua opera: «Colui che cancellando le proprie tracce ne ha lasciato

alcune, non voleva né dire né fare nulla con le tracce lasciate. Ha

irrimediabilmente sconvolto l’ordine»25. Questa è l’inquietudine religiosa che

attraversa il pensiero del filosofo: il Dio che non si rivela è anche il Dio che

nel capitolo 33 dell’Esodo parlava con Mosé intimamente, «faccia a faccia,

come un uomo parla con un altro»26.

Armato di esperienze culturali profonde e carico di aspettative, Lévinas si

trasferisce dunque nella «città della fenomenologia»27, dove si respirava un

entusiasmo crescente per le idee husserliane: «per i giovani tedeschi che vi ho

23 EDE, p. 233. 24 Es 33, 20. 25 EDE, p. 230. 26 Es 33, 11. 27 E. Lévinas, Fribourg, Husserl et la phénoménologie, in «Revue d’Allemagne et des pays de langue allemande», V,1931, 43, 15 mai, pp. 403-411; poi in Les imprévus de l’histoire, Fata Morgana, Paris 1994, Le livre de Poche, Paris 2000, p. 95; d’ora in poi IH. «Fribourg est encore une ville de Médecine, une ville de Chimie, la ville de bien d’autre sciences. Mais, avant tout, c’est la ville de la Phénoménologie».

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conosciuto, questa nuova filosofia è più che una nuova teoria, è un nuovo

ideale di vita, una nuova pagina della storia, quasi una nuova religione»28.

Lo studioso lituano segue all’università di Friburgo, come auditeur libre, i

corsi del semestre estivo 1928, dedicati alla psicologia fenomenologica e

quelli invernali del 1928-29, centrati sulla costituzione dell’intersoggettività.

Il 23 e il 25 febbraio 1929 partecipa a un evento importante: Husserl è invitato

dalla Societé française de Philosophie e dall’Institut d’Études germaniques,

all’Amphithéâtre Descartes alla Sorbona, per discutere e divulgare in modo

critico i temi principali della sua teoria. Il giovane studente sarà il traduttore

dell’edizione francese del testo delle conferenze, le Méditations Cartésiennes:

traduzione che sarà per molto tempo l’unica disponibile delle Meditazioni,

dato che in tedesco e in una versione modificata l’opera husserliana verrà

pubblicata postuma nel 1950. Gli incontri parigini segnano un momento

fondamentale della storia della filosofia del Novecento: per l’intellettuale

tedesco costituiscono l’occasione di confrontarsi con la tradizione francese,

un incentivo ad aprire il dialogo con Descartes e a riconoscere il ruolo che

questi aveva avuto prima di lui, nell’intraprendere una ricerca radicale. Il

filosofo del dubbio diviene il precursore più autorevole, il modello a cui

ispirarsi per lanciare il progetto di una rifondazione rigorosa del pensiero. La

fenomenologia husserliana, nel contesto parigino, assume la forma di uno

«sviluppo radicale dei motivi cartesiani»:

Ora in questa età infelice non ci troviamo noi forse in una situazione simile a quella

in cui si trovò Cartesio nella sua giovinezza? Non è già tempo di far rivivere il suo 28 IH, p. 103, trad. mia.

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radicalismo filosofico originario? Non è già tempo di sottoporre a una “rivoluzione

cartesiana” l’enorme letteratura filosofica, la quale confonde assieme le grandi

tradizioni ora con più seri tentativi di ricominciare daccapo ma ora anche con

suggestioni provenienti dalle mode letterarie, che mirano a far colpo ma non allo

studio serio, e quindi di cominciare con nuove Meditationes de prima philosophia?29

L’obiettivo è quello di sanare il «decadimento» della filosofia, salvarla dalla

crisi anarchica, dalla proliferazione di opere senza valore, attraverso il

recupero della responsabilità teoretica e l’assunzione di un nuovo inizio che

privilegi il punto di vista dell’io e l’autoriflessione:

Chiunque vuole diventare seriamente filosofo deve una volta nella sua vita ritrarsi in

se stesso e cercare dentro di sé di distruggere tutte le scienze ritenute fino allora

valide e di ricostruirle. La filosofia, la sagesse, è una questione tutta personale del

filosofo. Deve diventare saggezza sua propria, che egli acquista da sé, sapere che

tende all’universale, del quale egli possa, all’inizio e in ogni momento, rispondere in

base alle sue vedute assolute30.

Il ruolo affidato alla soggettività che si ritrae in se stessa e che porta alla

luce il fundamentum inconcussum, l’evidenza di un sapere assolutamente

fondato, è un motivo cartesiano, così come la lotta al dogmatismo e

all’atteggiamento naturale. Leggendo la Prima Meditazione di Descartes si

può notare come i termini di Husserl siano ricalcati su quelli del filosofo

francese, ad esempio nell’esordio: «ho capito che se aspiravo a stabilire nelle 29 E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, M. Nijhoff, L’Aia 1950, tr.it. a cura di F. Costa, Meditazioni cartesiane, Bompiani Milano 1989, p. 40-41; d’ora in poi MC 30 MC, p. 38.

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scienze qualcosa di solido, destinato a durare, avrei dunque dovuto buttare

all’aria tutto quanto, per una volta nella vita, e ricominciare dalle

fondamenta»31.

Si comprende la portata rivoluzionaria di questo progetto e il potere che la

fenomenologia acquista attraverso la “riesumazione” dell’antico spirito

cartesiano. Rianimare le idee filosofiche del passato e restituire «forza vitale»

al pensiero è il lato utopico della teoria husserliana, quell’elemento che

probabilmente entusiasmava i giovani studiosi di Friburgo. Scrive Husserl:

«Non dobbiamo ricondurre la desolazione della nostra situazione filosofica al

fatto che gli impulsi provenienti da quelle Meditazioni hanno perduto la loro

originaria forza vitale [...]?»32.

Anche Lévinas non è immune al fascino di un «cominciamento» che si

presenta radicale e mai definitivo, in cui il filosofo figura come un «éternel

débutant en philosophie»33, come il demone platonico sempre mancante e

sempre in cerca della verità.

Nell’introduzione alla sua tesi di dottorato, il nostro autore scrive:

«Vorremmo studiare ed esporre la filosofia di Husserl come si studia e si

espone una filosofia vivente [...], un pensiero che vive e si trasforma e dentro

il quale bisogna gettarsi e filosofare»34. Il giovane Lévinas aspira ad un sapere

in continuo divenire, di cui bisogna salvaguardare la trascendenza; è

interessante seguire l’evoluzione di questa idea perché, in relazione ad essa,

Husserl apparirà talvolta come teorico della libertà e altre volte come

31 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 27. 32 MC, p. 41. 33 Cfr. Poiré, p. 74. 34 THI, p. 9.

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esponente di una tradizione che necessita di essere superata, sostenitore di una

soggettività chiusa e autoreferenziale: di un «io che risponde» soltanto «in

base alle sue vedute assolute»35.

Questo continuo ripensamento a cui è sottoposta la teoria fenomenologica

rivela la problematicità del rapporto con Husserl; di certo «il a exercé sur

Lévinas une influence prolongée», come fa notare Strasser36, che si protrae

anche dopo gli anni della formazione. I riferimenti al pensiero del filosofo

tedesco, infatti, sono costanti, anche se spesso sotterranei e contaminati da

altri apporti teorici.

Nel suo saggio Antiphénoménologie et phénoménologie chez Lévinas,

Strasser si domanda se il pensatore lituano possa essere considerato un

fenomenologo in piena regola. Gli studiosi sono in genere concordi nel

definire la filosofia di Lévinas come sostanzialmente differente dalla

fenomenologia classica e anche la sua lettura della speculazione husserliana è

ritenuta poco ortodossa, se non addirittura «deviante» ed «eretica». Poma la

inserisce tra le «eresie della fenomenologia», ma chiarendo l’origine di questo

concetto di per sé molto ampio:

Ogni eredità, in quanto passaggio a un altro, porta in sé la minaccia di un tradimento,

soprattutto se ad essere trasmessa è una filosofia in continua ricerca per l’infinità del

suo compito. Le filosofie che trovano nella fenomenologia un riferimento costitutivo,

ne derivano anche la possibilità di uno svolgimento autonomo; è in ragione di questo

che esse possono ricevere la denominazione comune di «eresie» della

35 MC, p. 38. 36 S. Strasser, Antiphénoménologie et phénoménologie chez Lévinas, «Revue philosophique de Louvain», 25, 1977, p. 102.

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fenomenologia. Di questo pensiero infatti tali diverse filosofie si presentano come la

coerente realizzazione, ma pure come una necessaria deviazione37.

Questo concetto di «eresia» si può far risalire a Ricoeur, il quale affermava:

«La phénoménologie est pour une bonne part l’histoire des hérésies

husserliennes, et la structure de l’œuvre du maître impliquait qu’il n’y eût pas

d’orthodoxie husserlienne»38. Sembra che fosse lo stesso Husserl a nutrire

delle riserve nei confronti dei suoi interpreti: riguardo alla traduzione francese

delle Meditazioni, è indicativo il fatto che la ritenesse vaga e poco accurata39.

Lévinas era consapevole di essere fedele più allo spirito che alla lettera40

della filosofia husserliana; interessato alla sua «verità essenziale», al suo

«significato più generale»41, anteponeva l’esprit d’ensemble all’esprit de

détail, tanto da contestare in alcuni punti anche la coerenza della dottrina del

maestro, in nome di un ideale prioritario della fenomenologia, che sarebbe

stato smarrito negli sviluppi: «il modo in cui fu praticata dopo le Logische

Untersuchungen [...], lo stile che ha assunto, i cambiamenti e le riprese che

essa ha imposto al pensiero, non sempre coincidono con ciò che Husserl

intende per metodo. Su questo punto la sua opera non sembra aver agito

mediante le considerazioni metodologiche che la costituiscono»42.

37 I. Poma, Le eresie della fenomenologia.op. cit., p. 11. 38 P. Ricoeur, À l’école de la phénoménologie, Paris, Vrin, 1987, p. 156. 39 «Husserl non era completamente soddisfatto della traduzione francese: scrivendo a Ingarden sottolinea come “i traduttori delle Meditazioni spesso non hanno compreso il testo [...]. Nell’importante ‘quinta’ interi passaggi sono stati sostituiti da una vaga frase che non dice nulla”», citato da R. Cristin, Presentazione alla trad. it. delle MC, op. cit. p. X. 40 Cfr. AE, p. 227. 41 EI, p. 55. 42 EDE, p. 129.

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Nella prima fase del confronto con il maestro, Lévinas non è ancora

esplicito nelle sue considerazioni critiche, preferisce assumere una posizione

neutrale di «rispetto per le intenzioni generali»43 del filosofo. In realtà però,

già a partire dalla sua tesi di dottorato, egli non riproduce fedelmente i

contenuti husserliani, ma li ripropone in una nuova veste, “viziati”

dall’ontologia heideggeriana.

A Friburgo, mentre Husserl lasciava l’insegnamento, al suo posto

subentrava infatti uno dei suoi discepoli più brillanti, Martin Heidegger.

Lévinas ricorda l’incontro con questa voce diversa da quella dell’anziano

maestro, la sua filosofia è definita «scintillante» a differenza di quella

husserliana che rivelava la sua novità solo «a degli orecchi fini ed

esercitati»44, in quanto condotta in un linguaggio rigido e monocorde: «La

grande chose que j’ai trouvée fut la manière dont la voie de Husserl était

prolongée et transfigurée par Heidegger. Pour parler un langage de touriste,

j’ai eu l’impression que je suis allé chez Husserl et que j’ai trouvé

Heidegger»45. Il nostro autore ricorda la grande affluenza che si registrava ai

corsi heideggeriani46 e il privilegio che si provava nell’essere ammessi;

studiosi da diverse parti del mondo aspettavano di udire parole che avevano

un effetto abbagliante: «Tout semblait inattendu chez Heidegger, les

merveilles de son analyse sur l’affectivité, les nouveaux accès au quotidien, la

différence entre être et l’étant, la fameuse différence ontologique»47. Agli

43 THI, p.11. 44 EDE, p. 142. 45 Poirié, p. 74. 46 Cfr. IH, p. 105-106. 47 Poirié, p. 75.

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occhi del giovane filosofo, Sein und Zeit costituiva la prova tangibile della

«fecondità del metodo fenomenologico»48.

Husserl non condivideva questa fiducia: quando si rese conto della piega

inaspettata che la sua filosofia stava assumendo, a causa della fortunata

formula esistenziale diffusa dal suo discepolo, non esitò a prendere posizione.

Il 2 dicembre 1929 scrisse a Ingarden: «Il minuzioso “studio di Heidegger”?

Sono giunto alla conclusione che non posso inquadrare l’opera nell’ambito

della mia fenomenologia, e purtroppo, anche dal punto di vista del metodo e

addirittura nell’essenziale, dal punto di vista del contenuto, la devo

rifiutare»49; e in un’altra lettera si legge: «filosoficamente io non ho nulla da

spartire con questo senso profondo heideggeriano, con questa geniale non

scientificità»50.

L’«eresia lévinasiana» si genera proprio da questa iniziale contaminazione:

dall’aver accettato il pensiero «eretico» di Heidegger, che era stato messo al

bando dallo stesso Husserl, come un’originale prosecuzione della

fenomenologia51. Fino alla fine Lévinas sosterrà la fondamentale continuità

delle due filosofie sotto il segno di un comune indirizzo ontologico. Come

scrive Ciglia, l’interpretazione di Heidegger e di Husserl era contrassegnata, a

quel tempo, dalla «preoccupazione di cogliere, in un unico colpo d’occhio

interpretativo il senso di una duplice problematica: quella della segreta unità

48 IH, p. 105. 49 Trad. it. riportata da V. Costa, Husserl, Carocci editore, Roma 2009, p. 213. La citazione è da E. Husserl, Briefe an Roman Ingarden. Mit Ergänzungen und Erinnerungen, a cura di R. Ingarden, Nijhoff, Den Haag 1968, p. 56. 50 Trad. it. Ibid., da E. Husserl, Lettera del 6 gennaio 1931 a Alexander Pfänder, in Id., Briefwechsel, Bd.II, «Die münchener Phänomenologen», Kluwer, Dordrecht 1994, p. 184, cit. da V. Costa, Husserl, op. cit., p. 213. 51 Cfr. THI, p. 10. «La filosofia così potente e così originale di Heidegger, che a ben guardare si distingue dalla fenomenologia husserliana, tuttavia ne è in una certa misura, una continuazione».

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della riflessione husserliana, [...] e, insieme, quella suscitata dalla svolta che

l’analisi esistenziale heideggeriana aveva impresso all’intero movimento

fenomenologico»52. Lévinas cercava di tenere unite entrambe le riflessioni,

considerando ciò che di nuovo avevano consegnato al pensiero.

La sua lettura attirò le critiche degli husserliani più ferventi, primo fra tutti

Jean Hering, che commentò così la prima opera del filosofo lituano:

«nell’esposizione di Lévinas [...] le cose si svolgono come se egli avesse

tentato di spiegare l’albero per mezzo del frutto, vogliamo dire la

fenomenologia di Husserl per mezzo della metafisica di Heidegger»53.

Anche se Lévinas non si mantenne fedele alla «lettera» husserliana, non si

può dire che abbia operato una scelta di campo unilaterale e definitiva per

l’uno o per l’altro filosofo: neanche la sua lettura di Heidegger era ortodossa,

in quanto filtrata attraverso la teoria fenomenologica. Secondo Bernet «tale

apparente oscillazione tra Husserl e Heidegger si spiega essenzialmente con il

fatto che Lévinas non condivide né le preoccupazioni epistemologiche di

Husserl, né quelle ontologiche di Heidegger»54. Ma questo giudizio lapidario

deve tenere conto del carattere problematico di un pensiero in evoluzione: è

difficile sostenere che il pensatore lituano fosse fin dall’inizio consapevole del

proprio percorso critico. C’è un momento in cui il nostro autore sente

l’esigenza di abbandonare i presupposti teorici da cui era stato attratto nei

primi anni. Questo desiderio di «evasione» si fa più intenso nelle opere scritte

52 F. P. Ciglia, Un passo fuori dall’uomo. La genesi del pensiero di Lévinas, Cedam, Padova, 1988, p. 18. 53 J. Hering, La théorie de l’intuition dans la Phénoménologie de Husserl, «Revue philosophique de la France et de l’Etranger», n. 5-6, mai-juin, 1932, p. 479, trad. mia. 54 R. Bernet, «L’autre du temps», in E. Levinas: Positivité et transcendance. Suivi de Lévinas et la phénoménologie, PUF, Paris 2000, p. 148, cit. da S. Petrosino, Il maggior stupore, in THI, p. XIII.

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a cavallo tra la guerra e il dopoguerra, in un periodo in cui l’interrogazione

filosofica si mostra allo stesso tempo più urgente e più impotente, quando la

cultura tedesca sembra rivelare la sua debolezza, se non addirittura la sua

potenziale barbarie, finendo per macchiarsi, più o meno direttamente, di colpe

contro l’umanità, ignorando o assecondando il nazismo.

Secondo l’opinione di Derrida, uno dei critici più acuti di Lévinas, la

Francia deve a questo filosofo che ha accolto, «due avvenimenti dirompenti

del pensiero», due «traumi felici»: il primo fu l’«apertura alla fenomenologia»

e alla teoria di Heidegger; mentre «la seconda scossa filosofica», paragonata

alla «seconda navigazione» di Platone per gli effetti inediti che produsse,

consiste nel ripensamento di questi autori; è dovuta al fatto che, «leggendo in

profondità e reinterpretando i pensatori appena ricordati [...] Emmanuel

Lévinas spostava lentamente, ma per piegarlo ad un’esigenza semplice e

inflessibile, l’asse, l’ordine stesso della fenomenologia o dell’ontologia che

egli aveva introdotto in Francia dal 1930». Secondo Derrida si trattò di «una

mutazione discreta ma irreversibile»55.

2. Un antecedente importante: la fenomenologia religiosa di Jean Hering

L’esperienza che precede in Francia lo studio husserliano di Lévinas è,

come già ricordato, l’opera divulgativa di Jean Hering56, Phénoménologie et

philosophie religieuse, edita nel 1926.

55 J. Derrida, Adieu à Emmanuel Lévinas, Galilée, Paris 1997, trad. it. di S. Petrosino e M. Odorici, Addio a Emmanuel Lèvinas, Jaca Book, Milano 1998, pp. 65-66. 56 Hering è, come è stato già ricordato, colui che iniziò Lévinas alla fenomenologia. Per dare alcune indicazioni biografiche (cit. da N. Monseu, Les Usages de l'intentionnalité. Recherches sur

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Il testo è indirizzato a «tous les philosophes de langue française désireux de

s’orienter sur la pensée d’Edmond Husserl»57: si tratta, a detta dello stesso

autore, di un libro di «iniziazione fenomenologica», che espone le intuizioni

essenziali del movimento tedesco. Hering fu uno dei primi a confrontarsi con

le nuove idee58, mostrando un impegno tenace nel diffonderle: incoraggiava lo

studio di Husserl e il ricorso al metodo eidetico in campi diversi. Il suo

fervore da neofita verso la linea di pensiero emergente si fregiava di fedeltà a

intuizioni ritenute «fécondes et justes» e del proposito di non limitarsi a

riprodurre il significato dottrinale dei concetti, ma di riuscire a coglierne

l’ispirazione generale.

Il teologo francese considerava la fenomenologia come una base

indispensabile per le scienze teoriche59 e un presupposto metodologico per

conferire autonomia alla filosofia religiosa. Lévinas apprende da lui la

concezione della fenomenologia come metodo; l’opera del teologo costituisce

la première réception de Husserl en France, Éditions Peeters, Louvain-Paris-Dudley 2005, p. 17): «il entreprit ses études supérieures d’abord a Strasbourg»; dal 1909 al 1912 è allievo di Husserl a Gottinga, dove entra a far parte del circolo dei suoi discepoli e nell’inverno del 1912-1913 ottiene la presidenza della sua società filosofica. Nel 1914 «il présenta, l’agrégation de Lettres, avec un mémoire consacré au thème de l’a priori chez Lotze. Devenu professeur au Gymnase protestant de Strasbourg, il occupa, après la guerre, le fonction de sous-directeur de l’École préparatoire de théologie des Batignolles de Paris et obtint, en 1923, le diplôme de l’École pratique des hautes études avec un mémoire intitulé La doctrine de la chute et de la préexistence des âmes cher Clément d’Alexandrie. C’est le 22 décembre 1925 qu’il soutint sa thèse de licence en théologie intitulée Phénoménologie et philosophie religieuse, grâce à laquelle il fut nommé, en 1926, maître de conférences à Strasbourg, puis, en 1937, professeur titulaire de la chaire de Nouveau Testament, année ou il présenta sa thèse de doctorat d’État en théologie Sur le royaume de Dieu et sa venue. Étude de l’espérance de Jésus et de l’apôtre Paul. Mais, paradoxalement, il dut renoncer à la chaire de Nouveau Testament pour enseigner le cours de morale. De santé fragile, il prit une retraite anticipée en 1956 et mourut, à Strasbourg, le 23 février 1966». 57 J. Hering, Phénoménologie et philosophie religieuse. Études d’histoire et de philosophie religieuse, op. cit. p. XI; d’ora in poi Hering. 58 Hering può fare riferimento allo studio husserliano di un altro autore francese, V. Delbos, Husserl, sa critique du psychologisme et sa conception d’une logique pure, «Revue de Métaphysique et de Morale», n. 5, sept.-oct., 1911. 59 Hering, p. 38.

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inoltre, per il giovane pensatore, un modello valido di traduzione della

terminologia filosofica husserliana in francese.

La prima parte di Phénoménologie et philosophie religieuse si sofferma a

parlare di un passaggio storico che, secondo l’opinione di Hering, avrebbe

segnato nel Ventesimo secolo la crisi della filosofia religiosa e la sua caduta

nello «psicologismo»: il caos teoretico si è generato quando le scienze umane

hanno cominciato a proporsi come interpreti autorevoli del fenomeno

spirituale, spiegando la religione come un bisogno della natura umana o come

un prodotto della vita sociale. Questi nuovi approcci, ponendo delle leggi

naturali a fondamento del religioso, hanno relegato il loro oggetto di studio

nelle maglie di un determinismo miope, incapace di far fronte a questioni

generali di ordine epistemologico60.

La famosa critica di Husserl allo psicologismo diviene il vessillo innalzato

contro le pretese di quelle discipline pionieristiche che Hering valuta a partire

dalle possibili conseguenze degenerative: storicismo, sociologismo,

pragmatismo e criticismo. La «tendenza naturalista» presente nelle opere di

Auguste Comte, nell’evoluzionismo di Spencer e negli studi di Haeckel, il

carattere pragmatico delle teorie di William James sono colpevoli di valutare

il fenomeno religioso alla luce di elementi empirici61. Anche il criticismo,

restringendo la sfera del conoscibile al cerchio delle rappresentazioni

sensibili, non fa altro che avvalorare l’impostazione immanentista, e dunque

psicologista della religione62.

60 Cfr. Hering, pp. 12-13. 61 Cfr. N. Monseu, Les Usages de l’intentionnalité, op. cit., p. 29. 62 Cfr. Hering, p. 26, «aussi cette branche du criticisme, au lieu de briser l’etreinte du psychologisme, ne fait que la resserrer».

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Il teologo francese è attento a tenere distinti lo psicologismo dalla

psicologia e l’ambito del «sociologismo» dalla sociologia. Quest’ultima, una

volta circoscritta e resa consapevole dei suoi limiti, rimane una «science

pleine d’avenir»63, mentre lo sconfinare della ricerca di Durkheim, di cui è

citato in modo particolare Les Formes élémentaires de la Vie religieuse64,

inaugura una visione relativista del culto, come «insieme di emozioni

collettive» e di stati d’animo di cui sarebbe responsabile in primo luogo la

società65.

Per arginare la deriva della filosofia religiosa, lasciata in balia di scienze

induttive, è chiamata in causa la fenomenologia di Husserl, ancora una volta

elogiata per l’intento rigoroso e a-dogmatico, «trop jeune et trop impétuex»

per sedimentare le idee in una dottrina statica: essa può fare leva su una

«patience méthodique et une clairvoyance philosophique peu communes»66.

L’intento di Hering è quello «de faire revivre [...] les intuitions profondes

des phénoménologues [...] et de montrer [...] les influences essentielle que leur

manière de philosopher pourra exercer sur la philosophie religieuse»67.

L’analisi del teologo francese si fonda sul concetto di intuizione eidetica: la

riduzione husserliana può servire a delimitare il campo specifico della

filosofia religiosa, che è invitata a sottoporsi al procedimento

fenomenologico, al «feu de l’epreuve intuitive»68, mettendo da parte le

63 Hering, p. 18. 64 Hering, p. 19. «D’une manière plus particulière nous désignons par sociologisme religieux la vision de la religion que nous donnent E. Durkheim et ses disciples». Le altre opere di Durkheim citate, oltre a Les Formes élémentaires de la vie religieuse, Alcan, Paris 1912, sono Les Règles de la méthode sociologique, Alcan, Paris 1895, e La Division du travail social, Alcan, Paris 1893. 65 Ibid. 66 Hering, p. 33. 67 Hering, p. XI 68 Hering, p. 41.

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contingenze per approdare a strutture invariabili che non sono né di ordine

sensibile, né di ordine metafisico.

Nello studio si mette in luce «comment la phénoménologie initie une

nouvelle manière de concevoir la philosophie de la religion qui, loin de

conduire à un état d’âme, entend examiner la structure intentionnelle des actes

et des objets que vise, singulièrement, la conscience religieuse»69.

L’«a priori religioso» che si ricava attraverso l’esercizio dell’epistemologia

di Husserl non è frutto di induzione, né di deduzioni metafisiche, non risiede

nell’elemento psichico, né negli atti sociali. La filosofia eidetica della

religione, nata dall’applicazione del nuovo metodo, non ha lo scopo di

enumerare le singole pratiche di fede, né di dare una prova dell’esistenza di

Dio, ma deve poter rendere conto del modo in cui il divino si manifesta alla

coscienza.

Grazie a questo procedimento, l’esperienza del «numinoso» descritta da

Otto e da Simmel potrebbe essere fissata in maniera inequivocabile, evitando

quella «hétérogénéité déconcertante des objets»70 causata da un proliferare di

teorie diverse intorno alla natura del sacro. Il nuovo approccio prevede la

messa tra parentesi delle incarnazioni accidentali del culto e l’approdo al

religioso «in sé».

Un esempio di attuazione concreta lo si ritrova nel testo di Hering, dove si

affrontano i modi diversi di comprendere il tema teologico del perdono71: per

69 N. Monseu, Les Usages de l’intentionnalité, op. cit., p. 27. 70 Hering, p. 97. Il «numinoso» del filosofo della religione R. Otto, è caratterizzato da due elementi: il tremendum e il fascinans, motivo di orrore e di attrazione; la sua opera Il sacro (1917) interpreta il fenomeno religioso come sentimento irrazionale, mentre in Simmel prevale una concezione della religione come prodotto sociale e culturale. 71 Hering, pp. 105-106.

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inquadrare il problema della «rinascita spirituale del peccatore» e farne

l’oggetto di uno studio scientifico, lo psicologo empirista interrogherà il

maggior numero di individui su questa determinata esperienza religiosa,

l’etnografo andrà a ricercarne la legittimità presso le tribù primitive, il

sociologo rintraccerà le sue radici nella società, mentre il fenomenologo

preferirà dedicarsi allo studio intuitivo delle essenze, perché sarà il contenuto

ideale dell’atto del pentimento-perdono e la conoscenza dei suoi aspetti

intenzionali a consentirgli di distinguere, dati i casi empirici, una contrizione

sincera da una finta e superficiale. Il fenomenologo, rispetto agli altri studiosi,

sarà capace di formulare una legge generale sulla questione teologica,

affermando in modo pienamente rigoroso, ad esempio, la necessità di un

pentimento a monte della rinascita, e l’impossibilità di un atto di contrizione

autentico senza la volontà cosciente di non peccare72.

L’esperienza religiosa è dunque tradotta in termini fenomenologici. È

inevitabile constatare quanto sia distante da questo orizzonte il pensiero

maturo di Emmanuel Lévinas. Anche laddove nella sua opera si parla di

essenza a proposito del divino, quando si ammette, ad esempio, che esso è

essenzialmente «il Dio dei poveri e della giustizia»73, non si prendono in

prestito categorie husserliane, e laddove vi è una riduzione del rapporto Dio-

uomo all’etico74, non si tratta di una riduzione fenomenologica.

72 Cfr. Hering, p. 108. 73 Scrive Lévinas : «dire qu’il est le Dieu des pauvres ou le Dieu de la justice, c’est se prononcer non pas sur ses attributs, mais sur son essence», in Les imprévus de l’histoire, op. cit., p. 182. 74 «La vraie corrélation entre l’homme et Dieu dépend d’une relation d’homme à homme», in EI, p. 89.

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Com’è noto, il nostro autore, nella fase culminante del suo percorso, prende

le distanze dall’epistemologia di Husserl, che gli sembra valutare ogni

relazione esclusivamente dal punto di vista della conoscenza.

Sarebbe interessante considerare l’opera di Hering come l’esempio di quella

concezione intellettualistica, da cui Lévinas si allontana, per cui ogni cosa,

anche Dio, diviene comprensibile attraverso il pensiero filosofico; come

scrive Monseau, «Hering affirme le caractère et les éléments proprement

cognitifs de la religion»75.

Al contrario, in Totalità e infinito, la nudità del volto, «il luogo della verità

metafisica», indispensabile al rapporto con il divino76, è ciò che non si può

definire nella logica del significante e del significato, un «faccia a faccia» che

«resta situazione ultima»77, come esprime bene la seguente frase di Stirner:

«si dice di Dio: “Nessun nome può nominarti”. Ciò vale per me: nessun

concetto mi esprime, niente di quanto viene indicato come mia essenza mi

esaurisce: sono solo nomi»78.

Nelle interviste di Etica e infinito il nostro filosofo manifesta la sua

perplessità nel trattare la verità etica e metafisica attraverso il linguaggio

husserliano: «non so se si può parlare di fenomenologia del volto perché la

75 N. Monseu, Les Usages de l’intentionnalité, op. cit., p. 61. 76 E. Lévinas, Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Nijhoff, La Haye 1961, Le Livre de Poche, Paris 1990, tr. it. Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, a cura di A. Dall’Asta, con introd. di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1980, 2006, p. 77; d’ora in poi TI. 77 TI, p. 79. 78Cit. in S. Petrosino, La fenomenologia dell’unico. Le tesi di Lévinas, in TI, p. XV. La frase di M. Stirner si trova in: L’unico e la sua proprietà, Adelfi, Milano 1979, pp. 380-381. Anche in Lévinas si leggono commenti simili a proposito dell’ineffabilità di Dio: «la parola Dio è unica», scrive il nostro autore, «essa è infatti la sola parola che non spegne o non soffoca o non assorbe il proprio Dire. Non è che una parola, ma sconvolge la semantica. La gloria si rinchiude in una parola, in essa si fa essere, ma già disfa la sua dimora», in E. Lévinas, Dieu, la mort et le temps, Grasset, Paris 1993, tr. it. Dio, la morte e il tempo, a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1996, p. 275; d’ora in poi DMT.

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fenomenologia descrive ciò che appare»79, mentre il volto non ha questo

modo di manifestarsi. «Il volto», scrive Perego, è un «concetto regolativo»

che «dimostra l’inadeguatezza di ogni registro fenomenologico. Non è

possibile una fenomenologia del volto», in quanto esso «eccede sempre la sua

possibilità di essere un correlato oggettivo»80. L’Altro «non è mai un

“qualcosa” e neanche un fenomeno»81, non si rivolge né alla percezione né

alla conoscenza; è «radicalmente estraneo a ogni apparire. Per Lévinas

apparire significa essere presente, essere sottomesso allo sguardo e

all’apprensione del Medesimo. Di conseguenza il non-apparire, la non-

manifestazione, l’invisibilità vengono considerati come la dimensione

dell’alterità»82. Il paradosso consiste nell’elevare questa «non-esperienza» ad

esperienza assoluta.

«A dire il vero», scrive l’autore, «solo Dio è una metafora sufficiente per

dire la s-proporzione. Essa sarebbe pensata da un di fuori che non è quello del

mondo, da un di fuori non spaziale»83. La trascendenza è, per il Lévinas

maturo, la vera misura della ricerca filosofica; l’infinito, l’incontenibile,

l’irrappresentabile, che si pongono al di là dell’io e del concetto, pur essendo

emblemi del divino, partono dall’umano: «come è possibile trovare

un’esteriorità non spaziale» nel mondo in cui viviamo? La domanda trova

79 EI, p. 89. 80 V. Perego, La fenomenologia francese tra metafisica e teologia, Vita e Pensiero, Milano 2004, p. 72. 81 Ibid. 82 Ivi, p. 71. 83 DMT, p. 229.

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risposta nell’etica: «è possibile solo all’interno di un movimento che va verso

l’altro uomo, e che è di colpo, responsabilità»84.

La trascendenza esaltata da Lévinas è una cura contro il narcisismo e

l’idolatria: il totalmente Altro spodesta il primato del Sé; «l’io accostato come

responsabilità è denudato, esposto all’affezione e più aperto di ogni apertura»,

poiché «aperto sull’altro che egli non contiene»85. «Il fondamento della

socialità» consiste nella «distrazione da sé», nell’«interruzione del perseverare

nel proprio essere»86. Strappato a se stesso, il soggetto è in grado di

considerare anche il sacro come alterità: la fede è lo sradicamento a cui

l’individuo si consegna nella libertà, l’accettazione di una volontà divina che

non si costruisce a immagine dell’uomo.

L’idea del sacrificio del sé in vista di un’Altro è presente nella preghiera di

Simon Weil che il nostro filosofo cita nella sua opera: «Padre (...) strappa da

me questo corpo e quest’anima (...) per farne cose tue e di me non lasciar

sussistere eternamente che questo strappare stesso»87.

Come sostiene Faessler nel saggio Dieu, Autrement, l’opera di Lévinas ha

due versanti diversi: l’uno riguarda la filosofia pura, l’altro i commentari

talmudici e midrascici. Il legame di questi saperi non è apologetico e non vi

sono contaminazioni teoriche, come avviene in Hering: non si richiede che la

filosofia sia al servizio della teologia, né l’inverso, semplicemente le due

84 DMT, p. 232. 85 DMT, p. 219. 86 EI, p. 37. 87 AE, p. 174. Lévinas utilizza i verbi «se livrer, se consumer, s’exiler» per esprimere la condizione dell’io assoggettato all’Altro e prende in prestito da Simon Weil il termine «arrachement à soi»: «Père, arrache de moi ce corps et cette âme pour en faire des choses à toi et ne laisse subsister de moi éternellement que cet arrachement lui même».

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prospettive condividono certe corrispondenze, «certaines résonances

communes»88.

Ma, ritornando alla fase iniziale della riflessione dell’autore, dove il primato

etico non è ancora stabilito, la distanza tra il giovane filosofo e il teologo di

Strasburgo si situa nella diversa interpretazione e applicazione del metodo di

Husserl; partendo dagli stessi presupposti, Hering propone uno sviluppo

teologico della fenomenologia, mentre Lévinas approda all’ontologia.

Nella sua recensione del saggio sulla Teoria dell’intuizione, Hering si

mostra sospettoso nei confronti dell’analisi del filosofo lituano e non

condivide la sua versione ontologica della teoria husserliana: «nous avouons

être un peu inquiets au sujet de l’accueil que rencontrera sa thèse du primat de

l’ontologie sur la phénoménologie dans la philosophie d’Husserl, thèse que

Lévinas soutient d’un bout à l’autre de son bel ouvrage»89. Hering ritiene

l’ontologia estranea o quantomeno non necessaria al corso del pensiero

fenomenologico, un elemento secondario e non la vera conquista del nuovo

metodo: il nostro autore, con la sua interpretazione, ha sovvertito le priorità

husserliane, come viene ribadito subito dopo: «et ne risque-t-on pas, en tout

cas, d’introduire dans la pensée de Husserl des préoccupations qui lui sont

totalement étrangères?»90.

In Phénoménologie et philosophie religieuse, il teologo francese si era già

espresso in modo esplicito a proposito dell’equivoco dell’ontologia,

88 M. Faessler, Dieu, Autrement, in Cahier de l’Herne, a cura di C. Chalier et M. Abensour, Ed. de l’Herne, Paris 1991, p. 417. La risonanza comune consiste per l’autore in una «même manière de faire émerger les modalités de l’autrement dans la description phénoménologique et dans l’art du commentaire». 89 J. Hering, «Revue philosophique de la France et de l’Etranger», op. cit., p. 478. 90 Ibid., p. 479.

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affermando che «l’objet “intentionnel” n’existe pas nécessairement au sens

ontologique»91: l’intenzionalità non mette capo ad una verità che interpella

l’essere, ma riguarda unicamente i rapporti interni alla coscienza. Egli ricorda

che nel procedimento stesso dell’epoché, sono messi tra parentesi i fatti

ontologici come se fossero inessenziali alla ricerca: «nous suspendons la

position générale [du monde] qui est un caractère essentiel de l’attitude

naturelle, nous mettons en parenthèse tout ce qu’elle embrasse en fait

d’existence»92.

La domanda che si pone al centro del confronto tra Hering e il giovane

Lévinas, riguarda, in sintesi, lo statuto della conoscenza e la definizione del

sapere autentico: ci si chiede se esso debba essere fondato sull’essere

dell’uomo. È un problema che si trova già tra le righe della filosofia

husserliana e che coinvolge il pensiero di Heidegger. Secondo Ruggenini, il

dibattito sulla questione ontologica si scontra inevitabilmente con la cifra

dell’idealismo di Husserl: il filosofo tedesco, nel descrivere la soggettività,

«non è riuscito a guadagnare una perfetta chiarezza sul rapporto tra io

empirico e Io trascendentale» e, in questo modo, ha generato «fraintendimenti

ed equivoci»93.

Quando si parla di ontologia in Husserl, essa corrisponde sempre ad una

ontologia idealistica che «prescrive la forma di ogni senso d’essere, alla quale

91 Hering, p. 62. 92 Hering, p. 63. La citazione riportata è ripresa da Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologischen Philosophie, «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», I, Halle, 1913, p. 56-57. 93 M. Ruggenini, Verità e soggettività. L’idealismo fenomenologico di Edmund Husserl, Fiorini, Verona 1974, p. 157.

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devono essere vincolati tutti i problemi ontologici che è possibile pensare»94.

L’essere, in questo contesto, è relegato nella sfera del possibile, come «ciò

che il soggetto pone in tutte le forme possibili della sua vita di coscienza

(conoscenza, volontà, affettività, attività pratica)»95 e rimane quindi, separato

dall’essere reale.

Scrive ancora Ruggenini: è «contro le intenzioni di Husserl» dire che «la

fenomenologia sembra impegnata fondamentalmente a chiarire il significato

essenziale dell’uomo», perché «in realtà ciò che sta a cuore alla

fenomenologia non è in primo luogo l’umanità, ma quella verità che per essa

è custodita nella misura in cui è portato alla luce il valore trascendentale della

soggettività [...]; non è dunque l’uomo che dispone della verità, ma è la verità

che chiama l’uomo al suo compito»96.

Nelle prime opere, Lévinas non critica ancora in modo esplicito questo lato

idealistico della filosofia di Husserl, ma riesce a sopperire al suo carattere

astratto, accogliendo la fatticità di Heidegger, che tende a interpretare la vita

nei suoi caratteri effettivi, l’Esserci, «l’ente che noi stessi sempre siamo»97,

nel suo stato temporale e in divenire, contraddistinto dalla possibilità e dalla

scelta, come «ciò che c’è e ha da essere»98.

94 La citazione di Ruggenini è riportata da Husserl, Erste Philosophie. Erster Teil. Kritische Ideengeschichte. (1923-1924), Editore R. Boehm, M. Nijhoff, Den Haag 1956, p. 185. Ruggenini ricorda che per Husserl «tutte le ontologie filosofiche sono ontologie idealistico-trascendentali: tutte le regioni degli onta sono regioni di onta, che secondo la chiarificazione filosofico-trascendentale del loro reale senso d’essere sono idealità trascendentali, unità costituite nella soggettività trascendentale». 95 Ivi, p. 186. 96 Ivi, p. 158. 97 ET, § 2, p. 19. 98 Cfr. Glossario, ET, pp. 592-3. La fatticità (Faktizität) è valorizzata nel suo carattere temporale e individuale. La costituzione ontologica della vita, secondo Heidegger, è da sempre consegnata all’uomo, non come qualcosa di statico e concluso, ma come «progetto» (Entwurf) che apre la dimensione del «poter essere».

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Sulla scorta del filosofo di Essere e Tempo, che considerava «il problema

dell'essere il pungolo di ogni ricerca scientifica»99, il nostro autore vede

nell’ontologia la realizzazione concreta del problema della conoscenza:

«comment la connaissance correspond à l’être», scrive Lévinas in un saggio

giovanile su Heidegger, «voilà une forme plus profonde du problème de la

connaissance»100.

3. Il primo studio su Husserl: la lettura «ontologica» della fenomenologia

Nel 1929 Lévinas pubblica sulla Revue Philosophique de la France et de

l’Étranger un articolo intitolato Sur les «Ideen» de M. E. Husserl, con lo

scopo di «reproduire les idées essentielles de ce livre qui a exercé et qui

exerce encore une influence capitale sur la philosophie allemande»101. Si tratta

di un’analisi puntuale del contenuto delle Ideen, che non aggiunge niente al

pensiero del filosofo tedesco e che non lasciò particolari tracce nella sua

ricezione. Infatti, quando si menziona la «prima grande opera dedicata in

Francia al pensiero husserliano nella sua totalità»102, secondo le parole di

Derrida, il riferimento è a un altro scritto di Lévinas: alla sua tesi di dottorato,

pubblicata nel 1930 con il titolo La teoria dell’intuizione nella fenomenologia

di Husserl.

99 ET, p. 72. 100 E. Levinas, Martin Heidegger et l’ontologie, «Revue philosophique de la France et de l’Étranger», n. 5-6, mai-juin 1932, p. 396. 101 E. Lévinas, Sur les «Idéén» de M. E. Husserl, «Revue philosophique de la France et de l’Étranger», n. 3-4, mars-avril 1929, p. 230. 102 J. Derrida, La scrittura e la differenza, op. cit., p. 106-107.

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Derrida celebra il valore di «questo libro prodigioso» che, come scrive, «fu

per me, come per molti altri prima di me, la prima e la miglior guida»103.

Anche Ricoeur formula un giudizio simile: «non potrei dimenticare il mio

primo incontro approfondito con Husserl: fu leggendo la Teoria

dell’intuizione di Emmanuel Lévinas. Questo libro fondava, puramente e

semplicemente, gli studi husserliani in Francia»104. La stessa opera si può

collocare alla base della formazione filosofica di Sartre105 e di tutti gli

intellettuali francesi che si confrontavano in quegli anni con la

fenomenologia.

Lévinas era consapevole della novità rappresentata dal suo scritto e sapeva

di consegnare ai lettori un argomento quasi inedito: «questo lavoro, che

espone un aspetto particolare della filosofia fenomenologica, non presuppone

tuttavia questa filosofia come conosciuta. Ad eccezione dell’importante

lavoro di J. Hering, Husserl non è stato ancora studiato in Francia»106.

Si è già accennato alla recensione del teologo francese alla Teoria

dell’intuizione: pur apprezzando l’opera per la chiarezza dell’esposizione e

per l’intento divulgativo, Hering non risparmiava al testo la malcelata accusa

di «originalità» e di «marginalità». Le perplessità riguardavano la tendenza di

Lévinas a indugiare su un aspetto secondario della filosofia di Husserl,

travalicando, se non addirittura «travisando», le intenzioni del pensatore

tedesco, come faceva notare il critico, complimentandosi ironicamente con il

103 Id., Adieu à Emmanuel Lévinas, op. cit., p. 65. 104 Trad. it. di S. Petrosino, da Il maggior stupore, in THI, p. XV. Le parole di Ricoeur sono riportate da L’originaire de la question-en-retour dans la “Krisis” de Husserl, in AA. VV, Textes pour Emmanuel Lévinas, Jean-Michel Place, Paris 1980, p. 167. 105 Cfr. S. de Beauvoir, La force de l’âge, Gallimard, Paris 1960, pp. 141-142. 106 THI, p. 1.

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giovane filosofo «d’avoir tenté sa démarche hardie et originale, ne serait-ce

que pour éprouver sa vertu de clarifier certaines pages des “Idées” qui se sont

refusées à livrer leur mystère à la plupart des lecteurs»107.

L’altra obiezione che il teologo rivolgeva a Lévinas era la presenza di

risonanze heideggeriane nella sua lettura di Husserl; un orientamento di cui il

nostro autore non aveva fatto mistero, fin dall’Introduzione:

Non temiamo di tener conto dei problemi che si pongono i filosofi discepoli del

nostro autore e, in particolare, Heidegger, la cui influenza su questo libro è

facilmente riconoscibile. Accentuando certe aporie, sollevando certi problemi,

precisando certe opinioni e opponendosi ad altre, l’intensa vita filosofica che anima

la filosofia di Heidegger, permette talvolta di precisare i contorni della filosofia di

Husserl108.

Nella Prefazione alla Teoria dell’intuizione è espresso il bisogno di

enunciare i contenuti del pensiero husserliano in modo obiettivo; scrive

Lévinas: «ci sentiamo obbligati ad esporre la dottrina fenomenologica

generale nel modo più imparziale possibile e di separare nettamente la

dottrina dall’interpretazione»109.

Data una simile promessa di fedeltà ad Husserl, può sembrare

contraddittoria l’idea di voler «precisare i contorni» della sua dottrina,

attraverso l’interpretazione heideggeriana. È una prospettiva che si comprende

solo se si considera che Essere e Tempo non era relegato da Lévinas al livello

107 J. Hering, «Revue philosophique de la France et de l’Etranger», op. cit., p. 480. 108 THI, p. 10. 109 THI, p. 3.

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di una delle tante interpretazioni di Husserl, ma costituiva l’attuazione più

profonda della sua fenomenologia.

Il nostro autore non poneva i due filosofi su linee interpretative diverse:

riteneva la fenomenologia una scienza in continua evoluzione, capace di

trasformarsi e di assumere forme nuove. Condivideva in questo l’ottimismo di

Hering, che dal canto suo, aveva progettato di mettere a frutto l’inesauribile

fecondità del metodo husserliano per costruire una filosofia della religione

dalle fondamenta più solide. Agli occhi di Lévinas e dei fenomenologi

francesi, il movimento importato dalla Germania era una «filosofia vivente»,

che non aveva ancora dispiegato del tutto le sue potenzialità. «L’ultima parola

sulla filosofia di Husserl» non poteva ancora essere espressa110, e non stupiva

che potesse essere Heidegger a rilanciare il senso della dottrina.

Secondo il parere di Lévinas, ciò che consentiva il passaggio del testimone

da un filosofo all’altro era l’ontologia: «ci sembra che il problema che qui

pone la fenomenologia trascendentale si orienti verso un problema ontologico,

nel senso specifico che Heidegger attribuisce a tale termine»111.

Il ruolo attribuito all’autore di Essere e Tempo era determinante: «la

conoscenza del punto di partenza di quest’ultimo ci permetterà forse di

comprendere il punto di arrivo di Husserl»112. Il significato della

fenomenologia poteva, allora, essere compreso grazie all’incipit filosofico di

Heidegger.

Lévinas non aveva intenzione di tornare, con il suo richiamo all’«essere», a

una disciplina empirica: egli ricorda più volte lo scarto tra «lo studio 110 THI, p. 9. 111 THI, p. 10 112 Ibid..

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dell’essere e lo studio del senso dell’essere o ontologia»113, consapevole che

«la scienza del “senso dell’essere” non è identica alla conoscenza delle sue

proprietà, che essa è in qualche modo a priori [...], e che essa ha una dignità

speciale»114. L’intento del nostro filosofo coincide con quello proposto da

Heidegger, il quale, in una lettera del 1927 indirizzata a Husserl, definisce lo

scopo dell’interpretazione ontologica della fenomenologia:

Qual è il modo d’essere dell’essente nel quale si costituisce il “mondo”? Questo è il

problema centrale di Essere e Tempo, cioè un’ontologia fondamentale dell’esserci

(Dasein). Bisogna mostrare che il modo d’esserci dell’essere umano è totalmente

diverso da quello di ogni altro essente e che esso in quanto tale è quello che porta

appunto in sé la possibilità della costituzione trascendentale115.

La stessa esigenza anima la ricerca giovanile di Lévinas: lo scopo è quello

di portare alla luce l’essere dell’uomo, ed è un passo che deve essere

compiuto dalla e all’interno della fenomenologia.

Nel primo capitolo della Teoria dell’intuizione, il filosofo lituano prende le

distanze dalle scienze empiriche, così come aveva fatto Hering, ma non per

screditarle dal punto di vista epistemologico, bensì per dimostrare che esse

non permettono un’adeguata visione ontologica. «Ci siamo chiesti», scrive

113 Ibid. 114 THI, p. 8. 115 Trad. it. di V. Costa, Husserl, op.cit., p. 212. La citazione è da Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen 1925, Husserliana, Bd. IX, a cura di W. Biemel, Nijhoff, Den Haag 1962, pp. 601-2.

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Lévinas, «qual è il tipo di esistenza che il naturalismo attribuisce all’essere e

quali sono le categorie con le quali esso lo pensa»116.

La teoria naturalista considera l’essere sulla base di percezioni mutevoli,

condotte ad unità solo da nessi causali e da determinazioni spazio-temporali.

Citando le parole di Husserl: «lo specialista delle scienze della natura tende a

cogliere tutto come natura»117, con la conseguenza inevitabile di

«naturalizzare la coscienza» e reificarla, rendendola simile alla materia

inerte118.

Rispetto a questa posizione, l’intera opera dell’inventore della

fenomenologia, fin dalle sue prime battute, costituisce un correttivo e

un’alternativa: secondo Lévinas, era una nuova teoria dell’essere che il

filosofo tedesco proponeva contro le scienze della natura; un’ontologia della

coscienza che aveva la funzione di sostituire l’ontologia naturalista119.

Volendo ricostruire il rapporto tra fenomenologia e ontologia, si affronta un

tema tuttora controverso nella filosofia husserliana. Una questione con cui

Husserl tentò di misurarsi nel libro III delle Ideen, pubblicato postumo nel

1952; un materiale che non era dunque ancora accessibile al giovane Lévinas

quando scriveva la sua tesi di dottorato.

116 THI, p. 17. 117 THI, p. 23. La citazione di Husserl è da Philosophie als strenge Wissenschaft, «Logos», vol. I, 1910, tr. it. di C. Sinigaglia, La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 13. 118 Cfr. THI, p. 24. «È in questa identificazione ontologica [...] della coscienza e della materia che risiede la radice profonda e autentica della materializzazione, della naturalizzazione, della reificazione della coscienza. Questa reificazione sarà inevitabile, nonostante ogni tentativo di concepire l’essenza della coscienza in modo differente rispetto all’essenza della cosa materiale, almeno fino a quando il concetto di esistenza non sarà allargato». 119 Cfr. THI, p. 25. Nel secondo e nel terzo capitolo della Teoria dell’intuizione, Lévinas si concentra sulla descrizione di questa «ontologia della coscienza», i cui caratteri principali sono l’intenzionalità e l’assolutezza, mentre dedica il quarto capitolo alla critica della coscienza teoretica, e gli ultimi tre alla teoria dell’intuizione.

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Nelle pagine del filosofo tedesco, l’ontologia figura come subordinata alla

fenomenologia. Vi è una distinzione fondamentale, per quanto sottile, tra i

due ambiti: «la fenomenologia non è un’ontologia, anche se le sue indagini

costitutive procedono attraverso “regioni ontologiche”»120, non lo è, in quanto

non presenta «una “dottrina essenziale della realtà”, ma una “dottrina

essenziale della costituzione delle realtà”»121.

Secondo la prospettiva delle Ideen, «nella fenomenologia della coscienza di

cose, il problema non è di stabilire come sono le cose, che cosa inerisca alle

cose come tali, bensì come è strutturata la coscienza delle cose»122. Al centro

dell’interesse del fenomenologo vi è l’analisi degli atti con cui la coscienza si

rapporta ai suoi oggetti, e non l’essere degli oggetti con cui viene a contatto.

Come scrive lo stesso Husserl, la fenomenologia «è la scienza delle

“origini”», la «“madre” di tutta la conoscenza, è il terreno nativo di qualsiasi

metodo filosofico»123. Delle ontologie si può dire soltanto che siano

riconducibili al suo alveo124, come «concetti guida per interi campi della

ricerca fenomenologica»125; ad esse non è concesso un ruolo preminente:

120 E. Franzini, Introduzione, in E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, I, Halbband, Husserliana, Bd. III/I, a cura di K. Schuhmann, Nijhoff, Den Haag 1976, tr. it. di V. Costa, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Einaudi, Torino 2002, d’ora in poi Ideen I, p. XXXVI. 121 Ideen I, p. XXXVII. 122 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, Husserliana, Bd. IV, Drittes Buch, Die Phänomenologie und die Fundamente der Wissenschaften, Husserliana, Bd. V, a cura di M. Biemel, Nijhoff, Den Haag 1952, tr. it. di V. Costa, op. cit., vol. II; § 15, p. 455, d’ora in poi Ideen II. 123 Ideen II, § 15, p. 452. 124 Cfr. Ideen II, § 14, p. 449. 125 Cfr. Ideen II, § 15, p. 451.

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«tutto ciò che le scienze degli onta, le scienze razionali come le scienze

empiriche [...] hanno da offrire “si risolve in fenomenologia”»126.

Lévinas invece, inquadra il problema in modo inverso, considerando un

altro punto di arrivo: secondo lui, «ogni considerazione sul metodo supera i

confini di una logica puramente formale e si immerge inevitabilmente in una

“ontologia”»127. Egli afferma che la fenomenologia, «lungi dall’essere una

semplice teoria della conoscenza, presenta un interesse ontologico di assoluto

prim’ordine. La teoria e la critica della conoscenza in fondo non sono che

delle applicazioni e dei corollari di questa ontologia fondamentale»128.

Il nostro autore sembra ignorare la distinzione husserliana tra

fenomenologia e ontologia, tentando di dimostrare che la fenomenologia

inaugura una nuova teoria dell’essere.

4. L’essere della coscienza tra assolutezza e intenzionalità

Nella Teoria dell’intuizione emergono i caratteri della nuova «ontologia»

attribuita ad Husserl. Essa è contrassegnata da due elementi: l’assolutezza e

l’ intenzionalità. La coscienza, bilanciandosi tra queste posizioni, si trova a

essere indubitabilmente certa della propria identità, al modo del cogito

cartesiano e, al contempo, capace di trascendersi.

Alla base di tale concezione si situa il bisogno di Lévinas di teorizzare un io

in equilibrio tra la consapevolezza di se stesso e l’apertura a ciò che è altro da

sé. L’intenzionalità appare al nostro autore un concetto rivoluzionario, poiché 126 Ideen II, § 14, p. 450. 127 THI, p. 8. 128 THI, p. 148.

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giustifica filosoficamente il riferirsi del soggetto a qualcosa di ulteriore; non si

fa ancora cenno al carattere interpersonale di questo rimando e non è ancora

matura la propensione etica del trascendere se stessi. Ciò che importa è il

dischiudersi di un nuovo senso ontologico.

Il dissidio tra l’intenzionalità e l’assolutezza dell’essere, come emblemi

opposti di trascendenza e immanenza, è ancora sotterraneo in questa prima

fase del pensiero di Lévinas, ma preme per venire alla luce. In base

all’elemento che si fa emergere nell’interpretazione, la filosofia di Husserl

assume i connotati dell’apertura o della chiusura.

Secondo il nostro autore, la tesi più interessante della fenomenologia a

livello ontologico è quella del «diverso modo di esistere delle differenti

regioni dell’essere»129. Il senso plurivoco dell’essere è dato dalla pluralità del

modo in cui la coscienza si rapporta all’oggetto: si tratta di una caratteristica

dell’atto intenzionale, in quanto atto non puramente teoretico, ma capace di

differenziarsi, ad esempio come affettivo, volitivo, pratico ed estetico130.

A tal proposito è citato un passo delle Ideen che spiega la varietà insita nei

vissuti e nel loro modo di presentarsi:

Noi intendemmo per intenzionalità la proprietà dei vissuti di essere «coscienza di

qualche cosa» [...]. Un percepire è un percepire di qualcosa, poniamo di una cosa

spaziale: un giudicare è un giudicare di uno stato di cose; un valutare è un valutare di

uno stato di valore; un desiderare è desiderare di uno stato di desiderio, ecc. L’agire

129 THI, p. 16-17. «Esistere non significa ovunque la stessa cosa. Questa tesi, a nostro avviso una delle più interessanti della fenomenologia, ci sembra appartenga all’intera filosofia di Husserl». 130 Cfr. THI, p. 57. «Abbiamo finora caratterizzato l’intenzionalità come rapporto con l’oggetto. Questa caratteristica non riguarda unicamente la vita puramente teorica dello spirito. Infatti, tutte le forme della nostra vita, la vita affettiva come la vita pratica ed estetica, si caratterizzano in rapporto all’oggetto».

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va all’azione, il fare all’impresa, l’amare all’amato, il godere al goduto, ecc. In ogni

attuale cogito, uno “sguardo” che si irradia dall’io puro si dirige verso l’”oggetto” di

quello che di volta in volta è il correlato di coscienza, alla cosa spaziale, allo stato di

cose, ecc., e realizza i differenti modi in cui la coscienza può essere coscienza di

questo oggetto131.

Husserl ha rivelato che gli atti intenzionali sono di diverso tipo. Lévinas

traduce questa verità in chiave ontologica ed esistenzialistica, usando la

formula: «Esistere132 non significa ovunque la stessa cosa»133. Alla radice

della versione pluralista dell’essere, vi è la teoria aristotelica, per cui «l’essere

si dice in molti modi»134. Il concetto di intenzionalità ha un’altra origine:

diffusosi nella scolastica medievale come rinvio logico del segno al suo

designato, è una terminologia che Brentano aveva adottato per indicare, nei

fenomeni psichici, il riferimento a un oggetto «immanente». Husserl la prende

in prestito per istituire il rapporto tra soggetto e oggetto in modo nuovo,

concentrandosi sulla relazione tra la coscienza e il suo contenuto, in quanto

essa ha la proprietà di essere sempre, «coscienza di qualcosa»135.

«L’originalità della concezione husserliana consiste per Lévinas nell’aver

concepito l’intenzionalità come “vero atto di trascendenza”»136, fa notare

131 Ideen I, § 84, p. 210. 132 C. Esposito, Il fenomeno dell’essere. Fenomenologia e ontologia in Heidegger, Edizioni Dedalo, Bari 1984, pp. 116-7, fa notare la contrapposizione fra il concetto di essentia husserliano e quello heideggeriano di existentia: «Nell’ideazione (riduzione eidetica) operata dalla fenomenologia husserliana viene colta dunque l’essentia dell’atto, non la sua existentia, anzi quest’ultima considerazione viene tematicamente perduta». 133 THI, p. 16. 134 Aristotele, Metafisica, VI, 2, 1026 a 32. 135 Ideen I, § 36, p. 86. 136 G. Ferretti, La filosofia di Lévinas. Alterità e trascendenza, Rosenberg & Sellier, Torino 1996, p. 49. La citazione di Lévinas è da THI, p. 54: «L’intenzionalità è per Husserl un atto di autentica trascendenza e il prototipo stesso di ogni trascendenza».

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Ferretti. La trascendenza della filosofia di Husserl si situa nella tendenza della

coscienza a riferirsi a un correlato esterno, un procedimento «che permette a

questo soggetto sostanza di entrare in contatto con un’altra realtà»137.

Fornendo alla coscienza la possibilità di dirigersi su qualcosa che non è se

stessa, la fenomenologia riesce ad affrontare la questione della tradizionale

problematicità della conoscenza, che si ripropone nella domanda: «come il

soggetto raggiunge l’oggetto che gli è trascendente?»138. La risposta di

Husserl consente di assegnare al cogito l’atteggiamento di «sguardo su

qualcosa», di considerare la cogitatio e il suo cogitatum nel loro riferimento

reciproco, evitando, così, il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa

e superando il concetto sostanzialista di esistenza.

Si è «dunque potuto mostrare che il soggetto non è qualcosa che esiste

dall’inizio e che in seguito si rapporta all’oggetto. Il rapporto del soggetto con

l’oggetto costituisce il fenomeno originariamente primo ed è soltanto in esso

che ciò che si chiama “soggetto” e “oggetto” si ritrovano»139.

Non vi è più la necessità teoretica di istituire un ponte che funga da

intermediario, poiché la cogitatio e il cogitatum sono uniti fin dal principio:

«l’intenzionalità costituisce la soggettività stessa del soggetto. La sua

sostanzialità consiste infatti nel trascendersi»140.

La conquista della trascendenza è descritta dal nostro autore con toni che

Ferretti giudica heideggeriani, dal momento che in Husserl non sembra

manifestarsi una tendenza così forte ad uscire fuori dal territorio della

137 THI, p. 55. 138 Ibid. 139 Ibid. 140 Ibid.

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coscienza. Lévinas scrive: «l’interesse della concezione husserliana

[dell’intenzionalità] consiste nell’aver posto nel cuore stesso dell’essere della

coscienza il contatto con il mondo»141. È chiaro che «la connessione che si

evidenzia tra “coscienza” e “mondo” denuncia, per i termini usati, la tonalità

heideggeriana di tutta questa prima lettura di Husserl da parte di Lévinas»142.

In Essere e Tempo si delinea una dimensione di intimità con il mondo: l’ in-

der-Welt-sein, per cui l’esser-ci si trova in una situazione di apertura

originaria. È evidente, come scrive Esposito, l’«affinità di tale questione con

la tematica di un’apertura comprensiva alla realtà, al “mondo”, da parte

dell’esserci umano», quell’«apertura alla quale si danno gli enti, ed in modo

tale che si costituiscano nella loro essenza proprio inserendosi in un piano

intenzionale di comprensività»143.

«La teoria dell’intenzionalità è per Heidegger», secondo von Herrmann, «un

primo e decisivo passo sulla via dell’abbandono della dottrina della sfera

interna del soggetto, che deve essere superata per raggiungere un qualsiasi

rapporto con il mondo»144.

L’attenzione alle dinamiche dell’intenzionalità è importante, perché proprio

da questo nucleo iniziale si sviluppa l’alterità che, nella fase matura di

Lévinas diventerà etica, radicalizzandosi e manifestandosi come trascendenza

assoluta. Molti critici hanno notato che lo stesso modello di Essere e tempo è

oggetto di ripensamenti nelle molteplici interpretazioni che il nostro autore

141 THI, p. 57. 142 G. Ferretti, La filosofia di Lévinas. Alterità e trascendenza, op. cit. p. 49. 143 C. Esposito, Il fenomeno dell’essere, op. cit., p. 75. 144 F.W. von Herrmann, Der Begriff der Phänomenologie bei Heidegger und Husserl, Klostermann, Frankfurt am Main 1981, tr. it. di R. Cristin, Il concetto di fenomenologia in Heidegger e Husserl, Il Melangolo, Genova, 1997, p. 58.

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proporrà di quest’opera: come scrive Ferretti, «il tema della coscienza subirà

in seguito una profonda evoluzione, fino a leggere Heidegger stesso alla luce

di Husserl e ad interpretare quindi immanentisticamente la natura della

intenzionalità conoscitiva heideggeriana»145.

Un altro motivo che mostra l’influenza di Heidegger nella lettura che il

nostro autore fa di Husserl è il tema dell’esistenza.

Lévinas tradisce infatti la sua contaminazione di termini husserliani e

heideggeriani, utilizzando quasi come sinonimi i motivi del «presentarsi alla

coscienza» e del «rivelarsi come esistente»146. Egli ritiene la coscienza

husserliana contraddistinta dal fatto che davanti ad essa si sperimenta

l’«impossibilità di negare la sua esistenza»147. Essa non è dunque, soltanto

intenzionale, ma esibisce anche i caratteri dell’assolutezza: si dice «assoluta»

perché «continuamente presente a se stessa»148. Non è altro che l’antica

questione del cogito e della sua evidenza indubitabile.

Secondo Husserl, tutti i vissuti sono dati alla coscienza prima di essere

percepiti e prima che uno sguardo riflessivo si posi su di loro. Lévinas cita a

questo proposito un passo delle Ideen, per precisare che la coscienza è

«presente» preliminarmente a qualsiasi atto di conoscenza, ed è «pronta alla

percezione [...] semplicemente esistendo [...] per quell’io al quale

appartiene»149 :

145 G. Ferretti, La filosofia di Lévinas. Alterità e trascendenza, op. cit., p. 49. 146 THI, p. 17. 147 THI, p. 42. 148 THI, p. 44. 149 Ibid.

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Che «tutti i vissuti siano dati alla coscienza» significa, specialmente nei riguardi dei

vissuti intenzionali, che essi non sono solo coscienza di qualcosa e in quanto tali

presenti quando sono oggetto di uno sguardo riflettente, ma sono già presenti come

«sfondo» in maniera irriflessa, e quindi pronti a essere percepiti in un senso

inizialmente analogo a quello in cui lo sono le cose inosservate nel nostro campo

visivo esterno. Queste ultime lo sono solo in quanto, pur inosservati, sono in certo

modo date alla coscienza, il che significa, nei loro riguardi, in quanto si

manifestano150.

Secondo il nostro autore, la fenomenologia segna un passo in avanti rispetto

alla posizione di Descartes: il cogito, infatti, diviene indipendente e «anteriore

a ogni sguardo della riflessione». Ciglia spiega questo passaggio di Lévinas:

«Husserl non affermerebbe l’esistenza della coscienza come una necessità

logica derivante dalla sua indubitabilità, ma, al contrario, sarebbe

l’indubitabilità e la necessità della coscienza che deriverebbero dal suo modo

peculiare di esistere»151.

Mentre il cogito cartesiano era strumentale alla dimostrazione della

conoscenza del mondo esterno, l’obiettivo di Husserl non è solo di ordine

gnoseologico, ma si propone di «non separare la conoscenza di un oggetto [...]

dal suo essere»152. Secondo Ciglia, questa «subordinazione dell’evidenza

assoluta del cogito [...] al modo di essere della coscienza è un aspetto della più

generale subordinazione della dimensione fenomenologico-conoscitiva a

150 Ideen I, § 45, p. 109-110. 151 F.P. Ciglia, Un passo fuori dall’uomo. La genesi del pensiero di Lévinas, op.cit., p. 21. 152 THI, p. 46.

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quella ontologico-“esistenziale”, che [...] domina l’intero impianto

dell’interpretazione lévinassiana di Husserl»153.

La Teoria dell’intuizione celebra la fenomenologia, perché in essa «è

presente per la prima volta la possibilità di passare dalla teoria della

coscienza, e attraverso la teoria della coscienza, alla teoria dell’essere»154.

Ritorna dunque, nelle interpretazioni del primo Lévinas, il motivo

ontologico, legato al superamento di un’analisi filosofica che si limita al solo

scopo conoscitivo ed emergono anche le inevitabili contraddizioni, dovute

alla torsione in chiave ontologica di Husserl. Affiora il sospetto che la sua

filosofia non si sia davvero emancipata da una teoria della conoscenza e che

abbia condotto il suo studio del reale con un atteggiamento prevalentemente

teoretico.

L’opera giovanile del nostro autore è un serbatoio di critiche velate e di

concetti che sono accostati, pur essendo in potenziale contrapposizione, pronti

a sfociare in una crisi. Il carattere immanente della coscienza stride, come è

stato ricordato, con il riconoscimento della sua trascendenza. La possibilità di

una biforcazione concettuale fra l’assolutezza della coscienza e il suo

carattere di intenzionalità è un’insidia latente del pensiero fenomenologico.

Anche se ancora in modo non esplicito, si può affermare che le due facce

della coscienza rimandino alla questione dell’esteriorità, trattata in modo

compiuto in Totalità e infinito, cioè la tendenza del soggetto a concepire la

realtà non più a partire da sé, idealisticamente, ma da un punto di vista

esterno; «come se il problema fosse proprio nella spola dell’alternativa tra

153 F. P. Ciglia, Un passo fuori dall’uomo, op. cit., p. 21. 154 THI, p. 47.

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l’apertura costitutiva dell’intenzionalità da una parte, a tal punto essere-nel-

mondo da rischiare di perdere la propria individualità e sostanzialità, e

un’assolutezza che tende viceversa a contrarsi su di sé e a chiudere

monadicamente ogni porta e ogni finestra»155.

Il dissidio tra l’individualità del soggetto e la necessità di una sua apertura è

avvertito dal giovane filosofo, ma resta ancora senza soluzione in questa

prima fase, come scrive Bonan nel suo studio su Soggetto ed essere:

Se l’autore, in quest’opera giovanile, ancora non è in grado di dare una risposta

personale che coniughi entrambe queste esigenze, nondimeno assolutezza e

trascendenza rimarranno i due poli fondamentali della soggettività nella sua

riflessione successiva: se il primo termine continuerà a connotare la separazione

ontologica del sé, la trascendenza non rappresenterà più una semplice apertura sul

mondo, ma il movimento che porta l’io all’incontro etico con l’infinita alterità di

autrui156.

Una lettura retrospettiva dell’opera di Lévinas permette di risolvere

l’ impasse tra l’assolutezza e l’intenzionalità della coscienza, considerando lo

stadio maturo del pensiero del filosofo, in cui la svolta etica e metafisica della

fenomenologia è conquistata sviluppando il carattere di intenzionalità della

coscienza fino alle estreme conseguenze, tanto da dissolvere la stessa

coscienza che l’ha reso possibile.

155 E. Bonan, Soggetto ed essere. Indagini sul pensiero di Emmanuel Lévinas, Piazza Editore, Treviso 2002, p. 43. 156 Ibid, p. 44.

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Janicaud sostiene «que le mouvement le plus intime de cette pensée déporte

celle-ci de la phénoménologie vers la métaphysique, à la mesure même de la

radicalité de l’“ex-propriation” du sujet par l’autre»157: il ripensamento della

filosofia di Husserl, nelle opere mature del nostro autore, si compie partendo

dall’evidenza assoluta del cogito e approdando alla sua espropriazione.

Nella Teoria dell’intuizione i tempi sono ancora precoci per una scelta tra le

due alternative e l’assolutezza della coscienza oscura talvolta il bisogno di

trascendenza. Salvarezza afferma che prevale ancora una «lettura dicotomica

del pensiero husserliano»158. Ma si potrebbe ugualmente affermare che il

dualismo, nei suoi aspetti problematici, si presenti all’autore malgrado i suoi

tentativi di evitarlo: infatti l’ideale di Lévinas è quello dell’armonia, della

«pienezza»159.

Il concetto di intuizione nella filosofia di Husserl è da questo punto di vista

esemplare160, perché realizza la conciliazione tra i movimenti della coscienza

verso sé e verso l’altro: «l’intuizione è un atto che possiede il suo oggetto»161,

157 D. Janicaud, Le tournant théologique de la phénoménologie française, Édition de l’Éclat, Combas 1991, pp. 34-35. 158 F. Salvarezza, Emmanuel Lévinas, Mondadori, Milano 2003, p. 18 159 Cfr. THI, p. 83, «L’intuizione è un atto che possiede il suo oggetto. É ciò che esprime il concetto di «Fülle», di pienezza, che caratterizza l’atto intuitivo [...]. La nozione di pienezza esprime il fatto che le determinazioni dell’oggetto sono presenti alla coscienza»; p. 88, «Husserl parla qui del fenomeno della Erfüllung, che noi tradurremo con il termine realizzazione (réalisation). Nella misura in cui la pienezza è più o meno perfetta, abbiamo una realizzazione perfetta dell’intenzione significativa. Il significato, il semplice pensiero che non poteva decidere nulla sull’oggetto - né sulla sua natura, né sulla sua esistenza -, nella realizzazione si trova davanti questo stesso oggetto, ed essa lo vede esattamente nella maniera in cui lo mirava». 160 Cfr. THI, p. 107. «L’intuizione, come viene intesa da Husserl, non è un modo di conoscenza immediato, che si potrebbe mettere accanto ad altri modi [...]. In Husserl l’intuizione è il processo stesso del pensiero verso la verità». A p. 104 si afferma: «Husserl ha cercato il fenomeno primo della verità e della ragione, e l’ha trovato nell’intuizione, intesa come l’intenzionalità che raggiunge l’essere». 161 THI, p. 83.

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che mira a qualcosa e che la raggiunge162. Si tratta di un’intenzionalità

realizzata e portata a compimento, in cui non solo l’essere della coscienza e

l’essere delle cose si corrispondono, ma l’identità del soggetto è data dalla

concordanza della sua immanenza con la sua trascendenza, dal riempimento

della sua natura intenzionale.

È un rapporto equilibrato, che può essere espresso come «trascendenza

nell’immanenza»163; in questa realtà bilanciata, l’«io non pregiudica

l’intenzionalità della coscienza»164, «il soggetto è un essere che, nella misura

in cui esiste, si trova già in presenza del mondo, ed è ciò che costituisce il suo

stesso essere»165.

Lévinas propone un modello di intenzionalità dipendente dall’essere della

coscienza, che risente fortemente, in questa fase, del primato dell’ontologia.

Si è ancora molto lontani dal concetto di trascendenza assoluta.

Come scrive Clemente, nei primi studi di «Lévinas il valore del termine

[fuori], come quello di “trascendenza” è ontologico»: la relazione che si

instaura con ciò che non è coscienza rimane dunque, immanente al cogito

stesso e al «senso» che ha per esso. La ricerca si svolge, da un certo punto di

vista, tutta nell’immanenza, «all’interno di una dinamica di senso: l’atto

162 Cfr. THI, p. 81. «Affermare che l’intuizione attualizza la pura e semplice intenzione che mira all’oggetto, significa affermare che è nell’intuizione che noi ci rapportiamo direttamente all’oggetto, che lo raggiungiamo. C’è qui tutta la differenza tra mirare a qualcosa e raggiungerlo». Lévinas pone l’accento sul fatto che nell’intuizione la tensione verso l’oggetto non rimane un atto in sospeso, ma si realizza pienamente. 163 THI, p. 65- 66. 164 Ibid. 165 THI, p.103.

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intenzionale è un’offerta di senso, mentre l’oggetto vissuto consiste tutto in

questo “avere senso” per la coscienza»166.

Se è vero che il soggetto descritto nella Teoria dell’intuizione è ancora

chiuso nella sfera ontologica, è anche vero che Lévinas rifiuta di schierarsi al

fianco di Husserl, quando la fenomenologia radicalizza il motivo

dell’immanenza: il passo più estremo nella direzione dell’assolutezza del

cogito è quello dell’ipotesi di una coscienza senza mondo.

Nel paragrafo 49 delle Ideen si afferma il carattere separato e autonomo

della coscienza. Il reale non è necessario al suo essere; l’ipotesi della

distruzione del mondo non mette in crisi l’identità del cogito. Come scrive

Husserl: «l’essere della coscienza [...] verrebbe sì modificato da un

annientamento del mondo delle cose, ma non ne sarebbe toccato nella sua

propria esistenza»167. In questo passo si registra la rottura dell’armonia tra

trascendenza e immanenza, a favore di quest’ultima.

L’immanenza è assoluta perché la coscienza basta a se stessa: «l’essere

immanente è dunque indubitabilmente un essere assoluto, nel senso che per

principio nulla “re” indiget ad existendum»168.

Si tratta di una tesi che Lévinas non sottoscrive fino in fondo. Egli riconosce

un valore fondamentale all’indipendenza del cogito: «non crediamo che la

coscienza abbia bisogno di cose per esistere, come le cose hanno bisogno

della coscienza»169, ma sente la necessità di ridimensionare questa teoria, di

relativizzarla, così come aveva fatto Hering. Quest’ultimo contestava per lo

166 L. F. Clemente, Un idealismo senza ragione. La fenomenologia e le origini del pensiero di Emmanuel Lévinas, Ombre corte, Verona 2008, p. 45. 167 Ideen I, § 49, p. 120. 168 Ibid., p. 121. 169 THI, p. 62.

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più l’idealismo e il ruolo esistenziale che il cogito assumeva nel medesimo,

ben noto paragrafo di Husserl170. La critica di Lévinas ha altre motivazioni:

l’ipotesi di una coscienza senza mondo comporta la «negazione del ruolo

capitale dell’intenzionalità»171.

Dalla reazione alla tesi più radicale di Husserl, si coglie la posizione che il

nostro autore porterà avanti in modo sempre più consapevole: il valore della

trascendenza non può essere negato. «Al centro della coscienza c’è dunque

l’intenzionalità; esso è l’elemento ultimo e primo della coscienza»172. In un

altro passo si legge: «si può parlare di un io, di un punto da cui gli atti escono,

solo come di una caratteristica interna all’intenzionalità»173.

Lévinas rivendica l’importanza di questa nozione, non solo all’interno della

sua visione personale, ma nell’intera dottrina husserliana; nelle Ideen si legge

infatti, che «il concetto di intenzionalità, preso nell’ampiezza indeterminata in

cui noi lo abbiamo inteso, è del tutto indispensabile e fondamentale ed è il

punto di partenza agli inizi della fenomenologia»174.

Lévinas sostiene che una coscienza che tende solo a se stessa non ha senso:

anche in questa prima fase del suo pensiero, egli si pone dunque in prima

linea nel difendere la soggettività come relazione.

170 Cfr. Hering, p. 85-86. «Pourquoi les “choses” auraient-elles besoin de la conscience, non seulement pour être pensée, mais pour exister ?». 171 THI, p. 63. 172 THI, p. 61. 173 THI, p. 66. 174 Ideen I, § 84, p. 212.

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5. La critica al primato della coscienza teoretica

La fenomenologia di Lévinas è consapevole di situarsi oltre la lettera della

filosofia husserliana175 e di superare la dimensione prettamente gnoseologica:

secondo il nostro autore, l’ultima parola non si può consegnare

all’epistemologia, senza il rischio di cadere in uno studio arido e manchevole,

perché «la teoria della conoscenza, se la si vuole comprendere come analisi

della vita cognitiva, non esaurisce tutta la vita»176.

Contro lo spirito stesso della sua dottrina, Husserl è sospettato di prediligere

l’impostazione teoretica; scrive Lévinas: «il concetto husserliano di intuizione

è viziato di intellettualismo, forse in modo eccessivo. Infatti tutti i tentativi di

Husserl per introdurre nella costituzione dell’essere le categorie che non

provengono dalla vita teoretica, non conducono a sopprimere questo primato

dell’atteggiamento teoretico, né la sua universalità»177.

Se è vero che il pensatore tedesco aveva dimostrato che gli atti intenzionali

sono di diversi tipi, è anche vero che «l’atto dell’intuizione, quello che ci

mette in contatto con l’essere, [è] prima di tutto un atto teoretico»178.

Nel capitolo IV della Teoria dell’intuizione, il nostro filosofo rimprovera a

Husserl, che aveva avuto l’indiscusso merito di riconoscere l’importanza degli

atti desiderativi, interrogativi, volitivi, di aver poi negato la loro capacità di

175 Cfr. THI, p. 148. «La fenomenologia dei problemi costitutivi oltrepassa la teoria della conoscenza, benché Husserl, almeno secondo la lettera della sua filosofia, non l’abbia esplicitamente superata da questo lato». 176 THI, p. 148. 177 Ibid. 178 THI, p. 77. Anche a p. 109 si afferma: «non bisogna dimenticare che l’intuizione è in Husserl un atto teoretico».

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costituire l’oggetto179. Si constata con delusione che, nella filosofia

fenomenologica, «la teoria, la rappresentazione gioca un ruolo preponderante

nella vita; essa serve da base a tutta la vita cosciente, essa è la forma di

intenzionalità che assicura un fondamento a tutte le altre [...]. In ciò si trova

una ragione del carattere intellettualista proprio dell’intuizionismo

husserliano»180.

Il riferimento è a quel passo delle Ideen in cui si ammette che la

correlazione noetico-noematica attraversa ogni atto intenzionale181: «è nella

misura in cui conosciamo teoreticamente l’oggetto, che [...] abbiamo accesso

ad esso in quanto esistente»182.

L’interpretazione ontologica della fenomenologia operata da Lévinas si

arresta davanti ai limiti dell’impostazione di Husserl: ciò che si può imputare

al filosofo tedesco è «come la nozione di esistenza resti in lui strettamente

legata alla nozione di teoria, alla nozione di conoscenza»183. La cosiddetta tesi

dossica, la linea di pensiero «che egli non ha mai abbandonato» consiste nel

179 Cfr. THI, p. 76. «Non dobbiamo perdere di vista [...] i passaggi che sostengono il carattere intenzionale degli atti non-teoretici; gli atti della volontà, si rapportano direttamente a degli oggetti; ma nell’atteggiamento delle Logische Untersuchungen, in cui viene considerato solo il lato noetico degli atti, non si vede ciò che questi atti aggiungono alla costituzione dell’oggetto»179. 180 THI, p. 67. «Il primato della coscienza teoretica è affermato da Husserl fin dagli inizi della sua filosofia, nell’elaborazione del concetto di intenzionalità». 181 Ideen I, § 127, p. 314: «è necessaria una conoscenza generale della correlazione noetica e noematica in quanto correlazione che attraversa tutti gli elementi intenzionali». 182 THI, p. 150. 183 Ibid.

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sostenere che «la rappresentazione184 resterà sempre il fondamento di tutti gli

atti»185.

Ciglia afferma che la critica di Lévinas «al primato assoluto e condizionante

attribuito da Husserl alla rappresentazione» indica la sfiducia nei confronti

dell’atto teoretico, del «logos filosofico» che, «assolutamente incapace di

autofondarsi, non può proporsi come tema natale del senso»186.

Alcuni critici hanno posto l’accento sull’elemento di distacco dalla

fenomenologia che comincia a maturare negli studi giovanili del filosofo

lituano187. Scrive Schillaci:

Il saggio sulla intuizione nella filosofia di Husserl, e in particolare il capitolo IV che

porta il titolo “la coscienza teoretica”, può essere definito il momento in cui Lévinas

prende le dovute distanze dalla teoria husserliana. Questo primato della coscienza

teorica induce Lévinas a caratterizzare la filosofia di Husserl come eminentemente

“intellettualistica”188.

In realtà è difficile parlare di una rivendicazione di autonomia teoretica da

parte del giovane Lévinas, perché prevale in questa prima fase un desiderio di

184 Con il termine «rappresentazione» il nostro autore intende, come asserito nelle Logische Untersuchungen, «qualsiasi atto in cui qualcosa si oggettualizza per noi in senso stretto». Da: E. Husserl, Logische Untersuchungen, Zweiter Band, Erster Teil: Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, Husserliana, Bd. XIX/II, a cura di U. Panzer, Nijhoff, Den Haag, 1984, trad. it. a cura di G. Piana, Ricerche logiche, Mondadori, Milano 1988, II, p. 247. 185 THI, p. 77. 186 F. P. Ciglia, «Mythos», «logos» ed «ethos» nel pensiero di E. Lévinas, in A.A.V.V. Mito e popolarità. Ermeneutica della sopravvivenza religiosa, letteraria e scientifica della mitologia, a cura di G. A. Lucchetta e M. De Innocentiis, Università «G. D’Annunzio», Chieti 1994, p. 103-144, poi Mito, in Fenomenologie dell’umano. Sondaggi eccentrici sul pensiero di Lévinas, Bulzoni, Roma 1996, pp. 35-36. 187 Lo stesso Ciglia sostiene che la critica di Lévinas al teoreticismo di Husserl sia una «convinzione, estremamente netta e decisa fin dall’inizio», ibid. 188 G. Schillaci, «Relazione senza relazione». Il ritrarsi e il darsi di Dio come itinerario metafisico nel pensiero di Lévinas, Galatea editrice, Catania 1996, pp. 34-35.

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continuità con il maestro: alimentare e perpetuare il metodo di Husserl

attraverso nuovi impulsi filosofici. Ma è anche vero che in alcuni passi, il

rifiuto di considerare l’esistente alla luce di categorie teoretiche esplode al di

là di ogni conciliazione, come una verità che il nostro pensatore non riesce a

tacere.

Ciò che è impossibile nascondere è la verità pratica e concreta di un mondo

che non si offre soltanto a uno sguardo teoretico, di modi di esistenza diversi

da quella intellettuale, laddove la teoria husserliana sembra invece sostenere

che «il mondo reale è il mondo della conoscenza»189.

Lévinas si domanda: «il nostro primo atteggiamento di fronte al reale è

quello di una contemplazione teoretica? Il mondo non si presenta nel suo

stesso essere come un centro di azione, come un campo di attività o di

sollecitudine, per usare il linguaggio di Martin Heidegger?»190.

L’autore di Essere e Tempo è dunque l’ispiratore di un nuovo modo di

considerare l’essere, una visione che influenza la stessa traduzione linguistica

di Lévinas: secondo Hering, il filosofo lituano abusava del termine francese

«vie», un vocabolo inadatto a esprimere il vissuto trascendentale, che appare

più vicino al senso del Leben191 caro a Heidegger:

189 Ibid. 190 THI, p. 135. 191 Il riferimento potrebbe essere alla cosiddetta faktische Lebenserfahrung, all’«esperienza effettiva della vita» o alla più generale fachtisches Leben, «vita effettiva» che (come si legge nel Glossario, in ET, p. 592) era «un’espressione già impiegata da Max Scheler nella seconda parte del suo Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik (1916)». Contro il dominio di una coscienza pura, Heidegger fa valere il carattere “effettivo”, singolarmente determinato e temporale della vita umana. Come fa notare C. Esposito (in Il fenomeno dell’essere, op.cit. p. 58), Heidegger accoglie l’istanza storica di Dilthey, «l’orientamento alla “vita”» che, nel filosofo di Essere e tempo, diviene il presupposto per il «passaggio dalla pura vita della coscienza trascendentale all’esistenza “effettiva” dell’Esserci, quale ente propriamente storico-ontologico».

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Si nous avions pu donner de l’étude de Lévinas des extraits plus nombreux et plus

complets, nos lecteurs n’eussent assurément pas manqué d’être frappés avec nous de

la fréquence de l’emploi de certains termes authentiquement heideggeriens telle la

notion de «vie» comme étant l’ultime but de la recherche philosophique et comme

l’explication du secret du monde. Il est vrai que parfois - in dubio pro reo - ce terme

peut être considéré comme la simple traduction n’est peut-être pas des plus

heureuses. De plus, nous avons pu noter une série de textes où il s’agit bien de Leben

au sens de Heidegger192.

Forse era proprio questo concetto largo, ma allo stesso tempo concreto di

«vie» a indisporre Husserl, il quale rimproverava a Lévinas di aver prodotto

una traduzione imprecisa e vaga della sua opera. Strasser afferma che la

critica più acuta della Teoria dell’intuizione alla fenomenologia concerne

proprio la nozione di vita: il fatto che «Husserl sépare la philosophie d’avec

l’existence concrète de l’homme, de sa vie, de son temps, de la société, de

l’histoire»193.

Heidegger utilizzava il termine Entleben per indicare l’«allontanamento

dalla vita», il bisogno di prendere le distanze dal «fluire fattuale, per elevarsi a

un piano da cui osservare e analizzare»194il mondo.

Non si può dire fino a che punto Lévinas riconoscesse un carattere astratto

alla dottrina di Husserl, i giudizi sull’argomento sono sempre espressi con

molta prudenza, salvo oscillazioni radicali, in cui l’autore dimentica la cautela

192 J. Hering, «Revue philosophique de la France et de l’Etranger», op. cit., p. 479. Il teologo francese aggiunge : «il nous paraît certain que l’historicité de la conscience est un problème qui n’a pas de place dans la phénoménologie envisagée comme l’étude de l’essence (immuable) de la conscience», ibid, p. 480. 193 S. Strasser, Antiphénoménologie et phénoménologie chez Lévinas, op. cit., p. 102. 194 In Glossario, ET, p. 589.

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e forse esprime un pensiero più sincero. Egli si guarda bene dall’attaccare la

speculazione del suo maestro: afferma che in essa vi «è una riflessione sulla

vita, che viene considerata in tutta la sua pienezza e tutta la sua ricchezza

concreta, ma è, pur sempre, «una vita che viene osservata, non vissuta»195.

Poche pagine dopo vi è un passo che può sorprendere per la sua vena

polemica e che contraddice proprio il carattere concreto della vita appena

formulato:

La riduzione fenomenologica, come l’abbiamo interpretata fino ad ora, non ci rivela

la vita concreta e gli oggetti nel loro significato per la vita concreta. La vita concreta

non è la vita solipsista di una coscienza chiusa su se stessa; l’essere concreto non è

ciò che esiste per una sola coscienza. Nell’idea stessa di essere concreto è contenuta

l’idea di un mondo intersoggettivo. Se ci limitiamo a descrivere la costituzione

dell’oggetto in una coscienza individuale, in un «ego», noi non arriveremo

all’oggetto come esso è nella vita concreta, ma ad una astrazione. La riduzione

all’ego, la riduzione egologica, non può dunque essere che un primo passo verso la

fenomenologia. Bisogna anche scoprire gli «altri», il mondo intersoggettivo196.

Si tratta di una delle affermazioni più forti del testo, che costituisce una

sorta di eccezione rispetto alla linea argomentativa principale. Essa contiene

in nuce l’esigenza di una «concretezza» misurata in un senso diverso:

nell’essere prima di tutto «intersoggettiva». Si menziona il concetto di

«solipsismo» e si evidenzia, in questo modo, una delle critiche che in quegli

anni si muovevano a Husserl: fino a questo momento Lévinas non aveva

195 THI, p. 158. 196 THI, p. 167.

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mostrato di condividerle. Secondo l’opinione di Bonan, è il procedimento

della riduzione trascendentale a risultare particolarmente inviso al nostro

autore:

Egli parla dell’epoché solamente nelle ultime pagine come «il metodo attraverso il

quale ritorniamo all’uomo veramente concreto», ma osserva altresì che attraverso di

essa «la riflessione sulla vita è troppo separata dalla vita stessa, e non si vedono i

suoi collegamenti al destino e all’essenza metafisica dell’uomo». Husserl, insomma,

non avrebbe spiegato la necessità di quel brusco renversement operato dalla

riduzione, e questa mancata spiegazione sarebbe la ragione di quell’inevitabile

astrattezza della sua operazione197.

La vita è alterata, se non addirittura «neutralizzata» dalla riduzione

fenomenologica. Nel procedimento dell’epoché, ciò che viene messo tra

parentesi, perché inessenziale all’episteme, è «il mondo naturale, fisico e

psicofisico» e tutte le scienze che ad esso si riconducono198. La trascendenza

di Dio rimane fuori dal campo della ricerca e anche «l’uomo, come essere

naturale e come persona legata ad altri attraverso un legame personale, quello

“sociale”, è messo fuori circuito, così come ogni essere animato»199. Lévinas

manifesta il suo dubbio, la preoccupazione che la riduzione inauguri un

atteggiamento puramente contemplativo, che devitalizzi il mondo così com’è

vissuto: 197 E. Bonan, Soggetto ed essere. Indagini sul pensiero di Emmanuel Lévinas, op. cit. p. 46. L’argomento è ripreso dall’autrice in E. Lévinas e l’intersoggettività mancata, in Etica trascendentale e intersoggettività, a cura di C. Vigna, Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 467. Le citazioni di Lévinas sono riprese da THI, p. 209 e p. 203. 198 «Tutte le scienze naturali e quelle dello spirito, con l’intero loro patrimonio conoscitivo, appunto in quanto scienze che richiedono l’atteggiamento naturale», Ideen I, § 56, p. 142. 199 Ideen I, § 57, p. 143.

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Questa riduzione eidetica non conduce forse a deformare il reale concreto, come

potrebbero farcelo credere le critiche bergsoniane del pensiero concettuale?

L’intuizione, che consiste nel porci immediatamente nel mondo dell’essere

individuale, non perderebbe il contatto con l’aspetto concreto di questo mondo,

divenendo intuizione eidetica? Questa realtà mobile e mutevole, dai contorni

imprecisi, non viene forse irrigidita in una realtà morta e fissata dall’intuizione

eidetica?200.

Lévinas si chiede se la fenomenologia possa «raggiungere la vita in

generale, o soltanto la vita riflessa»201. L’obiettivo di Husserl non è «altro che

il prendere coscienza, il rendere comprensibile ed evidente che cosa siano in

generale, cioè nella loro essenza pura, il pensiero e la conoscenza»202.

Secondo il filosofo lituano, «la riduzione fenomenologica non ha altro

scopo che quello di renderci presente il nostro vero io, ma di renderlo presente

in una prospettiva puramente teorica e contemplativa, che osserva la vita ma

non si confonde più con essa» 203.

Considerando gli scritti di carattere accademico alla luce di riflessioni

ulteriori, nell’intervista di Etica e Infinito, Lévinas ammette che il suo lavoro

sulla Teoria dell’intuizione era stato fortemente influenzato da Essere e

tempo, «nella misura in cui», scrive, «cercavo di presentare Husserl come

colui che ha intravisto il problema ontologico dell’essere»204.

200 THI, p. 132. 201 THI, p. 153. 202 THI, p. 146, la citazione è da Ricerche logiche, I, § 7, p. 284. 203 THI, p. 166. 204 EI, p. 61.

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Nel capitolo che segue si cercherà di rendere conto dell’importanza del

pensiero di Heidegger nella riflessione giovanile del nostro autore,

considerando gli effetti della filosofia esistenziale sulle successive letture

della fenomenologia.

Un paragrafo a parte tratterà la questione dell’intersoggettività: nelle prime

opere, Lévinas non prende in esame l’esperienza dell’Altro uomo, ma lo

studio di Essere e tempo e la traduzione del testo delle Meditazioni cartesiane

devono aver risvegliato in lui la consapevolezza di quel rapporto che, nelle

opere posteriori, sarà definito «etico». Alcune anticipazioni dei temi adottati

nella maturità, sono utili per procedere con più chiarezza a ricostruire la

genesi delle idee da un punto di vista cronologico.