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1 Idrocinesiterapia MARCO FORNI CAPITOLO 56 Introduzione Nel processo riabilitativo sono molti i mezzi a disposi- zione per ottimizzare il percorso di recupero del pazien- te, nella logica dettata dal progetto individualizzato e ar- ticolato nei diversi programmi di lavoro. Tra questi l’idro- cinesiterapia occupa un posto di crescente interesse. Il termine idrocinesiterapia designa l’esercizio tera- peutico in acqua. Si differenzia da altri termini che de- scrivono attività svolte in acqua, che possono collocar- si nel percorso riabilitativo del disabile, ma che non han- no valenza terapeutica, e che non possono essere con- siderate attività sanitarie (Boccardi, 2001). Questo preliminare chiarimento è necessario sia per un motivo concettuale, sia per un motivo legato alla ge- stione della spesa sanitaria. Il motivo concettuale è che la valenza terapeutica sta nell’esercizio e non nell’acqua, che costituisce sempli- cemente il contesto dell’esercizio stesso; l’acqua come ambiente fisico ha caratteristiche che consentono di al- lestire esercizi che non potrebbero essere attuati con le stesse caratteristiche in altro ambiente. Il motivo economico è che in Italia l’onere della spe- sa relativa al percorso riabilitativo della persona disabi- le è ripartito tra diversi soggetti istituzionali, in rappor- to alla natura sanitaria o sociale dell’intervento. In accordo con la visione espressa dalla World Health Organization (WHO) in International Classification of Fun- ctioning, disability and health (ICF), è importante “stabili- re un linguaggio comune per la descrizione della salute e delle condizioni a essa correlate allo scopo di migliora- re la comunicazione fra i diversi utilizzatori, tra cui gli ope- ratori sanitari, i ricercatori, gli esponenti politici e la po- polazione, incluse le persone con disabilità” (OMS, 2002). Conseguentemente questo capitolo è essenzialmen- te centrato sui seguenti punti: 1. la descrizione sintetica delle principali caratteristiche fisiche dell’ambiente acquatico così come si presenta normalmente all’operatore, sottolineando quegli aspet- ti che differenziano la vasca terapeutica dalla palestra, in modo da consentire all’operatore della riabilitazio- ne di declinare in modo corretto la logica dell’eserci- zio che già appartiene al suo bagaglio culturale e di esperienza e che trova nell’acqua un nuovo strumen- to operativo ricco di possibilità e di nuovi sviluppi; 2. il richiamo a quegli aspetti dell’adattamento all’am- biente acquatico che affondano le loro radici nella filogenesi e nell’ontogenesi del movimento umano. Si ritiene che questa parte non abbia un valore me- ramente speculativo, o relativo soltanto alla riedu- cazione dei disturbi del movimento nell’età evoluti- va, ma che sia una premessa adatta a improntare, se- condo linee di condotta corrette, l’azione del riabi- litatore; 3. criteri di valutazione in funzione del trattamento in ac- qua, che nascono dall’esperienza di chi da tempo si oc- cupa di questo settore, utili per integrare gli aspetti prin- cipali della valutazione riabilitativa che nasce fuori dal- l’acqua e che fuori dall’acqua misura i suoi risultati; 4. esempi applicativi del lavoro in acqua utili per chi, alle prime armi nel lavoro riabilitativo in acqua, vo- glia prendere spunto dal lavoro dei colleghi più esper- ti in questo specifico approccio. Stato dell’arte La ricerca delle prove di efficacia in idrocinesiterapia è gravata dalle difficoltà e dai problemi che riguardano più in generale tutto l’ambito riabilitativo. In particolare è importante sottolineare che: poiché il Randomized Controlled Trial (RCT) in dop- pio cieco, cioè il disegno di studio più potente per arrivare alla dimostrazione di un’ipotesi relativa all’ef- ficacia di un trattamento, non è sempre applicabile in modo rigoroso in riabilitazione, la ricerca di lette- ratura dovrebbe estendersi anche ad altri disegni di studio (ad esempio, cross-over) e dovrebbe analizza- re in modo particolarmente attento la metodologia uti- lizzata dai ricercatori (Minozzi e Pistotti, 2001); come efficacemente evidenziato da Whyte, in riabi- litazione possiamo misurare in modo rigoroso ciò che interessa di meno (menomazione) e in modo più soft ciò che interessa di più (attività e partecipazione) (Whyte, 1994); in conseguenza di ciò si incorre spesso in un errore sistematico specifico della ricerca in riabilitazione che è l’utilizzo di misure di risultato proprie di un livel- lo (menomazione) per valutare interventi che si pon-

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Idrocinesiterapia■ MARCO FORNI

C A P I T O L O

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Introduzione

Nel processo riabilitativo sono molti i mezzi a disposi-zione per ottimizzare il percorso di recupero del pazien-te, nella logica dettata dal progetto individualizzato e ar-ticolato nei diversi programmi di lavoro. Tra questi l’idro-cinesiterapia occupa un posto di crescente interesse.

Il termine idrocinesiterapia designa l’esercizio tera-peutico in acqua. Si differenzia da altri termini che de-scrivono attività svolte in acqua, che possono collocar-si nel percorso riabilitativo del disabile, ma che non han-no valenza terapeutica, e che non possono essere con-siderate attività sanitarie (Boccardi, 2001).

Questo preliminare chiarimento è necessario sia perun motivo concettuale, sia per un motivo legato alla ge-stione della spesa sanitaria.

Il motivo concettuale è che la valenza terapeutica stanell’esercizio e non nell’acqua, che costituisce sempli-cemente il contesto dell’esercizio stesso; l’acqua comeambiente fisico ha caratteristiche che consentono di al-lestire esercizi che non potrebbero essere attuati con lestesse caratteristiche in altro ambiente.

Il motivo economico è che in Italia l’onere della spe-sa relativa al percorso riabilitativo della persona disabi-le è ripartito tra diversi soggetti istituzionali, in rappor-to alla natura sanitaria o sociale dell’intervento.

In accordo con la visione espressa dalla World HealthOrganization (WHO) in International Classification of Fun-ctioning, disability and health (ICF), è importante “stabili-re un linguaggio comune per la descrizione della salutee delle condizioni a essa correlate allo scopo di migliora-re la comunicazione fra i diversi utilizzatori, tra cui gli ope-ratori sanitari, i ricercatori, gli esponenti politici e la po-polazione, incluse le persone con disabilità” (OMS, 2002).

Conseguentemente questo capitolo è essenzialmen-te centrato sui seguenti punti:1. la descrizione sintetica delle principali caratteristiche

fisiche dell’ambiente acquatico così come si presentanormalmente all’operatore, sottolineando quegli aspet-ti che differenziano la vasca terapeutica dalla palestra,in modo da consentire all’operatore della riabilitazio-ne di declinare in modo corretto la logica dell’eserci-zio che già appartiene al suo bagaglio culturale e diesperienza e che trova nell’acqua un nuovo strumen-to operativo ricco di possibilità e di nuovi sviluppi;

2. il richiamo a quegli aspetti dell’adattamento all’am-biente acquatico che affondano le loro radici nellafilogenesi e nell’ontogenesi del movimento umano.Si ritiene che questa parte non abbia un valore me-ramente speculativo, o relativo soltanto alla riedu-cazione dei disturbi del movimento nell’età evoluti-va, ma che sia una premessa adatta a improntare, se-condo linee di condotta corrette, l’azione del riabi-litatore;

3. criteri di valutazione in funzione del trattamento in ac-qua, che nascono dall’esperienza di chi da tempo si oc-cupa di questo settore, utili per integrare gli aspetti prin-cipali della valutazione riabilitativa che nasce fuori dal-l’acqua e che fuori dall’acqua misura i suoi risultati;

4. esempi applicativi del lavoro in acqua utili per chi,alle prime armi nel lavoro riabilitativo in acqua, vo-glia prendere spunto dal lavoro dei colleghi più esper-ti in questo specifico approccio.

Stato dell’arte

La ricerca delle prove di efficacia in idrocinesiterapia ègravata dalle difficoltà e dai problemi che riguardano piùin generale tutto l’ambito riabilitativo. In particolare èimportante sottolineare che:� poiché il Randomized Controlled Trial (RCT) in dop-

pio cieco, cioè il disegno di studio più potente perarrivare alla dimostrazione di un’ipotesi relativa all’ef-ficacia di un trattamento, non è sempre applicabilein modo rigoroso in riabilitazione, la ricerca di lette-ratura dovrebbe estendersi anche ad altri disegni distudio (ad esempio, cross-over) e dovrebbe analizza-re in modo particolarmente attento la metodologia uti-lizzata dai ricercatori (Minozzi e Pistotti, 2001);

� come efficacemente evidenziato da Whyte, in riabi-litazione possiamo misurare in modo rigoroso ciò cheinteressa di meno (menomazione) e in modo più softciò che interessa di più (attività e partecipazione)(Whyte, 1994);

� in conseguenza di ciò si incorre spesso in un erroresistematico specifico della ricerca in riabilitazione cheè l’utilizzo di misure di risultato proprie di un livel-lo (menomazione) per valutare interventi che si pon-

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gono a un altro livello (disabilità o handicap) non ne-cessariamente direttamente correlato col primo;

� nelle principali banche dati di interesse biomedico leparole chiave sono organizzate per capitoli riferiti al-la patologia d’organo e alle categorie terapeutiche se-condo una logica che non è propria della riabilita-zione (cui si adatterebbero parole chiave organizza-te per funzione), con la conseguenza che parole chia-ve pertinenti sono sparse nei diversi capitoli e sonomescolate a parole non pertinenti, il che rende mol-to complesse le strategie di ricerca;

� a differenza di altre branche della medicina, in ria-bilitazione e in idrocinesiterapia in particolare mol-ti lavori significativi sono pubblicati su riviste non in-dicizzate e in lingua diversa dall’inglese.

Una revisione sull’idrocinesiterapia condotta sulle dueprincipali banche dati di interesse biomedico (Medline eEmbase) (Minozzi e Pistotti, 2001) concludeva come segue:� discreta quantità di letteratura sulla idroterapia;� poca ma presente la letteratura specifica sull’eserci-

zio in acqua (idrocinesiterapia);� pochi gli studi sulle patologie neurologiche, nume-

rosi quelli sulle patologie ortopediche;� qualità metodologica piuttosto bassa (pochi RCT, ab-

stract non strutturati, assente o incompleta descrizio-ne della metodologia utilizzata);

� ricerche difficili da fare e da interpretare: fondamen-tale la collaborazione fra riabilitatore, epidemiologoe documentalista.

Un recente refreshing di quella revisione compiuto dal-lo stesso Autore (non pubblicato) ha confermato la pre-senza di una letteratura molto varia, in alcuni casi ridon-dante, sull’idroterapia. Una percentuale alta di questa let-teratura riguarda l’uso dell’acqua come mezzo fisico e di-scende dalla tradizione termalistica e climatologica. Unapiccola percentuale riguarda l’esercizio in acqua. La qua-lità metodologica resta bassa. Sono comparsi lavori che ri-guardano gli aspetti tecnologici dello studio del movimen-to in acqua: dinamometria, elettromiografia, cinematica.

Caratteristiche fisiche dell’acqua utilizzate nell’esercizio terapeutico

Vengono qui sinteticamente enunciati alcuni aspetti del-la fisica dell’acqua che insieme a molti altri contribui-scono a determinare le caratteristiche che assumono lapostura e il movimento nel fluido. I cenni che seguonosono puri e semplici richiami, utili per i lettori menoesperti in materia a evitare di incorrere in due errori fon-damentali e frequenti:1. ritenere che l’acqua, rispetto alla terraferma, si limi-

ti semplicemente a “smorzare” il movimento senza al-terarne la struttura. È vero il contrario: ad esempio,le sequenze di attivazione muscolare e anche i grup-

pi muscolari coinvolti sono diversi anche quando ilmovimento considerato (ad esempio, il cammino)sembra grossolanamente avere sembianze simili;

2. farsi abbagliare dagli effetti “contesto-dipendenti” del-l’acqua: considerare cioè terapeutici quegli eventi, an-che apparentemente clamorosi, che si producono inacqua per il semplice fatto che ci si immerge, ma cherapidamente scompaiono una volta tornati nel con-sueto regime antigravitario.

Temperatura

La temperatura dell’acqua è stata spesso oggetto di di-saccordo fra i cultori della riabilitazione in acqua, in par-te perché il calore (comunque somministrato) è semprestato considerato al centro dell’effetto terapeutico delleterapie fisiche, in parte perché il piacere immediato de-terminato dall’immersione in ambiente caldo (specialmen-te nella tradizione termalistica e climatologica) ha fattosottovalutare il pericolo di shock che a esso è associato.

Ci si limita qui a ricordare che agiscono quattro fon-damentali meccanismi per la dispersione del calore co-munque prodotto dai processi metabolici (dispersione ne-cessaria poiché siamo animali omeotermi): conduzione,convezione, irraggiamento ed evaporazione. Di questi sol-tanto uno, l’evaporazione, è in grado di disperdere ca-lore contro gradiente termico (ma in favore di gradien-te di concentrazione). Tutti gli altri funzionano in favo-re di gradiente termico (ma eventualmente contro gra-diente di concentrazione). Poiché in acqua l’evaporazio-ne avviene al massimo dalla piccola superficie corporeaeventualmente non immersa (spesso soltanto il viso) ap-pare chiaro che l’evaporazione è sostanzialmente ineffi-ciente. Perché avvenga la termodispersione è dunque ne-cessario attivare gli altri tre meccanismi e dunque che visia un certo gradiente termico, e poiché il sistema dellatermoregolazione ha una certa inerzia, il delta di tempe-ratura deve essere di 5-7 °C. Essendo la superficie ester-na del corpo umano di circa 37 °C, una buona sintesi tracomfort e buona funzionalità cardiovascolare anche in con-dizioni di relativa immobilità è data da una temperaturadell’acqua di circa 30 °C. Temperature più alte, soprat-tutto se molto più alte, possono provocare (in rapportoal tempo di immersione) sequestro di sangue alla perife-ria, diminuzione del ritorno venoso, defaillance cardiacae shock, soprattutto nei pazienti con arteriosclerosi.

Gli elementi che condizionano la gradevolezza “ter-mica” sono spesso più legati a fattori diversi dalla tem-peratura dell’acqua come la temperatura, l’umidità e laventilazione dell’ambiente, sui quali non ci soffermiamo.

Resistenza

Il concetto di resistenza in acqua è complesso e non sem-plice da definire, soprattutto se lo si considera global-mente, includendovi tutte le sue componenti.

VOLUME II TECNICHE

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Si consideri la differenza, dal punto di vista della ve-locità di avanzamento, dell’assetto e della difficoltà sog-gettiva, tra il cammino in acqua (con livello, ad esem-pio, alle spalle) e il cammino sulla terraferma.

È esperienza comune, facilmente verificabile, che ilcammino in acqua sia più lento e con un assetto del cor-po più inclinato in avanti (quest’ultimo aspetto riguar-da anche la semplice stazione eretta).

La sensazione è quella di una maggior resistenza del-l’acqua rispetto all’aria, cioè di una forza più intensa chesi oppone all’avanzamento.

La formula della resistenza è la seguente:

R = Cr � S � r � V2

dove R = resistenza, Cr = coefficiente di resistenza (va-ria in funzione dell’angolo di incidenza), S = superficiedel corpo (sezione maestra), 1/2 r = densità (rapportotra la massa di un corpo e il suo volume), V = velocità.Al di là di altre considerazioni relative alle caratteristi-che del fluido in cui si è immersi (l’acqua in questo ca-so) e alla variazione di alcune sue caratteristiche in rap-porto a fattori come la temperatura o la quantità di so-luti (differenza tra acqua della piscina e acqua del ma-re), balzano all’occhio due aspetti importanti: la resisten-za ha a che fare con la sezione maestra della superficiecorporea esposta all’avanzamento (ancora una volta laforma) e soprattutto è proporzionale al quadrato dellavelocità. Ciò significa che se ci si tuffa da un’altezza ele-vata e non si penetra in acqua nel giusto assetto e nel-la giusta posizione ci si può fare anche molto male; lasuperficie dell’acqua a causa della velocità si comportain questo caso come una superficie rigida, perché i suoistrati molecolari si compattano rapidamente, mentre sesi sta fermi in acqua o ci si muove lentamente (comeavviene di norma nella idrocinesiterapia) la resistenzapuò essere considerata virtualmente assente.

C’è un valore, il numero di Reynolds (Rn), che espri-me il rapporto tra forze di inerzia e forze viscose.

Rn = rLV/m

dove r rappresenta la densità del fluido, m la sua visco-sità, L la lunghezza del corpo e V la sua velocità.

Se Rn è basso, come avviene per un piccolo oggettoche si muove a bassa velocità, la resistenza dovuta allaviscosità è prevalente rispetto a quella dovuta allo spo-stamento relativo del fluido (Garrett, 1990). La lunghez-za delle imbarcazioni condiziona la loro velocità (anco-ra un aspetto legato alla forma).

Tornando alla sensazione di difficoltà all’avanzamen-to nel cammino in acqua, si può dunque dire che taledifficoltà non è tanto determinata dalla resistenza fron-tale, cioè dalla resistenza dovuta alla forza di coesionedelle molecole d’acqua davanti al soggetto che cammi-na, che devono essere separate per ottenere l’avanzamen-to, quanto ad altri due fattori che al concetto di resisten-za sono strettamente correlati e che sono: 1) la manca-ta o ridotta adesione al suolo delle piante dei piedi (fun-

zione della forza peso che diminuisce, per il principiodi Archimede, col crescere del livello relativo dell’acqua);2) la turbolenza che si genera posteriormente al corpoche si sposta in acqua e che è in rapporto con la velo-cità del cammino e con la forma del corpo stesso.

Pressione

La pressione P in acqua aumenta in modo scalare conl’aumentare della profondità ed è uguale a tutti i livelliorizzontali, l’incremento è di circa 1 atmosfera ogni 10metri di profondità.

P = , cioè:

La pressione, quindi, ha rilievo soprattutto per l’at-tività subacquea, meno per l’idrocinesiterapia, che si svol-ge in prossimità della superficie. Tuttavia, anche nell’am-bito delle profondità raggiungibili dal soggetto in piedie con la testa fuori si verificano importanti cambiamen-ti a livello respiratorio e cardiocircolatorio. La pressio-ne dell’acqua funge da calza elastica graduata, favoren-do il ritorno venoso. La pressione modifica la dinami-ca respiratoria sia per il suo effetto diretto sul torace, siaper l’effetto di resistenza espiratoria quando il soggettosoffia l’aria nell’acqua, eventualmente da un tubo che pe-sca a diversi gradi di profondità.

La pressione dell’acqua si applica alla superficie cor-porea ed è simile a un abbraccio, svolge cioè una fun-zione contenitiva e di smorzamento dei movimenti chepuò essere usata in terapia.

L’incremento della pressione con la profondità puòessere problematico quando vi sono delle importanti de-formità toraciche, come quelle determinate da una gra-

≠P=F/ØAP=F/A

ForzaArea

A

Gradienti di pressione relativi

BA >>> B

Direzione spostamento relativo del corpo rispetto al fluido

A - Zona di incremento pressorio relativoB - Zona di depressione relativa

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CAPITOLO 56IDROCINESITERAPIA

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ve scoliosi soprattutto se vi è un’importante componen-te rotatoria dei corpi vertebrali.

In questi casi l’attività subacquea è da evitare perchépotrebbe tendere ad accentuare la deformità riducendoulteriormente i residui movimenti toracici (Calisti, 2001).

Principio di Archimede

Il principio di Archimede definisce il concetto di den-sità:

d =

Nel confronto aria-acqua, alla temperatura T = 4 °Ce alla pressione P=1 atm la densità dell’aria è d �1,2kg/m3, mentre quella dell’acqua è d �100 kg/m3.

Praticamente siamo abituati a denominare la densitàpeso specifico, cioè, appunto, peso per unità di volume.

Il corpo umano non ha densità omogenea, è artico-lato, le articolazioni hanno diversi gradi di libertà e di-versa ampiezza di escursione, e nel torace si trovano ipolmoni che, in rapporto al grado di riempimento d’aria,fanno variare la densità (e quindi la galleggiabilità) nel-l’arco stesso dei movimenti respiratori.

Essendo il peso specifico complessivo del corpo uma-no vicino a 1, succede che in apnea espiratoria forzatala maggior parte delle persone scende lentamente ver-so il fondo della vasca “a palombaro”, mentre l’apnea in-spiratoria è un’ottima risorsa per mantenere il viso fuo-ri dall’acqua nelle fasi critiche di certi movimenti.

La diversa densità dei tessuti corporei e la varia com-posizione dell’organismo fa sì che in acqua la posturasia influenzata dal principio di Archimede. A scopo pra-tico si può rappresentare semplicisticamente il compor-tamento del corpo in acqua con un modello di questogenere (Calisti, 2001):

L’assetto del corpo in acqua in realtà è di questo ti-po non solo perché la densità dei tessuti è distribuitanel corpo in modo disomogeneo, ma anche perché leanche sono articolazioni aperte in avanti mentre le gi-nocchia sono aperte all’indietro.

Il concetto di pressione è connesso con il principiodi Archimede: un corpo in libera immersione riceve unaspinta verso la superficie pari al volume d’acqua spo-stato. L’aspetto interessante, però, è che la pressione è unaforza di superficie, per cui la controspinta idrostatica èuna forza che è diretta verso il centro geometrico dellaparte immersa, ma impatta sulla superficie del corpo po-tendo imprimere delle rotazioni che hanno a che fare

Espirazione

δ

Inspirazione

δ

• Osso = 1,56

• Grassi = 0,9

• Media tessuti = 1,02-1,06

δ > 1

δ > 1

δ < 1

Densità (d) di alcuni tessuti

± 1,5

4,2-7

10,5-21

35-56

70

± 2,14%

6-10%

15-30%

50-80%

100%

kgp0% pesocorporeo

Ar

massavolume

VOLUME II TECNICHE

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con la densità e con la forma del corpo (ad esempio: sesi mettono dei galleggianti alle caviglie di una persona,si modifica la sua spinta di galleggiamento ma non inmodo omogeneo, e la persona oltre a emergere tende-rà a modificare il suo assetto in acqua).

In generale, le forze che agiscono su un corpo in ac-qua, come su un corpo fuori dall’acqua, sono due: la for-za di gravità, che si applica al centro di massa o baricen-tro (circa davanti alla seconda vertebra sacrale), e la spin-ta di galleggiamento (che è la forza opposta e controbi-lancia la forza di gravità) che si applica al centro geome-trico della parte immersa (ancora una volta i concetti divolumetria e forma). Il baricentro è dislocabile, ma di po-co e solo per ampie modificazioni della configurazioneposturale. Il centro di galleggiamento, invece, è una for-za che cambia repentinamente e ampiamente come re-pentinamente e ampiamente può modificarsi la geome-tria della parte immersa del corpo che si considera.

Un corpo a densità omogenea di densità 1 (ugualeall’acqua) (ad esempio: un contenitore pieno d’acqua)assume una posizione indifferente (dove lo si mette sta);un corpo di densità eterogenea con una densità mediauguale a 1 ma con una parte a peso specifico minore euna a peso specifico maggiore tiene bassa la parte a pe-so specifico maggiore.

Microgravità

L’interesse per il comportamento motorio in ambientemicrogravitario si è fortemente sviluppato da quando lospazio è frequentato assiduamente dall’uomo, e i nume-rosi studi sull’argomento, se opportunamente interpre-tati, hanno un vivo interesse per chi si occupa del mo-vimento in acqua (Pedotti et al., 2001). Alcune cose im-portanti vanno però precisate, per evitare equivoci o am-biguità: in acqua la gravità non solo è presente, ma eser-cita un ruolo importante nella terapia (Clément e Le-stienne, 1988). Se fosse possibile permanere in acquaper un tempo così prolungato da fare un’esperienza pa-ragonabile a quella degli astronauti nello spazio, con ogniprobabilità non si avrebbero le stesse conseguenze in ter-mini di atrofia muscolare, osteoporosi, disequilibrio ecc.che invece caratterizzano l’esperienza microgravitaria.

L’orientamento spaziale determinato dai movimenti delfluido nei canali semicircolari permane intatto nell’immer-sione in acqua, mentre viene sovvertito in ambiente mi-crogravitario al punto da far scomparire la nozione di al-to e di basso (Ross, 1989; 1990). Qualsiasi tipo di resi-stenza al movimento in microgravità è assente, mentrein acqua rimane, sia pur proporzionale alla velocità delmovimento. Gli stessi aspetti percettivi legati all’estero-cettività che in acqua sono così fortemente enfatizzati, inmicrogravità si riducono fortemente (Roll et al., 1993).

In microgravità è come se ci si trovasse sempre in unaposizione di equilibrio indifferente, mentre l’equilibrioin acqua, anche se legato più al volume che al peso, nonè affatto indifferente.

Lo studio del movimento in acqua si può avvalere og-gi di tecniche sofisticate già in uso sulla terraferma e op-portunamente adattate (Benfield et al., 2007; Staderiniet al., 2001).

In un suo lavoro di notevole interesse Jean Massion èriuscito ad allestire un setting sperimentale molto com-plesso, nel quale ha valutato gli effetti di movimenti inavanti e all’indietro del tronco di soggetti normali com-pletamente immersi, dal punto di vista sia cinematico, checinetico, che elettromiografico (Massion e Fabre, 1995).

Al di là delle conclusioni relative all’invarianza delladislocazione del baricentro (viziate, a mio parere, dal fat-to che i soggetti dell’esperimento avevano i piedi vin-colati o al fondo o alla parete della vasca in cui eranoimmersi), tuttavia il lavoro ha permesso di capire alcu-ne cose che si verificano nel movimento in acqua comel’inclinazione in avanti del corpo in stazione eretta, lariduzione della co-contrazione fisiologica degli antago-nisti, l’alterazione delle sequenze di attivazione musco-lare rispetto alle condizioni del movimento sulla terra-ferma (Massion, 2001). E soprattutto è stato prezioso illavoro fatto per allestire il setting sperimentale che hacomportato oltre alla difficoltà di rendere le apparecchia-ture e gli elettrodi di registrazione compatibili con l’am-biente acquatico, e della taratura delle telecamere a in-frarossi per la rifrazione, anche la creazione di un di-spositivo di somministrazione dell’aria a pressione po-sitiva al soggetto completamente immerso che lo lascias-se del tutto libero nei movimenti.

Metacentro

In un corpo parzialmente immerso in acqua a densitàomogenea si individuano il baricentro tracciando le duediagonali del corpo e il centro di galleggiamento trac-ciando le due diagonali della parte immersa del corpo.

dove Cm = centro di massa, Cb = centro di galleggia-mento (“center of buoyancy”).

La linea bianca è il vettore che rappresenta la forzadi gravità applicata al centro di massa, quella blu è ilvettore che rappresenta la controspinta idrostatica: es-sa è diretta verso il centro di galleggiamento ma si ap-plica alla superficie del corpo. Se le due forze sono ugua-

Materiale x

Cb

Cm

A

P

CAPITOLO 56IDROCINESITERAPIA

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li e contrarie, il corpo è in equilibrio. Perché ci sia equi-librio le forze in gioco devono essere uguali e contrariema soprattutto coassiali, cioè i due vettori non provo-cano rotazioni se sono uguali, contrarie e giacciono sul-la stessa retta. Se si disassano, generano una rotazioneil cui verso dipende soprattutto dalla dislocazione delmetacentro, ma anche dall’eventuale presenza di forzevincolari. Ad esempio, se si fanno appoggiare le manial bordo della vasca, quello è un vincolo che può im-pedire una rotazione in avanti.

Si immaginino due diverse situazioni:

� un corpo che galleggia come in A, squilibrato comein B porta a un disassamento delle forze in gioco chegenera una rotazione in senso orario;

� un corpo che galleggia come in A, squilibrato comein B porta a un disassamento delle forze in gioco chegenera una rotazione in senso antiorario.

Il verso della rotazione è determinato dalla posizio-ne del metacentro.

Che cos’è il metacentro? Teoricamente è il punto diintersezione tra la verticale che passa per il baricentroquando il corpo è in equilibrio (in un corpo di forma re-golare e di densità omogenea corrisponde al suo asse disimmetria) e la verticale attuale, cioè quando il corpo vie-ne inclinato, che passa per il centro di galleggiamento.

Si vedano di nuovo le due situazioni precedenti:

� nel caso in cui il corpo squilibrato modifichi la suaconfigurazione di partenza il metacentro M è chiara-mente dislocato al di sotto del centro di massa;

� nel caso in cui il corpo squilibrato ritorni alla confi-gurazione di partenza, il metacentro M è chiaramen-te dislocato al di sopra del centro di massa Cm.

Dunque si può dire che se M si trova al di sopra di Cmil corpo, una volta inclinato, tende a riportarsi nella con-figurazione iniziale, mentre se M si trova al di sotto di Cmil corpo tende ad assumere una nuova configurazione.

Il metacentro ha grande importanza nella progetta-zione delle imbarcazioni (Garrett, 1990).

Il metacentro influenza anche il timing della rotazio-ne: quando M è molto alto il movimento è più lento,quando si abbassa il movimento è più veloce e anchequesto influenza la stabilità della postura in acqua.

Inerzia

L’inerzia è proporzionale alla massa, e condiziona inver-samente la facilità a iniziare o ad arrestare un movimen-to, come pure l’accelerazione del movimento stesso.

Se il momento angolare è costante e il movimentolento abbastanza da rendere il coefficiente di resisten-za trascurabile, in una situazione come quella indica-ta in figura: momento di inerzia B >A, velocità ango-lare A >B.

L’inerzia è tanto maggiore quanto più lungo è il rag-gio che si diparte dall’asse di rotazione. Ad esempio, sesi è in galleggiamento dorsale con le mani lungo i fian-chi si ha una grande instabilità sull’asse longitudinaledi simmetria perché si ha poca inerzia (distanza fra ilcentro del corpo e la fine della spalla), mentre a brac-cia allargate e spalle rigide l’inerzia e quindi la stabilitàaumentano di molto (distanza fra il centro del corpo ela punta delle dita delle mani). Ridurre l’inerzia è im-portante se si vuole cambiare posizione intorno a quel-l’asse; aumentare l’inerzia è importante se ci si vuole sta-bilizzare in quella posizione.

Cb MM

Cm Cm

BA

M

CmCb

Cm

Cb

PP

CbCm

CbCm

M

AA

P P

CbCmCb

Cm

P P

CbCm

A A

P P

CbCm

VOLUME II TECNICHE

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Nel cammino umano, ad esempio, ci sono molti mo-vimenti che avvengono, grazie all’inerzia, senza il con-tributo dell’apparato muscolare corrispondente (ad esem-pio l’estensione dell’anca dopo l’appoggio di tallone av-viene senza il contributo del muscolo grande gluteo, lasincinesia pendolare degli arti superiori rappresenta ilfreno alla rotazione imposta al bacino dalla necessità diavviare il passo e che, per ragioni di inerzia, continue-rebbe senza un freno fino a squilibrare il soggetto).

Turbolenza

Si è già visto parlando di resistenza che la turbolenzacontribuisce ampiamente a modificare lo spostamentodel corpo in acqua. La turbolenza è uno scompagina-mento delle molecole in una certa porzione del fluidoin prossimità del corpo immerso. L’area di turbolenzaha una pressione P minore delle aree nelle quali il flui-do è fermo o in movimento laminare. Si crea quindi unadifferenza di pressione tale per cui il corpo immerso inacqua è attratto verso l’area di turbolenza.

La turbolenza è connessa con il movimento più checon il mantenimento della postura.

La turbolenza può essere provocata, ci sono mano-vre che possono provocare una depressione che tendead attrarre, purché sia fatta sufficientemente vicino al cor-po, e può servire a indurre uno squilibrio contro il qua-le la persona deve reagire oppure indurre una facilita-zione rispetto a uno squilibrio naturale. La turbolenzapuò essere provocata anche semplicemente camminan-do intorno a una persona, quindi in acqua ci si devemuovere lentamente.

Come si è detto, la turbolenza è uno dei principalifattori di resistenza nel movimento in acqua.

Vincoli

Vincolo è tutto ciò che concerne supporti rigidi (comeil fondo o il bordo della vasca). È connesso con il peso(che serve appunto a vincolare, ad esempio, il piede alsuolo durante il cammino permettendo alla massa del cor-

po di ruotare intorno alla caviglia) e riporta in acqua unaparte della logica antigravitaria tipica della terraferma.

La variazione del livello dell’acqua o la modificazio-ne di una postura verticale permettono di trasformareil fondo della vasca da una semplice superficie di con-tatto a un vero e proprio vincolo. Parimenti il cammi-no in acqua cambia le sue caratteristiche a mano a ma-no che, con l’innalzarsi del livello dell’acqua, l’adesio-ne del piede al suolo diminuisce.

Per i vincoli è importante tenere conto sia dei vinco-li esterni, imposti dall’operatore o dalle circostanze (adesempio, le mani del terapista), sia dei vincoli interni(quelli che la persona produce da sola spesso inconsa-pevolmente). Il meccanismo è quello della co-contrazio-ne che limita o blocca la libertà articolare soprattutto del-le grandi articolazioni prossimali.

L’equilibrio in acqua

In acqua i piani su cui si considera il movimento sonoriferiti inevitabilmente al corpo e non alla superficie del-l’acqua o del terreno; ogni piano di movimento ha unsuo asse ortogonale: l’asse longitudinale di simmetria èortogonale al piano orizzontale, l’asse orizzontale è or-togonale al piano frontale e l’asse trasversale (che pas-sa per le anche) è ortogonale al piano sagittale.

In acqua il controllo posturale e l’equilibrio fanno iconti contemporaneamente con tutti gli aspetti cui si èaccennato sopra: densità, metacentro, inerzia, turbolen-za e vincoli.

Ciascuno di questi fattori gioca la sua parte e l’ope-ratore della riabilitazione deve essere consapevole deglielementi che entrano in gioco nelle diverse situazioni po-sturali e dei fattori che costituiscono l’esercizio che pro-pone al paziente (Calisti et al., 2001).

Filogenesi e ontogenesi del movimento in acqua

In acqua quanto più si riducono i vincoli, sia quelli in-terni che quelli esterni, tanto più si riducono le afferen-ze propriocettive e si enfatizzano quelle esterocettive. Sitratta di una condizione “regressiva”, una condizione cioènella quale ci si trova in condizioni simili a quelle delbambino nell’ambiente intrauterino.

Dominio Dominio

Terraferma Misto Acqua

Dominio

Verticale passanteper il baricentro internaal poligono d’appoggio

Forma ometacentro

Variabilmentemisto

A

B

A >>>

Direzione spostamento relativo del corpo rispetto al fluido

A - Zona di incremento pressorio relativoB - Zona di depressione relativa

CAPITOLO 56IDROCINESITERAPIA

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In realtà il paragone è ancora più suggestivo se si con-sidera che chi si immerge in acqua in piscina per fare idro-cinesiterapia si trova in realtà in un ambiente “misto”, unambiente cioè in cui sono variamente sollecitate risorserelative all’adattamento all’acqua (rilassamento, forma, se-lettività e discrezionalità nel reclutamento muscolare) erisorse relative all’utilizzo dei vincoli (più tipiche dell’adat-tamento al regime antigravitario proprio della terrafer-ma). Parimenti il bambino nell’utero materno sviluppacompetenze e adattamenti tipici dell’ambiente acquati-co soprattutto per quanto riguarda i movimenti sagitta-li, mentre utilizza il vincolo rappresentato dalle pareti ute-rine per i movimenti sugli altri piani, infatti subito do-po la nascita la distribuzione del tono muscolare privi-legia i quattro arti rispetto al segmento assiale.

C’è un’ovvia inevitabile simmetria tra ciò che succe-de in acqua per ciò che concerne l’attivazione musco-lare e ciò che succede nel campo della sensibilità e del-la sensorialità (Cosentino, 2001).

Bastano poche risorse di reclutamento muscolarequando si è immersi in acqua per ottenere una traiet-toria di movimento, un po’ come succede in ambientemicrogravitario (atrofia e ipostenia muscolare sono unodei prezzi che pagano gli astronauti che permangono nel-lo spazio per tempi prolungati). Le risorse recettorialidella propriocezione (i corpuscoli di Golgi e i fusi neu-romuscolari) sono funzionalmente connessi con l’atti-vità muscolare, soprattutto con quella cosiddetta “toni-ca”, e hanno una funzione rilevante nel determinare letraiettorie dei movimenti volontari precisi, quelli in cuila quota di co-contrazione fisiologica è più precoce e ri-levante. È ovvio che in un contesto nel quale il registropropriocettivo è poco alimentato subentri il registro piùadatto che è quello esterocettivo, un registro però chesi è poco abituati a gestire con la stessa sapienza, a dif-ferenza del bambino piccolo. La esterocettività nasce darecettori poco specializzati (le terminazioni nervose li-bere che si trovano nell’ambito del derma) stimolati daimovimenti del fluido sulla pelle: ancora una volta irrom-pe il concetto di forma che definisce il corpo in sensovolumetrico piuttosto che ponderale, come tutto ciò cheè racchiuso dalla superficie cutanea.

Questo è il principale fattore che rende delicata in ter-mini di sviluppo psicologico la prima fase della vita ex-trauterina, quella che precede l’individuazione. In que-sta fase il mondo sensoriale del bambino è già adattatoa un ambiente “misto” molto diverso da quello che stasperimentando ora e che è dominato dal peso (Cosen-tino, 2001).

La continuità tra i due mondi, e quindi il passaggio(che non è mai indolore), è garantita dalla capacità del-la madre “sufficientemente buona” di alternare momen-ti in cui somministra sensorialità del vecchio mondo (l’ab-braccio assomiglia molto all’effetto di contenimento eser-citato dalla pressione dell’acqua sul corpo immerso, co-sì come la carezza imita la stimolazione esterocettiva de-terminata dai movimenti convettivi del fluido) a momen-ti in cui somministra sensorialità del nuovo mondo (lo

deposita nella culla dove lui, schiacciato dal peso, non èneanche capace di girarsi) e si separa fisicamente da lui.

L’esterocettività è la sensibilità propria della fusiona-lità originaria, mentre la propriocettività è la sensibili-tà dell’individuazione-separazione.

Gli studi sui movimenti precoci del bambino nell’ute-ro materno hanno da tempo dimostrato la sua assolutacompetenza motoria rispetto all’ambiente nel quale si tro-va (Ianniruberto e Tajani, 1981) e hanno definitivamentedebellato la teoria vetero-cognitivista della “tabula rasa” re-lativamente ai meccanismi dell’apprendimento motorio.

Oggi non scandalizza più l’idea di una conoscenzaprocedurale, ancorché non verbalizzabile e chiusa allapossibilità di una introspezione cosciente, che si com-pendia nella capacità di venire a patti con le forze ester-ne attivando una sorta di complementarità tra queste ul-time e le forze interne, e che assimila i concetti di ap-prendimento e di adattamento.

Parimenti appare sempre più confermata l’idea di unrapporto circolare tra funzione e struttura, nel senso chela funzione determina la struttura almeno quanto la se-conda determina la prima. Nel caso del bambino la mie-linizzazione del sistema nervoso favorisce la nascita di nuo-ve competenze almeno quanto l’esercizio delle competen-ze favorisce la mielinizzazione. In effetti, la tradizionalecronologia delle acquisizioni motorie dopo la nascita è fa-cilmente sovvertibile con semplici manovre atte a contra-stare alcuni effetti della gravità (ad esempio, il bambinopiccolo sostenuto per l’occipite raggiunge rapidamente lalinea mediana con le mani) (Amiel-Tison e Grenier, 1981).

Una spiegazione del senso adattivo di alcune reazio-ni arcaiche (sulla scorta della logica del “dare senso al-le cose” introdotta da Milani-Comparetti) ci viene pro-prio dall’acqua (Milani-Comparetti, 1970).

Nel bambino appena nato, e persistentemente nelbambino cerebropatico, possono comparire, a fronte dideterminati stimoli, alcune reazioni che appaiono ste-reotipate e afinalistiche.

Il riflesso tonico-cervicale asimmetrico (RTCA), dettoanche riflesso dello spadaccino, è quello per cui la rota-zione del capo condiziona l’estensione dell’arto superio-re facciale e la flessione di quello craniale. Si tratta di unriflesso che quando è dominante condiziona negativamen-te il movimento del bambino, poiché i movimenti degliarti superiori e principalmente la prensione non sono in-dipendenti dalla direzione dello sguardo.

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Se si immagina il bambino immerso nell’acqua, si sache la rotazione del capo innesca una rotazione sul pia-no orizzontale (se fosse in galleggiamento dorsale an-drebbe con il viso nell’acqua); l’estensione dell’arto su-periore facciale è proprio il modo, con un meccanismod’inerzia, per frenare o per impedire la rotazione oriz-zontale e mantenere l’assetto posturale desiderato puresercitando la libertà di sguardo.

Il riflesso di Moro è provocato dalla caduta della testaall’indietro e si compone di un movimento di estensio-ne e di un movimento di abbracciamento degli arti su-periori. Può essere provocato anche da un rumore im-provviso (sussulto riflesso).

In acqua la caduta all’indietro del capo esprime una ro-tazione di tutto il corpo sul piano sagittale, con caduta al-l’indietro. Tale rotazione fuori dall’acqua, quando il bam-bino ha già sviluppato un adattamento alle condizioni an-tigravitarie, provocherebbe una reazione paracadute po-steriore che sarebbe completamente inefficace in acqua.In acqua, invece, il movimento efficace per impedire unarotazione all’indietro o per generare una rotazione in avan-ti è proprio quello di protendere gli arti estesi in avanti.

Ecco dunque che la reazione di Moro può essere in-terpretata come la persistenza di una reazione adattivarispetto al contesto precedente, piuttosto che come unareazione afinalistica.

Il riflesso della glabella è quello per cui se si percuo-te la sella del naso (glabella) di un bambino piccolo que-sti reagisce chiudendo gli occhi; si tratta di un riflessorimasto a lungo poco compreso (come molti dei rifles-si a partenza dalla circonferenza cranica).

Milani Comparetti distingueva una gerarchia evolu-tiva di riflessi, da quelli protettivi (i più primitivi), a quel-li funzionali all’alimentazione (orientamento verso il ca-pezzolo e succhiamento) e, infine, a quelli che preco-nizzano una competenza motoria evoluta, come il rifles-so della marcia automatica.

Quindi, il riflesso della glabella sembrava appartene-re a una gerarchia inferiore, afinalistica, fino a quandoJames Mc Millan lo ha provato tenendo il bambino ingalleggiamento dorsale in acqua. Egli si accorse allora che,stimolando la glabella, oltre a provocare la chiusura de-gli occhi si provoca l’estensione delle anche (ben visibi-le in acqua perché i piedi si spostano verso il fondo), que-sto ha permesso di collocare il riflesso della glabella e al-tri dello stesso tipo nei riflessi funzionali al meccanismo

del parto: quando la testa del bambino impegna il cana-le del parto, il movimento estensorio si coordina con ilmeccanismo espulsivo che provoca la nascita.

La guardia alta (cioè la posizione alta degli arti supe-riori) che caratterizza la prima fase del cammino dei bam-bini sembrerebbe una sfida alle leggi della fisica: pro-prio nel momento in cui il suo cammino è più fragile eincerto ci si aspetterebbe che il bambino adottasse spon-taneamente il comportamento adattivo di allargare la ba-se d’appoggio e abbassare il baricentro.

La teoria di Doman suggerisce che quel comporta-mento inspiegabile rappresenti il ricordo filogenetico del-la “discesa dall’albero” di quando eravamo scimmie ar-boricole. Più semplicemente è vero che in ambiente ac-quatico le modificazioni di forma del corpo non servo-no ad alzare o ad abbassare il baricentro, ma a genera-re delle rotazioni, soprattutto sul piano sagittale. In am-biente misto le braccia servono a modificare la posturautilizzando le pareti elastiche dell’utero (nella vita pre-natale) oppure a essere estratte dall’acqua per pesare dipiù e ottenere una migliore adesione dei piedi al fondodella vasca (in piscina).

L’idea del rapporto biunivoco tra struttura e funzio-ne, così come il concetto milaniano di “competizione trapattern” e di “appuntamento funzionale”, che così mi-rabilmente conduce verso un’idea procedurale della co-noscenza, è ben evidente anche nella filogenesi e nelladeriva post-darwiniana del pensiero evoluzionista (Mi-lani-Comparetti, 1970).

Leroi-Gourhan, nel suo libro Il gesto e la parola, met-te in evidenza le tappe del percorso evolutivo dell’uo-mo e dei suoi precursori dal punto di vista motorio eposturale.

� Ittiomorfismo: l’equilibrio in acqua� Anfibiomorfismo: prima liberazione dall’acqua� Sauromorfismo: locomozione quadrupede eretta� Teromorfismo: posizione seduta� Pitecomorfismo: posizione eretta� Antropomorfismo: adattamento della struttura cor-

porea alla marcia bipede

Egli non solo chiarisce la nostra genealogica paren-tela con l’acqua, ma mette bene in evidenza l’importan-za dell’acqua per il nostro apprendimento motorio in ter-mini di adattamento (Leroi-Gourhan, 1977).

E commentando l’evidenza che emerge dagli studi deireperti paleontologici più completi e meglio conserva-ti afferma:

Fino a pochi anni fa si sarebbe accettato più facilmente unquadrupede con cervello già umano piuttosto che un bipe-de cerebralmente in ritardo come l’Australopiteco.

Questo punto di vista “cerebrale” sull’evoluzione oggi appa-re inesatto: il cervello si è avvantaggiato dei progressi del-l’adattamento locomotore anziché provocarli.

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L’occasione per l’esercizio della funzione che emer-ge come necessità dal contesto accoppiata con la pre-senza dei requisiti per lo sviluppo della struttura pro-ducono il cambiamento.

Forme altrettanto brillanti di adattamento si posso-no avere sia in chiave evolutiva sia in chiave conserva-tiva (Leroi-Gourhan, 1977).

Dal punto di vista della “riuscita biologica” l’una e l’altravia hanno portato a esiti ugualmente brillanti.

I vincitori di questa corsa, la MEDUSA e l’UOMO, costi-tuiscono i due limiti estremi dell’adattamento.

L’idea della competizione, del compromesso, della ne-goziazione tra bisogni e propensioni opposte è ben evi-dente nello sviluppo psicomotorio del bambino, comepure nell’evoluzione umana.

Tutto il mondo animale si è diviso, fin dall’inizio, in un nu-mero relativamente limitato di tipi funzionali e la scelta av-veniva, mediante compromessi, tra l’immobilità e il movi-mento, tra la simmetria radiale e la simmetria bilaterale(o tra la capacità di camminare e quella di procreare).

È noto che lo studio dei resti di Lucy, un ominide disesso femminile vissuto alcuni milioni di anni fa, ha mes-so in evidenza che ella era una camminatrice provetta, chedi certo non conosceva la lussazione congenita dell’an-ca, ma era una cattiva riproduttrice: la forma estremizza-ta del suo bacino deformava il canale del parto al puntoda renderne problematica la sopravvivenza come specie.

La donna di oggi ha un cammino bipede meno effica-ce, ma partorisce con minor dolore e con più successo.

Se poi si pensa alla focomelia, la rudimentazione pin-niforme degli arti dovuta a un arresto o una deforma-zione dello sviluppo embrionario in una specifica fase,ci si rende conto che la potenzialità evolutiva verso lacompetenza acquatica è nel corredo genetico dell’uomo,e si trova una conferma relativa alla prossimità filogene-tica dei mammiferi marini (foche e otarie), la cui vici-nanza sarebbe analoga a quella delle scimmie antropo-morfe. I mammiferi marini hanno una struttura di tran-sizione (di compromesso) tra l’adattamento all’acqua (pin-ne, forma) e la capacità di sostegno antigravitario (sche-letro osseo, capacità di cammino quadrupede).

La competizione fra pattern (Milani-Comparetti,1970) rappresenta anche il meccanismo dello sviluppodelle competenze motorie nel bambino (descritto beneda Milani-Comparetti): il bambino si adatta al contestonel quale si trova (acqua), a un certo punto si trova inun altro contesto (terraferma), è inadeguato rispetto alnuovo contesto, ma continua a essere adeguatissimo ri-spetto al precedente: si scontrano due mondi, quello diprima, che va in estinzione, e il mondo di dopo, che vain evoluzione, il bambino tenta di fare con i mezzi di pri-ma le cose di dopo e fallisce; a poco a poco nasce unanuova organizzazione delle competenze motorie più ef-

ficace rispetto alla nuova situazione, è una nuova orga-nizzazione quella che si affaccia, più adatta ed efficacerispetto alla precedente. Qualcosa della vecchia organiz-zazione resta in archivio e può venire estratta al bisognoed esercitata con specifiche modalità.

L’esercizio terapeutico dovrebbe essere volto a favo-rire i nuovi adattamenti.

Winnicott ha descritto bene e con un linguaggio sem-plice la transizione dalla fusionalità originaria alla indi-viduazione-separazione. Ha descritto le caratteristiche del-l’oggetto transizionale e ha dimostrato la sua importan-za nel facilitare il passaggio dalla originaria fusionalità conla figura materna alla successiva separazione. Analoga-mente, Winnicott afferma che la madre ideale è quella“sufficientemente buona”, quella che condivide la fusio-nalità del bambino che lo prende in braccio e lo ninna,ma che a un certo punto lo deposita nella culla per an-dare a fare altre cose. Questa madre alterna questi com-portamenti non sulla base di un calcolo o di un’istruzio-ne, ma perché segue il suo ritmo che è in correlazionecon quello del bambino, e in questo modo empiricamen-te gli fa fare l’esperienza giusta, quella che lo fa cresce-re e diventare indipendente (Winnicott, 2001).

La transizionalità così concepita assomiglia molto alconcetto di “negoziazione” che costituisce uno dei car-dini del lavoro riabilitativo: conciliare l’esigenza di accu-dimento notturno del bambino disabile con il bisognodi sonno della mamma, ad esempio.

Come terapia di situazioni disfunzionali, Winnicott haproposto la holding, terapia basata sull’uso dell’abbrac-cio come esercizio. Con la prescrizione dell’abbraccio ilterapista solleva la madre dal senso di colpa di non es-sere capace di abbracciare suo figlio e le permette di far-lo senza nessuna implicazione affettiva. La funzione del-l’abbraccio tende a creare il sentimento dell’amore alme-no quanto l’amore determina l’abbraccio.

L’acqua ha a che fare con la holding perché ha il pre-gio di permettere il contatto come funzione di sostegno trale persone: io posso toccare una persona in acqua o tene-re in braccio un bambino perché altrimenti affoga, oppu-re perché devo creare le condizioni tecniche dell’esercizio.

Gli aspetti relativi all’ontogenesi del movimento in ac-qua sono molto coinvolgenti anche per il paziente adul-to e per l’operatore. È bene essere consapevoli di quellache viene chiamata dimensione regressiva dell’acqua, per-ché solo in questo modo può essere utilizzata efficacemente.

Inoltre, in acqua si attenua inevitabilmente quella di-stinzione tra chi cura e chi è curato che è così fortemen-te evidenziata fuori dall’acqua dalla foggia e dal colore del-la divisa di lavoro, oltre che dal cartellino con tanto di no-me e titolo professionale apposto a salvaguardia dei dirit-ti del paziente. In acqua prende senso la metafora del “renudo” e il gioco non è più (o è meno) un gioco di ruolo.

Il movimento animale in acqua è stato studiato con-dizionando pesci di grossa taglia a percorrere avanti eindietro una vasca di forma allungata a velocità costan-te e analizzandone il movimento dal punto di vista siacinematico che elettromiografico (Videler, 1990).

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Si è così evidenziato che:� il movimento dei pesci comincia dalla testa (il mo-

vimento della coda è per lo più passivo);� la turbolenza generata dai movimenti del capo è l’ele-

mento più significativo per iniziare il movimento;� i muscoli non sono inseriti su segmenti scheletrici,

ma alla contrazione si gonfiano permettendo alla tra-matura della pelle di scorrere modificando la formadel corpo (il che spiega la bizzarra e sgraziata confi-gurazione che assumono i pesci quando si trovanofuori dall’acqua appesi all’amo);

� come nelle imbarcazioni anche nei pesci la forma ein particolare la lunghezza ne condizionano (a pari-tà di altre caratteristiche) la velocità.

In sostanza, nei pesci il movimento è determinato es-senzialmente dall’interazione tra l’apparato muscolare ela pelle (anziché tra i muscoli e lo scheletro) tanto chela pelle, confine volumetrico del corpo, assume le ca-ratteristiche di un organo vitale (Roberts, 1990).

Valutazione in funzione del trattamento in acqua

Vengono brevemente riassunte alcune delle caratteristi-che dell’ambiente acquatico che influenzano la postura.

Movimento

� La forza necessaria per spostare segmenti corporei èridotta alle basse velocità di movimento.

� Il movimento (quello globale, cioè la rotazione chederiva dal nuovo assetto posturale) è dilazionato ri-spetto alla contrazione muscolare.

� Il vettore che rappresenta il verso di applicazione del-la forza muscolare è consensuale rispetto a quello cherappresenta la direzione del movimento (“andare ver-so” piuttosto che “spingersi via da”).

� L’equilibrio in acqua può apparire difficile in fase diadattamento più per un problema di “adattamento lo-gico” che per una reale impossibilità a mettere in cam-po le forze necessarie a fronteggiare la situazione.

Percezione

� Riduzione-modulazione delle afferenze propriocetti-ve. Per la ridotta stimolazione dei recettori sensibilialla pressione e alla trazione (Golgi, fusi ecc.), la de-finizione dello “schema corporeo” in termini di “pe-so” diventa difficile.

� Enfatizzazione delle afferenze esterocettive. Per l’aumen-tata stimolazione dei recettori cutanei (per lo più ter-minazioni nervose libere), lo “schema corporeo” è de-finito in termini volumetrici (relativi quindi alla “forma”).

� Altre sensibilità, come quella uditiva e visiva che do-minano il controllo della “navigazione” sulla terrafer-ma, sono soggette a “mismatch”.

Valutazione

1. Osservazione del paziente nel contesto terapeutico(l’acqua).

2. Definizione degli obiettivi a breve termine e delle prio-rità.

3. Articolazione del piano di lavoro: individuazione de-gli esercizi significativi.

4. Bilancio finale e sintesi del lavoro fisioterapico svolto.

1° tempo Osservazione e descrizione degli effetti dellalesione così come si manifestano nel contesto specifico.Ciò garantisce:� comparabilità dei risultati tra acqua e terraferma;� protezione contro l’abbaglio degli effetti “contesto-di-

pendenti” dell’acqua: essi possono talvolta essere sfrut-tati, ma non devono essere scambiati per effetti tera-peutici.

2° tempo Valutazione empirica degli effetti che sequen-ze di stimoli/esercizi possono avere sulle capacità del pa-ziente di produrre comportamenti adattivi (apprendi-mento?).

Si possono usare:� esercizi “metacentrici” (relativi alla forma del corpo);� esercizi “inerziali” (relativi alla “facilitazione” dei mo-

vimenti);� esercizi con la “turbolenza” (come prove di equilibrio);� esercizi con i “vincoli” (fa irruzione la logica della ter-

raferma-metacognizione?);� esercizi con la modificazione della densità o di Ar-

chimede (utilizzo del respiro o applicazione di pesio di galleggianti).

Tappe della valutazione

1. Osservazione relativa all’adattamento spontaneo glo-bale in posture diverse, con grado crescente di diffi-coltà.

2. Osservazione relativa alla capacità di mantenere ocambiare posture diverse in condizione di perturba-zione.

3. Osservazione relativa alle strategie utilizzate per re-cuperare l’equilibrio.

ADATTAMENTO Si valuta la capacità di adattamento spon-taneo della persona immersa in acqua secondo un gra-diente dal facile al difficile relativo ai seguenti elementi.

Asse intorno al quale la rotazione è più difficile a cau-sa della patologia Ad esempio, nell’emiplegico l’asse pro-blematico è quello longitudinale di simmetria, ciò signi-

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fica che il paziente avrà più difficoltà nel controllo del rol-lio (rotazione orizzontale), piuttosto che in quello del bec-cheggio (rotazione verticale): l’emiplegico sotto questoaspetto avrà maggiore facilità a mantenere la stazione eret-ta che non quella in galleggiamento dorsale. Tuttavia perstare in piedi dovrà ottenere una certa simmetria di for-ma, cosa possibile poiché il compenso asimmetrico del-la terraferma dovuto alla necessità di scaricare l’arto ple-gico dal peso in acqua non è più necessario.

Effetto della disabilità sulla rotazione

1. Squilibrio intorno all’asse mediano di simmetria (longitudinale)esempio: emiplegiamovimento critico: rotazione orizzontale

2. Squilibrio intorno all’asse trasversale che passa per le ancheesempio: paraplegiamovimento critico: rotazione verticale

3. Squilibrio combinato attorno ai due assi (asse diagonale)esempio: tetraplegia asimmetricamovimento critico: rotazione combinata

Nel paraplegico, al contrario, il problema maggioreè legato alla rotazione verticale, quella cioè intorno al-l’asse trasversale. In molti casi (soprattutto se le gambehanno una buona galleggiabilità) preferirà il galleggia-mento dorsale che non la postura verticale, che pure inacqua con livello alto è ottenibile.

Caratteristiche del tono muscolare in rapporto ai mec-canismi più efficaci per mantenere l’equilibrio Lo spa-stico o il rigido, ad esempio, avranno più facilità a uti-lizzare meccanismi metacentrici, piccoli spostamenti disegmenti per estrarli dall’acqua generando così una ro-tazione, che non meccanismi inerziali, che comporta-no allungamenti di raggi intorno all’asse di rotazione cherisulterebbero impossibili. Il contrario avviene nel dia-tonico o atetosico dove la mancata fissazione prossima-le consente ampi movimenti dei segmenti artuali, ma nonil mantenimento per un tempo sufficiente ad avviare larotazione di segmenti in una specifica configurazione.

Peso specifico, cioè modificazioni della densità di tuttoil corpo o di suoi segmenti Ad esempio la sostituzioneadiposa di fibre muscolari negli arti inferiori può rende-

re problematico per “eccesso di galleggiabilità” il control-lo della rotazione verticale in alcune malattie neuromu-scolari o nel bambino con mielomeningocele. E ancorala disponibilità di un’escursione respiratoria normale con-sente a tratti di lavorare in apnea inspiratoria con una di-minuzione di densità e quindi una maggior galleggiabi-lità del tronco e quindi del capo che a esso è vincolato.

Raccorciamento muscolare e limitazioni articolari in al-cuni distretti che determinano posture coatte Ad esem-pio, la retrazione dei flessori dell’anca e del ginocchio, fre-quente nelle condizioni di ipertono rigido, può condizio-nare la postura in acqua e l’utilizzo di meccanismi di con-trollo della rotazione verticale a partenza cervicale.

Effetto paradosso dei vincoli Ad esempio, in presenzadi grave deficit di reclutamento o di movimenti invo-lontari, in cui l’effetto di sostegno di una tavoletta gal-leggiante o del bordo della vasca generano la rotazioneopposta a quella desiderata e quindi una drammatica in-stabilità della postura, connessa proprio con la ricercadell’appoggio piuttosto che dell’abbandono all’effetto disostegno dell’acqua.

EQUILIBRIO IN CONDIZIONI DI PERTURBAZIONE La per-turbazione è rappresentata da stimoli, autoimposti o im-posti dal terapista, che per comodità e per analogia conla dimensione fisica a cui ci si riferisce vengono raggrup-pati nel modo seguente.

Densità (Archimede) Effetto delle modificazioni di den-sità determinate dalle caratteristiche del soggetto, dallasua malattia o dall’escursione respiratoria. Si può modi-ficare la densità di un distretto corporeo (e quindi la suagalleggiabilità) vincolando a esso un peso (ad esempio,una cavigliera piombata) o un galleggiante (ad esempio,un bracciolo gonfiabile) a vari gradi di riempimento.

Inerzia Divieto o consenso del terapista all’utilizzo del-la stabilizzazione di un asse (ad esempio, quello longitu-dinale di simmetria) con l’aumento dei raggi (ad esem-pio, l’abduzione delle braccia in galleggiamento dorsale),con la possibilità di aumentarne l’effetto con sussidi a su-perficie ampia (palette o tavolette vincolate alle mani).

Metacentro Modificazioni imposte dal terapista dellaconfigurazione corporea tali da generare una instabili-tà su un determinato asse di rotazione.

Turbolenza Instabilità imposta agitando l’acqua in un cer-to modo nelle immediate adiacenze di determinati distret-ti corporei del soggetto immerso in acqua in modo da ge-nerare un campo di attrazione verso la turbolenza cui lapersona deve reagire con una modalità che provochi unarotazione uguale e contraria per mantenere la postura.

Vincoli L’utilizzo di mezzi di sostegno più o meno sta-bili offerti al soggetto in acqua che finiscono spesso per

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Page 13: CAPITOLO 56 Idrocinesiterapiacinesiterapia occupa un posto di crescente interesse. Il termine idrocinesiterapia designa l’esercizio tera-peutico in acqua. Si differenzia da altri

costituire una “trappola” in quanto, se utilizzati con lamodalità “massiva” caratteristica dell’ambiente antigra-vitario, provocano una rotazione inattesa in senso con-trario anziché una stabilizzazione della postura (neces-sità di modulare la spinta e di gestire finemente la quo-ta di afferenze propriocettive determinate dall’utilizzo delvincolo. Come detto, la progressione dipende dalla na-tura e dalla intensità del problema posturale e può uti-lizzare esercizi singoli o combinazioni di esercizi (la gam-ma è infinita) di diversa natura e intensità.

COMPENSI Le strategie utilizzate per conservare o recu-perare l’equilibrio dipendono dai vincoli contestuali, maanche dall’esperienza del paziente, dal suo grado di adat-tamento all’acqua, dal suo stile motorio.

Strategia inerziale È quella della persona in continuomovimento, quella che pensa di poter galleggiare solonuotando, quella continuamente affaccendata nel com-pito di controllare la postura, correggendo in un sensoe nell’altro la caduta e spesso con oscillazioni che pos-sono diventare incontrollabili.

Strategia vincolare È quella della persona che ricercacontinuamente un appoggio e che, quando questo nonè stabile, si comporta “inseguendo il baricentro”.

Strategia metacentrica È quella della persona piutto-sto immobile, che preferisce (o che è costretta a) picco-li e studiati movimenti mantenuti, per generare i pas-saggi posturali voluti o il controllo della postura da man-tenere. Il paziente può utilizzare il capo o piccole par-ti del corpo portate appena sopra la superficie dell’ac-qua e il compenso può passare misconosciuto all’ope-ratore che lo segue senza osservare analiticamente i suoimovimenti. È chiaro che la valutazione dei compensi edelle strategie in acqua non ha per l’operatore della ria-bilitazione la stessa spontaneità e naturalezza che carat-terizzano il suo “occhio clinico” fuori dall’acqua. È ne-cessario un lungo training per distinguere ciò che av-viene per raggiungere l’obiettivo (movimento “volonta-rio”) da ciò che avviene per mantenere o ripristinarel’equilibrio (compenso). Pur seguendo la stessa logicadella terraferma questi aspetti del movimento in acquasono molto diversi e vanno studiati e riconosciuti.

Nel box 56.1 viene presentata la scheda di valutazio-ne in acqua con le istruzioni per la sua compilazione.

Indicazioni e controindicazioni

Coerentemente con quanto espresso all’inizio del capi-tolo, le indicazioni sono molto più relative agli obietti-vi ritenuti raggiungibili nell’ambito del progetto e del pro-gramma riabilitativo che non alla patologia. Gli obiet-tivi a breve termine hanno molto più a che fare con ilprofilo fisiopatologico espresso in termini di spasticità,

co-contrazione, deficit di reclutamento muscolare e stiff-ness non neurale (Crenna, 1998) e con gli aspetti fun-zionali del paziente (passaggi posturali, cammino, pren-sione ecc.) che non con la patologia. La logica è quellache integra i tradizionali criteri di progettazione dell’eser-cizio terapeutico (ancora gravati da eccesso di variabi-lità nel mondo della riabilitazione) con le specifiche ca-ratteristiche del contesto acquatico.

Tuttavia, tradizionalmente tecniche idrocinesiterapichesono maggiormente praticate in alcune patologie. Comeevidenziato in letteratura, le patologie reumatologiche eortopediche fanno la parte del leone, soprattutto da quan-do alcuni stereotipi culturali relativi all’effetto negativo del-l’acqua nelle malattie reumatiche sono stati superati (Que-neau et al., 2001; Sukenik et al., 1999; Verhagen et al.,2003). Da quando poi sono disponibili efficaci medica-zioni impermeabili a tenuta anche nell’immediato post-chi-rurgico ortopedico, l’idrocinesiterapia è applicata. Nella sco-liosi sopravvivono ancora stereotipi culturali privi di fon-damento scientifico circa il beneficio del nuoto, mentre so-no di grande interesse gli aspetti concernenti la valutazio-ne e l’esercizio terapeutico (Negrini e Antonimi, 2001). L’ef-fetto miorilassante e decontratturante dell’esercizio in ac-qua è anch’esso molto utilizzato nel management del do-lore (Bender et al., 2005), soprattutto nel back pain (Ma-her, 2004), ma anche nella traumatologia sportiva (Prinse Cutner, 1999) e della colonna vertebrale (Konlian, 1999).

In ambito neurologico vi è spesso un’idea dell’idroci-nesiterapia come corollario della rieducazione motoria tra-dizionale, o come ultima risorsa, quasi che l’unico effet-to dell’acqua fosse una sorta di “facilitazione” rispetto almovimento svolto sulla terraferma. Come si è cercato dichiarire, così non è. Per questo è importante cercare diutilizzare le risorse terapeutiche per quello che possonodare e in stretta relazione agli obiettivi, mantenendo unavisione “panoramica” delle risorse a disposizione.

Esperienze importanti su specifiche patologie neurolo-giche sono state riferite; in particolare si è lavorato sull’emi-plegico (Tibaldi et al., 2001), sulla sclerosi multipla (Car-dini et al., 2001), sulle gravi cerebrolesioni acquisite, sul-le cerebropatie infantili (Boldrini et al., 2001; Driver et al.,2006), sulla para- e tetraplegia (Loria e Mautino, 2001).

Controindicazioni sono rappresentate da: lesioni cu-tanee (anche se nei casi in cui l’idrocinesiterapia sia giu-dicata fondamentale esistono medicazioni occluse e im-permeabili che possono essere agevolmente utilizzate);infezioni cutanee; diarrea (mentre l’alvo e la vescica neu-rologica sono normalmente gestibili con un’adeguata pro-grammazione degli svuotamenti e con l’uso di pantalon-cini di neoprene a tenuta); epilessia qualora vi siano cri-si frequenti e vi sia un’alta sensibilità alla stimolazioneluminosa intermittente; febbre; scompenso cardiaco, sel’acqua è troppo calda; malattie neuromuscolari, se l’ac-qua è troppo fredda (negli ultimi due casi citati è da con-siderare attentamente, com’è ovvio, il tempo di immer-sione). Studi sono stati fatti sulla gestione del rischio in-fettivo connesso con l’attività in vasca terapeutica (Cha-puis et al., 2004).

CAPITOLO 56IDROCINESITERAPIA

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Istruzioni per la compilazione della schedaNella colonna “Adattamento” è sufficiente mettere sì/noeventualmente con l’aggiunta di un + o un – per rinfor-zare o attenuare il giudizio espresso. In questa colonnadovrebbe essere espressa una valutazione delle posturee dei passaggi posturali che il paziente è in grado di ese-guire spontaneamente. “Spontaneamente” significa disua iniziativa o come aggiustamento spontaneo nell’at-to di eseguire una consegna diversa o in seguito a unsuggerimento blando e generico del terapista.Nella colonna “Equilibrio” si può esprimere una valuta-zione su quattro gradi:� + /– = incerto, capacità accennate di resistere alle per-

turbazioni� + = riesce solo con perturbazioni blande� + + = riesce con perturbazioni normali� + + + = riesce con perturbazioni anche intense

All’indicazione quantitativa dovrebbe essere associato ilriferimento al tipo di perturbazione:� A = Archimede� I = inerzia� M = metacentro� T = turbolenza� V = vincoli

Le perturbazioni relative all’inerzia vanno spesso fatterientrare nelle metacentriche (M).In questa colonna dovrebbe essere espressa una valuta-zione relativa alla capacità di mantenere una postura oeseguire un passaggio posturale in presenza di difficol-tà (perturbazioni) create dal terapista o autoimposte dalpaziente (su consegna del terapista).

Nella colonna “Compenso” bisogna segnare il tipo dicompenso prevalente:� M = metacentro� I = inerzia� V = vincoli

Eventuali compensi attribuibili alla turbolenza (T) vannospesso fatti rientrare nell’inerzia (I). All’indicazione qua-litativa dovrebbe essere associato il riferimento relativoalla dominanza della strategia prescelta:� + + + = propensione irriducibile� + + = forte dominanza� + = blanda dominanza

Nei casi in cui non si evidenziasse una preferenza spon-tanea o nei casi in cui la preferenza riguardasse più di uncompenso si possono associare due o tre lettere senzaindicazioni quantitative, ad esempio M/I/V o I/V ecc.Le righe in cui manca la descrizione della postura o delmovimento è a disposizione dell’operatore che voglia da-re suggerimenti su ulteriori voci per migliorare lo stru-mento.La pagina relativa ai commenti serve per descrivere, quan-do ve ne sia il tempo, alcuni aspetti di dettaglio del la-voro svolto. È importante segnalare gli esercizi che so-no sembrati più efficaci o che hanno costituito un “pun-to di svolta” nel trattamento.

Programma terapeutico in acquaCome si è cercato di evidenziare, la gamma degli eser-cizi è pressoché infinita. Bisogna cercare sempre di evi-denziare il rapporto di coerenza che esiste tra i singoliaspetti della valutazione e le sequenze di esercizi pro-posti o utilizzati.Il programma deve essere specifico e riferito agli obiet-tivi situati nell’arco temporale del ciclo di trattamento.Gli obiettivi a breve termine devono essere dichiarati everificati, e si riferiscono molto di più ad aspetti fisiopa-tologici e funzionali specifici che non a macrofunzioni eabilità generali. Il programma deve essere circolarmen-te rivisto e aggiustato in corso d’opera incorporando laretroazione generata dal lavoro svolto.

Valutazione dei risultati ottenutiLa valutazione dei risultati è gravata dalle note criticitàche costellano la riabilitazione: Quale misura di outcome?(Sensibilità-specificità). Quando il follow-up? Come iso-lare gli effetti della idrocinesiterapia da quelli di tutti glialtri trattamenti in corso? Come valutare gli effetti nellapatologia complessa o nella patologia evolutiva? Comemantenere una comparabilità dei risultati tra ambienteacquatico e terraferma? Quale letteratura è disponibileper un indirizzo terapeutico condiviso? Quale concordan-za con gli altri approcci eventualmente utilizzati?

BOX 56.1 Scheda per la valutazione in acqua

Valutazione in acqua

Postura Adattamento Equilibrio Compenso

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La seduta di trattamento

In pratica, il programma di trattamento in acqua seguele stesse logiche che improntano il programma di trat-tamento fuori dall’acqua, facendo i conti però con uncontesto che ha le particolari caratteristiche che si è cer-cato di tratteggiare e che consentono esercizi del tuttoparticolari.

In acqua è possibile mobilizzare molto precocemen-te le persone che abbiano avuto un evento acuto recen-te, sfruttando l’effetto di smorzamento che protegge daidanni di un troppo rapido raggiungimento del fine cor-sa articolare.

È possibile verticalizzare precocemente persone chenon abbiano o non abbiano ancora le risorse antigravi-tarie per il sostegno autonomo sulla terraferma.

È possibile mantenere una buona integrazione dello“schema corporeo” anche relativamente a distretti gra-vati da un notevole deficit di reclutamento muscolare.

È possibile allestire esercizi nei quali l’equilibrio siamantenuto principalmente con il contributo degli artisuperiori o del capo, che possono così essere facilmen-te attivati nel contesto della cosiddetta motilità involon-taria, mentre è possibile utilizzare i piedi e gli arti infe-riori a scopo esplorativo nell’ambito della cosiddetta mo-tilità volontaria.

È possibile evidenziare e correggere disturbi della po-stura grazie al feedback posturale caratteristico dell’ac-qua che evidenzia e penalizza le asimmetrie di formamolto di più di quanto non succeda fuori dall’acqua.

È possibile lavorare sulle contratture muscolari e sul-le loro conseguenze posturali sfruttando proprio la “ne-cessità” del rilassamento muscolare selettivo per il rag-giungimento e il mantenimento di alcune posture in ac-qua: anzi in acqua ci si può allenare al rilassamento conla stessa potente efficacia con cui fuori dall’acqua ci sipuò allenare a potenziare i muscoli, e in acqua è possi-bile ideare una strategia cognitva per il rilassamento se-lettivo e per la contrazione muscolare selettiva, che fuo-ri dall’acqua costituiscono in molte fasi del lavoro ria-bilitativo obiettivi troppo ambiziosi o troppo laboriosiper l’esercizio terapeutico.

È possibile allestire esercizi volti a integrare e ristrut-turare l’organizzazione spazio-temporale sia con eserci-zi di mismatch percettivo, sia con la modulazione del-l’input propriocettivo, sia con un adattamento alle par-ticolari condizioni acquatiche del cosiddetto “task-orien-ted approach”.

In acqua è particolarmente facile allestire esercizi “glo-bali” (che non vuol dire generici) dal punto di vista mo-torio e percettivo: ad esempio, un compito di raggiun-gimento associato a un compito di controllo posturale;infatti, la virtuale riduzione dell’effetto della gravità ri-duce il ricorso spontaneo alla co-contrazione e/o allosfruttamento del fine-corsa articolare per il controllo del-la postura, e mantiene l’attivazione delle risorse musco-lari selettivamente disponibili, anche quando il recluta-mento è scarso o scarsissimo.

L’ambiente acquatico, nelle condizioni normalmen-te date per l’esercizio terapeutico, è una risorsa menoefficace e meno potente di quello terrestre per il lavo-ro di potenziamento muscolare, tuttavia l’ambiente ac-quatico svolge una funzione altamente protettiva rispet-to ai rischi connessi con il carico precoce o con il rag-giungimento del fine-corsa articolare in alcuni eserci-zi segmentari (fenomeno dovuto allo smorzamento iner-ziale e all’effetto di Archimede), per questo è molto uti-lizzato in Centri specializzati, soprattutto all’estero, nel-l’immediato post-chirurgico ortopedico (ginocchio, an-ca e soprattutto spalla), anche perché ormai esistonomedicazioni impermeabilizzate che garantiscono la pro-tezione della ferita chirurgica durante l’immersione inacqua.

Il lavoro sull’anca si giova grandemente dell’“apertu-ra” della catena cinetica degli arti inferiori che in quel-l’ambiente è facilmente realizzabile, mentre il lavoro sul-la spalla si giova della sua parziale e dosabilissima “chiu-sura” ottenibile in varie configurazioni posturali attra-verso l’uso di galleggianti di varia potenza e variamen-te dislocabili.

L’acqua è un contesto in cui si cammina utilizzandoil capo e gli arti superiori molto più che gli arti inferio-ri e i piedi, quindi l’arto superiore (spesso trascurato alungo nell’emiplegico in fase postacuta) è precocemen-te reclutato per il controllo del movimento e dell’equi-librio; è importante però qui ricordare che l’apprendi-mento o il riapprendimento di gesti o di sequenze mo-torie non sono ottenibili se si utilizza l’acqua come me-ro strumento di “facilitazione”: infatti, le sequenze di at-tivazione muscolare e di controllo posturale per com-piere lo stesso gesto in acqua e fuori dall’acqua posso-no essere molto diverse.

In vasca terapeutica è possibile anche a un operato-re singolo trattare pazienti gravi (ad esempio, gravi ce-rebrolesioni acquisite) con esercizi globali che metta-no in gioco tutto il corpo, per realizzare i quali, fuoridall’acqua, sono di norma necessari più operatori. Intema di gravi cerebrolesioni, ma anche di riabilitazio-ne in età evolutiva, è importante sottolineare il vantag-gio che un contesto “regressivo” (nell’accezione espo-sta altrove in questo capitolo) e relativamente “deme-dicalizzato” può offrire.

Aspetti strutturali e organizzativi

Questo aspetto tecnico è di rilevante importanza e con-diziona effettivamente l’accessibilità degli ambienti e laloro utilizzabilità per l’attività idrocinesiterapica. Poichéè un argomento vasto, ci si limiterà a indicare gli aspet-ti salienti per punti di interesse.

È importante la dislocazione dell’impianto in pros-simità o all’interno del Centro di riabilitazione per ov-vi motivi legati ai trasporti e alla disponibilità degli ope-ratori.

CAPITOLO 56IDROCINESITERAPIA

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È importante che gli operatori che si occupano di idro-cinesiterapia non facciano soltanto quello, ma manten-gano aggiornamento e competenze in tutte le tecnichedi riabilitazione pertinenti alla loro professionalità (la pro-lungata permanenza in piscina è mal sopportata e puòessere fisicamente dannosa).

È importante che l’impianto sia ben gestito per quan-to riguarda non solo la temperatura dell’acqua (che perun’attività di ICT ad ampio spettro dovrebbe aggirarsiattorno ai 30 °C), ma anche e soprattutto la temperatu-ra e il tasso di umidità dell’ambiente sia sul piano va-sca che nelle docce e negli spogliatoi.

È importante che non vi siano barriere architettoni-che e che vi siano ambienti adatti ai disabili gravi nelcomparto servizi.

È importante che vi sia personale di assistenza pre-parato e competente che ottimizzi il lavoro degli ope-ratori che lavorano in acqua.

È importante che vi siano sistemi di accesso all’ac-qua che permettano di entrare in vasca anche ai pazien-ti più gravi in totale sicurezza.

È importante che il rapporto operatore/paziente sia ade-guato al grado di autonomia e alla gravità del paziente.

È importante raccogliere dati e informazioni clinicheanche dall’ambiente idrocinesiterapico per cui devonoessere studiate e utilizzare idonee scale di valutazione eprotocolli clinici.

La maggioranza degli impianti esistenti può, con po-chi adattamenti, essere utilizzata anche per l’attività diriabilitazione in acqua con la maggior parte dell’utenzadisabile; ciò che più manca, infatti, non sono gli impian-ti ma è la cultura che ne consenta il pieno utilizzo an-che in favore delle fasce più deboli cui spesso i disabi-li appartengono.

Nelle fortunate circostanze in cui ci siano risorse perallestire ambienti dedicati alla idrocinesiterapia, è utileche l’impianto sia progettato da professionisti con spe-cifica esperienza nel settore, seguendo il principio par-ticolarmente valido nel caso delle piscine che tutto ciòche si spende prima si risparmia dopo, e viceversa.

Un ambiente standard che consente un utilizzo ad am-pio spettro potrebbe essere costituito da una vasca di 6per 12 m, con altezza dell’acqua tra 80 e 120 cm, bor-di a sfioro nel lato corto con acqua bassa, bordo rileva-to da 50 cm da un lato lungo in corrispondenza del li-vello d’acqua più alto (per il passaggio autonomo car-rozzina-bordo-acqua), ampia parete vetrata nell’altro la-to lungo con fossa esterna, per l’osservazione e la video-ripresa subacquea del movimento, impianto di solleva-mento elettrico per l’ingresso in acqua, meglio se conrotaia sul soffitto, che consenta anche il cammino “so-speso” sia in acqua con livelli d’acqua crescenti/decre-scenti in rapporto al verso del movimento, che fuori.

Il problema dei costi, però, è rilevante e alcuni pro-blemi strutturali possono essere insormontabili.

Esistono ottime vasche anche fuori terra o semi-in-terrate, i bordi ovviamente non possono essere a sfio-ro, ma il ricambio dell’acqua viene efficacemente effet-

tuato anche per mezzo di “skimmer”, opportunamenteprogettati per non produrre correnti parassite che distur-bano l’attività terapeutica, mentre adeguati dispositivipossono facilitare l’accesso all’acqua anche se i bordi so-no rilevati.

In generale i dispositivi per il ricambio rapido del-l’acqua sono molto dispendiosi e si applicano bene so-lo a vasche piuttosto piccole, e secondo me il vantag-gio di una vasca ampia con diversi livelli d’acqua è mol-to più prezioso del ricambio rapido dell’acqua, ancheperché il rischio di contaminazione dell’acqua è facil-mente prevenuto da una seria organizzazione del lavo-ro e da dispositivi assai meno costosi dello svuotamen-to e riscaldamento rapido.

Esistono fondi mobili che consentono di regolare illivello dell’acqua anche in vasche piccole, ma il loro co-sto è elevato.

In epoca recente si è affermata una certa tendenza,importata dagli USA, a utilizzare dispositivi tipici dellafitness in ambiente idrocinesiterapico (ad esempio, cy-clette e treadmill immersi in acqua): si deve guardarecon prudenza alla loro introduzione nella pratica riabi-litativa per il sospetto ineludibile che rispondano più auna spinta commerciale che a esigenze terapeutiche eanche perché, in presenza di una tendenza a collocarel’idrocinesiterapia nell’ambito delle prestazioni esclusedai LEA (Livelli Essenziali e uniformi di Assistenza) equindi dalla possibilità di essere finanziate dal SSN (Ser-vizio Sanitario Nazionale), è doveroso uniformarsi alprincipio di non fare in acqua (dove tutto è più costo-so) ciò che si potrebbe fare meglio fuori dall’acqua.

Conclusioni

Si è volutamente evitato di fornire una lista di eserciziper ogni condizione patologica passibile di trattamen-to in acqua. L’allestimento dell’esercizio terapeutico è pre-rogativa dell’operatore della riabilitazione e nasce dallasua formazione e dalla sua esperienza, nonché dal con-fronto con i colleghi e dalla frequentazione della lette-ratura pertinente, nella cornice del Progetto Riabilitati-vo Individuale e dei Programmi Riabilitativi.

Si è invece tentato di fornire qualche elemento peruna comprensione delle potenzialità dell’acqua comecontesto dell’esercizio terapeutico e si sono forniti alcu-ni esempi di come è possibile declinare nel linguaggiodell’acqua il ragionamento che è alla base della formu-lazione del progetto e del programma.

Permane una eccessiva variabilità nel comportamentodegli operatori della riabilitazione, molto evidente anchenell’approccio idrocinesiterapico, a fronte dello stesso pro-blema. Per ciò che riguarda l’acqua, questo è dovuto inparte alla scarsa diffusione di approfondite conoscenze re-lative alle potenzialità del contesto acqua, in parte a unproblema più generale della riabilitazione italiana che an-cora fatica a uniformarsi a una prassi evidence-based o

VOLUME II TECNICHE

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quanto meno ad acquisire un modello di comportamen-to più rigoroso dal punto di vista metodologico.

Come si può ben comprendere, l’evoluzione della me-todica è tutta interna all’evoluzione della disciplina ria-bilitativa che la contiene, e la sua diffusione è legata dauna parte all’introduzione dell’idrocinesiterapia nei pro-grammi formativi dei fisiatri e dei fisioterapisti, dall’al-tra alla coerenza e alla serietà con cui viene esercitata.

Percorsi terapeutici

Il percorso terapeutico in ambito idrocinesiterapico nonsi discosta da quello che contraddistingue l’esercizio inpalestra: è coerente con gli aspetti del progetto e del pro-gramma riabilitativo e si valuta con misure di outcomespecifiche, relative alla fase di trattamento.

Tuttavia, poiché l’idrocinesiterapia deve essere svol-ta in piscina, alcuni aspetti di struttura influenzano for-temente l’organizzazione del trattamento. Si ritiene im-

portante che i terapisti che lavorano in acqua manten-gano un saldo rapporto con il lavoro di palestra e che iprogrammi che comprendono l’idrocinesiterapia sianoampiamente integrati.

Talvolta, però, a causa della dislocazione degli impian-ti o dell’organizzazione del lavoro tale integrazione nonè possibile o lo è in piccola misura. In questo caso è im-portante attivare incontri di team che consentano la co-municazione fra gli operatori che sequenzialmente si oc-cupano di ogni singolo paziente.

Sono disponibili da alcuni anni linee guida per l’idro-cinesiterapia prodotte dalla APTA (American Physical The-rapy Association) reperibili sul sito internet dell’associa-zione. Tali linee guida ricalcano in larga misura l’impian-to generale sopra esposto e confortano coloro che con-siderano l’esercizio in acqua una risorsa riabilitativa digrande importanza, che dovrebbe essere pienamente in-corporata dalla moderna riabilitazione.

La procedura di cui si raccomanda il rispetto è pre-sentata, solo per la parte relativa alla cura del paziente,nel box 56.2.

CAPITOLO 56IDROCINESITERAPIA

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Finalità e risorse necessarie� Cura del paziente� Gestione quotidiana della vasca� Capacità gestionali e amministrative: pianificare e or-

ganizzare un programma di fisioterapia in ambienteacquatico (idrocinesiterapia)

� Capacità gestionali: dirigere un programma di idroci-nesiterapia

� Valutazione dei programmi� Formazione� Ricerca� Promozione, addestramento e marketing

Cura del paziente

Valutazione in funzione del trattamento� A secco: riesaminare il paziente già valutato in sede

di valutazione funzionale con l’occhio rivolto alle spe-cificità dell’ambiente acquatico, considerando l’impat-to delle precauzioni e delle eventuali controindicazio-ni, in maniera tale che il fisioterapista possa operarele modifiche necessarie al piano di trattamento (in fun-zione degli obiettivi) per permettere un lavoro in ac-qua sicuro ed efficace oppure comunicare al prescrit-tore le proprie diverse considerazioni.

� In acqua: declinare secondo le caratteristiche specifi-che dell’ambiente acquatico il quadro funzionale evi-denziato a secco e formulare o confermare gli obiet-tivi specifici del trattamento in acqua.

Definizione di un piano di trattamento integrato acqua/terraDefinire nell’ambito del piano integrato di trattamento qua-li priorità specifiche spettino alla componente idrocinesi-terapica e quali alle altre tipologie di trattamento, comu-nicando in proposito con gli altri operatori del team.

Esecuzione della componente acquatica del piano di trattamento� Definire in modo logico la sequenza di esercizi da pro-

porre al paziente seduta per seduta, scegliendo an-che gli eventuali opportuni sussidi.

� Compilare di volta in volta la scheda di valutazione inacqua.

Valutazione dei risultati ottenuti e restituzione al team� Alla fine del trattamento descrivere i risultati ottenu-

ti utilizzando le misure di outcome previste e trasmet-terli al team.

� Segnalare gli esercizi ritenuti significativi.� Fornire indicazioni per il futuro da inserire nel docu-

mento di dimissione rivolte al paziente e/o ai fami-liari e/o agli operatori della successiva fase di tratta-mento.

Il team incorporerà il contributo della componente idro-cinesiterapica, dandogli il livello di priorità che emergedal risultato complessivo dell’attività svolta.

BOX 56.2 Progettazione dell’attività

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VOLUME II TECNICHE

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1. È necessario uniformare i linguaggi e assumere una posizione evidence-based per rendereconfrontabili le esperienze di coloro che si occupano di idrocinesiterapia.

2. È necessario produrre sull’idrocinesiterapia lavori scientifici metodologicamente accettabi-li per dimostrare l’efficacia dell’idrocinesiterapia.

3. Le caratteristiche fisiche dell’acqua, e particolarmente quelle connesse con la densità, lapressione, la resistenza, l’inerzia, la turbolenza, caratterizzano il contesto in cui viene alle-stito l’esercizio terapeutico.

4. Il corpo umano immerso in acqua interagisce con l’ambiente secondo modalità che dipen-dono dall’uno e dall’altro. Il metacentro e il vincolo e le caratteristiche del galleggiamentodefiniscono le condizioni dell’equilibrio in acqua.

5. L’esperienza dell’acqua è filogeneticamente e ontogeneticamente presente nell’evoluzionee nello sviluppo dell’uomo e lascia dei segni cui è possibile riferirsi.

6. La persona disabile, da qualunque causa, può trovare nell’idrocinesiterapia uno strumen-to importante per la sua rieducazione funzionale.

7. L’efficacia dell’idrocinesiterapia è legata al suo corretto inserimento nel progetto riabilita-tivo individuale e nel programma riabilitativo.

8. La progettazione dell’esercizio è connessa con le caratteristiche funzionali e con il profilofisiopatologico della persona disabile molto più che con la sua patologia e segue la logicache sostiene la progettazione dell’esercizio anche fuori dall’acqua.

9. Il punto di partenza del lavoro in acqua è la valutazione in funzione del trattamento, cioèla “traduzione” nel linguaggio dell’acqua dell’analisi del movimento e degli obiettivi a bre-ve termine formulati nella valutazione riabilitativa iniziale.

10. Gli impianti per l’idrocinesiterapia devono avere alcune caratteristiche importanti; tuttaviaè particolarmente importante, per quanto riguarda le piscine, osservare un criterio rigoro-samente “cost-effectiveness”.

Key

poin

ts

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CAPITOLO 56IDROCINESITERAPIA

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Page 20: CAPITOLO 56 Idrocinesiterapiacinesiterapia occupa un posto di crescente interesse. Il termine idrocinesiterapia designa l’esercizio tera-peutico in acqua. Si differenzia da altri

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Le immagini del paragrafo “Caratteristiche fisiche dell’acqua uti-lizzate nell’esercizio terapeutico” sono tratte da materiale non pub-blicato di M. Calisti, modificate.

VOLUME II TECNICHE

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