Capitolo 23

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1 H arry non riusciva a dormire: leggeva e ri- leggeva il messaggio scritto su una per- gamena, arrivata dopo cena con un bar- bagianni alquanto spennacchiato, indeciso sul da farsi. Dopo la sfuriata che aveva fatto loro quella mattina, la signora Weasley li aveva tenuti costantemente impegnati con i preparativi del pranzo. Il resto della giornata era stato orrendo. Nessuno aveva voluto scartare i regali e la vista di quello destinato a Ron era bastata a far scoppiare a piangere Molly. L’atmosfera era diventata CAPITOLO 23 TROVA TU IL TITOLO AL 23° CAPITOLO! Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà usato per la pubblicazione ufficiale! CAPITOLO 23 TROVA TU IL TITOLO AL 23° CAPITOLO! Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà usato per la pubblicazione ufficiale! CAPITOLO 23 TROVA TU IL TITOLO AL 23° CAPITOLO! Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà usato per la pubblicazione ufficiale!

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Il 23° capitolo di Harry Potter 8

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Harry non riusciva a dormire: leggeva e ri-leggeva il messaggio scritto su una per-gamena, arrivata dopo cena con un bar-

bagianni alquanto spennacchiato, indeciso sul da farsi.

Dopo la sfuriata che aveva fatto loro quella mattina, la signora Weasley li aveva tenuti costantemente impegnati con i preparativi del pranzo. Il resto della giornata era stato orrendo. Nessuno aveva voluto scartare i regali e la vista di quello destinato a Ron era bastata a far scoppiare a piangere Molly. L’atmosfera era diventata

CAPITOLO 23

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soffocante e quindi l’arrivo del messaggio di Hyde, in tarda serata, era risultato un provvidenziale diversivo.

Con George avevano predisposto un piano per il giorno seguente, ma il tono dell’americano lo aveva ormai convinto a sgattaiolare via prima del tempo, di nascosto. Aveva solo un dubbio: era giusto partire senza salutare né Ginny né Hermione?

Non riuscendo a prendere una decisione, infilò la pergamena nella tasca dei jeans che erano vicino al letto e provò a trovare una posizione più comoda per dormire.

Niente; si rigirò più volte fra le coperte cercando di distrarsi, ma il letto vuoto di Ron accanto al suo lo tormentava.

Continuava a pensare a lui, si chiedeva dove fosse in quel momento, cercando di immaginarsi come stesse, temendo che fosse morto. Buttò via le coperte e si mise seduto a scrutare nel buio della stanza.

Avrebbe preferito dormire da un’altra parte ma la Tana era come sempre al completo e quello continuava ad essere il suo posto. Non avrebbe

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mai preteso che uno dei Weasley o Hermione dormissero lì, ma perché capitavano sempre tutte a lui?

Si coprì il volto con le mani, mentre sentiva le prime lacrime che scendevano calde lungo le guance.

Doveva piangere, doveva farlo, si era trattenuto per tutto quel tempo, cercando di restare sempre impassibile.

Dopo parecchi minuti asciugò le lacrime con le maniche del pigiama e si mise gli occhiali, deciso a non indugiare oltre: sfogarsi gli aveva fatto bene.

Trovò a tentoni una candela poggiata sul comodino e l’accese, per potersi vestire più comodamente.

Snitch, che dormiva beatamente, si voltò di scatto: era stata disturbata dalla luce.

Harry la guardò teneramente e si chiese se fosse il caso di lasciare a casa anche lei.

Si vestì cercando di fare meno rumore possibile ma quando il suo sguardo tornò sul comodino la puffola lo fissava così intensamente che decise di sistemarla nella tasca della felpa che indossava.

Tutto ciò che poteva servirgli per la partenza era stato preparato già da tempo: si mise a tracolla la borsetta di perline di Hermione, Trasfigurata

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in un borsello nero molto meno appariscente, agganciò il Mokessino di Hagrid alla cintura e ripose la bacchetta in tasca.

Uscì nell’anticamera e sperò che la luce fioca non filtrasse da sotto gli stipiti delle porte e svegliasse gli altri.

Scese lentamente le scale e arrivò nel salotto. Provò ad aprire un po’ le tende: il cielo non aveva ancora cominciato a schiarire all’orizzonte.

Si spostò in cucina dove prese posto al tavolo. La stanza era vuota, silenziosa, quasi spettrale; fissò pensieroso fuori dalla finestra, anche se in realtà era in grado di scorgere solo il proprio riflesso sul vetro. Poggiò la candela, estrasse dalla tasca il messaggio di Hyde e lo rilesse ancora una volta.

Cambio di programma. Dobbiamo partire subi-to. Aspetto un tuo segnale in qualsiasi momento, mi devi dire solo dove e quando possiamo incontrarci. Ti concedo sino a domani sera, poi vengo io da te. Non perdere tempo a salutare la famiglia del tuo amico. Lui ci aspetta.

Bryan

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Harry, anche se irritato dal tono che l’americano usava nel messaggio, non poté fare a meno d’ammirare la schiettezza del suo modo di comunicare.

Solo, non si spiegava tutta questa fretta da parte sua, anzi, sarebbe stato logico il contrario: Ron non gli stava certo simpatico.

Improvvisamente l’immagine del suo migliore amico che veniva portato via si fece strada nella sua mente, così si decise: sapeva cosa doveva fare e sapeva di doverlo fare da solo.

«Expecto Patronum» sussurrò. Il cervo argenteo galoppò fuori dalla sua bacchetta e si fermò davanti a lui, in attesa. Harry si avvicinò all’orecchio dell’animale: «Devi andare da Bryan Hyde» disse «e dirgli di venire alla Tana, immediatamente!»

Il cervo scrollò la testa, poi prese a brillare di luce più vivida e Harry si tirò indietro, mentre l’animale s’impennava sulle zampe posteriori, balzava agile verso la finestra e spariva.

Doveva solo aspettare, sperando che la risposta arrivasse prima che si alzasse Molly.

Rimase un paio di minuti ad osservare le ombre tremolanti che la fiamma della candela disegnava sul tavolo quando una luce argentea lo distrasse dai suoi pensieri abbagliandolo per qualche

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istante. Possibile che fosse già la risposta di Hyde? Quando riuscì finalmente a mettere a fuoco, notò una lince vicino alla porta.

Harry guardò perplesso il Patronus e questi gli restituì lo sguardo, poi aprì la bocca e con una voce profonda e conosciuta disse: «Ti sto aspettando fuori, Harry».

S’alzò dalla sedia e, non troppo stupito per quello che aveva appena visto, si mise il mantello da viaggio dirigendosi verso la porta. Con un colpo di bacchetta aprì la serratura e uscì nell’aria gelida del mattino.

Avrebbe dovuto aspettarselo: Kingsley Shacklebolt stava appoggiato alla staccionata indossando una spessa pelliccia. Lo raggiunse con passo lento, senza fretta.

Kingsley lo squadrò da capo a piedi e, quando si fermò di fronte a lui, scosse la testa. «Buongiorno Harry. Sei stato veloce a uscire, per caso ti aspettavi la mia visita?» cominciò.

«A dir la verità, non proprio... Come mai così presto, Ministro?» domandò il ragazzo, battendo i denti.

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«Ho saputo la decisione che hai preso in merito agli studi» rispose Kingsley, battendo i guanti tra loro per scaldarsi. «Vorrei convincerti a riflettere meglio sulla tua scelta. Torna a scuola, Harry».

«E come potrei farlo? Ho già lasciato Hogwarts».

«Non fare lo sciocco, Harry, sono qui per parlare della questione con te» disse Kingsley avvicinandosi al ragazzo.

«Sono maggiorenne, giusto? Quindi posso prendere le mie decisioni come e quando voglio... so che lasciare gli studi vuol dire che non diventerò più un Auror, ma non me ne importa un accidente e lei non può impedirmelo» disse Harry fissandolo caparbiamente.

«Questo è vero, la decisione per quanto riguarda i tuoi studi e il tuo futuro è tua e solamente tua» ribatté Kingsley, cercando di mantenere la conversazione su un tono pacato. «Se tu fossi un mago qualunque lo sarebbe anche per la tua vita, ma...»

«Lo sono!» esclamò Harry, frustrato. «Perché non dovrei esserlo? Perché ho sconfitto Voldemort? Per una stupida profezia che si è già compiuta? Ho finito di essere quello che sono nato per essere, Kingsley! Ora sono soltanto un mago qualunque».

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«Pensi davvero che potrai mai esserlo?» ringhiò l’ex Auror. Harry lo guardò stupito: mai l’aveva visto perdere la calma così.

«Io non voglio essere un idolo per la comunità magica...» riprese Harry nervosamente.

«Caramell forse l’ha pensato, a suo tempo, ma Scrimgeour, come me, avrebbe capito l’importanza che ricopri tra i maghi, anche dopo la caduta di Voldemort. Non puoi morire per...».

«Per non mettere in imbarazzo il Ministero?» lo interruppe Harry col sangue che gli pulsava nelle tempie. Questa storia doveva finire una volta per tutte, non ne poteva più di essere considerato speciale.

«NO, DANNAZIONE!» tuonò il Ministro battendo i pugni sulla staccionata, facendo cadere la neve in bilico sulle assi. Harry fece un balzo indietro e inconsciamente la mano gli corse verso la tasca dove teneva la bacchetta.

«E’ davvero quello che pensi? Davvero credi che l’unico motivo per cui tento di tenerti al sicuro, rischiando la vita di molti uomini, sia per non mettere in imbarazzo il mio governo e così mantenere i consensi?» latrò Kingsley, afferrando

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la staccionata come se volesse romperla. La rabbia ribolliva in lui in una maniera allarmante. Harry non tolse la mano dalla bacchetta.

«Pensi davvero che la gente mi veda come una guida e veda te come un mito?» continuò imperterrito il Ministro. «Tu per loro sei ben più del Bambino-Che-è-Sopravvissuto, del Prescelto. La comunità magica ti è grata per quello che hai fatto e sono tutti dalla tua parte, compreso il Ministero intero! Perciò adesso sarebbe giusto e naturale che tu ricoprissi certi ruoli. Sei stato scelto per...»

«E chi mi ha scelto? Io non voglio... non so nemmeno io che farò nella mia vita; come possono averlo deciso altri per me?» urlò Harry, capendo dove volesse arrivare l’uomo.

«Forse sono proprio quelle persone che non vogliono, ad essere le più capaci!» sbottò Kingsley, mollando finalmente la staccionata e lasciando cadere le braccia. «Io non ho mai voluto fare il Ministro...»

«E lo stai facendo egregiamente...» intervenne Harry. «... non potrei mai essere migliore di te».

«Di certo non senza un’ istruzione adeguata!» disse il Ministro, abbassando finalmente la voce ad un volume normale.

«Non mi interessa... Ron...»

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«Ron è stato rapito, è vero, ma credi davvero di poterlo salvare da solo?» chiese Kingsley, incupendosi all’improvviso. «Puoi partire all’avventura. Puoi cercare, puoi trovare, puoi avere fortuna, ma non è sicuro... non siamo sicuri che tu sia destinato al successo!».

«Chi non prova...»«Con il rischio di morire? Di portare alla morte

i tuoi amici?»«Io partirei anche da solo, se solo ci riuscissi…»«Testardo d’un ragazzo! Contro Voldemort,

anche se non ne eravamo completamente consapevoli, eri destinato a vincere, a porre fine al suo potere, al suo stato di terrore in questa parte del mondo. Silente lo sapeva e ci ha sempre rassicurati, anche se noi non avevamo altro che la sua parola. Ora è diverso! Questi sono maghi oscuri di cui non conosciamo nulla e nessuna profezia riguarda te o il fatto che possano essere sconfitti...»

«Ce la farò... ce la devo fare!»«Ce la possiamo fare! Tutti uniti, insieme!»

esclamò Kingsley.«La burocrazia, il Ministero... il vostro modo

di affrontare i problemi è lento e incomprensibile,

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e Il tempo è l’unica cosa che mi manca in questo momento!» sbottò Harry, rabbrividendo ad una nuova folata d’aria gelida.

Il Ministro rimase a guardarlo per un attimo, come combattuto per qualcosa, poi distolse lo sguardo posandolo sulla distesa di neve alle sue spalle e poi sulla Tana. Infine sembrò raccogliere un po’ di coraggio e sospirò.

«Tu hai potere Harry. Un grande potere».«Pensavo fossimo d’accordo che non sono più

il Prescelto...»«Non quel genere di potere» l’interruppe

l’uomo. «Sei portato per la guida. La comunità magica ti vede per quello che sei. Nessuno ti sta chiedendo di diventare Ministro della Magia, ma sappi che il Ministro, qui davanti a te, sta parlando in tutta onestà e franchezza: il Ministero stesso ha paura e stima di te!»

«Paura?» si stupì Harry, non credendo alle proprie orecchie.

«Credi che la mia parola valga più della tua? Credi veramente che se Harry Potter facesse sapere alla Comunità Magica che il Ministero sta attuando una politica sbagliata...»

«Ma per favore...»

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«Dubito che la tua più grande aspirazione sia rilasciare interviste per mettere in imbarazzo il Ministero» sorrise Kingsley e Harry lo imitò. «Tuttavia non puoi fare a meno di ammettere che questo è potere! Vuoi andare a caccia di quegli Stregoni? L’intero Ufficio Auror e il Dipartimento Catastrofi Magiche ti seguirebbero ovunque anche senza ricevere un ordine ufficiale e molti lo farebbero lo stesso, pur avendo ricevuto un ordine negativo!»

«Questo potrebbe tornarmi utile» sogghignò Harry.

Kingsley sorrise. La tensione si allentò ed il Ministro si mise a fissare il paesaggio attorno per qualche istante, poi riportò lo sguardò sul ragazzo, quasi malinconico.

«Torna a scuola Harry, ti prego».Il giovane sospirò.«Ci sarà sempre tempo per la scuola, Ministro».«Ok, Harry. Fai quello che credi giusto. Non

aspettarti, però, che noi due abbiamo finito; ho modi per seguirti che neanche immagini e mi dispiace usarli proprio con te» ammise lui amaramente.

«Correrò questo rischio» ribattè il ragazzo, testardo.

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Un sonoro CRAC interruppe la loro conversazione. Bryan Hyde apparve a pochi metri dal punto in cui si trovavano, e cominciò a camminare spavaldo finchè non notò il Ministro. Harry maledisse il suo tempismo e guardò di sottecchi Kingsley, il quale aveva assunto un’espressione curiosa. Sembrava un padre che scopre il figlio a ficcare le dita nel vasetto della marmellata per l’ennesima volta.

«É un piacere vederla... Ministro. Qual buon vento la porta qui?»

Era davvero sfacciato. Harry cercò di non ridere.

«Potrei farti la stessa domanda, Bryan, ma temo che non mi risponderesti con sincerità».

«Chi lo dice? La verità è che volevo fare di persona gli auguri di Natale ad Harry. In fondo è il mio Capitano».

«Mah!» sbuffò Kingsley. «Se lo dici tu...»Il ragazzo fece spallucce e non rispose; Harry

non si diede pena di indagare oltre, anche se tutta la conversazione gli era parsa davvero troppo strana e confidenziale, e non era la prima volta che lo notava, perciò distolse lo sguardo.

Kingsley sospirò.

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«Harry, se questo è quello che vuoi davvero, non ho altro da aggiungere» si voltò di nuovo verso Hyde e continuò: «Non so cosa avete in mente, ma spero che non vi mettiate nei guai». Poi diede una pacca sulla spalla ad entrambi. Harry cercò di rimanere impassibile mentre lo guardava voltarsi e uscire dal cancello.

Per un attimo riuscì a scorgere l’orlo della pelliccia che danzava nella nebbia del primo mattino, poi lo vide Smaterializzarsi. Rabbrividì e si strinse nelle spalle. Ormai la decisione era presa e non c’era modo di tornare indietro.

«Ben fatto, Potter. Certo che ti danno proprio tutti retta qui, eh?»

«Anche tu non scherzi, in quanto a imbrogli. Così volevi solo farmi gli auguri di Natale?» lo canzonò.

«Si, come no» rispose con una punta di disprezzo. Harry non riusciva proprio a capire perché aveva accettato il suo aiuto. Per disperazione, certo. E perché Ron valeva più dell’orgoglio.

«Potter, sveglia!» lo riscosse il compagno. «Dobbiamo partire, abbiamo già perso fin troppo tempo. Se hai tutto con te, aggrappati al mio braccio e andiamo, prima che si sveglino tutti».

«Dov’è che...»

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«Lo vedrai» rispose con veemenza Hyde, prima che potesse finire la frase.

Harry gli prese il braccio. Sentì la consueta sensazione di oppressione e nausea e si vide trascinare per paesaggi sconosciuti, fino ad atterrare confuso e spaesato in mezzo alla neve.

I suoi occhi ci misero qualche secondo a rendersi conto del luogo dove si trovavano. La candida coltre ricopriva ogni angolo, ogni muro, ogni albero e rendeva quel posto neutro e inanimato nella fioca luce dell’aurora. Potevano essere ovunque, ma ad Harry parve di essere tornato indietro di un anno: si voltò convinto che avrebbe visto Batilda Bath venirgli incontro dal vialetto che costeggiava la chiesa, invece le case, i tetti, la neve, anche se identici a quelli di Godric’s Hollow, appartenevano ad un altro posto.

Man mano che i suoi occhi si abituavano a quella bianca oscurità, riusciva a scorgere sempre più dettagli: un lampione al margine di uno spiazzo vuoto; un grosso cumulo di neve non esattamente informe di fronte ad un’abitazione; una serie di alberi ghiacciati alla sua sinistra che scintillavano ed emanavano piccoli riflessi di luce al muoversi dei loro rami per il vento.

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Si trovavano in un piccolo paese, probabilmente nella piazza principale. Leggeri fiocchi di neve cadevano con diverse traiettorie seguendo le folate di vento e Harry fu costretto a tirarsi su il cappuccio. Un’insegna cigolante al limitare della strada richiamò la sua attenzione. “Benvenuti a Little Winteroak”. Gli scappò un sorriso. Il nome del villaggio gli ricordava vagamente il paese di Babbo Natale. Una figura scura si spostò con salti felini da un tetto ad un ammasso di barili per poi attraversare di corsa la piazza lasciando una fila di piccole impronte ordinate. Harry la seguì con lo sguardo, poi si riscosse.

«Perché siamo qui?» la sua voce sembrò riempire completamente il silenzio ovattato che li circondava.

«Shh! Non qui. Ti spiego quando siamo al sicuro» lo redarguì Hyde con un debole sussurro. Poi, prima di proseguire, ripulì il cappellino da baseball dalla neve e se lo rimise in testa coprendo i corti capelli biondi.

Faceva ancora molto freddo nonostante stesse per fare giorno. Si incamminarono per una stradina a destra della piazza, la stessa nella quale era scomparso il gatto. Qui le abitazioni e le botteghe erano più fitte: passarono accanto alle

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vetrine chiuse di una macelleria, una panetteria ed un calzolaio. Cosa mai ci facevano in un paese babbano?

L’unico rumore erano i loro passi, che formavano impronte nette nella neve che stava cominciando a cadere più abbondante; dopo pochi minuti sbucarono in una piazzetta: la grigia sagoma di una chiesa gotica, con la sua imponente scalinata, faceva da margine al quadrato bianco che le si trovava davanti, una serie di panchine innevate erano disposte qua e là al centro, mentre il lato che avevano di fronte era occupato da un basso muretto che sembrava proteggere un giardino sommerso dalla neve. L’unica debole fonte di luce era il rosone della chiesa dove probabilmente continuavano imperterrite a bruciare le candele lasciate il giorno precedente.

Hyde gli fece cenno di raggiungerlo sulla sinistra. Si trovava di fronte ad una piccola bottega, chiusa come tutte le altre a Little Winteroak, data l’ora. Ma qualcosa di quel posto lo colpì immediatamente: non fu tanto il disordine tra le pile di libri che si vedeva dalla piccola vetrina, o le locandine sgargianti dei locali babbani che si accumulavano attaccate alla porta. Era qualcosa di più magico, come se quel posto lo chiamasse. Gli

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bastò un’occhiata all’insegna per vederla animarsi: una fontana di scintille fuoriusciva dalle pagine in pergamena di un grosso tomo illuminando debolmente la scritta che la sovrastava. «Pagine Magiche» lesse Harry con un sussurro.

Rimase sbalordito: era il nome del negozio di cui gli aveva parlato Molly, quello dove doveva andare con George! Come mai Hyde lo conosceva? A sentire i Weasley sembrava che fosse un posto sperduto e poco conosciuto.

Intanto Hyde stava continuando a guardare all’interno della vetrina.

«Da qui non si entra, proviamo a girarci intorno» disse, dirigendosi verso il retro della costruzione. Harry lo seguì provando un misto di incredulità e sospetto.

Tirava un vento freddo e teso, dovettero coprirsi bene con il cappuccio del mantello per evitare che i fiocchi di neve, che ormai cadevano copiosi, entrassero loro negli occhi.

Anche la porta dell’abitazione sul retro sembrava non fosse utilizzata da tempo: sulla soglia c’erano diversi centimetri di neve ghiacciata.

Provarono comunque a bussare. Poi spinsero l’uscio, ma era chiuso. «Alohomora», la porta si aprì cigolando, permettendogli di entrare.

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Erano al riparo dal vento, ma all’interno dell’abitazione faceva comunque molto freddo. Il camino era pulito come se non venisse usato da tempo, almeno dall’inverno precedente.

Si guardarono intorno e videro che tutto era coperto di polvere, la stanza era piccola e spoglia con alcuni piatti ancora nell’acquaio, come se chi ci abitava fosse andato via all’improvviso.

Sul tavolo c’erano molti libri accatastati alla rinfusa ed uno era ancora aperto.

«Chi abita qui?» chiese Harry affrontando Hyde faccia a faccia. «Cos’è questo posto? Come fai a conoscerlo?»

Hyde eluse le sue domande, si voltò verso un mobile con molte ante e cassetti e cominciò ad aprirli, frugando al loro interno.

Harry lo afferrò per un braccio e lo fece voltare. «Se vuoi che collaboriamo dovrai darmi qualche spiegazione!»

«Non è il momento!» abbaiò l’americano, scrollandosi dal braccio la mano di Harry.

Si fermò di fronte ad una porta che conduceva verso un’altra stanza, di fianco a quella dove si trovavano.

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«Se mi dici cosa stai facendo, potrei darti una mano» tentò Harry, ma Hyde continuava a ignorarlo.

«Cosa ne sai tu di Azucena?» chiese, allora, con tono perentorio. L’americano si bloccò e lo guardò in faccia, aggrottando le sopracciglia. «Non so come tu possa conoscere questo nome, ma per le spiegazioni ci sarà tempo» rispose, chinandosi per spostare una pila di libri polverosi.

Hyde era proprio un ragazzo testardo e indisponente, si chiese come avrebbe fatto a collaborare con lui. Spostò lo sguardo, vide che la porta era socchiusa e l’aprì.

«Aspetta!» lo fermò Hyde.Harry si voltò guardandolo interrogativo.

L’americano lo raggiunse, mormorò un’incantesimo ed entrò nell’altra stanza. Harry lo seguì. Con la fioca luce della bacchetta riuscirono a vedere un letto con la testata in ottone sul lato destro della stanza, un armadio sulla parete opposta, mentre ogni altro angolo libero era completamente ricoperto di scaffali stracolmi di libri di ogni colore e dimensione. Era opprimente.

«Cos’è quella cosa che ti spunta dalla tasca?» chiese Hyde con la faccia schifata. «Ti sei portato l’orsacchiotto per dormire?»

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Harry tirò fuori Snitch per mostrarlo al ragazzo, trattenendosi dal commentare. Snitch si guardò attorno soffermandosi su Bryan: i suoi grandi occhi rotondi si dilatarono dalla paura e la puffola tornò a nascondersi nella tasca del suo padrone, rabbrividendo. Hyde alzò gli occhi al cielo e tornò a scrutare la stanza.

Harry vide che un’anta dell’armadio era accostata ma nel tentativo di raggiungerla quasi inciampò in una pila di libri sul pavimento. C’era una confusione terribile e si chiese chi mai potesse viverci.

Nell’armadio non c’era praticamente più niente, solo una camicia polverosa sul fondo. Si mise a guardare i libri che aveva a portata di mano: “Cento magie per trovare l’acqua”, “In cammino con i fantasmi”, “La grande ricerca dell’infinito”.

«Sembra che sia tutto a posto, possiamo sistemarci qui!» esclamò Hyde dalla cucina. Harry lo raggiunse e mise lo zaino sul tavolo dopo aver dato una passata di bacchetta per pulirlo dalla polvere.

«Che vuol dire: possiamo sistemarci qui?» chiese Harry guardandosi intorno. «Questa casa è abitata, e se tornassero?»

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«Stai tranquillo, non tornerà nessuno. Stavo solo controllando che qualcuno non avesse lasciato qualche incantesimo spia» rispose Hyde mentre con un altro colpo di bacchetta rassettava alla bell’e meglio un po’ tutta la stanza.

«Qualcuno chi? Ma di che parli?»Harry era ormai sul punto di scoppiare,

l’impazienza di capire e l’aria da Indicibile di Hyde gli stavano facendo saltare i nervi.

Ci fu uno schianto improvviso e un rumore di vetri infranti che li fece sobbalzare. Senza pensarci troppo si affacciarono con cautela alla porta dalla quale erano entrati e videro che il vetro della finestra della stanza adiacente era stato spaccato, ma dal punto in cui si trovavano non riuscivano a capire da dove fosse stato lanciato l’incantesimo. Un altro schianto, e furono costretti a uscire di corsa dalla casa. Perché Hyde l’aveva portato lì? Non sarebbero dovuti andare in un posto sicuro?

Non riusciva ad essere lucido, aveva sempre sostenuto che nella Difesa contro le Arti Oscure era fondamentale essere mentalmente pronti e avere coraggio, ma in quel momento gli mancavano entrambe le cose. I due fecero giusto in tempo ad arrivare di fronte alla vetrina principale del negozio che videro un’ombra sparire oltre il

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muro del giardino dall’altro lato della piazza. Poi quattro figure incappucciate fecero il loro ingresso dalla via dietro la chiesa, ridacchiando. Quando si accorsero di loro si bloccarono di scatto.

«Ma che diavolo... è Potter!» urlò all’improvviso uno dei nemici.

Hyde iniziò a lanciare incantesimi: lampi di luce volavano da una parte all’altra della piazza innevata. Come avevano scoperto dov’erano? Nemmeno lui sapeva dove si trovasse quel paesino. Fece giusto in tempo a scansarsi prima che un incantesimo diretto a lui disintegrasse il bracciolo di una panchina a pochi centimetri dal suo gomito. Poi vide un lampo di luce verde passare sopra la testa di Hyde.

«No!» urlò, buttando il compagno a terra appena in tempo.

«È qui! Incarceramus!»Harry, prima di rendersene conto, si sentì

avvolgere da corde che lo immobilizzarono.«EXPELLIARMUS» urlò Hyde quasi nello

stesso istante. L’uomo che l’aveva incantato ora era disarmato, ma gli altri si stavano avvicinando velocemente.

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«Che state facendo?» sentì sbraitare. Conosceva quella voce, fredda e stridente. Lo aveva sbeffeggiato solo pochi giorni prima. «Ricordate il piano!»

Che piano? Servivano vivi... Volevano la Bacchetta…

Harry tentò di liberarsi dalle corde ma erano così strette che a malapena riusciva a muovere le mani. Riusciva a vedere Hyde scagliare incantesimi contro tre maghi oscuri ma non avrebbe resistito a lungo.

«Diffindo» mormorò tentando di muovere la bacchetta, le corde si allentarono e caddero a terra liberandolo.

Si alzò in piedi e prontamente urlò: «Impedimenta!» facendo inciampare uno dei maghi.

Un altro mago gli lanciò contro una luce verde e lui si voltò per evitarlo.

Colpì, allora, uno dei maghi approfittando della sua incertezza e lo vide accasciarsi in mezzo alla via principale, svenuto, mentre Hyde gli passava davanti, cercando di arrivare sull’altro lato della piazza.

Non riusciva a capire cosa fosse accaduto, come mai anche i Maghi Oscuri erano rimasti sorpresi

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di vederli? Non cercavano loro? Due maghi gli vennero incontro costringendolo a salire a ritroso sulla scalinata della chiesa. Quello alto e robusto lo aveva già visto durante lo scontro sul Lago.

Lanciò un incantesimo proprio su di esso e questi per tentare di scansarlo perse l’equilibrio e ruzzolò all’indietro. Dall’alto vide che due maghi duellavano con Hyde vicino al negozio. Gli incantesimi dell’americano sembrava non avessero effetto su di loro e venivano sempre deviati o rispediti al mittente.

Una fugace apparizione di capelli biondissimi dietro l’angolo della casa di fronte lo fece voltare di scatto. Scrollò la testa pensando di aver avuto un’allucinazione e proprio in quel momento un incantesimo lo colpì alla gamba facendolo cadere. L’asiatico che aveva combattuto contro la McGranitt si mise a ridere. «Problemi di stabilità?»

Il sorriso gli scomparve un attimo prima di venir scagliato all’indietro, colpito da un incantesimo proveniente da sopra la sua spalla, contro il compagno che tentava di rialzarsi in piedi dopo la caduta.

Si guardò intorno cercando la fonte dell’incantesimo, ma non vide nessuno. Non se ne preoccupò a lungo e approfittò della posizione

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per colpire in pieno uno dei due contro cui lottava Hyde scaraventandolo ai piedi dell’amico che, fortunatamente, con un balzò riuscì ad evitarlo.

Tentò di rialzarsi ma il dolore alla gamba colpita lo fece barcollare. Quando riuscì a mettersi in piedi si rese conto che Hyde e l’altro mago non erano più nella piazza.

Sentiva chiaramente il rumore di uno scontro provenire dal retro del negozio di Azucena e si precipitò dolorosamente giù dalle scale per correre in aiuto del compagno. Alcuni incantesimi non lo colpirono per un pelo, e senza nemmeno guardare gettò degli Schiantesimi alle sue spalle. Non ebbe il tempo di svoltare l’angolo che si trovò davanti Draco Malfoy con la bacchetta sguainata, puntata contro di lui, lo sguardo feroce. Non riusciva a capire che ci facesse lì, in mezzo alla battaglia.

«Che intenzioni hai, Draco?» ansimò, riprendendo il dominio del suo corpo.

«Secondo te?» disse il ragazzo con il suo solito ghigno sprezzante. «Stupeficium».