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1 Capitolo 2 POSTURA ED EQUILIBRIO La capacità di conservare il controllo dell’equilibrio è fondamentale per il mantenimento dell’indipendenza funzionale e per il miglioramento della performance sportiva: esse vengono degradate non solo dall’età (Era and Heikkinen, 1985), ma anche, ed in modo indipendente, dall’insorgere di malattie degenerative o traumatiche del sistema nervoso e dell’apparato locomotore (Horak et al., 1989). La comprensione dei meccanismi che sottendono le strategie per il controllo dell’equilibrio durante la stazione eretta si è assai perfezionata anche grazie alle tecniche di posturografia statica (piattaforme di forza per lo studio delle oscillazioni e dei carichi a livello dell’appoggio durante la stazione eretta), dinamica (piattaforme mobili) ed all’analisi del cammino (baropodometria).

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Capitolo 2

POSTURA ED EQUILIBRIO

La capacità di conservare il controllo dell’equilibrio è

fondamentale per il mantenimento dell’indipendenza funzionale e

per il miglioramento della performance sportiva: esse vengono

degradate non solo dall’età (Era and Heikkinen, 1985), ma anche,

ed in modo indipendente, dall’insorgere di malattie degenerative o

traumatiche del sistema nervoso e dell’apparato locomotore

(Horak et al., 1989).

La comprensione dei meccanismi che sottendono le strategie per

il controllo dell’equilibrio durante la stazione eretta si è assai

perfezionata anche grazie alle tecniche di posturografia statica

(piattaforme di forza per lo studio delle oscillazioni e dei carichi a

livello dell’appoggio durante la stazione eretta), dinamica

(piattaforme mobili) ed all’analisi del cammino (baropodometria).

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2.1 LA POSTURA

Il termine postura può essere riferito a tutto il corpo, ovvero

all’atteggiamento del corpo in diverse condizioni statiche o

dinamiche, oppure a parti del corpo, intendendo così fare

riferimento alla posizione ed alla relazione reciproca di diversi

segmenti.

In senso stretto, esiste una differenza tra postura ed equilibrio: il

termine postura di per sé non implica equilibrio.

Il concetto di equilibrio emerge quando si parla della postura

antigravitaria, la quale consiste nella postura del corpo e dei suoi

segmenti durante la stazione eretta, sia in condizioni statiche che

durante un movimento contro gravità.

In questo caso, il mantenimento della postura è condizionato da

un buon controllo dell’equilibrio, ovvero dal fatto che la proiezione

del centro di massa del corpo cada all’interno della base di

appoggio.

La conservazione di una postura antigravitaria è un processo

attivo che implica: il mantenimento prolungato di determinate

posizioni del corpo e dei suoi segmenti, lo sviluppo della forza

necessaria a sostenere il peso del corpo contro l’azione della

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gravità, l’esecuzione di movimenti correttivi per compensare

possibili perturbazioni interne od esterne che minaccino

l’equilibrio.

Il termine postura di per sé non coinvolge l’orientamento dei

diversi segmenti o dell’intero corpo nello spazio.

Il termine orientamento si riferisce alla postura del corpo e dei

suoi segmenti durante un compito motorio direzionale, in

riferimento a coordinate spaziali dell’ambiente.

Durante la stazione eretta, il corpo si dice orientato nella direzione

della gravità, durante la locomozione, il corpo o la testa possono

essere orientati nella direzione della traiettoria.

2.2 LA STAZIONE ERETTA

La postura antigravitaria è controllata dal sistema nervoso che

contrasta la forza di gravità attraverso il controllo del tono dei

muscoli posturali (ad esempio il tricipite surale, il quadricipite, i

muscoli estensori paravertebrali, i muscoli dorsali del collo),

mantiene una adeguata posizione dei segmenti corporei (per

esempio tenendo i due piedi attaccati al suolo o le braccia lungo il

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corpo), controlla la stabilità della stazione eretta a fronte di

perturbazioni (il vero e proprio controllo dell’equilibrio).

Per quanto riguarda il controllo dell’equilibrio durante la stazione

eretta, si individuano tre meccanismi fondamentali (Massion,

1992; Massion et al., 2004):

1) feedback continuo (stazione eretta quieta), una condizione in

cui il sistema nervoso riceve continuamente input dai piedi, dai

muscoli, dalle articolazioni, dagli occhi, dal labirinto, dall’apparato

stomatognatico ed integra queste informazioni (toniche)

nell’attività del sistema di controllo dell’equilibrio;

2) feedback discontinuo (stazione eretta perturbata), condizione in

cui il normale input tonico dai recettori sensoriali viene scavalcato

da un’improvvisa serie di informazioni, provenienti dagli stessi

recettori, che viene trattata dal sistema nervoso centrale in modo

differente (si scatenano riflessi);

3) feed-forward, ovvero in condizioni di perturbazioni prevedibili,

come quando la perturbazione dell’equilibrio origina dal

movimento volontario: questa è la condizione nella quale si

osservano aggiustamenti posturali anticipatori, ovvero movimenti

preparatori che spostano il corpo verso un punto dal quale è più

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difficile essere destabilizzati dal movimento impellente; la

coordinazione tra postura e movimento che si osserva durante la

locomozione (un compito in cui il controllo dell’equilibrio è la ovvia

condizione per poter procedere tranquillamente nella direzione

voluta) è un esempio di feed-forward .

La valutazione della postura durante la stazione eretta tranquilla

non perturbata viene effettuata con una pedana stabilometrica.

2.3 ORIGINE DELLE OSCILLAZIONI

POSTURALI

L’equilibrio del corpo umano può essere

rappresentato come un pendolo invertito, le

cui oscillazioni rimangono all’interno di un

range di 4°, il fulcro si trova a livello

malleolare, la parte oscillante a livello del

capo (Fig. 1).

(Fig. 1): pendolo invertito

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Il mantenimento dell’equilibrio così diventa poco dispendioso,

sono eliminati di fatto i gradi di libertà inutili.

Le oscillazioni posturali forniscono al sistema nervoso centrale un

input sensoriale di riferimento proveniente da diversi recettori

attivati da questi piccoli movimenti.

Quali siano le cause delle oscillazioni posturali non è chiaro.

Certamente esse sono la condizione per permettere l’attivazione

dei recettori; poiché molti dei recettori sono a rapido adattamento,

l’assenza di movimenti non verrebbe segnalata al sistema

nervoso centrale.

Meglio quindi piccoli movimenti intorno ad una posizione virtuale

media del centro di pressione (il cui percorso può essere

ricostruito registrandone le posizioni in un tempo prestabilito),

piuttosto che nessuna informazione da un corpo ipoteticamente

bloccato nello spazio.

Peraltro le oscillazioni sono a loro volta collegate a piccole

perturbazioni della stazione eretta e dipendono dalla normale

presenza di forze destabilizzanti l’equilibrio, quali l’attività

cardiaca, l’attività respiratoria, l’attività incostante delle unità

motorie.

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A fronte di queste ed altre perturbazioni, quali per esempio il

movimento volontario, il sistema nervoso centrale oppone

componenti passive ed attive stabilizzanti l’equilibrio.

Tra le prime ci sono l’inerzia del corpo e la visco-elasticità di

legamenti, tendini e muscoli.

Tra le seconde, ci sono i meccanismi prima citati di controllo a

feedback continuo, quali quelli che controllano la stazione eretta

quieta e che sono basati sulle informazioni recettoriali.

Vanno inoltre considerati i meccanismi a feedback discontinuo

quali quelli che contribuiscono al mantenimento della stazione

perturbata da qualche evento esterno od interno, ed i meccanismi

a feed-forward, che intervengono nel controllo della coordinazione

posturo-cinetica, ovvero del passaggio dalla stazione eretta ad un

movimento o dalla coordinazione tra postura e movimento, una

volta che questo sia iniziato.

È evidente, quindi, che il sistema nervoso nel suo complesso

interviene nel controllo dell’equilibrio, e che questo controllo vede

meccanismi riflessi interagire con meccanismi più complessi che

implicano anche l’intervento di centri superiori.

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Certamente solo i centri superiori possono essere in grado di

anticipare le possibili perturbazioni legate alla destabilizzazione

provocata dall’esecuzione di un movimento volontario.

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Capitolo 3

METODICHE DI TRAINING POSTURALE

3.1 LE CATENE MUSCOLARI

Le catene muscolari sono rappresentate da una serie di muscoli

contigui tra loro, ogni singolo muscolo rappresenta un anello della

catena che abbraccia l’intera struttura corporea. Grazie a queste

acute osservazioni la fisioterapista francese F. Mézières

raggruppò il sistema muscolare in quattro catene muscolari:

1. CATENA POSTERIORE

2. CATENA ANTERO-INFERIORE

3. CATENA ANTERIORE DEL BRACCIO

4. CATENA ANTERIORE DEL COLLO

Ognuna di queste catene é costituita da specifici muscoli e svolge

particolari funzioni che ora andremo singolarmente ad

approfondire.

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3.1.1 LA CATENA POSTERIORE

E’ la catena muscolare più estesa; è

formata da tutti i muscoli profondi e

superficiali che vanno dalla linea occipitale

alla punta delle dita dei piedi (Fig. 2).

A livello cranio-sacrale troviamo:

1. Sul piano superficiale: il trapezio e

il gran dorsale.

2. Sul piano medio: i romboidei,

l’elevatore della scapola e i dentati postero-

superiori e postero-inferiori.

3. Il piano profondo può essere suddiviso a

(Fig. 2) sua volta in tre piani :

a) Il piano superficiale comprende: l’erettore della colonna a sua

volta suddiviso in tre porzioni che prendono nomi specifici in

relazione al distretto rachideo nel quale si inseriscono.

b) Il piano intermedio è rappresentato dal trasverso spinoso.

c) Il piano profondo comprende invece i muscoli interspinosi e i

muscoli intertrasversi.

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Sulla regione posteriore dell’arto inferiore, al di sotto dei glutei,

troviamo il semimembranoso, il semitendinoso, il bicipite femorale,

gli adduttori, il popliteo, i gemelli, il soleo, il plantare gracile, il

tibiale posteriore, i flessori lunghi delle dita ed infine i flessori

plantari sulla regione posteriore del piede.

3.1.2 LA CATENA ANTERO-INFERIORE

Detta anche catena cinetica inspiratoria, è

formata dal tendine centrale, dal

diaframma, dall’ileopsoas e dalla fascia

iliaca (Fig. 3).

Il diaframma ha inserzioni costali, una

inserzione sternale e delle inserzioni

vertebrali attraverso due gruppi di pilastri:

i pilastri esterni originano sui corpi

vertebrali delle prime vertebre lombari e

sui dischi adiacenti, i due pilastri interni

originano dall’arcata fibrosa dello psoas e

(Fig 3) dall’arcata del quadrato dei lombi.

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Quando attraverso i suoi pilastri il diaframma prende punto fisso in

alto, sulle coste e sullo sterno, porta la colonna lombare in alto e

in avanti, diventa quindi un muscolo lordosizzante.

L’inserzione comune con lo psoas determina ugualmente uno

spostamento della colonna verso il basso ma sempre in avanti

(riduzione del diametro verticale della colonna lombare), pertanto

anche l’ileopsoas ha un’azione lordosizzante.

3.1.3 LA CATENA ANTERIORE DEL BRACCIO

E’ composta dal coraco-brachiale,

dal bicipite, dal brachiale, dal

brachio-radiale, dal lungo supinatore,

da tutti i flessori e pronatori

dell’avambraccio ed infine dai

muscoli dell’eminenza tenar e

ipotenar (Fig. 4).

(Fig. 4)

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Dal punto di vista filogenetico, il passaggio dell’uomo alla stazione

eretta ha obbligato la muscolatura anteriore del braccio a lavorare

prevalentemente in maniera concentrica; basti pensare alla fase

di passata nel canottaggio (fase in cui il remo spinge in acqua).

E’ dunque una catena più predisposta a fenomeni di retrazione.

L’accorciamento cronico di questa catena determina una flessione

del gomito e una pronazione eccessiva dell’avambraccio alla

quale si somma una intrarotazione di tutto l’arto superiore

mantenuta dalla rigidità del gran dorsale e del grande rotondo

posteriormente, anteriormente del gran pettorale.

3.1.4 LA CATENA ANTERIORE DEL COLLO

E’ formata dal piccolo e dal grande retto,

dal lungo del collo e dal tendine centrale

che collega il rachide cervicale al

diaframma e all’asse viscerale (Fig. 5).

(Fig. 5)

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Il piccolo retto va dalla massa laterale dell’atlante all’apofisi

basilare dell’occipite, il grande retto va dalle apofisi trasverse di

C3-C6 all’apofisi basilare dell’occipite.

Il lungo del collo è composto da tre parti: da fibre oblique

discendenti, fibre oblique ascendenti e da fibre longitudinali che

collegano l’atlante a D1, D2, D3. L’intera catena si estende quindi

dall’apofisi basilare dell’occipite al corpo della terza vertebra

dorsale.

Quando prende punto fisso in basso porta in avanti il collo

aumentando la lordosi cervicale, quando invece prende punto

fisso in alto è una catena accessoria della inspirazione.

Quindi, i muscoli della catena anteriore del collo, pur avendo una

inserzione anteriore accorciandosi aumentano la lordosi

posteriore (azione lordosizzante).

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3.2 LA RIEDUCAZIONE POSTURALE

GLOBALE

La Rieducazione Posturale Globale (R.P.G.) è una metodica di

riarmonizzazione e di riequilibrio della struttura muscolo-

scheletrica messa a punto dal francese Prof. Philippe E.

Souchard.

Lo studio, la diagnosi e la terapia della postura secondo questa

metodologia, partono da concetti base sull’evoluzione funzionale

dell’individuo.

Il bambino appena nato non può stare in piedi, ma

inesorabilmente egli otterrà la grande vittoria di alzarsi contro la

forza di gravità, realizzando il difficile “esercizio” della bipedia.

Questo traguardo viene raggiunto grazie allo sviluppo graduale di

muscoli chiamati muscoli della statica (o muscoli tonici), i quali

sono capaci di lottare e vincere la gravità, consentendo al

bambino di alzare prima la testa poi il dorso fino ad ergersi

autonomamente sulle proprie gambe.

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Si tratta di una muscolatura molto fibrosa e tonica che

rappresenta circa i due terzi di tutta la massa muscolare del

nostro corpo.

I muscoli della statica hanno la particolarità di essere

perennemente in attività, anche a riposo, costituendo uno

straordinario sistema di auto-regolazione posturale che garantisce

la stabilità.

Se la posizione eretta è garantita dalla muscolatura statica,

“aggiustata” continuamente da oscillazioni, opportunamente

frenate, necessarie all’equilibrio ed al mantenimento del Centro di

Pressione (COP) all’interno della base d’appoggio, i muscoli della

dinamica consentono lo spostamento ed il movimento, essi non

sono fibrosi, non hanno molto tono e sono in genere aiutati da

quelli statici.

I muscoli della statica coadiuvano il movimento e lo frenano

mantenendo sempre un tono elevato; i muscoli della dinamica al

termine della contrazione, giacchè non sono indispensabili alla

posizione eretta, tornano alla loro decontrazione naturale.

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Ne consegue che i muscoli statici non si riposano mai e, quindi,

tendono alla rigidità ed all’accorciamento mentre i muscoli

dinamici tendono al rilassamento (Tab. 1).

(Tab. 1): caratteristiche anatomiche e funzionali dei muscoli tonici e fasici

(Stockmeyer 1970, integrata da Spring et al. 1986).

MUSCOLI TONICI MUSCOLI FASICI

- Hanno funzione di sostegno (posturali)

- Si affaticano tardivamente

- Contengono più fibre muscolari rosse

(lente)

- Si contraggono più lentamente

- Reagiscono al carico errato con

accorciamento e peggioramento

funzionale

- Sono più forti di circa 1/3

- Esprimono la massima potenza a

velocità di contrazione moderata

- Se inattivi divengono più lentamente

deboli

- Tendono ad accorciarsi a causa della

continua tensione a cui sono sottoposti

- Hanno funzione di movimento

- Si affaticano precocemente

- Contengono più fibre muscolari bianche

(rapide)

- Si contraggono più rapidamente

- Reagiscono al carico errato con

indebolimento e peggioramento funzionale

- Sono più deboli

- Esprimono la massima potenza a velocità

di contrazione elevata

- Se inattivi divengono più rapidamente

deboli

- Tendono ad allungarsi con l’inattività

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In base alla principale funzione svolta i muscoli possono essere

suddivisi in:

- muscoli fasici o dinamici (deputati al movimento);

- muscoli tonici o statici (antigravitari o posturali).

Ciò condiziona tutta la nostra patologia muscolare; infatti i muscoli

dinamici come gli addominali, ad esempio, possono rilassarsi per

mancanza di attività sportiva, mentre i muscoli statici come gli

spinali, i polpacci, gli ischio-crurali, sono sempre affaticati e rigidi

perché costantemente sollecitati dalla gravità.

In questo esempio gioca un ruolo fondamentale il concetto di

debolezza muscolare perché paradossalmente entrambi i muscoli

sia della statica che della dinamica possono essere colpiti da

insufficienza.

La fisioterapia classica come anche le tecniche di allenamento,

tendono indiscriminatamente a rafforzare, con la muscolazione,

entrambi i gruppi muscolari.

Questa metodica è usata unanimemente di fronte ad un paziente

con ipercifosi dorsale (avvolgimento anteriore della colonna

vertebrale), ma gli studi di Souchard attribuiscono la

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responsabilità di tale patologia posturale al sistema muscolo-

fibroso anteriore (catena muscolare antero-inferiore), che

sorregge i nostri organi e, senza il quale, le nostre viscere non

sarebbero sospese.

Quindi, piuttosto che tonificare i muscoli dorsali il soggetto

ipercifotico dovrà allungare la sua catena muscolare antero-

inferiore. Questo semplice esempio dimostra che il nostro modo di

reggerci, buono o cattivo, dipende dalla relazione che hanno i

muscoli della statica tra loro. I più tonici tirano sempre dalla loro

parte. Tirato avanti o tirato indietro?

Questo è l’intelligente quesito che in R.P.G. i terapisti si pongono

prima di affrontare un trattamento. La metodica R.P.G. consedera

debole sia un muscolo rigido, cioè accorciato, che un muscolo

eccessivamente allungato.

Un muscolo è esattamente come un elastico ed allo stesso modo

di una molla, non è capace di accorciarsi molto se prima non è

stato teso abbastanza. La forza quindi è direttamente

proporzionale all’elasticità. Quindi cercare di rinforzare i muscoli

statici al punto di irrigidirli, non farà altro che indebolirli

ulteriormente.

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3.2.1 LO STRETCHING GLOBALE ATTIVO

Diversamente da quello che prevede l'allungamento di un singolo

gruppo di muscoli (allungamento muscolare distrettuale), la

tecnica dello Stretching Globale Attivo (S.G.A.) si basa

sull'allungamento delle catene muscolari.

Tramite la fascia connettivale, i muscoli sono in realtà strutturati in

lunghe catene muscolari o meglio miofasciali. La lunghezza

(l'elasticità) di ogni singolo muscolo è strettamente legata a quella

di tutti i muscoli appartenenti alla stessa catena. Occorre

comunque sempre tener presente la stretta integrazione esistente

all'interno del sistema miofasciale e del nostro organismo; è

difficile isolare funzionalmente un organo o una struttura. Un

gruppo di muscoli in tensione esercita un'influenza su gli altri

muscoli vicini, sia per un fattore fisico-fasciale che nervoso

(F. Mezieres e T. W. Myers).

Così, ad esempio, allungando distrettualmente i muscoli posteriori

degli arti inferiori rischiamo di accorciare i muscoli della schiena

appartenenti alla stessa catena muscolare. Stessa cosa potrà

accadere allungando i muscoli della parte lombare a danno dei

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muscoli della zona cervicale. L'allungamento delle intere catene

muscolo-fasciali corporee consente quindi una maggiore efficacia

ma, al tempo stesso, richiede un apprendimento e un'applicazione

precisa della tecnica.

La tecnica dello Stretching Globale Attivo consiste nel mantenere,

per alcuni minuti (in genere da 15 a 20 minuti) specifiche posture,

facendo attenzione a eliminare in maniera attiva tutti i compensi,

così da consentire l'allungamento stabile (deformazione elastica)

dell'intera catena muscolare interessata.

La complessità e l'incisività di questa metodologia richiede un

apprendimento guidato professionalmente prima di poterla

eseguire singolarmente.

Questa tecnica facilita il rinforzo dei muscoli antagonisti a quelli

allungati sia tramite l'attivazione degli organi muscolo-tendinei del

Golgi (per il meccanismo proprio del riflesso miotatico inverso) dei

muscoli allungati sia per il necessario utilizzo attivo dei muscoli

antagonisti nell'eliminazione dei compensi articolari che si

presentano durante l'esecuzione della tecnica di Stretching

Globale Attivo. Per tutte queste caratteristiche questo tipo di

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allungamento muscolare viene anche definito Stretching Globale

Attivo “decompensato". Inoltre, essendo in grado di incidere

profondamente sull'intera postura, viene anche definito "stretching

posturale".

Lo Stretching globale attivo trae i suoi principi dalla Rieducazione

Posturale Globale. Uno dei principi fondamentali, sfruttati dallo

stretching globale attivo, è la globalità, che prevede, quindi,

l’interessamento di tutti i segmenti del corpo nello stesso

momento attraverso la realizzazione di particolari posizioni che

evolvono in maniera dolce e progressiva, con l’interessamento

della respirazione, verso una posizione finale di massimo

allungamento.

Vengono utilizzate nove posture, ognuna con la specificità di agire

su una serie determinata di “catene muscolari”. Nella pratica

sportiva, in alternativa allo stretching tradizionale, permette un

maggiore allungamento muscolare, controllato attivamente dal

soggetto con sequenze coordinate.

Sembra, inoltre, offrire una valida prevenzione contro le patologie

da sovraccarico muscolo-tendinee.

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Non bisogna mai trattenere il respiro durante un esercizio di

allungamento. Lo scopo di una corretta respirazione è importante

perché una buona ossigenazione attenua lo stato di tensione

dell’atleta fino a portarlo ad uno stato di equilibrio delle sue

funzioni fisiologiche e quindi anche del tono muscolare.

La posizione deve permettere una corretta respirazione. Se la

posizione mantiene il muscolo in un’eccessiva tensione è

probabile che la respirazione diventi affannosa o difficoltosa, in

questo caso è importante diminuire la tensione finché la

respirazione non diventerà naturale.

In particolare nello Stretching Globale Attivo si dà molta

importanza all’espirazione, effettuata attraverso una contrazione

isotonica-eccentrica della catena muscolo-fasciale inspiratoria (

catena antero-inferiore) e coadiuvata dalla completa

rettilineizzazione del rachide, così da annullare la funzione

lordosizzante dei muscoli respiratori principali e secondari.

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3.3 IL BIOFEEDBACK COME ESERCIZIO

POSTURALE

Da un punto di vista storico, il Biofeedback si sviluppò negli Stati

Uniti alla fine degli anni ’60, quando alcuni ricercatori (Miller,

Brener, Snyder e Noble e altri) dimostrarono che sia nell’animale

sia nell’uomo è possibile controllare alcuni parametri quali: la

frequenza cardiaca, i ritmi elettroencefalografici, la

vasocostrizione cutanea, etc.

Sperimentazioni sull’uso del Biofeedback (BF) visivo per il

controllo posturale sono in corso fin dagli anni ’70 (Hlavacka F.

and Litvinenkova V.) e, tradizionalmente, sono legate alla

visualizzazione su monitor della posizione del Centro di Pressione

del soggetto sotto esperimento.

Ad oggi alcuni sistemi commerciali finalizzati all’analisi

dell’equilibrio si avvantaggiano di questa lunga sperimentazione e

propongono il BF visivo come terapia riabilitativa o allenamento

sportivo (Chiari e altri. 2005).

L’importanza funzionale del segnale visivo per il controllo

posturale è da tempo risaputa: basti pensare alle difficoltà

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osservabili in ciascun soggetto normale alla chiusura degli occhi.

Abbastanza complessa e dibattuta è stata invece l’individuazione

delle vie anatomiche e delle caratteristiche funzionali di questa

interazione (Guidetti, 1997).

La stimolazione visiva legata ai movimenti oculari volontari non

modifica in modo significativo il controllo posturale statico (Oblak,

Grgoric, 1985), mentre la visione di immagini in movimento

genera riassetti posturali più importanti (Clement, Joaquin, 1985)

e recentemente è stata evidenziata l’importanza delle informazioni

visive anche in condizioni dinamiche che richiedono riassetti

posturali rapidi.

Le afferenze osteo-articolari, miofasciali, visive, cutanee e

labirintiche devono cooperare strettamente per completare e

correggere l’analisi del rapporto tra il soggetto e l’ambiente e

permette risposte posturali adeguate (Guidetti, 1997).

Il Biofeedback training è una tecnica che usa il biofeedback per

insegnare al soggetto come controllare processi psicofisiologici

involontari mediante l’esercizio.

L’apparecchiatura di Biofeeedback raccoglie, amplifica e rimanda

al soggetto una serie di processi che avvengono nell’organismo.

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Come uno specchio, l’apparecchiatura di Biofeedback fornisce un

riflesso corretto, cioè preciso ed utilizzabile. Tale strumento non

ha alcun potere proprio di determinare un cambiamento: solo la

persona che lo utilizza ha la facoltà di controllare l’andamento del

parametro fisiologico registrato, nel nostro caso lo spostamento

controllato del Centro di Pressione del corpo.

L’obbiettivo non è tanto quello di produrre uno stato particolare,

ma più propriamente quello di facilitare l’auto-consapevolezza ed

il controllo di alcuni parametri.

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Capitolo 4

MATERIALI E METODI

4.1. LA STABILOMETRIA

La stabilometria è la

misura delle oscillazioni

del Centro di Pressione

del soggetto cioè del

punto di applicazione della

risultante delle forze in

gioco, rilevato a livello

della superficie d'appoggio

da una pedana di forza

(Dichgans et al., 1976)

(fig. 6).

(fig.6): Rapporti e correlazioni tra centro di massa e centro di pressione

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Il Centro di Pressione (Centre Of Pressure = COP) si sposta

normalmente di qualche millimetro intorno ad una posizione

media (calcolata sull’arco di tempo in esame), in modo tale da

disegnare un immaginario gomitolo sul piano orizzontale.

In condizioni di stazione eretta tranquilla, questo punto

corrisponde grossomodo alla proiezione del centro di massa

(centre of mass = COM ) del corpo sul piano di appoggio

(Gurfinkel,1973).

Il punto si trova tra i due

piedi, un po’ al davanti dei

malleoli, e giace quindi

all’interno della base di

appoggio del corpo

(Schieppati et al., 1994)

(Fig. 7).

(Fig.7): Proiezione del centro di gravità nel

poligono di sostegno e postura normale sul

piano sagittale (Bricot)

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Tipicamente tali variabili aumentano in condizioni di instabilità: si

dice che le oscillazioni del corpo aumentano (Diener e Dichgans,

1988).

Normalmente le oscillazioni aumentano chiudendo gli occhi, a

dimostrazione dell’esistenza e dell’ efficacia del feedback continuo

fornito dalla vista (Gagey, 1991).

Incrementi anormali delle oscillazioni si verificano in molte

condizioni patologiche, sia neurologiche che ortopediche (Horak,

2001; Nardone e Schieppati, 2004): evidentemente qualunque

disturbo della motricità non potrà che fare risentire i suoi effetti a

livello dell’unico punto in cui il corpo interagisce con il suo

ambiente, vale a dire a livello del suolo.

4.1.1. PEDANA STABILOMETRICA

La pedana stabilometrica è una basculla elettronica collegata ad

un computer che misura le posizioni successive del Centro di

Pressione del corpo. Il centro di pressione corrisponde al punto di

applicazione della somma delle forze di reazione che si

oppongono allo spostamento della piattaforma sotto l’effetto della

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massa corporea e dei suoi piccoli movimenti (Gurfinkel,1973;

Hugon, 1999) e solo con una certa approssimazione corrisponde

alla proiezione del baricentro al suolo.

La pedana stabilometrica usata nello studio è una Lizard con

sistema software versione 3.0. ed è composta da due piattaforme

separate per l’appoggio dei due piedi. Le emipedane affiancate

permettono di valutare il baricentro generale in rapporto ai singoli

baricentri del piede destro e sinistro.

Ogni piattaforma è composta da una superficie rigida che poggia

a terra mediante tre piedini (per la determinazione del piano)

ognuno dei quali contiene una sfera d’acciaio che trasmette le

forze agli estensimetri (calibri di forze) presenti nella pedana.

I rilevatori sono delle celle di carico e contengono una parte che

ha la caratteristica di variare le proprie proprietà elettriche al

variare della tensione (estensimetro). La sfera d’acciaio preme

sulla cella che, deformandosi, determina lo stiramento

dell’estensimetro.

Le celle di carico ricevono una debole alimentazione elettrica

tramite la stimolazione ottica che crea nella parte ricevente un

segnale di tipo elettrico.

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(Fig. 8): schema del processo di acquisizione ed elaborazione dei dati

durante l’esame stabilometrico

Essendo nota la corrente di alimentazione, il sistema è in grado di

misurare il carico applicato su ciascuna cella, misurando la

variazione della corrente in uscita da ciascuna di esse.

Il segnale in uscita, dopo essere stato amplificato, viene elaborato

dal computer che mostra i risultati dell’esame (Fig. 8) fornendone i

valori numerici e l’elaborazione grafica (Fig. 9).

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(Fig. 9 ): videata di acquisizione dei dati durante l’esame. Rappresenta

la ripartizione dei carichi su calcagno, 1° e 5° me tatarso. I valori sono

rappresentati in Kg. Con il totale per arto e la differenza di carico. Il

colore e la direzione dei triangoli sono spiegati nella legenda a lato. Il

baricentro ideale è rappresentato dalla croce verde e i cerchi gialli

indicano la posizione del baricentro generale e dei due arti. Le linee

rosse e verdi informano immediatamente sull’ampiezza

dell’oscillazione.

33

La campionatura del segnale è effettuata 10 volte al secondo (10

Hz) per cui durante la registrazione standard, che dura 51,2

secondi, si avranno 512 campionature per ogni esame.

Per poter confrontare i risultati ottenuti, è indispensabile che la

registrazione sia “normalizzata”, cioè standardizzata: posizione

dei piedi, assenza di rumori ambientali, bocca ed occhi aperti o

chiusi.

Il successo della stabilometria è condizionato dal fatto che lo

stesso compito assegnato a soggetti diversi venga compreso allo

stesso modo ed induca lo stesso comportamento. In genere si

suggerisce al paziente di restare in piedi, rilassato, con le braccia

lungo il corpo e guardare in avanti, mirando con lo sguardo un

punto distante circa 4 – 5 metri alla stessa altezza della linea bi

pupillare senza fissarlo (Gagey, 2000).

Sia il primo esame (valutazione pre trattamento) che il secondo

(valutazione post trattamento) sono la media di tre prove

consecutive.

Durante ogni singola prova si chiedeva al soggetto di restare in

posizione eretta rilassato, con lo sguardo fisso su un punto, in

normo-occlusione dentale per circa un minuto (51,2 sec.).

34

Per ottenere dei valori affidabili è molto importante fare attenzione

al posizionamento del paziente sulla pedana. Ai soggetti è stato

chiesto di salire sulla pedana senza scarpe, i piedi sono stati

posizionati secondo le indicazioni dell’apparecchiatura, utilizzando

come punti di riferimento, il tallone, il II° metat arso e la proiezione

della perpendicolare del malleolo esterno sulla superficie delle

piastre, secondo le linee di riferimento disegnate sulle piastre

della pedana.

Sulle due piattaforme sono disegnati dei triangoli e delle linee di

riferimento. La radice del secondo dito (testa del secondo

metatarso) e la linea mediana del calcagno di ciascun piede

devono essere allineati con la linea verticale, mentre la

perpendicolare al malleolo esterno deve cadere sulla linea obliqua

(Fig. 10).

35

(Fig.10): linee guida per il posizionamento del paziente

I carichi in situazioni ideali si leggono con valori perfettamente

identici perché in questa posizione le distanze dei punti di repere

anatomici dalle celle di rilevamento della pedana sono

proporzionali alle percentuali reali dei carichi, che sono: 1/6 per il

punto di appoggio esterno (V° metatarso), 2/6 per i l punto di

appoggio anteriore (I° metatarso) e 3/6 per il punt o di appoggio

posteriore (calcagno), secondo la distribuzione dei carichi di I. A.

Kapandji.

36

I carichi dati al 33% sono già condizionati da queste distanze e

dalla lunghezza del piede. Il piede, qualunque sia la sua misura è

posizionato in modo che il calcagno sia distante tre volte dal suo

rilevatore rispetto alle due volte dal I° metatarso e una volta dal V°

metatarso.

Per ottenere dei risultati attendibili e confrontabili è necessario,

pertanto, mantenere tali proporzioni, guidando il corretto

posizionamento dei piedi del soggetto sulle due piattaforme.

37

4.1.2 PARAMETRI STABILOMETRICI

Fig. 11: videata riassuntiva dell’esame stabilometrico con relativi parametri

Dell’esame stabilometrico abbiamo usato i seguenti parametri (fig.

11):

• La lunghezza delle oscillazioni del soggetto (lunghezza del

gomitolo), espressa in mm, che rappresenta la distanza

complessiva percorsa dal centro di pressione e fornisce molto

38

rapidamente una valutazione dell’energia spesa dal soggetto

per controllare la propria postura ortostatica (Vallier,1995).

• L’area del gomitolo , espressa in mmq, misura la dispersione

delle oscillazioni sul piano d'appoggio (Chiari et al., 2000). È la

superficie dell’ellisse di confidenza che contiene il 90% delle

posizioni campionate del centro di pressione( Takagi et al.,

1985). Esprime l’efficacia che ha il sistema posturale fine di

mantenere il centro di gravità vicino alla sua posizione media

di equilibrio. I valori di normalità sono da 50 mmq a 250 mmq

(Bertoldi, Burruano e altri); valori minori di 50 mmq possono

evidenziarsi in soggetti con accorciamento delle catene

muscolari, valori superiori a 250 mmq si osservano in soggetti

con problemi di controllo dell’equilibrio dovuto a problematiche

dei centri nervosi superiori.

• La varianza della velocità esprime il rapporto tra

accelerazioni e decelerazioni durante l’oscillazione. Più è alta,

maggiore è il disagio ed il dispendio energetico del paziente.

Più che il valore assoluto è interessante osservare se le

diverse condizioni di esame incrementano o diminuiscono

questo valore. È un indice del benessere perché indica la

39

presenza o meno dell’equilibrio tra i recettori del sistema

posturale. Un soggetto che si trova in equilibrio si sposta

lentamente ed avrà una varianza bassa, mentre uno che si

sposta a scatti avrà una varianza alta. Tutto ciò è legato alla

presenza o meno di armonia tra i suoi sistemi di controllo

posturale (Bertoldi, Burruano e altri).

La posturometria è la misura statistica della distribuzione del

carico del corpo sugli appoggi durante l’esame su pedana, i cui

parametri usati sono:

• Differenza tra i carichi podalici destri e sinistri : espressa

in percentuale del peso corporeo, si considera il 2% come

parametro di normalità.

• Angolazione teorica d’appoggio: esprime il grado medio

di rotazione del corpo, durante l’esame stabilometrico,

attraverso il campionamento dei valori pressori rilevati nei

tre punti di appoggio di ogni emipedana.

40

4.2. BIOFEEDBACK

Per lo svolgimento dell’esercizio di Biofeedback posturale

abbiamo usato la WII FIT balance board che è un sistema di gioco

elettronico posturale.

Si tratta di una pedana con tecnologia wireless che è in grado di

percepire il cambiamento della pressione esercitata su di essa

attraverso quattro sensori di carico posti ai quattro angoli della

stessa, la pedana è in grado di rilevare non solo il peso corporeo

dell’utente ma anche gli spostamenti del suo baricentro (fig.12).

Collegata tramite infrarossi alla console WII, quest’ultima

trasforma le variazioni di pressione in segnale visivo che arriva

allo schermo Tv.

I movimenti eseguiti dal soggetto hanno un riscontro in tempo

reale sullo schermo TV, permettendo dunque di controllare il

carico esercitato sulla pedana e quindi la correttezza

nell’esecuzione dell’esercizio.

41

(fig.12): pedana WII FIT balance board

Abbiamo deciso di utilizzare questo sistema di biofeedback

perché ha un aspetto ludico superiore ai classici programmi delle

pedane stabilometriche, perché economicamente parlando è

molto più accessibile e gestibile di altri sistemi biofeedback.

42

4.3. PROTOCOLLO DI LAVORO

Sono stati arruolati per lo studio 20 ragazzi tra i 14 e i 15 anni

praticanti attività sportiva agonistica (canottaggio) e sono stati

divisi casualmente in due gruppi di 10. I gruppi sono stati

normalizzati per sesso ed età.

Il 1° gruppo ha svolto come lavoro un esercizio di Stretching

Globale Attivo e il 2° gruppo ha eseguito un eserci zio di

Biofeedback posturale, entrambi della durata effettiva di 15 minuti.

Ogni soggetto ha una valutazione iniziale immediatamente prima

di effettuare il training posturale ed un valutazione finale

immeditamente dopo. Ogni valutazione è il risultato della media di

tre esami stabilometrici consecutivi.

Criteri di inclusione:

• Buono stato di salute generale;

• Assenza di dolori muscolo-scheletrici;

• Età compresa tra 14 e 15 anni.

• Sesso maschile.

Criteri di esclusione:

• Frattura da meno di 12 mesi;

• Interventi chirurgici, tatuaggi o incidenti da meno di 12 mesi.

43

4.4. ESERCIZIO DI STRETCHING GLOBALE

ATTIVO

4.4.1 POSIZIONE DI RANA AL SUOLO ( 5 MIN)

Partendo da una corretta posizione supina si arriva alla posizione

di rana al suolo con ginocchia flesse, anche abdotte e piante dei

piedi in contatto ed allungamento della catena muscolare

anteriore del braccio, effettuata appoggiando spalle, braccio,

avambraccio e dorso delle mani al suolo, in posizione di

extrarotazione (fig. 13).

Fig. 13 da: Lo Stretching Globale Attivo, Ph. E. Souchard

44

Il soggetto deve allineare il rachide, avvicinando il più possibile al

suolo il tratto lombare (con la contrazione concentrica del retto

addominale), le spalle e il tratto cervicale, coinvolgendo il tratto

superiore della catena muscolare posteriore.

La respirazione consigliata deve essere il più profonda e lenta

possibile, senza blocchi in inspirazione o in espirazione,

gonfiando l’addome durante l’inspirazione e sgonfiandolo durante

l’espirazione.

Lo scopo della respirazione in questa posizione è quello di

allungare la catena muscolare antero-inferiore e quella anteriore

del collo (tendine centrale che collega il rachide cervicale al

diaframma e all'asse viscerale), per mezzo di una contrazione

isotonica-eccentrica dei muscoli delle catene; infatti, attraverso il

mantenimento della rettilineizzazione del rachide, si annulla la

funzione lordosizzante dei muscoli respiratori principali e

secondari, fornendo loro un punto fisso necessario per

l’allungamento.

In particolare l’espirazione, effettuata contraendo il retto

addominale, ha il compito di mantenere il rachide allineato e

45

contribuire all’allungamento del diaframma e della catena

inspiratoria.

4.4.2. POSIZIONE DI RANA AL MURO (1 MIN)

Il soggetto si avvicina al muro appoggiandovi le tuberosità

ischiatiche e unendo le piante dei piedi (Fig 14).

Fig. 14 da: Lo Stretching Globale Attivo, Ph. E. Souchard

Con una spinta delle mani sulle ginocchia il soggetto avvicina il

più possibile gli arti inferiori al muro (Fig. 15). Tale spinta ha lo

scopo di coinvolgere muscoli adduttori dell’anca, iniziando così ad

allungare il tratto inferiore della catena muscolare posteriore.

46

Fig. 15 da: Lo Stretching Globale Attivo, Ph. E. Souchard

4.4.3. POSIZIONE INTERMEDIA DI ALLUNGAMENTO (3 MIN )

Mantenendo sempre i talloni uniti ed avvicinando le ginocchia il

soggetto inizia ad estendere gradualmente gli arti inferiori fino ad

una posizione tale da non provocare disagio (fig. 16); il guadagno

di movimento avviene sempre durante la fase di espirazione.

La respirazione continua ad essere rilassata e profonda; il

contatto del rachide al suolo deve essere sempre ricercato e

mantenuto.

Il soggetto rilassa i muscoli respiratori accessori (scaleni, SCOM)

e scapolo-toracici continuando ad effettuare una respirazione

addominale.

47

Fig.16 da: Lo Stretching Globale Attivo, Ph. E. Souchard

4.4.4. POSIZIONE FINALE DI ALLUNGAMENTO (6 MIN)

Allo scopo di agire sull’intera catena muscolare posteriore il

paziente estende gradualmente le ginocchia, ruota le anche in

leggera extrarotazione e pone le caviglie in flessione dorsale (Fig.

17); la graduale messa in tensione della catena muscolare

avviene sempre durante la fase espiratoria.

48

Lo scopo dell’esercizio è arrivare ad una posizione di massimo

allungamento evitando blocchi respiratori e compensi e

mantenerla per alcuni minuti.

Fig. 17 da: Lo Stretching Globale Attivo, Ph. E. Souchard

49

4.5. ESERCIZIO DI BIOFEEDBACK

POSTURALE

Una volta salito sulla bilancia elettronica WII FIT balance board il

soggetto deve spostare il proprio Centro di Pressione nelle quattro

direzioni con lo scopo di regolare l’inclinazione di un piano

basculante su cui sono poste delle palline.

Queste devono essere indirizzate all’interno di un foro presente

sulla superficie del piano (fig.18).

Fig. 18: videata di acquisizione dell’esercizio di Biofeedback

50

Ogni volta che il soggetto riesce a mandare tutte le palline

all’interno del foro entro un determinato tempo, passa al livello

successivo, in cui aumenta il numero di palline (fino ad un

massimo di otto) e la difficoltà relativa (Fig. 19).

Fig. 19: videata di acquisizione dell’esercizio di Biofeedback

Il soggetto deve evitare di far precipitare le palline dai bordi

modulando la pressione esercitata sulla pedana attraverso il

controllo del proprio Centro di Pressione.

51

Capitolo 5

RISULTATI

I dati raccolti sono stati elaborati con lo scopo di valutare le

eventuali modificazioni tra i valori misurati pre e post trattamento

sia intergruppo e che tra i due gruppi.

E’ stato utilizzato un valore di significatività statistica mediante test

“T di Student” con P < 0,05.

Risultati statisticamente significativi sono stati riscontrati nelle

differenze intergruppo riferibili alle percentuali dei carichi

podalici destro e sinistro (tabella 2 e grafico 1) e

all’angolazione teorica d’appoggio (tabella 3 e grafico 2). Per gli

altri parametri indagati non sono state evidenziate differenze

statisticamente significative.

52

DIFFERENZA % DEI CARICHI PODALICI DS/SN S.G.A. BIOFEEDBACK

PRE

TRATTAMENTO POST

TRATTAMENTO PRE

TRATTAMENTO POST

TRATTAMENTO Numerosità campione 10 10 10 10

Media 3,21 1,61 3,08 1,94 Dev. standard 1,50 1,15 1,38 0,93

t 2,66 2,16 gradi di libertà 18 18

P (livello di significatività) 0,0157 0,0445

Tabella 2. Differenza percentuale dei carichi podalici ds/sn

DIFFERENZA % DEI CARICHI PODALICI DS/SN

0

1

2

3

4

5

PRE POST

S.G.A.

Biofeedback

Grafico 1. Differenza % dei carichi podalici ds/sn

La tabella e il grafico illustrano la riduzione della media generale

della differenza di peso sui due arti da 3,2 % a 1,6% nel gruppo

S.G.A. (Stretching Globale Attivo) e dal 3,1 % al 1,9 % nel gruppo

biofeedback. Non sono risultati significativi i confronti tra i due

gruppi.

53

ANGOLAZIONE TEORICA D'APPOGGIO IN GRADI

S.G.A. BIOFEEDBACK

PRE

TRATTAMENTO POST

TRATTAMENTO PRE

TRATTAMENTO POST

TRATTAMENTO Numerosità campione 10 10 10 10

Media 4,35° 2,27° 3,71° 2,47° Dev. standard 1,58 1,46 2,40 2,35

t 3,05 1,16 gradi di libertà 18 18

P (livello di significatività) 0,0069 0,2593

Tabella 3. Angolazione teorica d'appoggio in gradi

ANGOLAZIONE TEORICA D'APPOGGIO IN GRADI

1

2

3

4

5

PRE POST

S.G.A.

Biofeedback

Grafico 2. Angolazione teorica d'appoggio in gradi

La tabella e il grafico illustrano la riduzione della media generale

dell’angolazione teorica d’appoggio da 4,3° a 2,2° nel gruppo

SGA e da 3,7° a 2,5° nel gruppo Biofeedback.

Le differenze pre e post Biofeedback non sono significative.

Non sono risultati significativi i confronti tra i due gruppi.

54

Capitolo 6

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Nel primo gruppo di studio, in cui abbiamo lavorato principalmente

sulla sensibilizzazione propriocettiva e sul coinvolgimento

simmetrico delle strutture miofasciali attraverso lo Stretching

Globale Attivo, si è osservata sia la riduzione delle differenze di

appoggio tra carico destro e sinistro, sia la riduzione dell’angolo di

rotazione del corpo.

Nel secondo gruppo, in cui abbiamo lavorato sul controllo

dinamico del centro di pressione del corpo con esercizi di

biofeedback posturale, si è ridotta la differenza dei carichi tra gli

arti destro e sinistro, ma non si è ridotta significativamente la

rotazione teorica di appoggio.

I risultati ottenuti sono dovuti, secondo noi, ad un adattamento del

sistema tonico posturale alla stimolazione delle afferenze

propriocettive.

Osservando i dati raccolti non siamo in grado di indicare quale sia

il metodo più efficace: se è vero che entrambi i metodi hanno dato

55

risultati sovrapponibili è vero anche che il biofeedback

richiederebbe una valutazione aggiuntiva che permettesse lo

studio delle dinamiche di controllo del centro di pressione del

corpo e delle strategie anticipatorie a feedforward tipiche di uno

sport come il canottaggio. Il canottiere infatti deve essere in grado

di modificare la propria posizione nello spazio mantenendo un

corretto allineamento del corpo anche nel caso di improvvisi

cambiamenti dell’ambiente esterno (vento, sbilanciamento di un

compagno, etc) o in condizioni di perturbazioni prevedibili.

Vista la scarsa letteratura esistente su questo specifico

argomento non possiamo confrontare i risultati del nostro lavoro

con altri dati statistici e pertanto averne conferma o smentita.

In conclusione i metodi di lavoro utilizzati nel nostro studio

risultano favorevoli all’ottenimento di un’equilibrata distribuzione

del carico ponderale e ad un ottimale assetto rotatorio

dell’appoggio in stazione eretta, anche se sono viziati da alcuni

limiti metodologici, tra cui la scarsità della casistica e l’assenza di

un follow up.

Infine possiamo ipotizzare che i risultati ottenibili mediante

l‘utilizzo dei due metodi di lavoro abbiano un valore preventivo

56

contro gli infortuni nella pratica agonistica del canottaggio

favorendo una migliore performance sportiva.

57

B I B L I O G R A F I A

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