CAPITOLO 2. IL LIBRO DI LETTURA CHE NON C’È 2.1....

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CAPITOLO 2. IL LIBRO DI LETTURA CHE NON C’È 2.1. Andando controcorrente Volendo porsi in una posizione critica nei riguardi degli attuali prodotti editoriali scolastici, e in particolare dei sussidiari dei linguaggi, è anche necessario cominciare a immaginare delle possibili strade alternative. Da diversi anni ci rifletto, e di strade da percorrere finora ne vedo due: una certamente non nuova ma sempre valida e attuabile, ossia quella della scelta alternativa al libro di testo, di cui ciascun docente si può avvalere fin dal 1977 (introdotta dalla legge 517 di quell’anno); l’altra, invece, essenzialmente rivolta a un cambiamento di rotta radicale nel mondo stesso dell’editoria scolastica 1 . Il punto di partenza comune a entrambe le strade sta in un atteggiamento di consapevolezza e non di passività da parte degli insegnanti: sono proprio loro a doversi accorgere, per primi, dell’effettiva assenza del libro di lettura scolastico . Probabilmente, se diminuissero in massa le adozioni dei libri di testo dell’area linguistico-espressiva, le case editrici si fermerebbero a riflettere e a riformulare, o meglio, a “riconfigurare” gli obiettivi a cui dovrebbero rispondere le proposte editoriali. Quindi le due strade dovrebbero incrociarsi: la prima dovrebbe confluire nella seconda, che è successiva ma che andrebbe a collocarsi in un percorso davvero tutto nuovo di ideazione e di realizzazione editoriale. Il nodo centrale della questione non potrà sciogliersi finché la situazione di generale accettazione verso gli attuali libri dell’area linguistica non subisca uno scossone: bisogna andare controcorrente, con tutte le difficoltà che una scelta simile comporta: bisogna andare controcorrente e tenere testa agli “attacchi conservatori”. Ecco perché è indispensabile anche la formulazione di un buon piano di formazione in servizio per docenti e dirigenti: una formazione che contempli la conoscenza della letteratura per l’infanzia (della sua storia e dei suoi sviluppi contemporanei) quale obiettivo irrinunciabile della nostra scuola, anzi delle nostre scuole, sia al di qua sia al di là della cattedra… se proprio debba ancora esistere una cattedra. Si può andare controcorrente soltanto se si è forti delle proprie convinzioni: e la forza di una convinzione non può che nascere e crescere grazie alla conoscenza, alla ricerca, allo studio, a un atteggiamento critico e, nel contempo, propositivo. 1. 2. La scelta alternativa al libro di testo: da straordinaria a ordinaria Le mie ricerche in internet hanno confermato un’idea che mi sono fatta col tempo sul campo (ossia lavorando a scuola): la scelta alternativa al libro di testo, sebbene abbia già dietro di sé una storia ultratrentennale, si presenta ancora oggi come qualcosa di straordinario; sono davvero pochi i docenti che la attuano e che la “difendono”. Sull’argomento, inserendo una decina di combinazioni di parole chiave in un motore di ricerca, ho trovato solamente una gran quantità di elenchi di libri di testo adottati da scuole di ogni ordine e grado: i siti a cui venivo indirizzata erano infatti, prevalentemente, appartenenti a scuole; pochi altri erano siti di associazioni sindacali o di agenzie formative, nei quali però sono riuscita a leggere soltanto il testo della legge 517 del 1977; mancavano risultati inerenti a discussioni e, quindi, riconducibili a un discorso critico. Dunque, i risultati che ho ottenuto dalla mia ricerca, avendo anche un carattere parziale 2 , sono stati fallimentari: non ho trovato nessuna argomentazione, né a favore né a sfavore, sulla scelta alternativa ai libri di testo scolastici; neppure l’ombra di un articolo di giornale. L’unico risultato rispondente alle mie aspettative (escludendo il testo della legge 517, che già conoscevo bene) è il testo integrale di una tesi di laurea di qualche anno fa: ma si tratta di un discorso che resta comunque “chiuso” nell’ambito universitario; la mia speranza è che si riesca, invece, ad applicare la ricerca alla realtà, collocando interessi e studi specialistici in campi d’indagine più ampi. La stampa quotidiana, ad esempio, per quello che sono riuscita a trovare tramite la mia ricerca, si interessa ai libri di testo da un punto di vista esclusivamente quantitativo ed economico, correlato all’emanazione di decreti legge o circolari ministeriali. Ma perché la scelta alternativa al libro di testo dell’area linguistica dovrebbe trovare maggiore adesione da parte dei docenti? Quali sono i motivi che spingono quegli ancora pochi e temerari insegnanti a non adottare un unico libro per i propri alunni ma a servirsi di libri e materiali differenti nella prassi didattica? 1 Legge 517/1977, Titolo I comma 5: “Per le classi di scuola elementare, che svolgono sperimentazioni autorizzate dal collegio dei docenti ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 419, ovvero autorizzate ai sensi dell'articolo 3 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica qualora siano previste forme alternative all'uso del libro di testo è consentita l'utilizzazione della somma equivalente al costo del libro di testo per l'acquisto da parte del consiglio di circolo di altro materiale librario, secondo le indicazioni bibliografiche contenute nel progetto di sperimentazione.” 2 L’argomento definito dalle parole chiave da me inserite è la “scelta alternativa al libro di testo”, ma la maggioranza dei risultati verteva soltanto sui “libri di testo scelti”.

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CAPITOLO 2. IL LIBRO DI LETTURA CHE NON C’È

2.1. Andando controcorrente

Volendo porsi in una posizione critica nei riguardi degli attuali prodotti editoriali scolastici, e in particolare dei sussidiari dei linguaggi, è anche necessario cominciare a immaginare delle possibili strade alternative. Da diversi anni ci rifletto, e di strade da percorrere finora ne vedo due: una certamente non nuova ma sempre valida e attuabile, ossia quella della scelta alternativa al libro di testo, di cui ciascun docente si può avvalere fin dal 1977 (introdotta dalla legge 517 di quell’anno); l’altra, invece, essenzialmente rivolta a un cambiamento di rotta radicale nel mondo stesso dell’editoria scolastica1. Il punto di partenza comune a entrambe le strade sta in un atteggiamento di consapevolezza e non di passività da parte degli insegnanti: sono proprio loro a doversi accorgere, per primi, dell’effettiva assenza del libro di lettura scolastico. Probabilmente, se diminuissero in massa le adozioni dei libri di testo dell’area linguistico-espressiva, le case editrici si fermerebbero a riflettere e a riformulare, o meglio, a “riconfigurare” gli obiettivi a cui dovrebbero rispondere le proposte editoriali. Quindi le due strade dovrebbero incrociarsi: la prima dovrebbe confluire nella seconda, che è successiva ma che andrebbe a collocarsi in un percorso davvero tutto nuovo di ideazione e di realizzazione editoriale.

Il nodo centrale della questione non potrà sciogliersi finché la situazione di generale accettazione verso gli attuali libri dell’area linguistica non subisca uno scossone: bisogna andare controcorrente, con tutte le difficoltà che una scelta simile comporta: bisogna andare controcorrente e tenere testa agli “attacchi conservatori”. Ecco perché è indispensabile anche la formulazione di un buon piano di formazione in servizio per docenti e dirigenti: una formazione che contempli la conoscenza della letteratura per l’infanzia (della sua storia e dei suoi sviluppi contemporanei) quale obiettivo irrinunciabile della nostra scuola, anzi delle nostre scuole, sia al di qua sia al di là della cattedra… se proprio debba ancora esistere una cattedra. Si può andare controcorrente soltanto se si è forti delle proprie convinzioni: e la forza di una convinzione non può che nascere e crescere grazie alla conoscenza, alla ricerca, allo studio, a un atteggiamento critico e, nel contempo, propositivo.

1. 2. La scelta alternativa al libro di testo: da straordinaria a ordinaria

Le mie ricerche in internet hanno confermato un’idea che mi sono fatta col tempo sul campo (ossia lavorando a scuola): la scelta alternativa al libro di testo, sebbene abbia già dietro di sé una storia ultratrentennale, si presenta ancora oggi come qualcosa di straordinario; sono davvero pochi i docenti che la attuano e che la “difendono”. Sull’argomento, inserendo una decina di combinazioni di parole chiave in un motore di ricerca, ho trovato solamente una gran quantità di elenchi di libri di testo adottati da scuole di ogni ordine e grado: i siti a cui venivo indirizzata erano infatti, prevalentemente, appartenenti a scuole; pochi altri erano siti di associazioni sindacali o di agenzie formative, nei quali però sono riuscita a leggere soltanto il testo della legge 517 del 1977; mancavano risultati inerenti a discussioni e, quindi, riconducibili a un discorso critico. Dunque, i risultati che ho ottenuto dalla mia ricerca, avendo anche un carattere parziale2, sono stati fallimentari: non ho trovato nessuna argomentazione, né a favore né a sfavore, sulla scelta alternativa ai libri di testo scolastici; neppure l’ombra di un articolo di giornale. L’unico risultato rispondente alle mie aspettative (escludendo il testo della legge 517, che già conoscevo bene) è il testo integrale di una tesi di laurea di qualche anno fa: ma si tratta di un discorso che resta comunque “chiuso” nell’ambito universitario; la mia speranza è che si riesca, invece, ad applicare la ricerca alla realtà, collocando interessi e studi specialistici in campi d’indagine più ampi. La stampa quotidiana, ad esempio, per quello che sono riuscita a trovare tramite la mia ricerca, si interessa ai libri di testo da un punto di vista esclusivamente quantitativo ed economico, correlato all’emanazione di decreti legge o circolari ministeriali.

Ma perché la scelta alternativa al libro di testo dell’area linguistica dovrebbe trovare maggiore adesione da parte dei docenti? Quali sono i motivi che spingono quegli ancora pochi e temerari insegnanti a non adottare un unico libro per i propri alunni ma a servirsi di libri e materiali differenti nella prassi didattica?

1 Legge 517/1977, Titolo I comma 5: “Per le classi di scuola elementare, che svolgono sperimentazioni autorizzate dal collegio dei docenti ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 419, ovvero autorizzate ai sensi dell'articolo 3 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica qualora siano previste forme alternative all'uso del libro di testo è consentita l'utilizzazione della somma equivalente al costo del libro di testo per l'acquisto da parte del consiglio di circolo di altro materiale librario, secondo le indicazioni bibliografiche contenute nel progetto di sperimentazione.”2 L’argomento definito dalle parole chiave da me inserite è la “scelta alternativa al libro di testo”, ma la maggioranza dei risultati verteva soltanto sui “libri di testo scelti”.

La ragione principale è da rintracciare nella volontà di non uniformare ma di dare accoglienza e cittadinanza ai modi di imparare e di leggere di ciascun bambino: è da qui che parte la programmazione didattica dell’insegnante che ha voglia di mettersi in gioco e di calibrare, perciò, le sue proposte sul tipo di classe con cui si trova a lavorare. Lavorando sul sussidiario dei linguaggi, o anche sugli altri libri dell’area linguistica per le classi prime, seconde e terze, l’insegnante in pratica che cosa fa? Si pone come tramite fra il libro e la classe intera: gli apprendimenti dei bambini “si formano” su “quel” libro, prendendo come riferimento unico “quel” linguaggio. Il compito fondamentale dell’insegnante consiste, in tal caso, nel far entrare i bambini in “quelle” pagine, rendendole accessibili e comprensibili a tutti. Ma non stiamo parlando di un libro di testo che tratta di argomenti scientifici, storici o geografici: il libro di testo in questione è un libro che, come abbiamo visto, è andato a sostituire il vecchio “libro di lettura” e che, comunque (nonostante i grossi cambiamenti strutturali), conserva una selezione antologica di testi letterari. Allora bisognerebbe domandarsi se sia giusto che tutti i bambini di una classe siano costretti a leggere gli stessi testi, tenendo anche presente che è prassi consolidata tra gli insegnanti, ormai, che la lettura si svolga quasi esclusivamente a voce alta, alternando gli alunni lettori e dando loro la consegna di “tenere il segno”. Qual è, essenzialmente, l’intento del docente che mette in pratica una lettura del genere in classe? Si tratta, nella maggior parte dei casi, di un intento valutativo: il maestro che fa “eseguire” ai propri alunni una lettura-cantilena vuole “assegnare un voto” alla loro abilità di lettura espressiva… un voto che solamente in pochi casi, in genere, risulta alto, visto il carattere alienante che l’attività stessa viene ad assumere dopo appena i primi dieci minuti. Non lavorando sul libro di italiano, al contrario, l’insegnante costruisce insieme ai propri alunni, giorno per giorno, le abilità linguistiche, e dà valore al piacere della lettura. Invece di avere a che fare con la selezione antologica di un unico libro di testo, l’insegnante che fa la scelta alternativa costruisce insieme ai propri alunni la biblioteca di classe: ciò significa che lui stesso, per primo, porta in classe, e sistema in libreria (basta un semplice scaffale a norma), il suo patrimonio librario, oltre ovviamente ad utilizzare le cedole librarie per l’acquisto di libri e altri materiali alternativi al libro di testo; ma significa anche che con il tempo riesce a stimolare i bambini e i loro genitori a scegliere e comprare libri, fumetti, albi illustrati e giornalini, facendoli portare in classe per arricchire sempre di più la biblioteca. Io ho fatto questa scelta, in maniera radicale e palese, a partire dall’anno scolastico in corso: mi ci sono voluti quattordici anni di insegnamento di ruolo più cinque di insegnamento precario per arrivare a sposare completamente le ragioni della scelta alternativa. Ma è stata una scelta maturata pian piano e con la quale ho simpatizzato da subito: dai tempi delle prime supplenze a oggi la mia curiosità e il mio interesse verso la letteratura per l’infanzia sono cresciuti e si sono intrecciati alla curiosità che, di pari passo, ho sempre avuto nei confronti dei libri di testo; così è nata e si è sviluppata, anno dopo anno, la mia passione per i libri per bambini; ed è esattamente così, quindi, che mi sono progressivamente allontanata dalla gran quantità di testi scolastici che ha invaso le scuole. I libri di testo, compresi i volumi o le appendici di “riflessione linguistica” facenti parte dei vari “libri per la prima classe”, “sussidiari” e “sussidiari dei linguaggi”, conservano da decenni una scansione annuale degli argomenti e dei concetti: scansione che non so esattamente da dove provenga, ma che so di sicuro quanto mi rende difficile lo scambio proficuo di esperienze didattiche con la maggioranza dei colleghi. Non sta scritto né nei Programmi dell’85 né nelle Indicazioni per il curricolo del 2007 che alla fine della prima gli alunni debbano sapere che “il” si chiama “articolo determinativo” e “un” “articolo indeterminativo”, o che in terza si debbano imparare a memoria le tre coniugazioni più quella del verbo essere e quella del verbo avere, o che in quinta si debbano conoscere tutte le definizioni che la grammatica normativa impone per la nostra lingua… tutte! Non importa se la maggior parte degli allievi non capisce che cosa sta memorizzando: e intanto viene quasi del tutto ignorata la linguistica moderna, quella che dalla seconda metà del Novecento a oggi ha modificato parecchio l’impostazione didattica delle lingue, ponendosi su un piano non più normativo ma, essenzialmente, riflessivo. Basta prenderli in mano e sfogliarli: i libri di testo dell’area linguistica si portano dietro da sempre una marea di definizioni seguite da tutta una serie di esercizi esecutivi per i quali non si deve far altro che dimostrare di ricordare o di rileggere le definizioni preconfezionate. Ora immaginiamo uno scenario completamente diverso da quello abituale: libri di testo per la scuola primaria (ma anche per la scuola secondaria di primo grado) finalmente alleggeriti nei “contenuti disciplinari”. Che cosa dovrebbe (e non soltanto potrebbe) succedere? Dovremmo assistere a un’inversione di tendenza dei comportamenti sia degli insegnanti che dei genitori: l’insegnante tornerebbe a fare l’insegnante sul serio, e il genitore smetterebbe di “misurare” le conoscenze del figlio basandosi sulla quantità di argomenti presenti sui libri… e perderebbe il vizio di giudicare l’insegnante, di quantificarne la “bravura” rapportandola al numero di pagine fatte studiare agli alunni. È da anni che sono convinta che si debba restituire agli insegnanti la responsabilità di costruirsi un proprio percorso educativo-didattico: i libri di testo, e via via anche le guide didattiche, sono diventati sempre più ingombranti con le loro “proposte di lavoro” o “piste didattiche”, con i loro “suggerimenti operativi”… Hanno provocato un progressivo e diffuso allontanamento dell’insegnante da quello che è, invece, il proprio ruolo, fondamentale, di ricerca-azione. Non si facilita il mestiere dell’insegnante fornendo indicazioni, dritte e percorsi per qualsiasi argomento: così facendo, gli insegnanti vengono considerati incapaci di decidere in autonomia e di crearsi, dunque, i propri percorsi didattici. E allora, se davvero “incapaci” lo siamo diventati, forse è arrivato il momento di agire veramente sulla formazione, per sradicare certe cattive abitudini, certe tendenze, certe mode: ripeterlo non guasta.

Si potrebbe incominciare, ad esempio, con un’opera di promozione della lettura di alcuni libri fondamentali, a mio parere, per la cultura di qualsiasi docente: perché non ripartire da Mario Lodi con Il paese sbagliato3? O da Gianni Rodari con la Grammatica della fantasia4? Vorrebbe dire, decisamente, andare controcorrente, perché si tratterebbe di riscoprire il fascino della relazione educativa, dell’apprendimento cooperativo, della scrittura collaborativa, creativa ma anche “costruttiva” (in quanto finalizzata a costruire testi che vengano poi letti, utilizzati, riletti…): fascino messo in ombra, e in molti casi distrutto, da un uso pedissequo, formale e impersonale del libro di testo. Un’altra lettura coinvolgente e convincente potrebbe essere quella dell’opera del Freinet, le cui tecniche per la scrittura del lesto libero e per la socializzazione dei testi scritti dagli alunni dovrebbero finalmente diventare routine: e non significherebbe assolutamente tornare indietro nel tempo, bensì progredire grazie a delle intuizioni e a delle sperimentazioni che già un secolo fa riuscivano a porre l’alunno al centro del processo di apprendimento. E perché non continuare con La scuola anti trantran5 di Maria Luisa Bigiaretti? Anche qui si leggono tutta la passione e l’entusiasmo di una maestra (rodariana convinta) per una scuola attiva, dove i bambini, guidati (ma non diretti) dagli insegnanti, siano effettivamente protagonisti della scena educativo-didattica: il segreto sta tutto nel riuscire, noi docenti, ad abbandonare il ruolo di attore che primeggia, per vestire invece i panni del regista, che senza dirigere sappia accompagnare, guidare verso la scoperta e l’acquisizione, stimolare curiosità e insinuare dubbi… Come ho accennato nel precedente capitolo6, ho avuto modo di conoscere personalmente Maria Luisa Bigiaretti durante un seminario di studi sulla poesia organizzato dalla Città Educativa di Roma. Ecco i ricordi più belli di quell’incontro: una stretta di mano sincera, un augurio fatto di parole semplici e incoraggianti, una gran quantità di libri, libricini, libretti e manifesti realizzati dai suoi alunni, che la maestra aveva portato al seminario quale “prova schiacciante” delle proprie convinzioni. Mentre ammiravo la bellezza e la raffinatezza di quei libri costruiti dalle varie classi della maestra Maria Luisa, specialmente da quelle degli anni Sessanta-Settanta, pensavo a quanto lontano ancora siamo, noi insegnanti del Duemila, dal concepire la scuola come reale “ambiente educativo di apprendimento” (lo recitavano i Programmi del 1985).

Andando controcorrente, dunque, si incontrano di sicuro ostacoli e resistenze: ma è il solo modo che conosco (per ora) per contrastare la scuola del nozionismo, delle banalità, della trasmissione delle conoscenze, dell’assuefazione a modelli dati. Sebbene abbia deciso solo a partire da quest’anno di effettuare la scelta alternativa al libro di testo, io mi ero liberata dal peso di quel genere di libro, in effetti, già dal primo anno di insegnamento di ruolo: non l’ho mai utilizzato come lo vedevo utilizzare da tante colleghe (c’è addirittura, tuttora, chi lo considera una “bibbia”), ma ho da subito seguito l’esempio di quei pochi colleghi che invece puntavano tutto sull’attivismo. Riflettendo sulle esperienze passate vissute da maestra, ho capito che per me gli incontri sono stati fondamentali quanto le letture e gli studi fatti individualmente: mi rendo conto che è proprio grazie a tale intreccio tra esperienze di lavoro, studi, ricerche e letture che mi son potuta liberare di una zavorra così ingombrante come quella del libro di testo di italiano.

Lavorando senza “l’assillo” del libro di testo (se gli alunni lo hanno sei comunque portato, tu docente, a prenderlo in considerazione, seppure controvoglia), si ha il tempo per far esprimere ciascun bambino, individualmente, in piccoli gruppi di lavoro e anche collettivamente, e per realizzare quindi giornalini e libri di classe che si pongono come autentici documenti della vita scolastica: il materiale stesso prodotto dagli alunni con i propri insegnanti diventa, come già Bruno Ciari e Mario Lodi (sotto l’influenza del Freinet) affermavano, il vero “libro di lettura” della classe. La lettura viene facilmente stimolata dal fatto stesso che i bambini si sono impegnati nella scrittura proprio per “essere letti” dai compagni; e ovviamente vale anche il ragionamento inverso, e cioè che più aumenta l’interesse verso i testi prodotti dai bambini, più cresce anche la voglia di scrivere. Se si lavora seguendo il libro di testo, il tempo per le attività di scrittura collaborativa, per la costruzione di storie, filastrocche, libri, libretti e giornalini non si ha, e la cultura resta statica in quanto non si muove dalle pagine del libro. Il dinamismo si ottiene, al contrario, con il comportamento esplorativo dei bambini, con l’attuazione continua di scelte, con la lettura di libri diversi: si ottiene anche la costruzione di gusti letterari personali.

Tornando alla mia esperienza di docente, vorrei riportare un esempio concreto di costruzione del gusto per la lettura e delle abilità linguistiche: fra i documenti realizzati e conservati negli anni, ho scelto alcune fotografie scattate tre anni fa ai bambini della mia attuale classe mentre erano impegnati in un lavoro di gruppo. Sebbene sia impossibile trasferire su un file tutto il movimento delle intelligenze e delle creatività che si attiva in classe quando i bambini non eseguono compiti ma scoprono e costruiscono in un clima di collaborazione e di comunicazione, le foto sono comunque rappresentative di un tipo di scuola attiva che non opera seguendo il libro di testo di italiano: gli alunni (in tal caso di prima) sono liberi di leggere, recitare, rileggere, disegnare o riscrivere le scene che più hanno

3 LODI M., Il paese sbagliato, Einaudi, Torino, 1970 e 1995. 4 RODARI G., Grammatica della fantasia, Einaudi Ragazzi, Trieste, 1997 (prima edizione di Einaudi: 1973). 5 BIGIARETTI M. L., La scuola anti trantran, Nuove Edizioni Romane, Roma, 2006. 6 Cfr. p. 7, nota 3.

gradito di un libro, e scrivere opinioni; con i loro disegni, le loro trascrizioni dei “pezzi più belli” e le loro prime riflessioni critiche costruiscono pian piano dei libricini di gruppo…

Filippo S. è intento a disegnare una scena della storia letta, mentre Alessandro S. rilegge il libricino…

Valentina V., Gianluca V. e Giorgia N. disegnano e rileggono meglio alcune scene del loro libricino…

Andrea disegna, Alessandro B. rilegge, Carlotta rilegge perché vuole scrivere un testo critico…

Alessandro S. e Filippo S. mostrano il loro libricino finito.

I primi libricini realizzati in gruppocostituiscono una

preziosa testimonianza della storia della classe:

ancora oggi, in quarta, vengono sfogliati e riletti volentieri.

Che fatica, però, scrivere! Forza, Yuri! E tu, Ilaria? Sei così assorta nella lettura…

In genere, i lavori di gruppo svolti per la realizzazione di un giornalino di classe e per la costruzione di libri e libricini hanno un effetto positivo durevole sul piacere di leggere e, insieme, sul piacere di scrivere: se la scelta alternativa al libro di testo da straordinaria diventasse ordinaria, allora davvero in tutte le classi delle scuole primarie si “troverebbe” il tempo per amare la lettura e i libri e per appassionarsi, intanto, anche alla scrittura.

2. 3. L’ideazione di una vera e propria antologia per la scuola primaria

La seconda strada da percorrere per liberarsi degli aspetti didascalici che contraddistinguono i libri di testo dell’area linguistica per la scuola primaria è tutta “in mano” all’editoria: sono proprio le case editrici ad avere, infatti, la facoltà di cambiare le carte in tavola; ma per poterlo fare con oculatezza dovrebbero collaborare con esperti di letteratura per l’infanzia, quali ad esempio i professori universitari che insegnano questa materia. Ecco, dunque, come l’idea di condivisione di un progetto pedagogico-editoriale risulti fondamentale ai fini di un rinnovamento, di una radicale trasformazione dei libri di testo in questione. Da dove cominciare? Innanzitutto, non si può non tener conto del contributo di ricerche e studi del Movimento di Cooperazione Educativa, che fin dagli anni Cinquanta, e in modo particolare negli anni Sessanta, ha offerto indicazioni di proposte alternative alla didattica uniforme del libro di testo unico, la quale produce assuefazione a modelli e schemi preconfezionati bloccando di fatto l’autonomia del pensiero critico e divergente. Si può partire proprio dalle parole di Bruno Ciari, che conservano, a distanza di quarant’anni, una grande attualità. Un libro che offra a tutti i bambini di una classe le stesse letture, le stesse immagini, non avrebbe senso non solo nell’ambito di una didattica di avanguardia, ma neanche secondo i programmi del 1955 per la scuola primaria, che non prevedono alcuna uniformità nell’apprendimento del leggere, che non indicano mai esercizi collettivi, e che consi-gliano invece, non appena i fanciulli abbiano conseguito la possibilità di intendere semplici frasi, “l’avviamento alle libere letture”. I programmi insistono inoltre sulla necessità che “l’insegnante incoraggi i fanciulli a letture adatte a ciascuno di essi.” Queste considerazioni porterebbero logicamente a negare ogni validità al “testo unico” di lettura, che dovrebbe essere sostituito da ricchi schedari, ordinati secondo la crescente complessità delle frasi e dei racconti, e da album e libri svariati, che costituirebbero la biblioteca di classe. A questo obiettivo si dovrà prima o poi pervenire. Ma il deperimento del “testo unico” e la sua eliminazione non potranno aver luogo prima che si sia verificato un lar-ghissimo (se non totale) rinnovamento metodologico, e non prima che si siano approntati gli strumenti che dovranno sostituire il vecchio libro di lettura. Dovrà passare del tempo prima che queste condizioni maturino. Il fanciullo dovrebbe essere innanzitutto, lui stesso, autore di carta stampata. Il pensiero del fanciullo (potremmo dire il pensiero in generale) è di natura spiccatamente sociale: non nasce e non si sviluppa se non in vitali rapporti di comunicazione, prima con la madre e poi con gli altri familiari, e via via dilatando-

si in una sfera sociale più vasta, in una serie di rapporti da cui attinge le sue forme lessicali e sintattiche: non si mani-festa davvero se non in una vera situazione sociale; la sua destinazione, quindi, non è solo il maestro (magari perché egli scruti il prodotto infantile, valuti, corregga, emetta un verdetto) ma sono gli amici della classe, quelli di altre clas-si vicine o lontane, tutto il mondo sociale che sta intorno alla scuola. Soltanto in questo contesto il parlare (oralmente o per iscritto) e il leggere hanno senso autentico. È per questo che sono state ideate tecniche didattiche come il testo li-bero, la corrispondenza, il giornalino scolastico e altre che hanno teso a promuovere la testimonianza genuina e non superficiale dell’esperienza infantile, sia questa individuale o di gruppo. Per noi il libro di lettura dev’esser libro di lettura, punto e basta. Ogni aspetto di intenzionalità didascalica dovrebbe esser bandito dai testi. Invece, il libro di prima classe è un ibrido, in cui la prima parte è tutta dedicata alla tecnica mi-nuta (al meccanismo) dell’imparare a leggere e scrivere (e talora a “far di conto”). Siccome non c’è mai uno stacco netto tra la prima e la seconda parte, gli intenti didascalici pervadono gran parte del libro. A nostro parere, bene farebbero le case editrici ad accompagnare il libro di lettura con una ricca busta di sussidi… essa dovrebbe essere improntata a criteri di elasticità; non dovrebbe dare cioè le linee obbligate di un procedimento didattico, ma fornire un materiale copioso di figure di animali e piante, persone, strumenti e macchine, ecc., accompa-gnate dai relativi nomi espressi in tutte le grafie e stampati su cartoncino; lettere singole (sempre su cartoncini), com-positoi in cartone, buste o scatole per raccogliere tutto questo materiale… Il libro di lettura potrebbe avere inizio con vere e proprie “storie per immagini”, che si presentano come una sequenza di pagine che illustrano lo svolgersi dell’azione. Sulla base di questa sequenza il bambino racconta la storia, aggiunge, inventa, cioè si esprime oralmente. Pian piano alle pure immagini dovrebbero aggiungersi brevissime didascalie….Via via che si procede, il peso del testo scritto dovrebbe aumentare progressivamente, sempre rimanendo fondamentale il ruolo dell’immagine, di cui la scrit-tura non è che un commento. Piano piano si arriva al punto in cui immagine e testo scritto si equilibrano; più tardi l’il-lustrazione costituirà il commento al testo stampato.7 I suggerimenti di Ciari, qui, si riferiscono al libro per la prima classe: li trovo illuminanti… Finora nessuna casa editrice li ha mai presi seriamente in considerazione: anche l’idea della “ricca busta di sussidi” che non fornisca “le linee obbligate di un procedimento didattico” è stata sempre sottovalutata. Paradossalmente, i libri per la lingua inglese, invece, fin dalla prima classe si presentano in modo molto simile a quelli idealmente descritti da Ciari: sarà forse perché gli ideatori, nella maggioranza dei casi, non sono italiani ma anglosassoni? Addirittura, nei libri d’inglese trovano largo spazio i fumetti, che non riescono proprio ad entrare, ancora, a pieno titolo tra le pagine dei libri di italiano. Anche i sussidi, tra cui le flashcard, hanno un carattere di elasticità, e il loro uso non è riconducibile a un unico metodo d’insegnamento. Il libro della prima classe, volendo integrare le indicazioni di Ciari, potrebbe configurarsi in questo modo:•un libro di sola lettura, che dovrebbe avere le caratteristiche suggerite da Ciari, ma che contenga, da un certo punto in poi, una buona selezione di storie e filastrocche tratte dai libricini per bambini; la successione delle storie potrebbe seguire un criterio tematico, ma che sia lontano da intenti didascalici; i temi dovrebbero essere individuati fra quelli più vicini al mondo dei bambini… un mondo fatto, ancora tanto, di un miscuglio di realtà e fantasia… un mondo dove non è vietato parlare né di cacca né di pipì… È ovvio che nel libro non dovrebbe esserci nemmeno l’ombra di una domanda e che le illustrazioni, tutte, dovrebbero essere affidate agli stessi illustratori per l’infanzia. Sarebbe giusto, inoltre, farvi entrare un numero consistente di storie a fumetti, in quanto queste piacciono molto ai bambini e, proprio in virtù di questo semplice fatto, costituirebbero un grosso stimolo all’apprendimento della lettura. Gli albi illustrati, invece, per il particolare aspetto artistico che di per sé assumono, non dovrebbero, a mio avviso, essere antologizzati: la scelta stessa delle pagine si prospetta difficile e, soprattutto, discutibile: si andrebbe a minare, in un certo senso, il carattere unitario dell’albo dato dall’integrazione di più codici espressivi, compreso quello della grafica… Un albo illustrato va letto, apprezzato e gustato nella sua interezza: l’esportazione di un solo “pezzo” (che siano una o più pagine non importa) non avrebbe alcun senso. •Una busta di sussidi, dove ciascun bambino trovi immagini su carte e cartoncini, oltre a lettere mobili e parole: il tutto dovrebbe ancorarsi il più possibile alla realtà quotidiana dei bambini (il che comporta un’opera costante e frequente di aggiornamento). Dovrebbero anche essere presenti, in quantità maggiore rispetto alle immagini e alle parole già stampate, cartoncini di diverse dimensioni e strisce di cartone di diversa lunghezza, su cui il bambino possa lui stesso disegnare e scrivere: ciò favorirebbe, davvero, il lavoro dell’insegnante che intenda costruire gli apprendimenti partendo dalle esperienze e dalle attività degli alunni. Altro materiale vergine (da riempire insieme strada facendo con disegni e scritte), ma in formati più grandi adatti all’affissione murale, dovrebbe corredare il libro dell’insegnante: questa novità si porrebbe in pieno contrasto con tutti i cartelloni e gli alfabetieri murali già pronti, ricchi di immagini e scritte (spesso stereotipate) che rimandano al libro di testo e che, probabilmente, hanno anche un costo di produzione non indifferente; andrebbe a supportare concretamente, infatti, il lavoro che la classe compie giorno per giorno; le frasi verrebbero ideate e scritte dalla classe, poco alla volta, in un autentico percorso di apprendimento-insegnamento, che proprio perché svolto “in situazione”8 può essere definito significativo.

7 Bruno Ciari, in PETTINI A. e altri, Il libro di testo nella didattica moderna, La Nuova Italia, Firenze, 1969. 8 Da non confondere con l’improvvisazione: l’insegnante deve sapere bene dove arrivare, vagliando via via diverse possibilità in base alle situazioni reali con cui si trova ad operare; deve prevedere, quindi, uno spazio quotidiano di scambio e di apertura al “mondo bambino”, in cui porsi quale osservatore attento e recettivo, in modo da poter, a mano a mano, utilizzare i dati rilevati avvalendosi della propria preparazione e delle proprie abilità di programmazione.

Non includerei in tale busta delle frasi, e neanche evidenzierei in rosso (o in altro colore) le iniziali delle parole che, invece, inserirei: la scelta di queste ultime, però, dovrebbe essere ben studiata per facilitare la costruzione autonoma di frasi; pertanto dovranno essere presenti non solo nomi di uso quotidiano (ripetuti peraltro cambiandone il numero e il genere) ma anche una gran quantità di connettivi (compresi gli articoli) e verbi (coniugati in più tempi e persone). Saranno poi i bambini stessi, insieme ai maestri, a compiere progressivamente tutta quella serie di osservazioni attraverso cui “scoprire” le particolarità della nostra lingua: a livello fonologico, per il quale non serve alcun sussidio esterno; a livello ortografico… e saranno proprio loro, magari, a evidenziare, a cerchiare o a riquadrare lettere e pezzi di parole (e, con più probabilità in classe seconda, anche digrammi e trigrammi); a livello morfologico e sintattico; a livello semantico. Sarebbe di grande utilità, come lo stesso Ciari sottolinea, inserire sia le singole lettere sia le parole in tutti e tre i caratteri della scrittura; le lettere singole, in più, dovrebbero essere disponibili sia nei caratteri minuscoli che in quelli maiuscoli, e naturalmente essere ripetute in serie. Un discorso più ampio meriterebbe, poi, l’opportunità o meno di inserire tra i sussidi i digrammi e i trigrammi già preconfezionati: io protendo molto di più per l’idea di non inserirli, proprio perché sono del parere che si debba restituire all’insegnante la consapevolezza (prima) e la libertà (poi) del proprio mestiere; senza contare, oltretutto, che gli stessi bambini in prima non sono mai pronti, tutti, ad accogliere e a comprendere le deviazioni al principio alfabetico dell’italiano, per l’apprendimento delle quali, infatti, si deve tornare e insistere a più livelli nel corso dell’intero ciclo della scuola primaria. Ma la nostra scrittura prevede anche l’uso dell’accento quale segno diacritico, dell’apostrofo quale segno di elisione, della punteggiatura… E allora perché non infilare anche questi nella busta? Ovviamente ogni segno dovrebbe presentarsi su un cartoncino singolo ed essere anch’esso ripetuto in serie. Un ulteriore sussidio di grande utilità (che già qualche casa editrice, per la verità, sta includendo nel libro per la prima classe), da inserire nella busta, è uno specchietto infrangibile, con cui ciascun alunno possa osservare i movimenti articolatori delle labbra e della lingua. Infine, mi viene in mente che sarebbe finalmente ora di far entrare tra i sussidi alcuni strumenti inerenti a uno dei linguaggi facenti parte della Comunicazione Aumentativa Alternativa: ad esempio, si può prospettare l’ipotesi di far scegliere al docente stesso, all’inizio di ogni anno scolastico, il tipo di linguaggio specifico di cui si possa avere bisogno, sia in presenza sia in assenza di alunni con disabilità (nell’ottica di una società inclusiva, dovremmo iniziare a prevedere, comunque, la necessità di avvicinarsi a linguaggi “altri”). •Una serie di scatole e di targhette adesive (di diverse forme e dimensioni), che consenta a ciascun bambino di sistemare, classificandole, le parole, le lettere e i segni; ma se si vuole lasciare piena libertà didattica ai docenti, scatole e targhette devono essere bianche, in modo che siano poi i bambini stessi a decorarle con i propri disegni e a scriverci su le definizioni che ritengano adatte (prima di giungere alla definizione di “nomi comuni”, ad esempio, ciascuna classe, ma anche ciascun alunno, compie riflessioni graduali e passa, perciò, attraverso varie definizioni arbitrarie, non codificate dalla grammatica ma molto importanti per il loro carattere di ricerca e di scoperta). Le scatole dovrebbero essere in numero sufficiente per prevedere anche l’uso di alcune di esse come contenitore di giochi linguistici (memory, domino di parole…) creati nel corso dell’anno dai bambini e dagli insegnanti.

Non ho contemplato, di proposito, nessun libro di esercitazioni linguistiche per la prima classe, quello che comunemente viene addirittura definito “libro di metodo”: dalle precedenti elencazioni del materiale da supporto si evince facilmente la mia convinzione che le esercitazioni linguistiche debbano scaturire da un contesto di quotidiana comunicazione in cui il docente si inserisca, cautamente e con maestria, programmando, guidando, ma anche predisponendo diverse esercitazioni e costruendone altre insieme agli alunni… In realtà la ricca gamma di sussidi didattici dovrebbe, effettivamente, andare a sostituire l’eserciziario standard. Semmai, si potrebbero prevedere per ciascun bambino alcune schede di esercizi, che possono essere utili in quei momenti in cui l’insegnante è impegnato con singoli alunni o con piccoli gruppi: ma andrebbero rivisti, completamente, i criteri di costruzione degli esercizi9 (e ciò vale non soltanto per la prima classe ma anche per le successive). Come proseguire con le classi successive? Intanto, già riferendosi alla prima si è visto come diventi necessaria una collaborazione non solo con degli esperti di letteratura per l’infanzia ma anche con dei linguisti. Volendo, infatti, conservare la prassi di dedicare un volume a se stante alla riflessione linguistica, bisognerà fare in modo, seriamente, che i percorsi di grammatica siano degni di essere denominati “riflessione linguistica”.

9 Si nota, in modo particolare, una gran confusione terminologica: il termine “suono” ad esempio viene utilizzato troppo spesso in maniera impropria (stando ad indicare non il singolo suono ma un insieme di suoni: accade con i “pezzi” QUA-QUE-QUI-QUO, oppure QU e CU, o ancora GNA-GNE-GNI-GNO-GNU e altri, che vengono erroneamente definiti, appunto, “suoni”).

Inoltre, mi vengono in mente tutti quegli esercizi sull’inserimento dei segni di punteggiatura, che invitano gli alunni a fare “una scelta obbligata”, in quanto si dà loro, già in partenza, la consegna di inserire un preciso segno… quando invece nelle stesse frasi, magari, potrebbero “andar bene” più segni; e quindi si blocca, di fatto, lo spirito esplorativo del bambino, che in una situazione del genere non fa altro che “eseguire”.

Vediamo un po’ più nei dettagli, allora, come si potrebbero riconfigurare i volumi dell’area linguistico-espressiva dalla seconda in poi. Inizio subito riportando in prima linea l’idea che il libro di riflessione linguistica debba essere ben distinto da quello dedicato alla lettura, per qualsiasi classe esso sia predisposto. Inoltre, per non ripetermi troppe volte, sintetizzo qui di seguito, schematizzandole, le indicazioni comuni a tutte le classi di cui si dovrebbe tenere conto nella realizzazione dei libri di lettura:

immagini rigorosamente realizzate ad arte dagli illustratori per l’infanzia e, perché no, anche da bravi fotografi; selezioni dei testi accurate, volte prevalentemente a mettere in evidenza l’uso creativo del linguaggio; assenza di intenti didascalici e moraleggianti; assenza di qualsiasi tipo di domanda o “invito a fare”; presenza di più storie per sole immagini e di storie a fumetti (anche questa si deve intendere non minima, ma

ben calibrata sul numero totale delle pagine).

Per la classe seconda realizzerei un “pacchetto” molto simile a quello della prima, differenziando un po’ la struttura del libro di lettura, ma essenzialmente conservandone le idee portanti, e aggiungendo ai sussidi un bel po’ di “storycard”10. Forse anche per la seconda non vedrei di buon occhio la realizzazione di un volume di riflessione linguistica, che rimanderei tranquillamente alle tre classi seguenti. Si può ipotizzare, però, di puntare essenzialmente sul piacere della lettura: e allora, invece di offrire un secondo volume uguale per tutti, che si occupi di riflessione linguistica, perché non allegare al libro di lettura un numero preciso di libri (di storie, di filastrocche, di poesie… ovviamente privi di qualsiasi genere di apparato didattico), di albi illustrati e di fumetti per la biblioteca di classe? In tal caso si offrirebbe l’opportunità a docenti e alunni di leggere alcune storie per intero e, dunque, di apprezzare i libri nella loro integrità (cosa che nessuna antologia potrà mai fare). Nel libro di lettura conserverei un numero consistente di storie per immagini, che non inserirei soltanto all’inizio: le intervallerei a quelle miste (cioè a quelle per immagini e parole, e a quelle per parole e immagini).

Per le classi terze, quarte e quinte rivolgerei sempre di più l’attenzione agli stili letterari: la nostra letteratura per l’infanzia si avvale dell’originalità espressiva di parecchi scrittori; è esattamente questa che metterei in evidenza. La letteratura (mi piace ripeterlo) è fatta di parole, e a me sembra eccessivo, ormai, l’interesse dei curatori dei libri di testo verso “i contenuti” rispetto a quello, ancora timido, rivolto ai diversi stili di scrittura letteraria. Ci si preoccupa tanto, da una parte, che i bambini imparino prima possibile a utilizzare loro stessi, scrivendo, delle tecniche narrative, descrittive, argomentative, poetiche… Ma, d’altra parte, non si offre loro la libertà e il gusto di scoprire tali tecniche leggendo. Per poterlo fare, innanzitutto, occorre abbandonare l’ansia e la pretesa (irrazionale, a guardar bene) che un bambino della scuola primaria debba a tutti i costi diventare uno scrittore: è molto più saggio, al contrario, edificare da subito (a partire dai primi anni di vita) quel gusto per le parole e per le loro possibilità combinatorie ed espressive che spinge ad andare avanti nella lettura di un libro e ad interessarsi alla trama (oppure a fermarsi e a chiudere il libro, se lo si reputa sciatto nel linguaggio), e che crea i presupposti per un amore per la lettura e per i libri a lungo termine, che duri una vita intera. In secondo luogo, bisognerebbe accogliere nel libro di lettura una selezione piuttosto ampia di ciascun autore (andando molto controcorrente). La scelta, sia degli autori che delle parti da trarre dai loro libri, dovrebbe essere ben attenta e avvalersi del contributo di più persone (che ne garantisca, appunto, l’ampiezza). Altro imperativo da rispettare è quello di antologizzare senza adattare e, possibilmente, senza ridurre: occorre avere rispetto per i testi originali ma anche per il bambino lettore, il quale non è da considerare come qualcuno che non sia in grado di comprendere o di apprezzare certe costruzioni stilistiche; talvolta i brani antologizzati nei libri per la scuola primaria sono talmente ridotti (o, peggio, adattati) da perdere del tutto il sapore stesso conferito dallo scrittore. Quindi, dopo aver individuato un buon numero di testi di ciascun autore resterebbe da decidere (è ovvio) un criterio per dare loro un ordine: potrebbe essere cronologico, ma non proprio come quello in uso nelle antologie per la scuola superiore: perché non cominciare dagli autori contemporanei più giovani e proseguire, così, a ritroso verso il passato? I bambini avrebbero l’opportunità, in tal modo, di confrontare gli stili, le scritture, sia da un punto di vista sincronico sia da un punto di vista diacronico, rilevando particolarità singole e comuni, tendenze appartenenti a un dato periodo, differenze sostanziali… Bisognerebbe anche stabilire fino a che punto arrivare in questo viaggio all’indietro: prima ancora, ci sarebbe da decidere quale letteratura prendere in considerazione: solo quella “per l’infanzia”? Solo la nostra o anche quella straniera? Esprimendo un parere del tutto soggettivo, io non precluderei ai bambini la possibilità di leggere Collodi, Vamba, Collodi Nipote… ma anche De Amicis: offrirei, cioè, l’opportunità di esprimere giudizi che, magari, non saranno uniformi ma potrebbero riservare sorprese. Infine, non mi porrei il “problema” di suddividere i testi per tipologie: dovrebbero essere i bambini stessi, con il tempo, a scoprire che in uno stesso testo possono esserci parti aventi diverse funzioni (parti che servono a descrivere, parti

10 Si tratta di storie rappresentate tramite immagini e poco testo, suddivise su singole “carte”: l’idea è palesemente mutuata dall’editoria scolastica riguardante la lingua inglese, e credo che non ci dovremmo vergognare di “prendere” qualcosa di buono dalla didattica delle lingue straniere.

che servono a riflettere o a far riflettere…); del resto, un testo quasi mai si presenta come esclusivamente narrativo, descrittivo, argomentativo… escludendo il testo poetico, che merita un discorso piuttosto ampio, da approfondire magari in altra sede.

Ecco, dunque, come il libro di lettura potrebbe tornare alla ribalta: potrebbe diventare una vera e propria antologia per la scuola primaria.

Concludo il discorso (tutto suscettibile di modifiche: la mia è soltanto una proposta…) con alcune considerazioni: una che rinforza un aspetto particolare della mia proposta, e altre due che vanno a “perfezionare” la proposta stessa.

1. Seppure si decida di collaborare con qualche linguista e, quindi, di realizzare ex novo un libro autonomo di riflessione linguistica, bisognerebbe comunque tenere presenti le ultime novità nell’ambito della didattica della lingua, che da noi possono essere identificate nelle recenti e recentissime pubblicazioni di Francesco Sabatini: l’illustre linguista difende la tesi che pone su due piani distinti, separati, l’educazione linguistica e l’educazione letteraria. In pratica, ci avverte delle artificiosità a cui i ragazzi vanno incontro quando sono costretti a compiere l’analisi logica e del periodo sui testi letterari, che contengono una gran quantità di espedienti stilistici soggettivi, i quali non si prestano davvero ad essere “catalogati”. Al contrario, raccomanda la necessità di studiare la lingua e la sua struttura creando una “situazione di laboratorio” simile a quella che si crea in un vero e proprio laboratorio scientifico: pertanto occorre “costruire” frasi e periodi ad hoc, che (come fossimo in un laboratorio di chimica) consentano un’analisi scientifica, non suscettibile di interpretazioni soggettive (le quali, invece, si addicono di più all’analisi critico-stilistica dei testi letterari).

2. Si dovrebbe dare l’opportunità ai singoli docenti di poter scegliere tra più opzioni: ad esempio, come ho già detto riferendomi al libro per la seconda classe, chi non voglia adottare un unico testo per la riflessione linguistica dovrebbe avere la possibilità di ricevere un dato numero di libri, albi illustrati e fumetti, da inserire nella biblioteca di classe.

3. Ciascuna casa editrice che accolga favorevolmente una proposta simile alla mia dovrebbe avere l’accortezza di realizzare, via via, antologie differenti tra loro nelle selezioni, per permettere ai singoli docenti di attuare una scelta mista: in questo modo si offrirebbe agli alunni di una stessa classe l’opportunità di scambiarsi le antologie.

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Nel blu!, classi III, IV e V, a cura di M. C. Peccianti, ed. Giunti Scuola, Firenze, 2000

Apriti Sesamo, classe I, L. Lumachi, L. Mignolli, F. Morelli, R. Pratesi, ed. La Nuova Italia, Rcs Scuola, Milano, 2001

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Un gufo per amico, classe V, B. Abbondanza, L. Lelli, ed. Fabbri, Milano, 2002

Pepe e i suoi amici, classe I, S.Dondi, L. Padalino, ed. Giunti Scuola, Firenze, 2003

Amico sole, classi II e III, C. Pratici, R. Kohler, ed. Fabbri, Milano, 2004

Amico sole, classi IV e V, M. Bartoli, G. Ferretti, R. Giugni, ed. Fabbri, Milano, 2005

Arance rosse, classi IV e V, M. C. Peccianti, ed. Giunti Scuola, Firenze, 2005

Ioiò cresce, classi IV e V, gruppo di ricerca Progetto ERRE, ed. De Agostini Scuola, Novara, 2005

Sempre meglio, classi IV e V, M. Chiara, L. Zanchi, ed. De Agostini Scuola, Novara, 2006

Librofinestra, classe I, M. Berardi, I. Rubaudo, ed. Il Capitello, Torino, 2008

Isole di carta, classe IV, gruppo di ricerca Tredieci coordinato da L. Taffarel, ed. Ardea – Tredieci, Napoli – Treviso, 2008

Nel giardino leggo, classi I, II e III, T. Caprini, L. Cordini, C. Marenzi, ed. Giunti Scuola, Firenze, 2009

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