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CAPITOLO 1 – SPAZIO GEOGRAFICO E SPAZIO ECONOMICO 1.1 Le relazioni geografico spaziali La geografia si occupa delle relazioni che legano tra di loro i singoli oggetti sulla superficie della Terra. L’insieme di questi rapporti è ciò che viene detto spazio geografico (è ovviamente un’astrazione). Se dallo <<spazio geografico>> isoliamo le <<relazioni spaziali>> che riguardano l’economia, otteniamo quelle modalità di rappresentazione dei fatti ancora più astratta e convenzionale detta spazio economico . Dobbiamo distinguere tra una differenziazione puramente economica dello spazio e una geografico-economica: la prima può essere calcolata dalle teorie dell’economia politica; la seconda non è né calcolabile né prevedibile, in quanto risulta dalla combinazione di molteplici fatti ambientali. Tutte le relazioni geografico-spaziali vengono dette relazioni orizzontali ed hanno come principale funzione la comunicazione e lo scambio. Invece le relazioni, frutto di tutte le operazioni che vanno dal rapporto diretto con la natura al prodotto finito, vengono dette verticali e connettono i soggetti economici con le caratteristiche ambientali proprie dei diversi luoghi. Scheda 1.1 Il significato del termine <<ambiente>> in geografia Il termine ambiente denota lo spazio circostante o corrispondente a qualche oggetto. Esso sta ad indicare non solo i rapporti tra le cose, ma anche le cose stesse e le loro caratteristiche. Oggi indica le condizioni che permettono la vita degli esseri viventi in un certo spazio, ma anche del mondo inorganico. Non è statico ma dinamico e va considerato nel suo divenire. 1.2 Struttura e organizzazione del territorio Più localizzazioni legate tra di loro da specifiche interazioni spaziali e connesse da relazioni verticali a condizioni ambientali omogenee, costituiscono le strutture territoriali , come ad esempio le forme di economia di piantagione o la siderurgia. A loro volta le diverse strutture territoriali legate tra di loro da relazioni orizzontali formano quella che viene detta organizzazione territoriale . I due legami, orizzontale e verticale, interagiscono e si condizionano a vicenda. Basti pensare al fatto che in uno spazio economico <<puro>> il centro economico principale di un paese dovrebbe occupare il centro geografico. Di solito lo sviluppo di grandi metropoli non avviene mai proprio al centro di un paese, ma vicino alle coste. In altre parole, l’economia di un territorio dipende dall’ ordine spaziale degli impianti, della produzione e degli scambi. Quindi le strutture territoriali e la loro organizzazione sono l’oggetto principale della geografia economica. Per la loro analisi vengono considerati tre ordini di fatti: a) Le differenti condizioni naturali dei vari luoghi; b) Le condizioni ereditate dal passato, sia materiali, sia sociali, sia culturali, istituzionali ed economiche; c) La forma dei rapporti sociali e l’organizzazione. Scheda 1.2 Dal determinismo geografico alla geografia della complessità Nel passato si credette di poter spiegare la geografia economica ricorrendo a fattori naturali e regolarità geografico-naturali. Ad esempio venivano stabiliti rapporti di causa-effetto tra la distribuzione dei climi e quella delle forme di economia. I fatti naturali venivano fatti dipendere dalla distribuzione geografica degli insediamenti, delle attività umane, e i caratteri delle popolazioni stesse. Questa scuola di pensiero, secondo la quale anche l’economia di una regione sarebbe determinata dalle sue condizioni e risorse naturali, fu detta determinismo ambientale. Ad essa si contrapposero concezioni ambientalistiche che davano maggiore importanza all’azione sociale umana nell’organizzazione del territorio. I caratteri naturali non erano più visti come condizioni imperative all’azione dell’uomo, ma come <<possibilità>> offertegli: possibilismo geografico. Tali studi misero in evidenza come in epoche diverse i territori potevano essere organizzati socialmente ed economicamente in maniera differente. Queste diversità venivano spiegate facendo ricorso al concetto di genere di vita: cioè quell’insieme di abitudini e tradizioni, che portavano ogni gruppo umano ad utilizzare certe condizioni e risorse naturali locali piuttosto che altre (RELAZIONI VERTICALI). Ma volendo descrivere una società urbana dove tutto dipende da RELAZIONI ORIZZONTALI, il concetto di genere di vita non più utilità. Infatti negli ultimi 30 anni si sono affermate interpretazioni che hanno dato sempre più importanza ai fattori funzionali che spiegano le relazioni orizzontali. Infatti oggi sono i rapporti di scambio che determinano il valore dei vari luoghi.

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CAPITOLO 1 – SPAZIO GEOGRAFICO E SPAZIO ECONOMICO1.1 Le relazioni geografico spazialiLa geografia si occupa delle relazioni che legano tra di loro i singoli oggetti sulla superficie della Terra. L’insieme di questi rapporti è ciò che viene detto spazio geografico (è ovviamente un’astrazione). Se dallo <<spazio geografico>> isoliamo le <<relazioni spaziali>> che riguardano l’economia, otteniamo quelle modalità di rappresentazione dei fatti ancora più astratta e convenzionale detta spazio economico.Dobbiamo distinguere tra una differenziazione puramente economica dello spazio e una geografico-economica: la prima può essere calcolata dalle teorie dell’economia politica; la seconda non è né calcolabile né prevedibile, in quanto risulta dalla combinazione di molteplici fatti ambientali.Tutte le relazioni geografico-spaziali vengono dette relazioni orizzontali ed hanno come principale funzione la comunicazione e lo scambio. Invece le relazioni, frutto di tutte le operazioni che vanno dal rapporto diretto con la natura al prodotto finito, vengono dette verticali e connettono i soggetti economici con le caratteristiche ambientali proprie dei diversi luoghi.

Scheda 1.1 Il significato del termine <<ambiente>> in geografiaIl termine ambiente denota lo spazio circostante o corrispondente a qualche oggetto. Esso sta ad indicare non solo i rapporti tra le cose, ma anche le cose stesse e le loro caratteristiche. Oggi indica le condizioni che permettono la vita degli esseri viventi in un certo spazio, ma anche del mondo inorganico. Non è statico ma dinamico e va considerato nel suo divenire.

1.2 Struttura e organizzazione del territorioPiù localizzazioni legate tra di loro da specifiche interazioni spaziali e connesse da relazioni verticali a condizioni ambientali omogenee, costituiscono le strutture territoriali, come ad esempio le forme di economia di piantagione o la siderurgia. A loro volta le diverse strutture territoriali legate tra di loro da relazioni orizzontali formano quella che viene detta organizzazione territoriale.

I due legami, orizzontale e verticale, interagiscono e si condizionano a vicenda. Basti pensare al fatto che in uno spazio economico <<puro>> il centro economico principale di un paese dovrebbe occupare il centro geografico. Di solito lo sviluppo di grandi metropoli non avviene mai proprio al centro di un paese, ma vicino alle coste. In altre parole, l’economia di un territorio dipende dall’ordine spaziale degli impianti, della produzione e degli scambi. Quindi le strutture territoriali e la loro organizzazione sono l’oggetto principale della geografia economica. Per la loro analisi vengono considerati tre ordini di fatti:

a) Le differenti condizioni naturali dei vari luoghi;b) Le condizioni ereditate dal passato, sia materiali, sia sociali,

sia culturali, istituzionali ed economiche;c) La forma dei rapporti sociali e l’organizzazione.

Scheda 1.2 Dal determinismo geografico alla geografia della complessitàNel passato si credette di poter spiegare la geografia economica ricorrendo a fattori naturali e regolarità geografico-naturali. Ad esempio venivano stabiliti rapporti di causa-effetto tra la distribuzione dei climi e quella delle forme di economia. I fatti naturali venivano fatti dipendere dalla distribuzione geografica degli insediamenti, delle attività umane, e i caratteri delle popolazioni stesse.Questa scuola di pensiero, secondo la quale anche l’economia di una regione sarebbe determinata dalle sue condizioni e risorse naturali, fu detta determinismo ambientale. Ad essa si contrapposero concezioni ambientalistiche che davano maggiore importanza all’azione sociale umana nell’organizzazione del territorio. I caratteri naturali non erano più visti come condizioni imperative all’azione dell’uomo, ma come <<possibilità>> offertegli: possibilismo geografico. Tali studi misero in evidenza come in epoche diverse i territori potevano essere organizzati socialmente ed economicamente in maniera differente.Queste diversità venivano spiegate facendo ricorso al concetto di genere di vita: cioè quell’insieme di abitudini e tradizioni, che portavano ogni gruppo umano ad utilizzare certe condizioni e risorse naturali locali piuttosto che altre (RELAZIONI VERTICALI).Ma volendo descrivere una società urbana dove tutto dipende da RELAZIONI ORIZZONTALI, il concetto di genere di vita non più utilità.Infatti negli ultimi 30 anni si sono affermate interpretazioni che hanno dato sempre più importanza ai fattori funzionali che spiegano le relazioni orizzontali. Infatti oggi sono i rapporti di scambio che determinano il valore dei vari luoghi.

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La geografia moderna è detta della complessità e si fonda su due presupposti: richiede un comportamento attivo da parte dell’osservatore; in secondo luogo la sua visione deve essere multicentrica: lo spazio terrestre deve essere pensato come un insieme interconnesso di territori capaci di darsi un’organizzazione autonoma.L’osservatore deve essere mobile e sapersi collocare sia dal punto di vista degli ordini globali, sia degli ordini locali.

1.3 L’ordine spaziale come valore economicoNelle società pre-mercantili e pre-industriali, il valore di un territorio dipendeva soprattutto dalla sua attitudine a soddisfare consumi locali, derivanti da bisogni primari e simbolico culturali. Il terreno non aveva un <<valore economico>>, perciò non era considerato come un bene che si potesse vendere o acquistare, ma come un mezzo indispensabile per la vita degli abitanti.La possibilità di vendere i prodotti spinse, che poteva coltivare un terreno adatto, a produrre più del necessario per accumulare denaro: il denaro accumulato costituiva un capitale che poteva essere investito nell’acquisto di nuovi terreni o nel rendere più produttivi quelli già posseduti.Questo processo segnò l’inizio della società capitalistica moderna, nella quale il terreno ha un valore di scambio. Tale valore dipese sempre più dalla <<posizione>>. Anche il tipo di coltivazione non è legata alle esigenze di consumo della comunità locale, ma al valore commerciale del suolo.L’accumulazione di capitale in agricoltura incontrò certi limiti: innanzitutto il suolo utilizzabile è limitato, non può essere reso produttivo oltre un certo limite, il mercato dei prodotti agricoli si satura facilmente.Questi limiti furono superati nel momento in cui si applicò l’industria, settore nel quale l’aumento della produttività del lavoro umano sembrava non avere limiti. Il modo di produrre capitalistico industriale ebbe come principale conseguenza la concentrazione dello sviluppo economico in pochi paesi e in poche aree centrali, mentre il resto dello spazio economico e della popolazione restava escluso dagli effetti positivi diretti derivati dall’accumulazione industriale.

Per un imprenditore, la possibilità di realizzare profitti, cioè di ottenere un ricavo superiore ai costi, dipende quindi da come egli impiega i fattori, tendendo alla riduzione dei costi di produzione e all’incremento della quantità e della qualità del prodotto.Vi sono luoghi e condizioni territoriali che permettono di accrescere i profitti: es. per l’impresa che impiega elevate quantità di carbone, i costi si riducono se la sua localizzazione è prossima alle miniere.Solo chi concentra lavoro e macchine in grandi stabilimenti potrà ottenere vantaggi detti economie di scala, di cui non disporrà invece chi opera in piccole unità sparse sul territorio.Il modo con cui l’ordine spaziale della produzione agisce sulla produttività dei fattori è molto diverso a seconda che lo spazio considerato sia quello privato, interno all’azienda, o quello sociale del territorio. In una fabbrica, ogni vantaggio di produttività ottenuto attraverso un certo ordine spaziale si traduce in un vantaggio per la proprietà dell’impresa. Invece sul territorio le diverse fasi dei cicli produttivi non sono divise tra reparti di una stessa impresa, ma tra più imprese autonome, ciascuna delle quali svolge una certa parte del lavoro. Ognuna di queste imprese sceglie sul territorio la localizzazione che ritiene migliore per la propria utilità. Tale localizzazione è quella che tra le varie possibili riduce i costi e permette di ottenere la maggiore produttività dei fattori impegnati, quindi di realizzare maggiori profitti.

1.4 Le economie esterneI vantaggi che l’imprenditore capitalista ottiene localizzando le sue attività economiche in determinati luoghi e condizioni ambientali vengono definiti economie esterne, in quanto sono effetti utili che la singola impresa può solo ricevere dall’esterno. La geografia economica delle varie attività produttive, commerciali e di servizio è data essenzialmente dalla distribuzione geografica delle economie esterne, che determinano i vantaggi derivanti dalle diverse localizzazione. Ogni tipo di attività economica ha le sue proprie localizzazioni ottimali, dipendenti da sue specifiche esigenze di esternalità.

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Fu MARSHALL a indicare questi effetti utili territoriali con il termine di economie esterne: esterne rispetto all’impresa, cioè utilità che essa non produce direttamente, ma che può utilizzare.In parte esse sono un effetto collaterale del mercato. Si tratta delle cosiddette economie di aggolmerazione, cioè degli incrementi di produttività che le imprese realizzano concentrandosi in certe aree.L’agglomerazione può essere una forma di auto-organizzazione territoriale prodotta dal meccanismo di mercato, perché la vicinanza di più imprese può generare economie di scala e quindi risparmi di costi. Ciò rende più competitive le imprese agglomerate rispetto alle altre.Nel caso delle economie di agglomerazione, i vantaggi di cui usufruiscono le imprese sembrano derivare dalle imprese stesse come effetti naturali della loro semplice vicinanza. Nei fatti le economie di agglomerazione sono sempre una componente di quella più vasta famiglia di economie esterne dette di urbanizzazione, le quali derivano principalmente da:

1) Opere di urbanizzazione primaria che consentono l’insediamento di imprese;

2) Facilità di scambi di merci, informazioni e servizi tra le imprese agglomerate;

3) Formazione di un mercato più vasto e differenziato della forza-lavoro a cui le imprese possono attingere;

4) Presenza di servizi pubblici necessari per la formazione e riproduzione della forza lavoro e per l’elaborazione e la circolazione dell’informazione;

5) Sviluppo parallelo dei servizi privati per le famiglie e per le imprese.

1.5 Le infrastrutture e la socializzazione capitalistica della produzioneL’importanza del fattore politico-amministrativo emerge se consideriamo il ruolo dell’infrastruttura nell’uso del territorio. Per <<infrastrutture>> si intendono tutte le condizioni generali della produzione e dello scambio che vengono realizzate sul territorio mediante la spesa pubblica. Si possono dividere in:

1. infrastrutture materiali o tecniche: impianti ferroviari, stradali, canali, porti, elettrodotti, ecc;

2. infrastrutture sociali: la rete territoriale dei servizi sociali che funzionano come mezzi di consumo collettivo;

3. infrastrutture economiche: le imprese pubbliche che in certe economie e in certi paesi svolgono funzioni ritenute essenziali per il funzionamento dell’economia nazionale e che non possono essere svolte da imprese private;

4. infrastrutture dell’informazione e della ricerca.Le infrastrutture inoltre presentano le seguenti caratteristiche:

a. sono strutture territoriali: la loro distribuzione geografica non è uniforme; i loro vantaggi si riducono con la distanza;

b. sono beni non escludibili, non possono cioè essere condizionati al pagamento di un prezzo di mercato, perché sono ritenuti necessari al funzionamento della società e dell’economia nel suo complesso;

c. sono sovente indivisibili , producono cioè utilità collettive;d. non danno profitti: quindi nessun capitale privato vi viene

investito, a meno che non intervenga a sostegno del finanziamento pubblico.

Le infrastrutture territoriali sono una condizione necessaria perché esista un mercato.

1.6 La posizione come valore di mercatoIl sistema capitalistico trova il modo di far pagare le <<economie esterne>>, ovvero i vantaggi derivanti dalle condizioni territoriali <<spontanee>>, allo Stato, benché esse non siano merci, ma strutture territoriali che non si possono né vendere né comprare.Ogni porzione di suolo ha un valore diverso a seconda della sua posizione, ovvero delle <<economie esterne>> che offre a chi vi si localizza. Quindi il proprietario di un suolo lo venderà a un prezzo che non corrisponde solo alle sue caratteristiche tecniche, ma anche al <<valore della posizione>>.

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Nei suoli destinati all’uso agricolo il valore prevalente è quello intrinseco della <<terra>> come mezzo di produzione. In questi casi il ricavato si chiama rendita agraria o mineraria.Nelle regioni urbane invece diventa prevalente il valore della <<posizione>>, che viene chiamato rendita urbana.Come merce il suolo è particolare: non la si può produrre a piacere, né spostare da un luogo ad un altro.

1.7 Locale e globaleIn geografia con il termine globale si indicano quei fenomeni e quegli insiemi di relazioni orizzontali, che si estendono a tutta la superficie terrestre. Sono globali la circolazione atmosferica, il trasporto aereo, il mercato di petrolio.Si considerano locali invece le relazioni che interessano solo una parte della superficie terrestre.Un tempo i circuiti della produzione e dello scambio dei beni si svolgevano a scale locali, mentre a livelli territoriali superiori circolavano solo pochi beni <<vari>> (es.: avorio, spezie, ecc).Con l’età moderna e la conquista dell’intero pianeta, da parte degli europei, si fecero sempre più frequenti gli scambi a scala planetaria.Se oggi si parla di globalizzazione come di un fenomeno relativamente nuovo è perché le relazioni a scala planetaria si sono estese in modo tale che non esista più nessun ambito geografico locale che sia al riparo da influenze dirette da parte di forze che operano a livello globale.

1.8 Forme e squilibri della globalizzazioneLa globalizzazione della tecnologia e dell’economia ha funzionato come acceleratore delle altre forme di mondializzazione: ambientale, culturale, politica. La globalizzazione dell’economia non sarebbe stata possibile senza un’applicazione a scala mondiale delle più moderne tecnologie dei trasporti e delle telecomunicazioni, che consentono di svolgere operazioni finanziarie, commerciali e produttive in sedi molto lontane tra loro.

Le conseguenze di questa rapida trasformazione si estendono anche all’insieme delle attività umane, con effetti di ritorno sull’economia stessa. Un caso evidente è dato dalla globalizzazione del sapere scientifico-tecnologico. La competizione economica è sempre più dipendente dalle innovazioni tecnologiche.Si può parlare anche di una globalizzazione ambientale nota come global change. La sua manifestazione più importante è l’<<effetto serra>> che porta all’innalzamento della temperatura media dell’atmosfera e a vari squilibri climatici.Con la globalizzazione culturale si assiste a fenomeni di omologazione, dovuti alla mondializzazione dei media e alla scomparsa dei modi di vita e di produzione locali, alla perdita di tradizioni, lingue, ecc. Infine si ha la globalizzazione geopolitica e geostrategica che consiste nella crescente e immediata interdipendenza delle decisioni e degli avvenimenti politici dei diversi paesi.

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CAPITOLO 2 – LA REGIONE GEOGRAFICA2.1 L’organizzazione regionaleAddensamenti, concentrazioni, rarefazioni, discontinuità, dividono e articolano lo spazio geo-economico in regioni. Nel senso più ampio per regione geografica si intende una porzione della superficie terrestre che presenta questi tre requisiti:

1. È costituita da un insieme di luoghi contigui;2. Tali luoghi hanno tutti qualche caratteristica comune tra loro;3. Essi si differenziano in base a tali caratteristiche, rispetto ad

altri insiemi di luoghi confinanti che, avendo caratteristiche diverse, costituiscono altre regioni.

Il concetto scientifico di regione geografica è diverso da quello di <<regione>> prevalente nell’uso comune. In quest’ultimo caso, per regione si intende la dimensione territoriale immediatamente inferiore a quella nazionale. Il concetto di regione geografica prescinde invece da ogni riferimento dimensionale; regione geografica può essere una piccola radura in un bosco, occupata da terreni coltivati.Al livello microregionale appartengono divisioni della dimensione di uno o pochi comuni, il livello mesoregionale corrisponde a dimensioni comprensoriali, provinciali e regionali in senso stretto.C’è un livello macroregionale che considera interi paesi o aggregati di regioni istituzionali, anche transfrontalieri, per arrivare alle megaregioni continentali o intercontinentali.

Scheda 2.1 Il dibattito sul concetto di regioneA partire dal XVII secolo si apponevano due visioni distinte dell’organizzazione regionale. Da un lato quella dei geografi del re, per i quali la regione era una suddivisione territoriale legittimata unicamente dalla volontà politica del sovrano; dall’altra, quella dei geografi borghesi che teorizzavano una geografia <<naturale>> o <<pura>>. Per questi ultimi la regione rappresentava un’entità reale naturale. Questa concezione si rafforzò tra la metà dell’800 e la metà del XX secolo, quando lo studio delle regioni geografiche fu dominato dalle concezioni ambientalistiche, le quali davano particolare importanza alle relazioni verticali, e perciò alle particolarità naturali e storiche dei luoghi.Nel XX secolo si affermò una concezione relativistica dello spazio geografico, dove la regione era vista come una costruzione mentale, un oggetto non esistente di per sé ma dipendente dai soggetti.

Secondo questa concezione relativistica la divisione territoriale in regioni non sarebbe altro che un’operazione logica di classificazione per aggregazione di unità territoriali elementari.La regione geografica oggi non può essere considerata né una realtà esistente di per sé, né il risultato di una semplice classificazione convenzionale, né una rappresentazione puramente volontaristica.

2.2 Tipi tematici di regioneUna regione può essere di vari tipi.La regione politico-amministrativa è ben definita dal resto del territorio dai confini istituzionalmente riconosciuti.La regione politica corrisponde di regola allo Stato, ma comprende talvolta sia livelli inferiori, corrispondenti alle singole unità politiche che compongono uno Stato federale, che superiori, comprendenti le associazioni politiche sopranazionali.La regione naturale è identificata dalle sue caratteristiche fisiche e in essa prevalgono pertanto relazioni di tipo verticale. La regione naturale venne considerata per molto tempo una regione <<oggettivamente esistente>> cioè indipendente dai suoi abitanti e dalle vicende storico-politiche; in realtà, se le caratteristiche fisiche di un territorio sono <<oggettive>>, esse si strutturano in regione in modi e forme strettamente legate al momento storico e culturale.Al concetto di regione naturale oggettiva si è sostituita oggi quella di ecoregione, intesa come uno spazio di interazione tra l’ecosistema e le comunità umane.La regione storica, infine, è caratterizzata da fatti fisici e naturali, ai quali si sovrappongono peculiarità legate ad un tipo di cultura e di storia.

2.3 Le regioni economiche formali e funzionaliLe regioni formali sono individuate in base a certi attributi, e sono chiamate omogenee in quanto ciò che le identifica e le differenzia dalle regioni circostanti è appunto l’omogeneità interna di uno o più attributi caratterizzanti.

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Le regioni funzionali sono individuate in base a relazioni orizzontali. Esse sono identificate dal fatto che i luoghi che le compongono sono tra loro interconnessi da relazioni spaziali.Vi sono due tipi di regioni funzionali: quelle monocentriche in cui le relazioni spaziali e i flussi fanno capo a un unico centro principale; quelle policentriche, in cui ogni località è specializzata in funzioni particolari ed è perciò connessa alle altre attraverso relazioni di complementarità.Una regione formale che si colleghi ad una funzionale forma una regione complessa. Un particolare tipo è la regione-programma che corrisponde all’ambito territoriale entro cui si svolgono interventi programmati.

2.4 Le strutture regionali gerarchiche e polarizzateLa disposizione territoriale dei servizi non è casuale, ma dipende da diversi fattori, come la distanza dal centro principale, i mezzi di trasporto, ecc. Tra i diversi centri c’è una gerarchia legata al numero e alla qualità dei servizi che ciascun centro offre; saranno di livello più alto i centri più forniti in qualità e quantità, che quindi attirano maggiori flussi di persone, di livello inferiore gli altri.CHRISTALLER ha formulato un modello in cui i singoli centri, detti località centrali, servono ciascuno un’area a loro circostante, la cui ampiezza dipende dal livello del centro. Lo spazio del modello di Christaller è uno spazio gerarchizzato delle località in base ai beni e ai servizi che esse offrono, da cui deriva una struttura regionale gerarchizzata.In uno spazio isotropo (che presenta le stesse proprietà fisiche in ogni direzione) teorico come quello del modello di Christaller i centri urbani si disporrebbero a distanze regolari. Superata la portata dei singoli servizi di un centro si formerebbe un altro centro e la rete urbana risulterebbe equilibrata e regolare. I fenomeni di squilibrio delle reti urbane sono determinati soprattutto da processi di agglomerazione, dovuti al fatto che le attività economiche hanno dei vantaggi a localizzarsi le une vicino alle altre. Infatti dove ci sono più

attività economiche si concentra anche la popolazione, si sviluppano le vie di comunicazione e i servizi, ecc.L’agglomerazione delle imprese in un’area determina la concentrazione della manodopera; ma ogni nuovo lavoratore richiederà nuovi servizi in un processo cumulativo che accelera la crescita delle città, sovente a scapito delle aree dove non esistono economie di agglomerazione. Uno sviluppo regionale di questo tipo si dice polarizzato. La struttura polarizzata crea squilibrio territoriale tra la regione centrale polarizzante e le regioni periferiche. Ciò è particolarmente evidente nei paesi meno sviluppati, dove le funzioni terziarie e produttive principali si concentrano in una o due grandi città, le quali attraggono di conseguenza una quota sproporzionata di popolazione.Oltre ad un certo limite l’eccessiva concentrazione di attività in un polo può provocare delle diseconomie di agglomerazione che non solo respingono nuove attività, ma influiscono anche negativamente su quelle già presenti.Le diseconomie si avvertono anzitutto nei servizi pubblici che sono sempre meno efficienti e sempre più difficili da gestire quanto più aumentano gli utenti. Tutto ciò fa sì che il costo della vita cresca con il conseguente degrado dell’ambiente. Le diseconomie di agglomerazione possono portare all’arresto della crescita popolarizzata e a fasi di depopolarizzazione.Quest’ultima è possibile quando si verificano trasformazioni tecnico-organizzative nelle imprese, che permetto di frazionare gli impianti e di localizzarli in centri piccoli e medi.

2.5 Deconcentrazione e nuove strutture regionali a reteLe strutture regionali polarizzate e gerarchizzate rappresentano le forme di organizzazione territoriale tipiche della prima parte del secolo XX. Nella seconda metà del XX secolo i paesi di vecchia industrializzazione furono investiti da notevoli trasformazioni economiche, che incisero profondamente sull’organizzazione del territorio. Le grandi agglomerazioni industriali si frazionarono in più

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sedi e in più impianti che si decentrarono, localizzandosi in nuove sedi anche molto distanti tra loro.Nei paesi di vecchia industrializzazione si andò così formando una struttura regionale a rete, nella quale la popolazione e le diverse attività si distribuivano in vari centri minori, che sommati equivalevano al vecchio centro popolarizzante. Si trattava di una trasformazione delle città; la città distribuiva in una rete molte delle sue funzioni, che prima erano polarizzate in un unico nodo.Tali strutture reticolari sembrano oggi le più adatte a favorire lo sviluppo delle aree forti. Esse sono agevolate dalle aumentate velocità dei trasporti, ma anche e soprattutto dal fatto che l’informazione circola per reti, cioè in uno spazio discontinuo.

2.6 I sistemi territoriali localiUno degli effetti della globalizzazione economica è quello di mettere in competizione tra loro i vari territori, in quanto sedi di risorse potenziali che possono essere valorizzate. Tale competizione riguarda soggetti privati, pubblici e misti che condividono un certo progetto di sviluppo e cooperano tra loro per realizzarlo. Così facendo essi formano una rete locale di soggetti.Ciò che tiene insieme la rete locale è che il progetto di sviluppo condiviso riguarda la messa in valore di risorse e condizioni potenziali proprie di quel territorio. Tale insieme di potenzialità è definito dal concetto di milieu territoriale locale. Esso comprende tutte le caratteristiche che nel corso del tempo si sono sedimentate e legate a un territorio e che possano costituire delle <<prese>> per lo sviluppo di esso.Il milieu territoriale è una specie di patrimonio. L’ambito territoriale delle reti e dei milieu locali è delimitabile geograficamente e quindi costituisce anche una regione o meglio una microregione. A tale struttura regionale si dà il nome di sistema territoriale locale. Quest’ultimo non è altro che una costruzione volontaria che esiste solo se e quando certi soggetti attivano certe relazioni tra loro e altre con il milieu territoriale in cui operano.

2.7 Reti globali e sistemi locali nei processi di sviluppoIl principale effetto territoriale della recente fase di globalizzazione consiste nel fatto che territori, regioni e città non possono più essere considerati come entità stabili, dotate di una propria identità. La competizione tra luoghi indotta dalla globalizzazione tende a frammentare queste unità territoriali, le quali per conservarsi devono reagire alla frammentazione.Il rapporto delle reti globali con i sistemi locali non è sempre e soltanto un rapporto di dominazione-dipendenza che porta a cancellare le specificità e le identità locali. Questo accade se i soggetti locali non sanno reagire e auto-organizzarsi. Per fare ciò essi devono collegarsi in rete tra loro e far valere le risorse del milieu locale.Le reti globali hanno dunque bisogno dei sistemi locali. Dal loro punto di vista i milieu locali sono i serbatoi potenziali dell’esternalità, di cui esse necessitano per essere competitive sul mercato mondiale.I soggetti locali invece di limitarsi a mettere a disposizione di investitori esterni il proprio territorio così com’è, possono anche svolgere una funzione di intermediazione attiva tra le condizioni del milieu locale e le reti globali. Ciò avviene quando i soggetti locali si auto-organizzano in reti locali per dar vita a processi di sviluppo alimentari dalla valorizzazione delle risorse potenziali del milieu.In tutti questi casi si parla di sviluppo locale.I sistemi territoriali che riescono ad attivare processi di sviluppo locale auto-organizzato hanno buone prospettive di mantenere la loro identità nell’interazione con le reti globali, mentre quelli che si limitano a offrire esternalità e risorse generiche sono maggiormente esposti al rischio di frammentarsi e di perdere così la propria specificità e identità.I sistemi locali auto-organizzati oggi sono visti anche come una risorsa su cui far leva nelle politiche di governo del territorio. In questo senso opera anche il principio di sussidiarietà, che oggi trova sempre più applicazione nell’Unione europea, secondo il quale ciò che può convenientemente essere deciso a un livello inferiore della gerarchia decisionale non deve essere deciso a livello superiore.

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2.8 Le regioni periferiche e la destrutturazione territoriale del sud del mondoIl passaggio da strutture territoriali gerarchizzate a strutture reticolari riguarda le aree più sviluppate dei paesi industrializzati, nelle quali si concentra la maggior parte delle attività economiche e della popolazione. Accanto ad esse esistono in questi stessi paesi territori che hanno avuto sviluppo minore. Queste regioni hanno assunto la funzione di periferia.Anche i paesi del sud del mondo costituiscono nel loro complesso una sorta di grande periferia rispetto ai paesi più avanzati. In essi i caratteri della perifericità sono nettamente accentuati dalla scarsa strutturazione regionale.La destrutturazione dell’impianto regionale in molti casi risale al periodo coloniale, quando l’intero territorio venne organizzato in funzione degli interessi dei paesi dominanti. La sua divisione in regioni fu fatta senza tener conto delle culture locali. Gli effetti di tale politica permangono tuttora nell’organizzazione del territorio, a cominciare dalle vie di comunicazione.

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CAPITOLO 3 – ECONOMIA E AMBIENTE NATURALE3.1 L’ambiente, gli ecosistemi, il geosistemaAmbiente è il sistema di relazioni dirette e indirette che intercorrono tra esseri umani, altri esseri viventi e mondo inorganico. Queste relazioni fanno capo a componenti biotici e abiotici che interagiscono gli uni con gli altri e quindi si trasformano reciprocamente. Pertanto il concetto ambiente si applica a un sistema in continuo mutamento.L’ecologia studia l’ecosistema terrestre, cioè il sistema degli organismi viventi sulla Terra con le loro relazioni reciproche e le relazioni che li legano all’ambiente fisico del pianeta. L’ecosistema terrestre si può suddividere in sotto-sistemi, cioè in ecosistemi regionali.Il nostro pianeta è un insieme di parti legate tra loro da flussi di materia ed energia, cioè funziona come un geosistema. La terra si comporta come un sistema aperto: riceve dall’esterno apporti di materia e flussi di energia, derivanti dalla radiazione solare. L’energia solare è il motore della circolazione di materia inorganica ed è anche la fonte di tutte le trasformazioni energetiche che permettono la vita sulla terra.La circolazione di materia può essere distinta in vari cicli: quello delle rocce; quello dell’acqua; quello del carbonio; quello dell’azoto; ecc.. Questi cicli sono trasformazioni a catena che mantengono il sistema in condizioni di equilibrio.

3.2 Il problema ecologicoIl sistema economico mondiale è un sottosistema dell’ecosistema terrestre, con cui ha intense relazioni in entrata e in uscita. Dal punto di vista ecologico il sistema economico alimenta una circolazione di materia, energia e informazione, che tende a modificare il resto dell’ecosistema, secondo modalità diverse da quelle dell’agire naturale dell’ecosistema stesso. Il sottosistema economico ha dunque un comportamento diverso e contrastante rispetto al sistema di cui fa parte. Da questa contraddizione deriva il problema ecologico.Gli equilibri dell’ecosistema e del geosistema terrestre non comportano mai una stabilità perfetta. Sono il risultato di continue

oscillazioni negative e positive attorno a certi valori medi che variano da luogo a luogo e anche nei tempo geologici. Occorre distinguere tra alterazioni reversibili, che possono essere riassorbite da retroazioni riequilibratici dell’ecosistema planetario, e irreversibili, quelle che lo allontanano invece dai suoi equilibri e che quindi hanno su di esso effetti distruttivi a breve o a lungo termine.È da sottolineare l’importanza delle scale temporali degli eventi. Una prima distinzione può farsi tra tempi geologici, tempi dell’evoluzione biologica e tempi economici. Il riequilibrio che si realizza a una certa scala temporale può comportare squilibri parziali a scale temporali più brevi.L’importante è che la somma di scarti locali e temporali rispetto alle condizioni di equilibrio si mantenga attorno allo zero e ciò sulla Terra si è quasi sempre verificato.

Scheda 3.1 Fattore terra e fattore lavoroPer fattore terra si intende l’insieme delle risorse e delle condizioni naturali: il suolo, le materie prime del sottosuolo, eccetto il lavoro umano. Quest’ultimo è considerato un fattore particolare in quanto erogato dagli stessi soggetti a vantaggio dei quali si svolge tutto il processo produttivo. Gli uomini hanno cercato di aumentare la produttività del proprio lavoro attraverso una crescente mobilitazione del fattore terra. Tale mobilitazione ha riguardato le materie prime, destinate a fabbricare utensili, macchine, impianti, capaci di moltiplicare i mezzi naturali di cui l’uomo in origine dispone.Gli uomini, accrescendo con questi mezzi la produttività del loro lavoro, hanno progressivamente ridotto la produttività del fattore terra. Dato che per produrre la stessa quantità di un bene occorrono maggiori quantità di energia e materie prime, l’efficienza del sistema produttivo dal punto di vista puramente economico è cresciuta, ma si è ridotta quella del sistema ecologico complessivo.Dal punto di vista ecologico sarebbe anche auspicabile una riduzione dei consumi. Tuttavia essa potrebbe riguardare solo i paesi e le fasce sociali più ricche, in quanto per i più poveri i consumi dovrebbero invece aumentare.

3.3 Gli squilibri ambientaliCome si è visto, i tempi dell’economia e delle trasformazioni geo-ecologiche da essa indotte sono sovente incompatibili con quelli dei processi di riequilibrio naturale, perché ciò che procura un vantaggio

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economico nel breve periodo può produrre gravi danni ambientali nel lungo periodo.Un esempio di intervento distruttivo è dato dalle piantagioni a monocoltura delle zone intertropicali. Quando si taglia la foresta o la vegetazione della savana per introdurre monocolture, che danno una buona resa economica a breve termine, i terreni si degradano rapidamente; infatti la flora originaria con i suoi frutti, foglie e altri resti manteneva in equilibrio il suolo agrario, mentre le coltivazioni di un unico tipo di vegetale su ampie estensioni rende alla lunga i terreni sterili con conseguenze ambientali irreversibili.Azioni distruttive possono essere attuate anche in presenza di danni ecologici assai rilevanti. Tuttavia, quando questi ultimi non si limitano a certe località o regioni o gruppi sociali, ma hanno effetti che minacciano la vita dell’intero pianeta, dagli squilibri locali si passa a squilibri globali. In questa fase è ormai entrata l’economia mondiale negli ultimi vent’anni.Di conseguenza quello ecologico è diventato uno degli aspetti più rilevanti e inquietanti della globalizzazione.

3.4 Concentrazione della popolazione e sfruttamento delle risorse naturaliUn fattore generale di squilibrio ambientale della società moderna è dato dalle grandi concentrazioni di popolazione in aree ristrette. Le maggiori concentrazioni di popolazione si hanno nelle città. Quello urbano è un ambiente completamente artificiale, in cui la maggior parte delle operazioni comporta grandi consumi di energia. La forte specializzazione delle colture, che consiste nel coltivare un solo tipo di vegetale su grandi estensioni provoca non di rado traumi ecologici; invece nelle aree a monocoltura si sviluppano enormemente alcuni parassiti che non hanno freni biologici. Contro il loro proliferare si usano armi chimiche che attraverso i prodotti e le falde acquifere inquinate possono entrare nelle catene alimentare con danni per l’uomo.

Le città necessitano anche di approvvigionamento idrico. L’acqua consumata per uso domestico è infatti in continuo aumento. Ma oltre a consumare le risorse, la città inquina.Lo sfruttamento delle materie prime minerarie è aumentato enormemente nell’ultimo secolo. Nell’economia capitalistica si tratta di un processo cumulativo che si autoalimenta: un aumento di produzione aumenta la capacità di investimento e di consumo e ciò richiede nuove produzioni.All’utilizzazione delle risorse minerarie è anche legato un altro problema ecologico, quello della loro concentrazione spaziale. Vi sono infatti in natura elementi e composti chimici che diventano pericolosi se sono concentrati in quantità notevoli in una determinata località, è il caso delle sostanze radioattive.

3.5 Gli inquinamentiIl fenomeno ha risvolti geografici inquietanti: molto spesso una fonte inquinante può coinvolgere e danneggiare aree molto vaste, se non l’intero pianeta: infatti alcune sostanze inquinanti, essendo gassose o liquide o solubili, si muovono facilmente sulla crosta terrestre e nell’atmosfera mentre altre si propagano attraverso le catene alimentari.Tra gli inquinamenti più pericolosi vi sono quelli dell’aria e dell’acqua. Nell’aria delle città è presente il piombo che proviene dai gas di scarico delle auto. Altri inquinanti gassosi sono il biossido di zolfo, l’ossido di carbonio, gli ossidi di carbonio e l’ozono.Il pulviscolo e gli inquinamenti gassosi possono assumere caratteri di grave pericolosità per gli esseri viventi. Il biossido di zolfo determina il fenomeno delle piogge acide. Le piogge acide che ne derivano producono danni all’apparato respiratorio di uomini e animali e danneggiano le piante. Inoltre attaccano i materiali da costruzione come metalli e marmi.Un’altra fonte d’inquinamento atmosferico è costituita dagli esperimenti nucleari e da guasti o incidenti a reattori nucleari. Il pulviscolo atmosferico che si forma in seguito a tali eventi, a cui si dà il nome di fall-out.

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Nel 1991 fu messo in evidenza il fenomeno del buco dell’ozono. I danni alla coltre di ozono sono provocati da alcuni composti del cloro, i freoni. Non sono tossici e possono essere applicati a tantissimi prodotti: schiume isolanti, vettori per aerosol, apparecchi di refrigerazione e riscaldamento, ecc.Un’altra risorsa fondamentale alla vita, minacciata dall’inquinamento è l’acqua. Le acque possono essere inquinate dagli scarichi industriali, agricoli e domestici.All’agricoltura è imputabile il fenomeno dell’eutrofizzazione delle acque fluviali che può portare alla morte di molte specie. Questo fenomeno è legato all’impiego massiccio di fosfati e nitrati usati come concimi nell’agricoltura intensiva.Infine agli scarichi domestici è imputabile l’aumento di composti del fosforo e dell’azoto, che provengono dai detersivi.

3.6 La desertificazioneLa desertificazione determina un avanzamento dei deserti a scapito delle zone limitrofe, i cui terreni, privi di acqua, diventano inutilizzabili per l’agricoltura e il pascolo. Ma può anche verificarsi lontano dai deserti veri e propri.Le zone più colpute dalla desertificazione sono i paesi del Sud del mondo, primo fra tutti quelli del Sahel africano a sud del Sahara. Sono anche i paesi più poveri, con una economia essenzialmente agricola.

Scheda 3.2 L’uomo come fattore di desertificazioneLa desertificazione può avvenire per cause naturali, tuttavia con l’intervento dell’uomo i processi di inaridimento del suolo e del suo degrado si sono accelerati enormemente.Tre sono le cause principali di tale fenomeno: sfruttamento agricolo troppo intenso, disboscamento e pascolo eccessivo. Nelle zone coltivate i contadini eliminano la vegetazione naturale per lavorare il terreno, privandolo così di uno strato protettivo. Nelle zone calde e aride, il terreno, privato della coltre protettiva della vegetazione, si prosciuga rapidamente, formando una dura crosta difficile da lavorare con la zappa.Un intenso fenomeno di desertificazione è in corso nel Sahara che è il più vasto deserto del mondo. Le cause principali sono riconducibili a un eccessivo

sfruttamento da parte dell’uomo. Una prima responsabilità è da attribuirsi alle divisioni politiche successive alla decolonizzazione.Interventi per frenare la desertificazione sono possibili. Un intervento con esito positivo si ebbe in Sardegna, nella penisola di Sinnis, zona pianeggiante esposta ai venti del Mediterraneo, che verso gli anni cinquanta corse un serio pericolo di desertificazione, causata dall’eccesso di pascolo. Il processo fu arrestato inducendo i pastori a spostarsi più all’interno dell’isola, sugli altipiani centrali meno esposti all’azione del vento.

3.7 L’effetto serra e il global changeTutti gli abitanti sono legati da intensi flussi di relazioni. Le azioni che provocano squilibri in una parte del geosistema provocano reazioni a catena che si diffondono all’intero pianeta.Il 28 aprile del 1968 il reattore nucleare della centrale di Cernobil entrò in avaria e milioni di curie di materiale radioattivo si dispersero nell’aria e furono disseminati per un raggio di 1500 km. I morti furono qualche decina, più di 150.000 persone furono esposte al cancro alla tiroide. Inoltre le radiazioni portate dal vento si diffusero negli altri paesi europei su un’ampia area, diffondendo preoccupazione e paura.Lo squilibrio ambientale che crea le maggiori preoccupazioni a livello globale è quello dell’effetto serra, che consiste nell’aumento della temperatura dell’atmosfera a causa della crescita percentuale di alcuni gas, in particolare dell’anidride carbonica. Com’è noto, sono i raggi solari che forniscono calore alla Terra; in assenza di atmosfera i raggi, riflessi dalla superficie terrestre, disperderebbero la loro energia nello spazio e il nostro pianeta sarebbe molto freddo. Alcuni gas contenuti nell’atmosfera ostacolano la riflessione, determinando un effetto serra, facendo salire la temperatura media intorno al valore di 15°C.Le conseguenze di un simile aumento della temperatura determinerebbe un innalzamento del livello marino, derivante dallo scioglimento dei ghiacci. Le inondazioni marine in aree densamente popolate produrrebbero migrazioni in massa. Zone a rischio di questo tipo sono la regione a delta del Nilo e molte piccole isole pianeggianti, come le Maldive.

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Particolarmente allarmante è la grave incertezza sul livello di cambiamento climatico che l’effetto serra può procurare, in quanto l’incertezza impedisce di prendere misure precauzionali; un mutamento climatico infatti sconvolgerebbe i cicli naturali della materia e dell’energia e conseguentemente anche l’economia mondiale e gli assetti politici.Per evitare questi effetti disastrosi è necessario che tutti i paesi si impegnino a ridurre le emissioni di anidride carbonica e in questo senso ha operato la Convenzione mondiale sul clima del 1997.

3.8 L’industria ‹ecologica›Il degrado ambientale causato dall’eccessivo e incontrollato sfruttamento del fattore terra e dagli inquinamenti, ha dato luogo alla formazione di nuove attività economiche e di un nuovo mercato. Si è creato un mercato di beni ecologici, come le acque minerali, frutta e verdura coltivati senza fitofarmaci, ma anche terreni residenziali lontani dall’inquinamento cittadino e dal rumore, spiagge incontaminate, ecc..L’ecologia ha anche dato origine a tecnologie specifiche e perciò a nuove produzioni e nuove industrie per la decontaminazione e la protezione dell’ambiente. Da un lato l’industria inquina l’ambiente, dall’altro si ricorre all’industria per disinquinare o per proteggersi dai danni provocati.Ad esempio, la costruzione e l’uso di un depuratore comporta consumi di energia, di materie prime, lo smaltimento di rifiuti industriali, ecc.Il mercato dell’industria ‹ecologica›, finalizzata a riparare i danni apportati all’ambiente, i cui campi d’azione variano dallo smaltimento dei rifiuti, al disinquinamento di aria, acqua e terreni, è in forte espansione, soprattutto nei paesi industrializzati.

3.9 Dall’economia ambientale all’economia ecologicaIl ciclo umano della produzione e del consumo si chiude ogni volta con la distruzione di una quota di risorse non rinnovabili e con l’immissione di scorie nell’aria, nell’acqua e nel terreno, questa è la

causa maggiore degli squilibri che si vengono a creare nel sistema ambientale.Le possibilità umane di imporsi all’ambiente e di modificarlo sono aumentate a mano a mano che aumentavano le conoscenze tecniche e si perfezionavano gli utensili a disposizione.Nei paesi industrializzati per lungo tempo si è parlato di sviluppo economico intenso come un processo di crescita continua della produzione e del consumo di merci, nel corso del quale l’uomo poteva utilizzare l’ambiente e gli ecosistemi come se fossero fonti di risorse inesauribili.Lo stretto legame tra ambiente, ecosistemi, geosistema ed economia incominciò ad apparire in tutta la sua evidenza solo nella seconda metà del XX secolo.Alla presa di coscienza collettiva dei pericoli che uno sviluppo economico incontrollato poteva presentare per l’ambiente contribuirono in primo luogo alcuni gravi fenomeni di inquinamento: da quello dell’atmosfera di molte grandi città, a quelli delle acque a causa degli scarichi industriali, ai gravi danni provocati nelle campagne da irrorazioni di erbicidi e pesticidi e così via.In secondo luogo crebbe l’allarme per un eccessivo sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche, che faceva temere un loro esaurimento.Ci si rese conto allora che la crescita economica e una industrializzazione spinta producevano anche dei danni. Fu quella l’epoca in cui si sviluppò una nuova branca delle discipline economiche: l’economia ambientale, che si proponeva di tener conto delle interazioni dell’economia con l’ambiente.L’economia ambientale mise in evidenza la differenza tra costo privato e costo sociale; in secondo luogo pose l’accento sul limite delle risorse disponibili e sulla necessità di risparmiarle o sostituirle, e infine sulla pericolosità e sui costi sociali derivanti dall’immissione nell’ambiente degli scarti della produzione, in gran parte inquinanti.Oggi l’economia ambientale tende a diventare economia ecologica: ‹una disciplina trasversale, capace di attingere alle diverse scienze che

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affrontano le infinite sfaccettature della questione ambientale di utilizzare le informazioni che da esse provengono per individuare un nuovo paradigma capace di ricostruire un equilibrio di lunga durata fra l’economia dell’uomo e l’economia dell’insieme del mondo vivente›.Scheda 3.3 Frontier economics e deep ecologySecondo D.W. Pearce due sarebbero i punti di vista sul rapporto ambiente-economia.Il primo, definito tecnocentrico risulta più vicino all’economia classica e crede in uno sviluppo legato all’aumento della produzione di beni; al suo interno vi sono posizioni variegate. Secondo le prime la diminuzione di una risorsa naturale produrrebbe immediatamente un aumento del suo prezzo. Per le seconde la crescita economica andrebbe guidata da strumenti economici che garantiscano una gestione attenta delle risorse e un controllo sugli inquinamenti.Per il secondo, definito ecocentrico l’ambiente invece non viene visto come valore primario; la salvaguardia delle risorse e degli equilibri degli ecosistemi e del geosistema diventano le finalità principali, mentre la produzione e i consumi devono restare stazionari e rigidamente regolati.

3.10 Lo sviluppo sostenibileL’espressione sviluppo sostenibile fu usata la prima volta nel rapporto Brundtland: ‹‹Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri››.Questa definizione implica due concetti chiave: quello della soddisfazione dei bisogni estesa a tutti gli abitanti della Terra e quello della responsabilità verso i posteri.Implica inoltre un concetto di sviluppo che tenga conto non soltanto del reddito economico e della quantità dei beni prodotti, ma anche della qualità dell’ambiente e quindi della qualità della vita, che comprende le condizioni sanitarie, culturali e sociali in genere della popolazione.Uno sviluppo sostenibile si basa su tre principi fondamentali: dell’integrità dell’ecosistema, dell’efficienza economica e dell’equità sociale. L’integrità del sistema consiste nel mantenere il geosistema e gli ecosistemi integri, evitando ogni alterazione irreversibile.

Il concetto di efficienza economica va inteso considerando non soltanto i costi e i vantaggi immediati connessi con l’uso delle risorse e dell’ambiente, ma anche quelli a lungo periodo.Infine l’equità sociale va riferita a due scale temporali, quella interagenerazionale e intergenerazionale. L’equità intragenerazionale consiste nella possibilità di accedere alle risorse, come equa distribuzione di redditi. Quella intergenerazionale nell’operare senza precludere alle generazioni future la fruizione dell’ecosistema e delle sue risorse.Alla base del concetto di sostenibilità sta il principio di lasciare alle generazioni future opportunità e qualità della vita non inferiori a quelle ereditate. Esistono due interpretazioni di tale principio: una, detta sostenibilità debole, secondo la quale ogni generazione potrebbe impoverire gli ambienti naturali, purchè compensi tale degrado accrescendo il valore e la qualità dell’ambiente prodotto artificialmente. La seconda, detta sostenibilità forte, ritiene che si debba lasciare alle generazioni future l’intero stock di capitale naturale, che non può essere sostituito da quello artificialmente prodotto dall’uomo.

Scheda 3.4 Il concetto di sostenibilitàSi possono individuare i seguenti aspetti:

4. Sostenibilità ambientale. Prende in considerazione l’integrità dell’ecosistema terrestre e la qualità dell’ambiente, intesa come bene che concorre a migliorare la qualità della vita e quindi lo sviluppo. La qualità dell’ambiente deve essere pertanto difesa dagli inquinamenti e dall’emissione di rifiuti. Per realizzare questa difesa è necessario ridurre la mole dei rifiuti e favorire lavorazioni e produzioni <<pulite>>.

5. Sostenibilità economica. Consiste nel perseguire l’efficienza economica attraverso un’attenta gestione delle risorse, in modo di non giungere a un loro esaurimento non soltanto a breve termine, ma anche in vista delle generazioni future.

6. Sostenibilità demografica. Prende in considerazione la ‹capacità di carico› di ciascun territorio in relazione alla popolazione, che consiste nel numero di abitanti a cui è in grado di offrire un livello di vita equo.

7. Sostenibilità sociale. Non si può parlare di sviluppo in presenza di disuguaglianze nella distribuzione del reddito e nelle condizioni di vita.

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Essa si basa su concetto di equità sociale come principio etico ed anche economico, in quanto le disuguaglianze sociali portano a conflitti di vario genere.

8. Sostenibilità geografica. Consiste nell’evitare gli squilibri territoriali nella distribuzione della popolazione, degli insediamenti umani, delle attività economiche, dello sfruttamento del suolo e delle risorse.

9. Sostenibilità culturale. Lo sviluppo non deve avvenire lungo un’unica direttrice, ma deve essere commisurato alle necessità e ai mezzi delle singole culture, delle quali vanno preservate le peculiarità.

3.11 Le conferenze delle Nazioni Unite e l’Agenda 21Il problema ecologico richiede oggi soluzione a scala globale, che necessitano di accordi e di cooperazione internazionale.La prima conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui problemi dell’ambiente si tenne a Stoccolma nel 1972. Il problema più trattato fu quello dell’inquinamento.In quell’occasione venne in luce il contrasto tra i paesi industrializzati e quelli del Sud del mondo. Nel complesso prevalse il concetto della riparazione piuttosto che della prevenzione.A vent’anni di distanza dalla conferenza di Stoccolma, quella di Rio de Janeiro mise in evidenza la necessità di ripensare a quale poteva essere un tipo di sviluppo che permettesse l’accesso alle risorse da parte di tutti i popoli e una riduzione degli squilibri ecologici ed economici a livello internazionale.Emerse chiaramente il contrasto tra i paesi del Nord del mondo, la cui preoccupazione maggiore consisteva ancora una volta nell’evitare squilibri ambientali e inquinamenti, e quelli del Sud del mondo che non volevano vedersi imporre sacrifici prima ancora di aver raggiunto livelli economici e di vita soddisfacenti.La conferenza si concluse con la stesura dell’Agenda 21, documento che illustra i principali problemi per i quali è necessaria un’azione comune a livello internazionale: i consumi, la distribuzione del reddito, la sostenibilità dell’agricoltura nei paesi ad economia commerciale e nel Sud del mondo, la protezione delle foreste, la conservazione del patrimonio genetico, gli aiuti ai paesi più poveri, la

gestione delle acque, la regolazione delle emissioni gassose che influiscono sul clima. Oltre ad illustrare la situazione attuale di ogni singolo problema, indica anche come affrontarlo e con quali mezzi. Il suo limite sta nel fatto che non esiste nessun obbligo preciso e nessuna sanzione per i paesi che non lo applicano.

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CAPITOLO 4 – LA POPOLAZIONE E IL PROBLEMA ALIMENTARE4.1 L’esplosione demograficaAlla fine del XX secolo la popolazione del pianeta era di quasi 6 miliardi. Nei secoli precedenti guerre, epidemie e carestie hanno ridotto il numero degli abitanti della terra. Solo con la rivoluzione agricola e industriale del XVIII secolo la popolazione comincia a crescere finchè negli anni 70 vi è un rapido aumento che viene detto esplosione demografica. Dal punto di vista demografico il mondo è diviso in due: da un lato i paesi sviluppati con debole crescita demografica, dall’altro i paesi del sud del mondo, principali protagonisti dell’aumento demografico.Tasso di crescita di un dato periodo (di solito un anno): la differenza tra il tasso di natalità (numero di nati ogni 1000 persone) e il tasso di mortalità (numero di morti ogni 1000 persone). Quando il numero delle nascite supera quelle delle morti il tasso di crescita è positivo e la popolazione aumenta.

4.2 Transizione demograficaLa variazione demografica deriva oltre che dai fenomeni migratori, anche dal movimento naturale. Esso si calcola come differenza algebrica tra i nati e i morti durante l’anno. Questa differenza saldo naturale, se è positiva si parlerà di crescita naturale, se è negativa si avrà un calo demografico naturale. I tassi di mortalità sono legati al tenore di vita e al sistema sociale: sono più alti in popolazioni con modi di vita agricoli tradizionali, più bassi in quelle più industrializzate.Per spiegare queste differenze è stata elaborata la teoria della transizione demografica. Secondo cui ci sono un regime demografico antico e uno moderno separati da uno stadio di transizione.

1) La situazione demografica antica, tipica delle società preindustriali, è caratterizzata da elevati tassi di natalità compensati da elevati tassi di mortalità (saldo naturale vicino allo zero).

2) Lo stadio della transizione si divide in due fasi: nella prima si riduce la mortalità per migliore condizioni di vita e la natalità rimane alta. Nella seconda fase c’è una riduzione del tasso di natalità (inurbamento, elevato costo per l’educazione dei figli) e quindi si ha un rallentamento della crescita demografica.

3) Il regime moderno è caratterizzato da una diminuzione del tasso di natalità fino ad eguagliare quello di mortalità e si ha quindi crescita zero. Lo stadio di transizione è quasi terminato ovunque tranne per i paesi dell’Africa, Asia meridionale e America latina dove è appena iniziata.

4.3 Le piramidi dell’etàLe differenze di classi, età, sesso di una popolazione vengono descritti da grafici, detti piramidi dell’età da cui possiamo trarre indicazione su tendenze demografiche, forze di lavoro potenziali e necessità future di ogni popolazione. I paesi a popolazione giovane (giovani prevalgono su anziani) presentano una piramide appuntita e sono costituiti da un numero di donne in età feconda che rimarrà a lungo elevato, così sarà possibile una diminuzione di popolazione nei prossimi anni. Questa situazione è detta inerzia demografica ed è tipica dei paesi del sud del mondo.I paesi con classi di età giovane poco numerose, dette a popolazione vecchia, hanno una piramide arrotondata, il loro principale problema per il futuro è l’aumento degli anziani. Nei paesi del sud del mondo, le due parti della piramide sono speculari. Nei paesi industrializzati alla nascita i due sessi sono equivalenti, ma col passare del tempo le donne diventano più numerose. Questo perché gli uomini sono esposti a rischi e logoramento fisico.

4.4 La popolazione come risorsa economicaLa popolazione di un paese può essere considerata una risorsa economica indicata come capitale umano. Infatti la produzione è legata agli investimenti e al numero di lavoratori.La popolazione attiva è l’insieme di persone in età lavorativa che lavorano o cercano lavoro. È minore nei paesi giovani per l’alto

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numero di bambini, e nei paesi vecchi per il numero di pensionati. Si tratta sempre di dati approssimativi perché non si tiene conto del lavoro nero.Oltre al numero di occupati bisogna tenere conto della loro produttività che dipende da condizioni alimentari, di salute e livello di istruzione. Dopo la seconda metà del XX secolo il divario tra i paesi del Nord e quelli del Sud del mondo si è ridotto. Nei paesi del Sud la speranza di vita media è aumentata di 1/3; c’è un livello di istruzione di base per partecipare alla vita politica e civile. Nonostante ciò l’analfabetismo non è scomparso perché molti bambini sfuggono all’obbligo scolastico.

4.5 La distribuzione della popolazioneLe differenze nella crescita e composizione demografica si riflettono sulla distribuzione dell’umanità sulla superficie terrestre.Esistono parti della terra disabitate perché ostili all’insediamento umano come l’Antartide, la Groenlandia, la Siberia e formano l’aneclimene. La restante superficie abitata si chiama eclimene.Il continente più popolato è l’Asia e poi l’Europa, i meno popolati sono l’Oceania e l’America latina.Le zone più popolate si trovano nell’emisfero settentrionale, e la densità di popolazione deriva da una colonizzazione agricola di zone fertili o dallo sviluppo industriale moderno. Aree a economia prevalentemente agricola sono: in Africa la valle del Nilo, in America gli altopiani del Messico, le isole dei Carabi.Le grandi aree industriali in Europa sono l’Inghilterra, la Francia, l’Italia e la Germania. Al di fuori di queste regioni la popolazione è discontinua e centrata soprattutto nelle aree urbane.

4.6 Il problema alimentareLa popolazione si differenzia dalla composizione e dal punto di vista sociale ed economico. Una delle più gravi conseguenze dello squilibrio dei redditi tra i paesi del mondo sono la fame e la malnutrizione.

Gran parte della popolazione mondiale soffre di malnutrizione, cioè un regime alimentare sufficiente come quantità ma non come qualità, in quanto carente di sostanze fondamentali per lo sviluppo.Fame e malnutrizione sono presenti per tre motivi:

e. in ambiente rurale i contadini vivono di sussistenza ma non producono abbastanza per i loro bisogni per cause naturali (siccità, terreni poco fertili) o per tecniche arretrate (cattive sementi).

f. in ambiente cittadino ci sono persone povere che non possono comprare gli alimenti.

g. le abitudini alimentari sono arretrate anche a causa dell’ignoranza.

Scheda 4.1 La rivoluzione verdeIntorno agli anni 60 del XX secolo la rapida crescita demografica mondiale fece temere che si avvicinasse il momento in cui le risorse alimentari sarebbe state insufficienti. Il problema era visto globalmente, si pensava che il mondo intero fosse coinvolto e si annunciava una prospettiva di fame per tutta l’umanità. La soluzione fu la rivoluzione verde che consisteva nel trasferire nell’agricoltura dei paesi del sud il modello di sviluppo di quella dei paesi industrializzati tramite l’uso di sementi ad alta resa, concimi chimici e tecniche di irrigazione adatte. Nonostante le disponibilità alimentari aumentarono, vi furono vari problemi, infatti il nuovo tipo di agricoltura non era adatto a tutte le regioni, ma solo alle più fertili; non furono calcolati i costi ambientali infatti le sostanze chimiche inquinavano le falde. A ciò si aggiungevano i pericolo della monocoltura come l’eccessivo sfruttamento del terreno.

4.7 Una seconda rivoluzione verdeLe regioni con maggiori carenze alimentari si trovano nell’Africa e in Asia meridionale e le persone coinvolte sono soprattutto contadini.Gli interventi dei governi e delle organizzazioni devono tener conto di questo fatto e agire sull’agricoltura di quelle regioni con quella che viene chiamata la nuova rivoluzione verde. Questa dovrà aumentare le produzioni in tutti i luoghi dove vivono le popolazioni rurali a rischio di fame.

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Per far ciò occorre studiare modelli diversi adatti a ciascuna situazione. Ma la malnutrizione esiste anche nei paesi ricchi. In questi cari la malnutrizione è un fenomeno isolato che non colpisce interi strati della popolazione ma singoli individui o famiglie.

Scheda 4.2 Le carestiePer carestia si intende una grave scarsità di alimenti che può colpire popolazioni normalmente ben nutrite. Si ha una carestia quando i raccolti o le riserve naturali vengono distrutte e un gran numero di persone soffre la fame fino al limite della sopravvivenza. Alla carestia si accompagnano anche problemi sanitari come le epidemie. Le carestie possono essere provocate da fenomeni naturali (siccità – inondazioni) oppure dall’intervento dell’uomo. A volte possono essere evitate infatti essendo legate al raccolto possono essere previste e le organizzazioni internazionali sono in grado di intervenire. Le carestie sono provocate o pilotate per fini politici. Si abbattono sulle aree colpite dalla guerra e colpiscono le fasce più deboli della popolazione. A volte sono pilotate per ottenere aiuti internazionali o per attirare l’attenzione dei mass media sulla situazione politica di un paese.

4.8 Le migrazioniLa popolazione di un territorio varia oltre che per il movimento naturale anche per il movimento migratorio. La fine del XX secolo è stata caratterizzata da numerosi fenomeni migratori che hanno investito ogni parte del mondo tanto che si parla di mondializzazione delle migrazioni.I movimenti migratori sono dovuti a tre motivi:

a) Innanzitutto la transizione demografica per cui accanto ai paesi nel regime moderno, che quindi crescono poco, ce ne sono altri nella prima fase di transizione e quindi in forte crescita . Si può parlare di transizione migratoria poiché i principali flussi migratori si verificano nelle zone più povere (Africa- America latina) a quelle ricche (Europa- America settentrionale- Asia Orientale).

b) In secondo luogo la differenza nel reddito e qualità di vita dei vari paesi che spinge molti cittadini a trasferirsi nelle zone dove possono trovare una vita migliore.

c) Infine la mondializzazione dei trasporti e delle comunicazioni che tende a ridurre le distanze chilometriche e culturali.

Oggi alcune parti del mondo vedono cambiare il loro rapporto con i fenomeni migratori, ad esempio l’Europa, che è stato paese di emigrazione e che ora riceve forti flussi di immigrazione.L’Europa è diventata uno dei principali poli di immigrazione.A causa del calo delle nascite, la crescita demografica è rallentata in Europa, mentre nei paesi del sud il diminuire della mortalità ha concentrato in quei paesi la crescita demografica.Inoltre, mentre prima i movimenti migratori si verificavano attraverso l’Atlantico, ora i nuovi flussi interessano il Pacifico verso gli Stati Uniti o il Giappone.Principali paesi d’immigrazione: Stati Uniti, Germania, Canada, Francia, Australia.Principali paesi d’emigrazione: Messico, Filippine.Una parte di emigrati è rappresentata dai rifugiati politici. Essi provengono da paesi con conflitti interni: America centrale, Africa orientale, Medio Oriente. Tra i paesi industriali quello che hanno maggior numero di rifugiati sono il Canada e l’Australia.Per i paesi industrializzati gli immigrati del sud del mondo rappresentano una manodopera poco costosa che si adatta a lavori faticosi e pericolosi rifiutati dai lavoratori locali. Le enormi quantità di immigrati hanno creato varie preoccupazioni sulle conseguenze economiche e sulla perdita di identità culturale.

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CAPITOLO 5 – L’ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE DEGLI SPAZI AGRICOLIAgricoltura→ importante per la coltura e la sopravvivenza umana sono:

4) Clima5) Terreno6) Qualità del terreno

Le condizioni ecologiche variano a seconda del tipo di coltura→ condizioni fisico ambientali: clima e acqua; rilievo; suolo. Possiamo trovare diversi tipi di regioni: equatoriali, monsoniche, mediterranee, temperate, tundra.Ogni area climatica ha il suo sistema culturale. Esso dipende dalle tecnologie e dalle scelte dei gruppi umani. Dal XVIII al XIX secolo cambia il mercato agricolo diventando più ampio.Con le nuove tecniche e i maggiori investimenti vengono favoriti i cambiamenti delle condizioni naturali, infatti attraverso sistemi di irrigazione un terreno no fertile potrebbe diventare produttivo, come ad esempio le zone desertiche.

La proprietà fondiaria può essere individuale o collettiva. Vi è un’ineguale distribuzione della proprietà. Si creano due classi: quella dei signori della terra e quella dei lavoratori della terra.Riforma agraria→ cambiamento delle strutture fondiarie, con l’introduzione di sistemi di coltura divisione delle terre in piccole e medie proprietà, miglioramenti per l’organizzazione agricola.Obiettivi: ordine economico, natura sociale.2 fasi di sviluppo: produttivistica e post-produttivisticaDevono rispondere a tre requisiti:

6) intensificazione7) concentrazione8) specializzazione.

A partire dalla rivoluzione agraria, la produzione agricola va trasformandosi con lo scopo di aumentare. Il mercato influenza la produzione dei terreni e l’organizzazione dello spazio agricolo.

Il consumo alimentare ha subito cambiamenti, soprattutto nei paesi sviluppati. Diminuisce il consumo di cereali, aumenta quello della carne. Nei paesi sottosviluppati accade invece il contrario.Vi sono 6 categorie di prodotti alimentari:

d) cerealie) radici e tuberif) frutta e verdurag) zuccheroh) grassi e olii) carne e pesce.

Va affermandosi una fitta rete di scambi, le esportazioni vanno verso un numero illimitato di mercati. La riduzione della domanda e l’abbassamento dei costi nei paesi industrializzati possono essere crisi economiche dei paesi esportatori.

SISTEMI DI PRODUZIONE10. Agricoltura contadina o tradizionale. Rivolta all’auto-consumo

familiare e dipendente dalle condizioni naturali.11. Agricoltura capitalistica. Dipende dal mercato. L’azienda

familiare si adatta al mercato. Impresa agro industriale: integrazione tra agricoltura e industria. Dominio dell’industria sull’agricoltura. Realizzazioni delle fasi produttive all’interno dell’impresa. Caratteristica: monocoltura: utilizza prodotti uguali ad altre industrie.

12. Agricoltura socializzata. Produzione pianificata.

LE STRUTTURE TERRITORIALI DELL’AGRICOLTURA CONTEMPORANEA

d) Agricoltura di sussistenza: 3 tipi: -alta intensità di lavoro; -itinerante del ladang; -delle oasi.

e) Agricoltura commerciale contadina: specializzata nella meccanizzazione e adozione di nuove tecniche. Prodotti destinati ai luoghi vicini. Caratteristiche→ -elevato prezzo dei terreni; -concorrenza con le altre attività; -specializzazioni per rispondere alla domanda del mercato.

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f) Agricoltura speculativa di piantagione. Specializzata nella coltivazione dei prodotti tipici dal clima tropicale umido, che vengono esportati.

g) Agricoltura capitalistica dei grandi spazi. Caratterizzata dalla distanza tra luoghi di produzione dai centri di mercato e di consumo dei prodotti. Localizzata in regioni scarsamente abitate con un clima temperato. Si adatta alle nuove tecniche agricole e si trasforma con le modifiche della domanda.

h) Agricoltura socializzata. Per quanto riguarda tale agricoltura possiamo parlare dei paesi socialisti: Corea del Nord, Cuba e qualche parte della Cina. L’agricoltura in questi paesi si differenziava da quella dei paesi economici di mercato, tale differenza riguarda la pianificazione della produzione, i prodotti agricoli per il consumo, per l’esportazione, per la formazione del governo, sono fissati dal governo in base ai piani pluriennali.

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CAPITOLO 6 – LA PRODUZIONE MINERARIA ED ENERGETICALe materie prime sono composte da:-minerali metallici→ si trovano in complessi geologici antichi o catene montuose recenti. Si distinguono in: risorse (ciò che vi è nel pianeta) e riserve (ciò che è immediatamente utilizzabile).-minerali non metallici→ in tutte le formazioni geologiche (molto utili alle industrie).Le materie prime utilizzate si trovano in giacimenti o a cielo aperto (di più agevole sfruttamento) o depositi di profondità per i quali di norma vengono creati dei tunnel per rendere possibile lo sfruttamento.I giacimenti vengono anche definiti fonti che si dividono in:-fonti usate come combustibile (carbone, petrolio, ecc): sono fonti non rinnovabili e quindi esauribili.-fonti di energia naturale (acqua, vento, ecc): sono fonti rinnovabili.La geografia degli spazi minerari ed energetici si basa su due ordini spaziali: uno dove vengono estratti, l’altro dove vengono utilizzati, entrambi vengono detti spazi puntuali.Dal 1973 i vari paesi del mondo iniziarono a preoccuparsi per le esauribilità delle materie prime. Si stimò che, se si fosse proceduto all’utilizzo delle materie prime ai livelli attuali, attorno al 2030 le riserve di rame e cobalto, petrolio, ecc.. avrebbero raggiunto livelli critici.Le imprese iniziarono così a guardare, come alternative alle classiche fonti esauribili di energia, iniziò così lo sviluppo di tecnologie rivolte allo sfruttamento di fonti di energia esauribile come sole, vento, acqua, correnti marine.Altre industrie optarono invece per lo sfruttamento di nuovi giacimenti finora ignorati come ad esempio quelle marine. Il consumo di tali energie tende sempre ad aumentare, favorendo così l’avvicinarsi dell’esaurimento delle fonti non rinnovabili.

ENERGIA IDROELETTRICAL’Austria e la Svezia sono gli unici paesi europei ad avere un reale sfruttamento positivo al punto di esportare ai paesi limitrofi. La produzione di energia idroelettrica è importante in quei luoghi con scarsa densità popolare e in paesi non produttori di petrolio.

ENERGIA DA CARBONELa sua possibilità di essere trasportato lo rende più favorevole come fonte di energia rispetto a quella idroelettrica, ma i suoi costi sono molto superiori. Persino i pesi produttori non riescono a trarne un vantaggio quantitativamente adeguato.

ENERGIA DA IDROCARBONENe fanno parte il petrolio e il gas.Il petrolio è largamente sfruttato e in via di esaurimento. Il gas è un ottimo sostituto del petrolio ma ha notevoli problemi di immagazzinamento ed esportabilità.

ENERGIA NUCLEARESi basa su due fasi:

13. si prepara l’uranio14. immagazzinamento del combustibile

È molto costoso.Per quanti vantaggi possa fornire, ha sempre e comunque degli svantaggi in quanto l’impatto ambientale è molto forte e molte volte non ne vale il rischio.

I FATTORI LOCALIZZATIVIProfondità e contenuto di minerali incidono sulla sfruttabilità o meno di un giacimento. La vicinanza di trasporti, centri urbani, centri di esportazioni minerari sono variabili fondamentali per la scelta.Il valore di un giacimento dipende dalla sua possibilità economica di sfruttamento e non dal fatto che sia fisicamente possibile. L’impatto di un’attività mineraria si può stabilire dagli effetti economico- sociali che produce.Il giacimento minerario può produrre sia vantaggi che svantaggi.I vantaggi sono: +lavoro→ +insediamenti→ +popolazioneGli svantaggi sono: inquinamento→ disboscamento→ dissestamento del suolo.

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CAPITOLO 7 – L’INDUSTRIA MANIFATTURIERAL’industria è un settore secondario, si occupa della trasformazione delle materie prime.L’attività manifatturiera comprende tre fasi:-approvviggionamento di materie prime o semi lavorate-la produzione, trasformazione delle materie prime e dei componenti del prodotto finito.-la distribuzione del bene prodotto sul mercato.Produzione→ attività manifatturieraL’industria opera attraverso una fascia di relazioni funzionali, ha tre tipi di rapporto tecnico-funzionale:

1. verticali: più processi danno il lavoro finito;stessa impresa = integrazione verticale;diversa impresa = disintegrazione verticale.

2. laterali: producono dei prodotti destinati ad una stessa impresa.3. di servizio: usufruiscono di servizi comuni.

Nasce in Inghilterra il primo addensamento industriale→ si situavano nei pressi dei giacimenti di materie prime preferendo il rapporto ecologico.Particolare rilievo avevano i costi per il trasporto.Condizione generale per l’insediamento dell’industria: presenza di materie prime, più forza lavoro, più mercato, più prodotto finito.Oggi le industrie non si sono spostate da dove erano sorte in tempi antichi usufruendo così delle relazioni interne – esterne. L’efficienza dei trasporti determina l’insediamento di industrie, ciò spiega la densificazione delle industrie, non sempre l’agglomerazione delle industrie porta dei vantaggi, alcune volte si creano delle diseconomie che sfociano in deglomerazioni di tre tipi:

15. rilocalizzazione16. decentramento produttivo17. formazione di sistemi industriali periferici.

L’impresa organizza le attività per la produzione: materiale e manodopera, grande impresa→ notevoli vantaggi sui mercati che consentono di attuare strategie di sviluppo. Le decisioni vengono prese da un gruppo che si occupa dell’attività esecutiva.

Piccola impresa→ scarsa potenzialità tecnologica e finanziaria, indirizzata a mercati più ristretti, le decisioni vengono prese da una singola persona: l’imprenditore.Azienda ad organizzazione nazionale o multinazionale.Multinazionale→ giganti industriali incorporano molteplici unità produttive per assicurarsi un rifornimento di materie prime, più fornitori di semilavoratori e della distribuzione dei prodotti sul mercato. Ciò ha portato ad un processo di concentrazione. Le aziende internalizzano il maggior numero di funzioni, vi è una divisione funzionale del lavoro:

le funzioni di decisione funzione produttiva produzioni standardizzate

Dal 1973 la metà degli scambi internazionali avviene attraverso le multinazionali, questo avvenne grazie ad una ondata di investimenti resa possibile da innovazioni tecnologiche, scomposizione del ciclo produttivo, sviluppo di strutture di trasporto→ più omogeneizzazione dei mercati.Comportamenti nuovi (multinazionali) d’impresa:-acquisizione-accordi di cooperazione Impresa globale-alleanze strategiche ↓

Ha una struttura flessibile: unità produttive localizzate in paesi e regioni diverse, specializzate in beni di consumo di massa. La fornitura avviene sub fornitura internazionale o da fornitori intenazionali.

Le imprese a rete sono caratterizzate da: -interdipendenza: dà vita ad una nuova divisione internazionale del lavoro;-varietà contrattuali.L’impresa era spinta ad internalizzare funzioni crescenti allo scopo di realizzare sia economie di scala (l’aumento dei volumi produttivi induce

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a costi unitari di produzione), sia ad economie di varietà (conseguite da più imprese su più prodotti). Nel 1971 l’Intel introduce il primo processore in una impresa. Ma la vera svolta si ha con le telecomunicazioni, le quali da sole forniscono l’input e l’output.Negli anni ’90 abbiamo l’internazionalizzazione dell’impresa e l’integrazione regionale.La struttura del commercio segue un modello regionale.Le nuove logiche organizzative riguardano:

5. decentramento crescente delle funzioni produttive e di vasti servizi d’impresa,

6. la recente selettività spaziale dei processi d’industrializzazione,7. formazione e consolidamento dei sistemi produttivi periferici

rispetto alle vecchie concentrazioni industriali,8. affermazioni di nuove concentrazioni produttive fondate sulla

ricerca e la produzione dei beni a contenuto tecnologico.

La triade globale è composta da: Nord America – Europa – Asia orientale e sud orientale.Sono i tre centri dove sono concentrati gli investimenti.Il Giappone crea un caso a parte: è riuscito a svilupparsi con le proprie forze senza investitori esterni.I paesi sottosviluppati ricevono quote molto modeste e tendono a investire sul proprio territorio.Le piccole imprese sono importanti per diversificare il mercato.

1971-81 si sono create nuove zone industriali, creando il fenomeno dell’industrializzazione periferica→ importanti per la loro formazione oltre le condizioni storico- culturali sono:-la presenza di capitali interni-tradizioni commerciali-forza lavoro dispersa-struttura familiare agricola-diffusione territoriale dei servizi e della residenza-forte coesione sociale e culturale.

Le aziende cercano di investire il proprio profitto nella creazione di nuovi prodotti che potrebbero essere venduti alle altre imprese, ciò avviene in due modi:

i. si crea un laboratorio di ricerca al proprio interno,ii. si affianca la ricerca in un laboratorio limitrofo.

Tutto ciò crea dei veri e proprio villaggi della ricerca.

Le economie di agglomerazione permettono all’impresa:9) risparmio sui trasporti10) accesso al mercato del lavoro11) gamma di servizi12) relazioni tecnico produttive.

Le imprese cercano sempre di localizzarsi in regioni che recano vantaggio, ma può accadere che tali regioni non offrano più vantaggi.I motivi:

o per impedire effetti ecologico- ambientali nocivio per fattori politico- strategicio per far sì che l’impresa non sia posta in un luogo rischioso.

Le vecchie strutture produttive e commerciali scompaiono e nascono nuove strutture, come ad esempio le imprese multinazionali.Il nuovo sviluppo consente una produzione organizzativa migliore, nascono nuovi sistemi di organizzazione territoriale dell’industria manifatturiera.

Nel sistema economico vi sono aree industrializzate e aree arretrate:-aree metropolitane-regioni industriali consolidate-regioni manifatturiere in declino-aree tecnologiche-regioni periferiche in via di sviluppo-regioni periferiche sottosviluppate.

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CAPITOLO 8 – IL SETTORE TERZIARIOPer i paesi industriali l’occupazione del settore terziario può essere usato come lo sviluppo economico e sociale. Molti paesi hanno avuto un aumento di occupati nei paesi sottosviluppati, invece vi è sottoccupazione nei paesi di economia avanzata. L’aumento di lavoratori porta una fase di sviluppo economico sociale come terziarizzazione dell’economia.Cambiamenti: -sviluppo nell’automazione industriale

-formazione del personale.Nel potenziare la centralità economica del territorio hanno contribuito:

h. Complessificazione del ciclo produttivoi. Capitale finanziarioj. Finanziarizzazione

Classificazione funzionale:18. Servizi per le famiglie19. Servizi per la collettività20. Servizi per le imprese21. Attività quaternarie.

Terzo settore→ no profit→ finanziato da enti pubblici o privati (attività di servizio svolte da privati, donazioni di privati, amministrazioni locali).

SERVIZI PER LE FAMIGLIEIn aree più sviluppate tranne servizi turistici che sono concentrate nelle zone periferiche lo stato regola le attività dei privati in modo indiretto.Due tipi di servizi:

7) –che seguono processi finanziari,-di meccanizzazione-automazione del lavoro

8) –servizi per la persona-svago, tempo libero-attività localizzate in centro.

Nei paesi sottosviluppati vi sono due circuiti: uno utilizzato dalla popolazione disagiata e da stranieri di paesi sviluppati, uno dalla popolazione indigena.Il commercio moderno è organizzato da grandi imprese che gestiscono la vendita in negozi e grandi magazzini.Il commercio tradizionale: sul territorio, mercati e negozietti.

SERVIZI PER LA COLLETTIVITÁTrasporti pubblici, servizi scolastici e sanitari.La localizzazione può dipendere da: -costruzione di strade

-ferrovie -università.

Nelle zone sottosviluppate possono essere una condizione per lo sviluppo futuro.

SERVIZI PER LE IMPRESETradizionali→ per lo sviluppoEspliciti→ prodotti da unità esterneImpliciti→ prodotti dall’impresa per l’uso esterno.

ATTIVITÁ QUATERNARIEAttività di comando di pianificazione a livello politico, sociale, economico e culturale.Funzione→ per l’economia dei paesi del mondo e per il loro sistema.Meccanismo di localizzazione→ in poche metropoli, su scala nazionale e internazionale.

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CAPITOLO 9 – LOGICHE SPAZIALI E DINAMICHE DEL TERZIARIO9.1 Localizzazione terziaria e gerarchie territorialiLe attività terziarie hanno di regola una localizzazione centrale che coincide con i centri storici delle aree urbane o con le grandi arterie del traffico. Fanno eccezione però i centri turistici, localizzati in posizione periferica.All’interno delle grandi aree urbane vi è stato di recente un abbandono delle posizioni centrali a causa dell’esiguità dello spazio a disposizione nei centri storici, del costo e del traffico. Per questi motivi ospedali, ipermercati e banche tendono a localizzarsi in posizione semicentrale.Da ciò si desume che a scala regionale e nazionale la distribuzione delle attività terziarie sul territorio non è uniforme.Si possono distinguere tre categorie di servizi:

k. I servizi comuni. Sono quelli a cui accede con frequenza giornaliera o settimanale buona parte delle famiglie o imprese. Sono distribuiti abbastanza uniformemente anche nei paesi meno sviluppati.

l. I servizi a livello medio. Sono quelli a cui la maggior parte delle famiglie o delle imprese accede con frequenza da mensile ad annuale. Nei paesi sottosviluppati si trovano in città di dimensioni medie o medio-piccole e sono quindi abbastanza diffusi sul territorio.

m. I servizi rari. Sono quelli a cui si ricorre eccezionalmente o che sono rivolti a categorie molto specializzate di utenti. Vi appartengono i tipi di commercio presenti solo nelle grandi città. Questi servizi sono in genere concentrati in pochi centri maggiori. Questa categoria di servizi si trova sovente associata alle attività quaternarie.

Nel complesso le attività terziarie tendono quindi a distribuirsi sul territorio secondo una logica gerarchica. L’insieme delle funzioni di un centro determina quindi la sua posizione nella scala gerarchica del terziario all’interno di una regione o di uno Stato oppure a scala mondiale.

La posizione gerarchica di un centro non corrisponde alla quantità di popolazione residente, ma alle funzioni terziarie di diverso livello che vi si esercitano.

9.2 Il modello di Christaller e lo spazio gerarchizzatoLo spazio gerarchizzato è stato formalizzato in un modello nel 1933 dal geografo tedesco Walter Christalle. Oggetto di studio è la localizzazione dei servizi rivolti alle famiglie, e il prodotto è il modello delle località centrali che spiega la distribuzione geografica delle città in funzione dell’offerta di servizi alla popolazione del territorio circostante.Il modello prevede inoltre una situazione economica di mercato regolato da un sistema di concorrenza perfetta. Il geografo tedesco introduce alcuni concetti fondamentali, quello di centralità, basato sull’esistenza di luoghi ‹centrali› che offrono beni e servizi per il territorio circostante che ne è privo.L’importanza di una città non può essere determinata solo dalla quantità della popolazione residente, ma anche in base alla quantità e qualità di beni e servizi offerti. Altri tre concetti fondamentali sono quello di soglia, che è la distanza corrispondente al numero di utenti minimo necessario perché i fornitori di beni o di servizi operino in modo da coprire i costi di vendita o di produzione e ottenere un ‹normale› margine di profitto; di portata, ossia la distanza massima che un utente è disposto a percorrere per accedere a un bene o servizio offerti da una località centrale; e quello di prezzo effettivo, che è il prezzo stabilito al mercato più i costi di trasporto che il consumatore deve sostenere per recarsi nel punto di vendita.Nel modello si osserva che i beni e i servizi sono ordinati gerarchicamente in base alla soglia: si definiscono funzioni centrali di ordine elevato quelle che presentano una soglia elevata e che richiedono un’area di mercato estesa. L’offerta di un bene o servizio si potrà così localizzare nella località centrale se il volume della domanda è almeno uguale alla soglia di quel bene o servizio e quindi ogni bene o servizio si localizzerà là dove la sua funzione è ottimizzata.Per verificare il suo modello Christaller osservò la distribuzione dei centri della Germania meridionale, classificandoli in sette livelli, a partire

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dalla capitale regionale sino al villaggio, a cui corrispondono aree di attrazione di varia ampiezza.Il modello di Christaller non tiene però conto della differenziazione naturale e storica del territorio né delle sperequazioni sociali in esso presenti.Inoltre non è più realistico là dove rappresenta i centri distribuiti in modo geograficamente equilibrato. Non viene infatti tenuta presente l’esistenza di economie di agglomerazione e di urbanizzazione. Non viene infine tenuto conto del fatto che i servizi di rango elevato potrebbero localizzarsi e svilupparsi in centri non per forza inseriti al massimo livello della scala gerarchica urbana, per cui verrebbe contraddetta l’ipotesi di una concentrazione di tutti i servizi più avanzati nei centri di rango più elevato.

9.3 Fattori agglomerativi e localizzazione dei servizi per le impreseLa logica gerarchica e di equilibrio spaziale del modello di Christalle non esauriscono quindi l’interpretazione della localizzazione e della crescita dei servizi nelle aree urbane. Le forti polarizzazioni di servizi e attività economiche in poche aree testimoniano la disomogeneità della localizzazione dei servizi.I servizi per le famiglie dipendono dall’incremento del reddito a disposizione ma non paiono svolgere un ruolo di ‹motore› dello sviluppo.Semmai sono i servizi collettivi di livello più elevato o strategici a svolgere un ruolo trainante per lo sviluppo economico. L’analisi dei servizi per le imprese e delle loro dinamiche spaziali fornisce il contributo principale per la comprensione delle modalità di crescita del settore terziario.Tra i fattori di localizzazione dei servizi per le imprese occorre annoverare:

i) Il livello del centro nella gerarchia urbana;j) Il tipo di funzioni produttive svolte dal centro urbano e la sua

‹qualità ambientale›; k) Le economie di agglomerazione, in particolare:

-la quantità e la specializzazione della forza-lavoro.-lo spirito e le qualità imprenditoriali e la presenza di capitali di rischio.

-la presenza di infrastrutture, sia per gli occupati sia per le imprese.-i rapporti di input-output delle imprese non solo nel settore industriale ma anche terziario.

n. Il valore del suolo.o. L’intervento pubblico nelle politiche territoriali e urbanistiche

tese a governare lo sviluppo anche in funzione di una più efficace e razionale crescita economica.

Come sottolinea Pred il processo di crescita delle funzioni terziarie urbane è di tipo cumulativo e ciò contribuisce a creare la concentrazione della crescita in pochi centri. In essi la possibilità delle imprese di accedere a economie esterne è maggiore, la crescita della domanda determina la creazione di nuove funzioni terziarie e la crescita locale di informazione che stimolano la crescita delle funzioni di livello più elevato.Fondamentale fattore di crescita dei servizi per le imprese è la strategia delle imprese industriali multilocalizzate e multinazionali, che condiziona in maniera significativa la presenza di numerose attività indotte.La gerarchia interna all’impresa si traduce in gerarchia territoriale nel senso che i legami di dipendenza tra la sede direzionale e le sedi regionali o le filiali producono effetti moltiplicatori a vantaggio dell’area metropolitana della sede.

9.4 Crescita dei servizi e processi spaziali recentiNelle grandi aree urbane la concentrazione di attività industriali e terziarie ha trovato un limite nei costi di insediamento, di congestione urbana ed ecologici. I benefici derivanti dalla localizzazione centrale possono tramutarsi in costi eccessivi. Nei paesi sviluppati la presenza diffusa di infrastrutture che offrono esternalità alle imprese ha così determinato una depolarizzazione selettiva sia delle attività industriali che di una serie di servizi a esse connessi.

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CAPITOLO 10 – I TRASPORTI E LE COMUNICAZIONI10.1 Trasporti e organizzazione territorialeLo sviluppo economico e in particolare la crescita dell’economia mercantile e industriale si sono fondati sullo scambio di beni e sono stati possibili solo grazie al parallelo sviluppo dei trasporti.Le vie di trasporto sono quindi il tramite attraverso il quale si effettuano le relazioni tra località, soggetti e imprese insediati in aree diverse. Il trasporto è considerato un elemento essenziale dell’organizzazione del territorio.È infatti una localizzazione a rete su cui si inseriscono dei nodi; sulla rete circolano flussi di traffico di diversa intensità, che determinano l’importanza del nodo insieme alla sua posizione geografica relativa.I nodi importanti possono occupare posizioni centrali, come succede nella maggioranza dei casi, ma anche periferiche.

10.2 Lo sviluppo dei trasporti nel XX secoloCon la seconda rivoluzione industriale, si verifica un rallentamento dello sviluppo delle ferrovie, che lasciano spazio agli autoveicoli, all’aereo e ai condotti.La crescita di questi nuovi mezzi di trasporto è anche accompagnata dal miglioramento tecnico dei collegamenti marittimi, ferroviari e fluviali, determinando una vera e propria rivoluzione dei trasporti, caratterizzata da una forte riduzione dei costi e da un notevole incremento delle velocità e dei traffici.Nei paesi sottosviluppati mancano capitali e tecnologie per risolvere i problemi di trasporto.

10.3 La scelta del mezzo e del modo di trasportoLa distanza incide sulla scelta del mezzo di trasporto da utilizzare. Nel 1948 Hoover presentò un’analisi sulla struttura dei costi di trasporto, nella quale distingueva nei costi di trasporto la componente fissa, vale a dire i costi di investimento e di funzionamento della componente variabile.Il trasporto stradale ha costi fissi molto bassi ma costi variabili elevati. Le ferrovie e le vie d’acqua comportano invece costi fissi più elevati.

Ma oltre che sul singolo mezzo, innovazioni importanti sono state introdotte sui modi di trasporto: la modificazione più importante è stata l’unitizzazione dei carichi, vale a dire l’utilizzo di imballaggi standardizzati come il container. Questo tipo di trasporti vengono chiamati intermodali.Il trasporto combinato, del quale una delle forme più diffuse è il cosiddetto roll-on/roll-off, che consente di trasferire direttamente un mezzo di trasporto su un altro per poi scaricarlo a destinazione.Nodi fondamentali della rete sono divenuti le piattaforme logistiche intermodali, aree in grado di ricevere alcune lavorazioni e infine smistare merci di tutti i tipi utilizzando i mezzi di trasporto più idonei. La piattaforma logistica non va confusa con il nodo di traffico. La differenza sta nel fatto che la piattaforma logistica tratta le merci: le unità di carico vengono aperte e svuotate per eseguire anche alcune lavorazioni di finissaggio e confezionamento e poi smistare la merce.È evidente che la piattaforma logistica crea più valore aggiunto del nodo di traffico; è inoltre un fattore di localizzazione per le imprese, che ad esempio vi installano i propri magazzini ricambi.La rete dei trasporti veloci ha alcuni nodi centrali, le piattaforme di interconnessione; si tratta di centri che, grazie alla contemporanea presenza di terminali aerei, stradali e ferroviari e alla possibilità di un rapido spostamento da un mezzo all’altro fungono da nodo per tutta la rete mondiale dei trasporti.Le nuove piattaforme logistiche e di interconnessione stanno accelerando una tendenza alla polarizzazione e alla gerarchizzazione nell’organizzazione del territorio.

10.4 Nodi e organizzazione del territorio: la rilevanza dei portiI porti si configurano come gateway di regioni più o meno vaste e punto di convergenza dei collegamenti tra mare e terraferma.La rivoluzione dei trasporti marittimi del secondo dopoguerra ha imposto rapidi cambiamenti alle strutture portuali: le nuove metodologie di trasporto e carico-scarico hanno richiesto adeguamenti tecnologici di ampia portata e una serie di servizi portuali specializzati e diversificati; la localizzazione di industrie nei porti o nelle loro

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vicinanze, ha creato regioni industriali costiere legate alla navigazione marittima.Questi porti polifunzionali sono adibiti al traffico di svariati tipi di merce. Gli altri porti si sono invece specializzati. In alcuni casi la polifunzionalità è stata raggiunta con la creazione di sistemi portuali, cioè con l’integrazione tra più porti di una stessa fascia litoranea, ognuno specializzato in una o più funzioni.Un altro aspetto importante per la fortuna economica dei porti è la presenza di un vasto e ricco retroterra economico.Il notevole mutamento delle funzioni portuali, e in particolare il fatto che alcune aree portuali siano divenute motore e cemento dell’organizzazione e dello sviluppo di un vasto territorio, ha indotto vari studiosi a parlare di regione maritimo-portuale. La zona del porto ha allargato il proprio raggio di influenza a tutta la regione retrostante e lungo i litorali, fungendo da stimolo alla crescita economica. La regione è divenuta complessa, con una gamma di attività vasta e diversificata.

10.5 Le telecomunicazioni nell’economia sul territorioNella società dell’informazione l’intero ciclo di funzionamento dell’impresa è legato a un più o meno complesso sistema di comunicazioni. In questo senso l’informazione si aggiunge alle materie prime tradizionali quale fattore della produzione in tutti i tipi di società, ma in particolare in quella ‹‹post-industriale››.L’informazione è anche un prodotto finito. Questo carattere di prodotto di consumo è evidente nei paesi in cui è possibile l’allacciamento domestico a reti telematiche.La necessità di trasportare le materie prime tradizionali e i manufatti ha determinato lo sviluppo sempre più massiccio di vie e mezzi di comunicazione, così l’informazione ha prodotto e sta producendo un’analoga rivoluzione delle telecomunicazioni.La filiera produttiva intorno alle telecomunicazioni è formata da soggetti economici in passato ben distinti:

22. i costruttori di reti e/o apparecchi per telecomunicazioni;23. le imprese che gestiscono i meda;

24. le imprese che gestiscono le reti;25. le imprese che offrono attività di servizio per l’utilizzo delle

reti e delle telecomunicazioni.Questi soggetti tendono a creare tra loro alleanze strategiche che rafforzano la capacità di penetrare in un mercato globale in forte espansione.Nel campo delle telecomunicazioni le differenze regionali tra paesi sviluppati e sottosviluppati sono molto forti. Più in generale l’organizzazione territoriale derivata dallo sviluppo delle telecomunicazioni è caratterizzata da alcune tendenze significative. Come per i trasporti è in atto una grande infrastrutturazione del territorio, che permette molte nuove relazioni spaziali ed è un elemento fondante del processo di globalizzazione in atto. Accanto a ciò emergono anche nuovi squilibri territoriali e nuove marginalizzazioni, derivate dal mancato o difficoltoso collegamento con la rete infrastrutturale. Le ‹‹zone d’ombra›› sono la gran parte dei territori dei paesi sottosviluppati, ma anche molte aree del Nord del mondo.Restano comunque forti squilibri tra i grandi assi di telecomunicazione, le autostrade telematiche, o i grandi nodi e le parti della rete che soffrono di problemi di connessione. Il problema è quello di connettere reti con portate trasmissive assai diverse tra loro, quello dell’arrivo ai nodi di accesso alle autostrade informatiche.Oltre alle porte di accesso alla rete, la geografia delle telecomunicazioni ha altri nodi centrali specializzati nella fornitura di servizi per le telecomunicazioni: i teleporti. Si tratta di piattaforme di servizi integrati per le telecomunicazioni che forniscono agli utilizzatori accessi ottimizzati alle reti di telecomunicazioni nazionali e internazionali.È interessante osservare la grande crescita della rete Internet. Essa non è né pubblica né privata, ma appartiene agli utilizzatori: ciò è possibile in quanto non è propriamente una rete ma un insieme di connessioni tra le reti stesse.

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10.6 Strategia d’impresa e innovazione tecnologica e logisticaL’innovazione tecnologica nel campo dei trasporti oltre a modificare l’efficacia dei singoli mezzi di comunicazione e le modalità di trasferimento delle merci ha anche inciso notevolmente sulle strategie d’impresa.Per quanto riguarda il processo produttivo la presenza di reti telematiche ha permesso di legare sempre più strettamente la produzione di manufatti alle esigenze del mercato. Inoltre le reti telematiche hanno anche permesso un rapporto sempre più stretto delle grandi imprese con l’indotto.Questo ha significato da un lato la riduzione degli stock, dall’altra la necessità di un approvvigionamento sempre più elastico e tempestivo; in pratica le diverse componenti devono essere consegnate just in time.Anche la distribuzione commerciale, sia all’ingrosso sia al minuto, ha potuto grazie ai collegamenti telematici, riorganizzare i magazzini, riducendo notevolmente i tempi e punti di giacenza.Nel caso della distribuzione al pubblico, la registrazione su terminale delle vendite e delle giacenze permette di pianificare i tempi di consegna delle merci da parte dei grossisti.La riduzione dei tempi di giacenza e la richiesta di consegne just in time anno portato in primo luogo a un notevole aumento della mole dei trasporti e in secondo luogo alla necessità di una loro razionalizzazione.La necessità di consegne tempestive e ‹‹porta a porta›› ha favorito come tramite finale il trasporto su strada ma ha anche incentivato sensibilmente l’intermodalità.I principali nodi intermodali sono capaci di garantire una assistenza continua di ‹‹monitoraggio›› al trasporto, grazie alla quale i clienti sono in grado di conoscere la localizzazione della loro merce. La disponibilità in tempo reale di dati sull’andamento dei carichi contribuisce inoltre all’aumento della redditività del trasporto stesso, in quanto il singolo operatore può programmare nel corso di un

viaggio quello successivo, senza dover effettuare soste o digressioni costose.Il sistema di gestione del flusso di materiali è così divenuto strategico e la logistica si configura come un nuovo ramo dell’economia industriale.La logistica controlla l’intero arco di movimentazione delle merci, ma anche alcune lavorazioni delle merci stesse. Il graduale superamento della logica dello spedizioniere tradizionale ha portato alla nascita dei logistic service providers, imprese specializzate in grado di rispondere alle più svariate esigenze logistiche del cliente e ad improvvisi picchi della domanda.La capacità di concepire e organizzare il flusso delle merci per ridurre il più possibile l’attrito della distanza e le differenze di percorso attualmente pare realizzata al meglio nella messaggeria espresso.

10.7 Le politiche dei trasporti e delle telecomunicazioniFino alla seconda metà dell’Ottocento, l’intervento dello Stato nel settore dei trasporti fu limitato alla costruzione di infrastrutture viarie. Infatti i trasporti erano stati gestiti per la massima parte da compagnie private che costruivano le reti in funzione di una immediata utilità economica.Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del nostro secolo si impose in Europa il concetto di trasporto come servizio collettivo. L’intervento dello Stato si intensificò rapidamente attraverso la nazionalizzazione delle compagnie private, in particolare quelle ferroviarie.La presenza pubblica nel settore dei trasporti più recentemente è divenuta significativa anche per un altro aspetto: la politica delle infrastrutture.La politica delle infrastrutture di trasporto non è solamente rivolta alle aree in ritardo, anzi è spesso il momento più rilevante di tutta la politica regionale di un paese.Dagli anni novanta nei paesi sviluppati la politica dei trasporti a parzialmente cambiato rotta: oltre che favorire la crescita delle infrastrutture attualmente punta a sfruttare l’integrazione tra reti di

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trasporti diverse e tra reti internazionali e locali. È questa la logica anche dell’Unione europea.Si sta inoltre diffondendo la tendenza all’impiego di capitali privati nella costruzione di grandi opere infrastrutturali, come è avvenuto ad esempio per la costruzione del tunnel sotto la Manica.Nel campo specifico delle telecomunicazioni agli anni novanta hanno visto la liberalizzazione del settore e la fine dei monopoli nella gestione delle reti via cavo.Gli aspetti politico-militari restano strategici. Lo Stato infatti esercita un potere sul proprio territorio anche attraverso il controllo delle vie di comunicazione e dei nodi che assumono un alto valore strategico. I settori ritenuti strategici sono il settore aeronautico, quello spaziale e le telecomunicazioni.

10.8 L’analisi delle retiL’analisi della rete di comunicazioni permette di leggere l’organizzazione del territorio di una regione: essa fornisce indicazioni sul tipo e sul livello di sviluppo economico, individua le aree ‹‹forti›› e quelle ‹‹deboli›› e i centri fondamentali dell’economia, orienta le politiche di sviluppo regionale.L’analisi delle reti può avvenire attraverso l’utilizzo di una serie di indicatori.L’indicatore più semplice è la densità della rete di trasporto. Il rapporto tra la superficie di un territorio e la lunghezza della rete considerata fornisce una prima importante indicazione, che andrebbe confrontata almeno con un secondo tipo di densità, quella tra la popolazione e la lunghezza della rete.Un secondo indicatore utilizzabile è l’uniformità, cioè il grado di omogeneità che la distribuzione della rete ha sul territorio considerato.La complementarità tra le diverse reti di trasporti indica invece se il territorio possiede un sistema viario diversificato e specializzato; la presenza di più tipi di trasporto consente di scegliere il mezzo da usare. Per ognuna delle reti va considerata anche la velocità di percorrenza dei tratti: la presenza di strade o ferrovie non è infatti sempre sinonimo di efficienza delle stesse.

È possibile inoltre analizzare la continuità della rete, sia all’interno di uno Stato o di un territorio, sia rispetto all’esterno.L’analisi delle reti attraverso indicatori può quindi essere un mezzo per comprendere numerosi aspetti geoeconomici.Le reti locali hanno funzioni di intensificazione delle relazioni alla scala locale e il raccordo con la scala nazionale avviene in pochi nodi adibiti a questo scopo.

10.9 L’evoluzione delle reti: modelli esplicativiL’evoluzione delle reti è determinata sia dalla domanda sia dalla politica regionale. Lo sviluppo della rete che ne consegue è di norma selettivo e gerarchico, sia rispetto ai flussi di traffico sia rispetto all’importanza relativa dei singoli nodi della rete, sebbene in alcune aree più sviluppate del globo stiano emergendo strutture e conformazioni più equilibrate, definite di tipo reticolare.In una rete di trasporto e/o comunicazioni è così possibile individuare la gerarchia tra i centri attraverso l’analisi dell’intensità dei contatti tra un nodo e le altre località.La logica evolutiva delle reti è stata in più casi spiegata attraverso modelli interpretativi che hanno tentato di fornire spiegazioni più o meno generali. Va però sottolineato che lo sviluppo delle reti è difficilmente spiegabile attraverso un unico modello e che quindi queste condizioni formali sono utili soprattutto dal punto di vista teorico.L’evoluzione della forma delle reti di trasporto nei paesi sottosviluppati possono essere descritte attraverso un modello interpretativo relativamente generalizzabile.Il modello presenta quattro fasi della evoluzione della rete di un’economia coloniale dove l’affermazione dei principali nodi deriva dalle modalità di sfruttamento delle risorse e dalla progressiva penetrazione nei territori interni.Nei paesi sviluppati, a differenza delle regioni del Sud del mondo, il condizionamento esterno è stato minore o temporaneo e il modello evolutivo presentato da Chapman, che fa riferimento alla rete

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ferroviaria inglese, assume connotati ed evidenzia fasi di sviluppo assai diversi dal precedente.

10.10 Le grandi direttrici del traffico e le reti di trasporto mondialiLe principali direttrici del traffico mondiale sono quelle che intercorrono tra paesi sviluppati. Il flusso di traffico principale si svolge tra Europa e America settentrionale.Grande importanza ha assunto recentemente la direttrice di traffico che collega i paesi asiatici che si affacciano sul Pacifico all’America settentrionale.La terza grande direttrice del traffico mondiale è quella che dall’Europa occidentale, attraverso il Medio Oriente e l’Asia meridionale, arriva in Giappone.Occorre infine citare una quarta direttrice che dal Giappone, attraverso la Russia e l’Europa orientale, arriva in Europa occidentale.Su queste grandi direttrici l’intermodalità del traffico merci e la connessione rapida tra i diversi mezzi del traffico passeggeri hanno comportato la crescita di nodi polifunzionali a elevata interconnessione.Se questi sono i principali assi di trasporto mondiali occorre però tenere presente che nel mondo vi sono aree dove le reti di trasporto sono assenti e altre dove sono molto labili. Si tratta dei territori poco abitati del pianeta ma anche di molte aree del Sud del mondo.

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CAPITOLO 11 – IL TURISMO11.1 Concetti generali ed evoluzione storicaSecondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) il turismo è praticato da chi si sposta dal luogo abituale di vita e di lavoro verso un’altra località, per almeno una notte e per non più di un anno, con lo scopo di arricchire le proprie conoscenze, oppure di migliorare la propria salute o ancora di divertirsi ed evadere dai normali comportamenti della vita quotidiana.Alcune strutture erogatrici di questi servizi si trovano nelle località e regioni turistiche di destinazione. Perciò il turismo si configura come un’attività che trasferisce capitali dalle regioni di partenza verso quelle di arrivo.Dal punto di vista geografico si distingue inoltre il turismo a scala regionale e nazionale da quello internazionale, intracontinentale e intercontinentale.Va detto che fino al primo terzo del Novecento il turismo era ancora un fenomeno d’élite, che interessava ristrette fasce di popolazione: quelle che avevano una certa disponibilità di tempo e denaro. Dopo l’ultima guerra mondiale il turismo ha assunto, nei paesi sviluppati, le attuali caratteristiche di fenomeno di massa.

11.2 Sviluppo economico e mobilità turisticaLa gran parte della mobilità turistica si genera e si svolge all’interno delle aree più sviluppate e dei loro immediati dintorni. Il livello dello sviluppo economico e sociale agisce quindi sia sulla formazione della domanda che sulla capacità di offerta turistica. Il movimento turistico di massa è presente solo al di là di certe soglie dello sviluppo.Per quanto riguarda la domanda tale soglia è raggiunta a un certo grado di sviluppo del processo di industrializzazione e terziarizzazione, cioè quando si ha la formazione di una fascia consistente di redditi medi e quando il miglioramento dei trasporti, il processo di urbanizzazione e l’aumento del tempo libero fanno crescere la propensione al consumo turistico.Tra i fattori della domanda, hanno forte incidenza anche i fattori culturali. La gran parte di tali fattori deriva dall’urbanizzazione e dal

modo di vita urbano, da cui dipendono una serie di fenomeni come concentrazione-congestione, stress e diseconomie ambientali, maggiori esigenze culturali e di conoscenza.Analogo a questo è il fattore climatico che spiega i flussi percentualmente maggiori da paesi o regioni più fredde verso quelle più calde.

11.3 I fattori dell’offerta turisticaI fattori che determinano le differenze nello sviluppo turistico delle regioni o dei paesi sono numerosi. In primo luogo occorre tener conto dell’accessibilità della località o area turistica. Questo fattore riflette la posizione di un’area rispetto alle principali zone di provenienza della domanda. Oltre alla distanza fisica contano il costo e la facilità dell’accesso.La presenza di attrattive è un secondo importante fattore che determina lo sviluppo del turismo. La maggior parte dei flussi si orienta verso attrattive non facilmente producibili o riproducibili, in quanto di carattere naturale oppure storico. Sono invece producibili e per lo più legate a determinati livelli di sviluppo, altre attrattive di tipo urbano che consistono sia nelle opportunità presenti nelle maggiori città sia nell’ambiente urbano stesso. Possono essere inserite tra le attrattive urbane anche le strutture ricettive in senso stretto: alberghi, campeggi, ristoranti, ecc.Quando lo standard di queste condizioni si allontana troppo da quello a cui i turisti sono abituati nelle loro aree di provenienza, non è possibile lo sviluppo di un turismo di massa.Un altro importante fattore dell’offerta turistica è l’immagine che una certa località si crea, soprattutto attraverso i canali di informazione. L’immagine turistica è ancora più particolare per le cosiddette località status-simbol, quelle cioè la cui frequentazione <<rafforza>> la posizione sociale del turista.Occorre ancora aggiungere che il costo della vita, per quel che concerne la spesa turistica, può variare in modo relativamente elevato anche tra paesi sviluppati, tanto comunque da rendere attraente un certo paese piuttosto che un altro.

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Tra i più importanti fattori dell’offerta turistica occorre annoverare anche le politiche di sviluppo gestite dall’intervento pubblico.Soprattutto per il turismo internazionale va infine considerata la situazione geopolitica, soprattutto nel senso della stabilità politica e militare.

11.4 La geografia del turismoL’economia turistica è determinante nella formazione del reddito di molti paesi e regioni. Per alcuni paesi di medio livello di sviluppo economico il turismo è l’attività che permette il maggior afflusso di capitali dall’estero. Esso ha inoltre effetti positivi sull’occupazione e sullo sviluppo di attività collaterali, come la costruzione di case o l’impianto di esercizi commerciali.Il turismo internazionale nell’insieme ha mobilitato nel 1995 quasi 350 miliardi di dollari, contribuendo all’incremento della circolazione di capitali su scala mondiale.L’incremento dei redditi e del tempo libero, la diffusione dei mezzi di trasporto e comunicazione, un lungo periodo senza guerre mondiali e il generale processo di globalizzazione dell’economia e della cultura sono stati i principali fattori di questa crescita.Su scala internazionale il principale flusso di turisti è quello tra paesi sviluppati.Buona parte del turismo internazionale è organizzato da agenzie specializzate che predispongono viaggio, soggiorno e itinerario per gruppi di turisti. Alcune delle grandi agenzie di viaggi sono società multinazionali, in grado di controllare sia i mezzi di trasporto, sia le strutture ricettive.Flussi turistici consistenti a scala regionale o nazionale si hanno soprattutto nei paesi sviluppati, dove rappresentano una pratica diffusa nella maggior parte della popolazione. A questa scala il turismo è organizzato prevalentemente in forma individuale e l’automobile è il mezzo di trasporto privilegiato.Soprattutto nel turismo a scala regionale è molto diffusa la seconda residenza in campagna, situata in genere nelle aree limitrofe alle grandi metropoli.

11.5 Le aree turistiche dei paesi sviluppatiLe aree turistiche dei paesi sviluppati possono essere localizzate sia in posizione periferica, sia in posizione molto centrale. Le maggiori città attraggono infatti importanti flussi turistici e alcune possono essere considerate anche come autentici centri di attrazione turistica, in quanto richiamano masse di visitatori sovente superiori a quelle dei principali centri turistici specializzati.Questi ultimi si configurano come aree monoproduttive: la Costa Azzurra, la riviera romagnola, i centri alpini di sport invernale, le località termali, le città del gioco come Las Vegas e Atlantic City, hanno un’economia che si basa essenzialmente sul turismo.Quando il turismo è soprattutto stagionale, la presenza di popolazione sul territorio può variare anche notevolmente tra alta e bassa stagione.Rispetto al resto della regione l’area turistica può avere un’economia separata oppure integrata. Resta separata quando non vi sono rapporti economici e funzionali con la regione, che è solo uno spazio di passaggio per arrivare alla località turistica. Quando invece l’area turistica è collegata con l’economia di una regione, si sviluppano intensi flussi economici e relazioni spaziali di vario tipo che rendono integrato l’insieme dello spazio regionale.Un’analisi sulle tipologie degli spazi turistici regionali è stata condotta da LOZATO-GIOTART su scala mondiale e da essa è agevole estrapolare le situazioni regionali tipiche dei paesi sviluppati. Ne risultano alcuni modelli fondamentali, dagli spazi specializzati e poco diversificati agli spazi polivalenti e diversificati.

11.6 Il turismo in Europa orientale e nel Sud del mondoIn Europa il turismo interno ha una certa consistenza, poco praticato è invece il turismo all’estero: per i residenti le vacanze oltre confine sono un’eccezione, e i flussi principali si dirigono quasi esclusivamente verso altri paesi dell’area.Anche i turisti in arrivo dall’Occidente non sono molto numerosi e gli unici paesi che hanno un afflusso paragonabile a quello dei vicini paesi occidentali sono l’Ungheria e la Polonia. Nell’insieme dell’area ci si sta orientando verso la concessione di un grande spazio ai servizi

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turistici privati e verso una politica tendente ad attirare maggiormente i turisti occidentali.Il turismo nei paesi del Sud del mondo, ha anch’esso caratteri originali. Il turismo interno è pressocchè assente nei paesi più poveri, mentre in quelli con un maggior livello di sviluppo ha una certa diffusione. Buona parte del turismo internazionale è organizzato dalle società multinazionali, che controllano parte dell’economia turistica di questi paesi. Il vantaggio per l’economia locale spesso è scarso. In molti casi lo spazio turistico del Sud del mondo è <<colonizzato>> e strutturato secondo le esigenze del capitale straniero e i gusti dei turisti occidentali. In questa situazione esiste quindi un doppio circuito di servizi turistici: quello per gli stranieri e quello per la restante parte di popolazione autoctona.

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CAPITOLO 12 – I FLUSSI COMMERCIALI E FINANZIARI12.1 L’interdipendenza commercialeIl commercio internazionale è uno dei pilastri su cui si fonda il processo di mondializzazione dell’economia. Quasi tutti i paesi del mondo negli ultimi decenni hanno aumentato il loro grado di apertura commerciale, cercando di incrementare la percentuale di prodotto interno esportata e ricorrendo maggiormente a importazioni per esigenze interne non soddisfatte da produzioni nazionali. Questa progressiva liberalizzazione del commercio non è però generalizzata e totale. Permangono infatti, in alcune aree e per alcuni prodotti, dazi e barriere doganali volti a proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza esterna.La grande crescita del commercio internazionale nel secondo dopoguerra si spiega con la concomitanza di diversi fattori, di ordine politico, economico e tecnologico.Innanzitutto va considerato il clima di distensione politica tra i paesi occidentali ma anche tra l’Est e l’Ovest. In secondo luogo va considerato il forte sviluppo dell’economia mondiale, e in modo particolare di quella dei paesi del Nord del mondo, che ha permesso di aumentare produzioni, tenori di vita e disponibilità di reddito, premessa indispensabile per un rafforzamento della domanda di beni.Un altro fattore economico è stato l’espansione delle imprese multinazionali, e più in generale, il processo di decentramento produttivo che ha prodotto una nuova divisione internazionale del lavoro. La crescita delle multinazionali è derivata a volte anche dalla necessità di aggirare le barriere doganali: l’investimento diretto in un paese che mantiene queste barriere, se viene permesso dal governo locale, è una strategia che permette anche una migliore penetrazione nel mercato di quel paese.Un ruolo centrale nella crescita del commercio internazionale dopo la Seconda guerra mondiale va attribuito al miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni. Se ne sono avvantaggiate anche le borse merci internazionali.

12.2 Globalizzazione e regionalizzazione del commercio internazionaleOltre ai macroprocessi descritti, vi sono altri due aspetti che hanno permesso un grande sviluppo del commercio internazionale nel

dopoguerra. Da un lato la firma, nel 1947, dell’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio e dall’altro la crescita di accordi commerciali regionali.Il GATT è nato con lo scopo di promuovere gli scambi su scala mondiale attraverso una logica liberoscambista. Nel 1995 il GATT si è trasformato in WTO ed è stato dotato di maggiori poteri di controllo, ad esempio sulla concorrenza sleale.La proliferazione di accordi commerciali regionali, che hanno l’obiettivo di rafforzare all’interno dell’area dell’accordo gli scambi, con protezioni più o meno consistenti verso il resto del mondo, sembra però andare nella direzione opposta rispetto agli obiettivi del WTO.Innanzitutto i paesi che hanno siglato accordi regionali e le organizzazioni regionali stesse partecipano alle trattative del WTO, con il risultato di vedere comunque ridotte le barriere. In secondo luogo, l’appartenenza a un’area regionale di libero scambio è stata finora un forte stimolo alla crescita delle esportazioni nazionali e una sorta di tappa intermedia verso un incremento del commercio anche all’esterno dell’area. In terzo luogo, le aree regionali più potenti hanno svolto un ruolo di attrazione verso paesi limitrofi, che talvolta ne sono diventati membri associati accrescendo il loro interscambio con l’estero.Permane comunque la possibilità che questi sottoinsiemi regionali puntino all’autosufficienza o al protezionismo, producendo una frammentazione dello spazio economico mondiale piuttosto che una sua globalizzazione.La logica liberoscambista del WTO trova ostacoli anche nell’incremento dei negoziati bilaterali.

Scheda 12.1 Gli accordi commerciali regionaliGli accordi commerciali regionali possono essere semplici accordi di libero scambio, che prevedono l’abolizione di dazi tra i paesi membri. Ma i livelli di integrazione possono essere anche molto superiori e non riguardare solo il trasferimento di merci, ma anche di capitali, servizi, imprese e persone: si tratta in questo caso di un mercato comune.L’unione europea è la più importante e riuscita organizzazione economica regionale. Ne fanno ormai parte quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e sono numerose le richieste di adesione di paesi limitrofi.Per contrapporsi all’Ue è nato nel 1993 il NAFTA, volto a creare progressivamente un mercato comune. A differenza di quanto accade nell’Ue il peso di uno dei tre partner,

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gli Stati Uniti, è nettamente preponderante rispetto a quello degli altri due, che sono Canada e Messico.Un altro accordo commerciale di un certo rilievo è l’ASEAN, fondata nel 1967, che ha svolto un ruolo importante nell’incremento dei commerci tra i paesi membri e che nel 1993 ha promosso l’istituzione dell’AFTA con l’obiettivo della creazione di un’area di libero scambio nel Sud-Est asiatico entro il 2003.

12.4 Lo scambio inegualeL’insieme dei paesi sottosviluppati gestisce circa il 30 per cento dei commerci mondiali. Ma quasi i due terzi di questa quota sono coperti dai paesi dell’Asia orientale e dai paesi esportatori di petrolio. Gli altri paesi sottosviluppati partecipano quindi in modo del tutto marginale agli scambi mondiali.Va anche sottolineato che i paesi sottosviluppati commerciano assai poco tra loro, non riuscendo in tal modo a costruire aree commerciali regionali nel Sud del mondo. Negli ultimi vent’anni il peso commerciale del Sud del mondo si è ridotto, e solo pochi paesi in via di sviluppo hanno acquisito un ruolo importante nel commercio internazionale.Il meccanismo su cui si basa tale processo è quello dello scambio ineguale. Agli inizi del capitalismo industriale si riteneva, in base alla teoria dei vantaggi comparati, che lo scambio di merci di qualunque tipo tra due paesi favorisse comunque entrambi.Questa teoria valeva quando le differenze territoriali nei costi di produzione dipendevano ancora prevalentemente da fattori naturali, mentre i fattori sociali erano considerati mobili. Con lo sviluppo dell’economia industriale e urbana i fattori <sociali> divennero sempre più importanti e sempre meno mobili.Questi fattori non sono trasferibili nello spazio: ma mentre la quantità dei fattori naturali è determinata e sovente si riduce con l’uso; quest’insieme di infrastrutture, di capitale fisso, di capacità umane è in continuo aumento, secondo un processo circolare cumulativo. Ciò fa sì che i paesi che ne sono più dotati oggi tendano a esserlo sempre di più domani.Ogni paese si specializza nelle produzioni per cui presenta le condizioni più convenienti. Ma viene meno la condizione che il vantaggio complessivo che ne deriva si ripartisca in egual misura tra i partner dello scambio commerciale, perché esso tende a essere confiscato dai paesi più sviluppati.

Il lavoro e i capitali operanti nei paesi centrali tendono a essere remunerati maggiormente, in quanto le condizioni generali della produzione o <fattori fissi> in essi presenti:

9) Non sono riproducibili né esportabili;10) Permettono di produrre beni e servizi più qualificati, che non si

potrebbero produrre altrove.Ne consegue ce le formazioni economiche più sviluppate esercitano nel loro insieme una specie di monopolio relativamente all’offerta di questi beni.I beni prodotti dai paesi meno sviluppati hanno invece la caratteristica opposta: di poter essere fabbricati in presenza di <condizioni generali> molto semplici, largamente diffuse e realizzabili nel breve-medio periodo là dove mancano. I paesi meno sviluppati per essere competitivi devono perciò comprimere la remunerazione dei fattori locali.Nello scambio in condizioni di ineguale sviluppo economico i paesi meno sviluppati sono costretti a cedere a quelli più sviluppati una larga quota del loro surplus. Ciò impedisce loro sia di accrescere i consumi interni, sia di accumulare quel capitale che, in condizioni di parità di scambio, si renderebbe disponibile per gli investimenti.

12.5 La finanziarizzazione dell’economiaI mercati finanziari sono cresciuti in modo esponenziale: nel 1980 l’80 per cento del valore delle transazioni economiche internazionali dipendeva dalla circolazione di merci, mentre nel 1997 il rapporto si era invertito e il 95 per cento delle transazioni era riferito a spostamenti di capitale finanziario.Occorre precisare che questa circolazione è in parte fittizia; infatti circa l’80 per cento delle transazioni borsistiche avviene sotto forma di contratti a brevissimo termine; questi contratti comportano un versamento iniziale solo del 5 per cento del valore dei titoli acquistati, mentre la regolazione può avvenire anche alla fine del mese borsistico, per cui è possibile rivendere dopo pochi giorni avendo di fatto usato una quota minima di capitale. Si tratta cioè di manovre di tipo speculativo che puntano al guadagno a breve termine e che permettono di effettuare numerose transazioni di compravendita, senza utilizzare realmente le effettive quantità di capitale finanziario che vengono trattate sul mercato.

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Questo tipo di operazioni riduce quindi il rischio di investimento, ma comunque condiziona l’andamento dei mercati, in quanto l’acquisto o la vendita vengono registrati a tutti gli effetti.Così è cresciuta la richiesta di una regolazione dei mercati finanziari e dei flussi di capitali per evitare gravi crisi e ridurre la libertà d’azione degli speculatori. La liberalizzazione della circolazione dei capitali ha infatti reso meno efficaci le manovre di singole banche centrali sui tassi d’interesse e più in generale ha ridotto il potere degli Stati nazionali anche in materia finanziaria.Tuttora i flussi finanziari non sono mai del tutto indipendenti dal contesto produttivo nazionale.Un rischio di instabilità deriva anche dalla situazione di indebitamento estero di moltissimi paesi. Quando l’indebitamento dello Stato è accompagnato da quello delle imprese e delle banche, il rischio di crollo della borsa e del valore della moneta diventa altissimo e in questa situazione la speculazione finanziaria internazionale ha buon gioco. In questi casi anche le banche centrali e i governi nazionali hanno modeste possibilità di frenare la caduta del valore della moneta.In generale i rischi di crisi finanziarie derivano dal fatto che l’esplosione del mercato dei capitali ha creato una massa monetaria circolante nel mondo molto superiore al valore della produzione e dei consumi globali; lo scarto tra economia finanziaria ed economia reale è il principale imputato dei crack di borsa avvenuti negli ultimi anni, come quelli del 1987.In ambito finanziario operano a scala mondiale due organismi internazionali, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM). Il ruolo istituzionale del FMI è quello di sorvegliare sulla salute economica e finanziaria degli Stati e di intervenire concedendo, su richiesta, prestiti condizionati alla messa in atto di politiche monetarie ed economiche volte al risanamento del paese. La BM ha un ruolo simile al FMI, ma più orientato a concedere prestiti per finanziare piani di sviluppo economico.

12.6 Flussi e poli finanziariTra il 1945 e il 1981 il ruolo di valuta <mondiale> è stato svolto quasi esclusivamente dal dollaro.

Negli anni ottanta e novanta la forte crescita delle economie della Germania, del Giappone, della Cina e dei NIC asiatici fa mutare la situazione di dominio incontrastato del dollaro, che resta la valuta più utilizzata, affiancata però dal marco tedesco e dallo yen giapponese. Si crea così una situazione di policentrismo monetario, con tre valute forti che dominano la scena. La recente nascita dell’Euro ha ancor più rafforzato questa tendenza e il peso dell’area Ue in campo finanziario.I flussi di capitali negli ultimi due decenni del XX secolo si sono così in parte modificati. Si sono invece ridotti i flussi verso il Sud del mondo.La crescente importanza dell’attività finanziaria nell’economia mondiale ha prodotto anche un ampliamento delle reti internazionali delle maggiori banche e società finanziarie del mondo.I flussi di capitale finanziario hanno densificato la rete dei centri finanziari e creato molti nuovi nodi. Essi hanno la funzione di drenare meglio il risparmio e attrarre più facilmente gli investimenti, che spesso vengono dirottati su poche grandi piazze finanziarie.Tra i centri finanziari mondiali esiste una gerarchia, che è determinata dalle loro funzioni, dall’entità del flusso di capitale controllato e dall’effettivo potere d’influenza di cui dispongono.Al primo livello della scala gerarchica si collocano solo tre centri finanziari, che sono i nodi globali della rete. Si tratta di New York, Tokyo e Londra.I progressi della telematica non solo hanno favorito l’enorme sviluppo dei flussi finanziari e monetari nel mondo, ma hanno anche reso possibile trasferire capitali all’estero oltrepassando frontiere nazionali senza che di fatto governi e banche centrali possano intervenire per controllare i flussi.Lo spazio finanziario mondiale va pertanto assumendo una fisionomia e un funzionamento più autonomi rispetto alle divisioni politiche e all’economia dei singoli paesi.

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CAPITOLO 13 – CITTA’, METROPOLI, RETI URBANE13.1 Le funzioni urbanePer funzioni di una città si intendono le attività che corrispondono a esigenze sia interne della città sia esterne ad essa.L’importanza di una città si può desumere dalle sue funzioni, queste ultime sono misurabili in base al loro raggio d’azione e al loro impatto sulla vita sociale ed economica a diversi livelli territoriali.La classificazione delle funzioni urbane combina due criteri: quello del tipo di attività e quello della loro portata o raggio d’azione territoriale. Considerando i rapporti di scambio che la città ha con il resto del territorio distinguiamo anzitutto le attività locali da quelle non locali.Tutte le attività urbane locali, quelle cioè il cui raggio d’azione non va oltre l’immediato intorno territoriale della città, hanno la funzione di consentire il mantenimento e la riproduzione della città stessa. Esse consistono cioè nella produzione di beni e servizi che vengono <<consumati>> localmente.Le attività che hanno un raggio d’azione da regionale a internazionale non rivolte al consumo locale, dette perciò esportatrici. Esse sono il motore economico delle città e costituiscono nel loro insieme quella che viene chiamata base economica urbana.Le città si possono classificare in base alle loro funzioni. Ci sono città specializzate in una sola funzione prevalente e altre polifunzionali. Tra le prime abbiamo le città d’arte, le città universitarie, le città sacre, le città turistiche e dei divertimenti.Sono polifunzionali molte città capitali di Stati e molti capoluoghi di province e regioni, i grandi centri di servizi e di funzioni quaternarie.Le prime, che corrispondono alle normali attività terziarie, attraggono flussi di utenti e consumatori dai territori circostanti, e quindi organizzano lo spazio in aree di gravitazione. La loro funzione è però passiva.Al contrario, le attività quaternarie sono fattori attivi di organizzazione territoriale, in quanto promuovono processi di trasformazione e sviluppo.

Il prevalere sulla funzione <<passiva>> terziaria di quella <<attiva>> quaternaria è il criterio funzionale fondamentale che permette di distinguere il concetto funzionale da semplice città di quello di città-metropoli.

13.2 Le città come sistemi territorialiLe città non sempre corrispondono al territorio di un singolo comune (città municipale). Più frequentemente il sistema territoriale urbano si estende su un’area comprendente diverse municipalità contigue.L’espandersi delle città nella campagna circostante, fino a inglobare altre municipalità e a connettersi e fondersi tra loro in un continuo urbanizzato, inizia con la città industriale moderna nelle forme della conurbazione. Il termine applicato sta a indicare l’area urbana che si forma a partire da due o più città un tempo separate fra di loro da spazi rurali, in seguito alla loro espansione e reciproca fusione.Quando invece si ha espansione a macchia d’olio di un centro urbano che ingloba progressivamente i comuni rurali limitrofi si parla di agglomerazione e si dice suburbanizzazione la conseguente crescita di sempre più vaste <<corone periferiche>> dell’agglomerazione stessa. Per <agglomerazione urbana> si intende qualunque area urbana che comprenda più comuni.Per indicare forme particolarmente estese di città è stata introdotta la categoria di distretto metropolitano e poi quella di area metropolitana. Quest’ultima è un aggregato di più contee urbanizzate, comprendente almeno una <città centrale>. Le contee limitrofe a quella centrale sono aggregate ad essa se posseggono congiuntamente tre requisiti: una densità minima di popolazione; una certa quantità di occupati in attività extraagricole; una certa percentuale degli abitanti della contea che si reca a lavorare quotidianamente nella contea centrale e viceversa.

13.3 La dinamica urbanaLe traiettorie evolutive delle città procedono per fasi di sviluppo lineare, bruscamente interrotte da discontinuità, cioè da fasi critiche in cui la struttura funzionale sociale e fisica subisce mutamenti

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qualitativi. Dopo le crisi la città riprende il suo cammino in una nuova direzione, che dipende dalla nuova struttura che essa ha assunto e che la può portare alla crescita come al declino. Questa traiettoria sarà poi interrotta da una nuova crisi, che ne modificherà il corso e così via.

13.4 Le città come reti regionali e le megalopoliLe città e le relazioni che le legano tra loro danno origine a reti urbane.Possiamo distinguere tre modelli di reti:

l) Reti a gerarchia determinata. Possono essere pensate come sistemi territoriali in equilibrio. Le relazioni tra i nodi (località centrali) sono dissimmetriche in quanto le località centrali di livello inferiore dipendono da quelle di livello superiore e non sono previste relazioni orizzontali tra centri dello stesso livello.

m) Reti multipolari o a specializzazione locale stabile. Le funzioni urbane si suddividono tra i vari nodi in combinazioni locali di vario tipo e dimensione. Tra i nodi si stabiliscono rapporti di interazione e di interscambio basati principalmente sulla complementarità delle funzioni.

n) Reti equipotenziali o a indifferenza localizzativa. In esse ogni attività può situarsi convenientemente in ogni modo, che può quindi teoricamente essere connesso con qualunque altro, in base a relazioni di complementarità funzionale, senza che esista un <centro> della rete.

Questo modello si presta a descrivere i reticoli urbani che si sono formati nelle regioni più sviluppate in seguito alla contro-urbanizzazione e al decentramento di attività manifatturiere e di servizi a partire dagli anni settanta per effetto della dilatazione dei campi di esternalità metropolitani.Sono megalopoli le regioni urbane del Nord-Est degli Stati Uniti, la regione europea del Reno con le sue espansioni verso Parigi e Londra e verso la pianura padana, il Giappone centro-meridionale. Le megacittà sono invece le agglomerazioni che superano i 10 milioni di abitanti.

Le megalopoli sono le strutture urbane tipiche dei paesi più economicamente sviluppati, mentre le megacittà sono tipiche dei paesi in via di sviluppo.

13.5 Le città come nodi di reti globali. Il marketing urbano e le strategie di sviluppoOggi tutte le città possono essere collegate con le reti globali e anzi devono esserlo, in quanto, come tutti i sistemi locali devono in qualche modo interagire con esse se vogliono svilupparsi.Ne derivano due conseguenze principali. Da un lato, ogni città si trova ad operare come nodo di una città-rete globale, e quindi tende a sviluppare rapporti di complementarietà e di cooperazione con le altre città. Dall’altro, le città entrano in competizione tra loro per occupare i livelli gerarchici più elevati nella nuova rete mondiale.Gli strumenti in uno per ottenere questi risultati sono il marketing urbano e i piani strategici. Il primo può essere inteso come semplice mezzo per attrarre investimenti esterni, offrendo sul mercato degli investitori globali certe risorse generiche come suoli edificabili, forza lavoro, qualità ambientale ecc. Oppure può essere inteso come costruzione di una coalizione di attori e di forze interne della città che si proponga come interfaccia tra il <saper fare> del sistema locale e le reti globali.

13.6 La gerarchia urbana e le città globaliLa nuova gerarchia urbana derivante dall’odierna globalizzazione presenta due caratteri di novità. Il primo è che i suoi livelli tendono a ridursi essenzialmente a due: uno metropolitano superiore, formato dalla rete mondiale e uno inferiore formato dai reticoli urbani di tipo equipotenziale. Il primo è la sede delle attività terziarie superiori, mentre nel secondo sono distribuite le funzioni urbane di livello medio e inferiore.Nella rete metropolitana mondiale emergono per importanza alcuni tipi di città. Anzitutto quelle chiamate città globali o mondiali, in quanto in esse convergono e si connettono i nodi delle principali reti globali. Le loro principali caratteristiche funzionali sono:

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1 La presenza della sede direzionale di un numero elevato di società multinazionali e di una più generale <capacità direzionale> su scala globale;

2 La presenza di un mercato finanziario di livello internazionale;3 La dotazione di infrastrutture di livello elevato;4 La presenza di strutture specifiche e culturali altamente innovative

e di un <ambiente culturale> atto a recepirle e riprodurle;5 La presenza o la possibilità di contatto diretto con organi politici

di livello internazionale.Le città globali non sono molte. Al vertice di esse troviamo New York, Tokyo, Londra, Mosca, Parigi, Francoforte, Los Angeles.Una categoria particolare è rappresentata dalle tecnópoli. Si tratta di città dove interagiscono la ricerca scientifica, i capitali finanziari e l’industria con lo scopo di sviluppare l’innovazione tecnologica e applicarla alla produzione.Le caratteristiche generali comuni alla maggior parte delle tecnopoli sono:

j) La presenza di un elevato potenziale scientifico;k) La sinergia ricerca-industria;l) Una forte disponibilità di capitale di rischio da investire in

attività innovative;m) Un’organizzazione d’impresa flessibile e antiburocratica;n) Un <clima culturale> favorevole all’innovazione;o) Un’efficiente rete infrastrutturale;p) La presenza di una <qualità della vita> di alto livello.

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CAPITOLO 14 – IL SISTEMA MONDO14.1 Centri e periferie nell’economia mondialeIl mondo attuale è caratterizzato da un unico sistema politico-economico di riferimento, il capitalismo, basato sull’economia di mercato. La fase più recente della globalizzazione ha reso le relazioni economiche tra i vari Stati all’interno del sistema mondo sempre più intense e interdipendenti tra loro. Tuttavia permangono profonde differenze tra le aree economicamente forti, dette Nord del mondo, e quelle deboli, dette Sud del mondo, cioè i centri e le periferie.I primi indicatori di tali differenze sono Prodotto Interno Lordo (PIL) e il Prodotto Nazionale Lordo.Quando si parla di Quarto mondo ci si riferisce a paesi che non possiedono risorse naturali strategiche con tassi di analfabetismo elevatissimi e forte crescita demografica. Essi sono in molti casi devastati da guerre recenti, si trovano soprattutto in Africa a sud del Sahara.

Scheda 14.1 PIL e PNLIl PIL misura il valore della produzione di beni e servizi realizzati all’interno di un paese, mentre il PNL comprende il PIL più saldo dei trasferimenti di valuta in entrata e in uscita.

14.2 L’indice di sviluppo umano o HDIOltre che per la composizione, la popolazione si differenzia anche dal punto di vista economico e sociale. Le differenze riguardano il reddito, ma anche altri settori, quali la sanità, la cultura, la qualità della vita. È stato introdotto un altro indice per misurare il livello di sviluppo: l’indice di sviluppo umano, che viene calcolato annualmente. Esso ha valori che vanno da 1 a 0 ed è il risultato dell’integrazione di tra dati: la speranza di vita alla nascita, l’alfabetizzazione degli adulti e il PIL reale per abitante.Nel complesso, l’indice di sviluppo umano è in crescita in quasi tutti i paesi del mondo, tranne nell’Africa nera, dov’è praticamente stazionario.

Bisogna inoltre considerare che i paesi più poveri sono anche quelli in cui permangono le maggiori diversità di reddito, per cui accanto a pochi privilegiati con redditi alti, esiste una classe media generalmente poco numerosa, per lo più rappresentata dai funzionari statali, e infine una massa di persone che vivono al limite della sussistenza.

14.3 Il dominio finanziarioI rapporti tra paesi ricchi e poveri, tra centro e periferia, passano non soltanto attraverso scambi di materie prime, prodotti alimentari, manufatti, tecnologie e servizi, ma anche attraverso flussi di capitali.Dall’inizio degli anni novanta lo spazio finanziario mondiale ha assunto la forma di rete, con un numero limitato di nodi, che sono le grandi piazze finanziarie, legati tra di loro per via elettronica, e tra i quali le informazioni circolano alla velocità della luce.I progressi dell’informatica e della telematica non soltanto hanno favorito l’enorme sviluppo dei flussi finanziari e monetari nel mondo, ma hanno anche reso possibile trasmettere ordini, conoscere decisioni e anche scegliere, indipendentemente dalla distanza, dove trasferire i capitali. La rete finanziaria globale, con le sue vie elettroniche, passa al di sopra delle frontiere nazionali e i governi e le banche nazionali hanno poco potere di controllo sui suoi flussi.A scala mondiale le grandi piazze finanziarie sono distribuite in tre zone, a differenti fusi orari, così da permettere il funzionamento della rete per tutte le 24 ore.Al margine del sistema si situano i paradisi fiscali, luoghi caratterizzati dall’assenza di tassazione sulle transazioni, dal segreto bancario, dalla facilità per le imprese di apertura di filiali e altre varie facilitazioni. Banche, compagnie di assicurazioni e multinazionali se ne servono per svolgere operazioni bancarie elettroniche, depositarvi fondi e trasferirli eludendo le più restrittive leggi nazionali.Il funzionamento dello spazio finanziario mondiale determina disparità nella distribuzione delle opportunità economiche tra Nord e Sud del mondo. I paesi del Sud ricorrono infatti al mercato finanziario per reperire fondi, ma devono confrontarsi col fatto che devono

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pagare tassi più elevati dei pesi ricchi, essendo considerati debitori a rischio elevato. All’aumento dei tassi di interesse richiesti ai paesi dell’economia debole contribuisce la domanda di capitali anche da parte di paesi economicamente più avanzati.Un altro settore dove per la maggior parte dei paesi del Sud del mondo le opportunità sono minori, è quello degli investimenti diretti da parte delle multinazionali e delle imprese in genere.

Scheda 14.2 Le materie prime come beni strategiciIl possesso o il controllo delle materie prime sono importanti armi strategiche e il rapporto tra la dotazione in materie di base e peso nella politica mondiale dei singoli paesi è molto stretto.Il valore strategico dei singoli paesi si basa più sul loro controllo che sul possesso di giacimenti: è grazie allo sviluppo delle loro flotte che i paesi dell’Europa centrale a partire dal XVII secolo furono in grado di approvvigionarsi di materie prime da tutto il mondo.Fino a metà del XX secolo il commercio internazionale dei prodotti di base fu influenzato dal passato coloniale: gran parte dei giacimenti era sfruttata da compagnie di paesi del Nord, che si creavano stock strategici per superare eventuali periodi di penuria. Per questo una delle prime rivendicazioni dei paesi divenuti indipendenti con la decolonizzazione, fu il controllo dei propri giacimenti, ottenuto nel 1962 con una risoluzione dell’ONU che asseriva: ‹‹il diritto sovrano e permanente dei popoli e delle nazioni sulle loro ricchezze e le loro risorse››.Più recentemente la geopolitica delle materie prime è stata assegnata da preoccupazioni di tipo ambientale, legate al problema del limite delle risorse. In questa prospettiva si afferma il concetto della mondializzazione delle risorse, in opposizione a una loro nazionalizzazione.

14.4 Il debito del Sud del mondoIl fatto economico che ha assunto il maggior peso a scala mondiale, destando forti preoccupazioni ai governi delle aree centrali e agli organismi finanziari internazionali è quello del crescente indebitamento estero di molti paesi. Si tratta di una cinquantina di paesi del Sud del mondo, cioè tutti quelli dell’America Latina, di Indonesia, Thailandia e Filippine in Asia e di quelli africani.Per un paese che voglia avviare un processo di sviluppo economico interno il ricorso a prestiti dall’estero rappresenta la via più normale di finanziamento. Tuttavia, mentre il processo di indebitamento attuale

dei paesi dell’Est europeo non desta per ora grande preoccupazione, quello dei paesi del Sud del mondo ha assunto dimensioni tali da vanificare quasi completamente gli sforzi per avviare uno sviluppo interno.Gli esperti delle istituzioni finanziarie internazionali,, in particolare del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, preoccupati soprattutto di sanare le situazioni di disavanzo più gravi, hanno suggerito dei programmi di aggiustamento basati sul risparmio nella spesa pubblica e sui meccanismi (riduzione delle importazioni e aumento delle esportazioni). L’applicazione di tali programmi da parte dei paesi debitori è condizione essenziale per l’ottenimento di nuovi prestiti. Le conseguenze più immediate della politica di risparmio ricadono tuttavia negativamente sulla parte più debole della popolazione; il taglio delle spese sociali spesso si ripercuote in modo negativo sia sull’assistenza sociale che sulla sanità e sulla pubblica istruzione.

Scheda 14.3 Il Fondo Monetario InternazionaleIl Fondo Monetario Internazionale fu istituito nel 1994 con lo scopo di sorvegliare il funzionamento del mercato monetario internazionale; ne fanno parte attualmente più di 150 paesi, che partecipano con quote parte attribuite in funzione del posto che ciascun paese detiene nell’economia mondiale.Negli ultimi vent’anni il FMI ha avuto un ruolo politico determinante a scala mondiale, e non sempre positivo. Infatti molti paesi in via di sviluppo si sono rivolti per prestito al FMI. Ma quest’ultimo condiziona la concessione di prestiti all’accettazione di piani di politica economica elaborati dai suoi esperti.In questo modo il FMI diventa un luogo di potere politico oltre che finanziario per la possibilità che ha di influire sulla politica economica dei suoi debitori.

14.5 Il dominio culturaleNel mondo contemporaneo il potere di una nazione non è legato soltanto all’estensione della sua influenza politica o al suo potenziale bellico, ma anche al dominio culturale. Con questa espressione si indica il prevalere di una forma di cultura, con la sua lingua, la sua religione, i suoi modi di vita, il suo tipo di struttura politico-sociale. Dominare culturalmente un paese vuol dire imporgli i propri modelli e

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i propri valori, uniformando così il comportamento dei suoi abitanti alle proprie esigenze.Attualmente in questo campo nessun paese come gli Stati Uniti riesce a esercitare un’influenza planetaria. In primo luogo con la dominazione linguistica; la diffusione dell’inglese e dell’americano è spesso vista come mezzo per superare le differenze etniche e culturali all’interno dei singoli Stati.Sul piano diplomatico quasi tutti i trattati internazionali sono in inglese, così come in campo commerciale le transazioni si fanno in quella lingua.Il dominio culturale passa principalmente attraverso i mass media, e in questo campo sono gli Stati Uniti ad esercitare l’influenza maggiore. La televisione e il cinema sono i principali veicoli di diffusione di valori e di modi di vita e cultura in genere.Un altro importante mezzo di diffusione di cultura, di mode e persino della lingua è la musica. I generi musicali più amati dai giovani provengono quasi essenzialmente dai paesi anglosassoni.La diffusione della conoscenza di una lingua amplia anche il mercato librario, dei giornali ecc, in un processo cumulativo che tende a creare sempre maggior squilibrio tra la cultura dominante e quelle periferiche.Una fortissima concentrazione si ha anche nel campo dell’informazione. Pochi sono i giornali che possono avere loro corrispondenti o inviati nelle varie parti del mondo.Un altro settore di importanza vitale per esercitare un dominio culturale sono le telecomunicazioni.Per quanto riguarda le banche dati, le più vecchie appartengono agli Stati Uniti: pertanto gran parte delle informazioni necessarie per svolgere ricerche o per la produzione vengono richieste a queste ultime, in quanto per gli altri paesi costa meno pagare questo servizio a banche estere che allestirne di proprie.La principale rete di trasmissione telematica, che copre l’interno pianeta e che negli ultimi decenni ha rivoluzionato completamente il concetto di distanza, è Internet.

Scheda 14.4 InternetInternet consiste in una serie di collegamenti informatici che connettono tra di loro un gran numero di reti di computer e di archivi. Le sue origini risalgono agli anni sessanta, quando il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti decise di mettere a punto un sistema di telecomunicazioni che non potesse essere distrutto da un eventuale attacco nucleare russo. Il problema fu risolto con una serie di piccole reti locali (Lan) situate in luoghi ritenuti strategici, collegate tra di loro da reti più estese.Grazie alle connessioni di Internet oggi possono essere trasmessi da una rete all’altra, e attraverso le reti ai singoli computer, dati, testi, immagini, musica.Internet non appartiene a nessuno, non offre servizi commerciali e non riceve finanziamenti né pubblici né privati. Chiunque può collegarsi a Internet, purchè abbia un computer fornito di modem e collegato alla rete telefonica.

14.6 Geopolitica e geoeconomia del sistema del mondoTra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nostro secolo tutto lo spazio terrestre fu organizzato e integrato in un unico grande sistema economico, formato da una rete di scambio che scavalcava i confini politici, superava le differenze culturali e aggirava persino le alleanze militari.Il capitalismo mercantile e industriale europeo era infatti ormai penetrato sia nel cuore di regioni remote e <primitive>, sia all’interno dei grandi imperi euro-asiatici, disgregandone le vecchie forme di economia e facendoli entrare in vario modo in un unico sistema economico mondiale.Durante il XX secolo il modello binario centro-periferia si complicò, con l’affacciarsi di nuovi protagonisti. I primi furono gli Stati Uniti, dove lo spirito imprenditoriale e le tecnologie necessarie per svilupparlo avevano a disposizione enormi quantità di materie prime e risorse naturali in genere.All’inizio del nostro secolo anche il Giappone era in grado di competere con le potenze coloniali europee creandosi una vasta area di influenza nell’Asia orientale.Tra il 1914 e il 1945, cioè nell’arco di soli trent’anni due grandi conflitti coinvolsero il mondo intero, indicando che era finita un’epoca e introducendo sostanziali cambiamenti.

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La Conferenza di Yalta del 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, sancì la divisione del mondo in sfere di influenza tra due grandi potenze: Stati Uniti e URSS.A cavallo tra gli anni ottanta e novanta alcuni avvenimenti hanno innescato un processo di mutamento degli assetti mondiali.I principali cambiamenti hanno riguardato l’URSS, dove dopo più di 70 anni, cessava il governo totalitario del partito comunista, mentre numerose Repubbliche dello Stato federale proclamavano la loro indipendenza. Dalla dissoluzione dell’URSS nacquero 15 nuovi Stati, tra i quali il più grande è la Russia.A causa di queste trasformazioni cessava l’elemento centrale della competizione tra le due potenze mondiali, legato a due diverse ideologie, quella socialista e quella capitalista, in quanto il principale paese socialista si riconvertiva all’economia di mercato. Il bipolarismo mondiale era così finito.Con la fine del bipolarismo gli Stati Uniti sono rimasti l’unica grande potenza, al tempo stesso economica e militare, in grado di intervenire anche nella politica degli altri paesi.L’Europa, anche se non rappresenta più come in passato il <centro del mondo>, conserva ancora un notevole peso economico grazie al potenziale industriale, al controllo dei capitali multinazionali e alla dimensione ed estensione dei suoi scambi internazionali.Con riferimento alle modalità di sviluppo di alcune parti di pianeta che rimangono allo stato di <periferia> si possono dividere in quattro gruppi.Un primo gruppo è formato dai paesi che non soltanto sono ricchi di materie prime, ma possiedono almeno in parte le tecnologie necessarie per sfruttarle.Un secondo gruppo comprende quella porzione di periferia che, pur rimanendo in posizione di forte dipendenza, ha avuto già in passato o in tempi più recenti un inizio di sviluppo industriale. Rientrano in questo gruppo alcuni paesi detti nuovi paesi industriali (NIC), che grazie a particolari requisiti hanno avuto un rapido e intenso processo di industrializzazione.

Una terza situazione è rappresentata dai paesi africani, asiatici e americani produttori di petrolio; questi paesi grazie al flusso di dollari derivanti dalla vendita del petrolio hanno potuto accumulare grandi capitali e in molti casi dare l’avvio a profonde trasformazioni interne assicurandosi tecnologie e tecnici stranieri.Infine il gruppo del cosiddetto Quarto mondo, conserva tutte le caratteristiche del sottosviluppo e tende ad aggravarle non disponendo di risorse naturali né umane sufficienti a competere sui mercati internazionali.

Scheda 14.5 Le nuove ‹‹terre incognite››Nell’opinione corrente tutto il mondo è ormai conosciuto ed è possibile visitare ogni angolo della Terra. Ma questa visione del villaggio globale è tutt’altro che reale.Soprattutto nel Sud del mondo gli esempi di regioni irraggiungibili si moltiplicano. Un primo gruppo di terre incognite è rappresentato dalle zone in preda a guerre civili.Un secondo gruppo è formato da aree che per volere del loro stesso governo vengono tagliate fuori da ogni contatto esterno.Infine possono considerarsi ‹‹terre incognite›› le periferie di molte grandi città del Sud del mondo, dove in bidonvilles, barrios o favelas, si accalcano migliaia di persone che vivono in un regime di autonomia in quanto largamente fuori dal controllo delle leggi dell’apparato statale.

14.7 Le nuove frontiere: i mari e lo spazioGli interessi non soltanto economici ma anche politico-militari delle grandi potenze non si limitano oggi alla terra ferma, ma si estendono anche agli oceani o agli spazi extra-atmosferici.Per molti secoli gli oceani furono visti principalmente come tramite per la navigazione e i commerci, mentre le zone prossime alla terra ferma erano utilizzate soprattutto per la pesca.Intorno agli anni sessanta e settanta iniziarono ad apparire interessanti le risorse dei fondali marini, sia petrolifere che minerarie in genere. L’attenzione internazionale si concentrò sulla piattaforma continentale.Si accese allora in campo internazionale la discussione su chi avesse il diritto di sfruttare la piattaforma. Prevalse la norma che la piattaforma

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potesse essere sfruttata dagli stati costieri i quali si affrettarono a costruire piattaforme off-shore per l’estrazione di idrocarburi, isole artificiali per l’attracco delle superpetroliere, allestendo così al largo vere e proprie appendici della regione costiera.Le zone costiere sono da sempre le più abitate: si prevede un suo notevole aumento nei prossimi anni; tale addensamento comporta un notevole utilizzo degli spazi marini in prossimità della costa e di conseguenza un sempre maggior interesse per la zona economica esclusiva.Fino a qualche decina di anni fa l’interesse per lo spazio sovraterritoriale era legato soltanto alla navigazione aerea; ora invece, grazie ai satelliti artificiali l’etere ha assunto grande importanza anche in altri tre settori: quello militare, del telerilevamento e delle telecomunicazioni. La gamma dei servizi che possono utilizzare lo spazio è vastissima: trasporti, telecomunicazioni, televisione ad alta definizione, telerilevamento, cartografia, meteorologia, osservazione, ascolto, supervisione sugli accordi di disarmo, allarmi in caso di guerra o pericoli ambientali, missioni scientifiche, allestimento di stazioni orbitali.La funzione militare dei satelliti è oggetto di grande attenzione: il noto progetto di scudo spaziale americano si basava infatti sulla presenza di satelliti in grado di intercettare i missili, o anche portatori essi stessi di missili. I satelliti per il telerilevamento servono a <fotografare> la crosta terrestre, con tutti gli oggetti che la ricoprono per meglio conoscerne le caratteristiche e le trasformazioni; fungono inoltre da spie potentissime per controllare le mosse degli avversari.Per tutti questi motivi il controllo dello spazio è divenuto un fattore strategico ed è in atto una vera corsa ad accaparrarsene una porzione. Secondo il Trattato internazionale dello spazio il cosmo sarebbe <patrimonio comune dell’umanità, con conseguente diritto da parte di tutti gli Stati di utilizzarlo e utilizzare i vantaggi derivanti dalla sua conoscenza>. Nella realtà i paesi tecnicamente evoluti sono i maggiori occupatori dello spazio.Gli Stati Uniti sono attualmente la maggiore potenza spaziale, a cui si affianca la Russia.