Cap14 -  · Ottica In questo capitolo si introduce l’ottica non tanto come ... valgono equazioni...

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14 Ottica In questo capitolo si introduce l’ottica non tanto come risultato della sistemazione dell’elettromagnetismo ope- rata da Maxwell, quanto come frutto di un cammino in- dipendente della scienza lungo il quale progressi teorici e sviluppi di enorme importanza pratica sono andati di pari passo. Inizieremo presentando i fenomeni che hanno aiutato a comprendere la natura fisica della luce: rifles- sione, rifrazione, dispersione, interferenza, diffusione e polarizzazione. Il modello ondulatorio della luce è stato lo strumento che ha consentito di inquadrare buona par- te di questa fenomenologia portando, molto prima di Maxwell, a dispositivi che si sono rivelati fondamentali nello studio della natura: microscopi, telescopi, spettro- metri. Daremo qui solo scarni cenni allo sviluppo dell’ottica fisica, ma ricordiamo che il vastissimo tema dell’interazione tra luce (od onde elettromagnetiche) e materia, ripreso nel prossimo capitolo, è ben lungi dall’essere concluso, o dall’aver esaurito il suo potenzia- le di sviluppo tecnologico. Per quanto riguarda l’ottica geometrica si presenta l’applicazione delle leggi della riflessione e rifrazione allo studio delle proprietà di semplici strumenti ottici. I casi facilmente trattabili sono praticamente solo quelli che prevedono superfici riflettenti o rifrangenti di tipo sferico. Nei limiti di alcune ragionevoli approssimazioni, valgono equazioni semplicissime che descrivono però si- tuazioni diverse, che possono essere distinte padroneg- giando una “regola dei segni”. 14.1 Riflessione e rifrazione I fenomeni luminosi hanno da sempre affascinato filosofi, naturalisti e poeti: Dante riempie la sua Commedia di immagini e visioni e rappresenta Dio come una sorgente di luce. Specchi e lenti primitive erano utilizzati fin dall’antichità; ma è nel Rinascimento che prende inizio quello sviluppo tecnologico che porterà, nel Seicento, all’invenzione di microscopio e telescopio. Nello stesso periodo si avviò un dibattito sulla natura della luce che si risolse con il trionfo della teoria ondulatoria dell’olan- dese Christian Huygens. La teoria alternativa a quella di Huygens era la teoria corpuscolare di Cartesio e Newton: può essere istruttivo metterle a confronto per avere una idea di quale fossero i termini del dibattito e lo stato delle conoscenze. Lo scopo principale delle due teorie era quello di interpretare i fe- nomeni della riflessione e della rifrazione. Un raggio di luce () che incide su uno specchio produce un raggio ri- flesso che forma con la normale allo specchio un angolo di riflessione uguale a quello di incidenza. Se il raggio raggiunge la superficie di separazione di due mezzi tra- sparenti, si può osservare un raggio rifratto che si propa- ga nel secondo mezzo formando con la normale alla su- perficie un angolo di rifrazione diverso da quello di inci- denza. Il rapporto tra seno dell’angolo di incidenza e se- no dell’angolo di riflessione è costante e dipende dalla natura dei due mezzi trasparenti. Raggio riflesso e raggio rifratto appartengono al piano individuato da raggio inci- dente e normale alla superficie (piano di incidenza). Riprendendo l’opera di Cartesio (in particolare, La diottrica, nel Discorso sul Metodo del 1637) Newton ar- gomentò (1696) che un raggio di luce fosse costituito da uno sciame di particelle “luminifere”, elastiche, con di- mensioni e masse infinitesime, espulse a grandissima ve- locità dalla sorgente luminosa e sottoposte alle leggi della () Per raggio di luce si intende la linea uscente dalla sor- gente luminosa tracciata lungo il percorso della luce. In un mezzo omogeneo e isotropo (con uguali proprietà in ogni dire- zione) il raggio luminoso è una semiretta.

Transcript of Cap14 -  · Ottica In questo capitolo si introduce l’ottica non tanto come ... valgono equazioni...

14 Ottica

In questo capitolo si introduce l’ottica non tanto come

risultato della sistemazione dell’elettromagnetismo ope-

rata da Maxwell, quanto come frutto di un cammino in-

dipendente della scienza lungo il quale progressi teorici

e sviluppi di enorme importanza pratica sono andati di

pari passo. Inizieremo presentando i fenomeni che hanno

aiutato a comprendere la natura fisica della luce: rifles-

sione, rifrazione, dispersione, interferenza, diffusione e

polarizzazione. Il modello ondulatorio della luce è stato

lo strumento che ha consentito di inquadrare buona par-

te di questa fenomenologia portando, molto prima di

Maxwell, a dispositivi che si sono rivelati fondamentali

nello studio della natura: microscopi, telescopi, spettro-

metri. Daremo qui solo scarni cenni allo sviluppo

dell’ottica fisica, ma ricordiamo che il vastissimo tema

dell’interazione tra luce (od onde elettromagnetiche) e

materia, ripreso nel prossimo capitolo, è ben lungi

dall’essere concluso, o dall’aver esaurito il suo potenzia-

le di sviluppo tecnologico.

Per quanto riguarda l’ottica geometrica si presenta

l’applicazione delle leggi della riflessione e rifrazione

allo studio delle proprietà di semplici strumenti ottici. I

casi facilmente trattabili sono praticamente solo quelli

che prevedono superfici riflettenti o rifrangenti di tipo

sferico. Nei limiti di alcune ragionevoli approssimazioni,

valgono equazioni semplicissime che descrivono però si-

tuazioni diverse, che possono essere distinte padroneg-

giando una “regola dei segni”.

14.1 Riflessione e rifrazione

I fenomeni luminosi hanno da sempre affascinato filosofi, naturalisti e poeti: Dante riempie la sua Commedia di immagini e visioni e rappresenta Dio come una sorgente

di luce. Specchi e lenti primitive erano utilizzati fin dall’antichità; ma è nel Rinascimento che prende inizio quello sviluppo tecnologico che porterà, nel Seicento, all’invenzione di microscopio e telescopio. Nello stesso periodo si avviò un dibattito sulla natura della luce che si risolse con il trionfo della teoria ondulatoria dell’olan-dese Christian Huygens.

La teoria alternativa a quella di Huygens era la teoria

corpuscolare di Cartesio e Newton: può essere istruttivo metterle a confronto per avere una idea di quale fossero i termini del dibattito e lo stato delle conoscenze. Lo scopo principale delle due teorie era quello di interpretare i fe-nomeni della riflessione e della rifrazione. Un raggio di

luce(☯) che incide su uno specchio produce un raggio ri-flesso che forma con la normale allo specchio un angolo

di riflessione uguale a quello di incidenza. Se il raggio raggiunge la superficie di separazione di due mezzi tra-sparenti, si può osservare un raggio rifratto che si propa-ga nel secondo mezzo formando con la normale alla su-perficie un angolo di rifrazione diverso da quello di inci-denza. Il rapporto tra seno dell’angolo di incidenza e se-no dell’angolo di riflessione è costante e dipende dalla natura dei due mezzi trasparenti. Raggio riflesso e raggio rifratto appartengono al piano individuato da raggio inci-dente e normale alla superficie (piano di incidenza).

Riprendendo l’opera di Cartesio (in particolare, La

diottrica, nel Discorso sul Metodo del 1637) Newton ar-gomentò (1696) che un raggio di luce fosse costituito da uno sciame di particelle “luminifere”, elastiche, con di-mensioni e masse infinitesime, espulse a grandissima ve-locità dalla sorgente luminosa e sottoposte alle leggi della

(☯) Per raggio di luce si intende la linea uscente dalla sor-

gente luminosa tracciata lungo il percorso della luce. In un mezzo omogeneo e isotropo (con uguali proprietà in ogni dire-zione) il raggio luminoso è una semiretta.

302 Capitolo 14

meccanica. La riflessione è facilmente spiegata suppo-nendo che il raggio riflesso contenga i corpuscoli che so-no rimbalzati sulla superficie. Infatti, durante un urto ela-stico contro una superficie, la componente tangenziale al-la superficie della velocità della particella rimane inalte-rata mentre la componente normale cambia di segno. Sembra poi ragionevole attendersi che il corpuscolo che attraverserà la superficie di separazione sia sottoposto a forze normali alla superficie, che ne cambieranno quindi la componente normale della velocità, ma non quella tan-genziale.

I fenomeni della riflessione e rifrazione sono schema-tizzati nella figura seguente che illustra anche la teoria di Newton. Le frecce piene indicano le direzioni di propa-gazione dei tre raggi nel piano di incidenza. Il raggio in-cidente proviene dal mezzo 1 (bianco) e forma l’angolo α

con la normale alla superficie; quello riflesso forma un angolo α' = α mentre quello rifratto forma un angolo α"< α (come atteso quando il secondo mezzo, quello grigio, è più denso di quello bianco).

2

1

α"

α'α

v||

v||

v"⊥

v'⊥v⊥

Secondo Newton, la componente tangenziale della velo-cità del corpuscolo incidente, v|| , è comune anche a rag-gio rifratto e riflesso; la componente normale della velo-cità del raggio riflesso viene cambiata di segno, v'⊥ = −v⊥ mentre, per il raggio rifratto della figura, la componente normale v"⊥ è maggiore di v⊥. I raggi sono stati rappre-sentati da segmenti con lunghezze proporzionali alle ve-locità delle particelle luminifere. Il raggio incidente e quello riflesso hanno velocità v1, quello rifratto velocità v2. Dalla figura si ricava la legge della rifrazione

v = v vv

v||2

11 2sin sin "

sin

sin "a a= ⇒ =

α

α 14.1

La conclusione da trarre è che i corpuscoli luminiferi hanno velocità caratteristica in ogni mezzo e che la loro

velocità è tanto maggiore quanto maggiore è la densità del mezzo. Solo nell’Ottocento si provò che tale predi-zione è in contrasto con l’esperienza; al tempo di Newton la velocità della luce non era ancora stata determinata.

Il Traité de la Lumière di Huygens venne pubblicato nel 1690. Vi si affermava che la luce è una perturbazione che si propaga nello spazio circostante le sorgenti lumi-nose mediante un meccanismo simile a quello di propa-gazione delle onde in un mezzo elastico. Un fronte

d’onda è una superficie dove, a un dato istante, lo spo-stamento dovuto all’onda è massimo; la direzione del raggio luminoso va identificata con la normale al fronte d’onda. Ogni punto di un fronte d’onda può essere consi-derato come una sorgente luminosa, origine di raggi se-

condari in tutte le direzioni, la sovrapposizione dei quali produce i fronti d’onda successivi. Supponiamo che la luce arrivi dal mezzo 1 dove la sua velocità di propaga-zione v1 è minore di quella nel secondo mezzo v2. Nella figura le frecce indicano i raggi e le linee tratteggiate i fronti d’onda.

α α'

2

1

A

B

B'

A'

A''

α''

Si è rappresentato con la linea AB il fronte d’onda inci-dente a un certo istante iniziale. Dopo un tempo T, il pun-to B si è trasferito in B', con |BB'| = v1T, mentre l’onda secondaria emessa da A è distribuita su una semisfera di raggio v1T nel mezzo 1 e su una semisfera di raggio v2T nel secondo mezzo. Gli inviluppi delle onde secondarie sono B'A' nel mezzo 1 e B'A" nel mezzo 2; questi seg-menti rappresentano i fronti dell’onda riflessa e di quella rifratta al tempo T. Dall’uguaglianza dei triangoli rettan-goli AB'A' e AB'B si ha

sin sin 'α α= = =|BB' |

|AB'|

|AA'|

|AB'|

da cui si ricava α = α ' , ovvero la legge della riflessione:

l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione.

Ottica 303

Per ipotesi si ha inoltre

|AA'| = v1T |AA"| = v2T

e dai triangoli rettangoli ABB" e AA"B' si ricava

| |sin sin "

AB'v v

= = ⇒1 2T T

α α

sin

sin "

α

α=

v

v1

2 14.2

che è la legge della rifrazione, o legge di Snell: il rap-

porto tra seno dell’angolo di incidenza e seno di quello

di riflessione è una costante, specifica dei due mezzi, pari

al rapporto delle velocità della luce nei due mezzi. Si noti che Newton prevedeva (14.1) un rapporto di

velocità che è il reciproco di quello dato dalla 14.2. Sempre nel Seicento, il matematico Pierre de Fermat

ricondusse le leggi di riflessione e rifrazione a un princi-pio unico ed elegante: un raggio luminoso che passa tra

due punti segue, tra tutti i cammini possibili, quello che

richiede il tempo di percorrenza minimo o massimo (principio di Fermat). Anziché di tempo di percorrenza è comodo parlare di cammino ottico, definito come la distanza che la luce coprirebbe nel vuoto nel tempo ri-chiesto dal tragitto. Secondo il principio di Fermat, la lu-ce segue sempre il percorso con il minimo cammino otti-co; si propaga perciò lungo una retta in un mezzo dove la velocità della luce sia costante.

14.1.1 L’indice di rifrazione

Nel Capitolo 11 si è trovato che la velocità nella luce nel vuoto è

c = ≈1

3 108

ε µ0 0( ) m/s

In un mezzo di costante dielettrica relativa εr e permeabi-lità magnetica relativa µr ≈ 1 (come è il caso di quasi tutti i materiali trasparenti alla luce) la velocità della luce di-venta

v0 0 r r r

= = ≈1 1 1

εµ ε µ ε µ ε

c

La quantità

nc

11

≡ ≈v r1ε 14.3

pari al rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e la velocità nel mezzo 1 è detta indice di rifrazione assolu-

to del mezzo 1. Con questa definizione la 14.2 si riscrive

sin

sin " ,α

α

ε

ε= = =

n

nn2

12 1

r2

r1 14.4

dove n2,1 è l’indice di rifrazione relativo del mezzo 2 rispetto al mezzo 1. Quando il mezzo 1 è l’aria (n1 ≈ 1), gli indici di rifrazione assoluti e relativi in pratica coinci-dono. Un materiale è tanto più rifrangente tanto più ele-vato è il suo indice di rifrazione.

Quando la luce passa da un mezzo più rifrangente come l’acqua (nacqua ≈ 4/3 ≈ 1.33) a uno meno rifrangen-te, come l’aria (naria ≈ 1.00), dalla 14.4 si ha

sin sin ".

.sin "α α α= =

n

n

aria

acqua

100

133

Per un certo angolo di incidenza detto angolo limite αc (≈ 48°35' nel caso acqua-aria) si ha α" = 90° e il raggio rifratto è radente la superficie di separazione dei due mezzi. Per angoli di incidenza superiori ad αc il raggio ri-fratto non esiste perché richiederebbe un angolo di rifra-zione con sinα" > 1. Non esistendo l’angolo di rifrazione che soddisfi la legge di Snell, in questo caso il raggio in-cidente genera solo il raggio riflesso e si ha la cosiddetta riflessione totale.

fibra ottica

αc

Le fibre ottiche sono fili di materiale rifrangente (vetro-so o plastico) in aria (o altro materiale meno rifrangente) che operano in regime di riflessione totale. Per curvature modeste del tratto di fibra ottica mostrato in figura, la lu-ce che si propaga in direzione prossima all’asse della fi-bra raggiunge sempre il confine della fibra con angoli di incidenza superiori ad αc e non esce mai dalla fibra.

304 Capitolo 14

Secondo la 14.3, l’indice di rifrazione assoluto di un materiale ha un valore che dipende dalla sua costante die-lettrica. Nel Capitolo 12 si è accennato al fatto che tale “costante” in realtà dipende dalla frequenza del campo elettrico applicato, e quindi dalla lunghezza d’onda della luce. A parità di angolo di incidenza, onde luminose con frequenze, o lunghezze d’onda, diverse potranno dare o-rigine a raggi rifratti che si propagano secondo direzioni distinte. Il fenomeno per il quale un raggio rifratto si se-para nelle sue componenti “monocromatiche” (ossia ca-ratterizzate da una sola lunghezza d’onda) a causa del di-verso indice di rifrazione che queste presentano è chia-mato dispersione della luce.

Il vetro disperde abbastanza bene la luce bianca che risulta dalla sovrapposizione di onde a differente lun-ghezza d’onda (e differente “colore”); queste onde si se-parano passando attraverso un prisma di materiale traspa-rente e disperdente quale il vetro.

violetto

rosso

bianco

Nella figura si è mostrato sulla destra uno schermo con fenditura posta in corrispondenza del raggio di luce rossa. Cambiando la posizione della fenditura si fa passare la luce a lunghezze d’onda (colori) differenti. Questo è il principio di funzionamento di un tipo di monocromato-

re, un dispositivo che seleziona una componente “mono-cromatica” (idealmente, con una sola lunghezza d’onda) della luce.

14.2 L’interferenza

La conferma decisiva della correttezza della teoria di Hu-ygens venne quasi un secolo più tardi dall’esperimen-to di interferenza di Thomas Young (1801), un medico che contribuì a molti campi della fisica (teoria della elasticità, della capillarità, della visione) e avanzò per primo l’ipotesi che la luce fosse un’onda trasversale. Questo e-sperimento è importantissimo per due ragioni: 1. mise in evidenza in modo esemplare un fenomeno,

quello della interferenza, che svolge un ruolo impor-tantissimo in ottica; si vedrà in seguito che anche la diffrazione è spiegabile con il meccanismo della inter-

ferenza; 2. diventò l’esperimento destinato a diventare il banco di

prova di ogni teoria ondulatoria; mostreremo infatti che il modello corpuscolare della luce avrebbe dato risultati completamente diversi da quelli ottenuti da Young.

L’esperimento di Young delle due fenditure è rappresen-tato nella figura seguente.

x

d

dsinϑ

ϑ

λ

intensità

2

r2

r1

1

L

linea dei ventri

Un’onda piana monocromatica, con lunghezza d’onda λ investe normalmente due “strette” fenditure, praticate su di uno schermo opaco, a una “piccola” distanza d l’una dall’altra. L’onda piana fu ottenuta da Young facendo ar-rivare sul foro di un altro schermo, sufficientemente di-stante dalle due fenditure, la luce uscente da un mono-cromatore. Questo dettaglio è importante: Young voleva garantire che la luce giunta alle fenditure provenisse da

un’unica sorgente. Le fenditure stesse sono tanto strette

da potersi considerare puntiformi e, quindi, sorgenti di

onde secondarie sferiche (vedi seguito). Nel piano del disegno, abbiamo rappresentato due

fronti d’onda successivi delle onde secondarie generate dalle fenditure 1 e 2. Si nota che questi fronti d’onda si intersecano nei punti cerchiati, che sono ventri, ossia punti dove le vibrazioni dovute alle onde 1 e 2, di am-piezza A1 e A2, hanno sempre segno concorde (vedi Capi-tolo 7). Si dice che nei ventri le vibrazioni delle due onde secondarie arrivano in fase; qui le ampiezze delle due onde si sommano dando una vibrazione complessiva con ampiezza massima A1 + A2.

Consideriamo ora due raggi paralleli r1 e r2, prove-nienti dalle due fenditure, che si propagano in una dire-

Ottica 305

zione che forma un angolo ϑ con la normale allo scher-mo. Per giungere sul piano del fronte d’onda indicato con tratteggio, il raggio r2 deve compiere un tragitto che è più lungo del tratto dsinϑ rispetto al tragitto del raggio r1. Le due vibrazioni che si propagano nella direzione indivi-duata da ϑ saranno perciò sfasate di un angolo δϕ dato da (vedi Capitolo 7)

δϕ πϑ

λ( )

sinrad = 2

d 14.5

Imponendo che in questa equazione sia δϕ = 0, 2π, 4π, ... , 2nπ (con n intero), si trovano le direzioni di pro-pagazione, che indicheremo con ϑmax, lungo le quali si propagano onde con ampiezza massima:

sin maxϑλ

=d

n |n| ≤ d/λ 14.6a

La 14.6a individua le direzioni delle linee dei ventri, le direzioni privilegiate lungo le quali le due onde sono in fase e l’intensità dell’onda luminosa (proporzionale al quadrato dell’ampiezza di vibrazione) è massima. Quan-do la differenza di cammino è multiplo dispari di λ/2, δϕ = π, 3π, ... , (2n + 1)π, l’oscillazione di un’onda secondaria avviene nel verso opposto a quello dell’altra e si hanno punti, detti nodi, dove l’intensità dell’onda risul-tante è minima. Dalla 14.5 si ha che le direzioni ϑmin del-le linee dei nodi sono

sin minϑλ

= +

dn

1

2 con |n + 1/2| ≤ d/λ 14.6b

I raggi luminosi uscenti dalle due fenditure vengono rac-colti da un secondo schermo, parallelo al piano delle fen-diture, a distanza L >> d. Detta x la distanza dal punto centrale O dello schermo (vedi figura) si ha, per x << L

sinϑ ≈ ϑ(rad ) ≈ x

L

Introducendo questa relazione nelle 14.6 si hanno le a-scisse dei punti dove le ampiezze di vibrazione sono massime e minime

xL

dnmax ≈

λ 14.7a

xL

dnmin ≈ +

λ 1

2 14.7b

con n = intero ≥ 0. Queste bande luminose (presso xmax) alternate a bande scure (presso xmin) vengono chiamate frange di interferenza. Si dice anche che nelle bande luminose si ha interferenza costruttiva tra le due onde, mentre nella bande scure si ha interferenza distruttiva.

Se la luce fosse stata costituita dai corpuscoli lumini-feri di Newton il risultato sarebbe stato differente. In un punto x dello schermo di destra l’intensità luminosa I(x), ossia l’energia luminosa che raggiunge l’unità di super-

ficie nella unità di tempo, sarebbe stata proporzionale al numero di particelle provenienti dalla fenditura 1 più quelle provenienti dalla fenditura 2, ossia sarebbe stata la somma delle due intensità:

I x I x I x( ) ( ) ( )= +1 2 14.8

Poiché ambedue le intensità I1 e I2 decrescono allonta-nandosi dalla normale per le corrispondenti fenditure, sullo schermo di destra per |x| > d/2 avremmo osservato un’intensità decrescente monotonicamente all’allonta-narsi da O. Il punto cruciale è che il modello ondulatorio prevede che si sommino non le intensità, ma gli “sposta-menti”, ossia, nel nostro caso, i campi elettrici e magneti-ci delle onde elettromagnetiche. Nel punto x dello scher-mo i campi dovuti alle onde provenienti da 1 e 2 hanno espressioni del tipo

( )A x t A x t A x t A x t1 1 2 2( , ) ( ) cos ( , ) ( ) cos= = −ω ω δϕ

dove δϕ è dato dalla 14.5. Poiché l’intensità di un’onda è proporzionale alla media nel tempo del quadrato del campo complessivo, l’intensità luminosa in x si scrive

( )

( )

I x A x t A x t

A x A xA x A x

t( ) ( , ) ( , )

( ) ( )( ) ( ) cos

∝ + =

= + +

1 22

12

22

1 22 2δϕ

14.9

Qui, come nel Capitolo 7, si è tenuto conto del fatto che la media di cos2ω t vale 1/2 e quella di cosω t sinω t vale zero. Si vede che l’intensità risultante non è data, come nella 14.8, dalla somma delle intensità dei singoli raggi:

I x I x A x A x1 2 12

222 2( ) ( ) ( ) / ( ) /+ ∝ +

poiché a secondo membro della 14.9 vi è un termine di

interferenza proporzionale al prodotto delle ampiezze dei due campi: A1(x)A2(x)cosδϕ. Nel caso in cui sia pos-sibile porre A1(x) ≈ A2(x) = A, la 14.9 diventa

306 Capitolo 14

( )I x A A( ) cossin

sin ( / )∝ + =2 2

2

21

2 2δϕ

δϕ

δϕ 14.10

È facile verificare che la 14.9 e la 14.10 hanno valore massimo quando

δϕπ

2= n con n = intero

ossia quando vale la 14.6a. Quando il numeratore a se-condo membro della 14.10 si annulla (ossia δϕ = kπ) mentre il suo denominatore vale 2 (ossia k è dispari, k = 2n + 1) l’intensità nella 14.10 è nulla, vale la 14.6b e sullo schermo la frangia è scura.

Se le due fessure nell’esperimento di Young fossero state illuminate da due sorgenti diverse, la differenza di fase tra le due onde dopo la fessura avrebbe assunto un valore δϕ qualunque, mutevole da istante a istante, il va-lor medio di cosδϕ nella 14.9 sarebbe stato nullo, come nullo sarebbe stato in media il termine di interferenza. In tale caso, l’intensità prevista dalla teoria ondulatoria a-

vrebbe coinciso con quella prevista dalla teoria corpu-

scolare. Per osservare il fenomeno di interferenza è fon-damentale che le due sorgenti siano coerenti, ossia che vi sia una relazione di fase fissa tra l’onda emessa da 1 e quella emessa da 2. Per questo Young illuminò le due fenditure con luce proveniente da un’unica sorgente.

Dalle espressioni 14.7 si vede che, noti i parametri geometrici dell’esperimento di Young, L e d, dalla di-stanza tra frange luminose successive è possibile ricavare la lunghezza d’onda della luce. Per apprezzare la cura che Young dovette impiegare nella realizzazione del suo esperimento, valutiamo invece a che distanza vanno poste le fenditure se L = 1 m, la luce monocromatica impiegata ha lunghezza d’onda λ = 0.5 µm e vogliamo avere una distanza tra frange luminose successive di 1 mm. Dalla 14.7a otteniamo d = 0.5 mm.

Nella 14.10 la funzione trigonometrica (1 + cosδϕ) è stata riscritta come quoziente di funzioni trigonometriche. La ragione è che l’espressione a destra nella 14.10 può essere generalizzata al caso dell’intensità luminosa IN(ϑ) che si propaga a un angolo ϑ con la normale a una schie-ra di N fessure equidistanti e parallele:

I

N

N ( )sin

sinϑ

δϕ

δϕ∝

2

2

2

2

con δϕπ ϑ

λ=

2 d sin

Una schiera di fenditure regolarmente spaziate è detto un

reticolo di diffrazione. Tale dispositivo trasmette una luce monocromatica solo lungo le direzioni privilegiate date dalla 14.6a.

1

3

N

2

ϑ

(N−1)d sinϑ

Confrontando gli andamenti delle intensità prodotte da due fessure (N = 2, I2(ϑ)) e da otto fessure (N = 8, I8(ϑ)) nel caso in cui d = 2λ si vede che le posizioni di massimi e minimi coincidono, ma che, al crescere di N, i massimi di intensità diventano sempre più netti e stretti. Per N molto grande, praticamente tutta l’energia si propaga solo nelle direzioni che soddisfano alla 14.6a.

-40° 40°0° ϑ

1

0

.5

I

I

8

8 0

( )

( )

ϑI

I

2

2 0

( )

( )

ϑ

Se la schiera di fenditure è investita parallelamente da un fronte un’onda monocromatico, come indicato nella figu-ra, produce dei raggi nelle direzioni “magiche” che sod-disfano la 14.6a. Viceversa, se la schiera riceve un’onda piana che si propaga secondo uno di questi angoli magici, emette un’onda piana in direzione perpendicolare al pia-no delle fenditure. Perciò la schiera di fenditure parallele agisce, in un certo senso, come un mezzo rifrangente che cambia la direzione di propagazione dei raggi luminosi. Si può anche dire che la somma dei segnali rivelati alle fenditure è massima quando, rispetto al piano delle fendi-ture, la sorgente (lontana) è vista sotto un angolo zenitale complementare a quello della 14.6a.

Le serie di bastoncelli paralleli delle comuni antenne

Ottica 307

televisive va considerata come una schiera di fenditure; la loro orientazione e separazione determina direzioni e lunghezze d’onda per le quali il segnale captato è massi-mo. Per rivelare i deboli segnali delle sonde interplaneta-rie si combinano i segnali di schiere di grandi antenne

paraboliche (di tipo concettualmente simile a quello dei dischi per la ricezione da satellite), a volte distribuite su più di un continente.

14.2.1 Lamine sottili

Una pellicola sottile di spessore d e indice di rifrazione nl con una faccia in aria (naria ≈ 1) viene investita da un’onda piana con angolo di incidenza α. Parte dell’onda incidente è riflessa alla separazione aria/pellicola in A; parte viene rifratta nella pellicola per poi riflettersi sulla seconda faccia in B e riemergere dalla prima faccia in C', parallelamente al raggio riflesso AC.

A

nvetro≈1.5

nl

naria≈1

d

α

α"

B

C

C'

Il fronte d’onda CC' è somma di due raggi: il primo che ha compiuto il tragitto AC in aria, il secondo che ha compiuto il tragitto ABC'. La differenza di fase tra i due tragitti richiede il calcolo del cammino ottico del percor-so ABC':

( )| | | |cos "

AB| |BC AB+ = =n ndn

l ll2

2

α

e del tratto AC

| |sin tan "sinAC| |AC'= =α α α2d

Usando la legge di Snell 14.4

sin

sin "

α

α= nl

la differenza δl tra i due cammini ottici si esprime

( )

δα

α α

α α

α

αα

ldn

d

d n

dn dnn

l

l

l l

l

= − =

=−

=

= = −

22

2

2 2 12

2

cos "tan "sin

sin "sin

cos "

cos "sin

14.11

Quando la differenza dei cammini ottici è un multiplo in-tero k di mezza lunghezza d’onda,

k dnn

l

l

λ α

22 1

2

2= −

sin 14.12

le componenti del fronte d’onda CC' si rinforzano a vi-cenda (interferenza costruttiva) oppure tendono a cancel-larsi a vicenda. Il comportamento è determinato dalla na-tura delle riflessioni che si hanno in A e in B. La fase del raggio riflesso cambia di 180° rispetto a quello trasmesso quando il mezzo in cui si propaga quest’ultimo ha indice di rifrazione maggiore del mezzo da cui proviene il rag-gio. Se, per il caso della figura, nl ≈ 1.33, sia il raggio ri-flesso in A sia quello in B cambiano di 180° e si avrà in-terferenza positiva quando i cammini ottici differiscono per un numero intero di lunghezze d’onda (k pari). Se in-vece fosse nl ≈1.6, per k pari si avrebbe interferenza ne-gativa perché in tal caso il cambio di fase del raggio ri-flesso avverrebbe in A ma non in B.

Il trattamento antiriflesso a cui sono sottoposte alcu-ne lenti consiste in una ricopertura con una lamina traspa-rente “a quarto d’onda”, cioè con uno spessore pari a un quarto della lunghezza d’onda (nella lamina) della luce il cui riflesso si vuole sopprimere. Scegliendo per la rico-pertura un materiale con indice di rifrazione intermedio tra quello dell’aria e della lente si ottiene, per incidenze circa normali, che primo e secondo raggio riflesso abbia-no intensità quasi uguale (vedi seguito) ed emergano in opposizione di fase. È questo un esempio di filtro ottico che agisce grazie all’interferenza.

I fenomeni basati sulla interferenza in lamine sottili sono molteplici. Una macchia d’olio sull’acqua ha colori cangianti sia per i diversi angoli sotto cui è osservata, sia per variazioni dello spessore dell’olio. Alcuni visori a

cristallo liquido contengono una lamina di spessore uni-forme fatta da molecole a forma di bastoncello. L’in-clinazione dei bastoncelli relativamente al piano della lamina, e quindi lo spessore della lamina, cambia per ef-

308 Capitolo 14

fetto di un cambio di temperatura. Se, per esempio, la lunghezza d’onda della luce di cui la lamina impedisce la riflessione passa dall’infrarosso al visibile, la zona che ha cambiato temperatura verrà vista con una tonalità più scura rispetto alle zone circostanti. I vetri di molti gratta-cieli di Dallas (Texas) sono coperti da sottili lamine di plastica che riflettono le componenti rosa, azzurre o verdi della luce del sole, o che assorbono una parte della luce visibile, creando magici effetti luminosi.

Si hanno spesso superfici di vetro o altri materiali tra-sparenti separate da sottili strati d’aria. Nella figura si è rappresentata una lente semisferica appoggiata su una la-stra di vetro.

λ/2

NN N N N Guardando dall’alto, attorno al punto di contatto tra le due superfici si osserva una macchia nera perché i raggi riflessi dalla superficie lente/aria e da quella, immediata-mente vicina, aria/lastra differiscono di 180° e tendono ad annullarsi. Un altro circolo nero (N) si ha quando la distanza tra lastra e lente è pari a mezza lunghezza d’onda; in tal caso, alla differenza di fase dovuta alle ri-flessioni si deve aggiungere il ritardo del cammino ottico, maggiore di una lunghezza d’onda, del raggio che è ri-flesso dalla lastra. Tra circoli neri si osservano fasce lu-minose, dove la differenza dei cammini ottici è un multi-plo dispari di mezza lunghezza d’onda. Questi cerchi concentrici luminosi e scuri sono detti anelli di Newton.

14.3 La diffrazione

Se abbiamo una sola fenditura di larghezza d investita da un’onda piana di lunghezza d’onda λ ci aspettiamo che le onde secondarie che si irradiano dai vari punti della fen-ditura interferiscano tra di loro.

y

0

d

ϑ

Dividiamo idealmente a metà lo spessore della fenditura e pensiamola costituita da tante coppie di sorgenti punti-formi tutte distanti d/2 tra di loro. Nella direzione per la quale lo sfasamento tra le onde che si propagano oltre la fenditura e provenienti da una coppia vale π si ha (vedi Equazione 14.5)

δϕ π πϑ

λ= = 2

2

d sin

In questa direzione ogni sorgente interferisce distruttiva-mente con la sua gemella e l’intensità è perciò nulla. L’angolo sotto il quale non si ha propagazione di luce sa-rà perciò

sin minϑλ

=d

14.13

Per una discussione più quantitativa, dividiamo la fendi-tura in trattini di lunghezza dy e facciamo la somma (in-tegrale) delle onde dai vari trattini che si propagano a un angolo ϑ rispetto all’asse della fenditura. Indicando con y la distanza da un estremo della fenditura (vedi figura pre-cedente), lo sfasamento dell’onda originata in y rispetto a quella originata in y = 0 è

δϕπ ϑ

λ( )

siny

yay= =

2

Sommiamo gli spostamenti delle onde secondarie che si propagano secondo un angolo ϑ assumendo per tutte u-guale ampiezza, come fatto nella 14.10. L’ampiezza complessiva Atot è proporzionale a

( )A y dya

x dxad

a

d adtot ∝ = =∫ ∫cos ( ) cos

sinδϕ

0 0

1

e l’intensità luminosa è proporzionale al quadrato di tale ampiezza

I Aad

aa( )

sin sinϑ

π ϑ

λ∝ ∝

=tot con2

2 2 14.14

L’andamento dell’intensità I(ϑ)/I(0) in funzione di ϑ è rappresentato per due casi: una fenditura “stretta” (con d = 0.5λ, minimo di intensità per ϑ ≈ 90°) e una “larga” (d = 10λ , primo minimo per ϑ ≈ 5°). Il comportamento della fenditura è sostanzialmente descritto dall’angolo ϑmin dato dalla 14.13, il quale indica di quanto si sparpa-glino le direzioni di propagazione di un’onda piana mo-

Ottica 309

nocromatica a seguito del passaggio attraverso una fessu-ra larga d. Quando la fessura ha spessore molto minore della lunghezza d’onda, d << λ, dalla 14.14 si ha I(ϑ) ≈ I(0), ossia l’onda è circolare in quanto ha uguale intensità in tutte le direzioni.

d = 10λd = 0.5λ

ϑ0 45°−45°

.5

0

1

Viene chiamato diffrazione il fenomeno per cui un’onda piana che incide su un’apertura di dimensioni paragona-bili con la sua lunghezza d’onda si propaga poi in dire-zioni diverse rispetto a quella originale. La diffrazione è un fenomeno facilmente osservabile, caratteristico della propagazione delle onde, che è in accordo con il princi-pio di Huygens secondo cui i punti di un fronte d’onda

vanno considerati come sorgenti di onde sferiche. La comprensione della diffrazione consente di dare un signi-ficato preciso al concetto di “fenditura stretta” usato per descrivere l’esperimento di Young. Nel caso in cui la fenditura non sia “stretta” l’esperimento di Young può essere fatto ugualmente purché ci si limiti al piccolo in-tervallo di angoli ϑ per cui l’intensità del raggio rifratto sia prossima al suo valore massimo.

I fenomeni fin qui discussi si possono pensare come dovuti all’interazione della luce con la materia. Ci aspet-tiamo che le cariche elettriche della materia, sottoposte al campo elettrico oscillante E di un raggio luminoso, vibri-no all’incirca nella direzione di E emettendo così onde elettromagnetiche secondarie che producono il raggio ri-flesso e quello rifratto. Anche nel caso dell’interferenza e della diffrazione si deve avere uno schermo opaco, ossia della materia capace di assorbire completamente la luce incidente. Si può dire che il materiale dello schermo e-mette una radiazione uguale a quella della luce incidente e di fase opposta, la quale annulla completamente l’onda elettromagnetica complessiva al di là dello schermo opa-co. Interferenza e diffrazione sono perciò dovute al fatto che, togliendo una parte di schermo, si deve togliere la corrispondente parte di radiazione da questo generata. Da questo punto di vista, è la schermatura incompleta, e non la fessura, che produce l’interferenza.

14.4 Diffusione e polarizzazione

Riflessione, rifrazione, interferenza e diffrazione sono fe-nomeni che sembrano avere bisogno di una discontinuità, una superficie interrotta (schermo con fessure) o una su-perficie che separa mezzi con proprietà differenti. Questi fenomeni sono stati interpretati pensando alla luce come un’onda in presenza di tale discontinuità, senza fare rife-rimento alla sua natura fisica. Per interpretare i fenomeni che presentiamo in questo paragrafo non è però conve-niente prescindere dalla natura della luce, anche se furo-no studiati prima che questa fosse nota. Utilizzeremo i ri-sultati della teoria di Maxwell (Capitolo 11) in base alla quale la luce è un’onda elettromagnetica trasversale, in cui campo magnetico ed elettrico oscillano lungo dire-zioni perpendicolari a quella di propagazione.

z

x

D

y

dipolooscillante

direzione dipropagazione

vietata

ondadiffusa

ondadiffusa

ondaincidente

campoelettrico

Penseremo la materia come costituita da dipoli elettrici D liberi di vibrare sotto lo stimolo del campo elettrico asso-ciato a un’onda luminosa, che immagineremo essere un’onda piana che si propaga nel verso delle y crescenti con il campo elettrico oscillante lungo l’asse z. L’onda incidente, proveniente da sinistra, si dice allora polariz-

zata linearmente lungo z (detta direzione di polarizza-

zione) e il piano yz si chiama piano di polarizzazione. Il campo elettrico nella materia sarà dovuto al campo elet-trico dell’onda incidente, diretto come z, sommato al campo elettrico prodotto dai dipoli D, anch’essi diretti come z. Poiché lungo l’asse del dipolo il campo elettrico da questo generato è sempre parallelo a D, il campo elet-trico del dipolo non potrà che oscillare nella direzione z. Una conseguenza importante è che l’onda dovuta al di-

polo oscillante non può propagarsi lungo z, che è una

310 Capitolo 14

direzione vietata dalla natura trasversale dell’onda elet-

tromagnetica. L’oscillazione del dipolo elettrico genera perciò onde, anch’esse polarizzate lungo z, che si propa-gano in tutte le direzioni del piano xy, ma non lungo z. Nella figura precedente abbiamo rappresentato due di queste onde secondarie: una lungo y e l’altra lungo x. Il fenomeno per il quale un’onda luminosa che attraversa la materia omogenea e isotropa (ossia senza discontinuità e con uguali proprietà in tutte le direzioni) genera onde che si propagano in direzioni diverse da quella originale si chiama diffusione (scattering) della luce.

Supponiamo ora che l’onda incidente, sempre viag-giante lungo y, risulti dalla sovrapposizione di oscillazio-ni del campo elettrico lungo z (b ) e lungo x (•).

z

x

y

onda diffusa

onda diffusa

onda incidente

La natura trasversale del fenomeno luminoso garantisce che il fascio diffuso che si propaga lungo x sia comple-tamente polarizzato lungo z , mentre quello diffuso lungo z sia completamente polarizzato lungo x. Il fascio diffuso nella direzione di incidenza (y) potrà invece avere sia o-scillazioni lungo z sia oscillazioni lungo x.

In un mezzo trasparente, la radiazione diffusa in dire-zioni perpendicolari a quelle di incidenza ha intensità so-litamente molto minore rispetto a quelle dell’onda inci-dente. La luminosità del cielo dipende dalla diffusione della luce da parte dell’atmosfera; il suo colore azzurro dipende dal fatto che, all’aumentare della frequenza della luce, passando quindi dal rosso al violetto (vedi Capitolo 15), aumenta la percentuale di radiazione diffusa.

14.4.1 Polarizzazione per riflessione

Le considerazioni sullo stato di polarizzazione dei raggi luminosi si possono applicare anche a un riesame dei fe-nomeni di riflessione e rifrazione. Supporremo i due mezzi isotropi, ossia con le stesse proprietà fisiche lungo qualunque direzione. Nella figura seguente abbiamo rap-presentato un’onda che arriva con angolo di incidenza α

alla superficie di separazione tra il vuoto e un mezzo ma-teriale con indice di rifrazione n, e che è polarizzata nel

piano di incidenza; ossia il campo elettrico dell’onda in-cidente vibra nel piano del disegno e nella direzione indi-cata dalle frecce doppie.

n

vuoto

α α'

α ″

direzione proibita se

α' + α " = π/2

Sia raggio riflesso sia raggio rifratto sono dovuti alle on-de secondarie generate dalle oscillazioni dei dipoli elet-trici del mezzo materiale. Le oscillazioni dei dipoli del materiale devono avvenire perpendicolarmente alla dire-zione del raggio rifratto e devono appartenere al piano di incidenza, non essendovi ragione per cui in un mezzo iso-tropo si inneschino oscillazioni perpendicolari a tale pia-no. Poiché anche il raggio riflesso va interpretato come un’onda secondaria prodotta dall’oscillazione dei dipoli del mezzo materiale (che avvengono perpendicolarmente al raggio rifratto) si ha che la perpendicolare al raggio ri-fratto è una direzione di propagazione proibita per il raggio riflesso. Per un’onda incidente polarizzata nel pia-no di incidenza, l’intensità del raggio riflesso si annulla

quando la somma dell’angolo di incidenza, α = α ' , e quello di rifrazione α", è pari a 90°. Si può mostrare che, per onde polarizzate nel piano di incidenza (||), il rappor-to tra intensità luminosa riflessa Irfl(||) e intensità lumino-sa incidente Iinc(||) è

I

I

rfl

inc

(||)

(||)

tan ( ")

tan ( ")=

+

2

2

α α

α α 14.15

Questa equazione traduce la legge dedotta in modo intui-tivo in quanto, se α + α " = 90°, nella 14.15 l’intensità ri-flessa è nulla (infatti tan 90° = ∞).

Si può mostrare che, per onde polarizzate normal-

mente al piano di incidenza (•), la relazione tra l’inten-sità riflessa Irfl(⊥) e quella incidente Iinc(⊥) è

I

I

rfl

inc

( )

( )

sin ( )

sin ( )

⊥=

− ′′

+ ′′

2

2α α

α α 14.16

Le due relazioni 14.15, 14.16 sono spesso citate come leggi di Fresnel, in onore di Augustin-Jean Fresnel, considerato il fondatore dell’ottica fisica per i suoi espe-

Ottica 311

rimenti sulla polarizzazione della luce. La 14.15 contie-ne la legge di Brewster: all’angolo di incidenza per il

quale raggio riflesso e raggio rifratto sono tra loro per-

pendicolari, la luce riflessa è completamente polarizzata

perpendicolarmente al piano di incidenza. L’angolo di incidenza per cui si realizza questa condizione si chiama angolo di Brewster, αB. La definizione data vale anche quando la luce, anziché dal vuoto, proviene da un mezzo materiale con indice di rifrazione n1 e si propaga poi in un mezzo isotropo con indice di rifrazione n2.

α ″n2

n1

90°

αBαB

Dalla figura si vede che αB e l’angolo di rifrazione corri-spondente α ″ sono complementari, ossia

sin cos′′ =α α B

La legge di Snell 14.4 perciò implica

n

n

2

1=

′′= =

sin

sin

sin

costan

α

α

α

ααB B

BB 14.17

Poiché l’angolo di Brewster può essere misurato determi-nando l’angolo di incidenza per il quale il raggio riflesso è completamente polarizzato perpendicolarmente al piano di incidenza, la 14.17 permette di ricavare l’indice di ri-frazione del secondo mezzo, anche quando non è possibi-le osservare il raggio rifratto. Per l’interfaccia aria-acqua (n1 = naria ≈ 1.00, nacqua ≈ 1.33) l’angolo di Brewster è di circa tan−11.33 ≈ 53°.

∼53°

∼∼∼∼

∼ ∼ ∼ ∼ ∼ ∼

∼∼

∼∼∼∼∼

∼∼

∼ ∼∼∼

∼∼

∼∼

∼∼

∼∼

osservatore

specchio di acquariflettente

filtro Polaroid

luce polarizzata

Sui campi di neve o in prossimità di superfici d’acqua nelle giornate di sole è bene usare occhiali con lenti di ti-po POLAROID (vedi seguito) che, se indossati da perso-na in posizione eretta, sono trasparenti solo alla luce po-larizzata in un piano verticale: la maggior parte della luce riflessa dagli specchi d’acqua è polarizzata nel piano per-pendicolare a quello di incidenza, ed è assorbita dalle lenti degli occhiali. Per determinare se le lenti degli oc-chiali da sole hanno proprietà polarizzanti basta osserva-re se cambia il luccichio di uno specchio d’acqua al ruo-tare delle lenti.

Otteniamo ora una espressione, semplice e utile, per l’intensità della luce riflessa quando angoli di incidenza e rifrazione sono abbastanza “piccoli” (rispetto a 1 rad) da poter approssimare seno e tangente con l’arco (in rad):

sin(α ± α") ≈ α ± α"≈ tan(α ± α")

La legge di Snell si riscrive

n

n

1

2= ≈

sin

sin " "

α

α

α

α

e le leggi di Fresnel 14.15 e 14.16 danno lo stesso risulta-to per ambedue le polarizzazioni (|| e ⊥); inoltre il rappor-to delle intensità riflesse e incidenti si esprime in modo indipendente dall’angolo α << 1 rad. Ιnfatti

I

I

n

n

n

n

n n

n n

lrf

inc≈

− ′′

+ ′′

=

+

=−

+

α α

α α

22

1

2

1

2

1 2

1 2

21

1 14.18

Per esempio, per un raggio che dall’aria (n1 ≈ 1) incide quasi normalmente sull’acqua (n2 = 1.33) la 14.18 dà

I

I

rfl

inc≈

0 33

2 332%

2.

.

ossia, solamente il 2% dell’intensità luminosa incidente normalmente sugli specchi d’acqua viene riflessa.

14.4.2 Polarizzazione per rifrazione

In alcune sostanze vi sono molecole di forma allungata, tra di loro allineate, che rispondono in modo molto diver-so ai campi elettrici a seconda che essi siano paralleli all’asse della molecola o perpendicolari a questo. L’asse

312 Capitolo 14

di allineamento delle molecole si chiama asse ottico della sostanza e questa presenta il fenomeno della birifran-

genza: indice di rifrazione e velocità della luce sono dif-

ferenti per un’onda polarizzata parallelamente e per una

polarizzata perpendicolarmente all’asse ottico. Consideriamo un raggio di luce che si propaga lungo

y e che incide normalmente su una lamina costituita da una sostanza che ha l’asse ottico nella direzione z. Im-maginiamo che il raggio incidente sia costituito da una componente di campo elettrico vibrante lungo z e una u-guale lungo x: supponiamo anche che le due componenti di E raggiungano il valore massimo contemporaneamen-te. Il campo elettrico risultante è allora un vettore che è sempre orientato come la bisettrice degli assi z e x: la lu-ce si dice allora polarizzata linearmente lungo un asse inclinato di 45° rispetto all’asse z e il piano zx è il piano di polarizzazione:

( ) ( )E i kinc = +E t E tcos cosω ω

asse

ottico

x

z

y

raggio

incidenteraggio

emergente

lamina

birifrangente

x x

z

z

polarizzazione

circolare

polarizzazione

lineare

45°

La componente del campo elettrico parallela all’asse otti-co (z) impiega un tempo δt in più di quella perpendicola-re per attraversare la lamina di spessore d:

( )δtd

cn n= − ⊥||

e a questo ritardo corrisponde uno sfasamento tra le due componenti δϕ = ωδt. Perciò il campo elettrico dell’onda emergente è del tipo

( ) ( )( )E E t E temerg = + −cos cosω ω δϕi k

Nel caso particolare in cui δϕ = 90° il campo elettrico descrive una circonferenza nel piano xz e l’onda emer-gente dalla lamina si dice essere polarizzata circolar-

mente. Per valori generici dell’angolo di sfasamento il campo elettrico si muove lungo un’ellisse che ha semiassi lunghi |E cosϕ| ed |E sinϕ| (polarizzazione ellittica).

asseottico

Quando l’asse ottico è parallelo al piano della lamina ma l’incidenza non è normale si ha la situazione della figura: le componenti polarizzate parallelamente (↔) e perpen-dicolarmente (•) all’asse ottico vengono rifratte in dire-zioni differenti ed emergono da punti diversi della lamina dando fasci distinti e polarizzati (birifrangenza).

raggio

straordinario

raggio

ordinario

asse

ottico

Ancora un’altra situazione si ha quando l’incidenza è normale, ma l’asse ottico non è parallelo alla superficie della sostanza birifrangente: si genera un raggio che si propaga in direzione normale alla superficie (raggio ordi-nario) e uno che, violando la legge di Snell, si muove in direzione diversa dalla normale (raggio straordinario).

I fenomeni legati alla birifrangenza e alla polarizza-zione sono molteplici e sono dovuti a proprietà micro-scopiche della materia. I polarizzatori sono dispositivi basati su materiali birifrangenti che filtrano un raggio lu-minoso emettendo luce polarizzata in una direzione volu-ta: possono operare per assorbimento, interferenza o per riflessione totale del raggio rifratto che si vuole elimina-re. La più famosa sostanza birifrangente è un cristallo na-turale, il feldspato d’Islanda, un carbonato di calcio già studiato da Huygens.

Per studiare come una sostanza modifichi lo stato di polarizzazione della luce si utilizza il semplice schema di analizzatore riportato in figura.

Ottica 313

La luce passa un primo polarizzatore, attraversa la so-stanza e quindi incide su un secondo polarizzatore orien-tato perpendicolarmente al primo (polarizzatori incrocia-ti). L’osservatore può essere raggiunto dalla luce solo se la sostanza ha cambiato la polarizzazione della luce che l’ha attraversata.

Alcune sostanze hanno la proprietà di ruotare di un certo angolo “verso destra” (sostanze destrogire) o “ver-so sinistra” (sostanze levogire) la direzione di polarizza-zione della luce emergente; queste sostanze si dicono ot-

ticamente attive e vengono caratterizzate dal valore dell’angolo di cui bisogna ruotare il secondo polarizzato-re per ottenere la completa estinzione della luce osserva-ta. Spesso le forme levogire e destrogire di un composto vengono prodotte in quantità circa uguali durante una re-azione chimica, ma hanno a volte proprietà differenti, in particolare dal punto di vista farmacologico e biochimi-co. Le deformazioni dei nascituri prodotte negli anni Ses-santa dal Talidomide (un anti-nausea usato in quel perio-do) sono dovute esclusivamente a una delle due forme speculari del principio attivo.

14.5 Ottica geometrica

L’ottica geometrica descrive i percorsi dei raggi di luce in sistemi che obbediscono alle leggi della riflessione e della rifrazione. I sistemi trattati dall’ottica geometrica

elementare consistono di calotte sferiche(☯) riflettenti o rifrangenti. La perpendicolare al centro della calotta è detta asse ottico, concetto questo che non va confuso con quello di asse ottico di una sostanza birifrangente. L’ottica geometrica elementare suppone che i raggi lumi-nosi formino angoli “piccoli” con l’asse ottico e non sia-no mai “troppo” distanti dallo stesso. Per trattare situa-zioni meno ideali (superfici non sferiche e raggi qualsia-si) occorre una matematica specializzata, in buona parte sviluppata nel secolo scorso da William Hamilton.

(☯) Una superficie piana può essere pensata come il caso

limite di una calotta sferica di raggio infinito. La scelta delle superfici sferiche ha una motivazione di ordine pratico perché è relativamente facile realizzare calotte sferiche, o piane, median-te molatura manuale di materiali duri e rifrangenti quali i co-muni vetri.

14.5.1 Specchi sferici

Nella figura, Q è il punto centrale di una calotta rifletten-te, porzione di una sfera di raggio r e centro C.

ϑ

Q

ϑ

Q'

FC

hor ϑ

Dimostriamo innanzitutto che ogni raggio luminoso pa-rallelo all’asse ottico (QC) e distante da questo molto meno del raggio (ho<<r) incrocia l’asse ottico in un punto F detto fuoco con

| |QF ≡ ≈fr

2

Poiché il rapporto tra lato e seno dell’angolo opposto è costante in un triangolo, dal triangolo CFQ' si ha

( )

CQ' CF CF

sin sin sin sinπ ϑ ϑ ϑ ϑ−= ⇒ =

2 2

r 14.20

Per ho<<r si ha

sin , sinϑ ϑ= ≈h

r

h

r

o o22

e la 14.20 diventa

| | |CF QF|≈ ⇒ ≡ ≈r

fr

2 2 14.21

Poiché la distanza |QF| non dipende da ho, tutti i raggi pa-ralleli all’asse ottico, e abbastanza “vicini” a questo, ven-gono riflessi in un punto F dell’asse ottico detto fuoco.

Costruiamo ora l’immagine I di un punto O (“ogget-to”) dell’asse ottico prodotta dallo specchio concavo di centro in C e di raggio |QC| = r. Qui e nel seguito il punto I viene trovato come intersezione di due raggi luminosi, o dei loro prolungamenti, uscenti da O. Un raggio è scelto lungo l’asse ottico, e viene riflesso lungo questo; il se-condo raggio fa un piccolo angolo α con l’asse ottico, raggiunge lo specchio in Q' e il raggio riflesso da Q' in-terseca l’asse ottico in I.

314 Capitolo 14

Q′

α+2εα

do

di

IO C α+ε

ε

Q

ε

Indichiamo per il momento con do la distanza |QO| e con di la distanza |QI|. Un legame tra queste due distanze si può trovare applicando il teorema dei seni ai due triangoli OQ'Q e IQ'Q per esprimere la lunghezza del comune lato Q'Q. Essendo per ipotesi gli angoli α ed ε piccoli, pos-siamo porre

sin sin sin( )

sin $ $

α α ε ε α ε α ε≈ ≈ + ≈ +

≈ ≈

2 2

1OQ' Q sin IQ' Q

e ottenere

( )d d d do i o iα α ε ε α≈ + ⇒ ≈ +( ) /2 1 2 14.22a

Poiché dal disegno si ha |CO| = |QO| −|QC| = do − r, il teorema dei seni applicato al triangolo OQ'C permette di ricavare il legame tra α ed ε:

| | | ' |OC CQ o o

ε α ε α

ε

α≈ ⇒

−≈ ⇒

−≈

d r r d r

r 14.22b

Facendo sistema tra la 14.22a e la 14.22b si può elimina-re ε/α, un risultato molto importante in quanto garantisce che tutti i raggi con piccola inclinazione rispetto all’asse

ottico si incontrano nello stesso punto I:

d d

d r

r

d dd d

r

o i

oo i

o i= +

−=

⇒ + =1 2

2

ε

αε

α

/

Mediante la 14.21 questa equazione può essere messa nella utilissima forma

1 1 1

d d fo i+ = 14.23

Questa equazione è la relazione fondamentale degli

specchi sferici. Essa mostra che la distanza di oggetto e immagine intervengono in modo simmetrico: ponendo

l’oggetto in I, l’immagine si forma in O (principio di re-

versibilità del cammino ottico). Notiamo che, nell’esem-pio trattato, le distanze do di e f possono essere interpreta-te come le ascisse (in questo caso positive) di oggetto, immagine e fuoco sull’asse ottico con origine in Q e di-retto verso sinistra.

Prima di mostrare che la relazione 14.23 è vera anche nel caso in cui fuoco e/o immagine abbiano ascisse nega-tive, costruiamo l’immagine del punto O quando questo è spostato, rispetto al caso precedente, a una distanza dall’asse ottico piccola rispetto a r: ho << r. Si può allora assumere (ma si può anche facilmente dimostrare) che l’ascissa del punto immagine I sarà ancora data dalla 14.23. Il nostro scopo è quello di trovare la distanza (con segno) del punto I dall’asse ottico. D’ora in poi rappre-senteremo oggetto e immagini con frecce normali all’asse ottico; la freccia dell’oggetto verrà sempre orientata ver-so l’alto e O avrà ordinata positiva (ho > 0). L’immagine sarà “diritta” se l’ordinata di I sarà anch’essa positiva e sopra l’asse ottico; sarà “rovesciata” se hi < 0. Per costru-ire I mandiamo da O un raggio parallelo all’asse ottico, che verrà riflesso attraverso il fuoco F; mandiamo poi un secondo raggio attraverso il fuoco F, il quale verrà rifles-so parallelamente all’asse ottico.

Q"

Q

Q'

I(di,hi)

O(do,ho)

ho−hi

−hi

F'O'

f

F

Dalla similitudine dei triangoli FQ"F' e OQ"O' si ha

h h

d

h

f

o i

o

i|OO' |

|O' Q"|

| FF' |

| F' Q"|

−≈ = ≈

Eliminando in questa equazione f mediante la 14.23 si ot-tiene l’espressione per l’ingrandimento, ossia per il rap-porto tra altezza dell’oggetto e altezza (con segno) dell’immagine:

h

h

d

d

i

o

i

o

= − 14.24

Ottica 315

Nel caso del disegno, l’ingrandimento è negativo, ossia l’immagine è rovesciata, e in valore assoluto è minore di 1 (immagine rimpicciolita). Utilizzando la reversibilità dei cammini ottici, possiamo concludere che se l’oggetto si fosse trovato tra fuoco e centro C (dove si trova I nella figura), la sua immagine sarebbe stata rovesciata e in-grandita.

Prima di illustrare la regola dei segni degli specchi, trattiamo qualitativamente due altri casi utilizzando la tecnica di costruzione dell’immagine appena impiegata. Specchio concavo e oggetto tra fuoco e centro della ca-

lotta (0 < do < f).

I

O

QF

I due raggi uscenti da O dopo la riflessione divergono. I prolungamenti (tratteggiati) di questi raggi si incontrano, oltre lo specchio, in un punto con distanza negativa: di < 0. La 14.23 vale ancora e l’ingrandimento della 14.24 è maggiore di 1, confermando quello che si vede dalla figura, ossia che l’immagine è diritta e ingrandita. Per esprimere il fatto che l’immagine non è punto di in-contro di raggi reali si dirà che in questo caso si ha una immagine virtuale.

Nel caso dello specchio convesso il fuoco si trova a “destra” di Q e ha ascissa negativa. Anche l’immagine si trova a destra di Q (di < 0), sul prolungamento dei raggi reali (immagine virtuale).

I

F

O

Q

Si può provare che anche in questo caso vale la 14.23 (con f e di negativi) e che, per la 14.24, si ha sempre una immagine diritta e rimpicciolita (come è evidente dalla figura precedente). Per gli specchi si assume come positi-vo il semipiano in cui è collocato l’oggetto e che contiene i raggi “reali”, sia incidenti sia quelli riflessi.

La regola dei segni per gli specchi

Gli esempi precedenti indicano che le 14.23 valgono in tutte le condizioni pur di prendere le distanze dall’asse ottico (ordinate) e le ascisse di Q, I, F con il segno corret-to. Adotteremo per questo le seguenti convenzioni, già il-lustrate negli esempi precedenti:

• la distanza do dell’oggetto da Q è positiva quando l’oggetto è a sinistra dello specchio (dove solitamente lo poniamo) e negativa in caso contrario;

• la distanza di dell’immagine è positiva se è a sinistra di Q, ossia nello stesso semipiano di O e all’incrocio dei raggi riflessi; si parla in tal caso di immagine rea-

le. La distanza di è negativa se l’immagine si trova a destra di Q, sul prolungamento dei raggi riflessi; si parla in tale caso di immagine virtuale;

• le altezze di oggetto e immagine vengono lette a parti-re dall’asse ottico lungo un asse orientato verso la parte superiore del foglio; in genere si assume ho po-sitivo e rappresentiamo l’oggetto con una freccia o-rientata verso l’alto. L’altezza hi dell’immagine sarà negativa se I si trova nel semipiano opposto a quello di O rispetto all’asse ottico;

• l’ingrandimento è definito dalla 14.23, ed è negativo quando l’immagine è capovolta;

• la distanza del fuoco f è positiva se F si trova nello stesso semipiano di O; si ha allora uno specchio con-cavo.

Le formule 14.23 e 14.24 valgono anche nel caso dello specchio piano, per il quale il raggio di curvatura e la di-stanza focale f tendono all’infinito (1/f → 0):

1 10

d dd d

d

d

h

hh h

o io i

o

i

o

io i

immagine virtuale

immagine diritta

+ = ⇒ = − ⇒

= − ⇒ = ⇒

14.5.2 Il diottro sferico

Un mezzo con indice di rifrazione n1 è separato da un mezzo con indice n2 mediante una calotta sferica di rag-gio r. Tale sistema viene chiamato diottro sferico. Co-me in precedenza, indichiamo con Q il centro della calot-ta e costruiamo l’immagine di un punto O posto sull’asse ottico (che congiunge Q con il centro C della sfera) sup-ponendo che i raggi che si dipartono da O facciano un

316 Capitolo 14

piccolo angolo con l’asse ottico e siano diffratti dalla su-perficie sferica.

α

ϑ1ϑ2

CQ I

Q′

dir

do

O

n1 n2

ϑ2 γβ

Nella figura abbiamo indicato direttamente le convenzio-ni di segno che adottiamo in questo caso. L’ascissa di O è positiva se O si trova a sinistra di Q nel mezzo 1. Il rag-gio di curvatura r è positivo se C si trova nel mezzo 2 (a destra di Q), ossia se la superficie sferica vista dal mezzo 1 è convessa; l’ascissa dell’immagine di è positiva se I è nel mezzo 2 a destra di Q e sul raggio rifratto. Se α è pic-colo, anche gli angoli di incidenza (ϑ1), di rifrazione (ϑ2) e gli angoli β e γ indicati in figura saranno piccoli e var-ranno le seguenti relazioni:

d rd

r

r dr

d

d

d

d

r

d

r

d

d

oo

ii

o

i

o

o o

i

α β β α

β γ γ β α

ϑ α β α

ϑ β γ α

≈ ⇒ ≈

≈ ⇒ ≈ ≈

= + ≈ +

= − = −

1

2

1

Le prime due sono modi approssimati per esprimere la lunghezza del segmento Q'Q quando è lecito sostituire al-la tangente il valore dell’angolo espresso in radianti; le ultime due discendono da relazioni esatte tra supplemen-tare dell’angolo di un triangolo (CQ'O e CQ'I) e somma degli altri due angoli. Gli angoli di incidenza e di rifra-zione sono legati dalla legge di Snell, che si può riscrive-re sostituendo gli angoli ai seni:

n n nd

rn

d

r

d

d1 1 2 2 1 21ϑ ϑ α α≈ ⇒ +

≈ −

o o o

i

Dividendo per αdo e riorganizzando i termini si ottiene la relazione fondamentale del diottro sferico:

n

d

n

d

n n

r

1 2 2 1

o i+ =

− 14.25

Poiché la distanza dell’immagine non dipende dall’incli-nazione α del raggio, tutti i raggi uscenti da O e formanti un piccolo angolo convergono in un solo punto a distanza di da Q data dalla 14.25. Per do → ∞ il punto I tende al fuoco F2 la cui distanza da Q vale

d fn

n nri = =

−2

2

2 1 14.26a

ed è positiva nel caso della figura in cui n2 > n1 e la su-perficie è convessa dalla parte dell’oggetto (r > 0). Quan-do l’oggetto si trova nel fuoco F1 il raggio viene rifratto parallelamente all’asse ottico; o anche

d d fn

n nri o→ ∞⇒ = =

−1

1

2 1 14.26b

La costruzione dei due fuochi è mostrata nella figura se-guente:

QF1

f1 f2

n1 n2

Si noti dalle 14.26 che le due distanze focali sono positi-ve o negative entrambe. Utilizzando le espressioni 14.26 dei fuochi la 14.25 può essere riscritta nella forma:

f

d

f

d

1 2 1o i

+ = 14.27

La costruzione geometrica dell’immagine del diottro è mostrata per il caso in cui tutte le distanze nella 14.27 siano positive.

n2n1

Q−hi

F1

ho F2

IQ"

Q'O

Ottica 317

Da questa figura e dall’espressione delle distanze focali si ricava facilmente l’espressione dell’ingrandimento sem-plicemente assumendo che le ascisse dei punti Q, Q' e Q" possano essere considerate coincidenti:

h

h

f

f

d

d

i

o 2

i

o= − 1 14.28

L’occhio umano è una palla di umor vitreo (n ≈ 1.4) con r ≈ 1.2 cm. In base alla 14.26a la distanza tra punto Q (dove è situata la pupilla) e F2 è di 3.6 cm, cioè maggiore della distanza pupilla-retina, pari a 2r ≈ 2.4 cm. Il cristal-lino è una lente regolabile tra pupilla e globo oculare (vedi seguito) che permette che un oggetto distante (do → ∞) produca sulla retina una immagine reale.

Come applicazione delle leggi del diottro, conside-riamo un oggetto (freccia nera) in acqua (n1 = 1.333) se-parato da un superficie piana (r = ∞) dall’aria (n2 = 1). Per la 14.25 con r → ∞, l’immagine (freccia più chiara) si trova a una distanza dalla superficie |di| minore di quella reale do. Inoltre di è negativa, e quindi l’immagine si forma nel mezzo 1. Nella figura è indicata la costruzione dei raggi che mostra come i prolungamenti dei raggi in aria si incrocino più vicino alla superficie rispetto ai raggi reali provenienti dall’oggetto. Lo stesso risultato poteva essere trovato direttamente prendendo in considerazione angoli di incidenza piccoli e applicando la legge di Snell (vedi Esercizio R14.5).

−di

do

n2=1

n1=1.33

14.5.3 Le lenti sottili

Una lente con indice di rifrazione n in aria può essere pensata come una successione di due superfici diottriche di raggio (con segno!) r1 e r2. L’immagine di un oggetto distante do dalla prima superficie si forma a una distanza d 'i da questa pari a (vedi 14.25 con n1 = 1, n2 = n)

n

d

n

r d'i o=

−−

1 1

1 14.29a

Questa immagine va considerata come l’oggetto per la seconda superficie; se d 'o è la distanza (con segno) di questa immagine dalla seconda superficie, questa formerà a sua volta un’immagine a distanza di data da (vedi 14.23 con n1 = n, n2 = 1)

n

d

n

r d'o i=

−−

1 1

2 14.29b

La differenza tra i valori assoluti di d 'i e d 'o è pari allo spessore della lente, ma le due quantità hanno segno op-posto in quanto un oggetto ha distanza positiva quando è a sinistra della superficie mentre una immagine ha distan-za positiva se è a destra della stessa. Se la lente è sottile, possiamo trascurare il suo spessore e porre approssimati-vamente d 'i ≈ −d 'o Sommando membro a membro le e-quazioni 14.29 si ha

01 1 1 1

1 2=

−− +

−−

n

r d

n

r do i

o anche

1 11

1 1 1

1 2d dn

r r fo i+ = − −

≡( ) 14.30

Questa è la cosiddetta equazione dei fabbricanti di lenti: a differenza del caso del diottro, se i mezzi iniziale e fina-le sono gli stessi, vi è ora un’unica distanza focale comu-ne ai due fuochi F1 (dalla parte di O) e F2. La distanza focale f è determinata dall’indice di rifrazione della lente e dai raggi di curvatura, presi con il loro segno(☯), delle superfici della lente.

L’equazione 14.30 è formalmente uguale alla 14.22: le proprietà di specchi e lenti sono molto simili e sono ambedue descritti dalla distanza focale f. Una differenza sta nella convenzione dei segni: la distanza focale è posi-tiva se l’immagine dell’oggetto all’infinito si forma a si-nistra nel caso degli specchi (specchi concavi) e a destra

(☯) In alcuni testi si segue una convenzione diversa sui se-

gni e il raggio di curvatura della seconda superficie è assunto con il segno cambiato. Nel caso di una lente che presenta all’aria due superfici convesse, il primo raggio di curvatura è positivo e il secondo negativo per chi segue il percorso di un raggio attraverso la lente; la sua distanza focale è perciò legata alla somma dei reciproci dei valori assoluti dei due raggi di curvatura.

318 Capitolo 14

nel caso delle lenti (lenti convesse); la distanza dell’im-magine è positiva (immagine reale) se questa si forma sul raggio riflesso (ossia a sinistra) per gli specchi e a destra per le lenti (ossia sul raggio rifratto).

do di immagine

Specchio concavo e lente convessa (f > 0)

do > 2f f < di < 2f reale, invertita, più piccola

do = 2f di = 2f reale invertita, uguale

f < do< 2f di > 2f reale, invertita, più grande

do < f di < 0 virtuale e diritta

Specchio convesso e lente concava

∀ do di < do virtuale, diritta, più piccola

Due esempi di costruzione dell’immagine di una lente sono dati in figura: si invia dalla punta della freccia che rappresenta l’oggetto un raggio parallelo all’asse ottico che passerà per il fuoco principale F2 (a destra se f > 0); un secondo raggio può essere disegnato tracciando la ret-ta per il centro C della lente.

F2

QF1 immagine

reale

F2

QF1

immagine

virtuale

Come per gli specchi, l’ingrandimento di una lente è de-scritto dalla 14.23, che vale con le convenzioni sui segni delle altezze espresse in quella occasione: un’immagine virtuale è sempre diritta (con altezza positiva) mentre una immagine reale è sempre invertita. Occhio umano, cine-prese e macchine fotografiche sono sistemi ottici che producono su una superficie sensibile (retina o pellicola fotosensibile) un’immagine reale che può provenire diret-tamente dall’oggetto oppure da un’immagine (reale o vir-tuale) prodotta da un altro sistema ottico.

Un parametro importante di una lente è la sua apertu-

ra (diametro o altezza), che di solito si esprime come fra-zione della sua distanza focale: una lente f/5.5 ha un di-stanza focale pari a 5.5 volte la sua altezza. La distanza focale si esprime spesso in diottrie, un numero pari al re-ciproco della distanza focale espressa in metri:

diottrie = 1

f [metri]

Con un procedimento simile a quello utilizzato per rica-vare la formula delle lenti sottili si trova che la distanza focale complessiva f di un sistema composto da due lenti vicine (con distanze focali f1 e f2) è il reciproco della somma dei reciproci

1 1 1

1 2f f f= + 14.31

ossia

diottrie complessive = diottrie(1) + diottrie(2)

14.5.4 Il microscopio e il limite

di risoluzione

Il microscopio è un sistema ottico formato, in linea di principio, da due lenti convesse: l’obiettivo, vicino all’oggetto da osservare, e l’oculare, vicino all’occhio dell’osservatore.

ϕ

F1

F2

I1I2

obiettivo oculare

osservatore

O

L’oggetto O è prossimo al fuoco dell’obiettivo che forma un’immagine I1 reale e ingrandita in prossimità dell’ocu-lare; questo agisce come una lente di ingrandimento dan-do l’immagine virtuale I2. Per poter essere vista distinta-mente, questa immagine si deve formare a una distanza dall’occhio di circa 25 cm.

L’ingrandimento di un microscopio può essere defini-to come il rapporto tra altezza dell’immagine I2 (in valore assoluto) e altezza dell’oggetto. L’ingrandimento di un microscopio può in linea di principio essere arbitraria-mente grande ma vi è un limite al di là del quale la riso-

Ottica 319

luzione, ossia l’inverso della minima distanza tra due punti dell’oggetto che sono visti come separati, non au-menta più. Per discutere questo punto, supponiamo che l’oggetto sia costituito da una alternanza di strisce opache e trasparenti, perpendicolari al piano del disegno, spesse d/2 e parallele tra di loro.

λ

ϑ1

ϕ

ϑ2

d

L’illuminazione sia fornita da un fascio di luce diretto come l’asse ottico con lunghezza d’onda λ = 5(10−7) m. L’oggetto è un reticolo di diffrazione, ossia una schiera di fenditure a distanza d una dall’altra. Come visto nel Pa-ragrafo 14.2, la schiera emette intensi fasci di luce in di-rezioni inclinate, rispetto all’asse ottico, di angoli pari a

ϑλ

k

k

d=

−sin 1 con k = 0, ±1, ±2, ... 14.32

(vedi 14.6a). Se l’obiettivo è in grado di raccogliere al-meno parte del fascio che forma l’angolo ϑ1, l’osserva-tore vedrà nella loro interezza due bande nere attorno a una banda chiara centrale; ossia vedrà in modo distinto due oggetti (righe opache) a distanza d/2 l’uno dall’altro. Detto ϕ l’angolo di apertura dell’obiettivo (vedi figura precedente) si ha una risoluzione pari a 2/d quando

ϕ ϑ= 1⇒ sinϕλ

=d

ossia

risoluzione = 2 2

d=

sinϕ

λ 14.33

Poiché sinϕ ≤ 1, la risoluzione è al massimo pari al reci-proco di mezza lunghezza d’onda: se entro l’angolo di apertura dal reticolo all’obiettivo cade solamente il fascio luminoso centrale si vedrà un’illuminazione abbastanza uniforme anziché un susseguirsi di bande chiare e scure che riproducono la struttura del reticolo.

La 14.33 afferma che la risoluzione aumenta al dimi-nuire della lunghezza d’onda. Per questo molti microsco-pi prevedono la possibilità di interporre un olio trasparen-te tra campione e obiettivo: poiché la lunghezza d’on-da è inversamente proporzionale all’indice di rifrazione dell’olio, la risoluzione aumenta di nolio. Disponendo di

opportuni rivelatori, si può usare una radiazione con lun-ghezza d’onda minore di quella della luce visibile, ma occorre rinunciare ai nostri occhi come strumento di rive-lazione. Inoltre, per lunghezze d’onda della radiazione elettromagnetica minori delle dimensioni atomiche l’in-dice di rifrazione di tutti i materiali è praticamente uguale a 1, ed è di fatto impossibile costruire un sistema rifran-gente.

Il microscopio elettronico supera queste difficoltà uti-lizzando fasci di elettroni anziché la radiazione elettro-magnetica: a un elettrone con quantità di moto p è asso-ciata una lunghezza d’onda λ = h/|p| (vedi Capitolo 15) che può essere facilmente resa molto minore delle dimen-sioni atomiche; la traiettoria dell’elettrone può essere controllata mediante campi elettrici e magnetici che han-no la stessa funzione delle lenti nell’ottica convenzionale.

Si è visto che, oltre che dalla lunghezza d’onda, la ri-soluzione dipende dall’angolo di apertura dell’obiettivo. Con l’aiuto della formula 14.13 per la diffrazione mo-striamo adesso che l’apertura d di un sistema ottico de-termina la sua risoluzione angolare, ossia la minima in-clinazione tra due raggi che possono essere distinti. Un fascio di luce che incide normalmente su una fessura lar-ga d viene diffratto e si estingue completamente solo nel-la direzione che forma un angolo ϑ1= λ/d con la normale alla fessura. Perciò fasci di luce che formano un angolo minore di ϑ1 producono su uno schermo comunque lon-tano immagini parzialmente sovrapposte della fessura.

retina

L = 2.4 cmd

pupilla

fovea

centrale

Nella figura si danno gli elementi geometrici per il calco-lo della risoluzione angolare dell’occhio umano: l’apertura d è pari al diametro della pupilla, circa 5 mm; la lunghezza d’onda della luce nell’umor vitreo cambia con il colore, ma si può assumere un valor medio λ = 5(10−7) m, da cui si ricava ϑ1 ≈ 10−4 rad. Poiché la distanza pupilla-retina è L ≈ 2.4 cm, sulla retina non si possono avere immagini separate più di

Lϑ1 ≈ 2.4(10−6) m

Questo è il tipico diametro dei coni ottici nella fovea cen-

320 Capitolo 14

trale. Ancora una volta si deve concludere che l’evo-luzione conosce benissimo la fisica.

Riassunto

Questo capitolo si è aperto con il dibattito sulla natura corpuscolare od ondulatoria della luce: sembra che Hu-ygens batta Newton su tutta la linea. Il modello ondulato-rio spiega con elegante semplicità riflessione, rifrazione, interferenza e diffrazione; anche i complessi fenomeni di polarizzazione, birifrangenza e attività ottica sono inter-pretabili nel quadro del modello ondulatorio, benché pos-sano essere capiti a fondo solo mediante le equazioni di Maxwell e nozioni di struttura della materia. La storia dell’ottica non è però finita: proseguirà nel prossimo ca-pitolo dove Newton si prende, in qualche modo, una ri-vincita.

Anche l’ottica geometrica qui sviluppata è molto in-tuitiva e richiede semplici (ma approssimate) costruzioni. L’equazione da ricordare per gli specchi e le lenti sottili è la stessa:

1 1 1

d d fo i+ =

dove di è negativo se l’oggetto è virtuale, ossia sul pro-lungamento dei raggi riflessi o rifratti; la distanza focale è negativa quando l’immagine di un oggetto all’infinito in prossimità dell’asse ottico è virtuale; positiva quando l’immagine è reale.

Un punto in cui ottica fisica e ottica geometrica si in-contrano è quello riguardante la risoluzione del micro-scopio e, in generale, di sistemi diottrici quale l’occhio umano. Il trattamento dell’interferenza consente di porre su base quantitativa l’intuizione che il limite di risoluzio-ne e la lunghezza d’onda sono quantità tra loro legate.

ESERCIZI RISOLTI ______________________________________________________________

Esercizio R14.1 L’equazione per un raggio luminoso che si propaga in un vetro lungo la direzione y è

[ ]E y t E y tx x( , ) cos ( / )= − = × = ×−2 6 10 3 107 14π λ ν λ νcon m e Hz

L’indice di rifrazione del vetro è di circa

(A) 1.333 (B) 1.00 (C) 2.789 (D) 1.29 (E) 1.67

Soluzione Dall’equazione dell’onda si ricava la velocità di propagazione del raggio

v = λν = 1.8 × 108 m/s

Il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto c ≈ 3×108 m/s e v dà l’indice di rifrazione n = c/v ≈ 1.67

Esercizio R14.2 Guardando di giorno il cielo dal fondo di una piscina (n = 4/3), si vede la superficie

dell’acqua bene illuminata entro un cono che ha un angolo di apertura pari a circa

(A) 90° (B) 45° (C) 97 10' (D)48° 35' (E) indeterminato

β

α

Ottica 321

Soluzione L’angolo richiesto è pari al doppio dell’angolo di rifrazione β in corrispondenza di un angolo di incidenza α pari a 90° per la luce proveniente dall’aria. Si ha

sin

sinsin '

α

ββ β= ⇒ = ⇒ = °

4

3

3

448 35

La risposta è perciò 97° 10' Esercizio R14.3 Una telecamera è situata sul bordo di una piscina a una altezza di due metri rispetto al pelo

dell’acqua. Quando la telecamera punta verso la piscina formando un angolo di 30° con la verticale, nel centro del suo campo visivo è inquadrata una moneta che giace sul fondo della piscina, a due metri sotto il pelo dell’acqua.

α

β

x2

x1

h1

h2

Se l’indice di rifrazione dell’acqua è n = 4/3, la distanza orizzontale tra moneta e bordo della piscina è pari a circa

(A) 2.00 m (B) 1.96 m (C) 1.62 m (D) 2.31 m (E) 1.94 m

Soluzione I dati geometrici del problema sono h1 = h2 = 2 m e α = 30°. L’angolo di rifrazione β si ottiene da

sinsin

/'β

αβ= = ⇒ = °

4 3

3

822 01

La distanza orizzontale della moneta sul fondo è

d x x h h= + = + = + ≈1 2 1 2 1155 0 8093 196tan tan . . .α β m m

Esercizio R14.4 Un raggio di luce si propaga in acqua (n1 = 4/3) e in un piano verticale raggiunge la faccia

laterale del cubo della figura con un angolo di incidenza α = 52° 19'. Il raggio rifratto nel cu-bo raggiunge la faccia superiore di questo con angolo di incidenza β pari a quello limite che produce riflessione totale.

n1

n2

322 Capitolo 14

L’indice di rifrazione n2 del materiale costituente il cubo è di circa:

(A) 1.27 (B) 1.33 (C) 1.53 (D) 1.70 (E) 1.89

Soluzione Le condizioni di riflessione totale alla faccia superiore e di rifrazione sulla faccia laterale portano al sistema

( )n n n

n n n n

nn

n

2 1 1

1 2 2 1

2

22

2

2 12

22

90

90

1sin sin

sin sin cos

tansin

sin

sincos

sin

sin

β

α β β

βα

β

αβ

β

β

= ° =

= °− =

⇒=

=

=

=

Da qui si ottiene

sin sin .2 22

12

12 2 1

2 1 170α α=−

⇒ = + ≈n n

nn n

Si noti che l’indice di rifrazione del cubo (probabilmente un tipo di vetro) deve essere mag-giore di quello dell’acqua per avere riflessione totale. Poiché sinα ≤ 1, tale indice di rifrazio-ne deve essere al massimo pari a n2 2 189≈ . per consentire di raggiungere l’angolo limite di riflessione totale.

Esercizio R14.5 Guardando dall’alto una capocchia di spillo sul fondo di un recipiente riempito di olio mine-

rale (nolio = 1.47) fino a una altezza di 10 cm dal fondo, la profondità apparente a cui si vede la capocchia di spillo è di circa

(A) 10 cm (B) 14.7 cm (C) 7.1 cm (D) 6.8 cm (E) 4.6 cm

Soluzione Il problema si può risolvere sia con la formula del diottro con raggio di curvatura infinito sia con il seguente ragionamento: dal punto O dove è situato l’oggetto si dipartono raggi che formano con la verticale angoli α molto piccoli e vengono rifratti in aria secondo angoli β che sono anch’essi “piccoli”, ossia molto minori di 1 rad.

I

O

n = 1.47

ariaPA

α

β

Si ha perciò

tan sin tan sinα α β β≈ ≈

mentre per la legge della rifrazione

n = =sin

sin.

β

α147

Dai triangoli APO e API si ricava

Ottica 323

AP AO AO

AP AI AI

AI

AOAI cm

= ≈

= ≈

⇒ = ⇒ = ≈tan sin

tan sinsin

sin ..

α α

β β

α

β10

1

14768

Esercizio R14.6 La risoluzione angolare dell’occhio umano è pari a circa 0.0003 rad. Qual è, all’incirca, la

minima distanza tra le due fenditure di un esperimento di Young, nel quale si utilizza luce con lunghezza d’onda λ = 589 nm, che consenta all’occhio di vedere direttamente le frange di in-terferenza?

(A) 1.0 mm (B) 2.0 mm (C) 3.14 mm (D) 16 nm (E) 4.1 m

Soluzione Detta d la distanza tra le fenditure, due consecutive frange di interferenza sono viste sotto l’angolo ∆ϑ ≈ λ/d. Posto ∆ϑ = 0.0003 rad si ottiene d ≈ 1.96 mm ≈ 2 mm

Esercizio R14.7 Con un occhio a 1 cm sopra il pelo dell’acqua si osserva la superficie liscia del mare investita

al tramonto dalla luce quasi radente del Sole, la quale ha lunghezza d’onda pari a circa 0.5 nm. Approssimativamente, qual è l’angolo minimo formato con l’orizzontale dalla direzione dei raggi solari per il quale si ha interferenza distruttiva tra raggi solari diretti e raggi riflessi dall’acqua?

(A) 1° (B) 5' (C) 30" (D) 5" (E) < 1"

Soluzione La geometria del problema è la seguente

h = 1 cm90°−2ϑ

ϑ ϑ

A

O

P

Poiché nella riflessione in P il raggio cambia la sua fase di 180°, si avrà interferenza negativa quando le distanze |PO| e |AO| differiscono di un multiplo intero di lunghezze d’onda. Tali di-stanze si possono esprimere in funzione di h e ϑ alla seguente maniera:

( ) ( )PO AO PO PO AO= = °− ⇒ − = −h h

sinsin

sincos

ϑϑ

ϑϑ90 2 1 2

L’angolo minimo si ha quando la distanza tra |PO| e |AO| è pari a una lunghezza d’onda. Poi-ché l’angolo ϑ è per ipotesi “piccolo” (molto minore di 1 rad) si ha:

λϑ

ϑϑ ϑ ϑ

λ= − =

−= ≈ ⇒ = ≈PO AO h h h

h

1 22 2

25

cos

sinsin "

Esercizio R14.8 La superficie sferica di una lente con indice di rifrazione n = 1.667 è appoggiata su di un

piano riflettente; la lente è investita normalmente al piano da una radiazione con λ = 700 nm. Si osservano vari anelli scuri di Newton attorno alla macchia nera centrale e il diametro del quindicesimo anello scuro è d15 = 7.67 mm. Il raggio di curvatura R della superficie sferica vale circa

(A) 1.67 m (B) 1.40 m (C) 38.3 cm (D) 19.6 cm (E) 3.14 cm

324 Capitolo 14

R

C

P As15

d15

Soluzione Indicata con s15 la distanza tra le due superfici in corrispondenza al 15-esimo anello la condi-zione di interferenza negativa è

15 2 15λ = s

in quanto vi è un cambiamento di fase di 180° nella riflessione aria/vetro/aria. Utilizzando il teorema di Pitagora applicato al triangolo CAP si trova una relazione tra R, d15 e s15

( ) ( )R R s d Rs R s d d2

152

152

15 152

152

1522 2 15 4 4= − + ⇒ = = + ≈/ / /λ

dove si è utilizzato il fatto che, dai dati, s15 << d15 . Si arriva così a

( )( )

Rd

= =×

× ×≈

152 3 2

760

7 67 10

60 7 10140

λ

.. m

Esercizio R14.9 L’angolo di incidenza per il quale la luce riflessa dalla superficie di un lago (nacqua = 4/3) è completamente polarizzata in un piano orizzontale vale circa

(A) 53° (B) 27° (C) 45° (D) 62° (E) 33°

Soluzione Si ha polarizzazione completa dell’onda riflessa quando questa è normale a quella rifratta, ossia quando angolo di incidenza e di rifrazione sono tra loro complementari (vedi figura). In tal caso la legge di Snell comporta:

°≈=⇒== − 53tantancos

1nn

sinϑϑ

ϑ

ϑ

n = 4/3

ϑ

90°

Ottica 325

Esercizio R14.10 Due polarizzatori vengono attraversati da un raggio luminoso. Quando sono orientati con assi paralleli l’intensità luminosa emergente vale I0; quando il secondo polarizzatore viene ruotato di ϑ = 30° rispetto al primo l’intensità luminosa emergente vale circa

(A) 0.75 I0 (B) I0 (C) 0.5I0 (D) 0.33 I0 (E) 0

Soluzione All’uscita del primo polarizzatore, il vettore campo elettrico E vibra nella direzione indicata con n1: scomponiamo E in una componente parallela alla direzione n2 del secondo polarizza-tore, di ampiezza Ecosϑ, che passerà, e in una perpendicolare, di ampiezza Esinϑ, che verrà assorbita.

E

ϑ

n2n1

I E I If0

20

200 75= = =( cos ) cos .ϑ ϑ

Esercizio R14.11 Una palla di plastica trasparente (indice di rifrazione n = 1.42) ha un diametro esterno di 14

cm, uno interno di 10 cm ed è riempita d’aria. Un sottile pennello di luce che si propaga in una direzione radiale proveniente da sinistra formerà una immagine a una distanza dal centro di circa (“+” a destra, “−” a sinistra)

(A) 255 cm (B) 142 cm (C) 710 cm (D) −314 cm (E) −740 cm

Soluzione Si deve applicare la formula del diottro sferico,

n

p

n

q

n n

R

A B B A+ =−

successivamente alle quattro superfici aria/plastica della figura, tenendo conto dei segni e del fatto che le distanze di oggetto e immagine, p e q, sono relative a superfici spostate le une ri-spetto alle altre. Per la superficie S1 si ha

1 142 142 1

77

142

0 422367

11

∞+ =

−⇒ = ≈

. . .

..

qq cm

750−5

S3 S4S2S1

−7

326 Capitolo 14

L’immagine di S1 è perciò a una distanza p2 = −q1 + 2 = −21.67 cm da S2 e l’immagine di questa superficie si forma a una distanza q2 da questa:

142 1 0 42

55414

2 22

. ..

p qq+ = − ⇒ ≈ cm

Si ha p3 = −54.14 + 10 = −44.14 cm e

1 142 0 42

52315

3 33p q

q+ = − ⇒ ≈ −. .

. cm

Per la superficie S4 si ha p4 = 23.15 + 2 = 25.15

142 1 0 42

7747

4 44

. .

p qq+ = ⇒ ≈ − cm

La distanza del fuoco dal centro è perciò 740 cm a sinistra, ovvero −740 cm. Esercizio R14.12 La Luna è vista dalla Terra sotto un angolo ϑ ≈ 30' . Uno specchio concavo di raggio R = 1 m

focalizza una immagine della Luna di diametro

(A) 0.314 cm (B) 0.436 cm (C) 0.5 m (D) 2 m (E) < 1mm

Soluzione Nella figura è rappresentata la geometria del problema.

ϑO

FC

Il raggio di curvatura |CO| è il doppio della distanza focale |FO|. Perciò |CF| = 50 cm e la se-mialtezza dell’immagine si trova tracciando dai bordi della luna i raggi per C. Tale semialtez-za vale

| | tan .CF mmϑ

2218≈

La risposta è perciò 0.436 cm Esercizio R14.13 Lo specchietto del dentista ha un raggio di curvatura di 24 mm. A che distanza deve trovarsi

da una carie per consentire di osservarne una immagine diritta e ingrandita di tre volte ?

(A) 12 mm (B) 16 mm (C) 4 mm (D) 10 mm (E) 8 mm

Soluzione Posto p = x, la distanza dell’immagine deve essere q = −3x e la soluzione si trova da

1 1 2 1 1

3

2

248

p q R x xx+ = ⇒ − = ⇒ = mm

Esercizio R14.14 A che distanza da una lente convergente di distanza focale f = 5 cm deve essere posto un

oggetto per avere una immagine virtuale ingrandita due volte?

Ottica 327

(A) 5/3 cm (B) 2.5 cm (C) 3.14 cm (D) 5 cm (E) 10 cm

Soluzione La distanza p si trova eliminando q dalle equazioni

− =

+ =

⇒ = ⇒ = =

q

p

q p f

p fp

f2

1 1 11

2

1

22 5. cm

Esercizio R14.15 Il sistema di lenti di un proiettore di diapositive ha una distanza focale di 20 cm mentre la

diapositiva è posta a 22 cm dal sistema di lenti. La distanza ottimale dello schermo è pari a

(A) 2 cm (B) 100 cm (C) 200 cm (D) 220 cm (E) 440 cm2

Soluzione La relazione da usare per q è

1

22

1 1

20220+ = ⇒ =

qq cm

e l’ingrandimento vale dieci.

ESERCIZI PROPOSTI ___________________________________________________________

Esercizio 14.1 Nell’attraversare normalmente una lamina d’aria spessa 1 cm un raggio luminoso compie 1400 oscillazioni mentre ne compie 2300 per attraversare normalmente una lamina di vetro spessa 1 cm. L’indice di rifrazione del vetro è pari a circa

(A) 1.23 (B) 1.31 (C) 1.64 (D) 2.31 (E) 4.13

Esercizio 14.2 Un cilindro di glicerina (nG = 1.47) di raggio R1 = 20 cm è posto al centro di un cilindro di

solfuro di carbonio (nS = 1.63) di raggio R2 = 30 cm. Quanto tempo impiega la luce di una lampada al sodio (ν = 5.09 × 1014 Hz) per attraversare diametralmente i due cilindri? (Si as-suma c = 3 × 108 m/s.)

(A) 4.13 ns (B) 2.07 ns (C) 3.14 ns (D) 3.05 ns (E) 9.80 ns

Esercizio 14.3 L’angolo di incidenza α di un raggio di luce che raggiunge la superficie di uno specchio

d’acqua (n = 4/3) per il quale raggio riflesso e raggio rifratto formano un angolo di 90° è pari a circa

(A) 37° (B) 31.4° (C) 48.6° (D) 53° (E) 90°

Esercizio 14.4 L’indice di rifrazione di una lastra di ghiaccio trasparente che ricopre un laghetto vale

nghiaccio = 1.304

Dal fondo del lago (nacqua = 4/3) i raggi del sole al tramonto formano con la verticale un an-golo di circa (approssimare al grado)

(A) 50° (B)49° (C) 53° (D) 90° (E) 37°

328 Capitolo 14

Esercizio 14.5 L’indice di rifrazione del diamante è ndiamante = 2.42. Sopra quale angolo di incidenza la luce proveniente da un diamante immerso in acqua (nacqua = 4/3) viene completamente riflessa?

(A) 33° 26' (B) 24° 24' (C) 48° 35' (D) 53° 7' (E) 37° 48'

Esercizio 14.6 Una sorgente di luce con lunghezza d’onda in aria pari a circa 589 nm (caratteristica delle

luce gialle delle lampade al sodio) illumina due fenditure parallele e su di uno schermo di-stante L = 0.9 m le frange luminose adiacenti sono distanti ∆y = 0.15 mm. La distanza d tra le due fenditure vale

(A) 4.3 mm (B) 3.14 mm (C) 282 m (D) 0.098 m (E) 3.5 mm

Esercizio 14.7 La luce di una sorgente monocromatica con lunghezza d’onda λ1 = 630 nm incidente su di

una coppia di fenditure produce su di uno schermo frange luminose distanti tra loro d1 = 5 mm. Con le stesse fenditure e schermo, un altro laser produce frange distanti d2 = 4.58 mm. La lunghezza d’onda λ2 del secondo laser vale circa

(A) 529 nm (B) 577 nm (C) 688 nm (D) 751 nm (E) indeterminato

Esercizio 14.8 Due lastre di vetro in aria con indice di rifrazione n = 1.5 appoggiano nel punto O e formano

tra di loro un piccolo angolo ϑ. Quando sono investite quasi normalmente da una luce avente in aria una lunghezza d’onda λ = 400 nm, un osservatore posto sopra le lastre osserva frange scure centrate nei punti O, P1, ... , P5 della figura.

h4aria

n = 1.5

ϑ

O P5P4P3P1 P2

B

AC

Se la distanza OP5 è pari a 0.2 cm, l’angolo ϑ tra le due lastre vale circa (in radianti)

(A) 5(10−4) (B) 7.5(10−4) (C) 3.33(10−4) (D) 3.14 (E) 1.25

Esercizio 14.9 Se l’angolo di Brewster per il quale la luce riflessa da un dielettrico opaco è completamente

polarizzata vale 62°, la costante dielettrica del materiale è di

(A) 1.88 (B) 1.47 (C) 3.54 (D) 2.13 (E) 1.13

Esercizio 14.10 Un raggio di luce non polarizzata di intensità I0 attraversa due polarizzatori che formano tra

loro un angolo di 45°. Il raggio emergente ha intensità

(A) 0.5 I0 (B) 0.375 I0 (C) 0.25 I0 (D) 0.15 I0 (E) 0.75 I0

Esercizio 14.11 Una moneta si trova sul fondo di una boccia d’acqua (n = 4/3) riempita fino a un’altezza di

Ottica 329

12 cm. Vista dall’alto, la moneta appare a una profondità dal pelo dell’acqua pari a

(A) 12 cm (B) 16 cm (C) 9 cm (D) 6.75 cm (E) 21.3 cm

Esercizio 14.12 Si deve formare su di uno schermo l’immagine di una lampada ingrandita di quattro volte. Si

vuole utilizzare uno specchio distante 3 m dallo schermo. Il raggio di curvatura dello spec-chio sarà pari a circa

(A) 1.2 m (B) 1.6 m (C) 2 m (D) 3 m (E) 12 m

Esercizio 14.13 La lunghezza focale f di uno specchio convesso che produce una immagine ridotta di un

fattore 5 di un oggetto a 8 cm dallo specchio è pari in valore assoluto a

(A) 4 cm (B) 1.6 cm (C) 2 cm (D) 1.4 cm (E) 3.3 cm

Esercizio 14.14 Una lente divergente con f = −10 cm forma l’immagine di un oggetto distante 15 cm rimpic-

ciolita di un fattore

(A) 1 (B) 1.5 (C) 2 (D) 2.5 (E) 3.33

Esercizio 14.15 Si vuole che una diapositiva di 5 cm × 5 cm appaia sullo schermo con dimensioni 2 m × 2 m.

Se la distanza focale del proiettore è f = 25 cm, la sua distanza q dallo schermo è di circa

(A) 5 m (B) 10 m (C) 10.25 m (D) 31.4 m (E) non determinabile