Cap. 2.7 - Miopia Distiroidea

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Miopatia distiroidea 2 gli StraBiSmi introduzione L’Oftalmopatia Basedowiana (OB) è la più co- mune manifestazione extratiroidea del Morbo di Basedow, una malattia autoimmune che colpisce la tiroide ed è caratterizzata dall’associazione di gozzo diffuso-ipertiroidismo-oftalmopatia. Con il termine Oftalmopatia Basedowiana si identifica il complesso di manifestazioni oculari che si os- serva in circa il 50% di pazienti con Morbo di Ba- sedow e più raramente in pazienti con tiroidite cronica autoimmune 4 . L’incidenza annuale della OB è nelle donne 16/100.000 circa e negli uomini 3/100.000. Anche se in alcuni pazienti l’oftalmo- patia si manifesta solo con segni di moderato di- scomfort oculare, circa il 5% presenta un quadro clinico grave, con importante chemosi, proptosi e talora perdita del visus 7 . patogenesi L’orbitopatia Basedowiana sembra essere il ri- Francesco Nasini Dipartimento di Neuroscienze Università degli Studi - Pisa Marco Nardi Dipartimento di Neuroscienze Università degli Studi - Pisa Teresa Mautone Dipartimento di Neuroscienze Università degli Studi - Pisa

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Gli strabismi e le anomalie della motilità oculare

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Miopatia distiroidea

2gli StraBiSmi

introduzione

L’Oftalmopatia Basedowiana (OB) è la più co-mune manifestazione extratiroidea del Morbo di Basedow, una malattia autoimmune che colpisce la tiroide ed è caratterizzata dall’associazione di gozzo diffuso-ipertiroidismo-oftalmopatia. Con il termine Oftalmopatia Basedowiana si identifica il complesso di manifestazioni oculari che si os-serva in circa il 50% di pazienti con Morbo di Ba-sedow e più raramente in pazienti con tiroidite cronica autoimmune4. L’incidenza annuale della OB è nelle donne 16/100.000 circa e negli uomini 3/100.000. Anche se in alcuni pazienti l’oftalmo-patia si manifesta solo con segni di moderato di-scomfort oculare, circa il 5% presenta un quadro clinico grave, con importante chemosi, proptosi e talora perdita del visus7.

patogenesi

L’orbitopatia Basedowiana sembra essere il ri-

FrancescoNasiniDipartimento di NeuroscienzeUniversità degli Studi - Pisa

MarcoNardiDipartimento di NeuroscienzeUniversità degli Studi - Pisa

TeresaMautoneDipartimento di NeuroscienzeUniversità degli Studi - Pisa

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sultato di una complessa rete di interazioni tra fattori genetici ed ambientali. Molte ipotesi sono state formulate nel corso degli ultimi anni e il progresso della tecnologia biomolecolare ha permesso di arricchire le nostre conoscenze a ri-guardo.

FattorigeneticiLa natura autoimmune dell’OB è evidenziata dalla stretta relazione esistente tra la patologia autoimmune della tiroide e l’infiltrazione dei tessuti orbitari da parte delle cellule immuno-competenti16. L’autoimmunità è probabilmente il processo patogenetico di fondo nella OB: tale dato è supportato dalla pressoché costante coe-sistenza della autoimmunità tiroidea. A favore di questa ipotesi il fatto che esiste un rapporto tra OB e rimozione completa (ablazione) del tessuto tiroideo. Alla rimozione degli autoantigeni segue un’attenuazione della risposta autoimmunitaria contro gli stessi ed è stato osservato come la completa eliminazione del tessuto tiroideo me-diante tiroidectomia totale e somministrazione di radioiodio induca una migliore risposta della OB alla terapia corticosteroidea rispetto alla sola tiroidectomia. Studi anatomici risalenti ai primi anni ’80 hanno messo in evidenza come i musco-li extraoculari siano di dimensioni notevolmen-te aumentate (talvolta quasi più di otto volte le normali dimensioni)9. Dai medesimi studi è stato anche dimostrato che in alcuni pazienti il gras-so orbitario e il tessuto connettivo lasso sono espansi, anche se all’esame istologico le fibre muscolari sembrano essere intatte. Lo spazio interstiziale è edematoso e contiene collagene e glicosamminoglicani in eccesso. Vi sono infiltrati di leucociti, in particolare linfociti T, macrofagi talora mastociti e plasmacellule. L’ipotesi pato-genetica più accreditata è che ci sia un intimo legame tra l’autoimmunità e la presenza di an-tigeni a livello orbitario, in grado di dare luogo ad una reattività crociata. La principale teoria riguardante la patogenesi dell’oftalmopatia vede come reazione primaria, quella che coinvolge gli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb).Tale re-cettore è espresso a livello del tessuto connetti-vo orbitario e al suo legame con gli autoanticorpi consegue la stimolazione dei fibroblasti orbitari,

dunque la produzione di collagene e glicosam-minoglicani (GAG): il risultato finale è una in-fiammazione orbitaria accompagnata a segni e sintomi di flogosi e congestione peri-orbitaria e congiuntivale2. Ulteriori studi a riguardo hanno dimostrato come le concentrazioni di TRAb sia-no infatti maggiori nel tessuto adiposo orbitario di pazienti affetti da OB, piuttosto che in pazienti non affetti. Tale dato ha suggerito dunque che, per via dell’aumentata espressione del TRAb a livello orbitario, tale molecola possa essere coinvolta nello sviluppo della malattia7. Studi biomolecolari più recenti hanno identificato nei fibroblasti del tessuto connettivo orbitario, che esprimono sulla loro superficie il TRAb, le cellule bersaglio del processo scatenante l’orbitopatia di Basedow. Tuttavia, piuttosto che essere una po-polazione omogenea di cellule, i fibroblasti pre-sentano una notevole eterogeneità fenotipica7. Una sottopopolazione di queste cellule può pro-durre acido ialuronico e agenti pro-infiammatori; altre cellule (“fibroblasti pre-adipociti” o preadi-pociti) sono in grado di differenziarsi in adipociti maturi. La prima sottopopolazione menzionata si ritrova nei tessuti connettivi che ricoprono il tessuto muscolare, l’altra, i preadipociti, si trova-no principalmente nel tessuto grasso orbitario. Queste differenze fenotipiche tra i fibroblasti dei compartimenti orbitari possono spiegare perché alcuni pazienti con oftalmopatia basedowiana hanno un interessamento prevalentemente mu-scolare e altri invece prevalentemente connetti-vale, con espansione del grasso orbitario come principale caratteristica clinica. Studi recen-ti hanno dimostrato come le citochine siano le principali responsabili delle alterazioni biologi-che sui fibroblasti orbitari19.

Fattoriambientali

Fumo di sigarettaIl fumo di sigaretta è il principale fattore di ri-schio per lo sviluppo dell’orbitopatia in pazienti affetti da morbo di Basedow. L’Odds Ratio rela-tivo ai controlli, è risultato maggiore di 20.2 per i fumatori e 8.9 per gli ex-fumatori: questo sta ad indicare un diretto ed immediato effetto del fumo sulla progressione della malattia. Il fumo

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è strettamente associato ad un quadro clinico più severo, ad un fallimento della terapia immu-nosoppressiva e ad un peggioramento della OB dopo trattamento con I131. I meccanismi che sot-tendono l’associazione tra fumo di sigaretta e OB non sono tuttora chiari. Il fumo è notoriamente associato ad altre patologie autoimmuni, come l’Artrite Reumatoide e il Morbo di Chron, que-sto suggerisce che nei fumatori vi possa essere una sorta di attivazione del processo autoim-mune. Alcuni effetti irritativi diretti del fumo, quali l’ipossia e l’aumento dei radicali liberi nel-lo spazio retro-oculare, potrebbero causare un aumento della produzione e della secrezione di citochine che (in modo particolare nel caso della IL-1) svolgono un ruolo fondamentale nel man-tenimento del processo autoimmune orbitario, provocando anche l’aumento dell’espressione di molecole di adesione4. L’esposizione ad estratto di fumo di sigaretta inoltre sembra stimolare sia l’adipogenesi sia la secrezione di acido ialuroni-co. Infine l’astinenza dal fumo sembra diminuire il rischio di sviluppare diplopia e proptosi3.

FattorimeccanicietraumiL’aumento della pressione endorbitaria, dovuto all’espansione del grasso orbitario ed all’aumen-to di volume dei muscoli extraoculari, è in buona parte responsabile dei segni e dei sintomi della oftalmopatia.Questo porta alla proptosi del globo oculare (esoftalmo), che può giungere nei casi più gra-vi anche alla lussazione del bulbo e costituisce una sorta di “naturale” decompressione orbita-ria. Il limitato spazio all’interno dell’orbita ossea e il notevole incremento di volume al suo interno possono portare ad occlusione venosa e linfatica e risultare in chemosi ed edema orbitario mar-cato. Le variazioni individuali legate all’anatomia orbitaria o alla vascolarizzazione venosa rendono verosimilmente, alcuni pazienti affetti da mor-bo di Basedow, più predisposti a sviluppare una OB clinicamente più grave rispetto ad altri7. Il trauma meccanico subito dalla cavità orbitaria in seguito all’espanso volume del suo contenuto fibro-muscolare, può aggravare il processo in-fiammatorio, in quanto rappresenta un ulteriore

stimolo al rilascio di citochine pro-infiammatorie e chemochine che aumentano la presentazio-ne dell’antigene da parte dei fibroblasti orbitari instaurando un circolo vizioso che culmina con l’aumento della risposta autoimmune.

Classificazione

Nel corso degli anni numerose classificazioni sono state formulate per raccogliere e sintetiz-zare le manifestazioni cliniche dell’Oftalmopatia Basedowiana. Nel 1969 Werner propose una clas-sificazione dei segni oculari legati alla malattia di Graves, approvata poi dalla American Thyroid Association nel 1977. Si trattava della nota e tut-tora diffusa classificazione NOSPECS (Tabella 1)8. Successivamente in ogni singola categoria è stata fatta un’ulteriore distinzione, specificando la relativa presenza dei segni clinici con 0= as-sente, a = minimo; b = moderato; c = marcato.Sulla base delle nuove e più recenti ipotesi pa-togenetiche sono state stilate nuove classifi-cazioni. Alcuni autori propongono di suddivi-dere l’oftalmopatia di Basedow in tre sottotipi: “oftalmopatia congestizia” caratterizzata da un processo infiammatorio riguardante il tessuto connettivo orbitario che risparmia relativamente la muscolatura extraoculare, e che si manifesta con esoftalmo, iniezione congiuntivale, chemo-si. Di contro la “miopatia oculare” si presenta con infiammazione e ingrossamento dei musco-li extraoculari e si manifesta con restrizione dei movimenti oculari, diplopia e talora dolore alle versioni. Tuttavia la manifestazione più comune sembra essere la forma mista, tipica del 40% dei pazienti affetti da tale patologia.Circa il 70% dei pazienti con OB presenta un’in-fiammazione del tessuto connettivo orbitario, il 50% va incontro ad una miopatia e un 40-50% circa dei pazienti ha una cronica retrazione della palpebra superiore. Tali manifestazioni cliniche si presentano in maniera isolata, rispettivamente nel 25%, 5% e 15% dei casi. Di nostro interesse in questa trattazione, la mio-patia distiroidea e il relativo percorso diagnosti-co e terapeutico.

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Lamiopatiadistiroidea:diagnosiclinicaestrumentaleIl dato clinico principale è sicuramente la pre-senza di uno strabismo non concomitante re-strittivo. Il sintomo principale è di conseguenza la diplopia, che però compare solo quando la de-viazione indotta dalla miopatia supera le capaci-tà fusionali del paziente.Il muscolo più frequentemente interessato dalla restrizione è il retto inferiore (60%) seguito dal retto mediale (50%). La fibrosi coinvolge in mi-sura minore il retto superiore (25%) e infine il retto laterale e gli obliqui. La anamnesi non da sempre elementi utili, infatti sia pure raramen-te, le alterazioni della motilità oculare possono precedere le alterazioni della funzione tiroidea di un periodo pari anche a circa 18 mesi. In tal caso è di fondamentale importanza il supporto dell’imaging e la collaborazione con lo specialista endocrinologo.La identificazione dei muscoli interessati può apparire difficile poiché molti sono i test propo-sti in letteratura: spesso questi test valutano gli stessi parametri con diverse modalità di esame. Di seguito viene presentata una breve sequenza diagnostica.Esame della regione orbitaria in posizione prima-ria di sguardo: ciò è importante per una prima impressione sulla presenza di esoftalmo mono o bilaterale, sull’eventuale dislocazione del bulbo oculare e sulla presenza di un evidente strabi-smo manifesto.Esame delle duzioni: (sono i movimenti mono-culari del bulbo) in pratica si occlude l’occhio controlaterale e si fa seguire al paziente la penna

luminosa che viene portata nelle posizioni dia-gnostiche di sguardo. Se l’occhio non raggiunge la massima escursione vi è un deficit di contrat-tilità del muscolo agonista (paresi o paralisi) o un interessamento di tipo restrittivo del muscolo antagonista. Nel caso dello strabismo distiroideo, l’occhio non raggiunge la massima escursione in quanto vi è un interessamento di tipo restrittivo del muscolo antagonista. L’esame si può condur-re anche in maniera quantitativa secondo le indi-cazioni di Mouritz12.Esame delle versioni: (le versioni sono i movi-menti binoculari degli occhi): si esegue facendo seguire agli occhi del paziente la penna luminosa nelle posizioni diagnostiche di sguardo. Dà infor-mazioni differenti rispetto alle duzioni in quanto valuta la posizione relativa dei bulbi oculari du-rante i movimenti oculari. Tali informazioni sono fondamentali per pianificare la chirurgia. Per ottenere un risultato soddisfacente, la chirur-gia stessa deve essere programmata non tanto per eliminare il deficit di motilità ma per simme-trizzare i movimenti, allo scopo di ottenere un campo di visione binoculare singola più ampio possibile. In un paziente con restrizione bilatera-le del muscolo retto inferiore e deficit bilaterale dell’elevazione, ad es. può essere presente un buon campo di visione binoculare singola e in tal caso può non essere necessario un intervento; se invece la restrizione è asimmetrica, operando su un solo occhio (quello più colpito), bisogna cer-care di simmetrizzare i movimenti (e non di eli-minare completamente la restrizione nell’occhio più affetto) per non incorrere in una ipercorre-zione verticale, con inversione della diplopia13.

Tabella 1. Classificazione NOSPECS

CLASSIFICAZIONE N.O.S.P.E.C.S.

0 N No signs

1 O Only signs

2 S Soft tissue involvement

3 P Proptosis

4 E Extaocular muscle involvement

5 C Corneal involvement

6 S Sight loss

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I cover test sono essenziali per determinare la presenza di strabismo, per classificarlo e ottene-re una misura obiettiva dell’angolo di deviazio-ne. Vi sono sostanzialmente tre tipi di cover test: cover-uncover test che mira ad identificare uno strabismo manifesto. Si esegue coprendo un oc-chio e guardando il controlaterale per vedere se compie un movimento di rifissazione. In tal caso siamo di fronte ad uno strabismo manifesto. La manovra viene ripetuta anche nell’altro occhio, dopo aver lasciato entrambi gli occhi scoperti. Il cover test alternato ci serve per identificare gli strabismi latenti (deviazioni oculari mascherate dalla fusione). In questo test, gli occhi vengono coperti in maniera alternata senza lasciare loro la possibilità di recupero della visione binoculare (allo scopo di dissociare così la fusione). Il test è positivo per la presenza di strabismi latenti quando si evidenziano movimenti di rifissazione. Infine il prism cover test, che misura la devia-zione negli strabismi sia manifesti che latenti. La modalità di esecuzione è uguale al cover test al-ternato, ma viene posta davanti ad un occhio la stecca dei prismi, ricercando il prisma che neu-tralizza il movimento di rifissazione. Il test della duzione forzata: fondamentale per determinare o per confermare la presenza di una restrizione, il test consiste nell’afferrare con pin-ze la congiuntiva bulbare e ruotare passivamente l’occhio nella direzione esaminata, chiedendo al paziente di guardare nella stessa direzione allo scopo di favorire il rilasciamento del muscolo an-tagonista. Se vi è resistenza alla rotazione pas-siva è presente una restrizione a carico del mu-scolo retto antagonista. Il test va eseguito prima della chirurgia per confermare la presenza della restrizione, durante e dopo la chirurgia per veri-ficare che la restrizione sia stata eliminata. La misura della pressione intraoculare nelle va-rie posizioni di sguardo: in presenza di una re-strizione non solo vi è un ostacolo meccanico alla rotazione del bulbo oculare nella direzione di azione opposta a quella del muscolo interes-sato ma, quando l’antagonista si contrae, il bul-bo viene spinto all’interno dell’orbita con un au-mento transitorio della pressione intraoculare10. Tale fenomeno è stato studiato soprattutto per quanto riguarda la variazione della pressione in-

traoculare nello sguardo in alto nell’oftalmopatia basedowiana: un aumento di più di 3 mmHg, ri-spetto alla posizione primaria, indica la presenza di una restrizione del muscolo retto inferiore, an-che quando quest’ultima non è evidenziabile con i normali test di motilità oculare15. L’imaging assume un ruolo fondamentale oltre che per la conferma del sospetto diagnostico an-che per la diagnosi differenziale con altre patolo-gie, come ad esempio patologie neurologiche, che potrebbero determinare la presenza dello strabi-smo e dunque indirizzarci verso il più giusto iter terapeutico. Per una corretta diagnosi e di con-seguenza un’adeguata terapia, è fondamentale la valutazione degli aspetti radiologici dei muscoli e dell’intero compartimento orbitario. Sicura-mente l’elemento diagnostico, all’esame TC, più suggestivo di miopatia è l’ispessimento isodenso bilaterale e simmetrico dei muscoli extraoculari che predilige in genere i ventri muscolari, rispar-miando i tendini, generalmente accompagnato da aumento volumetrico dell’adipe orbitario. Nel 90% dei casi l’interessamento è bilaterale, nel 5% viene coinvolto un solo muscolo6. All’esame RM l’ispessimento isointenso dei muscoli extrao-culari correla con l’attività della malattia1.

TerapiaL’obiettivo principale della terapia negli strabi-smi distiroidei è sicuramente il ristoro di una vi-sione binoculare singola, almeno nelle posizioni di sguardo più importanti (posizione primaria e infraversione). Riteniamo sia opportuno esporre tale argomento in maniera più utile alla pratica clinica di ognu-no, pertanto organizzeremo l’esposizione secon-do il seguente schema:• Perché operare?• Quando operare?• Il colloquio con il paziente e la prognosi• Il piano chirurgico• Le possibili complicanze.

Perché operare?Per ridurre o eliminare una diplopia non tolle-rabile per il paziente e non trattabile con prismi oppure per ridurre od eliminare un torcicollo: più raramente l’intervento è richiesto per un

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problema estetico.La invalidità dovuta alla diplopia è generalmen-te il fattore più importante. La diplopia viene valutata determinando il campo di visione bi-noculare singola ovvero rilevando l’estensione e la localizzazione dell’area interessata dalla di-plopia all’interno del campo di sguardo (Figura 1). Questo esame è particolarmente importante nella valutazione del paziente perché uno stesso angolo di deviazione può o non può dare diplo-pia in pazienti diversi, a seconda delle capacità fusionali presenti. In questa ottica è importan-tissimo sincerarsi, prima dell’intervento nel pa-ziente con diplopia in tutto il campo di sguardo, della presenza di una visione binoculare singola potenziale, correggendo la deviazione con prismi e verificando la presenza delle ampiezze fusio-nali21.

Quando operare?Una corretta scelta del tempo per l’intervento è fondamentale in rapporto alla riuscita dell’in-tervento chirurgico. La chirurgia muscolare va effettuata quando la deviazione è ormai stabile e ciò deve essere verificato con misurazioni ripe-tute a distanza di alcuni mesi: si può intervenire su pazienti senza segni di attività infiammatoria della oftalmopatia, dopo almeno 6 mesi di stabi-lizzazione del quadro motorio oculare e con nor-malizzazione del quadro tiroideo18. È indispensa-

bile, nel caso di quadri complessi, che richiedano anche chirurgia orbitaria e palpebrale, program-mare un processo riabilitativo in cui la chirurgia muscolare debba seguire, se indicata, la chirur-gia orbitaria, e precedere la chirurgia palpebrale; questa sequenza è importante in quanto la chi-rurgia orbitaria può modificare la posizione dei bulbi oculari e delle palpebre mentre la chirurgia dei muscoli extraoculari può alterare la posizio-ne delle palpebre.

Il colloquio con il Paziente e la prognosiMolto spesso questi pazienti hanno aspettative non realistiche riguardo alla chirurgia muscola-re, pertanto nel colloquio prima dell’intervento il chirurgo deve sottolineare alcuni punti:Un risultato accettabile è un Campo Utile di Visio-ne Binoculare Singola (CUVBS) comprendente la posizione primaria e l’infraversione: è possibile o probabile che la diplopia persista nelle posizio-ni laterali di sguardo e nello sguardo in alto. A questo proposito è importante ottenere un’area di visione binoculare singola, anche piccola, im-mediatamente dopo l’intervento: tale area si in-grandirà col tempo in rapporto allo sviluppo del-le ampiezze fusionali (le ampiezze fusionali sono plastiche e aumentano con l’esercizio). Negli strabismi restrittivi distiroidei i risultati della chirurgia non sono completamente preve-dibili, nelle migliori casistiche si ha successo con

Figura 1. Campo di visione binoculare singola in un paziente prima (a sinistra) e dopo (a destra) indebolimento del muscolo retto inferiore di sinistra

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un intervento nell’80-85% dei casi, tale percen-tuale supera il 90% con più di un intervento (Fi-gura 2).Ovviamente la prognosi è diversa in rapporto al tipo di deviazione: è migliore per le deviazioni orizzontali pure, peggiora nelle deviazioni verti-cali pure e peggiora ulteriormente nelle devia-zioni miste. Particolarmente problematici sono poi gli occhi con gravi restrizioni in tutte le dire-zioni di sguardo (i cosiddetti occhi congelati): in questo caso anche un lieve indebolimento di un muscolo può causare una marcata ipercorrezio-ne per la contrattura dell’antagonista. Può essere necessario operare entrambi gli oc-chi e più di un muscolo per occhio nella stessa seduta.Se si impiegano suture aggiustabili sarà possibile una regolazione al momento dell’intervento ed il giorno successivo con anestesia topica. Il pazien-te dovrà essere avvertito che il piano chirurgico potrà essere modificato durante l’intervento se il chirurgo, al test della duzione forzata, rileva al-cune restrizioni, non individuate durante l’esame preoperatorio.

Il piano chirurgicoIl piano chirurgico è il punto fondamentale nel-la chirurgia di queste forme complesse: infatti le manovre chirurgiche sono di per sé relativamente semplici ed il problema non è tanto come fare ma cosa fare. La chirurgia deve essere programmata tenendo presenti alcuni punti fondamentali.È importante ottenere un’area di visione bino-culare singola subito dopo il primo intervento:

questa area anche se limitata tenderà ad ingran-dirsi con il tempo. Per ottenere un tale risultato, quando necessario, dovremo anche operare più di un muscolo retto per occhio (massimo due), anche in entrambi gli occhi, nella stessa sedu-ta. Va ricordato come nei pazienti adulti non si possano operare più di 2 muscoli retti per oc-chio per tema di una ischemia del segmento anteriore20. Di ciò bisogna tenere conto anche programmando eventuali interventi successivi, in quanto non vi è evidenza che operando più di 2 retti nello stesso occhio, in interventi separati, si elimini la possibilità di una ischemia del seg-mento anteriore.Di norma, negli strabismi restrittivi, si eseguo-no solo interventi di indebolimento muscolare sul muscolo fibrotico (recessioni, recessioni su suture aggiustabili, allungamenti tendinei) in quanto l’antagonista è funzionante. È opportuno ricordare che eventuali interventi di rinforzo (re-sezioni, plicature), che devono essere invariabil-mente associati a indebolimento dell’antagoni-sta, risultano spesso in marcate ipercorrezioni; inoltre in una tale situazione, avendo operato già due muscoli dello stesso occhio, sarà preclusa ogni altra chirurgia sui muscoli retti.Le procedure di allungamento tendineo trova-no applicazione in alcuni casi, particolarmente quando, dopo decompressione la linea di azione del muscolo appare spostata o in presenza di re-strizioni molto gravi. In questi casi l’allungamen-to tendineo consente di eseguire indebolimenti ben al di sopra delle misure normalmente con-sigliate, ripristinando un buon arco di contatto e

Figura 2. Una deviazione mista (orizzontale e verticale) prima (a sinistra) e dopo (a destra) l’intervento

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quindi recuperando o non inficiando la motilità del bulbo oculare nella direzione di azione del muscolo indebolito (Figura 3)16.

Negli strabismi restrittivi distiroidei bisogna porre attenzione a segni diagnostici fuorvianti (pseudoiperfunzione del muscolo obliquo infe-riore, pseudoparesi del muscolo obliquo superio-re, exciclotorsione nella elevazione)14: tali aspetti sono sempre dovuti ad una restrizione di un mu-scolo retto inferiore e non deve mai essere ope-rato un muscolo obliquo20. In caso di deviazioni verticali bisogna sempre mirare all’ipocorrezio-ne. Nelle settimane successive a un intervento sul muscolo retto inferiore si ha molto spesso una tendenza all’aumento dell’effetto correttivo nell’occhio operato, con possibile insorgenza di

un’ipercorrezione tardiva. Una lieve ipocorrezio-ne consentirà la visione binoculare nello sguar-do in basso e in posizione primaria (con o sen-za l’aiuto temporaneo di prismi), nel frattempo l’area di visione binoculare singola si allargherà spontaneamente5. La introduzione della aneste-sia topica (eventualmente implementata con una iniezione sottotenoniana e/o con una sedazione generale) e delle suture aggiustabili permette una valutazione intraoperatoria dell’effetto della chirurgia e una regolazione intraoperatoria della correzione, eventualmente associata ad una nuo-va regolazione il giorno successivo.

Le possibili complicanze Possiamo considerare 2 tipi di complicanze chi-rurgiche: quelle comuni ad ogni chirurgia dello strabismo (lacerazione o perforazione della scle-ra, infezioni postoperatorie, sviluppo di una sin-drome aderenziale) e quelle che assumono parti-colare importanza nella miopatia distiroidea per la loro frequenza e per la loro gravità. Tra queste ultime, ci sembra opportuno menzionare:Perdita del muscolo durante l’intervento: nel caso di uno strabismo distiroideo è veramente una gravissima complicanza. Il muscolo perso si retrarrà rapidamente e profondamente nell’or-bita spesso senza possibilità di recuperarlo. Sovente la contrattura dell’antagonista causerà una marcata ipercorrezione, estremamente dif-ficile da trattare chirurgicamente. È necessario pertanto fare ogni sforzo possibile per prevenire questa complicanza5.Nello strabismo distiroideo dopo il trattamento di un’ipotropia mediante recessione di un muscolo

Figura 4. Ipercorrezione verticale tardiva e retrazione palpebrale inferiore sinistra dopo recessione del muscolo retto inferiore sinistro in oftalmopatia basedowiana

Figura 3. Le procedure di allungamento sono utili in alcu-ni casi, particolarmente quando, dopo decompressione la linea di azione del muscolo appare spostata o in presenza di restrizioni molto gravi

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retto inferiore è possibile una ipercorrezione verticale tardiva (Figura 4): questa complican-za può riconoscere 2 cause, ovvero la restrizione contemporanea dell’antagonista omolaterale (il retto superiore omolaterale) o la restrizione con-temporanea dell’agonista controlaterale (il retto inferiore controlaterale). Il trattamento contem-pla la prescrizione di prismi nei casi lievi o, più spesso, il reintervento.Alterazioni della posizione delle palpebre: ogni intervento di strabismo (in particolare se è ope-rato un retto verticale) può alterare la posizione delle palpebre. Nell’indebolimento del retto in-feriore si può avere una retrazione della palpe-

bra inferiore che può essere prevenuta, almeno parzialmente, liberando il muscolo retto inferio-re dalle connessioni con gli altri retrattori della palpebra inferiore e dal ligamento di Lockwood.Persistenza della diplopia: quando la diplopia persiste nonostante un allineamento accettabile il paziente deve essere rivalutato per individuar-ne i motivi.Presenza di una deviazione ciclotorsionale: biso-gna sempre tenere presente che una deviazione ciclotorsionale nei pazienti con sindromi restrit-tive è generalmente dovuta all’interessamento di uno o più muscoli retti verticali e considerare i muscoli obliqui solo come ultima spiaggia20.

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