Cap 01 Introduzione

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Capitolo 1 INTRODUZIONE 1.1 – Generalità sulla conversione dell’energia elettrica Nella moderna tecnologia, l’energia elettrica assume un importante ruolo di intermediario. Nonostante che nella maggior parte dei casi l’energia si presenti sotto forme diverse, sia come disponibilità che come utilizzo (es. meccanica, termica), risulta conveniente il passaggio intermedio alla forma elettrica in quanto l’energia elettrica è facilmente trasportabile e controllabile con relativa facilità, affidabilità ed efficienza. Si definisce macchina elettrica un dispositivo in grado di convertire l’energia elettrica tramite l’interposizione, a livello macroscopico, di un campo elettromagnetico. Secondo questa definizione esempi di macchine elettriche sono: 9 i trasformatori (conversione da energia elettrica ad energia elettrica); 9 i motori, i generatori, gli elettromagneti (conversione dell’energia elettrica ad energia meccanica e viceversa). Oggigiorno è possibile convertire l’energia elettrica in energia elettrica tramite dispositivi che utilizzano componenti a semiconduttori. In tal caso esiste ancora l’interposizione di campi elettrici e magnetici di accoppiamento, ma a livello microscopico (a livello atomico). In tal caso si parla di conversione statica dell’energia e di convertitori statici o convertitori elettronici di potenza. La conversione elettromeccanica dell’energia comporta la trasformazione di energia elettrica in energia meccanica o viceversa. L’accoppiamento tra i due sistemi avviene tramite un campo elettromagnetico. In generale, sono presenti sia il campo magnetico che quello elettrico ed è proprio l’energia immagazzinata in tali campi o meglio la sua tendenza a liberarsi ed a compiere lavoro che permette la conversione. Una rappresentazione schematica della conversione elettromeccanica dell’energia è la seguente, dove le frecce grigie rappresentano i flussi di energia. Perdite meccaniche Perdite dovute al campo Perdite elettriche (RI 2 ) Sistema Meccanico Sistema Elettrico Campo di accoppiamento Schema di principio della conversione elettromeccanica dell’energia. 1

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INT

1.1 – Generalità sulla conversione dell’energia eNella moderna tecnologia, l’energia elettrica assume un importante rNonostante che nella maggior parte dei casi l’energia si presenti sotto fodisponibilità che come utilizzo (es. meccanica, termica), risulta conintermedio alla forma elettrica in quanto l’energia elettrica è facilcontrollabile con relativa facilità, affidabilità ed efficienza.

Si definisce macchina elettrica un dispositivo in grado di convertire l’el’interposizione, a livello macroscopico, di un campo elettromagnedefinizione esempi di macchine elettriche sono:

i trasformatori (conversione da energia elettrica ad energia elettr

i motori, i generatori, gli elettromagneti (conversione dell’energmeccanica e viceversa).

Oggigiorno è possibile convertire l’energia elettrica in energia elettrica utilizzano componenti a semiconduttori. In tal caso esiste ancora l’inelettrici e magnetici di accoppiamento, ma a livello microscopico (a lcaso si parla di conversione statica dell’energia e di convertitori elettronici di potenza.

La conversione elettromeccanica dell’energia comporta la trasformazioin energia meccanica o viceversa. L’accoppiamento tra i due sistemcampo elettromagnetico. In generale, sono presenti sia il campo melettrico ed è proprio l’energia immagazzinata in tali campi o megliberarsi ed a compiere lavoro che permette la conversione. Una rappredella conversione elettromeccanica dell’energia è la seguente, drappresentano i flussi di energia.

Perdite dovute al campoPerdite elettriche (RI2)

Sistema

Elettrico

Campo di

accoppiamento

Schema di principio della conversione elettromeccanica dell’en

1

Capitolo

1 RODUZIONE

lettrica uolo di intermediario. rme diverse, sia come veniente il passaggio mente trasportabile e

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tramite dispositivi che terposizione di campi ivello atomico). In tal statici o convertitori

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Perdite meccaniche

Sistema

Meccanico

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Ovviamente il rendimento della trasformazione non è unitario a causa delle perdite indicate. Si osservi la reversibilità della conversione (frecce grigie bidirezionali). Ne consegue l’esistenza sia di generatori elettrici, sia di motori elettrici.

La conversione elettromeccanica dell’energia risulta possibile grazie all’esistenza in natura di fenomeni fisici che legano da una parte i campi elettromagnetici e dall’altra le forze meccaniche. I principali fenomeni utilizzati in pratica sono i seguenti:

1. Forza meccanica su conduttori percorsi da corrente quando sono immersi in un campo magnetico. La conversione è reversibile poiché in un conduttore in movimento in un campo magnetico nasce una tensione indotta.

2. Forza meccanica su materiali ferromagnetici quando sono immersi in un campo magnetico. Tale forza tende ad allinearlo con il campo ed a spostarlo dove il campo è più intenso. Riferendosi ad un campo magnetico generato da un avvolgimento percorso da corrente si può osservare che la conversione è reversibile in quanto lo spostamento del materiale produce una variazione del flusso concatenato con l’avvolgimento e quindi una tensione indotta in quest’ultimo.

3. Forza meccanica sulle armature di un condensatore carico e sul dielettrico immerso nel campo elettrico. Anche in questo caso la conversione è reversibile perché il movimento delle armature o del dielettrico si traduce in un cambiamento della carica e/o della tensione.

4. Effetto piezoelettrico: quando certi cristalli vengono opportunamente deformati generano un campo elettrico e quando viene applicato un campo elettrico si deformano. Anche se le deformazioni sono di piccola entità, la forza associata può essere elevata.

5. Magnetostrizione: la maggior parte dei materiali ferromagnetici evidenzia una deformazione sotto l’azione di un campo magnetico e viceversa.

Durante il corso verranno analizzati solo i primi due fenomeni ed il loro utilizzo nelle macchine elettriche. 1.2 – Richiami di elettromagnetismo I fenomeni magnetici sono descritti nello spazio tramite due grandezze vettoriali: l’intensità del campo magnetico H (in A/m) e l’induzione magnetica B (in T o Wb/m2). Nei mezzi magneticamente inerti queste due grandezze sono dipendenti l’una dall’altra secondo la relazione (1.1), nota come caratteristica costitutiva del mezzo.

HB ⋅µ= (1.1)

ove µ è la permeabilità magnetica del mezzo (nel vuoto µ = µo = 4π ⋅10-7 H/m )

Si ricorda che i campi vettoriali di B ed H devono rispettare le seguenti equazioni di Maxwell:

0=⋅∇ B (II equazione di Maxwell in forma differenziale) (1.2)

JH =∇∧ (IV equazione di Maxwell in forma differenziale[1]) (1.3)

dove il vettore J è il vettore densità di corrente (in A/m2). La relazione (1.3) evidenzia come le correnti elettriche siano le sorgenti del campo magnetico. [1] Valida per campi magnetici stazionari o quasi stazionari.

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MACCHINE ELETTRICHE

Nelle applicazioni dell’elettromagnetismo può essere utile interpretare il ruolo di queste due grandezze secondo il seguente schema di pensiero:

1. la corrente (eccitazione) produce il campo H (legge della circuitazione magnetica);

2. il campo H produce l’induzione B (caratteristica costitutiva del mezzo);

3. l’induzione B produce effetti elettrici (tensioni indotte) e meccaniche (forze) (leggi di Lenz e Lorentz).

1.2.1 - Legge della circuitazione magnetica Si supponga presente in una regione dello spazio una corrente descritta in ogni punto da un vettore densità J. Scelta una qualunque linea chiusa l nella regione suddetta, si definisca con I il valore della corrente che attraversa la superficie S delimitata dal contorno l. Il valore della corrente è definito dal seguente integrale: Legge della circuitazione magnetica

J H

dl

dS

dSJIS∫ ×= (1.4)

La legge della circuitazione, che lega il campo magnetico alla corrente che lo produce, è definita dalla seguente identità[2]:

∫ ×=l

dlHI (1.5)

Osservazione: In generale la legge della circuitazione, espressa dalla relazione (1.5), non è sufficiente da sola a definire in ogni punto dello spazio il modulo e il verso del campo magnetico in funzione della corrente. Solo in particolari condizioni di simmetria geometrica, ove si possano ipotizzare a priori la forma delle linee di campo e la costanza del campo lungo una linea, si può calcolare attraverso l’equazione (1.5) il valore del campo magnetico. Esempio: conduttore rettilineo indefinito percorso da corrente Con riferimento alla figura a fianco e sulla base di considerazioni sulla simmetria del problema, si osserva che le linee di campo devono essere delle circonferenze concentriche giacenti su piani ortogonali al conduttore. Inoltre, il campo deve avere un’intensità costante lungo ciascuna circonferenza. In questo caso, applicando la legge della circuitazione si ottiene:

rIHrHIπ

=⇒π⋅=2

2

I

H

r

[2] Scrivendo la IV equazione di Maxwell in forma integrale ed applicando il teorema di Stockes si ottiene:

IdSJdSHdlHSSSl

=×=×∇=× ∫∫∫∧

∂=

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Esempio: avvolgimento toroidale I I

Nel caso di un avvolgimento uniformemente distribuito su un anello e percorso dalla corrente I, considerazioni generali di simmetria consentono di esprimere il campo magnetico nella seguente forma: N N

NI H r HNI

r= ⋅ 2π ⇒ =

2π H H

r r Esternamente all’avvolgimento il campo magnetico è nullo poiché qualsiasi linea chiusa non concatena corrente. Esempio: solenoide rettilineo infinito

∆l l

H

In questo caso le considerazioni di simmetria del problema permettono di concludere che il campo è confinato all’interno del solenoide. Inoltre il campo risulta uniforme su una sezione ortogonale all’asse del solenoide. Si noti che un solenoide rettilineo indefinito può essere interpretato come un avvolgimento realizzato su un anello di raggio infinito.

Nella figura sono indicate alcune spire percorse da una corrente I (dove il pallino indica una corrente uscente dal piano del disegno e la crocetta una corrente entrante). Sia l la linea chiusa su cui si esegue la circuitazione ed N il numero di spire contenute in essa. Si noti che in questo esempio la linea su cui si esegue la circuitazione non coincide completamente con una linea di campo. Applicando la legge della circuitazione su ogni tratto della linea scelta si ottiene:

InIl

NHINlHINlH trattotratto ⋅=⋅∆

=⇒⋅=∆⋅⇒⋅=×∑

dove n rappresenta la densità lineare di conduttori. Osservazione: Negli esempi precedenti il verso del vettore campo magnetico viene determinato in base al verso della corrente secondo la regola della mano destra (o del cavatappi).

Regola della mano destra

Figura di sinistra: il pollice viene allineato alla direzione assunta positiva per la corrente, le dita indicano il verso positivo del campo magnetico. Figura di destra: le dita vengono allineate alla direzione assunta positiva per la corrente (corrente uscente in rosso, corrente entrante in blu), il pollice indica il verso positivo del campo magnetico.

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MACCHINE ELETTRICHE

1.2.2 – Relazione costitutiva del mezzo Rappresenta come sono legati il vettore induzione magnetica e il vettore campo magnetico. In mezzi magneticamente inerti si ha:

HHB r ⋅µ⋅µ=⋅µ= 0 (1.6)

dove µr = µ/µ0 è la permeabilità relativa del mezzo.

Per materiali ferromagnetici la relazione (1.6) è una relazione non lineare in quanto la permeabilità di questi materiali viene a dipende dal valore del campo (µr = µr(H)).

1.2.3 - Effetti dell’induzione. Flusso e leggi di Lenz e Lorentz Come indicato in precedenza, in presenza di induzione magnetica esiste la possibilità di indurre tensioni nei conduttori (denominate Forze Elettro Motrici, F.e.m.) e di creare forze meccaniche agenti su di essi.

B

dS S

E’ conveniente definire il flusso del vettore B attraverso una superficie S delimitata da un contorno c (vedi figura). Tale grandezza viene calcolata nel modo seguente. c

Φ = ×∫ B dSS

(1.7)

ove il simbolo × è l’operatore prodotto scalare tra vettori.

Nel caso in cui il valore del vettore induzione sia costante in tutti i punti della superficie (campo uniforme), e la sua direzione sia normale alla superficie, l’espressione (1.7) si semplifica nella seguente:

Φ = ⋅B S

S2

S1

Φ2 Flusso entrante in S2

Φ1 Flusso uscente da S1 Poiché il vettore B è solenoidale ( 0=⋅∇ B ) le sue linee di campo sono chiuse. Ne consegue che il valore del flusso attraverso una superficie S non dipende dalla forma della superficie, ma esclusivamente dal suo contorno. Se la superficie è chiusa (contorno nullo) il valore fornito dalla (1.7) è identicamente nullo, come schematizzato nella figura a fianco.

Φ1=Φ2

Si definisce tubo di flusso la porzione di spazio delimitata dalle linee di induzione che passano per un contorno c. Poiché l’induzione B è solenoidale (linee di campo chiuse), il flusso di B presente nel tubo è costante e, pertanto, dove la sezione del tubo aumenta, l’induzione diminuisce di valore e viceversa (figura 1.1).

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Il concetto di tubo di flusso è utile per introdurre il significato di flusso concatenato (Λ) con un circuito elettrico.

Fig. 1.1: Tubo di flusso

B2

B1

linea di induzione

c

Si consideri una bobina di N spire. Il flusso concatenato con la bobina è la somma dei flussi che attraversano le singole spire. Riferendosi alla figura 1.2, nell’ipotesi che ciascuna spira della bobina concateni lo stesso flusso Φ delle altre, il flusso concatenato si esprime come:

Λ = N ⋅ Φ (1.8)

Tubo di flusso

Λ = ΝΦ

N

Φ

Fig. 1.3: esempio delle linee di induzione create da

una bobina Fig. 1.2: Concetto di flusso concatenato

In figura 1.3 è rappresentato l’andamento delle linee di induzione create da una bobina. Si noti come esistano delle linee che interessano localmente le singole spire e non tutta la bobina. Nelle macchine elettriche la produzione di un campo magnetico di induzione B è fondamentale nella conversione dell’energia. L’induzione magnetica interviene infatti in due forme diverse nella conversione dell’energia:

Produzione di f.e.m. indotta in un circuito elettrico.

Produzione di una forza meccanica. Il primo effetto si può convenientemente analizzare, secondo i casi, attraverso una delle seguenti leggi:

dtde Λ

±= (Legge di Lenz – f.e.m trasformatorica) (1.9)

ldBvdE ×∧= (Legge di Lorentz – f.e.m. mozionale) (1.10)

dove: B, Λ sono l’induzione magnetica e il flusso concatenato con il circuito elettrico; v, dl sono la velocità e la lunghezza del conduttore.

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MACCHINE ELETTRICHE

Il secondo effetto si può valutare secondo l’espressione (1.11), dove I rappresenta la corrente che fluisce nel conduttore.

ldBIF ×∧=d (Legge di Lorentz) (1.11) Si noti che se le grandezze vettoriali nelle relazioni (1.10) e (1.11) sono mutuamente perpendicolari tra loro nello spazio, si ottengono le seguenti espressioni:

dlBνdE ⋅⋅=

dlBIdF ⋅⋅=

Nelle leggi di Lorentz, per posizionare il verso della forza (o la polarità della f..e.m. indotta) note le direzioni dell’induzione e della corrente (o dell’induzione e della velocità), si usa la regola della mano sinistra (vedi figura).

Regola della mano sinistra

Osservazione: La legge di Lenz indica che se il flusso concatenato da un avvolgimento varia nel tempo allora in questo si induce una tensione. Il segno corretto da usare nella (1.9) dipende dalla convenzione di segno adottata per studiare il circuito elettrico. Si ricorda infatti che la forza elettromotrice indotta tende a far circolare nel circuito elettrico una corrente che si oppone alla causa che la ha generata, ovvero alla variazione temporale del flusso concatenato. Si considerino quindi le seguenti due possibilità, dove le frecce indicate nei disegni indicano i versi assunti convenzionalmente positivi per le relative grandezze.

Convenzione di segno degli utilizzatori

Φ(t)

R

e(t) v(t)

i(t) Equazione alla maglia: ( ) ( ) ( )tetiRtv +⋅=

Allora deve risultare: dtde Λ

+=

Infatti:

Se ∆i > 0 ⇒ ∆Λ > 0 ⇒ E > 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente.

Se ∆i < 0 ⇒ ∆Λ < 0 ⇒ E < 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente.

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Convenzione di segno dei generatori

v(t)

R

Φ(t)

e(t)

i(t) Equazione alla maglia: ( ) ( ) tetiRtv +⋅−= ( )

Allora deve risultare: dtde Λ

−=

Infatti:

Se ∆i > 0 ⇒ ∆Λ > 0 ⇒ E < 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente.

Se ∆i < 0 ⇒ ∆Λ < 0 ⇒ E > 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente.

Osservazione: Si comprende come, per produrre gli stessi effetti in termini di f.e.m. ovvero di forza meccanica, l’utilizzo di un materiale ad alta permeabilità riduca notevolmente le correnti di eccitazione necessarie. Per questo motivo i circuiti magnetici delle macchine elettriche sono realizzati con materiali ferromagnetici.

≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈

Nella tabella seguente sono riportati le principali grandezze, con le relative unità di misura, usate per descrivere i fenomeni elettromagnetici.

Unità di misura delle principali grandezze elettromagnetiche

Grandezza Simbolo Unità di misura Corrente I [A] - ampere Densità di corrente J, δ [A/m2] Campo magnetico H [A/m] Flusso magnetico Φ [Wb] - weber Induzione magnetica B [T]- tesla o [Wb/m2] Induttanza di un avvolgimento L [H] - henry Permeabilità magnetica µ [H/m] Riluttanza di un circuito magnetico ℜ [H-1] Forza magnetomotrice A, NI [A] o [A⋅spire]

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MACCHINE ELETTRICHE

1.3 – Classificazione dei materiali magnetici In un materiale magneticamente inerte (vuoto, aria,...) tra H e B intercorre una relazione di pura proporzionalità espressa dalla (1.6). I valori della permeabilità magnetica sono, in questi casi, molto prossimi a µo e la definizione di B, nella descrizione del fenomeno magnetico, sarebbe ridondante rispetto alla definizione di H.

In generale, dal punto di vista magnetico i materiali sono classificati nel seguente modo:

Materiali diamagnetici: µr < 1 (≈ 1)

Materiali paramagnetici: µr > 1 (≈ 1)

Materiali ferromagnetici: µr elevata (102 ÷ 104) e funzione del campo H.

I primi due tipi sono di scarsa utilità nelle applicazioni, mentre i materiali ferromagnetici rivestono un ruolo fondamentale nella realizzazione delle macchine elettriche. 1.3.1 Materiali ferromagnetici I materiali ferromagnetici risultano attivi dal punto di vista magnetico, in quanto partecipano alla magnetizzazione attraverso la propria struttura cristallina, interagendo con il campo magnetico prodotto esternamente. Le modalità di azione sono giustificabili in forma intuitiva attraverso l’analisi del comportamento magnetico della particolare struttura a domini magnetici tipica di questi materiali. Definizione: Un dominio magnetico è costituito da un insieme di atomi i cui ‘spin’ elettronici sono orientati tutti nello stesso verso. Internamente al dominio esiste pertanto un campo magnetico dotato di un orientamento preferenziale. A causa del disordine naturale, i vari domini risultano polarizzati magneticamente in modo casuale e non danno luogo ad un effetto combinato macroscopico come schematizzato nella figura di sinistra.

Schema di polarizzazione di un materiale ferromagnetico

Campo esterno

Tuttavia, sotto l’azione di un campo magnetico esterno, i domini tendono a disporsi in modo da favorire il campo eccitante. Questo può avvenire sia attraverso uno spostamento delle pareti di separazione, volto a favorire l’allargamento dei domini già polarizzati nel verso del campo esterno, sia attraverso una rotazione in verso concorde con il campo della polarizzazione del singolo dominio. L’azione si produce in modo graduale ed è legata all’intensità del campo eccitante. Per campi particolarmente intensi si può arrivare al completo orientamento del materiale (fenomeno della saturazione). L’effetto magnetico prodotto in termini macroscopici equivale alla presenza nel materiale di una corrente nascosta che tende a rafforzare l’effetto della corrente di eccitazione esterna.

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l

corrente di eccitazione

corrente equivalente di spin

b)

H

Ih

B

I

a)

Hspin

e-

ωspin Ispin

a) Rappresentazione dello spin b) Corrente equivalente di spin

Nella applicazione della legge della circuitazione (1.5) occorrerebbe tenere conto anche di questa corrente nascosta per poter valutare il campo risultante prodotto dall’azione del materiale magnetico. Poiché questa corrente risulta di difficile valutazione si preferisce attribuire a B l’effetto risultante generato dal materiale magnetico e dalla corrente di eccitazione, lasciando ad H il significato di campo originato dalla sola corrente di eccitazione.

I Hl

= ×∫ dl I IB

dlhl

+ = ×∫ µ0

Ne consegue che per i materiali ferromagnetici deve essere fornita la relazione B=B(H). Tale andamento, per un materiale magnetizzato per la prima volta, variando il campo da un valore nullo fino ad uno massimo, è indicato nella figura a fianco. La caratteristica indicata viene denominata curva di prima magnetizzazione.

B

H permeabilità elevata

Ginocchio

saturazione magnetica

permeabilità ridotta

La pendenza massima della caratteristica di magnetizzazione di un materiale ferromagnetico risulta dell’ordine di 103÷104 volte la pendenza della caratteristica magnetica del vuoto. Questo significa che, per produrre uguali valori di induzione, vengono richiesti valori del campo (e quindi della corrente di eccitazione) 104 volte più piccoli nel ferro di quelli necessari nel vuoto (ovvero nell’aria).

Curva di prima magnetizzazione

Diminuendo con continuità il campo H dal valore massimo a zero non si ripercorre più la caratteristica di prima magnetizzazione a causa degli attriti nei moti di orientamento dei domini.

Si noti che annullando il campo esterno rimane un orientamento residuo dei domini e quindi un valore di induzione residua (Br). Per annullare l’induzione residua si deve applicare al materiale un campo esterno negativo (cioè di verso opposto al precedente), denominato campo coercitivo (Hc).

Br

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MACCHINE ELETTRICHE

Ciclo di isteresi simmetrico

Sulla base di quanto esposto, sottoponendo il materiale ad una magnetizzazione alternativa (ad esempio sinusoidale) si percorrerà un ciclo. Tale ciclo viene denominato ciclo di isteresi.

L’area del ciclo d’isteresi (in giallo) assume il significato di energia per unità di volume perduta nel materiale per un ciclo completo di magnetizzazione. Tale dissipazione di energia è imputabile agli attriti connessi con il movimento delle pareti dei domini; essa assume un’espressione del tipo:

η⋅= BKE ii (1.12)

ove Ki ed η dipendono dal tipo di materiale. Tipicamente η varia tra 1.6 e 2.2. Si definisce curva di normale magnetizzazione del materiale il luogo dei punti costituito dai vertici dei cicli di isteresi simmetrici di ampiezza crescente.

Curva di normale magnetizzazione (quadrati)

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I materiali ferromagnetici vengono a loro volta classificati in due famiglie a seconda della forma del loro ciclo di isteresi:

Materiali magnetici dolci.

Materiali magnetici duri.

Materiale magnetico dolce Materiale magnetico duro

I primi sono caratterizzati da un ciclo di isteresi stretto e molto pendente (cioè con permeabilità molto elevate) e vengono utilizzati nella realizzazione dei circuiti magnetici delle macchine elettriche (in forma massiccia per flussi costanti o in forma laminata per flussi variabili nel tempo).

I materiali magnetici duri sono invece caratterizzati da un ciclo di isteresi molto ampio con valori di induzione residua e campo coercitivo elevati. Vengono utilizzati per la realizzazione di magneti permanenti. Vista la forma del loro ciclo di isteresi, questi materiali non possono essere eccitati con campi alternativi in quanto le perdite per isteresi sarebbero troppo elevate. I materiali ferromagnetici previsti per lavorare con flussi variabili nel tempo sono laminati. Si parla quindi di lamiere magnetiche. Le lamiere magnetiche per macchine elettriche si dividono in due tipi:

Lamiere a grani non orientati

Lamiere a grani orientati

In entrambi i tipi viene aggiunta una opportuna percentuale di silicio per limitare le perdite in presenza di magnetizzazione variabile. Le lamiere a grani orientati, grazie ad una opportuna tecnica di laminazione, garantiscono lungo la direzione della laminazione ottime prestazioni sia in termini di permeabilità che di perdite. Ne consegue che esse devono essere utilizzate quando la direzione del campo magnetico è determinata (ad esempio nel circuito magnetico dei trasformatori).

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Page 13: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

1.4 - Perdite nei materiali magnetici eccitati in c.a. Quando un materiale ferromagnetico viene magnetizzato con un campo alternato (ovvero le correnti di eccitazione sono alternate) si verificano perdite di potenza originate dalla variazione nel tempo del campo magnetico. Queste perdite sono da collegare a due fenomeni distinti:

l’isteresi magnetica

la circolazione di correnti parassite.

1.4.1 - Perdite per isteresi. Le perdite di potenza dovute all’isteresi magnetica sono associate all’energia dissipata dall’unità di volume del materiale per descrivere un ciclo di isteresi completo. Questa energia è descritta dalla relazione (1.12). Se la magnetizzazione alternativa avviene con una frequenza f, le perdite specifiche di potenza (espresse in W/kg) per isteresi sono esprimibili nel modo seguente:

P K B fi = ⋅ ⋅η (1.13)

Per ridurre questo tipo di perdite occorre ridurre l’area del ciclo di isteresi del materiale. Questo viene usualmente ottenuto con l’impiego di lamiere di ferro legato al silicio.

1.4.2 - Perdite per correnti parassite. Quando nel materiale ferromagnetico il flusso è variabile nel tempo, oltre all’isteresi magnetica occorre considerare un altro fenomeno. Infatti nel materiale magnetico si induce, per la legge di Lenz una f.e.m. che tende a contrastare in ogni istante la variazione del flusso. In regime sinusoidale, questa f.e.m. assume un valore proporzionale alla pulsazione ω e all’ampiezza dell’oscillazione del flusso, ovvero dell’induzione B presente nel ferro.

Φ(t)

E B∝ ⋅ω

Poiché il ferro è anche un materiale conduttore, la f.e.m. prodotta dà origine a correnti di circolazione, che risultano limitate dalla resistenza ohmica offerta dal materiale. La potenza specifica perduta per effetto Joule in questo fenomeno è esprimibile in linea di massima nel seguente modo:

Andamento delle correnti parassite (linee nere) all’interno di un materiale ferromagnetico massiccio

eqeqcp R

BREP

222 ω∝= (1.14)

dove Req rappresenta la resistenza equivalente del nucleo al passaggio delle correnti indotte. Allo scopo di limitare questo tipo di perdite si può intervenire in due modi sul materiale:

• aumento della resistività del materiale (ad esempio attraverso l’impiego di percentuali di silicio dal 2% al 6% );

• laminazione del nucleo parallelamente alla direzione del campo magnetico, in modo da offrire piccole sezioni al passaggio delle correnti parassite con conseguente incremento della resistenza equivalente.

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Φ(t) Φ(t)

SI NO

Laminazione dei circuiti magnetici

1.4.3 - Cifra di perdita di una lamiera magnetica Le perdite complessive di potenza che si producono in un chilogrammo di materiale magnetico in conseguenza della magnetizzazione alternativa possono essere espresse attraverso una relazione del seguente tipo:

P k B f h B fsp = ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅η 2 2 (1.15)

ove f è la frequenza della corrente di eccitazione che crea il campo e B è l’ampiezza dell’oscillazione dell’induzione (valore massimo). Psp indica le perdite specifiche ed è espressa in W/kg.

10

Perdite spec. a 50 Hz (W/kg)

0,65 mm

0,65 mm

0,50 mm

0,50 mm

0,35 mm

B (Tesla)

1

0,1 1 1,5 2 0,5

Si definisce cifra di perdita di una lamiera magnetica la potenza perduta in un chilogrammo di materiale sottoposto a magnetizzazione sinusoidale di ampiezza Bmax = 1 T, alla frequenza di 50 Hz.

Perdite specifiche tipiche di lamiere magnetiche di diverso spessore e diverso tenore di silicio

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MACCHINE ELETTRICHE

Oggigiorno, in considerazione alle prestazioni garantite dalle lamiere disponibili sul mercato ed al loro utilizzo, la cifra di perdita viene anche riferita ad una magnetizzazione sinusoidale a 50 Hz di ampiezza massima di1.5 T. Nota Le lamiere magnetiche a grani non orientati vengono commercialmente denominate con un codice di 4 cifre in cui le prime due cifre indicano la cifra di perdita a 1.5 T moltiplicata per dieci, mentre le ultime due cifre indicano lo spessore di laminazione in centesimi di millimetro.

Esempio Il codice 2535 descrive una lamiera da 2.5 W/kg a 1.5 T di spessore uguale a 0.35 mm.

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000

Induzione (B), [T]

Campo (H), [A/m]

Lamierino 2535 (non orientato)

Lamierino M6T35 (grano orientato)

Caratteristica B-H a 50 Hz: lamierino a grano non orientato (2535) e a grano orientato (M6T35)

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

3.5

4.0

0.00 0.20 0.40 0.60 0.80 1.00 1.20 1.40 1.60 1.80 2.00

Induzione (B), [T]

Psp a 50 Hz [W/kg]

Lamierino 2535 (non orientato)

Lamierino M6T35 (grano orientato)

Perdite specifiche a 50 Hz: lamierino a grano non orientato (2535) e a grano orientato (M6T35)

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Page 16: Cap 01 Introduzione

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1.5- Materiali conduttori Nelle macchine elettriche i conduttori vengono utilizzati per realizzare gli avvolgimenti. I principali tipi di conduttori utilizzati sono il rame e l’alluminio. I materiali conduttori sono caratterizzati da un basso valore della resistività ρ. I migliori materiali conduttori presentano valori di resistività dell’ordine di 10-8 Ωm. La resistenza [Ω] che un conduttore di lunghezza l e sezione trasversale A presenta al passaggio di corrente vale:

RlA

= ρ (1.16)

Quando il conduttore è attraversato da una corrente I, uniformemente distribuita nella sua sezione, dissipa sotto forma di calore una potenza data da:

2IRPj ⋅= (Perdite Joule, [W]) (1.17) e si scalda di conseguenza raggiungendo temperature tanto più elevate, quanto più alta è la corrente. Si definisce densità di corrente δ (A/m2) il rapporto tra la corrente e la sezione del conduttore:

AI

=δ (Densità di corrente, [A/m2]) (1.18)

Le perdite in un conduttore possono essere espresse in funzione della densità di corrente nel seguente modo:

( ) volumeAAlIRPj ⋅δ⋅ρ=⋅δ⋅ρ=⋅= 222 (1.19)

Questa espressione delle perdite è analoga all’espressione delle perdite che si verificano in un materiale magnetico (vedi relazione 1.14). I valori di B per il ferro e di δ per i conduttori assumono quindi il significato di indici di sfruttamento dei materiali: maggiore è il loro valore maggiori sono le perdite nei materiali.

1.5.1 - Riscaldamento dei conduttori Le perdite che si verificano nei conduttori al passaggio di corrente provocano un aumento della temperatura. Immaginando che lo scambio termico tra il conduttore e l’ambiente esterno, alla temperatura θa, avvenga esclusivamente secondo la legge convezione (vedi paragrafo 1.11), la temperatura raggiunta dal conduttore a regime risulta data da:

θ θc ajP

k S= +

⋅ (1.20)

dove S è la superficie attraverso cui avviene lo scambio termico con l’ambiente e k è il coefficiente di scambio termico. Appare pertanto chiaro che, più bassa è la resistività del materiale con cui è realizzato il conduttore, minore risulta la sua sovratemperatura a parità di corrente. In altri termini, a parità di sovratemperatura raggiunta, maggiore risulta il valore di corrente che il conduttore può sopportare. Il limite massimo di temperatura tollerabile per un conduttore è generalmente dettato dal tipo di materiale usato per l’isolamento. Gli isolanti con cui sono rivestiti i conduttori subiscono un degrado chimico (invecchiamento) tanto più veloce quanto maggiore è la loro temperatura di lavoro. Per questo motivo gli isolanti vengono divisi in classi caratterizzate dalla massima temperatura di impiego (vedi paragrafo 1.6).

16

Page 17: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

Il riscaldamento di un conduttore, oltre a portare ad un più rapido degrado dell’isolamento, provoca anche un aumento del valore della resistività ρ. Tale aumento è espresso dalla seguente formula attraverso il coefficiente di temperatura α caratteristico del materiale:

( ) ( )ρ θ ρθα

= +

0 1 (1.21)

dove ρ(0) è la resistività del materiale a 0 °C (vedi tabella seguente).

Il gradiente positivo della resistività con la temperatura, può portare in qualche raro caso, a fenomeni di instabilità termica e ad un accrescimento della temperatura dei conduttori oltre ogni limite con conseguente distruzione dell’isolamento e dell’apparecchiatura.

La temperatura di regime di un conduttore può infatti essere calcolata usando le relazioni 1.19, 1.20 e 1.21 nel modo seguente:

θ θρ δ θ

α

θρ δ

ρ δα

c ac

avolumek S

volumek Svolumek S

= +⋅

+

=+

−⋅ ⋅

02

02

021

1 (1.22)

I fenomeni di instabilità termica si verificano quando il denominatore della frazione (1.22) diventa prossimo a zero. Dall’analisi dell’espressione (1.22) si osserva che il rischio può diventare consistente in presenza di alti valori di perdita (grossi volumi di rame sfruttati ad alta densità di corrente) e bassi valori di superfici di scambio termico e di coefficiente di scambio.

Principali materiali conduttori Materiale Resistività a 0 °C

ρ [Ω⋅m] Coefficiente Temperatura

α [°C] Peso specifico

γ [kg/m3] Rame 0.0159e-6 234.5 8890

Alluminio 0.0258e-6 230.0 2650

1.5.2 - Effetto pelle La resistenza di un conduttore calcolata secondo la (1.16) risulta corretta solo se la corrente è distribuita uniformemente entro la sezione A del conduttore. Questo accade sempre quando la corrente è continua, quando invece la corrente è alternata o comunque variabile nel tempo si osserva che sua la distribuzione internamente al conduttore non è più uniforme, ma tende ad addensarsi sulla sua superficie esterna dando luogo al così detto “effetto pelle” (skin effect). Per comprendere questo fenomeno si pensi di suddividere idealmente la sezione del conduttore in un certo numero di strati concentrici di eguale area, come illustrato nella figura seguente, in modo che ciascuno strato presenti la stessa resistenza per unità di lunghezza. Occorre osservare che, in presenza di corrente elettrica, dentro e fuori dal conduttore viene generato un campo magnetico le cui linee di campo concatenano in misura diversa i diversi strati concentrici. Gli strati più interni sono circondati ovviamente da un numero maggiore di linee di campo degli strati più esterni. Si può quindi asserire, sia pure in modo approssimativo, che gli strati più interni sono caratterizzati da una induttanza[3] maggiore rispetto agli strati più esterni.

[3] Il coefficiente di autoinduttanza o induttanza è definito come il rapporto tra flusso autoconcatenato e la corrente che circola nel conduttore. Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 1.7.1.

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Page 18: Cap 01 Introduzione

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L’insieme degli strati può essere schematicamente rappresentato attraverso diversi rami di circuito in parallelo. Ciascun ramo possiede lo stesso valore di resistenza, ma ha una induttanza L diversa a seconda della profondità ( con riferimento alla figura seguente risulta: L1 > L2 > L3 > L4 ).

i

i2 L2 R

i4 L4 R

i3 L3 R

i1 L1 RCampo magnetico

4

3

2

1

Suddivisione della sezione retta del conduttore in strati di eguale area

Quando il conduttore è attraversato da una corrente costante nel tempo, il ruolo delle induttanze è nullo e la corrente tra gli strati viene ripartita in ragione inversa delle resistenze. La distribuzione di corrente risulta in questo caso uniforme. Se la corrente che percorre il conduttore è alternata sinusoidale di pulsazione ω, la corrente nei vari strati si ripartisce in ragione inversa delle singole impedenze R + jωLi. A causa del diverso valore della parte induttiva delle impedenze dei diversi strati, la corrente tende ad addensarsi verso la parte più esterna del conduttore. La disuniformità di distribuzione si accentua al crescere della frequenza della corrente ed, in conseguenza di questo fatto, la resistenza apparente e le perdite del conduttore per effetto Joule aumentano. Infatti, si può ritenere che a causa dell’addensamento superficiale della corrente non tutta la sezione del conduttore venga utilizzata per il passaggio della corrente e quindi nella formula (1.16) che definisce la resistenza, l’area utile A risulta ridotta rispetto all’area geometrica. Il fenomeno dell’effetto pelle si presenta come un aspetto negativo nella conduzione di correnti alternate in quanto produce maggiori dissipazioni di energia, tuttavia in diverse applicazioni può essere sfruttato vantaggiosamente. Ad esempio, nel caso di apparecchiature elettromedicali che prevedano il passaggio di corrente nel corpo umano, l’impiego di frequenze elevate consente di fare in modo che la corrente si distribuisca sulla pelle del corpo anziché andare ad interessare fibre muscolari o nervose in profondità con ovvii rischi per l’incolumità del paziente. Nel caso di processi di tempra superficiale di particolari metallici, l’impiego di correnti ad alta frequenza viene utilmente sfruttato per produrre riscaldamenti localizzati sulla superficie dei pezzi: regolando la frequenza si può dosare in modo estremamente semplice lo spessore di penetrazione della corrente e lo spessore della zona temprata. Molti motori asincroni usano in misura maggiore o minore questo fenomeno per apportare le modifiche desiderate alla forma delle caratteristiche di coppia in funzione della velocità.

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Page 19: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

1.6 – Materiali isolanti I materiali isolanti hanno il compito di isolare elettricamente le parti in tensione (avvolgimenti) dalle altre parti della macchina (circuiti magnetici, carcassa, ..). Ovviamente, gli isolanti servono anche per isolare tra loro le singole spire di un avvolgimento ed avvolgimenti diversi.

Il funzionamento e la durata delle macchine elettriche dipendono essenzialmente dagli isolanti che costituiscono la parte più sensibile alle sollecitazioni termiche, dielettriche e meccaniche. Infatti, mentre l'usura degli organi di meccanici (cuscinetti, commutatori, spazzole, …) e quindi i corrispondenti guasti sono relativamente prevedibili ed evitabili, grazie ad una corretta manutenzione, non altrettanto succede per i guasti dovuti alle alterazioni degli isolanti causate da riscaldamento, sovratensioni e sollecitazioni meccaniche.

Le principali proprietà degli isolanti sono:

la rigidità dielettrica (il più alto valore del gradiente di tensione che il materiale può sopportare senza che avvenga la scarica)

costante dielettrica

la conducibilità termica.

Alcuni esempi di isolanti usati nelle macchine elettriche sono la carta ed il cartone, la mica, le resine, gli smalti, le vernici, il vetro, le plastiche, ecc. Esistono anche isolanti liquidi (oli) e gassosi (azoto, esafluoruro di zolfo, …)

Le norme CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) definiscono alcune classi di isolamento in base alla massima temperatura che gli isolanti elettrici possono sopportare senza perdere le loro proprietà dielettriche. Le classi di isolamento sono codificate con una lettera. Quelle di maggior interesse nella realizzazione delle macchine elettriche solo la classe F (temperatura massima = 155°C) e la classe H (temperatura massima = 180 °C).

1.7 – Elettromagneti - circuiti magnetici

Un elettromagnete è una struttura costituita da un nucleo di materiale ferromagnetico, destinata a convogliare il flusso magnetico prodotto da un avvolgimento di eccitazione percorso da corrente alternata o continua. Molto spesso l’elettromagnete può essere trattato, dal punto di vista del campo magnetico, come un tubo di flusso; infatti, l’alta permeabilità del materiale ferromagnetico fa in modo che l’induzione magnetica sia presente esclusivamente entro la struttura fisica dell’elettromagnete.

Le diverse macchine elettriche sono interpretabili come elettromagneti dotati di diverse forme circuitali e di diverse modalità di eccitazione.

I

lt

LmSt

Sm

ElettromagneteCircuito magnetico con traferro

I

lt

l mSt

Sm

ElettromagneteCircuito magnetico con traferro

I

lt

LmSt

Sm

ElettromagneteCircuito magnetico con traferro

I

lt

l mSt

Sm

ElettromagneteCircuito magnetico con traferro

Si consideri l’elettromagnete elementare illustrato nella figura a fianco, formato da una struttura in materiale ferromagnetico (nucleo), intercalata con uno strato in aria (traferro) e da una bobina di eccitazione. Si consideri la linea media del tubo di flusso alla quale applicare la legge della circuitazione (linea tratteggiata). Si ipotizza la costanza della sezione del tratto in ferro e del traferro lungo la linea media.

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Page 20: Cap 01 Introduzione

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Si indichino con:

lt, lm lunghezze medie del circuito in aria e in ferro;

St, Sm aree delle sezioni del traferro e del ferro (trasversali alla linea media);

N, I numero di spire e corrente della bobina.

Il calcolo dell’elettromagnete consiste nella determinazione della caratteristica di eccitazione, ovvero nella determinazione della relazione tra il flusso prodotto dall’elettromagnete e la corrente nella bobina.

Il procedimento si basa sul seguente algoritmo:

1. - Si fissa un valore di flusso Φ nel circuito magnetico.

2. - Si determinano le induzioni presenti nel traferro e nel ferro attraverso le relazioni:

BS

BSt

tm

m= =

Φ Φ;

3. - Dalla caratteristica magnetica del materiale ferromagnetico si ricava il valore del campo magnetico nel nucleo (si ricorda la non linearità del materiale, Hm=Hm(Bm)). Il campo al traferro si calcola immediatamente come:

HB

tt=

µ0

4. - Dalla legge della circuitazione magnetica (1.5) si ricava il prodotto NI (corrente concatenata alla linea di circuitazione). Grazie all’ipotesi che il circuito magnetico sia costituito da tronchi a sezione costante e che in ogni tronco il campo sia uniforme ed ortogonale alla sezione, la legge della circuitazione assume l’espressione seguente:

N I H l H lm m t t⋅ = + (1.23)

5. - Si ripete il procedimento per diversi valori di flusso e si riportano i risultati in un diagramma, che rappresenta la caratteristica magnetica dell’elettromagnete (molte volte si diagramma il flusso concatenato con la bobina anziché il flusso nel circuito magnetico).

f.m.m necessaria per produrre il flusso Φ

caduta di tensione magnetica nel ferro

caduta di tensione magnetica al traferro

Hm⋅lm

Ht⋅lt

NI

Φ

Caratteristica magnetica dell’elettromagnete

La retta trattgiata nella figura precedente viene denominata retta di traferro. Si osservi che Per piccoli valori del flusso e quindi dell’induzione, il ferro mette in gioco valori molto modesti di campo. Come conseguenza la quota preponderante di caduta di tensione magnetica è da imputare al traferro (si parla di “effetto linearizzante” dei traferri). Per alti valori del

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Page 21: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

flusso e quindi di induzione, la caduta di tensione magnetica nel ferro non è più trascurabile a causa della saturazione. Si noti che la caratteristica magnetica dell’elettromagnete non è la curva di magnetizzazione del materiale magnetico. Infatti, la prima caratteristica si può interpretare come una proprietà “macroscopica” dell’elettromagnete, mentre la seconda è una proprietà “puntuale” del materiale ferromagnetico utilizzato nella costruzione dell’elettromagnete.

I termini che compaiono nella relazione (1.23) vengono definiti nel seguente modo:

Il prodotto NI viene definito forza magnetomotrice applicata al circuito magnetico.

I prodotti Htlt e Hmlm vengono definiti cadute di tensione magnetica.

Se nell’espressione (1.23) si esprimono i valori del campo direttamente attraverso i valori del flusso, si ottiene la seguente importante espressione:

N IlS

lS

m

m

t

tm t⋅ =

⋅+

⋅= ℜ ⋅ + ℜ ⋅

µ µΦ Φ Φ

0Φ (1.24)

La relazione (1.24) è nota come legge di Hopkinson. Le grandezze ℜ = l / (µ S) vengono denominate riluttanze magnetiche del tronco e si misurano in H-1. Se il tronco avesse una sezione non costante lungo la linea media di circuitazione la riluttanza assume la seguente formulazione:

ltronco

S(l)

Φ

( )∫ ⋅⋅µ

=ℜl

dllS

1

Si osservi che la corrente concatenata con la linea di circuitazione può quindi venire determinata in due modi equivalenti. Ad esempio, nel caso di più forze magnetomotrici agenti sulla linea di circuitazione si può scrivere:

∑∑

Φ⋅ℜ

×

=⋅=k

tronchitroncotronco

tronchitroncotronco

kkaConcatenat

lH

INIHopkinson di Legge

onecircuitazi della Legge

Il problema della non linearità del ferro rimane inalterato in entrambe le formulazioni. Infatti, nella legge della circuitazione è contenuto nel valore Htronco = Htronco(Btronco), mentre nella seconda equazione è contenuto nel valore µtronco = µ(Btronco). Ne consegue che non è possibile calcolare il flusso in un elettromagnete quando viene fornito il valore della forza megnetomotrice (NI). Infatti, non essendo noto il flusso, non è possibile determinare il valore dell’induzione e quindi i valori di campo o i valori di permeabilità. Questo problema non lineare viene quindi risolto per via indiretta calcolando preliminarmente la caratteristica magnetica dell’elettromagnete. Successivamente si valuta per via grafica il flusso che compete alla forza magnetomotrice fornita. L’espressione (1.24) permette di definire un’analogia formale tra i circuiti magnetici e quelli elettrici. Infatti, la (1.24) si può interpretare come la legge di Ohm assegnando alle grandezze il seguente significato:

Forza magnetomotrice (NI) ⇒ tensione (V) Riluttanza (ℜ) ⇒ resistenza (R)

Flusso Φ ⇒ corrente (I)

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Page 22: Cap 01 Introduzione

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Nel caso dell’elettromagnete finora considerato, l’analogia formale permette di definire la seguente rete elettrica (si noti l’uso delle grandezze magnetiche anche nella rete equivalente).

Φ ℜt

ℜm

NI

I

Poiché si possono applicare le tecniche di risoluzione note per le reti elettriche, l’impiego dell’analogia tra reti magnetiche ed elettriche è particolarmente interessante per giungere velocemente alla possibile soluzione di circuiti magnetici complessi. Si osservi inoltre che la rete elettrica equivalente conserva la “topografia” della rete magnetica di partenza (stesse “connessioni” dei tronchi). Ad esempio, una volta identificati i tronchi del circuito magnetico, la definizione della rete elettrica equivalente per il seguente elettromagnete risulta immediata. Si osservino i versi assegnati alle F.m.m. (regola della mano destra)

Φ

I2N1 N2

I1 Φ1 Φ2 Φ

N2 I2

ℜ1

N1I1

ℜt +

+

Φ2 Φ1

ℜ2

1.7.1 – Coefficiente di autoinduttanza e mutua induttanza Si consideri una bobina percorsa da corrente. Il coefficiente di autoinduttanza (o semplicemente induttanza) della bobina è il rapporto tra il flusso concatenato alla bobina e la corrente che lo genera (da qui i termini autoinduttanza e flusso autoconcatenato).

IN

IL Φ⋅

= (1.25)

Ricordando la legge di Hopkinson (NI = ℜeqΦ), la relazione (1.25) può essere riscritta nel seguente modo:

eqeq

NININ

IN

IL

ℜ=

ℜ⋅

⋅=Φ⋅

=2

(1.26)

L’unità di misura dell’induttanza è l’Henry ([H] = [Wb/A] = [Vs/A] = [Ω s]). Si noti che in presenza di materiali magnetici non lineari anche l’induttanza è un parametro non lineare per gli stessi motivi per cui non lo è la riluttanza. La formulazione attraverso la riluttanza, evidenzia l’influenza sul valore di induttanza delle dimensioni dell’elettromagnete e della permeabilità equivalente del circuito magnetico.

22

Page 23: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

Osservazione Φp

Φd

Nella figura a fianco sono schematizzate le line di campo di una bobina avvolta su un nucleo ferromagnetico. Esiste un flusso concatenato alla bobina che non passa nel nucleo e si richiude nell’aria circostante. Tale flusso viene denominato flusso disperso (Φd). Il flusso all’interno del nucleo viene generalmente interpretato come flusso principale (Φp). Ne consegue che il flusso concatenato totale con la bobina vale:

( ) dpdpN Λ+Λ=Φ+Φ⋅=Λ

e l’autoinduttanza della bobina risulta:

dpdp

dp LLNNIII

L +=ℜ

+ℜ

=22

(1.27)

dove Ld è l’induttanza di dispersione dell’avvolgimento. Il parametro ℜd è la riluttanza del tubo di flusso in cui passano i flussi dispersi. Poiché tali flussi evolvono in gran parte in aria, la riluttanza di dispersione non è influenzata da fenomeni di saturazione. Si noti che il calcolo analitico di ℜd è in generale molto complesso vista la difficoltà di definire la lunghezza e la sezione del relativo tubo di flusso. I coefficienti di muta induttanza servono per calcolare il flusso concatenato con una bobina creato da un altro avvolgimento. Si noti che tale flusso esiste anche quando la bobina non è percorsa da corrente. Si consideri la seguente situazione:

Le due bobine (di N1 e N2 spire) sono caratterizzate ciascuna dalla loro induttanza calcolabile come indicato in precedenza. Per valutare correttamente il flusso concatenato con ogni bobina si deve tener conto del flusso “mutuamente” scambiato. Si ipotizzi nulla la corrente nell’avvolgimento di destra, il flusso concatenato con la bobina 2 dovuto alla corrente I1 vale:

IMINNINNNxx

cc ⋅=⋅ℜ

⋅=

ℜ⋅

⋅=Φ⋅=Λ 2111211

2222 (1.28)

dove ℜx è la riluttanza del tubo di flusso comune alle due bobine (indicato in azzurro).

23

Page 24: Cap 01 Introduzione

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Il coefficiente M21 è il coefficiente di mutua induttanza del circuito 2 rispetto al circuito 1. Ripetendo il calcolo considerando l’avvolgimento 2 percorso da corrente e calcolando il flusso concatenato con la bobina 1 si ricaverà il coefficiente M12. Tale coefficiente risulterà numericamente uguale a M21.

Si noti che al coefficiente di mutua induttanza risulta negativo quando il flusso scambiato tra le bobine ha direzione opposta a quella assunta convenzionalmente positiva per ogni singola bobina. Invece il coefficiente di autoinduttanza è un parametro sempre positivo.

Definiti i coefficienti di mutua induttanza, il flusso concatenato totale di ciascun avvolgimento può essere valutato nel modo seguente:

⋅+⋅=Λ

⋅+⋅=Λ

221212

212111

ILIM

IMIL (1.29)

Esempio

Φ2 Φ1

ℜ3

ℜ2 ℜ1

N1 N2

I2 I1

Φ3

Con I1 > 0 e I2 = 0

1

111

eq

INℜ

⋅=Φ dove

32

3211 ℜ+ℜ

ℜ⋅ℜ+ℜ=ℜeq

*11

2eq

IN

⋅=Φ dove

3

323121*ℜ

ℜ⋅ℜ+ℜ⋅ℜ+ℜ⋅ℜ=ℜeq

Calcolando i flussi concatenati delle bobine ed applicando le definizioni date si ottengono i seguenti coefficienti:

1

21

1eq

NL

ℜ= *

1221

eq

NNM

⋅+=

Si osservi che il parametro M21 è positivo in quanto il flusso Φ2 è concorde al flusso creato dalla bobina due quando in questa si invia una corrente positiva rispetto alla freccia indicata (regola della mano destra). Con I1 = 0 e I2 > 0

2

222

eq

INℜ

⋅=Φ dove

31

3122 ℜ+ℜ

ℜ⋅ℜ+ℜ=ℜeq

24

Page 25: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

*22

1eq

IN

⋅=Φ dove

3

323121*ℜ

ℜ⋅ℜ+ℜ⋅ℜ+ℜ⋅ℜ=ℜeq

Ne consegue:

2

22

2eq

NL

ℜ= 21*

2112 M

NNM

eq=

⋅+=

1.7.2 – Circuiti magnetici eccitati con magneti permanenti Per produrre flusso costante risulta particolarmente utile nelle costruzioni elettromeccaniche l’impiego di magneti permanenti. Con questa soluzione si evita di dover predisporre avvolgimenti di eccitazione percorsi da corrente continua e si ottengono costruzioni più compatte ed energeticamente più efficienti. I materiali per magneti permanenti sono dotati di un ampio ciclo di isteresi, che consente loro di mantenere valori di induzione elevati anche in assenza di eccitazione esterna. Si definisce induzione residua del magnete permanente l’induzione prodotta in assenza di campo di eccitazione e il campo coercitivo del magnete permanente il campo di segno opposto alla magnetizzazione che occorre applicare perché l’induzione del magnete si annulli.

Curve B-H di alcuni tipi di magneti permanenti

Caratteristiche di pregio per imagneti permanenti sono alti valori dell’induzione residua e del campo coercitivo. Il calcolo di un magnete permanente consiste nella determinazione del punto di lavoro del magnete (Hm ,Bm) in relazione alla geometria del circuito magnetico in cui è inserito. Ovvero, fissato il punto di lavoro (Hm,Bm) consiste nella determinazione del volume di magnete necessario a produrre al traferro il flusso desiderato.

ciclo di isteresi

Punto di lavoro del magnete a carico

Retta di traferro

Bm

Br induzione residua

Hm

Hc campo coercitivo

St, lt

traferro

Sm

lm

Magnete permanente

Magnete permanente e suo impiego

25

Page 26: Cap 01 Introduzione

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1.7.2.1 - Calcolo del punto di lavoro del magnete Per il calcolo del punto di lavoro di un magnete si segue la stessa tecnica del calcolo dell’elettromagnete e ci si avvale dell’applicazione delle due leggi fondamentali dell’elettromagnetismo:

la legge della circuitazione magnetica;

la solenoidalità dell’induzione.

Con riferimento allo schema di magnete permanente rappresentato nella figura precedente si può scrivere:

H l H l B S B Sm m t t m m t t + = = 0;

Ricordando che Bt = Htµ0 , si ottiene la seguente relazione tra Bm ed Hm:

B Hl Sl Sm mm t

t m= -

µ0 (1.30)

Questa relazione (retta di traferro) unitamente al ciclo di isteresi del materiale consente di determinare il punto di funzionamento del magnete. È possibile fare le seguenti osservazioni:

Il campo magnetico Hm internamente al magnete ha segno opposto all’induzione (si tratta quindi di un campo smagnetizzante).

Un aumento della lunghezza del traferro comporta un aumento del campo smagnetizzante ed un abbassamento dell’induzione e del flusso forniti dal magnete.

Valori elevati di campo coercitivo ovvero di lunghezze di magnete consentono una maggiore stabilità dell’induzione prodotta da variazioni di lunghezza di traferro.

1.7.2.2 - Scelta delle dimensioni del magnete Fissati i valori Bm, Hm sulla curva caratteristica del magnete, si possono agevolmente determinare le dimensioni Sm, lm necessarie a produrre un determinato valore di flusso Φt in un traferro di lunghezza lt e sezione St. Infatti:

SB

B SB

lH lH

B lHm

t

m

t t

mm

t t

m

t t

m= = = =

Φ;

µ0

Punto di massima energia del magnete permanente

Punto di massimo sfruttamento

t iHm

Bm

Hm*Bm=cost

26

Page 27: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

Il volume di magnete Vm necessario allo scopo risulta dato da:

V S lB SB

H lH

B VH Bm m m

t t

m

t t

m

t t

m m= = ⋅ =

2

0µ (1.31)

dove Vt è il volume del traferro. La (1.31) indica che per ridurre al minimo il volume di magnete, la scelta del punto di lavoro (Hm ,Bm) va eseguita in modo che sia massimo il prodotto Bm ⋅ Hm (vedi figura precedente ).

Materiali per magneti permanenti Br

Tesla Hc

A/m Br/Hc H/m

(BH)maxkJ/m3

Tmax °C

NdFeB 1.28 978803 1.30772E-06 400 150 SmCo 1.05 732113 1.43421E-06 260 300 NdFeB 0.68 459958 1.4784E-06 100 150 Alnico 1.25 50930 2.45437E-05 55 540

Ceramic 0.39 254648 1.53153E-06 35 300 Flexible 0.16 109021 1.46761E-06 6 100

1.8 – Energia immagazzinata nel campo magnetico Nel campo magnetico viene immagazzinata (e non dissipata) una energia per unità di volume pari a:

22

21

21

21 HBHBwm ⋅µ⋅=

µ⋅=⋅⋅= [J/m3] (1.32)

La relazione (1.32) vale per un materiale magnetico lineare, contraddistinto cioè da una permeabilità costante. L’energia specifica wm si interpreta sul piano B-H del materiale come l’area indicata nella figura seguente:

HB ⋅µ=

Interpretazione grafica dell’energia magnetica

wm

dvolume

H tg(α) = µ

H

B

Sf Nei circuiti magnetici con traferri, la quota maggiore di energia magnetica è immagazzinata nelle parti in aria. Si consideri l’elettromagnete schematizzato a fianco. Assumendo uguali la sezione del ferro e quella dell’aria, l’induzione in questi due tronchi è la stessa (l’elettromagnete si può considerare un tubo di flusso). Poiché la permeabilità del ferro è molto maggiore di quella dell’aria si ha che la maggior parte dell’energia magnetica si trova nel tratto in aria, come si desume dalla (1.33).

Stlf

lt

I

27

Page 28: Cap 01 Introduzione

PROF. ANDREA CAVAGNINO

0

22

21

21

µ⋅+

µ⋅=+=

BBwwwferro

ariamferromm (1.33)

Finora si è ragionato in termini di energia per unità di volume. Per ottenere l’energia immagazzinata nell’elettromagnete è necessario integrare l’espressione (1.32) sul volume del circuito magnetico. Si ottiene:

( ) IINdSBdlHdvolHBW cSlVolume

m ⋅Φ⋅=Φ⋅⋅⋅=⋅⋅⋅⋅=⋅⋅⋅= ∫∫∫ 21

21

21

21

dove Φ è il flusso principale nel circuito magnetico e Φc è il flusso concatenato con la bobina. Ricordando che il flusso concatenato con la bobina vale Φc = L I, si ricava la seguente relazione:

221 ILWm ⋅⋅= [J] (1.34)

La relazione (1.34) vale solo per mezzi magneticamente lineari.

Per due avvolgimenti mutuamenti accoppiati (si ricordi la (1.29)), il calcolo porta alla seguente definizione di energia magnetica (valida sempre per mezzi lineari).

2112222

211 2

121 IIMILILWm ⋅⋅+⋅⋅+⋅⋅= (1.35)

Osservazione Nel caso in cui il materiale costituente il circuito magnetico abbia caratteristica non lineare, la definizione dell’energia per unità di volume risulta più complessa e data dalla seguente formulazione integrale.

∫ ⋅=LavoroB

m dBHw0

L’interpretazione grafica dell’energia specifica sul piano B-H è analoga a quella indicata nel caso di mezzi lineari.

HLavoro

H

B

BLavoro

wm’H

BLavoro B

HLavoro

wm

Interpretazione grafica dell’energia e della coenergia

La grandezza wm’ si chiama coenergia ed è definita dal seguente intergrale:

∫ ⋅=LavoroH

m dHBw0

'

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Page 29: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

La coenergia non ha il significato fisico di una energia e si può considerare come una grandezza accessoria utile nei calcoli delle forze e delle coppie. Si osservi come nel caso di mezzi lineari energia e coenergia coincidano.

1.8.1 – Forze meccaniche La presenza di energia immagazzinata nel campo magnetico implica la possibilità di scambiare forze tra le varie parti costituenti il circuito magnetico. Tali azioni meccaniche possono essere ricavate dall’energia (o dalla coenergia) applicando il principio dei lavori virtuali. Si può dimostrare che valgono le seguenti relazioni.

xW

xW

F mm∂

∂+=

∂∂

−='

(nel caso di spostamento lineare tra le parti)

θ∂∂

+=θ∂

∂−=

'mm WW

C (nel caso di rotazione tra le parti)

Si noti che nelle formule precedenti compaiono le energie (coenergie) immagazzinate nell’elettromagnete e non le energie (coenergie) per unità di volume.

1.9 – Classificazione delle macchine elettriche Le macchine elettriche possono essere classificate in vari modi. Un primo modo può essere in base al tipo di trasformazione energetica che attuano.

Conversione energetica Esempi

Energia elettrica ⇒ Energia elettrica Trasformatori Convertitori elettronici di potenza

Energia elettrica ⇒ Energia meccanica Motori elettrici in corrente continua Motori elettrici in corrente alternata

Energia meccanica ⇒ Energia elettrica Generatori in corrente continua (dinamo) Generatori in corrente alternata (alternatori)

Un’altra possibile classificazione è la seguente:

induzione ad o Asincrone Sincrone

alternata correntein

continua correntein Rotanti

potenza di ielettronic riConvertito

oriTrasformat Statiche

Elettriche Macchine

Le macchine sincrone sono macchine rotanti in grado di fornire coppia solo ad una determinata velocità (denominata velocità di sincronismo). Le macchine asincrone sono invece in grado di fornire coppia a velocità diverse da quelle di sincronismo.

Anche se non verranno trattati nel corso, conviene definire e classificare i convertitori elettronici di potenza utilizzati per comandare i motori elettrici in continua ed in alternata. Si ricorda che questi dispositivi permettono di regolare la velocità di rotazione del motore con elevata efficienza ed elevate prestazioni dinamiche.

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Page 30: Cap 01 Introduzione

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Classificazione dei convertitori elettronici di potenza

Non controllati Semicontrollati Alternata ⇒ Continua Ponti raddrizzatori Total controllati

Continua ⇒ Alternata Inverter Variano la tensione efficace e frequenza in uscita Ad un quadrante A due quadranti Continua ⇒ Continua Chopper A quattro quadranti

1.9.1 – Convenzioni di segno per motori e generatori Per studiare l’azione meccanica all’asse delle macchine rotanti si adottano le convenzioni di segno indicate nella figura seguente (dove T, dall’inglese torque, indica la coppia).

Convenzioni di segno: (a) azione motrice nei motori, (b) azione frenante nei generatori. Si noti che la convenzione di segno assunta al “morsetto meccanico” è indipendente da quella assunta per studiare i “morsetti elettrici” della macchina. In ogni caso, conviene usare ai morsetti elettrici della macchina la convenzione di segno degli utilizzatori elettrici (vedi paragrafo 1.2.3) quando si studia un motore. Conviene invece usare ai morsetti elettrici la convenzione dei generatori quando si studia una macchina che sta funzionando come generatore (azione frenante). Se si opera questa scelta i flussi di energia sono concordi alle frecce riportate nella figura precedente.

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Page 31: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

1.10 - Grandezze di targa e criteri di similitudine nelle macchine elettriche

1.10.1 - Grandezze di targa Le macchine elettriche e le apparecchiature elettriche sono caratterizzate attraverso una targa che ne contraddistingue i limiti di impiego. Le principali grandezze comunemente riportate nella targa sono la tensione nominale, la corrente nominale e la potenza nominale.

Tensione nominale La tensione nominale di un’apparecchiatura elettrica è il valore di tensione di alimentazione idoneo al suo corretto funzionamento. Le implicazioni fisiche relative al valore di tensione nominale possono variare da un tipo di apparecchiatura ad un altro. In alcuni casi la tensione nominale può avere relazione con il grado di rigidità dielettrica degli isolanti impiegati, in altri casi può essere legata a problemi di funzionalità meccanica od elettrica (motori a corrente continua), in altri ancora può essere associata a condizioni di tenuta a polarizzazione inversa di semiconduttori (convertitori elettronici di potenza). Tuttavia, nel caso delle macchine elettriche in c.a. (trasformatori, motori), la tensione nominale è particolarmente legata allo sfruttamento magnetico del ferro. Ad esempio, considerando l’avvolgimento primario di un trasformatore durante il funzionamento a vuoto, risulta che tra la tensione di alimentazione ed il flusso concatenato con l’avvolgimento esiste, in condizioni di regime sinusoidale, la seguente relazione:

maxmax 44.42

Φ⋅⋅⋅≅Φ

⋅⋅ω= NfNV (1.36)

Quindi la tensione di alimentazione determina il flusso presente nella struttura magnetica del trasformatore. Alimentare il primario del trasformatore con valori di tensione diversi dal valore nominale significare far funzionare il trasformatore in condizioni magnetiche diverse.

Vnom Φnom P

imagn

i

P’

i’magn

V’ Φ’

E’ noto che al crescere del flusso in un elettromagnete la corrente magnetizzante cresce secondo una caratteristica di eccitazione affetta da saturazione come illustrato indicativamente in figura. In un trasformatore correttamente progettato la tensione nominale è fissata in modo che il suo circuito magnetico lavori poco sopra il ginocchio della caratteristica. In tal modo si ottiene il compromesso tra il raggiungimento di elevati valori di flusso ed il contenimento della corrente magnetizzante.

Caratteristica di eccitazione del trasformatore a vuoto

Se si alimenta il trasformatore ad una tensione anche poco più alta del valore nominale si rischia di assorbire una corrente a vuoto molto elevata con conseguente aumento delle perdite nei conduttori dell’avvolgimento e riduzione dell’efficienza del trasformatore. Valutazioni analoghe possono essere condotte per i motori in corrente alternata.

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Page 32: Cap 01 Introduzione

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Corrente nominale Il concetto di corrente nominale è usualmente collegato con l’effetto Joule che si manifesta in un conduttore percorso da corrente. La corrente nominale di un’apparecchiatura elettrica è quel valore di corrente che in condizioni convenzionali di impiego produce un riscaldamento tollerabile dall’apparecchiatura. In linea di massima si può affermare che il valore di corrente nominale di un’apparecchiatura elettrica è condizionato dal tipo di isolamento utilizzato per i conduttori e dal sistema di smaltimento del calore prodotto.

Temperatura limite Temperatura di regime termico

Corrente nominale per servizio continuativo

θ(t) θ(t)

Corrente nominale per servizio intermittente

Andamento delle temperature dei conduttori per diverse condizioni di servizio

Va osservato inoltre che per apparecchiature destinate a particolari tipi di servizi non continuativi il valore nominale della corrente può essere correlato al particolare tipo di servizio. Uno stesso motore potrebbe essere targato con un valore di corrente nominale più basso se è previsto per un funzionamento continuativo, ovvero con un valore di corrente più elevato, se è previsto che il tipo di servizio sia discontinuo o intermittente. In questo secondo caso, infatti, la temperatura dei conduttori potrebbe mantenersi costantemente inferiore a quella di regime termico come illustrato nella figura precedente. Va inoltre evidenziato che, nel caso di motori auto-ventilati e destinati a funzionare a velocità diverse, molto spesso il valore di corrente nominale diventa funzione della velocità di rotazione in quanto le temperature del motore mutano in conseguenza delle mutate condizioni di ventilazione.

Riassumendo il valore di corrente nominale dipende dalle seguenti considerazioni:

sezione del conduttore;

tipo di isolamento e temperatura massima sopportata;

tipo di raffreddamento (irraggiamento, convezione, ventilazione forzata, etc.) a cui è soggetto l’avvolgimento;

tipo di servizio dell’avvolgimento (continuativo, intermittente, etc.).

Potenza nominale In generale la potenza nominale di una apparecchiatura elettrica è la potenza utile fornita in uscita quando l’apparecchiatura sia alimentata alla tensione nominale e sia caricata in modo da assorbire la corrente nominale. Pertanto è evidente che il concetto e il valore di potenza nominale di una apparecchiatura risulta condizionato dagli stessi fattori che condizionano la definizione di corrente nominale. Nel caso delle macchine elettriche, quando la potenza utile di uscita è una potenza elettrica, essa viene espressa come potenza apparente in kVA (trasformatore, alternatore) o come potenza attiva in kW (dinamo) secondo che si tratti di potenza erogata in alternata oppure in continua. Quando la potenza fornita in uscita è una potenza meccanica (tutti i motori) la potenza nominale è sempre espressa in kW.

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Page 33: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

1.10.2 - Relazioni tra potenza e dimensioni delle macchine elettriche Sulla base di quanto discusso sinora è possibile stabilire una relazione tra la potenza nominale e le dimensioni di una macchina elettrica sulla base di alcune ipotesi preliminari. Si supponga di voler costruire una macchina elettrica prendendo come modello un esemplare già costruito ed alterandone secondo un rapporto σ tutte le dimensioni. Nell’eseguire questa operazione si immagini di mantenere inalterati gli indici di sfruttamento dei materiali attivi (ferro e rame). Tali indici sono rappresentati rispettivamente dai valori di induzione nominale Bnom e di densità di corrente nominale δnom usati nell’esemplare preso a modello. Ci si chiede quali saranno le caratteristiche nominali della nuova macchina. Si prenda innanzitutto in considerazione la potenza nominale della nuova macchina. Occorre a questo punto eseguire una considerazione sulla espressione della potenza nominale. Per macchine che producono energia elettrica, come il trasformatore, la potenza nominale è esprimibile attraverso il prodotto di grandezze elettriche:

S qV Inom nom nom= ⋅ dove q dipende dal numero di fasi (1.37)

mentre per i motori elettrici la potenza nominale è esprimibile attraverso grandezze meccaniche:

P Cnom nom nom= ⋅ω (1.38)

Relazione tra grandezze nominali e dimensioni del trasformatore In questo caso l’espressione della potenza può essere riportata agli indici di sfruttamento dei materiali attivi attraverso l’esame del significato di tensione e corrente nominale:

S qN I q B S NSfe cunom nom nom nom nom= ⋅ = ⋅ ⋅ω ω δΦ (1.39)

ove Sfe ed NScu sono rispettivamente la sezione del nucleo magnetico destinato a contenere il flusso e l’area della finestra destinata a contenere le N spire degli avvolgimenti destinati a portare la corrente. Se nel processo di similitudine geometrica non alterano ne la frequenza di alimentazione né gli indici di sfruttamento, la macchina copiata in scala σ :1 per le dimensioni lineari viene ad avere grandezze di targa fornite dalle relazioni seguenti (nel caso che il numero di spire N resti invariato):

S S V V I I' ; ' ; 'nom nom nom nom nom nom = = =σ σ4 2 σ 2 (1.40)

Si può quindi asserire che tendenzialmente la potenza nominale di un trasformatore cresce con la quarta potenza delle dimensioni lineari. Se nel processo di copiatura si volesse mantenere invariato il valore di tensione nominale della macchina sarebbe sufficiente modificare il numero di spire degli avvolgimenti in base al seguente criterio:

V V N N' ' 'nom nom nom nom = ⇒ =ω ωΦ Φ

e poiché:

Φ Φ' 'nom nom = ⇒ =σσ

22N

N

In tal caso la sezione dei conduttori dell’avvolgimento aumenterebbe ulteriormente nel rapporto σ2 e la nuova corrente nominale risulterebbe:

I I' nom nom= σ 4

Una ulteriore importante considerazione può essere condotta osservando la (1.37): la dipendenza della potenza nominale di un trasformatore dalla frequenza di alimentazione oltre che dalle dimensioni. Se alimentassimo ad esempio il nostro modello ad una frequenza doppia

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Page 34: Cap 01 Introduzione

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rispetto a quella prevista, lasciandone inalterate le dimensioni e gli indici di sfruttamento, potremmo ottenere dalla stessa macchina una potenza doppia, ovvero a parità di potenza richiesta potremmo utilizzare una macchina più piccola. Questo principio è sfruttato quando si vogliano ridurre i rapporti peso/potenza delle apparecchiature elettriche in corrente alternata. Per questo motivo ad esempio negli impianti di bordo di aeromobili la frequenza utilizzata è di 400 Hz.

Relazione tra potenza nominale e dimensioni di un motore Analoghe valutazioni possono essere condotte nel caso dei motori elettrici. Infatti la coppia prodotta risulta generalmente collegabile al prodotto del flusso di macchina con la corrente nei conduttori secondo una relazione del tipo:

C kN I kB S NSfe cunom nom nom nom nom= ⋅ = ⋅ ⋅Φ δ (1.41)

Da questa relazione si osserva che le dimensioni del motore dipendono in realtà dalla coppia e non dalla potenza. Con deduzioni analoghe a quelle condotte per il trasformatore si può giungere ai seguenti risultati:

C C V V I I' ; ' ; 'nom nom nom nom nom nom = = =σ σ4 2 σ 2

)

(1.42)

Il ruolo della velocità in questo caso è analogo al ruolo della frequenza nel caso del trasformatore: a parità di potenza motori più veloci sono più piccoli. 1.10.3 - Altre influenze delle dimensioni sulle caratteristiche delle macchine

elettriche Gli aspetti dimensionali influenzano anche altre caratteristiche importanti delle macchine elettriche. Si considerino le perdite presenti nei materiali attivi delle macchine. In base a quanto visto ai paragrafi 1.4 e 1.5, sia le perdite nel ferro che quelle nel rame sono proporzionali ai volumi dei rispettivi materiali attivi una volta fissati gli indici di sfruttamento B e δ. Con riferimento al rapporto di similitudine lineare σ si può quindi dedurre:

(P P P P' 'cu fe cu fe + = +σ 3 (1.43)

Le perdite nel rame Pcu e nel ferro Pfe aumentano con il cubo delle dimensioni lineari della macchina. Per macchine simili si può quindi prevedere una dipendenza delle perdite complessive dalla potenza nominale del tipo:

P Pperduta = nom

34 (1.44)

Nella tabella e nei grafici che seguono si può osservare come tale dipendenza sia rispettata con buona approssimazione per tutta una famiglia di trasformatori attualmente in commercio. La relazione (1.44) in particolare indica che al crescere della potenza di una macchina elettrica il suo rendimento tende a migliorare. Appare inoltre evidente come anche i rapporti peso-potenza e costo-potenza migliorino riducendosi al crescere delle dimensioni. Queste valutazioni spiegano il motivo per cui, laddove non siano presenti esigenze di altra natura, sia preferibile attuare la trasformazione di energia attraverso una unica macchina di grandi dimensioni anziché attraverso più macchine di dimensioni e potenza inferiori.

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Page 35: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

Targa di trasformatori da distribuzione con isolamento in resina V1n/V2n = 20[kV]/400[V]

Snom [kVA] 0.976

0.978

0.980

0.982

0.984

0.986

0.988

0.990

0.992

0 1000

Pfe [kW] Pcu [kW] Rendimento

Snom [kVA]

25

20

15

10

5

Pfe = 14.786Snom 0.7373

Pcu = 50.191Snom 0.7631

2000 3000 4000 0 1000 2000 3000 4000

Andamento delle perdite e del rendimento in funzione della potenza nominale in una famiglia di trasformatori da distribuzione.

Tuttavia la crescita dimensionale delle macchine non può procedere indefinitamente. Limitazioni di tipo meccanico e di trasportabilità condizionano le massime potenze raggiungibili con una unica unità. Anche considerazioni termiche suggeriscono di non eccedere nelle dimensioni. Infatti, per quanto osservato, le perdite aumentano con il cubo delle dimensioni lineari della macchina, mentre le superfici naturali di scambio termico attraverso le quali il calore prodotto deve essere smaltito crescono solo con il quadrato delle dimensioni. La sovratemperatura della macchina crescerebbe quindi linearmente con le dimensioni secondo l’espressione[4]:

( ) (θ θσ

σσ θ θ'

' ''

− =+

⋅=

+

⋅= −amb

fe cu fe cuamb

P Pk S

P P

k S

3

2 )

(1.45)

Questo fatto spiega il motivo per cui le grandi macchine elettriche abbiano bisogno di particolari circuiti di raffreddamento ed anche il motivo per cui gli indici di sfruttamento dei materiali attivi non possano essere mantenuti costanti al crescere delle dimensioni, ma debbano essere opportunamente ridotti.

35

[4] Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 1.11

Page 36: Cap 01 Introduzione

PROF. ANDREA CAVAGNINO

1.11 – Riscaldamento delle macchine elettriche e modello termico semplificato

Durante il funzionamento, una macchina elettrica dissipa una potenza totale Pd dovuta a diversi fenomeni. Ad esempio, nei trasformatori si hanno le perdite nel ferro e nel rame, mentre nelle macchine rotanti si devono considerare, oltre alle perdite precedenti, anche le perdite per attrito e ventilazione. In ogni caso l’energia dissipata degrada in calore provocando un riscaldamento della macchina. Durante il transitorio di riscaldamento, una parte di calore viene accumulato internamente alla macchina provocando l’aumento della sua temperatura θ ed una parte viene scambiata con l’ambiente esterno. Assumendo che lo scambio termico verso l’ambiente avvenga solo per convezione, l’equazione differenziale che descrive il transitorio di riscaldamento è la seguente:

dtSkdGcdtPdQ d ⋅θ⋅⋅+θ⋅⋅=⋅= (1.46)

Calore scambiato con l’esterno Calore accumulato dove dQ è la quantità di calore prodotta nell’intervallo di tempo dt, c è il calore specifico equivalente, G è la massa dell’apparato, S è la superficie di scambio verso l’ambiente e k il coefficiente di scambio termico. In condizioni di regime termico, non si ha più accumulo di calore e tutta l’energia dissipata viene ceduta all’ambiente esterno. In questa condizione, assumendo la temperatura dell’ambiente pari a θa, la temperatura raggiunta vale:

regimead

aregime SkP

θ∆+θ=⋅

+θ=θ (1.47)

Durante il transitorio di riscaldamento, la temperatura θ(t) viene determinata risolvendo l’equazione (1.46)[5].

( )

−⋅

⋅+θ=θ τ

−t

da e

SkP

t 1 (1.48)

dove SkGc

⋅⋅

=τ rappresenta la costante di tempo termica durante il riscaldamento.

L’equazione (1.46) permette di definire un’analogia tra i fenomeni termici e le reti elettriche. In particolare, facendo le seguenti posizioni:

Potenza dissipata (Pd) ⇒ Corrente elettrica (I)

Temperatura (θ) ⇒ Tensione (V)

Resistenza termica (Sk

Rth ⋅=

1 , in [°C/W]) ⇒ Resistenza elettrica (R)

Capacità termica (Cth = c⋅G, in [J/°C]) ⇒ Capacità elettrica (C)

36

[5] Si assume che all’istante t = 0 la temperatura della macchina sia pari a quella ambiente: θ(t) = θa.

Page 37: Cap 01 Introduzione

MACCHINE ELETTRICHE

è possibile definire la seguente rete elettrica equivalente.

Rth

Modello termico semplificato di una macchina elettrica

θ(t) Cth

∆θ(t)+

θa Pd

In termini di circuito equivalente la costante di tempo termica risulta essere il prodotto della capacità e della resistenza termica. Si noti che il modello termico presentato non è in grado di descrivere le temperature delle varie parti della macchina (ad esempio, avvolgimenti, nucleo, carcassa,…). Qualora si volesse avere un’indicazione delle temperature interne bisogna derivare un modello termico molto più complesso che evidenzi i diversi percorsi per i flussi di calore all’interno della macchina. La difficoltà principale risiede nel determinare i valori delle resistenze termiche che descrivono gli scambi termici.

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