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CAP. 0 PREMESSA pag.2
CAP. 1 PIANIFICAZIONE DEL PAESAGGIO NEI TERRITORI COSTIERI pag.5 CAP. 2 NOTIZIE STORICHE SUGLI INSEDIMENTI E SUGLI
NTERVENTI ANTROPICI pag.7 CAP. 3 GEOMORFOLOGIA E STRATIGRAFIA pag.13 CAP. 4 EVOLUZIOLE OLOCENICA DELLA LINEA DI COSTA pag.25 CAP. 5 LE ESONDAZIONI DEI CORSI D’ACQUA pag.30 CAP. 6 CARETTERI FISICO-CHIMICI DEI SUOLI E DELLE ACQUE
DI FALDA pag.37 CAP.7 CLIMA pag.42
CAP.8 VEGETAZIONE REALE E POTENZIALE pag.50 CAP.9 FAUNA pag.57 CAP. 10 PROGETTO VEGETAZIONALE pag.61 CAP.11 INTERVENTI DI SISTEMAZIONE AVERDE pag.66
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0 - PREMESSA
Per conto della NETTIS RESORT e Altri, è stato redatto lo studio
finalizzato alla progettazione e sistemazione a verde di un'area destinata
alla realizzazione di "un complesso residenziale turistico nella zona del
lido quarantotto nel Comune di Pisticci".
Le modifiche del territorio a fini turistici costituiscono uno degli
aspetti più rilevanti della trasformazione del paesaggio, inteso come
risorsa finita irriproducibile. L'erosione umana dello spazio geografico
soprattutto rurale e naturale avviene infatti, molto spesso, senza rispetto
dei valori ambientali e con modalità aggravate dalla irreversibilità del
consumo stesso.
Di conseguenza la diffusione intensiva di forme di insediamento
(residenziale ed industriale principalmente) che ripropongono schemi di
vita urbana tali da determinare l'utilizzazione dello spazio in forme
ripetitive e vincolate, che non consentono l'immediata percezione
dell'ambiente naturale, ha innescato nella società impulsi psicologici e
desideri di ordine ecologico che hanno necessariamente stimolato un
numero crescente di visitatori, richiamati dalla presenza di ampie aree a
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verde (ad es. boschi, parchi, giardini pubblici, ecc.) in un territorio
profondamente depauperato della componente forestale.
L'aspetto principale del problema relativo alla realizzazione in
genere di aree verdi, riguarda la complessa organizzazione necessaria
per l'impiego dei vegetali adatti a far fronte a queste esigenze (alberi,
arbusti, erbacee).
Lo studio che viene sviluppato nel presente trattato, si rivolge
innanzitutto ad un'analisi accurata delle varie componenti ambientali
"statiche" (dati climatici, statigrafici, ecc.) e dinamiche (esondazioni e
dinamica dei fiumi, arretramento della linea di costa, ecc.) che la zona in
oggetto offre, mentre successivamente vengono date anche indicazioni
progettuali di massima del verde.
Attualmente l'area in questione si presenta priva di vegetazione e
con la totale assenza di un disegno funzionale.
Da un primo rilevamento, risulta molto difficile risalire al disegno di
un antico
tracciato sul terreno; ciò denota la recente vocazione puramente
agricola dei suoli dentro i confini della proprietà, fatta eccezione di una
zona occupata dalla pineta (costituita da Pino d’Aleppo che si sviluppa
parallelamente alla linea di costa) e da un zona occupata da Eucalipti
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situata lungo il canale di bonifica che scorre ortogonalmente alla strada
“San Teodoro” che collega la SS. 106 Taranto-Reggio Calabria al mare.
La nostra proposta, pertanto, è quella di realizzare una armonica
coesistenza tra la funzionalità delle attività agricole e lo sviluppo
turistico/residenziale che, se pure modificherà il sito agricolo, manterrà le
sue tipiche caratteristiche di naturalità e tranquillità.
Prevediamo quindi di isolare dalle visuali indiscrete le aree più
intime della Residenza così da garantirne la Privacy, attraverso la
costituzione di una ampia cintura verde costituita dalle tipiche essenze
della macchia mediterranea e comunque da tutte quelle riscontrate
sull'area; così lungo le recinzioni si è pensato ad un modello di
vegetazione compatta con l’auro ceraso, ligustro, Cupressocyparis
leyladii, ecc. a totale contrasto degli spazi interni realizzati a prato
inglese, con l’inserimento di piante subtropicali, dal dipicamente
antropico.
Particolare attenzione sarà prestata per:
offrire lo spazio adeguato per i veicoli in manovra, in circolazione
ed in sosta;
mascherare elementi architettonici di fòrte impatto visivo:
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arredare l'area della piscina e delle residenze con una
vegetazione più rigogliosa e di tipo subtropicale.
1.0 - LA PIANIFICAZIONE DEL PAESAGGIO NEI TERRITORI
COSTIERI
II progresso economico e l'accresciuta mobilità sociale hanno
richiesto una rapida trasformazione del territorio che si è tradotta in molti
casi in una vera e propria modificazione del paesaggio.
Il processo dello sviluppo urbano ha colpito vaste aree rurali
prossime ai centri urbani, specialmente quelle costiere maggiormente
esposti alla colonizzazione residenziale grazie alle ovvie funzioni
ricreative e paesaggistiche che possono svolgere. In seguito alla
crescente urbanizzazione dei territori costieri si è assistito ad una
progressiva alterazione del complesso e delicato ecosistema costiero
apportando modifiche irreversibili alle qualità estetiche del paesaggio
nonché agli equilibri biologici in essi presenti.
Molto spesso in essi si svolgono attività produttive che mal si
combinano con la vocazione naturalistica dei luoghi contribuendo così
ulteriormente al degrado di questi ambienti.
Questa forma di sviluppo pensata in termini quantitativi ha investito
sia le aree urbane che le aree più naturali ma è soprattutto in queste
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ultime che si manifestano con maggiore evidenza le contraddizioni di un
progresso non rispettoso dell'ambiente. Mai come in questi anni si è
abusato delle risorse naturali rischiando di compromettere la loro
disponibilità anche per le generazioni future.
Questa nuova consapevolezza ha stimolato il sorgere di una cultura
ambientalista che ha contribuito ad orientare la domanda collettiva
sempre più verso beni di tipo qualitativo.
Alla tradizionale richiesta di alloggi, servizi, uffici, scuole, ecc. si
unisce in maniera sempre più pressante quella di verde, di area pulita, di
spazi ricreazionali e soprattutto di ambienti gradevoli in cui vivere e tra-
scorrere il tempo libero; tutti beni questi ultimi caratterizzati da un elevato
valore sociale che innalza il grado di soddisfazione e di benessere
dell'individuo.
2.0 - NOTIZIE STORICHE SUGLI INSEDIAMENTI E SUGLI
INTERVENTI ANTROPICI
II litorale ionico Metapontino mostra quanto possano mutare le sorti
dei luoghi col passare dei secoli. Le testimonianze più antiche di popoli
ivi stanziati stabilmente non risalgono, allo stato attuale delle conoscen-
ze, ad un periodo antecedente l'VIII-VII secolo a.C.
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Infatti, è solo verso l'inizio del VII secolo a.C. che giungono in
quest'area i Greci che si insediano in una zona ad ovest del tempio di
Apollo Licio fondando il primo nucleo abitato di Metaponto, che poi
sviluppandosi rapidamente con l'arrivo di altri emigrati darà origine alla
più fiorente città costiera della Magna Grecia.
La terra dì nessuno diventa, così, territorio e viene definitivamente
abbandonata dai pochi pastori indigeni che vi praticano la transumanza.
La città si estendeva sulla riva sinistra del fiume Basento e, da
quello che ci testimoniano attualmente le sue rovine, seguiva
l'andamento di detto corso d'acqua, che a quell’epoca scorreva più a
nord di oggi. Metaponto e l'area circostante, tra il VI ed il IV secolo a.C.
attraversarono una fase di grande prosperità economica. A Metaponto,
dov'era vissuto il filosofo e matematico Pitagora, ferveva la vita culturale.
Le campagne apparivano ben coltivate e popolate. Perciò la costa
meridionale dell'Italia fu chiamata "Magna Grecia" (Grande Grecia) a
significare che i suoi colonizzatori vi avevano trovato una nuova patria,
più vasta e più prospera di quella d'origine. Le rovine di Metaponto sono
dominate dalle cosiddette "Tavole Palatine", quindici colonne superstiti di
un tempio in stile dorico del V o VI secolo a.C-, che testimoniano l'antica
floridezza di questo territorio.
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Tuttavia, tra la fine del IV secolo e gli inizi del III, si verificò un
particolare evento naturale le cui conseguenze dovettero influire sulla
successiva storia della città.
In particolare, nel periodo sopra indicato, si ebbe un rapido
innalzamento della falda freatica, tanto che si dovette procedere alla
costruzione di canali di scolo il cui piano di scorrimento veniva
continuamente alzato onde evitare l'allagamento della zona. A seguito di
quest'evento naturale, si verificò il crollo del tempio della città e molte
nuove costruzioni sorsero in luoghi più elevati. Dopo il 270 a.C. la
vecchia città fu abbandonata e l'occupazione si ridusse all’area del
castrum. Recenti ricerche archeologiche hanno, inoltre, messo in
evidenza che in questo periodo fu effettuato un taglio nel cordone
dunare più esterno allo scopo, probabilmente, di facilitare il deflusso
delle acque stagnanti del bacino retrodunare verso il mare o, forse,
anche per mettere in comunicazione lo stesso mare con il vicino porto.
Nel II secolo a.C. i canali di scolo persero la loro funzione, ragione per
cui alcuni furono colmati, a causa probabilmente di un ulteriore
abbassamento della falda d'acqua sotterranea. In età tardo-imperiale,
esattamente tra il III ed il IV secolo d.C., il luogo era ancora abitato tanto
che su alcuni cordoni dunari esterni sorsero dei magazzini portuali, ma
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ormai la città aveva perso la sua originaria importanza. Della città di
Metaponto, compresa tra i fiumi Bradano e Basento, quella romana,
abbandonata nel VII secolo d.C.
era stata spostata più ad est di quella greca a causa
presumibilmente dalla migrazione verso sud-ovest della foce del
Basento.
Per i secoli successivi mancano informazioni sufficienti e bisogna
giungere al XII secolo per avere notizie sulla presenza di un
casale"Civitas Sanctae Trinitatis", ovvero Torre Mare, i cui resti si
osservano ancora oggi presso la stazione ferroviaria del borgo dell'
attuale centro abitato di Metaponto. Il casale era servito da un porto
vicino, ubicato poco più a sud-est, probabilmente in corrispondenza del
Lago di S. Pelagina riportato nelle carte fino ai primi di questo secolo ed
oggi completamente prosciugato. Di Torre Mare si hanno notizie fino alla
metà del XVII secolo, mentre successivamente il centro fu dato per
disabitato.
Per i secoli che seguono, le notizie parlano sempre della zona in
esame come di un luogo paludoso, malarico e poco abitato. Il paesaggio
acquistò così quell'aspetto melanconico, che lo ha caratterizzato fino ali'
inizio del Novecento: una distesa di terre quasi incolte, con poche
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masserie, cioè gruppetti di abitazioni di contadini riunite intorno alle
dimore dei proprietari delle tenute.
Ancora mezzo secolo fa le guide raccomandavano ai visitatori dei
ruderi di Metaponto di non attardarsi all'aperto, durante l'estate, dopo il
tramonto. Nelle ore della notte, infatti, si contraeva facilmente la malaria,
trasmessa dalla puntura della zanzara anòfele.
La rinascita del litorale metapontino ebbe inizio nel nostro secolo
con la bonifica, che prosciugò le acque stagnanti, focolai delle infezioni
malariche; regolò i corsi dei fiumi e dissodò le terre incolte. La prima fase
operativa dei Consorzi di Bonifica di Metaponto e della Media Valle del
Bradano comprese I" arco di tempo fra la loro costituzione (avvenuta
rispettivamente nel 1925 e nel 1931) e lo scoppio del II conflitto
mondiale. Tuttavia, intorno al 1950 il metapontino presentava ancora i
caratteri tipici di un' area sotto sviluppata, contrassegnata da una
agricoltura povera e da pochi insediamenti umani in campagna.
Fu solo successivamente al 1950 che la rinascita di questo territorio
si è notevolmente accentuata grazie all'opera di riforma fondiaria,
mediante la quale lo Stato ha voluto ridurre l'estensione delle proprietà
terriere troppo vaste e poco coltivate, diffuse soprattutto nel Mezzogiorno
e nelle Isole, dividendo e ridistribuendo la terra fra tante famiglie di
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coltivatori. Inoltre, con la costituzione della Cassa per il Mezzogiorno,
furono avviati interventi massicci e coordinati al fine di risolvere i secolari
problemi economici, sociali e civili che affliggevano il metapontino. Oltre
che alla costruzione di importanti opere di irrigazione, il Consorzio ha
dovuto affrontare e risolvere altri gravi problemi, come quelli di ordine
idraulico. Tale azione ha interessato, soprattutto nella fascia litoranea al
di sotto della quota di 20 metri, i fondi valle delle zone irrigue e, sia pure
in minore misura, i terrazzi sovrastanti. In detti terreni è stata realizzata
una rete di canalizzazioni dello sviluppo complessivo di circa 900
chilometri delle quali quelle al servizio delle zone più basse, di 200
chilometri, fanno capo a 9 impianti idrovori.
Inoltre, la costruzione nell'entroterra di dighe di ritenuta sui principali
corsi d'acqua dell' arco ionico, ha permesso la realizzazione di grandi
invasi artificiali (Pertusillo, S. Giuliano, ecc.) che hanno potuto soddisfare
talune esigenze irrigue, industriali ed idropotabili dell'area metapontina.
Dal punto di vista viario, le più importanti opere sono la strada
statale Ionica "N.°106" e la ferrovia Taranto-Reggio Calabria, che
attraversano il territorio in direzione pressocchè parallela alla costa, ad
una distanza dal mare rispettivamente di 4 e di 3 chilometri circa.
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3.0 – GEOMORFOLOGIA E STRATIGRAFIA
Il territorio in esame, ubicato tra la foce del fiume Basento e quella
del fiume Cavone appartiene alla piana costiera che contorna il settore
nord-settentrionale del Golfo di Taranto (Alto Ionio), il quale
strutturalmente corrisponde al prolungamento meridionale dell'unità
dell'Avanfossa Bradanica che, come è noto, e collocata tra le coltri
alloctone dell'Appennino Meridionale ad ovest e l'area delle Murge
(avampaese apulo) ad est.
Dal punto di vista dei caratteri geomorfologici e litologici l'intera area
litorale del Golfo può essere distinta in vari tratti.
Il primo di essi, compreso fra Capo Spulico e Rocca Imperiale, è
caratterizzato da una fascia spiaggiosa fondamentalmente ciottolosa
larga fino a 40 metri delimitata verso l'interno dai rilievi delle estreme
propaggini dell'Appennino Calabro-Lucano. In questo tratto l'apporto
solido costiero è assicurato da numerosi corsi d'acqua a regime torren-
tizio.
Il settore più settentrionale, localizzato tra Ginosa Marina e Punta
Rondinella presenta spiagge strette (fino a 10 metri), basse e sabbiose,
a luoghi rocciose, profondamente antropizzate e attraversate da corsi
d'acqua di modesta importanza (Lato, Lenne e Tara) con trasporto solido
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molto scarso;essi si originano dall'emergenza della falda freatica ai piedi
dei terrazzi che bordano la piana alluvionale.
Il tratto di litorale compreso tra Rocca Imperiale e Ginosa Marina,
che è quello che comprende la zona del presente studio, è interessato
dai tratti terminali dei principali fiumi afferenti al Golfo di Tarante
(Bradano, Basento, Agri e Sinni). In complesso questo tratto di litorale
presenta un andamento sinuoso con protendimenti in corrispondenza
delle foci dei fiumi su citati ed insenature appena pronunciate. La
porzione più settentrionale di questo tratto è incisa da canali di bonifica e
dalle aree di foce dei corsi d'acqua Cavone, Basento e Bradano i quali
assicurano l'apporto di materiale attraverso l'erosione dei terreni clastici
miocenici dell' Appennino e plio-pleistocenici della Fossa Bradanica. Le
principali formazioni gelogiche interessate dai bacini idrografici dei fiumi
Bradano e Basento sono rappresentate da:
a) depositi calcarei mesozoici del margine occidentale di scarpata
del rilievo murgiano;
b) depositi della serie carbonatica e della serie calcareo-silico-
marnosa, di età compresa fra il Trias ed il Miocene, dell' Appennino
campano-lucano;
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e) depositi flyschioidi di natura arenacea, argillosa e marnosa di età
oligo-miocenici dell'Appennino;
d) depositi plio-pleistocenici della Fossa Bradanica;
e) depositi terrazzati marini post-calabriani, generalmente
incoerenti, degradanti verso l'attuale linea di costa.
In questo tratto compreso fra le foci del Cavone e del Bradano,
esteso per una lunghezza di circa 14 km, le spiagge sono ampie da 10 a
50 metri e presentano verso l'interno un'ampia fascia di 2 km caratteriz-
zata da cordoni dunari costituiti da sabbie finì giallastre o grigiastre, i
quali sono disposti più o meno paralleli alla costa e mostrano un
aumento della loro altezza man mano che si procede verso nord
raggiungendo un massimo di 6-7 metri sul livello del mare. Tale fascia è
frazionata dagli stessi cordoni in aree interne depresse ed acquitrinose
alimentate dal mare di tempesta attraverso varchi aperti proprio nei
cordoni dunari, invadendo le paludi del retroterra con la formazione di
piccoli bacini tra un cordone e l'altro; si formano, in questo modo,
depositi rappresentati da silts fini e da argille nerastre palustri, poggiarti
sulle sabbie. I cordoni di dune più interni sono stati rimodellati e spianati
dall'azione erosiva dei fiumi ed in parte da quella dell'intervento
antropico, oppure risultano parzialmente o totalmente coperti dai
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successivi sedimenti alluvionali, di modo che oggi appaiono come dossi
poco elevati, a luoghi completamente circondati dai depositi fluviali, i
quali hanno portato alla graduale costruzione della piana; i più recenti,
contigui al litorale, costituiscono una catena regolare di qualche metro
stabilizzati a luoghi con rimboschimenti ed interrotta in corrispondenza
delle foci dei fiumi e dello sbocco dei canali artificiali.
La piana costiera è in evoluzione ed ha la sua antica linea di costa a
quota 10 metri circa s.I.m., che corre grosso modo parallelamente alla
strada litoranea ionica. La sua superficie a causa della disuniformità
degli apporti solidi, si abbassa procedendo da S.W. (Cavone), dove ha
una quota di 15 metri verso N.E. in prossimità della foce del Basento,
dove si abbassa a soli 2 metri. La quota di 15 metri, superiore a quella
della antica linea di costa a dei 10 metri, è determinata dalla presenza di
una antica conoide di eiezione fossile del fiume Cavone allo sbocco
nella piana.
La piana costiera è delimitata verso nord-ovest da una serie di
terrazzi di rilievi spianati debolmente ondulati in sommità e separati gli
uni dagli altri da modeste scarpate, pressoché parallele alla attuale linea
di costa. Questi terrazzi si susseguono a partire dalla quota massima di
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circa 400 metri sul livello del mare, degradando fino alla quota di 15
metri verso il litorale jonico.
La piana costiera, a partire dal piede della scarpata del terrazzo
marino di 1 ° ordine, assume per un'ampiezza di 3 km I' aspetto tipico di
una pianura alluvionale che, situata a quote comprese tra 2 e 15 metri
sul livello del mare, risulta costruita, come si è detto, dai fiumi Bradano,
Basento e Cavone.
Questi corsi d'acqua a differenza dei fiumi Agri e Sinni, il cui letto si
suddivide in numerosi canali incisi nelle alluvioni grossolane del fondo
valle, scorrono in un unico alveo, le cui sponde sono costituite da
materiale prevalentemente limo-sabbioso.
Un interessante particolare morfologico, osservabile su larga parte
della piana, è rappresentato da alcuni tratti di alveo, ad andamento
meandriforme, abbandonati dai fiumi. Questi alvei relitti mostrano chiara-
mente che tutti i corsi d'acqua hanno subito nella piana costiera, un
graduale spostamento verso S.W. Il progressivo spostamento delle foci
dei corsi d'acqua verso S.W. in tempi storici indicano un debole
basculamento tettonico. Secondo Boenzi et al. (1.977) tali spostamenti
sono attribuibili all’azione di correnti marine che lambiscono la costa da
S.W. a N.E. (Cotecchia et altri, 1971 ; Brondi et alii, 1974; Balenzano et
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alii, 1975; Cocco et alii, 1975) ed alla formazione di cordoni litorali e
sistemi di dune costiere. Comunque sia, gli effetti più vistosi di questo
fenomeno di migrazione di percorso si osservano lungo i bacini dei fiumi
Bradano e Basento. Per il primo fiume si nota un solo letto abbandonato,
per il secondo se ne osservano due; l'estremità dell' alveo abbandonato
del Bradano, nonché quella del più meridionale alveo-relitto del Basento
terminano con una svasatura chiusa verso il mare da un cordone
dunare. Tali svasature, sede fino ad alcuni anni or sono di due laghi
poco estesi (il Salinella per il Bradano ed il Santa Pelagina per il
Basento), corrispondevano alle antiche foci dei due fiumi. Questi laghi si
sarebbero prodotti dopo I' emigrazione verso S.S.W. delle aste fluviali
per sbarramento dunare.
Sulla base di dati e notizie storiche a disposizione si può fare
qualche supposizione riguardo a l'epoca storica alla quale si possa fare
risalire i' inizio dello spostamento graduale dei fiumi. Per quanto riguarda
il Basento, poiché tracce del detto corso d'acqua rappresentate dall'
alveo abbandonato posto più a nord dimostrano che esso nel IV secolo
a.C. doveva sfociare poco a S.W. dell'antica Metaponto e poiché notizie
storiche indicano che nel XII-XIII secolo il Casale di Torre Mare (ubicato
presso I' attuale stazione ferroviaria), avendo ormai sostituito l'antica
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Metaponto, era servito da un vicino porto ubicato poco ad est del detto
centro e corrispondente alla foce del Basento, risulta chiaro che un
primo spostamento verso S.S.W. del Basento, storicamente
documentabile è avenuto tra il IV secolo a.c. ed il XII-XIII secolo. La foce
del fiume a quel tempo, come suggeriscono gli indizi morfologici, era
rappresentata dal tratto di alveo abbandonato più meridionale di esso.
Insieme ai relitti di antichi alvei abbandonati si osservano nella piana
costiera reticoli idrografici nascenti a struttura dendriforme. I bacini dei
fiumi Cavone, Bradano e Basento sono costituiti, limitatamente alla
piana costiera, da formazioni pilo-quaternarie argilloso-sabbiose e
presentano, nel tratto direttamente a tergo della zona considerata, medi
valli relativamente larghe e pendenze lievi; i fiumi, pertanto, trasportano
esclusivamente materiali fini e finissimi in sospensione. Il loro basso
corso, perciò, è caratterizzato da un letto inciso nei depositi alluvionali
argilloso-sabbiosi, che, durante le piene, vengono erosi per essere
nuovamente depositati non appena le portate e la velocità della corrente
diminuiscono. E' nell'ultimo tratto di pianura che, diminuita la pendenza, i
fiumi cercano un mutevole equilibrio, sviluppandosi in una serie di
meandri.
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Le osservazioni effettuate in campagna e, soprattutto, l'esame delle
stratigrafie di numerosi sondaggi eseguiti in quest'area da Enti pubblici e
privati permettono di avere un chiaro quadro della successione dei
sedimenti costituenti la piana costiera del tratto compreso fra il Cavone
ed il Bradano, almeno fino alla profondità alla quale i sondaggi si sono
spinti e, quindi, contemporaneamente dì avere dati che permettono di
ricostruire la sua evoluzione nel corso del periodo olocenico.
Le stratigrafie dei sondaggi effettuati hanno messo in rilievo !'
esistenza di cinque termini litostratigrafìci ben distinti che, a partire
dall'alto, sono:
- termine a (da 0-1 a 3-5 metri):
depositi argillosi e/o limo-sabbiosi, grigi o giallastri, con presenza, a
luoghi, di intercalazioni ghiaiose o conglomeratiche. Si tratta di sedimenti
continentali, alluvionali o lacustri, che costituiscono il termine più elevato
dell'intera successione stratigrafica. I depositi alluvionali si sono
accumulati durante periodi di esondazione dei corsi d'acqua cui l'area
esaminata è stata soggetta. La parte più alta di questi sedimenti si è
deposta nel corso della grande alluvione del 1959, durante la quale i
fiumi ionici lucani, usciti dagli argini, allagarono estesamente la piana
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circostante. Nelle sabbie fini e nei limi si rinvengono livelli lenticolari di
sostanze torbose;
-termine b (da 3-5 a 14-18 metri):
sabbie giallastre con cenni di stratificazione incrociata
rappresentanti depositi continentali eolici (dune), successivamente
coperti dalle alluvioni sopra descritte;
- termine e (da 10-18 a 20-27 metri):
sedimenti caratterizzati da alternanze di sottili lamine di sabbie e peliti.
Queste alternanze testimonierebbero una zona di transizione,
ovvero il passaggio graduale dalle sabbie di spiaggia esterna alle peliti di
piattaforma (argille e silt);
- termine d (da 18-27 a 40-50 metri):
fitte alternanze di argille e di silt con accenni di bioturbazioni, depostesi
per decantazione al di sotto del livello di base delle onde, cioè laddove
non si risente dell'effetto del moto ondoso;
-termine e (da 38-47 a 43-50 metri):
sabbie alternate ad argille e silt di zona di transizione;
- termine f (da 47-50 a 50-53 metri):
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conglomerati poligenici poco cementati costituiti da elementi
subarrotondati e/o piatti, che si sono deposti durante l'avanzata del mare
sulla terra emersa
Sulla base delle caratteristiche stratigrafiche sopra descritte si può
costruire una sezione tipo costituita dal basso verso l'alto da due
sequenze: A e B. La sequenza A, che sarebbe nel complesso di tipo
trasgressivo, è costituita dai termini e ed f; la sequenza B, che sarebbe
nel complesso di tipo regressivo, è formata dai termini a, b e e. In
particolare la sequenza A si sarebbe formata sotto l'azione di un mare
sostanzialmente in fase di avanzata, che depone dapprima conglomerati
basali poligenici. Successivamente, in seguito al graduale
approfondimentoe quindi al cambiamento delle condizioni idrodinamiche,
vengono depositate prima sabbie e poi silts e peliti di decantazione
testimonianti un ambiente tranquillo posto al di sotto della "wave base"
(livello di base del moto ondoso al di sotto del quale non si fa risentire
l'azione meccanica delle onde).
La sequenza B, che si trova al dì sopra della successione A, è il
prodotto di una fase di sedimentazione regressiva prodottasi per continui
apporti detritici dalla terra emersa. In particolare, i termini d, e, b ed a
sono rispettivamente rappresentati da peliti di ambiente tranquillo
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depositatesi al di sotto del livello di base del moto ondoso, da sabbie
alternate a peliti testimonianti una zona di transizione, da sabbie di
spiaggia emersa con caratteri dunari e, infine, da depositi alluvionali di
piana inondabile.
Il complesso di queste due sequenze da un'idea circa 1' evoluzione
plio-quaternaria della piana costiera metapontina. Infatti, il modello di
sviluppo più consono a spiegare l'evoluzione di questa piana costiera
esaminata può essere quello di una piana sabbiosa accresciuta per
giustapposizione di successivi cordoni litorali che, emergendo, hanno
determinato la formazione di altrettanti cordoni dunari, i più interni dei
quali sono stati livellati in quanto coperti o distrutti dai successivi
processi di erosione e di sedimentazione fluviale.
Se ne può dedurre, così, che la costa è avanzata progressivamente
verso mare per accrezione e che i depositi litorali hanno formato un
corpo regressivo nel complesso cuneiforme che, gradualmente, si è
sovrapposto ai depositi politici di piattaforma.
La spiaggia sommersa antistante il litorale compreso fra le foci del
Sinni e del Bradano è caratterizzata da due-tre ordini di barre sabbiose
variamente inclinate rispetto alla linea di costa, aperte verso N.N.E.,
comprese in una fascia di 600 metri fino all'isobata di 4,5 metri.
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Nel 1978, sulla base delle carte nautiche dell'Istituto Idrografico
della Marina e di numerosi altri dati, è uscita una carta bati-metrica di
dettaglio del Golfo di Tarante (in scala 1250.000, con isobate ogni 50
metri; Rossi e Gabbianelli). Essa è stata corredata da uno studio dei
fondali marini e dell' immediato sottofondo, e successivamente integrata
e migliorata con un gran numero di nuove misure da Pescatore et al.,
1985.Un ulteriore contributo alla conoscenza del Golfo, ci viene data
dalla carta generale.
4.0 - EVOLUZIONE OLOCENICA DELLA LINEA DI COSTA
La fine del Tirreniano risalente a circa 15.000 anni fa e coincidente
con la fine dell'epoca-fredda murgiana, il livello del mare nella zona
costiera metapontina, si era ritirato di oltre 100 metri rispetto a quello
attuale (regressione Filandriana) di modo che l'immediato retroterra
ionico a quell'epoca era rappresentato da un'ampia piana alluvionale
sulla quale divagavano i corsi d'acqua ionici lucani (Pescatore, 1985).
A seguito dell'arretramento così rapido della linea di costa, anche il
livello di base della rete idrografica superficiale di questi corsi d'acqua
subì un forte abbassamento, da cui conseguì un inizio di un'intensa fase
di erosione fluviale che produsse notevoli apporti solidi verso mare.
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Con gli inizi dell'Olocene, quindi con l'addolcimento delle condizioni
climatiche, iniziò una lenta avanzata del mare comunemente definita
trasgressione Versiliana, la quale portò, circa 6.000 anni fa, la linea di
costa in corrispondenza della base dell'ultimo terrazzo marino
pleistocenico posto ali' incirca sugli attuali 7-8 metri di quota. Si ritiene
che fra Ginosa Marina e il fiume Sinni la linea di costa, nel periodo di
massimo arretramento (6.000 anni fa), corresse mediamente a 2-3 km a
N.W. di quella attuale.
Posteriormente a 6.000 anni fa l'azione prevalente di apporto solido
da parte dei corsi d'acqua rispetto all'azione trasgressiva di
avanzamento marino, dette inizio così ad una fase di alluvionamento
della piana costiera e di conseguenza di protendimento della costa, che
si protraeva fino quasi ai giorni nostri, con intensità diversa a seconda
delle piccole oscillazioni climatiche del livello marino.
Recenti ricerche archeologiche inducono a ritenere che nel IV-III
secolo a.C. la linea di costa dovesse trovarsi a circa un chilometro
dall'attuale riva ed essere delimitata verso l'interno dal cordone dunare
che in quell'epoca era stato tagliato per permettere il deflusso delle
acque stagnanti verso il mare. Inoltre, poiché questa linea di costa,
grosso modo, corrisponde a quella osservata da Schmiedt e Chevalier,
25
che cronologicamente l'avevano assegnata alI'VIII-VII secolo a.C., è
logico che in questi secoli essa doveva trovarsi poco più nell'interno.
Nel periodo medioevale, esattamente attorno al XII-XIII secolo, la
linea di costa sembra essere più avanzata di 500-600 metri.
Indicazioni su quale fosse l'andamento della linea di riva 400 anni fa
vengono fornite dall'allineamento delle torri marittime quadrangolari,
costruite nella seconda metà del XVI secolo, le quali testimoniano come
essa fosse allora dì molto più arretrata rispetto ali" attuale.
Successivamente questa avanzata è continuata, più o meno
ininterrottamente, fino agli anni '60 del nostro secolo, dopo di che, per
motivi prevalentemente antropici è cominciato il processo inverso. In
particolare, nel periodo intercorrente fra il 1873 ed il 1954 e' è stato un
costante avanzamento del litorale con valori fino a circa 2 km (Cotecchia
et al., 1967; 1969; 1971), soprattutto perché questo lasso di tempo fu
caratterizzato da una forte espansione demografica accompagnata da
deforestazione e colonizzazione di nuove aree (colture cerealicole,
allevamento ovino e caprino); fattori questi determinanti per un aumento
dell'erosione superficiale e quindi del trasporto solido al mare.
Dal 1954 ad oggi si nota un progressivo arretramento tra le foci dei
fiumi Bradano e Agri. Infatti, si passa da un protendimento di 4,9 m/anno
26
relativi al periodo 1947-1954 e 0,7 m/anno nel periodo 1954-1965 ad
arretramenti di 0,2-1 m/anno per il periodo 1.965-1976 (Cocco et al.,
1978).
In particolare, I' arretramento registrato tra i fiumi Bradano e
Basento è di 0,6 m/anno nel periodo 1954-1965 e di 4,0 m/anno nel
periodo 1965-1977. Tra l'altro in questo tratto di litorale dal 1965 il primo
cordone dunare è stato smantellato, con una velocità media pari a 2,4
m/anno, mentre è in atto l'erosione del secondo cordone, sul quale è
impiantata una fitta vegetazione arborea. Le cause di questo
arretramento de! litorale sono da ricercarsi nella riduzione degli apporti
solidi da parte dei principali corsi d'acqua afferenti alla costa e
nell'azione erosiva da parte del moto ondoso prevalente da sud-sud-est.
La diminuzione degli apporti solidi dall'entroterra viene attribuita
principalmente alle sistemazioni idrauliche-forestali dei bacini fluviali e
torrentizi, che riducono la portata solida a meno della metà del valore
naturale, alla estrazione indiscriminata degli inerti (sabbie e ghiaie) lungo
gli alvei fluviali ed alla costruzione, dagli anni '50 in poi, di importanti
laghi artificiali (Camastra sul Camastra, S. Giuliano sul Bradano,
Pertusilo e Cannano sull'Agri, ecc.). In particolare, le dighe esistenti sui
corsi d'acqua non solo trattengono quasi tutto il materiale solido
27
proveniente da monte, ma nella loro funzione di laminazione delle piene,
riducono le portate a valle e quindi la capacità di trasporto.
Infine, alcuni fenomeni di erosione costiera di torri antiche del XIII e
del XVI sec. d.C, rappresentano un arretramento della costa che non
dipende certamente dal mancato o diminuito apporto del corso d'acqua o
da interventi antropici, ma da fenomeni ben più generali quali
l'innalzamento del livello del mare o movimenti tettonici. Per quanto
riguarda i movimenti tettonici si ricorda che le aree del litorale ionico
della Basilicata sono attualmente soggette a movimenti di sollevamento,
inframmezzati da stasi e/o da deboli abbassamenti.
5.0 - LE ESONDAZIONI DEI CORSI D'ACQUA
Sono ben noti gli effetti disastrosi che le piene dei corsi d'acqua
possono arrecare ai circostanti territori a causa della forza erosiva delle
acque ed ai materiali che esse abbandonano al loro ritiro.
E' noto che una condizione di piena e di conseguente esondazione
avviene quando l'acqua di un fiume non può più essere contenuta entro i
limiti del suo alveo normale e quindi si espande sui terreni adiacenti
spesso sede di coltivazioni.
28
La maggior parte dei climi temperati defluisce su piane alluvionali
che possono essere esondate dalle acque fluviali nella stagione piovosa
(autunno-inverno), si combina con gli effetti di una falda freatica
superficiale.
Le esondazioni più disastrose non si verificano frequentemente ma
ciclicamente, portando all'abbassamento dei terreni che si trovano a
quote superiori all'alveo stesso. Il livello di esondazione di un fiume è
l'altezza idrometrica della massa d'acqua al di sopra della quale si
verifica l'alluvionamento per tracimazione. L'onda di piena, che porta ali'
esondazione, è caratterizzata da un iniziale incremento dei livelli fino ad
un valore massimo e poi, da un successivo progressivo abbassamento
degli stessi.
Queste condizioni e questi fenomeni si sono logicamente verificati
anche sulla fascia costiera ionica solcata, come si è detto, dai maggiori
fiumi della Basilicata.
Le prime notizie su fenomeni di alluvioni prodottisi in tempi storici ci
provengono dagli scavi archeologici condotti nella zona di Metaponto.
Infatti, sezioni stratigrafiche quivi effettuate hanno rivelato, attraverso il
rinvenimento sotto sedimenti alluvionali sabbioso-limosi di strutture
murarie antiche, il verificarsi in quest'area tra il VII ed il VI secolo a.C. di
29
almeno due episodi di alluvionamento. Gli scavi ed i ritrovamenti archeo-
logici effettuati abbastanza di recente mostrano, tuttavia, che un grande
episodio di esondazione che ebbe notevoli conseguenze si è verificato,
in questa zona, intorno al V secolo a.C. Tale episodio è stato identificato
in varie località, fra le quali vanno menzionate l'area dell'antica
Metaponto, la zona di Pantanello e la bassa valle del torrente Cavone, in
corrispondenza del Fosso Rullo, In particolare, nell'area di Metaponto
sono stati rinvenuti fra i 3 ed i 4 metri sotto il piano di campagna, resti ar-
cheologici rappresentati da strutture funerarie e stradali, riferibili agli inizi
del V secolo a.C., completamente divelle e ricoperte da alluvioni
sabbiose.
Esistono numerose testimonianze riguardanti i fenomeni verificatisi
nel corso degli ultimi due secoli. Le testimonianze relative alle alluvioni
prodottesi nel corso del secolo scorso sono piuttosto frammentarie,
mentre sono abbondanti e circonstanziate quelle riguardanti le
esondazioni avvenute nel nostro secolo.
Per quanto concerne il XIX secolo, si hanno alcuni dati indicanti che
nel materano fenomeni di alluvionamento di una certa importanza si
verificarono nel 1844 e nel 1858. Nel nostro secolo, esondazioni che
30
ebbero notevoli conseguenze sul metapontìno si verificarono negli anni
1946, 1959, 1972 e 1985.
L'alluvione del 1946 si verificò nei giorni 7 ed 8 novembre durante i
quali le precipitazioni totalizzate superarono i 300 metri; a
Montescaglioso si registrarono eccezionali intensità orarie che
superarono i 72 mm/ora.
L'evento alluvionale determinò notevoli piene nei bassi tronchi dei
fiumi Bradano, Basento, Cavone e Agri e nella piana di Metaponto si
ebbero allagamenti di diverse zone a seguito della tracimazione dei
menzionati corsi d'acqua. Il 24 novembre del 1959 la fascia ionica fu
colpita da quella che possiamo considerare la più forte alluvione del
nostro secolo. Le zone maggiormente interessate risultarono essere le
bassi valli dei fiumi ionici e la superficie coinvolta dall'evento fu di 8.324
chilometri quadrati. Il centro di massima precipitazione fu Pisticci, dove
sì registrarono circa 314 millimetri di pioggia; quivi, in un sol giorno
cadde 1/3 di pioggia totalizzata in un anno. Le portate dei corsi d'acqua
ionici risultarono essere le massime del periodo 1921-70. Le piene
provocarono I' esondazione dei detti fiumi e le acque allagarono una
superficie di circa 4.000 ettari.
31
L'alluvione del 1972 si verificò nei giorni 18 e 19 gennaio e le
precipitazioni maggiori si ebbero nella media valle del fiume Basento e
nell'alta valle del torrente Salandrella. In particolare a Calciano ed a
Stigliano si registrarono, rispettivamente, 310 e 305 millimetri di pioggia.
A Calciano, il 19 gennaio, le precipitazioni furono quasi pari alla metà
della media annua di un cinquantennio.
Queste forti precipitazioni, aumentarono la portata dei corsi d'acqua
menzionati e gli effetti si risentirono soprattutto nel Metapontino dove il
Basento ed il Cavone strariparono, allagando centinaia di ettari di terre-
no.
L'ultimo evento alluvionale di notevole entità risale ali' inverno del
1985, allorquando alcuni dei corsi d'acqua solcanti la piana Metapontina
tracimarono ed allagarono estesamente le aree circostanti. Infatti il
Basento, il Cavone e I' Agri, a causa delle forti precipitazioni,
aumentarono notevolmente le loro portate fino a quando, superati gli
argini, invasero la piana alluvionale.
Notevoli furono i disagi per le popolazioni quivi residenti, ingenti
risultarono essere i danni subiti dalle colture, soprattutto nella zona di
"Conca d' Oro" e di "Criminale" nei pressi di Scanzano Jonico.
Quest'area si presentava come un enorme lago di acqua e fango.
32
Lo studio condotto sulle maggiori alluvioni che hanno colpito la
Basilicata negli ultimi cinquantanni, ha consentito la realizzazione di un
quadro generale di questi eventi e delle loro caratteristiche salienti. Il
numero di questi eventi però, alquanto limitato nel periodo considerato,
non consente attendibili osservazioni statistiche.
L'analisi delle caratteristiche pluviometriche dei singoli eventi
alluvionali permette, infatti, solo in modo limitato di formulare ipotesi o
indicazioni preliminari di ordine generale.
E" comunque certo che la Basilicata è una regione dove gli eventi
alluvionali si manifestano con una frequenza piuttosto bassa. Inoltre, i
caratteri delle alluvioni lucane, pur risultando per la zona esaminata i
massimi pluviometrici del periodo di osservazione (1921-1980), non
appaiono elevati o eccezionali specie se confrontati con quelli riscontrati
nella vicina Calabria.
Dall'analisi dei dati raccolti sugli Annali Idrologici del Servizio
Idrografico dello Stato, si | è potuto osservare l'entità delle precipitazioni
e le conseguenti portate massime dei corsi d'acqua in un certo periodo
considerato.
33
In base a tali dati è stato possibile, successivamente, ricavare gli
intervalli di tempo (periodi di ricorrenza) che sono intercorsi tra una piena
e l'altra. Ciò è stato possibile adoperando la seguente formula di Kimball:
T= n+1 /m
dove T è il periodo di ricorrenza, n il numero di anni considerato ed
m il numero d'ordine della piena.
Se ne è ricavato così un quadro generale, anche se indicativo, degli
eventi di piena che si sono succeduti nel tempo in riferimento ai dati che
concernono il Basento. In base a questi dati si può osservare, ad
esempio, che una piena come quella verifìcatasi ne! 1959 per il Basento,
si può riproporre, in base alla formula di Kimball, ogni 31 anni circa.
Infatti si ha:
T= 30+1 =31
dove 30 è il numero di anni preso in considerazione ed 1 il numero
d'ordine della piena (1 è la piena di maggiori dimensioni). Dall'analisi
delle maggiori alluvioni verificatesi negli ultimi 30 anni in Basilicata, è
stato Possibile individuare in grandi linee le zone Più frequentemente
interessate da tali eventi che possono essere indicate nella parte
34
inferiore e collinare dei maggiori corsi d'acqua con foce allo Ionio. Il
bacino meno interessato dagli eventi alluvionali esaminati risulta quello
del Bradano.
Da mettere infine in evidenza come la maggiore parte delle alluvioni
si siano verificate nel mese di novembre.
Dall'analisi delle conseguenze prodotte sul territorio dagli eventi
alluvionali ricordati si è constatato come a pagare le più pesanti
conseguenze siano le zone pianeggianti e quindi più produttive della
regione. Infatti, in occasione degli eventi alluvionali di maggiori
dimensioni, allorquando i fiumi allagavano le aree circostanti, la piana si
presentava come un immenso lago di acqua e fango. Tale fenomeno è
da attribuirsi anche al fatto che in questa zona la falda acquifera sotter-
ranea risulta essere molto superficiale, con conseguente rapido
innalzamento della stessa in periodi caratterizzati da notevoli
precipitazioni.
Zone come "Conca d'Oro" e "S. Teodoro", "S. Basilio" e "Terzo
Cavone" sono state, e lo sono tuttora, le zone che maggiormente hanno
subito e subiscono il flagello delle alluvioni, con grande danno alle
colture che ivi si praticano.
35
6.0 - CARATTERI FISICO-CHIMICI DEI SUOLI E DELLE ACQUE
DI FALDA
II litorale ionico metapontino si è formato dall'espandimento dei
maggiori fiumi lucani sui depositi costieri lasciati dalla regressione
marina del Quaternario. Questa fascia alluvionale, larga dai 2 ai 5 km, è
separata dal mare da un cordone di dune più o meno consolidate ed è
delimitata, a monte da una serie di terrazzi quaternari costituiti da
ciottoleti sabbiosi, sovrastanti formazioni argilloso-marnose.
In tale ambiente geomorfologico i suoli risentono ancora dei
caratteri propri dei materiali originari: sulla linea di costa prevalgono suoli
sabbioso-calcarei; mentre nella parte valliva e pianeggiante, i suoli
alluvionali sono ancora poco evoluti e poggiano su potenti depositi
argillosi; per le condizioni, sfavorevoli di struttura, tessitura e
permeabilità, associate ad un morfologia piatta e a volte a livello marino,
ancora tuttora sono possibili ristagni di acqua e risalite stagionali di una
falda acquifera subsuperficiale più o meno salmastra che possono
causare un accumulo di sali e di sodio nativi o apportati con le acque
irrigue o di ruscellamento superficiale o subsuperficiale.
La presenza nel suolo di tali falde favorisce l'originarsi di ambienti
idromorfici ed asfittici in cui prevalgono i processi riduttivi e putrefattivi,
36
l'accumulo di sali solubili e l'aumento di ioni sodio scambiabili che
incidono negativamente sulle proprietà strutturali e nutrizionali del suolo,
limitandone la sua utilizzazione agronomica (lavorazioni, irrigazioni,
impiego di specie vegetali, ecc.).
Il suolo, privo di ghiaia e ciottoli e con elevati contenuti delle
particene più fini (limo ed argilla), rientra nella classe fessurale dei suoli
argillosi fini con una variabilità minima, sia verticale che orizzontale; la
natura montmorillonica dell'argilla rende quest'ultima scarsamente
aggregata in superficie, divenendo massiva e compatta negli strati più
profondi.
Tipico comportamento dei suoli argillosi fini: durante la stagione secca tali suoli si contraggono formando profonde fessure (1 ) nelle quali successivamente ricadono porzioni di suolo superficiali (2); durante la stagione umida i terreni argillosi rigonfiano inglobando i materiali precedentemente caduti nelle fessure (3).
Per la presenza di ioni sodio e magnesio di scambio, che
aumentano con la profondità, i suoli risultano alcalini; scarse risultano
invece le dotazioni di sostanza organica e dei principali nutrienti (N, P,
K).
37
La Capacità di Scambio Cationica (CSC, che esprime la potenziale
produttività del terreno, cioè la sua capacità a trattenere e fornire alcuni
nutrienti per le piante) in questi suoli è abbastanza elevata, da 22
meq/100 g a 26,11 meq/100 g di terreno con l'approfondimento del
profilo e data !e scarsità di sostanza organica, va attribuita totalmente
alla frazione argillosa.
La capacità idrica di ritenuta si aggira in media sul 15%, quindi è
bassa, conseguente alla tessitura sabbiosa. Per questo motivo,
connesso alle caratteristiche climatiche della zona, tali suoli sono
tendenzialmente aridi.
Nel complesso questi suoli sono dotati di scarsa fertilità, che però
può essere incrementata mediante idonei interventi agronomici. Infatti i
pregi di essi sono: la scioltezza e quindi la facile lavorabilità, la quasi
assenza dello scheletro e la prontezza con cui reagiscono ai fertilizzanti.
Inoltre, grazie sempre alla loro scioltezza, è possibile lavorare anche il
substrato.
I difetti stanno nella povertà di humus e di elementi nutritivi e nel
valore molto basso della capacità idrica di ritenuta e quindi nella già
ricordata elevata aridità. Si può ovviare a ciò mediante concimazione e
irrigazione abbondanti.
38
Nelle aree più vicine alla spiaggia, dove la sabbia è più soggetta a
fenomeni di erosione o di accumulo eolico, la fertilità è nulla o quasi
nulla.
Tra le dune possono riscontrarsi depressioni, a drenaggio impedito
o difficile: qui si sono formati suoli alluvionali, a granulometria fine, limo-
argillosi o argillosi, spesso con torba.
La loro aridità costituzionale e l'instabilità del substrato roccioso
incoerente, sottoposto alla elevata erosione eolica che sposta ed
accumula continuamente gli strati più superficiali di sabbia, non
consentono una differenziazione genetica di orizzonti. Solo nelle aree
retrodunari, più protette dai venti marini e dove è insediata una più folta
vegetazione spontanea oppure sono stati effettuati rimboschimenti,
l'orizzonte di superficie presenta un certo accumulo di sostanza organica
e può diventare relativamente profondo con le caratteristiche tipiche di
un regosuolo.
A questi suoli salini corrisponde una vegetazione caratteristica,
composta da una mescolanza di alcune specie alofite.
39
Le acque di falda
Piuttosto difficile appare il problema relativo all'origine ed alla natura
dei sali presenti nella falda acquifera, il cui spessore e profondità variano
nel tempo.
Uno dei principali fattori della valutazione di un'acqua irrigua è dato,
come é noto dal SAR (rapporto di adsorbimento sodico), che valuta il
rischio di sodicizzazione di un terreno a seguito di una irrigazione con
acqua più o meno salmastra: per il loro elevato contenuto in cationi Na e
anioni CI e S04, le acque di falda mostrano un SAR sempre superiore a
15 con massimi proibitivi di 40 e oltre.
7.0 – CLIMA
IL clima del territorio costiero metapontino può definirsi tipicamente
mediterraneo, caratterizzato da estati calde e secche ed inverni miti e
più piovosi. Il periodo di aridità, corrispondente ai mesi estivi, è piuttosto
pronunciato ed ha una durata variabile dai tre ai cinque mesi consecutivi
con una media di più di quattro mesi. Le precipitazioni sono concentrate,
più che altro, nel periodo invernale con eminente carattere temporalesco
e presentano una media annua intorno ai mm 500. Complessivamente,
quindi, è una delle aree più aride della penisola. Ciononostante, il
40
territorio in esame risente del benefico influsso mitigatore dello Jonio e
questo risulta di notevole rilevanza anche per il fatto che detto mare
risulta mediamente notevolmente profondo (intorno ai 1.000 metri e più).
Altro fattore concorrente a tale influenza è costituito dalla notevole
ampiezza del Golfo di Taranto, nella cui parte centrale di già si
raggiungono le profondità suddette.
Ai fini di una più approfondita conoscenza delle vicende climatiche
di questo territorio, vengono qui di seguito considerati i dati metereologici
principali rilevati nelle stazioni dì Metaponto e di Taranto e reperiti dagli
Annuari di Statistiche Metereologiche a cura dell'I.S.T.A.T., tenendo
presente che questi dati possono ritenersi sufficientemente validi per
un'attendibile analisi della zona in esame, essendo quest'ultima ubicata
a brevissima distanza dalle stazioni di rilevazione su indicate. I fenomeni
metereologici Presi in esame sono: le precipitazioni e le temperature
considerate per la stazione dì Metaponto, lo sfato del ciclo , ed il regime
dei venti per la stazione di Taranto. Per temperatura, s'intende lo stato
termico dell'atmosfera esistente in un punto ed in un momento
determinato.
Per precipitazione, s'intende qualunque forma di acqua atmosferica
che raggiunge la superficie terrestre, sia allo stato liquido che solido. Le
41
forme principali di precipitazione sono: la pioggia, la neve, la grandine, la
rugiada, la brina.
Per sfato del cielo, s'intende la quantità di cielo coperto da nubi ad
un dato istante e in un determinato punto della superficie terrestre.
Con il nome di vento, s'intendono le correnti, orizzontali o quasi,
determinate dagli spostamenti delle masse d'arie, rilevate in un
determinato punto della superficie terrestre. Il vento viene considerato
nelle tavole come intensità, direzione e provenienza rilevabile al suolo
del territorio considerato. La direzione viene indicata con riferimento agli
otto raggi principali del quadrante della bussola: N.-S-, N.E.-S.W., E.-W.,
S.E.-N.W, S.-N., S.W.-N.E., W.-E., N.W.-S.E. Il senso o provenienza,
lungo le varie direzioni, viene indicato con la denominazione del punto
cardinale da cui il vento spira. I valori mensili ed annuali delle
temperature e delle precipitazioni, riportati per ogni anno considerato in
apposite tabelle, sono quelli che ricoprono un arco di tempo di 23 anni e
cioè quello intercorrente tra gli anni 1.959 e 1.981. Dati più recenti a
questi non sono stati possibili reperirli, essendo stati non ancora
pubblicati dall'l.S.T.A.T. I dati di temperatura riportati in ogni tabella, si
riferiscono a cinque valori caratteristici, tre medi e due estremi.
42
I valori medi sono: Stemperatura media massima, che si ottiene
sommando i valori di tutte le temperature massime giornaliere rilevate
nel periodo del mese considerato e dividendo la somma per il numero
degli addendi; la temperatura media minima, che si ottiene dalle
temperature minime giornaliere, con lo stesso procedimento indicato per
le temperature medie massime; la temperatura media diurna, che si
ottiene sommando i valori di tutte le temperature massime, quelli di tutte
le temperature minime ed eventualmente quelli di tutte le temperature
istantanee (cioè quelle prese in una determinata ora del giorno
considerato), rilevate nel periodo considerato di un mese e dividendo la
somma per il numero degli addendi.
I valori estremi sono: la temperatura estrema massima, cioè la
temperatura massima più elevata fra tutte quelle rilevate nel periodo di
un mese, e la temperatura estrema minima, cioè la temperatura minima
più bassa fra tutte quelle rilevate nel periodo di un mese.
Per quanto riguarda, invece, i dati delle precipitazioni riportati nelle
tabelle, questi si riferiscono ai valori totali, agli estremi massimi ed alle
frequenze.
43
La precipitazione totale, cioè la quantità complessiva di
precipitazione che cade in un determinato punto di territorio nell'arco di
mese considerato.
La precipitazione estrema massima, cioè la quantità di
precipitazione (considerata come singolo evento) più alta fra tutte quelle
rilevate nel mese considerato. La quantità di precipitazione viene
espressa in millimetri (mm); un millimetro di altezza corrisponde ad un
litro di acqua su una superficie di un metro quadrato.
Il numero di giorni di precipitazione nel mese considerato si dice
frequenza (indicata nelle tabelle con F).
Infine, dai dati sulle temperature e sulle precipitazioni riportati in
ciascuna tabella annuale lo Studio ha redatto una tabella di sintesi che
considera la temperatura estrema massima e la temperatura estrema
minima, nonché la precipitazione estrema massima, la precipitazione
estrema minima e la frequenza estrema massima e quella estrema
minima rispettivamente come la temperatura, le precipitazioni e la
frequenza con i valori più alti rinvenuti nell'arco di tempo dei 23 anni
suddetti per un determinato mese considerato. Gli anni in cui sono stati
riscontrati questi valori sono riportati in parentesi. Nella stessa tabella
sono, poi allo stesso modo, riportati per ogni mese considerato i valori
44
della temperatura, delle precipitazioni e della frequenza espressi come
medie fra quelli riscontrabili nei 23 anni. In questo stesso senso, sono
anche da considerare le temperature medie massime e quelle medie
minime.
In questa tabella riassuntiva, la considerazione delle medie delle
temperature massime diurne e di quelle delle minime, risulta molto utile
sia per la conoscenza diretta dei valori che la temperatura assume nei
vari mesi nella stazione considerata, sia per la determinazione
immediata della escursione media diurna nei mesi correlativi, altro dato
dì fondamentale importanza a tutti gli effetti.
Tra le medie delle temperature massime acquistano particolare
importanza quelle del mese dì luglio e di agosto, perché indicanti il
tenore della calura estiva nella zona del metapontìno, mentre le medie
delle temperature minime, rilevabili nei mesi di dicembre e di gennaio,
assumono particolare importanza perché precisano l'entità dei rigori
dell'inverno.
D'altronde, le temperature medie mensili indicano che nella zona in
oggetto i mesi con le più elevate temperature sono luglio ed agosto con
valori dì circa 25°, mentre i mesi più freddi cadono a dicembre e gennaio
45
con valori rispettivamente di 9,5° e di 8,1°. La temperatura media
annuale è, invece, risultata essere di 16,3°.
Le medie semestrali ottobre-marzo e aprile-settembre sono
rispettivamente di 11,5° e di
21,1°. Comunque, i mesi che presentano temperature medie al di
sopra dei 20°, come si evince dalla tabella riassuntiva, sono: giugno,
luglio, agosto e settembre.
Nell'arco dei 23 anni considerati, i valori massimi assoluti di
temperatura sono stati riscontrati sempre a luglio ed agosto con 41°,
mentre i valori minimi sono stati rinvenuti a gennaio e a febbraio con -
5,3°.
La stagione estiva si diversifica da quella invernale, oltre che dai
valori più elevati delle temperature, anche dai valori maggiori delle
escursioni medie diurne. Infatti, le più alte escursioni si rinvengono in
luglio ed agosto con valori rispettivamente di 14,6° e di 14,3°, mentre
dicembre e gennaio presentano i valori minimi rispettivamente di 9,3° e
di 8,9°. L'escursione media annuale è risultata essere di 11,7°.
La differenza tra le medie dell'aprile e quelle dell'ottobre variano a
vantaggio dell'ottobre di 3 gradi e mezzo, ciò che costituisce un
favorevole indice di marittimità.
46
Se ora sì considerano le precipitazioni, risulta che il valore medio
annuo è di mm 499,8. Questo dato, conferma la semiaridità del clima di
questo territorio.
Le medie semestrali ottobre-marzo e aprile-settembre sono
rispettivamente mm 57,3 e mm 22,8.
Pertanto ad un maggiore valore della temperatura corrisponde, nei
due semestri presi in considerazione, un minor valore delle altezze delle
precipitazioni e viceversa. Questa circostanza è importante nei riguardi
della evapotraspirazione, anche ai fini del contributo che le acque di
pioggia possono dare alla penetrazione e alla circolazione delle stesse
nel suolo e nel sottosuolo.
Le medie mensili sono più elevate dall'ottobre al gennaio (da mm
58,0 a mm 65,1);
i minimi di piovosità mensili restano compresi tra i mesi di giugno e
settembre (da mm 15,3 a mm 20,1).
Nell'arco dei 23 anni considerati, tra i valori assoluti dei massimi
mensili di precipitazione riscontrati risaltano i mm 263 del mese di
novembre dell'anno 1.959, i mm 260,6 del mese di gennaio dell'anno
1.972 e i mm 209,4 del mese di ottobre dell'anno 1.966. Il quantitativo di
47
acqua che si ebbe nei suddetti periodi superò abbondantemente il valore
di 1/3 del totale di precipitazione annua.
Le tavole della ventosità, che si riferiscono a misurazioni del vento
al suolo effettuate nella stazione di Tarante e per un periodo di tempo di
16 anni dal 1.960 al 1.982, mostra che ivi i venti prevalenti sono quelli di
Nord-Ovest, dì Nord, di Sud-Est e di Sud. Inoltre, si può notare che dagli
anni 1.971 e 1.972 si assiste ad un netto cambiamento della
provenienza dei venti prevalenti a favore dì quelli di Nord-Ovest e di
Sud-Est rispetto a quelli di Nord e di Sud.
In estate le masse d'aria che giungono dal Sahara, trasportate dai
venti di Sud-Est, determinano lunghi periodi di bei tempo e siccità.
8.0 - VEGETAZIONE REALE E POTENZIALE
Mentre al di là del Bradano, già in territorio pugliese, la fascia
costiera è caratterizzata dalla presenza di una pineta biogenica a Pino
d'Aleppo (Pinus halepensis), parallelamente alla linea di costa, ricca di
sottobosco con tipiche specie proprie della macchia mediterranea, il
litorale metapontino è oggi un succedersi monotono di larghi arenili
incolti e di aree dunose e golenali interessate da una vegetazione
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cespugliosa, a tratti arbustiva , specialmente in prossimità dei corsi
d'acqua.
La vegetazione di questo tratto di costa ionica, a causa delle
particolari condizioni pedoclimatiche è costituita principalmente da una
macchia a specie termofile sempreverdi e rientra nel climax dell'Oleastro
e del Carrube {Oleo-Ceratonion Br.-BI. 1.936). Tale macchia, per cause
prevalentemente antropiche che hanno operato nel passato, non può
essere considerata un aspetto stabile della vegetazione, ma rappresenta
una forma di degradazione, più o meno spinta, da intendersi in senso
dinamico, cioè in lenta e continua trasformazione o verso un ulteriore
stadio di degradazione, qualora l'uomo intervenga con le sue attività di
taglio, incendio o pascolamento, o verso il recupero della vegetazione
originaria, quanto più a lungo essa sia lasciata in condizioni naturali.
La ricchezza dei microambienti che si rinvengono lungo questa
fascia di litorale, si riflette spesso in una particolare espressione
morfologico-adattativa delle specie vegetali, caratterizzata da un
elevatissimo grado dì specializzazione. Sulle creste dei cordoni delle
dune attuali e di quelle antiche, più o meno pianificate dall' azione
atmosferica, la vegetazione ha carattere xerofilo (cioè adatto a vivere in
condizioni di aridità) ed è in genere rappresentata da una dominanza di
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graminacee cespugliose, rientranti per la maggior parte dei casi nel
gruppo delle "psammofili". Molte di queste piante erbacee, svolgono
un'importante azione protettiva nei confronti della morfologia del suolo;
infatti esse possiedono meccanismi fisiologici molto specializzati
consistenti di apparati radicali stoloniformi che, estendendosi per vari
metri intorno ad ogni pianta, formano una sorta di scheletro che sostiene
le dune e consente, nello stesso tempo, un più efficiente
approvvigionamento idrico alla pianta stessa. In questo senso, nasce I'
esigenza di salvaguardare questo tipo di vegetazione, tenendo conto
che i cordoni dunali rappresentano un'efficace barriera protettiva,
soprattutto contro l'azione del vento che trasporta sabbia e salsedine)
nei confronti di tutto ciò che si trova nell'immediato entroterra (ad es. per
le colture).
Fra queste erbacee, una specie che sì presenta anche abbastanza
diffusamente è lo Sparto pungente (Ammophila arenaria), costituita da
grossi cespugli formati da un ciuffo denso di foglie, di 60-120 centimetri
dì altezza, lineari, flessibili; tenaci e piuttosto pungenti; gli alti culmi
terminano in pannocchie strette e cilindriche, grigio-giallastre, recanti
spighette uniflore.
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Altre specie erbacee caratteristiche dì queste specifiche zone, sono
la Calcatreppola marittima (Eryngium maritimum), un'ombrellifera alta
pochi decimetri, con fusti cilindrici finemente scanalati e foglie coriacee e
spinose di colore verde-glauco, i cui fiori sono riuniti in ombrelle
spinescenti di color viola-ametista, e l'Euforbia marittima [Euphorbia
paralias), una pianta glabra, rigidamente eretta, con base legnosa e con
una infiorescenza terminale a ombrella. Assieme a dette piante troviamo
parecchie altre specie classiche dell'ambiente; tra queste meritano una
menzione il Vilucchio marittimo {Calystegia soldanella), caratterizzata da
bei fiori imbutiformi vivacemente colorati, e il Giglio marino (Pancratium
maritimum), dalle profumatissime fioriture estive.
Sul sistema dunale ed in particolare sulle sue parti più elevate, si
insediano, non di rado, arbusti di ginepri, corrispondente ali' Oleo-
Ceratonion primario, costituiti da specie di Ginepro coccolone {Juniperus
oxyce-drus), così chiamato per le sue grosse coccole (bacche) pruinose
ed opache di colore rosso-bluastro.
La vegetazione ha l'acqua come fattore principale di variazione
ecologica: piccole variazioni nella concentrazione di umidità, a livello del
suolo, possono indurre cambiamenti globali di composizione floristica,
anche su superfici ridotte. Così, negli avvallamenti interdunali o nelle
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zone più prospicienti ai corsi d'acqua tendono a concentrarsi gli
aggruppamenti più igrofili, in quanto possono beneficiare di maggiore
umidità del suolo che ivi di più frequente si accumula. Di queste aree
sono proprie il Giunco nero (Schoenus nigricans}, una ciperacea che
forma densi cespugli, tipica dei suoli sciolti ed aerati, con forte umidità e
capace di vivere con le radici a contatto sia dell' acqua dolce sia di
quella debolmente salmastra, e l'Erianthus ravennae, una graminacea
robusta ed alta. che nella tarda estate emette uno o più culmi centrali
diritti e cilindrici, con notevole sviluppo in altezza (fino a quattro metri),
dal cui apice si svolge una vistosa pannocchia soffice e bianco-lanosa.
Inoltre, specie in questi luoghi si riscontrano forme molto specializzate a
causa dell'adattamento all'ambiente salmastro che si viene a creare li
dove il mare in occasione di maree o di tempeste, l'acqua marina vi può
penetrare che successivamente evaporando da luogo ad un suolo
coperto da una crosta millimetrica biancastra di sale.
Tale suolo si forma anche in corrispondenza delle zone ove l'acqua
della falda sotterranea salmastra risalendo attraverso il terreno sabbioso,
deposita in superficie i cristalli di sale, i quali formano spesso dei manti
continui biancastri estesi per diverse decine di metri. Le piante che
vivono su questi suoli imbevuti o inondati da acqua salata, dette "alofite",
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presentano fisionomie e adattamenti assai simili a quelli delle piante che
vivono su suoli aridi. L'abbondanza d'acqua è frustrata dal contenuto di
sale, che concentra le soluzioni circolanti rendendole assorbibili solo da
piante che, come le alofite, abbiano succhi cellulari con alte pressioni
osmotiche. Molte piante dei suoli salsi sono succulente, accumulano
cioè riserve d'acqua nei tessuti e presentano anche riduzioni delle
superfici fogliari traspiranti, per ridurre al minimo le perdite d’acqua. Le
specie alofili che si rinvengono su questo litorale, sono costituite
soprattutto da Atriplice portulacoide (Atriplex portulacoides) e da
Salicornia glauca (Anthrocneum macro-spachyum) che in associazione
formano dei vivaci tappeti erbosi dal colore giallo dei loro fiori. Rinvenibili
di frequente sui suddetti suoli sono anche il Ravastrello marino (Cafjle
marittima), una crucifera con fiori di color rosa pallido, e la Statice
cespugliosa (Limo piastrum monopetalurri), piccolo frutice molto
ramificato con fiori di colore rosa.
In prossimità dei corsi d'acqua ivi presenti (Bradano, Basento e
Cavone), la vegetazione diviene molto più fitta, a tratti impenetrabile,
mentre le zone più umide sono occupate da colonie di Cannuccia
{Phragmites australis), si ritrovano, anche, alcuni esemplari di specie
arboree introdotte in passato dall'uomo e che sono rappresentate
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principalmente da pini d'Aleppo, tamerici ed eucalipti. In questi luoghi,
inoltre, a testimonianza di una vegetazione preesistente all'intervento
antropico di bonifica, si rinvengono individui di Pioppo bianco (Populus
alba).
In questi tratti si possono osservare vigorosi esemplari, anche di
dimensioni ragguardevoli, accanto a nuclei di giovani piante o singoli
esemplari che emergono da cespugli di Lentisco (Pistacia lentiscus).
Oltre al Lentisco, vi sono altre specie arbustive sempreverdi tra cui le più
diffuse sono: il Ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus}, I'aIlatro
comune (Phyllirea iatifolia), l’Alaterno [Rhamnus alaternus) ed il Mirto
(Myrtus communis), mentre tende a scomparire il Rosmarino. Non
mancano in questi luoghi jelementi floristici, fra cui degni di nota sono il
Legano {Vitex agnus-castus), specie pa-jleo-tropicale dai fiori piccoli
profumati e dal colore violaceo, lo Gnidio (Daphne gnidìum) dai bei fiori
bianco-giallastri, lo Spazzaforno (Thymeiaea hirsuta), caratterizzato da
un piccolo frutice molto ramificato, e I' erbacea Liquirizia (Glycyrrhiza
glabra). La fascia litoranea jonica riserva anche ampie zone (ad
esempio in località lido di Quarantotto) rimboschite a pineta, dove oltre
alla specie arborea dominante, Pino d'Aleppo (Pinus halepensis), si è
sviluppato un sottobosco in cui predominano l'aIlatro comune, il
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Lentisco, il Rosmarino, il Mirto, il Cisto rosso ed il Cisto femmina (Cistus
incanus e C. salvifolius), che diventano abbondanti nei tratti mag-
giormente illuminati. Molte delle specie arbustive su elencate, sono
comunque presenti, anche se in modo più sparso, su tutta la piana
alluvionale.
9.0 - FAUNA
La presenza di ambienti vari e limitrofi fra loro, riscontrabili nel tratto
costiero metapontino, conferiscono dal punto di vista faunistico
caratteristiche peculiari non presenti in alcun tratto costiero del tarantino.
Così, la vicinanza del mare, la presenza delle foci dei corsi d'acqua
Cavone, Basento e Bradano, nonché di superfici allagate
temporaneamente o permanentemente, sono, soprattutto, un supporto
notevole per l'avifauna in ogni periodo dell'anno e particolarmente nella
stagione primaverile. La presenza contemporanea di questi ambienti in
ristrette aree è, quindi, uno dei fattori che rende la zona ospitale per
numerose specie di uccelli.
Sulla battigia e sull'arenile in ogni periodo dell'anno è frequente
l'osservazione di numerose varietà di Gabbiano {Larus), quali il Gabbiano
comune {Larus ridibundus), il Gabbiano reale (Larus argentatus cachin-
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nans), lo Zafferano {Larus fuscus), Gabbiano corallino (Larus
melanocephalus), Gabbianello {Larus minutus), di Steme sp., nonché del
Fratino {Charadrius alexandrinus), la cui colorazione del piumaggio,
simile a quella della sabbia, lo rende di difficile individuazione.
Nel periodo primaverile, si possono osservare la Beccaccia di mare
{Haematopus ostralegus) ed il Piovanello tridattilo {Cro-cethia alba) che
segue, quest'ultimo, ritmicamente il frangersi delle onde. Sui cordoni
sabbiosi delle dune e fra i bassi cespugli di macchia mediterranea,
sempre in primavera, può incontrarsi l'Occhione (Burhinus oedicnemus)
ed anche il Fanello {Carduelis cannabina} e lo Zigoio nero (Em-beriza
cirlus) che vi nidificano. Le fascie più cespugliose ospitano diverse specie
passeriformi, quantitativamente più abbondanti nei periodo invernale, che
si riuniscono ivi per riposare dopo aver vagabondato fra i campi in cerca
di pastura. Questo è particolarmente vero per il Fringuello {Montifringilla),
il Verdone {Chiorìs chioris), il Cardellino {Carduelis carduelis), tutti
nidificanti, mentre il Lucherino {Carduelis spinus) è presente solo nella
stagione più fredda.
Nel folto dei canneti, in inverno, si rinvengono per la nidificazione il
Pagliarolo {Acroce-phalus aquaticus), il Cannareccione {Acro-cephalus
arundinaceus) e la Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), mentre negli
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angoli più tranquilli ed inaccessibili nidificano la Gallinella d'acqua
{Gallinula chioropus), la Folaga {Fulica atra), il Porciglione {Rallus
acquaticus) e il Tuffetto {Tachybaptus ruficois).
Sugli alberi di Tamerice e di Acacia che costeggiano i corsi d'acqua e
il Lago Salinella, costruisce il suo caratteristico nido il Pendolino {Remiz
pendulinus), anch'esso presente in ogni periodo dell'anno. Le superfici
allagate, durante il periodo .primaverile, ospitano diversi limicoli quali il
Gambecchio sp. (Calidris), la Pettegola ( Trin-ga totanus), il Piro-piro
boschereccio (Trin-ga glareola) e quello piccolo (Actites hypo-leucos),
quest'ultimo rinvenibile anche presso la foce dei fiumi.
E' regolare, poi, la presenza primaverile del Cavaliere d'Italia
(Himantopus himantopus) e del Mignattaio (Plegadis falcinellus). Nelle
stesse zone e sui canneti si possono osservare non di rado il Falco di
palude (Circus aeroginosus) e altri rapaci tra i quali il Gheppio (Falco
tinnunculus).
Per quanto riguarda gli Aironi, che compaiono in primavera, può
essere numerosa la presenza di Garzetta (Egretta alba). Airone grigio
(Ardea cinerea) e Sgarza ciuffetto (Proteo/a ralloides).
Fra le specie riscontrabili in acqua dei fiumi, si ricordano l'Alzavola
(Anas crocea), il Germano reale (Anas platyrhynchos), la Marzaiola ed il
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Mestolone (Spatula clypeata), mentre in inverno è consuetudine di alcune
specie (Luì piccoli, Migliarini, Ballerine bianche, ecc.) cacciare gli insetti
che ivi si concentrano.
Oltre a questa molteplice presenza dell'avifauna, l'ambiente fluviale e
quello degli specchi d'acqua di superfici allagate riserva una nutrita
presenza di insetti, tra cui vi fanno capo varie specie di Libellule e di
Coleotteri, ed anche vari anfibi quali la Salamandra sp. (Salamandra) e
poi il Rospo verde (Bufo viridis), la Raganella (Hyla arborea) e la Rana
verde (Rana esculenta) che riempiono con il loro gracidio le calde serate
estive. Non mancano in questi ambienti umidi, rettili quali la Tartaruga
palustre (Emys orbicularis) e la Natrice dal collare (Natrix natrix) e piccoli
mammiferi quali Arvicole sp. e Toporagno d'acqua (Neomys fo-diens).
10.0 IL PROGETTO VEGETAZIONALE
Le tipologie delle opere di ingegneria naturalistica saranno
principalmente quattro:
1. tecnico-funzionali, antierosive, di pulizia e consolidamento dei
pendii degli argini dei canali di bonifica delle acque piovane.
2. ecologiche, indispensabili a favorire la ricostruzione e l'innesco di
ecosistemi paranaturali;
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3. estetico-paesaggistiche, di ricucitura, ed adattamento al paesaggio
naturale circostante;
4. economiche, per conciliare l'aspetto ecologico-ambientale con
l'aspetto economico-produttivo.
Gli interventi devono, inoltre, soddisfare determinate condizioni
morfologiche-ecologiche: i caratteri della morfologia, dell'esposizione e
della pendenza, ed i loro rapporti con il clima e con i fattori primari come
la luce, temperature e precipitazioni, costituiscono fattori salienti per le
opere di restauro vegetazionale.
10a – Piccole zone da rimboschimento
Tali saranno realizzati nel verde pubblico attrezzato e verranno
seguiti criteri ecologico-selvicolturali basilari mettendo a dimora
solamente specie autoctone in luogo, impiegando specie a diversa
rapidità di crescita, con diverse dimensioni a maturità e diverso habitus, in
modo da sfruttare totalmente il biospazio epigeo disponibile e permettere
un equilibrato ispezionamento del terreno da parte degli apparati radicali
che si dispongono a diversa profondità.
Il fine è quello di ottenere un popolamento misto pluristratificato e in
futuro disctaneo al quale è riconosciuto il più alto grado di capacità
omeostatica e di resistenza alle cause avverse biotiche ed
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abiotiche.Secondo tale criterio inoltre sono valorizzate le specie che
favoriscono l'insediamento della fauna, in particolare dell'avifauna. La
scelta delle specie vegetali da impiegare per conciliare l'aspetto
ecologico-ambientale con l'aspetto economico-produttivo, seguendo i
criteri di:
a) coerenza con la vegetazione locale;
b) facilità di attecchimento;
e) facilità di reperimento sul mercato;
d) minima manutenzione;
e) valore estetico e paesaggistico;
f) valore tecnico-funzionale,
In particolare, la nuova copertura vegetale ricucirà la discontinuità
morfologica della vegetazione circostante e, inoltre, dovrà rappresentare
una struttura consona all'ambiente.
Infatti lungo la strada San Teodoro che porta al mare saranno messi
a dimora alberi di Eucalipi, che nella zona di intervento mancano, per
colmare la discontinuità di questi alberi presenti lungo la strada.
10b - Assetto pedologico
II terreno di riporto che ricoprirà le superfici e le parti scoperte delle
architetture non sarà sicuramente un terreno ad uno stadio "maturo" o più
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evoluto in senso pedogenetico in virtù della tale quantità di terreno
necessario; si impiegheranno, sicuramente, terreni carenti sotto l'aspetto
fisico, chimico e biologico, non immediatamente idonei ad accogliere un
popolamento forestale, per cui si dovrà intervenire agronomicamente
favorendo il raggiungimento di tale forma evoluta. Si ritiene che le
condizioni di vita migliori per le colture si abbiano con una reazione
neutra, ossia con un pH di 6.5 - 7.5, e tale deve essere il valore del pH
del terreno di riporto. Il valore del rapporto C/N dovrà essere desunto
dopo gli interventi biologici: si ritiene che un valore ottimale del C/N si
aggiri su 8 -12.
Per favorire l'insediamento della componente biologica sono indicati i
seguenti interventi:
Concimazione organica a base di letame per una dose minima di 250
q.li ad ettaro; Inoculi di humus elaborato in appositi terricciati;
Deposizioni di cosiddette lettiere " dolci " a basso C/N. Sarà quindi
opportuno seguire l'evolversi di tali processi attraverso periodici e costanti
prelievi ed esami.
10c - Interventi agronomici
Per completare l'assetto pedologico è necessario una lavorazione del
terreno, procedendo innanzitutto alla preparazione del letto di semina o di
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piantumazione, dando al terreno una sistemazione e conformazione atte
ad evitare il ristagno delle acque ed a ridurre il ruscellamento delle
stesse; quindi si deve eseguire un'aratura molto superficiale, profonda
circa 20 cm, ed effettuare un successivo affinamento del terreno.
10d - Interventi biologici
- Inerbimento:
L'inerbimento avrà il compito di migliorare la fertilità del suolo,
proteggendolo con le proprie strutture fisiche dall'erosione e nel contempo
esaltando alcune proprietà, in primo luogo la struttura, arricchendolo di
sostanza organica ed elementi nutritivi. L'azione antierosiva svolta dagli
apparati epigei del popolamento erbaceo consiste nel trattamento per
adesione sulla foglia di una certa quantità di acqua che può
successivamente essere dispersa nell'atmosfera ed in parte assorbita,
inoltre, gli apparati radicali svolgono funzioni altrettanto importanti quale
l'azione imbrigliante sugli agglomerati strutturali del terreno che possono
così resistere all'azione di trascinamento dell'acqua fluente.
Per quanto riguarda le specie la scelta verte all'interno della famiglia
delle Leguminose e delle Graminacee, famiglie complementari
nell'esercizio delle funzioni sopra citate e nelle esigenze ecologiche.
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11.0 INTERVENTI DI SISTEMAZIONE A VERDE
Gli interventi previsti saranno essenzialmente rivolti al restauro delle
associazioni vegetali esistenti nonché alla realizzazione di nuovi impianti
di piccoli boschi, macchie, siepi, alberature, prati e radure.
Tali interventi, oltre a qualificare il paesaggio, contribuiranno ad
assicurare il ricovero a molte specie animali, in particolare alla Avifauna.
Poiché lungo la Strada San Teodoro che collega la SS. 106 (Taranto-
Reggio Calabria) al mare, sono presenti grossi alberi di eucalipto, sarà
messo in atto un’azione di “cucitura” mettendo a dimora altre piante di
eucalipto nelle zone dove mancano.
Nelle zone residenziali (residence, case unifamiliari, albergo) lungo le
recinzioni saranno piantate siepi di Ligustro, Lauro Ceraso, Leylandi, Acer
Campestre tali da costituire una protezione ideale per la privacy e il vento,
nonché da coprire in parte i manufatti. All’interno delle strutture ricettive
saranno messi a dimora esemplari di agrumi (alberi simbolo della zona),
pini, ulivi, e palmizi. Per le zone destinate a verde e verde pubblico
attrezzato saranno messe a dimora alberature costituite da: pino, leccio,
acacia saligna, tamerice e arbusti come alaterno, fillina, lentisco, cornetta
dondolina, corbezzolo, bianco spino e viburno. Lungo i canali di bonifica
saranno messe a dimora piante di alloro per allontanare le zanzare.
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A conclusione di questa relazione, affinché gli interventi a farsi da
parte dei privati siano protetti occorre che l’Ente Pubblico faccia la sua
parte con il realizzare delle opere come:
Consolidamento delle dune consistente nel “fissare” la sabbia con
la diffusione di vegetazione autoctona come: sparto pungente,
gramigna delle spiagge ecc. e modificare l’altezza delle dune
attraverso la predisposizione graticciate costituite da pali in
castagno atte ad innescare il processo di formazione del cordone
dunale.
Rimboschimento di quelle superfici rappresentate da diverse radure
o chiarie che saltuariamente si riscontrano fra la vegetazione
arbustiva o arborea con tamerice, acacia saligna e principalmente
con pino d’Aleppo che tra le conifere impiegate e quella che ha
dato ottimi risultati.
Lavori selviculturali che consisteranno in interventi colturali tesi a
migliorare la struttura del bosco esistente con diradamenti selettivi
di leggera e moderata intensità con il taglio solamente delle piante
dominate, morte e seccagginose, in modo da non distanziare
eccessivamente le chiome degli alberi per evitare l’entrata di forti
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correnti d’aria che potrebbero compromettere la stabilità degli
stessi.