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Canzoni d’autore

Un cantante che sia anche autore della sua opera viene definito cantautore.

Cosa distingue lo stile cantautorale, dove musica e testi sono creati dalla stessa

persona (ad esempio Georges Brassens, il capostipite del genere) da quello nel

quale la musica è creata da un musicista ed i testi da un diverso autore? Ad

esempio Enrico Cossovich e Teodoro Cottrau sono autori di Santa Lucia, il brano

che Gianni Borgna indica come la prima canzone italiana: vi ricordate? Sul mare

luccica l’astro d’argento… E’ del 1848. Paradossalmente non esisteva ancora

l’Italia quando è nata la prima canzone italiana.

Di solito la composizione di un cantautore è una composizione musicale molto

caratterizzata, riconoscibile (Paolo Conte si individua dopo tre note) che

frequentemente impiega un solo strumento (di norma chitarra o pianoforte, anche

se è sempre più frequente il supporto di gruppi musicali allargati e arrangiamenti

sofisticati) ma soprattutto è caratterizzata dalla elevata qualità dei testi.

Diciamo che musica e testo devono essere talmente un unicum da rendere

impossibile la scissione: La Locomotiva di Francesco Guccini avrebbe mai potuto

essere creata da due distinte persone? Quindi, è un problema di simbiosi, di

sincretismo, di fusione: tant’è che quando gli autori, anche se sono due, sono così

uniti da sembrare uno solo (Lucio Battisti e Mogol, Riccardo Cocciante e Marco

Luberti) è difficile trovare differenze stilistiche ed espressive tra cantautori e

doppi autori.

La differenza non è data quindi dal numero degli autori, ma dalla qualità della

musica e del testo. E’ più corretto, quindi, non tanto parlare di cantautorato

quanto di canzoni d’autore.

Italia del dopoguerra: imperava la canzone, anzi la canzonetta. Derivata da un mix

che fondeva la tradizione napoletana, l’operetta, il cabaret, la musica da ballo e

soprattutto gli standard americani arrivati con lo sbarco alleato, il panorama della

musica d’autore era piuttosto deprimente.

Per sentire un nuovo modo di fare musica d’autore, in quel caso proprio

cantautorale, bisognava attendere l’arrivo dei dischi di Georges Brassens. Questo

chansonnier francese, mezzo italiano da parte di madre, nato a Sète il 22 ottobre

del 1921 e morto a Saint-Gély-du-Fesc sessanta anni dopo, poco prima del suo

compleanno, era un poeta, scrittore e attore di grande classe. Figlio di un

muratore e di Elvira Dagrosa, emigrata da Napoli, in quegli anni scriveva canzoni,

talune sentimentali e malinconiche, altre sarcastiche ed anticonformiste, tutte

comunque ricche di pathos, di ineguagliabile fantasia. Fu per De Andrè una vera

rivelazione: Faber tradusse e interpretò, per primo, Brassens in italia.

Si dice, con una certa esattezza, che il primo cantautore italiano sia stato

Domenico Modugno, un pugliese che tutti hanno, per anni, considerato siciliano.

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Probabilmente sarebbe più corretto, filologicamente, considerare come il primo

cantautore italiano un certo Michele Testa, in arte Armando Gill, un napoletano

nato nel 1877 e morto alla fine della guerra, nel 1945. Certo i giovani oggi non

sanno neppure chi sia, ma questo “canzonettista” e poeta popolare era originale,

signorile, acculturato, gradevolissimo: “Versi di Armando, musica di Gill, cantati

da Armando Gill”. Questo era il simpatico incipit che ripeteva sempre prima di

esibirsi col suo repertorio. Se questo non è un cantautore, allora chi lo è?

In tutta la carriera ha interpretato il ruolo del viveur borghese, con frac, papillon

bianco, gardenia all'occhiello e monocolo, a mascherare l'occhio strabico. Non

sembra la descrizione del suicida di Vecchio Frac di Modugno? Come si vede la

storia è rotonda.

E’ difficile considerare cantautori, anche se essendo autori sia della musica sia

delle parole, lo sono a tutti gli effetti, personaggi come Totò, Dario Fo, Nanni

Svampa ed alcuni altri di quei tempi.

Il termine si adatta di più a gente che abbiamo sentito chiamare così sin dalla loro

nascita artistica, come Fabrizio De André, Luigi Tenco, Gino Paoli, Sergio Endrigo,

Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Bruno Lauzi, che seppero riprendere le suggestioni

della canzone francese e trasformarle secondo la sensibilità italiana.

Poi, via via, sono nate diverse “scuole”, suddivise per città o regioni: quella

genovese, quella romana, la napoletana, la bolognese e la milanese. E la cosa si è

diffusa a livello nazionale.

Tra la fine degli anni 60 e gli anni '70, in concomitanza coi movimenti politici e

culturali del periodo, la musica d’autore doveva essere, come si diceva all’epoca,

“impegnata”.

Erano gli anni del golpe in Cile, degli Inti Illimani che coinvolgevano le folle ai

festival dell’Unità, tra salsicce arrostite e flauti andini, con Paolo Pietrangeli che

cantava Contessa in mezzo a gente che diceva sempre “cioè, bisogna portare

avanti un certo tipo di discorso nella misura in cui…”

Tra i più importanti esponenti della musica d’autore, oltre a De André, devono

essere citati Pierangelo Bertoli, Ivano Fossati (che inizia con il gruppo prog rock

I Delirium), Don Backy, Ivan Graziani, Angelo Branduardi, Francesco Guccini,

Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, Edoardo Bennato, Massimo Bubola,

Roberto Vecchioni, Lucio Dalla, Antonello Venditti, Rino Gaetano, Ivan Cattaneo,

Sergio Caputo, Fabio Concato, Eugenio Finardi, Renato Zero, Peppino Di Capri,

Amedeo Minghi, Ivano Fossati, Paolo Conte, il meno noto ma bravissimo fratello

minore, Giorgio Conte, Ron (Rosalino Cellamare), Enrico Ruggeri, Umberto Tozzi,

Adelmo Zucchero Fornaciari, per citare solo i maggiori.

Negli anni '80 e negli anni '90 nascono i cantautori rock come Vasco Rossi, Pino

Daniele, Luca Carboni, Luciano Ligabue, Franco Battiato e il primo Jovanotti

ancora legato al mondo della musica Rap.

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Con il riflusso degli anni '90 nascono autori che coniugano un gusto postmoderno

con una profondità di testi vicina ai loro predecessori. Tra i più rappresentativi ci

sono Samuele Bersani, Daniele Silvestri, Carmen Consoli, Max Gazzè, Niccolò Fabi,

Giuliana Nava.

Un caso a parte è costituito dal cantautore Gianmaria Testa, poco celebre in Italia

ma molto apprezzato e venduto all'estero, specialmente in Francia.

All'estero, gli omologhi dei cantautori si trovano soprattutto nella canzone

francese (oltre al citato Georges Brassens, Jacques Brel, Leo Ferré o, più

recentemente, Renaud) e nel folk e rock inglese (Donovan e Nick Drake),

americano (Woody Guthrie, Pete Seeger e Bob Dylan) e canadese (Leonard Cohen)

già noto anche in Italia grazie a De Andrè.

Ma possono essere considerati cantautori anche i catalani Joan Manuel Serrat e

Lluís Llach, il portoghese José Afonso, il cileno Víctor Jara, Violeta e Isabel Parra e

tanti altri.

GLI AUTORI

Un rilievo particolare, tra gli autori, lo meritano alcuni personaggi senza i quali la

musica leggera non sarebbe la stessa.

Incominciamo da Lucio Battisti, uno degli innovatori di maggior livello.

Nato il 5 marzo 1943 a Poggio Bustone, in provincia di Rieti è morto a Milano il 9

settembre 1998. Mosse i primi passi nel mondo della musica imparando a suonare

la chitarra da autodidatta. Si trasferisce con i genitori a Roma nel 1947, e, dopo il

diploma in elettrotecnica nel 1962 e un periodo di gavetta a Napoli con I

Mattatori, e successivamente con I Satiri, si trasferisce a Milano, dove si unisce a I

Campioni, il gruppo che accompagna Tony Dallara, capitanato da Roby Matano.

Battisti vivrà tutto il resto della sua vita a Milano, prima nel quartiere popolare

del Giambellino, per trasferirsi negli ultimi anni della sua vita in una villa a

Molteno, in Brianza.

È proprio Matano, che ha più volte rivendicato una sorta di "primogenitura" nella

scoperta del talento di Lucio, a spronarlo a scrivere canzoni: ne nacquero alcuni

pezzi, come Se rimani con me, i cui testi erano stati scritti da Matano (ma

depositati a nome di Lucio perché Matano non era iscritto alla SIAE), che rimasero

perlopiù o sconosciuti o addirittura mai pubblicati. Tuttavia, alcuni di questi pezzi

furono successivamente rimaneggiati da Lucio sulla base di nuovi testi di Mogol,

come Non chiederò la carità, che diverrà Mi ritorni in mente.

Nel 1965, il 14 febbraio Lucio Battisti riesce ad avere un appuntamento con Franco

Crepax: durante il provino viene notato da Christine Leroux. Leroux era una

discografica di origine francese, co-titolare delle edizioni El & Chris, arrivata a

Milano negli anni '60. Lavorava come cacciatrice di talenti per la casa discografica

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Ricordi. Fu una delle prime a credere nel talento di Battisti, e fu lei a procurare a

Battisti il "fatale" appuntamento col paroliere Giulio Rapetti, in arte Mogol.

Mogol ha raccontato, circa questo primo incontro con Battisti, di non essere

rimasto particolarmente impressionato dalle canzoni che Lucio gli aveva proposto,

ma di aver comunque deciso di collaborare con lui poiché ben impressionato dalla

sua umiltà nell'ammettere i propri limiti e dalla sua voglia di migliorarsi.

Fu lo stesso Mogol, nel 1966, a insistere su Battisti, scettico egli stesso circa le

proprie doti vocali, perché cantasse in prima persona le sue canzoni, anziché

limitarsi, come autore, ad affidarle ad altri artisti. Mogol dovette superare non

poche resistenze presso la Ricordi, la loro casa discografica, ma alla fine l'ebbe

vinta. Dotato di un'estensione vocale straordinaria, Battisti riuscì, non senza

sofferenze e sforzi, ad imporre un modo di cantare lontano dalle tradizioni

italiane, sebbene chiaramente italiano, imperniato su una continua tensione

interpretativa fatta di alternanze tra alti e bassi (emblematica è la canzone Le tre

verità, cantata su ben tre ottave diverse), tra apparenti raucedini e sorprendenti

acuti in "falsetto" (come si può cogliere paradigmaticamente nella spettacolare

interpretazione della canzone La compagnia), talora facendo ricorso alla

velocissima scansione di più sillabe in pochissime battute, per certi versi

anticipatrice del rap.

Sulla base di preferenze musicali definite (band anglosassoni quali gli Animals e gli

stessi Beatles, ma soprattutto dai grandi del rhythm and blues come Otis Redding)

Lucio Battisti ha percorso una strada compositiva che ha coniugato le sonorità

"nere" da lui predilette con la tradizione italiana.

Si dice, tra musicisti: “Il famigerato giro armonico in Do" è del tutto assente nelle

canzoni di Battisti”. La sua Emozioni ne è uno splendido esempio.

Lucio esordì quindi come solista con il 45 giri che includeva Per una lira e Dolce di

giorno, con modesti risultati di vendite e grandi considerazioni nel circuito

collezionistico. Le due canzoni vengono portate al successo rispettivamente dai

Ribelli capitanati da Demetrio Stratos e dai Dik Dik, e Per una lira, nel circuito

degli "addetti ai lavori", si fa notare come brano fortemente innovativo nel testo e

nella scrittura musicale.

Nel 1967 Mogol e Battisti scrivono 29 Settembre, interpretata dagli Equipe 84, un

clamoroso successo che arriva al primo posto della hit parade grazie alla

trasmissione radiofonica "Bandiera Gialla". Sempre in quel anno scrivono un altro

grande successo per l'ex Camaleonte Riki Maiocchi, la celebre Uno in più,

considerata una canzone-manifesto della cosiddetta linea verde con cui Mogol

intendeva perseguire, lavorando con giovani cantanti e autori quali Battisti, un

deciso rinnovamento della tradizione musicale italiana. Sempre nello stesso anno

suona la chitarra nella sigla iniziale e finale, mai pubblicata su disco, dello

sceneggiato innovativo di Ugo Gregoretti Il circolo Pickwick, intitolato La ballata

di Pickwick e cantato da Gigi Proietti, che in seguito ricorderà il loro unico, storico

incontro.

Nel 1968 incide Prigioniero del mondo, una canzone scritta dall'eccellente

musicista Carlo Donida con testo di Mogol, che doveva essere originariamente

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interpretata da Gianni Morandi: di questo brano esiste anche un raro videoclip

girato su pellicola in bianco e nero, che è anche il primo filmato assoluto nel quale

si vede il cantante, girato sulle montagne del Lazio e proposto in televisione su

Raidue nel settembre 2004 in una trasmissione commemorativa a sei anni dalla

scomparsa; sul retro Balla linda, una canzone melodica ma già "sperimentale" per i

canoni musicali dell'epoca, in cui Battisti rifiuta la convenzione delle rime baciate

per i testi, d'accordo con Mogol.

Con questo brano partecipa al Cantagiro, dove si classifica al quarto posto,

entrando per la prima volta, con una canzone da lui interpretata, in hit parade; la

canzone, in una versione in inglese intitolata Bella Linda, otterrà, eseguita dai

Grassroots, un notevole successo nelle classifiche di vendita inglesi (primo posto)

e perfino americane.

Poco amante dei concerti e delle esibizioni televisive, refrattario ai tentativi della

stampa di invadere la sua vita privata, a partire dal 1972 Battisti cessa del tutto di

concedersi al pubblico, manifestando l'intendimento di comunicare con lo stesso

"solo con le sue canzoni", e procedendo con ferrea determinazione su questa

strada, limitandosi alla concessione di rarissime interviste a periodici specializzati

(l'ultima fu concessa nel 1982). La sola eccezione, che quasi nessuno conosce, era

un concerto annuale che, negli anni del suo silenzio, Lucio regolarmente teneva

per in un istituto a beneficio di ragazzi portatori di handicap.

Da un'intervista emerge il suo bisogno di non subire l'onta del successo, capace di

travolgere le abilità artistiche del musicista e soprattutto le abitudini di un uomo

borghese che non ha alcuna intenzione di cambiare a scapito della sua serenità.

Queste musicalità innovative si sono perfettamente amalgamate, nel suo periodo

artisticamente più felice, coi testi scritti da Mogol, spesso alati e trasognati,

all'insegna di un modo di parlare dei sentimenti profondamente moderno e

coraggioso, in cui le virtù e le fragilità maschili e femminili venivano penetrate in

profondità con una capacità di analisi introspettiva davvero notevole.

Intervista al padre di Lucio Battisti

(Raccolta da Claudio Cavalli e Candido Francica di Sorrisi e Canzoni nel settembre

del 2003)

S I CHIAMA ALFIERO, HA 90 ANNI, MA NE DIMOSTRA MENO: È IL PADRE

DI LUCIO BATTISTI. LO ABBIAMO INCONTRATO A POGGIO BUSTONE, IN

PROVINCIA DI R IETI, SUO PAESE D 'ORIGINE. È LA PRIMA VOLTA CHE

ACCETTA DI PARLARE CON UN GIORNALISTA. E CI AFFIDA UN RITRATTO

DEL CANTANTE RICCO D I CURIOSITÀ E DI PARTICOLARI FINORA INEDITI.

PER ESEMPIO, SAPEVATE CHE L 'AUTORE DI «EMOZIONI» POCO PRIMA DI

MORIRE STAVA PER LAUREARSI IN MATEMATICA ? “SE LUCIO MI MANCA? TUTTI I FIGLI MANCANO, NON SOLO IL MIO

PERCHÉ ERA LUCIO BATTISTI. CERTO, MI FA PIACERE CHE VENGA

RICORDATO, PERÒ GLI ANNIVERSARI MI RINNOVANO IL DOLORE. TRE

MESI FA È MORTA ANCHE L 'ALTRA MIA FIGLIA, ALBARITA, E HO IL CUORE

SPEZZATO. OGGI LUCIO AVREBBE 60 ANNI, ERA NATO NEL '43. M I

RICORDO QUANDO GLI REGALAI LA PRIMA CHITARRA: ERA IN QUINTA

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ELEMENTARE, AVEVA 11 ANNI. IL NONNO MATERNO DI LUCIO ERA

MUSICISTA, ERA IL DIRETTORE DI UNA BANDA, E ANCH’ IO NON SONO

PROPRIO A DIGIUNO SU QUESTO ARGOMENTO. PERÒ QUELLA DI

DEDICARSI ALLA MUSICA È STATA UN ' INIZIATIVA TUTTA DI LUCIO, NON

GLIELO HA MAI SUGGER ITO NÉ TANTO MENO COMANDATO NESSUNO.

SEMPLICEMENTE, È ANDATA COSÌ. ALL ' INIZIO SUONAVA LA CHITARRA

CON I NUMERETTI. POI, VISTO CHE INSISTEVA, GLI HO DETTO: VA

BENE, IMPARA E VAI AVANTI, MA INTANTO CONTINUA GLI STUDI. IO ERO

UN DIPENDENTE PUBBLICO, MI FACEVA PIACERE CHE MIO FIGLIO

PRENDESSE UN PEZZO D I CARTA. STIAMO PARLANDO DI 50 ANNI FA,

TUTTI I GENITORI AVREBBERO VOLUTO CHE I F IGLI STUDIASSERO PER IL

POSTO FISSO, INVECE... LA CHITARRA IN TESTA G IÀ A 16 ANNI LUCIO CHIEDEVA DI ANDARSENE. VENIVANO DA ME I

DIRETTORI DELLE ORCHESTRE CHE FACEVANO SERATE IN GIRO. LUCIO

SUONAVA LA CHITARRA MOLTO BENE E LORO VOLEVANO PORTARLO VIA.

MA IO MI OPPONEVO. QUANDO TORNAVO A CASA LA SERA, LO TROVAVO

SEMPRE CON LA CHITARRA IN MANO, MENTRE PENSAVO CHE AVESSE

PASSATO IL GIORNO A STUDIARE. A UN CERTO PUNTO, LA CHITARRA

GLIEL 'HO ANCHE SPACCATA SULLA TESTA. INTENDIAMOCI, SENZA FARGLI

MALE. COME TUTTI SANNO, LA PARTE INFERIORE DELLA CHITARRA È

SOTTILE, BASTA FARE UN PO ' DI PRESSIONE E QUELLA SI ROMPE. LUCIO

NON HA DETTO NIENTE, MI HA GUARDATO E BASTA. IL GIORNO DOPO È

VENUTO DA ME IN UFFICIO, IO LAVORAVO AL DAZIO, SIAMO ANDATI

INSIEME IN UN NEGOZIO E GLI HO COMPRATO UN 'ALTRA CHITARRA. CON

L 'ANDARE DEL TEMPO E CON UNA METODICITÀ STRAORDINARIA, LUCIO SI

È VIA VIA PERFEZIONATO SEMPRE DI P IÙ. ANCHE ALBARITA, L 'ALTRA

MIA FIGLIA, STUDIAVA MUSICA, E IN PARTICOLARE IL PIANOFORTE, MA

QUELLO CHE POI È ANDATO AVANTI È STATO LUCIO. I PRIMI TEMPI S I

ES IBIVA CON DIVERSI GRUPPI. P IÙ DI TUTTI SI TROVAVA BENE CON

ROBY MATANO, IL CANTANTE DI UN COMPLESSO CHE A QUEI TEMPI

ANDAVA MOLTO FORTE, I «CAMPIONI» E CHE HA POI SCRITTO UN LIBRO

DEDICATO A LUCIO: SI INTITOLA COME LUI SEMPRE LO CHIAMAVA, IN

DIALETTO “A ROBÈ”. S I MANTENEVA DA SOLO, IN CASA NON HA MAI CHIESTO SOLDI. PURE I

LIBRI DI SCUOLA SI COMPRAVA CON I GUADAGNI DI MUSICISTA. E

QUANDO SI È DIPLOMATO, NON HA CHIESTO UNA L IRA ALLA MAMMA.

R ICORDO CHE SONO VENUTI A PRENDERLO I COMPAGNI PER ANDARE A

FESTEGGIARE. M IA MOGLIE SI È AFFACCIATA, GLI HA DETTO: «MA VAI

VIA SENZA SOLDI?». E LUI: «GRAZIE, NON NE HO BISOGNO». ERA UN

RAGAZZINO MOLTO GIUDIZIOSO. PER TRE, QUATTRO ANNI, HA FATTO LA

GAVETTA, È ANDATO ANCHE A SANREMO. NON HA MAI CERCATO IL

SUCCESSO A TUTTI I COSTI, NON ERA NEL SUO CARATTERE. ERA SICURO

DI SÉ. SUONAVANO AL «M ILLELUCI» DI VIA NAZIONALE, A ROMA, E

NON ERA PRESUNTUOSO. ERA UN RAGAZZINO TRANQUILLO,

INDIFFERENTE A QUELLO CHE GLI SUCCEDEVA ATTORNO. TUTTO È COMINCIATO VERAMENTE IL GIORNO IN CUI LUCIO È ANDATO

DAL PAPÀ DI MOGOL, MARIANO RAPETTI, CHE ERA IL DIRETTORE DELLA

CASA DISCOGRAFICA R ICORDI. RAPETTI L 'HA ASCOLTATO, MA IN UN

PRIMO MOMENTO L 'HA CONGEDATO. POI DEVE AVERCI RIPENSATO,

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PERCHÉ L 'HA FATTO RICHIAMARE SUBITO. IN SEGUITO, L 'HA AIUTATO

ANCHE CRISTINA LEROUX, UNA DISCOGRAFICA FRANCESE, LA PRIMA

PRODUTTRICE DI LUCIO, E NATURALMENTE MOGOL. CON MIA MOGLIE

DEA ANDAVAMO DAPPERTUTTO A TROVARE LUCIO, CHE ERA SEMPRE IN

GIRO A SUONARE, NEI POSTI P IÙ DIVERS I E ANCHE LONTANI. M IA

MOGLIE È ARRIVATA PURE IN OLANDA CON LA 500. UNA VOLTA, LUCIO

SUONAVA CON ROBY MATANO IN UN LOCALE D I F IRENZE, IL «POZZO DI

BEATRICE». M IA MOGLIE QUELLA NOTTE NON AVEVA DORMITO, AVEVA

COME UN PRESENTIMENTO. LA MATTINA S I È ALZATA, HA PRESO LA 500

ED È ANDATA A F IRENZE. HA TROVATO LUCIO CON LA FEBBRE A 40 E

L 'HA CURATO. LUCIO STAVA MOLTO IN CONTATTO CON LA MAMMA, LE

SCRIVEVA PERLOMENO TRE VOLTE LA SETTIMANA. ANCHE QUANDO SI È

TRASFERITO A M ILANO SIAMO STATI SPESSO DA LUI. A M ILANO, I PRIMI TEMPI, LUCIO VIVEVA IN UN APPARTAMENTO IN

AFFITTO. QUELLI CHE LAVORAVANO CON LUI S I RITROVAVANO SEMPRE

TUTTI LÌ, PERCHÉ LUCIO ERA AMICO DI TUTTI E GLI P IACEVA AVER

GENTE IN CASA. I D IK D IK GLI ERANO MOLTO VICINI. E ANCHE LA

FORMULA 3. M I DICONO CHE GLI PIACEVANO LE BARZELLETTE, CHE ERA

ALLEGRO, CHE TENEVA LA CONVERSAZIONE... QUESTE COSE ME LE HA

RACCONTATE MOGOL, E NONOSTANTE GLI ANNI CHE PASSANO CON

MOGOL SONO RIMASTO SEMPRE IN CONTATTO. 10 MILIARDI PER UNA TOURNÉE MOGOL È VENUTO AL FUNERALE DI MIA FIGLIA ALBARITA, TRE MESI FA.

GLI HO ANCHE PRESENTATO IL F IGLIO DI UN MIO CUGINO, LAUREATO IN

MUSICOLOGIA A BOLOGNA, CHE INFATTI ADESSO LAVORA CON LUI.

QUANDO SI SONO DIVISI CON LUCIO, MOGOL CI È RIMASTO MALE. A ME

LUCIO DICEVA: «SAI COM 'È, PAPÀ, LE COSE CAMBIANO, PERÒ NON È

DETTO CHE UN GIORNO NON MI RIMETTA A LAVORARE CON LUI...».

MOGOL CONOSCE BENE IL PERCHÉ DELLA SEPARAZIONE ED È PER

QUESTO CHE È RIMASTO AMICO DI TUTTI NOI QUI: È CHE LA MOGLIE DI

LUCIO, GRAZIA LETIZIA VERONESI, A UN CERTO PUNTO SI ERA MESSA IN

TESTA DI FARE L 'AUTRICE DI TESTI E LA POETESSA, FIRMAVA "VELEZIA"

E VOLEVA CHE LA COLLABORAZIONE CON MOGOL NON CONTINUASSE. PRIMA, QUANDO LE PAROLE DELLE CANZONI LE SCRIVEVA MOGOL, LE

SOTTOPONEVA A LUCIO E LUI SPESSO LEVAVA VIA TANTI PEZZI. LA

CANZONE CHE PREFERISCO DI MIO FIGLIO È «NON È FRANCESCA». IL

PERCHÉ NON LO SO, MA È COSÌ. PASQUALE PANELLA INVECE L’HO

CONOSCIUTO SOLO AL TELEFONO. NON MI SEMBRA CHE SIA UN AUTORE

SCARSO COME DICONO ALCUNI, ANZI PER ME È BRAVISSIMO. LUCIO

DICEVA: «B ISOGNA PURE TENTARE ALTRE STRADE, PER ME È UN OTTIMO

AUTORE». TRA LE CANZONI DI MOGOL E QUELLE DI PANELLA IO TANTA

DIFFERENZA NON CE LA TROVO. MOGOL È BRAVO E PANELLA NON È DA

MENO. NON È VERO, COME DICONO, CHE LUCIO ERA SPAVENTATO DAL

CONTATTO CON IL PUBBLICO. SEMPLICEMENTE, NON VOLEVA ESSERE

NOTATO. UNA VOLTA S IAMO ANDATI A PRENDERE L 'OLIO DA UN MIO

AMICO QUI IN UN PAESE VICINO, IN SABINA. MENTRE CARICAVAMO I

BOTTIGLIONI DI OLIO ARRIVA UN RAGAZZO SUI 15-16 ANNI E GLI

CHIEDE: «MA LEI NON È LUCIO BATTISTI?». E LUI: «MAGARI FOSSI

LUCIO BATTISTI!» E SE NE È ANDATO. ERA FATTO COSÌ, NON CI

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TENEVA PROPRIO. ANCHE GLI SPETTACOLI DAL VIVO... SONO IO CHE

NON GLIELI FACEVO FARE. NON C 'ERA CONVENIENZA E PO I I SOLDI NON

GLI INTERESSAVANO PROPRIO. IO L 'HO AMMINISTRATO FINO AL 1988:

AVEVO RICHIESTE DA GRANDI ORGANIZZATORI. MANDAVANO L 'ASSEGNO

IN BIANCO, DICEVANO: «PUOI METTERE FINO A 10 MIL IARDI». MA LUI

RINUNCIAVA. LO STESSO CON LA TELEVISIONE. UNA VOLTA PAGAVA

MALE, LA TELEVIS IONE. NEGLI ANNI SESSANTA LUCIO ERA ANDATO A

PARIGI PER UN PROGRAMMA E, QUANDO È TORNATO, VADO A VEDERE E

SCOPRO CHE GLI AVEVANO DATO 70 MILA LIRE, QUANDO SOLTANTO DI

VIAGGIO NE AVEVA SPESE 200-300 MILA. ULTIMAMENTE L 'AVREBBERO

PAGATO CHISSÀ QUANTO, PERÒ LUI NON VOLEVA LO STESSO... UNA TESI IN MATEMATICA A MOLTENO, LA RESIDENZA DI LUCIO BATTISTI IN BRIANZA, SONO

STATO SPESSO A TROVARLO. S ICCOME SONO UN GRANDE INVALIDO DI

GUERRA, AVEVO DIRITTO A DUE MESI DI FERIE E UNO LO PASSAVO DA

LUI. LUI SUONAVA, SUONAVA... PASSAVA LE NOTTATE CON LA

CHITARRA IN MANO, ERA UN PERFEZIONISTA. GLI P IACEVA ANCHE

DIPINGERE, ERA UN GRANDE APPASS IONATO DI PITTURA ASTRATTA. M I

HA DETTO MOGOL CHE NEGLI ULTIMI TEMPI LUCIO AVEVA RIPRESO A

STUDIARE E S I STAVA LAUREANDO, STAVA PER DISCUTERE LA TESI IN

MATEMATICA. PURTROPPO NON HA FATTO IN TEMPO... AL FUNERALE

NON CI SONO ANDATO, NON ME LA SONO SENTITA... ALLA MIA ETÀ, E

CON LA MIA FERITA, UN 'ANGOSCIA COSÌ POTEVA ESSERE PERICOLOSA.

DELLA SUA MALATTIA, LUCIO A ME NON HA MAI DETTO NIENTE. CERTO

NESSUNO PENSAVA CHE ANDASSE A FINIRE COS Ì, MA FORSE È UNA

QUESTIONE GENETICA. M IO FRATELLO È MORTO A 54 ANNI DELLA

STESSA MALATTIA, UNA RARA FORMA DI TUMORE, E ANCHE ALBARITA,

L 'ALTRA MIA FIGLIA, E ANCHE MIA MOGLIE... CON LA MAMMA LUCIO AVEVA UN RAPPORTO MOLTO FORTE. QUANDO

VENIVA A TROVARCI QU I A POGGIO BUSTONE, LUCIO ERA ALLA MANO,

VERACE. GLI P IACEVA LA PASTASCIUTTA FATTA IN CASA, LE

STRANGOZZE, COME LE CHIAMIAMO QUI, FATTE CON IL POMODORO E IL

BASIL ICO. GLIELE PREPARAVANO LA MAMMA O LE ZIE. LUCIO ERA UN

TIPO SEMPLICE. A ME DICEVA SEMPRE: «PAPÀ, IO FACCIO UN MESTIERE

COME TUTTI GLI ALTRI E RINGRAZIO QUELLI CHE MI COMPRANO. IO

VENDO MUSICA E NON M I INTERESSA CHI SE LA VUOLE PIGLIA ' . SOLO

CHE GLI SPETTACOLI A I PARTITI NON CE L I VADO A FA '». PERÒ NON È

VERO CHE AVEVA CHIUSO CON I CONCERTI, INFATTI FACEVA UNO

SPETTACOLO CHE NON HA MAI SAPUTO NESSUNO. NON LO SANNO I

PARENTI QUI, NON LO SAPEVA LA FAMIGLIA, NON LO SAPEVA NEMMENO

MIA MOGLIE DEA. LO SAPEVO SOLO IO PERCHÉ MANDAVO SU I SOLDI.

LUCIO, UNA VOLTA AL MESE, CANTAVA PER I BAMBINI DOWN DI UN

ISTITUTO DI M ILANO.”

La scuola genovese dei cantautori

Fabrizio De André, Luigi Tenco, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Umberto Bindi, Joe

Sentieri e i fratelli Giampiero e Gianfranco Reverberi sono gli esponenti principali

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della cosiddetta scuola genovese, alla quale vanno aggiunti come autori di tesi

Giorgio Calabrese (che con Bindi compone Arrivederci, Il nostro concerto, Non mi

dire chi sei) e Paolo Villaggio, coautore con de Andrè di Carlo Martello. Si può

considerare del gruppo anche Piero Ciampi, che in realtà era livornese, ma in

qualche “adottato” da Gino Paoli.

La scuola bolognese dei cantautori

Realtà che esiste fin dagli anni 70, ma è difficile stabilirne i limiti e definirne lo

stile. Bologna, con la sua Università, il conservatorio, le balere, i locali notturni e

le osterie, ha sempre dato lavoro a numerosi musicisti e orchestrali.

Una città piane di arte, storia e cultura, ma anche di gusto più materiale e

godereccio per la vita (come la tradizione di “tirar tardi” la notte in osteria),

hanno creato il terreno fertile per la nascita di cantautori come Lucio Dalla,

Francesco Guccini, Claudio Lolli, ed in seguito Luca Carboni.

Essendo la città un crocevia tra nord e sud, ed un punto di attrazione culturale,

essa ha chiamato a sé anche musicisti di altre città, ma poi cresciuti all’ombra

delle due torri.

In questo senso più che di scuola bolognese si dovrebbe parlare di scuola emilano-

romagnola.

Così, dai classici cantautori-poeti come Guccini e Lolli si passa all’istrionico Dalla,

al modenese Pier Angelo Bertoli, al blues di Zucchero Fornaciari e al rock Vasco

Rossi e Luciano Ligabue, fino all’originalità del romagnolo Samuele Bersani e

all'indefinibile Vinicio Capossela.

Scuola romana dei cantautori

Non tutti sono concordi nell'individuare un filone riconoscibile come "scuola

romana" per la canzone d'autore italiana. Certo è che alla fine degli anni '60 Roma

era la città italiana in cui transitava maggiormente la musica. I motivi

fondamentali erano due: la presenza degli studi RAI più importanti (il massimo

canale promozionale per la discografia), l’attività della RCA e il fervore di

Cinecittà, presso cui lavoravano importanti musicisti e impresari.

Erano molti i locali in cui si esibivano gli artisti, ma uno particolare, il Folkstudio

di Giancarlo Cesaroni, in via Sacchi al numero 3, offriva occasioni di confronto ai

nuovi cantautori. Si suonava, oltre al folk e musica d’autore, donde il nome del

locale, anche molto jazz. Ricorda Marcello Rosa che tra i musicisti, visto i pochi

soldi che giravano in quell’ambiente, il locale veniva chiamato 3 Sacchi, non solo

perché era il suo l’indirizzo, ma perché ognuno veniva pagato solo 3 mila lire, che

alla romana si dice tre sacchi. Vi transitavano anche molti artisti italiani e

internazionali di fama. Una volta persino il mitico Bob Dylan si esibì in quella

cantina, probabilmente con un cachet leggermente diverso. Il locale era

frequentato anche da molti intellettuali, tra cui Pier Paolo Pasolini. In quel clima

artigianale cominciarono a muovere i primi passi Francesco De Gregori (trascinato

da suo fratello, Luigi Grechi, che poco più tardi divenne celebre anche come

Page 10: Canzoni d’autore - enricocogno.it dautore.pdf · Incominciamo da Lucio Battisti, uno degli innovatori di maggior livello. Nato il 5 marzo 1943 a Poggio Bustone, in provincia di

autore di Girardengo Vai Grande Campione), Antonello Venditti, Mimmo

Locasciulli, Giovanna Marini, Stefano Rosso, Rino Gaetano, Paolo Pietrangeli, Ivan

Della Mea, Edoardo De Angelis.

Forse proprio dalle esperienze del Folkstudio si può far partire l'idea di una "scuola

romana", che poi si è sviluppata anche fuori da quel contesto.

Molti autori romani, ad esempio, non passarono mai da quel locale: per citarne

solo due, Claudio Baglioni e Riccardo Cocciante.

I temi comuni ai cantautori romani negli anni '70 hanno un aspetto meno

intimistico della Scuola genovese, ma comunque molto impegnato socialmente:

prevale il diffuso sentimento pacifista, la liberalizzazione dei rapporti sociali, lo

sguardo all'Italia povera che annaspa dietro quella del boom. Musicalmente sono

forti le influenze della musica popolare (Antonello Venditti, Giovanna Marini,

Claudio Baglioni, Gabriella Ferri, Franco Califano). L'aspetto sociale e la ricerca

sulla musica popolare sono connotazioni che tendono a sfumarsi molto negli anni

successivi.

Nell'esperienza della scuola romana, favorita dalla presenza di molte autrici (tra

cui Giovanna Marini, Gabriella Ferri, Grazia Di Michele e sua sorella Joanna)

comincia a nascere anche una canzone d'autore "al femminile" che vede proprio in

Grazia Di Michele l'esponente di spicco. Le "cantautrici" si fanno portavoce delle

istanze del movimento femminista, ma molto più importante, sono interpreti di un

nuovo linguaggio, che per la prima volta coniuga al femminile le esperienze

narrative della canzone italiana.

Eredi di quella scuola sono Luca Barbarossa, Paola Turci, Daniele Silvestri e negli

ultimi anni Niccolò Fabi e i Tiromancino.