CANTICO SPIRITUALE - Passinelcarmelo

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CANTICO SPIRITUALE SPIEGAZIONE DELLE STROFE CHE TRATTANO DEL - L ' ESERCIZIO DI AMORE TRA L ' ANIMA E CRISTO SUO SPOSO: OVE SI ACCENNANO E DICHIA- RANO ALCUNI PUNTI ED EFFETTI DI O- RAZIONE , A RICHIESTA DELLA MA - DRE ANNA DI GESÙ , PRIORA DEL - LE CARMELITANE SCALZE DI S . GIUSEPPE IN GRANADA, NELL ' ANNO 1584 PROEMIO 1 - Queste strofe, Reverenda Madre, potranno sembrarle essere state scritte con un certo fervore di amor di Dio, la cui sapienza e amore è tanto immenso che tocca da un'estremità all'altra (Sap 8,1) ; e perciò, quando l'anima è informata e mossa in qualche modo dal divino amore, il suo dire non può a meno di partecipare dell'impeto e dell'abbondanza del medesimo. Ma è ben lungi da me il pensiero di voler dichiarare tutta l'ampiezza del fecondo spirito di amore che in esse strofe si racchiude; anzi sarebbe da ignoranti supporre che l'intelligenza mistica e i detti dell'amore, come sono quelli in esse contenuti, si possano spiegare a parole in modo esauriente: perché lo Spirito del Signore che, a detta di San Paolo, soccorre l'umana debolezza, abitando in noi implora per noi con gemiti ineffabili (Rm 8,26) : il che noi non possiamo ben comprendere né manifestare. Ed invero, chi potrà mai descrivere ciò che lo Spirito Santo fa intendere alle anime amorose in cui dimora? Chi potrà esprimere quello che loro fa sentire e desiderare? Certamente nessuno, nemmeno le anime stesse favorite delle celesti comunicazioni. Esse potranno tutt'al più far uso di figure, comparazioni e similitudini per esprimete un po' di quello che provano, e dall'abbondanza dello spirito verseranno segreti e misteri, ma non sapranno mai spiegarli con ragioni. Anzi bene spesso le similitudini, se non si leggono con la semplicità dello spirito di amore e dell'intelligenza che contengono, piuttosto sembrano spropositi che sentimenti dettati dalla ragione, secondo che ci è dato di osservare nei divini Cantici di Salomone e in altri libri della Sacra Scrittura, dove lo Spirito santo, non potendo farci intendere la pienezza del suo senso con termini comuni e usitati, rivela misteri con strane figure ed immagini. Onde ne segue che i Santi Dottori, per quanto abbiano parlato e parlino di tali misteri, non possono mai riuscire a spiegarli interamente, e quindi ciò che si dichiara intorno ad essi, ordinariamente è il meno che in sé racchiudono. 2 - Le seguenti strofe, pertanto, essendo state composte in amore di abbondante intelligenza mistica, non si potranno interpretare esattamente; né questo è il mio intendimento, ma solo di dare qualche lume generale, come V. R. mi ha chiesto. Giudico, infatti, che sia meglio lasciare i detti dell'amore nella loro ampiezza, affinché ciascuno se ne giovi a modo suo, e a misura della capacità del suo spirito , piuttosto che restringerli a un senso determinato, non adatto al gusto di tutti. Quindi, benché vengano dichiarati in una maniera, non v'è necessità di attaccarsi alla spiegazione data, perché la sapienza mistica o amorosa, di cui le presenti strofe trattano, non ha bisogno di essere distintamente intesa per produrre l'effetto di amore nell'anima, essendo a guisa della fede, mediante la quale amiamo Dio senza comprenderlo. 3 - Nella mia esposizione sarò molto breve, sebbene alcune volte dovrò diffondermi alquanto dove la materia lo richiede, e quando si presenterà l'occasione di dichiarare vari punti ed effetti di orazione, poiché essendone accennati molti nelle strofe, non potrò fare a meno di trattarne alcuni. Però, lasciando i più comuni, parlerò brevemente dei più

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CANTICO SPIRITUALE

SPIEGAZIONE DELLE STROFE CHE TRATTANO DEL-L 'ESERCIZIO DI AMORE TRA L 'ANIMA E CRISTO

SUO SPOSO: OVE SI ACCENNANO E DICHIA-RANO ALCUNI PUNTI ED EFFETTI DI O-

RAZIONE, A RICHIESTA DELLA MA-DRE ANNA DI GESÙ, PRIORA DEL-

LE CARMELITANE SCALZE DI

S. GIUSEPPE IN GRANADA,NELL 'ANNO 1584

PROEMIO

1 - Queste strofe, Reverenda Madre, potranno sembrarle essere state scritte con un certo fervore di amor di Dio, la cui sapienza e amore è tanto immenso che tocca da un'estremità all'altra (S ap 8 ,1 ); e perciò, quando l'anima è informata e mossa in qualche modo dal divino amore, il suo dire non può a meno di partecipare dell'impeto e dell'abbondanza del medesimo. Ma è ben lungi da me il pensiero di voler dichiarare tutta l 'ampiezza del fecondo spirito di amore che in esse strofe si racchiude; anzi sarebbe da ignoranti supporre che l'intelligenza mistica e i detti dell'amore, come sono quelli in esse contenuti, si possano spiegare a parole in modo esauriente: perché lo Spirito del Signore che, a detta di San Paolo, soccorre l'umana debolezza, abitando in noi implora per noi con gemiti ineffabili (R m 8 ,26 ): il che noi non possiamo ben comprendere né manifestare. Ed invero, chi potrà mai descrivere ciò che lo Spirito Santo fa intendere alle anime amorose in cui dimora? Chi potrà esprimere quello che loro fa sentire e desiderare? Certamente nessuno, nemmeno le anime stesse favorite delle celesti comunicazioni. Esse potranno tutt'al più far uso di figure, comparazioni e similitudini per esprimete un po' di quello che provano, e dall'abbondanza dello spirito verseranno segreti e misteri, ma non sapranno mai spiegarli con ragioni. Anzi bene spesso le similitudini, se non si leggono con la semplicità dello spirito di amore e dell'intelligenza che contengono, piuttosto sembrano spropositi che sentimenti dettati dalla ragione, secondo che ci è dato di osservare nei divini Cantici di Salomone e in altri libri della Sacra Scrittura, dove lo Spirito santo, non potendo farci intendere la pienezza del suo senso con termini comuni e usitati, rivela misteri con strane figure ed immagini. Onde ne segue che i Santi Dottori, per quanto abbiano parlato e parlino di tali misteri, non possono mai riuscire a spiegarli interamente, e quindi ciò che si dichiara intorno ad essi, ordinariamente è il meno che in sé racchiudono.

2 - Le seguenti strofe, pertanto, essendo state composte in amore di abbondante intelligenza mistica, non si potranno interpretare esattamente; né questo è il mio intendimento, ma solo di dare qualche lume generale, come V. R. mi ha chiesto. Giudico, infatti, che sia meglio lasciare i detti dell'amore nella loro ampiezza, affinché ciascuno se ne giovi a modo suo, e a misura della capacità del suo spirito , piuttosto che restringerli a un senso determinato, non adatto al gusto di tutti. Quindi, benché vengano dichiarati in una maniera, non v'è necessità di attaccarsi alla spiegazione data, perché la sapienza mistica o amorosa, di cui le presenti strofe trattano, non ha bisogno di essere distintamente intesa per produrre l'effetto di amore nell'anima, essendo a guisa della fede, mediante la quale amiamo Dio senza comprenderlo.

3 - Nella mia esposizione sarò molto breve, sebbene alcune volte dovrò diffondermi alquanto dove la materia lo richiede, e quando si presenterà l'occasione di dichiarare vari punti ed effetti di orazione, poiché essendone accennati molti nelle strofe, non potrò fare a meno di trattarne alcuni. Però, lasciando i più comuni, parlerò brevemente dei più

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straordinari che avvengono a coloro che col favore di Dio sono usciti dallo stato di principianti. E ciò per due ragioni: primieramente, perché per i principianti già si sono scritte molte cose: in secondo luogo, perché parlo con V. R., a cui il Signore ha fatto grazia di trarla fuori da quei principi e d'introdurla più addentro nel seno del suo amore divino. Dovrò toccare alcuni punti di Teologia scolastica intorno al tratto interiore dell'anima con il suo Dio, ma spero che non sarà inutile aver parlato in tal guisa al puro dello spirito; poiché, quantunque a V. R. manchi l 'esercizio della Teologia scolastica con cui s'illustrano le verità divine, non le manca però quello della mistica, che si apprende per via di amore, nel quale le cose non solamente s'intendono, ma nello stesso tempo si gustano.

4 - Le cose che dirò intendo sottometterle ad ogni miglior giudizio, e totalmente a quello della Santa Madre Chiesa; ed affinché trovino maggior credito, non penso di affermare alcuna cosa fondandomi sull'esperienza mia o altrui (pur giovandomi sì dell'una, come dell'altra), ma solo ciò che è confermato dalla testimonianza della Sacra Scrittura, almeno circa le cose più difficili ad intendersi. Nell'opera presente conserverò quest'ordine. Nelle citazioni scritturali si riporteranno le sentenze dal latino, e subito si dichiareranno secondo il senso che fa più a proposito. Metterò in principio tutte le strofe insieme, e dopo una per volta, a fine di spiegarle separatamente; anzi le commenterò nei singoli versi, premettendo ciascuno di essi alla propria dichiarazione.

STROFE DEL CANTICOTRA L'ANIMA E LO SPOSO

SPOSA

1 - Ah! dove ti celasti,Me in gemiti fasciando, o mio Diletto?Come cervo n'andasti;Piagata io mi trovai:T'uscii dietro, eri gito, e invan gridai.

2 - Pastori, o voi che andreteLungo i vostri recinti all'alto Monte,Se per sorte vedreteChi più d'ogn'altro adoro,Ditegli che languisco e peno e moro

3 - Cercando il caro Amore, Andrò per questi monti e queste sponde.Né coglierò mai fiore,Né temerò di fiere,E passerò li forti e le frontiere

DOMANDA ALLE CREATURE

4 - O folte selve oscure,Qui con sua man dal caro Ben piantate,O voi prati, o verzure,Di vaghi fior vestite, Se il suo bel pié per voi Passò mi dite.

RISPOSTA DELLE CREATURE

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5 - Mille grazie versando,Passò per queste selve agire e snello;Mentre le andò mirando,Solo col suo bel voltoFé ch'ogni bel rimase in esse accolto.

SPOSA

6 - Ahi! chi potrà sanarmi?Deh! tutto invero a me ti stringi e dona;Non voler inviarmiPiù messaggeri, quandoNon mi sanno essi dir quel che dimando.

7 - Ciascun che in te s'appaga,Di te mille bellezze a me descrive;E ciascun più m’impiaga,E mi sembra morire,Sentendo un non so che, che non san dire.

8 - Vita, e tu reggi ancora,Se vivere non puoi dove tu vivi,Bastando, onde tu mora,I dardi che hai nel senoPer solo quel che in lui comprendi appieno?

9 - Perché, se tu piagatoHai questo cor, tu sano a me nol rendiE già che l'hai furato,Tal perché lo lasciasti,Senza teco portar quel che rubasti?

10 - Smorza mie pene; seiQuel solo tu che, in me calmar le puote,Te veggan gli occhi miei,.Ché lor sei lume e face,E per te solo aprirli or a me piace.

11 - Scopri la tua vezzosaFaccia, e tua vista e tua beltà m'uccida,.Solo può l'amorosaSanar doglia sì duraDel caro Ben l'aspetto e la figura.

12 - O fonte cristallino,Se tra queste tue immagini d’argentoFormassi repentino1 cari occhi bramati,Che stammi in cor, ma sol, confusi e ombrati!

13 - Deh! gli allontana, Amato,Ch'io passo e volo ....

SPOSO

Ah! mia colomba, torna;Spunta il cervo PiagatoDalla collina erbosa,

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E del tuo volto all'aura si riposa.

SPOSA

14 - L'Amato è come i montiPer me, come le ombrose erme vallette,Le strane isole, e i fontiDi schiette acque sonore,E l'amoroso sibilar dell'ôre.

15 - La riposata e quetaNotte sul primo biancheggiar dell'alba,La melodia segreta,Solitudin sonora,La cena che conforta ed innamora.

16 - Prendiam le volpicelle,Poiché la nostra vigna omai fiorio;Mentre dì fresche e belleRose intrecciam la pina,Non vada errando alcun sulla collina.

17 - T'arresta, o borea morto;Vieni, Austro, che i casti amori svegli,Soffia pel mio bell’orto;Ne spirino gli odori,Ed il mio Ben si pascerà tra i fiori.

18 - O ninfe di Giudea,Mentre tra, ì pinti fiori, e bei rosetiL'ambra olezza e ricrea,Dai borghi una non esca,Né fuor di queste soglie star v’incresca.

19 - Dentro, o Caro, ti cela,E la tua faccia alle montagne volgi.Deh! taci e non lo svela,Ma le compagne miraDi chi per piagge estrane il piede aggira.

SPOSO

20 - Lievi augelletti, biondeLëonze, cervi e saltatrici damme,Monti, vallette, sponde,Chiare acque, aure ed ardori,E voi notturni vigili timori;

21 - Per le soavi lire,Per le sirene io vi scongiuro intantoCessino le vostr'ire;Né sia percosso il muro,Onde il bel sonno suo sia più sicuro.

22 - Entrò l'amante SposaNel desïato giardinetto ameno,E lieta inchina e posaIl bel collo beato

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Sopra le dolci braccia dell'Amato.

23 - Sotto un melo ti scorsi;Qui mia sposa ti fei con dolce nodo,Qui la mia man ti porsi,E qui fosti difesa,Dove la madre tua fu vinta e presa.

SPOSA

24 - Nostro letto è fiorito,Da tane di lïon cinto d'intorno,Di porpora vestito,In pace edificato,Di mille aurati scudi incoronato.

25 - Su tue care orme, milleDiscorrono il cammin giovani amanti,Al tocco di faville,Al rinforzato vino,Fuori versando balsamo divino.

26 - Nella più interna cellaIo bevei dell'Amato; e fuori uscitaAlla pianura bella,Oblïato men gia,E la greggia perdei ch'io mi seguia.

27 - Quivi il suo petto diemmi,E qui dolce scïenza in sen m’infuseEd io tutta sua femmi;Né serbando a me cosa,Quivi promisi a lui d’esser sua sposa.

28 - Di lui tutta son io;Tutto il mio capital per lui s’adopra.Già la mia graggia oblio,Né ho più altro uffizio,Ma, solo nell’amar è il mio esercizio.

29 - Che se all'aperto uscitaNon fia che occhio mortal mi vegga o trovi,Dite che son smarrita,Amor seguendo. Oh qualeAlla perdita mia guadagno eguale!

30 - Di smeraldi e di rose,Scelte nei freschi mattutini albori,Ghirlandette vezzose,Nell'amor tuo fiorite,Intreccerem con un mio crine unite.

31 - Da quel che contemplastiSolo crine ondeggiar sul colto mio(sul mio colto il mirasti)Preso fosti e legato,E in un degli occhi miei ti sei piagato.

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32 - Quando mi vagheggiavi,In me tua grazia, il guardo tuo imprimea.Quindi vieppiù mi amaviE degno il mio si feaQuello adorare in te, che in te vedea.

33 - Ben mio, deh! non sprezzarmi, Se di bruno colore è il mio sembiante.Or tu ben puoi mirarmi,Se, dacché mi mirasti,Grazia, vezzo, beltade in me lasciasti.

SPOSO

34 - La bianca colombella,Col pacifico ramo all'arca riede ;E già la tortorellaSua compagnia bramataPer le verdi riviere ha ritrovata.

35 - Nel deserto vivea,E nel deserto il nido suo ripose.Colà scorta le feaDa solo a sol l’Amato,Pur nel deserto anch’ei d’amor piagato.

LA SPOSA

36 - Deh! godiamci, o Ben mio;Andiamo (e sia mio specchio il tuo bel viso)Al monte, al colle, al rio,Dove umor puro è accolto;Penetrar non ti spiaccia ov’è più folto.

37 - Quindi all’alte caverneTosto il pié porterem dell’alma pietra,Ben profonde ed interne.Là entro ne andrem poiL’umor suggendo de' granati tuoi.

38 - Qui tu mi mostreraiQuel che l'anima mia da te pretendeQui tosto mi darai,O gioia, o vita mia,Quel che l’altr’ier mi desti ed or vorria

39 - L'aura che spira a noi,Di filomena il dolce lieto canto,La selva e i fregi suoi,Nella notte, serena,Con dolce ardor che strugge e non dà Pena.

40 - Nessun mirarla osava,Né comparire Aminadabbo ardia.L'assedio alfin posava;E a veder l'acque viveScendeano i cavalier lungo le rive.

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ARGOMENTO

1 - Nelle strofe di questo cantico si scorge il cammino che un'anima percorre dal tempo in cui comincia a servire a Dio, sino a che giunge all'ultimo stato di perfezione, che è il matrimonio spirituale. In esse, quindi, si descrivono le tre vie dell'esercizio spirituale: la via purgativa, illuminativa e unitiva, per le quali l 'anima passa per arrivare a detto stato, e si spiegano alcune proprietà ed effetti di ciascuna di esse.

2 - Le prime strofe trattano dei principianti, che si trovano nella via purgativa. Quelle più innanzi riguardano lo stato dei proficienti, cioè la via illuminativa, dove si fa fidanzamento spirituale. Seguono di poi quelle che concernono la via unitiva, cioè quella dei perfetti, dove avviene il matrimonio spirituale. Le ultime strofe poi trattano dello stato di beatitudine, a cui l'anima, posta ormai nello stato di perfezione, soltanto aspira.

DICHIARAZIONE,

DELLE STROFE DI AMORE TRA LA SPOSA

E CRISTO SUO SPOSO

ANNOTAZIONE

1 - Allorché l'anima si fa a riflettere sul serio a ciò che è tenuta a compiere per la sua salvezza, gravi pensieri le si schierano dinanzi alla mente. Ben vede che questa vita è breve (Gb 14 ,5 ) e il sentiero della vita eterna stretto (M t 7 ,14 ), e che il giusto a stento si salva (1P t 4 , 18 ); conosce la vanità, e l 'inganno delle cose mondane, e che tutto finisce e passa come le acque che scorrono (2 R e 1 4, 1 4); considera che il tempo è incerto, rigoroso il giudizio divino, la perdizione molto facile, assai difficile il salvarsi. D'altra parte poi, pensa al gran debito di gratitudine che ha verso Dio, sia per essere stata da Lui creata e redenta solamente per sé, onde gli dovrebbe il fedele servizio di tutta la vita e tutto l'affetto del cuore, sia per mille altri immensi benefici per cui si sente obbligata da prima ancora che nascesse: mentre, purtroppo, gran parte della sua vita è trascorsa invano, e non le resta che dover rendere strettissimo conto di ogni cosa sino all'ultimo quadrante (M t 5 ,26 ), nel giorno in cui Dio scruterà Gerusalemme con lucerne accese (S of 1 , 12 ). È tempo ormai ch'ella rimedi a sì gran pericolo di perdizione, perché già è tardi, forse è l’ultima ora del giorno (M t 20 ,6 ); tanto più perché Dio è molto lontano da lei, avendolo essa troppo dimenticato per amore delle creature. A tutte queste considerazioni, l 'anima non può non sentirsi tocca da grave timore e vivo dolore insieme; e quindi rinunziando a tutte le cose, posponendo ogni altro affare , senza differire di un giorno, anzi neppur di un'ora, con ansie e gemiti che partono dal cuore ferito già dall'amor di Dio, comincia ad invocare il suo Diletto , e dice:

STROFA 1

Ah! dove ti celasti,Me in gemiti lasciando, o mio DilettoCome cervo n'andasti;Piagata io mi trovai,;T'uscii, dietro, eri gito, e invan gridai.

DICHIARAZIONE

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2 - In questa prima strofa, l 'anima innamorata del Verbo Figlio di Dio e suo Sposo, desiderando di unirsi con Lui con chiara ed essenziale visione, esprime le sue ansie amorose lagnandosi con lui della sua lontananza, tanto più che, essendo stata ferita dal suo amore (per il quale è uscita da tutte le cose create e da se stessa), deve ancora soffrire l 'assenza del suo Amato, mentre ella desidera di staccarsi al fine dalla carne mortale per poterlo godere nella gloria dell'eternità; e perciò dice:

Ah dove ti celasti?

3 - Come se dicesse: o Verbo divino, mio Sposo, mostrami il luogo dove sei nascosto. In queste parole gli chiede la manifestazione della sua divina essenza: poiché il luogo ove è nascosto il Figlio di Dio è, come dice San Giovanni (Gv 1 ,18) , il seno del Padre, cioè la divina essenza, che è lontana da ogni sguardo mortale e nascosta ad ogni umano intelletto. Onde Isaia, parlando con Dio, disse: Veramente tu sei un Dio nascosto ( I s 45 ,15 ) . Anzi è bene avvertire che, quand'anche un'anima in questa vita godesse delle più grandi comunicazioni e presenze di Dio ed avesse le più sublimi notizie divine, tutto ciò non sarebbe essenzialmente Dio, e niente avrebbe a che vedere con Lui. Anche allora in verità Dio sarebbe celato all'anima, e perciò conviene che essa al disopra di tutte quelle grandezze lo giudichi sempre nascosto, e come tale lo cerchi dicendo: Ah dove ti celasti? Poiché, né l'alta comunicazione, né la presenza sensibile di Dio sono indizio certo di averlo graziosamente presente, né viceversa l'aridità e la privazione dei detti favori provano l'assenza di Dio dall'anima. Per la qual cosa il Profeta Giobbe dice: Se viene da me, non lo vedo: se poi se ne va, non me ne accorgo (Gb 9 ,11 ).

4 - Queste parole ci fanno intendere che, se l 'anima avesse qualche grande comunicazione o sentimento o notizia spirituale, non per questo deve darsi a credere che ciò che sente sia possedere o vedere chiaramente ed essenzialmente Dio, o essere di più in Dio, per quanto fosse straordinario ciò che prova. Se poi tutte queste comunicazioni sensibili e spirituali le mancassero ed ella restasse in aridità, tenebre e abbandono, non per questo deve supporre che Dio le manchi più in questo che in altro stato, poiché realmente né nel primo caso può sapere di certo d'essere in grazia di Dio, né nel secondo è sicura di esserne priva, dicendo il Savio: Nessuno può sapere se sia degno di amore ovvero di odio avanti a Dio (S i r 9 ,1 ). Di modo che l'intento principale dell'anima nel presente verso, non è soltanto di chiedere la devozione affettiva e sensibile, in cui non v'è certezza di possedere lo Sposo in questa vita, ma principalmente di chiedere la chiara visione della di Lui essenza, di cui brama essere assicurata e soddisfatta nell'altra.

5 - Questo appunto la Sposa dei Cantici volle significare allorché, desiderando di unirsi con la divinità del Verbo, suo Sposo, la domandò al Padre, dicendo: Mostrami dove ti pasci e dove riposi sul mezzogiorno (C t 1 ,6 ). Il chiedere che le indicasse dove Egli si pasceva, non era altro che chiedere che le mostrasse l'essenza del Verbo divino, suo Figlio, perché il Padre non si pasce in altra cosa che nel suo Unigenito, che è la gloria del Padre; e il domandare che le indicasse il luogo dove riposare, era domandare la stessa cosa, perché solamente il Figlio è il diletto del Padre, che altrove non riposa né sta, se non nel suo amato Figlio, al quale comunica tutta la propria essenza, nel mezzodì, cioè nell'eternità, dove sempre lo ha generato e lo. genera. Questo pascolo, dunque, del Verbo Sposo, dove il Padre si pasce con gloria infinita, e questo letto fiorito, dove con infinito diletto di amore riposa, profondamente nascosto ad ogni sguardo mortale e ad ogni creatura, è ciò che l'anima Sposa chiede quando dice:

Ah dove ti celasti?

6 - E affinché quest'anima sitibonda giunga a trovare il suo Sposo e ad unirsi con Lui per amore, quanto è possibile in questa vita, e mitighi la sua sete almeno con una goccia, per così dire, che di Lui si può gustare quaggiù, sarà bene che noi a nome dello Sposo rispondiamo, indicandole il luogo più certo ove Egli si cela, affinché sicuramente lo trovi con la maggiore perfezione e sapore possibile, e così non cominci ad andar vagando inutilmente dietro le orme delle sue compagne. È da notarsi che il Verbo Figlio di Dio, insieme col Padre e lo Spirito Santo, è essenzialmente presente, ma nascosto, nell'intimo

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essere dell'anima. Pertanto, l 'anima che vuole rintracciarlo, conviene che esca da tutte le cose secondo l’affetto della volontà, raccogliendosi al massimo grado dentro sé stessa, come se tutto il resto non esistesse. E perciò S. Agostino nei Soliloqui, volgendosi a Dio, diceva: Non ti trovavo, o Signore, di fuori, perché ivi malamente cercavo te, che stavi dentro (P seudo- Ago s t ino , So l i loqu i , c . 31 ; ML 40 , 888) . Dio dunque sta nascosto nell'anima, e qui il buon contemplativo lo deve cercare, con amore, dicendo:

Ah dove ti celasti?

7 - O anima, dunque, bellissima tra tutte le creature, che tanto brami di sapere dov'è il tuo Diletto per incontrarlo e unirti coli Lui, ormai ti vien detto che tu stessa sei la stanza in cui dimora, e il nascondiglio dove si cela. Ben puoi rallegrarti, sapendo che tutto il tuo bene, l'oggetto della tua speranza, ti sta così dappresso che abita in te, o per meglio dire, tu non puoi stare senza di Lui. Ecco, dice lo Sposo, che il Regno di Dio è dentro di voi (L c 17 ,21 ) . Ed il suo servo l'Apostolo San Paolo dice: Voi siete tempio di Dio (2C or 6 ,16 ) .

8 - Grande contento è per l 'anima intendere che Dio non si diparte mai da lei, ancorché stia in peccato mortale: quanto meno, dunque, si ritirerà da quella che sta in grazia? Che vuoi di più, o anima, e che cerchi di più fuori di te quando dentro di te hai le tue ricchezze, i tuoi diletti, la tua soddisfazione, la tua abbondanza e il tuo regno, cioè l'Amato che tu desideri e brami? Godi e rallegrati pure con Lui nel tuo intimo raccoglimento, giacché lo hai tanto vicino! Qui amalo, qui desideralo, qui adoralo, e non andare a cercarlo fuori di te, perché altrimenti ti distrarrai e stancherai, e non ti sarà dato di trovarlo e goderlo più certamente, né più presto, né più dappresso che dentro di te. Una sola cosa rincresce ed è che, sebbene sia dentro di te, vi sta nascosto: però già è molto sapere il luogo dove si nasconde, a fine di cercarlo con la certezza di trovarlo. E questo è ciò che tu pure, anima, qui chiedi con affetto d'amore, dicendo:

Ah dove ti celasti?

9 - Ma tuttavia mi dirai: Dato che Colui che io amo è dentro di me, perché non lo sento e non lo trovo? La. causa è che Egli sta nascosto, e tu non ti nascondi al pari di Lui per ritrovarlo e sentirlo. Chi cerca una cosa nascosta, deve penetrare celatamente sino al nascondiglio dove essa sta, e quando la trova, anch'egli è nascosto come quella. Giacché dunque l'amato tuo Sposo è il tesoro occultato nella vigna dell'anima tua, per acquistare il quale l'accorto mercante vendé tutti i suoi beni (M t 13 ,44 ), bisognerà che anche tu, a fine di trovarlo, dimentichi tutte le tue cose e ti allontani da tutte le creature, celandoti nell'intimo ritiro del tuo spirito. Quivi, serrata la porta dietro di te, cioè chiusa la volontà ad ogni cosa, pregherai occultamente il Padre tuo (M t 6 ,6 ), e allora lo saprai sentire, amare e godere di nascosto, ossia sopra tutto quello a cui la lingua e il senso possono arrivare.

10 - Suvvia, dunque, anima bella, poiché ora sai che il tuo Diletto tanto desiderato dimora occulto nel tuo seno, procura di essere ben nascosta con Lui, e nel tuo seno l'abbraccerai e lo sentirai con affetto di amore. Pensa che a questo nascondiglio egli t 'invita per bocca d'Isaia, dicendo: Va, entra nel tuo ritiro, chiudi le tue porte dietro di te (cioè chiudi tutte le tue potenze a qualsiasi creatura), nasconditi alquanto, almeno per un momento ( I s 26 ,20 ): vale a dire per questo momento della vita terrena; perché, se in questo breve spazio di vita tu, o anima, custodirai con ogni diligenza, il tuo cuore, come dice il Savio (P r 4 ,23 ) , senza dubbio ti darà ciò che ti promette per mezzo del medesimo Isaia: Io ti darò gli occulti tesori, e ti discoprirò la sostanza dei segreti e dei misteri ( I s 45 ,3 ) . Questa sostanza dei segreti è Dio stesso, perché Egli è la sostanza della fede e il contenuto di essa, e la fede è il segreto ed il mistero. Quando poi sarà manifesto ciò che ora la fede ci tiene segreto e coperto, ossia quando sarà rivelato ciò che è perfetto, come dice S. Paolo (1C or 13 ,10 ) , nella chiara visione di Dio, allora si discopriranno, all'anima la sostanza e i misteri dei segreti. Ma, benché l'anima, per quanto si nasconda, non possa giungere mai a conoscerli in questa vita mortale così chiaramente come nell'altra, tuttavia se si rifugerà come Mosè ( Es

33 , 22 ) nel cavo della pietra, cioè nella vera imitazione della perfetta vita del Figlio di Dio suo Sposo, col favore della destra divina meriterà di vedere le spalle di Dio, ossia di giungere a tanta perfezione da unirsi e trasformarsi per amore nel suo Sposo divino. Di

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maniera che si sentirà tanto a lui congiunta, e tanto sapiente e istruita nei suoi misteri, che in quanto a ciò che riguarda il conoscerlo in questa vita, non avrà più bisogno di dire:

Ah dove ti celasti?

11 - Già è spiegato, o anima, il modo che ti conviene usare per trovare lo Sposo nel suo nascondiglio. Se però desideri di più, ascolta una parola piena di sostanza e di verità inaccessibile: cercalo in fede e in amore, senza voler trarre soddisfazione da cosa alcuna, né gustarla, né intenderla più di qual che ne devi sapere. La fede e l’amore sono come la guida del cieco, che ti condurranno per ignoti sentieri là, al nascondiglio di Dio. Poiché la fede, che è il segreto accennato più sopra, servi di piedi con i quali l’anima va a Dio, e l’amore è la scorta che l’incammina; di modo che, trattando i misteri e segreti della fede, l’anima meriterà che l’amore le sveli quello che la fede in sé racchiude, cioè lo Sposo che ella desidera, quaggiù per mezzo della grazia speciale dell’unione divina, e in cielo per mezzo della gloria essenziale, per cui lo godrà faccia a faccia, non più nascosto in alcun modo. Frattanto, però, benché l’anima arrivi a detta unione (che è il più alto stato a cui si possa giungere in questa vita), tuttavia lo Sposo le rimane nascosto nel seno del Padre, dove lo desidera godere nell'altra, e quindi sempre ripete:

Ah dove ti celasti?

12 - Assai bene t'adopri, o anima, cercandolo sempre nascosto, perché così molto t'innalzi e ti avvicini a Dio, stimandolo per più alto e profondo di tutto ciò che tu puoi penetrare. Non ti fermare, dunque, né molto né poco in quello che le tue potenze possono comprendere: vale a dire non voler mai appagarti di ciò che intenderai di Dio, ma piuttosto di ciò che di Lui non intenderai. Bada di non fermarti mai in amare e compiacerti di ciò che capisci e senti di Dio, ma ama e dilettati in ciò che di Lui non puoi comprendere e sentire: questo è cercarlo in fede. Essendo Dio inaccessibile e nascosto, per quanto ti sembri di trovarlo, sentirlo e intenderlo, sempre devi reputarlo nascosto e servirlo come tale e in occulto. Non voler essere come molti insipienti che, pensando bassamente di Dio, quando non lo intendono o gustano o sentono, credono che sia più lontano e più celato, mentre è vero il contrario, che cioè quanto meno distintamente l’intendono, tanto più si accostano a Lui; poiché come dice il Profeta Davide: Pose per suo nascondiglio le tenebre (S al 17 ,12 ) . Quindi, avvicinandoti a Lui necessariamente non vedrai che tenebre, a causa della fiacchezza degli occhi tuoi. In ogni tempo, dunque, sia nelle avversità, sia nelle prosperità, spirituali o temporali, fai bene a considerare Dio come nascosto, e ad alzare a Lui il grido del tuo cuore dicendo:

Ah dove ti celasti,Me in gemiti lasciando, o mio Diletto?

13 - Lo chiama Diletto per più commuoverlo e piegarlo alla sua domanda, poiché quando Dio è amato, con grande facilità accondiscende alle preghiere di chi l'ama, secondo che Egli stesso dice per bocca di San Giovanni: Se rimarrete in me, tutto ciò che vorrete, chiedetelo, e vi sarà dato (Gv 15 ,7 ) . Quindi l 'anima lo può in verità chiamare Diletto allorché essa dimora interamente in Lui, non avendo il cuore attaccato a nessun'altra cosa fuori di Lui, e volgendo ordinariamente a Lui il suo pensiero. E queste sono le condizioni di un vero amore, quali Dalila desiderava in Sansone, dicendogli: Come mai dici di amarmi, mentre l'animo tuo non è con me? (Gdc 16 , 15 ): nel qual animo s'include il pensiero e l 'affetto. Alcuni chiamano Diletto lo Sposo: eppure non è il loro Diletto davvero, perché il loro cuore non è interamente per Lui; e perciò la loro domani da non è di molto valore al cospetto di Dio e non viene esaudita, fintanto che, perseverando essi nell'orazione, non vengano ad intrattenere l'animo più assiduamente con Dio e a stabilire il cuore in Lui con intero affetto, perché nessuna cosa si ottiene da Dio, se non per via di amore.

I4 In quanto a ciò che l'anima tosto soggiunge: Me in gemiti lasciando, è da notarsi che la lontananza del Diletto fa gemere continuamente l'amante, perché, non amando altro fuori di Lui, in nessuna cosa trova riposo o sollievo. Che anzi precisamente da questo si conoscerà chi davvero ama Dio, se cioè non si contenta di alcuna cosa inferiore a Lui.

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Ma che dico si contenta? Ancorché possedesse tutte le cose, mai sarebbe pago, anzi quanto più ne avesse, tanto meno n'andrebbe soddisfatto; perché la soddisfazione del cuore non si trova nel possesso delle cose, ma nella privazione di tutto, nella povertà dello spirito (C f Pro l ogo S , n . 9 ) . Consistendo in questa povertà la perfezione dell'amore in cui si possiede Dio con vincolo molto stretto e grazia specialissima, l'anima, giunta che sia a detta povertà, vive quaggiù con una certa soddisfazione, ma non con piena sazietà, poiché Davide, con tutta la sua perfezione, la sperava soltanto in cielo, dicendo: Quando apparirà la tua gloria, mi sazierò ( Sa l 16 ,15 ). Quindi la pace, la tranquillità e la soddisfazione del cuore che l'anima può conseguire in questa vita, non bastano a far sì che ella non emetta dentro di sé qualche gemito (pacifico però, non già penoso), prodotto dalla speranza di ciò che le manca. Il gemito va unito alla speranza, come quello che, al dir dell'Apostolo, sì lui che gli altri emettevano, quantunque perfetti: Noi stessi, dice, pur godendo le primizie dello spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione dei figli di Dio (R m 8 ,2 3 ). Tale gemito, dunque, l 'anima manda dentro di sé, nel suo cuore innamorato, poiché dove l'amore ferisce, ivi è il gemito della ferita. Cosicché ella sempre grida per il dolore della lontananza dello Sposo, tanto più dopo aver gustato qualche sua dolce e saporosa comunicazione: perché, ritirandosi il Diletto, d'improvviso rimane sola e arida, e perciò gli dice:

Come cervo n'andasti.

15 - Intorno a questo verso è da notarsi che nei Cantici la Sposa paragona lo Sposo al cervo e alla capra selvatica dicendo: Il mio Diletto è simile al capriolo, e al figlio dei cervi (C t 2 ,9 ). E ciò non solo perché il Diletto è selvatico e solitario, e fugge la compagnia come il cervo, ma anche per quella rapidità che suole usare nel mostrarsi alle anime devote, quando le visita per accarezzarle e incoraggiarle, e nel nascondersi subito dopo tali visite, quando si diparte da loro per umiliarle ed istruirle; al qual fine fa che sentano sempre più il dolore della sua lontananza, secondo che si rileva da ciò che l'anima soggiunge:

Piagata io mi trovai.

16 - Come se dicesse: Non basta la pena e il dolore che ordinariamente patisco in tua assenza, ma oltre a ciò, ferendomi di più con l'amorosa tua freccia e accrescendomi la passione e il desiderio di vederti, fuggi con l'agilità di un cervo, e non ti lasci prendere almeno per un poco.

17 - A maggiore dichiarazione di questo verso dirò che, oltre a molte altre visite che Dio fa all'anima, piagandola di amore in vari modi, suol far anche alcuni tocchi amorosi e segreti che a guisa di saette infocate feriscono e trapassano l'anima, lasciandola tutta cauterizzata di amoroso fuoco: e queste propriamente si chiamano ferite di amore, delle quali qui l 'anima intende parlare. Esse accendono tanto la volontà che l'anima, ardendo del fuoco di amore, crede di consumarsi in quella fiamma che tutta la rinnova, facendola uscire di sé e passare a nuovo modo di essere, qual altra fenice che, bruciata, rinasce. A tal proposito Davide dice: Il mio cuore s'infiammò e i miei reni si cambiarono, ed io fui annichilito, e non seppi (S al 72 ,21 ) .

18 - Gli appetiti e gli affetti, che qui il Profeta intende col nome di reni, tutti si commuovono e si cambiano in divini per mezzo di quella infiammazione del cuore, e l 'anima per amore si dissolve in nulla, non sapendo altra cosa che amore. In questo tempo, dunque, avviene il rinnovamento di questi reni con gran pena e ansia di vedere Dio, tanto che all'anima sembra intollerabile il rigore che l'amore usa con lei; non perché l'abbia ferita (che anzi ella giudica salutari tali ferite), ma perché l'ha lasciata così penando in amore, senza ferirla con più violenza, finendo di ucciderla, di modo che ella potesse unirsi con l'Amato nella vita dell'amore perfetto. Pertanto, esprimendo la grandezza del suo dolore, dice:

Piagata io mi trovai.

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19 - Vale a dire: Ti nascondesti con la sveltezza di un cervo, lasciandomi ferita mortalmente di amore verso di te. Con tali parole l'anima ci fa intravedere quanto sia grande la forza del sentimento che prova, perché in quella ferita, di amore ricevuta da Dio l'affetto della volontà si solleva con improvvisa prestezza, aspirando al possesso del Diletto di cui ha sentito il tocco divino; ma con la medesima prestezza ne prova l'assenza, e ben vede di non poterlo possedere quaggiù come desidera. Al tempo stesso, quindi, sente il gemito del cuore per questa lontananza, poiché tali visite non sono come certe altre in cui Dio ricrea e soddisfa l'anima, ma sono fatte più per ferire che per sanare, più per affliggere che per consolare: servono a ravvivare la notizia di Dio, ad aumentare il desiderio e, per conseguenza, il dolore e l 'ansia di vederlo. Queste si chiamano ferite spirituali di amore e sono assai gustose e desiderabili, tanto che l'anima vorrebbe star sempre soffrendo mille morti da queste lanciate, perché la fanno uscire da sé ed entrare in Dio: il che ella esprime nel verso seguente, dicendo:

T'uscii dietro, eri gito, e invan gridai.

20 - Per le ferite di amore non vi può essere medicina, se non da parte di colui che ferì. E perciò quest'anima trafitta uscì, con la forza del fuoco acceso della ferita, dietro il suo Diletto che l'aveva piagata, gridando a Lui perché la risanasse. Bisogna notare che questo uscire spiritualmente s'intende qui circa due maniere di andare dietro a Dio: la prima, uscendo da tutte le cose, il che si fa col disprezzo e l'aborrimento di esse; l 'altra, uscendo da sé con l'oblio di se stesso, il che si fa per mezzo del divino amore. Poiché, quando questo tocca, l 'anima davvero, nel modo che ora stiamo dicendo, tanto la innalza, che non solo la fa uscire di se stessa mediante il proprio oblio, ma anche la trae fuori dai suoi voleri e modi e inclinazioni naturali. Onde l'anima grida a Dio press'a poco così: Sposo mio, con quel tuo tocco e ferita di amore mi traesti fuori, non solo da tutte le cose, ma anche mi cavasti e facesti uscire di me stessa (sembra, infatti, che perfino venga separata dal corpo), e m'innalzasti a te mentre io, già distaccata da tutto, ti chiamavo per unirmi a te.

Eri gito.

21 - Come se dicesse: Allorché volli raggiungere la tua presenza, non ti trovai, ed ora mi rimango distaccata da una cosa senza afferrare l'altra, penando sospesa nell'aura di amore, senza l'appoggio né di me né dì te. Ciò che qui l 'anima chiama uscire per andare in cerca del Diletto, vien detto dalla Sposa dei Cantici levarsi, dicendo: Mi leverò, e cercherò colui che è l 'amore dell'anima mia, girando per le vie e le piazze della città: lo cercai, ma non lo trovai... e mi ferirono (C t 3 ,2 ; 2 ,7 ) . In questo testo il levarsi della Sposa, spiritualmente parlando, s'intende dal basso all'alto, ed è la stessa cosa che qui l 'anima vuol significare con la parola uscire: uscire, cioè, dalle sue maniere e dal suo basso amore all'alto amore di Dio. Di più, nel passo citato, la Sposa narra che rimase ferita, perché non trovò l'Amato: e similmente qui l 'anima afferma di essere stata ferita di amore dal suo Diletto, che poi in tale stato la lasciò. Quindi l 'anima amante vive sempre in pena per la lontananza dell'Amato, perché essendosi già donata interamente a Lui, ne spera il contraccambio, cioè che il Diletto faccia altrettanto con lei, ma questi purtroppo non le si dona ancora. Cosicché, mentre si è già perduta a tutte le cose ed a se stessa per amore del Diletto, non ha trovato alcun compenso alla sua perdita, perché è priva del possesso dell'amato suo Bene.

22 - Il penoso sentimento della lontananza di Dio suol essere tanto grande in coloro che sono vicini allo stato di perfezione, che se nel tempo delle ferite divine il Signore non li assistesse, ne morrebbero. Poiché, avendo il palato della volontà sano e lo spirito puro e ben disposto verso Dio, ed essendo loro concesso di assaggiare solo un poco della dolcezza dell'amore divino che ardentissimamente appetiscono, di necessità soffrono oltre misura: vedono come da una fessura un bene immenso, che è loro negato, e quindi viene ad essere ineffabile il loro tormento.

STROFA 2

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Pastori, o voi che andreteLungo i vostri recinti all'alto Monte,Se per sorte vedreteChi più d'ogn'altro adoro,Ditegli che languisco e peno e moro.

DICHIARAZIONE

1 - In questa strofa l'anima si vuole servire di terze persone e di mediatori presso il suo Diletto, pregandoli che lo rendano consapevole del suo dolore: poiché è proprio dell'amante, posto che di presenza non possa comunicare col Diletto, far ciò col miglior mezzo possibile. Così qui l'anima vuol fare uso dei suoi desideri, affetti e gemiti, come di messaggeri che molto bene sanno manifestare il segreto del cuore al suo Diletto, e perciò li prega di andare a Lui dicendo:

Pastori, o voi che andrete.

2 - Chiama pastori i suoi desideri, affetti e gemiti, in quanto pascono l'anima di beni spirituali, e sono i mezzi con cui Dio le si comunica e le porge pascolo divino, mentre senza di essi ben poco suole comunicarsi. Di poi soggiunge: O voi che andrete. Vale a dire: o voi che partirete da puro amore; poiché non tutti gli affetti e desideri vanno sino al Diletto, ma quelli solamente che nascono da vero amore.

Lungo i vostri recinti all'alto Monte.

3 - Chiama recinti i pastori, le gerarchie e i cori degli angeli, per i quali di coro in coro le nostre orazioni e gemiti salgono fino a Dio. Il quale è chiamato monte, perché Egli è la suprema altezza, e perché in Lui, come in un monte, si vedono tutte le cose, i recinti superiori e gl'inferiori, ed a Lui salgono le nostre orazioni offerte dagli angeli, secondo che uno di questi disse a Tobia: Quando pregavi con lagrime e seppellivi i morti, io offrivo al Signore la tua preghiera (T b 12 , 12 ). Per pastori dell'anima si possono molto bene intendere pure gli angeli stessi, perché non solo presentano a Dio le nostre suppliche, ma anche portano i divini messaggi alle anime nostre, pascendole, a guisa di buoni pastori, con dolci comunicazioni e ispirazioni del Signore, il quale le concede anche per loro mezzo; di più ci proteggono e difendono dai lupi, che sono i demoni. Adunque, sia che per pastori intenda gli affetti, sia gli angeli, l'anima desidera che tutti le facciano da mediatori presso il suo Diletto, e quindi a tutti dice:

Se per sorte vedrete.

4 - Che è quanto dire: Se per mia buona sorte giungerete alla sua presenza, in modo che Egli vi veda ed ascolti. Dove è da notarsi che, quantunque Dio sappia ed intenda ogni cosa, scrutando perfino i più occulti pensieri dell'uomo, come dice Mosè (D t 31 ,21 ) , nondimeno si dice che vede le nostre necessità e ascolta le nostre preghiere, quando sovviene alle une ed esaudisce le altre. Non tutte le nostre necessità o preghiere arrivano a tal punto da muovere subito Dio in nostro aiuto. ma conviene aspettare sino a che agli occhi suoi non siano giunte a quella data opportunità di tempo o a quel dato numero: ed in questo caso si dice che le vede ed ascolta. Infatti si narra nell'Esodo che, dopo quattrocento anni dacché i figli d'Israele si trovavano oppressi sotto la dura schiavitù d'Egitto, Dio disse a Mosè: Ho veduto l'afflizione del mio popolo e sono disceso a liberarlo (E s 3 ,7 - 8 ); benché certamente sempre l 'avesse veduta. Parimenti l 'Arcangelo Gabriele disse a Zaccaria (L c 1 ,13 ) di non temere, perché Dio aveva udito la sua orazione col dargli il figlio che da molti anni andava chiedendo; eppure il Signore sempre aveva udito quell'orazione. Pertanto, ogni anima intenda bene che, quand'anche Dio non venisse subito incontro alla sua necessità e preghiera, non per questo lascerà di farlo a tempo opportuno, essendo egli soccorritore, come dice Davide, nelle opportunità e nella tribolazione (S al 9 ,10 ) ,

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purché l'uomo non si scoraggi e non cessi dal pregare. Questo, dunque. l'anima vuol significare con le parole:

Se per sorte vedrete.

Vale a dire, se per caso è giunto il momento in cui il Diletto crede conveniente esaudire le mie domande.

Chi più d'ogn'altro adoro.

5 - Ossia chi amo più di tutte le cose. E questo si avvera, quando per l 'anima non v'è alcun ostacolo che la trattenga dal fare e patire qualunque cosa che torni a gloria e servizio del Diletto. Quando poi l 'anima può anche con verità affermare ciò che soggiunge nel verso seguente, è sicuro indizio che lo ama sopra tutte le cose:

Ditegli che languisco e peno e moro.

6 - In queste parole esprime tre necessità, cioè: languore, pena e morte; perché l'anima che ama Dio davvero, con amore in qualche modo perfetto, nella lontananza patisce ordinariamente in tre maniere, secondo le sue tre potenze, intelletto, volontà e memoria. Circa l'intelletto , dice che languisce, perché non vede Dio, il quale è la salute dell'intelletto, secondo che Egli stesso afferma per bocca di Davide: Io sono la tua salute (S al 34 ,3 ) . Intorno alla volontà, dice che pena, perché non possiede Dio, che è il refrigerio e il diletto di questa potenza, secondo le parole dello stesso Davide: Li disseterai al torrente delle tue delizie (S al 35 ,9 ) . Rispetto alla memoria, dice che muore, perché si rammenta di essere priva di tutti i beni intellettuali che consistono nel vedere Dio, e dei diletti della volontà, il cui godimento è riposto nel possederlo; ed anche perché pensa che molto facilmente le può accadere di andar priva di Lui per sempre, tra i pericoli e le occasioni di questa vita. A tale ricordo, quindi, patisce un dolore e un affanno di morte, ben vedendo che le manca il possesso certo e perfetto di Dio, il quale è vita dell’anima, come dice Mosè: Egli è certamente la tua vita. (D t 30 ,20 )

7 - Anche il Profeta Geremia nei suoi Treni fece presenti a Dio queste tre sorta di necessità, dicendo: Ricordati della mia povertà e dell'assenzio e del fiele (Th ren. 3 ,19 ) . La povertà si riferisce all'intelletto, poiché ad esso appartengono le ricchezze della sapienza del Figlio di Dio, nel quale, come dice S. Paolo, sono racchiusi tutti i divini tesori (C o l 2 ,3 ). L'assenzio, che è un'erba amarissima, si riferisce alla volontà, poiché a questa potenza appartiene la dolcezza del possesso di Dio, mancando la quale, la volontà resta piena di amarezza. Che poi l 'amarezza, spiritualmente parlando, si riferisca alla volontà, lo possiamo dedurre da quelle parole che l'angelo disse a S. Giovanni nell'Apocalisse: che cioè, nel mangiare quel libro gli si sarebbe amareggiato il ventre (Ap 10 ,9 ): intendendo per ventre la volontà. Il fiele si riferisce non solo alla memoria, ma a tutte le potenze e forze dell'anima, poiché, il fiele significa la morte di essa, secondo ciò che Mosè dice nel Deuteronomio par lando dei dannati: il loro vino sarà fiele di dragoni, e un mortifero veleno di aspidi (D t 32 ,33 ): il che qui significa la privazione di Dio, la quale è la morte dell'anima. Le tre necessità suesposte hanno fondamento nelle tre virtù teologiche che sono la fede, la carità e la speranza, le quali corrispondono alle dette tre potenze, intelletto, volontà e memoria, secondo l'ordine che sopra abbiamo tenuto.

8 - È degno di nota che l'anima, nell’accennato verso, soltanto manifesta al Diletto la sua necessità e pena; perché chi ama con discrezione, non si cura di domandare ciò che gli manca e desidera, ma palesa solamente il suo bisogno, affinché il Diletto da parte sua disponga a suo piacimento. Così fece la Vergine benedetta nelle nozze di Cana in Galilea, dove rivolgendosi al suo amato Figlio, non gli chiese direttamente il vino per i convitati, ma gli disse semplicemente: Non hanno più vino (Gv 2 ,3 ) . E le sorelle di Lazzaro, quando questi si ammalò, mandarono a dire a Gesù, non già che guarisse il loro fratello, ma solo pensasse che chi Egli amava era infermo (Gv 11 ,3 ). E ciò per tre motivi: primo, perché il Signore sa meglio di noi quello che ci conviene; secondo, perché il Diletto è mosso a maggior compassione, vedendo la necessità di chi lo ama e insieme la sua

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rassegnazione; terzo, perché l'anima è più sicura dall'amor proprio esponendo il suo bisogno, che non chiedendo ciò che a suo parere le manca. Né più né meno l'anima fa ora qui, manifestando le sue tre necessità, quasi dicesse: Dite al mio Diletto che se io languisco ed Egli solo è la mia salute, voglia darmi la mia salute; e poiché peno ed Egli solo è il mio gaudio, mi conceda il mio gaudio; e poiché muoio ed Egli solo è la mia vita, mi dia la vita.

STROFA 3

Cercando il caro Amore,Andrò per questa monti e queste sponda,Né coglierò mai fiore,Né temerò di fiere,E passerò li forti e le frontiere.

DICHIARAZIONE

1 - La Sposa, vedendo che per trovare il Diletto non le bastano i gemiti e le preghiere, e che neppure le giova servirsi di buoni mediatori come ha fatto sinora, spinta da grande amore e da un desiderio molto sincero di cercarlo, non vuole omettere alcuna diligenza possibile da parte sua. L'anima che veramente ama Dio non è pigra, ma fa quanto può per rintracciare il Figlio di Dio, suo Sposo; anzi, anche dopo aver fatto tutto il possibile, non si tiene paga, né pensa di aver fatto un gran che. Ora perciò, in questa terza strofa, ella stessa con l'opera propria lo vuole cercare e dice il modo che deve adoperare per rinvenirlo. Vale a dire: che avrà da esercitarsi nelle virtù e nelle pratiche spirituali della vita attiva e contemplativa, e che quindi non ammetterà in sé alcun piacere o delizia; né tutte le forze e le insidie dei tre suoi nemici, il mondo, il demonio e la carne, varranno a trattenerla e ad impedirle questo cammino. Col dire dunque

Cercando il caro Amore

2 - cioè il mio Diletto, l’anima ci fa intendere che, per trovare Dio davvero, non basta soltanto che uno preghi con la lingua e col cuore, e si valga anche dell'aiuto altrui, ma oltre a ciò occorre che operi dal canto suo tutto ciò che può di per se stesso, perché Dio suole stimare più una sola opera propria di una persona, che molte fatte da altri per lei. Per la qual cosa l'anima, rammentandosi qui delle parole del Diletto che dice: Cercate e troverete (L c 11 ,9 ) , si risolve a cercarlo da sé con le proprie opere, per non restare delusa nella sua speranza, come purtroppo succede a molti, i quali vorrebbero che Dio non costasse loro più che un aprir di bocca, e questo anche fatto malamente, e non se la sentono dì scomodarsi un poco per Lui, tanto che ad alcuni dispiace perfino di abbandonare un luogo di proprio genio. In tal guisa, aspettano che il sapore divano scenda dal cielo sulla bocca e sul cuore loro senza muovere un dito, senza mortificarsi con la rinunzia del minimo dei loro gusti, consolazioni e voglie inutili. Ma fintanto che non usciranno da queste cose in cerca dell'Amato, per quante voci innalzino al cielo, non lo troveranno giammai; perché anche la Sposa dei Cantici, che dapprima lo cercava com'essi fanno, non lo trovò finché non uscì a rintracciarlo. Lo dice infatti con queste parole: Nel mio letto cercai di notte Colui che è l 'amore dell'anima mia; lo cercai, ma non lo trovai. Mi leverò e andrò dattorno per la città; per le vie e per le piazze cercherò l'amore dell'anima mia (C t 3 ,1 -2 ) . E dopo aver sofferto alcuni travagli, soggiunge che lo trovò.

3 - Chi dunque cerca Dio, ma vuole rimanere nei propri gusti e comodità, lo cerca di notte, e in tal maniera non lo troverà di certo: ma colui che lo cerca con le buone opere e l 'esercizio delle virtù, lasciando il letto dei propri piaceri e delizie, lo cerca di giorno, e quindi lo troverà perché ciò che non si trova di notte, si scopre di giorno. Nel libro della Sapienza lo Sposo stesso spiega chiaramente la medesima cosa, dicendo: Luminosa e immarcescibile è la sapienza, e facilmente è veduta da quei che l'amano, ed è trovata da quei che la cercano. Previene coloro che la bramano mostrandosi ad essi per la prima.

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Quegli poi che per lei si leverà di buon mattino, non avrà da stancarsi, perché la vedrà seduta alla porta di casa (S ap 6 ,13 - 15). In queste parole ben s'intende che l'anima, uscendo dalla casa della propria volontà e dal letto dei propri gusti, non appena uscita troverà subito la Sapienza divina che è il Figlio di Dio, suo Sposo. Onde in questo luogo l'anima dice:

Cercando il caro AmoreAndrò Per questi monti e queste sponde.

4 - Col nome di monti, che sono alti, intende le virtù: primo, per la loro altezza; secondo, per la difficoltà e fatica che s'incontra nel salire per esse: per mezzo delle quali, dice che eserciterà la vita contemplativa. Sotto il nome di sponde, che sono basse, intende le mortificazioni, le penitenze ed altre pratiche spirituali, per mezzo di cui eserciterà la vita attiva, insieme con la contemplativa: poiché per trovare certamente Dio e fare acquisto delle virtù, sono necessarie l'una e l'altra. Quindi è come se dicesse: Andrò in traccia del mio Diletto, praticando le alte virtù e abbassandomi nelle mortificazioni e negli esercizi umili. Il che, dice, perché la via per cui si cerca Dio, consiste nell'operare il bene in Dio, e mortificare il male in se stessi, nel modo che l'anima spiega nei versi seguenti, cioè:

Né coglierò mai fiore.

5 - Essendo che per cercare Dio è necessario avere un cuore forte, nudo e libero da tutti i mali, ed anche da tutti ì beni che non sono puramente [solamente] Dio, l 'anima dice nel presente verso e nei seguenti di quanta libertà e fortezza debba essere fornita per rintracciarlo. Qui dice che non coglierà fiori, incontrandone in questo cammino: e per essi intende tutti i gusti e contenti e piaceri che le si possono offrire in questa vita, e che la distoglierebbero dal proseguire la sua via, se volesse coglierli e goderne. Questi piaceri sono di tre sorta: temporali, sensibili e spirituali. Sì gli uni che gli altri occupano il cuore e gli sono d'impedimento alla nudità spirituale, quale si richiede per il diritto cammino di Cristo, se in essi si ferma e riposa. L'anima quindi dice che, cercando il suo Diletto, non coglierà nessuna delle suddette cose; il che è quanto dire: Non porrò il mio cuore nelle ricchezze e, nei beni che il mondo offre, né ammetterò i contenti e i diletti della mia carne, né mi fermerò nei gusti e nelle consolazioni del mio spirito, a fine di non essere trattenuta dal cercare il mio Amore per i monti delle virtù e dei travagli. Dice questo, per seguire il consiglio del Profeta Davide: «Divitiae si affluant, nolite cor apponere» (Sa l 61 ,11 ): Se vi sovrabbondano le ricchezze, non vogliate attaccarvi il vostro cuore: le quali parole si applicano anche a proposito dei gusti sensibili e di tutti gli altri beni temporali e consolazioni dello spirito. E qui si avverta che, non solo i beni terreni e i piaceri del corpo contrastano e impediscono il cammino di Dio; ma anche le consolazioni e i diletti spirituali, se si cercano a e abbracciano con spirito di proprietà, sono di ostacolo ad avanzare per la strada della Croce di Cristo Sposo. Pertanto, chi vuole progredire, conviene che non si fermi a cogliere quei fiori; e non solo ciò, ma che abbia pure coraggio e forza per dire:

Né temerò dì fiere,E passerò li forti e le frontiere.

6 - In questi versi si fa menzione dei tre nemici dell'anima, mondo, demonio e carne, che sono quelli che le muovono guerra e le rendono difficoltoso il cammino. Per le fiere intende il Mondo, per i forti il demonio e per le frontiere la carne.

7 - Chiama fiere il mondo, perché all'anima che comincia a battere la via del Signore, sembra che il mondo le si presenti nell'immaginazione a guisa di fiere che la minacciano e spaventano principalmente in tre maniere. La prima fiera le suggerisce che le mancherà il favore del mondo, perderà gli amici, il credito, la salute e anche la roba. La seconda, che è un'altra fiera non meno terribile della prima, le va dicendo come mai potrà rassegnarsi a non avere più i contenti e i diletti del mondo e a restare priva di tutti i suoi piaceri. La terza , molto peggiore ancora, le preannunzia che si leveranno contro di lei le lingue mordaci e se ne prenderanno beffa con molti frizzi e burle, e la terranno in nessun

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conto. Queste considerazioni sogliono fare tanta breccia in alcune anime, che di fronte a tali fiere si rende loro difficilissimo non solo il perseverare nel cammino intrapreso, ma anche il solo intraprenderlo.

8 - Però ad alcune anime generose sogliono opporsi altre fiere più interiori e spirituali di difficoltà, tentazioni e pene di varie specie, quali Dio riserba a coloro che vuole innalzare ad un'alta perfezione, provandole come l'oro nel fuoco, secondo quel detto di Davide: «Multae tribulationes iustorum, et de omnibus his liberabit eos Dominus» (Sa l 33 , 20): Molte sono le tribolazioni dei giusti, ma il Signore li libererà da esse tutte. Quindi l'anima veramente innamorata, che stima il suo Diletto più d'ogni altra cosa, confidando nel di Lui amore ed aiuto, non dubita di affermare:

Né temerò di fiere,E passerò li forti e le frontiere.

9 - I demoni, che sono il secondo nemico, vengono chiamati forti, perché essi con gran forza procurano di contrastare il passo, ed anche perché le loro tentazioni sono più forti ed ardue a vincersi, e le loro astuzie più difficili ad intendersi che non quelle del mondo e della carne; e perché infine essi si rafforzano con 1’aiuto degli altri due nemici, mondo e carne, per muovere più dura guerra all'anima. Quindi è che Davide, parlando di essi, li chiama precisamente forti, dicendo: «Fortes quaesierunt animam meam» (Sa l 53 ,5 ): I forti cercarono d'impadronirsi dell'anima mia. Della loro forza anche il Profeta Giobbe dice che: Sulla terra non vi è potere paragonabile a quello del demonio, il quale fu creato di tal fatta che non temesse nessuno (Gb 41 ,24) ; ossia, nessuna forza umana potrà reggere a suo confronto, ma solo il potere divino vale a superarlo, e la sola divina luce può intenderne le sottili perfidie. Per la qual cosa l'anima che avesse da vincere la fortezza di lui, non lo potrà senza l'orazione, né riuscirà a scoprire i suoi inganni senza l'umiltà e la mortificazione. Onde l'apostolo S. Paolo dà ai fedeli il seguente avviso: «Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli, quoniam non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem» (E f 6 , 11 -1 2) Rivestitevi dell'armatura di Dio, per resistere alle astuzie del nemico; perché questa lotta non è come quella contro la carne e il sangue: intendendo per sangue il mondo, e per armi di Dio l'orazione e la croce di Cristo, in cui sono riposte l'umiltà e la mortificazione anzidette.

10 - L'anima aggiunge che passerà le frontiere, per le quali s'intendono le ripugnanze e le ribellioni che naturalmente la carne solleva contro lo spirito. Essa, come dice San Paolo, appetisce le cose contrarie allo spirito: «Caro enim concupiscit adversus spiritum » (Ga l 5 ,17 )

e si mette come sui confini, opponendosi all'avanzamento spirituale. L'anima, dunque, deve passare queste frontiere, superando le difficoltà e gettando a terra con forza e risolutezza di spirito tutte le affezioni naturali e gli appetiti sensitivi; fintanto che questi dureranno nell'anima, lo spirito ne resta siffattamente oppresso, che non può passare alla vera vita e al diletto spirituale. Ciò è confermato dalla chiara testimonianza dell'Apostolo che dice:«Si autem, spiritu facta carnis mortificaveritis vivetis» (Rm 8,13): Se per mezzo dello spirito mortificherete le inclinazioni e gli appetiti della carne, vivrete. Questa, dunque, è la maniera che nella detta strofa l'anima dice di dover usare nella ricerca del suo Diletto; la quale maniera, in poche parole, consiste nell'aver costanza e valore per non chinarsi a cogliere i fiori, coraggio per non temere le fiere, e forza per passare i forti e le frontiere, attendendo solamente a camminare per i monti e le spiagge delle virtù, nel modo già dichiarato.

STROFA 4

O folte selve oscure,Qui con sua man dal caro Ben piantate,O voi prati, o verdureDi vaghi fior vestite,Se il suo bel pié per voi passò mi dite.

Page 18: CANTICO SPIRITUALE - Passinelcarmelo

DICHIARAZIONE

1 - L'anima ci ha fatto già conoscere la sua maniera di disporsi per intraprendere il cammino, la quale consiste nel non correre più dietro ai piaceri, e di più la fortezza che ha da usare per vincere le tentazioni e le difficoltà, nel che consiste l'esercizio del proprio conoscimento, la prima cosa che ella deve avere per giungere alla cognizione di Dio. Ora in questa strofa, per mezzo della considerazione e della notizia delle creature, comincia ad avanzarsi alla cognizione del suo Diletto che le creò. Difatti , dopo l'esercizio del proprio conoscimento, la considerazione delle creature è per ordine la prima che nel cammino spirituale ci guida a conoscere Dio e la sua grandezza ed eccellenza, secondo quanto l'Apostolo dice:«Invisibilia enim ipsius, a creatura mundi, per ea quae facta sunt, intellecta conspiciuntur» (R m 1, 20 ): Le cose invisibili di Dio sono conosciute dall'anima per mezzo di quelle create, sì visibili che invisibili. L'anima, dunque, in questa strofa parla con le creature, chiedendo loro notizia del suo Diletto. Ed intorno a ciò dobbiamo notare che, a detta di S. Agostino, 1 la domanda che l'animi rivolge alle creature è la considerazione che su di esse ella fa del loro Creatore. In questa strofa, quindi, si contiene la considerazione degli elementi e delle altre creature inferiori, quella dei cieli e delle altre cose materiali che Dio in essi creò, e finalmente quella degli spiriti celesti. Dice adunque

O folte selve oscure.

2 - Chiama col nome di selve gli elementi cioè la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco, perché essi a guisa di boschi amenissimi sono popolati di un'infinità di creature. A queste dà il nome di folte, per il gran numero e la mirabile varietà che di esse vi è in ogni elemento. Nella terra, innumerevoli specie di animali e di piante; nell'acqua, pesci senza numero; nell'aria, grandissima diversità di uccelli; il fuoco poi è quello che con gli altri elementi concorre all'animazione e conservazione di ogni cosa. Quindi ogni sorta di animali vive nel proprio elemento, dove nasce e cresce, e vi sta piantata, per così dire, come nel proprio bosco o regione. Ed invero, Dio stesso così dispose (Gen 1 , 3 -25) nella loro creazione, quando comandò alla terra di produrre le piante e gli animali; al mare e alle acque, di produrre i pesci; e assegnò l'aria per dimora degli uccelli. Per la qual cosa l'anima, conoscendo che così Dio volle e così fu fatto, dice il seguente verso:

Qui con sua man dal caro Ben piantate.

3 - In questo verso l'anima considera che la sola mano del Diletto suo Dio poté fare e creare tutte le varie bellezze e le meraviglie dell'universo. Si noti che l'anima di proposito dice: con sua man dal caro Ben Piantate; perché, quantunque Dio faccia molte altre cose per mano altrui, cioè per mezzo degli angeli e degli uomini, l 'azione di creare non l'ha fatta, né mai la farà per altra mano che per la propria. Perciò l'anima è mossa grandemente all'amore del suo Dio mediante la considerazione delle creature, vedendo che sono opere soltanto della sua mano, e prosegue dicendo:

O voi prati, o verdure.

4 - Quivi l 'anima considera il cielo, che chiama col nome di prati e di verdure, perché le cose che vi esistono durano sempre con un verdeggiare perenne; non finiscono mai, né sfioriscono col tempo, e tra esse, come tra fresche ombre, i giusti si ricreano e dilettano. In questa considerazione s'include l'immensa varietà delle fulgide stelle e dei pianeti celesti.

5 - Anche la Chiesa applica il nome di verdure alle cose celesti, allorché pregando Dio per le anime dei fedeli defunti, volge loro la parola e dice: «Constituat vos Dominus inter amoena virentia» :2 Vi collochi il Signore tra le dilettevoli verdure del paradiso. Inoltre l 'anima aggiunge che queste verdure sono, anche

1 Conf. I ,10, c. 6; ML 32,783.2 Ritual . Rom Tit . 5, c. 7, Ordo commendationis animae.

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Di vaghi fior vestite.

6 - Per fiori qui intende gli angeli e le anime sante, di cui quel luogo è adorno e abbellito, come un vaso d’oro purissimo ornato di vaghi e fini smalti.

Se il suo bel pié per voi passò mi dite.

7 - Questa domanda richiama la considerazione precedente, e significa: Ditemi quali bellezze il Diletto in voi ha creato.

STROFA 5

Mille grazie versando,Passò per queste selve agile e snello;Mentre le andò mirando,Solo col suo bel voltoFé ch'ogni bel rimase n esse accolto.

DICHIARAZIONE

1 - Nella presente strofa le creature rispondono all'anima, e tale risposta, come dice S. Agostino nel luogo già citato, 3 è la testimonianza che in sé danno della grandezza ed eccellenza di Dio all'anima stessa, che nella sua considerazione la domanda loro. Quindi ciò che in sostanza si contiene in questa strofa è che Dio creò tutte le cose con grande agevolezza e rapidità, ed in esse lasciò, un certo vestigio del suo essere, non solo traendole dal nulla all'esistenza, ma anche dotandole d’innumerevoli grazie e virtù, e abbellendole con ammirabile ordine e incessante dipendenza delle une con le altre. Tutto questo creò per mezzo della sua Sapienza, che è il Verbo, suo Unigenito Figlio. La strofa, dunque, comincia così

Mille grazie versando.

2 - Con queste mille grazie che lo Sposo è andato versando, l 'anima allude all'immensa moltitudine delle creature; e perciò usa qui la parola mille, con quel senso indeterminato che vale ad esprimere un numero stragrande e imprecisabile di cose. Le chiama grazie, a motivo dei molti pregi e doni di cui furono arricchite da Dio; il quale le versò, ossia ne popolò tutto l'universo.

Passò per queste selve agile e snello.

3 - Passare per le selve è creare gli elementi, chiamati qui col nome di selve. Per essi lo Sposo passò, versando mille grazie, poiché li adornò con la bellezza di tutte le creature, ed oltre a ciò diede ad essi virtù onde possono concorrere alla generazione e conservazione delle medesime. Dice poi che passò, perché le creature sono come un'orma del passo di Dio, nella quale si scorge la sua grandezza, potenza e sapienza, e altri suoi attributi. Soggiunse che in questo passo fu agile e snello; perché le creature sono le minori opere di Dio, fatte da Lui come di passaggio: mentre le opere maggiori, in cui più si manifestò e volle più fermarsi, furono quelle dell'Incarnazione del Verbo e i misteri della fede cristiana, rispetto alle quali tutte le altre furono fatte quasi di volo e con fretta.

Mentre le andò mirando,Solo col suo bel voltoFé ch'ogni, bel rimase in esse accolto.

3 Conf. I ,10, c. 6. ML 32,783.

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4 - Secondo il detto di S. Paolo, il Figlio di Dio è lo splendore della gloria del Padre e la figura della sua sostanza (E b 1 , 3 ). È da sapersi che, con questa sola figura del suo Figliolo, Dio mirò tutte le cose: il che è dare loro l'essere naturale, comunicando ad esse molte grazie e doni di natura, facendole compite e perfette, secondo le parole della Genesi: Dio mirò tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone (Gen 1 , 31 ). Il mirarle molto buone, fu lo stesso che crearle tali nel Verbo suo Figlio. Non solo poi comunicò loro l'essere e le grazie naturali, ma anche con la stessa sola immagine del suo Figlio le lasciò rivestite di bellezza, partecipando loro l'essere soprannaturale: il che avvenne quando il Verbo, incarnandosi, innalzò l'uomo alla bellezza divina, e in lui, per conseguenza, tutte le creature, poiché unendosi all'uomo, si unì nell’uomo con la natura di esse tutte. Per questo il Figlio stesso di Dio disse: «Et ego si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum» (G v 12 , 32 ): Quando io sarò alzato da terra, trarrò a me tutte le cose: e in questo innalzamento dell'Incarnazione del suo Figlio, e nella gloria della sua Risurrezione secondo la carne, il Padre non solamente abbellì le sue creature in parte, ma possiamo dire che del tutto le rivestì di bellezza e dignità.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Ma, oltre a tutto questo, parlando ora secondo il senso e l'affetto della contemplazione è da notarsi che, nella viva contemplazione e conoscimento delle creature, l 'anima riesce a scoprire in esse tanta abbondanza di grazie e di virtù, di cui Dio le arricchì, da sembrarle che siano tutte vestite di ammirabile beltà e virtù naturale derivata dall'alto e comunicata da quella infinita bellezza soprannaturale della figura di Dio, che col suo sguardo riempie di leggiadria e allegrezza il mondo e tutti i cieli, come pure con aprire la sua mano, a detta di Davide, ricolma ogni animale di benedizione (S al 144 ,16 ) . Pertanto, l’anima piagata d'amore per questa orma della bellezza del suo Diletto, che ha conosciuto dalle creature, brama ardentemente di vedere la invisibile bellezza divina che ne fu causa, e dice:

STROFA 6

Ahi! chi potrà sanarmi?Deh! tutto invero a me ti stringi e dona;Non voler inviarmiPiù messaggeri, quandoNon mi sanno essi dir quel che dimando.

DICHIARAZIONE

2 - Poiché le creature parlarono all'anima del suo Diletto, mostrandole in sé traccia della di lui bellezza ed eccellenza, crebbe in essa l'amore e, per conseguenza, il dolore della lontananza. Quanto più l'anima conosce Dio, tanto più le si aumenta il penoso desiderio di vederlo. Ma, comprendendo che non v'è cosa alcuna che possa lenire il suo dolore, se non la presenza e la vista del suo Amato, e non confidando in nessun altro rimedio, gli chiede in questa strofa che le doni il possesso della sua presenza, e gli dice che ormai non voglia più trattenerla con altre sue notizie e comunicazioni, né con vestigi della sua eccellenza, di qualsivoglia natura siano; perché queste cose le accrescono le ansie e il dolore, anziché soddisfare la sua volontà e il suo desiderio. La volontà non si contenta né si tiene paga se non con la sua vista e presenza; e perciò lo prega che si compiaccia alfine di donarsi a lei davvero con pieno e perfetto amore, e così dice:

Ahi! chi potrà sanarmi?

3 - Come se dicesse: Tra tutti i piaceri del mondo e i diletti dei sensi, e tra i gusti soavi dello spirito, nessuna cosa certamente potrà sanarmi, niente potrà soddisfarmi; e giacché è così:

Page 21: CANTICO SPIRITUALE - Passinelcarmelo

Deh! tutto invero a me ti stringi e dona.

4 - In queste parole è da osservarsi che qualsiasi anima che ami veramente, non può restare soddisfatta senza possedere Dio in realtà; perché tutte le altre cose non solamente non l'appagano, ma anzi le stimolano il desiderio di vederlo nella sua essenza. Ad ogni visita che l'anima riceve dal Diletto, per via di cognizioni o di sentimenti o di qualunque altra comunicazione (le quali cose sono come messaggeri, che le portano una qualche notizia di ciò ch'Egli è, e le risvegliano sempre più l'appetito, come fanno le briciole a chi ha gran fame), le riesce duro passarsela con sì poco; e perciò dice:

Deh! tutto invero a me ti stringi e dona.

5 - Tutto ciò che di Dio si può conoscere in questa vita, per molto che sia, non è una cognizione vera e propria, ma parziale e molto remota. Ma conoscerlo essenzialmente è vero il conoscimento che l'anima qui domanda, non contenta di altre comunicazioni; e quindi ella subito soggiunge:

Non voler inviarmiPiù messaggeri.

6 - In altre parole: Da qui innanzi non voler che io ti conosca, per così dire, a misura, per mezzo di messaggeri, che mi danno di te notizie e sentimenti, tanto remoti e diversi da ciò che io di te desidero. Tu ben sai, Sposo mio, che i messaggeri piuttosto aggravano il dolore a chi pena per l 'assenza della persona amata: primieramente, perché rinnovano la piaga con la notizia che ne danno; in secondo luogo, perché sembrano dilazioni della sua venuta. Adunque, d'ora in poi non inviarmi queste notizie remote. Finora ho potuto passarmela con esse, perché non ti conoscevo e non ti amavo abbastanza; ma adesso la grandezza dell'amore che ti porto non può restarne soddisfatta; perciò finisci di donarti a me. Come se dicesse più chiaramente: Signore, mio Sposo, che ti vai donando all'anima mia a poco a poco, finisci di darti interamente; ciò che vai mostrando quasi da spiragli, mostralo svelatamente; ciò che vai comunicando per mezzo di altri, il che è un comunicarsi quasi per scherzo, fallo davvero, comunicandoti da te stesso. Sembra, altre volte, che nelle tue visite cominci a darmi la gemma del tuo possesso, ma se mi esamino bene, non la trovo, perché me la nascondi: e questo è un fare quasi per giuoco. Donati dunque davvero, dandoti tutto al tutto dell'anima perché ella tutta ti possieda tutto: e non voler inviarmi mai più messaggeri

quandoNon mi sanno essi dir quel che dimando.

7 - Quasi dicesse: lo ti voglio tutto, ed essi non sanno e non possono dirmi il tutto di te; perché nessuna cosa della terra o del cielo può dare all'anima la notizia che desidera avere di te; e quindi non sanno dirmi ciò che voglio. Invece, dunque, di questi messaggeri, sii tu il messo ed il messaggio insieme.

STROFA 7

Ciascun che in te s'appaga,Di te mille bellezze a me descrive;E ciascun più m'impiaga,E mi sembra morireSentendo un non so che, che non san dire.

DICHIARAZIONF,

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1 - Nella strofa precedente, l'anima ha, dimostrato di essere ferita o inferma d'amore per il suo Sposo, a cagione della notizia che gliene diedero le creature irrazionali: nella presente, dà a conoscere di essere piagata di amore a motivo di un'altra notizia del Diletto, notizia più alta che riceve per mezzo delle creature razionali, più nobili delle altre, cioè gli angeli e, gli uomini. E non solo questo, ma dice anche che sta morendo di amore per un'ammirabile immensità che per mezzo di queste creature le si discopre, ma non mai interamente, la quale essa qui chiama un non so che, perché è una cosa che non si può esprimere, essendo tale che fa stare l 'anima morendo di amore.

2 - Da ciò possiamo inferire che, a proposito di questo amore, vi sono tre maniere di penare per il Diletto, secondo tre sorta di notizie che di Lui si possono avere. La prima maniera di pena si chiama ferita, che è più leggera e, appunto come tale, risana più presto; perché deriva dalla cognizione che l 'anima riceve dalle creature, che sono le più basse opere di Dio. Di questa ferita, che qui chiamiamo pure infermità, parla la Sposa nei Cantici dicendo: «Adiuro vos, filiae Jerusalem, si inveneritis dilectum meum, ut nuntietis ei quia amore langueo» ( C t 5 , 8 ) : Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se troverete il mio Diletto, di dirgli che io sono inferma di amore; intendendo per figlie di Gerusalemme le creature.

3 - La seconda si chiama piaga, che nell 'anima s' imprime più della ferita, e perciò dura di più, perché è come una ferita passata in piaga, per la quale l 'anima si sente veramente piagata d'amore. Tale piaga si apre nell 'anima mediante la notizia dell'opera dell'Incarnazione del Verbo e dei misteri della fede: i quali, essendo le maggiori opere di Dio e una prova molto più grande del suo amore che non le creature, producono un effetto più intenso di amore. Di modo che, se il primo effetto si rassomiglia alla ferita, questo secondo è come una piaga profonda e durevole, di cui parlando lo Sposo nei Cantici, dice all 'anima: Piagasti il mio cuore, sorella mia; piagasti il mio cuore con uno dei tuoi occhi, e con un capello del tuo collo" ( C t 4 , 9 ) . L'occhio qui significa la fede nell 'Incarnazione dello Sposo, e il capello esprime l 'amore verso la medesima Incarnazione.

4 - La terza maniera di penare per amore è simile al morire: l 'anima allora ha la piaga, per dir così, infistolita, e tale ella stessa diventa interamente. Vive morendo, finché l 'amore, uccidendola, non la faccia vivere vita di amore, trasformandola in amore. Questa morte di amore avviene nell 'anima mediante un tocco di sublime notizia della Divinità, il quale è quel non so che, di cui si fa menzione nella presente strofa e che i messi di Dio non sanno dire che balbettando. Questo tocco non è continuo né troppo grande, ma presto passa, perché altrimenti l'anima si staccherebbe dal corpo; ella però resta morendo d'amore, e tanto più si sente morire, quanto più vede che non finisce di morir d'amore. Di tal sorta di amore che si chiama impaziente, ne abbiamo un esempio nella Genesi, dove si legge che Rachele desiderava tanto di aver figli che disse al suo sposo Giacobbe: «Da mihi liberos, alioquin moriar» ( G e n 3 0 , 1): Dammi dei figlioli, altrimenti morrò. E il Profeta Giobbe diceva: «Quis mihi det, ut qui coepit ipse me conterat?» ( G b

6 , 8 - 9 ) : Chi mi darà che colui il quale ha cominciato, finisca di consumarmi?

5 - Delle due ultime maniere di amorose pene, ossia la, piaga e il morire, in questa strofa l 'anima dice che le sono cagionate dalle creature razionali. Queste le aprono la piaga col descriverle mille grazie del suo Diletto nei misteri e Sapienza divina insegnati dalla fede; le cagionano il morire con quello che non sanno esprimere, cioè col sentimento e con la notizia della Divinità, che alcune volte si discopre all'anima in ciò che ode ragionare di Dio. Dice dunque:

Ciascun che in te s’appaga.

6 - Per coloro che s'appagano in Dio intende gli angeli e gli uomini; perché, tra tutte le creature, soltanto essi attendono a Dio: gli uni, contemplandolo e godendolo in cielo; gli altri, amandolo e desiderandolo in terra. Per mezzo di queste creature intelligenti, l 'anima conosce Dio più al vivo, sia per la considerazione della sua eccellenza sopra tutte le cose create, sia per quello che esse c'insegnano di Dio: le une, cioè gli angeli, interiormente, con segrete ispirazioni; le altre, cioè gli uomini, esteriormente, per mezzo delle verità della Scrittura. Perciò giustamente dice:

Di te mille bellezze a me descrive.

7 - Ossia, dandomi a conoscere cose ammirabili della tua grazia e della tua misericordia circa l'opera dell'Incarnazione e le verità della fede, che mi spiegano e

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sempre più mi vanno descrivendo; ché per quanto ne volessero dire, potrebbero scoprirmi di te bellezze sempre maggiori.

E ciascun più m’impiaga.

8 - Infatti, a misura che gli angeli m'ispirano e gli uomini m'insegnano, vieppiù m'innamorano di te, e quindi tutti m'impiagano maggiormente di amore.

E mi sembra morire,Sentendo un non so che, che non san dire.

9 - Quasi dicesse: Ma, oltre che queste creature m'impiagano con le mille grazie che di te mi descrivono, sento che resta un certo non so che a dirsi, e una cosa da scoprirsi ancora. Scorgo un'orma sublime di Dio che tuttavia rimane da investigare, e un altissimo intendere di Dio che non si sa esprimere: di modo che, se le cose che intendo mi feriscono e piagano di amore, ciò che non arrivo a comprendere, ma di che pur sento altamente, addirittura mi uccide. Ciò alle volte accade alle anime già avanzate in perfezione, le quali per grazia divina ricevono un'altissima notizia dell'infinita grandezza di Dio in quel che odono o vedono o intendono (e talvolta anche senza di ciò): ed in questa cognizione formano un sì eminente concetto di Lui, che capiscono chiaramente che tutto rimane loro da intendere. Ed invero, il conoscere che la Divinità è tanto immensa da non potersi comprendere perfettamente, è un intendere assai elevato. Per conseguenza, una delle grazie più grandi che Dio possa fare di passaggio ad un'anima in questa vita, è farle intendere e sentire chiaramente l'incomprensibilità dell'Essere Divino. Questa grazia, infatti, in certo modo è simile a quella che godono gli spiriti beati in cielo, dove coloro che più conoscono Dio, intendono più distintamente l’infinito che loro resta ancora da comprendere; mentre a quelli che meno vedono Dio, non appare così distintamente, come ai primi, ciò che loro rimane da vedere.

10 - Credo che chi non ha fatto esperienza di ciò, non giungerà a intenderlo bene; ma l'anima che lo prova, considerando quanto ancora rimane da conoscere intorno a quello che pur altamente sente, lo chiama un non so che; poiché, come non si capisce, così nemmeno si sa dire, quantunque si sappia sentire. Per la qual cosa l'anima dice che le creature intelligenti non sanno spiegarlo, né farlo comprendere, e quindi balbettano alla maniera dei bambini.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUIENTE

1 - Anche circa le altre creature l'anima riceve alcune illuminazioni nel modo anzidetto (quantunque non sempre così elevate), quando Dio le fa grazia di aprirle la notizia e il senso dello spirito nella considerazione di esse. Però anche queste vanno spiegando le divine grandezze senza finire mai di spiegarle, e sembrano come chi si accinge a descrivere una cosa e non vi riesce; anch’esse balbettano quel non so che, che non sanno dire. L'anima, dunque, prosegue a lamentarsi e parla con la propria vita nella seguente strofa, dicendo:

STROFA 8

Vita, e tu reggi ancora,Se vivere non puoi dove tu vivi,Bastando, onde tu mora,I dardi che hai nel senoPer solo quel che in lui comprendi appieno?

DICHIARAZIONE

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2 - L'anima, vedendo che muore di amore senza però finir mai di morire, come pur vorrebbe per godere dell'amore con piena libertà, si lamenta della durata della vita del corpo, a cagione di che le viene differita la vita dello spirito. Quindi in questa strofa parla con la propria vita, accentuando tutto il dolore che le apporta. Il senso della strofa è il seguente: Vita dell’anima mia, come puoi durarla in questa vita terrena, che per te è continua morte e privazione di quella vera vita spirituale di Dio, nel quale per essenza, per amore e per desiderio vivi più veramente che non nel corpo? E dato pure che ciò non fosse causa che te ne uscissi e ti liberassi dal corpo di questa morte per godere e vivere la vita del tuo Dio, come puoi ancora rimanere in un corpo sì fragile? poiché, oltre a ciò, sono di per sé sole bastevoli a troncarti la vita le ferite di amore che ricevi per le grandezze che ti vengono comunicate da parte del Diletto, le quali tutte ti lasciano profondamente ferita di amore: onde, quante cose senti ed intendi di Lui, altrettanti tocchi e ferite ricevi che ti uccidono di amore.

Vita, e tu reggi ancora,Se vivere non puoi dove tu vivi?

3 - Per l'intelligenza di questi versi, è da sapersi che l'anima più vive dove ama, che nel corpo da lei animato; perché in questo ella non ha la sua vita, anzi ad esso la dà; ella vive per amore in ciò che ama. Però, oltre questa vita di amore, per il quale chi ama il Signore vive in Lui, l 'anima ha la sua vita radicalmente e naturalmente in Dio come tutte le cose create secondo il detto di S. Paolo, che dice: In Lui viviamo, e ci muoviamo e siamo (A t 17 ,28 ); vale a dire: in Dio abbiamo la nostra vita, il nostro moto e il nostro essere. E San Giovanni dice che tutto ciò che fu fatto, era vita in Dio (Gv 1 , 3 -4 ). Poiché, dunque, l'anima conosce che ha la sua vita naturale in Dio, per l'essere che ha in Lui, come pure la sua vita spirituale per l 'amore con cui lo ama, si duole e lamenta che una vita si fragile in corpo mortale possa tanto da impedirle di godere una vita così forte, così vera e dilettevole, come quella che vive in Dio per natura e per amore. A tal proposito, con le sue forti espressioni, l 'anima ci dimostra che patisce per due contrari, che sono la vita naturale del corpo e la vita spirituale in Dio, le quali sono contrari in sé, perché l'uno ripugna all'altro. Di modo che, vivendo ella in ambedue, deve necessariamente soffrire gran tormento, poiché l'una, che è vita penosa, le impedisce l'altra dilettevole, tanto che la vita naturale è per lei una morte, poiché per essa è priva di quella spirituale, in cui ha tutto il suo essere e la sua vita per natura, e tutte le sue operazioni ed affetti per amore. Per farci poi intendere meglio il peso di questa vita caduca, subito soggiunge:

Bastando, onde tu mora,I dardi che hai nel seno.

4 - Quasi dicesse: Oltre le suddette cose, come puoi rimanere nel corpo, quando i tocchi amorosi (significati dai dardi) che il Diletto imprime nel tuo cuore, da sé soli bastano a toglierti la vita? Questi tocchi fecondano talmente l'anima e il cuore d'intelligenza e amor di Dio, che si può giustamente dire che ella concepisce di Dio, secondo il senso espresso nel seguente verso:

Per solo quel che in lui comprendi appello

5 - Ossia per quello che intendi circa la sua grandezza, beltà, sapienza, grazia e virtù di Lui.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Come il cervo, quando è intossicato da un’erba velenosa, corre senza posa qua e là in cerca di rimedi, ed ora si tuffa in un'acqua ora in un'altra, fino a che, malgrado ogni suo tentativo, la forza del veleno sempre più crescendo s'impossessa del suo cuore e l 'uccide; così l 'anima che è tocca dall'erba dell'amore, della quale qui trattiamo, non cessa mai di andare in traccia di rimedi al suo dolore, ma non li trova; anzi, tutto ciò che pensa, dice e opera, le serve di maggior pena. Così vedendo, ella si persuade che non le resta altro

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rimedio che darsi nelle mani di chi la ferì; perché togliendola dalle pene, finisca una buona volta di ucciderla con la forza dell'amore. Quindi si volge al suo Sposo, che è la causa di tutto il suo patire, e gli dice la seguente

STROFA 9

Perché, se tu piagatoHai questo cor, tu sano a me nol rendi?E già che l'hai furato,Tal perché lo lasciasti,Senza teco portar quel che rubasti?

DICHIARAZIONE

2 - In questa strofa l'anima torna a parlare col Diletto, lamentandosi delle sue pene, poiché l'amore impaziente, quale essa qui dimostra di avere, non si dà pace e riposo, e vuole esporre in ogni maniera le sue ansie, finché non trovi un rimedio alla sua pena. E poiché si vede piagata e sola, senza altra medicina se non il suo Diletto, che è quegli che la ferì, gli domanda perché mai, mentre le piagò il cuore con l'amore della sua notizia, non glielo ha poi risanato con la vista della sua presenza. Come pure, poiché glielo, ha anche rubato per mezzo dell'amore di cui l 'ha acceso, strappandolo al di lei potere, perché mai lo ha lasciato in questo modo, sottratto cioè al suo potere (ed infatti chi ama non possiede più il suo cuore, dacché lo donò all'amato) e non l'ha trasferito davvero in potere di Lui, prendendolo per sé nell'intera e perfetta trasformazione di amore, nella gloria. Dice dunque:

Perché, se tu piagatoHai questo cor, tu sano a me nol rendi?

3 - Non si lagna che l'abbia piagato, perché la persona innamorata quanto più è ferita, tanto più è contenta; ma che, avendole piagato il cuore, non l'abbia risanato finendo di ucciderlo; poiché le ferite d'amore sono così dolci e gustose che, se non giungono a darle la morte, non la possono soddisfare, Volendo perciò essere piagata sino a tal punto, dice: Perché, se tu piagato hai questo cor, tu sano a me nol rendi? Come se dicesse: Se lo hai ferito fino a piagarlo, perché dunque non lo risani, terminando di ucciderlo di amore? Se tu sei la causa della piaga nella pena di amore, sii tu parimenti la causa della salute nella morte di amore: e così il cuore, piagato per il dolore della tua lontananza, risanerà col diletto e la gloria della tua dolce presenza. E soggiunge:

E già che l'hai furato,Tal perché lo lasciasti?

4 - Furare è l'atto col quale il ladro spoglia un padrone di qualche suo bene, trasferendolo in proprio possesso. Di un fatto simile l 'anima si lamenta col suo Diletto, dicendo: Giacché mi hai rubato il cuore per via di amore e l 'hai sottratto al mio dominio, perché lo hai lasciato così, senza farlo passare davvero in tuo possesso e prenderlo per te, come fa il ladro che di fatto si porta via ciò che ruba?

5 - Per questo appunto si dice che chi è innamorato ha il cuore rubato o rapito da colui che egli ama, poiché lo tiene fuori di sé, riposto nella persona amata, e quindi non ha il cuore per sé, ma per quella. Da qui potrà l'anima ben conoscere se ama Dio puramente, o no: se lo ama, non avrà il cuore per se stessa, non avrà di mira il proprio gusto e utile, ma solo l'onore e la gloria di Dio, cercando di piacere a Lui; mentre, quanto più ha il cuore per sé, tanto meno lo ha per Dio.

6 - Che il cuore sia ben rubato da Dio può conoscersi da una di queste due cose: se l'anima prova amorose ansie verso il Signore, e se non si compiace d'altra cosa che di

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Lui. La ragione è, perché il cuore non può godere pace e riposo senza qualche possesso; e quando è assai affezionato ad una cosa, non possiede più se stesso, né alcun'altra cosa; e se neppure possiede perfettamente ciò che ama, non gli può cessare il dolore della privazione, a misura di questa, fintanto che non possieda ciò che desidera. Fino allora l'anima è come un vaso vuoto che aspetta di essere riempito, o come un famelico che desidera il cibo, o come un infermo che sospira la sanità, o come colui che sta sospeso in aria e non ha un punto di appoggio: questa è la condizione di un cuore assai innamorato. L'anima, dunque, sapendo ciò per propria esperienza, dice: Tal perché lo lasciasti? cioè vuoto, affamato, solo, piagato e dolente di amore, e sospeso in aria?

Senza teco portar quel che rubasti?

7 - Vale a dire: Perché non prendi il cuore che per mezzo dell'amore mi rubasti a fine di riempirlo, saziarlo, fargli compagnia e sanarlo, concedendogli pieno riposo e dimora in te? L'anima innamorata, per quanto sia conforme alla volontà del suo Diletto, non può non desiderare la ricompensa del suo amore, per la quale serve all'Amato: altrimenti non sarebbe vero amore, perché la mercede dell'amore non è altra cosa (né l'anima può voler altro) se non maggior amore, sino a toccarne la perfezione. L'amore non si paga che con amore, come il Profeta Giobbe lo spiegò allorché, parlando con lo stesso impetuoso desiderio che qui l 'anima sta provando, disse: Come il servo sospira la sera e il mercenario aspetta la fine del suo lavoro, così io il ristoro: ma io, invece, trascorsi mesi vuoti di ogni sollievo, e contai notti lunghe e dolorose. Se mi metto a dormire, dico: Quando mi leverò? E di poi bramerò di nuovo che torni la sera, e sarò pieno di affanni sino al far della notte (Gb 7 ,2 - 4 ). L'anima, dunque, accesa di amor di Dio, desidera il compimento e la perfezione dell'amore per ottenere il suo pieno ristoro, come il servo sfinito dal caldo brama il refrigerio dell'ombra; e come l'operaio aspetta la fine dell'opera sua, così ella attende il termine della propria. Intorno a ciò, si noti che Giobbe non disse che il mercenario aspetta la fine della sua fatica, ma quella della sua opera, per farci intendere quello che andiamo dicendo, cioè che l'anima amante non aspira a veder finita la sua fatica, ma l'opera sua: perché questa consiste in amare, e di essa spera il termine, che è la perfezione e il compimento dell'amore di Dio. Finché l'amore non sarà perfetto, l 'anima si trova nelle condizioni descritte nel testo surriferito di Giobbe, passando giorni e mesi vuoti e contando notti lunghe e penose. Da ciò che abbiamo detto, chiaramente s'intende come l'anima che ama Dio, non deve volere e sperare altra ricompensa al suo fedele servizio, se non la perfezione dell'amore divino.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - L'anima, giunta a questo grado di amore, rassomiglia ad un infermo molto sofferente e stanco, che avendo perduto il gusto e l 'appetito, ha in fastidio ogni sorta di cibi, e in tutto trova noia e molestia. Di tutte le cose che gli si offrono al pensiero o alla vista, l'unica che ha sempre presente e desidera è la sua guarigione: tutto quello che non si riferisce ad essa, gli è grave e molesto. Per cui l 'anima, divenuta inferma di amor di Dio, ha queste tre proprietà, cioè: che qualsiasi cosa incontri o tratti, sempre tiene presente alla mente il pensiero ansioso della sua salute, la quale è il suo Diletto; e quindi, quantunque per necessità, si trattenga in altre faccende, tiene sempre il cuore occupato in Lui. Dal che deriva la seconda proprietà, che consiste nell'aver perduto il gusto di tutte le cose: donde ne segue la terza, ed è che ogni cosa le riesce molesta e qualsiasi conversazione pesante e noiosa.

2 - La ragione di tutto ciò, deducendola da quel che abbiamo detto, è questa: essendo il palato della volontà dell'anima già tocco ed insaporito dal cibo dell'amore di Dio, qualsiasi cosa o persona le si presenti, in essa la volontà immediatamente si volge a cercare e godere il suo Diletto, senza mirare ad altro piacere o riguardo. Così fece Maria Maddalena, quando con ardente amore lo andava cercando nell'orto e, veduto il supposto ortolano, senza consiglio o riflessione alcuna gli disse: Se tu l'hai rubato, dimmelo, ed io lo riprenderò (Gv 20 ,15 ) . L'anima prova un'ansia simile d'incontrarlo in tutte le cose, ma non trovandolo subito come desidera (anzi accadendo il contrario), non solo non si compiace

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di esse, ma ne riporta piuttosto tormento, alle volte assai grande. Tali anime, infatti, patiscono molto nel tratto con gli uomini e nel disbrigo degli affari, perché tutto ciò, piuttosto che aiutarle, le distorna dal loro fine.

3 - La Sposa dei Cantici ci dimostra d'avere avuto le tre proprietà anzidette, quando andava in traccia del suo Sposo, dicendo: Lo cercai e non lo trovai. Però si abbatterono in me quelli che vanno in giro per la città e mi percossero e ferirono; e le guardie delle mura mi tolsero il manto (C t 5 ,6 -7 ) . Per coloro che girano per la città, s'intende il tratto con le persone del mondo, le quali allorché incontrano l'anima che cerca Dio, l 'affliggono con molte piaghe di dolori, pene e dispiaceri; e perciò ella, non che trovare ciò che desidera, viene piuttosto impedita dal conseguirlo. Coloro poi che difendono il muro della contemplazione perché l'anima non vi entri, sono i demoni e i negozi del secolo, che tolgono il manto della quiete pacifica dell'amorosa contemplazione. Da tutte queste cose l'anima innamorata di Dio riporta mille noie e disgusti; e conoscendo che non se ne può liberare né punto né poco, finché dimora in questa vita senza vedere il suo Dio, seguita a pregare il suo Diletto, dicendo la seguente

STROFA 10

Smorza mie pene; seiQuel solo tu che in me calmar le puote.Te veggan gli occhi miei;Ché lor sei lume e face,E per te solo aprirli or a me piace.

DICHIARAZIONE

4 - L'anima prosegue nella presente strofa a supplicare il Diletto che voglia alfine porre un termine alle sue ansie penose, poiché non v'è altri fuori di Lui che valga a farlo; e che la consoli in modo tale che gli occhi suoi possano vederlo, perché Egli solo è la luce in cui essi mirano, ed ella non vuole usarli per vedere altra cosa. E dice così:

Smorza mie pene.

5 - La concupiscenza dell'amore ha questa proprietà, che tutto quello che essa non fa, o non dice, o non può riferire a ciò che la volontà ama, le cagiona noia e stanchezza, e la rende insipida, non vedendo, adempirsi il suo desiderio. Ora, a tutto questo, e agli affanni che soffre per la brama di vedere Dio, l 'anima dà qui il nome di pene, da cui nessuna cosa può liberarla, fuorché il possesso del Diletto. Quindi lo prega di smorzarle con la sua presenza, porgendo a tutte quel refrigerio che l'acqua fresca porge a chi è affannato dal caldo: e per questo appunto usa qui la parola smorza, per far intendere che ella sta penando nel fuoco di amore.

SeiQuel solo tu che in me calmar le puote.

6 - Per muovere e persuadere di più il Diletto ad esaudire la sua domanda, l 'anima soggiunge che non v'è altri che Lui che possa sovvenire alla sua necessità: si compiaccia, dunque, di smorzare le sue pene. Qui è da notarsi che Dio suole ben presto consolare l'anima e aiutarla nelle sue pene e necessità, quando ella non ha e non vuol altra soddisfazione e conforto che in Lui: e quindi l 'anima che non ha cosa alcuna che la intrattenga fuori di Dio, non può durare a lungo senza la visita del Diletto.

Ti veggan gli occhi miei.

7 - Cioè, fa che io ti vegga faccia a faccia, con gli occhi dell'anima.

Ché lor sei lume e face.

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8 - Oltre che Dio è lume soprannaturale degli occhi dell'anima, senza il quale si vive nelle tenebre, ella qui lo chiama luce degli occhi suoi per trasporto di affetto, come l'amante suole chiamare così la persona amata, per dimostrarle tutto il suo amore. Quindi nei suddetti due versi è come se dicesse in tal guisa: Poiché gli occhi miei, né per natura né per amore hanno altro lume che te, ti vedano essi alfine, poiché sotto ogni aspetto tu sei la loro vera luce. Di questa vera luce Davide era destituito allorché gemendo diceva: Perfino il lume degli occhi miei non è più con me (Sa l 37 ,11 ) . Lo stesso dicasi di Tobia, quando esclamò: Quale gioia vi potrà essere per me, che sto nelle tenebre, e non vedo il lume del cielo? (T b 5, 12 ) Nelle quali parole desiderava la chiara visione di Dio, perché il lume del cielo è il Figlio di Dio, secondo quel che S. Giovanni attesta nel l'Apocalisse: La città celeste non ha bisogno di sole o di luna che in essa risplendano, perché la divina chiarezza l'illumina e l'Agnello è la sua lucerna (Ap 21 , 23 ).

E per te solo aprirli or a me piace.

9 - Con queste parole l'anima vuole costringere lo Sposo a lasciarle vedere la luce degli occhi suoi, non solo perché, non avendone un'altra, dovrebbe restare nelle tenebre, ma anche perché non li vuole fissare che in Lui. Poiché, come giustamente rimane priva di questa luce divina l'anima che rivolge lo sguardo della sua volontà a qualche luce di altre cose fuori di Dio, in quanto che, così facendo, impedisce alla vista di ricevere il lume divino; così pure congruamente merita questa luce l'anima che chiude gli occhi a tutte le cose, per aprirli soltanto al suo Dio.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Si deve sapere, però, che l'amoroso Sposo delle anime non può vederle soffrire molto tempo da sole, come questa di cui andiamo trattando; perché, secondo che Egli stesso afferma per bocca di Zaccaria, le loro pene e lamenti gli toccano la pupilla degli occhi suoi (Z c 2 ,8 ): maggiormente poi quando le pene di quelle anime sono causate dal suo amore, come le pene di questa. Onde dice pure per mezzo di Isaia: Prima che essi alzino la voce, io li esaudirò ( I s 65 ,2 4 ) . E il Savio dice di Lui che, se l 'anima lo cercherà come si cerca il denaro, lo troverà ( Pr 2 , 4 ). Quindi, poiché quest'anima innamorata lo cerca con maggior brama che il denaro, tanto che per Lui ha lasciato ogni cosa e perfino se stessa, sembra che dopo preghiere sì ardenti Dio le abbia fatto gustare qualche saggio della sua spirituale presenza, in cui le mostrò alcuni profondi riflessi della sua Divinità e bellezza, con i quali vieppiù le aumentò il fervido desiderio di vederlo. Poiché, come si suole gettare acqua nella fornace affinché il fuoco si accenda maggiormente, così il Signore suol fare con alcune anime accese di amore, dando loro dei segni della sua eccellenza per più infervorarle e disporle alle grazie che loro vuol fare in seguito. L'anima pertanto, avendo veduto e sentito in quell'oscura presenza il sommo Bene e la bellezza ivi nascosta, morendo dal desiderio di vederla chiaramente, canta la seguente

STROFA 11

Scopri la tua vezzosaFaccia, e tua vista e tua beltà m’uccida.Solo può l'amorosaSanar doglia sì duraDel caro Ben l'aspetto e la figura.

DICHIARAZIONE

2 - L'anima desiderando di essere ormai posseduta dal sommo Bene, dal cui amore si sente rapito e piagato il cuore, e non potendo più oltre sopportare la sua pena, in questa strofa gli domanda di proposito che le discopra e mostri la sua bellezza, cioè la sua divina

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essenza, e che con tal vista l 'uccida, distaccandola dal corpo, perché, in questo non può vederlo e goderlo come vuole. A tal fine gli mette innanzi la malattia e l'affanno del suo cuore, e la continua pena che soffre per amor suo, alla quale non può trovare rimedio con meno che con la gloriosa vista della divina essenza.

Scopri la tua vezzosaFaccia

3 - A dichiarazione di ciò, è da sapersi che possono darsi nell'anima tre maniere di presenza di Dio. La prima è essenziale, e secondo questa Egli non solo sta nelle anime buone e sante, ma anche nelle cattive e peccatrici, e in tutte le altre creature, perché con questa presenza dà loro l'essere e la vita. Che se questa presenza essenziale venisse loro a mancare, tutte cesserebbero di esistere, ritornando al nulla: quindi essa non manca mai all'anima. La seconda presenza è per mezzo della grazia, per la quale Dio dimora nelle anime pago e soddisfatto di loro. È evidente che non tutte hanno tale divina presenza, perché quelle che cadono in peccato mortale, la perdono; anzi nessuno può naturalmente sapere se l'abbia. La terza è per via di affetto spirituale; infatti, in molte anime devote Dio suole formare in varie maniere alcune presenze spirituali, con cui le ricrea, diletta e rallegra. Tuttavia, tanto queste presenze spirituali, quanto le due precedenti sono nascoste, perché Dio in esse non si mostra nella propria natura, non consentendolo la condizione della vita presente: e perciò rispetto a qualunque di esse si può intendere il suddetto verso:

Scopri la tua vezzosa faccia.

4 - L'anima, essendo certa che Dio è sempre presente in lei, almeno secondo la prima maniera, non chiede che Egli si faccia presente, ma che la sua occulta presenza, o naturale o spirituale o affettiva che sia, le si scopra e manifesti in modo da poterlo contemplare nel suo essere divino e nella sua bellezza. Ed invero, come con la sua presenza essenziale Dio dà all'anima l'essere naturale, e con la presenza della grazia la perfeziona, così pure ella vorrebbe la glorificasse con la sua gloria manifesta. Ma, per il fatto che quest'anima è trasportata da ardenti affetti di amor di Dio, dobbiamo pensare che la presenza di cui chiede lo scoprimento al suo Diletto, s 'intende principalmente di una certa presenza affettiva che Egli le donò di sé. Detta presenza fu sì sublime che l'anima vi sentì nascosto un essere immenso, e intravide per divina comunicazione alcuni riflessi chiaroscuri della bellezza di Dio; i quali producono nell'anima un effetto tale, che la fanno languire dal desiderio di ciò che sente rimanere celato in quella presenza. Il che è simile a quello che Davide provava, quando disse: L'anima mia si consuma per il desiderio della dimora del Signore (S al 83 ,3) . Difatti in questo tempo l'anima viene meno, bramando di ingolfarsi in quel sommo Bene che sente nascosto e insieme presente; poiché, per quanto esso sia nascosto, l'anima avverte in modo meraviglioso il diletto che vi si racchiude. Perciò ella è attratta e rapita da quel bene con più forza che non qualsiasi altra cosa naturale dal proprio centro: e quindi spinta da intenso e sviscerato desiderio, non potendo più contenersi, dice:

Scopri la tua vezzosa faccia.

5 - Lo stesso accadde a Mosè, il quale mentre stava sul Monte Sinai alla presenza di Dio, provò un sentimento così profondo della sublime bellezza della Divinità ivi nascosta che, non potendo più reggere dalla voglia di vederla, per ben due volte pregò il Signore che gli manifestasse la sua gloria, dicendogli: Tu dici che mi conosci e ti è ben noto il mio nome, e che ho trovato grazia al tuo cospetto; dunque, se così è mostrami i1 tuo volto, affinché io ti conosca, e dinanzi ai tuoi occhi trovi la grazia completa che desidero (E s 33 ,12 - 13): quale è quella di giungere al perfetto amore della gloria di Dio. Ma il Signore gli rispose: Non potrai vedere la mia faccia, perché non vivrà uomo dopo avermi veduto (E s 33 ,20 ) . Come se dicesse: Mi domandi, o Mosè, una cosa troppo difficile; perché è tanta la bellezza della mia faccia e il diletto della vista del mio essere, che l'anima tua non potrebbe resistere a tanto in questa condizione di vita così fragile e caduca. Per la qual cosa l'anima, erudita di questa verità sia per la risposta data da Dio a Mosè, sia perché sa per esperienza che in

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questa vita mortale si sente mancare al solo trasparire della beltà divina, ella stessa previene la risposta che le si potrebbe dare come a Mosè, e subito dice:

....e tua vista e tua beltà m’uccida.

6 - Quasi dica: Se così grande è il diletto di vedere il tuo essere e la tua bellezza che non posso reggere, ma al vederla devo morire, ebbene tua vista e tua beltà m’uccida.

7 - Si sa che due sono le viste che uccidono l'uomo, incapace di soffrirne la forza e l 'efficacia. L'una è quella del basilisco, alla cui vista, dicono, subito si muore; l 'altra è la vista di Dio. Ma le cause della morte sono assai differenti; perché l'una uccide per gran veleno, e l 'altra con immensa salute e bene di gloria. Quindi non è meraviglia che l'anima voglia morire alla vista della bellezza di Dio, per goderlo per sempre. Poiché, se ella avesse un solo presentimento della sublime bellezza di Dio, non desidererebbe una sola morte per contemplarla in eterno, come qui desidera, ma sopporterebbe con grande allegrezza mille morti acerbissime, pur di vederla un brevissimo istante; e dopo averla vista, bramerebbe di patire altrettante morti per rivederla, ancorché per così poco tempo.

8 - A maggiore dichiarazione di questo verso, è da notarsi che qui l 'anima parla condizionatamente quando dice che la vista e la bellezza del Diletto l'uccida, posto cioè che non possa vederla senza morire. Che se l'una cosa fosse possibile senza l'altra, non chiederebbe di essere uccisa, perché voler morire è un’imperfezione naturale. Ma, dato che questa vita corruttibile dell'uomo non può stare con l'altra vita immarcescibile di Dio, dice: e tua beltà m'uccida.

9 - S. Paolo fa comprendere questa dottrina a quei di Corinto, dicendo: Non vogliamo essere spogliati, ma sopravestiti; in modo che ciò che è mortale sia assorbito dalla vita (2C or 5 ,4 ) . Vale a dire: Non desideriamo essere spogliati della carne, ma essere sopravestiti di gloria. Però, vedendo che non si può vivere in gloria e nello stesso tempo in carne mortale, dice ai Filippesi che desidera essere sciolto dai lacci del corpo e trovarsi con Cristo (F i l 1 , 23 ). Ma qui sorge un dubbio, ed è questo: Perché anticamente i figli d'Israele rifuggivano dal vedere Dio, temendo di morirne, come si rileva dalle parole che Manue disse a sua moglie (Gd c 13 , 23 -23 ) , laddove quest'anima alla vista di Dio desidera morire? A questo dubbio si risponde che ciò avveniva per due ragioni. L'una, perché gli uomini di quel tempo, quantunque morissero in grazia di Dio, non avevano da vederlo fino alla venuta di Cristo. Onde era molto meglio per loro vivere in carne, aumentando i meriti e godendo la vita naturale, che rimanere lungamente nel Limbo senza meritare, anzi patendo tenebre e lontananza spirituale da Dio: per il che stimavano allora essere una grazia grande di Dio e un gran vantaggio per loro il vivere molti anni.

10 - La seconda ragione è da parte dell'amore perché, siccome essi non erano molto forti in amore, né tanto vicini a Dio per amore, temevano di morire alla sua vista. Ma adesso nella legge di grazia, poiché morendo il corpo, l 'anima può vedere Dio, è cosa più saggia voler vivere poco per giungere a contemplarlo. E quand'anche fosse altrimenti, l 'anima che ama veramente Dio non temerebbe di morire alla sua vista, perché il vero amore riceve tutto ciò che di prospero o di avverso piacerà al Diletto di mandargli, anche i castighi, sempre accettando ogni cosa con uguale serenità, anzi con gioia e piacere; poiché, come dice S. Giovanni: La carità perfetta scaccia ogni timore (1Gv 4 ,18 ) . Per l 'anima amante, la morte non può essere amara, perché vi trova tutti i suoi diletti e le dolcezze dell'amore; né le può essere triste il suo ricordo, perché va congiunto ad allegrezza: né potrà esserle grave e penosa, perché è il termine di tutti i suoi affanni e il principio di ogni suo bene. La tiene in conto di amica e sposa, rallegrandosi della sua memoria come se fosse il giorno delle sue nozze, e brama la venuta di quell'ora estrema più che i re della terra non desiderino i regni e i principati. Di tal genere di morte il Savio dice: O morte! la tua sentenza è dolce per l 'uomo che si trova in necessità (S i r,43 , 3 ) Ora, se per chi soffre penuria delle cose di quaggiù la morte è buona, benché non sovvenga alle necessità, ma lo spogli piuttosto di ciò che aveva, quanto migliore non sarà il di lei giudizio per l 'anima che ha necessità di amore, e grida per ottenere più amore? essendo che la morte, non solo non la priverà di ciò che aveva, ma la farà arrivare al compimento dell'amore che

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desiderava, e alla soddisfazione di tutte le sue necessità. Con molta ragione, adunque, l 'anima ardisce di dire senza timore: E tua vista e tua beltà m'uccida. Ella ben sa che nel punto stesso che vedesse la divina bellezza, sarebbe in essa rapita, assorta e trasformata, diventando bella della medesima bellezza di Dio e, come questa, abbondante e ricca di beni. Giustamente perciò Davide dice che la morte dei Santi è preziosa al cospetto del Signore (S al 115 ,15) : il che non sarebbe, se non partecipassero alle sue medesime grandezze, poiché dinanzi a Dio non v'è niente di prezioso se non ciò che Egli è in sé stesso, e quindi l 'anima amante non teme di morire, anzi lo desidera. Il peccatore, invece, sempre paventa la morte, perché prevede che essa gli toglierà tutti i beni e apporterà ogni, sorta di mali. La morte dei peccatori, dice Davide, è pessima (Sa l

33 , 22 ); e perciò a detta del Savio, la sua memoria è amara per loro (S i r 41 ,1 ); poiché, amando molto la vita di questo secolo, e poco quella dell'altro, hanno in orrore la morte. Ma l'anima che ama Dio, vive più nell'altra vita che in questa; perché vive più dove ama che dove anima, onde facendo poca stima della vita temporale, dice:

.....tua vista e tua beltà m’uccida.Solo può l’amorosaSanar doglia sì duraDel caro Ben l'aspetto e la figura.

11 - La causa per cui l 'infermità di amore non ha altra cura che la presenza e l 'aspetto dell'Amato, è perché, come la malattia di amore è differente dalle altre, così pure richiede una medicina diversa. Nelle altre infermità, secondo i dettami di sana filosofia, i contrari si curano con i contrari; ma l'amore non si cura se non con le cose conformi all'amore. La ragione è perché la salute dell'anima è l'amore di Dio, e perciò, quando essa non ha perfetto amore, non gode perfetta salute, ma è inferma, poiché l'infermità non è altro che mancanza di salute. Di modo che, quando l'anima non ha alcun grado di amore, è morta; ma quando ha qualche grado di amor di Dio, benché minimo, già è viva, quantunque in molto debole e inferma per il poco amore che ha. Però, a misura che l'amore andrà aumentando, l 'anima avrà più salute, e quando l'amore sarà perfetto, ella godrà perfetta sanità.

I2 - Qui conviene notare che l'amore non giunge mai ad essere perfetto, fintanto che gli amanti non si pareggino in modo da trasfigurarsi l'uno nell'altro: solo allora l'amore è interamente sano. E poiché qui l'anima scorge in sé un certo disegno imperfetto di amore, che è la doglia di cui parla, desidera di conformarsi compiutamente alla figura di cui finora è soltanto un abbozzo, cioè al suo Sposo, al Verbo Figlio di Dio, il quale, come dice San Paolo, è lo splendore della gloria del Padre e la figura della sua sostanza (E b 1 , 3 ). Di questa figura, adunque, l 'anima intende parlare, e bramando trasformarsi in essa per amore, dice:

Solo può l'amorosaSanar doglia sì duraDel caro Ben l'aspetto e la figura.

13 - Ben a ragione si chiama malattia l 'amore imperfetto, perché come l’infermo è fiacco per operare, così l'anima debole in amore è fiacca per esercitare le virtù eroiche. Si può anche intendere che, se alcuno sente in sé malattia di amore, cioè mancanza di amore, è segno che ha qualche amore, perché per mezzo di quello che ha, riesce a vedere quello che gli manca: ma se non sente tale mancanza, è segno che non ha nessun amore, o che è perfetto in esso.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - In questo tempo l'anima si sente spinta con molta veemenza verso Dio, come la pietra quando, cadendo, si avvicina sempre più al suo centro; e sembrandole di essere quasi certa che abbia cominciato, ma non finito di ricevere l'impressione del sigillo, o come una immagine abbozzata di prima mano, grida a colui che la sbozzò, affinché finisca di

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disegnarla e formarla. Inoltre, poiché ora la fede l'illumina tanto da farle trasparire alcuni divini e molto chiari aspetti dell'altezza del suo Dio, non sa fare altro che rivolgersi alla stessa fede, come a quella che in sé racchiude e copre la bellissima figura del suo Diletto, dalla quale pure essa riceve i primi sbozzi e pegni di amore, e dice la seguente:

STROFA 12

O fonte cristallino,Se tra queste tue immagini d'argentoFormassi repentinoI cari occhi bramati,Che stammi in cor, ma sol confusi e ombrati!

DICHIARAZIONE

2 - Poiché con tanto impeto l'anima desidera l'unione dello Sposo, e vede che non trova mezzo o rimedio alcuno in tutte le creature, si volge a parlare con la fede, come quella che più al vivo deve darle lume circa il suo Diletto, e la prende come mezzo a tal fine, perché, invero non ve n'è un altro col quale si possa giungere alla vera unione e allo sposalizio spirituale con Dio secondo che il Signore stesso per Osea ci dice: Io ti sposerò a me nella fede (Os 2,20). E piena del desiderio di cui arde, le dice le seguenti parole che formano il senso della strofa: O fede di Cristo, mio Sposo, oh, se alfine tu chiaramente mi svelassi le verità del mio Diletto che mi hai infuse, sì, ma avvolte in oscurità e tenebre (ché la fede, secondo, i teologi, è un abito oscuro), di modo che ciò che comunichi con notizie informi ed oscure, me lo discoprissi e mostrassi in un baleno, rimovendoti dalle verità divine cui servi di velo, e me lo volgessi formatamente e compiutamente in manifestazione di gloria! Proferisce adunque il verso:

O fonte cristallo.

3 - Chiama cristallina la fede per due ragioni. La prima perché è di Cristo suo Sposo; e la seconda, perché ha la proprietà del cristallo, essendo pura nelle sue verità, e fonte chiara e limpida da errori e, forme naturali. La chiama poi fonte, perché da essa derivano all'anima le acque di tutti i beni spirituali. Quindi è che Cristo nostro Signore, parlando con la Samaritana, chiamò fonte la fede, dicendo che in coloro che avrebbero creduto in Lui, sgorgherebbe una fonte la cui acqua salirebbe sino alla vita eterna (Gv 4 ,1 4 ) E questa acqua era lo spirito che i credenti nella sua fede avrebbero dovuto ricevere. (Gv 7 ,39 )

Se tra queste tue immagini d'argento.

4 - Chiama immagini d'argento le proposizioni e gli articoli che la fede ci propone. Per intelligenza di questo e degli altri versi, è da sapersi che la fede è paragonata all'argento nelle proposizioni che c'insegna. La sostanza poi delle verità che in sé contiene è paragonata all'oro, perché questa medesima sostanza che ora crediamo rivestita e coperta con argento di fede, la dobbiamo vedere e godere nell'altra vita allo scoperto, svelato che sia l 'oro della fede. Davide, parlando di questa, così dice: Se dormirete tra i due cleri, le piume della colomba saranno inargentate, e le estremità del dorso saranno del colore dell'oro (S al 67 ,14 ) . Ciò vuol dire che, se chiuderemo gli occhi dell'intelletto alle cose superiori e a quelle inferiori (il che chiama dormire nel mezzo), resteremo nella fede, che qui intende per colomba, le cui penne, cioè le verità che ci manifesta, saranno inargentate, perché in questa vita la fede ce le propone oscure e velate, e per questo nel verso sono chiamate immagini d'argento. Ma al termine della fede, quando cioè la fede avrà fine per la chiara visione di Dio, rimarrà la sostanza di essa, del colore dell'oro, spoglia ormai del suo velo di argento. Di maniera che la fede ci dà e comunica lo stesso Dio, coperto però con argento di fede, ma non per questo tralascia di darcelo veramente: come se alcuno dà un vaso d'oro, ma inargentato, non perché questo è ricoperto d'argento, si può negare che

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egli doni in realtà un vaso d'oro. Allorché la Sposa nei Cantici desiderava il possesso di Dio, il Signore glielo promise quale si può avere in questa vita, dicendole che le avrebbe fatto alcuni pendenti d'oro, smaltati però d'argento (C t 1 ,10 ): nelle quali parole le promise di darsi a lei sotto il velame della fede. Adesso, dunque, l 'anima dice alla fede: Oh, se in queste tue immagini d'argento, cioè nei tuoi articoli, con i quali tieni coperto l'oro dei raggi divini,

Formassi repentinoI cari, occhi bramati!

5 - Per occhi qui s'intendono i raggi delle verità divine, che la fede ci propone informi e velate nei suoi articoli. Quindi è come se dicesse: Oh, se queste verità che informi ed oscure m'insegni, ricoperte nei tuoi articoli di fede, finissi ormai di mostrarmele chiaramente e formatamente svelate in essi, come lo chiede il mio desiderio! E dà il nome di occhi a queste verità, perché vi sente grandemente la presenza del suo Diletto, tanto da sembrarle che già la stia sempre mirando. Per la qual cosa dice:

Che stammi in cor, ma sol confusi, e ombrati.

6 - Afferma che possiede le verità, ma adombrate e abbozzate, e nel suo cuore, cioè secondo l'intelletto. Per mezzo della fede le sono state infuse nell'intelletto. E poiché la loro cognizione non è perfetta, dice che sono solamente abbozzate. Difatti, come 1’abbozzo non è disegno perfetto, così la notizia della fede non è una perfetta cognizione. Adunque, le verità che s'infondono nell'anima per via di fede sono come in abbozzo; ma quando saranno poste in chiara visione, staranno impresse nell'anima come pittura perfetta e compita, secondo il detto dell'Apostolo: «Cum autem» venerit quod perfectum est, evacuabitur quod ex parte est» (1C or 13 ,1 0 ): Quando verrà ciò che è perfetto, ossia la chiara visione della gloria, finirà ciò che è in parte, ossia il conoscimento della fede.

7 - Ma oltre quello della fede, nell'anima amante vi è un altro abbozzo, cioè di amore, secondo la volontà, in cui si sbozza la figura del Diletto; la quale così vivamente e congiuntamente si ricopia quando vi è unione amorosa, che con tutta verità si può dire che l'Amato vive nell'amante, e questi nell'Amato. E tanta è la somiglianza che l'amore produce nella trasformazione degli amanti, che si può affermare che ciascuno è l'altro e ambedue sono uno solo. La ragione è che nell'unione e trasformazione di amore l'uno dona il possesso di sé all'altro, e ciascuno lascia se stesso e si scambia con l'altro; e quindi ciascuno vive nell'altro, e 1’uno è l'altro, e tutt'e due sono uno solo per trasformazione di amore. Ciò appunto S. Paolo volle significare, quando disse: «Vivo autem, jam, non ego; vivit vero in une Christus» (Ga l 2 ,2 0 ): Vivo io, non più io; ma Cristo vive in me. Nel dire: Vivo io, non più io, fece .intendere che quantunque egli vivesse, la vita non era sua, perché era trasformato in Cristo; cioè la sua vita era più divina che umana, e perciò disse che non egli viveva, ma Cristo in lui.

8 - Secondo questa somiglianza di trasformazione, possiamo dire che la vita dell'Apostolo e la vita di Cristo era una sola per unione di amore: il che si compirà perfettamente in Cielo per mezzo della vita divina in tutti coloro che meriteranno di specchiarsi in Dio; perché, trasformati in Dio, vivranno vita di Dio e non vita propria; quantunque, sì, vita propria, perché la vita di Dio sarà la loro vita. E allora davvero potranno dire: Noi viviamo, ma non noi, perché Dio vive in noi. Tale stato, quantunque sia possibile nella presente vita, come lo era in San Paolo, tuttavia non si consegue perfettamente, ancorché l'anima giungesse a tale trasformazione di amore che fosse matrimonio spirituale, cioè al più alto stato a cui si possa arrivare quaggiù; perché tutto questo deve chiamarsi abbozzo di amore in confronto della perfetta figura della gloriosa trasformazione. Però il conseguimento di un tale abbozzo di trasformazione in questa vita è una sorte felicissima, di cui il Diletto si compiace sommamente; tanto che, desiderando che la Sposa lo ponesse nell'anima sua, così le disse nei Cantici: Mettimi come segno sopra il tuo cuore, come segno sopra il tuo braccio (C t 8 ,6 ). Il cuore qui significa l'anima, in cui durante la presente vita Dio sta come segno di abbozzo di fede; e il braccio significa,

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la forte volontà in cui il Signore sta come segno di abbozzo di amore, secondo quel che più sopra abbiamo detto.

9 - Non voglio omettere di fare almeno un breve cenno su ciò che avviene all'anima in questo tempo, benché la cosa sia tale da non potersi esprimere a parole. All'anima, dunque, sembra che la sostanza corporale e spirituale le si dissecchino per la sete della fonte viva di Dio, essendo la sua sete somigliante a quella che Davide pativa quando disse: Come il cervo desidera le sorgenti delle acque, così l 'anima mia desidera te, mio Dio. L'anima mia fu assetata di Dio, fonte viva; quando verrò e apparirò dinanzi alla faccia del mio Signore? (S al 41 ,1 - 3 ) E questa sete tanto l'affanna, che l'anima non si periterebbe d'irrompere in mezzo ai Filistei, come fecero i forti di Davide, a fine di riempire il suo vaso di acqua nelle cisterne di Betlemme (1C r 11 ,18) , ossia in Cristo. Non dubiterebbe di passare per tutte le difficoltà del mondo e le furie dei demoni e le pene infernali, pur d'immergersi in questa fonte abissale di amore. Onde a questo proposito nei Cantici si dice: L'amore è forte come la morte, e duro nella sua tenacia come l'inferno (C t

8 , 6 ). Non si può credere quanto siano veementi la brama e le pene che l'anima soffre, quando si vede prossima a gustare quel bene, ma non gliene danno; perché, quanto più alcuno conosce di essere a vista e alla porta, per così dire di ciò che desidera ma che gli viene negato, tanto maggior tormento patisce. Intorno a ciò Giobbe, in senso spirituale, dice: Prima di mangiare, sospiro, e il ruggito dell'anima mia è come la piena delle acque (Gb 3 ,24 ): e questo, a cagione dell'avidità del cibo, per il quale qui s'intende Dio; poiché la pena che alcuno prova per avere un cibo, è in proporzione della brama e della cognizione che ne ha.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - La causa per cui l'anima in questo tempo patisce tanto, è che, unendosi sempre più a Dio, sente in sé maggiormente il vuoto di Dio e densissime tenebre, con fuoco spirituale che la dissecca e purga, affinché così purificata possa unirsi con Dio. Fintanto che Dio non fa scendere sull'anima qualche raggio di luce soprannaturale di sé, Egli è tenebre intollerabili per lei, benché spiritualmente le stia vicino: perché la luce soprannaturale oscura col suo eccesso quella naturale. Tutto ciò Davide volle intendere quando disse: Un'oscura nube v'è d'intorno a Lui: il fuoco lo precede (S al 96 ,2 - 3 ). E in un altro Salmo dice: Pose per suo nascondiglio le tenebre, e il tabernacolo che lo circonda è l'acqua tenebrosa delle nubi dell'aria; per il suo grande splendore, alla sua presenza vi sono nubi, grandine e carboni di fuoco (S al 17 ,13 ) . Il che è detto rispetto all'anima che, quanto più si avvicina a Lui, tanto più prova in sé le sopraddette cose, fino a che Dio la introduca nei suoi divini splendori per trasformazione di amore. Frattanto però l'anima sta sempre dicendo, come Giobbe: Chi mi darà di conoscerlo e trovarlo, e di giungere sino al suo trono? (Gb 23 ,3 )

Tuttavia, per immensa pietà di Dio, le consolazioni e le delizie che concede all'anima sono a seconda delle tenebre e del vuoto della medesima, perché «Sicut tenebrae eius ita et lumen eius» (Sa l 138 ,12 ); di modo che, se il Signore l'umilia e deprime, l'esalta pure e glorifica. Dio, dunque, inviò all'anima in mezzo alle sue pene certi raggi divini di sé, con tale gloria e forza di amore, che la commosse tutta e ne sconvolse il naturale; cosicché con gran timore e paura ella dice al Diletto il principio della seguente strofa, di cui Egli stesso prosegue il resto.

STROFA 13

Deh! gli allontana, Amato,Ch’io passo e volo...

SPOSO

Ah! mia colomba, torna;Spunta il cervo piegatoDalla collina erbosa,

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E del tuo volo all'ara si riposa.

DICHIARAZIONE

2 - Durante il tempo dei grandi desideri e fervori di amore, quali l 'anima ha dimostrato nelle strofe passate, il Diletto suole visitare la sua Sposa castamente, delicatamente e amorosamente, anzi con molta forza di amore; perché d'ordinario secondo i grandi fervori ed impeti amorosi che precedettero nell'anima, sogliono anche essere grandi le grazie e le visite che Dio le fa. Ora, poiché l'anima desiderò con tante ansie gli occhi divini, di cui ha parlato nella strofa precedente, il Diletto ne compì il desiderio, scoprendole alcuni raggi della sua grandezza e divinità i quali raggi furono comunicati da tanta altezza e con tanta forza, che la fecero andare rapita in estasi, il che al principio accade con gran timore e detrimento della natura. E perciò, non potendone sopportare l'eccesso in un soggetto così fiacco, dice nella presente strofa

Deh! gli allontana, Amato.

Vale a dire: Volgi da me i tuoi occhi divini, perché mi fanno volare, uscendo fuori di me in altissima contemplazione, più di quel che la debole natura non possa sostenere. Dice così, perché le sembrava di volarsene via dal corpo, il che peraltro è proprio ciò che ella tanto bramava. Che se gli domandò di allontanare da lei quei raggi divini, non fu se non perché egli cessasse di comunicarglieli nella fragile carne, in cui non li poteva soffrire e godere come voleva: ma glieli comunicasse piuttosto nel volo che ella, rapita, fu sul punto di spiccare dal corpo mortale. Però questo desiderio e questo volo fu impedito dallo Sposo, dicendole: Ah! mia colomba, torna, perché la comunicazione che adesso ricevi da me, non è ancora dello stato di gloria come tu ora vorresti. Però rivolgiti a me, che sono Colui che tu, piagata di amore, cerchi; poiché anch'io, quasi cervo ferito dal tuo amore, comincio a mostrarmi a te per mezzo della tua alta contemplazione. nel cui amore prendo piacere e refrigerio. Dice, dunque, l'anima allo Sposo: Deh! gli allontana, Amato.

3 - Come abbiamo detto, secondo i grandi desideri che l'anima aveva degli occhi divini, i quali significano la divinità, ricevette interiormente dal Diletto una tale comunicazione e notizia di Dio, che la spinse a dire: Deh! gli allontana, Amato. E invero, tanta è la miseria della nostra natura in questa terra, che proprio quello. che all'anima dà più vita ed è così ardentemente bramato da lei (cioè la comunicazione e il conoscimento del suo Diletto), allorché le viene concesso, non lo può ricevere senza che quasi le costi la vita. Di maniera che quegli occhi o raggi divini che cercava con tanta sollecitudine ed ansie, e per tante vie, non appena li riceve, la fanno esclamare: Deh! gli allontana, Amato!

4 - Difatti, alle volte il tormento che si prova in tali visite di estasi è sì grande, che non ve n'è un altro che sloghi le ossa e metta alle strette la natura in modo simile, tanto che, se Dio non provvedesse, la vita verrebbe a mancare. Così appunto sembra a chi succede questo fatto, poiché sente come distaccarsi l 'anima dalle carni e abbandonare il corpo. La causa è che simili favori non si possono ricevere molto nella carne, essendo lo spirito umano elevato a comunicare con lo spirito divino che discende sull'anima e quindi di necessità deve in qualche modo lasciare la carne. In conseguenza di ciò, il corpo deve patirne non meno che l'anima nel corpo, a motivo della loro intima unione in un medesimo supposto. Il gran tormento, dunque, che l'anima sente al tempo di questo genere di visite, e il gran timore che le incute il vedersi trattata per via soprannaturale le fanno dire: Deh! gli allontana Amato!

5 - Ma, se l'anima prega che li allontani, non per questo si deve intendere che ella vorrebbe che li allontanasse davvero. Quelle parole sono suggerite dal timore naturale; anzi, quand'anche le dovesse costare maggior tormento, non vorrebbe perdere queste visite e grazie del Diletto; perché, sebbene la natura vi patisca, lo spirito però vola al raccoglimento soprannaturale a godere dello spirito del Diletto. Ciò appunto ella desiderava e chiedeva; tuttavia vorrebbe riceverlo non già nella carne, dove non che compiutamente, poco si può godere e con pena; ma col volo dello spirito fuori del corpo,

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dove liberamente si gode. Per questo disse: Deh! gli allontana, Amato: cioè non me li comunicare in carne mortale.

Ch'io passo e volo.

6 - Quasi dicesse: Esco e volo dalla carne, affinché fuori di essa mi comunichi i tuoi raggi, essendo essi la cagione che mi fa volar via dal corpo. Ed acciocché intendiamo meglio che volo sia questo, è da considerarsi che in quella visita del Diletto, lo spirito umano, essendo rapito con gran forza a comunicare con lo Spirito divino, destituisce di forze il corpo, e cessa di sentire e di avere in esso le sue operazioni, perché le ha in Dio. Onde l'apostolo San Paolo disse di quel suo rapimento (2C or 12 ,2 ) che non sapeva se l'anima sua lo avesse ricevuto nel corpo o fuori. Non per questo, però, si deve pensare che I' anima abbandoni il corpo e lo destituisca della vita naturale, ma soltanto che non esercita in esso le proprie operazioni. Questa è la causa per cui in simili voli o rapimenti il corpo, rimane privo di sensi, e quantunque gli vengano fatte cose atte a produrre grandissimo dolore, non sente nulla, perché il rapimento non è come un qualsiasi deliquio o svenimento naturale, in cui il dolore fa tornare l'uomo in sé. Notiamo però che i suaccennati effetti delle visite del Diletto accadono a coloro che non sono giunti allo stato di perfezione , ma che ancora camminano in quello dei proficienti, poiché i perfetti hanno ormai i tutta la comunicazione fatta in pace e soavità di amore, cessando in essi quei rapimenti che servivano per disporre a tale comunicazione pacifica e amorosa.

7 - Sarebbe qui il luogo opportuno per trattare della differenza tra i rapimenti, le estasi, ed altre elevazioni e sottili voli di spirito, che sogliono accadere alle persone spirituali. Ma, poiché il mio intento non è che dichiarare brevemente queste strofe, come ho promesso nel proemio, quelle cose devono lasciarsi a chi le sappia trattare meglio di me: anche poi perché la beata Teresa di Gesù, madre nostra, lasciò scritte in modo mirabile tali cose di spirito, le quali spero nel Signore che usciranno presto alla luce. 4

Adunque, ciò che qui l 'anima dice del volo, si deve intendere per rapimento ed estasi dello spirito in Dio. Quindi il Diletto subito dice:

Ah! mia colomba, torna.

8 - Ben volentieri l'anima se ne andava dal corpo in quel volo spirituale, pensando che già terminasse la vita terrena, e che potesse starsene col suo Sposo e goderlo svelatamente per sempre; ma lo Sposo le fermò il passo, dicendo: Ah! mia colomba, torna. Come se dicesse: O mia colomba, tale invero per l'alto e leggero volo di contemplazione che prendi e per l 'amore di cui sei accesa, e per la semplicità di cui vai adorna (la colomba infatti ha queste tre proprietà), ritorna da quest'alto volo in cui aneli di giungere a possedermi davvero, poiché non è ancora giunto il tempo di così sublime cognizione; adattati a questa più bassa che io ora ti comunico in questo tuo trasporto, ed è:

Spunta il cervo piagato

9 - Lo Sposo si paragona al cervo, e qui per cervo intende se stesso. È da notarsi che è proprio del cervo salire a luoghi elevati; e quando è ferito, se ne va di gran fretta a cercare refrigerio nelle acque fresche; e se ode il lamento della compagna, subito accorre e le fa mille carezze. Così fa ora lo Sposo, poiché vedendo la Sposa ferita del suo amore, e udendone il gemito, egli pure si sente ferire dall'amore di lei; essendo che tra gli amanti la ferita dell'uno è anche dell'altro, e ambedue provano lo stesso sentimento. Onde è come se dicesse: Torna, mia Sposa, a me, ché, se tu sei piagata di amore per me, pure io, a guisa di cervo, ferito da questa tua piaga, vengo a te; come pure mi rassomiglio al cervo anche nello spuntar dall'alto. E perciò dice:

Spunta.. ...Dalla collina erbosa.

4 I l Consiglio provinciale degli Scalzi, presente S. Giovanni della Croce che dette il suo parere favorevole, decise la pubblicazione degli scritt i di S. Teresa i l 1° set tembre del 1586.

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10 - Cioè dall'altezza della contemplazione a cui ti elevi in questo, tuo volo: poiché, la contemplazione è un posto alto, dove Dio in questa vita comincia a comunicarsi e a farsi vedere all'anima, ma non perfettamente; e per questo non dice che finisce di apparire, ma che spunta, perché per quanto alte siano le notizie che l'anima riceve quaggiù intorno a Dio, tutte sono quasi apparizioni molto lontane e momentanee. Segue ora la terza delle accennate proprietà del cervo, ed è quella che si contiene in questo verso:

E del tuo volo all'aura si riposa.

11 - Per volo intende la contemplazione di quell'estasi che abbiamo detto, e per aura lo spirito di amore prodotto nell'anima dal volo della contemplazione. Molto appropriatamente poi chiama aura questo amore; perché anche lo Spirito Santo, che è amore, viene paragonato nella divina Scrittura all'aura, essendo spirato dal Padre e dal Figlio. E come il Divino Spirito è aura del volo, in quanto che procede ed è spirato dalla contemplazione e sapienza del Padre e del Figlio, così qui lo Sposo chiama aura l'amore dell'anima, perché procede dalla contemplazione e notizia di Dio, che essa ha in questo tempo. Si avverta che lo Sposo non dice di venire al volo, ma all'aura del volo, perché Dio non si comunica propriamente all'anima per il volo di essa, il quale è il conoscimento che ella ha di Dio, ma per l 'amore che nasce dal conoscimento: come l’Amore è unione del Padre e del Figlio, così lo è dell'anima con Dio. Quindi è che, quantunque un'anima avesse altissime notizie di Dio e sublime contemplazione, e conoscesse tutti i misteri, se però non ha l'amore, nessuna cosa le gioverebbe, come dice S. Paolo (1 C or 13 ,2 ) , per unirsi con Dio. E altrove lo stesso Apostolo dice: «Charitatem habete, quod est vinculum perfectionis» (C ol 3 , 14 ): Abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione. Questa carità, dunque, questo amore dell'anima fa sì che lo Sposo corra a bere alla fonte di amore della sua Sposa, come le acque fresche fanno correre il cervo sitibondo e piagato, a prendervi refrigerio. Onde prosegue: all'aura riposa.

12 - Come l'aura dà refrigerio a chi è affannato dal caldo, così l 'aura d'amore refrigera e ricrea chi arde del fuoco amoroso; poiché tal fuoco ha questo di proprio, che l'aura con cui prende fresco e refrigerio è un maggior fuoco d'amore, essendo che l'amore è una fiamma che tende ad ardere sempre più, come fa la fiamma del fuoco naturale. Lo Sposo, pertanto, dicendo che riposa o prende refrigerio all'aura del volo, esprime l'adempimento del proprio desiderio di divampare maggiormente nell'amoroso ardore della sua Sposa, il quale è l 'aura del volo di essa. Ed è come se dicesse: All'ardore del tuo volo, io ardo di più, perché un amore accende l'altro. Ma è da notarsi che Dio non immette la sua grazia e il suo amore nell'anima, se non a seconda dell'amorosa volontà della medesima; e quindi il vero innamorato ha da procurare che questo amore non manchi, poiché con questo mezzo muoverà di più il Signore, se così può dirsi, ad amarlo e a ricrearsi maggiormente nell'anima sua. Per acquistare poi la carità, si deve esercitare ciò che l'apostolo ci dice in questi termini: La carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, non opera il male, non. s'insuperbisce, non è ambiziosa, non cerca le proprie cose, non s'irrita, non pensa male, non si rallegra della malvagità, gode della verità; tutto ciò che v'è da soffrire, lo soffre; crede tutto, cioè le cose che si devono credere; tutto spera e tutto sopporta cioè tutto quello che alla carità si addice.

ANNOTAZIONE E ARGOMENTO DELLE DUE STROFE SEGUENTI

1 - Poiché l'anima, quasi colomba che non trovi dove posare il piede, andava volando per l 'aura di amore sopra le acque del diluvio delle sue fatiche ed ansie amorose, che ha mostrate sin qui, il pietoso Padre Noè stese la sua mano misericordiosa, la prese ed accolse nell'arca della sua carità e del suo amore: ciò avvenne allorché nella strofa precedente disse: Ah! mia colomba, torna. In tale amorosa accoglienza, l 'anima trovando tutto ciò che desiderava, anzi più di quello che si possa esprimere, comincia a cantare lodi al suo Diletto, e riferisce le grandezze che sente e gode nell'unione con Lui, dicendo così:

STROFA 14-15

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L'Amato è come i montiPer me, come le ombrose erme vallette,Le strane isole, e i fontiDi schiette acque sonore,E l'amoroso sibilar dell'ôre.

La riposata e quetaNotte sul primo biancheggiar dell'alba,La melodia segreta,Solitudin sonora,La cena che conforta ed innamora.

ANNOTAZIONE

2 - Prima di entrare nella spiegazione di queste strofe, è necessario avvertire, a maggior intelligenza di esse e delle seguenti, che il volo spirituale , di cui or ora abbiamo parlato, denota un alto stato di unione amorosa, nel quale Dio suole mettere l'anima dopo molto esercizio spirituale: stato che viene chiamato fidanzamento spirituale col Verbo Figlio di Dio. Al principio, cioè la prima volta che ciò avviene, Dio comunica all'anima grandi cose di sé, abbellendola di grandezza e maestà, corredandola di doni e di virtù, e rivestendola del conoscimento e dell'onore divino, proprio come una sposa nel giorno dei suoi sponsali. In tal felice giorno, non solo finiscono per l 'anima i lamenti e le ansie veementi di amore che prima aveva, ma restando adorna dei beni che ho detto, entra in uno stato di pace, diletto e soavità amorosa, secondo che ci fanno intendere le presenti strofe, in cui ella non fa altro che descrivere e cantare le grandezze del suo Amato, le quali conosce e gode in Lui per l 'unione degli sponsali. Perciò, al contrario di prima, nelle rimanenti strofe non dice più cose che rivelano ansie e pene, ché tutto ciò è ormai finito, ma parla soltanto di comunicazione ed esercizio di dolce e pacifico amore col suo Amato. Si avverta, inoltre, che nelle presenti due strofe si contiene il più che Dio suole comunicare ad un'anima nello stato di fidanzamento. Non si deve però intendere che tutto ciò che si dichiara in esse venga comunicato indistintamente a tutte le anime che pervengono a tale stato e neppure che si conceda alla stessa maniera ed in uguale misura di cognizione e sentimento; perché ad alcune anime viene conferito di più, ad altre di meno, ed alle une in modo diverso dalle altre, quantunque le varie sorta di comunicazioni possano appartenere allo stato di fidanzamento spirituale. Qui dunque metteremo il più che possa accadere, perché in ciò è compreso tutto.

DICHIARAZIONE

3 - Premettiamo che, come nell'arca di Noè, secondo che narra la Sacra Scrittura, vi erano numerose mansioni per le molte specie di animali e ogni sorta di commestibili, così l 'anima nel volo che fa all'arca divina del seno di Dio, non solo riesce a vedervi le molte mansioni che Sua Divina Maestà disse a S. Giovanni esservi nella casa del Padre suo (Gv

14 , 2 ), ma vede e conosce là tutti i cibi, tutte le grandezze che un'anima può gustare, cioè tutte le cose contenute in queste due strofe e significate da quei vocaboli comuni; le quali cose, in sostanza, sono quelle che stiamo per dire.

4 - L'anima, in questa unione divina, vede e gode abbondanza di ricchezze inestimabili, e trova tutto il riposo e sollievo che desidera; intende strani segreti e cognizioni di Dio, che sono per lei il cibo più saporito. Sente in Dio un potere terribile, una forza tale che annienta qualsiasi altra; vi gusta una ammirabile soavità e diletto di spirito, e trova vera tranquillità e luce divina. Gode altamente della Sapienza di Dio, che risplende nell'armonia delle cose create e delle opere divine; si sente ricolma di beni, aliena e immune dai mali, e soprattutto intende e gusta un'inestimabile refezione di amore, la quale la conferma in amore. Ecco la sostanza di ciò che si contiene nelle due strofe.

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5 - In questi versi la Sposa dice che il suo Amato è in sé tutte le dette cose, e che lo è per lei: poiché, tra le cose che Dio suole comunicare in simili estasi, l'anima sente e conosce la verità di quel detto di San Francesco d'Assisi, cioè: Dio mio e mio tutto. Quindi, poiché Dio è per l 'anima tutte le cose e il bene di esse tutte, si spiega la comunicazione dell'estasi con la similitudine presa dalla bontà delle creature, della quale si fa menzione nelle due strofe, e che noi dichiareremo in ciascun verso. Nel che si deve intendere che tutto ciò che enumereremo ora, esiste in Dio eminentemente e in maniera infinita o, per meglio dire, ciascuna di queste grandezze di cui parliamo è Dio, e tutte insieme sono Dio. Ed in quanto che nel caso presente l'anima si unisce con Dio, sente Dio esserle tutte le cose, come lo sentì S. Giovanni quando disse: « Quod factum est, in ipso vita erat» (Gv 1,4)5: Ciò che fu fatto, era vita in Lui. Però non è da credersi che ciò che qui l 'anima sente, sia come un vedere le cose nella luce, o le creature in Dio, ma che in quel possesso sente esserle tutte le cose Dio. Nemmeno poi si deve supporre che l'anima, avendo un sì eccelso sentimento di Dio, lo veda essenzialmente e chiaramente: ciò che ella sente non è altro che una forte e copiosa comunicazione e un barlume di ciò che Dio è in sé; nel che l'anima sente il bene delle cose, come ora nei versi spiegheremo.

L'Amato è come i montiPer me.

6 - I monti, sono alti, abbondanti, spaziosi, belli e graziosi, fioriti e odorosi. Tale è il mio Amato per me.

Come le ombrose erme vallette.

7 - Le valli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombrose, irrigate da dolci acque. Per la varietà dei loro arboscelli e il canto soave degli augelletti, ricreano e dilettano grandemente il senso; e nella loro solitudine e silenzio offrono refrigerio e riposo. Il mio Diletto è per me come queste valli.

Le strane isole.6

8 - Le isole strane [ s conosc iu te ] sono circondate dal mare, sperdute là nell'oceano, molto lontano dal commercio degli uomini. In esse nascono e crescono prodotti differenti da quelli delle nostre regioni, e di forme tanto strane e con proprietà e virtù così rare e sconosciute, che riescono affatto nuovi e suscitano grande meraviglia in chi li vede. Quindi è che l'anima chiama Dio col nome di isole strane, perché vede e apprende in Lui grandi e meravigliose novità di cognizioni, estranee e lontane dalla comune intelligenza. Per due ragioni infatti un uomo può chiamarsi estraneo: o perché vive separato dalla compagnia degli altri, o perché in modo particolare si distingue e supera tutti per i suoi detti e fatti eccellenti. Ebbene, per ambedue le ragioni l 'anima qui chiama Dio estraneo, perché non solo è separato da noi infinitamente più che le isole remote e sconosciute; ma anche perché le sue vie, le sue opere, i suoi consigli sono rispetto a noi molto strani, nuovi e ammirabili. Né è meraviglia che Dio sia sconosciuto agli uomini, che non lo hanno mai veduto, quando si consideri che pur lo è agli angeli santi e alle anime che lo contemplano, perché non finiscono né finiranno mai di vederlo appieno: anzi, fino all'estremo giorno del giudizio, andranno scoprendo in Lui tante cose ignote circa i suoi profondi giudizi e le opere della sua misericordia e giustizia, che sempre riusciranno loro nuove e sempre più li riempiranno di stupore. Di maniera che, non solo gli uomini, ma anche gli angeli possono chiamare Dio col nome di isole strane: soltanto a se stesso non è né estraneo né nuovo.

....E i fonti

5 Questo testo è preso da una edizione diversa della Volgata, in cui i due membri della frase sono separat i , non dalla virgola, ma dal punto, e quindi appartengono a due periodi distinti . Naturalmente, ne segue non poca differenza di senso, pur r imanendo salva la verità in ambedue le versioni.

6 Allude certamente alle isole del Nuovo Mondo (scoperto non più di un secolo prima) passate sotto il dominio della Spagna. Per ben capire la dichiarazione del verso, si avverta che l 'aggett ivo spagnolo ex traño si presta a più significati: st rano, straniero, estraneo, ecc.

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Di schiette acque sonore.

9 - I fiumi hanno tre proprietà. La prima, che investono e sommergono tutto ciò che incontrano; la seconda, che riempiono le cavità e i punti bassi che trovano davanti; la terza, che fanno un rumore tale che copre e confonde ogni altro suono. Ora, poiché nella divina comunicazione di cui stiamo parlando, l'anima sente in Dio queste tre proprietà con molto sapore e dolcezza, dice che il suo Diletto è fonti d'acque schiette e sonore. Difatti, quanto alla prima proprietà che l'anima sente in questo caso, è da sapersi che ella vede il torrente dello spirito di Dio investirla in tal maniera e impadronirsi di lei con tanta forza, che le sembra di essere inondata da tutti i fiumi del mondo, e sente annegate in quelle acque tutte le sue azioni e passioni in cui prima viveva. Non si creda però che una cosa di tanta forza rechi tormento, perché questi sono fiumi di pace, secondo che per Isaia Dio ci fa intendere, parlando di questo investimento dell'anima: «Ec ce ego declinabo super eam quasi fluvium pacis, et quasi torrentem inundantem gloriam» ( I s 66 ,12 ) . Vale a dire: Ecco che io deriverò e farò scendere sopra di lei (sull'anima) come un fiume di pace e come un torrente che ridonda di gloria. Cosicché questo investimento divino, che il Signore fa nell'anima a guisa di rumorosi torrenti, la riempie tutta di pace e di gloria. La seconda proprietà che l'anima sente in questo tempo è che le acque divine riempiono le bassure della sua umiltà e i vuoti dei suoi appetiti, secondo le parole di S. Luca: «Exaltavit humiles. Esurientes implevit bonis» (L c 1 ,5 2 - 53): Esaltò gli umili e colmò di beni i famelici. La terza proprietà che l'anima sente nei rivi sonori del suo Diletto è un suono di voce spirituale, che vince ogni altra voce, un suono che supera tutti i suoni del mondo. E nel dichiarare come ciò avvenga, c'intratterremo alcun poco.

10 - Questa voce, questo suono rumoroso di fiumi di cui l 'anima qui parla, è un riempimento così abbondante che la ricolma di beni e una virtù così potente che tutta la possiede: di modo che le sembra di udire non già rumori di fiumi, ma piuttosto tuoni assai strepitosi. Questa, voce però è spirituale, e non porta con sé suoni sensibili, né dà loro pena e molestia, ma invece grandezza, forza, potenza, diletto e gloria: è come un suono immenso interiore, che veste l'anima di potere e fortezza. Tal voce spirituale risuonò nello spirito degli Apostoli, allorché lo Spirito Santo qual impetuoso torrente discese sopra di essi, come si narra negli Atti degli Apostoli (A t 2 , 2 ). Nel qual fatto, affinché s'intendesse la voce spirituale che il Divino Paracleto faceva loro sentire interiormente, si udì di fuori quel rumore quasi di vento veemente che fu udito da tutti gli abitanti di Gerusalemme: con esso, ripeto, si denotava quello che gli Apostoli ricevevano dentro di loro, cioè pienezza di potere e di forza. Parimenti leggiamo in S. Giovanni (G v 1 2,2 8) che mentre Nostro Signore Gesù Cristo, afflitto ed insidiato dai suoi nemici, pregava l'Eterno Padre, gli venne dal cielo una voce interiore per confortarlo secondo l’umanità; voce che si fece udire anche esteriormente e giunse all'orecchio dei Giudei così strepitosa, che alcuni dissero che avesse tuonato, ed altri che un angelo del cielo gli avesse parlato. La verità era che per quella voce udita di fuori, si denotava la forza e il potere che, secondo l'umanità, venivano conferiti a Cristo interiormente. Né per questo si deve credere che l'anima non riceva nello spirito il suono della voce spirituale; ché , anzi si avverta che la voce spirituale è l 'effetto che essa produce nell'anima, non altrimenti che la voce corporale imprime il suono nell'udito e l 'idea nello spirito. Ciò Davide volle farci comprendere quando disse: «Ecce dabit voci suae vocem virtutis» (S al 67 ,36 ): Dio darà alla sua voce una voce di virtù; la quale virtù è la voce interiore. Il dire che darà alla sua voce una voce di virtù, vale quanto dire: Alla voce che si ode di fuori darà tal voce di virtù che si senta di dentro. Intorno a che è da sapersi che Dio è voce infinita che, comunicandosi all'anima nella detta maniera, produce un effetto di voce immensa.

11 - Questa voce fu udita da S. Giovanni il quale nell'Apocalisse dice di averla udita dal cielo, e che era «Tamquam vocem aquarum multarum, et tamquam vocem tonitrui magni» (A p 14 , 2 ): ossia era simile al rumore di molte acque, e a quello di un gran tuono. E affinché non s'intenda che, essendo quella voce così forte, fosse perciò aspra e penosa, subito soggiunge che la stessa era tanto dolce che: «Erat sicut citharaedorum citharizantium in citharis suis» (A p 14 , 2 ); vale a dire: era come quella di molti citaristi che suonassero le loro cetre. Anche Ezechiele dice che questo suono, simile a quello di molte acque, era «quasi sonus sublimis Dei» (E z 1 ,24 ): come suono dell'Altissimo Dio, cioè che gli si comunicava in

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modo molto sublime e soave. Questa voce è infinita; poiché è Dio stesso che si comunica, facendo sentire una voce nelle anime, una voce di virtù, che si modera però secondo la capacità limitata di ciascuna, producendo in essa molto diletto e grandezza. Ond'è che la Sposa disse nei Cantici: «Sonet vox tua in auribus meis, vox enim tua dulcis » (C t 2 , 14 ): Risuoni la tua voce al mio orecchio, poiché è dolce e soave.

E l'amoroso sibilar dell’ôre.

12 - Due cose l'anima dice nel presente verso, ossia aure e sibilo. Per aure amorose s'intendono le virtù e le grazie del Diletto, le quali mediante la detta unione dello Sposo investono l'anima, e assai amorosamente le si comunicano toccando nella sua sostanza. Chiama poi sibilo di queste aure un'altissima e gustosissima intelligenza di Dio e delle sue virtù, la quale ridonda nell'intelletto dal tocco che queste virtù divine fanno nella sostanza dell'anima: tocco che è il più sublime fra tutti gli altri diletti che qui l 'anima possa godere.

13 - Ora, affinché s'intenda meglio ciò che abbiamo detto, è da notare che, come nell'aria si sentono due cose, cioè il tocco e il sibilo o suono, cosi in questa comunicazione dello Sposo si sentono due altre cose, cioè sentimento di piacere e intelligenza. E come il tocco dell'aria si gode nel senso del tatto e il sibilo della medesima nell'udito; così pure il tocco delle virtù del Diletto si sente e gode nel tatto di quest'anima, ossia nella sostanza, e l 'intelligenza delle divine virtù si sente nell'udito dell'anima, cioè nell'intelletto. È da sapersi, inoltre, che allora si dice che l'aura amorosa spira, quando piacevolmente ferisce, soddisfacendo l'appetito di colui che desiderava tale refrigerio, perché allora il senso del tatto si diletta e ricrea. Mentre poi avviene questo godimento del tatto, anche l'udito ritrae gran piacere dal suono o sibilo dell'aura, molto più che non ne ritragga il tatto dal tocco di essa: perché il senso dell'udito è più spirituale, o per meglio dire si avvicina allo spirituale più che il tatto, e quindi il diletto che cagiona è più spirituale di quello prodotto dal tatto.

14 - Alla stessa guisa il tocco divino soddisfa grandemente e accarezza la sostanza dell'anima, compiendo soavemente il suo desiderio, quello cioè di vedersi in tale unione, e quindi ella chiama aure amorose questi tocchi di unione: in essi amorosamente e dolcemente le si comunicano le virtù del Diletto, dal che ridonda nell'intelletto il sibilo dell'intelligenza. Lo chiama poi sibilo, perché come il sibilo causato dall'aria penetra acutamente nella coclea dell'orecchio, così quella sottilissima e delicata intelligenza penetra nell'intimo della sostanza dell'anima con ammirabile e saporoso diletto, che è il massimo fra tutti. La ragione di questo è che si dà all’anima una «sostanza intesa» 7 e nuda di accidenti e fantasmi, che viene presentata all' intelletto passivo o possibile [pa ss ib i l e ], come lo chiamano i filosofi, perché la riceve passivamente, cioè senza che esso faccia alcunché da parte sua. Ciò costituisce il principale diletto dell'anima, perché è nell'intelletto, ed in ciò consiste la fruizione, come dicono i teologi, ossia la visione di Dio. Che anzi, essendo che il sibilo significa la detta intelligenza sostanziale, alcuni teologi pensano che il nostro Padre Elia abbia veduto Dio in quel sibilo delicato di aria che udì sul monte, all 'ingresso della sua spelonca (3R e 19 , 12 -13 ). La Scrittura ivi lo chiama sibilo di aria delicata, perché dalla sottile e delicata comunicazione dello spirito nasceva la cognizione nell'intelletto del Profeta. Qui l 'anima lo chiama sibilo di aure amorose, perché le ridonda nell'intelletto dall'amorosa comunicazione delle virtù del suo Amato.

15 - Questo sibilo divino che entra per l 'udito dell'anima, non solamente è una «sostanza intesa», ma anche un discoprimento delle verità concernenti la Divinità e una rivelazione dei suoi occulti segreti. Ordinariamente, infatti, tutte le volte che nella Sacra Scrittura si trova qualche comunicazione divina, di cui si dica che entrò per l 'udito, vediamo che fu o una manifestazione di quelle verità nude all'intelletto, o una rivelazione dei segreti di Dio. Sono rivelazioni o visioni puramente spirituali, che si danno alla sola anima senza il ministero e il concorso dei sensi; e quindi ciò che si dice essere comunicato da Dio per l 'udito, è cosa molto certa e sublime. Onde l'apostolo S. Paolo, per farci intendere l'altezza della rivelazione ricevuta da lui, non disse: Vidit arcana verba, e nemmeno:

7 Ossia una conoscenza sostanziale infusa direttamente nell’ intelletto.

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Gustavit arcana verba, ma: «Audivit arcana verba, quae non licet homini loqui» (2C or 12 , 4 ): Udì parole segrete, che l'uomo non può esprimere. Nel che si pensa che egli abbia veduto Dio, alla stessa guisa che il nostro Padre Elia lo vide nel sibilo (3R e 19 , 12 -13). Poiché, come la fede, a detta dello stesso S. Paolo (R m 10 ,1 7), è per mezzo dell'udito corporale, così quello che ci dice la fede, che è la «sostanza intesa», è per mezzo dell'udito spirituale. Il Profeta Giobbe ci fa comprendere ciò molto bene quando, parlando con Dio che gli si era manifestato, gli disse: «Auditu auris audivi te, nunc autem oculus meus videt te» (Gb 42 ,5 )

Coll'udito dell'orecchio ti udii, e adesso con l'occhio mio ti vedo. Nelle quali parole possiamo intendere chiaramente che udirlo con l'udito dell'anima, è vederlo con l'occhio dell'intelletto passivo, di cui abbiamo fatto menzione; e perciò Giobbe non dice: Ti udii con l'udito delle mie orecchie, ma del mio orecchio. Né dice: Ti ho veduto con gli occhi miei, ma con l'occhio mio, ossia del mio intelletto. Adunque, questo udire dell'anima è vedere con l'intelletto.

16 - Tuttavia, non perché l'anima intende una nuda sostanza si deve supporre che questa sia la perfetta e chiara fruizione della gloria celeste; poiché, quantunque sia nuda di accidenti, non però è chiara, ma oscura, non essendo altro che contemplazione, la quale in questa vita, come dice S. Dionisio, è raggio di tenebra. Onde possiamo dire che è un raggio e un'immagine di fruizione, in quanto che è nell'intelletto in cui avviene la fruizione. Questa «sostanza intesa», che qui l 'anima chiama sibilo, sono quegli occhi bramati, che essendole scoperti dal Diletto, ma non potendo il senso sopportarli, la fecero esclamare: Deh! gli allontana, Amato.

17 - E poiché mi pare molto a proposito un testo di Giobbe, che conferma gran parte di ciò che abbiamo detto di questa estasi e fidanzamento spirituale, mi piace qui riferirlo (sebbene ci dilungheremo alquanto) e dichiararne le parti che fanno al nostro argomento. Dapprima lo riferirò tutto in latino, quindi in volgare, spiegando subito brevemente ciò che di esso giova al nostro intento; fatto questo, proseguirò la dichiarazione dei versi dell'altra strofa. In Giobbe, dunque, Eliphaz Temanite così dice: «Porro ad me dictum est verbum absconditum, et quasi furtive suscepit auris mea venas susurri eius. In horrore visionis nocturnae quando solet sopor occupare homines, pavor tenuit me, et tremor, et omnia ossa mea perterrita sunt, et cum spiritus, me praesente, transiret, inhorruerunt pili carnis meae. Stetit quidam, cuius non agnoscebam vultum, imago coram oculis meis, et vocem quasi aurae lenis audivi» (Gb 4 ,12 - 16): In verità, a me fu detta una parola segreta, e il mio orecchio accolse quasi di nascosto le vene del sussurro. Nell'orrore di una visione notturna, quando il sonno suole occupare gli uomini, la paura e il tremore m'invasero, e le me ossa si conturbarono; e mentre lo spirito passava dinanzi a me, si raggrinzò la pelle della mia carne. Mi apparve uno, il cui volto non conoscevo, un'immagine davanti agli occhi miei, e udii una voce di aura delicata. In questo testo si contiene quasi tutto ciò che dell'estasi abbiamo detto fin qui, a cominciare dalla Strofa 13 che dice: Deh! gli allontana, Amato. Poiché le parole di Eliphaz, ove dice che gli fu detta una parola segreta, significano quella cosa nascosta che fu concessa all’anima, la quale, non potendo sopportarne la grandezza, esclamò: Deh! gli allontana, Amato.

l8 - Col dire poi che il suo orecchio accolse le vene di quel sussurro quasi furtivamente, vuole esprimere la nuda sostanza ricevuta dall'intelletto, perché le vene qui denotano una sostanza interiore. Il sussurro significa quella comunicazione e tocco di virtù, donde si comunica all'intelletto la detta «sostanza intesa». Lo chiama sussurro, perché quella comunicazione è molto soave, tanto che pure l'anima la chiama col nome di aure amorose, perché s'infonde amorosamente. Soggiunge che la ricevette quasi furtivamente, perché come quello che si ruba è cosa altrui così quel segreto era indebito all'uomo, naturalmente parlando: e quindi non gli era permesso ricevere ciò che non apparteneva alla sua natura, come neppure era permesso a S. Paolo poter dire il suo segreto. Onde un altro Profeta disse due volte: Il mio segreto è per me, «Secretum meum mihi, secretum meum mihi» ( I s 24 ,16 ) . Proseguendo poi Eliphaz a dire che nell'orrore della visione notturna, quando il sonno suole occupare gli uomini, la paura e il tremito l' invasero, ci fa intendere, lo spavento e il tremore che il rapimento produce naturalmente nell'anima, del quale dicemmo che la natura non poteva soffrirlo nella comunicazione dello spirito di Dio. Il Profeta qui vuole far capire che come al tempo che gli uomini se ne vanno a dormire

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sogliono essere oppressi e intimoriti da una visione che chiamano incubo, che accade tra la veglia e il sonno, cioè al momento che questo comincia; così al tempo del rapimento di spirito, tra il sonno dell'ignoranza naturale e la veglia della cognizione soprannaturale, ossia al principio del rapimento o estasi la visione spirituale che allora si comunica fa temere e tremare.

19 - Inoltre aggiunge che tutte le sue ossa si conturbarono, vale a dire si commossero e distaccarono dalle loro giunture: e con ciò a punto vuol esprimere il gran dislogamento di ossa che si patisce in questo tempo, come abbiamo accennato più sopra. Il che anche Daniele, molto bene espresse, quando vide l'angelo, dicendo: «Domine mi, in visione tua dissolutae sunt compages meae» (Dn 10 ,16 ): O Signore, nella tua visione le giunture delle mie ossa si sono disunite. Prosegue il testo surriferito: «E mentre lo spirito passava in mia presenza», cioè facendo passare il mio spirito dai suoi limiti e vie naturali, per il detto rapimento «si raggrinzò la pelle della mia carne»; e qui s'intende quello che abbiamo detto del corpo, che in questo rapimento rimane gelato e con le membra irrigidite come un morto.

20 - Dice quindi: «Mi apparve uno il cui volto non conoscevo, un'immagine avanti agli occhi miei». Colui che gli si presentò era Dio, che si comunicava in quella maniera. E aggiunge che non conosceva il suo volto, per significare che in una tale comunicazione o visione quantunque sia altissima, non si conosce e non si vede la faccia e l 'essenza di Dio. Afferma però che era un'immagine davanti ai suoi occhi; perché quella intelligenza di parola segreta era molto sublime, come un'immagine del volto di Dio, senza peraltro intendere che ciò sia vedere essenzialmente Dio.

21 - Subito poi conclude dicendo: «E udii una voce di aura delicata»; e in ciò s'intende il sibilo dell'aure amorose, che l'anima qui dice essere il suo Diletto. Tuttavia non si deve credere che le visite dell'Amato vadano sempre accompagnate da timori e detrimenti naturali, poiché ciò avviene solamente in coloro che cominciano ad entrare nello stato d'illuminazione e di perfezione ed in tal genere di comunicazioni, mentre in altri le visite accadono in grande soavità. Passiamo ora alla dichiarazione dell'altra strofa.

La riposata e quetaNotte.

22 - In questo sonno spirituale che l'anima gode nel seno del suo Amato, possiede e gusta tutto il riposo, la quiete e tranquillità di una notte pacifica, ed insieme riceve in Dio un oscuro abisso d'intelligenza divina; e quindi dice che il suo Diletto è per lei la riposata e quieta notte.

Sul primo biancheggiar dell'alba.

23 - Questa notte tranquilla, però, non è oscura, ma è come la notte giunta ormai al primo albeggiare, perché questa tranquillità e quiete in Dio non è per l 'anima del tutto oscura come le tenebre della notte, ma è un dolce riposo nel lume divino, in una cognizione nuova di Dio, in cui lo spirito è soavissimamente quieto, ed elevato alla luce superna. Molto bene poi e con proprietà l 'anima chiama questa divina luce biancheggiar dell'alba; perché come i primi chiarori del mattino scacciano le tenebre della notte discoprendo la luce del giorno, così lo spirito, riposato e quieto in Dio, è sollevato dalle tenebre del conoscimento naturale alla luce mattutina della cognizione soprannaturale di Dio, non chiara, ma semioscura come notte allo spuntar del mattino. E come la notte sul far dell'alba non è né affatto notte né del tutto giorno, ma è qualcosa di mezzo che chiamasi crepuscolo, così quella solitudine e quiete divina, né con tutta chiarezza è irradiata dalla luce di Dio, né lascia di partecipare alquanto di essa.

24 - In questo riposo, l'intelletto si vede elevato con strana novità alla divina luce, al disopra di ogni naturale intendimento: proprio come colui che dopo un lungo sonno apre gli occhi ad una luce inaspettata. Credo bene che Davide abbia voluto alludere a tale conoscimento quando disse: «Vigilavi et factus sum sicut passer solitarius in tecto» (Sa l

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101 , 8 ): Mi svegliai, e divenni simile al passero solitario sul tetto. Come se dicesse: Aprii gli occhi del mio intelletto, e mi trovai posto sopra tutte le idee naturali; solitario, cioè senza di esse; sul tetto, ossia sopra tutte le cose di quaggiù. E dice che divenne simile al passero solitario, perché nel grado di contemplazione di cui parliamo lo spirito ha le proprietà di questo uccello, le quali sono cinque. La prima è che il passero solitario ordinariamente si mette nei punti più alti: similmente lo spirito in questo grado s'innalza ad un’altissima contemplazione. La seconda, che sempre tiene il becco volto verso la parte donde spira il vento: così qui l 'anima volge il becco dell'affetto là da dove le viene lo spirito di amore, che è Dio. La terza è che d'ordinario sta solo e non soffre che un altro uccello gli si accosti, tanto che se un altro gli si posa vicino, subito se ne va: alla stessa guisa lo spirito in questa contemplazione vive nella solitudine di tutte le cose, spogliato di esse, né ammette in sé altra cosa che solitudine in Dio. La quarta proprietà del passero solitario è che canta assai dolcemente: non altrimenti l'anima canta a Dio in questo tempo, perché le lodi che indirizza a Lui sono piene di soavissimo amore, gustosissime per lei e gratissime a Dio. La quinta è che il passero non ha alcun determinato colore: così pure lo spirito perfetto, in questo rapimento, non solamente non ha alcun colore di affetto sensibile e di amor proprio, ma neanche alcuna considerazione particolare circa le cose superiori e inferiori, né potrà esprimere alcunché di ciò, che passa in lui, perché quello che possiede è un abisso di notizia di Dio.

La melodia segreta.

25 - In quel riposo e silenzio della notte suddetta e in quella notizia della luce divina, l 'anima riesce a vedere un'ammirabile convenienza e disposizione della sapienza di Dio nella varietà di tutte le creature ed opere sue; perché esse, non solo nel loro insieme, ma anche in particolare hanno una tale corrispondenza con Dio, che ciascuna in sua favella mostra ciò che in essa è Dio; di modo che all’anima sembra di sentire un'armonia di musica sublime che sorpassa tutte le danze e le melodie del mondo. Chiama segreta questa melodia perché è un'intelligenza pacifica e quieta senza alcun rumore di voci; in essa, quindi, gode la soavità della musica e la quiete del silenzio. Perciò dice che il suo Diletto è quest'armonia di musica spirituale; e non solo questo, ma che Egli è anche

Solitudin, sonora.

26 - Il che è quasi lo stesso che l'armonia segreta; perché, quantunque quella musica sia segreta rispetto ai sensi e alle potenze naturali, è una solitudine molto sonora per le potenze spirituali; le quali, essendo sole e vuote di tutte le forme e apprensioni naturali, possono ben ricevere nello spirito in modo molto sonoro, il suono spirituale dell'eccellenza di Dio in se stesso e nelle sue creature, secondo quello che S. Giovanni udì in spirito nell'Apocalisse, come più sopra si è detto, cioè una voce di molti citaredi che suonavano le loro cetre. Ciò avvenne in spirito; non fu un suono di cetre materiali, ma un certo conoscimento delle lodi che i beati, ciascuno secondo il suo grado di gloria, innalzano a Dio incessantemente. Questo coro di lodi è simile ad una musica; perché, come ciascuno possiede doni differenti dagli altri, così ciascuno canta la sua lode in modo diverso, e tutte le lodi si fondono in un mirabile accordo di amore, come di musica armoniosa.

27 - Allo stesso modo, in quella sapienza che riposa in tutte le creature, sì superiori che inferiori, l'anima vede chiaramente che ciascuna di esse emette una voce di testimonianza di quel che Dio è, secondo la misura di ciò che ha ricevuto da Lui. Vede che ciascuna alla sua maniera esalta Dio, avendolo in sé secondo la propria capacità; e quindi tutte queste voci formano una voce di musica intorno alla divina grandezza e sapienza e scienza ammirabile. E questo precisamente è ciò che lo Spirito Santo volle significare nel libro della Sapienza, quando disse: «Spiritus Domini replevit orbem terrarum: et hoc quod continet omnia scientiam habet vocis» (Sap 1 ,7 ): Lo Spirito del Signore ha riempito l'orbe della terra, e questo mondo che contiene tutte le cose fatte da Lui ha scienza di voce; la quale è la solitudine sonora che l'anima qui conosce, cioè la testimonianza che le cose tutte danno di Dio in se stesse. In quanto poi l 'anima non riceve questa musica silenziosa fuorché nella solitudine e alienazione da tutte le cose

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esteriori, essa la chiama melodia segreta e solitudine sonora, e dice che il Diletto è queste cose. Anzi aggiunge che è:

La cena che conforta ed innamora.

28 - La cena apporta agli amanti ricreazione, sazietà e amore; e poiché il Diletto produce queste tre cose nell'anima in questa soave comunicazione, essa lo chiama la cena che conforta ed innamora. È da, sapersi che nella Sacra Scrittura col nome di cena s'intende la visione divina; poiché, come la cena è il termine del lavoro giornaliero e il principio del riposo notturno, così la tranquilla notizia di cui abbiamo parlato, fa sentire all'anima la certa fine dei mali ed il possesso dei beni, onde ella diventa innamorata di Dio più di quel che prima non fosse, e perciò Egli è la cena che la conforta, essendole il termine dei mali, e l 'innamora, essendole il possesso di tutti i beni.

29 - Ma affinché meglio s'intenda come sia questa cena per l 'anima, la qual cena non è altro che il suo Diletto, conviene qui notare ciò che lo stesso amato Sposo dice nell'Apocalisse, cioè: Io sto alla porta e chiamo; se alcuno mi aprirà, entrerò e cenerò con lui, ed egli con me (Ap 3 ,2 0 ) . Nel che fa intendere che Egli porta la cena, con sé, la quale non è altra cosa se non il suo medesimo sapore e i diletti di cui Egli stesso gode; ed Egli, unendosi all'anima, glieli comunica, ed anch'essa ne gode; ché ciò appunto vogliono significare quelle parole: Io cenerò con lui, ed egli con me. In questo detto, quindi, ci fa conoscere l'effetto della divina unione dell'anima con Dio, nella quale unione i medesimi beni propri di Dio diventano comuni anche all'anima Sposa, essendole comunicati da Lui graziosamente e largamente. Egli stesso è per lei la cena che ricrea ed innamora; perché come liberale la ricrea, e come grazioso l'innamora.

30 - Prima d'introdurci nella dichiarazione delle altre strofe, bisogna avvertire che, quantunque abbiamo detto che in questo stato di fidanzamento l 'anima gode di piena tranquillità, e riceve tutto il resto che le si può comunicare nella presente vita, tuttavia si deve intendere che questa tranquillità occupa soltanto la parte .superiore; poiché la parte sensitiva, fino allo stato di matrimonio spirituale, non finisce mai di liberarsi dai suoi difetti, né lascia domare interamente le sue forze, come in seguito diremo. Quello dunque che ora si comunica all'anima è il più che si possa concederle in ragione di fidanzamento; mentre nel matrimonio spirituale vi sono maggiori vantaggi. Quantunque nel fidanzamento l'anima nelle visite del Diletto goda tanto bene quanto ne abbiamo detto, nondimeno patisce alcune volte la lontananza dello Sposo, e turbamenti e molestie della parte inferiore e del demonio: cose tutte che, invece, cessano nello stato di matrimonio spirituale.

ANNOTAZIOIN E SOPRA LA STROFA SEGUENTE (16)

1 - Poiché la Sposa possiede nell'anima le virtù giunte ormai al grado di loro perfezione, in cui ella gode continua pace nelle visite del Diletto, alcune volte gusta in modo molto sublime la soavità e la fragranza delle virtù stesse per il tocco che il Diletto vi fa: alla stessa guisa che si giusta la bellezza e il profumo dei gigli o di altri fiori, quando sono sbocciati e si toccano. In molte di queste visite l'anima vede nel suo spirito, mediante la luce che Dio sparge in lei, tutte le sue virtù che Egli le ha conferite; ed essa allora con ammirabile piacere e dolcezza di amore le unisce tutte e le offre al Diletto, come un mazzo di bei fiori, ed Egli ricevendole (e le riceve davvero) le gradisce immensamente. Tutto ciò avviene nell'interno dell'anima, ove ella sente che l'Amato giace come nel proprio letto, perché l'anima offre se stessa insieme con le sue virtù. Questo è il più grande ossequio che ella possa prestargli, ma pure uno dei maggiori diletti che nel tratto interiore con Dio, possa provare, è offrire un dono di tal genere al suo Amato.

2 - Frattanto però il demonio, che per sua grande malizia ha invidia di tutto il bene che scorge nell'anima, conoscendo la prospera condizione di essa, usa di tutta la sua abilità ed esercita tutte le sue arti, per disturbare nell'anima la benché minima parte di quel bene. Stima di più privare quest'anima di una dramma della sua ricchezza e glorioso diletto, che

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farne cadere altre in molti e gravi peccati; perché le altre hanno poco o niente da perdere, mentre questa ne ha molto, avendo fatto un grande ed assai prezioso acquisto: non altrimenti che perdere un po' di oro purissimo è maggior danno che perdere gran quantità di altri vili metalli. Il demonio qui si giova degli appetiti sensitivi, quantunque con essi in un tale stato il più delle volte possa molto poco o nulla, essendo essi già mortificati ; e se con ciò non riesce, rappresenta all ' immaginazione non poche vanità. Ma alle volte suscita nella parte sensitiva molti movimenti, come poi si dirà, e cagiona altre molestie sì spirituali che sensitive, da cui l 'anima non ha la possibilità di liberarsi fino a che il Signore «non invii il suo angelo - come è detto nel Salmo - presso coloro che lo temono, e li liberi» ( S a l 3 3 , 8 ): il quale angelo stabilisce la pace e la tranquillità, sì nella parte sensitiva che nella spirituale dell 'anima. Costei, dunque, per accennare a tutto ciò e domandare un tal favore, timorosa per I ' esperienza che ha delle astuzie usate dal demonio per danneggiarla in questo tempo, parla con gli angeli, il cui officio è di proteggere in simili circostanze mettendo in fuga i demoni, e canta la seguente

STROFA 16

Prendiam le volpicelle,Poiché la nostra vigna ormai fiorìo.Mentre di fresche e belleRose intrecciam la pina,Non vada errando alcun sulla collina.

DICHIARAZ1ONE

3 - L'anima, desiderando che il continuare dell'interiore godimento di amore, che è il fiore della sua vigna, non le venga interrotto né dagli invidiosi e maliziosi demoni, né dai furiosi appetiti della sensualità, né dai vari andirivieni dell' immaginazione, né da qualsiasi altra notizia e presenza di cose, invoca gli angeli, pregandoli di cacciare e tenere a bada tutte queste cose, in modo che esse non le impediscano l'esercizio di amore interiore, nel cui saporoso diletto si stanno comunicando e godendo le virtù e le grazie tra l 'anima e il Figlio di Dio. Dice quindi:

Prendiam le volpicelle,Poiché la nostra, vigna ormai fiorìo.

4 - La vigna di cui fa menzione è il vivaio di quest'anima santa, nel quale sono piantate tutte le virtù, da cui essa ricava un vino di dolce sapore. Questa vigna dell'anima è fiorita quando ella è unita con lo Sposo secondo la volontà, e va dilettandosi nel medesimo per tutte le virtù congiunte insieme. Ma, a volte, sogliono presentarsi alla memoria e alla fantasia molte e varie forme d'immaginazioni, e nella parte sensitiva si eccitano molti e vari movimenti e appetiti. Questi sono di tante sorta e maniere che Davide, mentre con gran sete di Dio beveva il vino squisito dello spirito, sentendo l'impedimento e la molestia che gli davano, disse: L’anima mia ebbe sete di te: in quanti modi ha sete di te la carne mia (S al 62 ,2 ) .

5 - L'anima chiama tutta questa turba di appetiti e movimenti sensitivi col nome di volpicelle, a motivo della grande somiglianza che hanno con esse in questo tempo. Poiché, come le volpicelle, andando a caccia, si fingono addormentate per meglio far preda, così tutti gli appetiti e le forze sensitive stavano quiete prima che i fiori delle virtù spuntassero nell'anima e si aprissero mettendosi in esercizio. Ma, avvenuto ciò, ora sembra che anche i fiori degli appetiti e delle forze del senso si destino e si sollevino nella parte sensibile, per contraddire allo spirito e regnare. A tal segno, a detta di San Paolo (Gal 5 , 17 ), giunge la cupidigia della carne contro lo spirito che, essendo grande la sua inclinazione alle cose sensibili, mentre lo spirito sta godendo, essa si rende insipida e si disgusta. Dunque, poiché gli appetiti danno grande molestia al dolce spirito, l 'anima dice:

Prendiam le volpicelle.

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6 - Al presente, però, anche i maliziosi demoni da parte loro molestano l'anima in due maniere. Primieramente eccitano gli appetiti a sollevarsi con veemenza, e per mezzo di essi e di altre immaginazioni fanno guerra al pacifico e florido regno. dell'anima, Quando poi niente possono in questa prima maniera, ricorrono alla seconda che, è peggiore ancora, vessando l'anima con tormenti e rumori sensibili a fine di distrarla . Ma il male maggiore è che la combattono con timori ed orrori spirituali, che a volte cagionano pene terribili; il che in questo tempo, se loro vien permesso, sanno fare assai bene: poiché, mentre l'anima si mette in grande nudità di spirito per mezzo del suo esercizio spirituale, il demonio può con facilità farsi presente a lei, essendo spirito anch'esso. Altre volte il demonio assale l 'anima con terrori prima che essa cominci a gustare i dolci fiori di cui sopra, quando cioè Dio principia a trarla un po' fuori dalla casa dei suoi sensi, affinché entri con il detto esercizio interiore nell'orto dello Sposo. Il demonio ben sa che, una volta introdotta l 'anima in quel raccoglimento resta così riparata e difesa che, per quanto egli s'adopri, non potrà farle alcun danno. Spesso avviene che, quando il demonio esce ad impedirle il passo, l’anima suole con gran prestezza raccogliersi nel profondo nascondiglio del suo interiore, dove trova gran diletto e protezione; e allora patisce quei terrori così esteriormente e alla lontana che, non solo non le incutono spavento, ma le cagionano gaudio e allegrezza.

7 - Di tali terrori fece menzione la Sposa nel Cantici, dicendo: L'anima mia si conturbò a cagione dei cocchi di Aminadab (C t 6 ,11 ): intendendo qui per Aminadab il demonio, e chiamando carri i suoi assalti ed attacchi, per la gran violenza, confusione e rumore che con essi produce. Di più, quel che l'anima qui dice: Prendiam le volpicelle, anche la Sposa nei Cantici lo dice allo stesso proposito, con queste parole: Prendeteci le piccole volpi che devastano le vigne, perché la nostra vigna ha fiorito (C t 2 ,15 ). E non dice: Prendetemi, ma prendeteci, perché parla di sé e dell'Amato, essendo uniti e godendo insieme il fiore della vigna. La causa per cui dice che la vigna ha messo fiori e non frutti, è perché in questa vita, quand'anche le virtù si godano nell'anima con quella perfezione di cui parliamo, nondimeno è come un goderle in fiore: solo in cielo si gusteranno in frutto. Subito prosegue:

Mentre di fresche e belleRose intrecciam la pina.

8 - Poiché in questo tempo l'anima gode il fiore della vigna e si diletta nel seno del suo amato, accade che le sue virtù le si mettono tutte in evidenza, facendole bella mostra di sé e apportandole grande soavità e piacere. L'anima le sente stare in se stessa e in Dio, di maniera che le sembrano una vigna molto fiorita e gradevole, tanto sua quanto di Lui, nella quale ambedue si pascono e dilettano. Allora l'anima unisce tutte queste virtù, facendo atti molto squisiti di amore in ciascuna dì esse e in tutte insieme, e così finite le offre all'Amato con grande soavità e tenerezza di affetto, aiutata in ciò dall'Amato stesso; poiché, senza il di Lui favore e soccorso, ella non potrebbe fare questa unione e offerta di virtù al suo Diletto; e perciò dice:

Intrecciam la pina,

vale a dire, il Diletto ed io.

9 - Chiama pina quest'unione di virtù, perché come la pina è un frutto duro che in sé contiene e stringe tenacemente molte parti, dure anch’esse, cioè i pinoli; così questa pina di virtù che l'anima forma per il suo Amato, è un solo complesso della di lei perfezione, il quale fortemente e ordinatamente abbraccia e contiene in sé molte perfezioni e virtù assai robuste e doni ricchissimi; perché tutte le virtù e perfezioni sono ordinate tra loro e costituiscono una sola e solida perfezione dell'anima. Questa perfezione, sia mentre si va formando con l'esercizio delle virtù, sia dopo formata, viene offerta da parte dell'anima al Diletto con quello spirito di amore di cui stiamo parlando. È necessario, quindi, che si prendano le dette volpicelle, affinché non impediscano la comunicazione interiore dei due amanti. E non solo questo la Sposa domanda nella presente strofa per far bene la sua pina o mazzo di fiori, ma anche ciò che ella esprime nel verso seguente:

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Non vada errando alcun sulla collina.

10 - Per questo divino esercizio interiore, è pure necessaria la solitudine e la lontananza da tutte le cose che all'anima si potrebbero offrire, ora dal canto della parte inferiore, che è la sensitiva, ora dal canto della parte superiore, che è la razionale: le quale due parti sono quelle in cui è riposta tutta l 'armonia delle potenze e dei sensi dell'uomo. L'anima chiama qui collina quest'armonia: poiché dimorando e stabilendosi in essa tutte le notizie e gli appetiti naturali, come la cacciagione sul monte, in essa il demonio suole dar caccia e far preda degli appetiti e delle notizie, a danno dell'anima. Dice che in questa collina non compaia alcuno, ossia che nessuna rappresentazione e figura di oggetti appartenenti a qualsivoglia delle potenze o sensi suddetti compaia dinanzi all'anima e allo Sposo. Quindi è come se dicesse: In tutte le potenze spirituali dell'anima che sono la memoria, l 'intelletto e la volontà, non vi siano notizie e affetti particolari, né altra avvertenza di qualsiasi genere. Come pure in tutte le potenze e sensi corporei, sia interni cioè l'immaginazione e la fantasia, sia esterni cioè la vista, l 'udito ecc., non vi siano divagazioni, forme, immagini e figure, né rappresentazioni di oggetti all'anima, né altre operazioni naturali.

11 - Tutto ciò l'anima qui dice, in quanto che per godere perfettamente della comunicazione con Dio, conviene che tutte le potenze e i sensi, sì interiori che esteriori, siano disoccupati, oziosi e vuoti delle loro operazioni e oggetti, perché quanto più da parte loro si mettono in esercizio, tanto più disturbano. Arrivando l'anima a qualche maniera d'interna unione di amore, le potenze spirituali in ciò non concorrono con l'opera loro, e molto meno le corporali: essendo che già è fatta e operata l 'unione amorosa, e l’anima è attuata in amore. Quindi le potenze cessano di operare, perché quando si giunge al fine, cessano tutte le operazioni dei mezzi. Pertanto, ciò che l'anima fa in questo stato consiste in un'avvertenza amorosa in Dio, il che è amare in continuazione di amore unitivo. Nessuno, dunque, osi comparire sulla collina, ma si trovi la volontà sola ad assistere l'Amato, con l'offerta di sé e di tutte le virtù nel modo suddetto.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1- Per maggiore chiarimento della strofa che segue, conviene avvertire che le assenze del Diletto, che l'anima patisce nello stato di fidanzamento spirituale, sono molto afflittive: anzi alcune sono tali che non v'è pena che possa reggere al confronto. La causa di questo, è perché l'amore che l'anima porta a Dio è grande e forte, e quindi la tormenta non poco nell'assenza dello Sposo. A questa pena si aggiunge la molestia assai grave che in questo tempo riceve in qualsivoglia maniera di tratto o comunicazione con le creature. Stando essa con quella gran forza di desiderio immenso dell'unione con Dio, qualunque cosa che da questa la trattenga le riesce assai grave e molesta; come alla pietra sarebbe violenta qualsiasi cosa che 1’urtasse o trattenesse nello spazio, mentre con grande impeto e velocità va avvicinandosi al suo centro. Inoltre, avendo l'anima già assaporato le dolci visite dell'Amato, le desidera più dell'oro e di ogni bellezza; e quindi, temendo molto di andar priva, anche per un sol momento, di così preziosa presenza, parla con l'aridità e con lo spirito del suo Sposo, dicendo la strofa seguente.

STROFA 17

T’arresta, o borea morto,Vieni, Austro, che i casti amori svegli,Soffia pel mio bell'orto;Ne spirino gli odori,Ed il mio Ben si pascerà tra i fiori.

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DICHIARAZIONE

2 - Oltre il già detto della strofa precedente, anche l’aridità di spirito è causa che impedisce all'anima succo. di soavità interiore di cui sopra ha parlato; ciò temendo, ella in questa strofa fa due cose. La prima è tenere lontana l'aridità, chiudendole la porta per mezzo della continua orazione e devozione. La seconda è invocare lo Spirito Santo, perché scacci l'aridità dall'anima, mantenga e aumenti in lei l 'amore dello Sposo, e la ponga in esercizio interiore di virtù: e tutto questo, affinché il Figlio di Dio suo Sposo, si rallegri e compiaccia sempre più in lei, poiché tutta la sua ambizione è di contentare il suo Diletto.

T’arresta, o borea morto.

3 - Il borea è un vento asciutto e freddo che secca e appassisce i fiori e le piante, o per lo meno li fa contrarre e chiudere quando li colpisce. L'aridità spirituale o l'assenza affettiva dell'Amato fa il medesimo effetto nell'anima che la patisce, disperdendole il succo, il sapore e la fragranza delle virtù che gustava, e perciò è qui chiamata borea morto, perché tiene mortificate tutte le virtù e l 'esercizio affettivo che l'anima aveva, e quindi ella dice: T'arresta, o borea. Nel qual detto dell'anima si deve intendere che è fatto e opera dell'orazione, degli esercizi spirituali tenere lontana l'aridità. Ma le cose che Dio comunica all'anima in questo stato sono tanto intime che ella non può da sé metterle in esercizio e gustarle con nessun'opera delle sue potenze, ma bisogna che lo Spirito dello Sposo operi in lei tale mozione di amore; e quindi subito essa l'invoca, dicendo:

Vieni, Austro, che i casti amori svegli.

4 - L'austro è un altro vento che volgarmente si chiama libeccio; esso è piacevole, causa piogge, fa germinare l’erbe e le piante, e fa sbocciare i fiori spandendone gli odori: produce, insomma, effetti e contrari a quelli del borea. Perciò con questo vento l'anima intende lo Spirito Santo, di cui dice che sveglia i casti amori; perché quando quest'aura divina investe l 'anima, l 'infiamma tutta, l 'accarezza e la ravviva, ne sveglia la volontà, ed eccita gli appetiti, che prima erano affievoliti ed addormentati rispetto all'amore di Dio: e tutto ciò in modo tale che ben si può dire che sveglia, gli amori tra l 'anima e il Diletto. Quello poi che chiede allo Spirito Santo, l'anima lo esprime nel seguente verso:

Soffia pel mio bell'orto.

5 - L'orto è l 'anima stessa. Come più sopra è chiamata vigna fiorita, perché il fiore delle virtù che vi si trovano produce un vino di dolce sapore, così qui si chiama orto, perché in lei sono piantati e nascono e crescono i fiori di perfezioni e di virtù di cui abbiamo parlato. È da notarsi che la Sposa non dice: Soffia nel mio orto, ma: Soffia per il mio orto; perché grande è la differenza che passa tra lo spirare di Dio nell'anima e spirare per l 'anima. Spirare nell'anima è infondere in essa la grazia, i doni e le virtù; spirare per l'anima esprime il tocco e la mozione di Dio nelle virtù e perfezioni già conferite, rinnovandole e muovendole in modo che diano di sé una straordinaria fragranza e soavità all'anima stessa; come appunto avviene delle spezie aromatiche che, quando sono scosse, effondono l'abbondanza del loro profumo, il quale prima non era tale e non si sentiva in così alto grado. Non sempre l'anima sente e gusta attualmente le virtù che ha in sé, acquisite o infuse, perché in questa vita esse stanno all'anima come fiori in boccia, o come erbe aromatiche coperte, il cui odore non si sente finché non vengano scoperte e smosse.

6 - Alcune volte però Dio fa tali grazie alla sua Sposa che, spirando col suo spirito divino per l'orto fiorito di essa, apre tutti i boccioli di virtù e scopre gli aromi di doni e perfezioni e ricchezze dell'anima, e manifestandone i velati tesori, ne dispiega tutta la bellezza. E allora. in modo veramente ammirabile, si rivela all'anima la ricchezza dei suoi doni e la bellezza dei fiori delle sue virtù; i quali, essendo ormai tutti sbocciati, spandono in essa un soavissimo odore, a seconda delle proprietà di ciascuno. E questo è lo spirare degli odori dell'orto, di che l'anima fa menzione nel verso seguente:

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Ne spirino gli odori.

7 - E a volte è tanta l'abbondanza di questi odori, che sembra all'anima di essere vestita di gaudi e immersa in gloria inestimabile; il che non solo è sentito da lei interiormente, ma anche suole ridondare al di fuori, tanto che quei che sanno avvertirlo, ben lo conoscono, e ad essi pare che quell'anima sia come un delizioso giardino pieno di diletti e di ricchezze divine. E non solo quando questi fiori sono aperti si riesce a veder ciò in tali anime sante, ma ordinariamente in esse traspare un non so che di grandezza e dignità, che incute negli altri una certa venerazione e rispetto, a motivo dell'effetto soprannaturale che in esse si diffonde dalla prossima e familiare comunicazione con Dio. Così nell’ Esodo si narra di Mosè (E s 34 ,30 ) , il cui volto gl'Israeliti non potevano mirare a cagione dei segni di onore e di gloria, che aveva riportato dall'aver trattato faccia a faccia col Signore.

8 - In questo spirare dello Spirito Santo per l 'anima (ed è Lui, infatti, che la visita), lo Sposo Figlio di Do le si comunica in amore, e per questo invia, come agli Apostoli, il suo Spirito che è il suo foriero [che p reco r r e ], affinché gli prepari l 'alloggio nell'anima Sposa, sublimandola in delizie, disponendone l'orto a suo piacimento, facendone sbocciare i fiori e apparire i doni, arredandola con gli arazzi delle grazie e ricchezze divine. Quindi è che l'anima Sposa brama con immenso desiderio che se ne vada il borea, e che venga l'Austro e spiri per l 'orto, perché allora essa guadagna molte cose insieme. Guadagna, infatti, il godimento delle virtù, poste in punto di saporoso esercizio; di più, ella in esse si merita il godimento dell'Amato, perché per loro mezzo Egli le si comunica con amore più stretto, facendole grazie più singolari di prima; ottiene che l'Amato molto più si compiaccia in lei per l'esercizio attuale delle virtù: e di certo la cosa di cui essa gode maggiormente è dar piacere al suo Diletto. Guadagna, infine, la continuazione e la permanenza di tal gusto e soavità delle virtù, il che dura nell'anima tutto il tempo che lo Sposo vi è presente nel modo anzidetto, mentre la Sposa gli porge soavità con le sue virtù, secondo che nei Cantici essa dice con queste parole: Mentre il Re giaceva nel suo letto (ossia nell'anima) il mio arboscello fiorito sparse odore di soavità ( C t 1 ,11 ): intendendo qui per arboscello odoroso l'anima stessa che, con i fiori di virtù di cui è adorna, spira odori di soavità al Diletto che dimora in lei in siffatta unione.

9 - È molto da desiderarsi, dunque, quest'aura dello Spirito Santo, e che ogni anima chieda che Egli spiri per il suo orto, affinché vi scorrano i divini aromi. Essendo ciò tanto necessario e di tanta gloria e bene per l 'anima, la Sposa dei Cantici lo desiderò e chiese con gli stessi termini della presente strofa, dicendo: Levati di qui, o aquilone, e vieni tu, Austro, e spira per il mio giardino, e così scorreranno i suoi profumi e preziosi aromi (Ct 4 ,16) . L'anima desidera tutto questo, non per il piacere e la gloria che a lei ne seguono, ma perché sa che ciò è gradito al suo Sposo, ed è preannunzio e disposizione a che il Figlio di Dio venga a dilettarsi in lei; e perciò subito dice:

Ed il mio Ben si pascerà tra i fiori.

10 - Il piacere che, il Figlio di Dio prova nell'anima in questo tempo, è espresso da lei col nome di pascolo, e con molta proprietà di termini, poiché il pascolo o cibo è una cosa che non solo dà gusto ma anche sostentamento. E difatti il Figlio di Dio, non solo si compiace nei diletti dell'anima, ma anche si sostenta in lei, cioè vi continua la sua dimora, come in luogo dove, grandemente si ricrea, perché pure il luogo si ricrea davvero in Lui. Credo che ciò sia quel che Egli stesso volle dire per bocca di Salomone nei Proverbi, con queste parole: Le mie delizie sono con i figli degli uomini (P ro 8 ,31 )); quando, s'intende, le loro delizie sono lo stare con me che sono il Figlio di Dio. Ora conviene qui avvertire che l'anima non dice che l'Amato si pascerà dei fiori, ma tra i fiori: perché la comunicazione dello Sposo, essendo nell'anima mediante il suddetto corredo di virtù, ne segue che la cosa di cui Egli si pasce è l'anima stessa, trasformandola in sé, essendo già ella preparata e condita e approntata con i detti fiori di virtù, doni e perfezioni, che sono, per così dire, la salsa con cui e tra cui lo Sposo si pasce di lei. I quali fiori, per mezzo del suaccennato foriero (lo Spirito Santo), vanno offrendo al Figlio di Dio sapore e soavità

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nell'anima, in modo che si pasca sempre più nell'amore di lei; perché è proprio dello Sposo unirsi con l'anima tra la fragranza di quei fiori. Di questa proprietà parla molto bene la Sposa dei Cantici, come colei che ben la conosceva, dicendo: Il mio Diletto discese nel suo orto all'aiola e all'effluvio degli aromi, per pascersi nell'orto e cogliere gigli (C t 6 ,1 ). E soggiunse: Io sono per il mio Diletto, e il mio Diletto è per me, il quale si pasce tra i gigli (C t 6 ,2 ): cioè si pasce e si diletta nell'anima mia che è il suo giardino, tra i gigli delle mie virtù, perfezioni e grazie.

ANNOTZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - In questo stato di fidanzamento spirituale, l'anima pur, vedendo chiaramente le sue eccellenti doti e le grandi ricchezze di cui è fornita, conosce nondimeno che a motivo della sua dimora nella carne non le possiede e gode come vorrebbe, e perciò bene spesso ne soffre molto, specialmente quando tale cognizione le si ravviva di più. Ben vede che ella si trova nel corpo come un gran signore in una carcere, soggetto a mille miserie; il quale, dopo essere stato spogliato del suo regno e di tutte le sue ricchezze, non altro riceve delle sue rendite che un cibo molto scarso. È facile immaginare quanto costui debba patire in simili condizioni, tanto più se si aggiunga che anche i suoi stessi servi e schiavi gli sono ben poco soggetti, anzi assai di frequente senza alcun rispetto insorgono contro di lui, sino a volergli levare i1 boccone dal piatto. Tale è la condizione dell'anima nel corpo, poiché quando Dio le fa grazia di darle ad assaggiare qualche boccone dei beni e delle ricchezze che tiene apparecchiate per lei, subito nella parte sensitiva si solleva ora qualche cattivo servo di appetito, ora uno schiavo di moto disordinato, ora altre ribellioni di essa parte inferiore, per impedirle quel bene.

2 - In tale stato l'anima sente di essere come in paese nemico, tiranneggiata dagli stranieri e quasi morta tra i morti, sperimentando bene ciò che il Profeta Baruch fa intendere, quando mette in rilievo questa miseria a proposito della schiavitù di Giacobbe, dicendo: Qual è il motivo, o Israele, per cui tu debba stare in terra nemica? T'invecchiasti in paese straniero, ti sei contaminato tra i morti, e ti hanno stimato simile a coloro che discendono all'inferno (B a r 3 ,10 -11) . E Geremia, comprendendo il misero trattamento che l'anima patisce per la servitù del corpo, parla con Israele, secondo il senso spirituale, e dice: Forsecché Israele è un servo o uno schiavo? Perché mai è divenuto preda dei suoi nemici? I leoni ruggirono contro di lui, ecc. (Ge r 2 ,1 4- 15 ): intendendo qui per leoni gli accennati appetiti e ribellioni del re tiranno della sensualità. L'anima, quindi, per mostrare il disturbo che ne riceve, e quanto desideri che un tal regno con tutti i suoi eserciti di molestie sia distrutto una buona volta, o le si assoggetti interamente, alza lo sguardo allo Sposo, come a quegli che ha da fare tutto ciò, e apostrofando i movimenti e le ribellioni del senso, canta la seguente

STROFA 18

O ninfe di Giudea,Mentre tra i pinti fiori e bei rosetiL'ambra olezza e ricrea,Dai borghi una non esca,Né fuor di queste soglie star v’incresca.

3 - In questa strofa, la Sposa è quella che parla. Vedendosi posta dal suo Amato tra così ricchi e preziosi doni e diletti secondo la parte spirituale, desidera conservarsi nel loro sicuro e continuo possesso, che lo Sposo le ha concesso nelle due strofe precedenti. Sapendo però che la parte inferiore, cioè la sensitiva, le potrebbe impedire, e di fatto impedisce e perturba un così gran bene, domanda alle operazioni e ai movimenti di essa che se ne stiano calmi nelle loro potenze e sensi, e non escano dai limiti della loro regione sensitiva a molestare e inquietare la parte superiore e spirituale dell'anima in modo che neppure per il più piccolo movimento le sia impedito il bene e la dolcezza di

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cui gode. Poiché i moti della parte sensitiva e le sue potenze, se operano mentre lo spirito gode, tanto più molestano e inquietano l'anima quanto più hanno di vivezza e attività. L'anima, dunque, dice così:

O ninfe di Giudea.

4 - Chiama Giudea la parte inferiore, cioè la sensitiva, perché questa è fiacca, carnale e per se stessa cieca come la gente giudaica. Dà poi il nome di ninfe a tutte le immaginazioni e fantasie, ai movimenti e alle affezioni di essa parte inferiore, perché come le ninfe con l'affetto e le grazie loro attraggono a sé gli amanti, così le operazioni e i movimenti della parte sensitiva con le loro piacevoli e importune lusinghe procurano di tirare a sé la volontà della parte razionale, per cavarla dalle cose interiori, e indurla a volere quelle esteriori che essi vogliono e appetiscono. Similmente muovono l'intelletto, incitandolo a che si associ ad essi nel loro basso modo di sentire: si adoprano, insomma, di conformare ed unire la parte razionale alla sensitiva. Dunque il verso significa: O voi, sensibili operazioni e movimenti.

Mentre tra i pinti fiori e bei roseti.

1 - I fiori sono le virtù dell'anima, e i roseti, sono le sue potenze: memoria, intelletto e volontà; le quali racchiudono in sé e creano fiori di concetti divini, atti di amore e le dette virtù. Mentre, dunque, in queste virtù e potenze dell'anima mia ecc.

L’ambra olezza e ricrea.

6 - Per ambra qui intende il Divino Spirito dello Sposo, che dimora nell'anima. L'olezzare di quest'ambra divina nei fiori e nei roseti, è il suo spargersi e comunicarsi in modo dolcissimo nelle potenze e virtù dell'anima, diffondendo per esse dentro di lei il profumo della divina soavità. Mentre, dunque, questo Divino Spirito sta comunicando spirituale profumo all'anima mia

Dai borghi una non esca.

7 - Dai borghi della Giudea, ossia della parte inferiore o sensitiva dell'anima. Questi borghi sono i sensi sensitivi interiori, come la memoria, la fantasia e l 'immaginazione, nei quali si collocano e raccolgono le forme delle immagini e i fantasmi degli oggetti, per mezzo di cui la sensibilità muove i suoi appetiti e cupidigie. Dette forme sono quelle che qui l 'anima chiama ninfe: quiete e tranquille che siano queste, anche gli appetiti dormono. Esse entrano nei loro borghi dei sensi interiori per le porte dei sensi esteriori, cioè la vista, l 'udito, l 'olfatto ecc.: di maniera che tutte le potenze e tutti i sensi, sia interni che esterni, di questa parte sensitiva li possiamo chiamare sobborghi, perché sono i quartieri situati fuori le mura della città. Quello che si chiama città nell’anima è la sua parte più intima, ossia la razionale, che ha capacità di comunicare con Dio, e le cui operazioni sono contrarie a quelle della parte sensitiva. Però vi è naturale comunicazione tra la gente che abita nei sobborghi della parte sensitiva (i quali abitanti sono le ninfe già ricordate) e la parte superiore, che è la città; tanto che quello che si opera in essa parte inferiore ordinariamente è avvertito dall'altra interiore, la quale per conseguenza viene disturbata nella sua opera e distratta dall'attenzione spirituale in Dio. Per tal motivo, quindi, l 'anima dice a quegli abitanti che dimorino nei loro borghi, cioè se ne stiano quieti nei loro sensi interni ed esterni.

Né fuor di queste soglie star v’incresca.

8 - Vale a dire: Non vogliate toccare la parte superiore neanche con moti primi, poiché questi sono gli ingressi e le soglie per entrare nell'anima. Quando essi da moti primi passano nella ragione, già stanno varcando le soglie; ma quando sono primi movimenti soltanto, si dice che toccano la soglia o bussano alla porta, il che avviene allorché la ragione è assalita da parte della sensualità con qualche atto disordinato. L'anima, dunque,

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non solamente dice che non vuole esser tocca da quei moti, ma che neppure vuol fare avvertenza a cose che non si confanno alla quiete e al bene di cui gode.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - In questo stato, l'anima è divenuta tanto nemica della parte inferiore e delle sue operazioni, che non vorrebbe che Dio comunicasse a questa alcunché di spirituale, quando lo comunica alla parte superiore; perché ciò che quella parte riceve, o dev'essere molto poco, ovvero per la fiacchezza di sua condizione non lo può sopportare senza che le forze naturali vengano meno. Per conseguenza, in tal caso, anche lo spirito ne patisce e si affligge, e non può quindi godere il suo bene in pace, essendo che, come dice il Savio: Il corpo è di aggravio all'anima, perché si corrompe (S ap 9 ,15 ) . Poiché, quindi, l 'anima desidera le più alte ed eccellenti comunicazioni di Dio, ma non può riceverle in compagnia della parte sensitiva, desidera che Dio gliele conceda senza che questa ne partecipi: come fu la sublime visione che S. Paolo ebbe del terzo cielo, nella quale egli afferma di aver visto Dio, ma non sa se l'abbia ricevuta nel corpo o fuori di esso (2C or 12 ,2 ) . Ma, comunque andasse la cosa, certo è che fu senza che il corpo ne avesse parte, perché se questo vi avesse partecipato, l 'apostolo non avrebbe potuto non saperlo, né la visione avrebbe potuto essere tanto alta quanto egli dice. Asserisce, infatti, di avere udito parole così arcane che non è possibile all'uomo riferire. Per la qual cosa l'anima, ben sapendo che grazie così grandi non si possono ricevere in un vaso tanto angusto, desidera che lo Sposo gliele faccia fuori di esso, o almeno senza di esso; e quindi, volgendosi a Lui, lo prega di ciò nella seguente strofa.

STROFA 19

Dentro, o Caro, ti cela,E la tua faccia, alle montagne volgi,Deh! taci e non lo svela,Ma le compagne miraDi chi per piagge estrane il piede aggira.

DICHIARAZIONE

2 - Quivi l 'anima Sposa domanda al suo Diletto quattro cose. La prima: che gli piaccia di comunicarsi nel più intimo nascondiglio di lei. La seconda: che ne investa e ne informi le potenze con la gloria e l 'eccellenza della sua divinità. La terza: che ciò avvenga tanto altamente e profondamente, che non si sappia né si voglia esprimere, e superi ogni capacità della parte sensitiva ed esteriore. La quarta: che s'innamori delle numerose virtù e grazie che Egli ha posto in lei, dalle quali accompagnata, sale a Dio con notizie assai elevate intorno alla divinità, e con eccessi di amore molto singolari e diversi da quelli che ordinariamente si sogliono avere. E perciò dice:

Dentro, o Caro, ti cela.

3 - Vale a dire: Amato mio Sposo, ritirati nel più intimo dell'anima, comunicandole segretamente e manifestando le tue meraviglie nascoste, lontane da ogni sguardo mortale.

E la tua facci alle montagne volgi

4 - La faccia di Dio è la sua Divinità, e le montagne sono le potenze dell'anima: memoria, intelletto e volontà. Quindi è come se dicesse: Investi con la tua Divinità il mio intelletto, infondendogli intelligenze divine; e la mia volontà, comunicandole il divino amore; e la mia memoria, col divino possesso della tua gloria. Con questo l'anima chiede tutto ciò che gli può chiedere, perché non si contenta più di una conoscenza e di una comunicazione divina simile a quella concessa a Mosè (E s 33 ,23 ) , a cui Dio mostrò il dorso (il che è

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conoscerlo dai suoi effetti e dalle sue opere); ma desidera la faccia di Dio, cioè una comunicazione essenziale della Divinità senza alcun altro mezzo, per via di un certo contatto dell'anima con la Divinità: la qual cosa è lontana, da ogni senso e da tutti gli accidenti, in quanto che è un tocco di nude sostanze, ossia dell'anima e della Divinità. Quindi subito soggiunge:

Deh! taci e non lo svela.

5 - Cioè: e non volerlo dire come facevi prima, allorché mi concedevi le comunicazioni in modo tale che le rendevi note ai sensi esterni, come cose di cui erano capaci, non essendo così alte e profonde che essi non vi potessero arrivare. Ora però le comunicazioni siano tanto sublimi, sostanziali ed intime, che niente se ne dica ai sensi: in maniera cioè che questi non possano giungere a saperle. La sostanza dello spirito non si può comunicare al senso, anzi tutto ciò che è maggiormente comunicabile ad esso in questa vita, non è puro spirito, non essendo il senso capace di tanto. L'anima, dunque, desiderando qui una comunicazione di Dio tanto sostanziale ed essenziale che non cada nel senso, domanda allo Sposo che non voglia palesarla. In altre parole gli dice: La profondità di questo nascondiglio di unione spirituale sia di tal fatta, che il senso non riesca a percepirla e a descriverla: sia come i segreti uditi da S. Paolo (2C o 12 ,4 ), che all'uomo non è possibile ridire.

Ma le compagne mira.

6 - Il mirare di Dio è amare e far grazie. E le compagne che l'anima desidera siano mirate da Dio, sono la moltitudine di virtù, di doni e perfezioni e di altre ricchezze spirituali che Egli ha già posto in lei, come caparra, pegno e gioielli dello sposalizio. Quindi è come se dicesse: Ma prima, o Diletto, mira l'interno dell'anima mia, innamorandoti del corredo di ricchezze che vi hai posto, affinché, innamorato di lei, in esse ti nasconda e ti trattenga: poiché, quantunque in verità siano tue, nondimeno ormai, avendogliele tu donate, sono anche

Di chi per piagge estrane il piede aggira.

7 - Ossia dell'anima mia, che a te viene per mezzo di straordinarie notizie intorno a te, e per modi e vie estranee e lontane da tutti i sensi e dalla comune cognizione naturale. Perciò, in altri termini, è come se dicesse con dolce violenza: Poiché l'anima mia viene a te per mezzo di notizie spirituali, estranee e remote dai sensi, anche tu comunicati a lei in grado così sublime e interiore che ella sia remota da essi tutti.

ANNOTAZIONE SOPRA LE DUE STROFE SEGUENTI

1 - Per arrivare a così alto stato di perfezione com'è quello che l'anima qui desidera, cioè al matrimonio spirituale, non basta che ella sia monda e purificata da tutte le imperfezioni e ribellioni, e dagli abiti imperfetti della parte inferiore che, spogliata dell'uomo vecchio, è già soggetta alla superiore; ma anche ha bisogno di grande fortezza e di amore molto elevato, per un così forte e stretto abbraccio di Dio. Poiché in questo stato, oltre che l’anima consegue grandissima purità e bellezza, acquista pure una forza terribile, a causa dello stretto e robusto nodo che si stringe tra lei e Dio per mezzo di tale unione.

2 - Per andare a Dio, l 'anima ha bisogno di trovarsi al punto di una conveniente purezza, forza e amore: e perciò lo Spirito Santo, che è quegli che interviene e opera l'unione spirituale, desiderando che l'anima arrivi ad avere quelle doti che si richiedono per meritarla, così parla col Padre e col Figlio nei Cantici: Che faremo alla nostra sorella nel giorno che dovrà mostrarsi ed entrare a colloquio, essendo piccina e non avendo ancora il seno sviluppato? Se ella è una muraglia, edifichiamovi sopra fortezze e baluardi di argento; e se è una porta, orniamola con tavole di cedro (C t 8 ,8 -9 ) . Per fortezze e baluardi d'argento s'intendono le virtù forti ed eroiche, rivestite di fede, che è significata

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dall'argento e queste virtù eroiche sono già quelle del matrimonio spirituale, e poggiano sull'anima forte, significata dal muro, nella cui fortezza lo Sposo pacifico ha da riposare, senza che fiacchezza alcuna lo disturbi. Per tavole di cedro poi s'intendono le affezioni e le qualità dell'amore elevato, che è simboleggiato dal cedro, ed è l'amore del matrimonio spirituale. Per adornare di cedro la Sposa, occorre che ella sia porta: affinché, cioè, entri lo Sposo, ed essa tenga aperto per Lui l'ingresso della volontà, con un pieno e vero sì di amore, quel sì degli sponsali già pronunziato prima del matrimonio spirituale. Infine, per il seno della Sposa si esprime il medesimo perfetto amore che essa deve avere, per comparire dinanzi allo Sposo Cristo nella perfezione di un tale stato.

3 - Il testo citato però soggiunge che la Sposa, piena di desiderio di uscire a fare bella comparsa, subito rispose dicendo: Io sono un muro, ed il mio seno è come una torre (C t

8 , 10 ). Vale a dire: L'anima mia è forte e il mio amore molto elevato, e quindi non v'è ragione per cui non debba mostrarmi. Ed anche qui l'anima Sposa, spinta dal desiderio della perfetta unione e trasformazione, è andata dimostrando il medesimo pensiero nelle precedenti strofe, specialmente in quella che or ora abbiamo dichiarata, in cui pone sott'occhio allo Sposo, per più obbligarlo, le virtù e le ricche disposizioni da Lui ricevute. Lo Sposo pertanto, volendo concludere la cosa, dice le due strofe seguenti, in cui finisce di purificare, rendere forte e disporre l'anima, sia secondo la parte sensitiva, sia secondo la spirituale, per questo stato. 8 Indirizza le strofe contro tutte le ribellioni e le contrarietà, tanto della parte sensitiva, quanto del demonio.

STROFA 20-21

Lievi augelletti, biondeLëonze, cervi, e saltatrici damme,Monti, vallette, sponde,Chiare acque, aure ed ardori,E voi notturni vigili timori;

Per le soavi lire,Per le sirene io vi scongiuro intanto,Cessino le vostr ’ire;Né sia percosso il muroOnde il bel sonno suo sia sicuro.

DICHIARAZIONE

4 - In queste due strofe lo Sposo Figlio di Dio mette l 'anima Sposa in possesso di pace e tranquillità, conformando la parte inferiore alla superiore. La Purifica da tutte le sue imperfezioni, riducendo a dovere le sue potenze e ragioni naturali, e calmando tutti gli altri appetiti, secondo che si contiene nelle due surriferite strofe, il cui senso è il seguente. Primieramente, lo Sposo scongiura le inutili divagazioni della fantasia e dell'immaginativa, comandando loro che da qui innanzi cessino; ed anche mette a freno le due potenze naturali, irascibile e concupiscibile, che prima alcun poco affliggevano l'anima. Riduce alla perfezione dei loro oggetti le tre potenze dell'anima, memoria, intelletto e volontà, per quanto è possibile in questa vita. Oltre a questo, scongiura e comanda alle quattro passioni dell'anima, che sono il gaudio, la speranza, il dolore e il timore, di starsene in avvenire calme e sottoposte alla ragione. Tutti quei nomi contenuti nella prima delle due strofe significano tutte le dette potenze e passioni, le cui moleste operazioni e movimenti lo Sposo fa sì che cessino ormai nell'anima, per mezzo della grande soavità, del diletto e della fortezza ch'ella possiede nella comunicazione e dono spirituale che Dio le fa di se stesso in questo tempo. E poiché in questo dono Dio

8 Cf 2N 1,1: «Tuttavia conviene ri flettere che la purgazione dell 'anima non è completa, perché manca la parte principale, quella dello spirito, senza la quale (a motivo del la comunicazione esis tente tra le due parti che formano insieme un solo supposto), nemmeno la purgazione sensit iva, per quanto forte sia stata, può dirsi perfetta».

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trasforma vivamente l'anima in sé, ne segue che tutte le potenze, gli appetiti e i movimenti di essa perdono la loro imperfezione naturale, e si mutano in divini . Dice dunque:

Lievi augelletti.

5 - Lo Sposo chiama lievi augelletti le divagazioni dell'immaginativa, che sono leggere e svelte nel volare qua e là. Esse, allorché la volontà gode tranquilla la comunicazione saporosa del Diletto, sogliono recarle disgusto e smorzarle il piacere coi loro voli leggeri. Ad esse lo Sposo dice che le scongiura per le soavi lire, ecc.; vale a dire: giacché la soavità del gaudio dell'anima è tanto abbondante e frequente, che non gliela potranno impedire come solevano prima (non essendo l'anima arrivata a così alto stato), cessino alfine dai voli inquieti, dagli impeti ed eccessi loro. E ciò resti detto ugualmente rispetto agli altri termini che stiamo per dichiarare.

BiondeLëonze, cervi e saltatrici damme.

6 - Per lëonze intende le asprezze e gl'impeti della parte irascibile, perché questa potenza è animosa e ardita nei suoi atti, come i leoni. Per cervi e damme saltatrici intende l'altra potenza, cioè la concupiscibile, che è la facoltà di appetire, ed ha due effetti: l 'uno di codardia e l'altro di audacia. Esercita gli effetti di codardia, quando non trova le cose a sé confacenti, poiché allora si scoraggia, si ritira e avvilisce, ed in ciò è paragonata ai cervi: i quali, come hanno, la potenza concupiscibile più intensa che molti altri animali, così sono molto timidi e vili. Esercita gli effetti di audacia, quando trova le cose a sé confacenti; poiché allora non ha affatto paura o timore, ma si fa ardita in appetirle ed ammetterle col desiderio e l 'affetto. La potenza concupiscibile, negli effetti di arditezza, è paragonata ai daini; i quali hanno tanta concupiscenza circa le cose che appetiscono, che non solo ci vanno di corsa, ma anche saltando, e perciò qui sono chiamati saltatori.

7 - Di maniera che, scongiurando i leoni, lo Sposo raffrena gli impeti e gli eccessi dell'ira; nello scongiurare i cervi, fortifica la concupiscenza nella codardia e pusillanimità che prima l’avviliva; e nello scongiurare i daini saltatori, soddisfa e calma i desideri e gli appetiti che prima andavano inquieti, saltellando come daini da una cosa all'altra per appagare la concupiscenza la quale è ormai soddisfatta dalle dolci lire della cui soavità gode, e dal canto delle sirene nel cui diletto si pasce. È da notarsi che lo Sposo qui scongiura, non l'ira e la concupiscenza, perché queste potenze non possono mai mancare nell'anima, ma i loro atti disordinati e molesti, significati dai leoni, dal cervi e daini saltatori: questi, sì, è necessario che cessino in questo stato.

Monti, vallette Sponde.

8 - Con questi tre nomi si indicano gli atti viziosi e disordinati delle tre potenze dell'anima, che sono memoria, intelletto e volontà; i quali atti allora sono disordinati e viziosi quando sono o eccessivamente alti , o estremamente bassi e rimessi, ovvero quando, pur non giungendo all'eccesso, declinano però verso uno dei due estremi. Quindi è che per monti, i quali sono molto alti, vengono significati gli atti che toccano l'estremo del troppo; per valli, che sono molto basse, si denotano gli atti di queste tre potenze che giungono all'estremo del meno di ciò che conviene. Per sponde poi, che non sono né molto alte né molto basse, ma per non essere piane partecipano un po' dell'uno e dell'altro estremo, sono significati gli atti delle potenze quando eccedono o difettano un poco dal giusto mezzo. Questi ultimi atti, benché non siano estremamente disordinati, come sarebbero se giungessero a peccato mortale, tuttavia lo sono in parte, ora come peccato veniale, ora come imperfezioni, per minima che sia, nell’intelletto, nella memoria e nella volontà. Anche tutti questi atti che passano i limiti del giusto sono scongiurati dallo Sposo, affinché cessino per mezzo delle soavi lire e dei canti suddetti: le quali cose mantengono le tre potenze dell'anima tanto bene sul punto del loro effetto da essere impiegate nella giusta operazione che loro appartiene, di modo che non solo non toccano l'estremo, ma neppure tendono a parteciparne affatto.

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Chiare acque, aure ed ardoriE voi notturni vigili timori.

9 - Per queste quattro cose lo Sposo intende gli affetti delle quattro passioni che, come dicemmo, sono il dolore, la speranza, il gaudio e il timore. Le acque significano le affezioni del dolore che affliggono l'anima, inondandola come la piena delle acque. E perciò Davide, parlando di tali afflizioni con Dio, dice: «Salvum me fac, Deus, quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam» (Sa l 68 ,2 ): Salvami, o Dio, perché, le acque sono penetrate sino all'anima mia. Per aure s'intendono le affezioni della speranza, perché a guisa dell'aria volano a desiderare ciò che è assente e che si spera, al qual proposito lo stesso Davide dice: «Os meum aperui et attraxi spiritum: quia mandata tua desiderabam» (S al 118 ,131) . Come se dicesse: Aprii la bocca della mia speranza e attrassi l 'aria del mio desiderio, perché speravo e desideravo i tuoi comandamenti. Gli ardori denotano gli affetti della passione del gaudio, i quali infiammano il cuore a maniera del fuoco. Ond'è che Davide dice: «Concaluit cor meum intra me: et in meditatione mea exardescet ignis» (Sal 38, 4) : Si riscaldò il mio cuore dentro di me, e nella mia meditazione si accenderà il fuoco: vale a dire si accenderà il gaudio. I vigili timori notturni esprimono gli affetti della quarta passione, cioè il timore. Nelle persone spirituali non, ancora giunte allo stato del matrimonio spirituale di cui andiamo trattando, i timori sogliono essere molto grandi. Essi alle volte vengono da parte di Dio, allorché concede agli spirituali alcune grazie del genere più sopra accennato, le quali di solito incutono timore e spavento allo spirito, e causano contrazione nelle membra e nei sensi. Ciò avviene, perché la natura ancora non è forte e perfetta, né abituata a simili grazie. Altre volte i timori provengono dal demonio che, mentre Dio infonde nell'anima raccoglimento e soavità in Lui, mosso da grande invidia e dispiacere di quel bene e pace dell'anima, procura d'immettere timori e terrori nello spirito per impedirle quel bene, talora anche quasi minacciandola nello spirito. Quando poi vede che non può penetrare nell'intimo dell'anima, essendo questa molto raccolta e unita con Dio, procura di assalirla almeno al di fuori con varie distrazioni, divagazioni, dolori, affanni e spaventi nella parte sensitiva, per vedere se con tal mezzo gli riesce d'inquietare la Sposa nel suo talamo. L'anima chiama notturni questi timori, e perché sono da parte dei demoni, e perché il demonio per loro mezzo si studia di spargere tenebre nell'anima, per oscurare la divina luce di cui essa gode. Inoltre li chiama vigili , perché di per se stessi destano l'anima dal suo dolce sonno interiore, ed anche perché i demoni che li cagionano stanno sempre vegliando per insinuarli. Questi timori, da parte di Dio o del demonio, s'intromettono passivamente nello spirito di coloro che già sono spirituali. Né io tratto qui di altri timori temporali o naturali, perché avere questi non è da persone di spirito, mentre è proprio di costoro avere i suddetti timori spirituali.

10 - L'Amato, dunque, scongiura anche le quattro sorta di affezioni delle quattro passioni dell'anima, facendole cessare e restare quiete, in quanto che in tale stato Egli dà alla sua Sposa abbondanza di beni e forza e soddisfazione con le dolci lire della sua soavità e col canto delle sirene del suo piacere divino, affinché dette affezioni non solo non regnino in lei, ma neppure possano recarle il minimo dispiacere. La grandezza e la stabilità dell'anima in questo stato sono tali che, mentre per l’innanzi giungevano sino a lei le acque del dolore, massimamente dei peccati suoi o altrui (ché non v'è altra cosa che più affligga gli spirituali); ora invece i peccati, benché siano da lei giudicati per quel che sono, non le cagionano più dolore e afflizione; anzi l'anima non ha neppure la compassione, vale a dire la pena propria di questa virtù, quantunque però ne abbia le opere e la perfezione. Ormai è escluso tutto ciò che l'anima aveva di fiacco nelle virtù, e le rimane ciò che è forte, costante e perfetto nelle medesime. In questa trasformazione di amore accade all'anima come agli angeli, che stimano perfettamente le cose dolorose, ma senza sentir dolore, ed esercitano le opere di misericordia, senza provare sentimento di compassione. Tuttavia alcune volte e in date occasioni, Dio dispensa con l'anima su questo punto, facendole patire alcune cose, affinché meriti di più e s'infervori nell'amore, o per altri fini, come fece con la sua Santissima Madre e con S. Paolo; ma di per sé questo stato non lo comporta.

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11 - Neppure l'anima si affligge nei desideri della speranza, perché essendo soddisfatta mediante l'unione con Dio, quanto è possibile esserlo in questa vita, non ha di che sperare circa il mondo, né di che desiderare circa le cose spirituali, vedendosi piena delle ricchezze di Dio. Quindi, sì nel vivere che nel morire, è perfettamente conformata alla divina volontà, dicendo secondo parte sensitiva e quella spirituale: « Fiat voluntas tua» (M t 26 , 42 ), senza impeto di altra voglia o appetito; e perciò il desiderio stesso che ha di veder Dio è senza pena. Rispetto poi agli affetti del gaudio, se in addietro l'anima soleva provare in essi il sentimento del più o del meno, a proporzione delle cose godute, ora invece né riesce a sentire scarsezza, né le fa novità l’abbondanza. È tanta l'abbondanza che ordinariamente gode da potersi paragonare al mare, il quale né decresce per i fiumi che n'escono, né cresce per quelli che vi entrano. Veramente l'anima è divenuta quella fonte di cui Cristo in S. Giovanni dice che le sue acque zampillano sino alla vita eterna. (Gv 4 ,14 )

12 - Ma, poiché ho detto che un'anima tale non riceve novità nell'attuale stato di trasformazione, potrebbe sembrare che le vengano tolti i gaudi accidentali, che non mancano neppure ai beati. È bene, quindi, avvertire che ella di certo non è priva dei godimenti e soavità accidentali, anzi ordinariamente ne ha senza numero. Ma non per questo le si aumenta qualche cosa di ciò che è comunicazione sostanziale di spirito, perché tutto quello che di nuovo le si potrà aggiungere, già lo possedeva, e quindi ciò che in sé racchiude è sempre più di quello che di nuovo può capitarle. Quindi, ogni volta che a quest'anima si offrono cose di gaudio e di allegrezza, sia esteriori, sia spirituali e interiori, subito si volge a godere le ricchezze che già possiede, ed in queste se ne resta con molto maggior godimento e diletto, che in quelle che le giungono nuove. Intorno a ciò, si può dire, che l'anima in qualche modo abbia la proprietà di Dio, il quale, sebbene si diletti in tutte le cose, non però si compiace in esse quanto in se stesso, perché ha in sé un, bene eminente sopra tutte le creature. Cosicché. tutti i nuovi piaceri e gusti che l'anima può provare, le servono di ricordo, per dilettarsi più in ciò che già racchiude e sente in sé, che non in quelle novità; perché, ripeto, ciò che ella possiede è più di esse.

13 - Ed è un fatto naturale che, quando una cosa apporta gaudio e contento all'anima, se questa ne ha un'altra più stimabile e di maggior gusto, subito se ne rammenta e vi ripone tutto il suo gusto e godimento. Quindi l 'accidentale di quelle novità spirituali e ciò che esse pongono di nuovo nell'anima è tanto poco in comparazione del sostanziale che ella possiede, che lo possiamo dire un nulla; perché l'anima, arrivata al compimento della trasformazione in cui si trova perfettamente cresciuta, non va più crescendo con nuove cose spirituali come le altre anime che non sono giunte a tal punto. Ma è cosa veramente ammirabile il vedere che, mentre quest'anima non riceve diletti nuovi, sempre le sembra di riceverne e di averli già da prima. La ragione è perché sempre li gusta di nuovo, essendo il suo bene sempre nuovo, e quindi le pare di ricevere sempre delle novità, senza aver bisogno di riceverle.

14 - Ma che diremo dell'illuminazione di gloria che Dio a volte sparge nell'anima, e nell'amoroso abbraccio con cui ordinariamente a sé la stringe? Possiamo soltanto chiamarla una certa spirituale conversione di Dio all'anima, in cui le fa scorgere e godere tutto insieme l'abisso di ricchezze e diletti che in lei ha posti: se volessimo dire di più, non troveremmo parole sufficienti a spiegarla almeno in parte. Poiché, come il sole, quando investe in pieno il mare, ne rischiara perfino i profondi seni e caverne, facendo scoprire le perle e le ricchissime vene di oro e di altri metalli preziosi, così il sole divino dello Sposo, volgendosi verso la Sposa, mette talmente in luce le ricchezze dell'anima che perfino gli angeli si meravigliano di lei e dicono quelle parole dei Cantici: Chi è costei che avanza come la nascente aurora, bella come la luna, eletta come il sole, terribile e ordinata come le schiere degli eserciti? (C t 6 ,9 ). Per questa illuminazione, quantunque sia di tanta eccellenza, niente si accresce nell'anima, ma essa viene soltanto illuminata affinché goda di ciò che aveva già prima.

15 - Finalmente, neppure i vigili timori notturni arrivano all'anima, perché è già tanto rischiarata e forte, e riposa si fermamente in Dio, che i demoni non la possono oscurare

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con le loro tenebre, né spaventare coi loro terrori, né svegliare coi loro assalti impetuosi. Nessuna cosa, quindi la può raggiungere e molestare, e ssendo ella già uscita da tutte le cose ed entrata nel suo Dio, dove gode di ogni pace, gusta di ogni soavità e si diletta di ogni piacere, secondo che lo permette lo stato e la condizione di questa vita. Di un'anima tale s'intende quello che il Savio dice: L'anima pacifica e tranquilla è come un perenne convito (P rov. 15 , 15 ). Difatti, come in un convito si gusta il sapore di tutti i cibi e la soavità di tutte le melodie, così l 'anima, nel convito che ha trovato imbandito nel seno del suo Sposo, gode ogni diletto e gusta ogni dolcezza. Ma è così poco ciò che abbiamo detto di quanto qui avviene, e tanto poco quello che se ne può esprimere a parole, che sempre si dirà il meno di ciò che si opera in un'anima che giunge a così felice stato. Ed invero, se l 'anima riesce ad introdursi nella pace di Dio, la quale trascende ogni senso (F i l 4 , 7 ), come dice la Chiesa, certamente ogni senso resterà muto e incapace di parlare. Seguono i versi della seconda strofa:

Per le soavi lire,Per le sirene io vi scongiuro intanto.

16 - Abbiamo già detto che per soavi lire lo Sposo intende la soavità che di sé dà all'anima in questo stato, mediante la quale soavità fa cessare in lei tutte le suddette molestie. Poiché come la musica delle lire riempie l'animo di dolcezza e ricreamento, e lo imbeve e sospende in modo da renderlo dimentico di ogni dispiacere e pena; così la soavità dello Sposo tiene l'anima tanto raccolta in sé, che nessuna cosa afflittiva la raggiunge. Quindi è come se dicesse: Per la dolcezza ch'io spargo nell'anima, cessi tutto ciò che non è soave per lei. Parimenti si è detto che il canto delle sirene significa il piacere che l’anima gusta ordinariamente. È chiamato canto di sirene un tal piacere, perché come il canto delle sirene, a quanto dicono, è tanto dolce e piacevole che innamora e rapisce chi lo ode, in modo da farlo dimenticare, quasi estatico, di tutte le cose, così il diletto dell’unione divina ricrea e assorbe in sé l'anima in tal maniera, che la rende come insensibile a tutte le molestie e turbamenti delle cose surriferite, secondo che è accennato in questo verso:

Cessino le vostr'ire.

17 - Chiama ire i turbamenti e le molestie degli affetti e delle operazioni disordinate di cui abbiamo i parlato. Poiché, come l'ira è lui certo impeto che turba la pace, uscendo dai limiti di essa, così tutte le ricordate affezioni coi loro movimenti oltrepassano il limite della tranquillità dell'anima, inquietandola quando la toccano. E perciò dice:

Né sia percosso il muro.

18 - Per muro s'intende il recinto della pace e la barriera delle virtù e perfezioni, da cui l 'anima stessa è circondata e protetta, essendo ella l 'orto menzionato più sopra, dove l'Amato si pasce tra i fiori, e che è recinto e custodito solamente per Lui. Per il che nei Cantici Egli la chiama orto chiuso, dicendo: La mia sorella è un orto chiuso (C t 4 ,12 ). Qui, dunque, lo Sposo dice che nessuno osi toccare neanche il muro di cinta di questo suo orto.

Onde il bel sonno suo sia più sicuro,

19 - Vale a dire: affinché la Sposa gusti più saporitamente la quiete e la dolcezza che gode nell'Amato. E qui è da notarsi che ormai non v'è porta chiusa per l'anima; è in suo arbitrio il godere di questo dolce sonno di amore ogni volta che vuole, secondo quello che lo Sposo nei Cantici ci fa intendere dicendo: Vi scongiuro figlie di Gerusalemme per i caprioli e i cervi dei campi, di non destare la mia Diletta, e di non farla svegliare fin tanto che non voglia. (C t 3 ,5 )

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

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1 - Era così grande il desiderio che lo Sposo aveva di liberare e redimere affatto la sua Sposa dalle mani della sensualità e del demonio, che avendolo ormai adempito, si rallegra a guisa del Buon Pastore che, dopo aver molto girato, ritrova la pecorella smarrita e con gran gioia se la mette sulle spalle (L c 15 ,5 ); o come la donna che, perduta una dramma, accende la lucerna, mette sossopra tutta la casa per cercarla, ed infine, avendola ritrovata, piena di allegrezza se la stringe tra le mani, chiama le sue amiche e vicine e, mostrandola loro, le invita a rallegrarsi con lei (L c 15 ,9 ) . Ed invero desta meraviglia il piacere e la gioia che prova l'amoroso Pastore e Sposo dell'anima, nel vederla già così sua e perfetta, poggiata sulle sue spalle e presa da Lui per mano in questo incontro e unione. Che anzi, non solo in sé si rallegra, ma fa partecipi della sua letizia anche gli angeli e le anime sante, dicendo come nei Cantici: Uscite fuori, figlie di Sion, e mirate il Re Salomone col diadema con cui sua madre l'incoronò nel giorno delle sue nozze, nel giorno dell'allegrezza del suo cuore (C t 3 ,11 ). In queste parole chiama l'anima sua corona, sua Sposa e gioia del suo cuore, traendola a braccio e procedendo con lei come uno sposo dal suo talamo. Tutto questo Egli esprime nella seguente

STROFA 22

Entrò l'amante SposaNel desïato giardinetto ameno,E lieta inchina e posaIl bel collo beatoSopra le dolci braccia dell'Amato.

DICHIARAZIONE

2 - Nelle strofe precedenti la Sposa ha usato ogni diligenza, affinché fossero prese le volpicelle, cessasse il borea e si chetassero le ninfe: le quali cose disturbavano e impedivano il perfetto gaudio dello stato del matrimonio spirituale. Di più ha invocato e ottenuto l'aura dello Spirito Santo, come acconcia e propria disposizione e mezzo per la perfezione di un tale stato. Di questo ora resta da trattare nella presente strofa, in cui lo Sposo è quegli che parla, chiamando ormai l 'anima col nome di Sposa. E dice due cose. Primieramente dice che l'anima, dopo aver riportato vittoria, è giunta a questo dilettevole stato del matrimonio spirituale, che l'uno e l'altra avevano tanto bramato. In secondo luogo descrive le proprietà di detto stato, in cui l 'anima già le gode, come sono il riposare a suo agio e tenere il capo appoggiato sulle dolci braccia del Diletto, secondo che ora andremo spiegando.

Entrò l’amante Sposa

3 - Per dichiarare più distintamente l'ordine di queste strofe e fare intendere il cammino che l'anima suole percorrere, sino a che giunga a questo stato di matrimonio spirituale (che è il più sublime, di cui ora col divino favore tratteremo), si deve avvertire che, prima d'arrivare a questo punto, l 'anima si esercita nelle fatiche e nelle amarezze della mortificazione, e nella meditazione delle cose spirituali, come ella stessa ci fa vedere a cominciar dalla prima strofa sino a quella che dice: Mille grazie versando. 9 Di poi entra nella via contemplativa, in cui passa per le vie e le strette dell'amore, come il seguito delle strofe è venuto descrivendo fino a quella che dice: Deh! gli allontana, Amato, dove avvenne il fidanzamento spirituale. Inoltrandosi ancora, passa per la via unitiva, nella quale riceve molte ed assai grandi comunicazioni, visite, doni e gioielli dallo Sposo, come ad una Sposa si conviene, e a mano a mano si forma e perfeziona nell'amore, come ci ha narrato dalla detta strofa che comincia: Deh gli allontana, Amato, quando si fecero gli sponsali, fino alla presente che inizia con le parole: Entrò l’amante Sposa . Quivi resta da celebrarsi il matrimonio spirituale tra l’anima e il Figlio di Dio: il quale stato è senza comparazione molto più elevato che il fidanzamento spirituale; perché è una trasformazione totale nell’Amato, nella quale ambedue le parti si cedono a vicenda, trasferendo l'una l'intero possesso di sé all'altra, con una certa consumazione di unione

9 Strofa n. 5.

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amorosa, in cui l'anima diventa divina e Dio per partecipazione, quanto è possibile in questa vita. Quindi sono del parere che questo stato non avvenga mai senza che in esso l'anima sia confermata in grazia, perché si ratifica la fede d'ambo le parti, confermandosi quella di Dio [ l a fede, l a p romes sa ] nell'anima; e perciò questo è il più sublime stato a cui si possa arrivare quaggiù. Poiché, come nella consumazione del matrimonio carnale sono due in una sola carne, come dice la Sacra Scrittura (Ge n 2 , 24 ), così pure, consumato questo matrimonio spirituale tra Dio e l'anima, sono due nature in un solo spirito e amore, come dice San Paolo, riportando la medesima comparazione: Chi si unisce col Signore, si fa un solo spirito con Lui ( 1C or 6 ,17 ) . Non altrimenti da quel che avviene quando la luce di una stella o di una candela si unisce a quella del sole: allora, infatti, né la stella né la candela risplendono, ma il sole che assorbe in sé ogni altra luce. Di questo stato parla lo Sposo in questo verso dicendo: Entrò l'amante Sposa: uscendo cioè da tutto ciò che è temporale e naturale, e da tutte le affezioni, modi e maniere spirituali, lasciando da parte e dimenticate tutte le tentazioni, turbamenti, pene, sollecitudini e cure, tutta trasformata in questo sublime abbraccio. Onde prosegue:

Nel desïato giardinetto ameno.

4 - Il che vale quanto dire: Si è trasformata nel suo Dio, che qui chiama ameno giardino per il dilettevole e dolce riposo che l'anima in Lui ritrova. A questo giardino di piena trasformazione (il quale o mai è gaudio, diletto e gloria di matrimonio spirituale) non si perviene, se non passando prima per il fidanzamento spirituale e per il fedele e reciproco amore dei promessi. Dopo che l'anima è stata alcun tempo Promessa col Figlio di Dio con intero e soave amore, solo allora il Signore la chiama e l'introduce nel suo giardino fiorito a consumare questo stato felicissimo del matrimonio con Lui, nel quale avviene tale unione delle due nature e tale comunicazione della divina con l'umana, che, pur non mutando nessuna delle due il proprio essere, ciascuna appare Dio. Che se ciò non può darsi perfettamente in questa vita, trascende però ogni umano linguaggio e pensiero.

5 - Questo è molto bene spiegato dallo Sposo stesso nei Cantici, dove invita a questo stato l'anima già sua Promessa, dicendo: «Veni in hortum meum, soror mea sponsa, messui mirrham meam cum aromatibus meis» (C t 5 ,1 ): Vieni ed entra nel mio giardino, sorella mia Sposa, che già ho raccolto la mia mirra e le mie erbe odorose. La chiama sorella e sposa, perché già lo era nell'amorosa donazione che gli aveva fatta di sé prima che la invitasse a questo stato di matrimonio spirituale, dove dice di aver mietuto la sua mirra profumata e le sue erbe aromatiche, che sono i frutti dei fiori già maturi e preparati per l 'anima. Questi frutti sono i diletti e le grandezze che nel presente stato le comunica di sé, cioè in se stesso, e perciò Egli è per lei un ameno e desiderato giardino. Infatti tutto il desiderio e il fine dell'anima e di Dio in tutte le opere di essa, è la consumazione e la perfezione di questo stato: onde l'anima giammai riposa finché non vi giunga. In esso, infatti, trova molto maggiore abbondanza e pienezza di Dio, pace più sicura e stabile e, senza confronto, più perfetta soavità che non nel fidanzamento spirituale: perché appunto ormai è adagiata sulle braccia di un tale Sposo, a cui si sente sempre stretta spiritualmente con un vero e tenace abbraccio, per mezzo di cui ella vive vita di Dio. Si avvera in lei ciò che dice S. Paolo: Vivo, non più io, perché Cristo vive in me (G al 2 ,20 ). Poiché dunque l'anima vive qui vita così felice e gloriosa com'è quella di Dio, consideri ciascuno, se può, quanto gustosa sarà la vita che mena, nella quale, come Dio non può sentire alcun dispiacere, così neppure essa lo sente; ma prova e gode diletto e gloria di Dio nella sostanza dell'anima già trasformata in Lui.

E lieta inchina e posaIl bel collo beato.

6 - Il collo significa la fortezza dell'anima, mediante la quale avviene l'unione tra lei e lo Sposo, perché ella non potrebbe sopportare un abbraccio così stretto, se non fosse già molto forte. E poiché per questa forza ella si affaticò, operando le virtù e vincendo i vizi, è ben giusto che riposi in ciò che operò e vinse, reclinando il collo

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Sopra le dolci braccia dell'Amato.

7 - Reclinare il collo sulle braccia di Dio è avere la propria fortezza, o per meglio dire la propria debolezza, unita alla forza di Dio, perché le braccia dì Dio significano la sua forza, in cui la nostra fiacchezza, appoggiata e trasformata che sia, acquista la forza di Dio stesso. Onde lo stato di matrimonio spirituale molto acconciamente viene espresso dal reclinare il collo sulle dolci braccia dell'Amato; perché Dio è ormai la forza e la dolcezza dell'anima, per cui ella è guarita e difesa da ogni male e soavizzata con tutti i beni. Quindi è che la Sposa dei Cantici, desiderando tale stato, disse allo Sposo: Chi mi darà, fratello mio, che tu sugga il seno di mia madre, in modo che io ti trovi solo, fuori, e ti baci, e nessuno più mi disprezzi? (C t 8 ,1 ) Chiamandolo col nome di fratello, fa intendere l'uguaglianza che già v'era tra loro due nel fidanzamento di amore, prima di arrivare al presente stato di matrimonio. Dicendo poi: Che sugga il seno di mia madre, vuol dire: Che tu inaridisca ed estingua in me gli appetiti e le passioni, che sono il seno e il latte della madre Eva nella nostra carne, che è d'impedimento all'attuale stato. E quindi, fatto questo, io ti trovi di fuori solo, cioè essendo io fuori di tutte le cose e di me stessa, in solitudine e nudità di spirito, la quale otterrò, asciugati che siano gli appetiti. E lì da sola a solo ti baci, ossia che la mia natura, già sola e spoglia di ogni impurità temporale, naturale e spirituale, si unisca a te solo, alla tua sola natura, senza alcun altro mezzo: il che soltanto avviene nel matrimonio spirituale, che è il bacio spirituale dell 'anima a Dio. Quivi nessuno più disprezza l'anima né le si oppone; perché in tale stato né il demonio, né la carne, né i! mondo, né gli appetiti osano molestarla: adempiendosi ciò che si dice nei Cantici: Già l'inverno passò, cessò la pioggia, e spuntarono i fiori nella nostra terra. (C t

2 , 11 - 12)

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Nel sublime stato di matrimonio spirituale, con gran facilità e frequenza lo Sposo discopre all'anima i suoi meravigliosi segreti, come a sua fedele consorte, poiché il vero e perfetto amore non sa tenere niente celato alla persona amata. Specialmente le comunica i dolci misteri della sua Incarnazione, e i modi e le vie dell'umana Redenzione, che è una delle più sublimi opere di Dio, e quindi più gustosa per l 'anima. Per il che lo Sposo, quantunque le comunichi molti altri misteri, nella strofa seguente le ricorda soltanto quello dell'Incarnazione, come il più importante di tutti, e parlando con lei così dice:

STROFA 23

Sotto un melo ti scorsi;Qui mia sposa ti fei con dolce nodo,Qui la mia man ti porsi,E qui fosti difesa,Dove la madre tua fu vinta e presa.

DICHIARAZIONE

2 - Nella presente strofa, lo Sposo dichiara all'anima la maniera e l’ordine ammirabile che tenne in redimerla e sposarla a sé, con quegli stessi mezzi con cui la natura umana fu depravata e perduta. Le dice che, come nel paradiso terrestre fu perduta e corrotta nella natura umana da Adamo, per mezzo dell'albero vietato; così fu da Lui redenta e riparata sull'albero della Croce. Quivi egli le porse la mano del suo favore e della sua misericordia mediante la sua passione e morte, troncando l'inimicizia che per il peccato originale passava tra l 'uomo e Dio. Dice dunque:

Sotto un melo ti scorsi.

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3 - Cioè: sotto la protezione dell'albero della Croce, che qui è espresso dal melo, e sul quale il Figlio di Dio redense e, per conseguenza, sposò l'umana natura, e quindi ciascun'anima, dandole la sua grazia e i suoi doni. Onde prosegue:

Qui mia sposa ti fei con dolce nodo,Qui la mia ma ti porsi.

4 Vale a dire: la mano della misericordia e del mio aiuto, sollevandoti dal tuo vile e miserabile stato alla mia compagnia e alla mia mano.

E qui fosti difesa,Dove la madre tua fu vinta e presa.

5 - Tua madre, infatti, la natura umana, fu violata nei suoi progenitori sotto l'albero; e tu ancora, là, sotto l'albero della Croce, fosti riparata. Che se tua madre sotto di un albero ti diede la morte; io sotto l'albero della Croce ti diedi la vita. Dio, dunque, va scoprendo all’anima l'ordine e le disposizioni della sua sapienza, mostrandole cioè come Egli in modo infinitamente sapiente e mirabile sa ricavare i beni dai mali, e ordinare quello che fu causa di male a maggior bene. Ciò che alla lettera si contiene in questa strofa, lo dice lo Sposo stesso alla sua Diletta nei Cantici, con queste parole: «Sub arbore malo suscitavi te: ibi corrupta est mater tua, ìbi violata est genitrix tua» (C t 8 ,5 ): .Sotto un melo ti sollevai; ivi fu corrotta la madre tua, ivi fu violata colei che ti generò.

6 - Il connubio che si fece sulla Croce non è quello di cui andiamo parlando; perché il primo si fece una sola volta, ed in esso Dio donò all'anima la grazia prima, che si conferisce a ciascun'anima nel battesimo; questo, invece, è per via di perfezione, e non avviene che a poco a poco, secondo li suoi vari gradi. E quantunque ambedue siano una stessa cosa, vi è appunto questa differenza, che il primo si compie al passo di Dio, e quindi tutto in una volta; l 'altro, al passo dell'anima, e perciò procede a grado a grado. Ciò che diciamo fu dichiarato da Dio per Ezechiele, parlando all'anima in questa maniera: Fosti gettata al suolo con disprezzo il giorno che nascesti. Ma, passando io vicino a te e vedendoti calpestata nel tuo sangue, ti dissi mentre eri immersa nel tuo sangue: Vivi. E ti feci moltiplicare come l'erba del campo, e difatti ti moltiplicasti e crescesti fino a raggiungere grandezza di donna: crebbe il tuo seno e s'infoltirono i tuoi capelli, ma eri nuda e piena di confusione. Passai vicino a te ti mirai e vidi che il tuo tempo era quello degli amanti; e distesi sopra di te il mio pallio e ricoprii la tua ignominia. Feci con te un patto con giuramento, e ti feci mia. Ti lavai con acqua, ti nettai dal tuo sangue e ti unsi con olio. Ti rivestii di abiti variopinti, ti diedi calzari colore violaceo e una cintura di bisso, e ti avvolsi in un manto finissimo. Ti adornai riccamente e ti misi i braccialetti ai polsi e una collana al collo. Posi un cerchietto sopra la tua bocca, pendenti alle tue orecchie, e una splendida corona sul tuo capo. E fosti ornata d'oro e d'argento, e vestita di bisso e seta di abiti multicolori; ti cibasti di fior di farina, di miele e olio, e sei diventata oltremodo bella; e giungesti ad essere regina. E il tuo nome si divulgò tra le genti, a motivo di tua bellezza (E z 16 ,5 - 14). Fin qui sono parole di Ezechiele, e di questa fatta è l 'anima di cui andiamo parlando.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Dopo la mutua e deliziosa cessione della Sposa e dell'Amato, ciò che immediatamente è da notarsi è il loro letto, nel quale l'anima a suo bell'agio gode le delizie dello Sposo; e quindi nella seguente strofa ella tratta del letto di ambedue, che è divino, puro e casto. E divina, pura e casta vi giace l'anima, perché il letto non è altro che il suo Sposo stesso, il Verbo Figlio di Dio (come subito si dirà), nel quale ella si adagia per mezzo della detta unione di amore. L'anima chiama fiorito questo letto, perché il suo Sposo non solo è fiorito, ma, come Egli stesso dice di sé nei Cantici, è il fiore stesso dei campi e il giglio delle convalli (C t 2 ,1 ). Onde l'anima, non solamente si adagia nel letto fiorito, ma nel fiore stesso che è Figlio di Dio: fiore di Dio: fiore che in sé contiene profumo e fragranza divina, ogni grazia e bellezza, secondo che Egli afferma per bocca di Davide, dicendo: La

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bellezza del campo è con me (S al 49 ,11 ) . Per la qual cosa l'anima canta le proprietà e le grazie del suo letto, e dice:

STROFA 24

Nostro letto è fiorito,Da tane di lïon cinto dintornoDi porpora vestito,In pace edificato,Di mille aurati scudi incoronato.

DICHIARAZIONE

2 - In due strofe precedenti (24 e 25), la Sposa ha cantato le grazie e le grandezze del suo Diletto, il Figlio di Dio. In questa, non solo prosegue a descriverle, ma canta il felice e sublime stato in cui si vede collocata, e la sicurezza che vi gode. In terzo luogo, descrive le ricchezze dei doni e virtù di cui si vede dotata e abbigliata nel talamo del suo Sposo, poiché dice di essere ormai in unione con Dio, possedendo già le virtù con fortezza. In quarto luogo, afferma di essere giunta alla perfezione dell'amore. Da ultimo, dice che gusta compiuta pace spirituale e che è tutta bella e arricchita di doni e virtù, quanto, si possono possedere e godere in questa vita, secondo che nei versi andremo spiegando. La prima cosa, dunque, che l'anima canta, è il piacere che gode nell'unione col suo Diletto, dicendo:

Nostro letto è fiorito

3 - Già abbiamo accennato che questo letto dell’anima è lo Sposo Figlio di Dio, il quale è fiorito per lei; perché, stando ella come Sposa ormai unita e appoggiata a Lui, le si comunica il cuore e l'affetto dello Sposo, cioè le si comunicano la sapienza, i segreti, le grazie, le virtù e doni di Dio, con i quali diviene tanto bella, ricca e piena di delizie, che le sembra di stare in un letto cosparso di vari e soavi fiori divini, che con il loro tocco la dilettano, e la ricreano con il loro profumo. Molto propriamente, quindi, ella chiama letto fiorito questo congiungimento amoroso con Dio; e così infatti lo chiama la Sposa dei Cantici dicendo: «Lectulus noster floridus» (C t 1 ,15 ): Il nostro letto è fiorito. Lo chiama nostro, perché uno stesso amore e le stesse virtù, ossia del Diletto, sono ormai di ambedue, e tutte due provano il medesimo piacere, secondo quel che dice lo Spirito Santo nei Proverbi, cioè: Le mie delizie sono con i figli degli uomini (P ro 8 , 31 ). Lo chiama anche fiorito, perché in questo stato le virtù sono perfette ed eroiche nell'anima, ciò che non poteva essere prima che il letto fosse fiorito nella perfetta unione con Dio. Quindi subito canta la seconda proprietà nel verso seguente, dicendo

Da tane di lïon cinto d'intorno

4 - Per tane di leoni intende le virtù che ella possiede nel presente stato di unione con Dio. La ragione di questa metafora è che la tana del leone è molto sicura e difesa dagli assalti di tutti gli altri animali; i quali, temendo la forza e l 'audacia del leone che sta dentro, non solo non ardiscono di entrare nella sua tana, ma neanche osano fermarsi vicino. Similmente, quando l'anima possiede le virtù con perfezione, ciascuna di esse è per lei come una tana di leoni, nella quale lo Sposo Cristo dimora unito all'anima in quella virtù ed in ciascuna delle altre, qual forte leone. Di più, anche l'anima stessa, unita a Lui nelle medesime virtù, è come un forte leone, perché ivi partecipa delle proprietà di Dio. In tal caso, quindi, l'anima si trova tanto difesa e forte in ciascuna delle virtù e nel loro insieme e adagiata nel letto fiorito dell'unione col suo Dio, che i demoni non solo non osano aggredirla, ma nemmeno comparirle dinanzi, per il gran timore che ne hanno, vedendola così ingrandita, animosa e ardita con le virtù perfette nel letto dell'Amato. Stando ella unita in trasformazione di unione, tanto la temono, quanto

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temono l'Amato stesso; e neanche si peritano di mirarla, perché il demonio ha gran paura di un'anima perfetta.

5 - Dice inoltre che il letto è cinto da queste tane di virtù, perché adesso queste sono in tal guisa connesse e unite tra di loro, rafforzate e sostenute le une dalle altre, e così coordinate in una completa perfezione dell'anima, che non resta alcuna parte debole o aperta; e quindi, non solo il demonio non può entrare nell'anima, ma neppure alcuna cosa del mondo, alta o bassa che sia, la può, inquietare o infastidire, né muoverla affatto. Essendo ormai libera, come difatti qui lo è, da ogni molestia delle passioni naturali, lontana dalle tempeste mondane e immune dall'alterna vicenda delle cure temporali, gode della partecipazione di Dio con quiete e sicurezza. Questo appunto è ciò che la Sposa dei Cantici desiderava, quando disse: Chi mi darà, fratello mio, che tu sugga il seno di mia madre in modo che io ti trovi solo, fuori, e ti baci, e nessuno più mi disprezzi? (C t 8 , 1) . Questo bacio è l'unione di cui andiamo parlando, nella quale l'anima si uguaglia a Dio per amore. Per questo essa lo desidera, dicendo: chi le darà che l'Amato sia suo fratello? il che denota e produce uguaglianza. E che Egli sugga il seno di sua madre, cioè le consumi tutte le imperfezioni e gli appetiti della sua natura, ereditati dalla sua madre Eva; e lo incontri solo, di fuori, cioè si unisca con Lui soltanto, fuori di tutte le cose, spogliata di queste secondo la volontà e l 'appetito. Per conseguenza, nessuno la disprezzerà, cioè né la carne, né il demonio, né il mondo insorgeranno contro di lei, perché essendo purgata e libera da tutte queste cose e unita con Dio, nessuna di esse può darle molestia. L'anima, pertanto, gode in questo stato un'ordinaria soavità e tranquillità, che mai le viene a mancare.

6 - Però, oltre questa continua soddisfazione e pace, nell'anima sogliono aprirsi e tramandare profumi i fiori di virtù del menzionato giardino, in modo tale che le sembra, ed è così, di essere piena delle delizie di Dio. Ho detto che sogliono aprirsi i fiori di virtù che stanno nell'anima; perché, quantunque ella sia piena di virtù perfette, non sempre le gode in atto, pur gustando ordinariamente, come ho detto, la pace e tranquillità che le cagionano. Possiamo dire, infatti, che durante questa vita esse stanno nell'anima come fiori in un giardino, chiusi nel loro bocciolo. Ma cosa mirabile a vedersi! Alcune volte si aprono tutti per opera dello Spirito Santo, diffondendo un profumo e una fragranza meravigliosa e assai varia. Ed invero, accadrà che l'anima veda in sé i fiori delle montagne, le quali abbiamo detto che denotano l'abbondanza, la grandezza e la beltà di Dio; e, intrecciati con essi, i gigli delle valli ombrose, le quali sono il riposo, il refrigerio e la protezione divina; e, miste a gigli, le rose profumate delle isole strane, cioè delle notizie straordinarie di Dio. Inoltre si sentirà inondata dal profumo dei gigli dei fiumi sonori, cioè della grandezza di Dio che pervade tutta l 'anima; al quale profumo è frammischiato quello delicato del gelsomino, ossia del sibilo dell'aure amorose. In una parola, l 'anima in tale stato gusterà pure la fragranza di tutte le altre virtù e doni più sopra ricordati, ossia anche quella del conoscimento tranquillo, della musica silenziosa, della solitudine sonora e della saporita e amorosa cena. Quindi alle volte l'anima sente e gusta il profumo di tutti questi fiori uniti insieme, in modo tale che con tutta verità può dire: Nostro letto è fiorito, da tane di lïon cinto d'intorno. Felice l'anima che quaggiù meriterà di godere talvolta il profumo di questi fiori divini! Dice poi che questo letto è anche

Di porpora vestito.

7 - Nella divina Scrittura la porpora significa la carità, e di porpora si vestono e si servono i Re. Ciò posto, ben a ragione l'anima dice che il suo letto fiorito è vestito di porpora; perché tutte le sue virtù, ricchezze e beni si sostentano e fioriscono e si godono solamente nella carità e nell'amore del Re del Cielo, senza il quale amore l'anima non potrebbe gustare le delizie di questo letto e dei suoi fiori. Quindi tutte le virtù stanno nell'anima quasi distese sull'amor di Dio, come in un soggetto su cui ben si conservano, e sono immerse, per così dire, nell'amore; poiché tutte e ciascuna di esse vanno sempre innamorando di Dio l'anima, e in tutte le cose e opere si muovono con amore a maggior amore divino. Ecco ciò che significa essere vestito di porpora. La qual cosa è molto bene espressa nei Cantici, ove si dice che Salomone fece per sé un letto di legni del Libano, con le colonne d'argento, il reclinatorio d'oro e i gradini tappezzati di porpora, e che

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ordinò ogni cosa mediante la carità (C t 3 ,9 -10) . Le virtù e le grazie che Dio dispone nel letto dell'anima, e che sono simboleggiate dai legni del Libano e dalle colonne d'argento, hanno il loro reclinatorio o appoggio di oro, ossia di amore, perché si fondano e si conservano in esso. Tutte le virtù sono ordinate tra di loro e si esercitano mediante la carità di Dio e dell'anima. Ora la Sposa prosegue dicendo che il suo letto è

In pace edificato.

8 - È la quarta eccellenza di questo letto, che, per ordine, dipende dalla terza or ora spiegata. Questa, infatti, era la perfetta carità di cui è proprio espellere ogni timore, come dice S. Giovanni (1Gv 4 ,1 8 ) . Di qui nasce la pace perfetta dell’anima, cioè la quarta proprietà di questo suo letto. Per maggiore intelligenza di ciò, conviene sapere che ogni virtù è di per sé pacifica, mansueta e forte; e per conseguenza produce nell'anima che la possiede questi tre effetti: pace, mitezza e fortezza. E poiché il letto è fiorito, ossia adornato dei fiori delle virtù, e queste sono tutte pacifiche, mansuete e forti, ne segue che il letto è edificato di pace, e l 'anima è tranquilla, mite, vigorosa: tre qualità che la rendono immune da qualunque assalto del mondo, del demonio e della carne. Le virtù, quindi, mantengono l'anima così calma e sicura, che le sembra di essere tutta edificata di pace. Soggiunge poi la quinta proprietà del suo letto fiorito, cioè:

Di mille aurati scudi incoronato.

9 - Questi scudi sono le virtù e doni dell'anima. Sebbene abbiamo detto che esse sono i fiori ecc. di questo letto, le servono anche di corona e premio della fatica che sostenne per acquistarle. E non solo questo, ma come forti scudi le servono pure di difesa contro i vizi, che vinse e superò mediante il loro esercizio. Di modo che il letto della Sposa cosparso di fiori (che sono le sue virtù, la sua corona e la sua difesa) è coronato dalle virtù in premio della Sposa stessa, e protetto da esse come da scudi. Dice poi che gli scudi sono d'oro, per denotare il gran valore delle virtù. Quanto stiamo dicendo lo espresse la Sposa nei Cantici in altri termini: Mirate il letto di Salomone, attorniato da sessanta uomini forti tra i fortissimi d'Israele, ciascuno con la spada al fianco per difesa dal timori notturni ( C t 3 ,7 -8 ) . Di più, l 'anima nel presente verso dice che gli scudi sono mille, per denotare la moltitudine delle virtù, dei doni e grazie di cui Dio la dota in questo stato; perché, a significare l'immenso numero delle virtù della Sposa, anche il Signore usò dello stesso termine nei Cantici, dicendo: Il tuo collo è simile alla torre di Davide, che è munita di baluardi; ad essa sono appesi mille scudi, e tutte le armi dei forti (C t 4 ,4 ).

ANNOTAZIONI SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - L'anima che è giunta a questo grado di perfezione non si contenta solamente di esaltare e glorificare l 'eccellenze del suo Diletto, Figlio di Dio, né di cantare e riconoscere le grazie che da Lui riceve e le delizie che in Lui gode, ma anche riferisce quelle che Egli concede alle altre anime: poiché essa conosce chiaramente le proprie e le altrui, nell'attuale beata unione d'amore. Quindi è che, lodando l'Amato e ringraziandolo per i molti favori ch'Egli dispensa alle altre anime, così gli dice:

STROFA 25

Su tue care orme, milleDiscorrono il cammin giovani amanti,Al tocco di faville,Al rinforzato vino,Fuori versando balsamo divino.

DICHIARAZIONE

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2 - Quivi la Sposa loda, il Diletto per tre favori che le anime devote ricevono da Lui, mediante i quali prendono sempre più vigore e s'innalzano all'amore di Dio; e di essi fa qui menzione perché ben li sperimenta in questo stato. Dice che il primo che l'Amato comunica alle anime, è la soavità, la quale è tanto efficace che le fa camminare molto alacremente nella via della perfezione. Il secondo è una visita amorosa , con cui ad un tratto le infiamma di amore. Il terzo è che infonde loro una tale abbondanza di carità , che divinamente le inebria: di modo che, sì per questa ebbrezza come per la visita amorosa, il loro spirito elevato ad innalzare al Signore lodi e squisiti affetti di amore. Dice dunque:

Su tue care orme.

3 - L'orma è un vestigio di chi la impresse, e per mezzo di essa si va in traccia di lui. Ora, la soavità e la notizia che Dio comunica di sé all'anima che lo ricerca, è un vestigio, un'orma per cui essa va conoscendo e cercando Dio. E perciò l'anima qui dice al Verbo suo Sposo: Su tue care orme; cioè dietro il vestigio di soavità che di te imprimi e infondi, e dietro il profumo che di te spargi.

MilleDiscorrono il cammin giovani amanti.

4 - Vale a dire: Le anime devote, con forze di rinnovata gioventù ricevute dalla soavità della tua orma, discorrono, ossia corrono per molte parti e in diversi modi (ché ciò vuol dire discorrere), ciascuna per quella via e per quel genere di spirito e di stato a cui Dio la chiama, e con molta varietà di esercizi ed opere spirituali battono il cammino della vita eterna, che è, la perfezione evangelica per mezzo di cui s'incontrano col Diletto in unione di amore, dopo avere acquistato la nudità di spirito in tutte le cose. Questa soavità e vestigio che Dio lascia di sé nell'anima, la rende molto leggera e la fa correre dietro di Lui: poiché allora molto poca o niente è la fatica ch'ella impiega da parte sua per camminare; anzi è mossa e attratta da questa divina orma di Dio, non perché cammini soltanto, ma corra in molte maniere nella via della perfezione. Per questo la Sposa dei Cantici domandò allo Sposo tale divina attrazione, dicendo: «Trahe me post te: curremus in odorem unguentorum tuo rum»: Attirami dietro di te, e correremo al profumo dei tuoi aromi. E dopo che lo Sposo le diede da gustare quest’odore divino, soggiunse: « In odorem unguentorum tuorum currimus: adolescentulae dilexerunt te nimis» (C t 1 ,2 ): Corriamo all'odore dei tuoi unguenti: le giovani ti hanno grandemente amato. E Davide dice: Corsi nella via dei tuoi comandamenti, quando mi dilatasti il cuore. (S al 118 ,32 )

Al tocco di faville,Al rinforzato vino,Fuori versando balsamo divino.

5 - Nei primi due versetti abbiamo dichiarato che le anime discorrono il cammino dietro l'orma divina, con esercizi ed opere esteriori. Ora in questi tre versetti l 'anima allude all'esercizio che le medesime interiormente fanno con la volontà, mosse da altre due grazie e visite interiori che ricevono dal Diletto. Queste visite, queste grazie l'anima le chiama tocco di faville e rinforzato vino; esprime poi col nome di emissioni di balsamo divino l 'esercizio il interiore della volontà, il quale dipende ed è prodotto dalle due visite. Quanto al primo favore, è da sapersi che esso è un tocco finissimo che a volte l’Amato fa nell'anima, anche quando essa è meno raccolta, accendendole il cuore di un tal fuoco amoroso, da sembrarle proprio che una scintilla scenda su di lei e tutta l 'infiammi. Allora infatti, come chi di repente si sveglia, la volontà immediatamente si accende di amore, e desidera, loda, ringrazia, ossequia, stima e prega il suo Dio con gusto di amore: i quali atti sono dall'anima chiamati emanazioni di balsamo divino e corrispondono al tocco delle faville sprigionatesi dal divino amore, che appiccò il fuoco con la scintilla: questa è il balsamo divino che conforta e sana l'anima col suo profumo e con la sua sostanza.

6 - Di questo tocco divino la Sposa così dice nel Cantici: «Dilectus meus misit manum suam per foramen, et venter meus intremuit ad tactum eius» (C t 5 ,4 ): Il Diletto mise la sua

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mano nel pertugio dell'uscio, e il mio ventre tremò al suo tocco. Il tocco del Diletto è il tocco amoroso di cui parliamo, fatto all'anima; la mano è il gran favore che con ciò ella riceve; il pertugio per dove entrò la mano è il modo e il grado di perfezione posseduto dall'anima, perché il tocco suol essere maggiore o minore secondo la misura di questo grado, e in un modo o in un altro, a seconda della qualità spirituale dell'anima stessa. Il ventre che tremò, è la volontà in cui il tocco avviene, ed il suo tremare significa che in essa si sollevano a Dio gli appetiti e gli affetti di desiderio, di amore, di lode e tutti gli altri summenzionati, i quali sono le emanazioni di balsamo che dal tocco si effondono.

Al rinforzato vino.

7 - Il viro rinforzato è un'altra grazia molto maggiore, che a volte Dio fa alle anime perfette, mediante la quale le inebria nello Spirito Santo con un vino di amore soave, squisito e generoso, che qui è chiamato vino rinforzato: perché come un tal vino viene cotto con parecchie spezie differenti e di forte odore, così l 'amore che Dio comunica ai perfetti è già bollito e posato nelle loro anime, e rinforzato con le virtù che esse hanno già acquistate. Rinforzato da tali preziosi aromi, questo vino infonde nell'anima tanta forza e abbondanza di soave ebbrezza, allorché Dio la visita, che con grande efficacia e vigore le fa innalzare a Dio quelle emanazioni inebrianti di lode, di amore, di ossequio ecc., e tutto ciò con immensi desideri di operare e patire per Lui.

8 - Questa grazia della soave ebbrezza non passa così presto come la scintilla, ma è più duratura. La scintilla tocca e passa, quantunque il suo effetto duri un poco e talora abbastanza; mentre il vino rinforzato, insieme col suo effetto, che è, ripeto, l 'amore soave nell'anima, suol durare col suo effetto molto tempo, ora un giorno o due, ora molti, sebbene non sempre con uno stesso grado d'intensità, poiché si affievolisce o cresce indipendentemente dall'arbitrio dell'anima. Difatti, alle volte, senza far nulla dal canto suo, l 'anima sente nell'intima sua sostanza che il suo spirito si va soavemente inebriando e infiammando di vino d'amore, secondo quel che Davide dice: Il mio cuore si riscaldò dentro di me, e nella mia meditazione si accenderà il fuoco (S al 38 ,4 ) . Le emanazioni dell'ebbrezza di amore alcune volte durano tutto il tempo che essa dura; altre volte invece v'è l 'ebbrezza dell'anima, ma senza le emanazioni; queste poi sono più o meno intense, quando vi sono, in proporzione dell'intensità dell'ebbrezza. Ma le emanazioni o effetti della scintilla durano ordinariamente più di essa, anzi essa li lascia nell'anima; sono più accesi di quelli dell'ebbrezza perché talora la divina scintilla lascia l 'anima ardente in un incendio di amore.

9 - E poiché abbiamo parlato di vino cotto, sarà bene notare qui brevemente la differenza che vi è tra il vino cotto o vecchio e il nuovo, la quale sarà la stessa che passa tra i vecchi amanti e i nuovi, e servirà per dare qualche utile ammaestramento alle persone spirituali. Il vino nuovo non ha ancora concotta e deposta la feccia, e perciò bolle al di fuori, e non se ne sapere la bontà e la forza, perché corre sempre pericolo di guastarsi finché non abbia smaltito la feccia e il bollore; ha il sapore grosso e aspro, e fa male a chi lo beve. Al contrario, i1 vino vecchio che ha già depositato la feccia, e non ha più quegli esterni bollori del nuovo; si può giudicare ormai della sua bontà, perché è molto sicuro dal guastarsi, essendo cessata la fermentazione, durante la quale poteva corrompersi. Il vino ben cotto, quindi, difficilmente si altera e va a male; ha il sapore soave e la forza nella sua sostanza, non già nel gusto: e perciò produce buon effetto e infonde vigore a chi ne beve.

10 - I nuovi amanti sono paragonati al vino nuovo. Essi sono coloro che, cominciando a servire Dio, mostrano i fervori del vino dell'amore molto al di fuori, nel senso, perché non hanno ancora smaltito la feccia di esso, che è fiacco ed imperfetto, e ripongono la forza dell'amore nel gusto sensibile. Da questo ordinariamente attingono tutta la forza per operare, e per esso si muovono; e quindi non v'è da fidarsi di un tal genere di amore, sino a che non cessino quei fervori e gusti grossolani del senso. Poiché, come questi ardori sensibili possono avviarli e servire loro di buon mezzo nell'acquisto del perfetto amore, smaltita che sia interamente la feccia della loro imperfezione; così pure è molto facile in questi principi e novità di gusti, che il vino dell'amore venga

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loro a mancare e a perdere il fervore e il sapore del vino nuovo. I nuovi amanti sempre patiscono ansie e fatiche sensitive di amore. Ad essi è necessario moderare la bevuta, perché se operano molto secondo il bollore del vino, la natura si estenua con queste fatiche e ansie amorose del vino nuovo, che è aspro e ordinario, non soavizzato ancora dalla completa cottura, in cui cessano dette ansie di amore, come subito diremo.

11 - La medesima comparazione è usata dal Savio nell'Ecclesiastico, dicendo: Il nuovo amico è come il vino nuovo: s'invecchierà, e allora lo berrai con piacere (S i r 9 ,15 ). Pertanto i vecchi amanti, cioè quelli già esercitati e provati nel servizio dello Sposo, come il vino vecchio che ha già smaltito la feccia, non hanno più quei fervori sensitivi, né quella feccia e quei bollori esterni, ma gustano la soavità sostanziale del vino d'amore, già ben purificato. Il loro amore non consiste più nel gusto del senso, come quello dei nuovi amanti, ma è depositato lì, dentro l'anima, in sostanza, con sapore di spirito e verità di opere. Non si fondano nei gusti e fervori sensitivi, né vogliono gustarne, per non soffrire dispiaceri e fatiche, poiché colui che dà la briglia all'appetito per qualche sapore sensibile, di necessità dovrà patire pene e disgusti, e nel senso e nello spirito. Perciò i vecchi amanti, essendo ormai privi di quella soavità spirituale che ha la sua radice nel senso, non soffrono più ansie e pene di amore, né in quanto al senso, né in quanto allo spirito. Quindi è che difficilmente mancano a Dio, perché sono superiori a ciò che potrebbe farli mancare, superiori cioè alla sensualità, e possiedono il vino di amore, non solo già bollito e purificato della feccia, ma anche rinforzato (come si dice nel verso) con le suaccennate spezie delle virtù perfette, che non permettono che si guasti come il nuovo. E perciò il vecchio amico è in grande estimazione davanti a Dio, e l’Ecclesiastico così ne dice: Non abbandonare il vecchio amico, perché il nuovo non sarà simile a lui (S i r 9 ,14 ). In questo vino di amore, dunque, già provato e rinforzato nell 'anima, l 'Amato produce l'anzidetta ebbrezza divina, con la cui forza l'anima innalza a Dio le soavi e odorose emanazioni. In breve, il senso dei tre versi è il seguente: Al tocco di faville, col quale risvegli l 'anima mia, e al rinforzato vino, con cui amorosamente la inebri, ella indirizza a Te l'emanazione dei movimenti e degli atti di amore, che in essa produci.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Quale sarà dunque lo stato dell'anima felice che riposa in un letto così fiorito, dove avvengono tutte queste cose meravigliose e molte più ancora, e nel quale ha per reclinatorio lo Sposo Figlio di Dio, e per coperta e cortinaggio la carità e l'amore dello Sposo stesso? Di certo può ripetere le parole della Sposa nei Cantici che dice: Pose la sua sinistra sotto il mio capo (C t 2 ,6 ). Con tutta verità si può affermare che quest'anima è vestita di Dio e bagnata nella Divinità, non già superficialmente ma nell'intimo del suo spirito, perché essendo ricolma di delizie divine e dissetata alle acque spirituali di vita, sperimenta ciò che Davide dice di coloro che sono siffattamente congiunti a Dio: Saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e darai loro da bere del torrente delle tue delizie; poiché presso di te è la sorgente della vita (S al 3 5,9 - 10 ). Quale sarà, dunque, la sazietà dell'anima nel suo essere, dato che la bevanda che le si porge non è meno di un torrente di delizie? Questo torrente non è altro che lo Spirito Santo, il quale, come dice S. Giovanni, è il fiume risplendente di acqua viva che scaturisce dal trono di Dio e dell'Agnello (Ap 22 ,1 ): le cui acque, essendo un intimo amore di Dio, intimamente penetrano nell'anima e le danno da bere dell'amoroso torrente che è, ripeto, lo Spirito dello Sposo, infuso in lei in questa unione. E quindi, con sovrabbondanza di amore, ella canta la seguente

STROFA 26

Nella più interna cellaIo bevei dell'Amato; e fuori uscitaAlla pianura bella,Oblïato men gia,E la greggia perdei ch'io mi seguia.

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DICHIARAZIONE

2 - L'anima qui ridice la grazia sovrana che Dio le fece accogliendola nell'intimo del suo amore, il che importa unione o trasformazione amorosa in Lui. Aggiunge, che ne ricavò due vantaggi, ossia l 'oblio e distacco da tutte le cose del mondo, e la mortificazione di tutti i suoi appetiti e gusti.

Nella più interna cella.

3 - Per dire qualche cosa di questa cella e spiegare ciò che l'anima vuole esprimere e farci intendere, sarebbe necessario che lo Spirito Santo mi prendesse la mano e guidasse la mia penna. Questa cella cui l'anima allude, è l'ultimo e più stretto grado di amore nel quale essa può trovarsi in questa vita, e quindi la chiama cella interna, cioè la più interna: donde ne segue che ve ne sono altre meno interne, che sono i gradi di amore per dove si sale a quest’ultimo. Possiamo dire che questi gradi di amore o celle sono sette, e che l'anima li possiede tutti allorché perfettamente possiede i sette doni dello Spirito Santo, secondo la sua capacità di riceverli. Perciò, quando l'anima giunge ad avere con perfezione lo spirito di timore, ha conseguito già il perfetto spirito d'amore; in quanto che quel timore che è l 'ultimo dei sette doni, è un timore filiale, e il timore perfetto di figlio nasce dall'amore perfetto verso il padre. Ond'è che, quando la divina Scrittura vuole chiamare qualcuno perfetto in carità, lo chiama timorato di Dio. 10

Difatti Isaia, profetizzando la perfezione di Cristo, disse: «Replebit eum spiritus timoris Domini» ( I s 11 , 3): Lo riempirà lo spirito di timore del Signore. Ed anche S. Luca chiamò timorato il santo vecchio Simeone: «Homo histe iustus et timoratus» (L c 2 ,25 ) . E così di molti altri.

4 - È da sapersi che molte sono le anime che riescono ad entrare nella prima cella, ciascuna secondo la propria perfezione d'amore; ma poche in questa vita arrivano sino all'ultima, alla più interna, perché in questa è avvenuta l'unione perfetta con Dio, la quale va sotto il nome di matrimonio spirituale, di cui l'anima già parla in questo punto. Quello poi che Dio comunica all'anima in così stretta unione è assolutamente inesprimibile. Niente si può riferire, come non si può dire di Dio alcuna cosa che sia come Egli è, poiché Dio stesso è quegli che si comunica all'anima, con ammirabile gloria, di trasformazione di essa in Lui. In tale stato, Dio e l'anima sono due in uno, come se dicessimo che lo sono il cristallo con il raggio del sole , o il carbone con il fuoco , o la luce delle stelle con quella del sole; però non tanto essenzialmente e compiutamente come nell'altra vita. L'anima dunque, per fare intendere ciò che riceve da Dio in quella cella di unione non dice altra cosa, né credo che possa dirla più adatta allo scopo, se non il verso seguente:

lo bevei dell'Amato.

5 - Come la bevanda si sparge e si diffonde a ristorare tutte le membra e le vene del corpo, così questa comunicazione di Dio si sparge sostanzialmente per tutta l 'anima o, per meglio dire, l 'anima si trasforma in Dio, e a misura di questa trasformazione beve del suo Dio, secondo la propria sostanza e le potenze spirituali. Secondo l'intelletto, beve sapienza e scienza; secondo la volontà , beve amore soavissimo, e secondo la memoria, beve ricreamento e diletto nel ricordo e nel sentimento della gloria. Che l'anima riceva e beva diletto sostanzialmente, lo dice ella nei Cantici, in questi termini: «Anima mea liquefacta est, ut Sponsus locutus est» (Ct 5,6): L'anima mia si sciolse in delizie, subito che lo Sposo parlò: il quale parlare significa qui comunicarsi all’anima.

6 - Che poi l 'intelletto beva sapienza, lo dice la Sposa nel medesimo libro, dove desiderando essa di giungere a questo bacio di unione, e chiedendolo allo Sposo, disse: Ivi m'insegnerai, cioè mi darai sapienza e scienza d'amore, e io darò a te una bevanda di vino condito, ossia il mio amore condito col tuo, cioè trasformato nel tuo. (C t 8 ,2 )

10 Cf S. Giovanni della Croce Salita del Monte Carmelo, Libro primo, c. 2, n. 4: Timore del Signore «il quale timore di Dio, quando è perfetto, va congiunto anche al perfetto amore divino che consiste nella trasformazione per amore dell 'anima in Dio.

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7 - Inoltre, che la volontà beva amore, lo afferma parimenti la Sposa nei Cantici, dicendo: M'introdusse dentro la segreta cella del vino, e ordinò in me la carità (C t 2 ,4 ). Come se dicesse: Mi diede da bere amore, avendomi introdotta dentro il suo amore; o parlando in modo più chiaro e proprio: Ordinò in me la sua carità, accomodando e adattando a me la sua medesima carità; do il che significa che l'anima beve dal suo Amato il di Lui stesso amore. che Egli le infonde.

8 - Ma qui è necessario fare una distinzione intorno a quello che dicono alcuni, che cioè la volontà non può amare una cosa, senza che prima l'intelletto l'abbia conosciuta. Questo è vero, se s'intende naturalmente parlando, ché di certo, per via naturale, è impossibile amare, se prima non s'intende ciò che si ama; ma, per via soprannaturale, Dio ben può infondere amore e aumentarlo, senza comunicare ed accrescere una cognizione distinta, come dal testo allegato si può rilevare. Aggiungasi l'esperienza di molti spirituali, i quali spesso si vedono ardere d'amor di Dio, senza avere una cognizione più chiara di prima: possono intendere poco e amare molto e, viceversa, intendere molto e amare poco. Anzi, per solito, quelli che con l'intelletto non penetrano molto addentro nelle cose di Dio, sogliono progredire nella volontà, bastando loro per scienza d'intelletto la fede infusa, mediante la quale Dio infonde loro la carità e l 'aumenta insieme al suo atto, perché ami di più, quantunque non cresca in essi la cognizione. La volontà, quindi, può benissimo bere amore, senza che l'intelletto beva una nuova intelligenza. Del resto però, nel caso nostro, in cui l'anima dice di avere bevuto del suo Amato, trattandosi di unione nella cella interna, di unione cioè che avviene secondo tutt'e tre le potenze dell'anima, è indubitato che esse tutte bevono unitamente.

9 - È manifesto, infine, che l'anima beve del suo Amato secondo la memoria, poiché è illuminata dalla luce dell'intelletto a ricordarsi dei beni che possiede e gode nell'unione col suo Diletto.

10 - Questa divina bevanda tanto innalza e deifica l'anima, imbevendola di Dio, che ne perdura l'effetto anche dopo che ella è

Fuori uscita.

11 - Ossia dopo che ha cessato di ricevere tal grazia. Poiché l'anima, una volta posta da Dio in questo sublime stato di matrimonio, sempre vi persevera secondo la sua sostanza, non sempre però vi si trova in attuale unione secondo le sue potenze. Ma in questa unione sostanziale dell'anima, anche le potenze si uniscono assai di frequente, e bevono in questa cella: l 'intelletto conoscendo, la volontà amando ecc. Quando dunque l'anima dice: Fuori uscita, non s'intende dell'unione essenziale o sostanziale che ella già possiede nello stato anzidetto, ma dell'unione delle potenze , la quale non è continua in questa vita, né lo può essere. Da questa unione, dunque, fuori uscita

Alla pianura bella

I2 - Ossia per tutta l 'ampiezza del mondo,

Oblïando men gìa.

I3 - Dice così, perché quella bevanda di altissima sapienza divina le fa dimenticare tutte le cose del mondo, e sembrare che quanto sapeva prima ed anche tutto ciò, che il mondo sa, sia pura ignoranza in comparazione di quel divino sapere. Per meglio intendere ciò, si noti che la causa più formale per cui l 'anima, posta in tal grado, non sa le cose del mondo, è che essa rimane informata dalla scienza soprannaturale, a confronto della quale tutto il sapere naturale e umano di quaggiù è piuttosto un non sapere. L'anima quindi, elevata a quell'altissima sapienza, intende bene per mezzo di essa che qualsiasi altra che non conosca quella, non è sapienza, ma ignoranza, in cui non v'è cognizione vera di alcuna cosa: confermandosi così la verità del detto dell'Apostolo, cioè che la sapienza degli uomini è stoltezza dinanzi a Dio (1C or 3 ,19 ) . E perciò l'anima dice che, dopo aver bevuto di

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quella sapienza divina obliando sen gìa tutto il resto. Quanto poi sia vero che tutta la scienza umana è pura ignoranza, degna di non essere appresa, non si può capire se non per mezzo della grazia dell'unione, per cui Dio sta nell'anima e le comunica la sua sapienza, corroborandola con la bevanda di amore, in modo che ella comprenda chiaramente quella verità che Salomone espresse molto bene, dicendo: Questa è la visione veduta e narrata da un uomo col quale sta Dio, e che confortato dalla dimora che il Signore fa in lui, disse: Io sono il più insipiente degli uomini, e la loro sapienza non è con me (P ro 30 , 1 -2 ) . Ciò dice perché, stando in quell'eccesso di alta sapienza di Dio, gli diventa ignoranza quella bassa degli uomini. Le scienze naturali e le opere stesse fatte da Dio sono come un non sapere di fronte a ciò che è sapere di Dio, perché dove non si sa Dio, non si sa nulla. Quindi è che le cose alte di Dio sono, come dice S. Paolo (1C or 2 ,14 ) , stoltezza e follia presso gli uomini. E perciò i savi secondo il mondo e quelli secondo Dio si stimano insipienti a vicenda; perché né i primi possono percepire la sapienza e la scienza di Dio, né i secondi quella del mondo, essendo la sapienza mondana un non sapere intorno a quella di Dio, e viceversa.

14 - Ma, oltre a ciò, quell'indiamento o elevazione della mente in Dio, nella quale l'anima rimane come rapita e imbevuta di amore, tutta trasformata in Dio, non le permette di fare avvertenza a cosa alcuna della terra; perché non solo rimane estranea a tutte le cose, ma anche a se stessa, e annichilita, assorbita e liquefatta in amore, il che consiste nel passare da sé all'Amato. Così pure avvenne alla Sposa dei Cantici, la quale, dopo aver parlato della sua amorosa trasformazione nel Diletto, con la parola: Nescivi, Non seppi (C t 6 ,11 ), volle farci intendere questo non sapere in cui rimase. In questo grado l'anima si trova in certo modo nello stato d'innocenza di Adamo, che non conosceva che cosa fosse il male. Ella è tanto innocente che non capisce il male, e niente giudica come tale. Udrà, e magari vedrà con i propri occhi molte cose cattive, e tuttavia non potrà intendere che lo sono. E la ragione è che non ha più in sé alcun abito di male onde possa giudicarne, avendone Dio estirpati tutti gli abiti imperfetti e l 'ignoranza (in cui cade il male del peccato), mediante l’abito perfetto della vera sapienza; e quindi, anche sotto questo aspetto, la Sposa obliando sen gia.

15 - Un'anima tale poco s'intrometterà nei fatti altrui, perché neppure si ricorda dei suoi. Lo spirito di Dio ha questo di proprio, che inclina subito l'anima in cui dimora ad ignorare e non voler sapere le cose degli altri maggiormente poi quelle che non sono di suo profitto; perché lo spirito di Dio è raccolto e volto all'anima stessa, piuttosto per cavarla dalle cose estranee che per implicarvela, e perciò l'anima resta senza sapere cosa alcuna nella maniera che prima solleva.

16 - Ma non per questo si deve credere che l'anima, rimanendo in tale ignoranza, perda gli abiti che aveva delle scienze acquisite, ché anzi essi le si perfezionano con l'abito più perfetto, cioè quello della scienza soprannaturale che le è stato infuso: solo che questi abiti ormai non regnano più nell’anima in modo che ella abbia necessità di sapere le cose per mezzo loro, sebbene ciò non toglie che alcune volte avvenga altrimenti. Nell'unione con la sapienza divina, questi abiti si congiungono con la sapienza superiore alle altre scienze, alla stessa guisa che una luce piccola e debole di unisce ad un’altra maggiore e viva: nel qual caso avviene che è quest’ultima che risplende, vincendo la prima, la quale tuttavia non si estingue, ma piuttosto si perfeziona, benché non sia la luce che illumina principalmente. Sono del parere che così sarà in cielo, che cioè gli abiti di scienza acquisita posseduti dai giusti non si distruggeranno, ma non saranno loro di grande utilità, sapendo i beati assai di più nella sapienza divina.

17 - Ma le notizie e le forme particolari delle cose, gli atti immaginari e qualsiasi altra apprensione che abbia forma e figura, tutto ciò, dico, l 'anima lo perde ed ignora in quell'assorbimento di amore; e questo per due ragioni. La prima, perché rimanendo l'anima attualmente assorta e imbevuta in quell'amorosa bevanda, non può stare attualmente in altra cosa, e neppure badarvi. La seconda, la ragione principale, è che quella divina trasformazione la conforma talmente con la semplicità e purezza di Dio (nella quale non cade alcuna forma o figura immaginaria), che la lascia monda, pura e vuota di tutte le forme e figure che aveva per l 'innanzi, purgata e illuminata dalla

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semplice contemplazione. Non altrimenti da quello che fa il sole, che quando batte su di un'invetriata, la rende chiara, facendo perdere di vista le macchie e pulviscoli che prima vi si scorgevano: però, al ritirarsi del raggio solare, tornano ad apparire le tenebre e macchie di prima. Ma, in :quanto all'anima, come le resta alcun poco l'effetto di quell'atto di amore, così parimenti dura il suo non sapere: di maniera che non può prestare attenzione a nessuna cosa in particolare, sino a che non passi l 'effetto di quell'atto di amore, il quale, come l’infiammò e trasformò in amore, così l 'annichilì e disfece rispetto a tutto ciò che non era amore. E in questo senso possiamo intendere quel detto di Davide: Essendosi infiammato il mio cuore, nello stesso tempo anche i miei reni si mutarono, ed io fui ridotto al nulla, e non seppi (S al 72 ,21 - 22). Il mutarsi dei reni a causa dell'infiammazione del cuore, è il mutarsi dell'anima in Dio, secondo tutti i propri appetiti ed operazioni, in una nuova maniera di vita, distrutto e annientato interamente il vecchio modo d'agire. E perciò il Profeta dice che fu ridotto al niente, e non seppe: sono appunto i due effetti che dicevamo essere prodotti dalla bevanda della cella interna di Dio; poiché l'anima non solo si annichila intorno al suo sapere primiero, tutto sembrandole un niente, ma anche circa tutta la sua vecchia vita con le sue imperfezioni, rivestendosi dell'uomo nuovo. Questo secondo effetto si contiene nel seguente verso:

E la greggia perdei ch'io mi segua.

18 - Finché l'anima non arriva allo stato di perfezione di cui parliamo, per quanto spirituale sia, sempre le resta qualche piccolo gregge di appetiti, di gusti e di altre imperfezioni, sia naturali, sia spirituali, a cui va appresso, dando loro pascolo col seguirli e soddisfarli. Difatti, circa l'intelletto, per solito le rimane qualche imperfetto appetito di sapere. Circa la volontà si lascia trasportare dalle proprie vogliuzze e appetiti: ora intorno alle cose temporali, come ad esempio col possedere dei piccoli oggetti, attaccandosi più agli uni che agli altri; con aver qualche presunzione, o desiderio di stima, o qualche puntiglio, ed altre simili sciocchezze che ancora sanno e risentono di mondo. Ora manca intorno alle cose naturali, come nel mangiare e nel bere, gustando più di questo che di quello, desiderando e scegliendo il migliore. Ora anche intorno alle cose spirituali come nel volere consolazioni da Dio, e così tante altre debolezze (e non finiremmo mai di enumerarle), in cui purtroppo gli spirituali non ancora perfetti sogliono cadere. Infine, circa la memoria, essi ammettono grande varietà di sollecitudini e considerazioni inopportune, che trascinano l'anima dietro di sé.

19 - Rispetto poi alle quattro passioni dell'anima, costoro hanno pure molte speranze, gaudi, dolori e timori inutili, da cui l 'anima si lascia trasportare. Del suddetto gregge alcuni ne hanno più, altri meno, ma tutti lo seguono, fintanto che non entrino a bere in quell'interna cella, dove lo perdono interamente, rimanendo tutti trasformati in amore: ivi, infatti, il gregge delle imperfezioni si distrugge più facilmente, che non la ruggine e l 'ossido dei metalli nel fuoco. L'anima, quindi, si sente libera ormai da tutte le piccinerie di vogliuzze e dispersioni dietro cui andava, in modo che finalmente ben può dire: E la greggia perdei ch'io mi seguia.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - In questa interna unione Dio si comunica all'anima con amore così vero, che non v'è amore di madre che con uguale tenerezza accarezzi il suo figliolo, né affetto di fratello, né benevolenza di amico che possa reggere al confronto. La tenerezza e la sincerità dell'amore col quale il Padre celeste ricrea ed esalta l 'anima umile e amante, giunge a tal segno che - oh cosa meravigliosa che riempie di timore e ammirazione insieme! - si assoggetta veramente a lei per elevarla, come se Egli fosse il suo servo ed ella il signore; ed è così sollecito a favorirla, quasi che Egli fosse il suo schiavo ed ella fosse Dio! tanto profonda è l'umiltà e la dolcezza di Dio! In questa comunicazione di amore, il Signore esercita in qualche maniera quel servizio che, come Egli stesso dice nel Vangelo, presterà ai suoi eletti in cielo, dove cioè, succintasi la veste, passando dall'uno all'altro, li servirà (L c 12 ,37 ) . E così qui, è tutto applicato a favorire ed accarezzare l'anima come fa una madre nel servire e vezzeggiare il suo bambino, nutrendolo al suo seno; onde l'anima

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conosce la verità di quel detto d'Isaia: Sarete portati sul seno`di Dio, e sulle sue ginocchia sarete accarezzati ( I s 66 ,12 ) .

2 - Quali saranno, dunque, i sentimenti dell'anima ricolma di grazie sì eccelse? Come si struggerà di amore! Quanto sarà piena di gratitudine, vedendo il seno di Dio aperto per lei con così sovrano e generoso amore! Sentendosi immersa fra tante delizie, gli fa dono di tutta se stessa ed offre in ricambio il seno della propria volontà e del proprio amore, sperimentando in sé ciò che la Sposa dei Cantici provava ed esprimeva al suo Sposo, così dicendo: Io sono per il mio Amato, ed Egli è rivolto verso di me. Vieni, Diletto mio, e andiamocene in campagna, facciamo dimora nelle ville. Leviamoci di buon mattino per andare alla vigna e vedere se essa è fiorita, se i fiori promettono i frutti, e se i melograni fiorirono. Ivi ti offrirò il mio petto (C t 7 ,10 -12): cioè impiegherò i gusti e la forza della mia volontà in servizio del tuo amore. Poiché, dunque, nella presente unione avviene la reciproca donazione di se stessi tra Dio e l'anima, questa la riferisce nella seguente strofa, dicendo:

STROFA 27

Quivi il suo petto diemmi,E qui dolce scïenza in sen m’infuseEd io tutta sua femmi;Né serbando a me cosa,Quivi promisi a lui d’esser sua sposa

DICHIARAZIONE

3 - Nella presente strofa la Sposa narra la donazione vicendevole d'ambedue le parti, cioè di lei e di Dio, in questo matrimonio spirituale. Dice che nell' interna cella di amore entrambi si unirono in comunicazione amorosa, porgendole Egli liberamente il petto del suo amore, insegnandole i segreti della divina sapienza, ed ella tutta si dona a Lui di fatto, senza riservare nulla per sé né per altri, affermando di essere tutta sua, e per sempre.

Quivi il suo petto diemmi.

4 - Offrire il petto ad un altro significa donargli il proprio amore ed amicizia e rivelargli i segreti, come ad un amico. E perciò l'anima, dicendo che l'Amato le diede lì il suo petto, vuol esprimere che le comunicò il suo amore e i suoi segreti: il che Dio fa con l'anima in questo stato, e molto più fa ciò che ella soggiunge nel verso seguente:

E qui dolce scïenza in sen m'infuse.

5 - Questa scienza saporosa è la mistica teologia, la scienza segreta di Dio. Dagli spirituali è chiamata contemplazione, ed è molto gustosa, perché è scienza per via d'amore, il quale è il maestro di essa e rende saporita ogni cosa. Questa scienza o intelligenza, essendo infusa da Dio nell'amore con cui Egli si comunica all'anima, è dolce all'intelletto, perché è scienza che ad esso appartiene, ed in pari tempo è dolce alla volontà, perché è infusa in amore, il quale spetta a questa potenza. E subito aggiunge:

Ed io tutta sua femmi;Né serbando a me cosa,.

6 - In quella bevanda soave e divina, in cui l 'anima s'imbeve di Dio, ben volentieri e con grande dolcezza ella si dona interamente al Signore, volendo essere tutta sua e non avere in sé nessuna cosa diversa da Lui, per sempre. Dio stesso, causando nell'anima la detta unione, le concede anche la purezza, la perfezione che a tal fine si richiede. Trasformandola in sé, la rende tutta sua e la vuota di tutto ciò che aveva di alieno da Dio.

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Quindi è che non soltanto secondo la volontà, ma anche secondo l'opera, ella rimane in realtà tutta donata a Dio, niente riservando per sé, come Dio liberamente si è donato tutto a lei; e perciò quelle due volontà restano cedute e soddisfatte scambievolmente in modo che l'una non debba mai mancare all'altra in cosa alcuna, ma serbi costante fedeltà di matrimonio. L'anima, quindi, prosegue:

Quivi promisi a lui d'esser sua sposa.

7 - Come la sposa non in altri ripone il suo amore, il suo pensiero, la sua opera, fuorché nel suo sposo, così in questo stato l'anima non ha né affetti di volontà, né cognizioni d'intelletto, né sollecitudini, né opere, né appetiti che non siano rivolti a Dio, perché è come divina, deificata; di maniera che non prova nemmeno i primi moti contrari a ciò che ella può intendere che sia volontà di Dio. E, come un'anima imperfetta assai spesso sperimenta almeno i primi moti d'inclinazione al male, secondo l'intelletto, la volontà, la memoria, gli appetiti e le imperfezioni, così l 'anima, posta in questo stato, sin dai primi moti delle medesime potenze ed appetiti, è mossa e tende a Dio, perché in Lui ha già trovato grande aiuto, fermezza e perfetta conversione al bene. Davide ci fece bene intendere tutto ciò allorché, parlando dell'anima sua in tale stato, disse: Non sarà forse l'anima mia soggetta a Dio? Sì, perché da Lui viene la mia salute; Egli è il mio Dio, la mia salvezza, il mio rifugio; non mi muoverò mai più (S al 61 ,2 - 3 ). Nel dire: il mio rifugio, vuol significare che, essendo l'anima sua rifugiata in Dio e unita con Lui, come qui diciamo, non avrebbe avuto più alcun movimento contro Dio.

8 - Da ciò che si è detto si comprende chiaramente che l'anima, giunta allo stato di matrimonio spirituale, non sa fare altra cosa che amare e andar sempre in delizie di amore con lo Sposo, perché è arrivata alla perfezione, la cui forma ed essenza, al dire di S. Paolo, è l'amore (Co l 3 ,14) . Un'anima, quanto più ama, tanto più è perfetta in ciò che ama, e quindi quest'anima, che ormai è perfetta, è tutta amore, per così dire, e ogni sua azione è amore . Essa impiega le sue potenze e quanto altro ha, in amare, dando tutte le sue cose, come il saggio mercante (M t 13 ,46 ), per il tesoro di amore che trovò nascosto in Dio; il quale tesoro è così prezioso innanzi a Lui, che l'anima, vedendo che il suo Amato niente apprezza, né di niente si diletta all'infuori dell'amore, tutta si applica in amare puramente Dio, perché desidera di servirlo perfettamente. E non solo perché Egli così vuole, ma anche perché !'amore in cui è unita la spinge in tutte le cose e per mezzo loro all'amore di Dio. Come l'ape trae il miele da tutti i fiori, e non si serve di essi che a tale scopo, così pure l'anima ricava assai facilmente dolcezza di amore da tutte le cose che si succedono in lei. O dolci o aspre che siano, non le sente, non le gusta, non le sa: informata e protetta com'è dall'amore, non trova in esse che motivi di amare Dio, perché non sa far altro che amare, e la sua soddisfazione in tutte le cose o azioni è sempre un gusto di amore divino. Ed appunto per esprimere tutto ciò ella dice la strofa che segue.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Ma, poiché abbiamo detto che Dio non si compiace d'altra cosa che di amore, sarà bene innanzi tutto addurne la ragione, ed è che tutte le nostre opere e fatiche, per quanto grandi siano, sono un niente davanti agli occhi dì Dio. In esse, infatti, non gli possiamo offrire nulla, né compire il suo desiderio, il quale è solo di esaltare l’anima. Nessuna esaltazione Egli desidera per sé, perché, non ne ha bisogno; e quindi, se fa uso di qualche cosa,. si serve di quella onde l'anima venga esaltata. Ora, poiché non v'è altro mezzo con cui possa tanto esaltare l'anima, quanto con uguagliarla a se stesso, perciò unicamente vuole che l'anima lo ami, essendo che è proprio dell'amore rendere simile l'amante alla cosa amata. Onde, poiché qui l 'anima possiede perfetto amore, si chiama Sposa del Figlio di Dio, il che significa uguaglianza con Lui, nella quale uguaglianza di amicizia tutte le cose sono comuni ad ambedue, secondo ciò che lo Sposo stesso disse ai suoi discepoli: Io vi ho chiamati amici miei, perché tutto quello che ho inteso dal Padre mio, ve l'ho manifestato (Gv 15 ,15 ) . La strofa dunque dice così:

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STROFA 28

Di lui tutta son io;Tutto il mio capital per lui s’adopra.Già la mia graggia oblio,Né ho più altro uffizio,Ma, solo nell’amar è il mio esercizio

DICHIARAZIONE

2 - Poiché, nella precedente strofa l'anima, o per dir meglio la Sposa, ha affermato di essersi donata tutta allo Sposo senza riservare niente per sé, dichiara ora all'Amato il modo da lei usato nel donarglisi, dicendo che ormai il suo spirito, il suo corpo, le sue potenze ed ogni sua capacità sono impiegate soltanto in quelle cose che si riferiscono al servizio di Lui. Aggiunge che perciò non cerca più il proprio interesse, né va dietro ai suoi gusti, e nemmeno si occupa in altre cose o faccende estranee a Dio; che anzi con Dio stesso non usa più altra maniera fuorché esercizio di amore, avendo già cambiato in amore tutto il suo agire di prima, secondo che ora si dirà.

Di lui tutta son io.

3 - Nel dire che è tutta di Lui, l'anima fa intendere la cessione che di sé fece all'Amato in quell’unione di amore, in cui la sua anima rimase votata al servizio di Lui con tutte le sue potenze: l 'intelletto, applicandosi a conoscere le cose che sono di maggior gloria di Dio, per compirle; la volontà, amando tutto quello che a Dio piace, e volgendo l'affetto a Lui in ogni cosa; la memoria, avendo sollecito pensiero di ciò che appartiene al divino servizio e torna più gradito al Signore. E soggiunge:

Tutto il mio capital per lui s'adopra.

4 - Col nome di capitale l 'anima intende qui tutto ciò che riguarda la sua parte sensitiva, in cui si comprende il corpo con tutti i suoi sensi e potenze tanto interne che esterne, e tutta la sua capacità naturale, cioè le quattro passioni, gli appetiti naturali e quant'altro mai ella possiede. Dice che tutto questo ha consacrato al servizio del suo Amato, non meno che la parte razionale e spirituale dell'anima, di cui abbiamo fatto parola nel verso precedente. Difatti, usa del corpo secondo Dio, indirizzando a Lui le operazioni dei sensi interni ed esterni. Inoltre le quattro passioni dell'anima sono unite a Dio; perché ella non gode se non di Dio, né spera in altro che in Dio; né teme che Dio, né si duole se non secondo Dio: infine tutti i suoi appetiti e sollecitudini tendono a Lui solo.

5 - Tutto questo capitale è così impiegato e indirizzato a Dio, che tutte le sue parti anzidette nei primi moti s'inclinano ad operare in Dio e per Dio, anche senza che l'anima se ne avveda. Poiché l'intelletto, la volontà e la memoria subito corrono a Dio: e similmente gli affetti, i sensi, i desideri, gli appetiti, la speranza, il gaudio ed ogni altra virtù naturale dell'anima di primo slancio salgono a Dio , quand'anche, ripeto, ella non avverta di operare per Lui. Ed invero, bene spesso accade che l'anima attenda alle cose divine e operi per il Signore, senza pensare né ricordarsi che agisce per Lui; perché l'abito acquisito di procedere in tal maniera la priva dell'attenzione e avvertenza e perfino degli atti fervorosi, che in addietro soleva fare al principio delle azioni. Poiché, dunque, tutto questo capitale dell'anima è impiegato in Dio nel modo suesposto, di necessità ella prova ciò che dice nel verso seguente:

Già la mia greggia oblio.

6 - Che è quanto dire: Non vado più appresso ai miei gusti ed appetiti. Avendoli donati e riposti in Dio, l 'anima non li pascola, né li custodisce più per sé. Non solo poi afferma di aver lasciata la custodia di tal gregge, ma aggiunge:

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Né ho più altro uffizio.

7 - Prima che giungesse a fare la donazione e cessione di sé e del suo capitale all'Amato, l 'anima era solita avere molti uffici non certo profittevoli, con i quali procurava di servire al proprio e all’altrui appetito; poiché possiamo dire che quanti abiti d'imperfezioni aveva, altrettanti uffici esercitava. Questi uffici o proprietà erano l'abitudine di pensare, dire e fare cose inutili, come pure di non servirsi di queste azioni conforme alla perfezione dell'anima. Di più suole avere altri appetiti con cui serve a quelli altrui, come ad esempio: le ostentazioni, i complimenti, le adulazioni, i riguardi, lo studio di fare bella comparsa e di dar piacere alle persone con le proprie doti, e mille altri mezzi vani con cui si adopera di rendersi loro gradita, impiegando in tutto ciò la sollecitudine e l'appetito, l'opera e, in una parola, il capitale dell'anima. Ma adesso ella dice di avere abbandonato tutti questi uffici, perché. ormai tutti i suoi pensieri, parole ed opere sono di Dio, indirizzati a Lui, e non vanno accompagnati dalle consuete imperfezioni di prima. Quindi è come se dicesse: lo non cerco più di soddisfare il mio o l'altrui appetito, né mi occupo, né m'intrattengo in altri inutili passatempi o vanità del mondo.

Ma solo nell'amar è il mio esercizio.

8 - Vale a dire: Tutti i suddetti uffici sono posti in esercizio d'amor di Dio; cioè tutta la capacità dell'anima e del corpo, la memoria, l’intelletto e la volontà, i sensi esterni ed interni, gli appetiti della parte sensitiva e spirituale, tutto si muove per amore e nell'amore: poiché, nell'operare, faccio ogni cosa per amore, e nel patire sopporto tutto con gusto di amore. Il che è quello che Davide volle intendere quando disse: Custodirò per te la mia forza. (S al 58 ,10 )

9 - Qui è da notarsi che, quando l'anima giunge a tale stato, tutto l'esercizio della parte spirituale e della parte sensitiva, sia nel fare, sia nel patire in qualsivoglia maniera, sempre le cagiona più amore e piacere in Dio: perfino l'esercizio stesso dell'orazione e tratto dell'anima con Dio, che prima soleva aggirarsi intorno a varie forme di considerazioni, è divenuto ormai tutto esercizio di amore. Di modo che, così nel disbrigo delle faccende temporali, come nella pratica delle cose spirituali, l 'anima sempre può asserire che il suo esercizio consiste solamente in amare.

10 - Felice vita, felice stato, e fortunata l'anima che vi giunge! dove tutto è per lei sostanza di amore, diletto e gaudio nuziale. Onde la Sposa può davvero ripetere allo Sposo divino quelle parole di puro amore che gli dice nei Cantici: Tutti i pomi, e vecchi e nuovi, ho serbato per te (C t 7 ,13 ). Come se dicesse: O mio Diletto, tutto ciò che è aspro e faticoso me lo riserbo per amor tuo, e tutto ciò che è soave e gustoso lo riserbo per te solo. Ma il senso più proprio del verso è che l'anima, in tale stato di matrimonio spirituale, cammina ordinariamente in unione e amor di Dio, la quale è una generale e ordinaria avvertenza di volontà amorosa in Dio.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Veramente quest'anima è perduta a tutte le cose, e solo guadagnata all'amore, non impiegando più lo spirito in altra cosa. Quindi è che ella si ritira anche da ciò che significa vita attiva ed esercizi esteriori, per attendere davvero all'unica e sola cosa, a detta dello Sposo, necessaria, ossia l'attenzione e il continuo esercizio di amore in Dio (L c 10 ,4 2 ) . Questo è ciò che lo Sposo apprezza e stima tanto, che riprese Marta che voleva allontanare Maria dai piedi di Lui, per occuparla nelle faccende domestiche in servizio del Signore. Marta credeva di far tutto lei, e che Maria non facesse niente, solo perché questa se ne stava godendo il Signore; mentre accadeva tutto il contrario, non essendovi altra opera migliore e più necessaria dell'amore. Similmente nei Cantici lo Sposo difende la sua Diletta, scongiurando tutte le creature del mondo (ivi significate dalle figlie di Gerusalemme) di non impedire alla Sposa il sonno spirituale di amore, e di non farla svegliare né aprire gli occhi ad altra cosa, finché essa non voglia.

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2 - E qui si deve avvertire che, fintanto che l'anima non arriva a questo stato di unione d'amore, è bene che eserciti l'amore così nella vita attiva come nella contemplativa; però, giunta che sia all'unione, non è conveniente che si occupi più in altre opere ed esercizi esteriori che le possano impedire di un sol punto quell'attenzione amorosa in Dio, benché conferissero molto al di Lui servizio. Poiché un pochino di puro amore è più prezioso al cospetto del Signore e per l'anima stessa, ed apporta maggiore utilità alla Chiesa, che non tutte le altre opere unite insieme, quantunque sembri che l'anima non faccia niente.11 Ed è per questo che Maria Maddalena, sebbene con la sua predicazione recasse gran vantaggio e fosse per recarne molto maggiore in seguito, desiderosa com'era di far cosa grata allo Sposo ed utile alla Chiesa, si nascose per trent'anni in un deserto per dedicarsi davvero a questo amore, sembrandole che ad ogni modo, così facendo, avrebbe guadagnato assai di più: tanto importa e giova alla Chiesa un pochino di tale amore!

3 - Pertanto, quando un'anima avesse un poco di questo grado di solitario amore, si farebbe non piccolo danno a lei e alla Chiesa, se la volessero occupare, anche per breve tempo, in cose esteriori o attive, quantunque assai importanti. Che se Dio stesso scongiura che nessuno la svegli dal suo sonno amoroso, chi ardirà di farlo senza esserne ripreso? ché alla fin fine l'amore è lo scopo per cui fummo creati. Quelli, dunque, che sono molto attivi e che pensano di abbracciare tutto il mondo con le loro predicazioni ed opere esteriori, riflettano bene che apporterebbero molto più utilità alla Chiesa, e riuscirebbero assai più graditi a Dio (anche a prescindere dal buon esempio che darebbero), se spendessero almeno la metà del loro tempo nello starsene con Dio in orazione, ancorché non fossero giunti a tanto alta orazione, come questa di cui parliamo. Allora certamente otterrebbero di più e con minor fatica, più con un'opera che con mille, e ciò per il merito della loro orazione e per le forze spirituali in essa acquistate; altrimenti, tutto si ridurrà ad un martellare e a fare poco più di niente, e alle volte proprio niente, anzi non di rado anche danno. Dio non voglia che il sale della terra cominci a diventare insipido, poiché allora, per quanto sembri che produca qualche buon effetto esteriormente, in sostanza però non sarà nulla, essendo certo che le buone opere non si possono fare se non in virtù di Dio.

4 - Oh quanto si potrebbe scrivere su questo argomento! ma non è qui il luogo opportuno. Ho premesso ciò a spiegazione della strofa seguente, poiché in essa l'anima si difende rispondendo a quei che impugnano il suo ozio santo, e vogliono che tutto sia attività, che tutto splenda di fuori e sazi lo sguardo altrui, non intendendo essi la vena donde scaturisce l'acqua, né la radice occulta da cui germoglia ogni frutto. La strofa, dunque, dice così

STROFA 29

Che se all'aperto uscitaNon fia che occhio mortal mi vegga o trovi,Dite che son smarrita,Amor seguendo. Oh qualeAlla perdita mia guadagno eguale!

DICHIARAZIONE

5 - L'anima qui risponde a una tacita riprensione dei mondani, i quali hanno per costume di biasimare coloro che davvero si danno a Dio, giudicandoli per esagerati nella loro vita ritirata e raccolta, e nel loro modo di agire, tacciandoli anzi da inetti agli affari importanti, e perduti a ciò che il mondo apprezza e stima. Da questa riprensione, e da

11 Cf Fiamma viva d’Amore, Strofa 1, n. 3. - S. Teresa di G.B: «Gesù mio, ti amo, amo la Chiesa mia Madre, mi ricordo che «i l minimo moto di amor puro le è più utile che non tutte le al tre opere riuni te insieme» � , ma l 'amore puro esiste nel mio cuore? I miei desideri immensi non sono un sogno, una follia? Ah se così fosse, Gesù, il luminami. Tu lo sai, io cerco la verità» (Ms n. 259).

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quant'altro mai il mondo le può opporre, l 'anima si difende con molto buon garbo, ma con non minor coraggio e ardire, perché essendo giunta al vivo dell'amore di Dio, fa poco conto di tutto il resto. E non solo questo, ma ella stessa qui confessa e si pregia e si gloria di avere scelto il partito migliore, perdendosi al mondo ed a se stessa per il suo Diletto. Quindi, quello che in questa strofa vuol dire all'indirizzo dei mondani è che, se non la vedessero più come prima prendere parte alle conversazioni e ai passatempi del secolo, credano e dicano pure ch'ella si è perduta e allontanata da loro, e che ciò reputa un bene così grande, che da se stessa ha voluto perdersi per andare in cerca del suo Amato, ardendo d'amore per Lui. E perché comprendano il profitto ricavato dalla sua perdita, e non la stimino una sciocchezza o un inganno, dice che questa perdita fu il suo guadagno, e che perciò a bello studio si volle perdere.

Che se all'aperto uscitaNon fia che occhio mortal mi vegga o trovi.

6 - L’aperto significa un luogo pubblico, dove la gente suole riunirsi a prendere sollazzo e ricrearsi, od anche dove i pastori pascolano le loro gregge. Quindi per l 'aperto l 'anima qui intende il mondo, dove i seguaci di esso trovano i loro passatempi e conversazioni, e pascono le gregge dei loro appetiti. L’anima, dunque, dice ai mondani che, se ella non fosse vista né trovata in mezzo a loro, come soleva accadere prima che fosse tutta di Dio, pensino pure che è perduta, anzi lo dicano, ché non solo essa ne gode, ma lo desidera e perciò soggiunge:

Dite che son smarrita.

7 - Chi ama, non si vergogna dinanzi al mondo delle opere che fa per amore di Dio, né le nasconde per rossore, ancorché tutto il mondo gliele condanni; poiché, chi si vergognerà al cospetto degli uomini di confessare il Figlio di Dio, tralasciando di fare le sue opere, meriterà, come Egli dice per S. Luca, di essere rinnegato da Lui davanti al Padre suo ( Lc

9 , 26 ). L'anima pertanto, con amoroso coraggio, piuttosto si pregia che, a gloria del suo Diletto, altri veda l'opera che essa ha fatto per Lui, come cioè si sia perduta a tutte le cose del mondo, e perciò ripete: Dite che son smarrita.

8 - Ma sono pochi gli spirituali che acquistano un ardire e una risolutezza così grande nell'operare: poiché, quantunque alcuni si comportino in tal guisa e credano anzi di essere molto avanzati in questo, tuttavia su vari punti concernenti o il mondo o il proprio naturale, non riescono a perdersi interamente, cioè in modo da fare le opere perfette e pure per amore di Cristo, senza badare a ciò che altri possa dire o pensare. Costoro, quindi non potranno ripetere: Dite che son smarrita, perché non sono perduti a se stessi nell'operare: ancora si vergognano di confessare Cristo coi fatti dinanzi agli uomini, e avendo umani riguardi, non vivono veramente in Cristo.

Amor seguendo.

9 - Cioè praticando io le virtù, innamorata di Dio.

Oh qualeAlla perdita mia guadagno eguale!

10 - L'anima, ben sapendo il detto dello Sposo nel Vangelo, cioè che nessuno può servire a due padroni, ma necessariamente deve mancare ad uno dei due (M t 6 ,2 4 ), dice qui che, per non mancare a Dio, mancò a tutto quello che non è Dio, ossia a tutte le altre cose ed a se stessa, perdendosi a tutto ciò per suo amore. Chi è innamorato davvero, subito si lascia perdere a tutto il resto, per guadagnarsi di più in ciò che ama; e per questo l'anima dice che si perdette da se stessa, ossia a bella posta. Ciò avvenne in due maniere. La prima, rispetto a se stessa, col non fare nessun conto di sé, ma dell'Amato, donandosi a Lui graziosamente, senza ombra d'interesse, e rendendosi perduta, senza desiderare per sé guadagno alcuno. La seconda, rispetto a tutte le cose, col non far caso di nessuna, ma solo

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di quelle che riguardano il suo Diletto: questo significa rendersi perduta, bramare cioè di esser guadagnata.

11 - Chi dunque è veramente innamorato del Signore, non pretende per sé emolumenti né premi, ma desidera soltanto perdere tutto, e con la volontà anche se stesso per Lui, in ciò riponendo il proprio guadagno. Così è infatti, secondo le parole di S. Paolo che dice: «Mori lucrum» (F i l 1 , 21 ); ossia: il mio morire a tutte le cose e a me stesso per Cristo, è il mio guadagno spirituale. E perciò l'anima dice di essersi guadagnata: laddove chi non sa perdersi, non si guadagna, anzi si perde, secondo che Nostro Signore afferma nel Vangelo, dicendo: Chi vuole guadagnare per sé l'anima sua, la perderà; e chi la perderà per amor mio, la guadagnerà (M t 16 ,25 ). Ma prendiamo il suddetto verso in senso più spirituale e più conforme al presente argomento. Diciamo dunque che, quando nel cammino spirituale un'anima è giunta al punto da smarrirsi in tutte le strade o modi naturali di procedere con Dio, sicché non più lo cerchi per via di considerazioni o forme o sentimenti, né per altri mezzi di creature o di sensi, ma passando sopra tutto questo, e sopra ogni suo modo e maniera, tratti con Dio e lo goda solamente in fede a amore, allora sì che è davvero guadagnata a Dio, perché davvero si è perduta a tutto quello che non è Lui, e a ciò che ella è in sé.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Essendo, dunque, l 'anima guadagnata in tal guisa, tutto ciò che opera è per lei un acquisto; perché tutta la forza delle sue potenze è rivolta a trattare spiritualmente col suo Amato, con intimo e assai gustoso amore; nel quale tratto le comunicazioni interiori che passano tra Dio e l'anima sono accompagnate da così delicato e sublime diletto, che lingua mortale non vale ad esprimere, né umano intelletto a comprendere. Poiché come una sposa nel giorno delle sue nozze non attende ad altro che a festa e diletto d'amore, a far bella mostra dei suoi gioielli e delle sue grazie per piacere e rallegrare lo sposo, facendo questi altrettanto dal canto suo; così qui, in queste nozze spirituali, in cui l’anima sente veramente ciò che la Sposa dice nei Cantici: Io sono per il mio Amato, ed Egli è per me (C t 6 ,2 ), le virtù e le grazie dell’anima Sposa, e le magnificenze e le grazie dello Sposo Figlio di Dio sono messe in piena luce e approntate per celebrare le nozze di questo matrimonio, dove i beni e i diletti delle due parti vengono comunicati a vicenda con vino di squisito amore nello Spirito Santo. A manifestazione di ciò, l’anima canta allo Sposo la strofa seguente:

STROFA 30

Di smeraldi e di rose,Scelte nei freschi mattutini albori,Ghirlandette vezzose,Nell'amor tuo fiorite,Intreccerem, con un mio crine unite.

DICHIARAZIONE

2 - Quivi la Sposa, tornando a parlare con lo Sposo in comunicazione e ricreazione di amore, tratta del piacere e del diletto che essa e il Figlio di Dio provano nel possesso delle ricchezze, doni e virtù, e nell'esercizio di queste, godendone in comune amorosamente. E per questo l'anima, volgendo la parola allo Sposo, gli dice che formeranno insieme ricche ghirlande di doni e di virtù, acquisite e guadagnate in tempo accettevole e conveniente, abbellite e rese graziose nell'amore che Egli le porta, e sostenute e conservate in quello che essa nutre per Lui. Chiama, pertanto, questo godere delle virtù un farne ghirlande, perché appunto tutte unite in tal guisa come fiori, sono godute da ambedue nel reciproco amore che si portano.

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Di smeraldi e di rose.

3 - Le rose (e i fiori in genere) sono le virtù dell'anima, e gli smeraldi sono i doni che ha da Dio. Ora queste rose e smeraldi sono

Scelti ci freschi mattutini albori,

4 - ossia guadagnate e acquistate nella gioventù, che è il fresco mattutino albore della vita. Le chiama scelte, perché le virtù che si acquistano in giovinezza sono molto pregevoli e gradite a Dio, essendo che in quel tempo vi è maggior ostacolo da parte dei vizi nell'acquistarle, e più inclinazione e prontezza a perderle da parte della natura; ed anche perché, se l'uomo le comincia a cogliere sin dai primi anni, le acquista più perfette e scelte. Chiama poi la gioventù freschi mattutini albori, perché come in primavera il fresco mattino è gradevole più che le altre parti del giorno, così lo sono le virtù della giovinezza al cospetto di Dio. Di più, per i freschi mattutini albori si possono pure intendere gli atti di amore onde si acquistano le virtù, i quali sono più graditi a Dio che non i freschi mattini ai figli degli uomini.

5 - Per freschi mattini s'intendono anche le opere fatte nelle aridità ed angustie di spirito, denotate dal freddo delle mattinate invernali: e certamente sono molto apprezzate da Dio le opere compiute per suo amore in aridità di spirito e difficoltà, perché in queste l 'anima si arricchisce grandemente di virtù e di doni. Che anzi le virtù guadagnate con fatica generalmente sono più scelte, squisite e stabili, che se si acquistassero soltanto con gusto e dolcezza di spirito: perché la virtù mette più profonde radici nell'aridità, nelle difficoltà e travagli, secondo che Dio disse a S. Paolo: La virtù si perfeziona nella debolezza (2C or 12 ,9 ) 12. Adunque, per magnificare l'eccellenza delle virtù di cui si devono formare le ghirlande per l 'Amato, l 'anima ben si esprime dicendo: Scelte nei freschi mattutini albori, poiché Egli molto si compiace solamente di questi fiori e smeraldi di virtù e di doni scelti e perfetti, non già degli imperfetti; e perciò l'anima Sposa soggiunge che di essi per Lui

Ghirlandette vezzose...Intreccerem.

6 - Ad intelligenza di ciò è da sapersi che tutte le virtù e i doni che l'anima e Dio acquistano in lei, sono come una ghirlanda di vari fiori coi quali è mirabilmente abbellita di finissima varietà,. E affinché meglio si comprenda, diciamo che, come i fiori materiali di cui si voglia formare una ghirlanda, vengono intrecciati man mano che si colgono, così i fiori spirituali di virtù e di doni celesti sono inseriti nell'anima man mano che si acquistano. Finito che sia di farne acquisto, è pure bell'e compiuta nell'anima la ghirlanda di perfezione di cui essa e lo Sposo si dilettano, restandone abbelliti e adorni proprio in modo corrispondente a tale stato di perfezione. Queste sono le ghirlande che l'anima, com'essa dice, intreccerà insieme col suo Sposo: ella cioè dovrà cingersi e attorniarsi con la varietà dei fiori e con gli smeraldi delle virtù e dei doni perfetti, perché possa comparire degnamente con così prezioso e vago ornamento dinanzi al cospetto del Re, e meriti che questi la uguagli a sé collocandola come Regina al suo lato, giacché essa lo merita per la bellezza e la varietà dei suoi ornamenti. Quindi è che Davide, parlando con Cristo, a tal proposito dice: «Adstitit Rgina a dextris tuis in vestito deaurato, circumdata varietate» (S a l 44 ,10 ): Stette la Regina alla tua destra in manto d'oro, circondata di svariati ornamenti. Quasi volesse dire: Stette alla tua destra, vestita di perfetto amore e circondata dalla varietà dei doni e delle virtù perfette. E l’anima non dice: Farò io soltanto ghirlande, e nemmeno: Le farai tu solo; ma: Le intrecceremo tutt’e due insieme; perché l'anima non può esercitare e acquistare le virtù da sola, senza l'aiuto di Dio, e neppure Dio le produce nell'anima, senza di lei; perché quantunque sia vero, secondo il detto di San Giacomo (Gc 1 ,17 ), che ogni bene ottimo a noi concesso ed ogni dono perfetto viene dall'alto, scendendo dal Padre dei lumi, tuttavia non si riceve senza la capacità e la cooperazione dell'anima che lo riceve. E perciò, parlando la Sposa dei Cantici con lo Sposo, disse: Traimi, dietro a te correremo (C t 1 ,3 ). Di modo

12 Traduzione CEI: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infat ti si manifesta pienamente nella debolezza».

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che, secondo il senso del testo, la mozione al bene ha da venire solamente da Dio; ma, in quanto al correre, non dice che Lui solo o lei sola correrà, ma correranno tutt'e due, cioè operando Dio e l'anima insieme.

7 - Il verso che stiamo spiegando si può riferire assai propriamente a Cristo e alla Chiesa, che volgendosi al suo Sposo, gli dice: Intrecceremo ghirlande; intendendo con tal nome tutte le anime dei giusti, generate da Cristo e della Chiesa. Ed infatti, ognuna di esse è come una ghirlanda ornata di fiori di virtù e doni, e tutte insieme formano una corona al capo di Cristo Sposo. Di più, per belle ghirlande si possono intendere quelle che con altro nome si chiamano aureole, anch'esse fatte, per mano di Cristo e della Chiesa, le quali sono di tre specie. La prima è di singolare bellezza, e composta dei bianchi fiori di tutte le vergini; ciascuna di esse porta l 'aureola della sua verginità, e tutte insieme formeranno una corona che cingerà il capo di Cristo, loro Sposo. La seconda è intessuta dei fiori risplendenti dei santi dottori, che tutti uniti costituiranno un'altra aureola, da sovrapporsi a quella delle vergini, sul capo di Cristo. La terza è ingemmata dai rossi garofani dei martiri, ciascuno dei quali con l'aureola del suo martirio, e tutti insieme formeranno una aureola e daranno compimento all’aureola di Cristo Sposo. Con queste tre ghirlande, Egli sarà tanto bello e grazioso a vedersi, che si dirà in Cielo quello che la Sposa dice nei Cantici: Uscite,. figlie di Sion, e mirate il re Salomone con la corona di cui lo cinse sua madre nel giorno delle sue nozze, nel giorno della letizia del suo cuore (C t 3 , 11) . Faremo dunque, dice l'anima, queste ghirlande

Nell'amor tuo fiorite.

8 - Il fiore delle opere e delle virtù è la grazia e il vigore che riportano dall'amore di Dio, senza di che non solamente non fiorirebbero, ma tutte sarebbero aride e senza alcun valore avanti a Lui, ancorché fossero umanamente perfette. Però, poiché Egli dà la sua grazia e il suo amore, le opere sono fiorite nel suo amore.

Intreccerem con un mio crine unite.

9 - Questo crine è la volontà dell'anima e l'amore che porta al Diletto, il quale amore compie l'ufficio che il filo ha nella ghirlanda. Come il filo, infatti, lega e ferma i fiori nella corona, così l 'amore stringe e inserisce le virtù nell'anima, e ve le sostiene: poiché, come dice S. Paolo, la carità è il vincolo e il legame della perfezione (C o l 3 ,14 ). Di maniera che le virtù e i doni soprannaturali sono così necessariamente attaccati con l'amore, che se questo si rompesse mancando di fedeltà a Dio, subito tutte le virtù si staccherebbero dall'anima e verrebbero meno, come appunto cadono i fiori, quando si spezza il filo nella ghirlanda. Non basta quindi che Dio ci ami, per infonderci le virtù; ma si richiede ancora che noi lo amiamo, a fine di riceverle e conservarle. L'anima fa menzione di un solo crine, e non di molti, per significare che ormai la sua volontà è sola e distaccata da tutti gli altri capelli, che sono gli amori estranei e contrari. Nel che magnifica altamente il valore e il pregio delle ghirlande delle virtù, poiché quando l'amore è unico e saldo in Dio (quale essa qui dimostra), anche le virtù sono perfette, compite e molto fiorite nell'amor di Dio, essendo allora immenso e inestimabile l 'amore che Egli porta all'anima, come ella stessa ben lo sente.

10 - Tuttavia se io volessi far comprendere la bellezza dell'intreccio di questi fiori e smeraldi di virtù, o ridire qualche cosa della forza e maestà che il loro ordine e disposizione pongono nell'anima, o la perfezione e grazia onde essa viene abbellita da questo vestimento di varietà, non troverei parole e termini sufficienti ad esprimerlo. Nel libro di Giobbe, Dio parlando del demonio dice: Il suo corpo è a lamine di scudi di metallo fuso, e munito di squame così strette fra loro e aderenti l 'una all'altra, che non vi può passare nemmeno l'aria (Gb 41 ,6 - 7) . Se dunque il demonio, essendo rivestito di malizie finite e ordinate fra di loro (simboleggiate dalle squame che a guisa di scudi lo ricoprono) ha tanta forza; e se nondimeno ogni malizia in se stessa è debolezza, quanta non sarà la forza di quest'anima tutta vestita di robuste virtù, tanto connesse e intrecciate tra loro, che non danno luogo ad alcuna bruttezza o imperfezione, ma rendono piuttosto l'anima forte della loro fortezza, belli della loro bellezza, ricca del loro valore e pregio, nobile e grande

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della loro maestà? Quanto meravigliosa apparirà alla vista spirituale l 'anima Sposa nella grazia di questi doni, collocata alla destra del Re suo Sposo! Quanto sono belli i tuoi passi nei tuoi calzari, figlia del Principe! dice di lei lo Sposo stesso nei Cantici (C t 7 ,1 ). La chiama figlia del Principe, per denotare il principato che qui possiede. La dice bella nella calzatura; che sarà mai del suo vestito?

11 - Non solo poi ammira la bellezza della sua veste di fiori di virtù, ma anche [ s paven ta ] la formidabile forza e possanza, che le deriva dall’ordinata disposizione dei medesimi, a cui sono frapposti gli smeraldi di innumerevoli doni divini: e perciò negli stessi Cantici lo Sposo le dice: Tu sei terribile come un esercito schierato a battaglia (C t 6 ,3 ). Queste virtù e doni di Dio, come ricreano con il loro odore spirituale, così pure, essendo uniti nell'anima, danno forza con la loro sostanza. E perciò quando la Sposa dei Cantici era debole e inferma d'amore, perché non era ancora giunta ad unire e intrecciare questi fiori e smeraldi col capello del suo amore, desiderava di fortificarsi con la loro unione, e la chiedeva con queste parole: Fortificatemi con fiori e stipatemi di mele, perché languisco d'amore (C t 2 ,5 ): intendendo per fiori le virtù, e per mele gli altri doni.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Credo che sia chiaro come, per l'intreccio di queste ghirlande composte nell'anima, quest'anima Sposa vuol fare intendere la divina unione di amore che c'è tra lei e Dio in questo stato. Lo Sposo è i fiori, essendo il fiore del campo e il giglio delle convalli, com’Egli dice (C t 2 ,1 ); e il crine dell'amore dell'anima è quello che lega e unisce con lei questo fiore dei fiori. E, come dice l'apostolo, l'amore si deve avere sopra tutte le cose, perché è il vincolo della perfezione (C o l 3 ,14 ) , la quale è l'unione con Dio. L'anima è il fastello sul quale si compongono le ghirlande, poiché ella è il soggetto di questa gloria, non apparendo più l'anima ciò che era prima, ma il medesimo perfetto fiore con la perfezione e la bellezza di tutti i fiori. Quel filo di amore unisce e stringe Dio e l’anima con tanta forza, che li trasforma e fa diventare una sola cosa per amore. Di modo che, quantunque nella sostanza siano diversi, nella gloria, però e nella comparsa l'anima sembra Dio e Dio l'anima.

2 - Tale è quest'ammirabile unione che sorpassa ogni dire. Se ne può intendere qualcosa da ciò che la Scrittura dice di Gionata e Davide nel primo libro dei Re, dove si legge che era tanto stretto l'amore che Gionata portava a Davide, da conglutinare l'anima dell'uno con quella dell'altro (1R e 18 , 1 ). Se, dunque, l 'amore di un uomo verso di un altro fu così forte da conglutinare le anime di ambedue, quale sarà la conglutinazione che farà dell'anima con lo Sposo Dio l'amore che l'anima ha per lo stesso Dio? Tanto più che qui Dio è l'amante principale, che con l'onnipotenza del suo amore abissale assorbe in sé l'anima, con più efficacia e forza di quel che non farebbe un torrente di fuoco verso una goccia di rugiada mattutina, che suole sperdersi sciolta nell'aria. Il capello, dunque, che compie quest'opera di unione, dovrà essere senza dubbio molto robusto e sottile, se con tanta forza penetra le parti che stringe; e perciò l'anima dichiara nella seguente strofa le proprietà di questo suo bel crine dicendo:

STROFA 31

Da quel che contemplastiSolo crine ondeggiar sul collo mio,(Sul mio collo il mirasti),Preso fosti e legato,E in un degli occhi miei ti sei piagato.

DICHIARAZIONE

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3 - L'anima vuole dire tre cose in questa strofa. La prima è che quell'amore in cui stanno legate le virtù non è altro che l'amore forte, perché tale certamente ha da essere per conservarle. La seconda, che Dio, fu preso da questo suo capello di amore, vedendolo solo e forte. La terza, ch'Egli s'innamorò grandemente di lei, vedendo la purezza e l 'integrità della sua fede.

Da quel che contemplastiSolo crine ondeggiar sul collo mio.

4 - Il collo significa la forza, in cui volava il crine dell'amore nel quale stanno intrecciate le virtù. È un amore di fortezza, poiché per conservare le virtù non basta che sia solo, ma deve essere anche forte, affinché nessun vizio contrario possa spezzare in qualche punto la ghirlanda della perfezione. Le virtù, infatti, sono legate da questo capello d'amore dell'anima con tale ordine che, quando se ne rompesse una, subito cadrebbero tutte le altre; poiché, come dove si trova una si trovano tutte, cosi pure ove ne manca una, mancano tutte. L'anima dice che il crine ondeggiava sul suo collo perché, essendo ella robusta, l 'amore vola a Dio con grande forza e leggerezza, senza impigliarsi in cosa alcuna. E come 1’aria agita e fa volare il capello sul collo, così pure l'aura dello Spirito Santo muove e solleva l'amore forte, perché spicchi i suoi voli a Dio. Senza quest'aura divina che muove le potenze all'esercizio d'amor divino, le virtù non operano, né producono il loro effetto, quantunque l'anima ne sia adorna. Dicendo poi che l'Amato contemplò volare il capello sul suo collo, l 'anima ci fa capire quanto Dio ami l'amore forte, perché contemplare è guardare con particolare attenzione e molta stima ciò che si vede; e l'amore forte fa sì che Dio volga fisso lo sguardo a contemplarlo.

Sul mio collo il mirasti.

5 - Con queste parole l'anima vuol significare che Dio, non solamente apprezzò e stimò il suo amore, vedendolo solo, ma anche lo amò, vedendolo forte; perché il mirare di Dio è amare, come il suo contemplare è stimare ciò che contempla. Torna poi a far menzione del collo in questo verso, dicendo del crine: sul mio colto il mirasti; poiché il vederlo forte fu appunto la causa per cui il Signore molto lo amò. Quindi è come se dicesse: Lo amasti, vedendo che era forte, senza timore o pusillanimità, e solo, senz'altro amore, e che volava con leggerezza e fervore.

6 - Fin qui Dio non aveva mirato questo capello in modo da restarne preso, perché non l'aveva veduto solo e separato dagli altri capelli, cioè da altri amori, appetiti, affetti e gusti; esso, quindi, non ancora ondeggiava solo sul collo della fortezza. Ma, dacché per mezzo delle mortificazioni, dei travagli, delle tentazioni e della penitenza giunse a staccarsi e rendersi forte, in modo da non rompersi in nessuna occasione né per qualsivoglia violenza, Dio lo mira, lo prende e vi attacca i fiori della ghirlanda; perché esso ha forza per tenerli uniti all'anima.

7 - Ma quali e di qual sorta siano queste tentazioni e travagli, e sin dove arrivino perché l'anima possa conseguire questa forza di amore, con cui Dio si unisce a lei, resta spiegato alquanto nella dichiarazione delle quattro strofe che cominciano: O fiamma d'amor viva. L'anima, essendo ormai passata per quelle pene, è pervenuta a tal grado d'amor di Dio da meritare la divina unione, e quindi subito soggiunge:

Preso fosti e legato.

8 - O cosa veramente degna d'immensa ammirazione e allegrezza che dio resti preso da un capello! La causa di questa cattura sì preziosa è che Dio ha voluto fermarsi a mirare il volo del capello sul collo, come dicono i versi precedenti. Il mirare di Dio è lo stesso che amare. Se Egli, per sua grazia e misericordia, non ci mirasse e amasse per primo, come dice S. Giovanni (1Gv 4, 10 ) , e non si abbassasse, il volo dei crine del nostro basso amore non farebbe alcuna presa in Lui, perché non avrebbe così alto volo che giungesse a prendere quest'aquila divina delle altezze, e l 'inducesse a mirarci e a provocare il volo e ad elevarlo sopra al nostro amore, dandogli vigore e forza. Perciò Egli stesso volle esser

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preso nel volo del capello, ossia Egli stesso se ne invaghì e compiacque, e per conseguenza ne restò preso; questo vuol dire: Sul mio collo il mirasti, preso fosti e legato. È cosa, infatti, molto credibile che un uccello d'al basso volo possa prendere l'aquila reale dal volo elevato, se essa viene a basso volendo esser presa.

E in un degli occhi miei ti sei piagato.

9 - Per occhio qui intende la fede, e dice che in un sol occhio lo Sposo restò piagato, poiché se la fede e la fedeltà dell’anima verso Dio non fosse sola ma mescolata con altri riguardi, non riuscirebbe a piagarlo d'amore. Uno solo, dunque, deve essere l'occhio in cui il Diletto è piagato, come uno solo il capello in cui viene preso. Ed è così forte l 'amore col quale lo Sposo si affeziona alla Sposa per la fedeltà unica che vede in lei, che se dal crine del suo amore era preso, nell'occhio della sua fede è legato da uno stretto vincolo che amorosamente lo impiaga, per la gran tenerezza di affetto con cui si affeziona a lei :internandola così sempre più nel divino amore.

10 - Ciò che abbiamo detto dell'occhio e del capello, lo dice anche lo Sposo nei Cantici, parlando con la Sposa: Tu hai ferito il mio cuore, sorella mia; hai ferito il mio cuore con uno dei tuoi occhi e con un crine del tuo collo (C t 4 ,9 ). Nelle quali parole ripete due volte che la Sposa gli ferì il cuore, cioè con l'occhio e col crine. Similmente l'anima, nella presente strofa, fa menzione di queste due cose, per denotare la sua unione con Dio, secondo l'intelletto e la volontà; poiché la fede significata dall'occhio, si soggetta [ r ad ica ]

nell'intelletto per fede e nella volontà per amore. Ella si gloria di questa unione, e ringrazia il suo Sposo di un tal favore, perché ricevuto dalla sua mano, avendo in gran pregio che Egli si sia degnato di compiacersi del di lei amore e restarne preso. Intorno a ciò si potrebbe considerare il gaudio, l 'allegrezza e il diletto che l'anima proverà con un tal prigioniero, come colei che da tanto tempo era sua prigioniera, essendo innamorata di Lui.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Grande è il potere e la tenacia dell’amore, che seduce e lega lo stesso Dio. Felice l'anima che ama! Ella ha Dio per prigioniero, arreso a tutto ciò che essa vuole, perché Egli è di tal natura che, se lo pigliano per amore e per bene, lo muoveranno a fare quanto desiderano; in caso diverso, non v'è preghiera o potere che valga con Lui, per quanto si faccia; ma ripeto, per via di amore, con un solo capello lo legheranno. L'anima quindi, sapendo ciò, e riconoscendo che molto al di sopra dei suoi meriti Dio le ha concesso grazie tanto segnalate da innalzarla a così alto grado di amore, con pegni così ricchi di doni e di virtù, attribuisce tutto a Lui nella seguente strofa, dicendo:

STROFA 32

Quando mi vagheggiavi,In me tua grazia il guardo tuo imprimea.Quindi vieppiù mi amavi,E degno il mio si feaQuello adorare in te, che in te vedea.

DICHIARAZIONE

2 - È proprietà dell'amore perfetto non voler accettare e prendere niente per sé, né attribuire nulla a sé,. ma tutto all'Amato. Che se ciò avviene anche nei bassi amori, quanto più dovrà avverarsi (secondo che la ragione lo richiede) nell'amore verso Dio? Ma, nelle due ultime strofe, sembra che la Sposa attribuisca a sé qualche cosa. Infatti, primieramente dice che insieme allo Sposo avrebbe composte le ghirlande e le avrebbe intrecciate con un suo capello, il che è opera di gran pregio e stima; e poi dice che si

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gloria che lo Sposo sia rimasto preso da un suo capello e piagato da un occhio suo, ed anche in ciò pare che si ascriva non piccolo merito. Ciò posto, nella presente strofa l'anima vuol dichiarare il suo pensiero, e tenere lontano il pericolo di essere fraintesa, temendo che venga attribuito a lei qualche valore e merito, e per conseguenza si ascriva a Dio, contro il proprio desiderio, meno di ciò che gli è dovuto. Attribuendo, dunque, ogni cosa a Lui, e al tempo stesso ringraziandolo, gli dice che, se Egli restò preso dal capello del suo amore e piagato dall'occhio della sua fede, ciò fu perché Egli stesso si compiacque di mirarla con amore, rendendola con ciò graziosa e a se stesso gradevole; e che, appunto per questa grazia e pregio da Lui ricevuti, essa meritò il suo amore, e fu fatta degna di avere in sé virtù e valore per adorare gradevolmente il Diletto, e fare opere degne della sua grazia e del suo amore.

Quando mi vagheggiavi

3 - Cioè con affetto di amore: perché qui il mirare di Dio significa amare.

In me tua grazia il guardo tuo imprimea

4 - Per lo sguardo dello Sposo s'intende la sua divinità misericordiosa; la quale, inchinandosi pietosamente verso l'anima, infonde e imprime in lei il suo amore e la sua grazia, con cui l 'abbellisce e solleva tanto, che la rende partecipe della stessa divinità L'anima, dunque, vedendo la dignità e l 'altezza in cui Dio l'ha collocata, soggiunge:

Quindi vieppiù mi amavi

5 - Questo amare vieppiù è amare molto, e dice di più che il semplice amare; è come un amare doppiamente, cioè per due titoli o ragioni. Onde in questo verso l'anima fa intendere i due motivi dell'amore che lo Sposo le porta, per i quali Egli l 'ama, non solo perché preso e innamorato del suo capello, ma anche perché piagato dal suo occhio. L'anima riferisce in questo verso che la causa per cui lo Sposo vieppiù l'amò in così stretta maniera, fu che egli, mirandola, volle darle grazia per compiacersi di lei, infondendole l'amore del suo capello, e formandole la fede del suo occhio mediante la carità divina. Quindi, dice, vieppiù mi amavi; perché Dio, infondendo nell'anima la sua grazia, la rende degna e capace del di Lui amore. Come se dicesse: Avendo posto in me la tua grazia, alto pegno del tuo amore, mi amavi vieppiù, cioè mi donavi grazia maggiore. La stessa cosa dice San Giovanni: Dà la grazia in corrispondenza di quella che ha dato (Gv

1 , 16 ): il che è dare più grazia, perché senza la sua grazia non si può meritare la sua grazia.

6 - Per intelligenza di ciò è da notarsi che Dio, come non ama altra cosa fuori di sé, così non ama cosa alcuna più bassamente di sé, perché tutto ama per sé. Quindi è che l'amore ha ragione di fine, e che Dio non ama le cose per quel che sono in se stesse. Pertanto, che Dio ami l'anima è metterla in certa maniera in se stesso, uguagliandola a sé; perciò ama l'anima in sé e con sé, con lo stesso amore con cui Egli si ama. Per conseguenza, in ogni opera che fa in Dio, l'anima merita l 'amore di Lui; perché, elevata a questa grazia ed altezza, in ogni opera merita lo stesso Dio. Ben a ragione, quindi, subito prosegue:

E degno il mio si fea.

7 - Ossia: In questo favore e grazia che gli occhi della tua misericordia mi fecero quando mi miravi, rendendomi gradita agli occhi tuoi e degna di essere veduta da te, il mio sguardo meritò

Quello adorare in te, che in te vedea

8 - Vale a dire: Le potenze dell'anima mia, Sposo diletto, che sono gli occhi con cui puoi essere veduto da me, meritarono di essere innalzate a rimirarti; mentre esse in addietro, tra la miseria della loro bassa operazione e virtù naturale, si trovavano scadute e avvilite.

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Mirare Dio significa fare opere in grazia di Dio, e quindi le potenze dell'anima acquistarono merito nell'adorarlo, perché adoravano in grazia del loro Dio, nella quale ogni operazione è meritoria. Adoravano, dunque, illuminate e innalzate dalla divina grazia e favore, quello che in Dio ormai vedevano; il che prima non potevano fare per la loro cecità e bassezza. Ma che cosa era, dunque, quello che vedevano? Era grandezza di virtù, abbondanza di soavità, bontà immensa, amore e misericordia in Dio, innumerevoli benefici da Lui ricevuti, sia in questo tempo in cui l'anima è così unita a Dio, sia quando non lo era. Tutto questo ormai gli occhi dell'anima erano degni di adorare con merito, perché divenuti graziosi e graditi allo Sposo; mentre prima non meritavano di adorare, né di vedere, e neppure di considerare intorno a Dio alcunché delle suddette cose, data la grande ignoranza e cecità di un'anima che vive senza la grazia divina.

9 - Vi sarebbe molto d'avvertire su questo punto, e molto di dolersi nel vedere, quanto l'anima non illuminata dall'amor di Dio sia lungi dal fare le cose a cui è obbligata; poiché mentre è tenuta a conoscere questi e altri innumerevoli favori, sì temporali che spirituali, che ha ricevuto e riceve ad ogni istante da Dio, e dovendo perciò adorarlo e servirlo incessantemente e con tutte le sue potenze, non soltanto non lo fa, ma neppure se ne dà pensiero, né fa alcuna stima di ciò: a tal segno giunge la miseria di coloro che vivono, o per meglio dire, giacciono morti nel peccato!

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Per maggiore intelligenza di quanto si è detto e si dirà, è da sapersi che lo sguardo di Dio produce quattro beni nell'anima, che sono: purificarla, abbellirla , arricchirla e illuminarla, alla stessa guisa che il sole, mandando i suoi raggi, asciuga, riscalda, abbellisce e rischiara. Ora, dopo che Dio ha posto nell’anima quei tre ultimi beni, essendogli per essi l 'anima molto gradita, non si ricorda più della bruttezza e del peccato che prima la contaminava, secondo che Egli stesso afferma per bocca dì Ezechiele (Ez 18,22). Cosicché, avendole cancellato una volta ogni peccato e bruttezza di colpa, mai più gliela rinfaccia, né cessa anzi di farle grazie sempre maggiori, poiché non giudica due volte una cosa? (Na 1 , 9 , s econdo i 70 ) . Però, quantunque Dio si dimentichi della malizia del peccato, perdonato che l'abbia una volta, non per questo l'anima deve porre in oblio i suoi antichi falli, dicendo il Savio: Del peccato rimesso non voler essere senza timore (S i r 5 ,5 ). E ciò per tre ragioni. La prima , per aver sempre argomento di non presumere. La seconda, per aver materia di sempre ringraziare Dio. La terza , a fine di più confidare, per più ricevere; poiché, se stando in peccato ricevette da Dio tanto bene, quanto maggiori grazie non potrà sperarne, essendo stabilita, nell'amore di Dio e libera dal peccato?

2 - Rammentandosi, dunque, l 'anima di tutte le misericordie ricevute, e vedendosi collocata a fianco dello Sposo con tanta dignità, si rallegra grandemente con sentimento di gratitudine e di amore, assai aiutata in ciò dalla memoria del suo primiero stato così vile e impuro, in cui non solo non era degna dello sguardo di Dio, ma neppure di articolarne il nome col suo labbro, secondo il detto del Profeta Davide (S al 15 ,5 ) . Conoscendo, quindi, che non ha, né può avere da parte sua ragione alcuna di essere mirata e elevata da Dio, ma solo da parte di Dio (cioè per divina grazia e liberalità), attribuisce a sé la propria miseria, e all'Amato tutti i beni che possiede. E vedendo che per questi merita ormai ciò che prima non meritava, prende animo e ardire per chiedergli la continuazione della divina unione spirituale, in cui le vada moltiplicando tutte quelle grazie che ella spiega nella strofa seguente.

STROFA 33

Ben mio, deh! non sprezzarmi, Se di bruno colore è il mio sembiante.Or tu ben puoi mirarmi,Se, dacché mi mirasti,Grazia, vezzo, beltade in me lasciasti.

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DICHIARAZIONE

3 - Quivi la Sposa, quantunque conosca che per se stessa vale ben poco e non merita alcuna stima, pure si fa coraggio e si pregia delle grazie e dei doni ricevuti dal suo Amato. Vede che, se non altro, è degna di essere stimata perché alla fin fine i suoi doni sono del Diletto stesso, e perciò, fatta ardita con Lui, lo prega di non disprezzarla o farne poco conto. Poiché, se in passato meritava ciò per la bruttezza delle sue colpe e la bassezza della sua natura, ora però, dopo che Egli l 'ha mirata la prima volta, in cui l 'adornò della sua grazia e la rivestì della sua divina bellezza, ben può rimirarla una seconda, e più volte ancora, aumentandole e la grazia e la beltà. Che se la mirò quando essa non lo meritava e non ne aveva alcuna disposizione, quanto più la mirerà adesso che v'è ragione sufficiente per farlo?

Ben mio, deh! non sprezzarmi

4 - La Sposa non dice questo, quasi che voglia essere tenuta in qualche conto, perché anzi l'anima che davvero ama Dio, fa grande stima e gode dei disprezzi e vituperi, vedendo che dal canto suo non merita altro; ma [ l o d ice ] per la grazia e i doni ricevuti da Dio, secondo che ella va spiegando:

Se di bruno colore è il mio sembiante.

5 - Vale a dire: Se prima che mi mirassi graziosamente, trovasti in me brutture e oscurità di colpe e d'imperfezioni e bassezza di condizione naturale,

Or tu ben puoi mirarmiSe, dacché mi mirasti.

6 - Dopo che mi mirasti, togliendo da me il nero e fosco colore della colpa col quale non ero degna di essere guardata, e dandomi la prima volta la tua grazia, ben puoi tornare a mirarmi; cioè, io ben posso ormai e merito di essere veduta, ricevendo maggior grazia dai tuoi begli occhi; poiché con essi non solo la prima volta mi togliesti il colore bruno, ma anche mi rendesti degna d'esser veduta, perché col tuo sguardo amoroso

Grazia, vezzo, beltade in me lasciasti.

7 - Quello che l'anima ha detto nei due versi precedenti è per spiegare ciò che S. Giovanni dice nel suo Vangelo, cioè che Dio dà grazia per grazia (Gv 1 ,16 ); poiché, quando Dio vede l'anima graziosa ai suoi occhi, si muove assai a farle maggiori grazie, dimorando in lei molto soddisfatto. Il che Mosè conoscendo, domandò a Dio grazia maggiore, e volendolo indurre a concederla in vista di quella già donata, gli disse: Tu dici che mi conosci per nome e che ho trovato grazia al tuo cospetto; se dunque è così, mostrami la tua faccia, affinché ti conosca e trovi grazia dinanzi agli occhi tuoi (E s 33 ,12 - 13). Con tal grazia essendo l'anima nobilitata, onorata e abbellita davanti a Dio, è amata da Lui ineffabilmente. Di maniera che, se prima che ella stesse in grazia Dio l'amava per sé solo, ora che si trova già nella sua grazia l'ama non solamente per sé, ma anche in riguardo di lei, e così innamorato della sua bellezza, per i suoi valori [e ff e t t i ] ed opere, di continuo le comunica più amore e grazie, e mentre più l'onora ed esalta, più se ne invaghisce e innamora. Dio stesso ci fa comprendere questo, parlando col suo amico Giacobbe in Isaia: Dacché agli occhi miei sei divenuto degno di onore e gloria, io ti ho amato ( I s 43 ,4 ) . Il che equivale a dire: Dopo che i miei occhi t 'infusero grazia col loro sguardo, e diventasti perciò glorioso e degno di onore al mio cospetto, hai meritato di essere maggiormente favorito da me; poiché, quanto più Dio ama, tanti più favori dispensa. E la Sposa dei Cantici esprime la stessa cosa, dicendo alle altre anime: Sono bruna, ma bella, figlie di Gerusalemme. E perciò il Re mi ha amato ed introdotto nell'interno della sua camera nuziale (C t 1 ,4 ). Vale a dire: Anime, che non sapete né comprendete tali grazie, non vi meravigliate che il Re celeste me le abbia concesse così grandi, sino al punto di ammettermi nell'intimo del suo

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amore; poiché, quantunque di mio sia bruna, Egli posò tanto i suoi occhi su di me dopo avermi guardata la prima volta, che non restò pago finché non mi sposò a sé, e non mi ammise all'intimo talamo del suo amore.

8 - Chi potrà mai ridire dove giunga la munificenza di Dio nel sublimare un'anima, quando di lei si compiace? Non si può esprimere a parole e neppure, immaginare; perché alla fin fine opera da Dio, per mostrare chi Egli è. Soltanto si può intendere qualche cosa riflettendo al modo d'agire di Dio, il quale suol donare di più a chi più ha, donando moltiplicatamente, ossia in proporzione di ciò che l'anima aveva prima, secondo che Egli ci dice nel Vangelo: A chi ha, sarà dato, e abbonderà: ma a chi non ha, sarà tolto, anche quello che ha (M t 13 ,12) . Onde il talento che quel servo infingardo non aveva trafficato a profitto del suo padrone, gli fu tolto e dato a chi aveva più talenti di tutti insieme in grazia del suo signore (M t 25 ,28) . Quindi è che i migliori e principali beni della sua casa, cioè della sua Chiesa, sì militante che trionfante, Dio li accumula in colui che gli è più amico, a fine di onorarlo e glorificarlo maggiormente: come una gran luce assorbe in sé molte altre piccole luci. Così ci fa intendere il Signore stesso nel sorriferito testo d'Isaia (inteso nel senso spirituale), ove parlando con Giacobbe, dice: lo sono il Signore Dio tuo, il Santo d'Israele, il tuo Salvatore; ho dato l'Egitto, l 'Etiopia e Saba in tuo favore; e darò uomini per te, e popoli per l 'anima tua ( I s 43 ,3 - 4 ).

9 - Ben puoi dunque, o Dio mio, mirare ed apprezzare assai l 'anima che miri poiché con il tuo sguardo poni in lei pregi e doti, di cui ti compiaci ed innamori. Ella perciò merita di essere mirata, non una volta sola, ma molte altre ancora dopo la prima; poiché lo Spirito Santo dice nel libro di Este: Di tal onore è degno chiunque il Re voglia onorare. (E s t 6 ,11 )

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Gli amichevoli doni che lo Sposo fa all'anima in questo stato, sono inestimabili: e le lodi e le amorose espressioni che assai dI frequente si dicono tra loro due, sono semplicemente ineffabili. Ella tutta s'impiega in lodare e ringraziare lo Sposo, e questi in esaltarla e lodarla e ringraziarla, secondo quello che si legge nei Cantici, dove Egli così le dice: Ecco che tu sei bella, amica mia, veramente bella, ed i tuoi occhi sono di colomba. E la Sposa risponde: Bello veramente sei tu, mio Diletto, e pieno di grazia (C t 1 ,14 -

15). E così tante altre simili espressioni, che s'indirizzano scambievolmente ad ogni passo nei Cantici. Abbiamo veduto nella strofa precedente quanto la Sposa si disprezzasse, chiamandosi bruna e brutta, mentre lodava il Diletto come bello e grazioso, perché con un'occhiata le aveva infusa grazia e bellezza. Orbene, poiché lo Sposo ha il costume di esaltare chi si umilia, posa lo sguardo sulla sua Diletta, come essa ne lo aveva richiesto, e nella strofa seguente si occupa in lodarla, chiamandola non già bruna, come ella si chiamò, ma bianca colomba; e descrive le belle proprietà di colomba e di tortora delle quali va adorna. Dice dunque:

STROFA 34

La bianca colombellaCol pacifico ramo all'arca riede;E già la tortorellaSua compagnia bramataPer le verdi riviere ha ritrovata.

DICHIARAZIONE

2 - Lo Sposo è quegli che parla nella presente strofa, cantando la purezza a cui la Sposa è pervenuta in questo stato, e le ricchezze e il premio conseguiti per essersi disposta e affaticata nell'andare a Lui. Così pure canta la felice sorte incontrata dalla Sposa nel trovarlo in questa unione, facendo risaltare il compimento del desiderio di lei e il piacere

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e il refrigerio che in Lui gode, essendo alfine terminati i travagli di questa vita, sofferti nel tempo trascorso.

La bianca colombella.

3 - Chiama bianca colomba l 'anima per la bianchezza e il candore che ottenne dalla grazia, trovata in Dio. Le dà il nome di colomba come nei Cantici , per denotare la semplicità e la mitezza di sua condizione e la sua contemplazione amorosa. Poiché la colomba non solo è semplice, mansueta, senza fiele, ma anche ha gli occhi limpidi e amorosi e quindi lo Sposo, appunto per esprimere nella Sposa questa proprietà di amorosa contemplazione con cui mira Dio, nei medesimi Cantici affermò che ella aveva gli occhi di colomba (C t 4 ,1 ); della quale dice che

Col pacifico ramo all'arca riede.

4 - Lo Sposo qui paragona l’anima alla colomba dell'arca di Noè, prendendo quell'andare e tornare della colomba all'arca come figura di ciò che è accaduto all'anima in questo caso. Poiché, come la colomba andava e veniva all'arca, perché tra le acque del diluvio non trovava dove posare il piede, finché poi vi ritornò portando in becco un ramo di ulivo, qual segno della misericordia di Dio che aveva fatto cessare le acque che tenevano sommersa la terra; così quest'anima, uscita dall'arca dell'onnipotenza di Dio quando fu creata, essendo andata per le acque del diluvio dei peccati e delle imperfezioni, non trovava dove fermare il suo appetito, e scorreva per l 'aure delle ansie amorose, andando e tornando all'arca del petto del suo Creatore, senza che di fatto riuscisse ad esservi accolta. Ma finalmente, avendo Dio fatto cessare tutte le acque delle imperfezioni sopra la terra dell'anima, questa colomba è tornata al felice e sicuro asilo del petto del suo Amato col ramo di ulivo, simbolo non solo della vittoria riportata (per divina clemenza e misericordia) sopra tutti i suoi nemici, ma anche del premio conferito ai suoi meriti ché l'una e l'altra cosa è denotata dal ramo di ulivo. La colomba dell'anima, dunque, oltre che ora ritorna all'arca del suo Dio, bianca e pura come ne uscì allorché fu creata, porta per di più la palma del premio, il ramo della pace conseguita nella vittoria di se stessa.

E già la tortorellaSua compagnia bramataPer le verdi riviere ha ritrovata.

5 - L'anima qui dallo Sposo è chiamata anche tortorella, perché nel cercarlo si è comportata come fa la tortora, quando non trova il desiderato compagno. Per intelligenza di che, è da sapersi quello che si dice della tortorella, che cioè quando non trova il suo compagno, non si posa sui verdi rami, né beve l'acqua chiara e fresca, né si ferma sotto l'ombra, né si associa ad altra compagnia; però, di tutto ciò si compiace, subito che ritrova il compagno. L'anima ha tutte queste proprietà della tortora, anzi è necessario che le abbia, per giungere all'unione con lo Sposo, Figlio di Dio. Infatti le conviene camminare con tanto amore e sollecitudine, così da non porre il piede dell'appetito sul ramo verde di alcun diletto, né da voler bere l'acqua chiara di alcun onore e gloria mondana, né gustare l'acqua fresca di alcun refrigerio e conforto temporale, né mettersi sotto l'ombra di alcun favore e protezione di creature; non desiderando di riposare affatto in nessuna cosa, né di accompagnarsi con altri affetti, ma piuttosto gemendo nella solitudine e privazione di tutte le cose, sino a ritrovare il suo Sposo con soddisfazione perfetta.

6 - E poiché quest'anima, prima di arrivare a così alto stato, andava con grande amore in traccia del suo Amato, insoddisfatta di ogni cosa senza di Lui, lo Sposo stesso qui canta la fine delle fatiche e il compimento dei desideri di essa, dicendo che:

Già la tortorellaSua compagnia bramataPer le verdi riviere ha ritrovata.

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Il che equivale a dire: Ormai l'anima Sposa siede sul ramo verde, dilettandosi del suo Amato; beve le chiare acque di un'altissima contemplazione e sapienza divina, le acque fresche del refrigerio e del godimento che prova in Dio; riposa sotto l'ombra tanto bramata del divino favore e protezione, dove è consolata, pasciuta e ristorata saporitamente e divinamente, come ella stessa se ne rallegra nei Cantici, dicendo: Sotto l'ombra di chi avevo desiderato, mi sedetti, e il suo frutto è dolce al mio palato. (C t 2 ,3 )

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Proseguendo lo Sposo a parlare, dimostra il suo contento per il bene che la Sposa ha ottenuto, mediante la vita di solitudine da lei scelta in addietro; il qual bene è una stabilità di pace, un bene immutabile. Poiché, quando un'anima giunge a confermarsi nella quiete dell'unico e solitario amore dello Sposo, come ha fatto questa di cui parliamo, si stabilisce tanto amorosamente in Dio (e Dio in lei), che non ha necessità di altri mezzi, né di maestri che la guidino a Lui. Ormai la sua guida e la sua luce è Dio, il quale compie in lei ciò che promise per Osea, dicendo: Io la condurrò nella solitudine, e là parlerò al suo cuore (Os 2 , 14 ). Con queste parole vuole significare che nella solitudine Egli si comunica ed unisce all'anima; poiché parlarle al cuore è lo stesso che soddisfarne il cuore, il quale non si appaga con meno di Dio. Perciò lo Sposo dice:

STROFA 35

Nel deserto vivea,E nel deserto il nido suo ripose.Colà scorta le feaDa solo a sol l’Amato,Pur nel deserto anch’ei d’amor piagato.

DICHIARAZIONE

2 - Lo Sposo in questa strofa fa due cose. Primieramente loda la solitudine in cui l 'anima in passato elesse di vivere, e ci dice che fu il mezzo in cui ella poté trovare e godere il suo Amato, lungi da tutte le antiche pene e fatiche. Avendo voluto sostentarsi nella privazione di ogni gusto, consolazione ed appoggio di creature, per arrivare alla compagnia e all'unione col suo Diletto, la Sposa ben meritò di possedere la pace nel suo Amato, nel quale riposa, sola e libera da ogni molestia. In secondo luogo dice che, avendo ella scelto di rimanersene sola e separata da tutte le cose create per amore del suo Diletto, per questa solitudine Egli stesso s'innamorò di lei e se ne prese cura, accogliendola tra le braccia, pascendola in sé di tutti i beni, guidandone lo spirito alle sublimi cose di Dio. Non solamente poi afferma che ormai Egli è sua guida, ma che lo è da solo, senza altri mezzi, né di angeli, né di uomini, né di forme o figure, perché l'anima così solitaria gode vera libertà di spirito, la quale non è legata a nessuno di questi mezzi.

Nel deserto vivea.

3 - La detta tortorella, cioè l'anima, viveva in solitudine prima che trovasse l'Amato in questo stato di unione: poiché la compagnia di qualsiasi cosa non apporta consolazione all'anima che desidera Dio, anzi finché, non lo trovi, tutto le cagiona solitudine maggiore.

E nel deserto il nido suo ripose.

4 - La solitudine in cui prima viveva, consisteva nel volere per amore del suo Sposo essere priva di tutte le cose e beni del mondo (secondo che abbiamo detto della tortorella), procurando di rendersi perfetta, acquistando quella completa solitudine per cui si giunge all'unione col Verbo, e per conseguenza al pieno refrigerio e riposo, significato appunto qui dal nido, che significa quiete e riposo. Quindi è come se dicesse: Nella

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solitudine in cui l 'anima viveva prima, esercitandosi in essa con fatica e angustia (non essendo ella ancora perfetta), ivi alfine ella ha posto il suo sollievo e refrigerio, avendola acquistata perfettamente in Dio. A questo proposito, parlando spiritualmente, Davide dice: In verità la passera si è trovata una casa e la tortorella un nido ove allevare i suoi piccoli; cioè ha trovato asilo in Dio, dove può soddisfare i suoi appetiti e le sue potenze.

Colà, scorta le fea.

5 - Vale a dire: In questa solitudine, in cui l 'anima vive separata da tutte le cose e sola con Dio, Egli la guida, la muove e l' innalza alle cose divine. In altri termini, guida l'intelletto dell'anima nelle divine cognizioni, perché è solo e spogliato di altre idee contrarie e vane. Ne muove poi liberamente la volontà all'amore di Dio, perché è sola e sciolta da altri affetti. Le riempie infine la memoria di notizie divine, perché anch'essa è sola e vuota di altre immaginazioni e fantasie. Infatti, subito che l’anima sbarazza queste potenze, vuotandole di tutte le cose terrene e dello spirito di proprietà rispetto alle superiori, e le lascia sole, senza niente di questo, immediatamente Dio gliele impiega in ciò che è invisibile e divino. Egli allora è colui che conduce l'anima in questa solitudine, avverandosi ciò che disse S. Paolo dei perfetti: Qui Spiritu Dei aguntur, etc. (R m 8 , 14 ): cioè sono mossi dallo Spirito di Dio; il che equivale a dire: Colà scorta le fea.

Da solo a sol l'Amato.

6 - Ossia: Oltre che Dio la guida nella di lei solitudine, Egli stesso da solo è quegli che opera in lei, senza alcun altro mezzo. Questa è la proprietà dell'unione dell'anima con Dio nel matrimonio spirituale, che cioè Dio agisce nell'anima e le si comunica da sé solo, e non già per mezzo degli angeli, né per mezzo dell'abilità naturale della medesima; poiché i sensi esterni ed interni, e tutte le creature, ed anche l'anima stessa molto poco possono mettervi da parte loro in fatto di ricevere queste grandi grazie soprannaturali, che Dio concede in questo stato. Tali grazie non cadono sotto l'abilità e l 'operazione naturale e la diligenza dell'anima, ma Dio da solo le opera in lei. La causa, ripeto, è perché Egli la trova sola, e quindi non vuol darle altra compagnia, né affidarla ad altri che a se stesso. Del resto, giacché l'anima ha già lasciato tutto ed è passata per tutti i mezzi, innalzandosi a Dio sopra ogni cosa, è conveniente che Dio stesso ne sia la guida e il mezzo per sé medesimo. Essendo l’anima salita sopra tutto, in solitudine di ogni cosa, niente le giova, niente le serve per più salire, se il Verbo stesso, suo Sposo, il quale, grandemente innamorato di lei, vuole da solo dispensarle le dette grazie. Quindi subito dice:

Pur nel deserto anch'eì, d'amor piagato

7 - Piagato cioè dall'amore della Sposa. Egli, infatti, oltre che ama assai la solitudine dell'anima, molto più è ferito dall'amore di lei, avendo essa voluto rimanersene sola e priva di tutto, perché appunto ferita d'amore per Lui. Quindi, piagato da lei per la solitudine in cui versa per amor suo, non volle lasciarla sola, ma vedendo che essa non trova soddisfazione in nessun'altra cosa, Egli solo la guida a se stesso, traendola e assorbendola in sé: il che non farebbe, se non l'avesse trovata in solitudine spirituale.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - È strana quella proprietà degli amanti, per la quale si compiacciono molto più di godersi da soli che in compagnia di alcun altro. Ed invero, quand'anche stiano insieme, basta la presenza di un terzo per far sì che non godano a loro agio, benché non debbano parlare che di cose indifferenti, e la persona estranea non dica o faccia cosa alcuna. La ragione è che, essendo l'amore unione di due soli, gli amanti vogliono da soli comunicarsi a vicenda le cose proprie. Posta, dunque, l 'anima nel culmine della perfezione e della libertà di spirito in Dio (essendo distrutte tutte le cose che sono contrarie e le ripugnanze del senso), non ha più altra cosa a cui attendere, né altro esercizio in cui occuparsi, se non immergersi nei diletti e gaudi dell'intimo amore con lo Sposo; come si

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dice del santo Tobia, nel cui libro leggiamo che, dopo essere passato per i travagli della povertà e delle tentazioni, ricuperò la vista per divino favore e passò in allegrezza tutto il rimanente dei suoi giorni (T b 14 , 4 ). Così precisamente accade ora alla Sposa, perché i beni che in sé vede sono di sommo godimento e diletto, come ce lo spiega Isaia a proposito dell'anima che, essendosi esercitata in opere di perfezione, è giunta al grado di perfezione di cui parliamo.

2 - Volgendo, dunque, la parola all’anima tanto perfetta, il Profeta così dice: Allora sorgerà nelle tenebre la tua luce, e le tue tenebre saranno come il mezzodì. E il Signore ti darà perpetuo riposo, riempirà di splendori l'anima tua e conforterà le tue ossa: e tu sarai come un orto irrigato, e come una sorgente le cui acque mai verranno meno. Si edificheranno in te le solitudini dei secoli, alzerai fondamenti da una generazione all'altra, e sarai chiamato edificatore delle siepi, e uomo che riduci i tuoi sentieri alla quiete. Se ritirerai il tuo piede dai sollazzi e dal fare la tua volontà nel mio giorno santo, e chiamerai il sabato giorno delizioso, santo e glorioso del Signore, e renderai onore a Dio, non battendo le tue vie e non compiendo la tua volontà, allora ti diletterai nel Signore, ed io ti solleverò sopra le altezze della terra, e ti pascerò nell'eredità di Giacobbe ( I s 58 ,10 - 14). Fin qui le parole di Isaia, nelle quali l 'eredità di Giacobbe significa Dio stesso. L'anima, pertanto, ad altro più non attende che a godere continuamente dei diletti di questo pascolo: le resta solo una cosa da desiderare, cioè goderlo perfettamente nella vita eterna. Quindi, nella seguente strofa e nelle rimanenti, si occupa nel domandare allo Sposo questo beatifico pascolo nella manifesta visione di Dio.

STROFA 36 (Da qui in poi , stato di beatitudine)

Deh! godiamci, o Ben mio;Andiamo (e sia mio specchio il tuo bel viso)Al monte, al colle, al rio,Dove umor puro è accolto;Penetrar non ti spiaccia ov’è più folto.

DICHIARAZIONE

3 - Giacché è avvenuta la perfetta unione amorosa tra l 'anima e Dio, ella desidera di attendere ed esercitarsi nelle proprietà dell'amore; e perciò essa è quella che parla in questa strofa con lo Sposo, chiedendogli tre cose che sono proprie dell’amore. Primieramente desidera di ricevere il gaudio e il gusto dell'amore, e ne lo prega dicendo : Deh! godiamcì. o Ben mio. In secondo luogo brama di rendersi somigliante all'Amato, e lo chiede quando dice: Andiamo, e sia mio specchio il tuo bel viso. Da ultimo vuole scrutare e sapere le cose dell'Amato stesso, e domanda questa grazia dicendo: Penetrar non ti spiaccia ov'è più folto.

Deh! godiamci, o Ben mio

4 - Godiamoci, cioè, nella comunicazione dell'amorosa dolcezza, non solo in quella che già possediamo nella nostra intima unione , ma anche in quella che ridonda dall'esercizio dell'amore effettivamente e attualmente, sia con la volontà in atto di affetto, sia esteriormente facendo opere appartenenti al servizio dell'Amato. Poiché l'amore ha questo di proprio dove ha fissato sua sede, che cioè sempre vuole deliziarsi nei suoi gaudi e dolcezze, ossia nell'esercizio di amare interiormente ed esteriormente; e fa tutto questo per rendersi più simile all'Amato. Perciò subito dice:

Andiamo (e sia mio specchio il tuo bel viso).

5 - Il che significa: Facciamo in modo che, per mezzo di questo esercizio di amore, giungiamo sino a specchiarci eternamente lassù nella tua bellezza; cioè che io sia così trasformati nella tua bellezza che, divenuta simile a te, anzi avendo la tua stessa beltà,

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ambedue ci vediamo in essa. Di maniera che, mirandoci l 'un l'altro, ognuno di noi veda nell'altro la propria bellezza, essendo quella dell'uno e dell'altro la tua sola bellezza, assorbita già io nella tua bellezza; così io vedrò te nella tua bellezza, e tu vedrai me nella tua bellezza; io mi vedrò in te nella tua bellezza, e tu ti vedrai in me nella tua bellezza; che io sembri te nella tua bellezza, e tu sembri me nella tua bellezza; e 1a mia bellezza sia la tua bellezza e la tua bellezza sia la mia bellezza: così io sarò te nella tua bellezza e tu sarai me nella tua bellezze perché la tua stessa bellezza sarà la mia bellezza, e così ci vedremo l'un l'altro nella tua bellezza. Questa è l 'adozione dei figli di Dio, i quali con verità diranno a Lui ciò che lo stesso Divin Figlio disse in S. Giovanni al suo Eterno Padre: Tutte le mie cose sono tue, e le tue sono mie (Gv 17 ,1 0 ): Egli per essenza, essendo Figlio per natura, e noi per partecipazione, essendo figli adottivi. Quindi Egli, che è il capo, disse quelle parole non solo per sé, ma per tutto il suo corpo mistico, che è la Chiesa; la quale parteciperà, della medesima bellezza dello Sposo nel giorno del suo trionfo, e ciò sarà quando vedrà Dio faccia a faccia. E per questo l'anima qui chiede che essa e lo Sposo giungano a vedersi nella beltà di Lui.

Al monte, al colle.

6 - Al monte, ossia alla notizia mattutina ed essenziale di Dio, cioè alla cognizione del Verbo divino, il quale per la sua altezza è qui significato dal monte, come dice Isaia invitando a conoscere il Figlio di Dio: Venite, saliamo al monte del Signore ( I s 2 ,3 ). E altrove: Sarà preparato il monte della casa del Signore ( I s 2 ,2 ) . E al colle: cioè alla notizia vespertina di Dio, che è la sua sapienza manifestata nelle sue creature, nelle sue opere e disposizioni ammirabili; la quale sapienza è qui significata dal colle, perché è sapienza meno alta della mattutina. Perciò l’anima quando dice: Al monte, al colle, domanda sì l 'una che l'altra.

7 - L'anima dunque dicendo allo Sposo: Andiamo a vederci nella tua bellezza al monte, vuol dire: Trasformami e rendimi simile alla bellezza della sapienza divina, ossia al Verbo Figlio di Dio. Dicendo poi al colle, gli chiede che la informi nella bellezza dell'altra sapienza minore, che è nelle sue creature e nelle sue opere arcane ed è anch'essa bellezza del Figlio di Dio, intorno alla quale l'anima desidera d'essere illuminata.

8 - L'anima non può specchiarsi nella bellezza di Dio, se non trasformandosi nella sapienza divina in cui sente di possedere tutte, le cose. A questo monte e a questo colle, la Sposa dei Cantici desiderava di salire, quando disse: Andrò al monte della mirra e al colle dell'incenso (C t 4 ,6 ): intendendo per monte della mirra la chiara visione di Dio, e per colle dell'incenso la notizia nelle creature; poiché la mirra sul monte è di specie più nobile che l'incenso sul colle.

Al rio,Dove umor puro è accolto.

9 - Vale a dire: dove si comunica la notizia e la sapienza di Dio, che qui chiama umor puro, perché purifica e spoglia l'intelletto dagli accidenti e dai fantasmi, e lo rischiara dissipandone le nebbie dell'ignoranza. L'anima ha sempre questo appetito d'intendere chiaramente e puramente le verità divine; e quanto più ama, tanto più appetisce di penetrarle intimamente. Perciò domanda la terza cosa, dicendo

Penetrar non ti spiaccia ov'è più folto.

10 - Nel folto delle tue opere meravigliose e dei tuoi profondi giudizi; la cui moltitudine è tanta e così varia, che si può chiamare fortezza, perché in essi vi è abbondante sapienza, ed è tanto piena di misteri che non solo si può chiamare densità, ma densità coagulata, secondo l'espressione di Davide: «Mons Dei, mons pinguis. Mons coagulatus, mons pinguis» (Sa l 67 ,16 ): il monte di Dio è monte pingue e monte coagulato. E questa densità di sapienza e scienza di Dio è tanto profonda e immensa che, per quanto l'anima ne sappia, sempre vi si può addentrare di più, essendo essa immensa e incomprensibili le sue

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ricchezze, secondo che esclama S. Paolo dicendo: O altezza delle ricchezze della sapienza e scienza di Dio: quanto incomprensibili sono i suoi giudizi e imperscrutabili le sue vie! (R m 11 , 33)

11 - Pur tuttavia l’anima desidera di entrare in questa densità e incomprensibilità di giudizi e di vie, anzi muore dal desiderio d'internarsi molto addentro nella loro cognizione, perché questa è un diletto inestimabile che eccede ogni senso. Onde a proposito del loro sapore Davide disse: I giudizi del Signore sono veri e giusti in se stessi. Sono più desiderabili dell'oro e delle gemme più preziose, più dolci del miele e del favo; tanto che il servo tuo li amò e custodì (S al 18 ,10 - 12). Quindi è che l'anima ardentemente desidera di immergersi in questi giudizi e conoscerli più intimamente: e perciò sarebbe per lei di grande consolazione e allegrezza passare per tutte le pene e i dolori di questo mondo, e per tutto ciò che potesse servirle di mezzo, quantunque difficile e penoso, perfino per le angustie e gli affanni di morte, pur di vedersi più internata nel suo Dio.

12 - Per fortezza, in cui l 'anima vuole entrare, s'intende anche, e molto propriamente, la frequenza e la moltitudine dei dolori e delle tribolazioni, che quest'anima desidera d'incontrare, poiché il patire è per lei una cosa saporitissima ed utilissima, essendo un mezzo per penetrare maggiormente nella densità della gustosa sapienza di Dio. Il più puro patire, infatti, porta con sé un più intimo e puro intendere, e per conseguenza un più puro e sublime godere, qual è quello di un più intimo sapere. L'anima pertanto, non contentandosi di un qualsiasi modo di patire, dice: Penetrar non ti spiaccia ov'è più folto; ossia fino alle pene di morte, per vedere Dio. Per questo il profeta Giobbe, desiderando tal genere di patire a fine di vedere Dio, disse: Chi mi darà che si adempia la mia domanda, e che Dio mi conceda ciò che spero? Ed Egli che ha cominciato, Lui stesso finisca di schiacciarmi, lasci libera la sua mano, e mi tronchi la vita? E questa sia la mia consolazione, che Egli mi affligga coi dolori e non mi risparmi (Gb 6 ,8 - 10).

13 - Oh se si riuscisse ad intendere una buona volta come l'anima non può giungere alla densità e alla sapienza delle ricchezze di Dio, che sono tanto varie, se non entrando nella densità del patire in molte maniere, e riponendo in ciò la sua consolazione e i suoi desideri! E come l’anima che veramente desidera la divina sapienza, per entrarne in possesso desidera anzitutto il patire nel folto della croce! Perciò S. Paolo ammoniva gli Efesini che nelle loro tribolazioni non venissero meno, ma stessero ben forti e radicati nella carità, perché potessero comprendere, con tutti i Santi, che cosa sia la larghezza, la lunghezza, l 'altezza e la profondità, e sapessero pure la sovraeminente carità della scienza di Cristo, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio (E f 3 ,17 -19) . Per entrare nelle ricchezze della divina sapienza, la porta è la croce, che è angusta; ma è di pochi il desiderio d'entrare per essa, mentre è di molti bramare i diletti a cui si giunge per suo mezzo.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Una delle principali ragioni per cui l'anima desidera di essere sciolta e trovarsi con Cristo, è per vedere faccia a faccia e ivi intendere radicalmente le profonde vie e gli eterni misteri dell'Incarnazione, nel che consiste la parte non minore della propria beatitudine. Cristo medesimo, parlando col Padre, in San Giovanni dice: Questa è la vita eterna, che conoscano te, unico e vero Dio, e il tuo Figliolo Gesù Cristo, che hai mandato (Gv 17 ,3 ) . Per la qual cosa, come una persona arrivata da lontano anzitutto procura di vedere e trattare con chi essa ama; così la prima cosa che l'anima desidera di fare, giungendo alla vista di Dio, è conoscere e godere i profondi segreti e misteri dell'Incarnazione e le antiche vie di Dio che da essa dipendono. L'anima pertanto, avendo terminato di dire che desidera specchiarsi nella divina bellezza, soggiunge subito la seguente

STROFA 37

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Quindi all’alte caverneTosto il pié porterem dell’alma pietra,Ben profonde ed interne.Là entro ne andrem poiL’umor suggendo de’ granati tuoi.

DICHIARAZIONE

2 - Una delle cause che più muovono l'anima al desiderio di entrare nella densità della sapienza divina, e conoscerne molto addentro la bellezza, è quella di giungere all’unione del suo intelletto in Dio, secondo la notizia dei misteri dell'Incarnazione, che è la sapienza più alta e gustosa di tutte le opere divine. La Sposa, quindi, in questa strofa dice che, dopo essere entrata più intimamente nella divina sapienza (cioè più intimamente del matrimonio spirituale che ora possiede, ossia nella gloria dove vedrà Dio faccia a faccia), si unirà con essa sapienza divina che è il Figlio di Dio, e conoscerà i sublimi misteri dell’Uomo-Dio, che sono di altissima sapienza e nascosti in Dio. Aggiunge che entrerà insieme con lo Sposo nella notizia di essi, immergendosi ed internandosi, ed ambedue gusteranno il sapore e il diletto causato dalla cognizione non solo di essi, ma anche delle virtù e attributi divini che in Dio si scoprono per mezzo dei detti misteri, come ad esempio la giustizia, la misericordia, la sapienza, la potenza, la carità ecc.

Quindi all'alte caverneTosto il pié porterem dell'alma Pietra.

3 - La Pietra qui menzionata è Cristo, secondo il detto di San Paolo ( 1C or 10 ,4 ). Le alte caverne di questa Pietra sono i sublimi e profondi misteri della sapienza di Dio nascosti in Cristo: l'unione ipostatica della natura umana con il Verbo divino, la relazione che corre tra questa unione e quella degli uomini con Dio, le armonie della giustizia e misericordia di Dio circa la salvezza del genere umano a manifestazione dei suoi giudizi. Questi misteri, essendo tanto alti e profondi, molto propriamente sono qui chiamati alte caverne: alte, per la loro sublimità; e caverne, per la profondità della sapienza di Dio in essi racchiusa. Poiché, come le caverne sono profonde ed hanno molti seni, così ciascun mistero di Cristo è profondissimo in sapienza ed ha molti seni di occulti giudizi di predestinazione e prescienza intorno ai figli degli uomini. Per la qual cosa l'anima subito soggiunge:

Ben profonde ed interne.

4 - Tanto che, per quanti misteri e meraviglie i santi dottori abbiano scoperto e le sante anime abbiano appreso nel presente stato di vita, rimase loro tutto il più da dire e da intendere. Quindi vi è molto da approfondire in Cristo, perché è un'abbondante miniera con molti seni di tesori dei quali, per quanto se ne scavino, non si trova la fine e il termine; anzi in ciascun seno si trovano qua e là nuove vene di nuove ricchezze. Ond'è che S. Paolo, parlando di Cristo, dice: In Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (C o l 2 ,3 ): ai quali l 'anima non può arrivare, se prima non passa per la strettoia del patire interiore ed esteriore. Infatti anche a quel poco che in questa vita è possibile sapere dei misteri di Cristo, non si può giungere, senza aver patito molto e ricevuto molte grazie intellettuali e sensitive da Dio, e senza aver percorso un lungo cammino spirituale; essendo tutte queste grazie più basse della sapienza dei misteri di Cristo, perché tutte sono come disposizioni per arrivare ad essa. Allorché Mosè domandò a Dio che gli mostrasse la sua gloria, il Signore rispose che non poteva vederla in questa vita, ma che nondimeno gli avrebbe mostrato tutto il bene (E s 33 , 19 -2 0), ossia ciò che quaggiù è possibile vedere. E Dio fece questo, mettendo Mosè nella caverna della pietra (che è Cristo) e mostrandogli le spalle; e con ciò gli diede la cognizione dei misteri dell'Umanità di Cristo.

5 - L'anima, dunque, desidera introdursi molto addentro in queste caverne di Cristo, per essere bene immersa, trasformata e inebriata nell'amore della loro sapienza,

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nascondendosi nel petto del suo Amato; poiché in questo pertugio Egli l 'invita nei Cantici, dicendo: Alzati, affrettati, amica mia, bella mia; vieni, colomba mia, nei forami della pietra e nell'apertura della maceria (C t 2 , 13 -14) : i quali forami sono le caverne di cui andiamo parlando. Quindi l 'anima subito dice:

Là entro ne andrem poi.

6 - Là, ossia in quelle notizie e misteri divini noi entreremo. E si noti che non dice: Entrerò io sola, ciò che sembrerebbe più conveniente, poiché lo Sposo non ha bisogno di entrare di nuovo; ma: entreremo, cioè io e l 'Amato. Perché s'intenda che non essa compie quest'opera, ma lo Sposo con lei; ed oltre a ciò, essendo Dio e l'anima già uniti nel presente stato di matrimonio spirituale, ella non fa opera alcuna da sola, senza Dio. Il dire poi: Là entro ne andrem, significa: là ci trasformeremo, cioè io in te, per l 'amore dei dolci giudizi divini. Poiché nel conoscimento della predestinazione dei giusti e della prescienza dei malvagi, per mezzo di che il Padre prevenne i giusti nelle benedizioni della sua dolcezza nel suo Figliolo Gesù Cristo, l 'anima si trasforma in modo assai elevato e stretto in amore di Dio, secondo le dette notizie, amando e ringraziando ripetutamente il Padre con grande gusto e diletto, per averci donato il suo Divin Figlio: e ciò ella fa, unita con Cristo ed insieme con Lui. Il sapore poi di questa lode è così delicato che è assolutamente ineffabile, e l 'anima lo dice nel verso seguente:

L'umor suggendo de’ granati tuoi.

7 - I granati o melagrane significano i misteri di Cristo e i giudizi della divina sapienza, come pure le virtù e gli attributi di Dio che dal conoscimento di tali misteri e giudizi si scoprono in Lui, e che sono innumerevoli. Come le melagrane contengono molti granelli, nati e contenuti in quella cavità sferica, così ogni attributo, mistero, giudizio e virtù di Dio contiene in sé una gran moltitudine di meravigliose disposizioni e di mirabili effetti divini, contenuti e sostentati nel seno sferico di quella tale virtù, mistero ecc., che appartengono a quei tali effetti. E si noti qui la forma circolare o sferica della melagrana; ché per ogni granato intendiamo qualsivoglia virtù e attributo divino, il quale attributo o virtù è lo stesso Dio, simboleggiato dalla forma sferica, perché non ha né principio né fine. Essendo, dunque, racchiusi nella sapienza di Dio sì innumerevoli giudizi e misteri, la Sposa dei Cantici, parlando del suo Amato dice: Il suo seno è di avorio, smaltato di zaffiri (C t 5 ,14 ); dai quali sono denotati i detti misteri e giudizi della divina sapienza, come questa è significata dal seno; perché lo zaffiro è una pietra preziosa dal colore del cielo limpido e sereno.

8 - L'umore, il succo di questi granati, del quale, come la Sposa dice, lei e l'Amato gusteranno, è la deliziosa fruizione dell'amore di Dio, che dalla cognizione di essi ridonda nell'anima. Poiché, come da molti chicchi di melagrana, mangiandoli, se ne spreme un solo umore e succo, così da tutte quelle meraviglie e grandezze di Dio infuse nell'anima, ridonda in lei un'unica fruizione e diletto d'amore, la bevanda dello Spirito Santo; la quale essa offre subito al suo Dio, al Verbo suo Sposo, con grande tenerezza di affetto. Ella, infatti , gli aveva già promesso nel Cantici questa divina bevanda, qualora l'avesse introdotta in quelle sublimi notizie, dicendo: Ivi tu sarai mio maestro, ed io ti darò una bevanda di vino aromatico e il succo delle mie melagrane (C t 8 ,2 ): chiamando sue, benché siano di Dio, le melagrane, cioè le divine notizie, perché Egli gliele ha date. L’anima, dunque, offre per bevanda al suo Dio il godimento e la fruizione di tali notizie nel vino d'amore. Ecco ciò che significa: L’umor suggendo de’ granati tuoi. Poiché, mentre lo Sposo beve di questo succo, lo porge a gustare alla Sposa, ed essa, gustando, lo ritorna a Lui, e quindi è comune a tutt'e due il diletto che provano.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Nelle ultime due strofe la Sposa è andata cantando i beni che lo Sposo dovrà concederle nella felicità eterna: sarà, cioè, da Lui trasformata di fatto nella bellezza della sua sapienza creata ed increata, ed anche nella bellezza dell'unione del Verbo con

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l'umanità; onde conoscerà Dio tanto dalla faccia, quanto dal dorso. Ora poi, nella strofa seguente, dice due cose. Primieramente, parla dei modo in cui ella dovrà gustare il succo divino degli zaffiri o melagrane che ha detto. In secondo luogo, rammenta allo Sposo la gloria che le avrà da conferire di sua predestinazione. E bisogna notare che, quantunque ella descriva qui i suoi beni in modo distinto e successivamente, tutti però si contengono nell'unica gloria essenziale dell'anima. Dice dunque così:

STROFA 38

Qui tu mi mostreraiQuel che l'anima mia da te pretendeQui tosto mi darai,O gioia, o vita mia,Quel che l’altr’ier mi desti ed or vorria

DICHIARAZIONE

2 - Il fine per cui l'anima desiderava di entrare nelle suddette caverne, era di pervenire alla consumazione dell'amore di Dio, alla quale aveva sempre aspirato, cioè di giungere ad amare Dio con la purezza e perfezione con cui ella è amata da Lui, e rendergli così il contraccambio. Perciò in questa strofa dice allo Sposo che ivi le mostrerà ciò che ha sempre tanto bramato in tutti i suoi atti ed esercizi, ossia le insegnerà ad amare lo Sposo con la perfezione con cui Egli ama se stesso. La seconda cosa che ivi, com'essa dice, lo Sposo le darà, è la gloria essenziale a cui la predestinò sin dal giorno della sua eternità.

Qui tu mi mostreraiQuel che l’anima mia da te pretende.

3 - Questa pretensione dell'anima è l'uguaglianza di amore con Dio, alla quale sempre tende naturalmente e soprannaturalmente, perché l'amante non può essere soddisfatto, se non sente di amare quanto è amato. E poiché l'anima vede che con la sua attuale trasformazione in Dio, benché lo ami immensamente, non può giungere a pareggiare quella perfezione di amore con cui è amata da Lui, desidera la chiara trasformazione della gloria, in cui raggiungerà quella uguaglianza di amore. Ed invero, quantunque nel sublime stato in cui ora si trova vi sia vera unione di volontà, l'anima non può tuttavia pervenire all'eminente qualità e forza di amore che avrà in quella stretta unione di gloria; perché come allora l'anima, al dire di S. Paolo, conoscerà Dio come è conosciuta da Lui (1Cor

13 , 12 ), così anche l'amerà come è da Lui amata. E, come allora il suo intelletto sarà intelletto di Dio, e la sua volontà sarà volontà di Dio, così il suo amore sarà amore di Dio. Infatti, sebbene ivi la volontà dell'anima non sia perduta, pur nondimeno è così strettamente unita alla forza della volontà divina con la quale è amata da Dio che lo ama tanto tenacemente e perfettamente, quanto è amata da Lui, essendo le due volontà unite in una sola e in un solo amore divino. L'anima, quindi, ama Dio con la volontà e la forza di Dio stesso, unita con la stessa forza con cui è amata da Dio. Questa forza è nello Spirito Santo, in cui l 'anima è trasformata; poiché il Divino Spirito, essendo infuso nell'anima per la forza di detto amore, supplisce in lei, stante la trasformazione di gloria, a ciò che le manca. Questo avviene anche nella trasformazione perfetta del matrimonio spirituale, a cui l'anima può giungere quaggiù; nel quale stato è tutta vestita di grazia, ed in qualche maniera ama come sopra, per mezzo dello Spirito Santo che le viene dato in tale trasformazione.

4 - Pertanto si deve avvertire che l'anima qui non dice che Dio le darà il suo amore (benché in verità glielo dia), poiché con ciò non significherebbe altro che l'amore di Dio verso di lei; ma dice che ivi le mostrerà come debba amarlo, con la perfezione che ella desidera: essendo che Egli le donerà il suo amore e nello stesso tempo le insegnerà ad amarlo come è amata da Lui. Oltre che, infatti, Dio insegna all'anima ad amare puramente e liberamente, senza interesse, alla maniera stessa che Egli ci ama, la fa

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amare con la forza con cui Egli l'ama, trasformandola nel suo amore, e conferendole con questo la sua stessa forza onde possa amarlo. Le pone in mano, per così dire, lo strumento e le suggerisce il modo di adoprarlo, adoperandolo insieme con lei; il che è insegnarle ad amare, e renderla abile a tale effetto. Finché l'anima non arriva a questo punto, non è contenta, né lo sarebbe nell'altra vita se, come dice S. Tommaso nell’Opuscolo de Beatitudine, non sentisse di amare Dio tanto quanto ne è amata. Che se in questo stato di matrimonio spirituale, di cui andiamo parlando, non vi è quella perfezione di glorioso amore, v'è però una viva rassomiglianza, una viva immagine di quella celeste perfezione che è del tutto ineffabile.

Qui tosto mi darai,O gioia, o vita mia,Quel che l'altr'ier mi desti ed or vorrìa.

5 - Quello che, a detta dell'anima, lo Sposo le darà subito, è la gloria essenziale, che consiste nel vedere l'essenza di Dio. Prima però di passare innanzi, conviene sciogliere una difficoltà. Se la gloria essenziale consiste nel vedere Dio, e non già in amarlo, perché l'anima qui dice che l'amore, e non la gloria essenziale, è la sua pretensione, e pone l'amore al principio della strofa, mentre la petizione di ciò che è la gloria essenziale la mette dopo, quasi che di questa facesse minor conto? Ciò avviene per due ragioni: la prima, perché il fine di tutte le cose è l'amore che ha per soggetto la volontà, la cui proprietà è dare e non ricevere, mentre la proprietà dell'intelletto, che è il soggetto della gloria essenziale, è ricevere e non dare. Quindi, essendo l'anima inebriata di amore, non pensa alla gloria che dovrà ricevere da Dio, ma a darsi tutta a Lui con vero affetto, senza alcun riguardo al proprio interesse. La seconda ragione è che nella prima pretensione s'include la seconda, la quale anzi e presupposto nelle precedenti strofe. Infatti, è impossibile giungere al perfetto amore di Dio senza la perfetta visione di Lui. La forza, quindi, del dubbio proposto si scioglie nella prima ragione; poiché l'anima con l'amore paga a Dio ciò che gli deve , e con l'intelletto piuttosto riceve da Lui.

6 - Passando ora alla spiegazione, vediamo qual giorno sia quell'altro ieri di cui l 'anima fa menzione, e che cosa sia quello che allora Dio le diede, e che adesso ella gli chiede per quando sarà nella gloria. Per altro giorno intende quello dell'eternità di Dio che è ben diverso da questo giorno temporale: nel quale giorno dell'eternità, Dio predestinò l'anima alla gloria e in esso determinò quale gloria le dovrebbe dare, e gliela diede liberamente, senza principio, prima che la creasse. E quello che le diede è ormai così proprio dell'anima, che nessun avvenimento, nessun contrasto, da qualunque parte venga, basterà mai a levarglielo; ma essa arriverà a possedere senza fine quel bene cui Dio la predestinò senza principio. Ecco quello che Dio le diede l'altro ieri, e che essa desidera di possedere in modo manifesto nella gloria. Ma, che sarà quello che le diede? Né occhio lo vide, né orecchio l'udì, né cadde in pensiero umano, al dire dell'Apostolo (1C or,2 - 9 ). E come già Isaia aveva detto: Occhio non vide, o Signore. all 'infuori di te, ciò che apparecchiasti ecc. ( I s

64 , 4 )); il che non avendo altro nome, l'anima lo chiama quello. Ciò, insomma, è vedere Dio; però che cosa sia per l 'anima vedere Dio, non ha altro nome che quello.

7 - Tuttavia, per non tralasciare di dirne qualche cosa, riferiremo ciò che ne disse Cristo a S. Giovanni nell'Apocalisse, in sette volte e con molti termini e comparazioni, non potendo quello essere compreso in un solo vocabolo, né detto in una volta, poiché anche dopo quelle sette volte vi restò sempre da dire. Ivi, dunque, Cristo così si esprime: A colui che vincerà, darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso del mio Dio (Ap 2 ,7 ) . Ma, poiché questa frase non dichiara bene il quello, subito ne soggiunge un'altra: Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita (Ap 2 ,10 ) . Non bastando però sempre questa frase a spiegarlo, ne dice subito un'altra più oscura, ma che lo fa intendere un po' meglio: A chi vincerà, darò la manna nascosta, e un sassolino bianco in cui sta scritto un nome nuovo, che nessuno sa, eccetto chi lo riceve (Ap 2 ,17 ) . Ma non essendo sufficiente nemmeno questo detto a dichiarare il quello, subito il Figlio di Dio ne proferisce un altro, che in sé racchiude un'idea di grande potere ed allegrezza: A colui che vincerà e praticherà le mie opere sino alla fine, darò potestà sopra le genti, e le reggerà con verga di ferro, e come vasi di creta saranno stritolate: come anch'io ricevetti dal Padre mio; e gli

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darò la stella del mattino (Ap 2 ,2 6 - 28). E non contento di questi termini, soggiunse: Chi sarà vincitore, sarà vestito di bianche vesti, e il suo nome non sarà mai cancellato dal libro della vita, e io confesserò il suo nome dinanzi al Padre mio. (Ap 3 ,5 )

8 - Ma, poiché tutte le suddette cose non bastano a spiegare il quello, proferisce molti termini che contengono un che di maestà e grandezza ineffabile: Chi vincerà, dice, lo costituirò colonna nel tempio del mio Dio, e non uscirà fuori giammai, e scriverò sopra di lui il nome del mio Dio e il nome della città nuova del mio Dio, di Gerusalemme, che discende dal cielo del mio Dio, ed anche il mio nome nuovo (Ap 3 ,1 2 ) . Finalmente sempre per dichiarare il quello, soggiunge tosto la settima espressione: A chi vincerà, io concederò di sedere con me sul mio trono, come io vinsi e mi sedetti col Padre mio sul suo trono. Colui che ha orecchie per udire, oda ecc. (Ap 3 ,21 - 22). Fin qui sono parole del Figlio di Dio, tutte dirette a fare intendere quello, ma non lo spiegano, quantunque ad esso convengano assai perfettamente; poiché le cose immense hanno questo di proprio, che tutti i termini che dicono bontà, eccellenza, nobiltà e grandezza quadrano loro, ma nessuno di essi né tutti insieme le spiegano.

9 - Ma vediamo ora se Davide dica qualche cosa di quel quello. In un Salmo dice: Quanto è grande l’abbondanza della tua dolcezza, che serbi nascosta per queelli che ti temono! (Sa l

30 , 20 ) E altrove chiama quello torrente di diletto, dicendo: Darai loro da bere al torrente delle tue delizie (S al 35 ,9 ) . E poiché nemmeno in queste parole Davide trova una pienezza di significato, in altro luogo lo chiama una prevenzione delle benedizioni della divina dolcezza (S al 20 ,4 ) . Di maniera che non si trova un nome che perfettamente quadri a ciò che l'anima qui dice, ossia alla felicità cui Dio la predestinò. Ce ne resteremo, quindi, col pronome quello usato dall'anima, e dichiareremo il verso in questo modo: Quel che mi desti, cioè quel peso di gloria a cui mi predestinasti, o Sposo mio, nel giorno della tua eternità, quando ti piacque decretare di crearmi, me lo darai subito lassù, nel giorno del mio sposalizio e delle mie nozze, nel giorno della letizia del mio cuore, quando distaccandomi dalla carne, entrando nell'eccelse caverne del tuo talamo, e trasformandomi gloriosamente in te, berremo il succo dei dolci granati.

ANNOTAZIONE SOPRA LA STROFA SEGUENTE

1 - Nello stato di matrimonio spirituale di cui qui trattiamo l'anima conosce alcunché di quello, poiché lo sperimenta in parte, essendo trasformata in Dio; non vuole, quindi, omettere di parlare un po' di una cosa i cui pegni e vestigia già sente in sé, perché, come si legge nel Profeta Giobbe: Chi potrà trattenere la parola già in sé concepita, senza esprimerla? (Gb 4 ,2 ) . Pertanto, nella seguente strofa, l 'anima si occupa in dire qualcosa di quella fruizione che godrà nella visione beatifica, dichiarando, per quanto è possibile, che cosa sia e come avvenga ciò che lassù l'attende.

STROFA 39

L'aura che spira a noi,Di filomena il dolce lieto canto,La selva e i fregi suoi,Nella notte, serena,Con dolce ardor che strugge e non dà Pena.

DICHIARAZIONE

2 - In questa strofa, l 'anima dice e dichiara con cinque espressioni quello che lo Sposo le darà nella beatifica trasformazione. La prima, dice, è la spirazione dello Spirito Santo da Dio a lei, e da lei a Dio. La seconda, è il giubilo verso Dio nella divina fruizione. La terza, la cognizione delle creature e del loro ordine mirabile. La quarta, la pura e

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chiara contemplazione dell'essenza divina . La quinta, la trasformazione totale nell'immenso amore di Dio . Dice il primo verso:

L'aura che spira a noi.

3 - Questo spirare dell'aura, è una capacità che l'anima riceverà da Dio nella comunicazione dello Spirito Santo, il quale con la sua spirazione divina innalza l'anima in maniera molto sublime, e la informa ed abilita perché ella spiri in Dio la medesima spirazione d’amore, che il Padre spira nel Figlio, e il Figlio nel Padre; la quale spirazione è lo stesso Spirito Santo, che spira dall'anima nel Padre e nel Figlio con la detta trasformazione, a fine di unirla a sé. Poiché non sarebbe una vera e totale trasformazione, se l'anima non si trasformasse nelle tre Persone della Santissima Trinità in un grado svelato e manifesto. Ora, questa spirazione dello Spirito Santo, con la quale Dio trasforma in sé l'anima, apporta a questa un così sublime, delicato e profondo diletto, che non v'è lingua mortale che valga ad esprimerlo, né l’intelletto umano, in quanto tale, può saperne qualche cosa. Che anzi neppure si può ridire quello che nella trasformazione temporale avviene circa una tale comunicazione dell'anima; perché questa, unita e trasformata in Dio, spira in Dio a Dio la medesima spirazione divina che Dio, essendo ella trasformata in Lui, spira in se stesso a lei.

4 - Nella trasformazione che l'anima può conseguire in questa vita, assai di frequente la detta spirazione passa da Dio all'anima e da questa a Dio, con altissimo diletto di amore nella medesima, quantunque non in grado svelato e manifest o come nell'altra vita. E questo è, a mio avviso, ciò che S. Paolo volle intendere quando disse: Poiché siete figli, Dio inviò nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo, il quale grida: Abbà, Padre! (Ga l

4 , 6 ) La qual cosa accade nei beati in cielo e nei perfetti in terra nel modo anzidetto. Né v'è ragione di ritenere per incredibile che l'anima possa una cosa tanto sublime, che cioè per via di partecipazione spiri in Dio come Dio spira in lei. Ed invero, posto che Dio le faccia grazia di unirla nella Santissima Trinità, rendendola deiforme e Dio per partecipazione, che incredibile cosa è che ella anche operi il suo atto d'intelletto, di notizia e di amore o, per meglio dire, l'abbia operato nella Trinità unicamente con essa e come la Trinità stessa? Ma, s'intende, sempre in modo comunicato e partecipato da Dio, che opera ciò nell'anima. In questo consiste essere trasformati nelle tre Persone in potenza, sapienza e amore; in questo l'anima è simile a Dio, il quale appunto la creò a sua immagine e somiglianza, perché potesse giungere a così sublime stato.

5 - Come poi ciò avvenga, non si può comprendere né esprimere. Soltanto ci basti sapere che il Figlio di Dio ci ottenne un posto così elevato e ci meritò l'altissimo grado di poter essere figli di Dio, e perciò Egli stesso lo domandò al Padre, secondo che leggiamo in S. Giovanni, dicendo: Padre, io voglio che coloro che mi hai dato, stiano anch'essi con me, dove sono io, perché vedano la gloria che mi desti (Gv 17 ,24 ); vale a dire che facciano in noi, per partecipazione, la stessa opera che io faccio per natura, cioè spirare lo Spirito Santo. Dice inoltre: Ma non prego, o Padre, solamente per i qui presenti, ma anche per quelli che, per la loro parola, crederanno in me: che essi tutti siano una sola cosa, come tu, o Padre, sei in me ed io in te, affinché siano in noi una stessa cosa. E la gloria che tu mi desti, l’ho data a loro, perché siano una sola cosa, come noi lo siamo. Io in essi e tu in me, perché siano perfetti nell'unità; affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li amasti come hai amato me (Gv 17 ,20 - 23); cioè comunicando loro il medesimo amore che al Figlio, sebbene non naturalmente come a Lui, ma per unione e trasformazione di amore. Nemmeno poi qui s'intende che il Figlio voglia dire al Padre che i Santi siano una sola cosa essenzialmente e naturalmente, come lo sono il Padre e il Figlio, ma che lo siano per unione di amore, come il Padre e il Figlio vivono in unità di amore.

6 - Le anime, quindi, possiedono per partecipazione gli stessi beni che Dio possiede per natura , per il che veramente sono dèi per partecipazione, simili a Dio e suoi compagni. A questo proposito S. Pietro disse: Sia completa e perfetta in voi la grazia e la pace nella cognizione di Dio e di Gesù Cristo Nostro Signore, in quella guisa che dalla sua divina virtù ci sono date tutte le cose necessarie alla vita e alla pietà, mediante i1

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conoscimento di Colui che ci chiamò con la propria gloria e virtù, per mezzo del Quale il Padre ci ha fatto grandissime e preziose promesse, affinché per queste diventaste partecipi della divina natura (1P t 1 , 2 -4 ). Con queste parole S. Pietro ci fa chiaramente intendere che l'anima parteciperà di Dio stesso, il che sarà operando in Lui ed insieme con Lui l'opera della Santissima Trinità, nel modo sopra descritto, a causa dell'unione sostanziale tra 1'anima e Dio. Ma, benché ciò si compia perfettamente nell'altra vita, tuttavia, allorché in questa si giunge allo stato perfetto di cui parliamo, se ne consegue un vestigio e un sapore grande nella maniera che stiamo dicendo; quantunque, ripeto, non si possa esprimere.

7 - O anime create per queste grandezze e ad esse chiamate, che fate? in che v'intrattenete? Le vostre aspirazioni sono bassezze e le vostre possessioni miserie. O lacrimevole cecità della vostra mente! poiché siete ciechi a tanta luce, e sordi a così grandi voci, non accorgendovi che, mentre cercate grandezze e gloria, ve ne rimanete miseri e vili, ignari e indegni di tanti beni!

Segue la seconda espressione usata dall'anima, per spiegare il quello:

Di filomena il dolce lieto canto.

8 - Quel che nasce nell'anima dallo spirar dell'aura è la dolce voce dell'Amato a lei indirizzata, alla quale essa risponde col suo gustoso giubilo: l'una e l 'altra cosa è qui chiamata canto di filomena. Poiché, come il canto di filomena, ossia dell'usignolo, si ode in primavera, quando già sono passati i freddi, le piogge e i cambiamenti dell'inverno, e la sua dolce melodia è grata all'orecchio e ricrea lo spirito: così nella comunicazione e trasformazione di amore di cui la Sposa in questa vita già gode (al sicuro ormai e libera da tutti i turbamenti e le tristi vicende temporali, spoglia e purgata dalle imperfezioni, penalità e nebbie, così del senso come dello spirito), gusta una nuova primavera di libertà, larghezza e gioia di spirito, in cui ode la voce soave dello Sposo, che è il suo dolce usignolo. Questa voce la rinnova e refrigera la sostanza dell'anima sua, come a colei che è già ben disposta per camminare i vita eterna, e la chiama dolcemente e soavemente con queste parole: Alzati, su affrettati, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni. Perocché già è passato l'inverno, e la pioggia si è allontanato. Sono spuntati i fiori nella nostra terra, il tempo di potare è giunto, e si è udita la voce della tortora nella nostra campagna.(C t 2 ,10 -12)

9 - In questa voce dello Sposo, proferita nell'intimo dell'anima, la Sposa sente la fine dei mali e il principio dei beni, e provando perciò un gustoso sentimento di refrigerio e sicurezza anch'essa, qual dolce filomena, emette la sua voce con nuovo canto di giubilo a Dio, unitamente con Dio che a ciò la muove. E per questo appunto lo Sposo indirizza la sua voce a lei, affinché ella ad un tempo innalzi la propria a Dio, insieme con Lui: poiché l'aspirazione e il desiderio dello Sposo è che l'anima innalzi a Dio la sua voce spirituale di esultanza, secondo che Egli stesso domanda alla Sposa nei Cantici, dicendo: Alzati, affrettati, amica mia; vieni, colomba mia, nei forami della pietra, nell'apertura della maceria; fammi vedere il tuo volto, risuoni al mio orecchio la tua voce (C t 2 ,13 -14) . L'orecchio di Dio significa qui il desiderio che Egli ha di udire dall'anima la perfetta voce di giubilo, e affinché sia tale, lo Sposo chiede che risuoni nelle caverne della Pietra, cioè nella suddetta trasformazione nei misteri di Cristo. E poiché in tale unione l'anima giubila e loda Dio con Dio stesso, come dicemmo dell'amore, la sua lode è molto perfetta e a Lui gradita: essendo l'anima in questa perfezione, compie le opere assai perfettamente, e quindi la sua voce di giubilo riesce soave a Dio e all'anima stessa. Onde lo Sposo disse: La tua voce è dolce (C t 2 ,1 4 ): e non solo per te, ma anche per me, poiché essendo tu unita a me, emetti la tua voce di dolce usignolo per me con me.

10 - Di tal sorta è il canto dell'anima nella trasformazione che gode quaggiù il cui sapore sorpassa ogni immaginazione, quantunque non sia così perfetto come il canto nuovo della vita gloriosa, Tuttavia l'anima, inebriata dal canto che sente qui in terra, dall'altezza di esso si forma una qualche idea dell'eccellenza di quello della gloria, più sublime senza confronto, e ne fa menzione chiamandolo canto di dolce filomena. E subito soggiunge:

La selva e i fregi suoi.

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11 - Questa è la terza cosa che, a detta dell'anima, lo Sposo dovrà darle. Per selva, che nutre in sé molte piante ed animali, l'anima intende Dio che crea e dà l'essere a tutte le creature, le quali in Lui hanno vita e radice. Ciò, dunque, significa che Dio le si mostrerà e farà conoscere come Creatore. Sotto il nome di fregi della selva, l 'anima qui domanda allo Sposo, per l 'eterna vita, di conoscere appieno non solo la grazia, la sapienza, la bellezza che da Dio riceve ciascuna delle creature, sì terrestri che celesti, ma anche l'ammirabile armonia che risulta dalla loro sapiente, ordinata, graziosa, amichevole correlazione, sia tra le creature inferiori, sia tra le superiori, sia infine tra le superiori e le inferiori; e la loro cognizione arreca all'anima piacere e diletto.

Nella notte serena.

12 - La notte serena è la contemplazione, in cui l 'anima desidera vedere le anzidette cose. La chiama notte, perché la contemplazione è oscura; e perciò con altro nome si chiama mistica teologia, che vuol dire sapienza di Dio segreta e nascosta, nella quale, senza rumore di parole né aiuto di alcun sentimento spirituale o corporale, quasi in silenzio e quiete, al buio di tutto il sensibile e naturale, Dio ammaestra occultissimamente l'anima senza che ella ne sappia il modo. Questo, come dicono alcuni spirituali, è un intendere non intendendo: poiché ciò non avviene nell' intelletto chiamato dai filosofi attivo, la cui opera è nelle forme, nei fantasmi e apprensioni delle potenze corporee, ma nell'intelletto possibile e passivo, il quale senza ricevere quelle forme ecc., soltanto passivamente riceve un'intelligenza sostanziale, spoglia di qualsiasi immagine. Questa intelligenza gli viene comunicata senza alcun’opera o ufficio suo attivo.

I3 - Ben giustamente, quindi, l 'anima chiama notte questa contemplazione in cui ella quaggiù conosce altissimamente la selva divina e i suoi fregi per mezzo della trasformazione di cui gode. Ma, per quanto sublime sia questa notizia, paragonata però a quella beatifica che l'anima qui chiede, è una notte oscura; e per questo, desiderando la chiara contemplazione, domanda che questo godere della selva e dei suoi fregi e delle altre cose su ricordate avvenga nella notte già serena, cioè nella contemplazione ormai chiara e beatifica dell'eterna vita; di maniera che cessi alfine la notte nella contemplazione oscura di quaggiù, e si cambi nella contemplazione della chiara e serena vista dì Dio nella gloria. Adunque, il dire: Nella notte serena, significa: nella contemplazione già chiara e serena della vista di Dio. Il Profeta Davide, parlando di questa notte di contemplazione, dice: La notte sarà la mia illuminazione nelle mie delizie (S al 138 ,11 ) . Ed è come se dicesse: Quando sarò nelle delizie della visione essenziale di Dio, già la notte della contemplazione sarà mutata in giorno e luce del mio intelletto.

Con dolce ardor che strugge e non dà pena.

14 - Per ardore o fiamma s'intende qui l 'amore dello: Spirito Santo; e lo struggere significa finire e perfezionare. L'anima, quindi, dice che l'Amato dovrà darle tutte le cose menzionate in questa strofa, ed ella le possederà con consumato e perfetto amore, assorte tutte, ed essa insieme con loro, in amore perfetto che non recare pena. Con ciò fa intendere tutta intera la perfezione di questo amore. Difatti, perché lo sia, deve avere queste due proprietà, cioè: che consumi l'anima e la trasformi in Dio, e che la sua fiamma e la trasformazione che opera nell'anima non dia pena. Questo non può accadere se non nello stato beatifico, dove ormai questa fiamma è un amore soave, benché nella trasformazione dell'anima in tale fiamma vi è conformità e soddisfazione beatifica da ambedue le parti; e quindi l'amoroso ardore non apporta pena con la varietà del più o del meno, come faceva prima che l'anima giungesse ad essere capace del perfetto amore. Ma, giunta che sia a tal punto, l 'anima si trova in così conforme e soave amore con Dio, che pur essendo Egli, come dice Mosè, fuoco consumatore (D t 4 ,24 ) , ormai non è per lei se non perfezionatore e ristoratore. Non più, dunque, avverrà come in questa vita, in cui la trasformazione, quantunque fosse molto perfetta e perfezionatrice in amore, tuttavia consumava ed estenuava alquanto l'anima; a quella guisa che il fuoco, benché trasmutasse e rendesse a sé conforme il carbone, con farne cessare l'umidore e il fumo che tramandava, nondimeno mentre lo trasformava in fuoco, lo consumava e dissolveva in

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cenere. Lo stesso accade all'anima che in questa vita è trasformata con perfezione di amore. Poiché, quantunque vi sia conformità, pure in certo modo patisce pena e detrimento: primo, a causa della trasformazione beatifica, la cui dilazione affligge sempre più lo spirito; secondo, per il danno che riporta il senso debole e corruttibile dalla forza ed eccellenza di tanto amore. Infatti, qualunque cosa eccellente riesce di detrimento e di pena alla fiacchezza naturale, secondo che sta scritto: «Corpus enim quod corrumpitur, aggravat animam» (S ap 9 ,15 ) . Ma, in quella vita beata, l 'anima non soffrirà danno né pena alcuna, sebbene il suo intendere sarà profondissimo ed il suo amare sarà senza misura; poiché, rispetto all'intendere, Dio le darà abilità, perfezionandone l'intelletto con la sua divina sapienza; e rispetto all'amare, le infonderà forza, perfezionandone la volontà con il suo amore.

15 - E poiché la Sposa ha chiesto, nelle strofe passate e nella presente, immense comunicazioni e notizie di Dio, avendo bisogno di fortissimo e altissimo amore, per amare a proporzione della sublimità ed altezza loro, domanda qui che esse tutte siano con questo amore consumato, perfettivo e forte.

STROFA 40

Nessun mirarla osava,Né comparire Aminadabbo ardia.L'assedio alfin posava;E a veder l'acque viveScendeano i cavalier lungo le rive.

DICHIARAZIONE

1 - La Sposa conosce che ormai l'appetito della sua volontà è distaccato da tutte le cose, e unito a Dio con strettissimo amore; sa che la parte sensitiva dell'anima con tutte le sue forze, potenze e appetiti è conformata allo spirito, essendo finite e domate le sue ribellioni; conosce pure che, per il vario e lungo esercizio della lotta spirituale, il demonio alfine è vinto e scacciato assai lontano mentre l'anima sua è unita e trasformata in Dio con grande abbondanza di ricchezze e doni celesti; e sapendo, per conseguenza, d’essere ormai molto ben disposta e preparata e forte, appoggiata al suo Sposo,13 per salire attraverso il deserto della morte ma ricolma di delizie, e ai seggi gloriosi del suo Sposo, desiderando che Egli concluda finalmente quest’opera, allo scopo di muoverlo maggiormente a ciò, gli pone sott'occhio tutte le cose dette in quest'ultima strofa, nella quale ne ricorda cinque. La prima è che l'anima sua è già distaccata e aliena da ogni cosa. La seconda, che il demonio è vinto e messo in fuga. La terza, che le passioni sono soggiogate e gli appetiti naturali mortificati. La quarta e la quinta, che la parte sensitiva e inferiore è ormai riformata e purificata, e che è resa conforme allo spirito, tanto che non solo non metterà più ostacolo a ricevere i beni spirituali, ma anzi vi si adatterà, poiché anche di quelli che attualmente possiede, già ne partecipa a misura della sua capacità. E [perciò] dice così:

Nessun mirarla osava.

2 - Come se dicesse: L'anima mia è tanto spoglia, distaccata, sola e lontana da tutte le cose create, celesti e terrene, e così introdotta nell'interno raccoglimento con te, che nessuna di esse arriva a scoprire l’intimo diletto che in te possiedo. Esse, cioè, non possono produrre nell'anima mia né piacere con la loro dolcezza, né disgusto o molestia con la loro miseria e viltà. Poiché, essendo l'anima mia tanto lontana da loro, ed in così profondo diletto con te, nessuna di esse giunge a vederla. E non solo questo, ma

Né comparire Aminadabbo ardia.

13 Ct 8,5.

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3 - Nella divina Scrittura, Aminadab, in senso spirituale, significa il demonio, avversario dell'anima, il quale sempre la combatteva e turbava con le innumerabili munizioni della sua artiglieria, affinché ella non entrasse nella fortezza o nascondiglio dell'interno raccoglimento con lo Sposo. Quivi però essendo ormai accolta, l 'anima è così protetta, così forte e vittoriosa per le virtù che possiede e per la protezione dell'abbraccio di Dio, che il demonio non solamente non osa appressarsi, ma atterrito se ne fugge molto lontano e non ardisce comparire. Per l 'esercizio delle virtù e a causa dello stato perfetto in cui si trova, l 'anima lo ha talmente sconfitto e fugato, che esso non si presenterà più davanti a lei. Dunque, l 'anima dice che Aminadab neppure compariva con qualche pretensione d'impedirle il bene cui aspira.

L’assedio alfin posava.

4 - Per questo assedio l 'anima intende le sue passioni e appetiti, i quali, finché non sono vinti e mortificati, la stringono all'intorno, combattendola da ogni parte; e perciò giustamente li chiama col nome di assedio. Di esso però dice, che è cessato, cioè l e passioni sono ordinate secondo la ragione, e gli appetiti sono mortificati. Pertanto ella prega il Diletto che non lasci di comunicarle le grazie che gli ha chiesto, poiché non v'è più assedio che valga ad impedirle. Dice questo, perché l'anima non è capace di vedere Dio, finché non ha ordinato a Lui le sue quattro passioni e non ha mortificato e purgato gli appetiti. E conclude dicendo:

E a veder l'acque viveScendeano i cavalier lungo le rive.

5 - Col nome di acque vive intende i beni e i diletti spirituali che in questo stato l'anima gode intimamente con Dio. Per cavalieri poi vuol significare i sensi corporei della parte sensitiva, sì interni che esterni, benché essi attraggono in sé i fantasmi e le figure dei loro oggetti. Essi al presente, a detta della Sposa, discendono a vedere le acque spirituali; poiché nello stato di matrimonio spirituale la parte sensitiva o inferiore dell'anima è in tal guisa purificata e in certo modo spiritualizzata, che essa e le sue potenze e forze naturali si raccolgono a partecipare e godere a modo loro delle grandezze spirituali che Dio sta comunicando all'anima nell'intimo dello spirito, secondo che Davide volle farci intendere quando disse: Il mio cuore e la mia carne esultarono nel Dio vivo. (S al 83 ,3 )

6 - E si noti bene che la Sposa qui non dice che i cavalieri scendevano a gustare le acque, ma semplicemente a vederle, perché la parte sensitiva con le sue potenze non ha capacità di assaporare essenzialmente e propriamente i beni spirituali, e ciò non solo in questa vita, ma neppure nell'altra. 14 Tuttavia, per una certa ridondanza dello spirito, riceve da essi ricreamento e diletto sensibile, da cui le dette potenze e sensi corporei sono attratti al raccoglimento interiore, dove l'anima sta bevendo le acque spirituali: il che è un discendere piuttosto a vederle che a berle e gustarle quali esse sono. Inoltre, l 'anima dice che scendevano, e non già che andavano, né usa altro vocabolo: per farci comprendere che in questa comunicazione della parte sensitiva con la spirituale, quando cioè si gusta la bevanda delle acque vive, la prima scende dalle sue operazioni naturali (cessando da queste) al raccoglimento dello spirito.

7 - Tutte queste perfezioni e disposizioni la Sposa le pone innanzi al suo Amato, al Figlio di Dio, desiderando di essere da Lui trasferita dal matrimonio spirituale, a cui l'ha voluta far giungere in questa Chiesa militante, al glorioso matrimonio della Chiesa trionfante. Oh! piaccia allo Sposo delle anime fedeli condurre a così felice termine tutti coloro che invocano il suo santo Nome, il nome dolcissimo di Gesù: al quale sia onore e gloria, insieme col Padre e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Così sia.

Fine del Cantico Spirituale

14 Santa Teresa d’Avila, 7M 2,6.

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