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DIZIONARIO PER UNA CAMPAGNA ATTIVA

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  • DIZIONARIO PER UNACAMPAGNA ATTIVA

    Partnership For Change è un progetto disensibilizzazione e partecipazione attivaall’attività politica sugli Accordi diPartenariato Economico (APE) fral’Unione Europea (UE) e i paesi di Africa,Caraibi e Pacifico (ACP). Suo principaleobiettivo è contribuire affinché le politi-che commerciali, di sviluppo e coopera-zione internazionale dell’Unione Europeasiano coerenti con gli impegni sottoscrittia favore degli Obiettivi di Sviluppo delMillennio (OSM). Scopo del progetto èpromuovere il dibattito partecipato e loscambio di idee e informazioni sugli APEsia all’interno dell’UE sia nei paesi ACP. Atal fine è prevista la preparazione di mate-riale di sensibilizzazione e partecipazionepolitica per il pubblico interessato, leONG, università, movimenti sociali, cen-tri educativi e, in particolare, per i respon-sabili del processo decisionale in seno allediverse istituzioni dell'Unione Europea.

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  • DIZIONARIO PER UNACAMPAGNA ATTIVA

    Concetti fondamentali per il dibattito sugliAccordi di Partenariato Economico

    fra l’UE e i paesi ACP

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  • Coordinamento: Miguel Argibay e Gema Celorio

    Traduzione: INTRAS Congressi

    Revisione editoriale: Amici dei Popoli. Ong

    Impaginazione e grafica: Marra Servicios Publicitarios, S.L.

    Stampa: Lankopi S.A.

    ISBN: 978-84-89916-29-6

    Deposito legale: Bi-1592-09

    Progetto co-finanziato dalla:

    Questo documento è stato pubblicato con il sostegnofinanziario della Commissione delle Comunità Europee.Gli autori sono i soli responsabili dei contenuti di questodizionario, che non devono in alcun modo essere riporta-ti come espressione delle posizioni dell’Unione Europea.

    Editore:

    Bilbao • Zubiria Etxea. UPV/EHUAvda. Lehendakari Agirre, 81 • 48015 BilbaoTel.: 94 601 70 91 • Fax: 94 601 70 40 • [email protected]

    Vitoria-Gasteiz • Biblioteca del Campus de Álava. UPV/EHUApdo. 138 - Nieves Cano, 33 • 01006 Vitoria-GasteizTel. • Fax: 945 01 42 87 • [email protected]

    www.hegoa.ehu.es

    Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 ItaliaQuesto lavoro è rilasciato sotto la licenza Creative Commons Attribuzione Non commerciale. Può essere libe-ramente copiato, distribuito e riprodotto pubblicamente solo riportando la fonte e gli autori e non per scopicommerciali. Non è permesso alterare, modificare o trasformare il presente lavoro.

    http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/

    Commissione Europea

    Partnership for Change è un progetto promosso da un gruppodi organizzazioni di diversi paesi europei: ADP (Amici deiPopoli. Italia); CESTAS (Centro di Educazione Sanitaria eTecnologie Appropriate Sanitarie. Italia); RISC (WorldEducation Berkshire. Regno Unito); CMO (Centrum VoorMondiaal Onderwijs. Paesi Bassi); HEGOA (Instituto deEstudios sobre Desarrollo y Cooperación Internacional. PaesiBaschi- Spagna).

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    Presentazione 5Autori ed Autrici 7Elenco di paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) e dell’Unione Europea 13Mappa di termini 17

    Accordi di Libero Scambio 19Accordi di Partenariato Economico (APE) 22AGOA. African Growth and Opportunity Act 27Beni Pubblici Globali 31Condizionalità 35Cooperazione allo Sviluppo 38Debito Estero 43Diritti Umani 51Diritti Umani, Sistema Africano dei 54Efficacia degli Aiuti 59Femminizzazione della Povertà 65Governance 69Iniziative Multilaterali di Riduzione del Debito (HIPC/PPFI e MDRI) 73Integrazione Regionale 76Integrazione Regionale Africana 80Lomé e Cotonou, Accordi di 85Neoliberalismo 89Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) 95Partecipazione 99Politica Agricola Comune (PAC) 101Povertà 105Relazioni Sino-Africane 111Sicurezza Alimentare 115Sviluppo Umano 119

    Indice

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  • Il Dizionario per una Campagna Attiva è una delle pubblicazioni promosse da PartnershipFor Change, progetto europeo di sensibilizzazione e partecipazione attiva alla politica inmerito agli Accordi di Partenariato Economico (APE) fra l’Unione Europea (UE) e i paesidi Africa, Caraibi e Pacifico (ACP).

    Nel dicembre 2007, dopo sei anni di negoziazioni, si è concluso il termine per firmare taliaccordi. Numerose voci critiche provenienti dalla società civile, intellettuali e politici siadell’Unione Europea sia dei Paesi ACP, si sono levate contro i termini contrattuali vessatoridegli APE, mettendo in guardia dalle conseguenze negative che potrebbero avere sullo svi-luppo e la vita delle persone. È stato inoltre evidenziato che fra i paesi ACP se ne contanoalcuni fra i più poveri del mondo, per i quali questo tipo di trattati rappresenta una minac-cia e non un impulso allo sviluppo e al raggiungimento del benessere. I trattati sono statiimpugnati dai rappresentanti dei governi dei paesi ACP e da personalità e istituzioni euro-pee, non sono stati conclusi come previsto nel 2007 e, pertanto, i negoziati resteranno aper-ti fino al dicembre 2009.

    La revisione critica di questi Accordi, così come proposta da esperti del settore, potrebberappresentare un’eccellente opportunità per stabilire una solida collaborazione fra unagrande potenza economica come l’Unione Europea e i paesi più poveri del pianeta, a con-dizione che si rispetti l’obiettivo di contribuire alla “riduzione della povertà, allo svilupposostenibile e all’integrazione graduale dei paesi ACP nell’economia mondiale”. Quello attua-le, inoltre, è un momento potenzialmente interessante per richiedere una maggiore coeren-za nell’insieme delle politiche di cooperazione dell’Unione Europea.

    La novità di questo Dizionario per una Campagna Attiva consiste nell’inserimento nei ter-mini in esso contenuti di dibattiti e nuovi elementi che consentono di stabilire relazioni fragli APE e lo sviluppo umano, oltre che di migliorare i criteri di analisi e conoscenza criticasugli stessi. Il Dizionario per una Campagna Attiva desidera essere uno strumento utile per

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    Presentazione

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  • informare singoli ed istituzioni responsabili del processo decisionale a livello comunitario,gruppi che operano nell’ambito della partecipazione attiva alla politica e della solidarietà,nonché chi voglia approfondire alcuni concetti legati allo sviluppo, alla cooperazione inter-nazionale e alla revisione critica degli APE.

    Ringraziamenti

    Desideriamo esprimere la nostra profonda riconoscenza a tutti coloro che hanno collabora-to alla realizzazione di questo Dizionario per una Campagna Attiva e a coloro che, con unostile semplice, hanno contribuito a rendere comprensibili concetti complessi. Desideriamoinoltre ringraziare Marra, ditta di disegno gráfico, per la sua professionalità che gli ha con-sentito di rispettare gli impegni di progettazione ed edizione presi con margini di tempoestremamente ridotti. Per concludere, desideriamo ringraziare Patxi Zabalo, Bob Sutcliffe e,in particolare, Eduardo Bidaurratzaga per il loro contributo decisivo alla selezione dei ter-mini e per il loro sostegno incondizionato al gruppo incaricato di coordinare questa pubbli-cazione.

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  • Jokin Alberdi Bidaguren

    Dottore (PhD) in Scienze Politiche presso l'Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU) edocente presso il Dipartimento di Diritto Costituzionale della stessa università. È ricer-catore presso Hegoa (Istituto di Studi sullo Sviluppo e la Cooperazione Internazionale-UPV/EHU), il Gernika Gogoratuz (Centro di Ricerca sulla Pace) ed il GEA/UAM(Gruppo di Studi Africani dell'Università Autonoma di Madrid). Negli anni recenti si èoccupato degli aspetti socio-politici e giuridici della cooperazione internazionale allo svi-luppo e della realtà dell'Africa Subsahariana.

    Miguel Argibay Carlé

    Laureato in Storia presso l'Università di Buenos Aires (UNBA, Argentina). Membro delGruppo sull'Educazione allo Sviluppo di Hegoa (Istituto di Studi sullo Sviluppo e laCooperazione Internazionale-UPV/EHU). Autore e co-autore di numerose pubblicazio-ni, articoli e materiale didattico sull'Educazione allo Sviluppo. Ha partecipato a corsi diformazioni per insegnanti delle scuole primarie, medie e superiori, e membri di ONG ecooperanti in Europa, Spagna e Paesi Baschi. È stato docente del Master in Cooperazione eSviluppo dell'Hegoa nelle edizioni dal 1995 al 2004.

    Jaime Atienza Azcona

    Economista specializzato in sviluppo. Ricercatore senior del Dipartimento di Studi eCampagne di Intermon Oxfam come responsabile sulle tematiche correlate alle migra-zioni, il settore privato e la fiscalità. È stato il responsabile dell'area di RelazioniEconomiche Internazionali del Centro di Studi della Fondazione Carolina (2005-2008),coordinatore dell'area di Economia Sociale e responsabile del settore Migrazioni e Co-Sviluppo nella Caritas Spagnola (2001-2005); ha coordianto la campagna spagnola sulDebito Estero (1998–2001). Autore e co-autore di diversi libri e numerosi rapporti earticoli sulle migrazioni internazionali, economia e finanziamenti internazionali e coo-perazione allo sviluppo. Ha insegnato in diverse università spagnole ed ecuadoregne, eha realizzato consulenze sulla ricerca applicata, cooperazione allo sviluppo e migrazioni.

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    Autori ed Autrici

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  • Andrea Baranes

    Lavora attualmente per la CRBM italiana (Campagna per la Riforma della BancaMondiale), nell'organizzazione di campagne relative alla finanza privata ed alle AgenzieInternazionali di Credito all'Esportazione. Lavora come consulente per la prima filialeitaliana di Banca Etica; è stato rappresentante dell'Italia all'interno della campagna diprotesta contro l'Organizzazione Mondiale del Commercio realizzata a Cancún(Messico, 2003). È autore di numerose pubblicazioni sul commercio e il capitale finan-ziario internazionale, tra cui, “Responsabilità e Finanza. Guida alle iniziative in camposocio-ambientale per gli istituti di credito e le imprese finanziarie”; sui Beni PubbliciGlobali e le loro possiblità di finanziamento, tra cui, “Perchè il mondo ha bisogno ditasse globali” y “Il mondo è di tutti. I Beni Pubblici Globali e il loro finanziamento”. Faparte del comittato della rete internazionale Bank-Track e in Italia fa partedell'Associazione ATTAC.

    Eduardo Bidaurratzaga Aurre

    Dottore (PhD) in Economia presso l'Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU) eProfessore di ruolo di Economia presso la Facoltà di Scienze Sociali e della Comuni-cazione della stessa università. È specialista in tematiche di economia internazionale, svi-luppo umano, cooperazione allo sviluppo, sanità e processi d'integrazione dei paesidell'Africa Subsahariana. E' membro dell'Hegoa (Istituto di Studi sullo Sviluppo e laCooperazione Internazionale-UPV/EHU) dove partecipa in diversi organi di direzionee gestione, e dove svolge vari incarichi di docenza (Master presenziale ed on-line) e diricerca sulle tematiche suddete. Fa parte del GEA (Gruppo di Studi Africani)dell'Università Autonoma di Madrid con i cui membri ha realizzato diverse pubblicazio-ni; anche al GEA ha diversi incarichi di docenza.

    Alejandra Boni Aristizábal

    Dottoressa (PhD) in Diritto presso l'Università di Valencia e professoressa di ruolo dellaScuola Universitaria di Cooperazione allo Sviluppo dell'Università Politecnica diValencia (UPV). Coordina il Gruppo di Studi sullo Sviluppo, Cooperazione Inter-nazionale ed Etica Applicata del Dipartimento di Progetti di Ingegneria. È direttrice delMaster in “Politica e Processi di Sviluppo” presso l'UPV. Visiting Professor in diverseuniversità latinoamericane, dell'Institute of Development Studies de Sussex (UK) e dell'Ins-titute of Social Studies dell'Aya (Olanda). Autrice di diversi testi sull'educazione allo svi-luppo in contesti universitari, sullo sviluppo umano e la cooperazione internazionale. Faparte della rete Human Development Capability Approach; collabora con Ingegneri SenzaFrontiere, ACSUD Las Segovias e Intermon Oxfam.

    Artur Colom Jaén

    Attualmente ricercatore di secondo livello presso il Dipartimento di Economia Applicatadell'Università Autonoma di Barcellona, dove lavora come docente di Economia Politicaed Economia dello Sviluppo dal 2000. Ha ottenuto il diploma di Studi Avanzati (DEA)

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  • in Economia presso l'Università di Barcellona nel 2004. Membro della rete di ricercaARDA (Agrupament de Recerca i Docència d’Àfrica) e del Gruppo di Studi Africanidell'Università Autonoma di Madrid. Ha lavorato come cooperante in Mauritania eChad.

    Alfonso Dubois Migoya

    Laureato in Giurisprudenza e Dottore (PhD) in Economia. Professore di EconomiaInternazionale ed Economia dello Sviluppo dell'Università dei Paesi Baschi(UPV/EHU). È autore di diverse pubblicazioni su povertà, benessere e cooperazione. Èil presidente di Hegoa (Istituto di Studi sullo Sviluppo e la Cooperazione Internazionale-UPV/EHU), insegna al Master in “Sviluppo e Cooperazione Internazionale”(UPV/EHU) e nel Master on-line “Strategie, Agenti e Politiche della Cooperazione alloSviluppo” (UPV/EHU). È stato presidente dell'Associazione di Professionisti per laQualità della Cooperazione (ACADE) dal 2002 al 2004. Ha svolto la funzione di por-tavoce presso il Consiglio della Cooperazione del Ministero degli Affari Esteri nel 2003ed è stato rappresentante del Coordinamento Statale delle ONG della Spagna presso ilComitatto di Raccordo ONG-CE a Bruxelles dal 1993 al 1996.

    Foro Rural Mundial (FRM)

    L'Associazione per lo Sviluppo Foro Rural Mundial (FRM) è una rete di organizzazionie persone impegnate nello sviluppo agricolo e rurale in tutto il mondo. I suoi soci pro-vengono da quattro continenti e sono tutti rappresentati all'interno della GiuntaDirettiva. Le sue attività principali sono di pressione politica e di offerta di diversi servi-zi alla Rete, tra cui la pianificazione e l'implementazione di progetti di cooperazione, ilmatenimento e l'allargamento della stessa Rete.

    Felipe Gómez Isa

    Professore di ruolo di Diritto Internazionale Pubblico all'Università di Deusto (Bilbao,Spagna) e ricercatore dell'Istituto di Diritti Umani “Pedro Arrupe” dove è Direttoredell'European Master on Human Rights and Democratisation. Ha partecipato al Gruppo diLavoro delle Nazioni Unite per l'elaborazione del Protocolo Facoltativo alla CEDAW(New York, 1998 e 1999). Tra i suoi libri ricordiamo La Declaración Universal de losDerechos Humanos (1998), El derecho al desarrollo como derecho humano en el ámbito jurí-dico internacional (1999), Privatisation and Human Rights in the Age of Globalisation (2005,curatore assieme a Koen de Feyter), El derecho a la memoria (curatore, 2006), InternationalProtection of Human Rights. Achievements and Challenges (2006, curatore assieme a Koende Feyter), e Colombia en su laberinto. Una mirada al conflicto (curatore, 2008).

    Mariarosaria Iorio

    Laureata in Scienze Politiche presso l’Università Orientale di Napoli; erasmus pressol’Università di Lovaina La Nuova (Belgio); ha conseguito il Master in Scienza Politicadell’Università di Ginevra (Svizzera). Ha curato il corso Politica e Commercio: regole e

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  • negoziati; coordina l’IGTN (International Gender and Trade Network) a Ginevra (Svizzera).Ha alle spalle diciassette anni di esperienza come membro e consulente di organizzazioniinternazionali come OMC, OIL, OCSE e CE. Ha fatto parte dell’Organizzazione Interna-zionale del Lavoro (OIL) nella sede della Costa D’Avorio; ha pubblicato numerosi libri, arti-coli e quaderni di lavoro su tematiche correlate al commercio internazionale.

    Ainhoa Marín Egoscozábal

    Dottore (PhD) in Scienze Economiche. Insegna Economia Internazionale all’Universitàdi Nebrija (Spagna) e fa parte del Gruppo di Studi Africani (GEA) dell’UniversitàAutonoma di Madrid. Ha lavorato come economista per il Programma delle NazioniUnite per lo Sviluppo (UNDP) e per la Commissione Economica per l’Africa delleNazioni Unite (UNECA).

    Clara Murguialday Martínez

    Laureata in Economia. Lavora presso l’Ufficio per la Cooperazione dell’Università deiPaesi Baschi (UPV/EHU). Fa parte del Consiglio per la Cooperazione spagnolo comeesperta in tematiche di genere e sviluppo. Su questo stesso tema insegna in diversi mas-ter di cooperazione in varie università spagnole.

    OCSE. Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.Dipartimento di Cooperazione e Sviluppo. Divisione per l’Efficacia degli Aiuti.

    La mission dell’OCSE è, da un lato, aiutare i governi e le società a raggiungere i benefi-ci della globalizzazione; dall’altro, supportarli nell’affrontare le sfide economiche, socia-li e di governance che ne derivano. La Divisione per l’Eficacia degli Aiuti appartiene allaSegreteria del Gruppo di Lavoro sull’Efficacia degli Aiuti (WP-EFF), un partenariatointernazionale di paesi donatori e membri appartenente al Comitatto di Aiuto alloSviluppo dell’OCSE. Il WP-EFF è un forum di dialogo tra donatori bilaterali, organis-mi multilaterali e paesi membri. Il suo obiettivo è migliorare l’impatto e l’efficacia degliaiuti nella riduzione della povertà e nella promozione dello sviluppo; ha come obiettivopromuovere e facilitare l’applicazione della Dichiarazione di Parigi sull’Efficacia degliAiuti e dell’Agenda di Azione di Accra.

    Karlos Pérez de Armiño

    Laureato in Geografia e Storia presso l’Università di Deusto (Bilbao, Spagna) e Dottore(PhD) in Scienze Politiche presso l’Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU). Ha conse-guito il Diploma in Studi Europei presso l’Università di Deusto ed il Master in AzioneUmanitaria Internazionale. È professore di ruolo in Relazioni Internazionali(UPV/EHU), Ricercatore e Segretario dell’Hegoa (Istituto di Studi sullo Sviluppo e laCooperazione Internazionale-UPV/EHU). Le sue aree di ricerca sono: sicurezza alimen-tare, emergenze politiche complesse, riabilitazione postbelica (Mozambico, Angola) esicurezza umana. Autore di quattro libri e numerosi articoli, tra cui di particolare rilie-vo il “Diccionario de Acción Humanitaria y Cooperación al Desarrollo” nel 2001.

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  • Javier Pérez González

    Laureato in Economia e Giurisprudenza presso l’Università Carlos III di Madrid. Hainiziato il suo percorso come ricercatore associato del Laboratorio di Studi per loSviluppo (LED) dove ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra corruzione e povertà,e su iniziative innovatrici di coordinamento dei donatori in terreno. In seguito ad unostage presso la Direzione Generale per lo Sviluppo della Commissione Europea, nel2006 ha iniziato a lavorare presso il Dipartimento di Campagne e Studi di Intermon-Oxfam a Madrid. All’interno di questa ONG è il responsabile del CommercioInternazionale nell’Area Ricerca e coordina gli studi sul tema.

    Miguel Romero Baeza

    Laureato in Scienze dell’Informazione presso l’Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU).È il Coodinatore dell’area di Studi e Communicazione dell’ONG ACSUR-Las Segovias.Fa parte del comitatto editoriale della Rivista Viento Sur. È uno dei coordinatori delMaster in “Gestione delle Trasformazioni Sociali” dell’Università Autonoma di Madrid.Ha pubblicato di recente, all’interno della Rivista Éxodo, l’articolo “La anestesia políticade los Derechos Humanos” (2008).

    Iñaki Uribarri Hernández

    Economista, membro della Direzione Nazionale del sindacato basco Ezker SindikalarenKonbergentzia (ESK-Convergenza di Sinistra Sindacale).

    Patxi Zabalo Arena

    Laureato in Economia presso l’Università dei Paesi Baschi (UPV/EHU). Professore diEconomia Mondiale all’interno della Facoltà di Scienze Economiche ed Imprenditorialidella stessa università, e membro dell’Hegoa (Istituto di Studi sullo Sviluppo e laCooperazione Internazionale-UPV/EHU). Autore di numerose pubblicazioni sulla glo-balizzazione economica e sull’Organizzazione Mondiale del Commercio.

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    Elenco di paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico)e dell’Unione Europea

    Paesi dell’Africa

    Angola Benin Botswana Burkina Faso Burundi Camerun Capo Verde

    Ciad Comore Congo-Brazzaville Costa d’Avorio Eritrea Etiopía Gabon

    Gambia Ghana Gibuti Guinea Guinea-Bissau Guinea EcuatorialeIsole Maurizio Kenia Lesotho Liberia Madagascar Malawi Malí Mauritania Mozambico Namibia Níger Nigeria Repubblica Centroafricana Repubblica Democraticadel Congo Ruanda Santo Tomé e Príncipe Seichelles Senegal Sierra Leona Somalia Sudafrica Sudan Swaziland Tanzania Togo Uganda Zambia Zimbawe

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    Paesi dei CaraibiAntigua e Barbuda Bahamas Barbados Belize Cuba Dominica Giamaica Grenada Guiana Haití Repubblica Domenicana San Kitts e Nevis San Vicente e Granadinas Santa Lucia SurinameTrinidad e Tobago

    Paesi del PacíficoFiji Isole Cook Isole Marshall Isole Salomone Kiribati Nauru Niue Palau Papua Nuova Guinea Samoa Stati Federati della Micronesia Timor-EstTonga Tuvalu Vanuatu

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  • Elenco di paesi ACP

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    Stati membri dell’UEBelgioBulgaria CiproDanimarca Estonia Finlandia Francia GermaniaGrecia Irlanda Italia Lettonia Lituania Lussemburgo Malta Paesi Bassi Polonia Portogallo Regno UnitoRepubblica Ceca Romania Slovacchia Slovenia Spagna Svezia Ungheria

    Fonte: www.acp-eucourier.info/Country-Profiles.25.0.html?&L=1

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    Yaoundé-Lomé-Cotonou1963-2007

    Convenzioni per accordi commerciali non reciprociper promuovere lo sviluppo dei paesi ACP

    Ostacoli• Debito estero

    • NeoliberalismoMultinazionali, biocarburanti,guerra, neocolonialismo, crisi finanziaria, crisi alimentare,vulnerabilità, corruzione, etc.

    • Femminizzazione della povertà

    OSMObiettivi di Sviluppo del

    MillennioMigliorare le condizioni di vita

    dei Paesi Meno Sviluppati

    PROPOSTEParlamento dell’UE

    Parlamenti ACPIntellettuali, Università e ONGsia nell’UE, sia nei paesi ACP

    Cooperazione allo Sviluppo

    • Efficacia degli aiuti

    Dichiarazione di Parigi

    • Beni Pubblici Globali

    • Governance

    • Sicurezza alimentare

    • Povertà

    • Partecipazione

    • Sistema africano dei diritti umani

    • Diritti umani

    Sviluppo Umano

    PROPOSTECommissione Europea ed

    alcuni paesi ACP

    Mappa di termini

    Relazioni commerciali e di sviluppofra i Paesi UE e ACP

    Incertezze• Riduzione del debito

    (HIPC-PME-MDRI)

    • Integrazione Regionale

    • Integrazione RegionaleAfricana

    • AGOA

    • Relazioni fra Cina e Africa

    Accordi commercialireciproci quale rinunciaai temi dello sviluppo

    nei paesi ACP

    EPAIl periodo negoziale non

    si è ancora concluso

    2002-2009

    Economia politica• Accordi di Libero Scambio

    Programmi di aggiustamento strutturale

    • Organizzazione Mondiale delCommercio (OMC o WTO in inglese)

    • Condizionalità degli aiuti

    • Politica Agricola Comune (PAC o CAPin inglese)

    Dipendenza economica

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  • Accordi di Libero Scambio

    Gli Accordi di Libero Scambio (FTA, FreeTrade Agreements) sono accordi contrattualistabiliti tra due o più paesi che si concedo-no reciprocamente l’accesso preferenziale aun mercato, che include anche prodottisensibili1.

    Le organizzazioni non governative e i mo-vimenti sociali hanno criticato con forzatanto questi processi quanto l’attuale squi-librio nelle norme commerciali che derivadai rapporti di potere impari tra paesi svi-luppati, paesi in via di sviluppo e paesimeno avanzati.

    Esempi di FTA sono il NAFTA (North A-merica Free Trade Agreement, Accordo nor-damericano di libero scambio); l’Accordodi associazione tra l’Unione europea e ilCile, il Consiglio di cooperazione del Gol-fo tra l’Unione Europea e i paesi del GolfoPersico; il MERCOSUR tra Brasile e paesi

    del Cono Sud dell’America Latina; l’ASEANtra l’Unione Europea e le nazioni del Sud-Est asiatico.

    Gli Accordi Commerciali Regionali (RTA,Regional Trade Agreements) sono accordi trapaesi che appartengono alla stessa regione eche intendono raggiungere la liberalizza-zione del commercio su basi di non discri-minazione. Sono ampiamente raccoltinell’articolo XXIV dell’Accordo generalesulle tariffe doganali e sul commercio del1994, più noto con la sigla inglese diGATT (General Agreement on Tariffs andTrade). Gli RTA possono includere due opiù paesi di regioni diverse e discriminare iterzi che non fanno parte di tali accordi. Sipone la questione delle eccezioni ai seguen-ti principi stabiliti dall’OMC: “Principiodella nazione più favorita” che si regge sulprincipio di non discriminazione tra mem-bri associati; e “Principio del trattamentonazionale” che si regge sul principio in base

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    1 La categoria di “prodotto sensibile” deriva dal quadro di riferimento stabilito dall’OrganizzazioneMondiale del Commercio (OMC) nell’Agenda per lo sviluppo di Doha. Nel caso dei paesi sviluppati, talequadro stabilisce la possibilità di designare come prodotti sensibili fino al 4 o 6% delle linee tariffarie,mentre i paesi in via di sviluppo potranno scegliere come prodotti sensibili fino a un terzo in più. La cate-goria “prodotto sensibile” nel settore dell’agricoltura consente di prendere le distanze dalla logorata for-mula di riduzione delle tariffe finali per i prodotti che rientrano in tale categoria.

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  • al quale si concede a fornitori e prodottistranieri lo stesso trattamento che vige perquelli nazionali2.

    Mercati comuni o Unioni doganali. L’U-nione Europea è un’associazione interna-zionale di governi il cui fine è ridurre lemisure protezionistiche e i dazi doganalisulle merci, liberalizzando al contempo iservizi e stabilendo politiche tariffariecomuni da applicare agli stati che nonappartengono all’unione (Walter Goode,1998). Tali misure conducono alla creazio-ne di un mercato comune che si caratte-rizza per la libera circolazione di merci,servizi e persone.

    In che cosa consistono gli Accordi diPartenariato Economico?

    Noti anche come Economic Partnership A-greements (EPA), tali accordi rispondono allanecessità dell’Unione europea di adeguarele convenzioni di Lomé e Cotonou allenorme e ai regolamenti stabiliti dall’OMC3.Gli APE riuniscono un’unione doganalecome l’Unione Europea (UE) e un gruppodi paesi che non fanno parte di una zona dilibero scambio né di un’unione doganale,quali i paesi ACP (Africa, Caraibi e Pa-cifico). Gli Accordi di Partenariato Eco-nomico tra l’UE e i paesi ACP si ispiranoalla filosofia politica dell’UE che sostieneche il commercio fa parte della propriapolitica internazionale e che per i paesiACP esso comporta la promozione dellosviluppo e la creazione di occupazione.Pertanto, si potrebbero definire gli APEcome Accordi di Libero Scambio in uncontesto di “interregionalismo ibrido”. È

    necessario realizzare una lettura critica deitemi qui presentati tenuto conto delle con-traddizioni e incertezze che presentano re-lativamente alla firma degli APE con di-verse sotto-regioni ACP.

    Aspetti critici del commercioe dello sviluppo

    Gli APE non trattano la questione dei sus-sidi all’esportazione vigenti nell’UE per isuoi prodotti agricoli. Tale tema fa parte diquanto stabilito dall’OMC nella sua A-genda per lo sviluppo negoziata nell’incon-tro di Doha, un tema molto controverso selo si analizza dal punto di vista dello svi-luppo. Si tratta di un elemento chiave perfare in modo che le società siano giuste edeque. Nei paesi in via di sviluppo, l’agricol-tura continua a essere la principale fonte dioccupazione e di accesso a redditi stabiliper le donne.

    Perché? Perché i sussidi all’esportazione sti-molano la sovrapproduzione nell’UE eostacolano le piccole produzioni dell’agri-coltura locale nei paesi ACP. Anche la con-correnza sleale e l’arbitrarietà dei prezzi deiprodotti agricoli influiscono negativamen-te sulla vita quotidiana delle donne.

    In Ghana, per esempio, la produzione dipollame fu seriamente colpita dall’impor-tazione di polli provenienti da aziende sov-venzionate. Ciò ebbe un forte impattonegativo sulle donne che gestivano piccoleaziende di allevamento di polli.

    I prezzi artificiali combinati con le bassetariffe doganali vigenti nei paesi ACP per ilsettore agricolo hanno generato, in molti

    Dizionario per una campagna attiva

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    2 Articolo I del GATT, articolo II del GATS e articolo 4 del TRIPS. L’articolo 3 del GATT impone che leimportazioni non ricevano un trattamento meno favorevole rispetto agli stessi o analoghi beni prodottilocalmente. L’articolo 17 del GATS e l’articolo 3 del TRIPS sanciscono anch’essi il trattamento nazionaleper la tutela della proprietà intellettuale e dei servizi.

    3 Tale necessità fu il risultato del Sistema di Risoluzione delle Controversie nel caso delle banane.

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  • casi, la dipendenza dai prodotti importati,beni che in altre circostanze sarebbero statiprodotti e consumati a livello locale.

    I servizi pubblici di ciascun paese devonofondarsi sulla trasparenza e sulla correttaapplicazione dei regolamenti interni e dellemisure di emergenza, dato che entrambecostituiscono l’asse portante delle politichedei paesi ACP. Per quanto concerne i servizi,l’OMC adotta un approccio definito “elencopositivo”, nel quale si riflettono i paesi il cuigoverno stabilisce quali sono i servizi specifi-ci aperti alla concorrenza di fornitori stranie-ri. Esiste un altro approccio, quellodell’“elenco negativo” secondo il quale l’am-bito dei servizi è aperto alla concorrenza stra-niera salvo nei casi in cui sia specificato ilcontrario. Tale approccio richiede ai paesiACP un’analisi e una valutazione esaurientidell’impatto che la liberalizzazione dei servi-zi avrebbe su ciascuno di essi. L’“elenco nega-tivo” minaccia seriamente l’accesso delledonne ai servizi di base e distorce la loro vitaquotidiana, dal momento che servizi e agri-coltura sono strettamente correlati.

    La tutela delle conoscenze tradizionali edelle nuove industrie nazionali è fonda-mentale per offrire un’opportunità allapromozione dell’industria e dell’occupa-zione nei paesi ACP. Questo settore haun’importanza strategica, da un lato, pertutelare le conoscenze locali e per consenti-re redditi stabili alle donne, e dall’altro, pergarantire lo sviluppo di nuove industriebasate sulle conoscenze tradizionali locali.È necessario prestare molta attenzione allagestione opportuna dei diritti di proprietàintellettuale che, intesi come metodi e pro-cessi di produzione, possono influire sullaprotezione dell’agricoltura e dell’opportu-na tecnologia locale.

    Norme di origine. In tale materia non esisto-no accordi multilaterali, eccetto la dichiara-

    zione congiunta rispetto alle norme di origi-ne preferenziale, che figura come allegatodegli accordi in materia di norme di originedell’OMC. Nel preambolo si afferma chel’applicazione di norme di origine chiare e diprevedibile applicazione facilita i flussi delcommercio internazionale e si segnala chesarebbe auspicabile che le norme di originenon costituissero inutili ostacoli al commer-cio. Il principio di cumulo consiste nel tene-re conto delle diverse fasi del processo pro-duttivo per determinare l’origine di un pro-dotto. L’impatto del principio di cumulosullo sviluppo è ancora da dimostrare. Talesituazione può dare origine a un trattamen-to discriminatorio e costituire un’ulteriorebarriera per le esportazioni di prodotti ori-ginari di paesi in via di sviluppo forniti dapiccoli produttori, che in molti casi sonodonne.

    L’accesso al mercato dei prodotti non agri-coli dell’UE pone i paesi ACP di fronte allasfida dell’approvvigionamento, dato che laloro capacità produttiva non è in grado dicompetere con quella delle economieemergenti come India, Cina o Brasile. Alcontempo, nei paesi ACP, la riduzionedelle imposte sulle importazioni di pro-dotti non agricoli diminuisce notevolmen-te la riscossione di tributi e la capacità delgoverno di offrire alla propria popolazioneservizi essenziali a prezzi accessibili.

    Di fatto, la popolazione rurale, compostaper la maggior parte da donne, che lavora eproduce nel settore agricolo, per consegui-re un guadagno dignitoso e stabile, dipen-de dai servizi essenziali in termini di acqua,energia, istruzione, sanità, ecc. In moltipaesi ACP, come in Ghana o in Costad’Avorio, l’apertura del mercato dei servizinazionali essenziali alle aziende straniere haavuto come risultato la creazione di servizia due velocità molto diverse, rapida per lezone urbane ricche e molto lenta per le

    Accordi di Libero Scambio

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    165 x 235 int italiano 1/6/09 12:08 Página 21

  • zone rurali povere. Queste situazioni, unitealla difficoltà di avere una fonte di guadag-no stabile, hanno ridotto significativamen-te la capacità produttiva delle donne ehanno indebolito le loro possibilità diemancipazione e partecipazione sociale, ineconomia e in politica.

    La promozione dell’investimento esterodiretto e del modello consumistico, che neipaesi beneficiari manca solitamente di unadeguato quadro giuridico, ha contribuitoall’indebolimento della capacità di formu-lare politiche nazionali da parte dei paesiACP, oltre a relegarli al ruolo tradizionaleche ha riservato loro l’attuale divisioneinternazionale del lavoro. Queste opzionipolitiche ed economiche mal regolamenta-te e lontane da qualunque partecipazione oconsultazione sociale vanno esclusivamentea vantaggio delle già ricche minoranze,anziché creare benessere per le maggioran-ze povere dei paesi ACP.

    Bibliografia

    Bagwell, K.; Mavroidis, P.C.; Staiger, R.W.(2003): “It’s a question of Market Access”in American Journal of International Law,vol. 96, n. 1, (Gennaio). Pagg. 56-76.Disponibile sul sito: www.asil.org/ajil/wto4.pdf

    Blanco, H.M.; Zabludovsky, K.J.; Lora,G.S. (2004): A key to hemispheric Inte-gration. Buenos Aires, Trade and Hemis-pheric Issues Division, OccasionalPaper -SITI-03.

    Burfisher, M.E.; Sherman, R.; Thierfelder,K. (2004): “Regionalism. Old and new,theory and practice”. MTID DiscussionPaper n. 65. Disponibile sul sito: www.ifpri.org/divs/mtid/dp/papers/mtidp65.pdf

    Iorio, M. (2007): Bilateral and Regional FreeTrade Initiatives. Political and Sectoral Issues,Brasile, International Gender and TradeNetwork (IGTN)/ EQUIT.

    Tharakan, P.K. (2002): “The EuropeanUnion and Preferential Arrangements” inThe World Economy, Vol. 25, n. 10.Pagg. 1387-1398.

    Mariarosaria Iorio

    Accordi di Partenariato Economico(APE)

    Gli Accordi di Partenariato Economico(APE o EPA, dall’acronimo inglese diEconomic Partnership Agreements) sono lostrumento di cooperazione commercialefra l’Unione europea (UE) e i paesi delgruppo Africa, Caraibi e Pacifico (ACP).Si tratta essenzialme

  • mercati africani in riferimento all’entratain detti mercati di prodotti europei e sonoun’assoluta novità, dato che dalla loroentrata in vigore i paesi africani sarannocostretti a eliminare progressivamente lamaggior parte dei dazi doganali e dellequote che limitano l’accesso dei prodottieuropei ai loro mercati. Gli APE introdu-cono pertanto un nuovo approccio, deno-minato “reciprocità commerciale”, chepresuppone un cambiamento radicale neirapporti commerciali UE-ACP, finorabasati fondamentalmente su concessioniunilaterali e non reciproche. Fino all’intro-duzione degli APE, i paesi ACP tutelavanoi propri mercati, mentre l’UE, in virtù deiprecedenti schemi in vigore (convenzionedi Yaundé e Lomé), ha eliminato la prote-zione doganale dai propri mercati in modoprogressivo.

    L’Accordo di Cotonou conteneva l’obbligodella negoziazione degli APE, indicando ingennaio 2008 la data limite per la loroentrata in vigore. Le negoziazioni per gliaccordi APE, iniziate nel 2002, furono par-ticolarmente controverse solo nella faseconclusiva, durante il 2007. Le varie pole-miche si concentrarono in particolare sulleproblematiche seguenti.

    a) Il calendario delle negoziazioni: laCommissione europea era determinata aconcludere le negoziazioni per dare corsoagli accordi nel gennaio 2008, mentre ipaesi ACP chiedevano di lasciare piùtempo alle negoziazioni; b) la portata e ilcontenuto degli accordi: la posizione dellaCommissione si concentrò sulla negozia-zione degli accordi APE totali (pertantocon contenuti riferiti a liberalizzazione,eliminazione di dazi doganali e altri osta-

    coli al commercio di beni), oltre che suulteriori impegni nel campo del commer-cio di servizi e degli investimenti, per faci-litare l’entrata nei mercati ACP dellesocietà europee, nonché su altri temi lega-ti alla proprietà intellettuale, alla politicadella concorrenza o alle assunzioni pub-bliche, mentre i paesi ACP africani desi-deravano mantenere questi temi fuoridalle negoziazioni2. Per concludere c)risultò inoltre controverso che laCommissione Europea non offrisse alter-native agli APE, quando quest’ultima erauna chiara richiesta di alcuni paesi ACP edi una parte significativa della societàcivile africana ed europea, oltre che unimpegno sottoscritto nell’accordo diCotonou. Inoltre d) fu più volte sottoli-neata la richiesta di una maggiore atten-zione al tema dello sviluppo da parteeuropea durante le negoziazioni, nellequali la leadership formale esercitata dallaDirezione Generale del Commercio all’in-terno della Commissione Europea funotevolmente criticata, così come le suc-cessive dichiarazioni del commissarioMandelson.

    Da gennaio 2008 una trentina di paesiACP hanno firmato accordi APE con l’UE,sebbene quest’ultima abbia potuto avviareun APE totale unicamente con il gruppodei Caraibi. Per i restanti singoli paesi ogruppi regionali dei paesi ACP, l’UE hasolamente potuto concordare quelli chesono stati denominati accordi “parziali o adinterim” (interim agreements) compatibilicon le norme OMC e che non affrontano itemi più controversi. Gli accordi ad inte-rim (si noti che la Commissione non liconsidera formalmente degli APE) com-prendono pertanto unicamente aspetti

    Accordi di Partenariato Economico (APE)

    23

    2 Un’analisi dettagliata dei contenuti più controversi degli accordi, compresi i cosiddetti “temi di Sin-gapore”, è consultabile nella relazione indicata nella bibliografia di Marín Egoscozábal (2008).

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  • relativi alla liberalizzazione del commerciodi beni, pertanto, in sostanza, diminuzionidei dazi doganali per i prodotti e un calen-dario di liberalizzazione dei mercati africa-ni a favore dell’accesso agli stessi dei pro-dotti europei. Gli accordi ad interim APE,tuttavia, comprendono una clausola(“clausola rendezvous”) che impegna leparti a proseguire le negoziazioni fino alraggiungimento di accordi APE totali, infunzione della quale all’inizio del 2008 èiniziata una nuova fase negoziale perapprofondire in questo senso la portatadegli accordi già iniziati e per incorporareprogressivamente i paesi (soprattutto afri-cani) rimasti fuori.

    La situazione dalla prospettivaufficiale dell’UE

    L’UE afferma che gli APE non sono sem-plici accordi a uso commerciale (con ilprincipale scopo, per esempio, di libera-lizzare i dazi doganali), ma che hannocome obiettivo la promozione dell’inte-grazione regionale e lo sviluppo economi-co e che, inoltre, sono fortemente soste-nuti dai finanziamenti concessi dal FES(Fondo Europeo di Sviluppo) e dagli aiutibilaterali dei paesi membri dell’UE. Dalpunto di vista dalla Commissione euro-pea, l’approccio a favore dello sviluppodegli APE può ritrovarsi nella possibilitàconcessa ai paesi ACP di escludere dalprocesso di liberalizzazione i prodotticonsiderati “sensibili”, che continueran-no a essere protetti da dazi doganali, non-ché di garantire ai prodotti restanti perio-di piuttosto lunghi prima della loro libe-ralizzazione. Da una prospettiva europea,inoltre, i paesi ACP devono attrarre inve-stimenti, soprattutto in settori come letelecomunicazioni, gli istituti di credito el’edilizia e, pertanto, gli APE totali sonofondamentali per generare un clima favo-revole agli investimenti, più stabile e tra-

    sparente, ottenendo così la promozionedello sviluppo di questi paesi.

    Principali critiche e problemievidenziati dalle ONG

    Da un punto di vista più generale, la prin-cipale critica mossa agli APE si basa sulconvincimento che l’UE intende inserireall’interno degli stessi impegni ed obblighimolto superiori rispetto a quelli specificatidall’accordo di Cotonou, introducendo frai vari contenuti misure per facilitare l’acces-so delle imprese europee ai mercati di que-sti paesi. Le opinioni maggiormente criti-che affermano, inoltre, che le tematicheche l’UE sta includendo nelle negoziazio-ni non sono state oggetto di ampia e pro-fonda legislazione, né sono state dibattutea livello internazionale in seno all’Or-ganizzazione Mondiale del Commercio(OMC). All’interno della OMC moltedelle proposte, ora introdotte negli APE,sono state respinte dai paesi in via di svi-luppo mediante l’esercizio di attività dipressione senza precedenti. Per lo stessomotivo, alcune campagne contro gli APElanciate da organizzazioni della società civi-le sia all’interno dell’UE sia dei paesi ACPhanno respinto gli accordi, adducendo leseguenti ulteriori critiche: a) l’UE sta dandopriorità al libero commercio e agli investi-menti rispetto agli obiettivi di riduzionedella povertà e di appoggio a uno svilupposostenibile dei paesi; b) l’UE resta sorda aireclami dei governi dei paesi ACP chehanno più volte dimostrato le loro riservenei confronti dell’efficacia degli APE e nonpropone alternative agli stessi; c) non èdimostrato che la liberalizzazione commer-ciale conduca automaticamente allo svilup-po; d) gli APE sovraccaricano i paesi africa-ni di impegni commerciali, debilitando laloro capacità istituzionale di negoziareanche in seno all’OMC; f ) gli accordi dan-neggiano i processi di integrazione regiona-

    Dizionario per una campagna attiva

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  • le dei paesi africani e, per concludere; g)l’UE sottovaluta i costi finanziari degliAPE, dato che questi ultimi non possonoessere compensati, come afferma l’UE,senza ulteriori aiuti finanziari.

    Alternative agli APE

    Il trattamento commerciale che l’UE riser-va ai paesi in via di sviluppo non è omoge-neo e, pertanto, a seguito del lancio degliAPE nel 2008, i paesi che non hanno datocorso ad alcun accordo con l’UE hannoricevuto tipologie diverse di trattamentocommerciale, in funzione delle modalitàche Unione europea applica ai paesi in viadi sviluppo.

    In generale, con i paesi in via di sviluppocon i quali non sono stati firmati accordicommerciali, l’UE adotta il Sistema diPreferenze Generalizzato (SPG)3 che con-sente un accesso con dazi doganali piùbassi ai mercati comunitari per le importa-zioni provenienti da circa 180 paesi e terri-tori in via di sviluppo. Nella sua versionerivista del gennaio 2006, l’SPG comprendetre tipi di regimi commerciali: a) il regimegenerale (e meno favorevole in termini diconcessioni commerciali); b) l’SPG+ (più)o di stimolo allo sviluppo sostenibile e allagovernance (i criteri di eleggibilità per que-sto regime sono la ratifica degli strumentiinternazionali in materia di diritti umani,diritti dei lavoratori, ambiente, stupefacen-ti, corruzione e l’essere considerati un’eco-nomia vulnerabile) e c) l’iniziativa EBA(Everything but Arms, “Tutto tranne le ar-mi”) del 2000, con la quale l’UE concede

    accesso libero da dazi doganali e contin-genti alla maggior parte dei prodotti prove-nienti dai cosiddetti Paesi Meno Avanzati(PMA)4 all’interno del gruppo dei paesi invia di sviluppo. La differenza fondamenta-le fra l’SPG, per qualunque delle tre moda-lità, e un accordo bilaterale (come gliAPE), è la reciprocità. A differenza degliaccordi commerciali, infatti, con l’SPG ipaesi in via di sviluppo non devono a lorovolta concedere condizioni commercialipreferenziali all’accesso di prodotti europeinei propri mercati.

    I diversi regimi qui indicati sono semplifi-cati nella tabella seguente:

    Accordi di Partenariato Economico (APE)

    25

    3 Il Sistema di Preferenze Generalizzato (SPG), creato su sollecitazione della UNCTAD nel 1964, è unodegli strumenti commerciali più importanti per favorire le esportazioni dai paesi in via di sviluppo, seb-bene meno favorevole della convenzione di Lomé che l’UE applicava ai prodotti dei paesi ACP dal 1975.

    4 L’elenco dei paesi considerati meno avanzati dalle Nazioni Unite è consultabile sul sito:www.un.org/special-rep/ohrlls/ldc/list.htm

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  • Nel gruppo dei paesi ACP vi sono duediverse categorie di paesi in via di svilup-po: i paesi considerati PMA e i paesi chenon sono considerati tali. Per i paesiPMA l’alternativa maggiormente favore-vole agli APE è stata mantenersi all’inter-no dell’iniziativa denominata EBA(“Tutto tranne le armi”), trattamentocommerciale concesso dall’UE a tutti ipaesi PMA (ACP o meno) dal 2001.Alcuni paesi ACP considerati PMAhanno optato tuttavia per l’adozionedegli APE, iniziando al contempo adapplicare privilegi commerciali reciprocie, a tal fine, a liberalizzare i propri merca-ti (tradizionalmente protetti dall’entratadi prodotti europei).

    Per i paesi ACP non considerati PMA, dalgennaio 2008 e in modo automatico, l’UEha iniziato ad applicare il regime commer-ciale già introdotto per tutti i paesi in via disviluppo all’esterno dell’area ACP, pertantoil sistema di preferenze generalizzate(SPG), che risulta molto meno favorevolerispetto al precedente sistema concordatocon la convenzione di Lomé in termini dipreferenze commerciali. Questa situazionecontraddice l’accordo di Cotonou, il qualestabilisce che, in caso di mancata negozia-zione di un accordo APE, risulta necessarioricercare scenari alternativi, che non pre-suppongano un peggiore accesso ai merca-ti europei rispetto alla convenzione diLomé (art. 37:6).

    Dizionario per una campagna attiva

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    Fonte: elaborazione propria.

    Tabella: Modalità di trattamento commerciale dell’UE nei confrontidei paesi in via di sviluppo: APE e altre alternative

    Preferenze commercialireciproche

    +Vantaggi com

    merciali

    -

    Accordi commercialibilateraliEsempi:

    APE con i paesi ACP, Accordi con paesi dell’AmericaLatina, paesi del Mediterraneo

    fra gli altri.

    Stabiliti con ogni tipo di paesein via di sviluppo.

    Regime commerciale di Lomé(Solo per i paesi ACP e

    applicato transitoriamentefino al 2008.)

    Modalità SPG

    a. Tutto tranne le armi EBA.Solo per PMA.

    b. SPG + (piu). Tutti i paesi invia di sviluppo che rispettinoi criteri di eleggibilità.

    c. Regime generale. Tutti i paesiin via di sviluppo.

    SPG

    Preferenze commercialinon reciproche

    -

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  • Bibliografia

    Accordo di Cotonou: http://ec.europa.eu/development/geographical/cotonou/cotonoudoc_en.cfm

    Bilal, S. e Rampa, F. (2006): Alternative toEPAs. Bruxelles, European Centre forDevelopment Policy Management ECDPM. Disponibile su: www.ecdpm.org

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    Marín Egoscozábal, A. (2008): Los Acuer-dos de Asociación Económica (EPA) de laUnión Europea con África Subsahariana.Madrid, Fundación Alternativas e Fun-dación Carolina. Disponibile su: www.falternativas.org/opex

    Oxfam International & TWN Africa(2007): A Matter of Political Hill. Howthe EU can mantain market access forAfrican, Caribbean and Pacific countriesin the absence of Economic PartnershipAgreements.

    Ainhoa Marín Egoscozábal

    AGOA. African Growth andOpportunity Act

    AGOA: Acronimo corrispondente ad Afri-can Growth and Opportunity Act (Legge inmateria di crescita e opportunità dell’Africa),legge promulgata dal governo degli StatiUniti nel 2000 e che consiste nella sop-pressione unilaterale dei dazi doganali edelle quote per diverse linee di prodotti

    esportati dai paesi dell’Africa subsahariana.Inizialmente l’AGOA doveva comprendereil periodo 2000-2008, ma nel 2004 ne èstato prolungato il periodo di validità finoal 2015.

    Il funzionamento dell’AGOA

    L’AGOA è parte dell’architettura commer-ciale internazionale e, di fatto, è un’esten-sione del sistema delle preferenze generaliz-zate degli Stati Uniti, in vigore dal 1971, eche consistono nella concessione unilatera-le da parte dei paesi sviluppati di vantaggicommerciali a favore di paesi in via di svi-luppo sotto forma di soppressione parzialeo totale delle barriere al commercio.

    La complessa legislazione dell’AGOA è sot-toposta a revisione ogni due anni. L’ultimarevisione è stata posta in essere nel 2006 edè nota come AGOA IV.

    I requisiti richiesti dall’AGOA

    Uno dei punti di maggiore interessedell’AGOA sono le condizioni che esigeaffinché un paese possa esserne beneficiarioe che vanno ben al di là della sfera stretta-mente economica e commerciale. Tali con-dizioni comprendono, fra l’altro, l’obbligodi adottare un’economia aperta e basata sullibero mercato con minime interferenze daparte del governo, l’eliminazione delle bar-riere al commercio e agli investimenti degliStati Uniti, il rispetto delle regole della pro-prietà intellettuale e il mantenimento dellenorme di governance democratica, oltreall’assenza di politiche che possano minac-ciare la sicurezza nazionale statunitense.D’altra parte, in modo generico, si stabili-sce inoltre l’obbligo di adottare politiche diriduzione della povertà e per il rispetto deidiritti dei lavoratori secondo gli standardprevisti dall’OIL (Organizzazione Inter-nazionale del Lavoro) (USTR, 2008:146).

    AGOA. African Growth and Opportunity Act

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    165 x 235 int italiano 1/6/09 12:08 Página 27

  • A novembre 2008 la totalità dei paesidell’Africa subsahariana risultava beneficia-ria, in diversa misura, dell’AGOA, a ecce-zione di Repubblica Centrafricana, Cosad’Avorio, Guinea equatoriale, Eritrea eZimbabwe. Risulta importante sottolineareche né il Sudan né la Somalia sono consi-derati appartenenti all’Africa subsaharianadall’AGOA.

    Il contesto dell’AGOA: globalizzazione eliberalizzazione commerciale

    Alla fine degli anni Novanta si presentacon forza il dibattito sulla crisi dello svilup-po, in particolare in Africa, e la necessità diintraprendere azioni di respiro internazio-nale. Sebbene l’iniziativa più rilevante sia lacreazione degli Obiettivi di Sviluppo delMillennio, intorno a quest’ultima ne sonoidentificabili molte altre, fra le quali

    l’AGOA. Promulgata dal presidente Clin-ton verso la fine del suo mandato, l’AGOAè un tentativo di orientare il tema dellariduzione della povertà attraverso il com-mercio internazionale e la libertà di merca-to. È necessario ricordare, inoltre, che pro-prio alla fine degli anni Novanta si ebbeun’accelerazione del processo di globalizza-zione capitalista e l’AGOA è coerente conl’approccio neoliberale delle politiche chelo sostenevano.

    Gli effetti dell’AGOA

    Sicuramente le esportazioni dall’Africa agliStati Uniti sono molto aumentate dallacreazione dell’AGOA, come si evinceanche dal Grafico 1. La maggior parte ditali esportazioni ha tratto beneficio dellecondizioni commerciali preferenziali assi-curate dall’AGOA.

    Dizionario per una campagna attiva

    28

    Fonte: Ministero del Commercio USA.

    Grafico 1: Evoluzione del commercio totale fra USA e i paesi AGOA(milioni di dollari USA)

    80.000

    60.000

    40.000

    20.000

    0

    -20.000

    -40.000

    -60.0002001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

    6.52020.495

    -13.968

    5.62217.475

    -11.853

    6.101

    24.404

    -18.303

    7.602

    33.692

    -26.090

    9.164

    47.006

    -37.842

    10.654

    56.051

    -45.397

    12.967

    64.532

    -51.565

    U.S. Exports U.S. imports Trade Balance

    Un’analisi disaggregata per prodotti, tutta-via, indica che la maggior parte delle espor-tazioni realizzate sotto l’egida dell’AGOA

    interessano prodotti petroliferi, come sievidenzia nella Tabella 1.

    165 x 235 int italiano 1/6/09 12:08 Página 28

  • 29

    Si deve inoltre sottolineare che i benefici siconcentrano fortemente su un ristrettogruppo di sei paesi. Come si evidenzianella Tabella 2, il 97% delle esportazioniverso gli USA a regime AGOA è portato atermine dai paesi indicati, tutti fortementedipendenti dall’esportazione di petrolio,fatta eccezione per il Sudafrica.

    Un altro degli effetti più evidentidell’AGOA è stato l’enorme impulso, sindalla sua adozione, alla creazione di impre-se nel settore tessile a capitale asiatico inalcuni paesi dell’Africa australe e orientale.Quanto sopra è dovuto principalmentealla necessaria applicazione dell’accordo suitessili e l’abbigliamento dell’OMC (il suc-cessore dell’accordo multifibre, in vigoredal 1974 al 1994), ancora vigente quandofu promulgato l’AGOA nel 2000. In virtùdi tali accordi, i paesi sviluppati impone-vano quote e dazi doganali alle esportazionidi calzature e tessuti al fine di difendersiesplicitamente dai grandi produttori asiatici.Pertanto, quando fu promulgato l’AGOA,alcuni di questi produttori tessili e calzatu-rieri videro un’opportunità imperdibilenell’apertura di impianti produttivi inpaesi africani beneficiari della legge statu-nitense, dato che le esportazioni di taliprodotti da questi paesi agli Stati Unitinon erano soggette ad alcuna barrieracommerciale, come invece succedeva nelleloro zone di origine. Inoltre, le normative

    AGOA. African Growth and Opportunity Act

    Tabella 1. Importanza del petrolio nelle esportazioni verso gli USA sotto l'egida dell'AGOA

    Fonte: elaborazione propria a partire dai dati del Ministero del Commercio USA.

    2004

    23.053.406

    26.558.922

    0,87 0,92 0,93 0,93

    2005 2006 2007

    35.207.962

    38.146.396

    41.081.606

    44.239.193

    47.674.569

    51.051.383

    Esportazioni di petrolio e altri prodottienergetici sotto l’egida dell’AGOA (a)

    Esportazioni totali sotto l’egida dell’AGOA(b)

    (a)/(b)

    Tabella 2. Esportazioni verso gli USAa regime AGOA (2007)

    Nigeria 30.138.166

    Angola 11.691.880

    Sudafrica 2.266.721

    Ciad 2.066.045

    Congo 1.605.099

    Gabon 1.673.646

    Totale (a) 49.441.557

    Totale paesi AGOA (b) 51.051.383

    (a)/(b) 0,97

    Fonte: elaborazione propria a partire da dati delMinistero del Commercio USA.

    in materia di provenienza stabilitedall’AGOA sono poco rigorose, fino alpunto che i paesi AGOA classificati come“meno sviluppati” non subiscono alcunarestrizione in riferimento all’origine dellamateria prima, secondo una disposizioneche doveva perdere validità nel 2007, mache continuerà in vigore fino al 2010.Tutto ciò significa che la materia primatessile può provenire dall’Asia e, una voltalavorata in Africa, pur con un valoreaggiunto minimo, le merci possono entra-re negli Stati Uniti senza restrizioni.Questa misura ha favorito notevolmente lapresenza di produttori asiatici in Kenya,Lesotho e Swaziland dal 2000. Mada-gascar, Mauritius e Sudafrica, sebbene

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  • meno dipendenti dalle esportazioni versogli Stati Uniti, sono stati anch’essi interes-sati da questo fenomeno. Per concludere,l’AGOA ha comportato una modesta pre-senza africana nelle prime fasi della catenaper la creazione di valore dell’industria tes-sile mondiale, con tutte le contraddizioniche ciò comporta per quanto riguarda lecondizioni dei lavoratori impiegati in que-ste imprese, nonché per la possibilità di unaumento dello sviluppo umano con questomodello.

    La scomparsa dell’accordo su tessili el’abbigliamento

    Quando, il 1° gennaio 2005, scadde l’accor-do sui tessili e l’abbigliamento dell’OMC,molti dei produttori asiatici stabilitisi inAfrica australe e orientale per sfruttare lacosiddetta “finestra di opportunità” offer-ta dall’adozione dell’AGOA nel 2000 sene andarono. Di fatto, già il 2004 fu inte-ressato da fi chiusure nella regione. Si-curamente andarono persi molti posti dilavoro, come si osserva nella Tabella 3,tuttavia, in paesi come il Lesotho, le autori-tà anticiparono gli eventi e inauguraronodelle strategie per contrastare la sparizionedei vantaggi commercial con misure dipolitica industriale (de Hann e Van derStickele, 2007).

    Bibliografia

    De Haan, E. e Van der Stichele, M. (2007):Footloose Investors. Investing in the GarmentIndustry in Africa. Amsterdam, Centre forResearch on Multinational Corporations.

    Kaplinsky, R. e Morris, M. (2008): Do theAsian Drivers Undermine Export-orientedIndustrializaction in SSA? World Develop-ment, Vol. 36, n. 2. Pagg. 254-273.

    USTRO: 2008 Comprehensive Report onU.S. Trade and Investment Policy TowardSub-Saharan Africa and Implementationof the African Growth and OpportunityAct. Washington, United States TradeRepresentative Office.

    Sito web ufficiale dell’AGOA:www.agoa. gov

    Sito web relativo all’AGOA:www.agoa.info

    Artur Colom Jaén

    Dizionario per una campagna attiva

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    Tabella 3. Diminuzione dell’occupazione nel settore tessile

    Fonte: Kaplinsky e Morris (2008:264).

    Dimin. %20052004

    Kenya 34.614 31.745 9,3

    Lesotho 54.000 40.000 25,9

    Sudafrica 98.000 83.000 15,3

    Swaziland 28.000 16.000 42,9

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  • Beni Pubblici Globali

    I beni pubblici sono beni materiali e im-materiali definiti dai principi di non esclu-sione e non rivalità. Il principio di nonesclusione si basa sull’impossibilità tecnica,politica ed economica di impedire a qual-cuno il libero accesso a tali bene. Un esem-pio tipico è l’illuminazione stradale. Ilprincipio di non rivalità si basa sull’assun-to che l’utilizzo di un bene da parte diqualcuno non limita l’accesso di altri almedesimo bene. Un esempio classico è laconoscenza. I Beni Pubblici Globali (BPG,GPG dall’acronimo inglese di GlobalPublic Goods) sono beni i cui benefici, ocosti, interessano l’intera umanità, hannoconseguenze su diverse generazioni erichiedono una forte cooperazione fra gliStati per garantirne la fornitura.

    Qualche accenno storico

    Il premio Nobel per l’economia JosephStieglitz identifica cinque categorie princi-pali di Beni Pubblici Globali: stabilità del-l’economia internazionale, ambiente natu-rale, stabilità politica, aiuti umanitari econoscenza. Inge Kaul, Direttrice del Cen-tro degli Studi sullo Sviluppo, appartenen-

    te al Programma delle Nazioni Unite per loSviluppo (PNUS), una delle più note teo-riche sui BPG, propone la classificazioneseguente: equità, stabilità e giustizia socia-le, stabilità economica e finanziaria inter-nazionale, stabilità climatica, controllodelle malattie infettive, conoscenza e infor-mazione, biodiversità, pace e sicurezza.

    Dal punto di vista storico, le prime teoriesui Beni Pubblici Globali sono riconduci-bili agli studi di David Hume sui “benicomuni” del 1739. Nei secoli seguentimolti famosi economisti come DavidRicardo, Thomas Malthus e Adam Smithhanno riflettuto sul medesimo tema. Laconcezione moderna dei beni pubblici fusviluppata nel 1954 da Paul Samuelsonnella sua The pure Theory of PublicExpenditure. Nel 1968 Garrett Hardinpubblicò invece il suo famoso articolo TheTragedy of the Commons.

    In detto articolo Hardin spiega come indi-vidui diversi che agiscono spinti dal pro-prio interesse personale possono danneg-giare, fino ad arrivare a distruggere, i benio le risorse comuni condivise. Hardin ponecome esempio gli allevatori che conducono

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  • le loro vacche al pascolo su terreni comuni.L’interesse di ogni proprietario di bestiameè portare il maggior numero possibile dicapi a pascolare. Se tutti si comportasseronello stesso modo, tuttavia, il risultatofinale sarebbe la distruzione dei pascoli,con enormi perdite da parte degli stessiallevatori. Un comportamento ragionevoleper il singolo, pertanto, può non rivelarsiuna saggia decisione per la comunità. Negliultimi anni sono stati proposti innumere-voli esempi, la maggior parte inseriti all’in-terno della teoria dei giochi.

    A seguito della pubblicazione di questo arti-colo, sono state proposte tre soluzioni. Laprima è la privatizzazione. Nell’esempioesposto solo alcuni degli allevatori sarebberoproprietari delle terre, delle quali disporreb-bero a piacere, impedendone l’uso agli altri.La seconda soluzione, opposta alla prima,richiede la mediazione di un’autorità supe-riore che stabilisca come e quando si con-sentirà agli allevatori di portare il bestiame alpascolo sulle terre comuni. Una teoria appli-cabile ai casi di intervento statale in econo-mia. Per concludere, la terza soluzione sibasa sulla cooperazione fra gli allevatori che,riuniti in assemblea, decideranno comegestire l’uso dei vari lotti di terreno.

    Chi si assumerà questo pesante onere?

    A seguito delle definizioni e degli esempipresentati, risulta chiaro che la logica dimercato non è compatibile con quella deiBPG, giacché non è intrinsecamente possi-bile limitare o escludere il loro utilizzo a nes-suno. Il meccanismo tradizionale dell’offer-ta e della domanda in questo caso non puòquindi essere applicabile. La domanda inmerito a chi dovrebbe farsi carico dei costidi fornitura, conservazione e tutela dei BPGacquisisce così un’enorme importanza.

    Su scala nazionale il problema è stato risol-to mediante una politica fiscale, ricono-

    scendo l’autorità dello Stato nel riscuoterele imposte di cittadini e cittadine e nel farsicarico della fornitura di beni pubblici atutta la comunità. Questi beni compren-dono: la pubblica istruzione, servizi sanita-ri, amministrazione della giustizia, previ-denza sociale e molto altro.

    Diversi Stati hanno una concezione diversadi ciò che deve essere considerato un “benepubblico”: l’esempio dei sistemi sanitari èrivelatore delle differenze esistenti fra i paesieuropei e gli Stati Uniti. Ampliando lo sce-nario, la maggior parte dei beni non è esclu-sivamente pubblica o privata. Fattori sociali,storici e culturali possono, infatti, influiresulle modalità di definizione dei beni.

    Possono inoltre cambiare le misure diintervento dello Stato e le modalità di for-nitura di tali beni. Lo Stato può essere ilproduttore diretto e/o il fornitore di questibeni, come nel caso delle scuole pubblichee dell’amministrazione della giustizia. Puòinoltre intervenire finanziando o sovven-zionando beni determinati. Potrebbe essereil caso della lotta contro le malattie infetti-ve, a favore della quale lo Stato finanzi laricerca di nuovi farmaci. Una terza soluzio-ne può consentire al settore privato di pro-durre beni pubblici specifici e allo Stato diregolare e supervisionare la loro fornitura edistribuzione.

    Per i Beni Pubblici Globali, la situazione ècompletamente diversa. Nessuna istituzio-ne internazionale ha competenze e autoritàsufficienti per rappresentare tutta l’umani-tà. Vi è quindi un vuoto sia nella rappre-sentanza sia nel coordinamento e pertantomancano un ente sovrano internazionale eun sistema multilaterale appropriato.

    Questi flussi internazionali hanno interes-sato diversi BPG, come la stabilità finan-ziaria internazionale, la stabilità climatica e

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  • la lotta contro i cambiamenti climatici ocontro le malattie infettive, ecc. È necessa-rio raggiungere un accordo internazionaleper garantire l’appropriata fornitura deiBPG. Un esempio chiaro è costituito dalProtocollo di Kyoto sui cambiamenti cli-matici che pone in evidenza le difficoltàche comporta un coordinamento interna-zionale, all’interno del quale diversi Staticercano di addossare ad altri gli oneri e icosti della fornitura del BPG “stabilitàclimatica”, nonché il problema che rappre-sentano i “cavalieri solitari” che non aderi-scono alle norme e alle convenzioni inter-nazionali.

    Accordi di partenariato economico(APE): un’autostrada nella direzionesbagliata?

    Negli ultimi anni sono state presentatediverse proposte per garantire la fornitura,la preservazione e la tutela dei BPG. Questeproposte spaziano dalla necessità di raffor-zare il sistema delle Nazioni Unite fino allacreazione ad hoc di mezzi e istituzioni spe-cifiche. Una delle proposte più interessanticonsiste nella creazione di imposte globali.Per esempio, il pagamento di imposte sulleattività inquinanti potrebbe aiutare a ridurrele emissioni di gas che provocano i cambia-menti climatici, raccogliendo al contemporisorse per proteggere l’ambiente. Propostesimili sono state presentate per imporre ilpagamento di tasse sulle attività speculativedei mercati finanziari, al fine di favorire lastabilità finanziaria internazionale. È neces-saria una forte cooperazione internazionalee una grande volontà politica per trasfor-mare queste proposte in accordi concreticapaci di garantire la fornitura e la conser-vazione dei BPG.

    Gli Accordi di Partenariato Economico(APE o EPA dall’acronimo inglese di Eco-nomic Partnership Agreements) interessano

    molti di questi temi che possono essereconsiderati beni pubblici o Beni PubbliciGlobali. Si tratta di tematiche che possonoessere relative a servizi di base come l’istru-zione, la salute, la sovranità alimentare emolto altro. In generale, gli APE affronta-no questioni concernenti la capacità degliStati di provvedere, regolare e tutelarenumerosi beni pubblici. La logica del liberomercato che l’Unione Europea sta cercandodi sostenere può minacciare la corretta forni-tura e distribuzione di questi beni nei paesipiù poveri o, in ogni caso, impedire a que-sti Stati di scegliere liberamente e in totaleautonomia le soluzioni che ritengano piùadeguate e opportune per garantire a tuttala popolazione l’accesso ai beni pubbliciglobali.

    Bibliografia

    Harding, G. (1968): “The tragedy of theCommons”. Science 162. Pagg. 1243-1248.

    Kaul, I. et al. (1999): Global Public Goods.International Cooperation in the 21st

    Century. New York, Oxford UniversityPress.

    Kaul, I. et al. (2003): Providing GlobalPublic Goods: Managing Globalisation.New York, Oxford University Press.

    Raffer, K. (1999): ODA and Global PublicGoods: A Trend Analysis of Past and PresentSpending Patterns. New York, Programmadelle Nazioni Unite per lo sviluppo,Ufficio per le politiche di sviluppo,Centro degli studi sullo sviluppo.

    Samuelson, P. (1954): “The Pure Theory ofPublic Expenditure”. The Review of Eco-nomics and Statistics, Vol. 36, n. 4. Pagg.387-389.

    Andrea Baranes

    Beni Pubblici Globali

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  • Condizionalità

    La condizionalità è definita come l’insie-me delle condizioni che il donatore impo-ne al ricevente per poter essere il destinata-rio degli aiuti ed è presente da sempre, inun modo o nell’altro, nella cooperazioneallo sviluppo. Gli aiuti allo sviluppo nonsono mai stati concessi in modo incondi-zionato, sebbene la forma di intendere icontenuti della condizionalità sia andataevolvendosi e si possa ora affermare chetale evoluzione ha inciso sulle caratteristi-che della cooperazione.

    La condizionalità semplice

    Nei primi anni della cooperazione allo svi-luppo, negli anni Cinquanta del secoloscorso sino alla fine degli anni Settanta, siriteneva che il modo migliore per dare effi-cacia agli aiuti fosse garantire un rapportofra l’obiettivo concreto o il gruppo destina-tario e le risorse che si ponevano a disposi-zione in funzione delle priorità settoriali(salute, istruzione, risanamento, produzio-ne, ecc.). A tal fine, lo strumento più ade-guato fino ad allora conosciuto era il pro-getto, con una definizione precisa degliobiettivi concreti da perseguire, i mezzi dapredisporre, i soggetti responsabili dellostesso e i risultati sperati.

    Alla fine degli anni Sessanta e all’iniziodegli anni Settanta si verificò un cambia-mento di prospettiva, giacché si aprirono leporte all’appoggio a più programmi e adeterminati settori. Si definirono ciò cheoggi conosciamo come Programmi Paese,che richiedevano l’identificazione di unastrategia di cooperazione fra donatore ericevente a medio e lungo termine, stabi-lendo i settori ai quali erano destinati gliaiuti. Tutto ciò comportò che, in alcunicasi, il rapporto fra donatore e riceventefosse maggiormente basato sul dialogo eche la partecipazione dei riceventi risultas-se più concreta. Non accadde però lo stes-so in tutti i paesi. Molti degli Stati piùpoveri mancavano del potere necessario pernegoziare le proprie condizioni con le fortieconomie occidentali o le agenzie multila-terali per lo sviluppo.

    La crescente canalizzazione degli aiutiattraverso programmi più ampi provocòun aumento dell’ingerenza nelle politicheinterne dei paesi riceventi, passando da unintervento nelle politiche settoriali e unonelle politiche nazionali. I donatori inizia-rono a dare sempre più importanza a che iriceventi mettessero in pratica determinatepolitiche che ritenevano imprescindibiliaffinché gli aiuti risultassero efficaci, dando

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    C

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  • un assaggio di ciò che sarebbe stata la fasesuccessiva della condizionalità.

    La condizionalità complessa. Primagenerazione

    Il cambiamento radicale si verificò quandosi passò dall’osservare gli effetti diretti otte-nuti dal progetto a concentrarsi su altriobiettivi, come imporre ai paesi riceventi direalizzare determinate riforme economiche,condizione inscindibile dalla concessionedegli aiuti. Questo cambiamento si verificòin modo graduale, accelerando la sua ado-zione negli anni Ottanta, con l’imposizionedelle condizioni contenute nei programmidi adeguamento strutturale. Ora gli aiutinon erano diretti unicamente all’alleggeri-mento diretto o alla soluzione di problemiconcreti, ma piuttosto a ottenere un cam-biamento di orientamento nelle politicheeconomiche dei paesi riceventi, giacché idonatori ritenevano che queste riforme fos-sero imprescindibili per garantire lo svilup-po. La maggior parte dei paesi più poveri fucostretta a richiedere agli organismi multi-laterali aiuti o finanziamenti esterni comeunica soluzione per uscire dalla crisi e que-sta fu l’occasione che servì per imporre lorol’attuazione delle profonde riforme secondola linea studiata dai donatori.

    Con ciò si prevede in modo evidente lacondizionalità degli aiuti che servirà comestrumento in più per gestire la crisi.Adottando questa modalità di azione, laleadership assunta dal Fondo MonetarioInternazionale, con la collaborazione suc-cessiva della Banca Mondiale, si è rivelatadecisiva. Un’azione coordinata di entrambele istituzioni multilaterali caratterizza unmodo di comprendere e praticare la coope-razione che giunge fino ai giorni nostri e hainfluito su tutti i paesi donatori, i qualihanno adottato la pratica della condiziona-lità come intesa dalle organizzazioni multi-laterali. L’insieme di queste politiche che

    condizionarono il recepimento degli aiuti ènoto come il Consenso di Washington.Possiamo dire che, nella maggior parte deipaesi in via di sviluppo, la politica econo-mica fu realizzata sotto il controllo e l’am-ministrazione internazionale.

    Seconda generazione

    Alla fine degli anni Ottanta e all’iniziodegli anni Novanta l’intervento si estesealla sfera politica, con ciò che fu chiamatala seconda generazione delle condizionalitàe che può essere sintetizzata nei tre concet-ti seguenti: democrazia, diritti umani ebuon governo. Queste condizioni rifletto-no gli obiettivi che, in linea di principio,sono maggiormente considerati dai dona-tori, sebbene ciò non significhi che sianosempre quelli che gli stessi donatori rispet-tano al meglio. Questi nuovi obiettivi sonovincolati a quelli della prima generazione,giacché considerati necessari affinché leriforme strutturali economiche proposteconseguano l’instaurazione di un’economiadi mercato aperta.

    Parte della legittimità necessaria per difen-dere questo intervento politico si basò sullapoca credibilità e sulla carenza di legittima-zione democratica di numerosi governi deipaesi in via di sviluppo. È risaputo che igoverni tirannici e i regimi repressivi eautoritari furono sfortunatamente comuniin alcune regioni. Dobbiamo tuttaviaricordare che gran parte del loro potereproveniva dal controllo che esercitavanosul settore moderno dell’economia dei loropaesi e che, perciò, per molto tempo furo-no accettati come partner alla pari e neces-sari dai governi dei paesi donatori. Fino apoco tempo fa questi regimi erano ricono-sciuti da alcune agenzie multilaterali e dagoverni donatori come interlocutori e con-troparti per dare impulso a progetti e pro-grammi economici.

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  • La condizionalità degli aiuti vincolati

    Una delle manifestazioni più evidenti dellacondizionalità nella cooperazione allo svi-luppo sono gli aiuti vincolati, una praticacomune della cooperazione bilaterale. Gliaiuti sono definiti vincolati quando il rice-vente non ottiene i fondi in modo dapoterne disporre liberamente, ma è costret-to a utilizzarli per l’acquisto di beni pro-dotti o servizi offerti dal paese donatore.

    Sfortunatamente il condizionamento degliaiuti all’acquisto di prodotti del paesedonatore è stata una pratica comune, alfine di conseguire ciò che è divenuto notocome “ritorno” degli aiuti e che implica,direttamente o indirettamente, l’otteni-mento di una redditività dagli stessi.Questo tipo di vincoli non riguarda unica-mente prodotti, ma a volte anche servizi.Per esempio, quando si esige che il traspor-to sia effettuato con imbarcazioni del paesedonatore, sebbene risulti più costoso di untrasporto affidato a terzi.

    Questa pratica è andata diminuendo con iltempo. Negli anni Settanta raggiunse pro-porzioni enormi e si stima che circa l’80%degli aiuti bilaterali degli Stati Uniti fosse-ro concessi a tali condizioni. All’inizio ilDAC (Comitato di Aiuto allo Sviluppodell’OCSE) propose la definizione diaccordi affinché i paesi donatori si impe-gnassero congiuntamente a ridurre le per-centuali di aiuti vincolati.

    All’inizio degli anni Novanta gli aiuti vin-colati rappresentavano circa il 26% degliaiuti bilaterali dei paesi donatori, sebbenecon notevoli differenze fra un paese e l’al-tro. Nel 1991 i governi dei paesi donatoriconcordarono di proibire gli aiuti vincolatidestinati a paesi con redditi medio-alti,sebbene tali aiuti continuarono a esserepratica comune con i paesi a redditi bassi.Nel 2001 il DAC formulò una raccoman-

    dazione con la quale i paesi donatori svin-colavano gli aiuti destinati ai paesi menosviluppati. La tendenza è chiaramenteverso un calo dell’utilizzo di questi aiuti,sebbene la reticenza di alcuni paesi impedi-sca di progredire verso una loro soppressio-ne o diminuzione sostanziale.

    La Dichiarazione di Parigie la condizionalità

    Per i paesi donatori il processo di revisionedei contenuti e delle pratiche di coopera-zione internazionale allo sviluppo culminòcon la Dichiarazione di Parigi del febbraio2005. L’Unione Europea riaffermò il pro-prio impegno con tale Dichiarazione chediede vita al Consenso Europeo alloSviluppo, in funzione del quale l’UE deci-se di assumere la leadership per il suorispetto e stabilì quattro nuovi impegniche, in linea di principio, avrebbero dovutogarantire un alleggerimento della condizio-nalità: fornire tutti gli aiuti diretti al raffor-zamento delle capacità attraverso program-mi coordinati con un uso crescente degliaccordi fra i vari donatori; canalizzare il 50%degli aiuti da governo a governo attraverso isistemi di ogni paese mediante l’aumentodella percentuale di aiuti concessa tramitel’appoggio di bilancio o approcci settoriali;evitare la creazione di nuove unità di gestio-ne dei progetti e ridurre di circa il 50% ilnumero di missioni non coordinate).

    Recentemente, nel 2008, il Parlamentoeuropeo ha approvato una risoluzione nellaquale richiamava la Commissione e gliStati membri affinché riducessero progres-sivamente la politica della condizionalità.Tuttavia, la volontà di proseguire con la pro-posta di condizionare gli aiuti alla firma diaccordi di integrazione economica (Accordidi Partenariato Economico, APE) con i paesiACP (Africa, Caraibi e Pacifico) è stata mol-to criticata proprio per la forte carica impo-sitiva nei confronti delle iniziative locali.

    Condizionalità

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  • Bibliografia

    Gómez Gil, C.; Gómez-Olivé, D. e Tarafa,G. (2008): La ilegitimidad de los créditosFAD. Treinta años de historia. Barcellona,Icaria.

    Griffiths, J. e Greenhill, R. (2006): Whatprogress? A shadow review of World Bankconditionality. Action Aid International.

    Intermón Oxfam (vari anni): La realidad dela ayuda. Barcellona, Intermón Oxfam.

    Risorse informatiche

    Aiuti non vincolati OCSE DAC:www. oecd.org/dac/untiedaid

    Condizionalità: EURODAD:www.eurodad.org/aid/?id=130

    Finanziamenti allo sviluppo: www.choike.org/nuevo/informes/1636.html

    Unione europea e Africa:http://europafrica.org

    Alfonso Dubois Migoya

    Cooperazione allo Sviluppo

    La cooperazione allo sviluppo è l’insiemedelle politiche, attività, progetti e program-mi elaborati da enti e paesi donatori al finedi collaborare con comunità e/o paesiimpoveriti e bisognosi di aiuto per miglio-rare il loro contesto sociale ed economico,fino a raggiungere una qualità della vitadecorosa e autonoma per tutti gli abitanti.Sebbene non priva di contraddizioni, lacooperazione allo sviluppo è il volto piùumano delle relazioni internazionali.

    La cooperazione allo sviluppo è lo spaziospecifico di solidarietà internazionale che siconcretizza in attività di cooperazione sul

    campo e di educazione allo sviluppo.Entrambe le iniziative hanno come obietti-vo favorire cambiamenti positivi nei rap-porti Nord-Sud, storicamente impari epaternalistici.

    Evoluzione della cooperazioneallo sviluppo

    La cooperazione nasce in stretta relazionecon il processo di decolonizzazione, laguerra fredda e la fiducia nello sviluppoconcepito come crescita economica, risul-tato di una buona gestione delle risorse tec-nologiche e finanziarie. I paesi più svilup-pati avviarono delle politiche di coopera-zione per mantenere un legame privilegia-to con le loro ex colonie e attrarre questipaesi verso l’area di influenza capitalista ocomunista, a seconda dei casi.

    Le politiche relative agli Aiuti Pubblici alloSviluppo (APS) sono portate avanti dagoverni e istituzioni soprannazionali, men-tre un’altra parte della cooperazione è realiz-zata dalla società civile, dalle OrganizzazioniNon Governative di sviluppo (ONG di svi-luppo), i movimenti sociali e altri gruppicivili o religiosi senza fini di lucro.

    La cooperazione e, in particolare, gli AiutiPubblici allo Sviluppo (APS) crearono unamaggiore dipendenza dei paesi impoveritinei confronti dei paesi donatori che sfociòin una sorta di neo-colonialismo causatodella concessionalità predominante nellacooperazione bilaterale (Dubois, 2002).

    I governi del Sud, fra i quali i paesi ACP,non seppero comprendere che ciò chepoteva migliorare in poco tempo grazie allatecnologia e agli aiuti finanziari avrebbeprovocato disparità sociali, migrazioni dimassa dalle campagne alle città, favorendola corruzione, l’avidità di ricchezza ed esa-sperando lo scontro politico fino a scatena-re guerre civili dalle terribili conseguenze

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  • (carestie, povertà, malattie, distruzione deltessuto sociale, sfollati e rifugiati, femmi-nizzazione della povertà e un infinito ecce-tera che non smette di flagellare i paesiimpoveriti).

    Sfortunatamente, né i macroprogetti disviluppo di opere faraoniche né i micro-progetti di sviluppo comunitario furono ingrado di far decollare le economie del Suddel mondo. La fase degli anni Settanta,dichiarato il decennio dello sviluppo, finìper diventare il paradigma del fallimentodello sviluppo stesso. Negli anni Ottanta siinsistette sulla interdipendenza fra svilup-po e sottosviluppo, dimostrando che lapovertà di alcuni paesi è in gran parte frut-to dell’arricchimento di altri. Si iniziòquindi, timidamente, un lavoro più seriodi sensibilizzazione e formazione nei paesidel Nord. Questa prospettiva evidenzia lanecessità di mettere in dubbio il modelloegemonico di sviluppo che perpetua ledisparità e impoverisce gran parte dellapopolazione mondiale, in particolare ledonne.

    Dopo cinquant’anni di aiuti allo svilupponon si è ancora riusciti a diminuire ledisparità fra paesi ricchi e poveri e ciò pro-duce sfiducia, sia a livello istituzionale siadella società civile, definita come “la fatica”della cooperazione. (Dubois, 2002).

    L’Unione europea e le sue politiche dicooperazione

    L’Unione europea (UE) è uno dei gruppisoprannazionali che ha stanziato più risor-se alla cooperazione allo sviluppo. L’Eu-ropa fornisce al momento il 50% circa ditutti gli aiuti internazionali. Nel 2006, con46,9 miliardi di euro, è stata il principaledonatore (Cavero, Fanjul, Kreisler e Pérez,2007).

    Negli anni Sessanta, l’allora ComunitàEconomica Europea stabilì con i paesiACP dei rapporti di cooperazione chefurono ripresi nei successivi trattati e con-venzioni, da Yaundé I fino a Lomé IV.

    Cooperazione allo Sviluppo

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    Tabella 1. Cooperazione allo Sviluppo

    Fonte: elaborazione propria.

    Progetti di sviluppoAzioni per trasformare il Sud

    Educazione allo sviluppo Azioni per trasformare il Nord

    Progetti di cooperazione. Sensibilizzazione.

    Aiuti umanitari. Educazione - Formazione.

    Aiuti di emergenza. Ricerca.

    Aiuti alimentari. Partecipazione attiva alla politica e mobilitazione sociale.

    Cronologia dei trattati fra la UEe i paesi ACP

    Yaundé I (1963-1968)

    Yaundé II (1969-1974)

    Lomé I (1975-1980)

    Lomé II (1981-1985)

    Lomé III (1986-1990)

    Lomé IV (1991-2000)

    Cotonou (2000-2020)

    Fonte: elaborazione propria sulla base di MarínEgoscozábal, 2007.

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  • Erano trattati non reciproci che favorivanoi paesi ACP - i prodotti africani, caraibici epacifici non pagavano imposte doganaliper entrare in Europa, mentre i prodottieuropei erano gravati da dazi doganali sevolevano accedere ai mercati ACP - attra-verso i quali l’Europa riuscì a mantenerevincoli privilegiati con le sue ex colonie(Marín Egoscozábal, 2007).

    Nonostante gli accordi preferenziali fra UE ei paesi ACP, questi ultimi non raggiungonole minime aspettative di sviluppo e, dei 79paesi partecipanti, 35 sono considerati fra ipaesi meno avanzati (PMA) del pianeta. Perevitare di usare inutili eufemismi: continua-no a essere i più poveri e vulnerabili.

    Istituzioni come l’UE si lasciano trasporta-re dal neoliberalismo e abbandonano i loroslanci di solidarietà. Dal 2000 al 2007 l’UEdoveva negoziare nuovi accordi con i paesiACP coerenti con le disposizioni dell’OMC.Il più recente di questi trattati fu firmato aCotonou nel 2000. A partire da allora,l’Unione europea ha proposto un nuovotipo di accordi di partenariato economicoconosciuti come APE (o EPA dall’acronimoinglese di Economic Partnership Agreements)che comportano, rispetto ai precedenti, uncambiamento profondo a discapito deipaesi ACP (Marín Egoscozábal, 2007;Bidaurratzaga, 2008). Il fallimento dellacooperazione, ormai praticamente igno-rato, produce una crisi di identità delsistema di cooperazione stesso e della suacredibilità.

    Gli APE e gli OSM

    Nel 2000 l’Organizzazione delle NazioniUnite ottenne l’impegno di 187 paesi inmerito alla proposta di rinnovamento del-l’agenda internazionale della cooperazioneper raggiungere degli obiettivi minimi disviluppo umano in tutto il pianeta. Tali

    accordi raggiunti nel 2000 sono noti comeObiettivi di Sviluppo del Millennio(OSM).

    L’educazione allo sviluppo e gli OSM coin-cidono nell’affermare che è necessario:“[...] il rafforzamento generale delle politi-che di sviluppo, con particolare enfasi sugliobiettivi di sicurezza alimentare, salute eistruzione” (Cavero, Fanjul, Kreisler ePérez, 2007). Le ricerche e le denunce pon-gono la cooperazione internazionale controla globalizzazione ultraliberale che minac-cia i diritti umani, culturali e di sviluppodei popoli.

    L’ex Segretario Generale dell’ONU, KofiAnnan, dichiarò che gli APE minacciavanodi ostacolare ancora di più la capacità diquesti paesi di raggiungere gli Obiettivi diSviluppo del Millennio (Oxfam, 2006;Mold, 2007) e il Primo Ministro ingleseGordon Brown affermò che, di questopasso, l’Africa non avrebbe raggiunto nessu-no degli obiettivi di sviluppo del millennio,né nei prossimi 10 né nei prossimi 100 anni.(Cavero, Fanjul, Kreisler e Pérez, 2007).

    Usando le parole del Ministro alCommercio della Nigeria, Aliyu ModiboUma: “Se in 30 anni di libero accesso nonreciproco al mercato dell’UE non è statopossibile migliorare la situazione economi-ca dei paesi ACP, come potrà farlo unaccordo commerciale reciproco? […]Temiamo che la liberalizzazione del com-mercio e degli investimenti [...] possa met-tere fine al già scarso sviluppo raggiuntonegli ultimi anni da alcuni paesi ACP”(South Centre, 2006 e Mold, 2007).Invece di favorire lo sviluppo, gli APE sem-brano soffocare qualunque tentativo disuperamento dei confini locali o regionalinell’Africa subsahariana (Keet, 2006),allontanando i paesi ACP dalla meta stabi-lita dagli OSM.

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  • Si registrò quindi un’ondata di risposte cri-tiche agli APE proveniente da governanti,politici, intellettuali, università e ONG disviluppo sia nei paesi ACP sia all’internodell’Unione europea. L’ese