CAMBIAMENTI CLIMATICI E GOVERNO DEL TERRITORIO ......Clima e crisi energetica 50 Altre criticità...
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CAMBIAMENTI CLIMATICI E GOVERNO DEL TERRITORIO
IN PROVINCIA DI TORINO
SOCIETÀMETEOROLOGICASUBALPINA
CAMBIAMENTI CLIMATICIE GOVERNO DEL TERRITORIO
IN PROVINCIA DI TORINO
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Progetto, testi, realizzazioneLUCA MERCALLI, DANIELE CAT BERRO (Società MeteorologicaSubalpina)
PAOLO FOIETTA, FURIO DUTTO, con la collaborazione diFABRIZIO LONGO, CONNIE CONTRAFFATTO, FRANCESCO VITALE
(Provincia di Torino)
Redazione e impaginazioneSocietà Meteorologica Subalpina
Salvo diversa indicazione, le fotografie sono di Luca Mercallie Daniele Cat Berro.
Stampato nel mese di settembre 2008 presso Graficat,Torino.
© Copyright 2008 - Provincia di Torino
II
CAMBIAMENTI CLIMATICIE GOVERNO DEL TERRITORIO IN PROVINCIA DI TORINO
T 1 - «Quaderni del territorio»
SOCIETÀ
METEOROLOGICA
SUBALPINA
Indice
Presentazione IV
Dal globale al locale, dal locale al globale 1
Il clima della Provincia di Torino: una carta d’identità 2
Il clima della Terra: una lunga storia di cambiamenti 8
Cosa fa cambiare il clima oggi? 10
Cambiamenti climatici: la situazione attuale nel mondo 12
Le temperature in Provincia di Torino: cosa è già cambiato? 15
Cosa accadrà in futuro alle temperature? 18
Cosa fare per adattarsi all’aumento termico? 20
Le precipitazioni in Provincia di Torino: cosa è già cambiato? 24
Cosa accadrà in futuro alle precipitazioni? 27
Cosa fare per adattarsi all’aumento di precipitazioni intense? 29
Cosa fare per adattarsi all’aumento di scarsità idrica? 35
La neve in Provincia di Torino: cosa è già cambiato? 38
Cosa accadrà in futuro all’innevamento e ai ghiacciai? 41
Cosa fare per adattarsi alla riduzione dell’innevamento? 44
Altri eventi intensi: tempeste di vento, nubifragi 47
Strategie razionali o onde emotive? 48
Clima e crisi energetica 50
Altre criticità indotte dai cambiamenti climatici: biodiversità, migrazioni, conflitti 51
Tempi dei cambiamenti fisici, culturali e politici 52
Sintesi delle politiche territoriali e delle normative 54
Bibliografia e sitografia 58
III
L'alterazione dell’andamento climatico è un dato diconoscenza diretta ormai condiviso anche dai nonesperti in materia, che produce effetti di adatta-mento anche sul territorio.
Il territorio risponde alle diverse sollecitazioni delclima accelerando alcuni processi, taluni dei qualidegenerativi, in relazione alle temperature mediepiù elevate (minore innevamento, ritiro dei ghiac-ciai) o alla concentrazione di eventi in particolariperiodi dell'anno (lunghi periodi di precipitazionidopo lunghi periodi di assenza, forti precipitazioniconcentrate).
Ma tutto ciò è frutto di una suggestione collettiva,di allarmismi fuori misura o sono situazioni scien-tificamente riscontrabili? L'area torinese, a detta degli esperti, è una di quel-le che in Italia può fruire di alcune tra le più lun-ghe serie storiche di rilevazioni dirette sul clima, eper questa ragione la Provincia di Torino, con ilcontributo economico della Fondazione CRT, haaffidato uno studio particolare proprio sui datidelle serie storiche climatiche della nostra area alfine di trarre utili informazioni sul tale tema.
Sulla base di quel lavoro, che ha dato luogo a unospecifico volume monografico, è nata l'idea di ela-
borare una sintesi delle informazioni raccolteorientata ad avviare una riflessione utile anche perla formazione del nuovo PTCP (Piano Territoriale diCoordinamento Provinciale), sulle possibili politi-che territoriali, efficaci per controllare - e se possi-bile contribuire a mitigare - cause ed effetti delcambiamento climatico in corso.
Pensiamo infatti che sia utile evitare che, insiemecon la consapevolezza dei cambiamenti in atto, siconsolidi la sensazione che qualsiasi intervento ascala locale sia del tutto inutile rispetto alla dimen-sione del problema e che per conseguenza l'attiva-zione e la partecipazione a politiche orientate adaffrontarlo siano questione di altri livelli decisiona-li o più in generale «di altri», che debbono avviarecomportamenti e politiche «globali» diverse.Riteniamo invece che comportamenti virtuosi pos-sano avviarsi anche alla scala locale, e che nelsistema a rete fra sistemi locali possano consoli-darsi e via via trovare maggiore efficacia e qualitàdi risultato. In un territorio come quello della Provincia diTorino, vasto ma minuto rispetto alla dimensione ediffusione del problema, le azioni che si possonoquindi programmare sulle cause originanti i cam-biamenti climatici possono assumere caratteri dipiena efficacia se considerate come parte di uninsieme; vale a dire come - sistema - di politichesettoriali di un territorio - di sistemi - territoriali.Cionondimeno è opportuno avviare queste politi-che anche in assenza di pari attenzione da partedei sistemi territoriali vicini.
Ci sono invece azioni, quelle sugli effetti, chehanno diretta ed immediata rilevanza sul territorioamministrato e su quelli limitrofi poiché gli eventinaturali non hanno dimestichezza con le cintedaziarie e soprattutto non hanno istituzionalmen-te l'obbligo di rispettarle.
IV
Presentazione Antonio SaittaPresidente della Provincia di Torino
Giorgio GianiAssessore alla Pianificazione Territoriale
della Provincia di Torino
Un esempio lo possiamo trarre dal recente eventoalluvionale che ha particolarmente colpito le vallidel Pinerolese e di Susa. L'esperienza dell'alluvione del 2000 e soprattuttole opere che nel frattempo la Provincia di Torino hasaputo realizzare per il rinnovo e l'ammoderna-mento dei luoghi (nuovi ponti…) e di difesa spon-dale hanno retto bene alle sollecitazioni del nuovoevento che in alcune aree ha avuto analoga inten-sità di quello del 2000.
Tutto ciò è stato, insieme con l'efficienza del siste-ma di protezione civile, motivo di soddisfazione masi è anche evidenziato un altro dato piuttostoimportante: la diffusione, la ricorrenza, l'intensitàdegli eventi, l'analisi degli effetti o dei rischi amedio termine, soprattutto le frane, ha posto inevidenza che non è possibile intervenire solamenteed ovunque con sistemi di difesa, ma che bisognaprendere atto che forse anche per le modificazionidelle condizioni climatiche è necessario considera-re azioni diverse che riportino il territorio all'equi-librio; un equilibrio un tempo affidato alla praticae buona conoscenza locale da parte degli abitanti,che - traendone reddito - sapevano ben calibrarecon l'esperienza tramandata l'esigenza della «rac-colta» con la necessità della conservazione dellafonte di reddito, e ben conoscevano per le stesseragioni i luoghi in cui insediarsi ed i luoghi «da evi-tare».
È un equilibrio ormai perso e che non può esserericreato allo stesso modo, ma va ricercato conmodalità e azioni diverse che siano costantementedistribuite nel tempo - presidio e manutenzionedel territorio - e capillarmente distribuite nel terri-torio - piccoli interventi atti a rallentare la diffu-sione degli effetti di un evento - anche di rilocaliz-zazione - di ciò che non è possibile o è ragionevol-mente diseconomico proteggere.
Nessuno sviluppo è possibile in un territoriopotenzialmente insicuro.
Dalle indicazioni che fornisce questo lavoro rite-niamo di poter individuare «buone pratiche» chepossano costituire ossatura normativa nel PianoTerritoriale di Coordinamento che la Provincia staultimando.
V
VI
1
Dal globale al locale, dal locale al globale
Vi è una diffusa percezione che contro i grandi proces-si di deterioramento ambientale, in cui rientra pure ilriscaldamento globale, poco valgano le azioni locali eindividuali. Si ritiene che tali problemi possano essereaffrontati solo dai governi dei Paesi che più contanosullo scacchiere internazionale, e/o dai grandi gruppieconomici. Ma è una percezione errata. La pressionesugli ecosistemi e sugli equilibri atmosferici e idrologi-ci è infatti frutto della somma di innumerevoli azioni escelte quotidiane compiute virtualmente da ognuno dei6.7 miliardi di abitanti del pianeta, in realtà da un lorosottoinsieme più limitato, corrispondente a circa unmiliardo di abitanti dei Paesi industrializzati e 3 miliar-di delle economie emergenti asiatiche. Se si eccettuanole spese militari, enormi ed eticamente biasimabili finche si vuole, ma in effetti poco manovrabili dall’indivi-duo, tutti gli altri processi corrispondono a decisioniche i singoli assumono quotidianamente a livello di:consumo di energia, consumo di prodotti finiti e produ-zione di rifiuti, decisioni sulla mobilità (dove, perché ecome spostarsi), decisioni sull’uso del suolo (dove, per-ché e come costruire). Nei Paesi occidentali tutto ciòcorrisponde a una rete di decisioni, scelte, interessi,desideri, a volte capricci, che sono il riflesso in parte direali esigenze per raggiungere un dignitoso livello divita, e in parte di bisogni indotti da una sfrenata com-petizione economica e da modelli di riconoscimentosociale. Ridurre l’impatto generale delle attività umanesull’ambiente è quindi un fatto culturale, che cominciadal singolo e procede parallelamente alla politica deglienti locali, che da un lato devono favorire lo sviluppo diun nuovo paradigma, dall’altro devono essere sostenu-ti proprio da una coscienza sociale diffusa e condivisa.
2
Il clima della Provincia diTorino: una carta d’identità
Le condizioni climatiche della Provincia di Torinosono fortemente influenzate dalla presenza delleAlpi, la cui orografia è in grado di deviare e sbarra-re il flusso dei venti che le raggiungono. In base allaloro provenienza, la barriera alpina può infattiridurre le precipitazioni sul versante torinese (effet-to föhn sul versante sottovento, quando le correntiin quota soffiano tra Ovest e Nord), oppure intensi-ficarle (sbarramento dell'aria umida marittima tra-sportata dai venti meridionali, specialmente lo sci-rocco). La pianura chiusa su tre lati da montagne ecolline è inoltre un luogo favorevole al ristagno diaria fredda e inquinata nei mesi invernali (inversio-ne termica), mentre d'estate le brezze termichelocali favoriscono il rimescolamento dei bassi stratiatmosferici.
Le Alpi occidentali innevate e la pianura torinese riprese dal satellite
NASA-MODIS il 24.02.2003, h 12:25 UTC. Il rilievo alpino è il più impor-
tante fattore di modificazione del clima locale, e cui influisce in partico-
lar modo sul regime dei venti e delle precipitazioni.
Luogo più caldo: Torino-città, temperatura media annua 13.1 °CLuogo più freddo (dotato di stazione meteo): Lago della Rossa (2718 m), temperatura media annua -2.0 °CTemperature più basse: -26 °C a Lombriasco il 14 febbraio 1956; -35 °C il 31 gennaio 1963 al Lago della RossaTemperature più alte: l’11 agosto 2003, 41.6 °C a Torino-Nord, 40.8 °C a MoncalieriLuogo più asciutto: Oulx (Valle di Susa), 612 mm/anno (siccità intralpina)Luogo più piovoso: Succinto (Valchiusella), 2000 mm/anno (esposizione a venti umidi da Sud) Precipitazione più abbondante in 1 giorno: 455 mm il 5 novembre 1994 a Funghera (basse Valli di Lanzo)Precipitazione più abbondante in 1 mese: 964 mm a Locana-Rosone nell’ottobre 2000 (alluvione)Precipitazione più abbondante in 1 anno: 2835 mm a Succinto (Valchiusella) nel 1936Luogo più nevoso: Lago della Rossa, 830 cm di neve fresca/annoMassimo spessore della neve al suolo: 850 cm al Lago Valsoera (Valle Orco, 2440 m) il 14 marzo 1972Massima nevicata in 1 giorno: 150 cm al Lago della Rossa il 4 marzo 1936 e a Ceresole Reale il 19 febbraio 1974
IL CLIMA DELLA PROVINCIA DI TORINO IN CIFRE
N
3
Le temperature: -26 °C a Lombriasco nel 1956,oltre 40 °C a Torino nel 2003
In Provincia di Torino le temperature medieannue decrescono dai 12-13 °C della pianura finoa raggiungere lo 0 °C mediamente a 2300÷2500m di quota, secondo un gradiente altitudinalemedio di circa 0.6 °C ogni 100 m. La protezione offerta dalle Alpi è evidente con-frontando i valori termici della pianura torinesecon quelli delle città della Svizzera e della Savoia:se a Torino la media annua è di 13 °C, a Ginevrasi sfiorano appena i 10 °C per via della maggioreesposizione ai venti settentrionali. I giorni più freddi dell'anno mediamente si collo-cano nella prima metà di gennaio: il gelo nottur-no è pressoché quotidiano, se il cielo è sereno, esolitamente almeno una volta nell'anno le tempe-rature scendono attorno a -10 °C nelle campagnefuori Torino. Proprio la prima metà di gennaio nel1985 ha conosciuto l'ultima ondata di gelostraordinario degli anni recenti: in quell'occasio-ne si raggiunsero -13.2 °C all'aeroporto di Casellee -30 °C ai 2275 m del Lago Serrù. In pianura ilvalore più basso spetta però al febbraio 1956,con -26 °C a Lombriasco, presso Carmagnola,zona soggetta a forti inversioni termiche nellenotti invernali. L'estate raggiunge il culmine tra fine luglio e ini-zio agosto, quando è normale che le massimediurne tocchino i 30 °C in pianura; l'11 agosto2003 è stato il giorno più caldo mai registratodall'inizio delle osservazioni meteorologiche, conpunte di 41.6 °C a Torino e 30 °C attorno a 1500m di quota.
Alpi piemontesi - Andamento termico medio durante l'anno (°C)
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0
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2
°C
Ceresole Reale Moncenisio
Torino Lago Valsoera
La stazione meteorologica installata presso l’Istituto Agrario Salesiano di
Lombriasco, nella pianura intorno a Carmagnola. Mantenere invariata nel
tempo la posizione degli strumenti è indispensabile per garantire l’omoge-
neità delle serie di misura.
Andamento delle temperature medie giornaliere a differenti altitudini in
Provincia di Torino, periodo 1961-2007. A Torino (linea rossa) il giorno più
freddo mediamente è il 6 gennaio, con temperatura media di 2.0 °C, il più
caldo è il 29 luglio con 24.7 °C. Ai 2400 m del Lago Valsoera i valori medi
oscillano invece tra i -6.1 °C del 15 febbraio e i 10.0 °C del 5 agosto.
4
La quantità annua di precipitazione cresce avvi-cinandosi dalla pianura alle Alpi, per l'effetto disollevamento forzato imposto dal rilievo sull'ariaumida in arrivo dal Mediterraneo: il raffredda-mento dell'aria che ne consegue e la condensa-zione del vapore si traduce in maggiore nuvolo-sità e precipitazioni. E' per questo motivo che sulterritorio della Provincia di Torino si passa daicirca 750 mm/anno delle colline del Po e dellezone di confine con l'Astigiano agli oltre 1500 mmdi molte zone prealpine, perfino 2000 mm inValchiusella. Se invece si penetra più interna-mente alla catena alpina, al contrario l'effetto disbarramento dell'umidità marittima da parte deimonti circostanti genera una diminuzione degliapporti: lungo la Valle di Susa, ad esempio, leprecipitazioni annue scendono da circa 1000 mmnella zona di Avigliana a meno di 700 mm intor-no a Oulx. Il numero annuo di giorni piovosivaria da 70 a 90 in pianura e da 90 a 110 sullamaggior parte delle località alpine dellaProvincia.
Durante l'anno queste quantità si distribuisconosecondo un regime pluviometrico definito comesublitoraneo occidentale, con due massimi in pri-mavera e autunno - di cui quello primaverile èprevalente sulle Prealpi - e due minimi in inver-no ed estate - di cui quello invernale è quasiovunque il più importante. Solo a Bardonecchia ilmese più asciutto dell'anno è luglio, mentrealtrove il minimo spetta a gennaio o febbraio. Trametà aprile e inizio giugno si concentra solita-
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Sopra, esondazione della Dora Riparia a Bussoleno durante le forti precipi-
tazioni del 29.05.2008.
Sotto, carta delle isoiete annuali in Provincia di Torino (mm di pioggia e neve
fusa): tra le colline del Po e il Roero si scende sotto gli 800 mm di precipita-
zione annua, mentre i rilievi prealpini sono soggetti ad apporti ben più
abbondanti, che toccano i 2000 mm in Valchiusella. L’alta Valle di Susa, per
via della sua posizione molto interna alla catena alpina, è pure piuttosto
asciutta, con valori estesamente inferiori a 800 mm/anno.
Le precipitazioni: crescentidalla pianura alle Prealpi
5
mente il maggior numero di eventi piovosi e lamaggiore quantità di precipitazione. In particola-re, il mese di maggio riceve in media oltre 150-200 mm sulla fascia montana tra la Val Pellice, laVal Sangone, le Valli di Lanzo e l'alto Canavese.
Le condizioni più favorevoli a piogge abbondantisul Torinese sono quelle contraddistinte da unabassa pressione centrata tra la Costa Azzurra, laSardegna e il Mar Ligure, a cui si associano ventiumidi provenienti tra Sud ed Est. E' in questesituazioni che si possono originare piene fluvialie dissesti, specialmente se la durata dei fenome-ni è prolungata dal blocco di un'alta pressionesui Balcani che ostacola l'allontanamento dellaperturbazione verso Est. Specialmente in autunno si possono rilevarepiogge violente e concentrate, spesso fino ad altaquota per effetto dello scirocco caldo in risalitadal Mediterraneo: soprattutto in montagna, quasitutti i casi di precipitazione massima giornalieraappartengono agli eventi alluvionali autunnalidel novembre 1945 (306 mm a Luserna SanGiovanni il giorno 1), settembre 1947 (410 mm aBalme il giorno 26), novembre 1994 (455 mm aFunghera, Valli di Lanzo, il giorno 5), ottobre2000 (414 mm a Rosone il giorno 14).
Al contrario, siccità prolungate si producono piùspesso tra gennaio e metà marzo per la persisten-za di zone di alta pressione, oppure per il predo-minio di venti tra Ovest e Nord, che generanocondizioni asciutte di föhn sul versante padanodelle Alpi. A Torino dal 1° ottobre 1989 al 31marzo 1990 caddero appena 36 mm di pioggia,quantità minima in un periodo di 6 mesi dal1802. D'estate è più raro che si verifichino lun-ghe sequenze di giorni asciutti poiché, special-mente in montagna, i temporali pomeridiani eserali sono frequenti.
Regime mensile delle precipitazioni
(pioggia e neve fusa in mm)
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40
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Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic
mm
Balme
Torino
Esempi di regime pluviometrico mensile in Provincia di Torino: Balme e
Torino. In entrambe le località si osservano i massimi di piovosità in mag-
gio, e i minimi in gennaio. Ma a Balme il picco secondario di ottobre egua-
glia quasi quello di maggio. Anche luglio è relativamente asciutto, sebbene
punteggiato da temporali più frequenti sulla zona alpina.
Il quartiere Borgo Po di Torino durante il furioso nubifragio del 20 giugno
2007 (f. C. Castellano); il temporale - concentrato tra il centro storico, il Po e
la collina di Superga - ha scaricato 58 mm di pioggia in circa un’ora, una
quantità non eccezionale ma vicina al massimo orario noto in città, pari a
65 mm (11 agosto 1938, quartiere Millefonti). Ma probabilmente alcune zone
della collina hanno ricevuto quantità superiori. Inondazioni ed erosioni del
manto stradale hanno riguardato soprattutto corso Casale e le vie collinari.
6
In pianura la neve fa la sua comparsa 5-6 volteper inverno, con massima frequenza da dicembrea febbraio, episodi marginali in novembre emarzo, eccezionali in ottobre e aprile.
A Torino e sulle pianure circostanti cadono inmedia circa 25-30 cm di neve fresca all'anno, e lapermanenza del manto nevoso al suolo è irregola-re e assai discontinua. Nella lunga serie di misu-ra della neve iniziata nel 1787, l'episodio più pre-coce si è verificato il 27 ottobre 1979 (5 cm), quel-lo più tardivo il 25 aprile 1972 (3 cm), ma vennesegnalata neve in città anche il 1° maggio 1714.
Sul settore alpino le quantità annue crescono dicirca 30 cm ogni 100 m di altitudine, fino a por-tarsi attorno a 350 cm a quota 1500 m e a 7 m a2500 m. Sui rilievi la durata del manto nevoso alsuolo è molto variabile anche in base all'esposi-zione dei versanti e alla morfologia del territorio:in media la neve si conserva per 90-100 giorni a1000 m, 130-150 giorni a 1500 m, 190-210 gior-ni a 2000 m e 240-270 giorni (8-9 mesi) a 2500 m.
Le nevicate più copiose intervengono con afflussidi aria temperata e umida dal Mediterraneo, esono in grado di depositare anche oltre 100 cm in24 ore a quote superiori ai 1000 m, mentre i ventigelidi da Est - che trasportano aria a basso conte-nuto di vapore in quanto proveniente da zone con-tinentali anziché marittime - di solito producononevicate deboli o moderate, con apporti general-mente non superiori a 10-15 cm.
Torino, piazza Cavour sotto i 10 cm di neve del 28.01.2006 (f. V. Acordon).
In pianura cadono in media circa 25-30 cm di neve fresca all’anno, quasi
totalmente concentrati nei mesi da dicembre a febbraio. La permanenza del
manto al suolo è però irregolare e discontinua, e raramente il terreno rima-
ne imbiancato per più di una settimana.
Provincia di Torino - Spessore medio del manto nevoso (cm),
periodo 1961-2007
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cm
Ceresole Reale (1579 m)
Lago Moncenisio (2000 m)
Lago Valsoera (2400 m)
Venaus (620 m)
La neve: 25 cm all’anno inpianura, 7 m a quota 2500 m
Andamento degli spessori medi del manto nevoso durante l’anno, calcolati
sul periodo 1961-2007 (salvo per la stazione di Venaus, per la quale è
disponibile il periodo 1961-2001). Sotto i 1500 m di quota la neve raggiun-
ge il massimo spessore solitamente entro il mese di febbraio, mentre proce-
dendo più in altitudine il culmine dell’altezza neve si sposta in primavera,
stagione ancora soggetta a forti nevicate specialmente oltre quota 2000 m.
Al Lago Valsoera (2400 m, Valle Orco) il manto cresce fino alla metà di apri-
le, e solo in maggio ha inizio la stagione di fusione.
7
La protezione offerta dal rilievo alpino si riflette inuna ventosità debole e irregolare. I frequenti ventiatlantici, vivaci sulle pianure d'oltralpe (a Parigi lavelocità media annua del vento è di 14 km/h), sifanno sentire direttamente per lo più in alta monta-gna, mentre in pianura e a fondovalle dominano lebrezze e i venti locali.
I pochi giorni con vento forte sono da attribuire alföhn che - specialmente tra l'autunno e la primave-ra - irrompe asciutto e mite dalla cresta principaledelle Alpi verso la pianura, con raffiche tra Ovest eNord localmente superiori a 100 km/h (145 km/h il19 marzo 2002 a Susa); oppure, nei mesi estivi, arapide e irregolari burrasche temporalesche, in gradodi recare ingenti danni ma su zone limitate.
Sulla pianura torinese la velocità media annua delvento è di 5-6 km/h, mentre sale a 10-15 km/h inalcune località delle alte valli alpine (11 km/h aSusa, 13 km/h a Oulx): si tratta di valori comunquetroppo bassi per una produzione redditizia di ener-gia eolica su vasta scala, che al contrario necessitadi venti tesi e costanti con medie annue dell'ordinedi almeno 20 km/h.
Quasi ovunque i mesi da marzo ad agosto sono i piùventilati grazie al contributo delle costanti brezzetermiche diurne (a Moncalieri media di 7 km/h inmaggio), mentre da settembre a febbraio la vento-sità media si affievolisce nonostante la presenzairregolare di giornate con forte föhn.
Il vento: mediamente debole,ma episodi di forte föhn e burrasche temporalesche
Al collegio Carlo Alberto di Moncalieri le velocità medie mensili del vento
variano da un minimo di 4.2 km/h in novembre a un massimo di 7 km/h in
maggio. La maggiore ventilazione tardo-primaverile è dovuta in parte al fre-
quente passaggio di depressioni atlantiche che rendono l’atmosfera più
mossa (al massimo di ventosità media corrisponde infatti il minimo di pres-
sione atmosferica) e in parte al ruolo delle brezze termiche che riprendono
a soffiare tese nelle ore centrali del giorno. Le velocità massime (linea blu
nel grafico in alto) sono invece più irregolari, e forti raffiche si possono regi-
strare in ogni mese dell’anno, in inverno durante gli episodi di föhn, in esta-
te soprattutto durante i temporali.
Il grafico qui sopra mostra la distribuzione delle velocità medie orarie del
vento durante il giorno a Moncalieri, nel trimestre invernale e in quello esti-
vo. Si noti la ripresa diurna delle brezze locali, più marcata in estate rispet-
to all’inverno: la massima intensità è raggiunta tra le ore 14 e le 15, men-
tre l’atmosfera più calma si registra solitamente nelle ultime ore della notte
e attorno all’alba.
8
Il clima della Terra: unalunga storia di cambiamenti
Che il clima terrestre subisca variazioni importantinel tempo di per sé non dovrebbe stupire, poiché lastoria del nostro pianeta ha mostrato ripetute oscil-lazioni tra fasi glaciali e interglaciali, dovute però acause naturali: variazioni nell’attività solare, nellageometria astronomica (inclinazione dell’asse terre-stre, distanza Terra-Sole, ecc...), eruzioni vulcani-che. L’evoluzione di questi cambiamenti può esserericostruita attraverso l’analisi chimico-fisica dell’a-ria intrappolata nei ghiacci polari (grafico sotto) odei sedimenti nei fondali oceanici, e in questo casosi possono ottenere informazioni fino a milioni dianni fa. Per periodi più recenti (secoli-millenni) sipuò invece ricorrere allo studio dei pollini fossili neisuoli, degli anelli di accrescimento degli alberi, dellecronache storiche, dei reperti archeologici.
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A sinistra, la grande lingua del ghiacciaio Upsala, Patagonia, ripresa dal-
l’aereo nel 2004, e, a destra, la lussureggiante vegetazione della foresta
dell’Acre in Brasile (f. G. Badino). Due esempi di ambienti che (seppure oggi
coesistenti sul pianeta) dominavano il paesaggio terrestre rispettivamente
durante le glaciazioni, l’ultima delle quali è terminata 11.000 anni fa, e le
fasi calde come quella del Cretaceo, periodo geologico terminato 65 milioni
di anni fa. Allora la temperatura media della Terra era di 10-12 °C supe-
riore a oggi, ma il fatto che in periodo così remoto il clima fosse ben più
caldo di oggi non deve però tranquillizzarci: allora il nostro pianeta era
molto diverso, e l’uomo non c’era ancora...
Ai cambiamenti naturali del clima, oggi si sovrappone pericolo-
samente l’effetto delle imponenti emissioni antropiche di gas a
effetto serra. A lato, sintesi grafica delle ricostruzioni di tempe-
ratura e concentrazione del biossido di carbonio (CO2) negli ulti-
mi 650.000 anni, ottenute grazie al progetto EPICA di perforazio-
ne profonda della calotta antartica (www.concordiastation.org).
A fronte di concentrazioni che, prima dell’era industriale, non si
erano mai spinte oltre 300 ppmv (parti per milione in volume)
durante le fasi interglaciali più miti, nel 2007 si è raggiunto un
valore di 386 ppmv (curva aggiornata alla situazione attuale in
base ai dati rilevati all’osservatorio di Monte Mauna Loa,
Hawaii, vedi anche p. 11), massimo da almeno 650.000 anni.
Questa informazione rende conto della portata epocale dei cam-
biamenti che l’uomo sta causando negli equilibri dell’atmosfera
terrestre. La freccia tratteggiata indica l’attuale tasso annuale di
aumento della concentrazione di CO2 (+ 2 ppmv/anno).
L’andamento della temperatura (ricostruito tramite i rapporti iso-
topici dell’ossigeno) coincide piuttosto fedelmente con quello del
biossido di carbonio. Prima dell’utilizzo dei combustibili fossili, i
livelli di CO2 variavano in conseguenza di meccanismi bio-geo-
chimici naturali e in risposta a variazioni nella quantità di ener-
gia solare ricevuta dalla Terra (feedback).
9
Gli ultimi 10.000 anni:una relativa stabilità climatica
Circa 11.500 anni fa termina l’ultima glaciazio-ne, e nel volgere di un millennio in Europa siinstaura un clima complessivamente tempera-to e piuttosto stabile, che ha sicuramente favo-rito lo sviluppo della civiltà umana basata sul-l’agricoltura. Tra 6000 e 7000 anni fa circa si èmanifestato un periodo molto mite, l’Optimumtermico olocenico, seguito da fasi più frescheculminate attorno a 2700 anni fa (episodio fred-do «Göschenen I») e tra il 1400 e il 1850 (PiccolaEtà Glaciale). Quest’ultimo periodo, contraddi-stinto da una pronunciata avanzata dei ghiac-ciai, è ben documentato anche dalle fonti stori-che, mentre le ricostruzioni climatiche basatesull’analisi dei proxy data mostrano maggioriincertezze sull’entità e l’estensione geograficadel periodo mite medievale, centrato intornoall’anno Mille, la cui importanza e rappresenta-tività è stata ridimensionata dal recente dibat-tito scientifico. Dopo il 1600 i dati divengonopiù abbondanti e precisi. Con elevato grado disicurezza si può affermare che gli ultimi decen-ni del XX secolo sono stati i più caldi da alme-no 400 anni, ma secondo MANN et al. (1999) ilriscaldamento del XX secolo non avrebbe pre-cedenti almeno negli ultimi 1000 anni nell’emi-sfero boreale, come indicherebbe la maggiorparte degli indicatori analizzati.
Ricostruzione dell’andamento approssimativo delle temperature medie nella regione alpi-
na occidentale negli ultimi 11.000 anni (Olocene) desunta dai risultati pubblicati da diver-
si Autori, in particolare OROMBELLI (1998), LISTER & al. (1998), HORMES (2001), BURGA (1995),
DAVIS (2003), MOBERG (2005). L’inizio dell’Olocene è stato caratterizzato da un netto aumen-
to termico (circa 5°C nell’arco di un millennio), responsabile della fine delle glaciazioni. In
seguito il clima si è stabilizzato su un assetto temperato, con fluttuazioni comprese entro
2.5 °C circa, tra l’Optimum termico olocenico di 6.000-7.000 anni fa circa e i minimi degli
episodi Neoglaciali (circa 2500 anni fa) e della Piccola Età Glaciale (1350-1850 d.C.). Le
temperature attuali hanno raggiunto, e molto probabilmente ormai superato, i valori già
miti degli Optimum termici secondari dell’Età romana e del Medioevo, e crescono ancora.
Confronto tra diverse ricostruzioni delle temperature medie globali
negli ultimi duemila anni. I dati di ogni ricostruzione sono stati
smussati con media mobile pesata. Alla fine del XX secolo le tempe-
rature medie terrestri hanno superato i valori già miti dell’Optimum
Termico Medievale, risultando dunque le più elevate da almeno
duemila anni (http://en. wikipedia.org/wiki/Temperature_record).
Temperatura media regione alpina occidentale negli ultimi 11 000 anni
10
11
12
13
14
15
16
17
18
11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
Tempo in migliaia di anni dal presente (BP)
Te
mp
era
tura
°C
Optimum termico
Olocenico (HTM)
Fine ultima
Glaciazione -
Younger Dryas
Episodio
fresco
Misox
Oscillazioni
fresche e
umide Piora I
e II
Sviluppo torbiera Rutor
Limite boschi + 200 m
Episodio freddo
Neoglaciale
Göschenen I e II
Clima
attuale
Optimum
termico Età
Romana
Optimum
termico
Medievale
Piccola
Età
Glaciale
1350-1850Età del
bronzo
Età
del
ferro
Preboreale Boreale Atlantico Sub-atlanticoSub-boreale
Oscillaz.
di Palü
Ötzi
5400 BP
Episodio
fresco
Löbben
10
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Cosa fa cambiare il clima oggi?
Se in passato il clima cambiava per cause naturali, lavelocità e l’intensità del riscaldamento globale registra-te dalla fine degli Anni 1980 sono spiegabili solo pren-dendo in considerazione le attività umane, quindi il cre-scente utilizzo di combustibili fossili. La conseguentemassiccia emissione antropica di gas a effetto serra, ini-ziata alla fine del 1700, ha cominciato a produrre unsegnale climatico significativo attorno alla metà delNovecento. Al forzante radiativo positivo (riscaldamento)dei gas serra se ne accompagnano anche altri negativi,ad esempio quelli dovuti agli aerosol industriali in atmo-sfera, che generano un raffreddamento, ma in ogni casola somma delle attività umane complessivamente pro-duce un effetto di riscaldamento (figura a lato). I model-li di simulazione climatica possono ricostruire il climapassato, ma i risultati restituiscono un andamento coe-rente con le osservazioni reali degli ultimi 50 anni solose nel modello vengono considerati anche i forzanti cli-matici di origine umana (figura qui sotto).
Sopra: tra li fattori forzanti radiativi di origine umana sul clima terrestre, alcuni
hanno un effetto di riscaldamento (come i gas serra), altri hanno un effetto raf-
freddante (come gli aerosol che aumentano l’albedo delle nubi o schermano parte
della radiazione solare). Attualmente però prevale di gran lunga il forznte positi-
vo (riscaldamento) indotto dall’aumento antropogenico dei gas serra, che incide
sul bilancio radiativo terrestre con +2.64 W/m2. Al netto dell’effetto degli aerosol,
che mascherano in parte l’aumento di temperatura, e di altri fattori legati a varia-
zioni di albedo e all’ozono stratosferico, la somma dei contributi di origine umana
agisce sul sistema climatico con un forzante pari a +1.6 W/m2. Quanto ai fatto-
ri naturali, le variazioni nell’attività solare (solo +0.12 W/m2) non possono spie-
gare l’attuale intenso e rapido riscaldamento della superficie terrestre (Fonte:
IPCC, 2007; ridis. V. Acordon - SMI).
A lato: per testare l’affidabilità di un modello di previsione climatica, gli si può sot-
toporre la ricostruzione del clima passato, di cui conosciamo piuttosto bene sia le
variazioni (dati strumentali) sia i fattori che le hanno causate (forzanti). Nel caso
del riscaldamento degli ultimi decenni, i modelli riproducono correttamente la
realtà osservata soltanto se si considerano, oltre ai fattori naturali (attività sola-
re, parametri astronomici, attività vulcanica), anche quelli antropici (aumento dei
gas serra). Nel grafico, la linea nera indica le osservazioni strumentali (media glo-
bale) dal 1900 al 2000, l’area gialla la simulazione del modello, assai simile alla
situazione reale (linea rossa = media dei valori simulati). Da IPCC (2007).
___ valori osservati
___ valori simulati
11
Gas a effetto serra ed emissioni
Esistono diversi gas che in atmosfera svolgono un«effetto serra», ovvero assorbono parte della radiazionetermica riemessa dalla superficie terrestre verso lospazio, incrementando la temperatura dell’aria.L’effetto serra è un fenomeno naturale intensificatoperò dalle attività umane degli ultimi due secoli.Tra i gas la cui concentrazione è direttamente aumen-tata dall’uomo, il biossido di carbonio (CO2) è quelloche contribuisce maggiormente all’attuale riscalda-mento (63%); oggi ha raggiunto le 385 ppmv (parti permilione in volume) e rimane attivo per circa 120 anni.Il metano (CH4), prodotto da fermentazioni anaerobi-che nelle coltivazioni di riso e negli allevamenti, contri-buisce per il 18%. Altri gas sono molto attivi, come l’e-safluoruro di zolfo (SF6), ma sono presenti in tracceinfinitesimali. In realtà il vapore acqueo è in assolutoil gas serra più efficace, ma la sua quantità non èaumentata direttamente dalle attività umane.Il Protocollo di Kyoto, siglato nel 1997 ed entrato invigore nel 2005, prevede la riduzione entro il periodo2008-12 del 5.2% delle emissioni globali di 6 principa-li gas serra rispetto ai livelli del 1990 (-6.5% è l’obiet-tivo assegnato all’Italia). Ma al momento la sua effica-cia è relativa: tra il 1990 e il 2005 in Italia le emissio-ni sono aumentate del 12%.
Monte Mauna Loa (Hawaii)
Concentrazione atmosferica CO2 (1958-2004)
250
270
290
310
330
350
370
390
19
58
19
62
19
66
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19
74
19
78
19
82
19
86
19
90
19
94
19
98
20
02
pp
mv
Concentrazione pre-industriale: 288 ppmv
2007: 385 ppmv
Emissioni mondiali di gas serra ripartite in percentuale su gruppi di Paesi
con analoghe caratteristiche di sviluppo socio-economico, e valori pro capite
espressi in tonnellate di CO2 equivalente. I Paesi del gruppo «Annex I» sono
quelli - più avanzati e ricchi - coinvolti dal Protocollo di Kyoto (anche se alcu-
ni di essi non lo hanno ratificato, come gli USA): emettono circa il 50% dei
gas serra antropici mondiali, mentre la loro popolazione è solo il 20% del
totale. USA e Canada da soli liberano un quinto dei gas serra emessi al
mondo, con medie di oltre 25 t/anno per persona. La media europea (e
anche italiana) è invece di 10 t/pro capite. I Paesi poveri e le economie emer-
genti erano state escluse dal Protocollo (gruppo «Non Annex I») per dare modo
alle loro economie di sollevarsi in vista di futuri provvedimenti più drastici:
a loro spetta la restante metà di emissioni, distribuite però sull’80% della
popolazione mondiale; le emissioni medie continentali di Africa e Asia
Meridionale scendono infatti sotto le 5 t/anno pro capite (IPCC, 2007).
Andamento della concentrazione atmosferica di CO2 misurata
all’Osservatorio situato a 3397 m sul versante settentrionale del Monte
Mauna Loa (isole Hawaii) nel periodo 1958-2004 (fonte:
www.cdiac.ornl.gov). Si tratta della più lunga serie strumentale al mondo
di misura del CO2. Le misure vennero avviate nel 1958 da Charles David
Keeling, su iniziativa di Roger Revelle (oceanografo, direttore della Scripps
Institution of Oceanography, San Diego). La quantità di CO2 è in aumento,
e attualmente (2007) si è raggiunto il valore di 385 ppmv. Le regolari oscil-
lazioni stagionali sono dovute al temporaneo assorbimento estivo di CO2da parte della fotosintesi nelle foreste boreali di caducifoglie.
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12
Anomalie termiche globali dal 1850 al 2007 (rispetto a media 1961-90; Fonte: CRU - Univ. East Anglia, UK)
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0.0
0.2
0.4
0.61
85
0
18
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18
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18
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19
80
19
90
20
00
°C
Cambiamenti climatici:la situazione attuale nel mondo
A livello planetario, il 2007 si è confermato unnuovo anno caldo. Secondo il data-set compilatodall'Hadley Center del MetOffice inglese e dallaClimate Research Unit (CRU) dell'University ofEast Anglia (BROHAN & al., 2006), l'anomaliaannua globale rispetto alla media 1961-90 ha toc-cato i +0.4 °C, collocando il 2007 all'ottavo postonell'elenco degli anni più caldi dal 1850. Il IV rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on
Climate Change), pubblicato nella primavera2007, costituisce attualmente la fonte più aggior-nata, completa e autorevole in tema di cambia-mento climatico. Per quanto riguarda gli scenariper il futuro, questa edizione del rapporto confer-ma i risultati emersi in quella precedente del2001, affinandoli tuttavia alla luce delle nuoveconoscenze, e riducendo ulteriormente i marginidi incertezza delle previsioni. Da tale documentoemerge che «l'attuale fase di riscaldamento glo-bale è inequivocabile».
Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) il riscalda-
mento è ormai inequivocabile, e negli ultimi 100 anni la temperatura glo-
bale è salita di 0.7 °C (IPCC, 2007), e i 10 anni più caldi dal 1850 a oggi
sono tutti successivi al 1995. Per ora l’anno più caldo è stato il 1998, con
un’anomalia di +0.53 °C.
La tendenza al riscaldamento atmosferico è confermata dalle serie storiche
di dati termometrici delle Alpi e della Provincia di Torino, mentre per ora le
precipitazioni non mostrano ancora segnali evidenti di cambiamento sul
versante padano delle Alpi occidentali, sebbene i modelli per il futuro pro-
spettino un incremento di frequenza dei fenomeni intensi.
Il IV rapporto IPCC (2007) è suddiviso in 3 volumi che trattano rispettiva-
mente: i fondamenti scientifici di base del cambiamento climatico; gli
impatti futuri, l'adattamento e la vulnerabilità; la mitigazione
(www.ipcc.ch).
CHE COS’È L’IPCC?L’IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change -è un comitato internazionale di ricercatori istituitonel 1988 dalla World Meteorological Organization e dalUnited Nations Environment Programme. Si occupa divalutare gli studi sul cambiamento climatico e di pro-durre ogni 5 anni un rapporto sullo stato delle cono-scenze e gli scenari futuri, l’ultimo dei quali è statopubblicato nel 2007, quando al gruppo è stato confe-rito il premio Nobel per la pace in ragione dell’impe-gno negli studi sul cambiamento clima. www.ipcc.ch
13
Variazioni regionali delle precipitazioni attese entro il 2100 in inverno (sini-
stra) ed estate (destra): gli apporti potrebbero aumentare alle latitudini ele-
vate, mentre nel Mediterraneo si prospettano diminuzioni della piovosità
estiva anche superiori al 20% (IPCC, 2007).
Scenari futuri e fonti delle informazioni
Il cambiamento climatico è dunque già una realtà,anche in Provincia di Torino, e la scelta degli indi-rizzi gestionali del territorio non può più prescinde-re dall'analisi degli scenari futuri delineati daimodelli numerici di previsione climatica, i cuirisultati sono peraltro ampiamente rispettati dalleosservazioni di questi anni.
L'IPCC propone una sintesi dei risultati provenientida diversi modelli globali di simulazione climatica(grafico in alto a sinistra). Pur consci dei limitiintrinseci che ancora caratterizzano tali modelli,suscettibili di miglioramenti nei prossimi anni, ilsegnale di riscaldamento emerge con una credi-bilità sufficiente a costituire un elemento guidaper la pianificazione del futuro.Scenari climatici di dettaglio regionale sono statiottenuti grazie all'impiego di modelli numerici cheoperano a scala più limitata, e che prendono mag-giormente in considerazione ad esempio gli effettidell'orografia.
In attesa di risultati specifici per il territorio italia-no (su cui sta lavorando il Centro Euromediterraneo
per i Cambiamenti Climatici, www.cmcc.it), per unaprima analisi sui cambiamenti climatici che infuturo potranno interessare la Provincia di Torino,abbiamo scelto di fare riferimento alle stime nume-riche desunte dal progetto europeo Prudence
(Prediction of Regional scenarios and Uncertainties
for Defining European Climate change risk and
Effects, www.prudence.dmi.dk) per il Sud delle Alpisvizzere, poste in un'area climatica analoga a quel-
IPCC 2007: risultati di sintesi ottenuti da numerosi modelli di simulazione
climatica per diversi scenari di emissione. Pur senza scendere in dettaglio
sull'entità del riscaldamento, il segnale di aumento termico per il XXI seco-
lo è evidente. La linea gialla inferiore è un test nell'ipotesi di blocco delle
emissioni climalteranti alla concentrazione dell'anno 2000. La linea blu
intermedia coincide con l'auspicio dell'Unione Europea per un aumento non
>2°C entro il 2100. La linea rossa, relativa allo scenario di maggiori emis-
sioni, porterebbe l'aumento a fine secolo a circa 4°C.
14
la torinese, e riportate in FREI (2004).Questi scenari di variazione dei parametri climati-ci (temperatura e precipitazioni), che verrannoriportati nelle pagine seguenti, peraltro si avvicina-no a quelli ottenuti dalle elaborazioni condotte daMétéo France (http://climat.science-et-vie.com
/carte /carte.php), che tratteggiano l'evoluzione cli-matica non solo per i dipartimenti francesi maanche per le vicine valli italiane delle Alpi occiden-tali.
Il rapporto sui cambiamenti climatici attesi in Svizzera entro il 2050, pubbli-
cato nel giugno 2007 e basato sui risultati del progetto Prudence, conferma
le criticità legate al cambiamento climatico nell'ambito dell'agricoltura, delle
foreste e degli ecosistemi naturali, del turismo alpino, della stabilità dei
versanti, della sicurezza dei trasporti, ed evidenzia al tempo stesso le
opportunità di mitigazione tramite lo sviluppo della produzione energetica
da fonti rinnovabili e l'adozione di tecniche architettoniche volte al risparmio
energetico (www.occc.ch/products/ch2050/CH2050-rapport.html).
Le proiezioni di 10 modelli a scala regionale basati sullo scenario IPCC-
SRES A2 prospettano evoluzioni di ulteriore riscaldamento, con - verso
la fine del secolo (2071-2100) - circa +3.5 °C in inverno e +5 °C in esta-
te sul Nord Italia (fonte: Abdus Salam ICTP/Trieste - cortesia Filippo
Giorgi).
Temperatura media inverno, 2071-2100: proiezioni 10 modelli regionali (scenario A2)
Temperatura media estate, 2071-2100: proiezioni 10 modelli regionali (scenario A2)
15
Le temperature in Provincia di Torino:cosa è già cambiato?
I segnali del riscaldamento atmosferico sono evi-denti anche in Provincia di Torino, lo si può perce-pire da indicatori sia naturali sia strumentali.
Tra gli indicatori naturali, i ghiacciai sono i piùefficaci e visibili da parte della popolazione: sono inregresso quasi continuo dalla metà del XIX secolo, erecentemente il loro ritiro si è accentuato soprattut-to dal 2003. Dal 1850 al 1991 i ghiacciai delCanavese avevano registrato una riduzione areale del50% (MERCALLI & CAT BERRO, 2005), certamenteampliatasi negli anni seguenti, ma purtroppo almomento manca un aggiornamento delle superficiglaciali del Piemonte. La fronte del ghiacciaioCiardoney, in Valle Soana, si è ritirata di 315 m dal1971 al 2007, mentre dal 1992 il ghiacciaio ha per-duto spessori compresi tra 8 e 40 m. Diversi piccoliapparati glaciali a quote più basse ed esposizionisoleggiate sono già scomparsi negli anni recenti inragione delle minori nevicate invernali e dell’accre-sciuta fusione estiva: è il caso dei ghiacciai dellaPorta e di Punta Fourà in alta Valle Orco, e altri comeil Galambra in alta Valle di Susa o il Bertà in Val diViù si presentano ormai totalmente disarticolati edestinati all’estinzione nel volgere di pochi anni.
Per quanto riguarda gli indicatori strumentali, laserie termometrica di Torino, recentemente recu-perata, omogeneizzata e analizzata da DI NAPOLI &MERCALLI (in stampa, con il contributodell'Amministrazione Provinciale di Torino), ben sipresta a un'analisi dell'attuale riscaldamento atmo-sferico, data la sua lunghezza (inizio delle misure nel
Il forte regresso dei ghiacciai alpini è una delle conseguenze al momento più
evidenti del riscaldamento atmosferico in Provincia di Torino. Si stima che
dalla fine della Piccola Età Glaciale (1820-1850) a oggi sia andato perduto il
50% della superficie glaciale sulle Alpi, e la fusione di neve e ghiaccio ha
mostrato un’accelerazione a partire dal 2003, anno dall’estate più calda mai
registrata da almeno 250 anni in Piemonte. Qui sopra, un confronto fotografi-
co che evidenzia il ritiro del ghiacciaio della Ciamarella (Balme, Valli di Lanzo)
avvenuto tra il 1910 circa (autore sconosciuto, archivio SMI) e il 2003 (f.
Franco Rogliardo - Comitato Glaciologico Italiano). Il regresso dei ghiacciai non
è solo una questione «estetica», ma porta con sé diverse conseguenze impor-
tanti a livello territoriale: alterazione dei regimi torrentizi (fusione inizialmente
accelerata, poi minori deflussi estivi con il progressivo depauperamento del
capitale glaciale), aumento della franosità dei versanti (anche per la scompar-
sa del permafrost, il terreno permanentemente gelato in alta quota), minore
attrazione turistica dell’alta montagna, rischi legati alla dinamica glaciale
(svuotamento di laghi «effimeri», crollo di fronti glaciali sospese).
1910
2003
16
1753) e rappresentatività del terri-torio provinciale maggiormentepopolato.
Dalle elaborazioni statistiche deidati emergono i seguenti segnali:
- Dalla fine dell’Ottocento èin corso una tendenza al riscalda-mento che - dopo una temporaneapausa negli Anni 1970 - è ripresacon maggiore intensità dalla finedegli Anni 1980.- Specialmente le temperatu-re medie degli anni successivi al2000 evidenziano un netto riscal-damento, valutabile dell'ordine di+2 °C nell'arco di un secolo (gra-fico sotto). - Il 2007 è stato l'anno piùcaldo a partire dal 1753, con unatemperatura media di 15.0 °C (+1.9°C di anomalia rispetto al trenten-nio standard 1961-90) (grafico inalto).- Calcolando, per ciascungiorno dell'anno, le temperaturemedie del periodo recente 1990-2007, e confrontandole con quelledel precedente periodo di riferi-mento 1961-1989, si nota comespecialmente i mesi da gennaio amarzo, nonché quelli da maggio adagosto, abbiano registrato vistosiaumenti di temperatura rispetto alpassato, pari a +1.0 °C di tempe-ratura media in inverno, +1.1 °Cin primavera e +1.2 °C in estate;invece, per il momento, il riscalda-mento appare più moderato in
In alto, temperature medie annue a Torino dal 1753 al 2007. La tendenza al riscaldamento è inizia-
ta alla fine dell’Ottocento, ma è divenuta importante dalla fine degli Anni 1980, ed è culminata per
ora nel 2007, anno più caldo dall’inizio delle misure in città nel 1753.
Qui sopra, temperature medie decennali a Torino dal 1753 al 2007. E' evidente il brusco riscaldamen-
to a partire dagli Anni 1990. Il periodo 2000-2007 ha registrato un valor medio di 14.3 °C, di circa 2
°C superiore alla media dei periodi antecedenti il 1900.
Torino - Temperature medie annue (°C) dal 1753 al 2007
10.0
10.5
11.0
11.5
12.0
12.5
13.0
13.5
14.0
14.5
15.0
17
53
17
63
17
73
17
83
17
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18
03
18
13
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23
18
33
18
43
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53
18
63
18
73
18
83
18
93
19
03
19
13
19
23
19
33
19
43
19
53
19
63
19
73
19
83
19
93
20
03
°C
2007, anno più caldo: Tmed 15.0 °C
1855, anno più freddo: Tmed 10.6 °C
Torino - Temperature medie decennali
11.0
11.5
12.0
12.5
13.0
13.5
14.0
14.5
15.0
1753-5
9
1760-6
9
1770-7
9
1780-8
9
1790-9
9
1800-0
9
1810-1
9
1820-2
9
1830-3
9
1840-4
9
1850-5
9
1860-6
9
1870-7
9
1880-8
9
1890-9
9
1900-0
9
1910-1
9
1920-2
9
1930-3
9
1940-4
9
1950-5
9
1960-6
9
1970-7
9
1980-8
9
1990-9
9
2000-0
7
°C
autunno, pari a +0.6 °C (grafico a lato e tabella afondo pagina).Per rendere conto della situazione osservata in areaalpina, quest’ultima analisi è stata ripetuta per lastazione meteorologica del Lago Serrù (2275 m, altaValle Orco), gestita da IRIDE Energia (ex-AEM): ilriscaldamento è confermato con valori del medesi-mo ordine di grandezza sulle temperature medie(+0.9 °C a livello annuo a Torino, +1.0 °C al LagoSerrù), ma - contrariamente a quanto evidenziatosulla pianura torinese - in alta montagna le tempera-ture minime sembrano essere maggiormente respon-sabili del riscaldamento (al Serrù +1.7 °C sulle mini-me a livello annuo e solo +0.4 °C sulle massime,rispettivamente +0.7 °C e +1.2 °C a Torino; veditabella sotto).Il riscaldamento si evince anche dalla minore fre-quenza dei forti geli: a Torino il numero di giornisenza disgelo (Tmax <= 0 °C) è passato da una mediadi 3.2 per anno nel periodo 1961-89 a 1.0 nel 1990-2007. Viceversa, le ondate di calore sono più fre-quenti e intense: nell’agosto 2003 per la prima voltasi sono superati i 40 °C in alcune zone della città.
17
Lago Serrù (2275 m) - Confronto tra le temperature medie
giornaliere, periodi 1961-89 e 1990-2007
-10
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°C
1990-2007
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1961-
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2007T
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2007T
1961-
1989
1990-
2007T
INV 0.6 1.3 +0.7 6.9 8.3 +1.4 3.8 4.8 +1.0 -9.8 -8.4 +1.4 -2.5 -1.9 +0.6 -6.2 -5.2 +1.0
PRI 8.6 9.4 +0.8 17.1 18.5 +1.4 12.9 14.0 +1.1 -5.8 -3.7 +2.1 3.8 4.0 +0.2 -1.0 0.2 +1.2
EST 17.7 18.6 +0.9 26.9 28.3 +1.4 22.3 23.5 +1.2 3.5 5.9 +2.4 12.2 13.1 +0.9 7.9 9.5 +1.6
AUT 9.7 10.3 +0.6 17.1 17.6 +0.5 13.4 14.0 +0.6 -1.0 -0.3 +0.7 5.6 5.4 -0.2 2.3 2.6 +0.3
ANNO 9.2 9.9 +0.7 17.0 18.2 +1.2 13.1 14.0 +0.9 -3.3 -1.6 +1.7 4.8 5.2 +0.4 0.8 1.8 +1.0
Riepilogo delle variazioni termiche stagionali (°C) tra i periodi 1961-1989 e 1990-2007
Stagione
Torino (238 m) Lago Serrù (2275 m)
Tmin Tmax Tmed Tmin Tmax Tmed
A lato: a Torino, nel periodo 1990-2007, quasi tutti i mesi dell'anno hanno
registrato temperature più elevate rispetto al passato, ma soprattutto quelli
da gennaio a marzo e da maggio ad agosto. L'autunno appare invece come
la stagione che ha subito minori variazioni. Anche il Lago Serrù (2275 m)
mostra un’evoluzione del tutto confrontabile.
Sotto: riepilogo delle variazioni medie stagionali di temperatura a Torino e
Lago Serrù, calcolate sui valori minimi, medi e massimi giornalieri.
18
Cosa accadrà in futuro alle temperature
L'IPCC, nel quarto rapporto del 2007, ha indivi-duato una famiglia di scenari futuri che si tradur-rebbero in un aumento di temperatura globaleprevisto tra 1.8 °C e 4.0 °C entro il 2100,rispetto al 1990 (vedi grafico a p. 13). Tuttaviasono disponibili dati da simulazioni più dettaglia-te a scala regionale, come quelli ottenuti nell'am-bito del progetto europeo Prudence coordinatodall'Istituto Meteorologico Danese (http://pruden-
INV 2071-2100 PRI 2071-2100
EST 2071-2100 AUT 2071-2100
Media dei risultati delle simulazioni condotte nell’ambito del progetto Prudence sugli aumenti stagionali di temperatura previsti in Europa per il trentennio 2071-
2100. L’estate sarebbe la stagione destinata a sperimentare il maggiore riscaldamento, anche superiore a 5 °C rispetto al 1990, verso la fine del XXI secolo.
In Provincia di Torino la temperatura media primaverile potrà salire di circa 2 °C
entro il 2050, ma il pericolo di gelate tardive rimarrà pur sempre presente.
19
ce.dmi.dk/ index.html), già ripresi da FREI (2004) eda BENISTON (2004), e cui si è fatto riferimento inquesto lavoro. Nella tabella in alto sono riportati,secondo diversi livelli di probabilità, i valori diaumento termico medio stagionale previsti per il2050 nel Sud della Svizzera. Possiamo ritenereche i valori previsti per il Canton Ticino sianoapplicabili anche alla Provincia di Torino, che èinfluenzata dai medesimi regimi climatici, pertan-to questi sono stati impiegati per le considerazio-ni riportate in questa sede. Lo scenario più pro-babile vede incrementi termici di 1.8 °C ininverno e primavera, 2.8 °C in estate e 2.2 °Cin autunno. Questi risultati derivano da 16 diver-se combinazioni di modelli, ciascuna contenenteun modello globale, un modello regionale e unoscenario di emissione di gas serra. La base model-listica comprendeva quattro modelli globali, e ottomodelli regionali con risoluzione di 50 km (FREI,2004). Per ragioni di praticità si considera qui loscenario più probabile, ma si tenga presente l'esi-stenza anche di scenari più ottimistici e più pes-simistici; secondo questi ultimi, vi sarebbe il 2.5%di probabilità che l'aumento termico estivo rag-giunga i 4.9 °C entro il 2050, mentre lo scenariopiù ottimistico prevederebbe comunque unaumento non trascurabile di 1.5 °C in estate, del-l'ordine di quanto già osservato finora sulle Alpidalla fine della Piccola Età Glaciale.
Sopra: aumenti medi stagionali di temperatura previsti sulla Svizzera
meridionale entro il 2050. I dati sono desunti dal progetto Prudence, e
riportati in FREI (2004). Lo scenario più probabile (P = 0.5) indica aumen-
ti compresi tra 1.8 °C in inverno e primavera, e 2.8 °C in estate. Tuttavia,
non sono da escludere incrementi ben più forti, fino a 5 °C in estate, seb-
bene con livelli di probabilità molto bassi (P = 0.975, vale a dire probabi-
lità inferiore al 2.5%).
Sotto: esempio di simulazione dell’aumento di temperatura media massi-
ma estiva previsto entro il 2050 nei dipartimenti francesi (Météo France).
Prendendo in considerazione uno scenario moderato (B2), i risultati sono
analoghi a quelli ottenuti con il progetto Prudence: nelle zone di confine
tra Savoia, Queyras e Provincia di Torino sono attesi incrementi dell’or-
dine di 2.5 °C, ma anche superiori a 3 °C sulle Alpi Marittime.
Stagione Livello probabilità 0.5
Inv 1.8
Pri 1.8
Est 2.8
Aut 2.2
Svizzera Sud
Previsione aumento temperature medie stagionali (°C)
entro il 2050 (da Progetto Prudence, in Frei, 2004)
20
Cosa fare per adattarsiall’aumento termico
Gli effetti dell'aumento di temperatura sonoampiamente visibili anche nel territorio dellaProvincia. Da alcuni anni il sistema di ProtezioneCivile emette un bollettino quotidiano di previsio-ne delle ondate di calore in base al quale, infunzione della gravità della situazione attesa,vengono messe in atto azioni precauzionali dicarattere socio-sanitario. Questo provvedimentosi è reso particolarmente necessario soprattuttodopo la gravissima crisi termica dell'estate 2003,che causò in Europa un aumento dei decessisoprattutto delle fasce di popolazione «deboli»(ACOT, 2007; CASSARDO et al., 2007). Quindi sitratta già di gestire un'emergenza climatica. Altreazioni preventive a breve e medio termine posso-no essere efficaci nei vari ambiti territoriali dellaProvincia di Torino.
Aree urbanizzate: nuovi indirizzi progettualiLe azioni devono portare ad una mitigazione del-l'accumulo di calore sia tramite interventi sull'ef-ficienza energetica dei singoli edifici, sia permezzo di scelte urbanistiche opportune, e in ulti-ma istanza suggerendo adeguati comportamenticollettivi e individuali.
Nel particolare devono essere messi in atto prov-vedimenti in grado di ridurre l'accumulo termicodel tessuto urbano come la riduzione delle super-fici impermeabilizzate moltiplicatrici di calorefavorendo l'aumento delle superfici a verde, usodi materiali con migliori prestazioni energeticheper l'isolamento termico, diversi sistemi di pavi-
Una veduta aerea di Torino. Le aree urbane sono tra quelle che in futuro
soffriranno di più gli effetti dell’aumento di temperatura: lì si concentra la
maggior parte della popolazione, e le superfici artificiali favoriscono l’as-
sorbimento di energia termica (isola di calore), mentre la limitata copertu-
ra vegetale limita il raffrescamento da evapotraspirazione.
La conservazione del fresco all’interno degli edifici dipende dall’isolamento
termico di pareti, soffitti e serramenti. L’immagine sopra è una termografia,
che mostra i punti dai quali avvengono i più forti scambi termici tra interno ed
esterno (rosso-viola). Se l’edificio è scarsamente isolato, così come d’inverno
buona parte del calore di riscaldamento verrà disperso verso l’esterno, così
d’estate il caldo potrà penetrare all’interno, instaurando rapidamente condi-
zioni di disagio. Un adeguato isolamento termico costituisce un ottimo investi-
mento in grado di aumentare nettamente il confort abitativo e di abbattere
consumi e spese per il riscaldamento invernale e il raffrescamento estivo.
21
mentazione stradale, ottimizzazione della disposi-zione/altezza degli edifici di nuova costruzioneper non ostacolare i venti locali, ombreggiatura dipiazze e parcheggi. Tali interventi sono del tuttocoerenti con quelli di efficienza energetica per ilriscaldamento invernale, che godono sia diincentivi statali (55% di sgravio fiscale Irpef finoal 2010), sia di iniziative che l'Amministrazioneprovinciale da tempo porta avanti attraverso ilproprio Servizio Risorse Energetichedell'Assessorato Ambiente, e gli Sportelli Energialocali di prossima istituzione (www.provincia.torino.it/ambiente/energia).
Inoltre si possono attuare interventi mirati arazionalizzare abitudini e comportamenti che peg-giorano la sensazione di disagio termico: inter-venti sugli orari della città, limitando la necessitàdi trasferimenti e incentivando il trasporto pub-blico con mezzi mossi da motori a basse emissio-ni o elettrici, anche per ridurre la formazione diozono, inquinante tossico i cui precursori proven-gono proprio dai fumi degli automezzi. Infine sidevono incentivare differenti sistemi di condizio-namento per uffici ed abitazioni, quali sistemipassivi di aerazione e sistemi di raffrescamen-to a energia solare e geotermica.
Questo significa anche intervenire per il rinnovodel patrimonio edilizio esistente ed attraverso tra-sformazioni urbane complesse, ridefinire i rap-porti fra spazi edificati e spazi liberi per unamigliore funzione di mitigazione delle aree verdiriprogettate.
Zone extraurbane e agricoleNelle aree poco urbanizzate il fenomeno del riscal-damento estivo è per ora meno critico e più rari icasi di risentimento sanitario anche se i bollettiniprevisionali sono mirati all'intero territorio della
Oggi sono a disposizione materiali da costruzione e tecniche architettoni-
che in grado di minimizzare i consumi energetici per la regolazione termi-
ca degli edifici. Qui sopra, una «casa passiva» in Germania: grazie all’ec-
cellente isolamento, alle ampie vetrate esposte a Sud e ai pannelli solari,
il fabbisogno annuo di energia è inferiore a 10 kWh/m2.
Esiste oggi una ricca letteratura sulle tecniche architettoniche per il rispar-
mio energetico, le quali tuttavia trovano ancora una troppo scarsa applica-
zione pratica in Italia. La Provincia di Torino ha attivato un proprio Servizio
Risorse Energetiche dell’Assessorato Ambiente (www.provincia.
torino.it/ambiente/energia).
22
provincia di Torino. Ciononostante, tutti gli inter-venti nelle aree urbanizzate e nelle aree ruralivolti a mitigare questo fenomeno devono esseremessi in atto per contribuire coerentemente aglialtri interventi ad un miglioramento del conforttermico e per prevenire i futuri attesi peggiora-menti.L'efficacia dell'adattamento si misurerà soprat-tutto con la capacità di riconvertire velocementela produzione agricola verso nuove cultivar e spe-cie adatte alle mutate condizioni climatiche: diffe-rente ciclo stagionale, minori esigenze in acqua,maggiore resistenza a nuovi patogeni (LORENZINI &FRANCINI, 2006). Anche le tecniche e le strutture diallevamento animale dovranno tener conto delriscaldamento ed adeguarsi con adeguate tipolo-gie di conduzione e di realizzazione delle struttu-re (NARDONE et al., 2006).
MontagnaIl riscaldamento in tali aree porterà verosimil-mente all'elevazione delle quote a bosco e più ingenerale delle massime quote di coltivazione dialcune specie, compatibilmente con la natura e lagiacitura dei suoli, con il tasso di erosione e conla disponibilità idrica. E' fondamentale che ilmonitoraggio dell'evoluzione dei suoli e dellecomunità vegetali delle vallate alpine, il cui equi-librio è particolarmente delicato, sia tempestivo esuggerisca opportune reazioni da un lato per evi-tare crisi acute, dall'altro per cogliere al meglioeventuali opportunità per le realtà produttivelocali. Anche l'offerta turistica deve essere riprogettatafavorendo un utilizzo più omogeneamente distri-buito nel tempo del patrimonio edilizio per unamigliore gestione energetica degli edifici, pro-grammazione dei consumi e limitazioni del consu-mo di suolo in aree ambientalmente delicate.Saranno cruciali le reti di telecomunicazione, la
In un futuro più caldo e asciutto l’agricoltura si dovrà adattare con l’impie-
go di cultivar più adeguate al nuovo clima. Il calo di frequenza dei geli d’al-
tro canto non metterà del tutto al riparo da gelate precoci o tardive, fatto che
potrebbe in parte limitare la diffusione di specie tipiche delle regioni calde.
Qui sopra, un orto di montagna in Valle di Susa.
Impianti solari termici e fotovoltaici sul tetto di casa sono in grado di copri-
re quasi completamente i fabbisogni energetici di una famiglia, a maggior
ragione in un futuro le cui estati potranno essere più calde e soleggiate
anche in pianura padana.
23
diffusione di Internet, la disponibilità di unacapillare rete di servizi e di trasporti locali, perconsentire anche una nuova residenzialità stan-ziale ed una migliore distribuzione territorialedella popolazioneLa capacità di adattamento consolidata e promos-sa dalle azioni che saranno progettate e messe inatto in questi anni permetterà di capovolgerealmeno in parte gli estremi della crisi: da proble-ma da gestire dovremo essere capaci di cogliere leopportunità.
www.provincia.torino.it/agrimont/agricoltura_
sviluppo/
www.provincia.torino.it/agrimont/
Monitoraggio diffusione nuovi parassiti emalattie, assistenza sanitariaL'aumento termico favorirà la diffusione di paras-siti e malattie degli uomini, degli animali e deivegetali, anche attraverso la proliferazione degliinsetti vettori. Nel giugno 2007 in Provincia di Ravenna si èavuta un'epidemia, fortunatamente circoscritta,di Chickungunya, una malattia tropicale veicolatadalla zanzara tigre che si riproduce più facilmen-te in clima caldo e in inverni miti (ANGELINI et al.,2008). Dopo il 2003 anche nelle valli alpine dellaProvincia di Torino si sono diffusi i flebotomi (pap-pataci) vettori della leishmaniosi del cane, tra-smissibile anche all'uomo. Si tratta di insetti ene-demici delle regioni mediterranee che per la primavolta si diffondono in area alpina. Sarà dunqueimportante mantenere un efficace coordinamentocon gli enti sanitari preposti al monitoraggio e altrattamento delle eventuali insorgenze e provvede-re al potenziamento delle relative strutture.
Con l’aumento delle temperature, insetti vettori di parassitosi tipici delle
regioni calde si spostano verso Nord. Ad esempio, negli anni recenti si è
osservato per la prima volta nelle valli alpine l’arrivo dei flebotomi (pappa-
taci), piccoli insetti in grado di trasmettere l’agente patogeno della leishma-
niosi del cane, malattia che può contagiare anche l’uomo. Nel giugno 2007
si è registrata per la prima volta in Italia - in provincia di Ravenna - un’epi-
demia di chikungunya, malattia virale di origine tropicale, che provoca feb-
bre intensa, ed è trasmessa da zanzare del genere Aedes (zanzara tigre).
In futuro le località turistiche delle Alpi potranno costituire un «rifugio» per la
popolazione di pianura durante le stagioni estive molto calde. Occorrerà
tenere presente questa nuova opportunità nella pianificazione dell’offerta
turistica e dei servizi. Non solo vacanza, ma anche lavoro: le nuove tecnolo-
gie legate alle telecomunicazioni potranno permettere a molti professionisti
di svolgere stagionalmente la propria attività da paesi di montagna, contri-
buendo così a rivitalizzare il tessuto socio-economico di zone ora depresse.
Qui sopra, la borgata Cervetto in Valle di Susa.
24
Le precipitazioni in Provincia di Torino:cosa è già cambiato?
Nella serie di misura delle precipitazioni diTorino, continua dal 1803 a oggi, una delle piùlunghe al mondo, non si intravedono per ilmomento rilevanti segnali di cambiamento, masoltanto una leggera tendenza alla diminuzionedegli apporti annuali rispetto al XIX secolo.La medesima tendenza si riscontra confrontandole curve cumulate delle precipitazioni medie gior-naliere, relative al periodo 1961-1989 e 1990-2007. Negli ultimi 18 anni si è registrata unariduzione nella piovosità annuale pari al 4%. Unadiminuzione più marcata riguarda i mesi di feb-braio (-33%), marzo (-41%) e luglio (-25%), mentreper il momento sono aumentati gli apporti di set-tembre (+53%) e novembre (+16%), rispetto alperiodo 1961-1989. Il periodo 1990-2007 utilizza-to per il confronto è tuttavia ancora breve per
A Torino la misura delle precipita-
zioni è continua dal 1803.
L’andamento degli apporti
annuali (comprendenti pioggia e
neve fusa) per il momento non
mostra tendenze significative,
solo un lieve calo rispetto
all’Ottocento, per il resto si susse-
guono variazioni irregolari nel
tempo. Il 1810 è stato l’anno più
piovoso della serie, con 1753 mm
(il doppio del valore normale),
mentre l’anno più asciutto è stato
il 1871, con 405 mm. Nei tempi
recenti, tuttavia, appare una
maggior frequenza di anni piutto-
sto asciutti, come il 2001 (totale
di 438 mm), il 2005 (492 mm) e il
2006 (617 mm).
Torino - Precipitazioni annue (pioggia e neve fusa in mm) dal 1803 al 2007
0
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20
03
mm
Precipitazione alla base di una nube temporalesca sui territori di Chianocco e
Bruzolo (Valle di Susa) il 09.06.2008, durante una eccezionale sequenza di
giornate piovose durata quasi ininterrottamente dal 15 maggio al 17 giugno
2008. Mentre la temperatura mostra segnali importanti di cambiamento, per
ora dalle lunghe serie storiche delle preciptazioni non emergono ancora varia-
zioni significative nella quantità e intensità degli apporti piovosi, sebbene i
modelli climatici prevedano per il futuro una tendenza ad avere stagioni esti-
ve nettamente più siccitose e fenomeni intensi più frequenti.
25
effettuare considerazioni statistiche significative.Nel settore alpino della Provincia l’evoluzionedella quantità di precipitazioni degli ultimi anni(1990-2007) rispetto al periodo 1961-89), nonmostra segnali univoci. Il pluviometro di Balmepresenta una recente riduzione degli apporti neimesi da gennaio a settembre, ma poi recupera inautunno portando il valore annuale di poco al disotto della norma (-6%). Alla stazione pluviome-trica della Diga del Moncenisio si individua inve-ce una sostanziale stabilità delle precipitazioninell’anno, con un netto incremento di quelleautunnali che portano il totale annuo recente a+11% rispetto al periodo di riferimento. Si trattatuttavia di valori che hanno un significato locale enon costituiscono una tendenza omogenea sul-l’intero territorio.
Le precipitazioni intense: per ora non sono in aumento
Sebbene molti modelli climatici prevedano unfuturo aumento dei casi di precipitazione inten-sa, potenzialmente responsabili di dissesti idro-geologici sul territorio, al momento in Provincia diTorino questa tendenza non sembra ancora evi-dente. Considerando ad esempio il numero digiorni in cui la precipitazione giornaliera a Torinoeguaglia o supera la soglia di 55.6 mm (pari al 99°percentile, ovvero il valore oltre il quale ricadesolo l'1% delle quantità giornaliere di precipitazio-ne della serie, dunque molto abbondanti), si notaun'evoluzione piuttosto irregolare dal 1850 a oggi.Il decennio 1990-99 ha fatto rilevare 13 episodi,
Torino - Confronto tra le precipitazioni medie cumulate,
periodi 1961-1989 e 1990-2007
0
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1-g
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1-o
tt
1-n
ov
1-d
ic
mm
1961-1989
1990-2007
-4%
In questi tre grafici si confronta la quantità di pioggia giornaliera cumulata del
periodo 1961-89 (linea blu) con quella del periodo più recente 1990-2007. Sul
territorio provinciale non emergono per ora tendenze omogenee. A Torino e a
Balme si individuano leggere riduzioni della quantità annua, tra il 4 e il 6%,
mentre al lago del Moncenisio si ha un incremento dell’11% dovuto alla sta-
gione autunnale.
Balme (1450 m) - Confronto tra le precipitazioni medie
cumulate, periodi 1961-89 e 1990-2007
0
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1-o
tt
1-n
ov
1-d
ic
mm
1961-1989
1990-2007
-6%
Lago Moncenisio (2000 m) - Confronto tra le precipitationi medie
cumulate, periodi 1961-89 e 1990-2007
0
100
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1-o
tt
1-n
ov
1-d
ic
cm
1961-1989
1990-2007+11%
26
ma in passato si erano già registrate simili fre-quenze di superamento della soglia.L'analisi è stata ripetuta anche sulle stazioni alpi-ne di Balme (soglia 99° percentile = 92 mm),Noasca (soglia = 83.5 mm) e Bardonecchia (soglia= 44.2 mm), ottenendo per ora il medesimo risul-tato, ovvero l'assenza di una tendenza significati-va all'incremento di episodi intensi.Ma anche senza ipotizzare un ulteriore aumentodei casi di pioggia intensa, la caduta più frequen-te di precipitazioni liquide anche in alta quota acausa del riscaldamento atmosferico, potrà favo-rire erosioni e trasporto di depositi moreniciincoerenti liberati dai ghiacciai in ritiro, e unaumento delle portate di piena nel semestre fred-do e nelle stagioni intermedie per la maggiorearea di bacino montano interessata da pioggia.
Torino - Numero decennale di giorni con precipitazione
>= 55.6 mm (99° percentile), periodo 1850-2007
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20
00
-07
N
Balme - Numero decennale di giorni con precipitazione
>= 92 mm (99° percentile), periodo 1920-2007
0
2
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6
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19
90
-99
20
00
-07
N
Per il momento in Provincia di Torino non emergono segnali rilevanti di aumen-
to della frequenza di precipitazioni intense. Qui l’analisi è stata effettuata per
la lunga serie di precipitazioni giornaliere misurate a Torino, dove il massimo
di episodi appartiene all’ormai lontano decennio 1850-59 e in seguito si indi-
viduano variazioni irregolari senza tendenze, Anche a Balme, Noasca e
Bardonecchia il periodo recente non configura particolari aumenti rispetto al
passato. La soglia di piovosità giornaliera impiegata per il conteggio degli
eventi è il 99° percentile, ovvero il valore oltre il quale si colloca soltanto l’1%
dei giorni con precipitazione (pari a 55,6 mm per Torino, 92 mm per Balme,
83.5 mm per Noasca e 44.2 mm per Bardonecchia).
Noasca - Numero decennale di giorni con precipitazione
>= 83.5 mm (99° percentile), periodo 1920-2007
0
2
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7
N
Bardonecchia - Numero decennale di giorni con precipitazione
>= 44.2 mm (99° percentile), periodo 1920-2006
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6
N
27
Cosa accadrà in futuro alle precipitazioni: riduzionequantità estiva, più scrosci
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�INV 2071-2100 PRI 2071-2100
EST 2071-2100 AUT 2071-2100
Variazioni delle precipitazioni stagionali in Europa previste dalle simulazioni del progetto Prudence per il trentennio 2071-2100. Significative le riduzioni
attese in estate sull’Europa centro-meridionale.
L'ulteriore aumento futuro delle temperature potràoriginare verosimilmente un'intensificazione del ciclodell'acqua, un aumento dell'umidità complessiva-mente contenuta in atmosfera e, dunque, un incre-mento delle precipitazioni medie ed estreme, ma conmodalità e caratteristiche molto irregolari da unaregione all'altra del pianeta: in alcune zone pioverà dipiù, in altre pioverà di meno. Inoltre, nuovi assettinelle configurazioni bariche a grande scala potranno
modificare i regimi pluviometrici, ovvero la distribu-zione della pioggia durante le stagioni: le precipita-zioni invernali potrebbero aumentare alle medie edalte latitudini boreali e in Antartide, mentre quelleestive potrebbero diminuire nelle zone continentalidelle medie latitudini (IPCC, 2007).Anche per le precipitazioni, in questo lavoro sonostati utilizzati i risultati dei modelli climatici regiona-li emersi nell'ambito del progetto Prudence per laSvizzera meridionale, e riportati in FREI, 2004 (p. 28).Da questi emerge come, a Sud delle Alpi, le precipi-tazioni potranno in parte aumentare soltanto ininverno, per una probabile accentuazione dei regimidi venti tra Sud-Ovest e Ovest, configurazioni chetuttavia tendono a lasciare in «ombra pluviometrica»il Torinese. Infatti in queste situazioni, a risentire del
28
Stagione Livello probabilità 0.5
Inv +11%
Pri -4%
Est -19%
Aut -4%
Svizzera Sud
Previsione variazione precipitazioni medie entro il 2050 (da Progetto Prudence, in Frei, 2004)
Tabella in alto: variazioni delle precipitazioni stagionali previste sulla
Svizzera meridionale all’orizzonte temporale del 2050, secondo lo scenario
più probabile, ottenute dal progetto Prudence (FREI, 2004), L’inverno
potrebbe vedere un moderato aumento degli apporti, l’estate una netta
riduzione.
Al centro e a lato: le proiezioni di 10 modelli a scala regionale basati sullo
scenario IPCC A2 prospettano per il trentennio 2071-2100 un moderato
aumento delle precipitazioni invernali sul Piemonte (+17% sull Nord Italia),
mentre l’estate potrebbe vedere una forte riduzione degli apporti
(-30%). Fonte: Abdus Salam ICTP/Trieste-cortesia Filippo Giorgi).
Precipitazioni medie inverno, 2070-2100: proiezioni 10 modelli regionali (scenario A2)
Precipitazioni medie estate, 2070-2100: proiezioni 10 modelli regionali (scenario A2)
previsto aumento di precipitazione potrebbero esserepiù che altro il Piemonte orientale, la zona Biellese-Sesia-Ossola, oltre alle creste di confine con Savoia eSvizzera più esposte ai venti d'oltralpe. Al contrario,gli apporti potrebbero per lo più diminuire nelle altrestagioni, specialmente in estate. Lo scenario più pro-babile prevede, all'orizzonte temporale del 2050,aumenti dell'11% in inverno e diminuzioni del 4% inprimavera e autunno. L'estate potrebbe mostrare levariazioni più importanti rispetto alla situazioneodierna, con un calo più probabile degli apporti del19%; però, tenendo presenti anche gli scenari piùpessimistici, vi è un 2.5% di probabilità che le piog-ge estive decrescano anche del 36%, e sia pure con-siderando lo scenario di probabilità più ottimistico,sarebbe comunque da attendersi un calo degliapporti estivi dell’ordine del 6%. La riduzione dellepiogge nei mesi estivi sul Mediterraneo è d’altra partetra i segnali più netti che emergono dai modelli regio-nali di simulazione del clima (PAL & GIORGI, 2004;GAO et al., 2006), e quindi al di là dei valori precisi, èopportuno tenere presente che una riduzione anchemodesta della piovosità estiva, accoppiata a un nettoaumento della temperatura nella stessa stagione,può esacerbare situazioni di scarsità idrica per l’agri-coltura, l’uso potabile e idroelettrico.
29
Cosa fare per adattarsiall’aumento di precipitazioniintense
I recenti eventi alluvionali hanno riportato ildibattito mediatico su questo tema all'attualità. Se a livello globale ed europeo non vi sono piùdubbi in merito agli effetti che il cambiamentoclimatico in atto sia strettamente correlato conl'aumento degli eventi pluviometrici estremi(Munich Re), la situazione a livello locale per ilnostro territorio non è per ora così chiara da unarigorosa lettura dei dati disponibili. Certo non èfacile pensare che il territorio della Provincia siain controtendenza rispetto a un fenomeno cosìmarcatamente esteso ed evidente in tutti gli altriPaesi europei.
Se il susseguirsi di precipitazioni (prolungate suarea vasta o intense, brevi e concentrate) e deglieffetti che tali precipitazioni provocano (piene flu-viali, piene torrentizie con concomitanti eventi ditrasporto solido, instabilità sui versanti, ecc...)non pare essere aumentato in frequenza negliultimi decenni, vi sono tuttavia ragioni per pensa-re che il futuro ci riservi scenari coerenti con letendenze in atto a livello globale.
Per quanto riguarda invece l'aspetto delle perditeeconomiche, è evidente quindi un trend in cresci-ta legato all'aumento dei beni esposti a tali rischi.
Alcune osservazioni sono già concrete e definitenella loro dimensione: le grandi piene fluviali dipianura del Po e dei suoi principali affluentihanno una durata più limitata nel tempo (pochigiorni contro anche alcune settimane nei secoli
Dopo l’ottobre 2000, una nuova alluvione ha interessato la Provincia di
Torino il 29-30 maggio 2008, a seguito di forti rovesci successivi a due set-
timane di piogge frequenti e moderate che hanno saturato i suoli. Il limite
pioggia-neve a 3000 m ha contribuito ad accrescere i deflussi a valle. Qui
sopra, il Po in piena ai Murazzi di Torino il 30.05.2008 (f. M. Palomba).
Esempio di interferenza negativa tra deflussi di piena e opere idrauliche
sottodimensionate. L’attraversamento della ex-SS 25 sul T. Rocciamelone
a Foresto (Bussoleno) è stato artificialmente demolito nella notte del
29.05.2008 per consentire l’evacuazione delle acque, ostacolata dalla luce
troppo ridotta del ponte (f. S. Nodelli).
30
scorsi). Gli eventi estivi, perlopiù localizzati emolto intensi, provocano, soprattutto nelle areemontane, effetti sempre più gravi (anche a causadi un diverso uso del suolo rispetto al passato).Non è ininfluente pure il grande aumento didisponibilità di sedimenti sciolti nelle aree monta-ne di alta quota recentemente deglacializzate chepossono essere facilmente mobilizzati lungo i tor-renti alpini in occasione di precipitazioni intensecon zero termico ad alta quota.
A questo quadro l'Amministrazione Provinciale e iComuni hanno risposto negli anni più recentipartecipando attivamente al sistema nazionale diProtezione Civile, anche in adeguamento al qua-dro legislativo di questa materia in profonda evo-luzione nel nostro Paese e di avanguardia a livel-lo europeo. Il processo di rinnovamento in atto hagià dato evidenti benefici nella gestione delleemergenze. Più arretrato e con evidenti stati disofferenza è il tema della prevenzione, che delresto è obiettivo più ambizioso e complesso, inve-stendo ampie competenze dislocate su vari livelliamministrativi e comportamenti sociali difficili dacorreggere.
In questo settore la Provincia di Torino ha incorso dall'inizio del 2008 la revisione e l'aggiorna-mento del Piano Provinciale di ProtezioneCivile, che ha l'ambizione di migliorare sia gliaspetti organizzativi della gestione dell'emergenzasia di proporre azioni nel campo della prevenzionedegli eventi naturali estremi e attrarre risorseeconomiche per il potenziamento della capacità difare prevenzione (formazione/informazione, ini-ziative per la crescita culturale, potenziamentodel lavoro in rete tra enti, ecc...).
Le passate esperienze in Provincia di Torino, svi-luppate dopo l'alluvione dell'ottobre del 2000 e
Qui sopra, la morena del ghiacciaio del Mulinet (Val Grande di Lanzo), il cui
crollo durante le violente piogge del 23-24 settembre 1993 ha provocato un
disastroso alluvionamento a Forno Alpi Graie, con depositi di materiale
ghiaioso spessi oltre 2 m lungo le vie del paese (archivio CNR-IRPI, Torino).
L’aumento delle piogge intense in alta quota, che peraltro agiscono su suoli
morenici facilmente erodibili, causa l’attivazione di colate detritiche e un
maggiore trasporto solido durante le piene. Nell’immagine, effetti di forti
rovesci del giugno 2008 con colate di sabbie e ghiaie sul ghiacciaio
Ciardoney ancora innevato (Gran Paradiso).
31
recentemente consolidate con l'evento del 29maggio 2008, sono ad oggi la traccia su cui muo-versi per progettare le urgenti politiche di mitiga-zione del settore.
Coerentemente con l'impostazione tracciata nel2001 dal Piano di Assetto Idrogeologicodell'Autorità di Bacino del Fiume Po, che vedenel livello provinciale il soggetto attuatore (sia perle scelte territoriali e di uso del suolo sia per larealizzazione delle opere) - l'AmministrazioneProvinciale attraverso l'aggiornamento del suoPTCP (Piano Territoriale di CoordinamentoProvinciale) proponendosi come soggetto deputa-to al governo del territorio intende rivendicare ilruolo di attuatore delle politiche e degli interventisul territorio come: progettazione delle azioni dif-fuse (regole e comportamenti), realizzazione delleopere puntuali, realizzazione degli interventi dif-fusi (manutenzione del territorio e delle opere rea-lizzate).
La debolezza della programmazione anche dimedio termine produce la difficoltà nel progetta-re azioni efficaci e di ampio respiro, e genera unarincorsa dei problemi anziché iniziative per pre-venirli. La perdita economica stimata a livellonazionale è dal dopoguerra di 5 miliardi di euroogni anno: con risorse inferiori di un ordine digrandezza dedicate alla prevenzione - circa 400milioni di euro all’anno su base decennale per ilbacino del Po (fonte: Programma finanziario delPAI), i benefici sarebbero notevolissimi con effet-ti positivi sia sui bilanci sia sullo stato del nostroterritorio.
Alcuni punti fermi sono inoltre imprescindibiliper uscire dalla grave crisi che affligge il nostroterritorio: continuità dell'erogazione delle risorseeconomiche, la programmazione coerente e com-
Escavazione dell'alveo del Rio Gerardo a Bussoleno (Valle di Susa) duran-
te la piena del 29.05.2008. Gli interventi lungo i corsi d'acqua (opere di
difesa, rimozione di detriti…) possono aiutare a contenere gli effetti di una
piena a livello locale, ma la difesa passiva (vale a dire il rispetto delle fasce
di pertinenza fluviale) costituisce il modo più efficace per ridurre a lungo
termine i danni da alluvione.
Intervento di ingegneria naturalistica a protezione di suoli facilmente ero-
dibili nel bacino del Torrente Prebec (Chianocco, Valle di Susa). Una coper-
tura in tessuto di origine vegetale limita l’azione erosiva delle acque meteo-
riche e del ruscellamento superficiale, favorendo il ripristino di una cotica
erbosa prima che la protezione si decomponga, nel volgere di alcuni anni.
32
plessiva di tutte le risorse, l'unicità del soggettoattuatore, garanzia di continuità nel medio termi-ne (almeno 10-20 anni per sanare un dissesto chedata 5-6 decenni) delle politiche attuative, con-senso a tutti i livelli amministrativi delle scelte,forti azioni di monitoraggio per le verifiche di effi-cacia, capacità di adattare le scelte in termini diottimizazione della spesa (applicazione di sempli-ci metodi costi/benefici).
Proviamo a tracciare alcuni possibili indirizzi permitigare il fenomeno dell'aumento delle precipita-zioni intense e degli effetti a queste connesse chedovranno consolidarsi negli approfondimenti chesaranno condotti nel corso della redazione degliatti di pianificazione citati.
Piene urbaneCoerentemente con quanto succede in tutte legrandi aree metropolitane il problema delle pienein città è sempre più gravoso economicamente epericoloso per l'incolumità degli abitanti e delleattività produttive, soprattutto se in presenza disettori urbanizzati su versanti (Hong Kong, LosAngeles...).E' per la città di Torino un problema non nuovo(ricco è il patrimonio iconografico sulle piene aTorino nei secoli scorsi, vedi MERCALLI & DI NAPOLI,2008) ma recentemente oltre a riguardare le pienedei fiumi che la attraversano l'attenzione si è spo-stata sulla incapacità della rete di scolo artificia-le di smaltire le precipitazioni intense e di brevedurata (anche oltre 50 mm/h), come recentemen-te accaduto in città con il nubifragio del 20 giugno2007.
Questa situazione è ulteriormente aggravata dallasconfitta - purtroppo generalizzata - della «cultu-ra della manutenzione»: gli effetti indotti possonoessere tanto gravi quanto più complesse sono le
Canalizzazione artificiale del T. Cenischia a Ferrera Cenisio (Valle di Susa).
In questo caso la protezione nei confronti delle abitazioni adiacenti da
parte delle piene è indubbiamente efficace, ma la forte accelerazione del-
l’acqua sul fondo regolare e privo di scabrosità (invece più pronunciate in
un alveo torrentizio «naturale») può scatenare importanti erosioni più a
valle, laddove il corso d’acqua riprende la sua originaria morfologia.
33
interazioni con l'assetto territoriale, e riparare idanni può avere costi enormi. Ciò è evidente nel-l'area collinare torinese, dove un processo accele-rato di occupazione dei versanti senza una ade-guata e prudente infrastrutturazione causa conti-nui disagi e periodiche tragedie (frana di SanRaffaele Cimena del 6 novembre 1994) destinatead essere sempre più frequenti se continuerannoi processi climatici in atto.
Solo radicali interventi per la realizzazione delleopere di mitigazione necessarie (vasche di raccol-ta di prima pioggia, razionalizzazione della rete dideflusso, programmi manutentivi, risistemazionedei rii collinari e delle loro confluenze in Po, aper-tura dei tratti di questi intubati…) potranno alme-no parzialmente mitigare gli scenari futuri per ifenomeni di dissesto idrogeologico urbano e lepesantissime perdite economiche correlate.
Piene in ambiente rurale di pianuraNelle aree di pianura, oltre ai problemi legati allepiene fluviali a cui si è già fatto cenno e per cuivalgono quei criteri di programmazione dellaspesa e di rilancio della manutenzione dell'am-biente fluviale già sollecitati, una particolareattenzione deve essere rivolta alla rete di canaliartificiali. Progettati originariamente perlopiù conscopi irrigui, questi ormai svolgono un ruoloimportante nello smaltimento dei deflussi superfi-ciali in occasione di eventi di precipitazione inten-sa. Una riorganizzazione di queste conoscenze euna complessiva riprogettazione integrata dellaloro efficacia è la strada per mitigare quei fenome-ni di piena, che nell'alta pianura torinese con ele-vata frequenza sono di grave interferenza soprat-tutto alle attività economiche e produttive e allereti dei trasporti.Questo fenomeno, recente nelle sue attualidimensioni, è probabilmente amplificato dagli
La frana di fine maggio 2008 a Chialambertetto, in Valle d’Ala (f. Gianni
Castagneri). Sui territori montuosi, la protezione da parte dei crolli e dei
movimenti franosi è ancora più critica rispetto alle piene: si tratta infatti di
fenomeni che - seppure localizzati - possono verificarsi un po' ovunque
durante o a seguito di un periodo di piogge intense e prolungate come quel-
lo di maggio-giugno 2008.
Effetti del nubifragio del 15.08.1993 in Corso Unità d’Italia a Torino (archi-
vio La Stampa). Il reticolo idrografico urbano può essere rapidamente
messo in crisi da temporali brevi ma concentrati, per via delle estese super-
fici artificializzate sulle quali i deflussi delle acque sono immediati.
34
effetti del processo di industrializzazione di moltearee produttive, soprattutto quelle legate allegrandi realtà industriali degli anni 1960-70. Taleprocesso ha influito in modo drastico sui livelli difalda dei primi acquiferi con notevoli risalite acausa del mancato emungimento dopo gli Anni1980: ciò è ampiamente documentato ad esempionell'area metropolitana di Milano. Non si può nonpensare ad un grave fattore concomitante per losviluppo di piene in aree come la piana delChisola o del Banna).La riapertura dei fontanili, presenti nella culturacontadina dell'acqua del secolo scorso, potrebbeessere un rilevante intervento di mitigazione.
Piene in ambiente montanoNell'ambiente montano gli aspetti prettamenteidrologici sono complicati dall'interazione conl'instabilità dei versanti, il trasporto solido e lefrane, elementi che causano gravi danni alleinfrastrutture e spesso sono ragione, per la lorosubitaneità e l'elevato potenziale energetico, didistruzioni e lutti.Anche nel recente evento alluvionale del maggio2008 (Villar Pellice) è emerso in tutta la sua tragi-cità il problema dell’edificazione in area di conoi-di alpini, storicamente sedi privilegiate per lo svi-luppo di insediamenti. In ragione della scarsaprevedibilità di tali fenomeni, che si sviluppano intempi brevissimi (pochi minuti) anche a seguito discrosci molto localizzati, ed essendo quindi spes-so impossibile impostare in tempi efficaci provve-dimenti di evacuazione nel campo della protezio-ne civile, un ripensamento sulla gestione dell’edi-ficato in tali aree rimane l’unica via per mitigarnel’impatto (risorse necessarie per avviare efficacipolitiche di rilocalizzazione di edifici nelle aree amaggior rischio, e severe regole per impedirenuove costruzioni).www.provincia.torino.it/territorio.htm
Su Torino un episodio temporalesco gravoso per le sue conseguenze si è
verificato il 20.06.2007, e ha colpito con maggiore intensità la collina e i
quartieri lungo il Po scaricando oltre 59 mm di pioggia in un’ora alla sta-
zione meteorologica ARPA dei Giardini Reali (di cui 41 in mezzora). Qui
sopra, Corso Gabetti trasformato in un torrente d’acqua che scende dalle
pendici collinari (f. M. Oderda).
Esondazione di un canale irriguo nelle campagne di Rivarolo Canavese
durante la piena del 30.09.2000. Si tratta di eventi relativamente ricorren-
ti in primavera e autunno per piogge della durata di 2-5 giorni, oppure in
estate per nubifragi localizzati in grado di apportare 50-100 mm di pioggia
in 1-3 ore. Ma talora la scarsa manutenzione dei canali minori contribuisce
ad accentuare gli effetti di rovesci anche di minore entità.
35
Installazione di una cisterna per la raccolta delle acque meteoriche dai plu-
viali. Da un tetto di medie dimensioni, ad esempio 50 m2 di superficie,
durante un temporale che apporti 20 mm di pioggia si possono recuperare
1000 litri d’acqua, quantità sufficiente a irrigare un orto familiare nel mese
successivo immaginando che non vi siano ulteriori precipitazioni.
Campi di mais col-
piti dalla siccità
del 2003 a Front,
in Canavese. Si
tratta di una coltu-
ra - largamente
diffusa sulla pia-
nura torinese -
dalle elevate esi-
genze idriche, la
cui coltivazione
può divenire critica
in stagioni estive
par t i co lar mente
secche. In futuro
l’adozione di
varietà più resi-
stenti all’aridità,
oppure di specie
agricole diverse,
potrà favorire l’a-
dattamento dell’a-
gricoltura di pianu-
ra alle mutate con-
dizioni di piovosità
estiva.
Cosa fare per adattarsiall’aumento di scarsità idrica
Il territorio della nostra provincia ha sempre avuto- come felice peculiarità - una grande disponibilitàdi risorse idriche, elemento caratterizzante e di svi-luppo. La sua posizione ai piedi dell'arco alpino, le ampiearee sub-pianeggianti interessate dai grandi conoi-di delle valli alpine al loro sbocco in pianura, il set-tore pianeggiante interessato dal corso del Po e deinumerosi affluenti alpini e collinari sono semprestati motivo di sviluppo e di benessere per le attivitàdelle comunità. Basti ricordare come esempio ilgrande sviluppo industriale del 1800 lungo l'assedella Dora Riparia, le cui acque erano utilizzatecome principale forza motrice, o lo sviluppo dell'i-droelettrico nelle valli alpine fino agli Anni 1960-70.Quindi la scarsità idrica è un problema che ciriguarda? Una precisa risposta sta nella recente crisi che ilterritorio della provincia di Torino ha dovuto soste-nere nell'estate del 2003, a seguito della quale unaimportante azione economica di supporto fu decisaattraverso la Protezione Civile per sostenere leamministrazioni locali che furono obbligate a ricor-rere al rifornimento di acqua con ingenti spese ditrasporto.Lo scenario di crisi idrica si è quindi già verificato inun recente passato, e ha coinvolto l'attività dellaProtezione Civile: è evidente come sia quindi neces-sario passare da una gestione di emergenza di talescenario ad azioni programmate e pianificate perinterventi che portino alla mitigazione degli scenariattesi.Nel 2003, una riduzione drastica delle precipitazio-
36
ni e prolungati periodi di caldo eccezionale portaro-no - oltre a una crisi nella distribuzione dell’acquapotabile - anche ad uno stato di estrema magra deicorsi d'acqua principali con gravi difficoltà per tuttiquegli usi della risorsa che non utilizzano la reteartificiale degli acquedotti ma insistono direttamen-te sugli alvei naturali dei fiumi: derivazioni a scopoirriguo, derivazioni idroelettriche, usi industriali.Per quanto riguarda le falde, le conoscenze sonopurtroppo frammentarie e locali, ma si può affer-mare con certezza che vi è attualmente una gravesituazione di crisi se si considerano le potenzialità afronte delle necessità a medio termine. Nell'immediato, con buone probabilità il fenomenodi abbassamento della falda dovuto alla crisi idricain cui ci troviamo, è solo parzialmente e localmentecompensato da una minore richiesta del compartoproduttivo che ha portato al già citato fenomenodell'innalzamento della falda idrica a seguito delprocesso di de-industrializzazione. Ma separiamo il ragionamento per ambiti territoria-li-funzionali.Nel settore montano sono da attendersi modifica-zioni legate all'uso della risorsa nei settori agricoloe idroelettrico. Le possibilità di adattamento alfenomeno in atto riguardano soprattutto questi duesettori, oltre al turismo estivo, ma anche invernale(vedi la produzione di neve artificiale, che provocapunte di consumo non sempre sostenibili da retiprogettate sui consumi ordinari).Nei settori pedemontani e di pianura sono neces-sarie azioni che si pongano come obiettivo primarioil risparmio della risorsa distribuita anche attraver-so l'integrazione nel ciclo d'uso delle acque di preci-pitazione. Prevedere vasche di raccolta delle preci-pitazioni per le unità abitative la cui risorsa puòfronteggiare il fabbisogno di usi non potabili e l'e-ventuale incentivazione di doppie reti di distribuzio-ne per la potabile e gli altri usi paiono essere lerisposte più efficaci per scongiurare gli scenari di
Canale d’irrigazione a Ferrera Cenisio (Valle di Susa). Sulla montagna
torinese si trovano diversi esempi di canalizzazioni, talora di importanza
storica, per il trasporto dell’acqua da bacini ricchi di risorse idriche verso
altri più aridi. E’ il caso dell’antico «Trou de Thouilles», costruito alla fine
del 1500 dal minatore Colombano Romean per convogliare le acque dai
versanti orientali del Monte Niblé verso le aride pendici che gravitano su
Cels e Ramat in Valle di Susa.
Il recupero, il mantenimento o il potenziamento di queste opere idrauliche
sono fondamentali per garantire l’irrigabilità dei campi di montagna in
un futuro le cui estati potrebbero essere più secche di oggi, ma anche per
la valorizzazione del patrimonio storico e culturale del territorio.
37
carenza della risorsa idrica. Altro tema rilevanteriguarda la manutenzione della rete, oltre che del-l'ambiente montano, settore nel quale la Provinciadi Torino ha avviato i Piani di Manutenzione trami-te le risorse economiche derivate dall'ATO 3 attra-verso i canoni, non solo in riferimento alla rete didistribuzione acquedottistica, di cui si occupa l'ATOcon le sue attività istituzionali, ma anche promuo-vendo la manutenzione della fitta rete di canali,«bealere» e rii che - progettati per assolvere alla fun-zione di distribuzione dell’acqua - risulta oramaiinefficace a causa di discontinue e disorganicheazioni di manutenzione territoriale.Una funzione molto importante, ma purtroppocarente in questo settore, riguarda l'aggiornamentodelle conoscenze e la promozione di una efficaceazione di monitoraggio delle quantità della risorsaaccessibile attraverso il reticolo naturale.Attualmente lo stato delle conoscenze rende compli-cato chiudere a livello di bacini idrografici i bilanciidrici annuali (afflussi-deflussi, prelievi-restituzio-ni) informazione che fino a pochi decenni fa venivaannualmente prodotta dai Servizi Tecnici Nazionali,prima della loro abolizione.Per quanto riguarda gli alvei fluviali, sede principa-le delle derivazioni per uso idroelettrico e per l'agri-coltura, il marcato fenomeno morfologico in attodell'abbassamento del fondo alveo generalizzato aseguito delle attività estrattive, ha raggiunto livellimolto preoccupanti per quanto riguarda l'efficienzadei punti di presa, il cui livello altimetrico vienecontinuamente riadattato con gravi problemi per ladistribuzione, causa l’alterazione delle pendenzedelle derivazioni.Una soluzione di compromesso che tenga conto ditutti i portatori di interesse in tali settori sarànecessaria per governare un fenomeno in atto chefunge da aggravante alla gestione della risorsa idri-ca nel nostro territorio.
Il Canale di Caluso nel tratto presso Agliè. Il canale, costruito tra il 1556
e 1559 per volere del maresciallo di Francia Carlo de Cossé, governatore
del Piemonte, e progettato dall’architetto vicentino Francesco Orologi, con-
voglia le acque del T. Orco verso le campagne irrigue di Caluso e Mazzé.
Una fontana pubblica a Massello (Val Germanasca). Non solo una utile e
gradita risorsa per il viaggiatore, ma un incentivo al più sostenibile consu-
mo di acqua locale, prezioso bene comune.
38
La neve in Provincia diTorino: cosa è già cambiato? Spessori dimezzati
In provincia di Torino, come sul resto delle Alpi, inconseguenza dell’aumento della temperatura inver-nale la quantità media di neve fresca è forte-mente diminuita, in modo più evidente al disotto dei 1000÷1500 m di altitudine. In pianurale recenti riduzioni nella caduta di neve sono stateimpressionanti, come è visibile dal grafico (sotto)della lunga serie nivometrica di Torino (inizio nel1787, un primato mondiale): nel capoluogo 3 dei 5inverni senza neve registrati in 221 anni si sonoverificati dopo il 1988. Analogo andamento mostra la serie delle anomalieannuali (SAI = Standardized Anomaly Index)della quantità di neve fresca dal 1925, mediatesul territorio provinciale utilizzando 23 stazioni dimisura: la diminuzione è evidente dalla fine degliAnni 1980, e l’inverno 2006-07 è stato il meno
Torino vanta la più lunga
serie di osservazioni nivo-
metriche al mondo, inizia-
ta nel 1787, limitata tutta-
via alla quantità giorna-
liera di neve fresca (solita-
mente in pianura lo spes-
sore totale del manto non
viene rilevato). Fino all’i-
nizio del Novecento non
era infrequente avere
inverni con totale di neve
fresca superiore a 1 m,
mentre specialmente dalla
fine degli Anni 1980 gli
apporti medi sono netta-
mente diminuiti, e il mini-
mo assoluto è stato rag-
giunto nel mitissimo inver-
no 2006-07.
Torino - Quantità annua di neve fresca in cm
negli inverni dal 1787-88 al 2007-08(elaborazione dati: Società Meteorologica Italiana, www.nimbus.it)
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
1788
1808
1828
1848
1868
1888
1908
1928
1948
1968
1988
2008
cm
Circa 50 cm di neve a Sestriere il 03.01.2004. L’inverno 2003-04 è stato
l’unico, negli ultimi 10 anni, a mostrare una quantità stagionale di neve
fresca superiore al normale.
39
Provincia di Torino - Indice Standardizzato di Anomalia (SAI)
Quantità di neve fresca (anno idrologico) dal 1925-26 al 2006-07
-2
-2
-1
-1
0
1
1
2
2
319
26
1929
1932
1935
1938
1941
1944
1947
1950
1953
1956
1959
1962
1965
1968
1971
1974
1977
1980
1983
1986
1989
1992
1995
1998
2001
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Torino (250 m) - Confronto tra la quantità media di neve fresca
cumulata, periodi 1961-89 e 1990-2007
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Balme (1450 m) - Confronto tra la quantità media di neve fresca
cumulata, periodi 1961-89 e 1990-2007
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1961-1989
1990-2007
-31%
Lago Rochemolles (1926 m) - Confronto tra la quantità media di neve
fresca cumulata, periodi 1961-89 e 1990-2007
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1961-1989
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Lago Valsoera (2440 m) - Confronto tra la quantità media di neve fresca
cumulata, periodi 1961-89 e 1990-2007
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-22%
A lato: indice standardizzato di ano-
malia (SAI) delle quantità annue di
neve fresca in Provincia di Torino.
Per il calcolo sono state utilizzate 23
stazioni nivometriche, collocate sia
in pianura, sia in montagna. In blu
sono indicati gli anni più nevosi del
normale, in rosso quelli meno nevo-
si. Si noti la prolungata carenza suc-
cessiva al 1987. Negli anni recenti
solo l’inverno 2003-04 è stato gene-
roso di neve, mentre il 2006-07 è
stato il meno nevoso dal 1926.
Sotto: confronti tra le quantità cumu-
late di neve fresca nei periodi 1961-
89 e 1990-2007: ovunque la diminu-
zione è marcata, specialmente in
pianura (-36% a Torino).
40
nevoso di tutti (oltre che il più mite).Nei quattro grafici di p. 39 si confrontano le quan-tità medie cumulate della neve fresca nei periodi1961-1989 e 1990-2007: a Torino nel periodorecente si è registrata una quantità media annua dineve fresca di 17 cm, -36% rispetto ai 27 cm delperiodo storico di riferimento. In montagna, benchémeno pronunciata in termini percentuali, la ridu-zione della nevosità è stata comunque molto impor-tante, variabile da -22% ai laghi Rochemolles e
Valsoera a -31% a Balme. Ancora più drastica appare la riduzione degli spes-sori medi della neve al suolo. In questo caso,infatti, agli effetti della diminuzione delle cadute dineve fresca, si sommano quelli della fusione piùaccelerata del manto dovuta alle temperature inver-nali e primaverili più elevate. Pressoché ovunquesulle zone montuose torinesi nel periodo 1990-2007i valori medi annui di spessore nevoso al suolo sisono circa dimezzati rispetto al precedente periodo
Balme (1450 m) - Confronto tra lo spessore medio giornaliero della
neve al suolo, periodi 1961-89 e 1990-2007
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Ceresole Reale (1579 m) - Confronto tra lo spessore medio giornaliero
della neve al suolo, periodi 1961-89 e 1990-2007
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Lago Rochemolles (1926 m) - Confronto tra lo spessore medio
giornaliero della neve al suolo, periodi 1961-89 e 1990-2007
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1961-1989
1990-2007
-46%
Lago Valsoera (2440 m) - Confronto tra lo spessore medio giornaliero
della neve al suolo, periodi 1961-89 e 1990-2007
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41
Cosa accadrà in futuro all’innevamento e ai ghiacciai:ulteriore riduzione
Il cambiamento climatico in futuro continuerà aprodurre notevoli effetti sull’evoluzione delmanto nevoso, come sui sistemi naturali ed econo-mici che ne dipendono (produzione di energia idroe-lettrica, turismo, agricoltura). Variazioni nei regimi termici e pluviometrici potran-no cambiare in modo significativo il comportamen-to della coltre nevosa in montagna, dunque la sta-gionalità dei deflussi e il periodo di massima por-tata torrentizia e fluviale.Grazie all’applicazione di un modello di simulazione
In alto, una veduta delle piste
sciistiche di Bardonecchia ripre-
sa il 27.12.2001, in un periodo
caratterizzato da scarsissimo
innevamento. L’applicazione di
modelli numerici che simulano il
comportamento fisico e meccani-
co del manto nevoso - basati
sulla futura evoluzione prevista
dei parametri climatici - restitui-
sce scenari di ulteriore e drasti-
ca riduzione dell’innevamento
sulle Alpi. A sinistra, esempio di
simulazione della durata del
manto nevoso a 1500 m sui
dipartimenti alpini francesi nel
2030, realizzata da Météo France
ipotizzando un incremento termi-
co medio di 1.8 °C, confrontata
con la situazione attuale. Le zone
di confine con la Provincia di
Torino, tra le Hautes Alpes e la
Maurienne, potrebbero passere
da circa 140 giorni innevati/anno
a meno di 100, con una riduzione
della durata della copertura
nevosa dell’ordine del 30 %.
42
1961-1989, con riduzioni per lo più comprese tra -45% al Lago Valsoera (2440 m, Valle Orco) e -50%a Balme. Non sono invece disponibili informazionisugli spessori del manto in pianura.
Di conseguenza, anche la durata stagionale delmanto nevoso si è nettamente ridotta, come visibi-le dalla serie delle anomalie di permanenza dellaneve al suolo (qui sopra; si considera in questo casoil numero di giorni con altezza della neve pari adalmeno 1 cm). Si conferma la prolungata anomalianegativa successiva alla metà degli Anni 1980, non-ché il minimo assoluto dell’inverno 2006-07.
La minore durata della neve al suolo nel periodorecente in parte è legata alla riduzione della nevefresca caduta, ma il riscaldamento intervenutonegli ultimi 15-20 anni e la maggiore frequenza diondate di calore primaverili, hanno indubbiamentecontribuito ad accentuare la tendenza verso lafusione anticipata.
Provincia di Torino - Indice Standardizzato di Anomalia (SAI)
Durata della neve al suolo (anno idrologico) dal 1925-26 al 2006-07
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An
om
alia
Sopra: anche la durata del manto nevoso al suolo mostra le anomalie
negative più evidenti e prolungate dopo la metà degli Anni 1980. Il 2006-
07 si conferma come l’inverno meno nevoso dal 1925-26, per quanto
riguarda la permanenza della neve. Al contrario, la maggiore durata del
manto a scala regionale venne osservata nella stagione 1933-34. A questa
tendenza contribuisce sia la riduzione delle nevicate, sia la più rapida
fusione primaverile.
Sotto: assenza totale di neve sui versanti meridionali della Punta
Quinzeina, a monte di Cuorgné, il 03.01.1995. Un panorama sempre più
frequente anche in pieno inverno.
43
I diagrammi sulla cartina mostrano in rosso la frazione di superficie glacia-
le che potrebbe scomparire nei massicci alpini svizzeri entro il 2060 (-70%)
rispetto alla situazione del 1995. L’evoluzione dei ghiacciai in Provincia di
Torino non potrà che essere analoga o perfino peggiore, data la posizione
più soleggiata e calda del versante sudalpino. Le informazioni sono desun-
te dalle ricerche di Max Maisch, del Dipartimento di Geografia
dell’Università di Zurigo.
www.geo.unizh.ch/phys/research/groupA/szenariench.html.
fisica ed energetica della neve, che opera a partiredai dati meteorologici che controllano dinamica ecomportamento del manto, è possibile stimare lapossibile evoluzione futura del manto nevoso a dif-ferenti altitudini e secondo diversi scenari di cam-biamento di temperatura e precipitazioni. Considerando uno scenario ottimistico di aumentotermico entro la fine del secolo, pari a + 1 °C, si notacome questo sarebbe già sufficiente – a quote intor-no a 1300 m - a decurtare del 45% circa la neve fre-sca caduta nell’anno e a ridurre di un mese il perio-do in cui il suolo è coperto di neve, anticipandone lafusione. Alla medesima altitudine, con un aumentodi 2°C (scenario peraltro tra i più probabili verso lafine del XXI secolo) l’altezza della neve caduta siridurrebbe dell’80% circa, e la copertura nevosadiverrebbe discontinua con ripetute fusioni comple-te anche in pieno inverno. Questo radicale muta-mento non verrebbe scongiurato neppure se l’au-mento termico fosse accompagnato da un incremen-to del 20% delle precipitazioni.Le riduzioni sarebbero meno marcate a quote intor-no ai 1800 m, dove la neve fresca annuale diminui-rebbe del 17% circa con uno scenario di T +1 °C edel 30% circa con T +2 °C, mentre le altezze delmanto prospetterebbero una diminuzione media del9% per T +1 °C, e del 31% con T +2 °C.L’effetto combinato di una minore alimentazionenevosa invernale e di una maggiore fusione estivaincrementerà ulteriormente il tasso di deglaciazio-ne, portando verosimilmente alla scomparsa - entropochi anni - dei minuscoli ghiacciai dell’alta Valle diSusa, e - probabilmente verso il 2050 - di quelli delleValli di Lanzo e del Gran Paradiso (a lato, evoluzioneprevista dei ghiacciai svizzeri; ZEMP et al., 2006). Allascomparsa dei ghiacciai si accompagnerà quella delpermafrost, il terreno permanentemente gelato inprofondità, con possibili effetti negativi sulla stabi-lità delle infrastrutture d’alta quota (rifugi alpini,impianti di risalita), oltre i 2700 m circa.
Diversi piccoli ghiacciai in Provincia di Torino si sono già estinti, come ad
esempio il ghiacciaio della Porta in Valle Orco o quello dei Fourneaux in alta
Valle di Susa, ma anche i rimanenti ghiacciai della Alpi Cozie torinesi
(Galambra, Agnello, Bard, Lamet) potrebbero subire la medesima sorte nei
prossimi 5-15 anni. Qui sopra, confronto che mostra la riduzione del ghiac-
ciaio dell’Agnello tra il 1920 circa (coll. Casserin) e il 2003 (f. Maurizio Tron).
1920 2003
44
Cosa fare per adattarsi allariduzione dell’innevamento
Deflussi idrici, agricoltura e produzione idroelettricaLa forte riduzione delle precipitazioni solide haconseguenze sui deflussi idrici e sulla loro gestio-ne. Soprattutto in occasione dei forti eventi pluvio-metrici invernali e primaverili, la diminuzionedelle superfici di territorio ricoperte da neve hacome effetto principale il differente comportamen-to dei deflussi, con influenza sui tempi di corriva-zione e quindi sulla formazione delle portate dipiena. La mancanza di una precipitazione nevosain concomitanza di tali eventi nelle aree in quota,inoltre, porta ad un aumento dei deflussi in corsodi evento e quindi è più probabile che gli alveisiano sottodimensionati rispetto alle portate intransito. Possono così formarsi lungo i versantiquei particolari fenomeni di piena torrentizia noticome «debris flow», con effetti non di rado distrut-tivi (Villar Pellice, 29 maggio 2008). Un'altra con-seguenza della diminuzione delle precipitazioninevose (e della più rapida fusione del manto) è ilmutato regime delle portate, con un anticipodel periodo di morbida tardo-primaverile (giàoggi valutabile mediamente in circa 15 giorni).L'agricoltura dovrà adattarsi a questi cambia-menti e sarà necessaria una riflessione sull'usodella risorsa nei cicli stagionali, e prevedere unagestione in grado di far fronte alla somma dei valo-ri negativi di offerta della risorsa carente, e allerichieste già di per sé elevate e in aumento.La riduzione stagionale delle precipitazioni solidenelle aree glaciali, inoltre, contribuisce (insieme aiforti calori estivi) al deficit nel bilancio di massa
Usseglio, la borgata Pian Benot sotto la spessa coltre nevosa del
25.02.2004 (125 cm al vicino Lago di Malciaussia). Paesaggi invernali di
questo tipo potranno diventare via via più rari nei prossimi decenni, oon
riflessi importanti sulla gestione delle risorse idriche in agricoltura e nella
produzione di energia idroelettrica, nonché sul turismo alpino.
La fusione più precoce del manto nevoso stagionale in quota e la riduzione
dei ghiacciai avrà come conseguenza un netto anticipo del picco di portata
fluviale che solitamente appartiene ai mesi tra maggio e luglio, lasciando
così ai mesi centrali dell’estate minori deflussi, proprio in concomitanza
con la prevista riduzione estiva delle precipitazioni. Qui sopra, abbondan-
te fusione nivale alla fronte del ghiacciaio Ciardoney, il 23.06.2008.
dei ghiacciai alpini: la quantità di neve invernalenon è più in grado di bilanciare la porzione dighiaccio asportata dalla fusione estiva, di conse-guenza il ghiacciaio si ritira e diminuisce la riser-va di acqua in esso contenuta. Questi aspetti inte-ressano in modo particolare la gestione stagionaledella produzione di energia idroelettrica. Gliinvasi artificiali alpini utilizzavano le piogge pri-maverili e a fusione estiva dei ghiacciai per accu-mulare risorsa idrica per la produzione invernaledi energia. Ora non è più così: le punte delladomanda, che si è portata su valori elevati tuttol'anno, si presentano in modo non prevedibile epossono dipendere dalle risposte a particolarisituazioni climatiche (eccessi di freddo-riscalda-mento, eccessi di caldo-condizionamento), maanche dalla concentrazione di afflusso turistico inoccasione di «grandi eventi», che portano talora araddoppiare il numero di utenti specialmente inlocalità di montagna. In tali occasioni, tutte le retitecnologiche di distribuzione - acqua, energia,telefonia, internet… - risultano localmente stres-sate poiché percorse da flussi maggiori rispettoagli standard adottati per la loro progettazione.Ecco perché sempre più spesso vediamo laProtezione Civile occuparsi di eventi come leOlimpiadi invernali di Torino 2006, ma anchedell'Ostensione della Sindone, della Stratorino,della Festa del Cioccolato, ecc... Una riflessione sui criteri e sui tempi dellagestione degli invasi in funzione dei cambiamenticlimatici in atto porterà a rilevanti benefici grazieall'ottimizzazione dell'uso della risorsa.
Turismo invernale sulle AlpiAlla luce dei cambiamenti climatici in vista, è leci-to domandarsi se il mantenimento o l’ulteriore svi-luppo degli impianti di innevamento programma-to costituiscano o meno una strada accettabile perrisolvere il problema della carenza di neve sulle
45
La diga e il lago artificiale di Ceresole Reale, gestiti da IRIDE Energia (ex-
AEM Torino), il cui invaso raggiunge i 33 milioni di m3. L’alterazione del
regime dei deflussi nivo-glaciali renderà necessaria una diversa program-
mazione nell’utilizzo stagionale della risorsa idrica, che tenga conto dei
maggiori afflussi invernali e primaverili ai bacini (meno gelo, fusione più
precoce) e dei minori apporti estivi per la scomparsa del manto nevoso in
quota e la riduzione dei ghiacciai.
Spartineve in azione a Ceresole Reale, il 22.02.2004. In futuro la minore
durata dell’innevamento potrà riflettersi positivamente sul settore dei tra-
sporti in Provincia di Torino: la percorribilità invernale delle strade sarà più
agevole e si ridurrà la fase di chiusura invernale del passo del Moncenisio,
nonché dei valichi minori tra le valli di Susa e Chisone (Colle delle Finestre,
Colle dell’Assietta). Vi saranno inoltre costi minori per lo sgombero della
neve e la salatura dell’asfalto.
piste. Se si considerano i costi economici eambientali, la strategia appare poco sostenibile amedia-lunga scadenza, tenendo presente la quan-tità di risorse finanziarie, energetiche e idrichenecessarie per un ottimale funzionamento degliimpianti, a fronte di una prevedibile perdita di red-ditività dello sci alpino a seguito del riscaldamen-to globale, specialmente nelle stazioni di media ebassa montagna. Secondo BÜRKI (2000), nel periodo 2030-2050 sol-tanto le località sciistiche poste al di sopra dei1600÷2000 m potranno fare affidamento su unaquantità di neve sufficiente per la pratica dello sci,affermazione in accordo con quanto emerso dagliscenari presentati in questo lavoro. A questo si aggiunga la difficoltà nel produrre neveprogrammata se le temperature non sono inferioria -4°C.Appare dunque inopportuno utilizzare lo scenariodi cambiamento climatico come argomento a favo-re dell’ulteriore sfruttamento delle zone di altamontagna e della costruzione di impianti di inne-vamento programmato, restando fedeli a tutti icosti a un turismo invernale di tipo tradizionale,sviluppatosi in epoche di abbondante innevamen-to e bassi costi energetici. Piuttosto, un’opportunae graduale conversione dell’offerta turistica versoattività alternative quali l’escursionismo, l’equita-zione, il turismo culturale e l’agriturismo, chetenga conto di modi più maturi di vivere il paesag-gio invernale e la cultura alpina, potrebbe garanti-re la sopravvivenza e la rivitalizzazione del settore,anche di fronte a nuovi assetti ambientali dellamontagna. Tale obiettivo è raggiungibile non solocon investimenti sul territorio, ma anche con unadiffusione delle informazioni e un’educazione delpubblico a fruire di una montagna fragile in rapi-da evoluzione.
46
I piccoli comprensori sciistici a quote medio-basse, sotto i 1800 m circa,
saranno i più esposti alla riduzione di innevamento e alla difficoltà di uti-
lizzare gli impianti di innevamento programmato per le temperature più ele-
vate attese. Qui sopra, il piccolo ski-lift dell’Alpe Cialma a Locana (circa
1450 m), il 02.02.2004.
In ragione dei costi elevati, della grande quantità di acqua ed energia
necessarie per il loro funzionamento, e per le temperature in aumento, l’im-
piego degli impianti per l’innevamento programmato diverrà via via più
insostenibile nei prossimi decenni, e renderà più opportuna una conversio-
ne turistica verso un’offerta basata non più solo sulla neve, ma anche sulle
potenzialità naturalistiche, culturali, storiche e scientifiche del territorio.
47
Altri eventi intensi: tempeste divento, nubifragi. Poche eviden-ze, possibile aumento futuro
Quanto alla frequenza di eventi estremi quali tempe-ste di föhn e nubifragi estivi, attualmente i datidisponibili in Provincia di Torino non consentonoancora di dimostrare con chiarezza l'esistenza ditendenze in corso, tuttavia i timori per un incre-mento futuro di tali fenomeni sono giustificati e rea-listici. Alcuni modelli climatici individuano un possibi-le aumento delle tempeste atlantiche invernali dai set-tori Ovest e Nord-Ovest sull'Europa centrale(BENISTON, 2004; LECKEBUSCH & ULBRICH, 2004). Benchéle simulazioni non evidenzino effetti significativi diquesta tendenza sul versante padano, è ragionevoleimmaginare un incremento dei casi di föhn sul ver-sante sudalpino, direttamente legati alla predominan-za di vivaci flussi nord-atlantici. Sebbene non siaancora possibile effettuare un'esauriente analisiquantitativa sull'evoluzione storica e attuale delle tem-peste di vento sulla regione alpina ed europea, questeprevisioni potrebbero trovare già parziale conferma inalcune situazioni estreme verificatesi durante gli Anni1990, responsabili di gravissimi danni al patrimonioforestale sulle Alpi occidentali: l'uragano Vivian nelfebbraio 1990, e l'uragano Lothar a fine dicembre1999, quest'ultimo causa dell'abbattimento di oltre8.4 milioni di m3 di legno nella sola Svizzera, la piùgrave catastrofe forestale in territorio elvetico almenodal 1879 (fonte: DATEC, Dipartimento federale dell'am-
biente, dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni).In futuro il superamento di soglie critiche nella dina-mica del sistema climatico potrebbe peraltro avere unruolo-chiave nello sviluppo di cambiamenti repentinio di eventi di forte intensità.
Sopra: violento temporale a Oglianico la sera del 29.06.2008. Nubifragi e tem-
peste di vento sono eventi irregolari e spesso localizzati, difficili da analizzare
statisticamente. I dati in Provincia di Torino sono pochi e per ora non consen-
tono di individuare tendenze. Invece al Nord delle Alpi è già apprezzabile un
aumento delle tempeste specialmente invernali. Sotto: andamento delle perdi-
te annuali di legname dovute a violente tempeste di vento in Europa dal 1860
al 1999. I peggiori disastri forestali, a livello continentale, si sono verificati nel
1990 e nel 1999, rispettivamente con circa 120 e 197 milioni di m3 di legname
perduto. (fonte: Munich-Re, 2002). In basso: numero annuale di giorni con raf-
fiche di vento pari almeno all'ottavo grado della Scala Beaufort a Norimberga
e Düsseldorf (Germania) dal 1969 al 1999. Nonostante la relativa brevità del
periodo considerato, una netta tendenza all'aumento si individua nella stazio-
ne di Düsseldorf, assai meno pronunciata invece in quella di Norimberga
(fonte: Munich-Re, 2002).
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Strategie razionali o onde emotive?
L'argomento «cambiamenti climatici», come tutti itemi che in questi anni hanno per loro natura unadimensione globale, è vissuto da tutti noi «anima-li sociali» in modo irrazionale, caricato di inter-pretazioni devianti, pressappochismo, toni allar-mistici.
Molto spesso sui media assistiamo a scontri ideo-logici che non possono di certo contribuire allaprogettazione di un futuro compatibile con lavita biologica, come noi la conosciamo, delleprossime generazioni.
E questo è il primo dei nodi da sciogliere: la pro-spettiva temporale con cui deve essere affrontatoil problema. Solitamente la nostra vita collettiva èprogettata attraverso le politiche di governi cen-trali e locali con il vincolo di un orizzonte tempo-rale di breve periodo. La natura dei cambiamenticlimatici ha bisogno di politiche la cui attuazioneed i cui benefici (e costi!) si misurano con tempipiù lunghi. Si fa urgente la necessità di progettare azioni dimedio-lungo periodo (50-80 anni), che riguarda-no un orizzonte temporale che va oltre la vitamedia di chi oggi deve affrontare la questione eprendere oggi per domani (e dopodomani) le deci-sioni ritenute necessarie e di cui, se tutto è statovalutato correttamente, i nostri figli e nipoti nevedranno forse i benefici.
Un amministratore accorto deve, quindi, porsi ilproblema di contemperare le scelte necessarie per
intervenire nel breve e medio periodo con ciò cheserve nel medio e lungo termine in una situazionee in un tempo che ragionevolmente non potrà eglistesso «governare». In altre parole gli interventidel breve periodo non possono essere tali da fer-mare lo sviluppo e porre le basi per un futuro sot-tosviluppo; devono però avviare un processo ditrasformazione che renda sostenibile lo sviluppocon gli scenari ambientali che oggi si prefigurano.
Un secondo tema che merita alcune riflessioniriguarda lo stato di «paura» con cui affrontiamo lanostra vita, la quotidianità. Mai gli individui, sem-pre quelli come noi nati dal lato ricco del mondo,hanno beneficiato di una condizione di benesserecosì straordinario: netto aumento dell'aspettativadi vita, sconfitta delle grandi malattie, controllodella diffusione delle epidemie/pandemie, istruzio-ne per tutti, sovranità nazionali che si basano suregimi democratici, affermazione di principi diuguaglianza tra individui… Ciononostante lanostra società è pervasa da un malessere cheZYGMUNT BAUMAN chiama «paura liquida», che ciaffligge la vita, la vizia nei valori e nelle risposteche diamo ai problemi della nostra quotidianità.
Il risultato è un atteggiamento spesso irrazionalerispetto alla realtà, atteggiamento anche provoca-to dal contrasto e dal sovrapporsi delle notizie edall'informazione che riceviamo costantemente.Difficile è orientarsi serenamente e formarsi un'o-pinione corretta sui problemi attuali e conseguen-temente compiere scelte coerenti con gli obiettiviche ci prefiggiamo.
Uno spirito «laico» che fuoriesca dalle regole con-solidate può essere una scelta tanto utile quantourgente per poter progettare il futuro con capacitàdi astrazione e di visione degli scenari che si devo-no prefigurare, ma anche con la razionalità neces-saria a porre gli step di verifica per correggere omigliorare le azioni di governo.
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Clima e crisi energetica
Di combustibili fossili ce n'è ancora quanto basta peraggravare il cambiamento climatico, ma la loro dispo-nibilità non è illimitata. Il prelievo di risorse non rinno-vabili (petrolio, carbone, gas, minerali) segue nel tempoun andamento a campana detto «curva di Hubbert»,che passa attraverso un «picco di estrazione», dopo ilquale la disponibilità decresce. Per il petrolio il picco sista verificando in questi anni: ciò non significa che finiràdomani, ma l'aumento dei prezzi legato alle maggioridifficoltà estrattive e alla maggior richiesta dovuta all’e-spansione delle economie asiatiche e all’aumento dipopolazione potranno mettere in crisi il mercato globa-le. E' il momento giusto di prendere provvedimenti effi-caci, riducendo la nostra dipendenza dalle fonti fos-sili, limitando così i cambiamenti climatici e l’inqui-namento atmosferico, e pensando già al mondo del«dopo petrolio», dove il benessere non sia più necessa-riamente legato alla crescita dei consumi e dei benimateriali. Inoltre, per innescare la necessaria e auspica-ta transizione energetica serve molta energia che ali-menti un raffinato comparto tecnologico e di ricerca,quindi è fondamentale affrontare le grandi scelte stra-tegiche ora, prima che l’ulteriore aumento dei prezzi delpetrolio e delle materie prime renda ancora più difficilela soluzione del problema. Quali effetti può avere unacrisi energetica sul cambiamento climatico? L’aumentodei prezzi e la conseguente riduzione dei consumi posso-no riflettersi in minori emissioni di gas serra, obiettivoche tuttavia oggi si potrebbe raggiungere con l’elimina-zione degli sprechi, l’aumento dell’efficienza energetica ela maggiore produzione di energia rinnovabile, senzacompromettere la qualità di vita. La Provincia di Torinocompila ogni anno un «Rapporto sull’energia».
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In Italia i consumi energetici totali annui equivalgono a 196 milioni di TEP (ton-
nellate equivalenti di petrolio). In Provincia di Torino nel 2005 i consumi ener-
getici complessivi sono stati di 4.7 milioni di TEP, ripartiti per il 44% nel setto-
re civile (domestico 33,9% e terziario 10,1%), per il 28,8% nelle attività produt-
tive (27,7% nell’industria e 1,1% nell’agricoltura) e per il 27,1% nei trasporti.
Sopra: estrazione petrolifera mondiale dal 1930 a oggi, e previsione fino al
2050 (ASPO). Il picco di estrazione, oltre il quale la disponibilità andrà ridu-
cendosi. è previsto attorno al 2010. A inizio luglio 2008 il greggio supera-
va i 143 $ al barile (1 barile = 159 l), mentre nel 2002 il prezzo era attesta-
to attorno ai 18 $. Nel mondo se ne consumano circa 84 milioni di barili al
giorno, oltre 30 miliardi all’anno. E’ probabile che il prezzo elevato sia già
un sintomo del raggiungimento del picco, Per questo la riduzione della
dipendenza dai combustibili fossili è opportuna sia per mitigare il cambia-
mento climatico, sia per fronteggiare la scarsità energetica. Esiste tuttavia
il pericolo che alcune economie - messe alle strette dalla crisi petrolifera -
aggirino il problema scegliendo il ritorno a fonti energetiche ancora più
inquinanti come il carbone, disponibile ancora in abbondanza. Tale scena-
rio sarà per quanto possibile da evitare.
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Altre criticità indotte dai cambiamenti climatici globali: biodiversità, migrazioni, conflitti
Gli effetti del cambiamento climatico sono in grado diripercuotersi negativamente sulla salute e sulladinamica degli ecosistemi naturali: già oggi diver-se estinzioni di specie viventi in atto sono attribuiteal riscaldamento globale, e si prevede che sulle Alpi -nel corso del XXI secolo - fino al 50% circa delle spe-cie possa essere minacciata, con una sensibile ridu-zione della biodiversità. La conseguente alterazionedelle catene alimentari, insieme a variazioni nelregime delle precipitazioni - responsabili di perditadi produttività agricola - potranno esacerbare lecrisi alimentari nel mondo. A queste ultime, peral-tro, potranno contribuire anche le carenze di energiafossile, che oggi alimenta la produzione di fertiliz-zanti e fitofarmaci indispensabili a garantire eleva-te rese dei raccolti. Un’altra minaccia, sebbene nondirettamente rivolta alla Provincia di Torino, è datadall’aumento dei livelli marini, previsto tra 18 e 59cm entro la fine di questo secolo: l’inondazione dellecoste più popolose potrebbe scatenare imponentimigrazioni umane; tra l’India, il Sud-Est asiatico ela Cina, oltre 150 milioni di persone sono diretta-mente esposte all’eventuale aumento di un metro dellivello delle acque. Ne deriverebbe un inevitabileincremento della conflittualità. Ma anche la pres-sante ricerca di nuovi giacimenti di fonti energeti-che fossili e materie prime potrebbe esasperare i con-flitti in diverse zone del pianeta. Ecco come il cam-biamento climatico si potrà intrecciare con altriimportanti problemi globali, che insieme costituiran-no una delle più grandi sfide con cui l’umanità sidovrà confrontare, ma anche una preziosa opportu-nità di cambiamento delle politiche di sviluppo.
Le migrazioni legate all’aumento dei livelli marini, la riduzione di produttività
agricola (dovuta a cambiamenti climatici, crisi energetica, erosione e perdita
di fertilità dei suoli) e la corsa alla ricerca di nuovi giacimenti di risorse mine-
rarie saranno alcune tra le grandi cause di conflittualità del XXI secolo.
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Tempi dei cambiamenti fisici, culturali e politici
La velocità straordinaria della variazione di moltiparametri climatici è ampiamente documentatanei rapporti periodici degli organismi internazio-nali e dai dati riportati in queste pagine. I richia-mi dell'IPCC, dell'UE, dell'ONU si fanno semprepiù urgenti e periodicamente hanno caratterizza-to il dibattito pubblico negli ultimi 30 anni contoni sempre più intensi. Il PIL mondiale è cresciu-to in modo straordinario: posto a 100 il suo valo-re nel 1500, ha raggiunto il valore indicizzato di11664 nel 1992; la popolazione è contemporanea-mente cresciuta da 400-500 milioni nel 1500 finoagli attuali 6.7 miliardi; quindi il PIL pro-capite èaumentato nel medesimo intervallo di circa 1000volte. Dal punto di vista del budget energetico disponi-bile, prima della rivoluzione industriale il corpoumano e la forza animale erano le principali risor-se. Il corpo umano eroga una potenza di circa 100Watt. «Se uomini e animali fossero le fonti principa-
li dell'energia meccanica, il massimo che una
società potrebbe dedicare alla realizzazione di una
singola impresa - si tratti di scavare canali,
costruire dighe o combattere - ammonterebbe a
poche centinaia di migliaia di Watt. Per queste
imprese, gli imperatori Ming, al pari dei faraoni
egizi, non disponevano di fatto di una potenza
superiore a quella di cui dispone il guidatore di un
bulldozer odierno o il comandante di un carro
armato» (MC NEILL, 2002).Di fronte a questi numeri è evidente che gli effettinon possono non aver prodotto trasformazioniradicali sugli equilibri del pianeta, con tendenze
Popolazione mondiale
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Anni dal presente
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1 miliardo nel 1800
310 milioni nel 1000
2 miliardi nel 1930
170 milioni -
nascita di Cristo
4 miliardi nel 1974
6,7 miliardi nel 2008
In alto, evoluzione della popolazione mondiale negli ultimi 6.000 anni. Alla
fine del 1700 la Rivoluzione Industriale e l’inizio dell’utilizzo massiccio di
fonti energetiche fossili migliorano le condizioni di sanitarie e la produzio-
ne alimentare, e la popolazione passa in soli due secoli da circa 1 miliar-
do di individui ai 6.7 miliardi attuali, ben oltre la capacità portante del pia-
neta, che, in assenza di utilizzo dei combustibili fossili, sarebbe attorno a
circa 2 miliardi di individui. Attualmente l’impronta ecologica globale del-
l’umanità supera del 20% la capacità di rinnovamento del capitale natura-
le disponibile sulla Terra.
Qui sopra, una veduta notturna di Torino e cintura, che aiuta a rendersi
conto dell’attuale consumo di energia: annualmente in Italia si utilizzano
circa 200 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all’anno.
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alla crescita continue ma modeste fino al secoloscorso, poi in forte accelerazione negli ultimidecenni.L'iperattività economico-finanziaria dei Paesi coneconomie emergenti lascia presagire un'ulterioreaccelerazione di queste tendenze, come lucida-mente sottolineato da molti autori.Ma l'iter delle decisioni, i tempi di progettazionedelle politiche necessarie a mitigare e gestire que-sti straordinari cambiamenti, sono commisuratialla velocità di crescita dei fenomeni in atto? Larisposta è no! Ne è un evidente risultato la debo-lezza delle decisioni prese finora dai governi insede internazionale, come il Protocollo di Kyoto, ela modestia dei risultati fin qui raggiunti a livelloplanetario.E' complessa la progettazione di politiche condivi-se sullo scenario globale. Più agevole è sperimen-tare a livello locale la progettazione di azioni eco-nomicamente compatibili con prossime fasi di svi-luppo economico e misurarne l'efficacia. La Provincia di Torino ha avviato da anni una pro-gettazione complessa, descritta nel capitolo suc-cessivo, per un Piano Strategico di sostenibilitàambientale, ma sul piano del governo del territo-rio molte azioni possono passare attraverso ilPiano di Coordinamento Provinciale, che è incorso di revisione.L'azione che si sta sviluppando nella redazione delP.T.C. è quella della «messa a sistema» delle poli-tiche settoriali avviate dai singoli servizi dell'entestesso e nella costruzione di un quadro di cono-scenza in costante aggiornamento, che consentadi valutare l'efficacia del sistema complessivodelle politiche.In altre parole: è certo che la miglior politica didifesa del suolo sia coerente con le migliori politi-che insediative o viceversa? Queste due politiche,insieme o separatamente, sono coerenti con l'effi-cacia delle politiche del tempo libero, del turismo,
del lavoro?Come si intrecciano fra loro e qual è la migliorfusione fra esse, affinchè, senza danneggiarsireciprocamente, producano sviluppo e siano effi-caci nell'adattamento alle modificazioni climati-che?Il quadro di conoscenza che si stà sviluppandocontribuisce a suggerire alcune risposte, peresempio l'analisi del consumo di suolo.Una lunga serie storica di cartografie ha eviden-ziato negli ultimi anni (le analisi particolari dellaricerca sono ancora in corso negli uffici della pia-nificazione territoriale della Provincia di Torino)un incremento molto elevato che non corrispondead un analogo incremento di popolazione insedia-ta; corrispondentemente, verifichiamo la presenzadi ampie aree recentemente costruite, soprattut-to industriali, non occupate da attività economi-che.Quindi l'occupazione di suolo è avvenuta senzache ci fosse una precisa richiesta «di mercato» pergli usi edificati; ne consegue che è possibile, senzadanneggiare le politiche di sviluppo, limitare orazionalizzare le politiche di consumo di suolo.Ma un'altra considerazione è possibile. Se abbia-mo nuove aree costruite e inutilizzate o sottouti-lizzate, allora è possibile prefigurare politiche rilo-calizzative di aree collocate in luoghi impropri oinsicuri (presenza di frane, aree di esondazio-ne...).La mosaicatura dei Piani Regolatori dei Comunidella Provincia costituisce un importante stru-mento di lavoro per questa finalità.E' quindi possibile individuare politiche adeguatea perseguire l'obbiettivo di un razionale uso delterritorio senza che ciò debba necessariamente orepentinamente modificare i nostri stili di vita sesi avvia una politica di sistema attenta e program-mata ma soprattutto aggiornata con la misurazio-ne dell'efficacia degli effetti.
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Il Piano StrategicoProvinciale per la sostenibilità ambientale
Da più di un decennio la Provincia di Torino, inlinea con le strategie tracciate a livello europeo, haassunto la sostenibilità ambientale quale obiettivostrategico. Un'analisi critica dei processi di sostenibilità incorso (tra questi un importante e molto partecipatoprocesso di Agenda21 1) ha permesso di osservarealcuni limiti, peraltro diffusi e riscontrabili ad altrilivelli amministrativi e in altri territori:
- permaneva una visione «settoriale» dell'azio-ne ambientale, che rischiava di riproporre l'anticacontrapposizione tra ambiente e sviluppo, interpre-tato anche come confronto tra «poesia» e «realtà», oancora tra «quanto è giusto» e «quanto è necessa-rio»;- faticava ad affermarsi una visione strategicacomplessiva sulla qualità ambientale dello sviluppoprovinciale, che tenesse insieme le diverse pro-grammazioni e realizzazioni nei vari settori;- mancavano strumenti interni all'Ente per ilmonitoraggio delle prestazioni ambientali dellediverse azioni, ossia un sistema di controllo e orien-tamento strategico efficace.
Il Piano Strategico Provinciale nasce per risponderea questa esigenza: l'ambiente deve essere, semprepiù, inteso non come un settore che genera e pro-duce in modo separato (e produce suoi strumenti diprogrammazione e pianificazione separata), macome un tema trasversale da perseguire in tutte lediverse attività dell'Ente.Una programmazione dello sviluppo sostenibileefficace si caratterizza pertanto per la sua capacitàdi orientare, connettere, intercettare le programma-zioni settoriali, in un quadro coerente di obiettivi disostenibilità ambientale condivisi e credibili, equindi fondati su:- il mantenimento di un canale efficace di rac-cordo, co-progettazione, co-valutazione, fra i settoriprovinciali e gli attori del territorio;- un insieme di «regole» che vincolino gli atto-ri interni;- la condivisione politica delle suddette rego-le;- un'efficace attività di monitoraggio che con-senta di valutare i risultati delle azioni intraprese e,se necessario, di ritarare obiettivi e attività.
In questo quadro, la necessità di affrontare proble-
1. L'Agenda 21 (Ventunesimo secolo) identi-fica i principi, i criteri, gli obiettivi per uno svilup-po globale e locale sostenibile. L'art. 28dell'Agenda 21, approvata a Rio de Janeiro nel1992 nel corso del Summit Mondiale su ambien-te e sviluppo, indica precisi obiettivi e criteri d'a-zione per i governi locali, con particolare riferi-mento al coinvolgimento attivo della cittadinanzanella promozione dello sviluppo sostenibile.
2. Le finalità della pianificazione strategicaambientale possono essere così enunciate:- Permeare le diverse pianificazioni di setto-re (e le azioni conseguenti) con un quadro di rife-rimento di obiettivi di sostenibilità ambientale.- Supportare la decisione politica e tecnica.- Fornire strumenti di valutazione delle pre-stazioni di sostenibilità ambientale delle politicheprovinciali, attraverso indicatori e report.- Predisporre, per i piani e programmi, l'in-sieme degli elementi procedurali e tecnici su cuiimpostare e realizzare la Valutazione AmbientaleStrategica.
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matiche particolarmente urgenti e rilevanti sia alivello metropolitano, sia a livello dell'intero territo-rio provinciale, ha portato la Provincia di Torino adavviare un percorso di pianificazione strategicaambientale 2 da costruire attraverso l'aggiorna-mento e integrazione delle programmazioni e piani-ficazioni di settore in un Piano Strategico per laSostenibilità coerente e condiviso. Il Piano devegarantire la più ampia trasversalità tra le politichesolitamente attuate da singoli settori provinciali ecoordinare le politiche di altri soggetti, pubblici oprivati, che operano sul territorio. Il Piano Strategico fornisce un quadro di riferimen-to programmatico intersettoriale; è uno strumentointegrato dal punto di vista economico, sociale edambientale, che consente di realizzare sinergie traesperienze in atto o in programma, di valorizzare lediverse competenze e conoscenze, attraverso unnuovo metodo di lavoro sinergico e intersettoriale.Le diverse linee strategiche elaborate dall’Ente sonostate condivise da tutti i Settori provinciali e con idiversi soggetti territoriali, nel corso del Forum
Plenario di Agenda21 del dicembre 2007.
Le strategie individuate dal Piano affrontano iseguenti temi: 1. gestione sostenibile del territorio nelle areeperiurbane e contenimento del consumo disuolo;2. opzioni di mobilità sostenibile per ilmiglioramento della qualità della vita;3. sostenibilità dei consumi e della gestionedei rifiuti;4. sostenibilità delle attività e degli insedia-menti produttivi;5. promozione del risparmio energetico edelle fonti rinnovabili;
e investono:
1. le programmazioni di settore di competenzaprovinciale;2. le programmazioni, di competenza di altrisoggetti, nelle quali la Provincia può avere funzioniautorizzative, consultive, di coordinamento;3. i programmi di sviluppo, generati da orga-
Veduta aerea del territorio di Lombardore. In blu l’edificato storico al 1990,
nell’ellisse gialla la nuova area residenziale costruita nell’ultimo decennio,
in un’area parzialmente boscata.
GESTIONE SOSTENIBILE DEL TERRITORIO NELLE AREE PERIURBANE
OPZIONI DI MOBILITÀ SOSTENIBILE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA
1) Intero territorio provinciale:
- disincentivazione del traffico veicolare privato
2) Territorio più strettamente urbano:
- implementazione di progetti in parte già in corso di realizzazione, come ad esempio la nuova
metropolitana o i progetti di miglioramento del trasporto pubblico, o come il Servizio Ferroviario
Metropolitano.
Promozione del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili
SOSTENIBILITÀ DELLE ATTIVITÀ E DEGLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI
1. riduzione dei consumi di suolo e dell’incompatibilità tra i diversi usi a scopo produttivo, agricolo e
residenziale attraverso l’innovazione ambientale del sistema delle imprese;
2. promozione della sostenibilità dei processi produttivi e degli insediamenti industriali;
3. creazione di filiere di produzione e consumo per favorire l’economia locale equa e sostenibile.
SOSTENIBILITÀ DEI CONSUMI E DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
il completo raggiungimento degli obiettivi del Programma Provinciale di Gestione dei Rifiuti, ossia:
1. la riduzione dei rifiuti prodotti, il sostegno al consumo responsabile, la riduzione degli sprechi e l’aumento
della capacità selettiva di acquisto dei consumatori;
2. il raggiungimento delle % di RD previste;
3. il raccordo fra diversi strumenti di pianificazione in relazione alle scelte localizzative per impianti di
trattamento rifiuti.
Mantenimento e valorizzazione del ruolo paesaggistico, naturalistico-ambientale, sociale ed
economico che le aree agricole e le aree verdi marginali possono ancora svolgere in ambito perturbano e
contenimento del consumo di suolo.
Promozione del risparmio energetico e dell’utilizzo delle fonti rinnovabili sia sul patrimonio
provinciale, al fine di ridurre l’impatto ambientale e contenere la spesa corrente sostenuta per i servizi
energetici, sia nei confronti del territorio, per la diffusione di una politica integrata sull’energia.
nizzazioni territoriali varie, talvolta finanziati dastrumenti europei, regionali, nazionali;4. le azioni singole delle imprese, delle istitu-zioni, dei cittadini, che hanno implicazioni in rela-zione alla sostenibilità ambientale.
Il Piano, per ognuna di queste tematiche, analizza edescrive il contesto di riferimento, prefigura la stra-tegia, e propone azioni puntuali di tre tipi: azioni dipianificazione/programmazione, azioni di gestio-ne/attuazione, azioni di promozione/formazione/informazione.Le 43 schede-azione inserite nel Piano descrivonoattività di competenza provinciale (e quindi «fattibi-li»), la cui attuazione potrà incidere significativa-mente sui 5 temi individuati sopra.
Tali azioni saranno attivate attraverso diversi stru-menti:
- Linee guida, definizione di criteri, elabora-zione di documenti di indirizzo.- Tavoli di concertazione e Protocolli d'intesa eaccordi tra Enti e soggetti territoriali su quei temiche richiedono partnership e pro-azione da partedei vari attori in gioco.- Bandi verso il territorio.- Tavoli intersettoriali interni all'Ente per ilcoordinamento delle politiche e la verifica della loroattuazione.- Attività di promozione, accompagnamento asoggetti diversi (raccolta di buone pratiche per sup-portare gli enti, valorizzazione di competenze inter-ne a supporto di soggetti esterni all'Ente provincia,ecc.).- Attività di formazione, sensibilizzazione einformazione.- Modifica/integrazione degli strumenti dipianificazione (PTCP, PTR, ecc.) attraverso l'introdu-zione di riferimenti normativi specifici.
All'attuazione del Piano si affiancheranno iniziativedi educazione, comunicazione e informazioneambientale, indispensabili strumenti per aumenta-re l'efficacia delle politiche, accrescendo la respon-sabilità dei cittadini nel concorso alla risoluzione diproblemi ambientali o nella partecipazione attiva epositiva alle trasformazioni territoriali.
Il piano strategico ambientale è stato definitiva-mente approvato dalla Giunta Provinciale il12/08/2008; la sua attuazione impegna, oltre laGiunta e gli Assessori, anche la struttura: gli obiet-tivi del piano strategico, a partire dal 2009, entre-ranno nel Piano Esecutivo di Gestione, che vincoladirigenti, funzionari e dipendenti dell'ente alla rea-lizzazione degli obiettivi assegnati.
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Per saperne di più e accedere alla documentazione:
www.provincia.torino.it/ambiente/agenda21/piano_strategico/index.
I contenuti del piano
- Parte introduttiva. Motivazioni e presuppo-sti della pianificazione strategica ambientale.- Parte descrittiva
1. Il lavoro svolto (il percorso nelle sue diversefasi, i partecipanti e le date delle riunioni) 2. I Contenuti del Piano- Schede tematiche; costituiscono un ampio«aggiornamento» sui cinque temi e costituiscono lavera e propria base del documento.Le schede tematiche sono il punto di partenza per
l'individuazione delle azioni.- 43 schede relative alle azioni prioritarie etabella riassuntiva delle connessioni fra le azioni(capitolo 5).
Le azioni descrivono ciò che la Provincia può fare,cioè quanto è nelle sue competenze.Particolare attenzione è stata posta alla fattibilitàdelle stesse.
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Il consumo di suolo nella Provincia di Torino.
Il Piano Territoriale di coordinamento della Provincia di Torino (agosto 2003) individua come politicaattiva il contenimento del consumo di suolo. La Provincia di Torino ha pertanto costituto a parti-re dal 2002 un Osservatorio sulle trasformazioni territoriali e demografiche, strumento indispensa-bile per monitorare, in maniera continua ed aggiornata, la misura delle pressioni di origine antropi-ca nei confronti delle aree «libere», con particolare attenzione a quelle agricole e valutare, in tal modo,l'efficacia delle politiche di preservazione e di tutela di queste ultime; l'ultimo rapporto prodotto nel2008, sulla base di analisi territoriali riferite al 2006 (Orto-fotocarta digitale della Provincia diTorino), produce un bilancio complessivo delle trasformazioni del territorio ed elabora indicatori per
la valutazione dell'eco-sostenibilità delle politicheterritoriali condotte dai diversi enti. L'incessanteprogredire del consumo di suolo trova una corri-spondenza nel parallelo trend demografico soltan-to fino al 1980; a partire da questo periodo infattisi osserva per la prima volta un'evidente dicotomiadovuta ad un sensibile calo della popolazione resi-dente (grafico a lato); nel periodo 1990-2006, ilprocesso di erosione dei suoli, in costante cresci-ta, tende ad aumentare ulteriormente a partire dal2000, con un tasso medio annuo di incremento inaumento di un punto percentale (da 0,5% tra il1990 ed il 2000 a 1,5% tra il 2000 ed il 2006). Lostudio sul consumo di suolo in Provincia di Torinosarà oggetto di un successivo quaderno pubblica-to nell’autunno 2008.
58
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www.provincia.torino.it/web_cartografico_ptp - Piano Territoriale di
Coordinamento Provinciale
Il cambiamento climatico è già in atto con un insieme di fenomeni
documentati anche in Provincia di Torino: aumento delle temperature
medie, riduzione dell’innevamento, regresso e scomparsa dei ghiacciai,
alterazioni del regime idrologico e della distribuzione
delle specie viventi...
La maggioranza dei modelli di simulazione numerica del clima prevede
un ulteriore riscaldamento nei prossimi decenni, accompagnato da
maggiori siccità estive e probabile incremento dei fenomeni intensi.
Occorre elaborare adeguate strategie e politiche territoriali volte sia
alla mitigazione dell’impatto umano sul clima, sia all’adattamento a
cambiamenti ormai inevitabili.
SOCIETÀMETEOROLOGICASUBALPINA