Calendario Di Meo 2017 Napoli a VieNNa - … · Joli spedite a Vienna per rendere omaggio...

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ASSOCIAZIONE CULTURALE “DI MEO VINI AD ARTE” FOTOGRAFIE DI MASSIMO LISTRI Calendario Di Meo 2017 NAPOLI A VIENNA

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ASSOCIAZIONE CULTURALE“DI MEO VINI AD ARTE”

FotograFie di MassiMo Listri

Calendario Di Meo 2017

Napoli a VieNNa

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In copertina:Castello di RohrauSala di Solimena

Deckblatt:Schloss RohrauSolimena Saal

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Vittorio Sgarbi

Andare a cercare Napoli a Vienna è un capriccio; ma la natura di Generoso è capricciosa; ed egli non dev’essersi sentito tanto a Napoli come a Vienna ,nelle sue escursioni in capitali esotiche e lontane, la cui natura era tanto seducente quanto estranea alla sua Napoli amatissima e nobilissima. Il viaggio fuori Italia del Generoso è stato sempre il modo per mostrare la disponibilità cosmopolita del napoletano colto, nell’unico luogo d’Italia che non è provincia: il Regno di Napoli. Ci sono molte più sacche di provincia a Roma e a Milano.Napoli è invece miseria e nobilità. Ma la soddisfazione di vederne proiettata la gloria in regge e palazzi viennesi, ha certamente reso euforico il Generoso. Ed egli mai si era sentito a casa come nelle sale napoletane, nella sala di Solimena, in quella di Luca Giordano, nel castello di Rohrau. E anche nelle stanze del Kunsthistorisches Museum di Vienna tocca ai pittori napoletani celebrare il potere simbolico che l’arte rappresenta, così come si vede nel «Ritratto allegorico» di Francesco Solimena con il Conte Althann che consegna all’imperatore Carlo VI l’inventario della Pinacoteca Imperiale. Il dipinto, fastoso, corrisponde allo spirito cerimonioso e rituale dei dipinti celebrativi di Solimena. Generoso vi si immagina tra i presenti ,notaio della Pinacoteca imperiale. E ormai l’escursione é cominciata. La festa ha inizio e corso proprio nelle sale del Kunsthistorisches Museum ,nell’ala sud. E, congedati gli ultimi ospiti, giá siamo pronti ad incamminarci verso il Palazzo Rofrano, ora Auersperg, e incrociare lì, a fianco di Nicola Maria Rossi, il Solimena che dipinge il soffitto del salone ovale.Ma presto, presto! È già l’ora di passare a palazzo Harrach. E’da qui che parte la moda del barocco nell’architettura viennese. Il palazzo fu eretto fra il 1690 e il 1696 per volontà del conte Ferdinando Bonaventura Harrach che ebbe poco tempo per goderlo. Lo vediamo noi ora, dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale che ne hanno risparmiato la facciata e la monumentale scalinata. Napoli ritorna dominante nel Palazzo Reale, come si vede nei dipinti di Nicola Maria Rossi, che invio’ a Vienna tre grandiose tele ad illustrare cerimonie con il Viceré Harrach. Intanto Solimena dipinge,certamente con grande nitore e pulizia, arricchendo chiese e palazzi, ma evitando accuratamente di salire al Nord, di andare in Austria o in Germania. Solimena dipinge anche le sue tele più solenni e celebrative a Napoli. Quella è la sua patria. E intanto, oltre alle tele, egli invia a Vienna, allievi come Nicola Maria Rossi per dipingere l’affresco, perduto, del Palazzo del Marchese Rofrano. Altri grandi dipinti del Rossi, per il Palazzo Harrach a Vienna ,furono inviati direttamente da Napoli. Una grande stagione di esaltazione napoletana è rappresentata dalle dodici vedute di Antonio Joli spedite a Vienna per rendere omaggio all’Imperatrice Maria Teresa ,e far conoscere luoghi incantati, momenti essenziali del Grand Tour in Italia, accolte nel Castello Hof. Napoli è sugli scudi. E anche per il Belvedere superiore saranno due napoletani, Francesco Solimena e Giacomo del Po ,a decorare ariosamente,la cappella e le volte di alcune sale al piano nobile. Anche la musica celebra Napoli,con una festa teatrale su un testo di Pietro Metastasio per il matrimonio di Ferdinando IV di Borbone, Re delle due Sicilie, e Maria Giuseppa, arciduchessa d’Austria. Il percorso italiano, soprattutto napoletano, continua con il Belvedere inferiore e con l’Accademia di Belle Arti, popolata di fantasmi. Nell’Archivio di Stato è conservata la fondamentale «Veduta occidentale dell’augustissima et antichissima città di Napoli» di Francesco Cassiano de Silva. Il palazzo Daun-Kinsky, perdute le opere di Paolo de Matteis e di Giacomo del Po, resta pieno di nobili invenzioni di Francesco Solimena, come il “Fetonte che chiede ad Apollo il carro del sole”,un’enorme tela di 7 metri per 4, oggi trasferita alla Galleria Nazionale di Praga. Il percorso raccontato da ‘L’occhio felice’ di Massimo Listri, termina nel palazzo Liechtenstein dove c’è ancora un ritratto di Solimena, quello del principe della casata Joseph Wenzel.

Vittorio Sgarbi

Andare a cercare Napoli a Vienna è un capriccio; ma la natura di Generoso è capricciosa; ed egli non dev’essersi sentito tanto a Napoli come a Vienna ,nelle sue escursioni in capitali esotiche e lontane, la cui natura era tanto seducente quanto estranea alla sua Napoli amatissima e nobilissima. Il viaggio fuori Italia del Generoso è stato sempre il modo per mostrare la disponibilità cosmopolita del napoletano colto, nell’unico luogo d’Italia che non è provincia: il Regno di Napoli. Ci sono molte più sacche di provincia a Roma e a Milano.Napoli è invece miseria e nobilità. Ma la soddisfazione di vederne proiettata la gloria in regge e palazzi viennesi, ha certamente reso euforico il Generoso. Ed egli mai si era sentito a casa come nelle sale napoletane, nella sala di Solimena, in quella di Luca Giordano, nel castello di Rohrau. E anche nelle stanze del Kunsthistorisches Museum di Vienna tocca ai pittori napoletani celebrare il potere simbolico che l’arte rappresenta, così come si vede nel «Ritratto allegorico» di Francesco Solimena con il Conte Althann che consegna all’imperatore Carlo VI l’inventario della Pinacoteca Imperiale. Il dipinto, fastoso, corrisponde allo spirito cerimonioso e rituale dei dipinti celebrativi di Solimena. Generoso vi si immagina tra i presenti ,notaio della Pinacoteca imperiale. E ormai l’escursione é cominciata. La festa ha inizio e corso proprio nelle sale del Kunsthistorisches Museum ,nell’ala sud. E, congedati gli ultimi ospiti, giá siamo pronti ad incamminarci verso il Palazzo Rofrano, ora Auersperg, e incrociare lì, a fianco di Nicola Maria Rossi, il Solimena che dipinge il soffitto del salone ovale.Ma presto, presto! È già l’ora di passare a palazzo Harrach. E’da qui che parte la moda del barocco nell’architettura viennese. Il palazzo fu eretto fra il 1690 e il 1696 per volontà del conte Ferdinando Bonaventura Harrach che ebbe poco tempo per goderlo. Lo vediamo noi ora, dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale che ne hanno risparmiato la facciata e la monumentale scalinata. Napoli ritorna dominante nel Palazzo Reale, come si vede nei dipinti di Nicola Maria Rossi, che invio’ a Vienna tre grandiose tele ad illustrare cerimonie con il Viceré Harrach. Intanto Solimena dipinge,certamente con grande nitore e pulizia, arricchendo chiese e palazzi, ma evitando accuratamente di salire al Nord, di andare in Austria o in Germania. Solimena dipinge anche le sue tele più solenni e celebrative a Napoli. Quella è la sua patria. E intanto, oltre alle tele, egli invia a Vienna, allievi come Nicola Maria Rossi per dipingere l’affresco, perduto, del Palazzo del Marchese Rofrano. Altri grandi dipinti del Rossi, per il Palazzo Harrach a Vienna ,furono inviati direttamente da Napoli. Una grande stagione di esaltazione napoletana è rappresentata dalle dodici vedute di Antonio Joli spedite a Vienna per rendere omaggio all’Imperatrice Maria Teresa ,e far conoscere luoghi incantati, momenti essenziali del Grand Tour in Italia, accolte nel Castello Hof. Napoli è sugli scudi. E anche per il Belvedere superiore saranno due napoletani, Francesco Solimena e Giacomo del Po ,a decorare ariosamente,la cappella e le volte di alcune sale al piano nobile. Anche la musica celebra Napoli,con una festa teatrale su un testo di Pietro Metastasio per il matrimonio di Ferdinando IV di Borbone, Re delle due Sicilie, e Maria Giuseppa, arciduchessa d’Austria. Il percorso italiano, soprattutto napoletano, continua con il Belvedere inferiore e con l’Accademia di Belle Arti, popolata di fantasmi. Nell’Archivio di Stato è conservata la fondamentale «Veduta occidentale dell’augustissima et antichissima città di Napoli» di Francesco Cassiano de Silva. Il palazzo Daun-Kinsky, perdute le opere di Paolo de Matteis e di Giacomo del Po, resta pieno di nobili invenzioni di Francesco Solimena, come il “Fetonte che chiede ad Apollo il carro del sole”,un’enorme tela di 7 metri per 4, oggi trasferita alla Galleria Nazionale di Praga. Il percorso raccontato da ‘L’occhio felice’ di Massimo Listri, termina nel palazzo Liechtenstein dove c’è ancora un ritratto di Solimena, quello del principe della casata Joseph Wenzel.

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Francesco SolimenaIl Conte Althann consegna all’imperatore Carlo VI

L’inventario della Pinacoteca Imperiale

Kunsthistorisches Museum (Wolfgang Prohaska)

Francesco Solimena Graf Althann überreicht das Inventar der kaiserlichen Gemäldegalerie an Karl VI

Kunsthistorisches Museum (Wolfgang Prohaska)Chi avesse la fortuna di trovarsi attraverso le sale fastose dell’ala sud della pinacoteca del Kunsthistorisches Museum, alla fine del corridoio potrebbe ammirare, sulla parete all’uscita, il dipinto monumentale di Francesco Solimena (1657-1747), i l capo della scuola di pittura napoletana del 18° secolo. Il dipinto rappresenta la solenne consegna dell ’ inventario della n u o v a p i n a c o t e c a i m p e r i a l e , r i a l l e s t i t a e splendidamente riadattata secondo il concetto espositivo della Stallburg. Il viceré Althann, alla presenza del ministro ai lavori pubblici e dell’organizzatore della nuova collocazione, si inginocchia di fronte a Carlo VI, solennemente abbigliato e circondato da cortigiani. Davanti a sinistra e in ombra, è inchinato un paggio che regge un cuscino con la corona imperiale. Althann è accompagnato da un altro paggio, che si vede sullo sfondo, il quale tiene tra le mani le altre pagine dell ’ inventario. Il ministro e l ’ imperatore g u a r d a n o i n d i r e z i o n e dell’offerente con dignità ma anche un po’ impettiti. Il coro di cortigiani sembra essere, al confronto dei signori, più vivace, ripreso mentre guarda, commenta, uno di fronte all’altro, e persino un cane anima la scena, che viene catturata da dietro una fila di colonne e con una vista su paesaggio urbano. Fama, il Genio della Gloria annuncia il completamento della riorganizzazione della collezione d’arte imperiale, un’impresa a cui Carlo VI aveva dato grande valore e che voleva documentare per iscritto attraverso la creazione di un inventario illustrato. Anche se l’ultimo fascicolo dell’inventario in tre volumi non era stato ancora completato, Solimena doveva anticipare già l’evento solenne, per la cui documentazione con il presente dipinto del 1728 ottenne i più alti ringraziamenti dell’imperatore. Solo recentemente si è rivelata vera la notizia riportata dal primo catalogo a stampa della Pinacoteca del 1783, che i volti dell’imperatore e del suo ministro ai lavori pubblici sono stati modificati in seguito dal viennese pittore di corte e ritrattista Johann Gottfried Auerbach (1697-1743). Un’analisi ai raggi X dei volti mostra, sotto lo strato di pittura oggi visibile, i segni tipici dei modelli di Solimena, così come sono evidenti in a l t r i d i p i n t i a c q u i s t a t i d a l K u n s t h i s t o r i s c h e s M u s e u m n e l 1 9 ° secolo. Altri segni indicano che il dipinto, trasportato a Vienna nel 1728, ha poi subito ulteriori e minori cambiamenti. La sua storia è quella di un doppio dipinto.Ma perché questi cambiamenti? I ritratti dell’imperatore e del suo ministro (di una famiglia a cui appartiene un viceré austro-napoletano) dovevano essere disponibili anche a Napoli ed il pittore era famoso per l’eccellenza dei suoi ritratti. I ritratti originari dell’imperatore e del suo ministro forse non erano sufficientemente rappresentativi del fasto della cerimonia, troppo colloquiali. Nella corrispondenza con il pittore, vanitoso e capriccioso, non c’è alcun accenno a questi interventi. Habent sua fata ...

Wer am Ende des Gangs durch die feierlichen Säle im südlichen Teil der Gemäldegalerie des Kunsthistorischen Museums angelangt ist, trifft an der Ausgangswand auf ein monumentales Gemälde von Francesco Solimena (1657-1747), dem Haupt der neapolitanischen Malereischule im 18. Jahrhundert. Dargestellt ist die feierliche Überreichung des Inventars der neuaufgestellten kaiserlichen Gemäldegalerie in der Stallburg in Wien, in den zu diesem Zweck prunkvoll adaptierten Räumlichkeiten der Wiener Hofburg. Graf Gundacker Althann, der Bautenminister des Kaisers und Organisator der Neuaufstellung, kniet vor dem feierlich gerüsteten Kaiser Karl VI, der umgeben ist von Höflingen. Links vorne kniet im Halbschatten ein Page, vor sich auf einem Kissen die mittelalterliche Kaiserkrone. Begleitet ist Althann von einem weiteren Pagen, der von hinten hinzutritt und weitere Bände des Inventars auf Händen trägt. Althann, der Auftraggeber und sein kaiserlicher Herr blicken dem Betrachter würdig und ein wenig steif entgegen. Der Chor der Höflinge scheint im Vergleich zu den höchsten Herrschaften beweglicher, eben in Tätigkeiten angetroffen, schauend , kommentierend, einander zugewandt, sogar ein Hund belebt die Szene. Die Szene ist hinterfangen von einer Säulenstellung und einem Ausblick auf eine Stadtlandschaft; Fama, der Genius des Ruhms kündet von der Vollendung der Neuorganisation der kaiserlichen Kunstsammlungen, eine Unternehmung, auf die Karl VI. grössten Wert gelegt hatte und die er durch das Verfassen von illustrierten Inventaren dokumentieren wollte. Zwar war der letzte Band des dreibändigen Bild-Inventars noch nicht vollendet, Solimena sollte das feierliche Ereignis schon vorwegnehmen, für dessen Dokumentation im vorliegenden Gemälde er 1728 den höchsten Dank des Kaisers erhielt. Erst in den letzten Jahren stellte sich heraus, dass eine Nachricht im ersten gedruckten Katalog der Gemäldegalerie von 1783, nämlich dass die Köpfe des Kaisers und seines Bautenministers durch den Wiener Hofmaler und Porträtspezialisten Johann Gottfried Auerbach (1697-1743) eingesetzt worden seien, auf Wahrheit beruht. Röntgenaufnahmen der bezeichneten Köpfe zeigen unter der jetzt sichtbaren Schicht porträtunähnliche, einander zugewandte jugendliche Köpfe von Solimena, und zwar genau in jenen Positionen, die sie in einem erst im 19. Jahrhundert vom KHM angekauften (eigenhändigen ?) Modello einnehmen. Weitere Ergänzungen lassen erkennen, dass das Gemälde, 1728 nach Wien transportiert, weiteren geringeren Änderungen unterworfen wurde. Das narrative Historienbild wurde zu einem Doppelportrait.Aber warum diese und einige weitere Umarbeitungen kleineren Ausmasses? Bildnisse des Kaisers und seines Ministers (aus einer Familie, aus der auch ein österreichisch-neapolitanischer Vizekönig entstammte) müssten in Neapel verfügbar gewesen sein und der Maler war bekannt für seine exzellenten Porträts. Waren die einander zugeneigten Köpfe des Kaisers und seines Ministers in der Schicht unter der jetzt sichtbaren, nicht feierlich, repräsentativ genug, zu kolloquial, nicht angemessen der zeremoniellen Gelegenheit. In der Korrespondenz mit dem allerdings sehr eitlen und kapriziösen Maler ist nirgend die Rede von diesen Eingriffen. Habent sua fata ...

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Salomon KleinerPalais Rofrano Wien, 1725

Salomon KleinerPalazzo Rofrano Vienna, 1725

Palazzo Auersperg (Jörg Garms) Palais Auersperg (Jörg Garms)„Prospectus Palatii Marchionis de Rofrano et Principis de Copicio (sic) ante Portam aulicam ad Suburbium Josephinum“lautet die Beschriftung der Tafel 23 der das barocke Wien feiernden <Vera et accurata delineatio tam Residentiae et Secessuum Caesareorum quam variorum ad Principes et Comites spectantium ... qui partim in Caesarea sede Vienna, partim in adjacentibus Suburbijs ... oculis occurrunt>. Der Palast hatte bis in die Mitte des 19. Jahrhunderts über das Glacis hinweg freie Sicht auf die ummauerte Stadt. Er liegt am Rande der Josefstadt (VIII. Bezirk), und Marchese Ippolito Malaspina, der die Vorstadt begründet hatte, riet Girolamo Capece di Rofrano (ca. 1660- 1724) zum Kauf. Montesquieu, der Wien 1728 besucht hatte, nennt ihn - mit dem Belvedere und dem Palais Schwarzenberg - einen der schönsten der Stadt. Rofrano war ein „austriacante“ der ersten Stunde, eine zentrale Figur in der Verschwörung des Principe di Macchia (in der sein eigener Bruder Pepe das Leben ließ) und wirkte als Mittelsmann zwischen Neapel, Rom, Barcelona und Wien. 1705 erhob ihn Erzherzog Karl (Karl III. als König von Spanien, Karl VI. als Kaiser) zum Grande von Spanien und Generalpostmeister für Italien, was Rofrano bedeutende Einkünfte sicherte. Ab 1713 saß er in Wien im Spanischen Rat mit Zuständigkeit für das neapolitanische Militärwesen. Er führte ein gastfreundliches Haus und spielte eine ansehnliche Rolle in der Hofgesellschaft (verheiratet mit einer Kollonitz, deren Familie in jener Zeit zwei Winer Bischöfe stellte). Nach Rofranos Tod ging der Palast an seinen Sohn Peter über, im Weiteren an die Tochter Maria Theresia, verheiratete Kinsky. 1760 verkaufte diese das Palais an den Prinzen von Sachsen-Hildburghausen (dessen Gemahlin Viktoria als Nichte des Prinzen Eugen das Belvedere geerbt hatte), dieser wiederum 1780 an den Fürsten Auersperg, dessen Namen es noch heute trägt.Die Fassade des 1721 von Rofrano erworbenen Palastes war, trotz reicher Dekoration, relativ einfach, mit Rustika im Erdgeschoß und einer kolossalen Pilasterordnung an den Obergeschoßen. Rofrano fügte in der Mitte einen polygonalen Risaliten hinzu, der 1885-1887 zusätzliche Freisäulen erhielt. Diese neubarocke Erweiterung mit unter anderem einem Eckpavillon mit Zwiebelkuppel gibt dem Palais seine heutige prunkvolle Erscheinung. De ursprüngliche Bau wurde Hildebrandt zugeschrieben, Rofranos Eckrisalit dagegen Fischer von Erlach (ausführender Baumeister Johann Christian Neupeuer), um, wie so oft, die Namen der beiden größten Barockarchitekten mit einem konkreten Bau in Verbindung zu bringen.Auch die Innenräume wurden mehrfach verändert: 1802 von Johann Henrici in klassizistischem Stil, dann 1853 und 1885. Der Ovalsalon wurde 1802 neu dekoriert und die Deckenmalerei des Solimena-Schülers Nicola Maria Rossi (ca 1699-ca 1755), der seit 1728 auch für den Vizekönig Harrach gearbeitet hatte, verschwand hinter einer Zwischendecke. Postille: Hugo von Hofmannsthal gab in seinem Libretto für die Oper <Der Rosenkavalier> der Figur des Octavian – eben dem Rosenkavalier – den Familiennamen Rofrano.

“Prospectus Palatii Marchionis de Rofrano et Principis de Copicio (sic) ante Portam aulicam ad Suburbium Josephinum” sta scritto sotto la tavola 63 della Vera et accurata delineatio tam Residentiae et Secessuum Caesareorum quam variorum ad Pricipes et Comites spectantium… qui partim in Caesarea Sede Vienna, partim in adjacentibus Suburbijs … oculis occurrunt dell’incisore Salomon Kleiner che celebra la Vienna barocca.Il palazzo – situato al limite della Josefstadt (VIII distretto di Vienna), sobborgo fondato dal marchese Ippolito Malaspina che ne aveva consigliato l’acquisto a Girolamo Capece di Rofrano (1660 ca. – 1724) – fino a metà Ottocento, aveva la vista libera sulla città, oltre la spianata. Montesquieu, che aveva visitato Vienna nel 1728, lo ricordava tra i più belli di Vienna, con il Belvedere e il palazzo Schwarzenberg. Rofrano era un austriacante della prima ora, figura centrale della congiura di Macchia (nella quale perì suo fratello Pepe), faceva d’intermediario tra Napoli e Roma, Barcellona, Vienna. Nel 1705 Carlo (III come pretendente al trono di Spagna e poi VI come Imperatore) lo fece Grande di Spagna e Maestro generale delle Poste d’Italia, fonte di cospicue entrate. Dal 1713 sedeva a Vienna nel Consiglio di Spagna con la responsabilità degli affari militari del viceregno. Padrone di casa ospitale, assunse un ruolo brillante nella società di Corte (sposato a una Kollonitz, famiglia che in quel periodo dava a Vienna due vescovi). Dopo la sua morte il palazzo passò al figlio Pietro e poi alla figlia Maria Teresa, andata in moglie ad un Kinsky. Nel 1760 fu venduto al principe Sachsen-Hildburghausen (la cui moglie Vittoria, in quanto nipote del principe Eugenio aveva ereditato del Belvedere) e nel 1780 al principe Auersperg, nome che porta ancora oggi.La facciata del palazzo acquistato 1721 da Rofrano, benché riccamente decorato, era relativamente semplice, con bugne lisce al piano terra e un ordine colossale di paraste ai piani superiori. Rofrano subito fece costruire un avancorpo centrale poligonale, cui nel 1885-87 fu aggiunto un colonnato. Quest’ampliamento neo-barocco, con tra l’altro un padiglione con cupola a cipolla, gli conferisce l’odierno aspetto sontuoso. L’edificio originale si attribuiva a Hildebrandt, l’avancorpo di Rofrano (eseguito dal capo-mastro Johann Christian Neupauer) a Fischer von Erlach, legando così i due nomi maggiori del barocco viennese al palazzo (come nel Napoletano capitava con Vanvitelli).Pure gli interni furono modificati ripetutamente. Nel 1802 da Johann Henrici in stile neoclassico, poi nel 1853 e ancora nel 1885. Il salone ovale fu ridecorato nel 1802 e le pitture della volta di Nicola Maria Rossi (ca. 1699 – ca. 1755), allievo di Solimena che dal 1728 aveva lavorato anche per il vicerè Harrach, furono nascoste con un contro soffitto. Postilla: Hugo von Hofmannsthal nel suo libretto per l’opera lirica Der Rosenkavalier (1911) di Richard Strauss, a Octavian – il cavaliere della rosa – attribuì il cognome Rofrano.

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Nicola Maria Rossi, 1730Il corteo del viceré Harrach in uscita

dal Palazzo Reale di Napoli

Nicola Maria Rossi, 1730Das Gefolge des Vizekönigs Harrach verlässt den Palazzo Reale in Neapel

Palazzo Harrach (Wolfgang Prohaska) Palais Harrach (Wolfgang Prohaska)Per trovare a Vienna tracce di architettura e di decorazioni pittoriche della scuola napoletana è necessario ricostruire idealmente la città per quello che era una volta. Bisogna riandare con la memoria a quel breve periodo di tempo in cui i viceré austriaci e gli aristocratici dell’Europa centrale si sono potuti permettere di abbellire i loro palazzi viennesi con decorazioni del sud Italia. Con poche eccezioni, gli artisti napoletani di successo non volevano viaggiare al nord,climaticamente abbastanza respingente, e Solimena è un esempio eloquente di questo rifiuto: il capriccioso pittore-principe si lasciò insistentemente pregare, producendo capolavori decorativi da Napoli, spesso in ritardo, oppure offrendo ai clienti dell’Europa centrale lavori eseguiti da suoi allievi, come Nicola Maria Rossi, che è stato l’unico pittore napoletano a recarsi personalmente a Vienna per dipingere il non conservato affresco nel palazzo del conte Rofrano (oggi Palais Auersperg). Gli enormi dipinti di Rossi per il giardino del palazzo Harrach sulla Rennweg a Vienna, così come le tre tele monumentali raffiguranti cerimonie in chiesa con il viceré Harrach, furono invece eseguiti e inviati direttamente da Napoli.I grandi palazzi dei Daun, degli Schönborn,nonché degli Harrach furono nuovamente costruiti, a seguito della difesa dall’assedio turco di Vienna nel 1683, sul Freyung, tutto intorno alla Chiesa degli Scozzesi, uno dei luoghi più rappresentativi di Vienna. Di quel che il compagno d’armi del principe Eugenio, il conte Wirich Daun, portò o ordinò da Napoli, non esistono purtroppo evidenze storiche: gli originali allestimenti napoletani del 1713-18 del Palais Daun, costruito da Johann Lucas von Hildebrandt, sono infatti andati distrutti. Come pure è rimasto pochissimo delle originali decorazioni del Palazzo Harrach sul Freyung.L’architettura del Palais Harrach segna l’inizio del diffondersi del Barocco nell’edilizia a Vienna. Tra il 1689/90 ed il 1696 fu costruito, su commissione del conte Ferdinand Bonaventura Harrach (1636-1706), un nuovo palazzo. Arrivò così una nuova ondata che si allontanava dalle solite tradizioni avvicinandosi alle più moderne tendenze dell’architettura barocca di Roma. I danni della seconda guerra mondiale hanno malauguratamente lasciato integra solo la monumentale scalinata e la facciata in stile capitolino dell’originaria costruzione dell’architetto tirolese Christian Alexander Oedtl(circa 1661-1737) e del collega formatosi a Roma Domenico Martinelli (1650-1719). Questa ampia scala era una novità per i palazzi di Vienna ed è stata elogiata dal proprietario e giramondo come una creazione dello spazio particolarmente “bella e gentile” rispetto agli equivalenti francesi e spagnoli. Harrach diceva infatti che rispetto alla scala del palazzo Tuileries di Parigi “la mia (scala) ... ha una migliore proporzione, perché è ampia e per niente ripida”. Per il periodo in cui è stata costruita, la scalinata è insolitamente pomposa e ricca di colori. Una scala centrale conduce a una piattaforma, da cui si raggiungono due bracci laterali. Le balaustre in marmo rosso di entrambi i bracci terminano con dei vasi. Due grandi portali in marmo rosso, ognuno decorato con lo stemma Harrach (una palla d’oro, che racchiude tre piume di struzzo argento), offrono l’accesso all’anticamera e, a seguire, alle camere del piano nobile, non più esistenti nella loro forma originaria.

S u c h t m a n i n W i e n n a c h S p u r e n n e a p o l i t a n i s c h e r A r c h i t e k t u r u n d Palastdekoration, so ist es häufig so, dass man das rekonstruieren muss, was einmal war, zu kurz war die Zeit, als österreichische Vizekönige, mitteleuropäische Aristokraten ihre Wiener Palazzi mit süditalienischen Dekorationen ausstatten konnten. Mit wenigen Ausnahmen wollten die erfolgreichen neapolitanischen Künstler nicht in den auch klimatisch abweisenden Norden reisen – Solimena ist ein beredtes Beispiel für diese Weigerung, der kapriziöse Malerfürst liess sich inständig bitten, lieferte Ausstattungsstücke, häufig verspätet oder seine mitteleuropäischen Klienten m u s s t e n m i t W e r k s t a t t m i t g l i e d e r n i h r A u s l a n g e n f i n d e n : d e r Solimena-Schüler Nicola Maria Rossi war der einzige neapolitanische Maler, der sich für kurze Zeit selbst nach Mitteleuropa begab, um (nicht erhaltene) Fresken für den Palast des Grafen Rofrano (das heutige Palais A u e r s p e r g ) z u m a l e n - R o s s i s r i e s i g e n D e c k e n b i l d e r f ü r d e n Gartenpalast der Harrach am Rennweg in Wien wurden ebenso so wie die drei monumentalen Gemälde mit kirchlichen Zeremonien des Vizekönigs Harrach aus Neapel geschickt.Auf der Freyung, auf einem der repräsentativsten Plätze in Wien, sind nach der Abwehr der türkischen Belagerung Wiens 1683 um die Kirche der Schotten die grossen Adelspaläste der Daun, der Schönborn auch jener der Harrachs neu erbaut worden. Über das, was Prinz Eugens Waffengefährte, Graf Wirich Daun, aus Neapel mitbrachte oder in Auftrag gab, ist die Geschichte unfreundlich hinweggegangen: die originale neapolitanische Ausstattung des von Johann Lucas von Hildebrandt 1713-18 erbauten Palais Daun wurde in alle Winde zerstreut. So ist auch von der ursprünglichen Dekoration des Stadtpalastes der Harrach auf der Freyung, kaum etwas erhalten.Die Architektur des Palais Harrach steht am Beginn der Entwicklung des hochbarocken Palastbaues in Wien. 1689/90-1696 wurde im Auftrag des Grafen Ferdinand Bonaventura Harrach (1636-1706) ein neuer Palast errichtet. Es kam zu einer Abkehr von den bisher üblichen Bautraditionen und einer Neuorientierung an der Barockarchitektur Roms. Umbauten und Zerstörungen im zweiten Weltkrieg haben von dem Bau des tiroler Baumeisters Christian Alexander Oedtl (um 1661-1737) und des vom B a u h e r r n d a n n h i n z u g e z o g e n e n i n R o m a u s g e b i l d e t e n A r c h i t e k t e n Domenico Martinelli (1650-1719) neben der „römischen“ Fassade mit Riesenpilastern nur das monumentale Treppenhaus übriggelassen. Dieses weiträumige Treppenhaus war ein Novum im Palastbau Wiens und wurde schon vom weitgereisten Bauherrn im Vergleich mit französischen und spanischen Anlagen als besonders „schöne und galante“ Raumschöpfung gerühmt. Harrach meinte, dass „die meinige (Treppe)“ im Vergleich zum Treppenhaus des Pariser Tuilerien-Palastes “eine bessere Proportion habe, dann sie weiter und nit so gach (steil) ist“ . Der Stiegenaufgang ist für d i e Z e i t s e i n e r E r b a u u n g u n g e w ö h n l i c h p r u n k v o l l u n d f a r b i g . E i n e Mitteltreppe führt zu einem Wendepodest, von dem man dann gegenläufig ü b e r z w e i s e i t l i c h e A r m e d i e B e l e t a g e e r r e i c h t . D i e r o t e n Marmorbalustraden dieser Arme sind an ihren Enden mit Vasen besetzt. Zwei reiche Rotmarmor-Portale jeweils verziert mit dem Harrachschen Wappen (eine goldene Kugel, die mit drei silbernen Straussenfedern besteckt ist )- ermöglichen den Zugang zur Antecamera und im weiteren zu den nicht mehr im Original erhaltenen Räumen der Beletage.

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Antonio JoliWestsicht auf Neapel

Antonio JoliNapoli da Occidente

Castello Hof (Nicola Spinosa) Schloss Hof (Nicola Spinosa)Per rendere pacifici e stabili i rapporti un tempo conflittuali tra i Borbone di Spagna e gli Asburgo d’Austria, Carlo III, sul trono di Madrid dal 1759, decise di fare unire in matrimonio il figlio terzogenito, Ferdinando IV re di Napoli, con una delle figlie dell’Imperatrice Maria Teresa. Scomparse prematuramente, nel 1764, prima Giovanna, poi Maria Giuseppa, la scelta cadde su Maria Carolina, che sposò Ferdinando per procura il 7 aprile 1765 e raggiunse Napoli nel maggio 1768. Di lì a poco fu affidato ad Antonio Joli, pittore di origine modenese affermatosi, dopo essersi formato nell’atelier di Giovanni Paolo Pannini, quale autore di scenografie teatrali e di vedute urbane, trasferitosi definitivamente a Napoli nel 1762 come scenografo del Real Teatro di San Carlo, l’incarico di realizzare una serie di dodici vedute della Capitale meridionale, da spedire a Vienna sia quale ‘omaggio’ all’Imperatrice, sia per far conoscere alla corte viennese angoli e aspetti diversi della città “all’ombra del Vesuvio”. La serie, realizzata da Joli con la collaborazione di aiuti e replicando in molti casi vedute già dipinte per vari committenti e collezionisti stranieri (da Lord Brudenell a Sir William Hamilton), fu collocata nella sala da pranzo dello Schloss Hof, già residenza di campagna del principe Eugenio di Savoia dal 1725, entrata in possesso dalla metà del Settecento dell’Imperatrice Maria Teresa, ma nel 1786 fu trasferita nel Castello di Luxenburg e successivamente fu spostata al Kunsthistoriches Museum di Vienna, da dove, ridotta a dieci unità per la scomparsa di due vedute, solo dopo un recente restauro è stata riportata nello Schloss Hof e ricollocata nella sede originaria. Le singole vedute, dipinte con un taglio che evidenzia le preferenze del pittore per soluzioni di studiato effetto scenografico, teatrale e spettacolare, documentano aspetti e momenti diversi della città di Napoli alla metà del Settecento, quando fu, per colti e raffinati viaggiatori stranieri, tappa obbligata, dopo Venezia, Firenze e Roma, del Grand Tour d’Italie. Ogni dipinto è un nitido ed emozionato ‘ritratto’ di angoli della capitale meridionale obbligati e ormai ‘canonici’ nell’ambito della tradizione vedutistica napoletana iniziata nel primo Settecento con Gaspar van Wittel: Napoli vista dal mare, ‘ripresa’ da oriente e dalla chiesa del Carmine o da occidente e dalla spiaggia di Mergellina; Napoli con la Darsena mentre Carlo di Borbone s’imbarca per la Spagna; il borgo e il porticciuolo di Santa Lucia col Vesuvio fumante sullo sfondo; la Reggia di Capodimonte con Ferdinando giovanissimo a cavallo, insieme ai dignitari di corte e, in lontananza, fino alla collina con la Certosa di San Martino e Castel Sant’Elmo, la città sotto un sole accecante; il Largo del Castello brulicante di bancarelle e scenette di vita popolare; il lungomare con il corteo reale verso il Santuario della Madonna di Piedigrotta; il promontorio di Posillipo con il mare antistante ‘affollate’ di barche reali e imbarcazioni diverse per l’annuale festa della Posillicata; le torri delle antiche mura aragonesi con la corte che assiste al gioco della ‘palla a bracciale’. Tuttavia, al di là della lucida ripresa di questi angoli, aspetti e momenti diversi della realtà urbana napoletana il ‘ritratto’ più affascinante che ne deriva, anche per qualità di luci e atmosfere colorate, quello di una città nella quale s’intrecciano e si confondono indissolubilmente “natura e artificio”, paesaggio e architettura, sacro e profano, miseria e nobiltà.E allora, come non pensare che l’Augusta Imperatrice, seduta al tavolo da pranzo di Schloss Hof, non abbia provato un po’ d’invidia per sua figlia Carolina a Napoli, volgendo lo sguardo ammirato verso queste solari e suggestive immagini della mitica Partenope?

Karl III., spanischer König seit 1759, beschloss seinen drittgeborenen Sohn, Ferdinand IV., König von Neapel mit einer der Töchter Kaiserin Maria Theresias zu verheiraten, um damit die Beziehungen zwischen den spanischen Bourbonen und den österreichischen Habsburgern, friedlich und stabil werden zu lassen. Da Johanna und Maria Josepha in den 1760er Jahren sehr jung verstarben, fiel die Wahl auf Maria Karolina, welche Ferdinand im Rahmen einer Trauung per Stellvertreter am 7. April 1765 heiratete und die im Mai 1768 in Neapel einlangte. Antonio Joli aus Modena, Schüler von Giovanni Paolo Pannini, bekannt als Kulissen- und Vedutenmaler, der ab 1762 nach seiner Anstellung als Kulissenmaler am Königlichen Theater San Carlo ständig in Neapel weilte, erhielt bald nach der Hochzeit den Auftrag 12 Veduten Neapels zu malen. Diese sollten an Maria Theresia nach Wien gesandt werden, einerseits als diplomatisches Geschenk, andererseits um am Wiener Hof verschiedene Ansichten und Aspekte der Stadt „im Schatten des Vesuv“ bekannt zu machen. Die von Joli und seinen Werkstattgehilfen erstellte Serie ähnelte in vielen Fällen Veduten, die für verschiedene nicht-italienische Auftraggeber und Sammler erstellt worden waren (von Lord Brudenell bis Sir William Hamilton) und wurde im Speisesaal von Schloss Hof aufgestellt, Landsitz von Eugen von Savoyen seit 1725 und seit der Mitte des 18. Jahrhunderts im Besitz von Maria Theresia. 1786 wurden die Veduten Jolis in das Schloss Luxenburg verbracht und in der Folge in das Kunsthistorische Museum, von wo nach einer vor Kurzem durchgeführten Restaurierung 10 Gemälde der Serie wieder nach Schloss Hof zurückgebracht und wieder am ursprünglichen Aufstellungsort angebracht wurden. Die Veduten weisen ein Format auf, in dem das Interesse des Malers für die Perspektiveffekte von Theaterkulissen anklingt und zeigen verschiedene Aspekte wie Blickpunkte Neapels um die Mitte des 18. Jahrhunderts, als die Stadt neben Venedig, Florenz und Rom integrativer Bestandteil der Grand Tour d’Italie war. Jedes einzelne Gemälde ist ein klar umrissenes und gefühlvolles ‘Porträt’ verschiedenster Teile der süditalienischen Hauptstadt, die zu den unvermeidbaren und nunmehr ‘kanonischen’ Elementen seit dem Beginn der Veduten-Tradition Neapels mit Gaspar van Wittel am Beginn des 18. Jhs. gehören: Die Stadt vom Meer aus gesehen, Neapel von Osten und von der Chiesa del Carmine oder von Westen bzw. vom Strand des Stadtteils Mergellina; Der Hafen Neapels mit der Abfahrt Karls von Bourbon nach Spanien, der Stadtteil Santa Lucia mit seinem kleinen Hafen und dem rauchenden Vesuv im Hintergrund; der Capodimonte-Palast mit dem jungen Ferdinand zu Pferd mit den Würdenträgern des Hofes und in der Ferne die Kartause San Martino mit dem Kastell Sant’Elmo; die Stadt in der prallen Sonne; der Platz vor dem Kastell mit seinen Verkaufsständen und Szenen aus dem Leben des Volkes; die Strandpromenade mit dem königlichen Festzug zum Heiligtum der Madonna di Piedigrotta; der Hügel Posillipo und das Meer davor mit den königlichen Schiffen und anderen Booten des alljährlich stattfindenden Posillicata–Festes; die Türme der mittelalterlichen aragonesischen Mauern und der Hofstaat, der dem Ballspiel mit Schlaghandschuh (‘palla a bracciale’) beiwohnt. Durch die nahezu fotografische Wiedergabe dieser verschiedenen Blickpunkte, Aspekte und Momente des Lebens in Neapel zeichnet sich, nicht zuletzt dank der aufwendigen Lichtführung und Farbgebung, ein faszinierendes ‘Porträt’ einer Stadt ab, in der sich „Natur und von Menschenhand Geschaffenes“, Landschaft und Architektur, Sakrales und Profanes sowie Armut und der Reichtum des Adels untrennbar miteinander verbinden und einander durchdringen. Es fällt leicht, sich vorzustellen, dass Maria Theresia ihre in Neapel weilende Tochter Karolina nur beneiden konnte, wenn sie im Speisesaal von Schloss Hof die von der Sonne erfüllten und suggestiven Bilder der süditalienischen Hauptstadt bestaunte.

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Francesco Solimena 1730Resurrezione di Cristo

Francesco Solimena 1730Auferstehung Christi

Belvedere Superiore (Nicola Spinosa) Oberes Belvedere (Nicola Spinosa)Quando il principe Eugenio di Savoia decise di far decorare la Cappella e le volte di alcune sale al ‘piano nobile’ del palazzo superiore sulla collina fuori le mura di Vienna, fatto edificare tra il 1717 e il 1723 su progetto di Hildebrandt, la scelta non poteva non cadere su due tra i maggiori esponenti della “grande decorazione” attivi allora a Napoli, capitale del regno meridionale dal 1707 sotto la Corona Imperiale: Francesco Solimena e Giacomo Del Po. I due, impegnati a Napoli per vasti interventi a fresco e su tela in chiese e palazzi monumentali, si collocavano nel solco della luminosa tradizione locale che, iniziata nel primo Seicento con Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione e Domenico Gargiulo, era proseguita trionfalmente con il barocco illusivo e fantastico di Luca Giordano fino agli inizi del Settecento. Giacomo Del Po, più vicino ai modi di quest’ultimo di Giordano per soluzioni di raffinata inclinazione rocaille, venne incaricato dal principe di dipingere i soffitti dell’Anticamera con la tela raffigurante l’Apoteosi di un eroe guerriero, della Sala delle Conferenze con l’Apoteosi dell’eroe pacifico e della Sala delle Udienze con la Trionfale accoglienza dell’eroe nell’Olimpo (le tele furono realizzate e spedite da Napoli tra il 1723 e il 1726). A Francesco Solimena, invece, impegnato in composizioni di sontuosa e studiata monumentalità, nei modi prima di Mattia Preti, poi del recente classicismo romano, e che nel 1707 aveva dipinto il superbo Ritratto dell’Arciduca Carlo d’Asburgo come III re di Spagna (Napoli, Museo di Capodimonte), nel 1713-1719 la grande tela con Fetonte che chiede di guidare il carro del Sole (rimossa nel 1789 e conservata nella Galleria Nazionale di Praga; bozzetto al Crocker Art Museum di Sacramento, California) per il soffitto di uno dei saloni del palazzo viennese del conte Wirich Daun, allora viceré di Napoli, e che per lo stesso principe Eugenio avrebbe dipinto anche la Deposizione per la Cappella della residenza estiva di Schloss Hof (spedita a Vienna nel 1728 e poi trasferita presso il Kunsthistorisches Museum), spettò dipingere la tela con Aurora che rapisce Cefalo per il soffitto della Sala degli Specchi (spedito a Vienna tra il 1730 e il 1731) e la Resurrezione di Cristo (bozzetto nella Österreichische Galerie) per l‘altare della Cappella. Purtroppo, mentre la Resurrezione è ancora nella sede originaria, la tela di Del Po con la Trionfale accoglienza dell’eroe nell’Olimpo e quella di Solimena con Aurora che rapisce Cefalo sono andate distrutte nel 1950 per un incendio. Di tutti i dipinti di Del Po e della tela di Solimena si conservano, tuttavia, i relativi bozzetti nel Castello di Opocno, presso Praga, e nella Residenzgalerie di Salisburgo, consentendo di valutare a pieno le qualità per le quali i due pittori furono scelti. Infatti, non solo la presenza a Vienna delle opere realizzata a Napoli per Vienna da Giacomo Del Po e da Francesco Solimena, come da Paolo De Matteis (palazzo Daun) e Nicola Mari Rossi (residenza Harrach), ebbe notevole incidenza sulla formazione e sulle scelte dei giovani pittori locali, ma, pur con la convenzionale illustrazione di soggetti allegorici e celebrativi, ebbe anche il pregio d’invadere gli spazi dei sontuosi dell’aristocrazia viennese di quell’atmosfera mediterranea, fatta di luci e colori che sono parte rilevante non solo dell’arte, ma anche o soprattutto della libera e feconda immaginazione di tanti napoletani, non solo del XVIII secolo.

Als Prinz Eugen von Savoyen beschloss, die Kapelle und die Decken einiger Säle im ‘piano nobile’ des Oberen Belvedere, das zwischen 1717 und 1723 nach einem Entwurf Hildebrandts auf einem Hügel außerhalb der Mauern Wien errichtet worden war, dekorieren zu lassen, fiel die Wahl auf die wichtigsten Vertreter der großflächigen Dekorationsmalerei aus Neapel, seit 1707 Hauptstadt des gleichnamigen Königreiches unter der Kaiserlichen Krone, namentlich Francesco Solimena e Giacomo Del Po. Die beiden erstellten ebendort großflächige Fresken sowie Gemälde für bedeutende Kirchen und Paläste gemäß der wichtigen neapolitanischen Malereitradition des Lichts, die zu Beginn des 17. Jhs. mit Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione e Domenico Gargiulo ihren Ausgang genommen hatte und mit dem fantasiereichen Barock eines Luca Giordano bis an den Beginn des 18. Jhs. reichte. Giacomo Del Po, dessen Stil jenem von Giordano in Bezug auf die eleganten Rocaille-Elemente (Muschelwerk) näher steht, wurde von Prinz Eugen damit beauftragt, die Decke des Vorraumes mit einem Gemälde der „Apotheose eines kriegerischen Helden“, jene des Konferenzsaales mit einer „Apotheose des friedfertigen Helden“ sowie den Audienzsaal mit der „triumphalen Aufnahme des Helden im Olymp“ auszugestalten. Francesco Solimena, der hingegen Gemälde von prunkvoller wie gut durchdachter Monumentalität erstellte, zunächst in der Tradition von Mattia Preti, dann in jener des jüngeren römischen Klassizismus, hatte zunächst 1707 das herrliche „Porträt des Erzherzogs Karl von Habsburg als 3. gleichnamiger König Spaniens“ (Neapel, Capodimonte-Palast) gemalt sowie zwischen 1713 und 1719 das großformatige Bild „Phaeton bittet Apoll, den Sonnenwagen lenken zu dürfen“ für die Decke einer der Säle des Wiener Stadtpalais des Grafen Wirich Daun, der damals Vizekönig von Neapel war. Für Prinz Eugen erstellte er auch die „Kreuzabnahme“ für die Kapelle seines Sommersitzes Schloss Hof (diese wurde 1728 nach Wien überstellt und in der Folge ins Kunsthistorische Museum verbracht). In Hinblick auf die Dekoration des Oberen Belvedere erhielt Solimena die Aufträge für das Gemälde „Aurora entführt den Cephalus“ für die Decke des Spiegelsaales sowie für die „Auferstehung Christi“ (Entwurfszeichnung in der Österreichischen Galerie) für den Altar der Kapelle. Während sich die „Auferstehung Christi“ noch immer an ihrem ursprünglichen Aufenthaltsort befindet, wurden das Gemälde von Del Po der „triumphalen Aufnahme des Helden im Olymp“ und jenes von Solimena der „Aurora, die Cephalus entführt“ leider 1950 bei einem Brand zerstört. Von allen Bildern von Del Po sowie vom Gemälde Solimenas haben sich jedoch die Entwürfe erhalten (aufbewahrt im Schloss Opočno bei Prag und in der Residenzgalerie Salzburg), an denen man die hohen künstlerischen Fertigkeiten der beiden Künstler ablesen kann. Die Präsenz in Wien der in Neapel erstellten Werke von Giacomo del Po und Francesco Solimena wie von Paolo De Matteis (Palais Daun) und Nicola Mari Rossi (Residenz der Familie Harrach) übte einerseits erheblichen Einfluss auf die Ausbildung und Themenwahl der jungen Maler in Wien aus, andererseits bewirkte sie, dass die mediterrane Atmosphäre mit ihren charakteristischen Licht- und Farbeffekten in den prächtigen Räumlichkeiten des Wiener Adels Einzug hielt. Diese Effekte sind nicht nur integrative Bestandteile der Kunst, sondern auch, wenn nicht vor allem der ungebundenen und schöpferischen Einbildungskraft vieler Neapolitaner.

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P.MetastasioLibretto von “Partenope”

P.MetastasioLibretto di “Partenope”

Hofburg (Dinko Fabris)

Partenope celebra il mito musicale di Napoli a Vienna

Per la prima volta il 9 settembre 1767 Partenope, allegoria in musica della città di Napoli, fu rappresentata a Vienna: più che di una vera opera, si trattava di una festa teatrale su testo di Pietro Metastasio “scritta per ordine sovrano dall’Autore in Vienna, e rappresentata … alla presenza de’ Regnanti nella Cesarea Corte, per celebrare i Regj Sponsali di FERDINANDO IV di Borbone, Re delle due Sicilie, e di MARIA-GIUSEPPA Arciduchessa d’Austria”. Nonostante i forti legami tra le due capitali, soltanto un’occasione eccezionale come le nozze reali, consentì l’omaggio della corte viennese alla città di Partenope. La musica era del Sassone Giovanni Adolfo Hasse, considerato un autore “napoletano” per i suoi anni di studio a Napoli con Alessandro Scarlatti. Quel che videro i viennesi nel 1767 era la messa in scena della fondazione da parte della Sirena Partenope della città che ne avrebbe portato il nome. I personaggi che cantano sono Alceo (sacerdote del tempio di Partenope), Cleanto (principe di Cuma), Filandro (principe di Miseno), Elpinice (promessa sposa di Cleanto), Ismene (principessa di Posidonia e promessa sposa di Filandro) e Venere nel finale. La trama dello spettacolo è basata su un equivoco, sciolto ovviamente solo nel finale: il sacerdote Alceo annuncia che è giunto il felice giorno delle duplici nozze di Elpinice con Cleanto e di Ismene con Filandro (chiara rappresentazione delle nozze reali festeggiate a Vienna e a Napoli). Questo clima festoso è però sconvolto da un messaggio degli dei comunicato da Alceo: Cleanto dovrà sposare Ismene per poi fondare con lei la città di Partenope. Come nel mozartiano Così fan tutte, le coppie di giovani dovranno dunque essere scambiate per volere del cielo. Ovviamente i quattro innamorati sono disperati e Cleanto decide di partire. Lo ferma il suo amico Filandro che gli annuncia che tutto è cambiato e gli sarà concesso di sposare Elpinice. Giunto al tempio, Cleanto sente però riecheggiare dalla folla il suo nome insieme a quello di Ismene e crede di essere stato tradito. Ma Alceo spiega l’arcano: Elpinice ed Ismene erano state allevate da una stessa nutrice che ne aveva scambiati i nomi: Elpinice era infatti di “umil fortuna” mentre Ismene era l’erede al trono di Posidonia. Tutto è dunque chiarito e le due coppie possono ora sposarsi felici. Giunge nel finale Venere accompagnata da due cori rivolgendosi ai festeggiati viennesi “due de’ Borboni, e degli Austriaci Eroi / rampolli eccelsi…” e ribadendo la fedeltà del popolo di Partenope ai due sovrani. Il libretto stampato a Vienna nel 1767 è ricolmo di simboli iconografici tra cui la Sirena Partenope con la lira e altre Sirene festanti. Dopo la pronta replica a Napoli già il 20 settembre dello stesso anno, il testo metastasiano, con la musica di Hasse, ebbe ancora un’intensa circolazione europea per i vent’anni successivi, unendo simbolicamente le due capitali della musica europea: Vienna e Napoli.

Hofburg (Dinko Fabris)

Partenope besingt in Wien den musikalischen Mythos von Neapel

Zum ersten Mal wurde Partenope, eine musikalische Allegorie der Stadt Neapel, am 9. September 1767 in Wien aufgeführt: mehr als um eine richtige Oper handelte es sich um einen musikalisch-szenischen F e s t a k t n a c h e i n e m T e x t v o n P i e t r o M e t a s t a s i o , d e r , w i e d a s Titelblatt aussagt, vom Autor im kaiserlichen Auftrag für die Wiener Feierl ichkeiten anlässl ich der Vermählung des Königs von Neapel, Ferdinand IV. aus dem Haus Bourbon, und der Erzherzogin Maria Josepha geschrieben wurde. Trotz der intensiven Verbindungen zwischen den beiden Hauptstädten bedurfte es doch einer außergewöhnlichen Gelegenheit als Anlass für eine Huldigung des Wiener Hofes an die Stadt der Partenope zu rechtfertigen. Die Musik stammte von dem S a c h s e n J o h a n n A d o l f H a s s e , d e r w e g e n s e i n e r i n N e a p e l b e i A l e s s a n d r o S c a r l a t t i v e r b r a c h t e n S t u d i e n z e i t a l s „ n e a p o l i t a n i s c h e r ” Komponist eingestuft wurde. Was in Wien 1767 aufgeführt wurde, war die theatralische Umsetzung der Gründungslegende der Stadt Neapel, deren Namen auf die Sirene Partenope zurückgeht. Es treten auf: Alceo (Priester des Tempels der Partenope), Cleanto (Prinz von Cumae), Filandro (Prinz von Miseno), Elpinice (Verlobte von Cleanto), Ismene (Prinzessin von Posidonia (Paestum) und Verlobte von Filandro) sowie Venus im Finale. Die ganze Handlung dreht sich um ein Missverständnis, das natürlich erst im Finale aufgeklärt wird: der Priester Alceo verkündet, dass der glückliche Tag der Doppelhochzeit von Elpinice mit Cleanto und von Ismene mit Filandro gekommen sei (eine klare Anspielung auf doppelt, in Wien und Neapel, gefeierte Hochzeit). Die festliche Stimmung wird jedoch durch eine Nachricht der Götter erschüttert, die Alceo überbringt: Cleanto muss Ismene heiraten, um sodann mit ihr die Stadt Partenope zu gründen. Ähnlich wie in Così fan tutte müssen die jungen Paare, hier auf Wunsch des H i m m e l s , v e r t a u s c h t w e r d e n . D i e v i e r V e r l i e b t e n s i n d n a t ü r l i c h verzweifelt und Cleanto beschließt abzureisen. Sein Freund Filandro hält ihn zurück und teilt ihm mit, dass alles ganz anders sei und d a s s e r E l p i n i c e h e i r a t e n d ü r f e . B e i m T e m p e l a n g e k o m m e n h ö r t C l e a n t o j e d o c h s e i n e n N a m e n z u s a m m e n m i t d e m v o n I s m e n e widerhallen und befürchtet Verrat. Aber Alceo kann alles aufklären: Elpinice und Ismene waren von ein- und derselben Amme aufgezogen w o r d e n , d i e i h r e N a m e n v e r t a u s c h t h a t t e : C l e a n t o s V e r l o b t e i s t tatsächlich Ismene, die Erbin des Throns von Posidonia, während die richtige Elpinice von bescheidener Herkunft ist. Nun ist also alles geklärt und die beiden Paare können sich glücklich vermählen. Im Finale erscheint Venus in Begleitung zweier Chöre und wendet sich an die Brautleute: Partenopes Volk wird den Sprösslingen der beiden großen Dynastien immer treu sein. Das 1767 in Wien gedruckte Libretto ist reich an ikonographischen Anspielungen, wie einem Bild der Sirene Partenope mit der Leier und anderer festlich gestimmter Sirenen. Bereits am 20. September desselben Jahres wurde die festa teatrale in Neapel aufgeführt. Metastasios Text in der Vertonung von Hasse waren noch für etwa zwanzig Jahre zahlreiche Wiederholungen in ganz Europa beschieden. So blieben die beiden Hauptstädte europäischer Musik, Neapel und Wien, symbolisch vereint.

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me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi

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Salomon KleinerMarmorgalerie, 1740

Salomon KleinerGalleria di Marmo, 1740

Belvedere Inferiore (Jörg Garms) Unteren Belvedere (Jörg Garms)I l p a l a z z o s u b u r b a n o d e l p r i n c i p e E u g e n i o d i S a v o i a ( 1 6 6 3 – 1 7 3 6 ) – o p i u t t o s t o i d u e p a l a z z i s i t u a t i n e l l a p a r t e b a s s a e i n q u e l l a a l t a d i u n a c o l l i n a p o c o d i s t a n t e d a l l e m u r a d e l l a c i t t à – s o n o f o r s e i l m e g l i o c h e V i e n n a h a d a o f f r i r e n e l l ’ a r t e d e l l ’ a r c h i t e t t u r a . F u r o n o c o s t r u i t i d a J o h a n n L u c a s v o n H i l d e b r a n d t ( 1 6 6 8 – 1 7 4 5 ) , n e l 1 7 1 2 – 1 7 1 7 e n e l 1 7 1 7 – 1 7 2 3 , p e r i l g r a n d e g e n e r a l e a l l o r a a l l ’ a p i c e d e l l a s u a f a m a . I l p i ù m o d e s t o p a l a z z o i n f e r i o r e s e r v i v a d a r e s i d e n z a e s t i v a , i l s u p e r i o r e p e r l a r a p p r e s e n t a n z a . L a ‘ g a l l e r i a d i m a r m o ’ n e l l ’ a l a d e s t r a d e l p a l a z z o i n f e r i o r e è l u n g a s o l o c i n q u e a s s i e n o n è r i v e s t i t a d i m a r m i , m a d i s t u c c o , r o s s i c c i o ( i l t i p i c o c o l o r e d e l m a r m o a u s t r i a c o ) p e r l e m e m b r a t u r e e b i a n c o . T u t t a l a d e c o r a z i o n e a l l u d e a l l a g l o r i a m i l i t a r e d e l p r o p r i e t a r i o .L e p a r e t i s o n o s c a n d i t e d a s e t t e n i c c h i e c o n s t a t u e a n t i c h i z z a n t i d e l l o s c u l t o r e g e n o v e s e D o m e n i c o P a r o d i ( 1 6 7 2 – 1 7 4 2 ) . L o s t a t o a t t u a l e d e l l u o g o c o r r i s p o n d e a l l ’ o r i g i n a l e – d o c u m e n t a t o d a l l a s o n t u o s a p u b b l i c a z i o n e d e l l ’ i n c i s o r e d i A u g u s t a S a l o m o n K l e i n e r c h e c i h a t r a m a n d a t o l ’ i m m a g i n e d e l l a V i e n n a b a r o c c a ( W u n d e r w ü r d i g e s K r i e g s - u n d S i e g e s - L a g e r E u g e n i i F r a n c i s c i H e r t z o g e n z u S a v o y e n u n d P i e m o n t . . . , u s c i t o 1 7 3 8 s s . ) – c o n u n a e c c e z i o n e : n e l l a p r i m a , n e l l a t e r z a e n e l l a q u i n t a n i c c h i a d e l l a t o l u n g o s i t r o v a v a n o l e s t a t u e d e l l e t r e H e r c u l a n e r i n n e n , l e p i ù c e l e b r i s t a t u e p a n n e g g i a t e f e m m i n i l i a n t i c h e c o n o s c i u t e a l l o r a . L e t r e s t a t u e , u n a d o n n a a l t a 1 , 9 0 m e d u e r a g a z z e a l t e 1 , 7 0 m , e r a n o a r r i v a t e a V i e n n a a l l ’ i n i z i o d e l 1 7 1 3 c o m e r e g a l o d e l p r i n c i p e E m a n u e l e M a u r i z i o d ’ E l b œ u f , d i u n r a m o m i n o r e d e l l a c a s a d u c a l e d i L o r e n a , g e n e r a l e a l s e r v i z i o a u s t r i a c o a r r i v a t o a N a p o l i n e l 1 7 0 6 . D a l 1 7 0 9 i l p r i n c i p e a v e v a f a t t o c o s t r u i r e u n a p a l a z z i n a b a s s a s u l m a r e , a G r a n a t e l l o d i P o r t i c i c h e n e l 1 7 4 2 s a r à i n t e g r a t a a l l a r e s i d e n z a b o r b o n i c a d i P o r t i c i e c h e , a b b a s t a n z a s f i g u r a t a , s o p r a v v i v e a n c o r a o g g i . P e r l a d e c o r a z i o n e d e l l a v i l l a r a c c o g l i e v a m a t e r i a l i a n t i c h i t r o v a t i s u l p o s t o ; n e l 1 7 1 1 g l i c a p i t ò u n c o l p o d i f o r t u n a : s e g u e n d o i l p r e c e d e n t e d i u n p a n e t t i e r e d i R e s i n a , f e c e s c a v a r e n e l l u o g o c h e a n c o r a n o n s i s a p e v a e s s e r e E r c o l a n o e d a l t e a t r o t i r ò f u o r i n o v e s t a t u e . L e t r e p i ù b e l l e l e m a n d ò a V i e n n a , m a p o i f u r o n o v e n d u t e a l l a m o r t e d e l p r i n c i p e E u g e n i o a d A u g u s t o I I I d i S a s s o n i a , r e d i P o l o n i a , e n e l 1 7 3 6 a p p r o d a r a n o a D r e s d a . Q u i s a r a n n o i p r i m i o r i g i n a l i a n t i c h i c h e i l g i o v a n e W i n c k e l m a n n e b b e o c c a s i o n e d i s t u d i a r e e a n c o r a o g g i s o n o t r a i g i o i e l l i p i ù p o p o l a r i d e l m u s e o d i D r e s d a .

Il palazzo suburbano del principe Eugenio di Savoia (1663 – 1736) – o piuttosto i due palazzi situati nella parte bassa e in quella alta di una collina poco distante dalle mura della città – sono forse il meglio che Vienna ha da offrire nell’arte dell’architettura. Furono costruiti da Johann Lucas von Hildebrandt (1668 – 1745), nel 1712–1717 e nel 1717–1723, per il grande generale allora all’apice della sua fama. Il più modesto palazzo inferiore serviva da residenza estiva, il superiore per la rappresentanza. La ‘galleria di marmo’ nell’ala destra del palazzo inferiore è lunga solo cinque assi e non è rivestita di marmi, ma di stucco, rossiccio (il tipico colore del marmo austriaco) per le membrature e bianco. Tutta la decorazione allude alla gloria militare del proprietario. Le pareti sono scandite da sette nicchie con statue antichizzanti dello scultore genovese Domenico Parodi (1672 – 1742). Lo stato attuale del luogo corrisponde all’originale – documentato dalla sontuosa pubblicazione dell’incisore di Augusta Salomon Kleiner che ci ha tramandato l’immagine della Vienna barocca (Wunderwürdiges Kriegs- und Sieges-Lager Eugenii Francisci Hertzogen zu Savoyen und Piemont ..., uscito 1738 ss.) – con una eccezione: nella prima, nella terza e nella quinta nicchia del lato lungo si trovavano le statue delle tre Herculanerinnen, le più celebri statue panneggiate femminili antiche conosciute allora. Le tre statue, una donna alta 1,90 m e due ragazze alte 1,70 m, erano arrivate a Vienna all’inizio del 1713 come regalo del principe Emanuele Maurizio d’Elbœuf, di un ramo minore della casa ducale di Lorena, generale al servizio austriaco arrivato a Napoli nel 1706. Dal 1709 il principe aveva fatto costruire una palazzina bassa sul mare, a Granatello di Portici che nel 1742 sarà integrata alla residenza borbonica di Portici e che, abbastanza s f i g u r a t a , sopravvive ancora oggi. Per la decorazione della villa raccoglieva materiali antichi trovati sul posto; nel 1711 gli capitò un colpo di fortuna: seguendo il precedente di un panettiere di Resina, fece scavare nel luogo che ancora non si sapeva essere Ercolano e dal teatro tirò fuori nove statue. Le tre più belle le mandò a Vienna, ma poi furono vendute alla morte del principe Eugenio ad Augusto I I I d i S a s s o n i a , r e d i P o l o n i a , e n e l 1 7 3 6 approdarano a Dresda. Qui saranno i primi originali antichi che il giovane Winckelmann ebbe occasione di studiare e ancora oggi sono tra i gioielli più popolari del museo di Dresda.

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sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu

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me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi

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ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do lu ma me gi ve sa do

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Luca GiordanoMars und Venus, von Vulkan gefangen

Luca GiordanoMarte e Venere catturati da Vulcano

Accademia delle Belle Arti (Martina Fleischer) Akademie der bildenden Künste (Martina Fleischer)I l v i s i t a t o r e c h e e n t r a n e l l ’ A c c a d e m i a d i B e l l e A r t i d i V i e n n a , c o s t r u i t a t r a i l 1 8 7 2 e i l 1 8 7 7 d a T h e o p h i l H a n s e n , s i t r o v a i n u n p r o n a o a t r e n a v a t e , c a r a t t e r i z z a t o d a i c o l o r i r o s s o m a t t o n e , a n t r a c i t e e g r i g i o b l u , p r e s e n t i n e i r i v e s t i m e n t i d e l l e p a r e t i e f i n o n e i m i n i m i p a r t i c o l a r i d e l p a v i m e n t o a l l a v e n e z i a n a . L a p o l i c r o m i a s o t t o l i n e a e f f i c a c e m e n t e l a f u n z i o n e d i o g n i s i n g o l o e l e m e n t o a r c h i t e t t o n i c o . N e l l o s t e s s o t e m p o , a l l ’ i n s e g n a d e l G e s a m t k u n s t w e r k d i m a t r i c e s t o r i c i s t i c a , l e s i n g o l e p a r t i s i f o n d o n o i n u n i n s i e m e a r m o n i o s o .Q u a n d o l ’ A c c a d e m i a t r a s l o c a n e l n u o v o e d i f i c o d e l l o S c h i l l e r p l a t z , c o s t r u i t o d a H a n s e n e s i t u a t o t r a l ’ O p e r a e i g r a n d i m u s e i , h a g i à a l l e s p a l l e u n a s t o r i a l u n g a 1 8 5 a n n i . F o n d a t a n e l 1 6 9 2 l a s u a e v o l u z i o n e l a p o r t a a d e s s e r e l a m a s s i m a a u t o r i t à d e l l a m o n a r c h i a d a n u b i a n a i n m a t e r i a d ’ a r t e . N e l 1 8 2 2 u n a g a l l e r i a d i q u a d r i c o m p l e t a l e c o l l e z i o n i d i d a t t i c h e d i a r t i g r a f i c h e e d e l l a G l i t t o t e c a : t r a m i t e l a d o n a z i o n e g e n e r o s a d e l c o n t e L a m b e r g - S p r i n z e n s t e i n l ’ A c c a d e m i a a c q u i s i s c e u n a c o l l e z i o n e d i c i r c a 7 5 0 q u a d r i , r i n o m a t a a l i v e l l o i n t e r n a z i o n a l e . T u t t a v i a , s o l o l a s e d e h a n s e n i a n a p e r m e t t e r à d i a d e m p i r e l e c o n d i z i o n i p o s t e a s u o t e m p o d a l d o n a t o r e , c i o è d i r e n d e r e p u b b l i c a l ’ i n t e r a c o l l e z i o n e c h e a n c o r a o g g i è p o s s i b i l e v i s i t a r e n e l l e s a l e c o n c e p i t e a p p o s i t a m e n t e d a l g r a n d e a r c h i t e t t o .I l c o n t e A n t o n L a m b e r g - S p r i n z e n s t e i n ( 1 7 4 0 - 1 8 2 2 ) , r a m p o l l o d i u n a d e l l e p i ù n o t e f a m i g l i e d e l l a n o b i l t à a u s t r i a c a , f u a m b a s c i a t o r e i m p e r i a l e e a u s t r i a c o a N a p o l i d a l 1 7 7 8 - 1 7 8 4 . A l l a c o r t e p a r t e n o p e a e n e g l i a m b i e n t i i n t e l l e t t u a l i d e l l a c i t t à , a p e r t i a l l ’ i l l u m i n i s m o , e g l i p o t é i n c o n t r a r e G o e t h e , i l p i t t o r e H a c k e r t , S i r W i l l i a m H a m i l t o n . G r a n d e a m i c o d e l l e a r t i s i i n t e r e s s ò a i b o r s i s t i d e l l ’ A c c a d e m i a v i e n n e s e c o m e H e i n r i c h F r i e d r i c h F ü g e r o M i c h a e l W u t k y , i l p i t t o r e d e l V e s u v i o , e t a l v o l t a l i o s p i t ò d u r a n t e i l o r o s o g g i o r n i n a p o l e t a n i . F u u g u a l m e n t e a f f a s c i n a t o d a g l i s c a v i a r c h e o l o g i c i n e i d i n t o r n i d i N a p o l i . N e l 1 8 1 2 v e n d e r à c o n n o t e v o l e p r o f i t t o l a s u a f a m o s a c o l l e z i o n e d i v a s i a n t i c h i a l l ’ i m p e r a t o r e d ’ A u s t r i a F r a n c e s c o I .L a g r a n d e p a s s i o n e d i L a m b e r g e r a p e r ò l a p i t t u r a . D o p o i l s u o r i e n t r o d a N a p o l i e f i n o a l l a m o r t e s i i m p e g n ò a d a r r i c c h i r e e c o m p l e t a r e l a c o l l e z i o n e , c h e c o s ì r a g g i u n s e u n l i v e l l o v e r a m e n t e n o t e v o l e . S i i n t e r e s s ò p a r t i c o l a r m e n t e a l l a p i t t u r a o l a n d e s e e f i a m m i n g a d e l S e i c e n t o , a R e m b r a n d t , R u i s d a e l , H o o g s t r a t e n e R u b e n s , m a c o l l e z i o n ò a n c h e C r a n a c h , D i r k B o u t s o p p u r e H i e r o n y m u s B o s c h e i d i p i n t i d i v a r i e s c u o l e i t a l i a n e , t r a l e q u a l i p r e f e r ì q u e l l a n a p o l e t a n a . A c q u i s t ò s p l e n d i d e n a t u r e m o r t e d i G i u s e p p e R e c c o c o n p e s c i e d i n t e r n i d i c u c i n a , d u e e n o r m i t e l e d i L u c a G i o r d a n o ( M a r t e e V e n e r e e i l G i u d i z i o d i P a r i d e ) , e a n c h e u n a p a l a d ’ a l t a r e d i P a c e c c o d i R o s a ( S a n F r a n c e s c o ) e u n a r i c c h i s s i m a N a t u r a m o r t a d i N i c o l a M a l i n c o n i c o . P o c o t e m p o f a l a c o l l e z i o n e d i q u a d r i n a p o l e t a n i d e l l ’ A c c a d e m i a è s t a t a a r r i c c h i t a d a u n b o z z e t t o d i A g o s t i n o B e l t r a n o p e r u n a p a l a d ’ a l t a r e i n o n o r e d i S a n B i a g i o d e s t i n a t a a l l a c h i e s a d i S . M a r i a d e l l a S a n i t à a N a p o l i .

Dem Besucher, der Theophil Hansens von 1872 bis 1877 errichtete Akademie der bildenden Künste betritt, eröffnet sich ein dreischiffiger Pronaos, der von den Wandflächen bis ins kleinste Detail des Terrazzobodens durch Farbakzente in Ziegelrot, Anthrazit und Blaugrau geprägt ist. Funktion und Wirkung jedes einzelnen Architekturgliedes w e r d e n p o l y c h r o m u n t e r s t r i c h e n , g l e i c h z e i t i g s i n d , i m S i n n e d e s historistischen Gesamtkunstwerks, alle Teile harmonisch zueinander in Bezug gesetzt.Als die Akademie den Hansenbau am Schillerplatz bezieht, blickt s i e b e r e i t s a u f e i n e 1 8 5 j ä h r i g e G e s c h i c h t e z u r ü c k . 1 6 9 2 gegründet, entwickelt sie sich bis ins frühe 19. Jahrhundert zur maßgeblichen Kunstinstitution der Donaumonarchie. Ab 1822 darf sich die Akademie, n e b e n d e n L e h r s a m m l u n g e n K u p f e r s t i c h k a b i n e t t u n d G l y p t o t h e k zusätzlich über eine Gemäldegalerie freuen: das H a u s e r h ä l t d u r c h d i e g r o ß z ü g i g e S c h e n k u n g d e s G r a f Lamberg-Sprinzenstein eine international renommierte Sammlung von rund 750 Gemälden. Lambergs Auflage, die Bestände gänzlich der Öffentlichkeit zugänglich zu machen, wird allerdings erst in Theophil Hansens Neubau erfüllt. In dessen damals für die Sammlung konzipierten Räumen sind die Werke heute auch noch zu sehen. Anton de Paula Graf Lamberg-Sprinzenstein (1740-1822), Spross einer alt-österreichischen Adelsfamilie, ist als habsburgischer Diplomat 1778 – 1784 in Neapel tätig, wo er im aufgeklärten Ambiente des Hofes und der Stadt wie später Goethe mit dem Maler Hackert oder Sir William Hamilton zusammentrifft. Als Kunstfreund beherbergt er in seiner Residenz auch häufig Stipendiaten der Wiener Akademie, darunter Heinrich Friedrich Füger oder den Vesuvmaler Michael Wutky. Begeistert widmet er sich auch den archäologischen Ausgrabungen rund um Neapel. Seine letztlich zu großer Berühmtheit gelangende Sammlung antiker Vasen sollte er 1812 mit beträchtlichem Gewinn an Kaiser Franz II. (I.) verkaufen. Lambergs größte Leidenschaft aber gilt der Malerei. Nach seiner Rückkehr aus Neapel gelingt es ihm, bis zu seinem Tod eine ausgezeichnete Gemäldesammlung zusammenzutragen. Besondere Schwerpunkte setzt er in der niederländischen Malerei des 17. Jahrhunderts mit Rembrandt, Ruisdael, Hoogstraten und Rubens. Er sammelt Cranach, Dirk Bouts oder Hieronymus Bosch ebenso wie die italienischen Schulen, unter diesen aber speziell die neapolitanische. Er erwirbt prachtvolle Fisch- und Küchenstillleben von Giuseppe Recco, zwei riesige Leinwandbilder v o n L u c a Giordano mit Mars und Venus bzw. mit dem Parisurteil , außerdem ein Altarbild von Pacecco di Rosa mit dem Hl. Franziskus oder ein rares Prunkstillleben von Nicola Malinconico. Dieser Bestand konnte vor einiger Zeit noch durch Agostino Beltranos Modello mit dem Hl. Blasius für das Altarbild in S. Maria della Sanità in Neapel bereichert werden.

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agosto 2017Società del GruppoTangari-Koller

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Francesco Cassiano de SilvaWestsicht auf die kaiserliche und antike Stadt von Neapel

Francesco Cassiano de SilvaVeduta Occidentale dell’Augustissima et

Antichissima Città di Napoli

Archivio di Stato (Elisabeth Garms Cornides) Das Haus-, Hof- und Staatsarchiv (Elisabeth Garms Cornides)L’Archivio della Casa, del la Corte e di Stato (Haus-, Hof-und S t a a t s a r c h i v ) n a s c e n e l 1 7 4 9 s u v o l o n t à d i M a r i a T e r e s a d ’Asburgo. Secondo le intenzioni del la sovrana – per la quale s i era appena conclusa, seppure con gravi perdite, la dura lotta per la successione nei paesi ereditari del la Casa d ’Austria – assemblare in un unico posto le pergamene e le carte d ’archivio sulle quali s i fondava i l suo regno signif icava mantenere viva la tensione intorno al suo diritto ereditario e al la indivisibi l i tà del patrimonio territoriale le cui origini andavano gelosamente r icordate. Oggi lo Haus-, Hof- und Staatsarchiv, sezione del più grande A r c h i v i o d i S t a t o c h e h a u n a s e d e m o d e r n a d e c e n t r a t a , conserva la documentazione storica della Casa d ’Austria f ino al 1918 e del la maggior parte dei dicasteri central i del Sacro R o m a n o I m p e r o d i c u i g l i A s b u r g o p e r p i ù d i m e z z o m i l l e n n i o c i n s e r o l a c o r o n a , c o m e i l S u p r e m o C o n s i g l i o A u l i c o , l a m a g g i o r e i s t a n z a g i u d i z i a r i a d e l l ’ I m p e r o , o l a C a n c e l l e r i a Imperiale che curava i rapporti con i principi e ceti del l ’Impero e c o n l e c o r o n e e s t e r e . I n o l t r e v i s i t r o v a n o g l i a r c h i v i p e r s o n a l i d e i m e m b r i d e l l a c a s a r e g n a n t e e l a d o c u m e n t a z i o n e d e l l a v i t a d i c o r t e ( c e r i m o n i a l i , i m p i e g a t i , f a m i g l i e t c . ) . T r a l e p e r g a m e n e s i c o n s e r v a n o p e z z i d i alt issimo valore giuridico e s i m b o l i c o , c o m e l a B o l l a A u r e a d e l 1 3 5 6 c h e r e g o l a v a i m e c c a n i s m i d e l l a e l e z i o n e i m p e r i a l e , m a a n c h e d o c u m e n t i fondamentali per l ’Europa moderna come l ’Atto conclusivo del Congresso di Vienna di cui nel 2015 r icorreva i l bicentenario. Oggi i vari piani di scaffalature metall iche costruite tra i l 1899 e i l 1902 insieme a tutto l ’ a t t u a l e e d i f i c i o s o n o m e s s i s o t t o t u t e l a c o m e p r e z i o s a testimonianza di ingegneria tardo ottocentesca. P a r t i c o l a r e i m p o r t a n z a p e r l ’ I t a l i a r i v e s t o n o i f o n d i d e l Consiglio di Spagna i l quale curava gl i interessi di quei t e r r i t o r i i t a l i a n i c h e a l l ’ i n i z i o d e l S e t t e c e n t o e r a n o p a s s a t i dal la m o n a r c h i a s p a g n o l a a l r a m o t e d e s c o d i C a s a d ’ A u s t r i a . Fondamentali per lo studio del Regno di Napoli e di quello d i S i c i l i a c o m e d e l l a L o m b a r d i a A u s t r i a c a , l e c a r t e d e l Consiglio di Spagna, i l cui nome mutò nel 1736 in Consiglio d ’Ital ia e nel 1757 in Dipartimento d ’Ital ia, s i conservano in centinaia di grandi scatoloni compresi nel la serie del Consiglio di Spagna che mutò n o m e p r o p r i o d o p o l a p e r d i t a d e l R e g n o d i N a p o l i . T a l e d o c u m e n t a z i o n e p e r m e t t e d i s t u d i a r e n e i m i n i m i p a r t i c o l a r i l a storia del viceregno austriaco nel sud della penisola, i rapporti tra centro e periferia, dai viceré f ino al l ’ult imo impiegato. I verbali del le sedute del Consiglio, temuta e anche malfamata r o c c a f o r t e d e l c o s i d d e t t o “ p a r t i t o s p a g n o l o ” , o f f r o n o s ì t e s t i m o n i a n z e d i m e s c h i n e r i v a l i t à , a m b i z i o n i , c o r r u z i o n i , m a a n c h e u n p a n o r a m a d i v a l i d i m i l i t a r i e a m m i n i s t r a t o r i c i v i l i , p r e p a r a t i e c o m p e t e n t i , d i g i u r e c o n s u l t i d o t t i e g a r b a t i , d i “progettist i” fantasiosi e del la dolorosa vicenda umana degli esuli c h e a v e v a n o p e r s o l a p a t r i a , m a n o n l a l e a l t à a l l a c a s a d ’ A u s t r i a considerata legitt imo sovrano.

DDas Wiener Haus-, Hof- und Staatsarchiv wurde 1749 von Maria Theresia gegründet. Nach dem Ende des Österreichischen Erbfolgekrieges war es die deklarierte Absicht der Herrscherin, alle wichtigen Urkunden und Dokumente, die die historisch-juridische Basis ihrer Herrschaft in den Erblanden begründeten, an einer zentralen Stelle zu sammeln und so für alle Zukunft ihre legitimen Ansprüche zu dokumentieren. Heute gehört das Haus-, Hof- und Staatsarchiv als eine von mehreren Abteilungen zum Österreichischen Staatsarchiv, dessen Hauptsitz sich in einem Neubau im dritten Wiener Gemeindebezirk befindet. Das HHStA bewahrt die Akten zur Geschichte der habsburgischen Monarchie bis 1918 auf, aber auch diejenigen der wichtigsten Behörden des Heiligen Römischen Reiches deutscher N a t i o n , d e s s e n K r o n e d i e H a b s b u r g e r ü b e r e i n h a l b e s Jahrtausend hindurch mit nur einen kurzen Unterbrechung trugen: so das Archiv des Reichshofrates, der höchsten gerichtlichen Instanz im Reich oder dasjenige der Reichskanzlei, welcher der diplomatische Verkehr des Kaisers mit den Reichsständen und den ausländischen Souveränen oblag, Wie der Name sagt, enthält das „Hausarchiv“ die persönlichen Akten der Mitglieder der Dynastie(Korrespondenzen, Heiratsverträge, Testamente, Verlassenschaften), das „Hofarchiv“ die Dokumentation des höfischen Lebens (Zeremonialakten, Hofangestellte) und das Staatsarchiv Materialien, welche die schrittweise „Herausentwicklung aus dem Reich“ mit der Entfaltung einer eigenständigen österreichischen Außenpolitik dokumentieren. Die Urkundensammlung enthält überaus wertvolle Stücke wie etwa die Goldene Bulle von 1356, durch die die K a i s e r w a h l d u r c h d i e Kurfürsten geregelt wurde oder die Schlussakte des Wiener Kongresses (1814/15), die die Neuordnung Europas nach den napoleonischen Kriegen besiegelte. Heute stehen die Depots des Haus-, Hof-und Staatsarchivs als einzigartige Metallkonstruktion in einem zwischen 1899 und 1902 errichteten Archivzweckbau unter Denkmalschutz.Für Italien sind die Bestände des sogenannten Spanischen Rates u n d s e i n e r N a c h f o l g e i n s t i t u t i o n e n ( C o n s i g l i o d ’ I t a l i a , D i p a r t i m e n t o d’Italia) von besonderer Bedeutung. Diese Behörde v e r t r a t ( n a c h s p a n i s c h e m V o r b i l d ) d i e I n t e r e s s e n j e n e r T e r r i t o r i e n , d i e a m Anfang des 18. Jahrhunderts dem deutschen Zweig des Hauses Habsburg aus dem spanischen Erbe zugefallen waren. Ihre Akten sind für das Studium der Geschichte der K ö n i g r e i c h e N e a p e l u n d S i z i l i e n w i e d e r ö s t e r r e i c h i s c h e n L o m b a r d e i v o n f u n d a m e n t a l e r B e d e u t u n g . S i e e r l a u b e n d a s S t u d i u m d e r österreichischen Verwaltung in den ital ienischen Territorien bis in die kleinsten Details der zentralen und der peripheren Behörden, vom Vizekönig bis zum letzten Sekretär. D i e P r o t o k o l l e d e r S i t z u n g e n d e s S p a n i s c h e n R a t s , d e r g e f ü r c h t e t e n u n d ü b e l beleumundeten Hochburg der „spanischen P a r t e i “ , g i b t u n s z w a r E i n b l i c k i n e i n e n D s c h u n g e l v o n Rivalität , Ehrgeiz, Korruption, a b e r e b e n s o i n e i n e t ü c h t i g e u n d u m s i c h t i g e M i l i t ä r - u n d Zivilverwaltung, in eine Welt, die von fähigen Offizieren, von g e b i l d e t e n u n d g e s c h i c k t e n J u r i s t e n , v o n p h a n t a s i e v o l l e n P r o j e k t e m a c h e r n , a b e r a u c h v o n e l e n d i g ü b e r l e b e n d e n F l ü c h t l i n g e n b e v ö l k e r t w a r , d i e a u ß e r i h r e r L o y a l i t ä t z u r angestammten Dynastie des Hauses Österreich alles verloren hatten.

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Pietro GiannoneZivilgeschichte des Königreichs von Neapel

Pietro GiannoneIstoria civile del regno di Napoli

Biblioteca Nazionale (Elisabeth Garms Cornides) Österreichischen Nationalbibliothek (Elisabeth Garms Cornides)Un imperatore di marmo, vestito all’antica, in mezzo ai suoi libri, ci accoglie nel salone monumentale della odierna Biblioteca Nazionale Austriaca, già Biblioteca Palatina, cioè di corte, degli Asburgo, un luogo che offre sin dalle sue origini la perfetta sintesi tra un ambiente di altissima rappresentanza e la possibilità di studio del materiale librario, con studioli microscopici situati dietro ad alcuni scaffali che ruotando ne svelano l’accesso. Ancora oggi una o due volte al giorno un impiegato sale su altissime scale per tirare giù, tra i più di 200.000 volumi conservati nel solo salone monumentale, i libri che gli studiosi moderni consulteranno nel magnifico ex-refettorio affrescato dell’attiguo convento agostiniano. All’inizio degli anni venti del Settecento Carlo VI d’Asburgo decide di portare la preesistente modesta struttura ad una dimensione monumentale unica in questo momento nel complesso della Hofburg. Con le vittoriose guerre contro gli Osmani e con l’estensione dei confini meridionali oltre il Regno di Napoli fino alla lontana Sicilia, la Monarchia austriaca raggiunge la sua massima estensione. “Bello ubique confecto”, come recita l’iscrizione monumentale sul frontone esterno, l’imperatore decide di riformare e favorire gli studi attraverso l’acquisto di grandi biblioteche che si aggiungeranno a quella avita, come quella del principe Eugenio di Savoia oppure quella del Presidente del Consiglio di Spagna, Antonio Folch de Cardona. Da buon successore degli imperatori romani mecenati, il sovrano asburgico apre il nuovo edificio “pubblico commodo”, una piccola esagerazione, perché ovviamente non era una biblioteca pubblica nell’accezione moderna del termine. N e l l a b i b l i o t e c a d o m i n a , p e r u n c e r t o p e r i o d o , l a p r e s e n z a napoletana. Intorno al prefetto, il giurista Alessandro Riccardi, si raccoglie un gruppo di austriacanti come lui, uniti dalla voglia di fare carriera sotto le ali dell’aquila bicipite. In testa Pietro Giannone, autore della monumentale Storia civile del Regno di Napoli, massima espressione dell’anticurialismo napoletano. Accanto a lui gli eruditi Biagio Garofalo o Nicola Forlosia e tanti altri meno noti che pure esportano a Vienna la consumata esperienza storico-giuridica diretta contro la preponderanza della curia romana e con ciò danno un forte impulso al clima intellettuale di Vienna portando frutti nelle generazioni successive, quella di Maria Teresa e Giuseppe II. Per simboleggiare, anzi materializzare questo transfer culturale Riccardi sceglierà personalmente i preziosi codici da prelevare a Napoli per essere portati da Napoli a Vienna per “Cesareo compiacimento” come il Dioscuride, manoscritto del secolo VII e un autografo del Tasso, tesori tuttavia restituiti all’Italia nel 1919. Napoli non solo arricchì la Biblioteca Palatina di libri e manoscritti pregiati, dandole una fisionomia intellettuale ben determinata, ma contribuì in termini finanziari più degli altri territori della Monarchia alla costruzione della nuova “Biblioteca Centrale” asburgica eretta tra il 1723 e il 1726 dal grande Johann Bernhard Fischer von Erlach. Il programma decorativo del salone monumentale è volto all’esaltazione di chi unisce le patrie virtù militari e civili – da lì le statue degli antenati intorno a quella del regnante imperatore – agli esempi eroici degli antichi: Ercole con le sue due colonne (che si ritrovano nell’emblema di Carlo VI) e Apollo patrono delle Arti. Complicate allegorie glorificanti il monarca abitano il cielo dipinto nella cupola, affrescata nel 1730 da Daniel Gran, e da lì si affacciano a guardare i marmi lucenti e il deposito di ogni umano sapere.

Inmitten seiner Bücher steht der marmorne Kaiser, antikisch gekleidet – seit seiner Errichtung bietet der Prunksaal der heutigen Österreichischen Nationalbibliothek, einst kaiserliche Hofbibliothek, die vollkommene Synthese von höchstem Repräsentationsanspruch und ernsthaftem Studium bis hin zu winzigen Leseräumen, die sich durch Drehen bestimmter Regale betreten lassen. Noch heute steigt ein bis zwei Mal am Tag ein Angestellter auf die hohen Leitern und holt jene der über 200 000 Bände herunter, die die Benützer für ihre Lektüre im prächtig freskierten ehemaligen Refektorium des angrenzenden Augustinerklosters bestellt haben. Zu Beginn der zwanziger Jahre des 18. Jahrhunderts beschloss Karl VI., den bestehenden bescheidenen Bibliotheksbau umzugestalten, wodurch er zu dem wohl monumentalsten Gebäude des damaligen Hofburg-Komplexes wurde. Mit der Zurückdrängung der Osmanen einerseits, der Verschiebung der südlichen Grenzen bis zum fernen Sizilien andererseits erreichte die Österreichische Monarchie, wie man nunmehr den Länderkomplex nach spanischem Vorbild zu nennen begann, ihre größte bisherige Ausdehnung. Wie es auf der monumentalen Giebelinschrift heißt, habe der Kaiser „bello ubique confecto“ beschlossen, die Wissenschaften durch die Vereinigung der ererbten Büchersammlung mit neu angekauften großen Bibliotheken zu erneuern und befördern. Als würdiger Nachfolger seiner römischen Vorgänger öffne der kaiserliche Mäzen diese Schätze „publico commodo“ – eine kleine Übertreibung, denn zweifellos handelte es sich nicht um eine öffentliche Bibliothek im heutigen Wortsinn. In der Bibliothek waren für eine gewisse Zeitspanne eine Gruppe von Intellektuellen aus Neapel tonangebend: um den Präfekten, den Juristen Alessandro Riccardi sammelt sich eine Gruppe von Anhängern der Casa d’Austria, die der Wunsch ein, unter den Fittichen des Doppeladelrs eine neue Karriere zu beginnen – allen voran Pietro Giannone, Verfasser einer monumentalen Geschichte des südlichen Königreichs, neben ihm die Gelehrten Biagio Garofalo und Nicola Forlosia und viele andere heute Vergessene, die aus der Heimat ihre historisch-juridische Bildung, verbunden mit scharfen Ressentiments gegen das Papsttum mitbringen. Der Dienst für den Kaiser schützte sie vor dem strafenden Zugriff der römischen Kurie und brachte Österreich neue geistige Impulse, die unter Maria Theresia und Joseph II. Früchte tragen sollten. Riccardi scheute sich nicht, diesen kulturellen Transfer gewissermaßen greifbar zu machen, als er nämlich eine Reihe überaus kostbarer Manuskripte aus Neapel nach Wien kommen ließ, darunter den spätantiken „Dioscurides“ oder ein Autograph von Torquato Tasso. Diese Schätze wurden 1919 an das Königreich Italien restituiert.Nicht nur Handschriften und Bücher, nicht nur helle Köpfe schickte Neapel an die neu zu errichtende „Zentralbibliothek“ der Österreichischen Monarchie, auch einen gewaltigen finanziellen Beitrag leistete das Königreich zu dem Monumentalbau, der zwischen 1723 und 1726 von Johann Bernhard Fischer von Erlach errichtet wurde. Das Ausstattungsprogramm des Prunksaals dient dem Zweck der Verherrlichung jenes Mannes, in dem sich die von den Vorfahren ererbten Tugenden wiederspiegeln, wie die sechzehn Bidnis-Statuen ebenso verdeutlichen sollen wie die Anspielungen auf die Heroen der Antike, allen voran Herkules, dessen beide Säulen auch das Emblem Karls VI. zieren, und Apollo, der Schutzherr der Künste und Wissenschaften. Von der um 1730 von Daniel Gran ausgemalten Kuppel herab huldigt ein Kosmos komplizierter Allegorien dem Monarchen und dessen Standbild inmitten von glänzendem Marmor und den Schätzen des menschlichen Geistes.

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Francesco SolimenaPhaeton bittet Apoll um den Sonnenwagen

Francesco SolimenaFetonte chiede ad Apollo

di guidare il carro del Sole

Palazzo Daun-Kinsky (Sebastian Schütze) Palais Daun-Kinsky (Sebastian Schütze)Im Zuge des Spanischen Erbfolgekrieges eroberten die kaiserl ichen T r u p p e n u n t e r F ü h r u n g d e s G r a f e n W i r i c h P h i l i p p L o r e n z D a u n ( 1 6 6 9 - 1 7 4 1 ) i m J a h r e 1 7 0 7 N e a p e l . D i e A n n e x i o n d e s s p a n i s c h e n Süditalien durch die österreichischen Habsburger wurde dann 1713-1714 durch den Frieden von Utrecht und Rastatt sanktioniert. Graf Daun wurde als Vizekönig in Neapel eingesetzt und regierte dort in den Jahren 1707-1708 und 1713-1719. Während seines zweiten Mandates ließ e r g l e i c h z e i t i g i n W i e n v o n J o h a n n L u c a s v o n H i l d e b r a n d t d a s prachtvolle Palais auf der Freyung errichten. Der Besucher trat durch das theatralisch inszenierte, von kraftvollen Atlanten flankierte Portal ins Vestibül und erreichte über die von Carlo Innocenzo Carlo und Antonio Beduzzi freskierte und reich mit Skulpturen von Lorenzo Mattielli und Josef Kracker ausgestattete Prunkstiege den ursprünglich mit zahlreichen neapolitanischen Gemälden ausgestatteten Piano Nobile. Zwei heute verlorene allegorische Leinwandbilder, ein „Triumph des Herkules“ von Paolo de Matteis und ein „Triumph des Mars“ von Giacomo Del Po, schmückten die Decken zweier zur Freyung hin gelegener Salons, während Francesco Solimenas „Phaeton der Apoll um den Sonnenwagen bittet“ für den großen Saal im hinteren Teil des Palastes bestimmt war. Das eindrucksvolle, 402 x 720 cm messende, gegen 1715-1716 entstandenen Deckenbild wird heute in der Prager Nationalgalerie aufbewahrt. Bei Solimena, den Bernardo De Dominci wenig später als „Fürsten aller lebenden Maler“ feiern sollte, gab Daun auch das Altarbild für die Palastkapelle in Auftrag. Eine „Heilige Familie“, die sich heute in der Neuklosterkirche in Wiener Neustadt befindet. In den Sammlungen dürften sich darüber hinaus die Bozzetti von Del Po und Solimena für die Deckenbilder des Oberen Belvedere (heute in Dobříš, Slg. Colloredo-Mansfeld) befunden haben, die der Vizekönig in Neapel für den Prinzen Eugen in Auftrag gegeben hatte. Bis zum Verkauf der Gemälde im späten 18. Jahrhundert hatte das Palais Daun ein dezidiert neapolitanisches Gepräge und unterstrich so den Rang des Vizekönigs und das Prestige seines Amtes. Eine Galerie v o n M e i s t e r w e r k e n d e r n e a p o l i t a n i s c h e n M a l e r e i , d i e j u n g e n österreichischen Malern wie Daniel Gran und Bartolomeo Altomonte wesentliche Anregungen vermitteln sollte.

Nel corso della guerra di successione spagnola, nel 1707 le truppe i m p e r i a l i c o m a n d a t e d a l c o n t e W i r i c h P h i l i p p L o r e n z D a u n (1669-1741) entrarono nelle porte di Napoli e incorporarono, di fatto, l ’Italia meridionale nel regno austriaco, annessione poi sancita dalla pace di Utrecht e Rastatt nel 1713-1714. Il conte Daun fu chiamato a reggere i nuovi territori come vicerè a Napoli dal 1707 al 1708 e ancora dal 1713 al 1719. Negli stessi anni del secondo mandato egli fece erigere a Vienna da Johann Lucas von Hildebrandt la sontuosa r e s i d e n z a s u l l a F r e y u n g . E n t r a n d o d a l p o r t a l e s c e n o g r a f i c o , fiancheggiato da vigorosi atlanti, i l visitatore si avvia attraverso lo s c a l o n e m o n u m e n t a l e , a f f r e s c a t o d a C a r l o I n n o c e n z o C a r l o n e e Antonio Beduzzi e adornato da una moltitudine di statue eseguite da L o r e n z o M a t t i e l l i e J o s e f K r a c k e r , a l p i a n o n o b i l e c h e originariamente sfoggiava una serie di opere napoletane. Due grandi tele allegoriche, purtroppo perdute, un “Trionfo di Ercole” di Paolo de Matteis e un “Trionfo di Marte” di Giacomo Del Po, decorarono i saloni verso la Freyung, mentre la spettacolare rappresentazione di “Fetonte chiede ad Apollo il carro del Sole” di Francesco Solimena, di ben 402 x 720 cm, ornava il soffitto della sala grande nella parte retrostante del palazzo. La tela, databile al 1715-1716, è oggi conservata alla Galleria Nazionale di Praga. Allo stesso Solimena, che Bernardo De Dominci da lì a poco dovette celebrare come “principe di tutti i pittori viventi”, i l vicerè commissionava anche la pala d’altare per la cappella del palazzo, una “Sacra Famiglia”, che oggi si trova alla Neuklosterkirche a Wiener Neustadt. Le collezioni del palazzo dovettero, inoltre, includere i bozzetti di Del Po e di Solimena per i soffitti del Oberes Belvedere (oggi a Dobříš, coll. Colloredo-Mansfeld) che il vicerè aveva commissionato durante gli anni napoletani per conto del principe Eugenio di Savoia. Fino alle dispersioni di f ine Settecento il Palais Daun mostrava quindi un volto decisamente napoletano, sottolineando il rango del vicerè e i l prestigio della sua carica. Una galleria di capolavori napoletani, che costituiva, allo stesso tempo, una mirabile palestra per i giovani pittori austriaci, da Daniel Gran a Bartolomeo Altomonte.

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Francesco Solimena, 1725Portrait des PrinzenJoseph Wenzel von Liechtenstein

Francesco Solimena, 1725Ritratto del Principe

Joseph Wenzel von Liechtenstein

Palazzo Liechtestein (Sebastian Schütze) Palais Liechtestein (Sebastian Schütze)Il principe Johann Adam Andreas Liechtenstein (1657-1712) era uno dei protagonisti della trasformazione di Vienna nella vera capitale dell ’architettura e delle arti mitteleuropea in seguito alla liberazione dall ’assedio ottomano nel 1683. Imitando modelli del barocco romano egli si fece costruire da Domenico Martinelli due sontuose residenze, il Stadtpalais nella Bankgasse e il Gartenpalais nella Rossau. Tra le sue tante committenze artistiche si distingue una serie straordinaria di bronzi di Massimiliano Soldani Benzi, il prestigioso scultore di corte di Gran Duca Cosimo III. Sono opere d’invenzione, come i famosi rilievi con la “Pace che abbraccia la Giustizia” e il “Tempo che rivela la Verità”, ma anche copie di capolavori antichi e moderni di s q u i s i t i s s i m a f a t t u r a . A n c h e p e r l e d e c o r a z i o n i p i t t o r i c h e d e l Gartenpalais le scelte furono prevalentemente italiane. Il bolognese Marcantonio Franceschini eseguì due grandi cicli di tele con storie amorose di Diana e di Venere per le sale del piano nobile, mentre lo spettacolare affresco del gran salone con il “Trionfo di Ercole” fu affidato al pennello di Andrea Pozzo. Il gran maestro della pittura prospettica europea intorno al 1700 dovette dare con le sue opere v i e n n e s i u n a s p i n t a d e c i s i v a a i g i o v a n i p i t t o r i a u s t r i a c i , c o m e dimostrano, in primis, gli affreschi di Johann Michael Rottmayr nello stesso Gartenpalais. Se non sono documentate commissioni napoletane di Johann Adam Andreas Liechtenstein, nelle ricchissime collezioni del Gartenpalais spicca, invece, il ritratto di un’altra grande figura della casata, il Principe Joseph Wenzel Liechtenstein (1696-1772), eseguito intorno al 1725 da Francesco Solimena. Il giovane aveva mosso i primi passi della folgorante carriera militare sotto la protezione del p r i n c i p e E u g e n i o d i S a v o i a p e r d i v e n t a r e i n f i n e F e l d m a r e s c i a l l o d e l l ’ e s e r c i t o i m p e r i a l e . S o p r a l a s m a g l i a n t e c o r a z z a v e s t e u n a raffinatissima giacca di velluto, color blu notte foderata di rosso, nella destra t iene i l bastone di commando, mentre la spada è poggiata sul tavolino coperto di un drappo verde.

A l s s i c h W i e n n a c h d e r T ü r k e n b e f r e i u n g v o n 1 6 8 3 i n w e n i g e n J a h r z e h n t e n i n d a s w i c h t i g s t e Z e n t r u m d e r b a r o c k e n K u n s t u n d Architektur in Mitteleuropa verwandelte, gehörte Fürst Johann Adam Andreas Liechtenstein (1657-1712) zu den Protagonisten. An Vorbilder des römischen Barock anknüpfend ließ er sich von Domenico Martinelli gleich zwei Residenzen errichten, das Stadtpalais in der Bankgasse und das Gartenpalais in der Rossau. Unter den zahllosen Kunstaufträgen ragt etwa eine Gruppe von Bronzen hervor, die der Fürst direkt bei Massimiliano Soldani Benzi, dem Hofbildhauer von Großherzog Cosimo III., in Auftrag gab. Dazu gehören raffinierte Bilderfindungen wie die berühmten Reliefs mit dem „Frieden der die Gerechtigkeit umarmt“ und d e r „ Z e i t d i e d i e W a h r h e i t e n t h ü l l t “ , e b e n s o w i e K o p i e n n a c h Meisterwerken der antiken und neuzeit l ichen Kunst. Auch für die Ausstattung des Gartenpalais wurden vor allem italienische Künstler a u s g e w ä h l t . D e r B o l o g n e s e M a r c a n t o n i o F r a n c e s c h i n i f ü h r t e z w e i umfangreiche Zyklen von Leinwandbildern mit den Liebesabenteuern von Diana und Venus für die Prunkräume des Piano Nobile aus, während Andrea Pozzo das Deckenfresko des großen Saales mit dem „Triumph d e s H e r k u l e s “ a n v e r t r a u t w u r d e . D u r c h d e n G r o ß m e i s t e r d e r p e r s p e k t i v i s c h e n D e c k e n m a l e r e i d e r Z e i t u m 1 7 0 0 s o l l t e d i e österreichische Barockmalerei wesentliche Anregungen erfahren, wie schon die von Johann Michael Rottmayr im Gartenpalais selbst ausgeführten Fresken zeigen. Von Johann Adam Andreas Liechtenstein sind keine neapolitanischen Aufträge bekannt, allerdings hat sich in den reichen Sammlungen des Gartenpalais das von Francesco Solimena gegen 1725 ausgeführte Porträt eines anderen großen Repräsentanten des Hauses Liechtenstein erhalten. Fürst Joseph Wenzel Liechtenstein (1696-1772) hatte seine fulminante militärische Karriere noch unter dem Prinzen E u g e n b e g o n n e n u n d s o l l t e s c h l i e ß l i c h z u m F e l d m a r s c h a l l d e s kaiserlichen Heeres aufsteigen. Über einer glänzenden Rüstung trägt der j u n g e F ü r s t e i n e n a c h t b l a u e S a m t j a c k e m i t r o t e m F u t t e r . I n d e r Rechten hält er den Kommandostab, während sein Degen auf dem von einer grünen Draperie überdeckten Tisch liegt.

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