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CALENDARIO ATTIVITA’ DI LABORATORIO GRUPPO 1 Le seguenti scuole: Focaccia (15 studenti), Fermi (15 studenti), Alfano I (5 studenti), Genoino (5 studenti), Mangino (5 studenti) nelle ore 9.00-13.00, - mercoledì 1 febbraio seguiranno l’esercitazione n. 1 di sintesi del rosso para; Responsabile esercitazione: Carmine Gaeta Responsabile laboratorio: Patrizia Oliva Tutors laboratorio: Carmen Talotta, Roberta Ciao, Marco Mauro Tutors: I. Izzo, G. Monaco, C. Tedesco - giovedì 2 febbraio seguiranno l’esercitazione n. 2 relativa alla sintesi in emulsione acquosa dello stirene; Responsabile esercitazione: Lucia Caporaso Responsabile laboratorio: Ivano Immediata Tutors laboratorio: Simona Longo, Antonio De Nicola Tutors: C. Capacchione, M. Lamberti, M. Mazzeo - mercoledì 8 febbraio seguiranno l’esercitazione n. 3 relativa alla sintesi dello stilbene; Responsabile esercitazione: Antonio Massa Responsabile laboratorio: Mariagrazia Napoli Tutors laboratorio: Graziella Ianniello, Maurizio Celentano Tutors: L. Palombi, M. De Rosa, G. Della Sala - giovedì 9 febbraio gli studenti si divideranno in tre gruppi e seguiranno l’esercitazione denominata “dalle cellule agli ecosistemi”. Responsabili esercitazioni: Ivana Caputo, Daniela Baldantoni, Gianni Vigliotta Responsabile laboratorio: Patrizia Iannece Tutors laboratorio: Maria Rosaria Acocella, Brunello Nardone Responsabile laboratorio: Francesco De Martino Tutors laboratorio: Alessandra Perfetto, Laura Falivene Tutors: Giovanni Saviello (Baldantoni), Raffaella Morelli (Baldantoni), Simona Matrella (Vigliotta), Flaminia Gay (Caputo), Marilena Lepretti (Caputo), Gaetana Paolella (Caputo)

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CALENDARIO ATTIVITA’ DI LABORATORIO GRUPPO 1

Le seguenti scuole: Focaccia (15 studenti), Fermi (15 studenti), Alfano I (5 studenti), Genoino (5 studenti), Mangino (5 studenti) nelle ore 9.00-13.00,

- mercoledì 1 febbraio seguiranno l’esercitazione n. 1 di sintesi del rosso para;

Responsabile esercitazione: Carmine Gaeta Responsabile laboratorio: Patrizia Oliva Tutors laboratorio: Carmen Talotta, Roberta Ciao, Marco Mauro Tutors: I. Izzo, G. Monaco, C. Tedesco

- giovedì 2 febbraio seguiranno l’esercitazione n. 2 relativa alla sintesi in emulsione acquosa dello stirene;

Responsabile esercitazione: Lucia Caporaso Responsabile laboratorio: Ivano Immediata Tutors laboratorio: Simona Longo, Antonio De Nicola Tutors: C. Capacchione, M. Lamberti, M. Mazzeo

- mercoledì 8 febbraio seguiranno l’esercitazione n. 3 relativa alla sintesi dello stilbene;

Responsabile esercitazione: Antonio Massa Responsabile laboratorio: Mariagrazia Napoli Tutors laboratorio: Graziella Ianniello, Maurizio Celentano Tutors: L. Palombi, M. De Rosa, G. Della Sala

- giovedì 9 febbraio gli studenti si divideranno in tre gruppi e seguiranno l’esercitazione denominata “dalle cellule agli ecosistemi”.

Responsabili esercitazioni: Ivana Caputo, Daniela Baldantoni, Gianni Vigliotta Responsabile laboratorio: Patrizia Iannece Tutors laboratorio: Maria Rosaria Acocella, Brunello Nardone Responsabile laboratorio: Francesco De Martino Tutors laboratorio: Alessandra Perfetto, Laura Falivene Tutors: Giovanni Saviello (Baldantoni), Raffaella Morelli (Baldantoni), Simona Matrella (Vigliotta), Flaminia Gay (Caputo), Marilena Lepretti (Caputo), Gaetana Paolella (Caputo)

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NON NON

Per problemi chiamare al cell. di De Riccardis: 320 423 00 66

Direzioni per raggiungere l’AULA P 1. Stampare la mappa.

STAZIONE BUS

Per coloro che vengono da Salerno IN AUTO: NON prendete l’uscita UNIVERSITA’ sul raccordo Salerno-Avellino ma proseguito dritto. Dopo 100 metri spostatevi a destra e prendete la direzione AVELLINO. Uscite subito a a FISCIANO e girate a destra. Evitate il primo ingresso (ossia il più grande, con lo spartitraffico al centro) e proseguite di 50 m. Ci sarà un secondo ingresso più piccolo (CARATTERIZZATO DA UN CANCELLO ROSSO MATTONE APERTO). Entrate e, più avanti, parcheggiate. Una volta parcheggiato, tornate indietro verso il cancello: l’ingresso dell’aula P 1 è al lato destro dell’entrata (come mostrato dalla freccia). Basta entrare nell’edificio segnalato dalla cartina e scendere di un piano. Per coloro che vengono da Avellino IN AUTO: prendere l’uscita Fisciano e girare a sinistra. Evitate il primo ingresso (ossia il più grande) e proseguite di 50 m. Ci sarà un secondo ingresso più piccolo (CARATTERIZZATO DA UN CANCELLO ROSSO MATTONE APERTO). Entrate e, più avanti, parcheggiate. L’ingresso dell’aula P 1 è al lato destro dell’entrata (come mostrato dalla freccia). Basta entrare nell’edificio segnalato dalla cartina e scendere di un piano. IN BUS: UNA VOLTA ARRIVATI ALLA STAZIONE AUTOBUS (in alto nella cartina), seguite la mappa per arrivare all’aula P 1.

Appuntamento per ogni giorno delle attività: h. 9.00, aula P 1 della facoltà di Scienze MM. FF. e NN.

PARCHEGGIO

DIREZIONE DI PROVENIENZA...

Secondo ingresso lato NORD (cancello aperto color rosso mattone): ENTRARE…

Ingresso principale lato NORD (quello con spartitraffico al centro): DA EVITARE.

AULA P 1

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ESERCITAZIONI PLS CHIMICA

GRUPPO 1

Esercitazione 1: Sintesi del rosso para

- Mercoledì 1 febbraio 2012 gli studenti delle scuole: Focaccia (15 studenti), Fermi (15 studenti), Alfano I (5 studenti), Genoino (5 studenti), Mangino (5 studenti) seguiranno l’esercitazione;

Responsabile esercitazione: Gaeta Responsabile laboratorio: Oliva Tutors laboratorio: Carmen Talotta, Roberta Ciao, Marco Mauro Tutors: I. Izzo, Monaco, Tedesco

Premessa Sebbene la tintura tessile sia un processo che l’uomo effettua fin dall’antichità, solamente da una quarantina di anni sono stati introdotti i cosiddetti coloranti reattivi, i quali sono in grado di reagire chimicamente con la fibra tessile formando un legame covalente. Tutti gli altri numerosissimi coloranti, naturali e sintetici, si fissano alla fibra per la concomitanza di due fattori:

1) un fenomeno fisico di imprigionamento della molecola di colorante tra le anse della macromolecola fibrosa;

2) un insieme di interazioni attrattive che si instaurano tra la molecola di colorante e la fibra (pur senza tradursi in un legame covalente) e che si configurano come: attrazioni elettrostatiche, legami di idrogeno, forze di van der Waals.

Poiché i coloranti reattivi sono relativamente costosi e funzionano solo per il cotone, i coloranti tessili tradizionali sono tuttora ampiamente usati. In molti casi, per favorire la fissazione del colorante sulla fibra e per rendere la tintura più resistente, è necessario ricorrere a qualche accorgimento nel modo di operare. Uno di questi è quello di effettuare la sintesi del colorante impregnando il tessuto da colorare con uno dei reagenti.

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La procedura che sarà effettuata nella seguente attività di laboratorio sfrutterà proprio questa metodica. Introduzione I coloranti azoici, che costituiscono la più numerosa classe di coloranti sintetici, sono caratterizzati dal fatto che la loro molecola contiene come gruppo cromoforo il gruppo funzionale N=N inserito tra due anelli benzenici. Molti di essi sono idrosolubili, ma molti altri non lo sono (ed esempio il tradizionale colorante rosso para, quello che sarà sintetizzato in questa esperienza). In tal caso, per conseguire una tintura tessile resistente, occorre operare con la cosiddetta procedura “a sviluppo”. Essa consiste nel fatto di sintetizzare il colorante direttamente nel bagno di tintura a partire da un precursore idrosolubile con la cui soluzione acquosa è già stata impregnata la fibra da tingere. Lo Schema 1 e la Figura 1 visualizzano la struttura del rosso para, la reazione per la sua sintesi ed un modello molto semplificato della fissazione sulla fibra.

Schema 1. Meccanismo di sintesi del colorante rosso para a partire dalla 4-nitroanailina (1), il nitrito di sodio (2), il sale di diazonio (3) e il 2-naftolo (4).

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Figura 1. Esempio di procedura “a sviluppo”.

Procedura: Si prepara anzitutto quanto segue:

a) in un becker da 250 mL: 1.4 g di 4-nitroanilina (1) in 30 ml di una soluzione 0.35 M di acido solforico;

b) in un becker da 50 mL: 0.7 g di sodio nitrito in 10 mL di acqua; c) in un becker da 250 mL: 0.5 g di 2-naftolo in 100 mL di acqua; d) in un cristallizatore da 1 litro: una miscela refrigerante di ghiaccio

tritato; inoltre occorre:

e) una soluzione di NaOH al 30% (da cui prelevare 0.5 mL), f) una matassina di cotone g) carta da filtro

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h) 100 ml di acqua ghiacciata

La miscela (a) viene riscaldata fino ad incipiente ebollizione (per permettere la dissoluzione della 4-nitroanilina, composto 1, Schema 1), quindi raffreddata a temperatura ambiente. A questo punto, il becker che la contiene viene immerso nel bagno refrigerante e la miscela viene raffreddata a 0 °C tenendola in agitazione con una bacchetta di vetro. Si mette qualche pezzettino di ghiaccio dentro la miscela e, continuando ad agitarla vigorosamente, vi si aggiunge goccia a goccia (utilizzando una pipetta di Pasteur) la soluzione di sodio nitrito (b) in un tempo di circa 5 minuti (sodio nitrito, composto 2, Schema 1). In questo modo si formarà il sale di diazonio 3, Schema 1.

Terminata l’aggiunta, si continua ad agitare per 2 minuti, quindi si lascia il

becker con la miscela di reazione nel bagno refrigerante. La miscela (c) viene trattata con 0.5 mL di NaOH al 30% e riscaldata ad

incipiente ebollizione (per permettere la dissoluzione del sale sodico del 2-naftolo, composto 4, Schema 1). A questo punto, vi si immerge la matassina di cotone da tingere (del peso di 3-4 grammi) e la si lascia a macero per 3 minuti. Si toglie la matassina con una pinza e la si asciuga bene tra due fogli di carta da filtro.

Alla soluzione fredda risultante dal mescolamento di (a) + (b) si aggiungono

100 mL di acqua ghiacciata, quindi vi si immerge la matassina di cotone impregnata di 2-naftolo. In questo modo avviene la reazione tra il sale di diazonio (composto 3) e il 2-naftolo (composto 4), come rappresentato in Figura 1, e viene formato, tra le fibre della matassina, il colorante rosso para.

Il becker viene tolto dal bagno refrigerante e lasciato a temperatura ambiente,

agitando saltuariamente con la bacchetta di vetro. Dopo 5 minuti, la matassina viene estratta e lavata abbondantemente sotto l’acqua del rubinetto. Il cotone tinto viene poi lasciato asciugare.

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Esercitazione 2: Sintesi in emulsione acquosa dello stirene

- Giovedì 2 febbraio gli studenti delle scuole: Focaccia (15 studenti), Fermi (15 studenti), Alfano I (5 studenti), Genoino (5 studenti), Mangino (5 studenti) seguiranno l’esercitazione n. 2;

Responsabile esercitazione: Caporaso Responsabile laboratorio: Immediata Tutors laboratorio: Simona Longo, Antonio De Nicola Tutors: Capacchione, Lamberti, Mazzeo Obiettivo dell’esercitazione:

Sintetizzare il polistirene atattico in emulsione acquosa allo scopo di mostrare un esempio di procedura di polimerizzazione industriale in cui sono applicati i principi della Green Chemistry.

Introduzione all’esperienza: Cosa si intende per Green Chemistry La Chimica Verde (in inglese Green Chemistry) è un approccio etico fatto di criteri, di priorità e di obiettivi, quindi una filosofia, che attinge dalla conoscenza scientifica della chimica per guidare le applicazioni di questa disciplina, ad iniziare da quelle industriali, verso modalità sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico. E’ quindi un nuovo modo di pensare la chimica impostata su una prevenzione dell'inquinamento che comporta la messa a punto di sintesi che utilizzino e producano sostanze che siano di minor rischio per la salute umana e a basso impatto ambientale. Il polistirene atattico (aPS):

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Si ottiene per polimerizzazione dello stirene monomero. Si tratta di una polimerizzazione radicalica perché la reazione è iniziata da molecole (dette iniziatori) capaci di produrre radicali, come ad esempio i perossidi: Formazione del radicale: X O O X 2XO.calore o luce

Lo stirene monomero reagisce con il radicale formando un nuovo radicale: Reazione di iniziazione

+ .XO .OX

Il polimero si forma per reazioni successive delle molecole di stirene con la catena radicalica: Reazione di propagazione

. +CH2

.CH2 CH2

.n

CH2n+1

CH2.

OX OX OXOX La reazione può terminare quando tutto il monomero ha reagito oppure quando l’estremità attiva della catena si “spegne”, come ad esempio: Reazione di terminazione (un esempio):

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CH2nCH2

. CH2mCH2

.+ CH2

n+m

CH2

OX OX OX OX

E’ evidente che per ottenere il polistirene occorre : 1) lo stirene (monomero), 2) l’iniziatore radicalico Tecniche di polimerizzazione La polimerizzazione in massa: Il sistema di reazione è formato solo dal monomero e dall’iniziatore. L’iniziatore è solubile nel monomero. Questa tecnica richiede il numero minimo di reagenti necessari per l’ottenimento del polimero, infatti non si usano solventi o mezzi disperdenti. Questo è sicuramente un vantaggio. Tuttavia questa tecnica presenta diverse “controindicazioni”. Tra queste: durante la crescita di catena il monomero viene inglobato fisicamente nel polimero e non può più reagire (bassa resa); quindi, prima della lavorazione, il polimero ottenuto deve essere ulteriormente processato per allontanare il monomero che non ha reagito (purificazione). Tutto questo risulta svantaggioso da un punto di vista economico; dannoso da un punto di vista dell’impatto ambientale.

Polimerizzazione in massa La polimerizzazione in emulsione:

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Si definisce emulsione una sospensione colloidale stabile formata da un liquido immiscibile, disperso e trattenuto in un altro liquido grazie ad emulsionanti o tensioattivi (un sapone).

S

O- Na+

OO

Solubile nel monomero

Solubile in acqua

Coda non polare

Testa polare

Il sistema di reazione è formato dal monomero (stirene), da un mezzo disperdente polare (acqua), da un iniziatore che è solubile in acqua e insolubile nel monomero (come il potassio persolfato) e dal tensioattivo (come il dodecilbenzensolfonato di sodio ).

S

O

O

O- K+

O O

S

O

O

+K -O

Potassio persolfato In questa tecnica il sapone, o tensioattivo, viene aggiunto all’acqua, fino a raggiungere il valore della concentrazione micellare critica (CMC), cioè quel valore della concentrazione al di sopra della quale le molecole di sapone si aggregano formando micelle della dimensione di circa 10-100Å. In questi aggregati, che possono avere forme diverse (sferica, cilindrica, lamellare e discoidale…), le molecole di sapone espongono la testa polare verso l’acqua e la coda apolare verso il centro della micella.

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Successivamente, si aggiunge il monomero, insolubile nel solvente di reazione, che andrà a sistemarsi all’interno delle micelle. In tal modo “gocce” di monomero di dimensioni nanometriche si troveranno stabilmente disperse in acqua. L’iniziatore radicalico può così essere aggiunto al sistema di reazione. L'iniziatore, come i perossidi ed i persolfati, è insolubile nel monomero e quindi ha una bassissima probabilità di entrare nella micella. Questa probabilità è bassa ma non nulla. La reazione di iniziazione, e quindi la reazione di polimerizzazione, parte nel momento in cui una molecola di iniziatore migra all'interno di una micella e reagisce con una molecola di monomero. In media si ha un radicale polimerico per micella (una catena in crescita per ogni micella) e proprio per questo motivo la reazione di terminazione per accoppiamento tra catene radicaliche è sfavorita. In altre parole, il monomero nel nano-reattore non ha “concorrenti”, la reazione terminerà in ogni micella quando tutto il monomero contenuto avrà reagito (resa prossima al 100%!). Data la dimensione delle micelle e la presenza, in media, di un’unica catena polimerica per micella, il polimero ottenuto risulta molto omogeneo e può essere processato (stampato, colorato…) senza ulteriori purificazioni o trattamenti.

Polimerizzazione in emulsione

Perché la polimerizzazione dello stirene in emulsione rientra nei “principi” della Green Chemistry? Perché è una polimerizzazione in acqua, il reagente più inquinante, lo stirene, viene completamente trasformato in polimero e non è quindi presente nei prodotti di scarto, perché il polimero, così come ottenuto, non deve essere ulteriormente processato ma può essere trasformato direttamente nel prodotto finale (piatti, contenitori, oggetti vari…). Materiale: - pallone da 100 ml ad un collo - Ancoretta magnetica - Refrigerante a bolle - Piastra riscaldante con annessa pinza di supporto - Bagno ad acqua - Termometro digitale

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- 3 Beute da 100 ml - 2 Bacchette di vetro - Cilindro graduato da 10 ml - Imbuto separatore da 100 ml - Pipetta graduata con stantuffo da 10 ml - 2 Pipette graduate con stantuffo da 5 ml - 2 Navicelle per pesare i reagenti - Bilancia Procedura: Indossare i dispositivi di protezione (camice occhiali, guanti).

1) Lavare lo stirene. Lo stirene viene conservato nei flaconi in cui è venduto aggiungendo al monomero degli inibitori radicalici, come il 4-ter-butilcatecolo. Queste molecole hanno la funzione di catturare radicali che possono generarsi spontaneamente dal monomero per effetto del calore. Essi sono solubili in acqua e devono essere allontanati prima di effettuare l’esperienza. Preparare 10 ml di una soluzione acquosa di NaOH al 5% in peso saturata con NaCl. (Pesare 0.5 g di NaOH e scioglierli in 10 ml di H2O, aggiungere NaCl fino a quando, pure effettuando una vigorosa agitazione, non sarà più possibile scioglierlo nella soluzione). Aggiungere nell’imbuto separatore 2 ml di questa soluzione e 10 ml di stirene monomero. Agitare vigorosamente chiudendo l’imbuto separatore con l’apposito tappo. Sollevare il tappo e lasciare separare le due fasi. Poiché la densità dello stirene (0.897 g/cm3) è minore di quella dell’acqua (1 g/cm3) il monomero si troverà nella fase superiore. Dalla parte bassa del separatore, allontanare tutta la fase acquosa e conservare nell’imbuto il monomero lavato.

2) Preparare una soluzione acquosa allo 0.7% in peso di potassio persolfato (iniziatore)

Pesare 0.14 g di iniziatore e scioglierli in una beuta contenente 20 ml di acqua. 3) Preparare una soluzione acquosa di dodecilbenzensolfonato di sodio al

3.6% in peso (tensioattivo) Pesare 0.75 g di tensioattivo e scioglierli in 20 ml di acqua.

4) In un pallone da 100 ml ad 1 collo provvisto di ancoretta magnetica introdurre, nell’ordine:

- 8 ml di acqua distillata - 6 ml di una soluzione acquosa di dodecilbenzenesolfonato al 3.6% in peso (soluzione di tensioattivo) - 4 ml di monomero lavato

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Agitare il sistema per una decina di minuti in modo da assicurarsi che tutto il monomero sia riuscito ad entrare nelle micelle. - Aggiungere nel pallone 2 cm3 di una soluzione acquosa di potassio per

solfato allo 0.7% in peso (soluzione di iniziatore radicalico) e agitare il sistema.

Collegare il refrigerante a bolle sul collo del pallone e immergere il pallone in un bagno ad acqua termostatato a 80°C (temperatura di attivazione dell’iniziatore radicalico) per circa 30 minuti; dopodiché il pallone ben chiuso dovrebbe essere conservato per 3 giorni in freezer (le basse temperature servono per spaccare le micelle). In seguito dovrebbe effettuarsi una filtrazione, seccare il polimero in stufa da vuoto e pesare. Poiché l’esercitazione si conclude in una giornata, verrà mostrato il polimero come si presenta alla fine della sintesi.

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Esercitazione 3: Sintesi dello stilbene mediante reazione di Wittig

- mercoledì 8 febbraio gli studenti delle scuole: Focaccia (15

studenti), Fermi (15 studenti), Alfano I (5 studenti), Genoino (5 studenti), Mangino (5 studenti) seguiranno l’esercitazione n. 3;

Responsabile esercitazione: Massa Responsabile laboratorio: Napoli Tutors laboratorio: Graziella Ianniello, Maurizio Celentano Tutors: Palombi, De Rosa, Della Sala

Procedura:

PPh3

+ Cl-

+

O

H NaOH, CH2Cl2/H2O

riflusso

cis-stilbene

+

trans-stilbene

Cloruro di benziltrifenilfosfonio (solido) 0.778 g (peso molecolare: 388.9; 2 mmol) Benzaldeide (liquido) (peso molecolare: 106.1, densità: 1.04, 1.0

equivalente) Sodio idrossido (solido caustico) (peso molecolare: 40.0, 60 equivalenti) CH2Cl2 8 mL Suggerimenti: calcolare le quantità dei reagenti. Procedura:

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In un pallone da 100 mL, provvisto di ancoretta magnetica, sospendere il cloruro di benziltrifenilfosfonio (0.778 g, 2 mmol) in 8 mL di diclorometano ed aggiungere la benzaldeide. Lasciare la sospensione sotto agitazione. A parte, in una beuta da 250 mL, disciogliere NaOH in 30 mL di acqua (soluzione estremamente pericolosa in quanto corrosiva: MASSIMA ATTENZIONE!!). Lasciare raffreddare la soluzione a temperatura ambiente ed aggiungerla, in due tempi, alla sospensione nel pallone da 100 mL. Tappare il pallone di reazione e lasciare la miscela sotto energica agitazione per 30 minuti (si osserverà la formazione dell’ilide gialla ed, in seguito, la sua scomparsa). L’andamento è monitorato mediante una cromatografia su strato sottile (TLC, eluente: etere di petrolio/Et2O=9/1; rivelante: UV).

Reaz. Mix Rif.X X X

Almeno1 cm

Reaz. = Contenuto del pallone di reazione

Mix = miscela tra Reaz. e Rif.

Rif. = Prodotto di partenza(pochi mg sciolti in qualche goccia di MeOH)

Una volta che la reazione è andata a completezza, estrarre l’ancoretta magnetica con la barra magnetica, versare il tutto in un imbuto separatore (controllare che la valvola inferiore risulti chiusa), lavare il pallone con Et2O (2 x 40 mL) ed acqua (40 mL) e agitare avendo cura di tappare l’imbuto separatore. Delle due fasi formate, eliminare quella basica acquosa e poi dibattere quella organica con H2O (30 mL) per due volte. Anidrificare con solfato di sodio la fase eterea e portarla a secco.

PURIFICAZIONE: Il grezzo di reazione contiene sia lo stilbene che il trifenilfosfinossido. Per estrarre selettivamente lo stilbene aggiungere nel pallone 40 mL di una miscela etere di petrolio : etere etilico (8 : 2), tappare il pallone e lasciare in agitazione per cinque minuti. Il solvente, contenente lo stilbene, dovrà essere portato a secco in un pallone tarato da 100 mL e pesato.

In alternativa la fase di purificazione dello stilbene potrà essere effettuata presso la scuola di appartenenza (trattandosi di istituti chimici). Scheda reagenti e materiali per l’esperienza

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Reagenti: Cloruro di benziltrifenilfosfonio 0.778 g (peso molecolare: 388.9; 2 mmol) Benzaldeide (peso molecolare: 106.1, densità: 1.04, 1.0 equivalenti) Sodio idrossido (peso molecolare: 40.0, 60 equivalenti) Na2SO4

Solventi Materiale

CH2Cl2 2 Palloni da 100 mL Acqua distillata Pallone da 250 mL Etere di petrolio Imbuto estrattore Etere etilico 2 Beute da 250 mL Pipette Pasteur Cromatografia su strato

sottile (TLC) Carta da filtro Navicelle per pesata

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Esercitazione 4: Dalle cellule agli ecosistemi

DATE: martedì 9 febbraio, h. 9.00-13.00 per gli studenti delle scuole:

Focaccia (15 studenti), Fermi (15 studenti), Alfano I (5 studenti), Genoino (5 studenti), Mangino (5 studenti);

Responsabili esercitazione: I. Caputo, D. Baldantoni, G. Vigliotta Responsabile laboratorio: Patrizia Iannece Tutors laboratorio (Iannece): Maria Rosaria Acocella, Brunello Nardone Responsabile laboratorio: Francesco De Martino Tutors laboratorio (De Martino): Alessandra Perfetto, Laura Falivene

Tutors: Giovanni Saviello (Baldantoni), Raffaella Morelli (Baldantoni), Simona Matrella (Vigliotta), Flaminia Gay (Caputo), Marilena Lepretti (Caputo), Gaetana Paolella (Caputo)

NOTA. Gli studenti e gli insegnanti verranno divisi in tre gruppi da 20-25

unità. Un gruppo seguirà l’esercitazione A (un semplice metodo per purificare il DNA da cellule batteriche, I. Caputo), un altro gruppo seguirà l’esercitazione B (relazioni trofiche delle comunità dei sistemi fluviali: dai produttori ai decompositori), un terzo gruppo seguirà l’esercitazione C (viaggio nel mondo dei microrganismi: impariamo a studiarli).

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ESERCITAZIONE A:

UN SEMPLICE METODO PER LA PURIFICAZIONE DI DNA DA CELLULE BATTERICHE

Responsabile: dott. Ivana Caputo

Premessa I batteri vengono spesso impiegati nei laboratori di ricerca biologici poiché, per loro natura, possono contenere, in più copie, i PLASMIDI, ossia piccole molecole di DNA circolare di qualche migliaio di coppie di basi (bp) facilmente purificabili a partire da colture batteriche liquide. In natura, i plasmidi contengono geni che conferiscono, alle cellule che li contengono, la proprietà di resistere a specifici antibiotici e quindi rappresentano un vantaggio per la cellula che li contiene. Ma perché i plasmidi sono così utili nella pratica di laboratorio? Uno dei motivi è che i plasmidi possono essere modificati introducendo, in essi, dei geni di nostro interesse, mediante tecniche che, nel loro complesso, sono note come tecniche di ingegneria genetica. Il risultato è quello di avere una cellula batterica contenente un plasmide da noi modificato, cellula che, duplicandosi esponenzialmente, dà luogo a milioni di cellule uguali, e quindi a milioni di copie del plasmide con il gene “estraneo”. Purificando il plasmide dalla coltura batterica possiamo ottenere dunque milioni di copie del gene di nostro interesse, che potremo usare per un’infinità di analisi e scopi diversi. In certe condizioni, tale gene estraneo può produrre una proteina di interesse come un ormone o un vaccino, che potremo successivamente isolare dalla coltura batterica. Insomma, il batterio lavora per noi, producendo a nostro piacimento geni e proteine che intendiamo studiare o utilizzare per scopi medici o industriali, ecc.!!

Obiettivo dell’esercitazione L’obiettivo dell’ esercitazione proposta è quello di ripercorrere i passaggi di un protocollo sperimentale, utilizzato di routine nei laboratori di biologia molecolare, per ottenere DNA plasmidico da una coltura di cellule batteriche. Per valutare il risultato della purificazione viene proposta una tecnica, l’elettroforesi in gel di agarosio, che consente di “vedere” ossia di visualizzare il DNA ottenuto. L’obiettivo è anche quello di mostrare agli studenti il corretto modo di lavorare con le macromolecole (nello specifico con il DNA), imparando a rispettare le condizioni di sterilità e a manipolare microvolumi.

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Descrizione dell’esperienza Il giorno precedente all’esercitazione verranno eseguiti gli inoculi dei batteri nell’opportuno mezzo di coltura; fare un inoculo significa prelevare un certo numero di cellule batteriche da una coltura congelata o cresciuta in mezzo semisolido e porle in un mezzo nutritivo liquido adeguato. Nello specifico si utilizzeranno cellule di Escherichia coli, impiegate di routine come “contenitori” di plasmidi. Dopo una notte a 37°C in agitazione, le cellule verranno raccolte mediante centrifugazione e si inizierà la procedura di purificazione del DNA plasmidico. La tecnica impiegata prevede la lisi delle cellule in ambiente alcalino, la rimozione dei detriti cellulari mediante centrifugazione, il lavaggio del DNA con alcool e la risospensione del DNA ottenuto in acqua sterile. Gli acidi nucleici (DNA e RNA) sono carichi negativamente, quindi, se sono posti in un campo elettrico migrano verso il polo positivo. Quindi, un’aliquota di campione di DNA ottenuto potrà essere analizzata mediante una tecnica denominata elettroforesi che consente di far muovere il DNA in una matrice polimerica (il “GEL di AGAROSIO”) e di visualizzarlo successivametne sotto forma di bande discrete. Norme relative alla la sicurezza E’ necessario l’utilizzo di camice e guanti monouso. Alcuni dei reagenti utilizzati possono causare irritazione se vengono a contatto con la pelle e le mucose. Quando indicato dalle specifiche tecniche, le polveri devono essere pesate sotto cappa o utilizzando una mascherina. Lo stesso vale per i reagenti liquidi. In presenza di raggi UV, occorre utilizzare opportuni schermi di protezione. E’ infine necessario smaltire adeguatamente i rifiuti. Materiale occorrente -Microtubi (vol 1.5 ml), tubi da 50 ml sterili -Puntali per micropipette automatiche sterili -stand portatubi -beuta da 250 ml -cilindro da 100 ml -cilindro da 1 l -capsule Petri per batteriologia Reagenti occorrenti: -acqua distillata sterile -etanolo 100%; etanolo 70%; acido acetico glaciale -glucosio, Tris, EDTA, NaOH, sodio dodecil solfato, potassio acetato, NaCl, agarosio -bacto-triptone, estratto di lievito, agar, loading buffer 6X Strumentazione necessaria -incubatore per batteri -microcentrifuga refrigerata -micropipette automatiche (p200, p1000) -camera elettroforetica orizzontale con alimentatore -bilancia tecnica -transilluminatore UV -vortex -fornetto a microonde

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-autoclave NB: Per questa esercitazione occorre la disponibilità di cellule batteriche contenenti plasmidi.

Camera elettroforetica

microcentrifuga

Transilluminatore UV

Micropipette automatiche

Incubatore per batteri microtubo Puntali per

Protocollo sperimentale Nota: il protocollo è diviso in 3 parti; le parti 1 e 3 verranno solo mostrat, mentre la parte 2 verrà eseguita dagli studenti ospiti; preliminarmente, verrà spiegato il corretto utilizzo delle micropipette.

Parte 1- Crescita dei batteri in coltura liquida (effettuata dal responsabile dell’esercitazione)

1. Inoculo in mezzo liquido

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Utilizzando un puntale sterile, prelevare una singola colonia dal disco petri e immergere il puntale in 5 ml di mezzo di coltura liquido Luria Bertani (LB) presenti in un tubo sterile da 50 ml; agitare leggermente il puntale nella soluzione e gettare via il puntale. 2. Incubazione della coltura a 37°C per 18 ore Apporre al tubo il coperchio e posizionare il tubo nell’incubatore per batteri; settare la temperatura a 37°C, l’ agitazione a 200 rotazioni per minuto per un tempo di 18 ore. Soluzioni occorrenti -Terreno di coltura LB liquido (1 litro) pH 7.2 bacto triptone 10g estratto di lievito 5g NaCl 10g per terreno semisolido aggiungere 15g/l di Agar, autoclavare 20min NOTE: Il mezzo o “brodo” di coltura contiene sali ed estratti proteici necessari per la sopravvivenza e la crescita delle cellule batteriche. I batteri crescono a 37°C con agitazione continua affinché ci sia sufficiente aerazione della soluzione e i batteri non sedimentino sul fondo del tubo. Il tubo è sufficientemente grande da contenere tutta l’aria di cui i batteri hanno bisogno per un giorno. La coltura semisolida si ottiene aggiungendo l’agar, una sostanza di natura polisaccaridica che si scioglie ad alta temperatura e gelifica raffreddandosi.

Parte 2 – Purificazione del DNA plasmidico (effettuata dallo studente)

1. Prelevare 1.0 ml di coltura batterica cresciuta per 18 ore a 37°C Utilizzare una PIPETTA P1000, mettere la coltura batterica in un MICROTUBO, chiudere il coperchio. 2. Centrifugare per 2 min. a 12000 r.p.m. (rotazioni per minuto) L’operazione può essere effettuata a 4°C o a temperatura ambiente indipendentemente. Il tempo e la velocità della centrifugazione devono essere tali da consentire la formazione di un pellet (sedimento o precipitato) compatto. 3. Rimuovere la coltura batterica dal MICROTUBO Per eliminare il mezzo di coltura batterica sovrastante il pellet (ossia il “ supernatante”) è sufficiente versare il contenuto del MICROTUBO, capovolgendolo, e picchiettare leggermente il MICROTUBO, con tappo aperto, su carta, cercando di allontanare le eventuali goccioline di terreno residuo: tale operazione consente di non modificare le concentrazioni delle tre soluzioni in seguito utilizzate. 3. Risospendere il pellet batterico in 100 µl di Soluzione I. Per la risospensione si può utilizzare il vortex, in quanto le cellule sono ancora integre ed il DNA è protetto. 4. Aggiungere 200 µl di Soluzione II. Mescolare capovolgendo il tubo 4 o 5 volte. In questa fase la soluzione alcalina provoca la lisi delle cellule e la denaturazione e precipitazione delle molecole di DNA genomico e plasmidico (NB: per “denaturazione del DNA” si intende l’apertura della doppia elica con rottura dei ponti ad idrogeno che tengono unite le due catene del DNA). Quindi, le molecole di DNA

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diventano estremamente fragili, per questo si deve mescolare adeguatamente ma evitando azioni troppo energiche per non rompere meccanicamente il DNA stesso. Si ottiene un lisato cellulare viscoso e biancastro. 5. Aggiungere 150 µl di soluzione III e mescolare capovolgendo delicatamente il tubo 4 o 5 volte. Con l’aggiunta della soluzione III (entro pochi minuti dall’aggiunta della soluzione II) si riporta il lisato cellulare al pH che consente la “rinaturazione” (ossia la riassociazione delle due eliche ) del DNA plasmidico. Il DNA genomico e le proteine rimangono invece intrappolate irreversibilmente nel complesso formato da potassio e SDS. 6. Centrifugare a 12000 r.p.m. per 5 min. Questa centrifugazione permette la sedimentazione dei residui cellulari. 7. Recuperare il supernatante in un nuovo MICROTUBO. Al termine della centrifugazione nel tubo è presente un volume di circa 450 µl. Per non correre il rischio di far risospendere il pellet mentre si recupera il supernatante, si consiglia di prelevare un volume di 350 µl. 8. Precipitare il DNA con due vol. di etanolo (100% v/v). L'etanolo è aggiunto al 100% per ottenere una soluzione finale al 70%. Per esempio: a 100 µl di DNA si aggiungono 200 µl di etanolo assoluto. In questa fase è necessario capovolgere il tubo delicatamente: il DNA deve venire a contatto con l’alcool per precipitare. 9. Centrifugare a 12000 r.p.m per 5 min. Al termine della centrifugazione, se il DNA è “sporco”, ossia contaminato da detriti cellulari e proteine, è possibile vedere il pellet bianco sul fondo del tubo. Il DNA è comunque presente ma ad un basso grado di purezza. 10. Rimuovere il supernatante. Per rimuovere il supernatante è sufficiente capovolgere il MICROTUBO. Con l’etanolo andranno via la maggior parte dei sali derivanti dai passaggi precedenti. 11. Lavare con etanolo 70% v/v e ricentrifugare, quindi rimuovere il supernatante. Versare nel MICROTUBO 500µl di Etanolo 70%. Agitare. Centrifugare come sopra alla fine della centrifugazione allontanare l’etanolo capovolgendo la provetta aperta e scuotendola leggermente su un pezzo di carta. Il lavaggio con Etanolo 70% serve ad eliminare i sali residui. 12. Lasciare asciugare il pellet all’aria per 10 minuti. E’ importante che il pellet sia completamente asciutto perché la presenza di tracce di etanolo determina una scarsa risospensione del DNA. 13. Risospendere il DNA plasmidico in 50 µl di dH2O sterile. Il DNA risospeso in dH2O si conserva a –20°C (la bassa temperatura blocca le endonucleasi, ossia gli enzimi che degradano il DNA). Soluzioni utilizzate: - Soluzione I:

• 50 mM glucosio • 25 mM Tris-HCl (pH 8.0) • 10 mM EDTA (pH 8.0)

- Soluzione II • 0.2 N NaOH • 1% SDS

- Soluzione III • 5M potassio acetato 60 ml • acido acetico glaciale 11.5 ml • acqua 28.5 ml

NOTE: Si possono distinguere due fasi operative nel presente protocollo:

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1. Lisi alcalina: lisi delle cellule batteriche mediante l’uso di una soluzione alcalina che provoca la denaturazione e la precipitazione di tutte le componenti cellulari, ad eccezione del DNA plasmidico che rimane in soluzione. 2. Precipitazione e risospensione del DNA: operazione che prevede la precipitazione ed il lavaggio del DNA, seguito da risospensione in dH2O. Secondo la procedura della lisi alcalina, il DNA plasmidico è preparato da piccole quantità di una coltura di batteri contenenti plasmidi. I batteri sono lisati da un trattamento con una soluzione contenente sodio dodecil solfato SDS (che denatura le proteine batteriche) e NaOH (che denatura il DNA plasmidico e cromosomale). La miscela è neutralizzata con potassio acetato che permette la rinaturazione del DNA plasmidico a differenza di quello genomico. La maggior parte del DNA cromosomale e le proteine batteriche precipitano (così come l'SDS, che forma un complesso con il potassio), e sono rimosse mediante una centrifugazione. Il DNA plasmidico rinaturato, che rimane nel supernatante, viene concentrato per precipitazione in etanolo. La Soluzione I è necessaria per risospendere le cellule e porle nelle condizioni adatte alla successiva lisi. Il glucosio: rende la soluzione isoosmotica; la sua presenza impone la sterilizzazione in autoclave della soluzione per evitare lo sviluppo di muffe. Il tampone Tris-Cl (pH 8.0) : fornisce potere tamponante, viene equilibrato con HCl a valori prossimi ad 8.0 , che è il pH ideale per mantenere in soluzione il DNA nella sua forma a doppio filamento. L’ EDTA (pH 8.0): è necessario per sequestrare (chelare) gli ioni bivalenti, in particolare impedisce agli ioni Mg2+ di agire da coenzimi per le endonucleasi, rendendole inattive. Questo garantisce l’estrazione e la conservazione di DNA integro in qualsiasi condizione di lavoro. L’EDTA, inoltre, chela gli ioni Ca2+ indebolendo la parete cellulare, evitando l’utilizzo di lisozima (un enzima che attacca la parete batterica). La Soluzione II provoca la lisi alcalina delle cellule. L’NaOH permette la lisi alcalina con la quale il DNA genomico e plasmidico denaturano e precipitano. L’SDS è un detergente cheha il potere di solubilizzare le membrane e denaturare le proteine. L’etanolo e l’etanolo 70% devono essere usati freddi.

Parte 3 – Analisi del DNA ottenuto mediante elettroforesi in gel di agarosio (mostrata agli studenti)

1. Preparazione del gel all’1% di agarosio

• Pesare 1 g di agarosio • Mettere l’agarosio in una beuta, aggiungere 50 ml di tampone TAE (TRIS-Acetato-

EDTA) e porre la beuta nel forno a microonde a media potenza; di tanto in tanto estrarre la beuta e agitarla fino ad ottenere una soluzione limpida

• Fare raffreddare la soluzione aggiungendo altri 50 ml di TAE e aggiungere, quando la temperatura è tale da non scottare, il bromuro di etidio (10 µl di una soluzione 10mg/ml).

• Versare la soluzione nel lettino opportunamente allestito con i pettini e lasciare solidificare.

• Dopo la solidificazione, il gel viene posto nell’apposita vaschetta elettroforetica riempita con il tampone di corsa. Tale tampone è lo stesso e alla stessa concentrazione di quello usato per polimerizzare l’agarosio.

• NOTE:

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Il Tris contenuto nel tampone è un sale molto usato nei laboratori. Tampona tra pH 7 e pH 8, un range in cui il DNA si mantiene molto bene. L’Acido acetico fornisce gli ioni che permettono il passaggio della corrente elettrica. L’EDTA, invece, è un chelante che sequestra ioni Mg2+ presenti in soluzione e che vengono utilizzati da enzimi che degradano il DNA (DNAsi). Il suo potere tamponante è nullo rispetto a quello del Tris. Per visualizzare le bande elettroforetiche durante e dopo la corsa, viene aggiunto al gel il Bromuro di etidio, un intercalante del DNA che, se esposto a luce UV, emette fluorescenza. In questo modo sono rese visibili le bande di DNA che hanno migrato sul gel. Il limite di rivelabilità è in genere attorno ai 15-20 ng di DNA. Attenzione: il bromuro di etidio è una molecola potenzialmente cancerogena, come TUTTE le molecole che si intercalano fra le eliche del DNA, ed è dunque necessario maneggiarla con prudenza; in caso entrasse in contatto con la pelle, lavare abbondantemente con acqua, ma non insaponare, per evitare di solubilizzare la molecola e farla penetrare negli strati inferiori dell’epitelio. Gli strati più superficiali sono infatti formati da cellule morte che non possono quindi essere danneggiate da parte di questa molecola. Il tampone per l’elettroforesi viene utilizzato sia per preparare il gel d’agarosio sia per la corsa elettroforetica.

2. Preparazione dei campioni da analizzare in gel

• Miscelare 10 µl di campione con 3 µl di “loading buffer” (tampone di caricamento) e 5 µl di acqua (volume finale 18 µl).

NOTE: Questo passaggio ha lo scopo di rendere il campione visibile, durante il caricamento nel gel, grazie alla presenza di coloranti; consente anche di seguire istante per istante l’andamento dell’elettroforesi. Spesso sul gel, durante il caricamento dei campioni, si riserva un pozzetto in cui verrà messo il marker. Questo è composto da una miscela di frammenti lineari di DNA i quali migrano nel gel in maniera nota. 3. Caricamento e corsa

• Caricare evitando di avere bolle nel puntale: queste uscendo spingerebbero il campione fuori dal pozzetto.

• Applicare una differenza di potenziale proporzionale alla distanza tra gli elettrodi, in particolare si applica un voltaggio di 3-5 V/cm (calcolato come distanza fra i due elettrodi), quindi 80 V.

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• La corsa termina quando il primo colorante (blu di bromofenolo) ha percorso i ¾ della lunghezza del gel (45-60 min.)

4. Visualizzazione delle bande

• Al termine della corsa elettroforetica, il gel viene prelevato ed appoggiato sul piano di uno strumento denominato TRANSILLUMINATORE a UV; le lampade UV del transilluminatore consentiranno di visualizzare le bande di DNA sul gel.

NOTE: Dopo l’estrazione il DNA plasmidico può presentarsi in tre forme (superavvolto, circolare aperto e lineare) a seconda di come è avvenuta l’estrazione. Generalmente si osservano solo due bande: superavvolto e circolare aperto; la forma superavvolta è quella che migra più velocemente.Se è più evidente la banda della forma superavvolta significa che il protocollo di estrazione del plasmide è delicato e non danneggia il DNA. Soluzioni utilizzate: - Tampone Tris-Acetato-EDTA

• 0.04 M Tris acetato; • M EDTA pH 8.0.

- Loading buffer (6x) • 0.15% Blu di bromofenolo° • 0.15% Xilene di cianolo^ • 24% (w/v) glicerolo in acqua

°migrazione simile a quella di un frammento di 300 bp ^ migrazione simile a quella di un frammento di 4000 bp

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ESERCITAZIONE B RELAZIONI TROFICHE DELLE COMUNITÀ DEI SISTEMI FLUVIALI:

DAI PRODUTTORI AI DECOMPOSITORI Responsabile: dott. Daniela Baldantoni La maggior parte delle comunità ecologiche è costituita da centinaia di specie che interagiscono le une con le altre e con l’ambiente fisico in molti modi; quindi, tentare di comprendere come funzionino le comunità può sembrare un compito impossibile. Fortunatamente non dobbiamo conoscere tutti i dettagli per ottenere importanti informazioni. Possiamo comprendere molte cose semplicemente capendo “chi mangia chi”. Gli organismi in una comunità possono essere suddivisi in livelli trofici in base alla loro fonte di energia. I produttori ottengono la loro energia quasi sempre dalla luce solare. Gli erbivori, che ricavano la loro energia cibandosi dei produttori, sono consumatori primari. Gli organismi che ottengono la loro energia mangiando gli erbivori, sono consumatori secondari, e così via. Gli organismi che vivono a spese della materia organica morta (carogne di animali, escrementi, rami secchi e foglie cadute, frutti…) si chiamano decompositori e svolgono un ruolo centrale nel ciclo della materia. Obiettivo dell’esercitazione L’esercitazione mira all’osservazione di alcune macrofite e macroinvertebrati che nei sistemi fluviali occupano livelli trofici chiave nel ciclo della materia. Materiale - Alghe unicellulari e pluricellulari - Piante acquatiche - Macroinvertebrati - Microscopio ottico a luce trasmessa - Stereomicroscopio - Lente d’ingrandimento - Pinzetta - Vetrino porta-oggetto - Vetrino copri-oggetto - Pipetta Pasteur - Capsula Petri - Spruzzetta - Olio a immersione

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Microscopio ottico a luce trasmessa: nell’immagine sono indicate le principali

componenti.

Stereomicroscopio

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Reagenti Etanolo al 75% Procedura Allestimento di vetrini per l’osservazione al microscopio ottico a luce trasmessa di alghe unicellulari e pluricellulari e di piante acquatiche; osservazione allo stereomicroscopio di macroinvertebrati. Presupposti teorici Si richiede che i docenti trasmettano agli studenti conoscenze relative ai principi di funzionamento e dell’utilizzo del microscopio ottico. Sono utili conoscenze di base della comunità di organismi dei fiumi. Sicurezza Comuni principi di sicurezza in laboratorio, non sono richieste prescrizioni particolari.

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ESERCITAZIONE C

VIAGGIO NEL MONDO DEI MICRORGANISMI:

IMPARIAMO A STUDIARLI Responsabile: Dott. Giovanni Vigliotta

Argomenti trattati Definizione di microrganismo. Procedure fenotipiche per l’identificazione microbica: colorazione di Gram e della spora, analisi microscopica, test della ossidasi e della catalasi per il riconoscimento di Escherichia coli, Pseudomonas spp. e dei cocchi Gram positivi (streptococchi e stafilococchi). Obiettivo dell’esercitazione Fornire alcuni dei principi fondamentali per manipolare i microrganismi e riconoscerli attraverso l’analisi fenotipica e biochimica. Note relative alla sicurezza Nel corso delle esercitazioni quasi tutti i microrganismi utilizzati saranno non patogeni e quindi potranno essere manipolati con le opportune precauzioni dagli studenti. Nel caso sia necessario il confronto con quelli patogeni, questi ultimi verranno manipolati esclusivamente dal responsabile di laboratorio. E’ fondamentale l’uso del camice e, all’occorrenza, dei guanti monouso. Tutti i materiali (fazzoletti, coloranti, vetrini, ecc.) che sono stati in contatto con i microrganismi dovranno essere gettati negli appositi contenitori etichettati in modo appropriato al fine di garantirne il corretto smaltimento. Materiali: Vetrini portaoggetti Spruzzette Guanti e camici monouso Anse calibrate sterili Pipette graduate in plastica Pipette monouso Olio minerale per microscopia Becco bunsen

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Reagenti: Kit per colorazione di Gram:

soluzioni di cristal violetto, safranina, decolorante (acetone o etanolo), reattivo di Lugol (Iodio).

Soluzione verde malachite (5% in acqua) per colorazione della spora. Reattivi per i saggi della catalasi e ossidasi Strumentazione: Microscopio ottico con obiettivi 20X e 40X e 100X e oculare 10X; attrezzatura per la conta cellulare. Presupposti teorici. I microrganismi sono definiti come organismi viventi talmente piccoli da richiedere l’uso del microscopio per essere osservati. Nonostante le dimensioni, il mondo microbico è molto vario e affascinante: entrando nell’infinitamente piccolo lo scenario che si aprirebbe sarebbe quello di un mondo parallelo sconosciuto, infinitamente grande, fatto di organismi dalle forme più disparate (sferici, ellittici, cilindrici, filamentosi, quadrati, ecc.), colorati, fissi, fluttuanti, traslanti e dalle capacità di colonizzare ambienti estremi e impossibili per qualunque altro essere vivente. La nostra vita e quella di ogni organismo è totalmente dipendente da essi, dal punto di vista medico (patogeni: Candida, Micobacterium tuberculosis, Virus HIV, ecc.), ambientale (cicli biogeochimici), ma anche biotecnologico (alimenti, risanamento ambientale, farmaci ricombinanti, antibiotici). Saper manipolarli e studiarli riveste, quindi, un’enorme importanza, soprattutto se si pensa che è stato stimato che quelli che effettivamente sono a noi noti rappresentano una percentuale trascurabile rispetto a quelli effettivamente presenti in natura. Lo studio dei microrganismi richiede metodi per la crescita e propagazione in laboratorio (terreni di crescita) e per la identificazione. Le dimensioni ridotte che non ci permettono di carpire i particolari, come si potrebbe fare semplicemente osservando un organismo superiore (una pianta, un cane, un uomo ecc.), rendono necessari dei metodi per l’identificazione che vanno oltre la sola definizione della forma, spesso ripetuta tra gruppi differenti. L’identificazione corretta si avvale di diverse procedure e difficilmente una sola di queste può portare ad un risultato attendibile. Oggi si utilizza quello che si definisce approccio polifasico, ovvero l‘impiego simultaneo di tecniche molecolari, basate sullo studio del DNA e dei geni, e tecniche fenotipiche, mirate alla caratterizzazione della forma, fisiologia, metabolismo. Queste ultime consistono nell’osservazione microscopica, nella crescita in vari tipi di terreni e in condizioni diverse di pH, temperatura, salinità,

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nell’uso di metodi biochimici (ricerca di attività enzimatiche quali la catalasi e l’ossidasi, ureasi ecc.) e sierologici (mediante anticorpi per individuare specifiche molecole dette marcatori presenti sulla superficie del microrganismo). La nostra esercitazione affronterà il tema del riconoscimento microbico utilizzando tecniche esclusivamente fenotipiche.

• Il primo passo per identificare un microrganismo è quello di osservarlo attentamente al microscopio, ma questo richiede che lo si contrasti rispetto all’ambiente circostante. Per lo scopo sono comunemente utilizzate sostanze coloranti che funzionano legandosi ad alcune strutture della cellula (membrana, parete DNA e altro), conferendo loro caratteristici colori. Alcune colorazione, dette semplici, hanno come unico scopo quello di contrastare la cellula, tuttavia, sono state messe a punto una serie di procedure che permettono di differenziare tra diversi gruppi microbici (colorazioni differenziali) o di riconoscere particolari strutture quali spore, capsule, flagelli, nucleo (colorazioni strutturali). Saranno applicate due tecniche di colorazione che ci permetteranno di osservare un insieme di microrganismi diversi.

• Si passerà poi all’uso di tecniche biochimiche: il saggio dell’ossidasi e della catalasi. Il test dell’ossidasi permette di evidenziare la presenza nella cellula di attività ossidante il citocromo c (citocromo c ossidasi), tipica solo di certi gruppi batterici ma che manca in altri. Questo saggio ci permetterà di distinguere tra coliformi, il cui rappresentante più noto è Escherichia coli (habitat: apparato digerente scarichi fognari, liquami) e Pseudomonas (habitat: pesce, pollame, uova, frigoriferi di casa, ospedali). Entrambi i batteri, molto diffusi in natura, risultano praticamente identici all’analisi microscopica. Il test della catalasi evidenzia la presenza dell’enzima catalasi, un enzima detossificante che converte il perossido di idrogeno prodotto dal metabolismo dell’ossigeno e tossico per la cellula, in ossigeno e acqua, innocui. Sarà utilizzato il test per distinguere gli stafilococchi (catalasi positivi) dagli streptococchi (catalasi negativi), entrambi Gram positivi e caratterizzati da una forma sferica

Esercitazione pratica. A. Visualizzazione delle colonie microbiche cresciute su capsule di Petri

contenenti terreno di coltura solido (15% agar): valutazione della forma, grandezza, colore, consistenza e contorno delle colonie.

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B. Analisi del gruppo di appartenenza, forma, dimensione e struttura dei singoli microrganismi, mediante tecniche di colorazione e microscopia.

B.1. Colorazione di Gram (differenziazione tra gruppi Gram positivi e Gram negativi). Preparazione del campione. Prelevare con un’ansa calibrata sterile una data quantità di acqua distillata ( circa 5 microlitri) e appoggiarla sul vetrino portaoggetti; Con una seconda ansa sterile prelevare una piccola quantità di colonia microbica e stemperarla nell’acqua posta sul vetrino portaoggetti; Fare asciugare bene il vetrino; Fissare il campione passandolo 3 volte con movimento deciso tra la fiamma di un becco bunsen. Colorazione. Con una pipetta monouso pulita prelevare poche gocce di cristal violetto, stratificarlo sul materiale fissato e incubare 3 minuti; Rimuovere con acqua di fonte, mediante spruzzetta, l’eccesso di colorante dal vetrino; Con una pipetta monouso pulita prelevare poche gocce di mordenzante, (reattivo di Lugol) stratificare sul materiale precedentemente colorato e incubare 1 minuto; Rimuovere con acqua di fonte l’eccesso di mordenzante; Applicare con una pipetta monouso pulita poche gocce di decolorante sul campione per 10 secondi; Rimuovere immediatamente con acqua di fonte; Con una pipetta monouso pulita prelevare poche gocce di colorante safranina per il contrasto, stratificare sul materiale fissato e incubare 1 minuto; Rimuovere con acqua di fonte e lasciare asciugare prima dell’osservazione al microscopio. B.2. Colorazione dell’endospora secondo Schaeffer e Fulton (analisi di strutturale). Preparazione del campione. Operare come al punto B.1.

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Colorazione. Far bollire in un becker dell’acqua mediante l’uso di una piastra riscaldante; Poggiare il vetrino con il campione sopra all’acqua bollente utilizzando appositi sostegni; Coprire gli strisci con pezzi di carta assorbente e saturarli con la soluzione di verde malachite; Lasciare agire per 5 minuti aggiungendo nuovo colorate per evitare eccessiva perdita per evaporazione; Rimuovere il vetrino e lavare delicatamente con acqua di fonte; Con una pipetta monouso pulita prelevare poche gocce di colorante safranina per il contrasto, stratificare sul materiale fissato e incubare 1 minuto; Rimuovere con acqua di fonte e lasciare asciugare prima dell’osservazione microscopio

B.3. Osservazione al microscopio ottico. Porre il vetrino precedentemente colorato con il colorante di Gram o verde malachite sul tavolino porta vetrini del microscopio in dotazione e mettere a fuoco con ingrandimenti minori (20X); Porre una goccia di olio minerale sulla zona da osservare e posizionarvi sopra l’obbiettivo 100X per l’osservazione in immersione. B.4. Risultati. Le forme possibili varieranno in funzione dei microrganismi utilizzati (l’allievo sarà chiamato a descriverle, possibilmente disegnandole). I batteri Gram negativi appariranno di colore rosa pallido mentre quelli Gram positivi saranno colorati in viola scuro con un’intensità dipendente dal gruppo microbico. I batteri endosporigeni presenteranno una colorazione rosa e al loro interno una struttura di forma variabile (circolare, ovoidale o cilindrica) di colore verde. I lieviti appariranno di colore viola (postitivi al Gram) con una forma sferica, ellittica o cilindrica e con eventuali gemme sporgenti sulla superficie.

C. Saggio della catalasi.

Porre una goccia di reattivo su di un vetrino portaoggetti; Con un’ansa monouso sterile prelevare una colonia microbica cresciuta su piastra Petri e stemperarla nella goccia di reattivo.

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Risultato. Test positivo: sviluppo quasi immediato di ossigeno, evidenziato dalla formazione di schiuma bianca sul vetrino. Test negativo: assenza di schiuma.

D. Saggio dell’ossidasi.

Porre una goccia di reattivo su di un disco di carta assorbente di 0,6-0,8 cm di diametro; Con un’ansa monouso sterile prelevare una colonia microbica cresciuta su piastra passarla sulla carta umida. Risultato Test positivo: sviluppo di colore viola in pochi secondi in corrispondenza dei microrganismi. Test negativo: assenza di sviluppo di colore.

BA

C

A. Colonie batteriche di attinomiceti cresciute in capsule di Petri con terreno

agarizzato. B. Analisi microscopica della colonia: notare la forma filamentosa dei

singoli batteri simile al micelio fungino C. Differenziamento microbico nel tempo:

produzione di antibiotico (indicato dal colore rosso) e spore (alone bianco sulla

superficie batterica

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BA

C A,B,C. Esempi di batteri bastoncellari. D. Lievito. A. E.

coli, Gram negativo. B. Bacillus tetani. C. Bacillus cereus

evidenziato con colorazione di Gram e chiaramente Gram

positivo. Notare in B la presenza della endospora sub

terminale rifrangente. D. Saccaromyces cerevisiae il

comune lievito di birra; notare le gemme sulle cellule

madri

D

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