Breve viaggio in Irlanda del Nord

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Carlo Colombo Breve viaggio nell’Irlanda del Nord Busto Arsizio, dicembre 2013

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Un reportage di Carlo Colombo

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Carlo Colombo

Breve viaggio nell’Irlanda del Nord

Busto Arsizio, dicembre 2013

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PREFAZIONE

Le pagine che seguono non sono un manifesto politico, né un compendio storiografico, né pretendono di fornire una minima guida di quanto ci sia da visitare in Irlanda del Nord. Compilandolo, ho piuttosto inteso restituire sensazioni, riflessioni, informazioni, visioni, ragionamenti che sono sovvenuti durante un breve viaggio, da me compiuto in automobile a fine ottobre, in compagnia di Paola, a cui il volumetto è dedicato, Giulia e Roberto.

L’ho voluto fare, mutuando lo stile dei viaggiatori di una volta, che solevano “mescere utile dulci”, secondo la raccomandazione del poeta Orazio. Spero che il lettore ne possa trarre diletto e occasione di approfondimento. Le fotografie da me scattate e po- ste a compendio dei brani, durante quei pochi giorni, potranno aiutarci a raggiungere lo scopo.

Il materiale qui riproposto è apparso a puntate su Va’ a quel paese.com, il travel blog dell’amica e collega Alessandra Favaro, che ringrazio.

La soddisfazione per il risultato ottenuto, la notizia della morte di Mandela e l’avvento del Natale mi hanno persuaso che farne un libello sarebbe potuto essere regalo gra- dito ad amici e conoscenti. Se avrò avuto ragione, me lo direte personalmente.

Su sollecitazione di alcuni, ho voluto quindi allargare il pubblico dei lettori, facendone un e-book liberamente scaricabile. Se avrò avuto ragione me lo direte personalmente, o per iscritto.

Buona lettura e buon viaggio.

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Capitoli

I. La contea di Londonderry e il mare, dalla spiaggia di Benone

II. La tenuta di Downhill, il belvedere e il Mussenden Temple

III. Dal naufragio alla rivalità di Falls e Shankill: i muri di Belfast

IV. Verso Orange Hall, Sant’Anna e l’orologio di Alberto

V. Derry, Derry, Derry!

VI. A spasso per la costa: giganti, castelli, tesori e velieri spagnoli

VII. Poscritto

VIII. Info pratiche e curiosità

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I.

La contea di Londonderry e il mare, dalla spiaggia di Benone

Quando ho immaginato la contea che circonda la città di Der- ry, il pensiero è volato ai ventosi paesaggi che scompigliano i capelli di Barry Lyndon, nell’omonimo film di Stanley Kubrick. È una semplice questione di assonanza: per la provenienza dei coloni, gli inglesi ribattezzarono la città con il nome di London-derry. Sarà un caso che il protagonista del film sia irlandese. Eppure, l’esperienza conferma la suggestione.

Percorrendo in automobile la Seacoast Road, ossia la statale A2, con l’intenzione di seguire la costa fino a Belfast, può capi- tare di cedere alla tentazione di deviare verso il mare. Se dovesse capitare, fatelo prima di arrivare a Coleraine, seguendo le indicazioni per un campeggio. Quale sarà la sorpresa di vedersi davanti il panorama maestoso del mare, che frange un lungo arenile, vera rarità a queste latitudini!

La località è detta Benone e sarà forza di cose, per un italiano dal carattere contemplativo e non meno avventuroso, dedito alla ricerca di meraviglie naturali, riconoscere di starci davvero “benone” su questa spiaggia. Tanto più se amante del surf, il viaggiatore potrà godere delle onde spumanti, delle scogliere che mettono un limite al susseguirsi di verdi declivi, punteggiati di greggi.

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Chiusa ad ovest dal fiume Foyle, è sormontata ad est dalla meraviglia più rimarchevole della contea.

Al limite dei faraglioni, un osservatorio a pianta circolare, di foggia neoclassica, costruito su modello del tempio di Vesta a Roma, rimarca e sorveglia la maestà dello spettacolo sottostante. È il Mussenden Temple, uno fra i soggetti più fotografati dell’Irlanda settentrionale. Per ammirarlo più da vicino, sarà meglio rimettersi al volante.

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II.

La tenuta di Downhill, il belvedere e il Mussenden Temple

Anzi di arrivare al borgo costiero di Castlerock, sulla sinistra, sorge il rudere di un palazzo dai molti nomi. Appartiene a quel che resta della tenuta di Downhill, un tempo proprietà di un ec- centrico aristocratico, il vescovo di Londonderry, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Frederick Augustus Hervey, quarto conte di Bristol e vescovo protestante, costruì il palazzo, anche noto come “castello del vescovo”, per ovvie ragioni. Basta ritrovarsi al limitare di un piccolo bosco di piante ricercate, che stormisce al perpetuo vento, e introduce ai pascoli del belvedere.

È solo una delle due porte di accesso alla tenuta. L’altra, detta “porta dei leoni”, accentua l’aspetto spettrale della magione, che dopo il secondo conflitto mondiale si è svuotata progressiva- mente, lasciando in piedi le sole pareti. Nelle notti di tempesta, quando la pioggia fende improvvisa le tenebre, due leoni dai profili semplici e feroci sembrano uscire da un libro di fanta- smi, o di quei mondi fantastici cari a Clive Staples Lewis. Pare che l’autore delle Cronache di Narnia si sia ispirato a Downhill per Il leone, la strega e l’armadio e non è difficile crederlo. Nel palazzo, che per quasi due secoli ha impreziosito le spoglie e ventose campagne di Londonderry, fino ad ospitare per ultima la contraerea britannica, impegnata a contenere le incursioni della Luftwaffe, non restano che gli steccati a impedire che le pecore bruchino l’erba, là dove una volta si sorseggiava il whi- sky, attorno al caminetto.

Il Mussenden Temple è meglio conservato. Il conte-vescovo lo edificò per incastonare l’alcova in un’esperienza mistica, e dare dimora alla propria amante. A giudicare dalle segrete, avrebbe potuto consegnarle una prigione, o costringerla a pratiche “divine”. Il colpo d’occhio, che dall’interno ampie vetrate aprono solo sul lato del mare, come a nascondersi alla vista degli uo- mini, è invece inestimabile e suggellato da versi latini: “Suave mari magno turbantibus aequora ventis e terra magnum alterius spectare laborem”, sono parole di Lucrezio, incise sull’architrave. Per quanto aggiunga una vena enigmatica alle molte fantasie che può risvegliare questo luogo, è innegabile quanto dice l’epicureo, che è dolce, quando i venti sconvolgono le distese del vasto mare, guardare da terra il grande travaglio altrui.

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Per il viaggiatore, non è differente l’impressione destata da un’altra procella, che da secoli sconvolge questo pugno di contee. Le spiagge ai piedi della scogliera e del suo tempio d’amore, sono state scenario di due delitti brutali: il primo per mano di un dentista pluriomicida nel 1991; il secondo è l’epilogo di una delle tante, cruenti contrapposizioni che oppongono da secoli i discendenti dei coloni scozzesi, di confessione protestante, ai cattolicissimi irlandesi. Quattro di questi furono trovati cadaveri, uccisi per mano di sicari lealisti. Succedeva vent’anni fa.

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III.

Dal naufragio alla rivalità di Falls e Shankill: i muri di Belfast

Pensare di entrare in una città che vanta i natali della più spettacolare tragedia del Novecento, non rappresenta un buon viatico. A Belfast, non c’è locale che non abbia almeno un quadretto del Titanic. Il gigantesco transatlantico, naufragato a meno di un mese dal varo, prese forma nei cantieri navali di questa ca- pitale d’Irlanda, rimasta affezionata all’Union Jack. Recente è la creazione di un museo dedicato alla titanica vittima dell’ice- berg e della malasorte.

Un museo a cielo aperto sta invece agli angoli di due strade che corrono parallele nella geografia e nella storia della città. Sono la cattolica Falls Road e la protestante Shankill, dove splendidi murales testimoniano le lacerazioni dette “troubles”. Il più noto raffigura Bobby Sands, attivista dell’Ira, che dopo essersi visto negare lo statuto di prigioniero politico, iniziò uno sciopero del- la fame che lo portò a morire in carcere, in età giovanile. Lungo Falls Road, i muri ricordano gli attivisti e sindacalisti uccisi. Sventolano i tricolori irlandesi, sono omaggiate la libertà e la fratellanza, si celebrano l’indipendenza e l’autodetermina-zione dei popoli, l’Irlanda unita e repubblicana, i campioni dello sport, del calcio nostrano e di quello irlandese, un misto tra l’hockey e un mach di pugilato.

La manifestazione di appartenenza che accende le rivalità a Belfast coinvolge anche le squadre di calcio, in particolare le due di Glasgow: a Falls Road, le bandiere banco-verdi del Celtic fanno la parte del leone; a Shankill si tifa Rangers, al limite Liverpool. Così lo sport mantiene le due anime dell’Irlanda settentrionale divise e avversarie. Un doppio cancello separa le due tifoserie. Posto sulla strada di raccordo, è ora lasciato aperto e sguarnito.

In mezzo, una zona franca ricorda che, non più tardi di vent’anni fa, di lì passava il confine tra due nazioni in guerra. Il lungo muro che accompagna al valico, però, è un muro di pace: qui i murales raffigurano Madre Teresa, Nelson Mandela e altri emblemi della riconciliazione.

Nessun santo è più appropriato di Mandela per sovrintendere la marcia verso la pace. L’idea che ispirò la repressione protestante non doveva essere troppo

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estranea al razzismo, che aveva retto il sistema dell’apartheid in Sudafrica e che negli anni di piombo girava a pieno regime: come a Johannesburg e Pretoria, a Belfast e Derry la minoranza protestante si è dimostrata impermeabile alla popolazione locale e si è nutrita di rivalsa nei confronti dei propri persecutori di un tempo, scambiando la difesa con il sopruso e cullando l’idea di una pretesa superiorità.

Ognuno pianga i propri morti, ma sui muri di Belfast la differenza si nota.

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IV.

Verso Orange Hall, Sant’Anna e l’orologio di Alberto

Non illuda la mano tesa all’ingresso del quartiere, dove i cordoli dei marciapiedi sono colorati di rosso bianco e blu, a guisa della bandiera britannica. A Shankill Road non c’è spazio per roman- tici e trasognati: una testa di cuoio mira al visitatore, pronta a fare fuoco al primo passo falso. È un avvertimento. Lo è anche re Guglielmo I, che impenna a cavallo e brandisce la spada in segno di vittoria: fu lui ad assegnare ai coloni scozzesi di fede protestante le terre spossessate degli irlandesi, sui quali grava- va il torto di avere sostenuto il rivale al trono.

Identico, nella forma di una scultura, ritroviamo il monarca arrivato dall’Olanda, che sormonta la Orange Hall, in Clifton Street. Sotto, una data: 1690. È l’anno della battaglia del Boyne, che segna l’esito della Gloriosa Rivoluzione in Irlanda. Infausta per la fazione cattolica, i protestanti la commemorano ogni estate con le marce orangiste.

È istruttivo ricordare che nel 1968, mentre la primavera faceva sbocciare un’impellenza di libertà fra gli studenti di Parigi e veniva soffocata dai comu-nisti a Praga, qui, dove il clima deve avere reso il dialogo con Dio più semplice

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che con gli uomini, una rivendicazione per i diritti civili riaccese le ceneri di un odio antico.

Altrettanto antico è l’orgoglio lealista di appartenere a un regno che ha imperato sui mari, da Gibilterra a Suez, dall’Atlantico all’Indiano – Britannia, rule the wave!, esorta una canzone patriottica –; un regno che ha sconfitto Napoleone, che ha resistito all’assedio nazista, che ha combattuto i comunisti e i dittatori argentini per la difesa di pochi scogli.

Un salto alla cattedrale protestante di Sant’Anna può rendere l’idea. Le navate laterali sono un tripudio di bandiere militari: marina, aviazione e compagnia cantante. Gli araldi recano l’arpa celtica, simbolo dell’Irlanda.

Un mausoleo commemora i caduti di tutte le guerre. Non bastasse, ecco l’Albert Memorial Clock a ricordarci di essere su suolo britannico. Intitolata all’unico grande amore della regina Vittoria, che tutto governa dalla City Hall, il municipio, è una riproduzione sbilenca, in scala ridotta del Big Ben.

Come per Pisa, un cedimento ha inclinato la torre. Non troppo. Abbastanza da farsi notare. Almeno per qualcosa.

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V.

Derry, Derry, Derry!

Per quanto mi riguarda, il primo contatto con la città di Derry è stato uno scongiuro: “Derry, Derry, Derry, please, e non Londonderry!”, scrive Cristina Cona nella guida all’Irlanda che ho per le mani, pubblicata nel 1984, per Clup. È un volume interessante. Offre un ritratto dell’isola attraverso categorie economiche e sociali di scuola marxista. Spiega per filo e per segno le ragioni delle tensioni tra cattolici e protestanti, colonialisti e colonizzati, classe operaia e patronato, in un modo niente affatto attuale, che ne aumenta il fascino. Per farla breve, è per ragioni anticolonialiste che l’autrice invita il lettore a chiamarla Derry e io non vedo perché contraddirla.

Il secondo contatto è un’opposta cromatura. Salta all’occhio accostando le cartoline che danno il benvenuto al quartiere cattolico di Bogside e a quello protestante di West Bank: “Stai entrando nella Derry liberata”, informa una parete bianca nella parte bassa della città, verso la cattedrale cattolica di Sant’Eu-genio, in un tripudio di bandiere tricolori; “Londonderry, lealisti ancora sotto assedio, non si arrendono”, risponde una parete nera, all’interno delle mura che cingono l’altura centrale.

A rimarcare il concetto sono le bombarde e i cannoni, che ancora spuntano dalla cinta in direzione di Bogside e dei suoi splendidi murales. Distanti qualche centinaio di metri in linea d’aria, i due quartieri sono due mondi a parte. La rivalità latente esplode in occasione delle rituali marce orangiste, che commemorano la rottura dell’assedio portato dai ribelli irlandesi con l’appoggio di truppe francesi. Al secentesco episodio è dedicato un museo, posto all’inizio della camminata lungo le mura. Non è difficile godere della stessa, meravigliosa vista anche davanti a una tavola imbandita. La parte interna alla cinta muraria è lilli- puziana, per dirla con Jonathan Swift, che era di questa parti. A Derry, la piazza centrale è dominata da un monumento alla prima guerra mondiale e da un elegante palazzo del 1907, ora sede di un centro commerciale. Anche in quanto a monumenti, si nota una certa specularità. A Bogside, una stele ricorda le vittime del Bloody Sunday, la domenica di sangue.

È noto che gli U2 cantano un fattaccio avvenuto proprio a Derry, le cui eco, ancora distinguibili, non riguardano solo la musica rock.

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VI.

Dentro la cronaca: il caso di Seamus Bradley e un pacco bomba

In quanto a spargere motivi che alimentassero il risentimento, l’esercito britannico non si è risparmiato: “La loro missione fu mutilare, uccidere e distruggere perché venissero rimosse le barricate. Ebbero diritto a farlo su mandato governativo”, spiega un cartello ai piedi di due murales, che mostrano maschere a gas e sassaiole di una battaglia urbana.

La didascalia continua: “Questa fu la legge sulla cattura dei volontari dell’Ira disarma- ti. Il 10 luglio 1972, si tenne un incontro segreto che battezzò l’Operazione Tranviere. Fu ordinato alle truppe di sparare e uccidere ogni volontario dell’Ira. Ciò permise loro di catturare il volontario Seamus Bradley, il 31 luglio 1972, dopo avergli sparato due volte e avergli esploso altri tre colpi da distanza ravvicinata, negandogli l’assistenza medica, in contrasto alla convenzione di Ginevra. Ora, dopo 41 anni, finalmente verrà istruita un’inchiesta sulla sua morte. Queste fotografie provano oltre ogni dubbio ciò che accadde al volontario Seamus Bradley per mano delle guardie granatiere”.

Seguono fotografie autoptiche, particolari anatomici e una lettera, datata 26 marzo 2013. Firmata su carta intestata dal capo di gabinetto del ministro della difesa, è protetta da una busta di plastica e così recita: “Caro Sig. Breadley, la ringrazio per la lettera da lei spedita al primo ministro e nella quale chiede le scuse per la morte di suo fratello, James Seamus Bradley, du- rante l’Operazione Tranviere nel 1972. Il ministro con delega alle forze armate ha così avuto modo di rivedere il rapporto del- la squadra di inchiesta storica sulle circostanze che portarono alla morte di suo fratello. Mi duole informarla della conclusio- ne, secondo la quale non vi è nulla in tali circostanze, tanto dettagliate nel rapporto, che renda appropriate le scuse da parte del governo”.

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Quella del volontario Seamus Bradley non fu certo l’unica morte per la quale Londra non ha mai sentito il bisogno di scusarsi. Tra le vittime dei troubles, spicca la figura intera di Annette McGavigan, uccisa il 6 settembre 1971 da un proiettile per mano dell’esercito. Aveva solo 14 anni.

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Per girare pagina, la municipalità ha disseminato la città di monumenti alla pace e all’amicizia. Il più celebre si trova alle pendici della collina, sul lato opposto rispetto a Bogside.

Rappresenta due giovani che si tendono la mano con gesto fiero e fraterno. Il cuore degli uomini è spesso più duro del bronzo. Di ritorno a Dublino, il giorno seguente non ci sfugge un trafiletto di giornale. È nelle pagine interne di un quotidiano gratuito. Parla di Derry. Il giorno prima è stato intercettato un pacco bomba, indirizzato al commissario di polizia. L’azione, che segue episodi analoghi, è riconducibile a una sigla vicina all’Ira, più estremista e sconfessata. Il processo di pace prosegue, nonostante tutto.

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VII.

A spasso per la costa: giganti, castelli, tesori e velieri spagnoli

Sono conformazioni rocciose di stupefacente regolarità geometrica. Le chiamano The Gigant’s Causeway, il selciato del gigante. Sono prodotte dall’erosione esercitata dalle piogge sulla roccia lavica.

Riserva naturale protetta dall’Unesco e dal biglietto d’ingresso, un breve tratto di costa nordirlandese è formato da colonne esagonali di basalto, simili a matite conficcate negli scogli. Il colpo d’occhio merita quanto il brivido di vento, che sferza il selciato. A patto di essere bene equipaggiati e avere in tasca due sterline per una tazza di tè.

Lo stesso spettacolo è visibile a leghe di distanza, oltre il mare che lo separa dall’isola di Staffa, in Scozia. Lì, il selciato è noto con il nome di Fingal’s Cave, la caverna di Fingal. C’era una volta un ponte. Il suo ingegnere era il gigante Finn, che lo costruì per raggiungere un altro gigante, suo rivale, dal nome impronunciabile.

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Si narra che l’opera sia stata distrutta da uno dei due, per paura di un nuovo incontro. Selciato e caverna sono quanto resta di una bella leggenda. La realtà è più banale. Da queste parti, tutti sanno la storia dei due giganti, ma pochi riescono a spiegare i principi dell’erosione rocciosa. Per quello ci sono le didascalie.

Non è leggenda, invece, la storia del naufragio del galeone spagnolo Girona, fiore all’occhiello dell’Invincibile Armata. Inviato con il resto della flotta per estirpare la mala pianta del protestantesimo, fu dispersa da una tempesta sul Canal della Manica. Finì per incagliarsi miseramente, mol- to più a nord, ai piedi del castello di Dunluce.

I fan dei Led Zeppelin riconosceranno l’immagine di copertina di un album in questo spettrale rudere a picco sulla scogliera, a poca distanza dai giganti. I cannoni del Girona furono issati a guardia delle torri, finché il castello non seguì il declino dei clan scozzesi che lo abitavano.

Ora, quei pezzi di artiglieria fanno bella mostra di sé nelle sale dell’Ulster Museum a Belfast, accanto a un tesoro di dobloni d’oro, recuperato solo molti secoli dopo.

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Una visita al museo, a ingresso gratuito, permetterà di ripercorrere la storia dell’Irlanda del Nord e avere un incontro ravvicinato, quanto imbalsamato, con la fauna di questo paese.

Per la flora, basta una passeggiata per i roseti e i prati, naturalmente tagliati all’inglese, nel parco botanico che lo affianca.

Ad introdurre il visitatore è la statua di lord William, barone di Kelvin, quello degli omonimi gradi di temperatura, che supera- no gli standard solo nella classica serra in vetro e ferro bianco, che ospita piante esotiche e qualche carnivora.

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POSCRITTO

Gli arcobaleni. Ciao, Nelson!

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In Irlanda, una celebre leggenda narra che al termine di ogni arcobaleno, un folletto nasconde il suo tesoro.

È la leggenda del Leprecano e della pignatta piena di monete d’oro. Se fosse facile raggiungerla con un balzo, magari calzando gli stivali delle sette leghe, gli irlandesi sarebbero ricchi e così la loro Tigre Celtica. Invece, devono accontentarsi dell’informatica e degli spiccioli che i turisti spendono per pupazzi, portachiavi, apri- bottiglie e un’infinità di ammennicoli a forma di Leprecano, di verde vestito, con tuba di ordinanza e fulvo crine, che popola i negozi di souvenir.

Pur tuttavia, non è difficile accontentarsi del vero protagonista della leggenda. Il nostro breve viaggio nell’Irlanda del Nord, che qui si conclude, non di rado è stato allietato dalla com-parsa dell’iride, tesa sulle nostre teste in un “arco di pioggia”, rainbow, come lo chiamano gli inglesi.

Il verde smeraldino dei pascoli completa senza altri commenti il panorama che generosamente offre una nazione arcobaleno, quale l’Irlanda è per affinità elettiva, come direbbe Goethe. S’è detto che un muro, a Belfast, raffigura il sorriso e il pugno di Nelson Mandela. La vita terrena di Madiba si è conclusa due mesi dopo il nostro ritorno.

La nazione arcobaleno per antonomasia, il Sudafrica, prosegue il suo cammino dopo la rinuncia a innescare una spirale di vendette e ritorsioni. Nessun altra nazione, meglio dell’Irlanda, può ripercorrere la stessa strada. È un augurio di pace, che alle soglie del Natale rivolgiamo a chi avrà avuto la pazienza di seguirci. Il viaggio deve ancora iniziare, oppure, per dirla con Pessoa: “Todo cais é una saudade de pedra”.

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Invictus

Out of the night that covers me, Black as the pit from pole to pole, I thank whatever gods may be For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance

I have not winced nor cried aloud. Under the bludgeonings of chance My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears Looms but the Horror of the shade, And yet the menace of the years Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,How charged with punishments the scroll, I am the master of my fate:I am the captain of my soul.

William Ernest Henley

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INFO PRATICHE E CURIOSITA’

Dove mangiare: alla scoperta della gastronomia dell’Irlanda del Nord

A Belfast fate tappa da Niall McKenna proprietario di James Street South Belfast . Niall è un grande ambasciatore per l'utilizzo di prodotti locali e ha ricevuto diversi riconoscimenti. www.jamesstreetsouth.co.uk

Non perdetevi il famoso Black Bacon di Pat O'Doherty da O'Doherty Butchers , Pat è un premiato macellaio famoso per questa sua specialità. www.blackbacon.com /

Nel viaggio da Belfast lungo la Contea di Down fate una tappa a Lough Neagh: le anguille del Lough Neagh hanno ottenuto uno status di denominazione protetta, come lo Champagne e il Prosciutto di Parma . www.discoverloughneagh.com

Nel villaggio di Kircubbin, potete visitare la fattoria di Glastry Farm, dove viene prodotto il famoso gelato artigianale homemade.

Pausa birra? Tappa per una pinta veloce al Hilden Brewery www.hildenbrewery.co.uk

Cena (e anche pernottamento) a Glassdrumman Lodge www.glassdrummanlodge.com

Durante il vostro viaggio potrete proseguire sulla Co Down e sostare per il pranzo presso Balloo House www.balloohouse.com

Mentre ripartite per Belfast fate una sosta per shopping e curiosità enogastronomiche al McKee Farm Shop www.mckeesproduce.com/familystore.aspx o al St Georges Market Food & Crafts Market : http://www.belfastcity.gov.uk/stgeorgesmarket/citymarket.asp

Tra i ristoranti locali, una visita la merita quello di Nick Price proprietario e chef del Warehouse. Nick ha iniziato a produrre anche il suo formaggio. Attorno ci sono diverse gastronomie da visitare. www.nickswarehouse.co.uk

Piatti di pesce e possibilità di cenare alla scuola di cucina Mourne Seafood Cookery School http://www.mourneseafood.com

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Dove dormire in Irlanda del Nord: guesthouse, bed & brakfast, hotel e scambio casa

Una volta scelto il vostro itinerario, un buon punto dove partire per scegliere le vostre sistemazioni durante il viaggio, è il sito del turismo dell’Irlanda del Nord, alla sezione alloggi: http://www.ireland.com/it-it/sistemazione

L’accoglienza spazia da guesthouse, bed & breakfast, ostelli e alberghi, accoglienti oppure anche in dimore storiche.

Se cercate un alloggio diverso dal solito, potete provare a registrarvi al sito di scambio notti di Nightswapping, e venire così ospitati in case autentiche di irlandesi. Potete scegliere sia stanze che intere residenze se i proprietari non ci sono.

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Nessuno può calpestare la terra d’Irlanda senza diventare migliore o peggiore. Indifferente, mai.

George Bernard Shaw