Boris Pahor. Il dovere della memoria

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 36 28 AGOSTO 2011  CULTURA IL PERSONAGGIO più di sessant’anni dalla data della sua laurea l’uni- versità di Padova ha pubblicato lo studio inedito di un suo illustre al- lievo: nato a Trieste nel 1913, Boris Pahor è oggi ri- conosciuto come il massimo autore vivente di lingua slo- vena e uno dei più interes- santi nella letteratura euro- pea contemporanea. Ma è anche un testimone di un passato che non possiamo dimenticare. Membro attivo della resi- stenza contro il nazifasci- smo, in seguito a una dela- zione nel 1944 viene depor- tato come detenuto politico a Dachau, da dove viene successivamente trasferito nei campi di Natzweiler, Do- ra e Bergen Belsen. Dopo la fine della guerra, Pahor si dedica all’insegnamento, ma non rinuncia al ruolo di in- tellettuale “scomo do”: nel 1975, assieme all’amico trie- stino Alojz Rebula e al poeta sloveno Edvard Kocbek, de- nuncia per la prima volta il massacro di 12 milaprigio- nieri di guerra, appartenenti alla milizia anti-comunista slovena (i domobranci), as- sieme ai crimini delle foibe perpetrati dal regime comu- nista d’oltreconfine. Il libro provoca durissime reazioni da parte del governo jugosla- vo, che vieta a Pahor l’in- gresso nel suo territorio e la pubblicazione delle sue ope- re. Autore di una vasta pro- duzione, che spazia dal gior- nalismo alla narrativa e alla saggistica, lo scrittore cono- sce tardi il successo, soprat- tutto con Necro poli , in cui narra in prima persona l’esp erienza della pri g ionia.  La liri ca di Edv ard Kocbek (Padova University Press, 144 pagine, 18 euro) ripro- duce la tesi di laurea di Bo- ris Pahor dedicata al suo amico e maestro, grande poeta, letterato e leader del gruppo di intellettuali cri- stiano sociali che si oppose prima al nazismo e poi al comunismo. Lo scritto evi- denzia l’impegno etico e so- ciale di Kocbek contro le critiche di chi lo dipingeva come un autore di retro- guardia, dagli orizzonti limi- tati a nostalgie agresti e in- trospezioni senza costrutto. La pubblicazione vuole ess e- re un omaggio dell’ateneo patavino allo scrittore slove- no di passaporto italiano, che nella prefazione Paolo Rumiz definisce «un monu- mento al dovere della me- moria». Il libro contiene anche un testo, frutto della trascrizio- ne di un incontro avvenuto all’università di Padova l’an- no scorso, in cui Pahor rac- conta la sua esperienza di studente durante la guerra. oris Pahor ci dà appuntamento al bar Luksa di Prosecco, sulle colli- ne che sovrastano Trieste, estre- ma propaggine dell’altopiano car- sico. Il maestro non è facile da in- tervistare e fotografare; dietro un’apparente fragilità quest’uomo che sta per compiere 98 anni gode di una energia indomabile: «La settimana scorsa sono stato a Mosca, dove hanno appena tradotto Ne- cropoli, e ieri ho tenuto due conferenze a Lubiana; sono arrivato a casa a mezzanot- te». Per lui giornalisti e foto- grafi sono i “tormenta-ani- me” che da qualche anno, in coincidenza con la crescita della sua notorietà, si sono progressivamente intrufolati nella sua vita fino a prender- ne il controllo. Ancora oggi Pahor non cerca in alcun modo di compia- cere i suoi interlocutori, come dimostrano le ultime polemiche scoppiate sui giornali per le sue dichiarazioni a proposito dell’ele- zione di un sindaco straniero e di colore a Pirano, in Slovenia. In quell’occasione Pahor parlò di “scarsa coscienza nazionale” degli sloveni per il fatto di aver scelto un sindaco di origine straniera, suscitando l’en- nesimo vespaio. Eppure è difficile interpre- tare in senso razzista le sue parole ricordan- do che questo carattere, magari aspro, sen- za superficiali accondiscendenze alle idee correnti, gli ha permesso di resistere, assie- me ai suoi compagni, alle persecuzioni del fascismo, del nazismo e del comunismo. Partiam o dall’ultimo libro pubblicato a Padova: che e ffetto le ha fatto la pubbli- cazione della suatesi più di ses sant’anni dopo la laurea ? «All’inizio avevo paura di sfogliarlo: lo scris- si in un mese, s’immagina? Ero appena tor- nato all’università dopo la guerra, la prigio- nia e un anno e mezzo di sanatorio in Fran- cia. Dovevo assolutamente laurearmi, per- ché mio padre mi voleva “con un pezzo di carta in mano”. Era l’ottobre del 1947 e avevo 34 anni. Mia sorella più piccola, an- che lei ammalata di tisi, morì poco dopo». Come m ai per i suoi studi scelse proprio «Noi sloveni durante il periodo fascista sce- glievamo Padova per non andare a Trieste, dove il fascismo ci “tartassava l’anima”. I fa- scisti avevano tutto in mano e ci umiliavano in ogni modo, ci trattavano come gente sen- za lingua, senza cultura e senza nazionalità. Gli aspetti antislavi del fascismo non sono conosciuti in Italia: non si limitarono a bru- ciare le nostre case di cultura e le nostre bi- blioteche, chiusero anche tutte le scuole slovene, tutte le associazioni di qualunque specie. Solo in chiesa si po- teva parlare in sloveno. Do- po i Patti Lateranensi però lo proibirono anche lì: il Vati- cano decise di sacrificare le minoranze, anche quella slo- vena, alla nuova amicizia col regime. Qualche tempo fa l’allora vescovo di Udine, il padovano mons. Alfredo Bat- tisti, ha chiesto perdono ai fedeli di cultura slovena e friulana per il comportamento della chiesa durante il regime». Lei ha s ubi to la repressione e la pe rsecu- zione, eppure ne i suoi libri non traspa re odiovers ogli italiani. «Abbiamo odiato il fascismo, non l’Italia; io stesso ho insegnato per anni letteratura ita- liana nelle scuole. Ma a quei tempi il fasci- smo si respirava nell’aria. Nella pubblicistica italiana c’è un sincero interesse a ricostrui- re la realtà di quell’epoca. Mi vengono in mente i libri Fascismo antislavo di Stefano Bartolini, e Italian i sen za onore di Costan- tino Di Sante, che tratta dei crimini di guer- ra italiani nella provincia di Lubiana. Il go- verno però spesso rifiuta ancora ogni dialo- go». È per ques to che i suoi libri tratta no così frequentemente il tema della me mori a? «Nel secolo passato abbiamo vissuto veri e propri orrori; è stato un tempo di grande crescita economica e tecnica, ma umana- mente ci siamo ritrovati peggio delle bestie: il fascismo, il nazismo, il comunismo dive- nuto dittatura, l’uomo che torme nta l’uomo. Questo è il 20° secolo, e io l’ho vissuto in prima persona. Di cos’altro avrei dovuto oc- cuparmi? Certo i miei libri non hanno trat- tato solo questo: ho cercato di parlare della L INTERVISTA  Ab biamo odia t o il fa s c is SOLO IN CHIESA SI POTEVA PARLARE IN SLOVENO: POI VENNERO I PATTI LATERANENSI... B ORIS P  AH O R Il dovere della memoria  A B

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Servizio pubblicato il 28 agosto 2011.www.difesapopolo.it

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36 28 AGOSTO 2011 CULTURA

IL PERSONAGGIO

più di sessant’annidalla data dellasua laurea l’uni-versità di Padovaha pubblicato lostudio inedito diun suo illustre al-

lievo: nato a Trieste nel1913, Boris Pahor è oggi ri-conosciuto come il massimoautore vivente di lingua slo-vena e uno dei più interes-santi nella letteratura euro-pea contemporanea. Ma èanche un testimone di unpassato che non possiamodimenticare.Membro attivo della resi-stenza cont ro il nazifasci-smo, in seguito a una dela-zione nel 1944 viene depor-

tato come detenuto politicoa Dachau, da dove vienesuccessivamente trasferitonei campi di Natzweiler, Do-ra e Bergen Belsen. Dopo lafine della guerra, Pahor sidedica all’insegnamento, manon rinuncia al ruolo di in-

tellettuale “scomodo”: nel1975, assieme all’amico trie-stino Alojz Rebula e al poetasloveno Edvard Kocbek, de-nuncia per la prima volta ilmassacro di 12 milaprigio-nieri di guerra, appartenentialla milizia anti-comunistaslovena (i domobranci), as-sieme ai crimini delle foibeperpetrati dal regime comu-nista d’oltreconfine. Il libroprovoca durissime reazionida parte del governo jugosla-vo, che vieta a Pahor l’in-gresso nel suo territorio e lapubblicazione delle sue ope-re. Autore di una vasta pro-duzione, che spazia dal gior-nalismo alla narrativa e allasaggistica, lo scrittore cono-

sce tardi il successo, soprat-tutto con  Necropoli, in cuinarra in prima personal’esperienza de lla prigionia.

 La lirica di Edvard Kocbek (Padova University Press,144 pagine, 18 euro) ripro-duce la tesi di laurea di Bo-

ris Pahor dedicata al suoamico e maestro, grandepoeta, letterato e leader delgruppo di intellettuali cri-stiano sociali che si opposeprima al nazismo e poi alcomunismo. Lo scritto evi-denzia l’impegno etico e so-ciale di Kocbek contro lecritiche di chi lo dipingevacome un autore di retro-guardia, dagli orizzonti limi-tati a nostalgie agresti e in-trospezioni senza costrutto.La pubblicazione vuole esse-re un omaggio dell’ateneopatavino allo scrittore slove-no di passaporto italiano,che nella prefazione PaoloRumiz definisce «un monu-mento al dovere della me-

moria».Il libro contiene anche untesto, frutto della trascrizio-ne di un incontro avvenutoall’università di Padova l’an-no scorso, in cui Pahor rac-conta la sua esperienza distudente duran te la guerra.

oris Pahor ci dà appuntamento albar Luksa di Prosecco, sulle colli-ne che sovrastano Trieste, estre-ma propaggine dell’altopiano car-sico. Il maestro non è facile da in-tervistare e fotografare; dietroun’apparente fragilità quest’uomo

che sta per compiere 98 anni gode di unaenergia indomabile: «La sett imana scorsasono stato a Mosca, dovehanno appena tradotto Ne-cropoli, e ieri ho tenuto dueconferenze a Lubiana; sonoarrivato a casa a mezzanot-

te». Per lui giornalisti e foto-grafi sono i “tormenta-ani-me” che da qualche anno, incoincidenza con la crescitadella sua notorietà, si sonoprogressivamente intrufolatinella sua vita fino a prender-ne il controllo. Ancora oggiPahor non cerca in alcun modo di compia-cere i suoi interlocutori, come dimostranole ultime polemiche scoppiate sui giornaliper le sue dichiarazioni a proposito dell’ele-zione di un sindaco straniero e di colore aPirano, in Slovenia. In quell’occasionePahor parlò di “scarsa coscienza nazionale”degli sloveni per il fatto di aver scelto unsindaco di origine straniera, suscitando l’en-nesimo vespaio. Eppure è difficile interpre-tare in senso razzista le sue parole ricordan-do che questo carattere, magari aspro, sen-za superficiali accondiscendenze alle ideecorrenti, gli ha permesso di resistere, assie-

me ai suoi compagni, alle persecuzioni delfascismo, del nazismo e del comunismo.

Partiamo dall’ultimo libro pubblicato aPadova: che effetto le ha fatto la pubbli-cazione della sua tesi più di sessant’annidopo la laurea?

«All’inizio avevo paura di sfogliarlo: lo scris-si in un mese, s’immagina? Ero appena tor-nato all’università dopo la guerra, la prigio-nia e un anno e m ezzo di sanatorio in Fran-cia. Dovevo assolutamente laurearmi, per-ché mio padre mi voleva “con un pezzo dicarta in mano”. Era l’ottobre del 1947 eavevo 34 anni. Mia sorella più piccola, an-che lei ammalata di tisi, morì poco dopo».

Come mai per i suoi studi scelse proprioPadova?

«Noi sloveni durante il periodo fascista sce-glievamo Padova per non andare a Trieste,dove il fascismo ci “tart assava l’anima”. I fa-scisti avevano tutto in mano e ci umiliavanoin ogni modo, ci trattavano come gente sen-za lingua, senza cultura e senza nazionalità.Gli aspetti antislavi del fascismo non sonoconosciuti in Italia: non si limitarono a bru-ciare le nostre case di cultura e le nostre bi-

blioteche, chiusero an chetutte le scuole slovene, tuttele associazioni di qualunquespecie. Solo in chiesa si po-teva parlare in sloveno. Do-

po i Patti Lateranensi però loproibirono anche lì: il Vati-cano decise di sacrificare leminoranze, anch e quella slo-vena, alla nuova amicizia colregime. Qualche tempo fal’allora vescovo di Udine, ilpadovano m ons. Alfredo Bat-

tisti, ha chiesto perdono ai fedeli di culturaslovena e friulana per il comportamentodella chiesa durante il regime».

Lei ha subito la repressione e la persecu-zione, eppure nei suoi libri non traspareodio verso gli italiani.

«Abbiamo odiato il fascismo, non l’Italia; iostesso ho insegnato per anni letteratura ita-liana nelle scuole. Ma a quei tempi il fasci-smo si respirava nell’aria. Nella pubblicisticaitaliana c’è un sincero interesse a ricostrui-re la realtà di quell’epoca. Mi vengono inmente i libri Fascismo antislavo di StefanoBartolini, e Italiani senza onore di Costan-

tino Di Sante, che tratta dei cr imini di guer-ra italiani nella provincia di Lubiana. Il go-verno però spesso rifiuta ancora ogni dialo-go».

È per questo che i suoi libri trattano cosìfrequentemente il tema della memoria?

«Nel secolo passato abbiamo vissuto veri epropri orrori; è stato un tempo di grandecrescita economica e tecnica, ma umana-mente ci siamo ritrovati peggio delle bestie:il fascismo, il nazismo, il comunismo dive-nuto dittatu ra, l’uomo che tormenta l’uomo.Questo è il 20° secolo, e io l’ho vissuto inprima persona. Di cos’altro avrei dovuto oc-cuparmi? Certo i miei libri non hanno trat-tato solo questo: ho cercato di parlare dellavita, anche se spesso mi sono riferito a pe-

L ’ I N T E R V I S T A

Abbiamo odiato il fascis

SOLO IN CHIESA

SI POTEVA

PARLARE

IN SLOVENO:

POI VENNERO

I PATTI

LATERANENSI...

BORIS PAHOR

Il dovere della memoriaA

B

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CULTURA LA DIFESA DEL POPOLO 37

riodi e a situazioni che conoscevo».Eravate consapevoli in quegli annidell’enormità della tragedia alle porte?

«Il grande poeta sloveno Srecko Kosovel,morto a soli 22 anni, presagì questa mortegenerale dell’Europa, come poi effettiva-mente accadde con i totalitarismi. Io avevosette anni quando distrussero il NarodniDom (la casa di cultura slovena di Trieste,di cui lo scrittore parla nel libro L’incendionel porto, ndr); ero insieme a mia sorella diquattro anni, e scappammo di casa per an-dare a vederlo bruciare».

Oggi c’è la possibilità di un ritorno della

barbarie? Cosa fare per scongiurarlo?«La possibilità c’è sempre, purtroppo. Cosafare? Insegnare la storia nelle scuole, comeio stesso ho provato a fare. In Italia però og-gi vedo molta ipocrisia su questo: si studiasolo il male subìto, non quello fatto. E i ra-gazzi delle scuole che vengono in pellegri-naggio alle foibe rischiano di essere caricatidi spirito antislavo. L’ho scritto anche sulCorriere della sera: la leggesulla memoria italiana n on èuna legge europea. Gli italia-ni hann o il sacrosanto dirittodi ricordare i loro morti, bi-sogna però parlare an che dei25 anni di fascismo e dei cri-mini di guerra commessi du-rante l’occupazione italianadi Lubiana».

Ha conosciuto il successoda anziano: come è cam-biata la sua vita?

«Il successo dei miei libri mi meravigliatutt’ora, questo però ha rotto quella che erala mia disciplina di lavoro. Io scrivevo ognigiorno dalle 8 alle 12; poi il pranzo e unapasseggiata, dopodiché di nuovo dalle 2 alle6. Questa era la mia vita di tutti i giorni, tut-ti gli anni; solo quattro giorni all’anno midedicavo un po’ alla mia passione, la monta-gna. Questa disciplina, la “fedeltà alla mac-china da scrivere”, adesso mi manca. Negliultimi due anni e mezzo ho partecipato acirca duecento incontri in Italia e all’estero,e ho scritto molto poco. Ho cambiato vita».

L’esperienza dei lager ha inciso anchesul suo percorso spirituale?

«Certamente. Io sono d’accordo con quelloche ha scritto Primo Levi: avrei preferito

che quella sofferenza non ci fosse stata!Perché la sofferenza? La si può accettare,ma allora bisogna accettare che il concettodi bontà in Dio non è comprensibile con lalogica umana. Da ragazzo, quando andavoin seminario, la fede era per me una cosanormale. Poi ho cominciato a studiare, a in-terrogarmi. Anche quando ho deciso chenon avevo la vocazione sacerdotale ho con-tinuato a interessarmi della religione, dellafede. Diceva Berdjaev, uno degli autori chemi sono più cari, che possiamo immaginareDio come luce, e questa m i sembra una del-le sue riflessioni migliori. Anche in Cristo

più che al crocefisso preferisco pensare aGesù che predica l’amore».Comunque è sempre stato vicino agliambienti culturali e politici cattolici...

«Kocbek e oggi Alojz Rebula, con cui ho col-laborato, sono autori profondamente cri-stiani, in linea con la tradizione slovena.Certo sono stato vicino anche agli ambientidel cristianesimo sociale, nell’accezione d i

Mounier e della rivista Esprit , che ancora oggi èstampata a Parigi: fu la pri-ma, anni fa, a pubblicare unampio brano di  Necropolitradotto in francese».

Si sente di dire qualcosaai giovani d’oggi alla lucedella sua esperienza di vi-ta?

«Conosce Stéph ane Hessel?Ha 93 anni, ha fatto la resi-stenza con De Gaulle. Fu

rinchiuso nel mio stesso campo di Dora – dicui parlo in Necropoli, il mio libro più cono-sciuto – dove sfuggì fortunosamente a unacondanna a morte. Ha pubblicato ultima-mente un volumetto dal titolo Indignez-vous! Ecco, il mio suggerimento a i giovani èlo stesso: arrabbiatevi, non accettate la so-cietà di oggi. Questa società disumana chedistorce il liberalismo prendendolo comel’autorizzazione a fare tutto ciò che si vuole.Noi però abbiamo combattuto il fascismo eil comunismo per un mondo differente, ch enon se ne strafreghi di chi non ha lavoro, dichi non ha pensioni dignitose. C’è bisognodi una grande rivoluzione pacifica».

testi di Daniele Mont D’Arpiziofoto di Carlo Calore

mo non l’Italia

PAHOR E L’UNIVERSITÀ DI PADOVA

Il f rancese studiato con Diego Valeri

mi ha salvato la vita nel lager

Nel volume La lirica di Edvard Kocbek pubblicatodall’università di Padova con il testo della sua tesi dilaurea e una testimonianza sugli anni della guerra lo

scrittore Boris Pahor parla anche di quello che ha voluto dire perlui aver studiato nella città del Santo: «Nel campo diconcentramento di Natzw eiler – ricorda andando ai tempi di

prigionia nel lager nazista in territorio francese – i miei studiuniversitari, in particolare i due esami di lingua e letteraturafrancese, mi t ornano molto utili: li avevo sostenuti con DiegoValeri, un poeta davvero “in gamba”, non come quelli di oggi,che non si capiscono e per i quali ci vuole l’interprete!... Ungiorno, a seguito di un’epidemia di t ifo, dobbiamo sgomberareuna baracca e ho la fortuna di conoscere un ufficiale francese dinome Jean, con il quale mi arrangio a parlare, grazie appunt oall’esame sostenuto con Valeri. Jean si stupisce molto di come ioriesca a comprenderlo e a comunicare... Capisce subito che la miaconoscenza delle lingue può essere preziosa e così corre alcomando e mi propone come interprete. In particolare sonodiventato int erprete di un medico norvegese, deportato comeme, che non conosceva né l’italiano, né il francese, né il polacco,né il russo. Adesso capite perché la mia conoscenza del francese edi Jean mi hanno salvato la vita! ».

AI GIOVANID’OGGI DICO:INDIGNATEVI

CONTROUNA SOCIETAINDIFFERENTE

AGLI ALTRI

Qui sopra, Boris Pahorall’uscita del bar Luksadi Prosecco (anche nellafoto in alto a sinistra).Proseguendo da sinistra,le lapidi con i nomi delleoltre cinquecento vittimeslovene (di cui centobambini con meno di unanno) del campo diconcentramento fascistadi Gonars, a Udine.Sotto, il cimitero militare

austro-ungarico diProsecco in abbandono;il Narodni Dom, la casa dicultura ricostruita dopol’incendio appiccato daifascisti nel 1920.

Sotto, a sinistra, la Risieradi San Sabba.

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