Bondì bonamàn, bondì bon èn - museodellamemoria.ch · L’augurio sulla bocca di tutti è bon...

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Non so come sia iniziata questa tradizione del 1. gennaio e nemmeno da quanti anni venga effettuata nel mio Comune di Prato Leventina, ma dalle testimonianze che ho potuto raccogliere si ripete ininterrotta- mente da almeno sette decenni. Come si svolge il tutto? Il primo gennaio di ogni anno i bambini escono nelle frazioni passando di casa in casa al grido Bondì bo- namàn, bondì bon èn per ricevere dolcetti. Il gruppo delle frazioni ‘basse’ inizia la raccolta partendo dalla Chiesetta di Fiesso-Sopra alle 9.30 per poi scendere verso Fiesso-Sotto, Rodi e Morasco. In quest’ultima frazione, punto di arrivo, i bambini infreddoliti e i loro accompagnatori si riscaldano gustando una cioccolata calda o del vin brûlé apposi- tamente preparati per loro. I bambini delle frazioni ‘superiori’ partono verso le 10.30 dalla Piazzetta della Casa Parrocchiale di Prato proseguendo, anche loro di casa in casa, sino a Mascengo. In tutti questi anni molte cose sono cam- biate. Quando io ero bambina (sono nata nel 1963) il gruppo era composto solo dagli alunni della scuola elementare; i più grandi stavano nelle file davanti a dirigere e gli altri li seguivano. Eravamo molto ‘decisi e deter- minati’ e mi ricordo che ci arrabbiavamo quando le porte di alcune case, malgrado la nostra insistenza, rimanevano chiuse e nes- suno si affacciava alla finestra. A proposito di determinazione, ecco un divertente aned- doto successo alla fine degli Anni Settanta: una signorina che veniva a Fiesso in vacanza e che aveva trascorso la serata di San Silve- stro a ballare in compagnia del fratello e di amici, la mattina del primo dell’anno si è trovata tutto il gruppo dei ragazzi della Bo- namàn nella camera da letto situata al primo piano. Purtroppo, però, come ricorda benis- simo questa signora, in casa non aveva nulla da dare ai ragazzi... Per raccogliere i doni utilizzavamo grandi sacchi di plastica e al termine della raccolta essi erano davvero pesanti, poiché, a diffe- renza di ora, contenevano molte arance e molte mele e la strada da fare per tornare a casa, per alcuni, era lunga e non c’era nes- suno che ci veniva a prendere con l’automo- bile. Con gli anni la frutta è stata sostituita dalla cioccolata e gli zainetti colorati hanno preso il posto dei sacchi di plastica. Anche il gruppo si è completamente modificato: a sfilare per le frazioni, oltre agli alunni di scuola elementare, si aggiungono bambini che sono qui in vacanza, genitori, zii, nonni e chiunque voglia aggregarsi al corteo. Un corteo talvolta forse un po’ troppo ‘timido’ e silenzioso (se penso a come si gridava noi ex ragazzi...) ma numeroso e variopinto. Come nota aggiungo che la parola Bonamàn è intesa anche come il regalo del padrino (vidàz) al figlioccio (fiòz). Un sentito ringraziamento a tutti gli abitanti del Comune che, offrendo i doni, garanti- scono la sopravvivenza di questa bella tradi- zione e a tutti quanti aiutano durante lo svolgimento della raccolta. Un particolare grazie agli ‘Amici di Morasco’ per la loro calda accoglienza. Forza ragazzi: ricordatevi che il 1. gennaio è il vostro giorno... dunque fatevi sentire: Bondì bonamàn, bondì bon èn! 18 rivista 3valli - febbraio 2018 tradizioni di Adriana Albertella, abitante di Fiesso-Sopra Bondì bonamàn, bondì bon èn Testimonianza dell’usanza del primo gennaio di andare di casa in casa a chiedere un piccolo dolce regalo... (foto di Diego Brignoni, Fiesso-Sotto/Massagno). Villa Bedretto Bon dì, bon èn: ricorrenza per capodanno in Valle Bedretto di Nello Leonardi e Elia Spizzi, appassionati di storia locale Capodanno è l’inizio di un nuovo periodo: i giorni cominciano ad allungarsi; si va verso la bella stagione, anche se ancora lontana. Questo è il giorno del rinnovamento, il giorno degli auguri, delle visite. L’augurio sulla bocca di tutti è bon dì, bon èn che nella fattispecie diventa bòndiboneen!, con l’accento sulla o. Di primo mattino dun- que gli auguri, ed è tradizione consolidata di dare il saluto per primi. Perciò è una gara ad anticipare il saluto. C’è anche chi si na- sconde e all’improvviso appare: Bondibo- neen! I t l’ho fècia! I ragazzi dai 3 ai 15 anni (la generazione del futuro) si riuniscono appena giorno, muniti ciascuno di un sacchetto. In corteo fanno il giro di tutte le case del villaggio annun- ciando ripetutamente e ben forte Bon dì, bon èn! A ogni casa ognuno riceve un regalino, solitamente dolciumi. Subito dopo è il turno dei giovani (e meno giovani) che passano in tutte le case facendo gli auguri: Bon dì, bon èn! Bona cuntinua- zion! La padrona di casa versa nei bicchieri vino Marsala, o Malaga, oppure il cognac all’uovo fatto in casa, ci si augura ogni bene, si beve, e si riparte. Un tempo si udiva l’espressione Bon dì, bon èn! Vidaza bonaman! C’era la consuetudine che il padrino (vidazz) per Capodanno (non per Natale!) facesse regali importanti ai fi- gliocci, come vestiti, scarpe, sci. Il mese di gennaio era dedicato alle visite. Specialmente le donne, relegate così spesso in casa, dedicavano i lunghi pomeriggi in- vernali alle visite a parenti, a cugine, ad an- ziani, che abitavano nelle altre frazioni e che vedevano solo di sfuggita durante le messe domenicali. Si rinsaldavano vincoli di pa- rentela e d’amicizia. Si gustava il rin (dal te- desco Ring = anello), il pane al latte cotto in forma di otto annodato al centro. Spesso c’e- rano i crèfli, biscotti al miele, più o meno duri da masticare. febbraio 2018 - rivista 3valli 19 Caterina Magginetti nel glossario del suo libro Biasca e Pontirone scrive: «Bonàmagn, regalo che fanno i padrini ai loro figliocci il giorno di Capodanno. Quel giorno i figliocci irrompevano nelle case gridando; bon di, bon agn!, ä sem scià ä tée ra bonamagn! Fra i regali c’era sempre uno o più pupi di pane, d’uso per quel giorno; da qui il detto: O paar üm püpp dra bonamàgn, al- ludendo a una persona goffa e imbam- bolata». «Bon dì, bon agn! A sém scià a tée ra bonamàgn! ...la frase gli esce stentata e in falsetto un po’ per l’emozione e un po’ per l’innata ti- midezza di ragazzino imberbe. Ma l’Ida, con in mano l’inseparabile chicchera contenente gli abituali due bocconi di caffè che sorseggia ogni mezz’ora, sa subito metterlo a suo agio. Il ragazzino si avvicina alla stufa a legna allungando le mani gelate sopra i caldi cerchi di ferro ormai consunti. Le mani e poi via via tutto il corpo si beano di quel calore e anche le guance, pallide e smunte, gli si tingono di un bel colore roseo. L’Ida si siede sulla panca, apre lo sportello del forno, vi appoggia i piedi cingendo fra le braccia le magre ginocchia avvolte nell’inseparabile scialle di lana nera. Un fazzoletto a tinte grigie le racchiude i candidi capelli arrotolati a crocchia sulla nuca. Ogni tanto alimenta il fuoco aprendo lo sportello e aggiungendo legna che preleva dal cassone posto sotto alla stufa. In un angolo della nera stufa, con il coperchio in legno in posizione obliqua, il bronz colmo di caffè dal colore chiaro e attorno al bronz a semicerchio e in fase di cottura, una manciata di castagne che l’Ida tiene sotto controllo con gli occhi e con le mani. L’Ida, che solitamente intrattiene il ragazzino con lunghi racconti rievocanti la vita trascorsa sui monti e gli alpi della valle Pontirone e sugli episodi più recenti della guerra mondiale in corso, nel particolare frangente si rammenta dello scopo della visita e il suo conversare si limita a un cenno sul tempo e sui voti che il ragazzino ha ottenuto a scuola. Poi si infila le zoccole e in un attimo scompare in un locale posto sul retro della cucina. In quegli attimi che sembrano interminabili il ragazzino, per dissimulare l’impa- zienza, con l’apposito ferro della stufa, che qua e là lasciano intravvedere la viva fiamma. L’Ida riappare alcuni minuti dopo racchiudendo nel grembiule, raccolto in grembo con la mano sinistra, ra bonamàgn, un bamboccio di pane con le uvette che il Vito ha cotto nel suo forno a legna. Quest’anno però l’Ida ha voluto fare uno strappo alla regola perché oltre al pupazzo di pane esce dal grembiule anche un rigonfio sac- chetto di tela che solletica la fantasia del ragazzino. Salutata la buona Ida questi si incammina sicuro per il sentiero coperto di neve e ghiaccio che porta al suo focolare. Nel tragitto chi ci rimette, e non certamente per le insidie del terreno gelato, è il pupazzo di pane con le uvette che giunge a desti- nazione con un braccio monco e una gamba più corta dell’altra. C’è poi il momento tanto atteso, con il contenuto del sacchetto che viene rove- sciato sulla tavola della cucina. Quel giorno escono dal sacchetto, oltre alle arance, ai mandarini, alle noci e alle nocciole, anche un sacchettino con le monete di cioccolata e un torroncino che il ragazzino tiene gelosamente in serbo e sboc- concellerà, per ultimo, alcuni giorni dopo...». Nella Rivista il Biaschese del gennaio 1987 Elzio Rodoni scriveva questo racconto ispirato proprio alla tradi- zione della Bonamàgn:

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Non so come sia iniziata questa tradizionedel 1. gennaio e nemmeno da quanti annivenga effettuata nel mio Comune di PratoLeventina, ma dalle testimonianze che hopotuto raccogliere si ripete ininterrotta-mente da almeno sette decenni.Come si svolge il tutto? Il primo gennaio diogni anno i bambini escono nelle frazionipassando di casa in casa al grido Bondì bo-namàn, bondì bon èn per ricevere dolcetti. Ilgruppo delle frazioni ‘basse’ inizia la raccoltapartendo dalla Chiesetta di Fiesso-Sopra alle9.30 per poi scendere verso Fiesso-Sotto,Rodi e Morasco. In quest’ultima frazione,

punto di arrivo, i bambini infreddoliti e iloro accompagnatori si riscaldano gustandouna cioccolata calda o del vin brûlé apposi-tamente preparati per loro. I bambini dellefrazioni ‘superiori’ partono verso le 10.30dalla Piazzetta della Casa Parrocchiale diPrato proseguendo, anche loro di casa incasa, sino a Mascengo. In tutti questi anni molte cose sono cam-biate. Quando io ero bambina (sono natanel 1963) il gruppo era composto solo daglialunni della scuola elementare; i più grandistavano nelle file davanti a dirigere e gli altrili seguivano. Eravamo molto ‘decisi e deter-

minati’ e mi ricordo che ci arrabbiavamoquando le porte di alcune case, malgrado lanostra insistenza, rimanevano chiuse e nes-suno si affacciava alla finestra. A propositodi determinazione, ecco un divertente aned-doto successo alla fine degli Anni Settanta:una signorina che veniva a Fiesso in vacanzae che aveva trascorso la serata di San Silve-stro a ballare in compagnia del fratello e diamici, la mattina del primo dell’anno si ètrovata tutto il gruppo dei ragazzi della Bo-namànnella camera da letto situata al primopiano. Purtroppo, però, come ricorda benis-simo questa signora, in casa non aveva nullada dare ai ragazzi...Per raccogliere i doni utilizzavamo grandisacchi di plastica e al termine della raccoltaessi erano davvero pesanti, poiché, a diffe-renza di ora, contenevano molte arance emolte mele e la strada da fare per tornare acasa, per alcuni, era lunga e non c’era nes-suno che ci veniva a prendere con l’automo-bile. Con gli anni la frutta è stata sostituitadalla cioccolata e gli zainetti colorati hannopreso il posto dei sacchi di plastica. Anche ilgruppo si è completamente modificato: asfilare per le frazioni, oltre agli alunni discuola elementare, si aggiungono bambiniche sono qui in vacanza, genitori, zii, nonni echiunque voglia aggregarsi al corteo. Uncorteo talvolta forse un po’ troppo ‘timido’ esilenzioso (se penso a come si gridava noi exragazzi...) ma numeroso e variopinto. Come nota aggiungo che la parola Bonamànè intesa anche come il regalo del padrino(vidàz) al figlioccio (fiòz).Un sentito ringraziamento a tutti gli abitantidel Comune che, offrendo i doni, garanti-scono la sopravvivenza di questa bella tradi-zione e a tutti quanti aiutano durante losvolgimento della raccolta. Un particolaregrazie agli ‘Amici di Morasco’ per la lorocalda accoglienza.Forza ragazzi: ricordatevi che il 1. gennaio èil vostro giorno... dunque fatevi sentire:Bondì bonamàn, bondì bon èn!

18 rivista 3valli - febbraio 2018

tradizioni di Adriana Albertella, abitante di Fiesso-Sopra

Bondì bonamàn, bondì bon èn

Testimonianza dell’usanza del primo gennaio di andare di casa in casa a chiedere un piccolo dolce regalo...

(foto di Diego Brignoni, Fiesso-Sotto/Massagno).

Villa Bedretto

Bon dì, bon èn:ricorrenza per capodanno in Valle Bedretto

di Nello Leonardi e Elia Spizzi, appassionati di storia locale

Capodanno è l’inizio di un nuovo periodo: igiorni cominciano ad allungarsi; si va versola bella stagione, anche se ancora lontana.Questo è il giorno del rinnovamento, ilgiorno degli auguri, delle visite.L’augurio sulla bocca di tutti è bon dì, bon ènche nella fattispecie diventa bòndiboneen!,con l’accento sulla o. Di primo mattino dun-que gli auguri, ed è tradizione consolidata didare il saluto per primi. Perciò è una gara ad

anticipare il saluto. C’è anche chi si na-sconde e all’improvviso appare: Bondibo-neen! I t l’ho fècia!I ragazzi dai 3 ai 15 anni (la generazione delfuturo) si riuniscono appena giorno, muniticiascuno di un sacchetto. In corteo fanno ilgiro di tutte le case del villaggio annun-ciando ripetutamente e ben forte Bon dì, bonèn! A ogni casa ognuno riceve un regalino,solitamente dolciumi.Subito dopo è il turno dei giovani (e menogiovani) che passano in tutte le case facendogli auguri: Bon dì, bon èn! Bona cuntinua-zion! La padrona di casa versa nei bicchierivino Marsala, o Malaga, oppure il cognacall’uovo fatto in casa, ci si augura ogni bene,si beve, e si riparte.Un tempo si udiva l’espressione Bon dì, bonèn! Vidaza bonaman! C’era la consuetudineche il padrino (vidazz) per Capodanno (nonper Natale!) facesse regali importanti ai fi-gliocci, come vestiti, scarpe, sci.Il mese di gennaio era dedicato alle visite.Specialmente le donne, relegate così spesso

in casa, dedicavano i lunghi pomeriggi in-vernali alle visite a parenti, a cugine, ad an-ziani, che abitavano nelle altre frazioni e chevedevano solo di sfuggita durante le messedomenicali. Si rinsaldavano vincoli di pa-rentela e d’amicizia. Si gustava il rin (dal te-desco Ring = anello), il pane al latte cotto informa di otto annodato al centro. Spesso c’e-rano i crèfli, biscotti al miele, più o menoduri da masticare.

febbraio 2018 - rivista 3valli 19

Caterina Magginetti nel glossario del suolibro Biasca e Pontirone scrive:«Bonàmagn, regalo che fanno i padrini ailoro figliocci il giorno di Capodanno.Quel giorno i figliocci irrompevano nellecase gridando; bon di, bon agn!, ä sem sciàä tée ra bonamagn!Fra i regali c’era sempre uno o più pupi dipane, d’uso per quel giorno; da qui ildetto: O paar üm püpp dra bonamàgn, al-ludendo a una persona goffa e imbam-bolata».

«Bon dì, bon agn! A sém scià a tée ra bonamàgn!...la frase gli esce stentata e in falsetto un po’ per l’emozione e un po’ per l’innata ti-midezza di ragazzino imberbe. Ma l’Ida, con in mano l’inseparabile chicchera contenente gli abituali due bocconidi caffè che sorseggia ogni mezz’ora, sa subito metterlo a suo agio.Il ragazzino si avvicina alla stufa a legna allungando le mani gelate sopra i caldicerchi di ferro ormai consunti. Le mani e poi via via tutto il corpo si beano di quelcalore e anche le guance, pallide e smunte, gli si tingono di un bel colore roseo. L’Ida si siede sulla panca, apre lo sportello del forno, vi appoggia i piedi cingendofra le braccia le magre ginocchia avvolte nell’inseparabile scialle di lana nera. Unfazzoletto a tinte grigie le racchiude i candidi capelli arrotolati a crocchia sullanuca. Ogni tanto alimenta il fuoco aprendo lo sportello e aggiungendo legna chepreleva dal cassone posto sotto alla stufa.In un angolo della nera stufa, con il coperchio in legno in posizione obliqua, ilbronz colmo di caffè dal colore chiaro e attorno al bronz a semicerchio e in fase dicottura, una manciata di castagne che l’Ida tiene sotto controllo con gli occhi e conle mani.L’Ida, che solitamente intrattiene il ragazzino con lunghi racconti rievocanti la vitatrascorsa sui monti e gli alpi della valle Pontirone e sugli episodi più recenti dellaguerra mondiale in corso, nel particolare frangente si rammenta dello scopo della

visita e il suo conversare si limita a un cenno sul tempo e sui voti che il ragazzinoha ottenuto a scuola. Poi si infila le zoccole e in un attimo scompare in un localeposto sul retro della cucina. In quegli attimi che sembrano interminabili il ragazzino, per dissimulare l’impa-zienza, con l’apposito ferro della stufa, che qua e là lasciano intravvedere la vivafiamma.L’Ida riappare alcuni minuti dopo racchiudendo nel grembiule, raccolto in grembocon la mano sinistra, ra bonamàgn, un bamboccio di pane con le uvette che il Vitoha cotto nel suo forno a legna. Quest’anno però l’Ida ha voluto fare uno strappo allaregola perché oltre al pupazzo di pane esce dal grembiule anche un rigonfio sac-chetto di tela che solletica la fantasia del ragazzino.Salutata la buona Ida questi si incammina sicuro per il sentiero coperto di neve eghiaccio che porta al suo focolare. Nel tragitto chi ci rimette, e non certamente perle insidie del terreno gelato, è il pupazzo di pane con le uvette che giunge a desti-nazione con un braccio monco e una gamba più corta dell’altra. C’è poi il momento tanto atteso, con il contenuto del sacchetto che viene rove-sciato sulla tavola della cucina. Quel giorno escono dal sacchetto, oltre allearance, ai mandarini, alle noci e alle nocciole, anche un sacchettino con le monetedi cioccolata e un torroncino che il ragazzino tiene gelosamente in serbo e sboc-concellerà, per ultimo, alcuni giorni dopo...».

Nella Rivista il Biaschese del gennaio 1987 Elzio Rodoni scriveva questo racconto ispirato proprio alla tradi-zione della Bonamàgn: