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> La Cooperazione Italiana Informa - Settembre 2012

SOMMARIOAnno II n. 8 – Settembre 2012

La vignettadi Paolo Cardoni pag. 03

Editorialedi Ivana Tamai pag.04

In primo piano La Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2012

a cura della Redazione pag. 05

Donne, pesca e diritti in Senegal

a cura della Redazione pag. 06

Quando la musica cambia la vita

di Paola Boncompagni pag. 21

Una scuola per tutti

di Ivana Tamai pag. 25

La DGCS e l’educazione

di Teresa Savanella pag. 27

Vulnerabilità e comunità: le due parole chiave de El Salvador,

Paese retto dalle donne

di Katia Ippaso pag. 33

Le donne lo sanno. Mujeres y madres tra Italia e El Salvador

di Stefania Borla pag. 35

La Cooperazione allo Sviluppo dell'UEAggiornamenti e segnalazioni

a cura dell’Uffi cio I pag. 38

Documenti e deliberea cura di Rossella Bovo pag. 39

DGCS - Programma “Fronteras Abiertas” Rapporto di Valutazione pag. 40

Atti del Direttore Generale/Gare e incarichi pag. 52

Contatti pag. 53

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LA VIGNETTA di Paolo Cardoni

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Dal 2009 a oggi oltre 2500 giovani a rischio di emarginazione e criminalità si sono incontrati per suonare insieme, fi n dal primo giorno di att ività grazie al programma Muni-Joven , avviato a Citt à del Guatemala . L’iniziativa, di durata triennale, è denominata “Muni-Joven - Raff orzamento delle capacità della Municipalità di Citt à del Guatemala per lo sviluppo di politiche sociali locali indirizzate ai giovani”. È sostenuta da Enel Cuore Onlus e rientra nel più ampio progett o multi-bilaterale fra Cooperazione Italiana, Undp e Municipalità di Citt à del Guatemala

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EDITORIALE

di Ivana Tamai

Con settembre ritorna on line il mensile della Cooperazione Italiana allo Sviluppo. Molti sono gli impegni

autunnali che ci attendono nei prossimi mesi: dalla Giornata Mondiale dell’Alimentazione al Forum

Internazionale della Cooperazione. Mentre in redazione è quasi pronta la nuova rubrica dedicata ai

giovani e alla cooperazione universitaria.

Intanto, nel mese in cui tornano a scuola quasi otto milioni di studenti italiani, è parsa opportuna una

riflessione sulla Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione tenutasi l’8 settembre scorso. Uno

spunto per illustrare, con l’Esperta Teresa Savanella, l’impegno della DGCS nel settore dell’educazione

di base, anche in vista della Nuova Iniziativa Globale che il Segretario Generale dell’ONU ha lanciatato

a New York il 26 settembre. Si chiama “Education First” e propone un approccio innovativo che

considera l’educazione come motore del cambiamento e dunque perno dei processi di sviluppo.

Un altro importante appuntamento, quello con la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, è in corso di

preparazione per il 16 ottobre prossimo. Al MAE il Coordinamento delle Organizzazioni Internazionali

basate a Roma sta mettendo a punto un articolato programma (di cui diamo qualche anticipazione) che

non si esaurirà nella sola giornata celebrativa, ma si protrarrà fino dicembre. E proprio sul tema della

sicurezza alimentare e sviluppo rurale raccontiamo due programmi attivi in Senegal che portano anche

la viva testimonianza di due beneficiari: Ndeye e Cheick.

Dal Senegal ci spostiamo in El Salvador per seguire da vicino l’azione della Cooperazione Italiana,

soprattutto nel settore donne e minori, attraverso la testimonianza di Ketty Tedeschi, Esperta DGCS e

Coordinatrice dei programmi salvadoregni, appena tornata da una missione nella capitale.

Nella Sezione Documenti pubblichiamo la prima delle valutazioni realizzate nell’ambito dell’attività di

competenza dell’Ufficio IX – Valutazione e Visibilità: si tratta della sintesi del Rapporto di valutazione

relativo al programma “Fronteras Abiertas: rete interregionale per la cooperazione transfrontaliera e

l’integrazione latinoamericana”.

Ma questa edizione del Bollettino è anche all’insegna della musica, il cui linguaggio universale meglio

di altri consente il dialogo fra diverse culture e può rappresentare un’opportunità di crescita per le

giovani generazioni. Per questo, con l’Esperta Paola Boncompagni siamo andati a Città del Guatemala

per visitare quel grande laboratorio di esperienze umane e artistiche nato all'interno del più ampio

programma “Muni-Joven” per lo svilupppo di politiche sociali giovanili. In questi anni l'iniziativa, ispirata

al “Sistema” venezuelano del Maestro Abreu, ha fatto incontrare e suonare insieme oltre 2500 giovani a

rischio di emarginazione e criminalità.

La Cooperazione Italiana ben conosce il valore del “fare musica insieme” come collante sociale, come

terreno di pacifico dialogo e riscatto sociale. Il potere formativo della musica infatti costituisce una

leva importante per la crescita sociale dei giovani poiché l’esperienza di suonare insieme favorisce

quell’inclusione sociale che è fondamentale nella lotta alla disuguaglianza e all’emarginazione delle

fasce più vulnerabili del mondo giovanile.

È questo l’approccio con cui, il 21 ottobre, la Cooperazione Italiana parteciperà alla giornata di

sensibilizzazione al Parco della Musica di Roma nell’ambito del “Sistema delle Orchestre e dei Cori Giovanili e Infantili”, che lavora in rete con il “Sistema venezuelano” di cui condivide i valori della

solidarietà, partecipazione e rispetto per i diritti umani inalienabili.

“La musica cambia la vita” si legge nell’invito di uno dei concerti. E chi verrà ad ascoltare questi ragazzi

non potrà che essere d’accordo.

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LA GIORNATA MONDIALE DELL’ALIMENTAZIONE 2012a cura della Redazione

Il prossimo 16 ottobre si terrà alla FAO la Giornata Mondiale

dell’Alimentazione 2012.

“Le cooperative agricole nutrono il mondo” è il titolo

ufficiale del tema di quest’anno, scelto per sottolineare il ruolo

fondamentale che svolgono le cooperative per migliorare la

sicurezza alimentare.

Il Ministero degli Affari Esteri anche quest’anno rinnova il proprio

impegno per la lotta alla fame nel mondo e, in occasione delle

celebrazioni del 16 ottobre, in collaborazione con le Agenzie

ONU del polo agroalimentare romano - FAO, IFAD e WFP - e con Bioversity International, ha avviato

una serie di iniziative di sensibilizzazione al tema.

Tra queste, la campagna di raccolta fondi “Crescita” si

ripropone come lo scorso anno, con l’obiettivo di proseguire

quel cammino che ha consentito la raccolta di 130.000,00 Euro

destinati a un progetto realizzato congiuntamente da FAO, IFAD

e WFP e rivolto a sostenere le donne del distretto di Mwingi in

Kenya, colpito da siccità e scarsità di raccolti.

Per chi volesse approfondire le problematiche legate alla fame

nel mondo è previsto

invece un ciclo di conferenze presso le principali Università

italiane.

Inoltre, nell’ambito della programmazione dell’evento “Roma

InConTra”, il 15 ottobre all’Ara Pacis di Roma si terrà un’intera

giornata di riflessione dal titolo “Alimentare la terra, coltivare il futuro: convegno internazionale su sicurezza alimentare, alimentazione e nutrizione”. All’iniziativa parteciperanno i

principali interlocutori nazionali ed internazionali, primi tra tutti il

Ministro degli Esteri Giulio Terzi e i Vertici delle Agenzie Onu con

sede a Roma.

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DONNE, PESCA E DIRITTI IN SENEGALA cura della Redazione

In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione di quest’anno, segnaliamo l’iniziativa “Donne, Pesca e Diritti in Senegal”. Si tratta infatti di uno tra i tanti progetti che la Cooperazione Italiana ha

dedicato alle donne e alle cooperative agricole.

In Senegal la pesca occupa il primo posto nel

settore primario delle esportazioni, davanti

all’agricoltura e ai fosfati. Il settore occupa

direttamente o indirettamente 600.000 persone

e, pur costituendo l’approvvigionamento delle

industrie esportatrici per circa il 60% delle

catture, la sua funzione primaria è quella di

rifornire il mercato locale. La trasformazione

artigianale e il piccolo commercio dei prodotti

ittici costituiscono, infatti, le fonti di reddito più

importanti per le donne dei villaggi della costa.

Esse, in genere, sono proprietarie dei capitali

e dei mezzi di produzione e si occupano degli

acquisti delle materie prime e della lavorazione

del pesce (lavaggio, fermentazione, affumicatura, essiccazione e commercializzazione). Gli uomini

invece sono spesso al servizio delle donne e sono pagati a cottimo per la pulitura, il trasporto e

l’imballaggio. Tuttavia, anche se nel settore della lavorazione del pesce gli uomini sono presenti in numero

limitato, riescono a incidere fortemente nei rapporti di potere. La maggioranza numerica delle donne

non si traduce infatti in una pari rappresentatività negli organi decisionali e in una loro partecipazione

all’elaborazione e all’esercizio del potere. Recentemente, per contrastare questo fenomeno, sempre più

donne decidono di organizzarsi in GIE (Gruppi di Interesse Economico), associazioni e reti. Nel 2003

le donne trasformatrici e piccole commercianti hanno creato l’Union Nationale des Opératrices de la FENAGIE Pêche,

1 che raggruppa 54 Unioni Locali presenti nelle regioni senegalesi dedite alla pesca.

In questo contesto si inserisce il progetto «Donne, Pesca e Diritti in Senegal: rafforzamento economico e organizzativo delle Unioni Locali della FENAGIE pêche», cofinanziato dalla Cooperazione Italiana

e implementato da Cospe2 in collaborazione con la controparte locale FENAGIE pêche. L’iniziativa

ha l’obiettivo di migliorare le condizioni socio-economiche delle donne che operano nel settore della

pesca artigianale nella Regione di Fatick e in particolare nei Dipartimenti di Fatick e Foundiougne.

In particolare le azioni mirano al rafforzamento delle attività economiche (dalla trasformazione alla

commercializzazione), delle capacità e del ruolo decisionale delle donne nella comunità in cui vivono,

nonché del loro ruolo a livello nazionale e locale all’interno della FENAGIE pesca. L’obiettivo specifico

del progetto è infatti quello di migliorare le condizioni economiche e sociali di 820 donne trasformatrici

di prodotti ittici in dieci siti di trasformazione del pesce nella Regione di Fatick e di rafforzare il ruolo

decisionale di 108 donne a livello nazionale e locale.

1 Fédération nationale des GIE de Pêche

2 Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti

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Le isole del Saloum, dove interviene il progetto, sono composte da una moltitudine di villaggi

costeggiati da foreste labirintiche di mangrovie e abitati principalmente dall’etnia Niominka, che oggi

rappresenta quasi il 98% della popolazione. Gli Niominka si definiscono “popolo del mare” e, tra di loro,

la pesca riveste un ruolo molto importante, influenzando non solo l’economia ma anche la vita sociale

della comunità. Le forti ed estese relazioni parentali della società Niominka la rendono una comunità

fortemente solidale e lo spirito di comunione e condivisione costituisce un terreno molto propizio alla

nascita di gruppi, ognuno caratterizzato da statuti che consolidano la solidarietà interna e quella verso

gli altri villaggi. È in questo quadro e con questo spirito che le Unioni Locali di donne trasformatrici di

prodotti alieutici (principalmente essicazione e affumicatura) si sono costituite.

Tradizionalmente, nel sistema Niominka, la donna si afferma sia nello spazio domestico che nelle

attività di produzione. In passato la sua funzione di sposa e di madre dominava nettamente la sfera

produttiva. Di recente invece, forse a causa della crisi economica e ambientale, le donne sono sempre

più impegnate a contribuire allo sviluppo economico della famiglia e del villaggio. Infatti, oltre alle loro

responsabilità nel quadro familiare legate all’ambito riproduttivo, le donne svolgono attività economiche

spesso legate alle risorse naturali sia per il consumo domestico che per la commercializzazione.

L’analisi del ruolo e della condizione delle donne è indissociabile dal contesto sociale. Gli Niominka

hanno una visione propria dell’ambiente e della gestione del territorio. Essa si basa su una tradizione

che considera lo spazio come un tutto e in cui ogni elemento che lo compone ha un ruolo determinante

sul suo funzionamento generale. La comunità e l’ecosistema sono interdipendenti e questa percezione

instaura nelle popolazioni una certa apprensione nei confronti della salvaguardia ambientale. Questo

è particolarmente vero per le donne che, in quanto tributarie della gestione e dello sfruttamento delle

risorse naturali, rivestono un ruolo chiave nelle strategie di protezione dell’ambiente. Tale istinto di

conservazione ambientale non ha potuto contrastare l’intenso sfruttamento industriale delle risorse

ittiche e non salva queste ultime dagli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici. A causa delle loro

risorse limitate, del loro stato di subordinazione e della stretta dipendenza dalle risorse naturali, le

donne Niominka subiscono in maniera particolarmente acuta l’effetto dell’impoverimento ambientale, la

diminuzione delle precipitazioni, la riduzione delle risorse alieutiche aggravata dalla pesca industriale, la

degradazione delle mangrovie e la salinizzazione delle acque. La raccolta di molluschi e la trasformazione

di pesce e crostacei (principale risorsa economica delle donne) subiscono quindi il forte contraccolpo

della rarefazione delle risorse naturali. Di conseguenza, la partecipazione delle donne nella società

risulta fortemente compromessa. Le trasformatrici di pesce non solo assistono a una forte riduzione

del pescato ma vedono anche minacciata seriamente la sostenibilità delle loro attività. Infatti, in un

contesto ormai molto vulnerabile, le donne specializzate nella raccolta dei molluschi sono obbligate ad

affrontare maggiori rischi e a impiegare sempre più energie e tempo per accedere alla risorse. Spesso

il caro prezzo della vulnerabilità ecologica spinge le giovani donne a migrare a Dakar dove nel migliore

dei casi vengono impiegate come domestiche, con il rischio frequente e reale di essere maltrattate,

sottopagate e molestate. Lavorare sul rafforzamento delle capacità tecniche e intellettuali significa

attenuare l’impatto travolgente di questa realtà e anche moderare il fenomeno di migrazione femminile.

Equipaggiare e fornire le donne di strumenti materiali e formativi si traduce in un supporto nella ricerca

di soluzioni sostenibili a fronte dei cambiamenti naturali. La dinamica di unione, il rafforzamento dei

legami di solidarietà femminile, il rilancio e l’accompagnamento verso una corretta gestione dei gruppi

aiutano le Unioni Locali a coordinare le forze, a mettere in comune le risorse e a condividere i benefici.

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Al fine di risolvere i problemi di carattere economico e sociale presenti nel contesto, il progetto promuove

specifiche azioni, riconducibili a quattro assi d’intervento:

Il rafforzamento delle capacità professionali e di gestione d’impresa delle donne trasformatrici

di prodotti alieutici;

Il sostegno alla produzione e alla commercializzazione attraverso il miglioramento delle condizioni

di lavoro, della qualità del prodotto trasformato e dell’accesso alle materie prime;

Il miglioramento dell’accesso delle donne ai servizi sociali di base e all’informazione;

Il rafforzamento del ruolo delle operatrici del settore della pesca e della loro rappresentatività

all’interno delle istanze decisionali.

L’intervento del progetto vuole rispondere a due grandi sfi de. In primo luogo è necessario rafforzare

e incoraggiare le dinamiche associative esistenti, ovvero le Unioni Locali di donne trasformatrici e

commercianti di pesce. A tal fine bisogna puntare alla costituzione di organizzazioni capaci di una

produzione sostenibile e ad alto valore aggiunto e che siano gestite in maniera trasparente e democratica.

È fondamentale, inoltre, aiutare le Unioni Locali a divenire un vero e proprio motore di sviluppo

comunitario, al fine di metterle in condizione di instaurare dei circoli virtuosi capaci di determinare effetti

positivi a cascata per la promozione di tutte le donne.

Il risultato atteso è che il miglioramento della tecnica e della gestione conduca alla costituzione di

gruppi di donne che abbiano un potere economico, che siano consapevoli del proprio valore sociale,

che conoscano ed esercitino i propri diritti e che siano in grado di influenzare con le proprie attività le

dinamiche e i comportamenti a livello locale e nazionale attraverso efficaci azioni di advocacy.

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L’intervista

L'intervista doppia vuole mettere in evidenza la diversità delle percezioni individuali uomo/donna, sia nell'ambito

lavorativo che in quello familiare, all'interno di una società in cui i ruoli sono definiti ma in continua evoluzione.

Inoltre, l'intento è quello di mettere in risalto i diversi punti di vista rispetto ai cambiamenti che il progetto ha portato

a livello personale, per sottolineare come la dimensione genere debba essere presa in considerazione dai progetti

di cooperazione internazionale al fine di evitare meccanismi di esclusione e favorire il coinvolgimento dell’intera

comunità nel contesto.

Ndeye Thioro Bop è una trasformatrice di pesce e

beneficiaria diretta del progetto, nonché Presidente

dell’Unione Locale del villaggio Félir, dove vive. È nata nel

1957 a Foundiougne ed è sposata.

Cheick Tidjan Ndong è un pescatore di 35 anni. È nato e

vive a Foundiougne ed è sposato.

Entrambi hanno una visione precisa del contesto in cui interviene il progetto e sono consapevoli degli effetti che

esso ha avuto sulla loro comunità.

Che lavoro fai?

Ndeye: Sono una trasformatrice di prodotti alieutici (pesce,

gamberetti e molluschi) e conduco anche delle attività in

ambito sanitario. Sono quello che chiamano Agente di

Salute Comunitario e unica Matrona del villaggio.

Cheick: Sono un pescatore.

Fai parte di un’associazione di categoria?Ndeye: Sì, l’Unione Locale di cui sono Presidente è costituita

da gruppi di donne che si occupano di trasformazione come

me. In quanto membri dell’Unione siamo associate alla

Federazione Nazionale dei GIE di pesca.

Cheick: Si sono membro di FENAGIE, la Federazione

Nazionale dei GIE di pesca.

Come si svolge il tuo lavoro?

Ndeye: Il mio tempo è scandito da due attività ed è molto

difficile sostenere entrambe perché hanno una natura

estremamente diversa. Per quanto riguarda le attività

che svolgo in ambito sanitario, nella maggior parte dei

casi le svolgo durante il giorno. Secondo la disponibilità

di medicinali che abbiamo al centro, mi occupo di fornire

le prime cure per le patologie più ricorrenti e che non

richiedono l’intervento di un medico o il ricorso all’ospedale.

Quello più vicino è a Foundiougne, bisogna attraversare il

Saloum in piroga e avere il denaro per pagare il carburante.

Inoltre, come matrona, devo essere sempre disponibile,

anche la notte, perché sono l’unica levatrice formata e

abilitata.

L’attività di trasformazione, invece, come ad esempio

l’affumicatura del pesce o il trattamento dei gamberetti, il

più delle volte la svolgo la notte. Non appena arrivano i

pescatori devo subito trasformare il pesce perché non si

può conservare per troppe ore.

Quando devo scegliere di dare priorità a una delle due

attività preferisco dare il mio contributo al centro di salute.

Cheick: Pesco ethmalose e gamberetti e ogni tanto assicuro il

trasporto passeggeri attraverso il fiume Saloum. Per la pesca

dell’ethmalose uso la rete derivante, ovvero lascio cadere a

piombo una parte della rete nell’acqua tenendo l’altro capo e

poi la lascio trasportare dalla corrente. Esco in campagna con

un equipaggio di 5 pescatori facendo battute in giornata. Per

quanto riguarda i gamberetti, invece, ci sono due modalità:

la pesca a piedi e la pesca che prevede l’immersione di una

rete conica. Con questo secondo tipo è possibile pescare

esemplari più grossi perché va in profondità, al contrario con

la pesca a piedi non si superano i due metri e si ottengono più

che altro esemplari giovani.

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Quali sono gli ostacoli maggiori che incontri nello svolgimento delle tue attività?

Ndeye: Le difficoltà non mancano mai, in nessuna delle

due attività.

Nella trasformazione, la più grande difficoltà risiede nella

concorrenza sleale esercitata dagli operatori stranieri,

generalmente guineiani, che si installano nei nostri villaggi.

Essi arrivano nel Saloum con grandi capitali contanti e

finanziano in toto le battute di pesca dei nostri mariti, che

altrimenti non avrebbero i mezzi materiali e finanziari per

uscire in mare. Inoltre fanno costruire piroghe, forniscono il

motore, le reti, le spese per uscire in mare e danno anche

un fondo contante; insomma, forniscono tutto ciò che é

necessario. Questo, in pratica, rende i nostri pescatori degli

operai costretti a vendere tutto il pescato agli stranieri a

prezzi molto bassi. Quindi noi, le trasformatrici, che non

abbiamo moneta contante ma che abbiamo sempre preso

il pesce a credito dai pescatori, non abbiamo alcun potere

di negoziazione. Di fatto non riusciamo ad avere materia

prima da trasformare. Bisogna quindi portare avanti una

battaglia per trovare una soluzione a questo problema.

Le altre difficoltà, sono sempre legate al solito problema,

ovvero la mancanza di capitale per finanziare l’attività e

al contempo l’incertezza degli sbocchi commerciali che

provoca un circolo vizioso.

Dobbiamo trovare un mercato vantaggioso per valorizzare

la qualità dei nostri prodotti e quindi rendere sicure le

entrate. L’incertezza ostacola l’accesso al credito presso

le banche o le casse perché queste considerano l’attività

troppo rischiosa.

Grazie alle attività di formazione del progetto, abbiamo

rafforzato le nostre capacità di gestione d’impresa e

abbiamo imparato a calcolare la redditività delle nostre

attività. Questo per dire che siamo consapevoli del fatto che

siamo costrette a vendere sottocosto perché non abbiamo

alcun potere per influenzare il prezzo, né quello di acquisto

né quello di vendita.

Rispetto alle attività sanitarie, tutto quello che esiste a Félir

esiste grazie alla mobilitazione delle donne. Al villaggio non

abbiamo un dispensario dello stato; non avevamo nulla fino

a quando le donne non si sono organizzate per costruire un

centro di salute comunitaria. Di fronte al bisogno, quando

i nostri mariti si sono rifiutati di aiutarci, abbiamo deciso di

investire nel centro; abbiamo cominciato a raccogliere la

paglia e grazie alla vendita della stessa siamo riuscite a

comprare il cemento e la sabbia. Penso che dovremmo

avere un appoggio continuo da parte dello Stato, anche

solo per quanto riguarda la fornitura di medicinali.

Penso si percepisca il livello di difficoltà che le donne,

uniche attrici impegnate nella salute comunitaria, vivono

quotidianamente.

Cheick: Ci sono due tipi fondamentali di difficoltà. Il primo

riguarda la commercializzazione perché i prezzi che i

commercianti ci impongono sono molto bassi.

Il secondo consiste nel trovare pescatori per comporre

l’equipaggio. Oggi i giovani si attivano solo per i guadagni

facili, quindi spesso ho difficoltà a trovare persone per uscire

a pesca. Questo è dovuto anche ad alcune cattive abitudini

che si sono instaurate nel settore. Infatti la distribuzione dei

benefici della pesca avviene dopo la vendita del pesce e si

calcola per parti: ogni pescatore ha diritto a una parte del

totale, il proprietario della piroga e dell’equipaggiamento ha

più fette di guadagno ed è lui il responsabile della vendita

del pescato. Spesso i membri dell’equipaggio non ricevono la

propria parte e si sentono scoraggiati.

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In che misura il progetto sta cambiando la vostra professione e le condizioni di lavoro?

Ndeye: Anche se ho citato le difficoltà più gravi, ce ne

sono molte altre. Devo riconoscere però che il progetto ha

apportato delle migliorie considerevoli nello svolgimento

della nostra attività economica. L’Unione Locale trasforma

il pesce da almeno 15 anni ma prima dell’arrivo del progetto

l’affumicatura si faceva a terra sui braceri tradizionali.

Oggi non è più cosi perché abbiamo dei forni appropriati.

Abbiamo anche usufruito di molte attività di formazione

sull’utilizzo dei forni e sulle tecniche di trasformazione, che

hanno contribuito a migliorare la qualità dei prodotti e le

condizioni di lavoro.

Come si dice, l’uomo non è mai soddisfatto e i bisogni

possono essere infiniti ma il progetto ha fatto molto per

la nostra Unione, soprattutto in termini di attrezzature di

lavoro e di spostamento.

Cheick: Si può dire che il progetto mi ha riportato alla

pesca. Mio padre e i miei nonni erano i più grandi pescatori

di Foundiougne, invece io, i miei fratelli e cugini avevamo

abbandonato quest’attività a causa della mancanza

dell’equipaggiamento necessario. Il progetto ha fornito l’Unione

Locale di Foundiougne di una piroga ben equipaggiata,

affinché potesse aiutare le donne negli spostamenti e nella

creazione di reddito. L’Unione Locale di Foundiougne mi ha

dato in gestione la piroga che conduco per loro quando ne

hanno bisogno, altrimenti la utilizzo per la pesca e una parte

del pescato torna all’Unione.

Ovviamente questo ha un effetto importante sulla mia vita

quotidiana, adesso ho sempre pesce fresco per nutrire la

famiglia e ho dei soldi per rispondere a tutti gli altri bisogni.

Quali sono le altre opportunità di lavoro per un uomo? E per una donna?

Cheick: Per un uomo ci sono varie possibilità di guadagnare

denaro. Posso pescare con la canna e per i pesci grossi posso

usare la rete, ma bisogna averne una che va dai 600 ai 1.500

metri. Si può praticare anche l’allevamento, il commercio

e la vendita dell’acqua, dipende tutto dalla volontà e dalla

perseveranza. Alcune donne si occupano del trattamento dei

gamberetti, altre sono domestiche o lavorano negli hotel.

Hai altre attività economiche per contribuire al mantenimento domestico?

Ndeye: Per diversificare pratico l’agricoltura, attività che

abbiamo ripreso recentemente. Infatti negli anni ‘70 siamo

stati costretti ad abbandonarla a causa di ripetute stagioni

di siccità Tradizionalmente, noi, gli Niominka, abbiamo

sempre coltivato durante la stagione delle piogge. Quello

che oggi chiamano “riposo biologico”, che vieta la pesca

durante i mesi invernali, noi lo rispettavamo già secondo

la tradizione locale. Uomini e donne insieme lavoravano

i campi durante i mesi di luglio e agosto, poi gli uomini

tornavano alla pesca e le donne restavano per diserbare

le risaie.

Cheick: Io ho un piccolo allevamento di polli, non supero mai

i 50 pulcini ma grazie alle vendite integro i bisogni familiari.

Tuo marito/moglie lavora?

Ndeye: Sì, è un pescatore. È dovuto migrare in Spagna per

la pesca di grossa taglia e rientra ogni due o tre anni.

Cheick: Mia moglie è insegnante.

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Per la comunità, quali sono i compiti e le responsabilità di una donna all’interno della famiglia? E quelli di un uomo?

Ndeye: Le attività destinate alla donna sono prima di

tutto cucinare, lavare la biancheria, assicurare la cura dei

bambini e i lavori di campagna come la ricerca della legna

per il fuoco della cucina e della paglia. I mariti si occupano

della pesca e, in parte, di agricoltura. Il resto del tempo,

però, lo passano in piazza o in spiaggia.

Cheick: Una donna in casa si deve occupare delle pulizie e di

aiutare suo marito nelle attività di cura della casa. La mattina

quando si sveglia mette in ordine, pulisce la stanza, lava i

bambini e va a cercare l’acqua perché il marito possa lavarsi.

Poi prepara la colazione e infine sveglia il marito. Se ci sono

lavoretti di mantenimento della casa, come cose da riparare,

quando mi sveglio me ne occupo. Poi passo un po’ di tempo

con i miei figli, faccio colazione e se non ci sono altre urgenze

vado a pescare.

Com’è percepita dalla vostra comunità una donna che lavora?

Ndeye: Per la generazione prima della mia, il lavoro della

donna riguardava unicamente i lavori domestici: la cucina,

la biancheria, la cura dei figli e qualche compito nella

costruzione delle case tradizionali. Oggi le cose sono

cambiate, il marito approva il fatto che la donna lavori per

contribuire alle spese.

Cheick: Personalmente non vedo differenze tra il lavoro della

donna e quello dell’uomo, ma si tratta di una percezione molto

soggettiva. Penso che una donna che lavora non sia un tabù

tra gli Niominka. Ormai è tanto tempo che le donne hanno

cominciato a lavorare e a contribuire alle spese della famiglia.

Tutto quello che guadagnano serve per l’alimentazione, per

i propri bisogni e acquisti, per le cure dei bambini e a volte

anche del marito. Insomma, io la vedo cosi, questo è quello

che succede a casa mia, ma nelle case degli altri potrebbe

essere diverso.

Come giudicate i progetti che lavorano per il rafforzamento delle capacità delle donne?

Ndeye: Sono delle iniziative che apprezzo, soprattutto

quando si tratta di rafforzare le capacità delle donne perché

è questo che permette di aumentare i loro averi e i loro

saperi. Inoltre, questo contribuisce al benessere generale.

L’emancipazione delle donne ha un effetto contagioso,

spinge le altre donne che non hanno ancora beneficiato

dell’aiuto alla riflessione e alla mobilitazione. Sentono

di essere rimaste indietro rispetto ai risultati delle donne

coinvolte in questo tipo di progetti.

Cheick: Le formazioni svolte dai progetti sono molto importanti

nella misura in cui servono a rafforzare le capacità tecniche,

facilitare il savoir faire e il savoir être. Inoltre, in questo mondo

che cambia cosi velocemente, permettono alle donne anche

adulte di tenersi aggiornate.

So che i progetti di sviluppo lavorano ormai quasi solo con le

donne, per sostenere le loro attività. Dicono che sia così perché

le donne sono più dinamiche, più serie e più responsabili nel

lavoro che fanno. Gli uomini invece sono meno affidabili; per

esempio se si tratta di un prestito o di un finanziamento è

molto più probabile che questi lo utilizzino per prendere una

seconda moglie.

La tua attività ti permette di provvedere al fabbisogno alimentare della famiglia?

Ndeye: Attualmente non posso dire che la mia attività sia

sufficiente a prendere in carico la famiglia ma posso dire

che lavoro in complementarietà con mio marito e credo che

sia la stessa cosa nelle altre famiglie. La donna apporta

qualcosa ma anche l’uomo contribuisce. La mia attività ha

una redditività molto bassa e, nel contesto che ho appena

descritto, non mi permetterebbe facilmente di mantenere la

famiglia senza mio marito.

Cheick: Grazie all’equipaggiamento messo a disposizione

dall’Unione Locale riesco a soddisfare almeno il 50% dei

miei bisogni, già solo per questo ringrazio Dio. I bisogni si

rinnovano continuamente e cambiano ma sinceramente non

mi posso lamentare.

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Come contribuisce tuo marito alle spese domestiche?

Ndeye: Mio marito si occupa dei generi alimentari, delle

bollette dell’acqua e dell’elettricità. Il mio intervento

riguarda le spese mediche, le spese giornaliere e la scuola

dei bambini.

Esistono secondo te delle disparità nella partecipazione degli uomini e delle donne nella gestione degli affari locali?

Ndeye: È un problema culturale. In ambiente Niominka la

tradizione è molto forte ed è questo che ha determinato la

separazione netta dei compiti tra uomini e donne. Nonostante

questo, oggi esiste une leggera flessibilità su alcuni aspetti

della vita. Prendo come esempio gli incontri di villaggio;

la conversazione si svolge in primo luogo tra uomini, poi,

guardando alle loro spalle, si rivolgono alle donne (che non

siedono accanto a loro) per constatare se hanno qualcosa

da aggiungere. Credo che questa procedura non abbia

nulla di normale, perché qualunque sia l’argomento del

dibattito, la donna deve poter esprimersi liberamente. Ecco

qual è la nostra conquista, seppur minima, quella di essere

interpellate in seconda istanza; prima le donne non avevano

alcun diritto alla parola in pubblico. Credo sia una reale tara

per la nostra società perché è inammissibile che, trattandosi

di affari della comunità, non si ammetta l’espressione delle

donne.

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Conosci più leader donne o più leader uomini? Quali sono le loro rispettive caratteristiche?

Ndeye: A Félir, la maggioranza dei “leader” è rappresentata

da uomini e lo si constata semplicemente dal fatto che sono

sempre i primi a prendere la parola e spesso sono i soli.

Per quanto riguarda le caratteristiche, credo che bisogna

prima intendersi sul significato di leader: un leader non è

un eletto. Un leader è qualcuno che ha un comportamento,

delle attitudini speciali tra cui posso citare la discrezione,

la giustizia, l’educazione, l’apprezzamento collettivo e la

capacità di essere franco e trasparente.

Dunque, rispetto a queste qualità credo non si possa fare

differenza tra uomo e donna. Essere leader è un dono, un

talento che non ha genere e che si può coltivare.

Cheick: Gli uomini leader sono più numerosi: il delegato del

quartiere, il capo villaggio, ho anche uno zio che è spesso

sollecitato per mediare e intervenire per risolvere problemi

familiari o di ordine pubblico. Nel mio quartiere ne conosco

almeno 4 che svolgono questa funzione.

Chi viene consultato più spesso per questioni familiari?

Cheick: In casa prima di tutto si consulta l’uomo.

Puoi identifi care gli ostacoli che frenano l’emergere di una leadership femminile forte?

Ndeye: La risposta può essere ambigua e non è semplice.

La leadership femminile è più difficile da osservare, non

perché le donne non abbiano le qualità che ho citato ma

a causa della dominanza sociale degli uomini e degli

aspetti tradizionali della nostra cultura. Spesso, davanti

un pubblico misto, le donne non osano parlare per paura

di essere ridicolizzate dagli uomini. Quindi credo che la

leadership della donna sia frenata da quella negativa degli

uomini.

Cheick: La leadership femminile è frenata da quella maschile.

Infatti l’uomo, per paura di perdere il proprio ruolo, distrugge

la fiducia e la fierezza della donna. L’uomo non è disposto

ad accettare il fatto che una donna possa avere un’idea più

intelligente della sua o possa avere un’influenza maggiore sul

contesto, per questo fa di tutto per screditare la donna e per

far sì che questa non emerga. Si può definire leader un uomo

che agisce in questo modo?

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Secondo te è possibile promuovere la leadership femminile nella vostra comunità? E come?

Ndeye: A Félir la maggior parte delle donne non è andata

a scuola, questo le rende molto insicure. Sono convinta

che una soluzione sia la formazione, perché solo cosi si

possono imparare le tecniche e gli approcci che si devono

utilizzare per motivare e guidare gli altri. Spesso, anche

quando conosciamo un argomento, la maniera nella quale

ci esprimiamo annulla il messaggio che vogliamo lanciare.

La fierezza e la fiducia che provengono dalla conoscenza

e dalle competenze permettono alla donna di trovare il

coraggio per rompere il suo silenzio. Anche la possibilità di

viaggiare e di visitare altre realtà e quindi incontrare altre

donne permette di confrontarsi e imitare i buoni esempi.

Cheick: Dobbiamo riconoscere il valore delle donne. Siamo

diversi, certo, ma l’una non vale meno dell’altro. Forse

si dovrebbe sensibilizzare e formare gli uomini, affinché

capiscano quanto sia limitante per tutta la società il loro

comportamento.

In quale maniera gli interventi di Cospe nella località impattano sulla tua vita e sulle relazioni tra gli uomini e le donne?

Ndeye: L’équipe del progetto è sempre con noi, lavoriamo,

discutiamo e mangiamo nello stesso piatto; questo li rende

parte della nostra famiglia. Rispetto agli interventi specifici,

oltre alla fornitura delle attrezzature e alla costruzione di

aree di lavoro e alle formazioni tecniche, stiamo lavorando

sullo sviluppo del concetto di leader nella vita quotidiana

della donna. Tra pochi giorni avrà inizio l’attività di

formazione in leadership e gestione del gruppo, che non

soltanto serve a rafforzare le capacità di noi responsabili di

organizzazioni, ma anche a migliorare la buona governance

e a ridurre il comportamento accentratore di alcune/i leader

che pensano che dirigere sia un diritto.

Cheick: L’intervento di Cospe nelle isole del Saloum è

importante e vario. L’esempio che mi viene in mente è la piroga

di Djirnda. Prima le donne non avevano una propria piroga

e viaggiare e trasportare bagagli e prodotti era complicato,

costoso e rischioso. Oggi hanno una loro piroga e quindi sono

libere di spostarsi e anche di affittarla per alimentare le casse

dell’Unione.

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Secondo te di cosa hanno bisogno le donne della vostra comunità per migliorare le proprie condizioni di vita?

Ndeye: Come ho detto prima l’uomo non è mai soddisfatto

per sua natura. Abbiamo ricevuto molte attrezzature ma

abbiamo ancora delle insufficienze gravi in termini di

accesso al capitale; per esempio non abbiamo un fondo

nostro per sviluppare le attività. Rispetto al credito formale,

poi, sono molto diffidente perché la nostra è un’attività ad

alto rischio di perdita, è un’attività capricciosa che dipende

dalle campagne di pesca e con una stagionalità marcata

ma imprevedibile. Gli istituti di microfinanza non hanno dei

prodotti che si adattano alle peculiarità della nostra attività.

È solo grazie alla disposizione di fondi che potremmo

salvarci dallo strozzinaggio che gli operatori stranieri

esercitano nelle nostre comunità.

Abbiamo ricevuto un sostegno che non ha eguali nella

nostra professione grazie al progetto ma, ancora una volta,

i bisogni non finiscono mai.

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Secondo te di cosa hanno bisogno gli uomini della vostra comunità per migliorare le proprie condizioni di vita?

Ndeye: I pescatori hanno bisogno di avere un

equipaggiamento proprio perché la realtà oggi è che i

nostri pescatori sono letteralmente comprati dagli stranieri

stagionali. Questi imprenditori sbarcano nei nostri villaggi e

forniscono ai pescatori una piroga, una rete, un motore e

un fondo che può arrivare fino a 2 milioni di FCFA. Questo

li rende proprietari del 100% del pescato che serve a

rimborsare il debito ma che viene acquistato a un prezzo

inferiore a quello di mercato. Il pescatore è stretto in questa

morsa infernale da cui è estremamente difficile liberarsi.

La pesca è sempre più magra a causa della rarefazione

delle risorse e i pescatori non riescono a rimborsare il

credito, l’anno successivo l’operatore torna di nuovo e

rifinanzia la campagna, a quel punto il pescatore che non

ha ancora estinto il debito dell’anno precedente, è costretto

ad accettare e via dicendo. Dopo qualche anno la piroga

comincia a richiedere manutenzione, la rete si è persa in

mare, il motore si è rotto... Di fatto si crea un meccanismo

di indebitamento che può durare oltre dieci anni durante i

quali i nostri mariti sono dei veri e propri schiavi.

Secondo te quali sono le strategie da sviluppare per rendere sostenibili le azioni del progetto in vista del miglioramento delle condizioni di vita delle comunità?

Ndeye: Per arrivare al risultato di stabilità e di sostenibilità

abbiamo bisogno dell’intervento dello Stato o della

cooperazione affinché si riesca a risolvere il problema

legato all’impossibilità di autofinanziarsi la pesca e lo

sfruttamento dei nostri pescatori da parte degli operatori

stranieri che non sono più competenti né più intelligenti.

Inoltre, le relazioni tra paesi dovrebbero garantire dei servizi

di reciprocità che invece non esistono, gli stranieri possono

liberamente venire nei nostri villaggi e sfruttare i nostri

uomini e le nostre risorse naturali ma noi, per esempio, non

riusciamo ad accedere al mercato estero. Ne parliamo da

anni, è tempo che lo Stato faccia qualcosa e che ci aiuti a

costruire un quadro di concertazione e di riflessione per fare

fronte a questa problematica. Se i nostri mariti fossero liberi

e avessero le capacità finanziarie di pescare con il proprio

equipaggio anche il mercato delle donne trasformatrici

cambierebbe radicalmente.

Cheick: Per rendere sostenibili i risultati bisognerebbe

intervenire sull’aspetto finanziario. I pescatori che non hanno

un equipaggiamento proprio fanno questo lavoro in condizioni

quasi miserevoli. A ciò si aggiunge che le campagne di pesca

sono di anno in anno più magre e noi quindi sentiamo la

tentazione di migrare o di vendere il nostro pesce nei mercati

dove possiamo alzare il prezzo. Questo ostacola il lavoro

delle donne che si ritrovano senza materia prima.

È un effetto a catena. Fare il pescatore non è facile, è un

lavoro duro per cui bisogna avere le competenze, il coraggio

e l’equipaggiamento necessario. Un solo elemento mancante

impedisce l’uscita di pesca.

Quindi, per garantire la sostenibilità dei risultati bisognerebbe

garantire ai pescatori l’accesso al materiale di lavoro e formarli

per una sua corretta gestione.

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SCHEDA PROGETTO

PAESE SENEGAL. Regione: DAKAR e FATICK.

Città/Località: Dakar e villaggi del Dipartimento di Fatick e

Foundiougne

TITOLO PROGETTO Donne, pesca e diritti in Senegal: rafforzamento economico e

organizzativo delle Unioni Locali della FENAGIE Pêche

OBIETTIVI DEL MILLENNIO n. 1 – Riduzione dell’estrema povertà e della fame (T1 –

Dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone il cui

reddito è inferiore a 1 dollaro al giorno)

OCSE/DAC SETTORI Settore:

313 – Pesca, identificato dall’OCSE/DAC

Sottosettori:

31310 – Politiche di pesca e gestione amministrativa

31381 – istruzione/formazione in materia di pesca

31391 – servizi in materia di pesca

OCSE/DAC TEMI GENERI E SVILUPPO

CONVENZIONI DI RIO RILEVANTE

CANALE PROMOSSO

TIPO DONO

NOME E SIGLA DELLA ONG PROPONENTE Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti – Cospe

NOME E SIGLA DELLA CONTROPARTE LOCALE Federazione Nazionale dei GIE della Pesca (FENAGIE Pêche)

DURATA PROGETTO 36 MESI 2011-2013

COSTI DEL PROGETTO Euro 1.300.060,00

Contributo DGCS/MAE: Euro 249.984,00

Apporto ONG-Monetario: Euro 131.896,00

Apporto controparte: Euro 430.539,00

Da sapere…

L’azione contribuisce alla creazione di un Sistema Italia nel settore della pesca in Senegal, essendo

complementare e sinergico ad altre azioni (finanziate dalla DGCS/MAE e dalla Cooperazione

decentrata italiana), indicate di seguito:

- “Progetto di sostegno alle organizzazioni di produttori per la valorizzazione delle filiere portanti

(PISA – GTFS/SEN/060/ITA)” che nel dipartimento di Foundiougne prevede il sostegno alle

attività economiche del settore della pesca (pescatori e trasformatrici) e nel quale la FENAGIE è

interlocutore;

- Progetto “Fondazioni 4 Africa” (F4A – finanziamento Compagnia di San Paolo, Fondazione

Cariparma, Fondazione Cariplo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena) in cui il Cospe e la

FENAGIE Pêche sono partner e che, nella regione di Fatick, ha previsto attività legate alla pesca

e al turismo responsabile;

- Progetto “Wa Mer – Gente di mare” (progetto WWF con finanziamento DGCS/MAE) che vuole

favorire la diffusione e il consolidamento di modalità di pesca compatibili con la necessità di

preservare le risorse alieutiche e di garantire la loro rigenerazione.

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Origini dell’iniziativa

La collaborazione tra il Cospe e la FENAGIE Pêche è iniziata nel 2004, quando le due organizzazioni

hanno elaborato e realizzato iniziative, ancora in corso, a favore delle donne trasformatrici dei

prodotti ittici a Thiaroye e Bargny (Regione di Dakar), con l’appoggio della Cooperazione decentrata

toscana. Nel 2007, è iniziato il rapporto con il Comune di Foundiougne per un programma di accesso

all’educazione primaria sostenuto dalle scuole superiori del Comune di Roma. Nei mesi di ottobre 2007

e febbraio 2008, Cospe e FENAGIE hanno organizzato delle giornate di riflessione con i beneficiari

nelle zone di progetto per far emergere i loro problemi e i loro bisogni e per identificare le possibili

soluzioni. A ciò si è affiancata un’analisi del contesto nazionale, locale e settoriale coinvolgendo sia i

partner/beneficiari che le Istituzioni (Enti Locali e Ministeri settoriali).

ENTI PARTNER

La controparte nazionale è la FENAGIE/Pêche, la Federazione Nazionale dei Gruppi di Interesse

Economico (GIE) di pesca del Senegal che ha circa 45.000 operatori, di cui il 60% donne con un

organico effettivo di circa 2.500 GIE. La Federazione nazionale a livello locale è rappresentata da

Federazioni regionali, Federazioni dipartimentali, Unioni locali, GIE. La FENAGIE pesca è membro

fondatore del CNCR (Comitato di Concertazione e Cooperazione dei Rurali), struttura che raccoglie 19

federazioni dei produttori del Senegal nei diversi settori primari (agricoltura, pesca, allevamento, ecc.)

che a sua volta fa parte del ROPPA (Rete delle Organizzazioni di produttori dell’Africa Occidentale).

Altre istituzioni coinvolte a livello locale saranno:

I.T.A. – Istituto di Tecnologie Alimentari: incaricato della formazione sulla trasformazione, sui

sistemi di stoccaggio, dell’introduzione delle nuove tecnologie e di certificazione di qualità.

RIPESS o struttura similare: coinvolto per la realizzazione delle formazioni in tecnica economica,

gestione e marketing.

Associazione Nazionale delle Giuriste senegalesi: coinvolta per la realizzazione della

formazione su politica e organizzazione delle donne.

Coordinazione Nazionale degli Operatori in Alfabetizzazione: Incaricata della formazione, del

coordinamento delle monitrici e del monitoraggio dei corsi di alfabetizzazione.

Obiettivo generaleContribuire al miglioramento delle condizioni di vita e al rafforzamento del ruolo sociale delle

fasce di popolazione più vulnerabili in Senegal.

Obiettivo specifi coMigliorare le condizioni economiche e sociali di 820 donne trasformatrici di prodotti ittici in 10 siti

di trasformazione del pesce della Regione di Fatick e rafforzare il ruolo decisionale di 108 donne

a livello nazionale e locale della FENAGIE pesca.

BENEFICIARILe beneficiarie dirette del progetto sono 928 donne.

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Problemi da risolvere

Problemi legati all’attività economica Siti di trasformazione, conservazione e vendita non ben attrezzati

Attrezzature insufficienti e spesso inadeguate

Scarsità dei mezzi di trasporto per il rifornimento e la distribuzione del prodotto

Scarsa competitività

Insufficienti capacità professionali

Insufficienti capacità politiche e organizzative

Difficile accesso delle donne alle risorse ittiche e ai finanziamenti

Problemi di carattere sociale• Accesso limitato alla sanità

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QUANDO LA MUSICA CAMBIA LA VITA

di Paola Boncompagni

Paola Boncompagni, Esperta in Comunicazione inviata dalla DGCS, è recentemente tornata da Città

del Guatemala, dove ha seguito le riprese di “Cuento musical”, il docu-film del regista Stefano Scialotti

su “Munijoven”, un interessante e innovativo progetto della Cooperazione Italiana. Bambini e musica

sono i protagonisti dell’iniziativa, che la nostra inviata ci racconta così.

Sono appena finite a Città del Guatemala le riprese del docu-

film “Cuento Musical”, del regista romano Stefano Scialotti,

che ha voluto raccontare le storie di povertà e riscatto dei

bambini guatemaltechi attraverso il miracolo della musica. In

questo Paese, dove il 75% della popolazione vive in povertà

estrema, sorge la più popolosa capitale del Centro America,

nella quale si registrano tra i più alti tassi di criminalità di

tutta l’America Latina. La maggior parte dei bambini e degli

adolescenti vive in condizioni di estrema vulnerabilità e ad

alto rischio di esclusione sociale, spesso inghiottiti dalle

Maras, violentissime gang giovanili connesse al narcotraffico.

Armati e drogati, i ragazzi dei barrios della capitale, pronti a uccidere barbaramente per un telefonino,

sono responsabili della maggior parte dei venti omicidi commessi quotidianamente nella Ciudad.Specializzato in format e documentari i cui protagonisti sono spesso bambini, Stefano Scialotti ha girato

per tre settimane nelle strade della capitale e nell’antico Edifi cio de Correos, dove hanno sede la scuola

di musica della Municipalidad (MUNI) e le attività del programma “Munijoven”, ideato e finanziato dalla

Cooperazione Italiana. Il regista ha realizzato molte delle scene del film in questo magnifico palazzo

coloniale del centro, restaurato dalla MUNI, che ogni giorno accoglie centinaia di bambini e adolescenti

impegnati nello studio di uno strumento musicale. Scialotti Spiega: «È qui che abbiamo selezionato i cinque protagonisti di “Cuento musical”; fanno parte dei benefi ciari di questo entusiasmante programma della Cooperazione Italiana, grazie al quale i bambini passano a scuola lunghe ore a studiare musica anziché vivere in strada, dove cadrebbero vittime della droga e della criminalità». Il regista ha seguito i

cinque giovani protagonisti nelle loro case dei quartieri degradati, filmato molti dei concerti organizzati dal

programma in città e messo a punto una “invasione musicale” nel palazzo della MUNI, più precisamente

nell’ufficio del potente sindaco Alvaro Arzù, già Presidente del Guatemala dal 1996 al 2000. «Il sindaco è stato accogliente e spiritoso - continua l’autore - la Municipalità tiene moltissimo al progetto, fi ore all’occhiello di questa amministrazione che rappresenta un’oasi di creatività coinvolgendo bambini, ragazzi, famiglie e istituzioni».

MUNIJOVEN

Attivo da oltre un anno, il programma “Munijoven” ha come obiettivo principale quello di supportare la

Municipalidad della capitale nello sviluppo di una politica pubblica locale a favore dei giovani, tematica

prioritaria per il governo guatemalteco. La Cooperazione Italiana ha formulato un articolato programma,

© Paola Boncompagni

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che implementa in collaborazione con UNDP (United Nations Development Programme), di cui la

scuola di musica è un’importante componente. «Cerchiamo di rafforzare la MUNI e migliorare le sue competenze» dice Simona Torretta, coordinatrice del programma. Dal 2006 il municipio ha coinvolto

nella scuola di musica oltre 2.500 tra bambini e ragazzi, potenziali spacciatori di crack e cocaina, vittime

della prostituzione e del lavoro minorile, oggi diventati validi strumentisti amanti di Verdi, Mozart e

Vivaldi.

«Attraverso Munijoven - continua Torretta - rafforziamo le capacità della scuola di musica. Oltre l’orchestra giovanile abbiamo creato quella infantile, quella pre-infantile, l’orchestra sinfonica e la nuova Marching Band». Inoltre sono state create

alcune scuole comunitarie di quartiere, o Nuclei, nati insieme

alle rispettive orchestre nelle Zone 5, 7, 18 e 21, quartieri ad

altissimo tasso di criminalità. Grazie all’iniziativa, si acquistano

decine di strumenti musicali e vengono selezionati e retribuiti

insegnanti e direttori d’orchestra di grande valore. Attraverso

le vivaci attività dell’Istituto Italiano di Cultura diretto da Erica

Berra, sono stati ingaggiati alcuni strumentisti italiani di fama

mondiale che hanno suonato con le orchestre e condotto corsi di formazione.

Nei quartieri della città, la scuola organizza numerosi concerti di orchestre e cori, sempre accolti da

un grande pubblico entusiasta in piazze, teatri e scuole. “Munijoven” è ormai noto nella capitale e le

famiglie si mettono in coda per portare i figli alle audizioni di selezione. L’appoggio dei nuclei famigliari

è di grande importanza: madri, padri, nonni e zii partecipano al 100% accompagnando i bambini al

Correos, aspettando la fine delle lezioni e riaccompagnandoli

a casa. Chiedo a Simona Torretta, già attiva come cooperante

in molti Paesi di culture diverse, perché abbia deciso di

vivere in Guatemala: «Ho scelto di lavorare qui, nonostante le diffi coltà di questa città, perché in questo Paese esistono istituzioni molto forti, con una notevole presenza femminile e una grande competenza. Con la MUNI c’è una forte intesa che rende il lavoro dinamico e creativo; si sono verifi cate ottime sinergie e, tra l’altro, sono molti i giovani che lavorano per questa istituzione. “Munijoven” è un programma vivacissimo e sta ottenendo ottimi risultati. Lavorare qui è entusiasmante».

L’EDIFICIO DE CORREOS

L’Edifi cio de Correos, che ospita attualmente sia l’ufficio centrale

delle Poste che la scuola di musica del programma, è animatissimo.

Centinaia di bambini e adolescenti approfittano di ogni angolo

libero per provare gli strumenti prima delle lezioni individuali, delle

prove d’orchestra o degli esami. Il grande palazzo risuona di note;

nel pianerottolo del terzo piano la Marching Band, 60 elementi, sta

provando in attesa del direttore, con note rimbombanti e luccichii

di ottoni. Al secondo piano alcuni bambini indigeni provano i loro

violoncelli, altri aggiustano le ance di clarinetti e oboi, alcune

© Paola Boncompagni

© Paola Boncompagni

© Paola Boncompagni

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bambine suonano dei corni. Il grande terrazzo dell’ultimo piano accoglie decine di giovani strumentisti

che si esercitano davanti ai leggii, all’aria aperta. Il Correos è un luogo autenticamente vissuto e affollato:

le lezioni cominciano alle 14.30 e proseguono almeno fino alle 18.30: spesso si prova fino alle 20.30,

in vista dei tanti concerti programmati. Oltre che dagli studenti, il palazzo è popolato da madri in attesa,

tante delle quali hanno con sé bambini più piccoli; alcune allattano mentre altre lavorano a maglia, come

in una sorta di seconda casa. Sedute sulle panche del grande atrio al secondo piano, consumano pasti

cucinati a casa, aspettando che i figli finiscano la lezione di musica per riportarli a casa, poiché lasciarli

tornare da soli sarebbe troppo rischioso. Pur di tenerli lontani dalla strada, alcune famiglie mandano a

scuola anche tre figli, con madri, zii e nonni impegnati a tempo pieno per tutta la settimana per portarli

a scuola e a esibirsi, nei vari quartieri della grande città.

Nel vecchio palazzo del Correos la scuola ha molti spazi e ampie aule per corsi individuali e di gruppo,

compresi una bottega di liuteria e un teatrino, i cui locali sono stati restaurati con i fondi di Enel Cuore Onlus, partner del programma “Munijoven”.

UN’OPERAZIONE DI COMUNICAZIONE

Oltre alla tenace volontà del regista Stefano Scialotti,

la realizzazione di “Cuento musical” è stata promossa

dall’Ufficio IX – Valutazione e Visibilità della Cooperazione

Italiana. Il Capo Ufficio Giovanni Brignone spiega così le

motivazioni per un’operazione di comunicazione di questo

genere: «Innanzitutto è importante promuovere una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica sui temi dello Sviluppo e della Solidarietà internazionale. Inoltre la Cooperazione Italiana considera la comunicazione stessa uno strumento di sviluppo, che come tale può concorrere alla riuscita di un programma come “Munijoven”, favorendo la partecipazione e il coinvolgimento dei giovani nelle attività progettuali, fi nalizzate a rafforzare la risposta di istituzioni e società civile a problematiche quali l’esclusione sociale e l’emarginazione delle fasce giovanili. Il documentario, che illustra le attività di sostegno al Sistema delle Orchestre Giovanili del Guatemala all’interno di un più ampio programma di cooperazione a favore dei giovani, intende dare visibilità all’iniziativa, non solo all’interno dello stesso Paese centroamericano, ma anche in Italia».

Annuisce Stefano Scialotti, rimasto positivamente colpito dall’efficienza dell’intervento della Cooperazione

Italiana, dopo aver trascorso intense giornate a girare nella scuola, nelle case dei giovani protagonisti

del docu-film e negli uffici della Municipalidad: «Le energie positive che circolano nella scuola di musica e tra i ragazzi sono veramente un esempio da esportare; a livello di comunicazione mi pare molto interessante pensare che il progetto possa creare un circolo virtuoso che coinvolga positivamente anche l’Italia».

NEI BARRIOS

Le luci del grande Edifi cio de Correos iniziano a spegnersi; dal primo piano fino alla terrazza in alto,

bambini e ragazzi richiudono i propri strumenti negli astucci. La mattina li ha visti impegnati a scuola,

© Paola Boncompagni

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mentre il pomeriggio hanno studiato e suonato per almeno quattro ore, chi in orchestra, chi in piccoli

ensembles, chi in lezioni individuali. È già buio fuori; nonostante l’aria stanca dei ragazzi, l’atmosfera

del Correos è satura di energia e tutto il palazzo sembra ancora risuonare di note. I bambini vanno via

carichi, scherzando con gli amici e portando i loro strumenti a tracolla, oggetti preziosi spesso ambiti dai

ladri di strada. Scortati dalle madri, la maggior parte di loro impiegherà almeno un’ora per raggiungere

con diversi mezzi la propria casa nei barrios, dove, sempre più spesso, da case e baracche risuonano

le note di Puccini, Bach e Mahler, preludio di un piccolo miracolo musicale.

“El Sistema”, il Venezuela e il maestro José Antonio Abreu

La scuola di musica del programma “Munijoven” ha tratto ispirazione

da “El Sistema”, l’ormai noto e acclamato programma ideato in

Venezuela nel 1975 dal maestro José Antonio Abreu, economista

e musicista venezuelano di origini italiane. Con la sua Fundación Musical Simón Bolivar Abreu ha creato nel corso degli ultimi 37

anni 102 orchestre giovanili, 55 orchestre infantili, decine di cori e

270 centri di musica in tutto il territorio nazionale venezuelano,

formando 380.000 giovani musicisti, in un Paese che registra i più

elevati tassi di criminalità al mondo. 2 milioni i ragazzi diplomati dal

1975 a oggi: non tutti sono diventati grandi musicisti o quotati direttori

di orchestra come il maestro Gustavo Dudamel (oggi il più famoso

tra gli allievi di Abreu), ma hanno arricchito le loro vite con dignità e

cultura musicale. L’incessante impegno del maestro Abreu, oggi 73

anni, ha dimostrato che attraverso la musica è possibile realizzare

una profonda trasformazione sociale.

Sin dalla sua fondazione, “El Sistema” è stato finanziato al 90% dal

Governo venezuelano, passando per almeno dieci amministrazioni

politiche. Il maestro Abreu, noto anche come il visionario, ha

dedicato al progetto e alla musica tutta la sua vita: è un rinomato

direttore d’orchestra, pianista e clavicembalista, ottimo insegnante e

formatore che negli ultimi decenni è stato insignito di numerosi premi

e riconoscimenti dai più prestigiosi organismi e accademie di tutto il

mondo. Considerato dai suoi allievi come un padre, è ammirato dai

più grandi direttori d’orchestra, tra cui Claudio Abbado, uno dei suoi

più convinti sostenitori.

“Il Sistema” in Italia e la III Giornata Nazionale di raccolta degli strumenti musicali

È grazie al maestro Claudio Abbado che nel 2010 è nato il “Sistema Italia”, Comitato Sistema delle Orchestre e dei Cori Giovanili e Infantili in Italia, promosso da Federculture con la Scuola di Musica di Fiesole e presieduto da Roberto Grossi, con José Antonio Abreu e Claudio Abbado presidenti onorari.

Dinko Fabris, italiano di fama internazionale e consigliere nazionale del Sistema, è coinvolto in prima persona nel Sistema

Italia: «Esistono già più di 30 Nuclei (scuole di musica e rispettive orchestre) dislocati in tutte le regioni e coordinati su base locale da un referente istituzionale e uno didattico. Abbiamo 6.500 bambini e ragazzi, ma contiamo di coinvolgerne circa 8.000 entro il 2013; inoltre sono operativi 3 cori di ragazzi diversamente abili».

Il 21 ottobre a Roma, all’Auditorium del Parco della Musica avrà luogo la III Giornata Nazionale di raccolta di strumenti

musicali a favore dei giovani musicisti dei Nuclei italiani provenienti spesso da fasce svantaggiate della popolazione che

non potrebbero mai permettersi di acquistare strumenti spesso molto costosi. Come spiega Dinko Fabris, «Due serate alla Scala e al Teatro Petruzzelli di Bari hanno già permesso di raccogliere circa 900 strumenti. A Roma, in una festosa maratona musicale della durata di un’intera giornata, si alterneranno le orchestre dei nostri ragazzi di tutta Italia insieme ad artisti di ogni genere musicale, dal classico al pop, al jazz e alle musiche del mondo».

Tra gli eventi della serata del 21 ottobre all’Auditorim di Roma è in programma il lancio di “Cuento Musical”, il docu-film del

regista Stefano Scialotti sul programma della Cooperazione Italiana “Muni-Joven”.

La prima mondiale è prevista il prossimo 20 novembre, a Città del Guatemala.

© Paola Boncompagni

© Paola Boncompagni

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UNA SCUOLA PER TUTTIdi Ivana Tamai

“Istruisci un giovane e farai di lui un

uomo saggio; istruisci un bambino e farai

crescere una nazione” (proverbio africano)

L’8 settembre scorso ricorreva la Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione.

Per molti Paesi occidentali settembre è il

mese in cui le scuole riaprono i battenti, ma

per milioni di bambini del Sud del mondo le

porte delle scuole restano chiuse.

Secondo i dati citati dal Segretario

Generale della Nazioni Unite in occasione

della celebrazione, sarebbero 122 milioni

i bambini in età scolare che non hanno

la possibilità di frequentare la scuola (né

primaria, né secondaria), mentre si contano circa 775 milioni di giovani e adulti, in tutto il mondo, che

non sanno ancora leggere e scrivere.

Ancora una volta le donne sono il fanalino di coda poiché costituiscono i due terzi della popolazione

mondiale non alfabetizzata.

L’educazione è richiamata negli Obiettivi del Millennio attraverso la scolarizzazione primaria universale

(Ob. n. 2) e la promozione della parità di accesso all’istruzione (Ob. n.3). Lo scopo è quello di favorire

l’accesso universale all’istruzione e alla parità di genere, sia a livello di scuola primaria che secondaria,

entro il 2015. Ma per raggiungere questo traguardo e per costruire le “società della conoscenza”

inclusive, la strada è ancora lunga.

Eppure, secondo dati UN, negli ultimi 10 anni sono

stati alfabetizzati circa 90 milioni di giovani e adulti.

Il decennale impegno delle Nazioni Unite per

l’Alfabetizzazione (che si compie quest’anno) ha

prodotto significativi passi avanti. In tutto il mondo,

quando bambini, giovani e adulti hanno imparato

a leggere e scrivere, la loro vita è profondamente

cambiata.

Inoltre accanto alla dimensione quantitativa

dell’accesso all’educazione, va affrontata anche

la dimensione qualitativa del processo educativo,

forse più complessa, a cui guarda con particolare

attenzione l’azione della DGCS per accrescere

l’incisività dei processi educativi.

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Il dibattito è quanto mai attuale anche in seguito

al recente lancio, il 26 settembre a New York, di

“Education First”, nuova iniziativa globale con

cui il Segretario Generale delle Nazioni Unite

intende affermare il ruolo dell’educazione come

perno delle politiche di sviluppo. Questo settore

sarà dunque tra le priorità del suo Piano d’Azione

per i prossimi cinque anni: uno stimolo in più per la

Cooperazione Italiana, che da sempre sostiene il

ruolo fondamentale della scuola come promotrice

di coesione e sviluppo sociale ed economico e

che ha sperimentato un approccio pedagogico

innovativo nel campo dell’educazione inclusiva.

Quale sarà allora lo scenario futuro in cui si

muoverà la Cooperazione Italiana?

Lo abbiamo chiesto a Teresa Savanella, Esperta DGCS nel settore Educazione.

© Simona Torretta

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LA DGCS E L’EDUCAZIONEa cura di Teresa Savanella

PREMESSA: Interventi e risultati della cooperazione internazionale

A partire dal 2000, le strategie e le priorità della

cooperazione internazionale allo sviluppo nel

settore dell’istruzione hanno subito una profonda

trasformazione. I sei obiettivi Education for All, gli Obiettivi del Millennio e la Dichiarazione di

Parigi sull’efficacia degli aiuti hanno comportato

una mobilitazione della comunità internazionale,

fondata su principi condivisi. È così che dal

modello dell’aiuto bilaterale articolato per progetti

autonomi si è passati all’elaborazione di quadri di

riferimento complessivi a supporto delle politiche

settoriali dei governi nazionali. Di conseguenza,

anche gli strumenti finanziari sono stati

diversificati, con la costituzione di fondi comuni

multi donatori e l’avvio di programmi di aiuto al bilancio dello Stato nei paesi partner.

Dal punto di vista operativo-finanziario, la Global Partnership for Education (già Education for All Fast Track Initiative) costituisce la principale iniziativa globale mirata direttamente agli Obiettivi del Millennio

2 e 3. La GPE, oltre ad avvalersi di un fondo globale per indirizzare le risorse verso i Paesi con

maggiori necessità e maggiore volontà politica di riforma, si pone come un catalizzatore di risorse anche

bilaterali al livello dei singoli Paesi. Il quadro di riferimento proposto dal GPE è infatti un meccanismo

di collaborazione tra Paese partner e donatori ai quali il singolo donatore può aderire sia globalmente

(attraverso il Fondo GPE) sia bilateralmente.

l L’apporto di ogni singolo donatore è valorizzato dalla partecipazione

ai meccanismi di coordinamento con la comunità allargata di attori

istituzionali, bilaterali, multilaterali, non governativi e del settore privato

operanti in un dato Paese, i cosiddetti Local Education Groups.

Accanto a questi soggetti, un ruolo importante è svolto da organismi

regionali specializzati nelle attività di ricerca, riflessione e valutazione

della qualità, che operano in stretto raccordo con le agenzia

specializzate delle Nazioni Unite.

L’ esperienza della Cooperazione Italiana

La Cooperazione Italiana ha confermato nelle Linee Guida triennali

2012-2014 l’impegno programmatico nel settore dell’educazione,

in linea con gli indirizzi comunitari, con gli Obiettivi di Sviluppo del

Millennio delle Nazioni Unite e con gli orientamenti dell’OCSE/DAC. La

Cooperazione Italiana considera l’istruzione e la formazione elementi

essenziali delle politiche di sviluppo.

© Simona Torretta

© Simona Torretta

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L’investimento in educazione e formazione

rappresenta un importante contributo alla

riduzione della povertà e dell’esclusione

sociale dei gruppi svantaggiati, e le

componenti di formazione inserite nei

programmi settoriali possono rafforzarne

la sostenibilità.

Un ulteriore rilevante aspetto che

caratterizza e indirizza le politiche della

Cooperazione Italiana nello specifico

ambito dell’istruzione è quello connesso

al miglioramento e al rafforzamento

di sistemi nazionali. Le iniziative

della Cooperazione Italiana tendono

costantemente ad appoggiare le istanze governative responsabili delle politiche educative nella

realizzazione di Piani d’Azione nazionali, in una logica di piena ownership delle controparti nella gestione

delle iniziative

Nel settore dell’educazione di base, l’esperienza della cooperazione italiana si è concentrata in

particolare sul sostegno agli organismi multilaterali, in particolare UNESCO, UNICEF e GPE, e sul

co-finanziamento di progetti promossi dalle ONG. Il canale multilaterale ha rappresentato lo strumento

principale d’intervento in situazioni di conflitto e post conflitto, e di sostegno alle istituzioni nazionali

preposte all’istruzione pubblica (institutional capacity development). I progetti promossi dalle ONG hanno dato vita a esperienze pilota, in contesti territoriali specifici, nel

settore dell’educazione non formale e informale, spesso collegate all’avvio di micro attività generatrici

di reddito per gruppi vulnerabili.

L’impegno diretto sul canale bilaterale, avviato più di recente, è stato impostato ispirandosi ai principi

dell’efficacia dell’aiuto e della divisione del lavoro in ambito europeo.

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Il modello proposto

In accordo con gli impegni internazionali assunti, sia da un punto di vista bilaterale che multilaterale, l’Italia persegue i

seguenti obiettivi:

1) potenziare le istituzioni pubbliche responsabili delle politiche educative nei Paesi partner, attraverso il rafforzamento

delle capacità nazionali di pianificazione, management, ricerca, monitoraggio e valutazione;

2) migliorare la qualità e la rilevanza dell’educazione, sostenendo quelle azioni che influenzano la qualità dell’apprendimento,

permettendo di ridurre l’inefficienza scolastica: revisione dei programmi di studio; elaborazione e distribuzione dei materiali

didattici, formazione dei docenti.

3) favorire l’accesso all’istruzione delle donne e delle bambine, operando per rimuovere gli ostacoli di natura economica,

sociale e culturale;

4) eliminare le disparità di accesso all’istruzione di cui soffrono i poveri; le popolazioni rurali; i bambini di strada e i bambini

lavoratori; i nomadi e i migranti; le popolazioni indigene; le minoranze etniche, razziali e linguistiche; i rifugiati e gli sfollati

a causa di guerre e disastri naturali; i diversamente abili;

5) porre fine a ogni forma di emarginazione ed esclusione sociale, adottando i principi della cosiddetta Pedagogia Inclusiva,

volta a sviluppare in pieno il potenziale di ciascun individuo.

La qualità dell’insegnamento costituisce, in particolare, un rilevante aspetto dell’azione che la Cooperazione Italiana si

prefigge per assicurare una maggiore incisività alle metodologie di insegnamento e ai meccanismi dell’apprendimento. La

qualità dipende in grado elevato dall’ effettiva rispondenza dell’offerta formativa ai reali bisogni degli utenti, dalla efficacia

e attualità degli strumenti utilizzati – comprese le tecnologie informatiche più innovative, come la formazione a distanza.

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La Conferenza Mondiale Education for All (Jomtien, 1990), promossa da UNDP, UNESCO, UNFPA, UNICEF e Banca

Mondiale, e il Forum Mondiale sull’Educazione (Dakar, 2000) hanno promosso e consolidato una visione ampia e inclusiva

del concetto di educazione di base. Questa visione si fonda sul diritto di ogni persona – bambino, giovane, adulto – ad

accedere ad opportunità formative in grado di soddisfare i bisogni formativi di base.

Secondo la definizione adottata alla Conferenza Mondiale Education for All:

«L’istruzione di base si prefigge di soddisfare i bisogni che riguardano tanto gli strumenti di apprendimento essenziali

(lettura, scrittura, espressione orale, calcolo, risoluzione di problemi) quanto i contenuti educativi (conoscenze, attitudini,

valori, atteggiamenti) di cui l’essere umano necessita per sviluppare tutte le sue facoltà, per vivere e lavorare nella dignità,

per partecipare pienamente allo sviluppo, per migliorare la qualità della sua esistenza, per prendere decisioni avvedute e

continuare ad apprendere».

In accordo con tale definizione l’educazione di base comprende: l’educazione e la cura della prima infanzia; l’istruzione

primaria formale e non formale; i programmi di alfabetizzazione per giovani e adulti; i programmi di formazione in materia

di salute, nutrizione, popolazione, tecniche agricole, ambiente e in generale i percorsi di acquisizione delle competenze

e delle abilità necessarie all’inserimento nella società e nel mondo del lavoro; i programmi di informazione e formazione

promossi dai mezzi di comunicazione di massa.

Dal “Dakar Framework for Action”, aprile 2000

Il documento “Dakar Framework for Action” ha articolato le finalità dell’educazione di base in sei obiettivi:

(i) Aumentare la cura e l’istruzione infantile;

(ii) Assicurare che tutti i bambini e le bambine in particolare abbiano accesso a un’istruzione obbligatoria, completa e

di buona qualità;

(iii) Assicurare un accesso equo alla formazione e all’istruzione lungo tutto l’arco della vita;

(iv) Migliorare del 50% il tasso di alfabetizzazione degli adulti;

Questi obiettivi sono stati parzialmente richiamati negli Obiettivi del Millennio 2° e 3°. Tuttavia, mentre l’Agenda del

Millennio pone l’accento soprattutto sulla dimensione quantitativa dell’accesso e del completamento del ciclo primario

e della riduzione delle disparità di genere, gli obiettivi EFA concentrano l’attenzione sul diritto all’istruzione gratuita e di

qualità. La riflessione promossa nelle sedi internazionali ha consentito di riaccendere l’attenzione sul settore dell’istruzione

pubblica, penalizzato negli anni novanta dalle politiche di aggiustamento strutturale, al pari degli altri settori sociali con una

forte incidenza sulla spesa pubblica. Al tempo stesso, studi promossi dagli stessi organismi finanziari internazionali hanno

identificato una correlazione positiva tra crescita economica nei Paesi emergenti ed investimenti pubblici in istruzione.

Su queste basi nel 2002 è stata impostata l’iniziativa “Education for All Fast Track Initiative”, evoluta nel 2011 nella “Global

Parternship for Education”, un partenariato tra organismi multilaterali, donatori bilaterali e Paesi partner teso a promuovere

l’adozione di programmi di riforma dell’istruzione pubblica come componenti dei piani nazionali di riduzione della povertà

(Poverty Reduction Strategy Papers). L’aiuto finanziario dei donatori è correlato all’incremento della percentuale del bilancio

nazionale destinato all’istruzione e al riequilibrio delle percentuali, all’interno del bilancio settoriale, in favore dell’istruzione

di base.

Tuttavia, nonostante la mobilitazione della comunità internazionale il documento EFA Global Monitoring Report 2011

attira l’attenzione sul probabile mancato raggiungimento degli obiettivi alla scadenza del 2015, in assenza di politiche più

efficaci da parte dei governi che tengano conto non solo della dimensione quantitativa, vale a dire del numero degli iscritti

alla scuola primaria, ma anche delle dimensioni della qualità e dell’equità. Restano, infatti, alti i tassi di abbandono, la

malnutrizione sofferta da un bambino su tre nei primi cinque anni di vita influenza negativamente il futuro sviluppo cognitivo

e la combinazione di fattori quali il reddito basso della famiglia e la residenza in aree rurali accresce la disparità di genere

nell’accesso e nel completamento del percorso scolastico.

Sotto un profilo quantitativo, a fronte di progressi nei tassi di iscrizione e di frequenza scolastica nel ciclo elementare,

sussistono tuttavia notevoli disparità regionali nelle opportunità di accesso all’istruzione secondaria e tecnico-professionale,

che svolge un ruolo fondamentale per rispondere ai bisogni delle popolazioni giovani. Inoltre, il numero di adulti analfabeti

supera tuttora i 700 milioni di persone.

Sotto il profilo qualitativo, il basso numero dei docenti, legato anche alle limitazioni nella spesa pubblica, e la loro scarsa

qualificazione, che spesso porta all’uso di curricoli e modelli pedagogici non rilevanti e quindi poco motivanti per gli allievi,

sono tra i maggiori punti di debolezza.

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Inoltre, la bassa qualità delle competenze gestionali lungo la catena si riflette spesso nella scarsità di infrastrutture e

materiali didattici adeguati, rendendo per le famiglie poco motivati gli elevati costi dell’istruzione. Infatti in molti paesi

la frequenza continua a richiedere un impegno economico spesso insostenibile, creando inoltre uno squilibrio nella

distribuzione degli accessi tra la scuola primaria e i livelli secondario e terziario dell’istruzione pubblica.

L’effetto cumulato dei disagi provoca una selezione sociale progressiva, con l’innalzarsi del ciclo scolastico e favorisce le

discriminazioni di censo e di genere.

Un esempio è la diminuzione della presenza femminile, progressiva al livello di istruzione, causata dall‘insufficienza di

docenti di sesso femminile, da curricoli e testi centrati su comportamenti maschili, dall’assenza di servizi sanitari adeguati

nelle scuole, dalla distanza delle stesse scuole dalle abitazioni, specie a partire dai livelli della scuola secondaria e in

contesti culturali locali che spingono la donna verso ruoli domestici.

Una problematica specifica è rappresentata dall’impatto dei conflitti sull’istruzione: è proprio nei Paesi poveri interessati da

conflitti che risiede, infatti, il 42% dei bambini in età scolare che non frequentano la scuola. Ma soprattutto, in violazione

del diritto internazionale, le scuole e gli scolari sono sempre di più bersaglio delle fazioni in lotta. Ne consegue la necessità

di attivare con urgenza meccanismi di protezione delle scuole, di offerta formativa a beneficio delle comunità di rifugiati e

sfollati, di ricostruzione dei sistemi scolastici nelle aree di post conflitto. Infine, occorre prevenire l’uso distorto dei sistemi

scolastici pubblici per veicolare messaggi identitari di prevaricazione e sopraffazione e, al contrario, agire attraverso i

curricoli per promuovere la tolleranza, il rispetto reciproco e la comprensione delle diversità. In questo senso, la pertinenza

e la rilevanza dei curricoli, la qualità dei materiali didattici e la formazione culturale e pedagogica degli insegnanti sono gli

aspetti sui quali far convergere politiche mirate e suscettibili di risultati sostenibili e di lungo termine.

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“Education First”Nuova Iniziativa Globale del Segretario Generale per l’Educazione

Evento di lancio, 26 settembre 2012, New York

Con l’iniziativa “Education First”, il Segretario Generale delle Nazioni Unite intende affermare il ruolo dell’educazione come

perno delle politiche di sviluppo, identificando il settore tra le priorità del suo Piano d’Azione per i prossimi cinque anni.

L’iniziativa si sviluppa lungo tre filoni prioritari: scolarizzazione universale; innalzamento qualitativo dei sistemi scolastici;

diffusione dei valori della cittadinanza globale tramite i sistemi educativi.

ContestoIl settore educazione ha acquisito a partire dal 2000 una crescente rilevanza nell’ambito delle politiche di sviluppo. In

particolare, tra gli Obiettivi del Millennio se ne evidenziano due collegati al settore: il numero 2 (scolarizzazione primaria

universale) e il numero 3 (promuovere la parità di accesso all’istruzione).

Pur rappresentando una delimitazione quasi forzata delle più ampia finalità di “Educazione per Tutti” (Education for All-EFA),

quadro di riferimento definito dall’UNESCO con il concorso di UNICEF, Banca Mondiale, UNFPA e UNDP, il collegamento

tra educazione e Agenda del Millennio è stato il prerequisito per un rinnovato impegno nel settore. Questo impegno

della comunità internazionale si è espresso nell’istituzione della “Global Partnership for Education”, la principale iniziativa

a carattere globale per mobilitare risorse aggiuntive per l’istruzione e applicare, al livello Paese, i principi dell’efficacia

dell’aiuto.

L’evento di lancioIl lancio formale, preceduto da un soft launch durante la recente visita del SG a Timor Leste, si è svolto il 26 settembre a

New York.

Obiettivi dell’iniziativaL’iniziativa si propone di elevare il profilo della tematica “educazione” sul piano globale, dando vita ad un vero e proprio

movimento impegnato a garantire un’istruzione di qualità, rilevante e inclusiva per tutti, con ricadute positiva sull’intera

agenda dello sviluppo.

È importante sottolineare che, pur seguendo apparentemente la falsariga delle precedenti iniziative nel settore, “Education

First“ non si limita a riproporre finalità e strategie già perseguite tramite gli obiettivi EFA e gli Obiettivi del Millennio 2 e 3.

Al contrario, “Education First” è l’espressione, seppur allo stato embrionale, di una visione ampia e complessa del ruolo e

soprattutto del potenziale dell’educazione nella nostra epoca.

Se finora, infatti, il settore è stato inquadrato all’interno di politiche sociali, per il livello primario, e delle politiche per

l’occupazione, per il livello secondario e terziario, la visione che sembra emergere dai documenti finora circolati è quella

dell’educazione come motore del cambiamento, risposta alla complessità, al livello individuale e collettivo, e dunque perno

dei processi di sviluppo.

Il titolo stesso dell’iniziativa, “Education First”, sembra indicare un percorso che dovrà necessariamente influenzare

l’imminente dibattito sul futuro dell’Agenda del Millennio.

Per saperne di più:

http://www.unesco.org/new/en/education/resources/education-first/

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VULNERABILITÀ E COMUNITÀ, LE DUE PAROLE CHIAVE DE EL SALVADOR, PAESE RETTO DALLE DONNE

di Katia Ippaso

Giorgio Agamben la chiama la vita nuda,

intendendo per vita nuda la vita biologica, una

vita esposta nel suo grado zero d’esistenza.

«La vita è nuda quando si trova nelle mani di un potere pervasivo e anonimo e rispetto al quale non ha capacità di resistenza, ma di pura sopravvivenza». Mi venivano in mente

queste riflessioni di uno dei nostri più grandi

filosofi, arrivando in El Salvador, Paese che

non conoscevo e che mi è venuto incontro

subito, nel viaggio in macchina dall’aeroporto

all’hotel, con una prima inalienabile immagine:

decine e decine di sagome incerte che

emergono dal buio. Padri, nonne, ragazzi e

molti bambini, in fila, nel mezzo del nulla, ai

bordi di strade larghe e pericolose, corpi che

non portano altro se non se stessi. Spesso attraversano senza preavviso. Ogni tanto ci restano secchi.

Sono i camminatori del nulla. Dove vanno? Chi li aspetta?

Come i salvadoregni, anche io mi sono messa a camminare. E camminando ho cominciato a distinguere,

da quel corpo collettivo che avanzava nel nulla carico di nulla, i primi piani di uomini e donne, le donne

soprattutto, le loro voci, il modo con cui raccontavano, con dolcezza, la loro vita spietata.

Il volto antico di Esperanza Ramirez Viuda De Rivera è lo scrigno dentro cui sono sepolti fin troppi segreti.

Esperanza vive a Sonsonate, nella parte più “fragile” della città. Grazie all’intervento della Cooperazione

che con Africa ’70 sta rendendo accessibile la vita di centinaia di persone che dopo l’alluvione erano

state isolate, ma c’è ancora molto da fare.

A 71 anni, questa donna forte lava i panni del figlio disabile e dei nipoti con l’acqua del fiume, inquinata

al novanta per cento. Ma non si lamenta. «Devo occuparmi del mio ragazzo, non posso andare molto lontano da qui, anche se mi offrissero una casa».

Sonia Esperanza Aguilar e sua sorella Blanca vivono ai confini di Sonsonate. Senza uomini. È normale

che i mariti vadano via. Sonia ha soli 50 anni e 13 figli. Vive in una casa sul fiume senza servizi igienici

e senza acqua. Anche lei ha un ruolo nella comunità: fa da tramite con le istituzioni, si relaziona col

sindaco. Io cerco di trovare una nota di disperazione nel suo volto.

In un Paese dove tutto è stato azzerato, dove le tracce di una ancestrale cultura sono state inquinate

come l’acqua del fiume che scorre uguale a se stesso, le donne tengono in piedi El Salvador. Sono

orgogliose, e sanno lavorare, se solo qualcuno offre loro una seppur minima possibilità.

«Da quando sono in El Salvador, ho potuto verifi care quanto il nostro intervento qui sia veramente utile -

ci aveva detto nelle prime ore l’Ambasciatore Tosca Barucco - Penso alla salute, all’istruzione (la scuola inclusiva), al bene primario dell’acqua, a tutto ciò che si collega ai piani di emergenza legati ai disastri naturali, e penso anche e soprattutto alla vita delle donne, che è fortemente segnata da una cultura

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machista. In questo senso, sento che il nostro lavoro qui può veramente signifi care quello che dovrebbe signifi care sempre, in termini di solidarietà e di aiuto ai Paesi vulnerabili».

La parola più ripetuta in El Salvador è “vulnerabilità”. Ne discutiamo con Ketty Tedeschi, responsabile

della Cooperazione Italiana in El Salvador: «La prima volta che sono venuta in El Salvador, nel febbraio 2001, ho visto gli effetti del terribile terremoto che aveva messo in ginocchio il Paese. Poi ci sono tornata, con questo nuovo incarico, due anni fa. L’ultima devastante alluvione di ottobre 2011 ha causato danni e perdite per il 4% del PIL del Paese: il doppio del budget che ha a disposizione il Ministero dell’Educazione che si occupa di 5.000 scuole. Stiamo parlando quindi di catastrofi che incidono violentemente non solo sull’attività ordinaria, ma anche sullo sviluppo del Paese. Oltre alla vulnerabilità sociale, quella che determina le terribili disuguaglianze».

C’è una seconda parola chiave che ci fa da

guida in questo nostro breve ma intenso viaggio

in uno dei Paesi più fragili del Centro America.

È la parola comunità. Senza questo cristallino

senso della comunità, probabilmente anche

i progetti di sviluppo non avrebbero avuto lo

stesso emozionante effetto.

Irma Nohemi Menendez de Lemus vive

in una casa precaria nella campagna di

Chalchuapa. Il marito lavora di notte in uno

stabilimento che fabbrica canna da zucchero,

di giorno dorme, lei è sempre sola. Prima che

arrivasse la Cooperazione Italiana a finanziare

l’allargamento dell’ospedale di Chalchuapa e la

creazione di ramificate unità mediche di base

(Ecosf), Irma passava le sue giornate a cucinare per i suoi uomini. Ora ha messo una parte della sua

fragile abitazione a disposizione di medici e infermieri che stanno con pazienza raggiungendo tutte le

famiglie della zona perché la comunità si abitui a pensare che prevenire e guarire è possibile, che non

c’è niente di cui aver paura, che si può vivere, invece di lasciarsi lentamente infettare e morire. «Prima ero molto più sola. Invece è bello vedere tutta questa gente venire a curarsi nella mia casa» dice Irma.

Il progetto sanitario della Cooperazione è realizzato in accordo con il Ministero della Sanità de El

Salvador. Il Ministro è una donna di 88 anni, Maria Isabel Rodriguez. Questa donna minuta ha realizzato

la più avanguardistica delle riforme sanitarie, ispirata da un principio di giustizia sociale. L’abbiamo

incontrata nella sede del suo Ministero, assieme a Ketty Tedeschi e a Tosca Barucco. A un certo punto

la ministra della Sanità ci racconta come tutto è cominciato, tanti anni fa. Prima studentessa donna a

varcare la Facoltà di Medicina de El Salvador, le consigliavano di lasciar perdere: «Non è un mestiere da donne - mi dissero - e per mettermi in diffi coltà all’esame di anatomia mi chiesero di fare un discorso scientifi co su un modello gigante di pene maschile. A quel tempo, le aule erano affollate di studenti che volevano assistere agli esami. Io però non mi scomposi e parlai con competenza scientifi ca di quel preciso organo del corpo, che trattai come qualsiasi altra parte anatomica». Molti anni più tardi, Maria

Isabel Rodriguez sarebbe diventata il primo e ultimo rettore donna (in 171 anni di storia) di quella stessa

Università che era stata teatro della imbarazzante scena a cui “la società degli uomini” l’aveva costretta.

Incontro Maria Isabel l’ultimo giorno del mio viaggio. In macchina verso l’aeroporto, rivedo i camminatori

del nulla. Le loro sagome si confondono stavolta con i volti di Esperanza, Irma, Blanca, le loro voci. E

la vita mi sembra meno nuda.

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LE DONNE LO SANNO. MUJERES TRA ITALIA E EL SALVADOR

di Stefania Borla

Ketty Tedeschi è appena tornata da una lunga missione

in Salvador, una realtà che conosce approfonditamente

da tempo e che l’ha vista protagonista nel ruolo di

Coordinatrice dell’Ufficio della Cooperazione Italiana

presso l’Ambasciata d’Italia a San Salvador.

L’accolgo in ufficio, una stanza al V piano del Ministero,

sede della Redazione; un po’ caotica per l’intervista che

vorrei farle, ma una stanza di sole donne, al lavoro. E

allora iniziamo parlando di noi, perché «in El Salvador la tematica di genere è veramente trasversale e si cerca di valutare qual è l’impatto di ogni iniziativa, cercando di migliorare quelle che sono le possibilità di inclusione delle donne nei diversi progetti».

Come spiega l’Esperta, in passato è stato fatto molto per le donne, in particolare: «il progetto MYDEL – Mujeres Y Desarrollo Económico Local, seconda fase di un’iniziativa terminata nel 2011 e fi nanziata con 3,5 milioni di Euro complessivi distribuiti in sei anni, ha favorito e migliorato la situazione della micro imprenditoria femminile, attraverso il supporto alle agenzie di sviluppo locale che hanno fornito assistenza tecnica e microcredito. Una reale opportunità per queste donne di dare vita a un’infi nità di piccole imprese, anche creative, attività che sono proprio quelle che possono cambiare defi nitivamente la loro vita e quella dei loro fi gli».

Ci soffermiamo a riflettere sul ruolo fondamentale che le donne rivestono soprattutto in questo Paese

e in tutta l’America Centrale: madres solteras con famiglie composte solo da figli, per mantenere i quali

ogni attività, anche informale come vendere cibo all’angolo della strada, è una maniera per riuscire a

sostenere la famiglia. «Loro sono quelle ricche d’inventiva, sono le più presenti. In defi nitiva, sono quelle che mandano avanti tutto», conclude Ketty Tedeschi.

Ed effettivamente una domanda ce la poniamo, da donne, Katia Ippaso per prima nel suo reportage, ma

anche le mie colleghe della Redazione e io, con la stessa Ketty: dove sono gli uomini?

«Gli uomini non ci sono perché sono emigrati negli USA, principalmente a Los Angeles; o a Milano, dove risiede una delle più grandi comunità salvadoregne europea». Dall’ultimo censimento è risultato

che di una popolazione che sfiora i 7 milioni di anime, ben 2 milioni sono emigrate o residenti all’estero.

Così in El Salvador restano famiglie matriarcali, concentrate sull’accudimento dei figli: una differenza

sostanziale, perché, «se un uomo guadagna, normalmente usa buona parte di ciò che ha a disposizione per se stesso; quando una donna lavora è soprattutto per mantenere i propri fi gli e concentrare ogni sforzo nel tentativo di garantire loro una condizione migliore».

Forti queste donne, anche se sole; determinate ma comunque incredibilmente a rischio, a causa della

molta violenza di genere che affligge El Salvador e altri Paesi dell’America Latina. Come spiega la

Tedeschi, «il femminicidio è un accadimento tristemente noto, non solo in Messico. Nei primi 4 mesi di

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quest’anno sono scomparse circa 180 donne, poi uccise; queste morti rappresentano un fenomeno che non è sempre da ricollegare alla criminalità, nonostante la maggior parte degli omicidi in questa zona vada imputato al problema della sicurezza, a causa del narcotraffi co e della microcriminalità locale, conosciuta come “mara”».

A tutela del genere femminile in El Salvador, nella programmazione indicativa per il biennio 2013-

2015, compatibilmente con le effettive disponibilità di fondi, la DGCS intende sostenere un’interessante

iniziativa della Segreteria per l’Inclusione Sociale presso la Presidenza della Repubblica per la protezione

e l’empowerment femminile: «è un esperimento molto interessante che non si era mai visto prima in El Salvador. Si tratta di 7 centri, ciascuno chiamato Ciudad Mujer, ognuno con il compito di fornire accompagnamento psicologico, terapeutico e sanitario espressamente dedicato alle donne; ma non solo, perché l’offerta prevede anche corsi di alfabetizzazione e per la microimpresa, annoverando così una serie di servizi fruibili grazie al collegamento dei centri con 18 Istituzioni del Paese. Per il momento ne esiste uno già funzionante; sta per essere inaugurato il secondo».

È tanta la cooperazione che si fa in El

Salvador, Paese con cui l’Italia ha rinnovato

nel 2007 un accordo quadro che da oltre

25 anni regola ogni attività svolta. «Non c’è nulla di casuale; anche quando si tratta di iniziative realizzate da ONG o attraverso Accordi Multilaterali, l’approccio è in linea con i principi della Dichiarazione di Parigi. I criteri di riferimento dell’effi cacia dell’aiuto in El Salvador inquadrano tutte le cooperazioni», sottolinea Ketty Tedeschi.

Il buon lavoro affrontato e i risultati ottenuti

sono anche frutto del persistente dialogo e

dell’interazione costante che tutti i donatori

presenti sul territorio mettono in atto al fine di

ottimizzare gli sforzi e le risorse disponibili.

Come approfondisce l’Esperta, «il Governo salvadoregno ha un suo vice Ministero per la Cooperazione, ma fondamentali sono anche il coordinamento tra i donatori europei attraverso la locale delegazione dell’Unione Europea, tra i donatori in generale con il Governo e tra le varie leadership settoriali che possono essere di alcuni Ministeri o delle Nazioni Unite. Questi diversi coordinamenti riescono a dare il massimo soprattutto durante i momenti di emergenza causati da crisi ambientali, dovute a terremoti e alluvioni; è in questi momenti che i donatori si dimostrano in grado di coprire ogni zona armonizzando le attività ed evitando di duplicarle».

Parlando di economia delle risorse, chiedo a Ketty Tedeschi quanto hanno influito le riduzioni dei

finanziamenti sulla programmazione delle prossime attività nel Paese: «i tagli esistono, ma per le aree prioritarie come El Salvador tutto continua quasi normalmente. Recentemente il Paese, a differenza del passato, mostra un’apertura verso i crediti d’aiuto e questo fa la differenza. Nella programmazione per il periodo 2013-15 ci sono state richieste dal Governo due importanti iniziative a credito d’aiuto, una modalità fi nanziaria, quest’ultima, che presuppone comunque una previsione di restituzione».

Oggi, non solo per necessità ma anche per apertura, El Salvador ha preso in considerazione opportunità

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di credito offerte a condizioni particolarmente vantaggiose, come sono quelle della Cooperazione Italiana;

è così pensabile affrontare un piano di impegni che prevede iniziative con importanti investimenti alla

base. «La DGCS ha previsto di rispondere positivamente a queste richieste del Governo nel settore

dell’educazione, un’area tematica particolarmente cara alla Cooperazione in El Salvador già dal 2005 e nel settore della prevenzione della violenza giovanile», specifica la Tedeschi.

Soldi ben spesi quelli per El Salvador, come apprendo dalla best practice di cui mi parla ancora Ketty:

«gli esperti che abbiamo sempre messo a disposizione rappresentano veramente una buona pratica, nel senso che altre cooperazioni si sono avvalse del contributo di questi professionisti di altissimo livello per poter formulare i loro progetti. Un esempio è il credito della Banca Mondiale da 60 milioni sui temi dell’educazione che per la sua formulazione si è avvalsa anche della collaborazione dei nostri esperti dell’Università di Bologna». A volte l’assistenza tecnica che la Cooperazione Italiana mette a

disposizione può rappresentare un modello per altri donatori.

«Parleremo del ruolo delle donne e dei progetti a loro dedicati», avevo promesso a Ketty Tedeschi

quando l’ho contattata per approfittare di notizie fresche da El Salvador, grazie alla sua recente missione.

Ma abbiamo sforato e abbiamo chiacchierato, in quanto donne. Oltre ai dati e alle programmazioni

esiste l’avventura personale, «straordinaria, come può esserlo qualsiasi esperienza che si fa sul campo, perché poi la cooperazione è lì che esiste e che succede».

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LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO DELL'UE

AGGIORNAMENTI E SEGNALAZIONIa cura dell’Uffi cio I

Comunicazione sulla protezione sociale

Il 20 dello scorso mese la Commissione Europea ha pubblicato la Comunicazione “La protezione sociale nella cooperazione allo sviluppo europea” (http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.

it/pdgcs/italiano/DGCS/uffici/ufficioI/protezione.sociale.html). Il testo è stato redatto a seguito della

consultazione pubblica lanciata su questo tema dalla Commissione stessa nel dicembre 2011.

Nella Comunicazione è evidenziato il ruolo determinante dei meccanismi di protezione sociale nel

promuovere uno sviluppo sostenibile e nel contribuire al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo

del Millennio in tema di lotta alla povertà, accesso all’istruzione, potenziamento del ruolo della donna,

miglioramento delle condizioni di salute. A tal fine, si auspica che tali politiche vengano sostenute

dall’Unione Europea e poste al centro delle strategie di sviluppo dei Paesi partner.

Prossimi appuntamenti

Il 15 ottobre avrà luogo a Lussemburgo la sessione sviluppo del Consiglio Affari Esteri (CAE).

Il 16 e 17 ottobre si svolgeranno a Bruxelles le Giornate Europee dello Sviluppo. L’evento,

organizzato come di consueto dalla Commissione Europea, rappresenta il principale forum di

discussione sulle tematiche dello sviluppo a livello europeo.

Il tema di quest’anno è la crescita inclusiva e sostenibile, uno dei due pilastri fondanti della

cooperazione allo sviluppo europea secondo la Comunicazione della Commissione “Agenda for

Change”. In particolare si discuterà di:

1. agricoltura e sicurezza alimentare;

2. coinvolgimento del settore privato nella cooperazione allo sviluppo;

3. rafforzamento (empowerment) del potere delle persone per una crescita inclusiva.

Bandi e gare

Inoltre si evidenzia, nell’ambito dello strumento tematico del DCI (Strumento di Cooperazione allo

Sviluppo) “Investing in People”, il lancio di una gara di aggiudicazione di un contratto di servizio per la gestione dell’”EU Expert Facility on Social Protection” (http://www.cooperazioneallosviluppo.

esteri.it/pdgcs/italiano/Gare/Avvisi/intro.html).

Il 5 novembre è prevista la scadenza per la presentazione dell’offerta tecnica per la costituzione di

un Consorzio di organismi degli Stati Membri che fornisca assistenza tecnica ai governi dei Paesi

partner per l’attuazione di strategie e programmi in materia di protezione sociale. La Commissione

organizza a Bruxelles una giornata informativa il giorno 4 o 5 ottobre (la conferma sarà data al momento

dell’iscrizione).

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DOCUMENTI DGCS

Ministero degli Affari EsteriDirezione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo

Valutazione delle iniziative

La cooperazione allo sviluppo è destinata ad affrontare nuove sfi de in un contesto sempre più complesso e mutevole, caratterizzato da un crescente numero di attori coinvolti e non necessariamente accompagnato dall’incremento delle risorse a disposizione. L’Italia non disponeva di un sistema istituzionale di valutazione per lo sviluppo, come evidenziato già nelle Peer Review OCSE-DAC 2004 e 2009 dell’APS italiano. In risposta a queste raccomandazioni la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri ha proceduto all’elaborazione di Linee Guida ad hoc, con relativo programma annuale delle valutazioni e, a seguito della riforma della struttura organizzativa del MAE del 2010, ha istituito l’Uffi cio IX, con competenze sulla Valutazione in itinere ed ex post delle iniziative di cooperazione e retroazione dei risultati. Le valutazioni in itinere ed ex post dei progetti di cooperazione forniscono alla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, ai Paesi benefi ciari e alla società civile le modalità per poter apprendere dalle esperienze del passato e quindi migliorare la fornitura dei servizi, la pianifi cazione e l’assegnazione delle risorse. La valutazione diventa pertanto uno strumento grazie al quale poter investire in interventi di qualità che si traducano in risultati concreti, potenziare le proprie capacità di defi nire strategie e priorità di azione nei contesti specifi ci, migliorare la gestione delle risorse destinate agli interventi in termini di trasparenza, effi cacia ed effi cienza.Serve sottolineare che la valutazione non è una semplice tecnica da applicare senza aver prima considerato tutta la teoria, la metodologia e gli approcci che la sostengono. La rifl essione teorica è molto importante perché la valutazione non è solo l’applicazione di metodologie, ma è un modo di ragionare su quello che si sta sviluppando nella pratica al fi ne di un miglioramento della stessa attività operativa. La comprensione dei risultati della valutazione è un presupposto fondamentale alla scelta delle raccomandazioni cui dare seguito e all’identifi cazione delle azioni di miglioramento della politica e della programmazione. La massima trasparenza degli interventi, e del processo decisionale e strategico, sono precondizioni per garantire azioni di aiuto sostenibili ed effi caci e per assicurare l’accountability di tutti gli attori coinvolti nelle iniziative di cooperazione.La valutazione, quindi, si esprime in merito alla rilevanza degli obiettivi e sul loro grado di raggiungimento e formula, inoltre, un giudizio su effi cienza, effi cacia, impatto e sostenibilità; essa si propone infi ne di fornire informazioni che consentano ai benefi ciari e ai donatori l’integrazione degli insegnamenti appresi nei processi decisionali.Il rapporto di valutazione del Programma “Fronteras Abiertas: rete interregionale per la cooperazione transfrontaliera e l’integrazione latinoamericana”, di cui di seguito si pubblica la sintesi, è il risultato della prima valutazione coordinata dall’Uffi cio IX ed inserita nel Programma delle Valutazioni dell’anno 2011. Il rapporto di valutazione in bozza è stato presentato in data 28 giugno 2012 presso la Sala Onofri della DGCS.

Arch. Michele Morana

Capo Sezione Valutazione

DGCS - Ufficio IX

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DOCUMENTI DGCS

Ministero degli Affari EsteriDirezione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo

Uffi cio IX

Rapporto di Valutazione

Fronteras Abiertas: Rete interregionale per la cooperazione transfrontaliera e l’integrazione latinoamericana

Valutatori: STEM-VCR

Sintesi

1. Quadro istituzionale

Nel luglio 2007, l’Istituto Italo-Latino Americano (IILA) ha lanciato in collaborazione con il Centro di Studi e Politica Internazionale (CeSPI), e grazie al fi nanziamento della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, il progetto “Fronteras Abiertas”. Tale progetto si è concluso nel 2011 e ha ricevuto un fi nanziamento complessivo di 1.500.000 Euro, suddivisi in tre annualità (600.000 Euro 1° Annualità, 2007; 600.000 Euro 2° Annualità, 2008; 300.000 Euro 3° annualità, suddivisa in due parti una relativa al 2009 e l’altra al 2010).

Il progetto, formulato nel gennaio 2007, è stato basato su uno studio di fattibilità condotto nel 2006 dal CeSPI e dall’IILA, che ha permesso di analizzare i processi di dialogo transfrontaliero esistenti in America Latina e che è risultato nella proposta di una “rete interregionale per la cooperazione transfrontaliera e l’integrazione latinoamericana”. Il fi nanziamento da parte del Ministero degli Esteri è avvenuto nell’ambito del contributo volontario 2007, del contributo volontario 2008, del contributo volontario 2009 e del contributo volontario 2010.

L’IILA e il CeSPI hanno giocato ruoli differenti nella gestione del progetto: l’IILA oltre a mantenere le relazioni con il Ministero degli Esteri, principale soggetto sostenitore del progetto,

ha curato le relazioni con le ambasciate dei paesi latinoamericani in Italia e le relazioni con alcune ambasciate italiane in America Latina, senza realizzare missioni sul campo nel quadro dell’implementazione del progetto;

il CeSPI ha identifi cato e formulato le azioni del progetto e ne ha gestito tutte le attività, sia in Italia, sia nelle regioni latinoamericane interessate, realizzando studi, missioni sul campo, incontri con entità amministrative europee e latinoamericane, iniziative di formazione, ecc.; il CeSPI inoltre ha svolto le funzioni di monitoraggio e di formulazione dei rapporti periodici, che sono stati poi sottoposti all’IILA.

Il MAE non ha assunto un ruolo diretto nell’accompagnamento del progetto, sebbene incontri con le ambasciate italiane siano avvenuti in diversi momenti, le ambasciate stesse abbiano partecipato ad alcune attività di carattere seminariale e ad alcuni eventi in America Latina, siano state informate dell’andamento del progetto e abbiano – almeno in alcuni casi – svolto attività di accompagnamento nell’ambito del progetto.

2. I risultati della valutazione

Nella valutazione del progetto si è osservata, rispetto ai vari criteri di valutazione adottati, una situazione molto diversifi cata. Tuttavia, al di là dei diversi elementi osservati, appare opportuno mettere in evidenza un carattere

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generale del progetto, che ne ha infl uenzato l’esecuzione: si tratta della mancanza di un vero obiettivo generale in grado di orientare la direzione del progetto dal punto di vista delle sue strategie generali e quindi delle sue fi nalità ultime.

La mancanza di un vero obiettivo generale, e quindi di una visione a lungo termine esplicita, sia dei processi d’integrazione delle zone transfrontaliere e delle loro possibili evoluzioni, sia della “mission” del progetto in relazione a tali processi, rappresenta un vero e proprio “peccato originale” che ha profondamente infl uenzato non solo il resto della costruzione del quadro logico, ma anche la stessa possibilità di svolgere esercizi di valutazione dall’esterno se non a prezzo di un’operazione di ricostruzione logica di ciò che sta alla base del progetto. Nei fatti, senza un obiettivo generale di lungo termine, ogni azione del progetto rischia di essere autoreferenziale.

2.1. Rilevanza/pertinenza

Dal punto di vista della rilevanza o pertinenza, il progetto presenta una situazione diversifi cata. Mentre è stato osservato un alto livello per la rilevanza tematica, per quanto riguarda la rilevanza delle azioni, degli attori identifi cati e dell’approccio metodologico adottato si è osservato un livello di pertinenza più basso.

In effetti, l’identifi cazione della questione posta al centro del progetto, ovvero il processo d’integrazione nelle aree transfrontaliere, appare pertinente rispetto alle aree latinoamericane considerate, dal momento che in tali aree sono in corso importanti processi d’integrazione sociale ed economica transfrontaliera. Di conseguenza, anche la rilevanza della scelta dei territori in cui sono state svolte le azioni appare alta (l’area del Trifi nio, tra Honduras, Guatemala e El Salvador; il Golfo di Fonseca, tra El Salvador, Honduras e Nicaragua; la frontiera tra Brasile, Paraguay, Argentina e Uruguay; la frontiera tra Cile, Perù e Bolivia; la frontiera tra Ecuador e Perù; la frontiera tra Bolivia, Perù e Argentina).

La rilevanza del progetto viene però diminuita in misura importante dalla scelta di avere come interlocutori diretti – o come benefi ciari – quasi esclusivamente le “amministrazioni intermedie”.

Pur essendo stati spesso coinvolti in iniziative e attività di comunicazione (come le numerose riunioni e gli incontri realizzati nel contesto delle “missioni” e la partecipazione a seminari ed eventi pubblici) i governi nazionali sono stati per lo più considerati dei referenti “esterni” rispetto alle iniziative di sviluppo transfrontaliero e ai processi d’integrazione transfrontaliera.

Allo stesso modo, le entità internazionali impegnate nella promozione di forme d’integrazione regionale sono state coinvolte soprattutto come interlocutori indiretti, come possibili fonti di fi nanziamento o come interlocutori nelle attività di comunicazione, di rifl essione teorica o nelle iniziative orientate a incidere sulle politiche internazionali. Una situazione simile riguarda le organizzazioni della società civile. Nonostante il fatto che proprio le organizzazioni dei cittadini e le associazioni dei produttori e delle imprese siano tra gli attori da più tempo impegnati in iniziative d’integrazione, questi solo sporadicamente sono stati coinvolti nelle azioni condotte nell’ambito del progetto.

In questo modo, di fatto il progetto è intervenuto su attori la cui capacità di svolgere autonomamente iniziative effi caci di cooperazione transfrontaliera è limitata: le amministrazioni locali sono tenute a rispettare le leggi nazionali, ad agire sul territorio di propria giurisdizione e in alcuni casi non sono neanche in grado di mantenere “relazioni di collaborazione” con le amministrazioni locali oltre la frontiera. Una conseguenza di questo è stato il fatto che in alcuni casi (come quello del Golfo di Fonseca) le iniziative di cooperazione transfrontaliera si sono bloccate a causa di fattori come l’opposizione delle amministrazioni nazionali.

Anche per quanto riguarda l’identifi cazione degli attori coinvolti in Italia e in Europa sembra che la rilevanza delle scelte del progetto sia stata relativamente bassa. Occorre aggiungere che il coinvolgimento delle regioni europee sembra aver generato più problemi che vantaggi, dal momento che tale coinvolgimento raramente si è tradotto in un impegno permanente. Inoltre, un ulteriore elemento problematico relativo al coinvolgimento delle

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regioni europee sembrerebbe essere stato la tendenza di alcune regioni ad avviare progetti di cooperazione basati sulle proprie esperienze e “buone pratiche”, senza tener conto della necessità di adattamento e delle diffi coltà nel trasferimento delle pratiche in contesti e con attori diversi da quelli originali.

Anche nell’individuazione e nella selezione delle singole iniziative attivate la rilevanza non appare sempre elevata in funzione del conseguimento degli obiettivi del progetto stesso.

Almeno in alcuni casi, infatti, le attività svolte si sono rivelate non adeguate a sostenere gli attori locali, a favorirne il rafforzamento o a soddisfarne le domande, soprattutto a causa delle modalità di esecuzione scelte. In altri casi, la rilevanza delle iniziative rispetto agli obiettivi del progetto non è evidente.

Un ulteriore ambito in cui la rilevanza del progetto presenta elementi critici è quello relativo alla capacità di tener conto della dimensione giuridica dei territori considerati. Nell’identifi cazione degli attori locali coinvolti, nella formulazione delle attività e nella loro attuazione, infatti, non sono state considerate le differenze esistenti tra i quadri legislativi nazionali e quelle relative allo statuto giuridico dei diversi attori. Questo ha comportato in alcuni casi l’impossibilità di rafforzare adeguatamente i soggetti della cooperazione transfrontaliera e in altri casi addirittura l’emergere di situazioni di confl itto.

Dal punto di vista della rilevanza metodologica, nonostante che nel documento di progetto si parli di un adeguamento del progetto alle domande e alle caratteristiche locali, di fatto “Fronteras Abiertas” ha adottato un approccio basato sulla diffusione di un unico insieme di strumenti, prevalentemente incentrato sull’esperienza europea della cooperazione transregionale. Questo insieme di strumenti non sempre appare pertinente rispetto alle realtà locali, sia per la mancanza in molti casi di situazioni giuridiche e organizzative assimilabili a quelle europee, sia per la mancanza in America Latina di un quadro di riferimento politico e sociale unitario.

In sintesi:si osserva che mentre la rilevanza del progetto dal punto di vista tematico e geografi co è molto alta, la sua rilevanza per quanto riguarda i soggetti identifi cati come referenti principali, l’identifi cazione e la formulazione delle azioni, la dimensione giuridica e l’approccio metodologico presenta aspetti critici importanti.

2.2. Validità del quadro logico

Il quadro logico del progetto “Fronteras Abiertas” è stato probabilmente formulato successivamente alla redazione del documento di progetto e in modo autonomo, sia in relazione a tale documento, sia rispetto ai documenti di fi nanziamento del progetto medesimo (le schede di ventilazione 2007, 2008, 2009 e 2010).

Il fatto che il quadro logico sia focalizzato sulle attività comporta una sua scarsa utilità in quanto strumento per la guida e per il monitoraggio del progetto: gli obiettivi previsti e i risultati sperati sono identifi cati infatti con le attività. Si produce quindi una situazione di automatica rispondenza dell’attività realizzata rispetto al progetto: gli obiettivi sono conseguiti perché le attività sono realizzate.

Per di più anche gli indicatori individuati in rapporto ad essi sono o tautologici o non misurabili. Questo comporta sia l’impossibilità di verifi care il conseguimento dei risultati e degli obiettivi stessi, sia quella di verifi care quale sia effettivamente l’impatto delle attività. Allo stesso tempo questo porta di fatto a non considerare il rapporto tra le attività e i processi sociali, economici e politici in corso, rendendo l’attività di gestione stessa autoreferenziale.

D’altra parte, la mancanza di attenzione alle condizioni esterne esistenti – come i rapporti tra Stati nazionali, il quadro giuridico a cui le amministrazioni rispondono, la stabilità interna agli Stati, l’interesse delle municipalità per lo sviluppo locale – è tra i fattori che hanno contribuito a diminuire la rilevanza del progetto rispetto al contesto in cui si è inserito.

È da segnalare, inoltre, che nel quadro logico mancano completamente alcune attività che si sono rivelate importanti nella realizzazione del progetto, come quelle di studio e di ricerca.

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In sintesi:il quadro logico del progetto – forse a causa del fatto di essere stato formulato successivamente e in modo autonomo rispetto al progetto stesso – presenta forti carenze, tali da comportare conseguenze sulla sua gestione e da incidere, sia sulla sua rilevanza, sia sulla sua effi cacia.

2.3. L’effi cacia

Andando al di là di una descrizione semplicemente quantitativa delle realizzazioni del progetto, comunque in linea con quanto programmato, si possono però osservare alcune situazioni problematiche.

Per quanto riguarda la “costruzione di una rete di attori” latinoamericani ed europei, composta prevalentemente da amministrazioni locali e intermedie (provincie e regioni), di fatto sembrerebbe che al di là del coinvolgimento nel progetto dell’OICS, il numero delle amministrazioni locali e regionali europee coinvolte nelle iniziative di collaborazione transfrontaliera sia molto limitato.

Inoltre, il coinvolgimento di queste amministrazioni non sembra poter essere defi nito propriamente con il termine “rete”. Sembrerebbe piuttosto trattarsi di forme di coinvolgimento puntuali, dovute a un intervento attivo di convocazione e di animazione da parte di un soggetto esterno piuttosto che dal fatto che “nella rete” si colgono opportunità interessanti, tanto di cooperazione e coordinamento rispetto a obiettivi comuni quanto di scambio di esperienze, informazioni e conoscenze. Inoltre, sembrerebbe che il coinvolgimento attivo delle amministrazioni europee nelle iniziative di cooperazione sia fortemente connesso alla possibilità di accedere a risorse economiche.

Per quanto riguarda, invece, le amministrazioni locali latinoamericane, l’interesse a costruire e partecipare a una rete che superi la dimensione locale è sicuramente evidente ed è oggetto di una maggiore consapevolezza che per le amministrazioni europee. Tuttavia, anche tra le amministrazioni locali e intermedie latinoamericane la rete è ancora in una fase embrionale. Anche in questo caso non sembra ancora possibile parlare di una rete vera e propria. Ci si trova piuttosto di fronte a iniziative di cooperazione puntuali messe in contatto e in relazione attraverso l’attività di un attore esterno (il CeSPI).

Sul versante delle azioni di formazione, “Fronteras Abiertas” ha realizzato due insiemi di attività formative: una serie di visite di studio in Italia, che hanno coinvolto 22 rappresentanti e operatori di amministrazioni latinoamericane; e due corsi online, cui hanno partecipato circa 300 allievi.

Nel primo caso appare improprio parlare di stage, cioè del tipo di attività formativa prevista inizialmente nella defi nizione del progetto poiché è mancato l’elemento formativo più tipico degli stage, vale a dire la condivisione dell’attività lavorativa o di prestazione dei servizi svolta dalle entità visitate. Anche nel caso dei corsi online appare diffi cile fare riferimento alla modalità della “formazione a distanza”: sono mancati, infatti, sia il ricorso a supporti quali i tutor, sia il ricorso a forme d’interattività tra docenti e discenti e tra i discenti stessi.

Una defi nizione carente delle attività e dei loro obiettivi ha infl uito probabilmente anche sull’effi cacia delle azioni di costruzione di capacità e sulla possibilità di avviare iniziative di cooperazione Sud - Sud.

Nei fatti, tanto nella costruzione dei progetti da proporre al fi nanziamento di organizzazioni internazionali, quanto nella formulazione delle iniziative di sviluppo locale fi nanziate direttamente dal progetto, un ruolo centrale – e qualche volta addirittura esclusivo – è stato assunto dagli attori europei coinvolti. Questo certamente non ha favorito la possibilità di sviluppo di capacità locali.

In questo senso, piuttosto che il sostegno a iniziative di cooperazione “Sud - Sud” sembrerebbe che il progetto abbia sostenuto – alcune volte con successo, altre con effetti temporanei – iniziative di cooperazione Nord - Sud - Sud, nell’ambito delle quali le organizzazioni locali rischiano di assumere più il ruolo di benefi ciari che non quello di attori protagonisti.

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I limiti del progetto per quanto riguarda lo sviluppo di capacità tra gli attori coinvolti sono anche in una certa misura rivelati dal fatto che l’effi cacia delle attività è stata fortemente condizionata dalle capacità che gli attori coinvolti nel progetto stesso già avevano in precedenza, segno di una certa diffi coltà ad adattare il progetto alle condizioni locali.

Sembrerebbe quindi che le attività di formazione realizzate abbiano avuto un’effi cacia limitata. Una maggiore effi cacia è stata osservata dai benefi ciari per quanto riguarda le visite in Italia.

Un elemento ulteriore che ha infl uito sull’effi cacia del progetto è una situazione di relativa confusione istituzionale. Il legame tra le attività del progetto “Fronteras Abiertas” e le attività promosse o realizzate dagli enti esecutori nel contesto di altri progetti, infatti, non è sempre chiaro e defi nito e in alcuni casi le stesse persone coinvolte nel progetto hanno agito in momenti diversi all’interno di quadri istituzionali diversi.

Il progetto senza dubbio ha avviato e svolto un’ampia azione di comunicazione nei confronti delle amministrazioni locali, dei governi e degli enti internazionali dell’America Latina, funzionale all’avvio di una rifl essione sulle questioni dell’integrazione transfrontaliera. L’avvio della rifl essione è in qualche modo testimoniato dal fatto che alcuni dei soggetti transnazionali coinvolti nelle azioni di comunicazione (come il SICA e la CAF) hanno promosso iniziative riguardanti la cooperazione transfrontaliera e il ruolo che le amministrazioni locali possono giocare nel processo d’integrazione regionale, spesso coinvolgendo in modo diretto o indiretto i soggetti impegnati nel progetto (in particolare il CeSPI). Tuttavia tale coinvolgimento, mentre da un lato potrebbe apparire come un risultato positivo del progetto, dall’altro potrebbe comportare situazioni non compatibili con il ruolo assunto dal CeSPI all’interno del progetto medesimo: la titolarità del progetto e delle sue azioni dovrebbe essere, infatti, riconosciuta all’IILA e di conseguenza la legittimità di un’azione che stabilisce una relazione diretta tra un’entità esterna e l’ente esecutore del progetto è per lo meno dubbia.

È importante, infi ne, fare riferimento agli effetti inattesi. In effetti, proprio l’attività di comunicazione condotta nel progetto consente di mettere in luce un aspetto di “Fronteras Abiertas” che è poco evidente nel documento di progetto e nelle schede di ventilazione e del tutto assente nel quadro logico formulato. Si tratta, in particolare, della produzione e della diffusione di conoscenze circa i processi d’integrazione regionale e la cooperazione transfrontaliera.

Le azioni di comunicazione e di networking con il SICA, con le altre organizzazioni regionali e con alcuni soggetti governativi hanno portato alla condivisione di una nuova visione delle frontiere e alla percezione della possibilità di processi d’integrazione dal basso.

In sintesi:nonostante che nell’ambito del progetto siano state realizzate tutte le attività previste, dal punto di vista dell’effi cacia il progetto presenta numerosi elementi critici. L’effi cacia del progetto appare problematica in particolare per quanto riguarda la costruzione di una rete di amministrazioni intermedie e locali latinoamericane ed europee (ancora in una situazione iniziale), per quanto riguarda i progetti sostenuti (che non sempre sono pertinenti e non sempre hanno avuto risultati di rafforzamento delle capacità degli attori coinvolti) e per quanto riguarda le attività di formazione e di costruzione di capacità istituzionali (in gran parte si è trattato d’iniziative di trasferimento d’informazioni e conoscenze). Un aspetto particolarmente critico per l’effi cacia del progetto è stato il prodursi di una situazione di confusione istituzionale: non è chiaro cosa sia “del progetto” e cosa appartenga ad “altri progetti”. Il progetto però presenta anche aspetti positivi, tra cui uno di particolare importanza è da catalogare come un risultato inatteso: si tratta della produzione di conoscenza sui processi d’integrazione transfrontaliera in America Latina. Proprio la produzione di conoscenza – che non era prevista nel quadro logico – ha consentito al progetto di incidere sulle politiche di alcuni soggetti latinoamericani, quali in particolare le organizzazioni d’integrazione regionale.

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2.4. L’effi cienza

Il progetto ha dimostrato di possedere una grande capacità di leverage, dal momento che, attraverso le attività realizzate sono state generate – in modo diretto o indiretto – risorse per circa 11 milioni di Euro (con un investimento complessivo di circa 1,5 milioni di Euro). Nonostante tale capacità, dal punto di vista dell’uso delle risorse non si può fare a meno di osservare la presenza di alcuni aspetti problematici: l’alto costo delle spese generali centrali (il 13% del budget 2007; il 9,73% di quello 2008 e il 10,13% del budget 2009); l’alto costo di alcune attività (per esempio quelle di formazione, sia in Italia, sia online; pari in totale a circa 361.700 Euro), sia rispetto ai risultati ottenuti sia rispetto al numero di benefi ciari effettivamente coinvolti; il fatto che in molti casi gli sforzi fatti e le risorse investite non hanno portato benefi ci percepiti come tali dagli attori locali; il fatto che le risorse impiegate nelle “azioni dirette” hanno generato a volte effetti che potrebbero essere defi niti di ridondanza e comunque poco rilevanti per gli obiettivi del programma; il fatto che nonostante l’investimento complessivo, la rete costituita, soprattutto tra le organizzazioni europee, appare ancora piuttosto esigua e dotata di una scarsa iniziativa; il fatto che l’uso e la gestione delle risorse dei progetti sono stati in alcuni casi un oggetto di confl itto tra i soggetti coinvolti nell’attività di “Fronteras Abiertas”.

Al di là di tali problemi, appare necessario segnalare che probabilmente le modalità stesse di gestione di un progetto che è stato fi nanziato dal Ministero a un ente internazionale e poi è stato affi dato quasi completamente in gestione a un soggetto terzo sono all’origine di alcuni dei problemi relativi all’effi cienza delle azioni svolte. L’opportunità di questo “doppio” scalino dovrebbe essere riconsiderata, tenendo presenti i ruoli svolti dai diversi enti coinvolti. Inoltre, come dimostra anche il numero di pubblicazioni del CeSPI che sono poste in relazione con il progetto e le diffi coltà che esistono nel determinare quali attività di studio e di ricerca siano da attribuire al “Fronteras Abiertas” e quali ad altri progetti, si potrebbe ipotizzare che il progetto medesimo si sia in una certa misura tradotto in una modalità di fi nanziamento per l’attività di ricerca del CeSPI, anche al di là degli obiettivi specifi ci del progetto.

Le attività del progetto, inoltre, sono state utilizzate per mobilizzare fi nanziamenti per nuovi progetti dei quali partecipano e benefi ciano non soltanto le associazioni di municipi e le amministrazioni intermedie delle zone transfrontaliere ma anche lo stesso CeSPI (che svolge di volta in volta attività di assistenza e monitoraggio ai progetti). Anche in questo caso, si potrebbe ipotizzare, quindi, che una percentuale non irrilevante delle risorse investite non sia stata destinata al rafforzamento degli attori impegnati in iniziative di cooperazione e integrazione transfrontaliera.

In sintesi:l’aspetto più importante dal punto di vista dell’effi cienza è stato la capacità del progetto di mobilitare nuove risorse per la cooperazione transfrontaliera. Tuttavia sono stati osservati alcuni aspetti problematici relativi all’uso delle risorse: alcuni problemi sono legati alla gestione delle attività del progetto; altri invece alle modalità del fi nanziamento e alla progettazione iniziale dell’iniziativa.

2.5. La sostenibilità

Le attività del progetto appaiono in parte dipendenti dalla presenza e dall’iniziativa dei soggetti che sono stati promotori e che hanno gestito il progetto medesimo. Nei casi in cui questi attori hanno “lasciato” il terreno le attività si sono spesso interrotte. Nei casi in cui questi hanno mantenuto una continuità di presenza – anche limitata a specifi che funzioni e a specifi che attività – invece le attività sono continuate e si sono ulteriormente sviluppate.

La sostenibilità delle iniziative avviate con il concorso del progetto appare migliore lì dove la presenza degli attori promotori di “Fronteras Abiertas” è stata minore e si è quasi limitata a mettere in contatto gli attori locali con quelli europei. In questi casi, una maggiore autonomia degli attori coinvolti come “benefi ciari” ha consentito la generazione d’iniziative autonome e che stanno continuando.

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La continuità e la sostenibilità delle iniziative d’integrazione sono quindi in molti casi risultate evidenti in situazioni in cui le azioni del progetto si sono rivelate poco effi caci o poco presenti. Non si tratta di un fatto casuale: la scelta di non creare nuovi soggetti, ma di sostenere o accompagnare quelli già attivi ha comportato che anche nelle aree in cui “Fronteras Abiertas” non è riuscito a portare “nuove risorse”, le dinamiche d’integrazione che il progetto ha cercato di rafforzare continuino, a volte con risorse locali, altre continuando – anche senza l’appoggio del progetto – a svolgere attività di fund raising o grazie alle risorse già mobilizzate da altri attori internazionali.

Un elemento che favorisce la continuità delle attività iniziate appare la mobilitazione di nuovi attori, come soggetti promotori d’iniziative di cooperazione transfrontaliera o come donatori: è il caso del SICA o di alcuni governi locali dell’America del Sud, o ancora dell’OICS che continua a svolgere un ruolo di mediazione tra le regioni italiane e quelle latinoamericane.

In sintesi:dal punto di vista della sostenibilità, mentre si nota la dipendenza della continuità delle azioni dalla presenza e dall’intervento dei promotori del progetto, anche a causa di livelli diversi di continuità e coinvolgimento attivo degli attori locali, non si può non osservare come due delle strategie portanti del progetto, vale a dire quella di non creare nuovi enti ma di intervenire su processi in corso e quella di cercare di diffondere il tema della “integrazione transfrontaliera dal basso” tendano a consentire un mantenimento della continuità delle iniziative di cooperazione e di sviluppo nelle aree di frontiera.

2.6. L’impatto

Piuttosto che una vera e propria valutazione d’impatto, l’esercizio valutativo ha provato a identifi care e a esaminare alcune tendenze generali o orientamenti che si sono sviluppati in relazione con le azioni del progetto e che potrebbero offrire un’idea circa gli impatti che il progetto potrebbe avere nel medio e lungo periodo.

In tal senso, un primo aspetto è legato al fatto che “Fronteras Abiertas” ha consentito di mobilitare – in modo diretto e indiretto – circa 11 milioni di Euro grazie a nuovi progetti. Un primo fi lone d’impatti è quindi da identifi care negli effetti che tali disponibilità di risorse avrà in ordine all’affermazione delle tematiche relative all’integrazione regionale transfrontaliera, nonché all’aumento delle capacità, grazie a tali risorse, degli attori locali.

Un secondo non meno importante ambito d’impatto è rappresentato dall’aumento dell’attenzione prestata al tema della cooperazione transfrontaliera nell’ambito delle agende e delle politiche di sviluppo di una pluralità di soggetti internazionali impegnati in iniziative d’integrazione in America Latina, come il SICA, l’Unione Europea e l’UNDP.

È possibile, però, in riferimento al programma parlare anche d’impatti mancati. In particolare, il progetto sembra non avere avuto la capacità di aggregazione di tutti i vari soggetti coinvolti nelle iniziative di sviluppo transfrontaliero su un insieme di strategie comuni. Di fatto, mentre un tentativo di creare consenso e forme di partecipazione attorno al programma è stato fatto nei confronti delle organizzazioni internazionali e – in misura minore – delle amministrazioni centrali dei diversi Stati, un tentativo del genere non è stato adeguatamente svolto nei confronti degli attori non governativi e delle cooperazioni bilaterali. Di conseguenza questi attori, pur promuovendo iniziative d’integrazione, spesso più forti e più rapide di quelle delle amministrazioni locali tendono a non aggregarsi secondo una prospettiva comune e ancora meno sulla base di quella proposta dal progetto (che è stato anzi percepito a volte come un concorrente, colto nel tentativo di “assumere la paternità” dei processi e delle iniziative in corso).

In secondo luogo, il progetto non ha inciso nella creazione di un contesto per la riaggregazione, il “ri-ordinamento” e la ridefi nizione di una strategia comune tra i numerosi progetti sostenuti dalla Cooperazione italiana nella regione latinoamericana: mentre il CeSPI è stato parte integrante di alcuni progetti dell’IILA nella regione, il progetto è rimasto separato dalla Cooperazione italiana e dalle iniziative di sviluppo locale generate dalla Cooperazione italiana nel passato.

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In sintesi:anche per quanto riguarda gli impatti il progetto “Fronteras Abiertas” presenta un quadro diversifi cato. Certamente il progetto ha avuto impatti importanti, sia per quanto riguarda la mobilitazione di nuove risorse, sia per quanto riguarda la diffusione di una visione della cooperazione transfrontaliera “dal basso”. Sono da notare, però, anche degli impatti mancati, in particolare, rispetto alla possibilità di aumentare l’integrazione tra gli interventi di cooperazione transfrontaliera e di infl uire sugli altri progetti della Cooperazione italiana.

2.7. La visibilità

Considerando le risorse impiegate in quest’ambito, si potrebbe pensare che il progetto abbia avuto una grande visibilità, tanto a livello internazionale quanto a livello locale. Nell’ambito della valutazione si è osservata anche in quest’ambito la presenza di alcune situazioni problematiche, vale a dire:- Al di là dei soggetti locali direttamente coinvolti (le persone che hanno preso parte alle iniziative), la visibilità

del progetto “Fronteras Abiertas” è stata molto limitata nelle aree d’intervento.- La visibilità del progetto è limitata anche tra i soggetti direttamente coinvolti. La visibilità dell’insieme

di attori coinvolti nel progetto è stata limitata: mentre tutti gli attori coinvolti nel progetto sono consapevoli del ruolo del CeSPI, quasi nessuno è a conoscenza del coinvolgimento e del ruolo dell’IILA. La visibilità dell’IILA e della Cooperazione italiana si è ridotta per la maggior parte degli interlocutori del progetto alla presenza dei loro loghi sulle pubblicazioni e sui documenti del progetto stesso.

- La visibilità della Cooperazione italiana come attore coinvolto nella promozione di un nuovo approccio alla cooperazione transfrontaliera è quasi inesistente, soprattutto a livello locale: al di là della presenza dei simboli della Cooperazione italiana sulle pubblicazioni, non è emersa in relazione al progetto alcuna politica visibile e percepibile dell’Italia sui processi di cooperazione e di sviluppo transfrontaliero nei paesi dell’America Latina.

In sintesi:nonostante la quantità di risorse dedicata alle attività di comunicazione, la visibilità del progetto in quanto azione strategica della Cooperazione italiana e dell’IILA è rimasta molto limitata. Il ruolo assunto dal CeSPI sul campo ha generato una certa confusione tra gli interlocutori del progetto. “Fronteras Abiertas” è infatti spesso stato identifi cato con l’ente che ne eseguiva le azioni, mentre il ruolo dell’IILA è stato molto raramente percepito.

2.8. Funzionalità del dispositivo di attuazione

Nonostante il progetto sia molto complesso, il dispositivo di attuazione risulta poco strutturato e poco organizzato senza un adeguato sistema di gestione e di verifi ca in grado di coordinare, di gestire e a volte anche di mediare i numerosi interessi emergenti in relazione alle molte dimensioni del progetto.

Sebbene il progetto sia stato fi nanziato dal MAE e abbia comportato un’azione in un’area territoriale in cui la presenza della Cooperazione italiana ha una lunga storia, il Ministero degli Affari Esteri non sembra aver assunto più alcun ruolo nel monitoraggio e nel controllo dell’intervento, se non in maniera indiretta attraverso la gestione amministrativa del contributo all’IILA, la comunicazione tra le ambasciate e i diplomatici italiani e l’IILA, la partecipazione a seminari ed eventi pubblici, alcuni incontri con lo staff del progetto, soprattutto a livello locale, e la realizzazione di piccole iniziative di comunicazione.

Di fatto, nonostante la vastità delle relazioni create nel contesto del progetto, quest’ultimo non sembra essere mai stato oggetto di particolare attenzione, di un intervento volto a infl uire sulla sua gestione, o di una strategia specifi ca.

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Dal punto di vista della gestione, non è stato defi nito alcun comitato di direzione o di pilotaggio, non è stato determinato un sistema di monitoraggio formale, non c’è stata neanche una differenziazione formale tra i ruoli dei diversi attori coinvolti nell’organizzazione. Nonostante il fatto che il progetto abbia coinvolto numerosi soggetti, non è stata creata nessuna struttura di gestione all’interno della quale fosse possibile rendere partecipi tali soggetti in un processo collettivo e organizzato di comunicazione, interazione e assunzione delle decisioni.

Insomma, la possibilità di identifi care e risolvere i problemi che comunque emergono in un progetto della complessità di “Fronteras Abiertas” è stata lasciata all’iniziativa e alla capacità dei vari attori coinvolti nella sua realizzazione, senza che questi potessero disporre di una struttura che li sostenesse nel mediare tra le esigenze connesse alla gestione quotidiana delle numerose attività previste e quelle connesse all’analisi, alla valutazione e alla gestione delle numerose dinamiche generate dalle attività del progetto nel suo incontro con la realtà politica, sociale ed economica dei territori e degli attori coinvolti.

Non stupisce quindi che a fronte di una forte pertinenza del tema affrontato dal progetto siano poi emersi, sia elementi di pertinenza minore relativi al suo “incontro con la realtà”, sia elementi problematici riguardanti l’effi cacia e l’effi cienza delle azioni.

La mancanza di un sistema di monitoraggio effi cace ha reso il dispositivo poco adatto rispetto a un progetto complesso come “Fronteras Abiertas”. La mancanza di defi nizione dei risultati attesi e di un sistema formalizzato di indicatori di risultato ha probabilmente infl uito fortemente sulla possibilità di svolgere un effettivo monitoraggio.

Alle carenze del sistema di monitoraggio (sicuramente adatto a gestire attività “visibili” ai governi e alle ambasciate, ma meno a gestire attività non tangibili caratterizzate dal concorso di molti attori e dall’interazione di numerose dinamiche) si è affi ancata la mancanza di un’attività di valutazione indipendente.

Per quanto riguarda la funzione dell’IILA nell’ambito della realizzazione del progetto, essa è stata legata soprattutto ad alcune attività: la defi nizione di grandi linee strategiche, la gestione delle relazioni con i governi, l’accompagnamento nell’organizzazione di alcuni eventi seminariali. Le azioni sul campo del progetto sono state invece completamente curate e gestite dal CeSPI.

Questo è risultato sia in una minore visibilità dell’IILA stesso, sia nel prodursi di un elevato grado di sovrapposizione tra le attività del progetto e quelle condotte anche in altri ambiti di attività dal CeSPI stesso. L’assunzione di un ruolo più attivo nella gestione delle attività da parte dell’IILA e di un’eventuale presenza sul campo avrebbe probabilmente consentito di mitigare i problemi relativi alla “confusione istituzionale”, alla visibilità e forse anche quelli relativi all’effi cienza.

Sul campo, la presenza del progetto si è concretizzata in gran parte nella realizzazione di missioni di breve durata, mentre soltanto in pochi casi ci si è avvalsi di “agenti” che avessero una presenza prolungata nei territori considerati o di agenti locali che accompagnassero le attività. In questi casi l’attività sul campo è comunque stata svolta senza avere un dispositivo adeguato di risorse e di strumenti tecnici.

L’accentramento della gestione del progetto in Italia ha probabilmente infl uito sull’effi cacia limitata del progetto dal punto di vista della costruzione di capacità locali e ha in ogni caso favorito che, nell’ambito dell’attuazione, emergessero problemi legati alla mancanza di visibilità del progetto stesso da parte di soggetti locali.

In sintesi:dal punto di vista del dispositivo di attuazione del progetto è necessario mettere in evidenza una condizione di inadeguatezza, soprattutto rispetto alla complessità del progetto stesso. In questo quadro, elementi di particolare rilevanza sono da identifi care nella mancanza di un sistema di gestione strutturato che coinvolgesse i diversi attori coinvolti nell’azione; nell’assenza del MAE, sia dal punto di vista strategico, sia nel controllo esterno dell’implementazione; nel ruolo secondario svolto dall’IILA; nella mancanza di un sistema adeguato di monitoraggio e di valutazione in corso d’opera; nella mancanza di un’adeguata presenza sul campo.

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2.9. Visione d’insieme dei criteri di valutazione

Nella tabella seguente è riportata la visione d’insieme dei risultati dell’esercizio di valutazione in funzione dei differenti criteri.

Criteri Soddisfacente Carente

Rilevanza o pertinenza

- Il tema del progetto

- Le aree geografiche identificate

- L’identificazione degli attori di riferimento

- Le azioni

- La dimensione giuridica

Quadro logico

- Relazione tra risultati e attività (alcune attività non sono identificate)

- Formulazione degli obiettivi e dei risultati

- Gli indicatori sono tautologici rispetto ai processi che dovrebbero consentire di

valutare

Effi cacia

- Attività realizzate corrispondenti a

quelle indicate nel progetto

- Attività di formazione in Italia

reputate utili dai soggetti coinvolti

- Il contenuto transfrontaliero è dubbio nei casi di alcuni progetti. Il legame tra il

progetto e alcune attività non è evidente

- In alcuni casi non c’è un coinvolgimento di amministrazioni europee. Il numero

delle organizzazioni locali e regionali europee coinvolte è molto limitato

- La cooperazione più che su una rete appare basata su relazioni puntuali

- Non è chiaro l’interesse per la rete da parte di molti attori, se non quello di

acquisire risorse

- La rete latinoamericana è ancora in una situazione embrionale e dipende dagli

attori esecutori del progetto

- I risultati delle attività di formazione non sono misurabili

- Il sito non funziona come piattaforma

- Uso analogico e impreciso dei concetti che definiscono le attività

- Confusione istituzionale

- Mancata considerazione delle dinamiche politiche e istituzionali

- Approccio indifferenziato agli attori

- I casi di cooperazione Sud - Sud sono ancora pochi

- Il progetto in alcuni casi non riesce a produrre un effettivo accrescimento delle

capacità, si limita ad accompagnare chi ha già capacità elevate. Le attività di

formazione sembrano avere un’efficacia limitata

Effi cienza

- Generazione di progetti per circa

11 milioni

- Il budget è stato definito di anno in anno. Non c’è corrispondenza tra il budget

del progetto formulato nel documento di progetto e quello finale. Non è chiaro il

modo nel quale il budget si è evoluto

- Il costo di alcune attività appare molto alto rispetto ai risultati ottenuti (es.

formazione in Italia)

- Non sempre le risorse investite hanno portato benefici percepiti dagli attori

locali

- In alcuni casi le azioni dirette hanno generato effetti ridondanti o poco rilevanti

per gli obiettivi del programma

- Il risultato più evidente del progetto (i nuovi progetti) appare indipendente da

molte delle attività svolte

- Il meccanismo istituzionale è poco coerente con il ruolo di ognuno degli attori

- Il progetto appare orientato anche a finanziare l’attività del CeSPI piuttosto che

semplicemente a favorire il sostegno del CeSPI agli attori locali

- Sono emersi conflitti sulle risorse tra gli attori coinvolti

Sostenibilità- Mobilitazione di nuovi attori

- Integrazione delle attività del

progetto in processi già in atto

- Dipendenza dagli enti promotori del progetto di alcune iniziative di

cooperazione

- Livelli diversi di continuità e coinvolgimento attivo dei soggetti locali

Impatto

- Mobilitazione di nuove risorse

- Processi di mutamento e di

sviluppo che coinvolgono gli attori

delle “frontiere” in cui sono state

avviate iniziative

- Processi di formulazione delle

politiche regionali e internazionali,

in particolare attraverso il

rafforzamento della visione della

cooperazione transfrontaliera “dal

basso”

- La mancata aggregazione in un contesto strategico condiviso dei numerosi

soggetti coinvolti nelle iniziative di sviluppo transfrontaliero

- La mancata creazione di un contesto per la riaggregazione della Cooperazione

italiana in America Latina

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Criteri Soddisfacente Carente

Visibilità

- Attività seminariali e pubblicazioni - Il progetto è poco visibile nelle aree in cui è stato eseguito

- Non c’è nella percezione degli attori locali nessuna differenza tra il CeSPI e il

progetto

- La presenza dell’IILA è percepita da un numero molto limitato di attori. L’attività

svolta dall’IILA non è riconosciuta dagli attori locali

- Il progetto non è visibile, né percepito come elemento di una strategia della

Cooperazione italiana

Il dispositivo di attuazione

- Mancanza di un dispositivo di gestione strutturato con la partecipazione di tutti

gli attori coinvolti

- Mancanza di intervento del MAE sul piano strategico e nel controllo esterno

- Funzione poco centrale dell’IILA nella gestione delle attività

- Mancanza di un sistema di monitoraggio

- Mancanza di una valutazione in corso d’opera

- Presenza limitata sul campo

3. Le raccomandazioni

La formulazione delle raccomandazioni presuppone che sia posta innanzitutto una pre-condizione. In effetti, la questione fondamentale, come spiegato nel corso dell’esercizio di valutazione, risiede nella natura del progetto: un eventuale nuovo progetto o un’eventuale nuova fase non potrà prescindere non solo dalla chiarezza degli obiettivi di ciò che si vuole fare, ma soprattutto dal fatto che si defi nisca se si è nel contesto di una ricerca esplorativa o se si è invece in quello di un intervento di cooperazione allo sviluppo. Appare evidente che un compromesso tra le due possibili identità non può essere praticabile. Le raccomandazioni consistono in:

i. Dare continuità all’iniziativa sui territori di frontiera e sull’integrazione dal basso nelle aree di frontiera, così da valorizzare l’investimento realizzato fi no ad ora.

ii. Defi nire il quadro strategico all’interno del quale l’iniziativa si situa, in particolare per quanto riguarda la Cooperazione italiana e defi nire le relazioni tra l’iniziativa e le altre attività della Cooperazione italiana.

iii. Adottare un quadro istituzionale all’interno del quale siano defi niti ruoli ben defi niti per ognuno degli attori, si evitino le sovrapposizioni, si eviti la possibilità di situazioni di “confl itto di interesse” e si garantisca lo svolgimento delle differenti funzioni, la possibilità di verifi ca e di controllo; e nel quale si preveda un sistema di governance del progetto cui possano partecipare in modo strutturato i vari soggetti coinvolti nella sua attuazione.

iv. Adottare un dispositivo di attuazione strutturato e in grado di gestire un’azione complessa.v. Defi nire il budget del progetto in modo chiaro e determinato, evitando variazioni che prevedano spese

aggiuntive ed evitando successive ri-formulazioni annuali – così da permettere un adeguato monitoraggio dell’effi cienza.

vi. Adottare una metodologia che preveda un effettivo accompagnamento degli attori coinvolti (latinoamericani ed europei), con un’adeguata presenza sul campo e un adeguato coinvolgimento di attori locali.

vii. Prevedere all’interno del progetto attività di ricerca e di studio come strumento di accompagnamento defi nendone anche la metodologia e i risultati attesi in termini di generazione di nuova conoscenza e d’innovazione.

viii. Focalizzare le azioni su un’area territoriale o su un numero limitato di aree territoriali, così riducendo il rischio di una dispersione di risorse e di un’eccessiva complessità di gestione.

ix. Creare all’interno delle aree territoriali in cui il programma agisce dei meccanismi di governance locale che permettano di prendere parte alla gestione dell’iniziativa a tutti gli attori locali rilevanti.

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x. Focalizzare il progetto su insiemi di azioni defi niti (componenti, volet), mantenendo forme di fl essibilità, ma evitando la proliferazione di azioni e iniziative che rischiano di avere effetti di dispersione di risorse.

xi. Evitare l’adozione di scelte esclusive per quanto riguarda gli attori locali da coinvolgere.xii. Adottare un approccio diversifi cato all’assistenza agli attori locali, fondato su un’effettiva analisi di tali

attori che ne identifi chi intenzionalità, orientamenti e fabbisogni di rafforzamento delle capacità.xiii. Adottare modalità di azione caratterizzate da trasparenza e visibilità (ad es. call for projects per

l’individuazione delle iniziative locali da sostenere, adozione di criteri di selezione formalizzati, ecc.).

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ATTI DEL DIRETTORE GENERALE / GARE E INCARICHI

> La Cooperazione Italiana Informa - Settembre 2012

Atti a fi rma del Direttore Generale della DGCSGli atti sono consultabili sul sito della Cooperazione Italiana, all’indirizzo: http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/LeggiProcedure/AltraNormativa/Atti.html

Avvisi di gara della DGCSI bandi di gara sono consultabili all’indirizzo:http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Gare/Avvisi/intro.html

Opportunità di lavoro e avvisi di incarico della DGCS Gli avvisi sono consultabili all’indirizzo:http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Lavoro/Lavoro.asp

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CONTATTI

> La Cooperazione Italiana Informa - Settembre 2012

UFFICI DGCS

Uffi cio I Politiche di cooperazione allo sviluppo nell’ambito dell’Unione Europea

Capo Uffi cio

Cons. di Legazione Michele Cecchi

[email protected] Tel. 06 3691 2848

Uffi cio II Cooperazione allo sviluppo multilaterale Capo Uffi cio

Cons. d’Ambasciata Mauro Massoni

[email protected] Tel. 06 3691 4120

Uffi cio III Aiuto allo sviluppo a favore dell’Europa Balcanica e Orientale, del Bacino del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Asia CentraleCapo Uffi cio Cons. di Legazione Francesco Forte

[email protected] Tel. 06 3691 4110

Uffi cio IV Aiuto allo sviluppo a favore dell’Africa Sub-Sahariana Capo Ufficio

Cons. d’Ambasciata Marcello Cavalcaselle

[email protected] Tel. 06 3691 4260

Uffi cio V Aiuto allo sviluppo a favore dell’Asia, dell’Oceania e delle AmericheCapo Ufficio

Min. Plenipotenziario Alessandro Gaudiano

[email protected] Tel. 06 3691 7855

Uffi cio VI Interventi umanitari e di emergenza Capo Uffi cioMin. Plenipotenziario Bruno Antonio Pasquino

[email protected] Tel. 06 3691 4192

Uffi cio VII Cooperazione allo sviluppo e società civile, Organizzazioni Non Governative e volontariatoCapo Uffi cio

Cons. d’Ambasciata Emilia Gatto

[email protected] Tel. 06 3691 6536

Uffi cio VIII Programmazione e monitoraggio del bilancio di cooperazione; questioni di genere, diritti dei minori e delle disabilitàCapo Uffi cio

Min. Plenipotenziario Francesco Paolo Venier

[email protected] Tel. 06 36913462

Uffi cio IX Valutazione e Visibilità delle iniziative Capo Uffi cioSegr. di Legazione Giovanni Brignone

[email protected] Tel. 06 3691 6927

Uffi cio X Questioni giuridiche e contabili, gestione fi nanziaria dei crediti d’aiuto Capo Uffi cioCons. di Legazione Francesco Capecchi

[email protected] Tel. 06 3691 4551

DIREZIONE GENERALE PER LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

Direttore Generale Min. Plenipotenziario Elisabetta Belloni

[email protected]

Vice Direttore Generale / Direttore Centrale Min. Plenipotenziario Barbara Bregato

[email protected]

Direttore Centrale Min. Plenipotenziario Fabio Cassese

[email protected]

Segreteria Tel. 06 3691 4215 [email protected]

Capo Segreteria Cons. di Legazione Andrea Biagini

Vicario Segr. di Legazione Valeria Romare

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CONTATTI

> La Cooperazione Italiana Informa - Settembre 2012

Uffi cio XI Gestione e valorizzazione delle risorse strumentali - Acquisti e spese di funzionamento della Direzione generale, manutenzione degli immobili di cui all’art. 23, comma 1, lettera bCapo Uffi cio

Dott.ssa Maria Gabriella Di Gioia

[email protected] Tel. 06 3691 6367

Uffi cio XII Gestione e valorizzazione delle risorse umane Capo Uffi cio

Dott.ssa Luana Alita Micheli

[email protected] Tel. 06 3691 3351

UNITÀ TECNICA CENTRALE

Svolge le attività previste dall’articolo 12 della legge n. 49/1987 Tel. 06 3691 6257

[email protected]

Capo Unità Min. Plenipotenziario Pier Francesco Zazo

Vicario Segr. di Legazione Pier Luigi Gentile

Area Tematica 1 Sviluppo rurale e valorizzazione delle risorse umane e naturali nell’ambito dell’agricoltura, zootecnica, forestazione e pescaCoordinatoreEsperto Flavio Lavisolo

Tel. 06 3691 6301

Area Tematica 2 Sviluppo industriale dell’imprenditorialità, sviluppo energetico e valorizzazione delle risorse umane relative; statistica ed informatica; sostenibilità economico-fi nanziariaCoordinatoreEsperto Giancarlo Palma

Tel. 06 3691 6712/6268

Area Tematica 3 Interventi umanitari e sanitari; interventi multilaterali di sviluppo umano anche attraverso la cooperazione decentrata; pari opportunitàCoordinatoreEsperto Bianca Maria Pomeranzi

Tel. 06 3691 6326/6263

Area Tematica 4 Formazione di base, universitaria, professionale; iniziative ONG promosse; sostenibilità istituzionale; formazione dei minoriCoordinatoreEsperto Massimo Ghirelli

Tel. 06 3691 6210/6252

Area Tematica 5/6 Infrastrutture/Opere civili; collaudi; direzione lavori; varianti; sviluppo e riqualifi cazione urbana; patrimonio culturale; servizi pubblici; alimentazione idrica; telecomunicazioni; trasporti; protezione e risanamento ambientaleCoordinatore

Esperto Gianandrea Sandri

Tel. 06 3691 6391/6206

Area Tematica EmergenzeCoordinatoreEsperto Marco Platzer

Esperto Vincenzo Oddo

Tel. 06 3691 6250/6318

Coordinamento Coop. DecentrataDott.ssa Maria Grazia Rando

[email protected] Tel. 06 3691 6724

Coordinamento Coop. UniversitariaProfessore Massimo Maria Caneva

[email protected] Tel. 06 3691 4215

Coordinamento AmbienteMin. Plenipotenziario Pier Francesco Zazo

[email protected] Tel. 06 3691 6257/6284

Coordinamento FAO – IFAD – PAMCons. d’Ambasciata Rita Giuliana Mannella

dgcs.coordinamentoon [email protected] Tel. 06 3691 3106

Coordinamento Coop. Multilaterale ed EmergenzaMin. Plenipotenziario Marco Ricci

[email protected] Tel. 06 3691 5484

Task Force IraqMin. Plenipotenziario Ernesto Massimino Bellelli

[email protected] Tel. 06 3691 4241

Task Force Monitoraggio, Consulenza e GestioneDott.ssa Carla Gasparetti

[email protected] Tel. 06 3691 4227

Nucleo Valutazione Tecnica del Comitato DirezionaleTel. 06 3691 2391

Esperto Gioacchino Carabba

Esperto Giancarlo Palma

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CONTATTI

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Esperto Pasqualino Procacci

Esperto Loredana Stalteri

Esperto Anna Zambrano

Segreteria del Comitato [email protected]

Tel. 06 3691 8177

UNITÀ TECNICHE LOCALI

Addis Abeba, Etiopia

Paesi: Etiopia, Gibuti, Sud Sudan

Sezione Distaccata: Juba, Sud Sudan

Direttore UTL Fabio Melloni

Villa Italia – Kebenà – P.O. Box: 1105 Addis Ababa – Ethiopia

Tel.: 0025111.1239600-1-2

E-mail: [email protected]

Sito web: www.itacaddis.org

Beirut, Libano

Paesi: Libano, Siria

Direttore UTL Guido Benevento

Baabda – Brazilia Region

Avenue Pierre Helou – Street 82, sector 3

Abdullah Farhat Building – 1st Floor

Tel.: 00961 – 54 51 379/406/494

E-mail: [email protected]

Sito web: www.utlbeirut.org

Belgrado, Serbia

Paesi: Serbia, Kosovo, Montenegro

Sezione Distaccata: Sarajevo, Bosnia

Direttore UTL Santa Molé

Kneza Miloša 56 11000 Belgrade, Serbia

Tel: 00381.11.36 29 349 - 354

E-mail: [email protected]

Sito web: http://www.skmbalcani.cooperazione.esteri.it

Dakar, Senegal Paesi: Senegal, Capoverde, Gambia, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Mali,

Mauritania, Niger, Burkina Faso

Direttore UTL Maria Rosa Stevan

69, Rue Kléber – Dakar, Sénégal

Tel.: 00221 – 33 822 87 11

E-mail: [email protected]

Sito web: www.dakar.cooperazione.esteri.it

Gerusalemme, Territori Palestinesi Paesi: Territori Palestinesi, Giordania

Direttore UTL Vincenzo Racalbuto

Mujeer Eddin St., 2 – Sheik Jarrah-Jerusalem

Tel.: 00972 – 2 53 27 447

E-mail: [email protected]

Sito web: www.gerusalemme.cooperazione.esteri.it

Hanoi, VietnamPaesi: Vietnam, Cambogia, Laos, Myanmar

Direttore UTL Riccardo Mattei

9, Le Phung Hieu Street

Tel.: 0084 – 43 93 41 663/ 37 18 466-1-2

E-mail: [email protected]

Sito web: www.ambhanoi.esteri.it

Il Cairo, Egitto

Direttore UTL Ginevra Letizia

1081, Corniche El Nil - Garden City (Cairo)

Tel.: 00202 – 27 95 82 13/79 20 87-3-4

E-mail: [email protected]

Sito web: www.utlcairo.org

Islamabad, Pakistan

Direttore UTL Domenico Bruzzone

Street 17, Diplomatic Enclave

G5, Islamabad - P.O. Box N.1008

Tel. + 92 51 2833183 - 2833173

E-mail: [email protected]

Sito web: www.ambislamabad.esteri.it

Kabul, AfghanistanDirettore UTL Maurizio Di Caliso

Great Massoud Road, Kabul (Afghanistan)

Tel.: 0093 – 797 47 474-6-5

E-mail: [email protected]

Sito web: www.coopitafghanistan.org

Khartoum, SudanPaesi: Sudan, Eritrea

Sezione distaccata: Asmara, Eritrea

Direttore UTL Carlo Cibò

Street 17 Amarat – P.O. Box 793 – Khartoum, Sudan

Tel: 00249 – 1 83 48 31 22/34 55

E-mail: [email protected]

Sito web: www.sudan.cooperazione.esteri.it

La Paz, Bolivia

Paesi: Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù

Direttore UTL Felice Longobardi

Calle 7 de Obrajes - La Paz, Bolivia

Tel.: 00591 – 22 78 80 01

E-mail: [email protected] / [email protected]

Sito web: www.amblapaz.esteri.it

Maputo, Mozambico

Paesi: Mozambico, Swaziland

Direttore UTL Mariano Foti

Rua Damião de Góis, 381 - Maputo

Tel.: 00258 – 21 49 17 82/87/88

E-mail: [email protected]

Sito web: www.italcoopmoz.com

Nairobi, KenyaPaesi: Kenya, Somalia, Tanzania, Seychelles

Direttore UTL Martino Melli

International House - Mama Ngina street, 9 piano

P.O.Box 30107 – 00100 Nairobi, Kenya

Tel.: 00254 – 20 31 9198/9/22 78 43

E-mail: [email protected]

Sito web: www.nairobi.cooperazione.esteri.it

Tirana, Albania

Direttore UTL Andrea Senatori

Rruga “Abdi Toptani” – Torre “DRIN”, Quinto piano - Tirana, Albania

Tel.: 00355 – 42 24 088 1/2/3

E-mail: [email protected]

Sito web: www.italcoopalbania.org

Tunisi, Tunisia

Direttore UTL Maurizio Bonavia

3, Rue de Russie - Tunis

Tel.: 00216 – 71 32 73 32/32 70 73/32 10 85

E-mail: [email protected]

Sito web: www.ambtunisi.esteri.it

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Bollettino Mensile della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo

“La Cooperazione Italiana Informa – Notiziario della Cooperazione Italiana allo Sviluppo”

Anno 2 – Numero 8 – Settembre 2012

Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 192/ 2011 il 17.06.2011

Direttore Responsabile: Ivana Tamai

Coordinamento Editoriale: Giovanni Brignone

Redazione: Stefania Borla, Giulia Dosi, Roberto Ragozzino

Segretaria di redazione: Francesca Siani

Editore: Ministero degli Affari Esteri

Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo

Copertina: Stefania Federici

Progetto grafico e impaginazione: Ediguida S.r.l. - www.ediguida.it

Hanno collaborato a questo numero: Paola Boncompagni, Rossella Bovo, Paolo Cardoni,

Claudia Guidarini, Katia Ippaso, Chiara Lazzarini,

Teresa Savanella, Maria Rosa Stevan, Ketty Tedeschi,

Donatella Vincenti

Per ricevere regolarmente il bollettino scrivere a: [email protected]

Per commenti e suggerimenti scrivere a: [email protected]

Il Bollettino è realizzato a scopo divulgativo e ne è vietata la vendita.La riproduzione, totale o parziale, del contenuto della pubblicazione è permessa previa autorizzazione dell’editore e citandone la fonte. Le opinioni espresse nei documenti pubblicati non rispecchiano necessariamente il punto di vista del Ministero degli Affari Esteri.

©2012 Ministero degli Affari Esteri

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P.le della Farnesina, 1

00135 Roma - Italia

T +39 06 3691 6927

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