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Bilateralità come tessera del secondo welfare? Prime considerazioni a partire dalle esperienze regionali nel settore artigiano Federico Razetti* Sessione 4 Innovazione sociale lungo i confini tra primo e secondo welfare: teorie ed evidenze empiriche Paper per la IX Conferenza ESPAnet Italia “Modelli di welfare e modelli di capitalismo. Le sfide per lo sviluppo socio-economico in Italia e in Europa” Welfare models and Varieties of Capitalism. The challenges to the socio- economic development in Italy and EuropeMacerata, 22-24 settembre 2016 *Laboratorio “Percorsi di Secondo Welfare”; [email protected]

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Bilateralità come tessera del secondo welfare?

Prime considerazioni a partire dalle esperienze regionali

nel settore artigiano

Federico Razetti*

Sessione 4 –

Innovazione sociale lungo i confini tra primo e secondo welfare:

teorie ed evidenze empiriche

Paper per la IX Conferenza ESPAnet Italia

“Modelli di welfare e modelli di capitalismo.

Le sfide per lo sviluppo socio-economico in Italia e in Europa”

Welfare models and Varieties of Capitalism. The challenges to the socio-

economic development in Italy and Europe”

Macerata, 22-24 settembre 2016

*Laboratorio “Percorsi di Secondo Welfare”; [email protected]

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Abstract

Nel contesto della grave crisi economica iniziata nel 2008 e non ancora conclusasi, è andata lentamente

crescendo l’attenzione, degli attori sociali e degli studiosi, verso il contributo che i diversi strumenti della

bilateralità possono offrire nella costruzione di forme di welfare integrativo. Da questo punto di vista, le

esperienze bilaterali possono essere collocate a pieno titolo nel più vasto campo del cosiddetto ‘welfare

contrattuale’ o ‘occupazionale’, a fianco dei più noti e via via più numerosi esempi di welfare aziendale. Se

questi ultimi, nonostante le trasformazioni in corso, tendono ancora a concentrarsi nelle imprese di

dimensioni medio-grandi attive nei settori economici più forti, il “welfare bilaterale” potrebbe rivelarsi una

strada promettente, in quanto più facilmente percorribile, per l’offerta di protezione sociale a tutela di

lavoratori impiegati in settori produttivi caratterizzati da alta frammentazione e ridotte dimensioni di

impresa. Non a caso uno dei comparti che anche negli ultimi anni ha mostrato maggiore vitalità nel ricorso

alla bilateralità è stato quello artigiano. In che misura, dunque, gli strumenti della bilateralità possono

contribuire alla costruzione di secondo welfare? Per rispondere a tale interrogativo, il paper prende in esame

il ruolo effettivamente giocato nell’erogazione di prestazioni sociali dagli organismi bilaterali operativi a

livello regionale nel settore artigiano, focalizzando in particolare l’attenzione su due diverse aree di policy

che, per motivi diversi, presentano elementi problematici nel contesto del welfare state italiano: l’assistenza

sanitaria e le misure di conciliazione vita-lavoro. La scelta di restringere l’attenzione al livello territoriale

della bilateralità si giustifica alla luce della centralità che il territorio riveste, sul piano teorico, nel

paradigma del secondo welfare e, sul piano storico, nello sviluppo della bilateralità artigiana: oltre a

mobilitare attori e risorse non pubblici, gli strumenti di welfare bilaterale attivati a livello regionale sono

effettivamente in grado di adattare l’offerta di prestazioni alle specifiche esigenze locali, di sperimentare

servizi e strumenti innovativi, di creare reti con altri attori del territorio per costruire un’offerta integrata di

politiche sociali? Il paper, dopo aver chiarito i principali concetti impiegati nell’analisi e aver illustrato le

principali tappe evolutive della bilateralità nel comparto artigiano in Italia, ricostruisce, attraverso la

raccolta empirica di dati (qualitativi e quantitativi) e l’approfondimento di alcuni casi studio (attraverso il

ricorso a fonti primarie e secondarie), una mappa aggiornata dell’offerta di prestazioni in uno dei settori

produttivi in cui la bilateralità presenta il più consolidato radicamento a livello territoriale e mostra i segnali

di maggiore dinamismo. L’analisi dei dati raccolti consente innanzitutto di valutare in che misura la

bilateralità possa essere considerata una “tessera” del complesso puzzle del secondo welfare: relativamente

al tipo di rischi protetti (vecchi o nuovi), al grado di innovazione delle prestazioni messe a disposizione dei

lavoratori (in particolare, in termini di strumenti adottati) e al livello di differenziazione territoriale

osservabile. Infine, l’analisi permette di sviluppare alcune prime riflessioni sul tipo di “incastro” – più o

meno virtuoso – fra le tessere welfare bilaterale e quelle del primo welfare, così come fra i diversi livelli

(regionale e nazionale) della bilateralità.

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1. Introduzione1

Le esperienze di ‘welfare bilaterale’ possono essere collocate a pieno titolo nel più vasto campo

del cosiddetto ‘welfare contrattuale’ o ‘occupazionale’, a fianco dei più noti e via via più

numerosi esempi di welfare aziendale. Se questi ultimi, nonostante le trasformazioni in corso,

tendono ancora a concentrarsi in Italia nelle imprese di dimensioni medio-grandi attive nei

settori economici tradizionalmente più forti (Mallone 2015a; Mallone 2015b; ISTAT 2015a), il

welfare bilaterale potrebbe rivelarsi una strada promettente per l’offerta di protezione sociale a

tutela dei lavoratori impiegati in settori produttivi più deboli.

Si tratta di un fenomeno complesso, la cui comprensione chiama in causa tanto gli studi

orientati all’analisi delle relazioni industriali, sollecitati a interrogarsi sulle variazioni dei

rapporti di potere fra le parti sociali e sulla ridefinizione del ruolo del sindacato nel campo della

contrattazione e della cogestione di servizi (es. Leonardi 2014), quanto gli studi incentrati sulle

trasformazioni dei welfare state, chiamati a esplorare potenzialità e rischi di tali sviluppi nel

quadro della più generale ridefinizione istituzionale dei sistemi di protezione sociale (Ascoli et

al. 2013; Agostini e Ascoli 2014; Leonardi e Arlotti 2012). In questa seconda prospettiva,

l’interrogativo principale affrontato in questo contributo è relativo alla misura in cui gli

strumenti della bilateralità possano essere considerati una tessera del complesso puzzle del

cosiddetto “secondo welfare” (Maino e Ferrera 2013a, 2013b, 2015; Leonardi 2014).

Per rispondere a tale quesito, il paper prende in esame il ruolo giocato nell’erogazione di

prestazioni sociali a vantaggio dei lavoratori dipendenti2 dagli organismi bilaterali operanti a

livello territoriale in un settore economico specifico – quello artigiano –, focalizzando

l’attenzione su due aree di policy che, per motivi diversi, presentano aspetti problematici nel

contesto del welfare state italiano: l’assistenza sanitaria e le misure a sostegno della famiglia.

Si proverà a valutare se, oltre a mobilitare attori e risorse non pubblici, gli strumenti di welfare

bilaterale attivati a livello regionale siano concretamente in grado di realizzare interventi

rilevanti, di adattare l’offerta di prestazioni alle esigenze locali, di sperimentare servizi e

strumenti innovativi, di creare reti con altri attori del territorio per costruire un’offerta integrata

di politiche sociali. Ciò consentirà di definire quanto siano fondati i timori relativi a possibili

“effetti perversi” del secondo welfare (Maino e Ferrera 2013b) e ai limiti della bilateralità messi

in luce dalle poche ricerche empiriche dedicate sino ad ora a questo tema (Bozzao 2015). Al di

là degli indubbi benefici che possono generare (in termini di estensione della protezione), anche

le pratiche bilaterali, come le altre esperienze di secondo welfare (specialmente di stampo

occupazionale), corrono infatti una serie di rischi che è bene non sottovalutare: di accentuare la

segmentazione tipica del mercato del lavoro italiano, di generare iniziative sparse, di aggravare

il divario che separa il Nord dal Sud del paese, di perdere l’occasione per realizzare innovazione

sociale (Ferrera e Maino 2013b; Agostini e Ascoli 2014; Ascoli et al. 2012).

Il fuoco sul livello territoriale della bilateralità si giustifica alla luce della centralità che il

territorio riveste, sul piano teorico, nel paradigma del secondo welfare3 e, sul piano storico,

nello sviluppo della bilateralità artigiana (es. Nogler 2014a). Tale scelta offre inoltre il

1 Desidero ringraziare Eleonora Rosso e Valentino Santoni, senza il cui prezioso aiuto la raccolta dei dati utilizzati per

questo lavoro sarebbe stata senza dubbio più lenta e meno precisa. 2 Non si prenderanno in esame le provvidenze erogate a favore delle imprese e degli imprenditori. 3 Che sottolinea la centralità di attori economici e sociali collegati in reti caratterizzate dal forte ancoraggio territoriale,

anche se aperte al confronto e alle collaborazioni trans-locali.

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vantaggio di ridurre le condizioni strutturali potenzialmente in grado di influenzare le variazioni

– molto rilevanti – osservabili nell’offerta di welfare bilaterale (Razetti 2015).

Dopo aver chiarito i principali concetti impiegati nell’analisi, aver illustrato le più

importanti tappe evolutive della bilateralità nel comparto artigiano in Italia (§ 2) e la sua attuale

articolazione a livello regionale (§ 3), il paper ricostruisce una mappa aggiornata dell’offerta di

prestazioni sanitarie e di sostegno alla famiglia. L’analisi delle evidenze empiriche raccolte,

illustrate nel § 4, consente di avanzare alcune riflessioni critiche, nel paragrafo conclusivo, su

limiti e prospettive della bilateralità artigiana quale “tessera” del complesso puzzle del secondo

welfare (§ 5).

2. Bilateralità e artigianato: evoluzione storica e assetto attuale

Gli organismi bilaterali sono organizzazioni che originano dalla libera contrattazione fra le parti

sociali. Composti e gestiti pariteticamente dai rappresentanti delle parti che stipulano i contratti

che li istituiscono, essi perseguono come finalità principale l’erogazione – alle parti aderenti –

di servizi e prestazioni, definiti dalle organizzazioni aderenti (ma talvolta anche dalla legge) e

finanziati grazie ai contributi versati, in genere in misura diversa, da lavoratori e datori di

lavoro. Quando la loro funzione consiste nella raccolta di contributi destinati al finanziamento

di un insieme specifico di prestazioni, tali organismi possono assumere la fisionomia di fondi

bilaterali, anch’essi caratterizzati da una composizione e una gestione ispirati ai principi della

pariteticità e della sussidiarietà. Organismi e fondi bilaterali – di livello nazionale e territoriale

– sono strumenti cui le parti sempre più spesso ricorrono al fine di mettere in campo interventi

sociali a tutela dei datori di lavoro e dei dipendenti, realizzando così varie forme di welfare

contrattuale.

Le prime forme organizzate di bilateralità vedono la luce agli inizi del secolo scorso a

livello locale, soprattutto nei settori diversi dall’industria manifatturiera: settori caratterizzati

da una contrattazione basata sul livello provinciale e privi di alcune condizioni (concentrazione

del lavoro, della produzione e della rappresentanza) rivelatesi essenziali per il successivo

sviluppo degli ammortizzatori sociali nell’industria, dove la bilateralità rimarrà a lungo un

fenomeno circoscritto, limitato alla “costituzione di fondi e tavoli tecnici in materia di

formazione, apprendistato, salute e sicurezza” (Leonardi 2014, 29; Italia Lavoro 2014; Bavaro

2011).

Il primo settore economico in cui la bilateralità emerge come lo strumento più adatto a

strutturare le relazioni industriali e garantire i diritti dei lavoratori è quello delle costruzioni,

caratterizzato da un’altissima frammentazione produttiva e un’altrettanto forte mobilità e

instabilità occupazionale (Cimaglia e Aurilio 2011). La prima “Cassa Edile” nasce a Milano

nel 1919, grazie a un accordo tra il Collegio dei Capimastri e l’Associazione Mutua

Miglioramento tra Muratori, Badilanti, Manovali e Garzoni della città. Il modello delle Casse,

che, dopo l’arresto determinato dall’avvento del regime fascista, si consolida nel corso degli

anni Cinquanta e Sessanta, viene presto adottato – anche se con meno successo – in un altro

settore economico caratterizzato da frammentazione produttiva e discontinuità del lavoro,

oltreché da un sistema contrattuale imperniato sul livello territoriale: l’agricoltura. La

creazione, a partire dagli anni Cinquanta, di organismi paritetici in alcune province – le

cosiddette “Casse Extra Legem” (la prima è istituita a Brescia nel 1948) – è motivata anche in

questo caso dall’esigenza di assicurare a operai e imprenditori l’esistenza di forme articolate e

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stabili di relazioni collettive. Le Casse consentono di garantire agli operai l’erogazione di

misure di sostegno al reddito, principalmente a integrazione dei trattamenti previsti dalla legge

in caso di assenza dal lavoro per malattia o infortunio professionale.

Pur caratterizzato da condizioni strutturali simili a quelle dell’agricoltura e dell’edilizia,

l’artigianato – comparto intersettoriale, trasversale a numerose aree produttive – ha sviluppato

forme organizzate di bilateralità più tardi, per via dell’articolazione del comparto su diversi

contratti e per la limitata presenza, per lungo tempo, di lavoratori dipendenti4. Le prime casse

mutue di malattia sono istituite, su scala provinciale, negli anni Settanta in Veneto, Emilia-

Romagna, Toscana e Marche, per l’erogazione delle prestazioni previste dai contratti, sul

modello edile (Italia Lavoro 2014, 219). È tuttavia nel corso del decennio successivo che la

bilateralità artigiana, grazie a una serie di Accordi Interconfederali nazionali, assume la forma

di organismi giuridici paritetici di livello regionale5, fino alla creazione – nel 1995 –

dell’EBNA, l’Ente Bilaterale Nazionale per l’Artigianato, cui aderiscono tutte le sigle del

comparto: Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI per la parte datoriale, Cgil, Cisl e Uil,

per quella sindacale. Il forte radicamento della bilateralità artigiana a livello regionale, dove si

contano oggi 21 Enti (cfr. Tabella 2), è confermato dal fatto che a lungo l’Ente nazionale,

costituito solo successivamente alla creazione della maggior parte degli Enti territoriali, ha

finito per fungere essenzialmente da cassa finanziaria della bilateralità regionale, quasi “come

se la soluzione istituzionale (ente bilaterale) subisse un effetto di annebbiamento o sfuocamento

man mano che si allontana dalla realtà produttiva che dovrebbe servire” (Nogler 2014a, 19)6.

Nel corso degli anni ’90 e 2000 gli Enti e i fondi, regionali e nazionali, allargano il

proprio raggio d’azione, prevedendo, interventi a favore di imprese e lavoratori, volti a garantire

la tutela del reddito dei lavoratori in caso di sospensione o riduzione dell’attività, formazione,

sostegno all’innovazione tecnologica per le imprese. Una vera è propria svolta si registra dalla

fine degli anni 2000, in un intreccio crescente fra dimensione privatistica e pubblicistica degli

interventi previsti da disposizioni contrattuali e legislative.

A livello negoziale, gli Accordi Interconfederali del 23 luglio e del 15 dicembre 2009

segnano l’avvio della cosiddetta “nuova bilateralità”, disponendo che la disciplina della

contribuzione agli Enti bilaterali dell’artigianato sia recepita quale parte integrante di tutti i

contratti del comparto e che l’accesso alle prestazioni della bilateralità artigiana si configuri

come un vero e proprio diritto contrattuale dei lavoratori: in caso di mancata adesione agli

strumenti della bilateralità da parte dell’impresa, i dipendenti maturano, nei confronti di

quest’ultima, il diritto a ricevere un Elemento Aggiuntivo della Retribuzione (EAR, di importo

superiore all’equivalente contribuzione a carico dell’impresa), oltre al diritto all’erogazione

diretta, da parte dell’impresa stessa, di tutte le prestazioni previste dalla bilateralità. Si tratta

della “contrattualizzazione” delle prestazioni erogate dagli Enti Bilaterali, in vigore dal luglio

2010.

4 I CCNL di riferimento sono: meccanica, tessile-moda, chimica-ceramica, agroalimentare, legno-lapidei,

comunicazione, servizi e autotrasporto. 5 Così come stabilito nell’Accordo Interconfederale del 27 febbraio 1987, in controtendenza con quanto deciso nel

precedente Accordo del 21 dicembre 1983, in cui si optava per la dimensione provinciale (Cimaglia e Aurilio 2011). A

Siena è ancora operativa la “Cassa Integrazione Assistenza Siena”, istituita nel 1974 su scala provinciale. 6 La centralità del livello regionale è richiamata esplicitamente nell’Accordo Interconfederale del 3 agosto 1992,

secondo il quale “il sistema degli Enti Bilaterali è realizzato in maniera piena e generalizzata a livello regionale. L’Ente

Bilaterale Nazionale vedrà al suo interno solo quei Fondi relativi a prestazioni che richiedano o rendano opportuno tale

livello”.

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In tale contesto si inserisce – sul piano legislativo – la disciplina dei Fondi di Solidarietà

Bilaterali, definita prima dalla Legge 92 del 2012 (riforma Fornero), poi dalla Legge 183 del

2014 (cosiddetto “Jobs Act”). Nel generale processo di riforma degli ammortizzatori sociali, i

due provvedimenti riconoscono una certa specificità alle iniziative già realizzate, per via

contrattuale, nel comparto artigiano a tutela del reddito dei lavoratori in caso di riduzione o

sospensione dell’attività lavorativa. Considerata l’esclusione delle imprese artigiane

dall’istituto della Cassa Integrazione, i primi interventi mutualistici messi in campo dalla

bilateralità artigiana, già attraverso le casse mutue degli anni Settanta, si erano concentrati

infatti nel campo del sostegno al reddito in caso di sospensione dell’attività, uno dei settori di

intervento in cui gli Enti regionali dell’artigianato hanno sviluppato la tradizione più

consolidata (Giovani 2011, Lai 2006). Tali misure hanno poi assunto la forma di “Fondi

intercategoriali regionali”, destinati alla “salvaguardia del patrimonio di professionalità del

lavoro dipendente e imprenditoriale delle imprese artigiane”, in caso di crisi con sospensione

dell’attività produttiva7.

Con l’obiettivo di assicurare una tendenziale universalizzazione negli schemi di tutela del

reddito “in costanza di rapporto di lavoro”, la riforma Fornero aveva disposto che “al fine di

assicurare la definizione […] di un sistema inteso ad assicurare adeguate forme di sostegno per

i lavoratori dei diversi comparti, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente

più rappresentative a livello nazionale” avrebbero dovuto stipulare accordi e contratti collettivi

con l’obiettivo di costituire “fondi di solidarietà bilaterali” per i settori non coperti dalla

normativa in materia di integrazione salariale così da assicurare ai lavoratori una tutela in

costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per

cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria (art.

3, c. 4). L’istituzione di questi fondi presso l’Inps diventava obbligatoria per tutti i settori non

coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, relativamente alle imprese che

occupano mediamente più di quindici dipendenti (art. 3, c. 10)8. Accanto a tal fondi, il

provvedimento del 2012 delineava un modello di fondo di solidarietà “alternativo” per tutti quei

settori – quale quello artigiano, esplicitamente evocato nella legge – in cui risultassero già

operanti “consolidati sistemi di bilateralità” (art. 3, c. 14): in questi casi, era riconosciuta alle

organizzazioni di rappresentanza la possibilità di adeguare le fonti istitutive dei rispettivi fondi

bilaterali alle finalità perseguite dalla legge (dando così vita ai “Fondi di Solidarietà Bilaterale

Alternativi”, anche per le aziende con, in media, meno di quindici dipendenti)9. La Legge

7 Così come previsto dall’Accordo Interconfederale del 21 luglio del 1988. L’intervento dei Fondi regionali era

originariamente concepito solo in caso di crisi causate da eventi di forza maggiore, “indipendenti dalla volontà

dell’imprenditore”; successivamente, il campo d’azione è stato esteso ai casi di crisi aziendali e congiunturali (Accordi

Interconfederali del 2 febbraio e 22 giugno 1993). 8 Si parla in questo caso di “Fondi di Solidarietà Bilaterale Obbligatori”. Ad essi veniva poi riconosciuta la possibilità di

prevedere anche interventi a tutela del reddito dei lavoratori, in caso di cessazione dal rapporto di lavoro, integrativi

dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (Aspi) e di contribuire al finanziamento di programmi formativi. 9 A differenza di quelli obbligatori, si tratta di fondi bilaterali definiti “puri” poiché non è prevista la loro istituzione

presso l’Inps; è invece definito “spurio” il modello di fondo bilaterale che “prevede un ruolo delle parti sociali

essenzialmente limitato al concepimento del fondo e alla definizione delle regole (peraltro nella cornice di svariati

paletti posti dal legislatore); il parto del fondo e delle regole avviene poi solo attraverso un decreto del Ministro del

lavoro. Egli fa nascere il fondo come una gestione dell’Inps e ne affida l’amministrazione a un comitato amministratore

composto in netta prevalenza da esperti designati dalle parti sociali, ma operante sotto stretto controllo dell’Inps e del

Ministero” (Liso 2012, 2). Infine, la legge prevedeva la costituzione, presso l’Istituto di Previdenza, di un “Fondo di

Solidarietà Bilaterale Residuale” (riservato alle aziende con in media più di 15 dipendenti), in caso di inadempienza

delle parti sociali nel raggiungimento di un accordo collettivo per la costituzione obbligatoria del fondo.

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92/2012 riconosceva anche, in via sperimentale per il periodo 2013-2015, l’erogazione della

indennità di disoccupazione collegata all’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI) ai

lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali in possesso di particolari requisiti

assicurativi e contributivi, a condizione di un intervento integrativo pari almeno al 20%

dell’indennità stessa a carico degli Enti bilaterali (opportunità effettivamente colta da molti

organismi).

In questo quadro si è inserito il successivo D.lgs. 148 del 14 settembre 2015, ultimo

tassello del cosiddetto “Jobs Act”. Il provvedimento, confermando l’impianto definito dalla

riforma Fornero, ne ha allargato il campo di applicazione, disponendo l’obbligatorietà, da

gennaio 2016, dell’istituzione di Fondi Bilaterali di Solidarietà per tutte le imprese attive in

settori non coperti dalla Cassa Integrazione e che in media occupano più di cinque dipendenti

(non più quindici). Anche in questo caso, la mancata osservanza dell’obbligo dovrebbe

comportare l’adesione al fondo definito “residuale” dalla legge del 2012, ora ribattezzato

“Fondo di Integrazione Salariale” (FIS) ed esteso alle imprese che impiegano più di cinque

dipendenti.

Come richiesto dalla normativa, il sistema bilaterale artigiano ha adattato i propri

strumenti di sostegno al reddito dando vita al “Fondo di Solidarietà Bilaterale per l’Artigianato”

(FSBA), fondo “alternativo” riconosciuto con decreto ministeriale (9 gennaio 2015, n. 86986)10.

L’FSBA – incardinato presso l’Ente Bilaterale Nazionale, che accresce così il suo ruolo di

coordinamento a discapito degli Enti regionali – interviene dal luglio 2016 a favore dei

dipendenti delle imprese artigiane iscritte al sistema bilaterale con prestazioni integrative in

caso di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro per difficoltà aziendali: assegno ordinario

e assegno di solidarietà11.

A fianco degli interventi a sostegno del reddito dei lavoratori in caso di riduzione o

sospensione dell’attività lavorativa, sicuramente uno dei campi che ha visto il maggiore

impegno degli Enti artigiani, sin dagli anni Novanta il sistema bilaterale artigiano ha

gradualmente allargato il proprio raggio di intervento, in particolare nei campi delle relazioni

sindacali (organizzate su base territoriale)12; della formazione (come previsto dalla legge 388

del 2000, con l’istituzione di FONDARTIGIANATO, che contribuisce ai costi per la

formazione dei lavoratori per migliorarne e accrescerne la professionalità); della salute e

sicurezza sui luoghi di lavoro (Accordi del 1996); ma anche della sanità integrativa (prima a

livello regionale, poi a livello nazionale, con l’istituzione del fondo San.Arti.: Maino e Razetti

2015) e della previdenza complementare (con l’avvio del fondo ARTIFOND successivamente

confluito, a causa dell’insufficienza delle adesioni, nel fondo FONTE).

A seguito del percorso appena ricostruito, l’artigianato presenta un sistema bilaterale

articolato su due livelli – nazionale e regionale – in cui operano diversi fondi e enti bilaterali

(Tabella 1).

10 L’impegno delle parti sociali dell’artigianato a implementare il modello delineato dalla Riforma Fornero viene

esplicitato già nell’Accordo Interconfederale del 30 novembre 2012, cui fa seguito la costituzione di FSBA presso

EBNA nell’ottobre dell’anno successivo. 11 L’Assegno Ordinario, in seguito ad accordo sindacale, e in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa

dovuta a eventi transitori o situazioni temporanee di mercato; l’Assegno di Solidarietà, in seguito ad accordo sindacale,

in caso di riduzione dell’orario di lavoro finalizzata a evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo

oggettivo”. 12 L’Accordo Interconfederale del 1988 ha previsto le Rappresentanze Sindacali di Bacino.

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Tabella 1 – Il sistema bilaterale artigiano principali articolazioni a livello nazionale e regionale

CCNL

Fondi nazionali

Ente

bilaterale

nazionale

Enti bilaterali

territoriali Previdenza

complementare

Assistenza

sanitaria

integrativa

Formazione Sostegno al

reddito

Tutti i settori,

tranne

autotrasporto

e edilizia

FONTE SAN.ARTI. FONDARTIGIA

NATO FSBA EBNA

21

(19 regionali

+

TN e BZ)

3. Il sistema degli Enti Bilaterali regionali: caratteristiche organizzative e funzionali

Sul finire degli anni Ottanta la bilateralità artigiana, dopo un’iniziale preferenza accordata al livello

provinciale, identifica nella dimensione regionale la scala territoriale più adatta per la propria

articolazione istituzionale. Il processo di costituzione dei vari enti impegna le parti sociali regionali

per quasi un decennio, dal 1989, quando nasce l’EBAV (l’Ente bilaterale artigiano veneto) al 1998,

anno in cui vede la luce EBIART in Friuli-Venezia Giulia (cfr. Tab. 2). Se confrontato con altri

sistemi bilaterali con forte radicamento territoriale, in particolare con quelli del terziario e del turismo,

il sistema bilaterale artigiano presenta un certo livello di compattezza, reso possibile dall’esistenza di

un unico asse contrattuale interconfederale e dall’articolazione su base regionale e non provinciale.

Non mancano tuttavia differenze rilevanti fra i diversi Enti regionali.

Le differenze non si concentrano tanto nella loro composizione. Perlopiù le parti aderenti agli

Enti Regionali non sono altro che le articolazioni regionali delle controparti nazionali aderenti

all’EBNA (cfr. Tab. 2). Minime variazioni si registrano in Valle d’Aosta (dove, per la parte sindacale,

a Cgil, Cisl e Uil si aggiunge anche la locale SAVT) e nelle province autonome di Trento e Bolzano

(sul versante della rappresentanza datoriale). Più in generale, non appare omogenea la presenza, fra i

soci aderenti agli Enti Regionali, della CLAAI (la Confederazione Libere Associazioni Artigiane

Italiane), la più piccola delle associazioni datoriali. Gli Enti, inoltre, assumono tutti la veste di

“associazioni non riconosciute”, ai sensi degli articoli 36-38 del Codice Civile: un assetto che se da

un lato consente alle parti un certo grado di flessibilità, dall’altro non ha mancato di essere oggetto di

rilievi critici, che ne hanno contestato la scarsa trasparenza e messo in dubbio l’idoneità gestionale

(Croce 2015)13. Caso parzialmente differente è rappresentato dall’EBER, l’ente bilaterale regionale

dell’Emilia-Romagna, che si articola in due differenti strutture: all’associazione non riconosciuta è

stata infatti recentemente affiancata EBER s.r.l., una società di servizi il cui unico socio è la stessa

EBER14.

13 “Il sistema bilaterale è spesso privo di figure professionali qualificate, che sappiano assicurare le necessarie

competenze nella gestione degli enti, integrando il ruolo di orientamento politico e strategico proprio delle parti sociali.

Trasparenza e valutazione sono leve importanti per affermare un ruolo degli enti bilaterali nel quadro più generale delle

politiche di mercato del lavoro e del welfare. Dovrebbero anche servire a diradare i sospetti che tali enti finiscano

piuttosto per determinare inefficienze e oneri impropri” (Croce 2015, p. 255). 14 EBER s.r.l. organizza ed eroga i servizi contabili, amministrativi, gestionali, di formazione ed editoriali a vantaggio di

EBER, oltre ad essere il datore di lavoro di tutti i dipendenti dell’associazione. L’esigenza di tale sdoppiamento

organizzativo è originata principalmente da ragioni fiscali (Menegatti 2014).

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Tipicamente, gli organismi statutari comprendono un organo assembleare (assemblea o

consiglio direttivo), che esprime un organo più ristretto (consiglio di amministrazione o comitato

direttivo) cui è affidata l’amministrazione dell’Ente e che generalmente si avvale della figura tecnico-

amministrativa del Direttore o Coordinatore; l’assemblea indica, inoltre, un Presidente e un

Vicepresidente. Tutti gli organismi rispettano la regola della composizione paritetica. Di norma, il

Presidente è espressione di una delle associazioni datoriali, mentre il Vicepresidente di una delle

associazioni sindacali. Le diverse associazioni (con l’eccezione della CLAAI, che talvolta rinuncia)

si alternano nelle cariche attribuite secondo un principio di rotazione.

Di fatto, gli Enti presentano regole di governance piuttosto diversificate (Sandulli et al. 2015)

e gradi diversi di sviluppo istituzionale. Quest’ultimo può essere colto guardando ad alcune

caratteristiche organizzative, come l’articolazione territoriale dell’Ente (per esempio, attraverso

l’apertura a livello locale di sportelli informativi o di vere e proprie sedi distaccate); l’istituzione di

un Osservatorio (uno strumento in grado di fornire all’Ente dati affidabili e aggiornati sulle dinamiche

del comparto a livello regionale); la gestione dei contributi raccolti attraverso fondi separati: oltre a

quello per il “Sostegno al Reddito”, i più comuni sono quelli per la “Rappresentanza Sindacale” e per

la formazione. In alcuni casi (ad esempio, Piemonte e Lombardia), a ogni fondo corrispondono

speciali Comitati paritetici all’interno dell’Ente.

A differenziare ulteriormente il profilo istituzionale degli Enti qui considerati è la loro

“consistenza numerica”, ovvero il numero di imprese e di lavoratori dipendenti effettivamente iscritti

a ciascuno di essi, sia in termini assoluti sia rispetto alla platea potenziale. Si tratta di dati che risultano

reperibili con difficoltà tanto per gli osservatori esterni15 quanto – come dichiarato da diversi

intervistati – per gli Enti stessi, a causa di difficoltà nella condivisione delle informazioni con l’INPS.

Se confrontati, i dati disponibili in letteratura per i singoli enti, anche quando relativi allo stesso anno,

appaiono non sempre concordanti (es. Sandulli et al. 2015; Confartigianato 2015; Nogler 2014a). Per

questo, si è preferito procedere a una raccolta dati originale (attraverso la somministrazione di un

questionario), i cui i risultati sono illustrati nella Tabella 3.

15 A questo proposito, in un recente Quaderno della Fondazione Brodolini dedicato al tema della bilateralità, Croce

(2015) riconosce che i questionari somministrati alle strutture territoriali hanno restituito informazioni lacunose e

frammentarie, che impediscono la costruzione di una base dati sufficiente a ricavare un quadro statistico esauriente.

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Tabella 2 – Gli Enti Bilaterali territoriali del comparto artigianato

Fonte: elaborazione propria: Legenda: n.d.: informazione non disponibile; = caratteristica presente; - = caratteristica assente.

16 Come spiegato più avanti, molte prestazioni gestite da ELBA fino al 2015 sono ora gestite dal fondo integrativo territoriale WILA, strettamente collegato a ELBA.

Territorio Acronimo

Ente

Anno di

costituzione

Associazioni

datoriali aderenti

(2016)

Associazioni sindacali aderenti

(2016)

Forma

giuridica

Articolazione

territoriale

Articolazione

in fondi

separati

Osservatorio

Valle d’Aosta EBAVA n.d. Cgil, Cisl, Uil,

SAVT Confartigianato, CNA, CLAAI Ass. non riconosciuta - -

Piemonte EBAP 1993 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani Ass. non riconosciuta -

Lombardia ELBA 1993 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta -16 -

Trento EBAT 1995 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato Ass. non riconosciuta - - -

Bolzano EBA/BKH 1991 Cgil, Cisl, Uil ASGB, CNA, LVH Ass. non riconosciuta - - -

Veneto EBAV 1989 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani Ass. non riconosciuta

Friuli-Venezia

Giulia EBIART 1998 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA Ass. non riconosciuta -

Liguria EBLIG 1994 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta - -

Emilia-

Romagna EBER 1991 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI

Ass. non riconosciuta S.r.l.

Toscana EBRET 1991/2010 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani Ass. non riconosciuta - - Umbria EBRAU n.d Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI n.d - -

Marche EBAM 1995 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta

Lazio EBLART 1994 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta - -

Abruzzo EBRARTA 1997 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta - -

Basilicata EBAB 1994 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI - - -

Molise EBRAM 1997 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani Ass. non riconosciuta n.d. n.d. n.d.

Puglia EBAP 1996 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta -

Campania EBAC 1994 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta - -

Calabria EBAC 1992 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani Ass. non riconosciuta - - -

Sicilia EBAS 1993 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta - - -

Sardegna EBAS 1993 Cgil, Cisl, Uil Confartigianato, CNA, Casartigiani, CLAAI Ass. non riconosciuta - -

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Tabella 3 – Lavoratori e imprese aderenti agli enti bilaterali regionali

Fonte: elaborazione propria. Note: l’ultimo dato si riferisce a quello comunicato dall’Ente, relativo o al 31.12.2015

o ai primi mesi del 2016. I dati di Veneto e Lombardia sono stati tratti dai rispettivi siti internet, mentre quelli della

Campania da RICART (2016).

Nonostante alcune lacune, questi dati (in parte integrati da fonti secondarie) consentono di

stimare approssimativamente i lavoratori artigiani attualmente coinvolti nel sistema bilaterale intorno

ai 700.000, prevalentemente concentrati nelle grandi regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia-

Romagna e Piemonte). Quando possibile, il confronto temporale segnala un generale aumento delle

adesioni (con l’eccezione di Friuli e Basilicata), a riprova dell’effetto della “nuova bilateralità”, tanto

più rilevante se si considerano gli effetti dell’attuale crisi economica anche sul comparto artigiano in

termini di riduzione di imprese e lavoratori. Se ai dati assoluti affianchiamo quelli relativi ai tassi

regionali di adesione, le informazioni reperibili da fonti diverse, benché frammentarie e talvolta non

coincidenti, integrate con quelle raccolte per questa analisi, convergono nel documentare l’esistenza

di una fortissima frattura territoriale che separa nettamente le esperienze bilaterali del Centro-Nord

da quelle del Mezzogiorno. Se è vero che in molti casi si registra un aumento di imprese e lavoratori

iscritti – particolarmente evidente proprio in alcune regioni del Centro-Sud (Lazio, Puglia e

Sardegna), dove i margini di crescita erano più ampi – non si può non osservare che le esperienze più

avanzate del Centro-Nord continuano a contrapporsi a quelle del Mezzogiorno, dove si registrano

tassi di adesione estremamente bassi: in tutta la Sicilia si contano meno lavoratori iscritti che nella

sola provincia di Bolzano. Ulteriori conferme del ritardo maturato dagli Enti Bilaterali del

Territorio Ente Imprese Lavoratori

Ultimo dato 2006 Ultimo dato 2006

Valle d’Aosta EBAVA n.d. n.d n.d. n.d

Piemonte EBAP 17.300 ca. 11.000 ca. 65.000 ca. 42.000

Lombardia ELBA 40.000 ca. 32.000 ca. 160.000 ca. 135.000 ca.

Trento EBAT 3.310 2.845 11.930 10.249

Bolzano EBA/BKH 2.700 ca. n.d. 11.000 ca. n.d.

Veneto EBAV 33.000 ca. n.d. 140.000 ca. n.d.

Friuli-Venezia Giulia EBIART 5.419 7.373 21.136 23.151

Liguria EBLIG 6.500 ca. n.d. 20.100 ca. n.d.

Emilia-Romagna EBER 22.000 ca. n.d. 90.000 ca. n.d.

Toscana EBRET 17.098 14.670 70.798 57.497

Umbria EBRAU n.d. n.d. n.d. n.d.

Marche EBAM 10.277 5.517 48.157 26.029

Lazio EBLART 2.000 ca. 300 ca. 7.600 ca. 700 ca.

Abruzzo EBRARTA 1.619 n.d. 5.954 n.d.

Basilicata EBAB 1.571 2.295 4.104 5.000 ca.

Molise EBRAM 881 n.d. 2.828 n.d.

Puglia EBAP 6.432 2.576 19.547 7.528

Campania EBAC 3.300 ca. n.d. 6.900 ca. n.d.

Calabria EBAC n.d. n.d. n.d. n.d.

Sicilia EBAS 2.508 1.650 ca. 7.315 5.000 ca.

Sardegna EBAS 4.517 1.708 11.170 4.038

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Mezzogiorno nei tassi di adesione si trovano in alcuni siti internet degli stessi Enti17, in alcuni

documenti programmatici e, indirettamente, nell’analisi di altre esperienze bilaterali interne al mondo

artigiano, come quella del fondo sanitario integrativo San.Arti18.

Considerando congiuntamente la dimensione dell’articolazione istituzionale e, per quanto

possibile, quella della consistenza numerica degli Enti, appare realistico identificare gradi diversi di

consolidamento dei sistemi bilaterali artigiani a livello regionale. Al Centro-Nord, tra i sistemi più

consolidati si devono certamente annoverare quelli del Veneto (Nogler 2014b), dell’Emilia-Romagna

(Menegatti 2014), e delle Marche (Leonardi e Arlotti 2012; Angelini 2014; Santoni 2016): in molti

casi si tratta dei territori in cui si registrano i primi esperimenti bilaterali già negli anni Settanta; gli

Enti presentano una presenza capillare sul territorio, gestiscono le provvidenze attraverso una

pluralità di fondi dedicati e dispongono di basi di dati aggiornate sull’evoluzione del comparto (grazie

all’istituzione di un Osservatorio); registrano, inoltre, tassi di adesione particolarmente alti (pari o

superiori all’80%). Livelli di consolidamento molto simili si riscontrano relativamente agli Enti del

Piemonte, della Lombardia e del Friuli-Venezia Giulia, che condividono molte di queste

caratteristiche, ma, pur producendo alcune pubblicazioni, risultano privi di un’unità dedicata alla

funzione di Osservatorio. Tassi di adesione molto alti si registrano a Trento e Bolzano, i cui Enti,

anche per via della dimensione provinciale, hanno una articolazione limitata. Infine, con tassi di

adesione più bassi (intorno ai due terzi dei lavoratori “obiettivo”) si trovano gli Enti ligure e toscano,

che si caratterizzano altresì per una struttura organizzativa poco articolata.

Tra le realtà del Mezzogiorno, tutte caratterizzate da tassi di adesione di imprese e lavoratori

nettamente più bassi di quelli registrati nel Centro-Nord, si segnalano il caso dell’EBAP, l’Ente

pugliese, che presenta una ramificazione in sotto-unità territoriali e la gestione di più fondi, oltreché

per livelli di adesione delle imprese relativamente alti (30-32%)19; il caso sardo, il cui Ente (EBAS)

dichiara il 64% di adesioni dei lavoratori e del 44% per le aziende; infine, il caso dell’EBRARTA

(Abruzzo), che dichiara tassi di adesione dei lavoratori intorno al 25%. I livelli più bassi di

consolidamento della bilateralità territoriale si registrano infine in Lazio, Molise, Campania,

Calabria20 e Sicilia dove a una limitata articolazione istituzionale degli Enti corrispondono tassi di

adesione di imprese e lavoratori stimabili come non superiori al 15%.

17 È il caso di quanto dichiarato nel sito internet dell’EBAC Campania, in cui si afferma che “purtroppo, le adesioni

all'EBAC ad oggi sono ancora limitate, rispetto agli omologhi situati più a Nord, e sicuramente rispecchiano i ritardi del

Mezzogiorno” (http://www.ebac-campania.org/carta/), e dell’EBAC Calabria, in cui si legge che “la Calabria, è vero,

accusa un notevole ritardo rispetto ad altre regioni” (http://www.ebac-calabria.it/wp/chi-siamo). 18 Anche in questo caso si segnala infatti un fortissimo squilibrio territoriale nei tassi di adesione: in base a quanto

dichiarato dall’allora direttore del Fondo, mentre a luglio 2015 nelle regioni del Nord era stato ormai raggiunto l’85-

90% del bacino “obiettivo”, le percentuali crollavano intorno al 10-15% nelle regioni del Mezzogiorno. Alcuni dati

aiutano a esemplificare la situazione: nella sola provincia di Cuneo si registravano circa 11.000 iscritti a fronte dei circa

6.000 in tutta la Sardegna, che pure si collocava fra le regioni meridionali più virtuose (con circa il 25% del bacino già

raggiunto) (Maino e Razetti 2015). 19 Come dichiarato dal rappresentante intervistato. Nel “Documento programmatico per il consolidamento della

bilateralità in Puglia” si legge: “Il nuovo sistema contrattuale, adottato dal luglio 2010, ha consentito all’EBAP di

realizzare un incremento delle adesioni […] La Puglia, pur mantenendo una sorta di leadership, rispetto alle altre

regioni meridionali, in materia di adesioni, deve recuperare il forte squilibrio che si registra tra il numero di lavoratori

che aderiscono all’ente bilaterale e il numero di addetti complessivi che operano nel comparto artigiano” (EBAP 2011). 20 In base ai dati riportati da Bozzao (2015, 210), nel 2011 i lavoratori protetti erano il 5% del bacino (3% nel 2009); le

imprese poco più del 3% (circa 1,5% nel 2009).

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4. L’offerta di prestazioni: l’assistenza sanitaria e le misure a sostegno della famiglia

A causa della difformità di prassi e prestazioni proliferate a livello regionale nella galassia bilaterale

dell’artigianato, non vi è accordo in letteratura su come classificare le diverse provvidenze erogate

dai vari Enti. La stessa terminologia usata dagli organismi bilaterali appare spesso fuorviante: in

alcuni casi, l’espressione “sostegno al reddito” indica solo gli interventi erogati in caso di riduzione

o sospensione dell’attività lavorativa, in altri si riferisce invece anche alle variegate prestazioni di

“welfare” per lavoratori e imprenditori. L’analisi proposta nelle pagine seguenti prende in esame le

prestazioni catalogate da Italia Lavoro (2014), nel quadro del Rapporto nazionale sulla bilateralità,

come “mutuo soccorso”21. L’attenzione verterà in particolare sulle provvidenze a tutela della salute

dei lavoratori e a sostegno delle loro famiglie.

4.1 Le prestazioni di assistenza sanitaria: il ruolo degli Enti bilaterali territoriali e dei fondi

sanitari regionali

Interrogarsi sul ruolo della bilateralità artigiana nel campo dell’assistenza sanitaria permette sia di

comprendere quale contributo possano offrire gli organismi bilaterali regionali in uno dei settori

consolidati di politica sociale che si è rivelato tra i più sotto pressione negli anni della crisi

economica22, sia di esaminare le diverse forme di “incastro” fra livello nazionale e regionale, in

particolare dopo l’istituzione, nel 2012, di SAN.ARTI., il fondo sanitario integrativo nazionale

intercategoriale per i lavoratori dipendenti dell’intero comparto (Maino e Razetti 2015). Inoltre, è

proprio nel campo dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria che in alcuni territori del Nord, agli Enti

bilaterali si sono affiancati negli ultimi anni specifici fondi regionali.

Prendendo innanzitutto in esame il ruolo svolto direttamente dagli Enti regionali, emerge che

dei 20 Enti per i quali è stato possibile raccogliere i dati, solo 4 (evidenziati in grigio nella Tab. 4)

risultano attualmente impegnati nell’erogazione di provvidenze sanitarie. L’ente friulano, quello

21 Nella scheda per la raccolta dati somministrata agli Enti regionali dell’artigianato, Italia Lavoro ha distinto i servizi

messi a disposizione di imprese e lavoratori in base a diversi “ambiti di intervento”: formazione; monitoraggio,

informazione e osservazione del mercato del lavoro; servizi a supporto dell’intermediazione e a regolazione e garanzia

del mercato del lavoro; salute e sicurezza sul lavoro; sostegno alle politiche del lavoro; e, appunto, mutuo soccorso. Le

prestazioni oggetto di questa analisi – provvidenze sanitarie e contributi a favore della famiglia – ricadono in

quest’ultima categoria. Poco convincente ai fini di questa analisi appare la proposta di Bozzao (2015), che, distinguendo

gli interventi erogati dagli Enti in politiche attive del lavoro (formazione e apprendistato) e politiche passive del lavoro

(interventi di sostegno al reddito in caso di sospensione), fatica a trovare una collocazione per tutti i sussidi non

direttamente collegabili al mercato del lavoro e che, come riconosce la stessa Bozzao, rappresentano in alcuni territori

un assetto protettivo fortemente radicato e per nulla secondario (p. 220). Leonardi (2005) identifica invece sei diversi

“ambiti funzionali” della bilateralità: la mutualizzazione di taluni obblighi derivanti dal contratto di lavoro; la gestione

mutualistica di prestazioni integrative di welfare (disoccupazione, sostegno al reddito…); formazione professionale;

attività di studio e monitoraggio in materia di mercato del lavoro e fabbisogni formativi; rappresentanza sindacale a

livello locale e pluri-aziendale; servizi sociali supplementari, determinati autonomamente dalla contrattazione fra le

parti: ricadono in quest’ultimo gruppo le prestazioni qui considerate. 22 Diverse ricerche empiriche convergono nel segnalare alcune linee di tendenza problematiche del sistema sanitario

italiano: i. la crescente inadeguatezza, nella percezione dell’opinione pubblica, dei servizi offerti dal Servizio Sanitario

Nazionale (es. Censis e Rbm-Salute 2016); ii. l’affermazione del fenomeno della rinuncia alle cure da parte di fasce non

marginali della popolazione: il 9,5% nel 2014 secondo ISTAT (2015b). Censis-Rbm salute quantifica in 11 milioni le

persone che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell’ultimo anno (erano 9 milioni del 2012). Il

pagamento di ticket o di visite private interamente a carico dei pazienti diventa una delle spese per assistenza sociale o

sanitaria maggiormente in grado di mettere in pericolo la tenuta dei bilanci familiari (Censis-Forum Ania Consumatori

2015); iii. infine, il contestuale, più frequente ricorso alla spesa sanitaria privata, per l’82% out of pocket. Un dato

comparativamente elevato, indice di un livello di equità relativamente basso (nell’area Euro, la spesa media out of

pocket è pari al 60,9% della spesa sanitaria privata).

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abruzzese, quello campano23 e quello sardo, precedentemente impegnati su questo fronte, hanno

deciso di rimuovere tali prestazioni dal pacchetto di servizi a favore dei dipendenti. Come spiegato

da diversi loro rappresentanti, considerate le priorità imposte dall’attuale crisi economica e la

copertura già garantita da San.Arti., gli Enti hanno deciso di evitare duplicazioni e non hanno

intenzione di impegnarsi direttamente su questo fronte in futuro. Le parti sociali lombarde, come si

vedrà più avanti, hanno preferito dar vita a un nuovo soggetto bilaterale. Considerando ora i casi

potenzialmente più problematici, ovvero gli Enti attivi nella fornitura di provvidenze sanitarie anche

dopo l’avvio del fondo nazionale (Marche, Molise, Trento e Veneto), è interessante notare che in

nessun caso la prestazione – che assume sempre la forma di una semplice erogazione monetaria – è

condizionata a qualche prova dei mezzi attestante la particolare condizione di bisogno economico del

beneficiario.

Tabella 4 – Bilateralità regionale e offerta di prestazioni sanitarie

Fonte: elaborazione propria.

Con la parziale eccezione del Veneto (cfr. infra), i contributi tendono inoltre a essere estesi

anche ai familiari a carico. Nel caso marchigiano l’intervento consiste in un contributo generico, che

si sostanzia nel rimborso parziale di spese sanitarie detraibili (cfr. Tab. 5). Un contributo che l’Ente

intende mantenere anche nei prossimi anni, almeno sino a quando i tassi di adesione a San.Arti. non

saranno cresciuti. L’EBRAM (Molise) condiziona invece l’erogazione monetaria al sostenimento di

spese sanitarie specifiche: l’acquisto di protesi di vario genere o il ricovero presso una struttura del

Servizio Sanitario Nazionale. Mentre il primo tipo di intervento si configura effettivamente come

23 I dati relativi alle erogazioni del periodo 1998-2008, disponibili sul sito dell’Ente (www.ebac-campania.org)

documentano della scarsissima rilevanza delle prestazioni sanitarie (“rimborso protesi”): 9 erogazioni (concentrate nel

2007 e 2008), per un totale di poco più di 3.700 euro, pari al 2% delle risorse complessivamente stanziate nel periodo

2007-2008. Le erogazioni sanitarie sono state interrotte nel 2014 (http://www.ebac-campania.org/news/2014/).

Offerta di assistenza sanitaria

da parte dell’Ente

Offerta di assistenza sanitaria

attraverso fondo integrativo

regionale

Prima di

SAN.ARTI. 2016 2016

Valle d’Aosta n.d. n.d. -

Piemonte - - -

Lombardia -

Liguria - - -

Trento

Bolzano - -

Veneto

Friuli-Venezia Giulia - -

Emilia-Romagna - - -

Toscana - - -

Marche -

Umbria n.d. - -

Lazio - - -

Campania - -

Calabria n.d. - -

Molise -

Basilicata - -

Abruzzo - -

Puglia - - -

Sicilia - - -

Sardegna - -

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complementare rispetto al SSN e integrativo di quanto garantito da San.Arti., il secondo rischia di

sovrapporsi con l’offerta del fondo integrativo nazionale. Quanto all’EBAT (Trento), l’attuale

regolamento prevede un contributo del tutto simile a quello marchigiano. A differenza degli enti

marchigiano e molisano, è intenzione degli organismi dell’Ente trentino modificare l’offerta di

prestazioni per il 2017, proprio per evitare sovrapposizioni fra offerta nazionale e locale (che nel 2105

ha coinvolto 14 lavoratori). Discorso a parte merita EBAV, l’ente veneto, che offre prestazioni di

“primo” e “secondo livello”, una peculiarità dell’Ente Veneto, che riguarda non solo le prestazioni

sanitarie. Mentre quelle di primo livello sono riconosciute a tutti i lavoratori iscritti, quelle di secondo

livello sono riservate solo ad alcune categorie e con generosità (altamente) varabili. È infine

necessario precisare che alle prestazioni garantite direttamente dall’EBAV si affiancano quelle del

fondo sanitario integrativo regionale, San.In.Veneto, costituito dalle parti in sostituzione di quello

nazionale.

Infatti, come anticipato, il ruolo della bilateralità artigiana a livello territoriale nel campo

dell’assistenza sanitaria non si esaurisce più in quello giocato direttamente dagli Enti regionali, ma si

realizza anche attraverso l’istituzione di specifici fondi. È un fenomeno recente, tutto concentrato in

alcuni territori del Nord (Trento, Bolzano, Veneto e Lombardia), non senza significative differenze.

Nei primi tre casi i fondi territoriali sono stati concepiti e costituiti come sostitutivi di quello

nazionale, mentre quello lombardo è l’unico esempio di fondo territoriale integrativo (cioè di

integrazione territoriale dell’integrazione nazionale).

In Trentino, il fondo sanitario per i lavoratori artigiani è denominato Sia3 (Sanità Integrativa

Artigianato 3ntino). Fondato dall’Associazione Artigiani e Piccole Imprese della Provincia di Trento

insieme a Inca Cgil, Inas Cisl e Ital Uil, è gestito dalla locale Società di Mutuo Soccorso degli Artieri

di Trento. A beneficiare dei sussidi e dei servizi previsti dal piano sono i lavoratori dipendenti delle

imprese artigiane della provincia di Trento (con l’eccezione dei contratti di lavoro a chiamata), così

come i lavoratori dipendenti delle associazioni sindacali e datoriali sottoscrittrici dell’accordo e delle

loro strutture operative e di servizio24. SIA3 dovrebbe presto confluire nel fondo territoriale “aperto”

promosso dalla Provincia di Trento (denominato Sanifonds Trentino), che, dopo una fase di

gestazione lunga e piuttosto turbolenta, sembra finalmente entrato nella fase operativa (Razetti

2015)25. Come SIA3, Sanifonds Trentino si configura – almeno per i lavoratori dipendenti

dell’artigianato – come un fondo sanitario integrativo sostitutivo di quello nazionale.

Nella vicina provincia di Bolzano opera dal 2013 “Sani-Fonds Bolzano”, fondo originato da

un documento sottoscritto dalle parti sociali il 19 aprile 2012, cui era seguito, nell’aprile 2013, un

“Accordo per la costituzione del Fondo Sanitario Integrativo chiuso provinciale in favore dei

lavoratori dipendenti dell’artigianato e delle Piccole Medie Imprese della provincia autonoma di

Bolzano”, che aveva infine portato alla fondazione vera e propria di Sanifonds (maggio 2013),

concepito, anche in questo caso, come fondo “chiuso”, sostitutivo di quello nazionale. Sanifonds è

24 Come per San.Arti, il contributo associativo annuo è pari a125 euro per persona e dà diritto a un ampio ventaglio di

prestazioni: il rimborso parziale di ticket per visite e diagnostica, il rimborso parziale per visite specialistiche private, un

pacchetto di servizi e sussidi in caso di gravidanza, il rimborso per spese legate a ricovero ospedaliero (come trasporto,

intervento chirurgico, assistenza infermieristica), rimborso una tantum per spese sostenute in conseguenza di invalidità

causata da incidente sul lavoro, infine l’erogazione di un vitalizio o di servizi assistenziali in caso di non

autosufficienza. 25 Gli attuali Soci sono Provincia Autonoma di Trento, Associazione artigiani e piccole imprese della provincia di

Trento, Associazione albergatori e imprese turistiche della provincia di Trento, Confcommercio-Imprese per l’Italia

Trentino, Confesercenti del Trentino, Cooperazione Trentina, Confindustria Trento, CGIL del Trentino, USR CISL del

Trentino C.S.R. UIL di Trento, CISPEL-Federservizi Trentino-Alto Adige.

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diventato operativo già ad agosto 2013, grazie a versamenti retroattivi a partire dal febbraio dello

stesso anno. La sua gestione è stata affidata dalle parti a un grande gruppo assicurativo nazionale

(Rbm-Salute). Come San.Arti., anche Sani-Fonds Bolzano dà la possibilità di estendere la copertura

a coniuge e familiari a carico. Ad agosto 2015 il fondo contava su circa 10.000 lavoratori aderenti26.

L’obiettivo dichiarato è di concentrare l’attività del fondo in aree effettivamente integrative e non

sostitutive di quanto offerto dal Servizio sanitario nazionale attraverso le strutture provinciali27.

Il fondo veneto – Sanità Integrativa Veneto (Sani.in.Veneto) – è stato istituto dalle

articolazioni regionali di Confartigianato Imprese, Cna, Casartigiani, e di Cgil, Cisl e Uil nell’estate

del 2013. A fronte dell’accordo interconfederale nazionale del 21 settembre 2010 che prevedeva

l’istituzione di un fondo sanitario integrativo nazionale per i dipendenti artigiani, oltre alla possibilità

che la contrattazione regionale includesse prestazioni ulteriori e migliorative rispetto a quelle del

fondo nazionale, le parti sociali venete, che vantano una consolidata tradizione nella pratica della

bilateralità, hanno preferito seguire una via tutta regionale. Come specificato dall’accordo istitutivo

del 12 giugno 2013, “il versamento al fondo San.In.Veneto a carico delle imprese assorbe e sostituisce

qualsiasi obbligo discendente dagli accordi nazionali e istitutivi di San.Arti”. L’accordo disponeva

inoltre l’estinzione delle prestazioni sanitarie erogate da EBAV al fine di evitare sovrapposizioni fra

quanto offerto dalle due forme di bilateralità. Il coordinamento con l’Ente regionale – che viene a

configurarsi come il “secondo pilastro” del sistema regionale di welfare integrativo per gli artigiani

(Nogler 2014b, 207) – era anche indicato come la strada da seguire, attraverso convenzionamenti, nel

processo di costituzione di sportelli territoriali volti a promuovere la conoscenza del fondo e

facilitarne l’accesso da parte dei destinatari. Attualmente risultano aperti quasi 180 sportelli,

distribuiti nelle 7 province venete e collocati presso le sedi delle parti sociali socie del fondo. Lo

statuto di San.In.Veneto prevede poi che, attraverso la contrattazione regionale di categoria, possano

essere definiti specifici pacchetti di prestazioni, finanziate anche da contributi a carico dei lavoratori.

A fine 2014 gli aderenti si aggiravano intorno ai 104.000 (pari a un tasso di adesione di circa l’80%)28.

Ultimo in ordine di tempo è il caso di WILA, il fondo “Welfare Integrativo Lombardo

dell’Artigianato” (Tartaglione e Bettarini 2016), che – a differenza di quelli considerati sin qui – si

aggiunge e non si sostituisce a San.Arti. Previsto dall’accordo sulle linee-guida per il rinnovo dei

contratti regionali dell’artigianato sottoscritto dalle parti nel 2012, ha visto la luce dopo più di tre

anni. WILA assicura prestazioni integrative – sanitarie ma anche sociali – ai lavoratori del comparto

(eccetto edilizia e trasporti). Costituito a luglio 2015, WILA è finanziato da un contributo di 5 euro

mensili per dipendente, interamente a carico della parte datoriale. Quanto all’assistenza socio-

sanitaria, il Fondo offre una copertura annua massima per iscritto e mette a disposizione dei lavoratori

l’accesso diretto a strutture convenzionate con UniSalute, il partner che già gestisce il fondo

nazionale; i lavoratori che abbiano usufruito di prestazioni fuori del circuito UniSalute possono

successivamente chiederne il rimborso.

26 Comunicato CISL del 27.08.2015: http://www.sgbcisl.it/PDF/sanifonds_2015.pdf 27 “Sanifonds cresce in fretta. In un anno 10 mila iscritti”, GElocal - Alto Adige, 26 giugno 2014. 28 “San.in.Veneto, 11mila soci nel Veronese” in L’Arena di Verona, 11 dicembre 2014

(http://www.cislveneto.it/layout/set/print/Rassegna-stampa-Veneto/Saninveneto-11mila-soci-nel-Veronese).

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Tabella 5 – Enti bilaterali regionali dell’artigianato e offerta di prestazioni sanitarie

Fonte: elaborazione propria.

Ente Prestazioni Erogazione massima

(in €) Subordinazione a

limiti reddituali

Estensione ai

familiari

N. domande

finanziate (2015)

Risorse erogate

(2015) (in €)

EBAT

(Trento)

Contributo pari al 10% della spesa sanitaria detraibile presentata nella

denuncia dei redditi superiore a 1.500 €

700 No Sì 14 20.000 ca.

EBAV

(Veneto)

2015

Primo livello

n.d. n.d.

Spese sanitarie non previste dal Servizio

Sanitario Nazionale 2.500 No Sì

Secondo livello

Protesi odontoiatriche Altamente variabile:

da 300 per Trasporto Persone fino al

1.800 per Trasporto Merci

No No

Protesi acustiche

Altamente variabile: da 330 del Tessile a 900 di

Acconciatura-Estetica e

Trasporto Merci

No No

Protesi ortopediche Altamente variabile:

da 110 per Pulitintolavanderie a

1.800 per Trasporto Merci

No No

Protesi oculistiche Altamente variabile:

da 110 per Comunicazione a 750 per

Trasporto Merci

No No

EBAM

(Marche)

Spese sanitarie detraibili superiori a

1.500 euro 700 No Sì 119 33.800 ca.

EBRAM

(Molise)

Protesi odontoiatriche 800

No Sì 9 2.655

Protesi acustiche 250

Protesi ortopediche 600

Protesi oculistiche 200

Ricovero SSN 387,30

(25,82 al giorno per 15 giorni)

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I servizi inclusi nel Fondo riguardano innanzitutto le cure odontoiatriche, ma comprendono anche

contributi in caso di non autosufficienza, temporanea o permanente. Anche grazie ad un “effetto

trascinamento” facilitato dal collegamento con San.Arti. e con ELBA29, ad aprile 2016 i lavoratori iscritti

superavano i 100.000 (Razetti 2016).

In conclusione, i dati considerati e gli sviluppi osservati sembrano indicare un ruolo del tutto

marginale – in termini di risorse erogate e beneficiari coinvolti – degli Enti bilaterali nel campo

dell’assistenza sanitaria, con la residua eccezione veneta; dopo l’avvio del fondo nazionale, molti Enti

hanno preferito dedicare le risorse a propria disposizione ad altri ambiti (tra cui il sostegno alla famiglia),

evitando inutili sovrapposizioni; quelli ancora attivi, pur rischiando di replicare l’offerta nazionale,

sembrano erogare prestazioni di importo limitato a beneficio effettivo di poche centinaia di lavoratori in

tutta Italia (cfr. Tab. 5). La bilateralità artigiana sembra invece particolarmente dinamica nel campo dei

fondi integrativi territoriali, tutti concentrati in alcune regioni del Nord e potenzialmente in grado di

diversificare la propria offerta in funzione delle specificità dei rispettivi servizi sanitari regionali

(peraltro caratterizzati da performance relativamente buone: cfr. Ministero della Salute 2015), oltreché

di includere prestazioni e servizi a copertura di rischi come la non-autosufficienza.

4.2 Le prestazioni a sostegno della famiglia e della conciliazione vita-lavoro

La distorsione funzionale che caratterizza il welfare state italiano (Ferrera 2012) si manifesta in modo

particolarmente evidente a danno delle politiche di sostegno alla famiglia, un’area di policy

tradizionalmente debole e frammentaria, anche di fronte all’emergere dei cosiddetti “nuovi rischi

sociali”. Interventi di secondo welfare potrebbero rivelarsi utili per ovviare a una delle carenze strutturali

del nostro sistema di protezione sociale, con ricadute positive in termini economici, grazie alla

facilitazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (e quindi dell’occupabilità delle donne, su

cui continuano a gravare i maggiori oneri di cura) e allo sviluppo di “terziario sociale” (Ferrera 2013).

Le prestazioni a sostegno della famiglia comprendono una gamma piuttosto eterogenea di

interventi (cfr. Tab. 6). Considerando l’offerta di queste misure da parte degli Enti regionali, si può

innanzitutto osservare che, con la sola eccezione della Basilicata (il cui Ente dichiara di non disporre di

risorse sufficienti), tutti gli organismi bilaterali artigiani risultano attualmente attivi con almeno un tipo

di intervento. Altro dato interessante è quello relativo al periodo di introduzione o revisione di tali

misure. In molti casi il “pacchetto” di misure per la famiglia è stato introdotto o ampiamente rinnovato

in tempi relativamente recenti: nel 2010 in Piemonte, nel 2012 in Sicilia, nel 2013 in Toscana; dal 2014

in Puglia; tra 2014 e 2015 nelle Marche; nel 2015 in Liguria, in Emilia-Romagna (salvo l’integrazione

maternità) e a Bolzano; nel 2016 in Campania; in Lombardia la gamma è stata ampliata a partire dal

2011. Come per i contributi sanitari, la prestazione non è offerta in collaborazione con altri attori del

territorio e si configura sempre come una semplice erogazione monetaria.

Quanto alle singole misure, le più frequenti ricadono nel campo del sostegno all’istruzione (in

particolare, secondaria superiore e universitaria) e dell’agevolazione del pagamento delle rette per l’asilo

nido (Tab. 6), prestazioni offerte da quasi tre enti su quattro e distribuite abbastanza omogeneamente

nelle diverse aree geografiche del Paese. Tali contributi assumono però forme e importi anche molto

variabili a seconda degli Enti in esame. Si prenda il caso del sostegno per studi di scuola secondaria di

29 Fra i due fondi è stata stipulata una convenzione per la gestione, da parte di San.Arti, delle procedure di incasso di 3,5 dei

5 euro versati dagli artigiani lombardi (destinati alla parte strettamente sanitaria di WILA), oltre che dell’archiviazione dei

5 euro (a finanziamento delle prestazioni “sociali”) sono invece incassati direttamente da ELBA.

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secondo grado: mentre gli Enti del Sud (Campania, Calabria, Abruzzo, Puglia, Sicilia, Sardegna) e quello

marchigiano li disegnano quali “premi di studio” (vincolandone quindi l’erogazione al conseguimento

del diploma, talvolta con una votazione minima), gli Enti del Nord (Liguria, Trento, Veneto, Emilia-

Romagna) e quello umbro tendono a concepirli come sussidi per la frequenza e, in alcuni casi, a

condizionarne l’offerta a particolari condizioni reddituali (Liguria, Veneto, Umbria) o di altro genere

(come l’iscrizione a una scuola pubblica in Emilia-Romagna). Gli importi dei premi variano dai 250

euro riconosciuti in Sardegna ai 1.000 erogati in Sicilia, mentre i sussidi per la frequenza dai 200 euro

dell’Emilia-Romagna ai 300 dell’Umbria.

Livelli di variabilità simili si osservano considerando i contributi riconosciuti per l’iscrizione dei

figli a un asilo nido, una misura potenzialmente molto rilevante nell’ottica della facilitazione della

conciliazione vita-lavoro e tra quelle di più recente introduzione. Di nuovo, la subordinazione a limiti

reddituali è definita dalla quasi totalità degli Enti operanti al Nord (anche se secondo criteri piuttosto

diversi)30, mentre risulta assente nel Mezzogiorno. Sono poi aggiunte ulteriori condizioni, come avere

almeno due figli frequentanti asilo nido, scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di

primo grado (Veneto); una frequenza minima di 3 mesi (Marche); o l’iscrizione a nidi pubblici o

convenzionati (Emilia-Romagna). L’importo varia da un minimo di 250 euro in Liguria, Emilia-

Romagna e Calabria a un massimo di 700 in Lombardia (ma solo per le famiglie monogenitoriali).

Sul fronte della non autosufficienza, un’area di bisogno destinata a crescere nei prossimi anni e

coperta in modo del tutto insufficiente dal primo welfare31, si registrano solo tre iniziative, di nuovo in

Lombardia (attraverso WILA), in Veneto e a Trento. WILA prevede due tipi di prestazioni: un

contributo di 750 euro per i dipendenti che abbiano un figlio disabile (con invalidità superiore al 45%)

e un reddito familiare lordo non superiore a 45.000 euro; un contributo di 500 euro per dipendenti con

genitori ricoverati presso RSA, pubbliche o private, per almeno dodici mesi (in questo caso, non sono

richiesti limiti reddituali). L’EBAV (Veneto) riconosce un contributo di 350 euro a lavoratori dipendenti

con figli minori affetti da patologie gravemente invalidanti. L’ammissibilità al contributo è decisa dal

Cda a proprio insindacabile giudizio per eventuali casi particolari. La domanda può essere ripresentata

ogni anno – anche da entrambi i genitori, se iscritti all’Ente – per non più di 5 anni. Infine, a Trento sono

previsti due diversi contributi: un’integrazione fino al 50% della retribuzione in caso di astensione

facoltativa (fino a 180 giornate) per assistenza a bambini, con svantaggio riconosciuto, fra il secondo e

il terzo anno; 36 giornate di integrazione salariale per anno solare al 50% della retribuzione per assistenza

a figli con più di 3 anni e\o al coniuge con disabilità. Nel 2015 sono state 4 le persone che a Trento hanno

effettivamente usufruito di queste opportunità.

Si segnalano infine alcuni interventi a integrazione delle indennità di maternità (facoltativa e\o

obbligatoria) e contributi in occasione della nascita di un figlio (soprattutto nel Mezzogiorno). A questo

proposito, merita di essere citato il “Fondo di sostegno alla flessibilità”, attivato dall’EBAP Puglia con

30 In Piemonte e nelle Marche è richiesto un ISEE non superiore ai 26.000 euro; in Emilia-Romagna l’ISEE non deve

superare i 25.000 euro (ma non è richiesto per le famiglie mono-genitoriali); in Umbria l’indicatore non deve essere

maggiore di 40.000 euro, in Lazio di 20.000. L’Ente ligure stila invece una graduatoria sulla base dell’ISEE in caso di

eccedenza delle domande rispetto alle risorse allocate. Infine, l’EBAV richiede un reddito familiare lordo non superiore ai

30.000 euro; per le domande che superano tale limite, il contributo è garantito fino all’esaurimento delle risorse disponibili. 31 Le note dinamiche demografiche che caratterizzano da tempo il nostro Paese, dove l’indice di vecchiaia è cresciuto, solo

negli ultimi dieci anni, di oltre 20 punti percentuali, stanno avendo ricadute in termini di aumento dei malati cronici, delle

persone non autosufficienti e dei soggetti bisognosi di assistenza di lungo periodo. Nel 2014 l’ISTAT stimava che a

ricevere assistenza domiciliare pubblica fosse meno di un quinto delle famiglie con almeno una persona con limitazioni

funzionali; considerando quelle che ricorrono a servizi privati a pagamento, la quota di famiglie in queste condizioni che

possono contare su forme assistenza domiciliare non raggiunge il 30%.

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un cofinanziamento della Regione: prevede un’integrazione al 100% del trattamento INPS in caso di

maternità facoltativa, ma anche un contributo una tantum per i neo-papà e il pagamento all’INPS della

contribuzione volontaria in caso di trasformazione di un contratto da tempo pieno a tempo parziale (a

seguito di maternità o paternità).

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Tabella 6 – Bilateralità regionale e offerta di prestazioni a sostegno della famiglia

Enti bilaterali

Prestazioni

Nord Centro Sud e isole

Tot.

VDA PIE

LOM32

LIG TN BZ VEN FVG E-R TOS MAR UM LAZ CAM CAL MOL BAS ABR PUG SIC SAR

Asilo nido n.d. - - - - - - - - 12

Scuola dell’infanzia n.d. - - - - - - - - - - - - - - - - - 3

Scuola primaria n.d. - - - - - - - - - - - -

- - - - 3

Scuola secondaria di I

grado n.d. - - - - - - - - - - - - 8

Scuola secondaria di II

grado n.d. - - - - - - 14

Università n.d. - - - - - 15

Libri di testo/

materiali didattici n.d. - - - - - - - - - - 9

Campi estivi/colonie n.d. - - - - - - - - - - - - - - - - - 2

Attività

culturali/sportive figli n.d. - - - - - - - - - - - - - - - - 3

Integrazione maternità

obbligatoria n.d. - - - - - - - - - - - - - - - - - 2

Integrazione maternità

facoltativa n.d. - - - - - - - - - - - - - - 5

Nascita/adozione figlio n.d. - - - - - - - - - - - - - 5

Assistenza familiare non

autosufficiente n.d. - - - - - - - - - - - - - - - - - 3

Spese per la casa

(acquisto,

ristrutturazione…)

n.d. - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2

Trasporto n.d. - - - - - - - - - - - - - - - - - 2

Altro n.d. - - - - - - - - - - - - - - 5

Tot. 3 4 4 5 3 8 1 9 1 4 5 5 8 6 1 0 3 10 5 6

32 Prestazioni erogate da WILA.

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Come confermato da numerosi intervistati, benché, nel complesso, le misure a sostegno della

famiglia rimangano una voce spesso secondaria rispetto agli importi complessivamente erogati dagli

Enti, esse si rivelano quantitativamente più consistenti di quelle relative all’assistenza sanitaria (cfr.

Tab. 7) e – soprattutto – un’area potenzialmente in espansione, soprattutto a seguito del

depotenziamento del ruolo degli Enti regionali nel tradizionale campo del sostegno al reddito,

conseguente alla nascita dell’FSBA e allo spostamento di ingenti risorse verso il livello nazionale.

Tabella 7 – Bilateralità regionale e offerta di misure a sostegno della famiglia

(2015)

Fonte: elaborazione propria. Note: *non comprende il bonus bebè, che è

formalmente un contributo destinato alle imprese (pari a 18.500 euro nel 2015).

5. Osservazioni conclusive

Le evidenze empiriche discusse nelle pagine precedenti, nonostante i limiti già evidenziati,

consentono di sviluppare alcune considerazioni generali sulle caratteristiche del welfare bilaterale

territoriale nel comparto artigiano e sulla sua congruenza rispetto al paradigma del secondo welfare.

Molti dei timori relativi agli “effetti perversi” del secondo welfare, richiamati

nell’introduzione, appaiono effettivamente suffragati dai dati raccolti. Alla segmentazione generata,

per definizione, dalle prestazioni di welfare bilaterale (tra lavoratori artigiani e non; Croce 2015), si

aggiungono una frammentazione territoriale (vista l’alta variabilità dei contributi esaminati) e una

frattura di fatto – interna al comparto artigiano – fra i lavoratori effettivamente iscritti alla bilateralità

(gli insider) e quelli che si ritrovano fuori dal circuito (outsider). I dati quantitativi e le testimonianze

raccolte confermano inoltre che, anche fra i lavoratori potenzialmente protetti dalla bilateralità, sono

pochi quelli effettivamente a conoscenza delle prestazioni offerte e quindi in grado di usufruirne: in

molti casi le parti sociali, e le organizzazioni sindacali in particolare, appaiono su questo fronte in

grave ritardo. La frattura fra insider e outsider corre prevalentemente lungo l’asse Nord-Sud,

Territorio Ente N. domande Importo erogato

(in €)

Valle d’Aosta EBAVA n.d. n.d.

Piemonte EBAP 102 25.000 ca.

Lombardia ELBA n.d. n.d.

Liguria EBLIG 61* 138.000*

Trento EBAT 20 20.000 ca.

Bolzano EBA/BKH 250 35.000 ca.

Veneto EBAV n.d. n.d.

Friuli-Venezia Giulia EBIART 22 11.000

Emilia-Romagna EBER n.d. n.d.

Toscana EBRET 1.058 284.000 ca.

Marche EBAM n.d. 60.000 ca.

Umbria EBRAU n.d. n.d.

Lazio EBLART 14 7.127

Campania EBAC n.d. n.d.

Calabria EBAC n.d. n.d.

Molise EBRAM 6 1.550

Basilicata EBAB 0 0

Abruzzo EBRARTA 39 7.275

Puglia EBAP n.d. 276.000

Sicilia EBAS 123 90.000 ca.

Sardegna EBAS 75 29.200 ca.

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confermando così che “[s]e il tessuto economico e sociale del Centro-Nord consente la mobilitazione

di risorse aggiuntive a quelle pubbliche e favorisce lo sviluppo di nuove iniziative […] nel

Mezzogiorno la stagnazione economica, la debolezza dei corpi intermedi, le lacune e lo scarso

attivismo del welfare pubblico non costituiscono certo un terreno fertile per un decollo “dal basso”

del secondo welfare” (Ferrera e Maino 2013b, pp. 323-324). Un divario, quello fra le diverse aree del

paese, che potrebbe ampliarsi, soprattutto in conseguenza del successo degli esperimenti di fondi

sanitari integrativi avviati in alcune regioni del Nord, peraltro già caratterizzate da servizi sanitari

pubblici di migliore qualità (Ministero della Salute 2015). L’erogazione delle prestazioni sotto forma

di semplici contributi economici e senza la creazione di reti con altri attori (pubblici o privati) del

territorio connota infine come scarsamente innovativi molti degli interventi, almeno dal punto di vista

degli strumenti adottati.

Meno fondati appaiono invece i timori relativi a un possibile “incastro distorto” fra primo e

secondo welfare, sia per il disegno delle prestazioni passate in rassegna (che tendono in effetti a

intervenire in aree scarsamente protette dal welfare pubblico) sia per la loro portata (in termini

quantitativi). Limitate appaiono anche le aree di sovrapposizione interne al “secondo welfare

bilaterale”: il caso di San.Arti. e della conseguente riorganizzazione delle prestazioni regionali

testimonia al contrario della capacità di adattamento alle mutate circostanze da parte di numerosi Enti

regionali. Si consideri poi che, per quanto spesso modesti dal punto di vista quantitativo, alcuni degli

interventi messi in campo a sostegno della famiglia non risultano privi di interesse. Anche in questo

caso, l’introduzione delle misure o la loro revisione in anni recenti segnala il tentativo degli Enti di

ricalibrare la propria offerta in funzione dei nuovi bisogni sociali e delle trasformazioni in corso

all’interno della stessa bilateralità artigiana, soprattutto dopo la nascita di FSBA. Infine, nonostante

la fortissima frattura territoriale descritta, l’analisi ha permesso di evidenziare l’esistenza di variazioni

interne al Mezzogiorno, facendo emergere casi relativamente avanzati, come quello pugliese e quello

sardo.

Alla luce dei limiti ma anche delle potenzialità illustrate, il welfare bilaterale territoriale

artigiano appare così di fronte al dilemma, evidenziato dalla letteratura più recente, tra l’accettazione

della sfida della propria trasformazione in attore rilevante, e la decisione di rimanere invece un

fenomeno “nel complesso di dimensioni ridotte, poco influente e poco riconoscibile” (Croce 2015,

256-257). Un’area grigia da cui le parti sociali, grazie alle risorse a disposizione (anche economiche,

spesso sottoutilizzate) e ai nuovi scenari che si stanno delineando nel comparto artigiano, potrebbero

allontanare la bilateralità territoriale, così da farne – pur con alcuni ineliminabili limiti– una tessera

più identificabile nel complesso puzzle del secondo welfare.

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