Biciclette italiane. I marchi gli uomini le storie [CINELLI E COLNAGO]

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BICI ITALIANE DA CORSA 54 55 CINELLI Cinelli Cinelli è un marchio di Gruppo Srl Produzione telai, manubri, attacchi, reggisella e accessori. Fondata nel 1948 da Cino Cinelli. Sede sociale: Via G. Di Vittorio 21, 20090 Caleppio di Settala (MI) Tel. +39 02 95244.1 Fax +39 02 95244.239 www.cinelli.it Ragionare sulla bicicletta Della bicicletta Cino Cinelli vuole migliorare la rigidità. Quand’era in sella era un forte sprinter e sa cosa vuol dire avere un mezzo che sa rispondere alle violente sollecita- zioni delle masse muscolari di un velocista. Iniziò subito ad elaborare un primo manubrio in lega di alluminio, novità assoluta considerato il periodo, ma la sua attenzione si orientò anche verso il telaio della bici- cletta e la forcella. Arrivò persino a disegnare una biciclet- ta per Fausto Coppi, nel 1947, seguendo gli standard di comodità e rigidità che aveva sviluppato partendo dalla sua esperienza. Già nel dopoguerra la ricerca verso il design iniziava ad essere una via interessante per la bicicletta e anche Cinelli si cimentò in alcune proposte. Elaborò un reggisella con Firenze-Milano, solo andata La storia del marchio Cinelli inizia quando il fondatore è ancora in sella. Cino Cinelli, fiorentino da Montespertoli, è un buon corridore professionista, classe 1916. Pedala da quando aveva tredici anni. All’inizio è solo per andare a scuola assieme al fratello, poi ci prende gusto e si sco- pre pure bravo. Tanto che quando passa professionista è considerato ben più di una speranza per la sua regione, la Toscana. Passa professionista come individuale, poi corre per la Frejus e arriva a vestire anche la maglia Bianchi. Con la bici bianco-celeste vince la Milano-Sanremo nel 1943. Da corridore riesce a evitare il fronte, almeno quello più peri- coloso, ma nel 1944 decide comunque di ritirarsi dalle corse. Ha delle idee per il suo futuro, ci sono progetti da mette- re in pratica sulla bicicletta. Per cominciare, si trasferisce a Milano dove apre il suo primo negozio. Cinelli come mar- chio di componenti e telai per bicicletta nascerà nel 1948: da Cinelli Firenze il marchio diventa Cinelli Milano. L’officina meccanica Cinelli apre a Milano nel 1948. Nei decenni a seguire il marchio si affermerà come uno dei più originali e creativi produttori di biciclette. In alto, a destra, cinghietti di chiusura dei pedali, qui in versione da pista. Nella pagina a fianco, una conversazione tra Cino Cinelli e Fausto Coppi.

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di Guido P. Rubino All’estero i costruttori italiani di biciclette da corsa vengono paragonati alle firme dell’alta moda di cui l’Italia ha buon motivo di essere fiera nel mondo. Una bici italiana è qualcosa di personalizzato, di studiato con cura artigianale, è un mix di esperienza e di passione. Dietro a un telaio, a un manubrio, a una sella, a un cambio italiani ci sono storie di uomini e di campioni, di famiglie e di officine. Questo libro le racconta attraverso 40 marchi storici che hanno portato la bicicletta da corsa a essere un segno dell’eccellenza italiana nel mondo.

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cinelli

Cinelli

Cinelli è un marchio di Gruppo SrlProduzione telai, manubri, attacchi, reggisella e accessori. Fondata nel 1948 da Cino Cinelli.Sede sociale: Via G. Di Vittorio 21, 20090 Caleppio di Settala (MI)Tel. +39 02 95244.1 Fax +39 02 95244.239www.cinelli.it

Ragionare sulla bicicletta

Della bicicletta Cino Cinelli vuole migliorare la rigidità.

Quand’era in sella era un forte sprinter e sa cosa vuol dire

avere un mezzo che sa rispondere alle violente sollecita-

zioni delle masse muscolari di un velocista.

Iniziò subito ad elaborare un primo manubrio in lega di

alluminio, novità assoluta considerato il periodo, ma la

sua attenzione si orientò anche verso il telaio della bici-

cletta e la forcella. Arrivò persino a disegnare una biciclet-

ta per Fausto Coppi, nel 1947, seguendo gli standard di

comodità e rigidità che aveva sviluppato partendo dalla

sua esperienza.

Già nel dopoguerra la ricerca verso il design iniziava ad

essere una via interessante per la bicicletta e anche Cinelli

si cimentò in alcune proposte. Elaborò un reggisella con

Firenze-Milano, solo andata

La storia del marchio Cinelli inizia quando il fondatore è

ancora in sella. Cino Cinelli, fiorentino da Montespertoli,

è un buon corridore professionista, classe 1916. Pedala

da quando aveva tredici anni. All’inizio è solo per andare

a scuola assieme al fratello, poi ci prende gusto e si sco-

pre pure bravo. Tanto che quando passa professionista è

considerato ben più di una speranza per la sua regione, la

Toscana. Passa professionista come individuale, poi corre

per la Frejus e arriva a vestire anche la maglia Bianchi. Con

la bici bianco-celeste vince la Milano-Sanremo nel 1943.

Da corridore riesce a evitare il fronte, almeno quello più peri-

coloso, ma nel 1944 decide comunque di ritirarsi dalle corse.

Ha delle idee per il suo futuro, ci sono progetti da mette-

re in pratica sulla bicicletta. Per cominciare, si trasferisce a

Milano dove apre il suo primo negozio. Cinelli come mar-

chio di componenti e telai per bicicletta nascerà nel 1948:

da Cinelli Firenze il marchio diventa Cinelli Milano.

L’officina meccanica Cinelli apre a Milano nel 1948. Nei decenni a seguire il marchio si affermerà come uno dei più originali e creativi produttori di biciclette. In alto, a destra, cinghietti di chiusura dei pedali, qui in versione da pista. Nella pagina a fianco, una conversazione tra Cino Cinelli e Fausto Coppi.

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involontario tentativo di cambio di nome; il fornitore di

etichette stamperà erroneamente alcune etichette con la

scritta “Speciale Corsa” al posto di “Super Corsa” e fece-

ro in tempo a uscire alcuni telai con questa variazione, ma

poi si ritornò al nome originale.

Intanto Cinelli segue i corridori. Per studiare nuove solu-

zioni, ma anche curandone gli interessi. Nel 1946 fonda

l’associazione dei ciclisti professionisti della quale sarà pre-

sidente per ventiquattro anni.

Pedali a sgancio rapido, sella e manubrio in alluminio. Nel-

la sua ricerca continua Cinelli si dedica anche ai pedali. Nel

appoggio arretrato, ma, soprattutto, un’idea che si rivelò

importantissima nella costruzione delle forcelle: la testa con

le spalle inclinate. Il nuovo disegno permetteva di ridurre la

lunghezza dei foderi-forcella aumentando il comportamen-

to attivo della testa a tutto vantaggio della rigidità. Cinelli

era convinto che ne avrebbe guadagnato anche la comodi-

tà, poiché una forcella così fatta era in grado di rispondere

meglio alle sollecitazioni del fondo stradale.

Siamo alle origini del telaio Super Corsa, quello che tutt’og-

gi è nel catalogo Cinelli e che lo stesso Cino si darà da fare

ad aggiornare per i successivi trent’anni. Ci sarà anche un

Cinelli punta tutto sui manubri e gli attacchi, presentando una vasta gamma di prodotti innovativi; d’altra parte Colombo (e la Gruppo, che nascerà nel 1997) evita di mettersi in concorrenza con i clien-ti stessi del marchio Columbus. Questo non impedisce, comunque, l’elaborazione di parecchie idee interessanti per quanto riguarda il design delle nuove biciclette. Antonio Colombo, appassionato d’arte (e gallerista egli stesso), crede molto nelle potenzialità del marchio e unisce sapientemente la ricerca tecnologica al design.Una storia a parte è quella degli “Spinaci”, dal nome curioso con cui furono battezzate le speciali appendici per manubrio messe in com-mercio negli anni Novanta. Innovazione tecnica estremamente impor-tante, queste appendici riprendono il concetto delle protesi aerodina-miche ma, senza costringere il ciclista a spostarsi in avanti, di fatto offrono possibilità di appoggio in più, tant’è che si rivelano utili anche per tirare il manubrio in salita quando si pedala seduti sulla sella.Il prodotto, dopo le prime ritrosie da parte dell’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) viene ammesso all’utilizzo nelle compe-tizioni e, anche a seguito di una campagna pubblicitaria e di sponsorizzazioni piuttosto massiccia, ha una diffusione enor-

L’affaire Spinaci

Una versione light degli Spinaci. Ne sono stati prodotti di diversi tipi e colori.

Ironica campagna di comunicazione contro il divieto di utilizzo degli “Spinaci” in gare ufficiali stabilito dall’UCI.

Il telaio Super Corsa è un modello storico di grande successo: ancora oggi è tra i prodotti di punta del catalogo Cinelli.

Un nastro manubrio: Cinelli è stato tra i primi marchi a proporre nastri con percentuali di sughero nella mescola per rendere confortevole l’appoggio.

me. A metà degli anni Novanta una bicicletta da corsa com-pleta prevede sempre più spesso queste prolunghe, anche di altri marchi che nel frattempo si sono lanciati in scia. Claudio Chiappucci è uno dei principali protagonisti dell’utilizzo degli Spinaci, la sua posizione in bici, con il busto piuttosto alto trova un appoggio naturale con le braccia in avanti.Nel 1997 la diffusione degli Spinaci arriva al massimo. Ma il vento sta per cambiare. Al Tour de France, nel mese di lu-glio, ci sono tantissime cadute nelle prime tappe. Gli arrivi su strade con strettoie improvvise provocano sbandamenti nel gruppo che vedono molti corridori finire a terra. La col-pa, più che alle strade, viene attribuita agli Spinaci, per cui l’UCI inizia un’indagine per stabilirne l’eventuale perico-losità. La contesa legale dura diversi mesi ma alla fine Ci-nelli ne esce perdente (nonostante le tante dimostrazioni, anche scientifiche, dell’insensatezza del provvedimento). Le prolunghe spariscono dalle bici dei professionisti e,

curioso, anche da quelle degli amatori che non sono certo soggetti alla normativa UCI.

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cinelli

si smentisce e porta avanti bene il nome Cinelli anche

dal punto di vista tecnologico. Tiene d’occhio l’evoluzio-

ne della bicicletta ed è il primo a proporre in Italia una

mountain bike su larga scala. La Cinelli Rampichino rimane

nella storia dell’azienda e il suo nome diventerà un sinoni-

mo di mountain bike o, addirittura, della terza moltiplica.

La bravura di Colombo sta nel cogliere le potenzialità di

un fenomeno che di lì a breve esploderà con forza in Italia.

Attento osservatore delle mode, con la sua competenza

ciclistica azzecca molte scelte, come quella, anni più tar-

di, di seguire il filone dello stile bike messenger nella serie

Bootleg dedicata al ciclista metropolitano.

Con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano Cinelli aveva

lavorato già nel 1960, ma nel 1968 ne diviene fornitore

ufficiale tanto che arriva a sospendere la produzione nor-

male per un anno per seguire le Olimpiadi.

Le bici Cinelli diventano ricercate e anche rare proprio

per questo motivo.

Il passaggio a Colombo: in the mood

Cinelli si ritira dal lavoro nel 1978 quando cede il suo mar-

chio alla AL Colombo di Antonio Colombo in cui riconosce

la sua stessa passione per la bicicletta.

Colombo, già proprietario del marchio Columbus non

1951 realizza il il cinturino fermapiedi in pelle. Vent’an-

ni più tardi arriverà a elaborare il primo pedale a sgancio

rapido. Un sistema interessante per il 1971, ma sul mer-

cato questa tipologia di pedali si diffonderà solo a partire

dal 1984 quando li proporrà la francese Look. Nel 1961

Cinelli elabora dei mozzi speciali “bivalenti” che permet-

tono di scambiare la ruota anteriore con la posteriore con

un sistema che lascia la ruota libera fissata al telaio. Un

anno dopo è la volta della prima sella in materiale plastico,

la Unicanitor, e un manubrio in alluminio di nuova conce-

zione. È il 1963 e quel manubrio con il suo rinforzo nella

parte centrale, farà storia.

In casa Cinelli la ricerca tecnologica va di pari passo con il design e l’attenzione alla comunicazione. Qui sopra, Antonio Colombo, il titolare di Gruppo Srl, in una posa curiosa con un manubrio e una sella Unicanitor. A fianco, particolari finiture su telai modello Smile Vigorelli.

Il riscatto

Dopo la vicenda legale relativa alla messa al bando degli

“Spinaci” (vedi box a pag. 56) l'azienda subisce un brutto

colpo, ma Colombo non si perde d’animo. Con il manubrio

Ram, nel 2001, rilancia con decisione il marchio. La strut-

tura interamente in composito comprende attacco e curva

manubrio in un appoggio altamente ergonomico. Intanto il

mercato ha visto l’attacco manubrio Alter e diverse forme

che rendono inconfondibile una bicicletta che adotta pro-

dotti Cinelli. Colombo rilancia e pesca sapientemente nel

passato, andando a proporre anche la nuova sella Unicanitor.

Chi non ha avuto un manubrio Cinelli o il famoso attacco 1R con vite a scomparsa sulla propria bicicletta? I ciclisti degli anni Ottanta e Novanta ricordano sicuramente questi prodotti facilmente riconoscibili sulle biciclette.

Il pedale a sgancio rapido, precursore dei sistemi moderni. A destra, le pagine di un catalogo Cinelli.

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cinelli

Laser

Nel 1983 Cinelli produce un telaio avveniristico: il Laser. Vedendolo oggi non appare diverso da alcuni modelli in fibra di carbonio, ma nel 1983 si lavora con l’acciaio. Il ciclismo sta per conoscere le innovazioni aerodinamiche e la possibilità di modificare l’incidenza dei profili dei tubi per migliorare la penetrazione dell’aria. I tubi affusolati e gli ampi fazzoletti di rinforzo sono realizzati tutti in acciaio con un lavoro maniacale di forgiatura del metallo ed esecuzione delle saldature. La forma avveniristica di questo telaio, poi sviluppato anche in versione da cronometro,

arriva a conquistare il prestigioso premio di disegno industriale Compasso d’Oro (nel 1991) e un posto nel Museo di Arte Contemporanea di Chicago.

La chiusura del reggisella si trova direttamente sui

pendenti posteriori.

I fazzoletti di rinforzo sono realizzati in acciaio e inseriti e saldati a mano.

Non ci sono solo i fazzoletti di rinforzo a rendere aerodinamico il telaio. Anche i tubi sono appositamente sagomati.

Anche gli steli della forcella sono realizzati con profilo aerodinamico.

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Colnago

Colnago

Colnago diErnesto Colnago & C.Biciclette da corsa e da pista, mountain bike.Fondata da Ernesto Colnago nel 1954.Sede sociale: viale Brianza 9, 20040 Cambiago (MI)www.colnago.com

Nel 1954 Colnago trova un nuovo locale, è qualche numero

civico più in là, sulla stessa via ma decisamente più grande:

sono duecento metri quadrati, un sogno che si avvera. Ed

è proprio nel 1954 che Colnago scrive per la prima volta il

suo nome su una bici da lui prodotta. Dilettanti della zona,

suoi clienti abituali, iniziano a portare alle gare le biciclette

Colnago. Il 1954 è pure l’anno in cui Ernesto Colnago incon-

tra Fiorenzo Magni. Anche Magni è uno che guarda avanti:

proprio in quell’anno ha portato nel ciclismo gli sponsor

extra settore facendo affiliare la Nivea come squadra cicli-

stica. La simpatia che nasce subito tra i due si trasforma in

collaborazione quando proprio il “terzo uomo” (così era

soprannominato Magni nel ciclismo dominato da Bartali

e Coppi), riconoscente per la risoluzione di un problema

tecnico alla sua bici, manda a chiamare Ernesto Colnago a

lavorare nella sua squadra. Diventa vice-meccanico di Falie-

ro Masi: uno dei telaisti più stimati del giro. Dal “sarto” –

così è soprannominato Masi – Ernesto imparerà tantissimo.

La prima bicicletta su misura

Colnago è ormai lanciato nel mondo delle corse e dei cam-

pioni. Nel 1957 è al servizio della Chlorodont di Gastone

Nencini. Colnago diventa sempre più ricercato come mec-

canico (lo stesso Coppi si trova a chiedere il suo aiuto anche

se non lo ha in squadra: per Colnago è un onore, per Cop-

pi la soluzione di un problema). Tuttavia per Ernesto quel

Giro d’Italia fu ancora più importante del primo, che vinse

nel ’55 sull’ammiraglia di Magni. Nencini, al Giro del 1957

utilizzò con una bicicletta realizzata su misura proprio da

tà. Perché va bene la tradizione, ma è innovando che si può

restare sulla cresta dell’onda per tanti anni come ha fatto lui.

Meglio da solo

Colnago gioca d’anticipo. Anche quando inizia a lavorare

per la Cicli Gloria, a Milano, dovrebbe a norma di legge ave-

re almeno quattordici anni: ma ne ha solo tredici. Corregge

allora a mano la data di nascita sul libretto di lavoro e inizia

la sua avventura come aiuto saldatore. Il giovane Ernesto ha

molta voglia di imparare e ben presto passa al reparto mon-

taggio. Intanto inizia anche a correre in bicicletta dove non

va affatto male. Ma spesso nella vita le occasioni si presen-

tano sotto forme inaspettate ed è una caduta, dalla quale

Colnago esce piuttosto malconcio, a fargli capire che l’atti-

vità di meccanico in proprio può essere più redditizia.

Costretto al riposo per la convalescenza non si perde d’a-

nimo e si fa recapitare direttamente a casa le ruote da

montare. Il risultato è incoraggiante: nei giorni di lavoro

casalingo guadagna più del doppio di quanto non sareb-

be stato recandosi in officina. E allora prende la decisione:

lavorerà in proprio. E la carriera vera e propria di Ernesto

Colnago ha inizio.

La bottega e le corse

Il primo negozio è davvero piccolo. Ernesto l’ha trovato con

l’aiuto del padre. Però è in un punto strategico di Cam-

biago, il paese dei Colnago, tra la Brianza e l’Adda. Viale

Garibaldi è zona di passaggio, il lavoro aumenta sempre

più e ben presto si sente la necessità di allargarsi.

a trovare potrebbe incalzarvi subito, tanto per mettere le

cose in chiaro. «Guarda qui - potrebbe dirvi, tirando fuori

una forma scura dal cassetto enorme - è un telaio in fibra

di carbonio monoscocca, uno stampato che risale agli anni

settanta quando già facevamo esperimenti sul composito».

Ernesto Colnago è così, la sua carica, la voglia di coinvolge-

re e di ricercare cose nuove e il suo occhio attento alle novi-

La scrivania dell’Ernesto

La scrivania di Ernesto Colnago è diversa da tutte le altre

scrivanie che potrete trovare nell’ufficio di un direttore d’a-

zienda, qualunque essa sia. È grande e non serve solo ad

appoggiarvi le cose sopra. Quando Colnago racconta di sé

si infervora facilmente: ha fatto tanto per il ciclismo e le

prove, spesso, le ha proprio nella scrivania. E se lo andate

Un telaio molto innovativo negli anni ‘80: il Master; in questa foto, è nella particolare versione fatta per Saronni con congiunzioni lavorate, già di serie sul telaio Arabesque.

Ernesto Colnago, seduto in alto, sull’ammiraglia della Leo-Chlorodont guidata da Fiorenzo Magni che, lasciata l’attività agonistica, nel 1957 diventa direttore sportivo della squadra che porterà Gastone Nencini al Giro d’Italia.

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Colnago

Le vittorie di Enrico Paolini in ben tre campionati italiani su

bici Colnago rendono sempre più prestigioso il marchio,

poi sarà la volta di Bitossi e di Battaglin, per arrivare negli

molecole dell’acciaio sarebbero rimaste intatte e la forcella

avrebbe avuto un rendimento migliore.

Da Gianni Motta a Eddy Merckx

Lavorare con i corridori più forti, permette a Colnago di

osservarli nel modo di pedalare per indovinare le geome-

trie più azzeccate dei telai, ma anche di capirne le poten-

zialità. Nella sua storia Ernesto ne scopre tanti di campioni,

a partire da Gianni Motta al quale, nel 1962, fornisce la

prima bici facendosi pagare a rate. Un debito mai salda-

to completamente perché tramutatoso in uno strettissimo

rapporto di fiducia.

Intanto Colnago diventa meccanico della nazionale italiana

di ciclismo; avrebbe potuto salire anche sull’ammiraglia del

Belgio, visto che Eddy Merckx insiste per averlo al suo servi-

zio, conoscendone le qualità per averle toccate con mano

alla Molteni, squadra con cui Colnago lavora dal 1971.

Quando Colnago realizza la prima bicicletta per Eddy Merckx

è ormai un costruttore a tutti gli effetti. Tuttavia è proprio

con il “Cannibale” che ha modo di affinare le sue capacità

di telaista. «Merckx era convinto che per ogni gara ci voles-

se una bicicletta diversa – spiega Colnago – e stargli die-

tro era difficile, ma anche molto stimolante». Per Colnago

il binomio con Merckx è la consacrazione. Eddy rimaneva

spesso in officina ad osservare le sue bici che nascevano.

Colnago scoprì che aveva più potenza nella gamba sinistra

e che, nel disegno del telaio, occorreva tenerne conto per

assecondare al meglio la sua spinta.

Nella primavera del 1972 per fargli vincere la sua quinta

Dancelli, la Sanremo e l’asso di fioriColnago costruisce la biciclet-ta con cui Michele Dancelli trionfa, nel 1970, alla Milano Sanremo, la Classicissima che da sedici anni sfuggiva alla vittoria di un’italiano. È in questa occasione che nasce il logo Colnago, l’asso di fiori. L’idea, a dire il vero, l’ha sug-gerita a Colnago Bruno Ra-schi, giornalista e amico che parlò di quella vittoria come di “una bici in fiore”, soffian-do così nell’orecchio l’idea a Ernesto.

Le misure del telaio di una bicicletta da cronometro ordinata a Colnago da Eddy Merckx, nel marzo del 1971, poche settimane prima dell’inizio del Giro del Belgio: di quell’edizione il “Cannibale” vincerà tre delle cinque tappe, di cui la prima a cronometro, e la classifica finale.

Colnago. Ernesto aveva notato la potenza del corridore

toscano e la sua bravura in discesa e capì che una biciclet-

ta più stabile sarebbe potuta diventare un bel vantaggio. Si

può ben dire che, alla fine del Giro, la maglia rosa di Nen-

cini porta anche la firma di Colnago.

Ernesto e Paolo: il tandem Colnago

La necessità di seguire le corse porta Ernesto Colnago lon-

tano dalla sua officina e a dargli aiuto resta Paolo, il fratel-

lo minore. Su di lui Ernesto sa di poter contare e spesso gli

è stato di supporto sostenendo le sue idee innovative che

non sempre venivano accettate al primo colpo.

«Quando pensai di piegare a freddo le forcelle fu solo Paolo

ad essere d’accordo con me – ricorderà poi Colnago – Ne

dovetti buttare via un bel po’ prima di capire bene come

fare, ma il suo supporto è stato fondamentale per anda-

re avanti».

Paolo Colnago aveva capito che con quel procedimento le

Mentre Merckx si prepara scientificamente per il Record dellOra che avrebbe dovuto sfidare in autunno a Città del Messico, Colna-go lavora febbrilmente sulla bicicletta. Oggi diremmo che ha “otti-mizzato i materiali”, scegliendo i migliori e togliendo tutto ciò che poteva essere in eccesso. «Preziosissima fu la collaborazione con Campagnolo che ci fornì componenti ultraleggeri» conferma Col-nago, ma fondamentale fu anche quella di Columbus, che realizzò tubi in acciaio con spessori fino a 0,4 millimetri, di Regina, che fornì una catena forata, e di Clément, la ditta francese che aveva approntato tubolari da 80 grammi. Per saldare l’attacco manubrio, costruito in titanio, Colnago dovette rivolgersi a degli esperti di Detroit, mentre si riservò personalmente il compito di praticare dei fori nel manubrio. Alla fine il peso complessivo della bicicletta fu da record già di per sé: 5,750 kg. Su quel mezzo, il 25 ottobre 1972, Merckx vola: percorrendo 49,431 chilometri polverizza il preceden-te Record dell’Ora di Ole Ritter, incrementandolo di quasi 800 metri.

Milano-Sanremo – delle sette che conquisterà in carriera -

Colnago mette a punto una bicicletta di sette chili e otto-

cento grammi. Un record per l’epoca, ma ancora meglio

avrebbe fatto di lì a pochi mesi per la bicicletta del Record

dell’Ora del Belga.

Il nome Colnago

Costruttore sì, ma di fatto Colnago era ancora il meccanico

della Molteni. Ancora una volta Colnago sceglie di fare in

proprio e di mettere in bella vista il proprio marchio: l’oc-

casione gli arriva da un giovane emergente, Giovanbattista

Baronchelli, È il momento di lasciare Eddy Merckx e la Mol-

teni di Giorgio Albani. Il trampolino di lancio di Baronchelli

(che correrà con Colnago anche alla Del Tongo, anni più

tardi) porta Colnago ad un ruolo sempre più importante

nel professionismo.

La bicicletta dell’Ora di Merckx

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Colnago

anni Ottanta ad Argentin con l’Ariostea e a Fondriest, e

infine al sodalizio con la Lampre.

Negli anni Novanta Colnago si associa alla “corazzata” Mapei.

Bartoli, Bettini, Ballerini, Bortolami, Tafi, e poi Olano, Museeuw

e soprattutto Rominger, autore nel 1994 di uno strepitoso

Record dell’Ora (55,291 chilometri) e nel 1995 vincitore del

Giro d’Italia, sono solo alcuni nomi che hanno indossato la

“maglia a cubetti” del sodalizio Colnago-Mapei. Un ricordo

speciale per Colnago sono le vittorie di Ballerini alla Roubaix

in sella alla C40, di cui ancora conserva le due bici, ancora

sporche del fango secco dell’”Inferno del Nord”.

Gli affari

A Colnago vengono riconosciute universalmente alcune

qualità: la capacità di vedere lontano, l’estro innovativo e

le capacità manageriali. I rapporti con la Federazione Russa

permettono a Colnago di scritturare campioni del calibro

di Soukoruchenkov prima e Abdujaparov poi. Alla caduta

Joop Zoetemelk su una salita del Tour de France del 1986. Il campione olandese, vincitore l’anno precedente del Mondiale corso in Italia sul circuito trevigiano di Giavera del Montello, correva in quegli anni con una bicicletta Colnago assemblata partendo da un telaio Master con tubi a sezione stellare.

Saronni purosangue ColnagoTra i tanti campioni che hanno corso su bici Colnago un discorso a parte merita Giuseppe Saronni. Quando si presenta da Colnago per correre è poco più di un ragazzino. Ha bisogno di una bici-cletta da pista e Colnago ne segue subito le prime pedalate con molta attenzione, intuendone la stoffa. Ne segue il passaggio al professionismo che avviene a poco più di 19 anni. Per il giovane corridore di Parabiago è una scommessa che viene subito ripa-gata a suon di vittorie: a soli ventun anni Saronni vince il Giro d’Italia. Colnago capisce di aver visto giusto e lo vuole subito nella sua squadra. Tanti successi con Saronni, compresa quella favolosa maglia iri-data al mondiale di Goowood, frutto di una volata prepotente e rabbiosa che lo portò a vincere praticamente per distacco (cinque secondi su Lemond, medaglia d’argento).Nel 1982, insieme a Saronni, al culmine del dualismo sportivo con Francesco Moser, che appassiona anche i tifosi più tiepidi, Colnago inizia il sodalizio con i fratelli Del Tongo.

La bicicletta con la quale Franco Ballerini vinse nel 1998 la sua seconda Parigi-Roubaix: Ernesto Colnago la conserva gelosamente come una reliquia, ancora incrostata del fango del terribile “Inferno del Nord”.

del Muro di Berlino è il primo a portare nel professionismo

dei corridori russi realizzando il team Alfa Lum con Ugru-

mov, Konishev e Tchmil. La scoperta di talenti continuerà

con Tonkov prima e Popovich poi.

Intanto Colnago va alla scoperta dell’Oriente. Nei primi anni

Novanta, su invito di Yoshizo Shimano, scopre una realtà

che capisce subito che non può essere ignorata. Tanto che

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Colnago

ne biciclette destinate a corridori molto alti. Colnago ha

pensato bene di lasciar svettare tubo di sterzo e piantone

al di sopra dell’orizzontale compattando il triangolo prin-

cipale del telaio. Una soluzione azzeccata in tempi in cui

la geometria sloping era di là da venire. Giganti in biciclet-

ta come Urs Freuler prima, e Van Hooydonck poi, ebbero

modo di sfruttare questa soluzione inventata a Cambiago.

Leggerezza ad oltranza

Colnago lavora a nuovi progetti ma senza dimenticare il

lavoro fatto. È il caso della nuova C59, l’ultima nata nelle

officine di Cambiago. Tutto carbonio, neanche a dirlo, ma

con un profilo dei tubi che riprende il disegno di quel Master

in acciaio di parecchi anni prima. Il telaio pesa meno di un

chilo, ma nel mercato del nuovo millennio non è un record.

«Meglio di un telaio leggero, c’è un telaio robusto – senten-

zia Colnago – Abbiamo già dimostrato che, se opportuna-

mente montato con componenti superleggeri e comunque

di serie, un nostro telaio può realizzare una bici dal peso

inferiore ai cinque chilogrammi».

nel 2005 Colnago entra a far parte dell’A-Team, l’associa-

zione dei costruttori taiwanesi di cui fanno parte nomi del

calibro di Giant, Merida, ma anche Trek, Specialized e Scott.

È una rivoluzione culturale per Colnago che capisce che la

costruzione di biciclette di fascia media non può reggere

più il confronto. «Per i modelli di fascia media – si convince

– la realizzazione avverrà in Oriente ma sempre su nostro

progetto: l’alta gamma si continuerà a fare in Italia».

Innovazione

Innovazione. Per Ernesto Colnago è la parola d’ordine. L’ar-

tigiano di Cambiago è da sempre stato attentissimo all’evo-

luzione tecnologica, ai materiali e alle possibili lavorazioni.

Tra i tantissimi modelli prodotti da Colnago uno dei telai più

rivoluzionari è il Master, che per la prima volta abbandona

la sezione tonda delle tubazioni. Colnago elabora la cosid-

detta “sezione stellare” che prevede quattro profonde sca-

nalature nella zona centrale dei tubi del triangolo principale

del telaio. Le nervature che ne risultano fuori conferiscono

al telaio una rigidità notevole. La bici viene fornita a Saron-

ni in una versione particolare: con le congiunzioni cromate

dell’elegante telaio Arabesque, dove alla congiunzione sem-

plice viene sostituita da quella arabescata (appunto) del tela-

io più elegante del catalogo Colnago. Sempre per Saronni

Colnago prepara una bicicletta con ruote da ventisei pollici

per affrontare meglio le salite del Giro d’Italia.

Grande fantasia e all’abilità telaistica hanno fatto precorrere

i tempi a Colnago su parecchie cose. È il caso, ad esempio,

della geometria compatta con cui vengono costruite alcu-

nati da un sistema idraulico al posto del classico cavetto in acciaio. Tuttavia quella bici è rimasta un buon proposito visto che aveva un difetto importante: pesava tredici chili. Troppi per una bici da corsa, come ammise lo stesso Colnago.Ma il seme era piantato e continuò a germogliare. La C35 che uscì successivamente per celebrare il 35° anniversario del marchio Col-nago aveva soluzioni in carbonio per il telaio e fece da apripista alla successiva Carbitubo della serie da corsa. Il progetto CF1 è invece la sublimazione della collaborazione Colnago-Ferrari. Nonostante il prezzo proibitivo (l’equivalente di 18 milioni di lire per Stati Uniti e Giappone, 13 milioni di lire in Italia) ci fu una corsa ad accaparrarsi la produzione limitatissima del modello.

Nel 1986 Colnago incontra Enzo Ferrari. È proprio il Drake, confi-derà poi, che gli suggerisce di concentrarsi sulla fibra di carbonio. La collaborazione con Ferrari Engineering porta Colnago a speri-mentare nuove soluzioni: dalle ruote a razze al cambio integrato nella guarnitura fino ai telai in fibra di carbonio ad altissima tec-nologia. Dalla collaborazione con la casa automobilistica Colnago ha pro-dotto biciclette avveniristiche. La prima, chiamata Concept, ha visto la luce alla fine degli anni Ottanta. Ruote a razze in carbonio (come aveva suggerito Enzo Ferrari) e una soluzione rivoluzionaria per il cambio: sistema interamente interno alla guarnitura con meccani-smo di derivazione automobilistica. Senza dimenticare i freni, azio-

Fianco a fianco con Ferrari

Ernesto Colnago a fianco di Michael Schumacher. La collaborazione con tra Colnago e Ferrari ha portato alla realizzazione di diversi modelli. Qui a destra vedete una speciale bicicletta che monta un gruppo Campagnolo C Record con finiture in oro.

La Colnago C59, una delle ultime proposte uscite dalle officine di Cambiago. Il tubo obliquo, in carbonio, riprende la sezione che già era stata adottata negli anni ‘80 dal telaio Master.

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BICI ITALIANE DA CORSA

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C40

Colnago è uno sperimentatore. Facile dunque capire come le potenzialità che offrono i nuovi materiali costruttivi lo abbiano sempre stimolato. Il carbonio trova una sua utilizzazione nel Carbitubo che prevedeva lo sdoppiamento del tubo obliquo in due sezioni separate per aumentare la rigidità torsionale. Idea messa in pratica anche con il titanio nel 1991 con il progetto “Bititan”. Ma è con la fibra di carbonio che Colnago si esalta. Le soluzioni monoscocca permettono di realizzare telai interamente in composito ma non su misura: la necessità di avere uno stampo per tutto il telaio rende infatti impossibile personalizzare la taglia. Colnago elabora allora l’idea di un telaio interamente in carbonio ma da plasmare come se fosse in acciaio. Per realizzarlo, però, occorrono congiunzioni in carbonio resistentissime. Non è facile farle realizzare ma alla fine il risultato è vincente. Nasce la C40, una bicicletta interamente in fibra di carbonio e realizzabile su misura. La prima di una serie che si continua ad evolvere nel catalogo Colnago.

I tubi vengono incollati all’interno delle congiunzioni in fibra di carbonio.

Forcella a steli dritti: Colnago ha creduto da subito in questa soluzione apprezzata da moltissimi corridori.

Deragliatore a fascetta: una scelta audace su un tubo in carbonio, ma testimonia la solidità della fibra.