Bianca Cappello e le ermetiche allegorie del suo Palazzo ... · grottesche, nasconde un simbolismo...

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Bianca Cappello e le ermetiche allegorie del suo Palazzo (prima parte) “O di Bianca luce,/ nuova Alba hoggi tra noi splende et s’asside!”, scriveva Francesco I de’ Medici in uno dei suoi componimenti poetici dedicati a Bianca Cappello, raccolti dal fidato e stimato maggiordomo Rocco Galletti e conservati nell’antico “Codice Mediceo Cappelliano della Torre del Gallo”. In quelle poesie Francesco I nomina così Bianca: “Bianca aurora leggiadra” ed ancora “Bianca alba d’Amor”, mettendo in evidenza che il candore della sua persona era tale da ricordare il colore che assume il cielo alle prime luci dell’alba. Anche Torquato Tasso rimase incantato dal candore della nobile Bianca ed in uno dei cinquanta madrigali a lei dedicati così le si rivolge: “vero candore, anzi splendor sereno, e vero e casto amor”. Al “bianco” del suo nome a quanto pare doveva corrispondere anche la “bianchezza” del suo animo: una purezza e una semplicità che Bernardino Poccetti seppe magistralmente immortalare sulla facciata del Palazzo di via Maggio inserendo, in quella decorazione a grottesche, quattro candidi cigni con la scritta: “NON MINUS CANDORE QUAM CANTU ET VATICINIO SACER”, chiaro riferimento a doti di purezza, intuizione e saggezza, che Bianca Cappello doveva possedere, ma anche preziose virtù che ognuno dovrebbe realizzare. Bianca Cappello era nata a Venezia nel 1548 da un’aristocratica famiglia il cui cognome, già dal 1297, appariva iscritto nel “Libro d’oro della Nobiltà Italiana” e, da parte di madre, includeva tra i suoi antenati il Doge Domenico Morosini. Per diversi anni, prima della sua fuga da Venezia con Pietro Bonaventuri, la giovane aveva frequentato il salotto letterario della zia Gritti, sorella del doge 1

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Bianca Cappello e le ermetiche allegorie del suo Palazzo

(prima parte)

“O di Bianca luce,/ nuova Alba hoggi tra noi splende et s’asside!”, scriveva Francesco I de’ Medici in uno dei suoi componimenti poetici dedicati a Bianca Cappello, raccolti dal fidato e stimato maggiordomo Rocco Galletti e conservati nell’antico “Codice Mediceo Cappelliano della Torre del Gallo”.In quelle poesie Francesco I nomina così Bianca: “Bianca aurora leggiadra” ed ancora “Bianca alba d’Amor”, mettendo in evidenza che il candore della sua persona era tale da ricordare il colore che assume il cielo alle prime luci dell’alba.Anche Torquato Tasso rimase incantato dal candore

della nobile Bianca ed in uno dei cinquanta madrigali a lei dedicati così le si rivolge: “vero candore, anzi splendor sereno, e vero e casto amor”.Al “bianco” del suo nome a quanto pare doveva corrispondere anche la “bianchezza” del suo animo: una purezza e una semplicità che Bernardino Poccetti seppe magistralmente immortalare sulla facciata del Palazzo di via Maggio inserendo, in quella decorazione a grottesche, quattro candidi cigni con la scritta: “NON MINUS

C A N D O R E Q U A M CANTU ET VATICINIO SACER”, chiaro riferimento a doti di purezza, intuizione e saggezza, che Bianca Cappello doveva possedere, ma anche preziose virtù che ognuno dovrebbe realizzare. Bianca Cappello era nata a Venezia nel 1548 da un’aristocratica famiglia il cui cognome, già dal 1297, appariva iscritto nel “Libro d’oro della Nobiltà Italiana” e, da parte di madre, includeva tra i suoi antenati il Doge Domenico Morosini. Per diversi anni, prima della sua fuga da Venezia con Pietro Bonaventuri, la giovane aveva frequentato il salotto letterario della zia Gritti, sorella del doge

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Andrea Gritti, che annoverava tra i suoi assidui frequentatori i più grandi artisti e letterati di quel periodo e tra questi un anziano insegnante di eccezione quale Pierio Valeriano Bolzanio, segretario di Leone X e di Clemente VII e precettore del Vasari, che divenne anche maestro di Bianca. Non va dimenticato che Venezia tra la fine del Quattrocento ed i primi del

Cinquecento fu meta di artisti e di eruditi che traevano i loro studi dall’ermetismo, dal neoplatonismo e dalla Kabbalà ebraica, gli stessi che probabilmente frequentavano il salotto Gritti, uno dei salotti letterari più in vista della città.Guardando ammirati la preziosità del fregio che decora la facciata del Palazzo di Bianca Cappello e osservandone tutti i particolari, possiamo accorgerci che quel graffito a grottesche, nasconde un simbolismo ermetico preciso e molto profondo, che inizia severo, dal piano terreno, per terminare in un tripudio di immagini allegoriche ai piani superiori.Palazzo Cappello, edificato nella seconda metà del Quattrocento dalla famiglia Corbinelli, venne acquistato da Pietro Bonaventuri, marito di Bianca, nel 1566 quando ormai via Maggio era diventata la “strada di corte” granducale.Quell’edificio rispecchiò fedelmente il gusto raffinato di Bianca, innamorata dell’arte e

della letteratura. La stessa raffinatezza verrà riproposta anche sull’esterno del Palazzo quando nel 1570 Francesco I, dopo aver commissionato al Buontalenti l’intera ristrutturazione dell’edificio, affiderà la decorazione della facciata a Bernardino Poccetti. “Il grande architetto rinnovò il pianterreno con due splendide finestre inginocchiate, sotto ai cui davanzali inserì dei pipistrelli

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scolpiti con le ali spiegate, e con un portone a grosse bozze, sormontato dal caratteristico stemma dei Cappello, tuttora perfettamente conservato”, scrive Eleonora Pecchioli, storica dell’arte, nel suo “Florentia picta” un testo veramente unico che descrive “le facciate dipinte e graffite dei palazzi fiorentini più belli dal XV al XX secolo”. Il Poccetti, lavorando con una finezza magistrale, seppe temperare la severità di quel pianterreno con una tecnica decorativa di “grottesche a graffite” che ancora oggi sbalordisce per la delicatezza del disegno e per i suoi effetti chiaroscuri che sembrano donare una particolare tridimensionalità alle immagini riprodotte.

Le “grottesche”, il cui nome deriva etimologicamente dal termine “grotta”, rappresentano un soggetto pittorico decorativo che affonda le sue radici nella pittura parietale riscoperta su edifici semisepolti della Roma Imperiale, come ad esempio la Domus Aurea di Nerone.I soggetti rappresentati sono solitamente maschere, figure umane, animali, forme vegetali intrecciate a spirale, putti, esseri alati, fiori, frutti, sfingi, arpie, volatili di tutte le specie e soprattutto vasi.Nel caso del Palazzo di Bianca Cappello

il decoro a grottesche della facciata, pur essendo molto ricco e vario di elementi, segue nel piano terreno e nel primo piano una ripartizione geometrica severa e ben precisa, mentre nel piano superiore, come osserva Eleonora Pecchioli, le geometrie “perdono la loro incisività e le g ro t t e s ch e s i d i f fo n d o n o l iberamente ne l lo spaz io disponibile”. In quei tre piani sovrapposti, scanditi da ben delineate cornici, si legge come un cammino ascensionale che, seguendo i dettami ermetici, parte dal “rigore” del piano terreno, contrassegnato da

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portone, finestre con inferriate e oscuri pipistrelli, per salire al primo piano contraddistinto dallo Stemma Mediceo e dai quattro candidi cigni, per poi concludersi al secondo piano in un’esplosione di elementi allegorici alternati a piccole e grandi fiaccole accese: un simbolico alleggerimento di forme che riconduce a q u e l l e o p e r a z i o n i d i “raffinazione” della propria interiorità a cui alludono i Filosofi ermetici e che tanto ricordano i colori delle tre Opere alchemiche interiori.Dover dare una lettura minuziosa di tutte le grottesche a graffite che decorano la facciata di Palazzo Cappello, può comportare il rischio di perdere il filo conduttore saggiamente tracciato, e volutamente nascosto dietro a quelle forme allegoriche, quindi entrerò nel dettaglio solo delle tre bande decorative principali che dal piano terreno arrivano alla sommità del tetto, perché è proprio in queste che sono stati disegnate le due tipologie di

cammino spirituale che il Poccetti ha saputo immortalare. Scendendo con lo sguardo al livello del piano terreno, possiamo notare che ai lati del portone d’ingresso si stagliano nette due esili figure che il tempo e l’incuria non hanno potuto cancellare e che danno il via alla lettura alchemica di tutta la facciata del Palazzo: un “uomo” e una “donna”.Quell’uomo e quella donna diventeranno gli ideali protagonisti del cammino mistico-i n i z i a t i c o - r e g a l e impresso tra simboli,

allegorie e miti su quel prospetto. Un intimo viaggio ascetico per chi ha deciso di spingere la propria vita religiosa verso la santità, scegliendo tra due tipi di percorso: la via “solitaria” di tipo monastico e la “via unitiva ” di un uomo e una donna che lasciano entrare la presenza cristica nella propria vita “a due”.

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La “via solitaria” sul modello monacale, la possiamo leggere sulla banda decorativa sinistra e destra della facciata, mentre la “via a due” la troviamo impressa sulla colonna centrale contraddistinta dallo Stemma Mediceo.

Osservando i simboli che caratterizzano l’uomo e la donna posti ai lati del portone, possiamo subito intuire che i due ideali protagonisti dovevano avere già buone predisposizioni per poter scegliere il tipo di percorso a loro più congeniale. Infatti al di sotto dell’“uomo col bastone”, identificabile con la nona Lama del Tarocco, l’Eremita, notiamo una sequenza di simboli che ci introducono subito all’idea di un itinerario ascetico salvifico. Nella parte inferiore appaiono due piccole anfore portate in spalla da due putti alati, un grande scudo da cui pendono due croci, due dinamici levrieri contrapposti e tanti altri minuti particolari non meno

importanti di quelli riportati.I putti indicano la purezza del fanciullo che l’uomo dovrà subito realizzare; le anfore la materia sulla quale egli stesso dovrà operare, mentre lo scudo con le due “croci” introduce ad un argomento di fede, amore e sacrificio secondo l’esempio cristico.“Fratelli, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo”, scriverà San Paolo agli Efesini (6,10), mettendo subito a fuoco quanto quel tipo di armatura-scudo sia importante da realizzare. Le due croci, simbolo di fede e di carità, virtù indispensabili per iniziare un simile cammino, possono trovare riferimento anche nei due volti del Cristianesimo inteso nel suo aspetto integrale: l’aspetto esteriore o “essoterico”, aperto a tutti, ed uno invece più nascosto, “esoterico”, professato solo da individui che conoscono la profondità del messaggio che ci è stato lasciato da Gesù Cristo.

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Infine i due levrieri, simbolo di coraggio e di ardimento, ricordano la storia riportata in un manoscritto del 1520 che racconta l’eroicità di un cane levriero che sacrificò la sua vita per salvare un neonato dal morso velenoso del serpente.

Risalendo con lo sguardo verso l’ “uomo con il bastone”, ci accorgiamo che sotto di lui vi è un mascherone dall’aspetto agguerrito con grandi orecchie protese verso l’alto, sintomo di combattività e di attenzione alla “chiamata” divina. Inoltre possiamo osservare che quell’uomo poggia su una specie di conchiglia rovesciata, che tanto fa pensare al piedistallo di un vaso prezioso, mentre sulla sua testa pende un’elegante copertura che ricorda la parte superiore di una coppa di gran pregio. Il messaggio è eloquente: l’uomo, messo al centro di questi di due elementi, diventerà lui stesso il vaso-urna o “athanor” dentro al quale si compirà la realizzazione della Grande Opera alchemica.Spostando il nostro sguardo nuovamente all’altezza del portone del palazzo, ci accorgiamo che la banda verticale destra, dedicata al la donna, presenta p i c c o l e d i f f e r e n z e decorative che mettono in

evidenza l’aspetto femminile del personaggio, ma sostanzialmente il messaggio è il medesimo.Anche la donna si trova al centro di un simbolico vaso-urna, ma al posto del bastone tiene in mano una grossa conchiglia che ricorda la “Charonia Tritonis”, simbolo di fertilità. Ovidio, nelle Metamorfosi, parla delle qualità sonore di questa conchiglia e afferma che il suo suono è capace di placare l’impetuosità delle acque per portarvi pace, quiete ed ordine.Chiaramente i riferimenti sono simbolici e le acque che possono portare scompiglio e distruzione non sono altro che quelle agitate da istintività, passionalità e sentimentalismo: tre difetti nefasti che la donna deve saper tenere costantemente sotto controllo.

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Il mascherone che appare sotto di lei riporta le stesse caratteristiche somatiche di quello presente sotto l’uomo, ma il suo sguardo è più calmo e la sua bocca è chiusa, come a voler mantenere un segreto.

Alla stessa altezza di quell’immagine femminile, appare la testa di un Ariete o “Agnus”, emblema del fuoco d’amore cristico che dà il via a tutto il cammino. Salendo con lo sguardo al primo piano ci accorgiamo che sia la banda decorativa sinistra che quella destra iniziano con lo stesso spaventoso volto di Medusa, la temibile

Gorgona che con i suoi innumerevoli serpenti, o vizi, tiene imprigionata l’anima nei bassi istinti. Sopra la struttura architettonica che la contiene, appaiono due satiresse che, dandosi le spalle, intrecciano i propri capelli mentre si guardano allo specchio.

I satiri e le satiresse rappresentano i gen i p ro te t to r i de i bo sch i , personificazione della forza vitale presente in natura. Lo specchio, che ritrae i loro volti, ricorda lo “Specchio delle opere”, l’insieme delle cariche passionali ed emotive che condizionano la nostra vita relegandola all’attaccamento dei cinque sensi. Anche il drago marino, che sovrasta le due satiresse, ricorda la

pericolosità di quella parte passionale sempre pronta ad attaccarci con le sue insidie, mentre i due cavalli alati che lo sovrastano, fanno capire che quella parte istintiva è stata saggiamente tenuta sotto controllo.I due cavalli ricordano Pegaso, il mitico cavallo alato, nato dal sangue caduto a terra dalla testa recisa di Medusa. Il frate domenicano Giuseppe Pernety nel suo “Dizionario Mito-Ermetico” commenterà dicendo che “i Chimici ermetici hanno preso sovente questo

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animale come simbolo delle parti volatili della loro materia, per la sua leggerezza nella corsa”, mettendo in evidenza che quel cavallo bianco con le ali rappresenta il corpo trasmutato dell’eroe che “si rinnova” nel sangue del drago: un corpo androginico puro e luminoso che grazie al duro lavoro ascetico realizzato, ha assunto delle prerogative soprannaturali ed adesso è capace di volare verso il cielo.Nella banda decorativa destra, che ricorda l’elemento femminile, sono stati riprodotti simboli similari per far capire che il cammino spirituale, da vivere nella segretezza del proprio cuore, è identico anche per la donna.Sopra quei complessi riquadri allegorici, sia sulla banda sinistra che su quella destra, si eleva una specie di angelo-arpia con le ali spiegate, le cui braccia aperte sostengono un ovale e una serie di simboli tutti da interpretare.Quella creatura, che per la veste ad “ala di pipistrello”, potrebbe anche ricordare una delle mitiche e temibili arpie, se la osserviamo meglio ci accorgiamo che non ha

niente di così spaventoso, anzi il suo volto è sereno e soddisfatto, e sul suo capo vi è un piccolo diadema-gioiello. Il diadema, per gli Ermetisti, è il “sacro diadema”, la pietra preziosa della corona di Dio, simbolo di consacrazione e di potere, portata sul capo dal re-sacerdote che è riuscito a cambiare la sua condizione

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umana per consolidarla in un pregevole gioiello. La veste ad ala di pipistrello sta a ricordare che le forze che provengono dal basso sono sempre presenti, ma questa volta ordinate, composte, proprie del “monaco” che, dopo aver vissuto lo stato interiore di Opera al nero, sta finalmente vedendo i primi bagliori di luce, le prime luci dell’alba del nuovo giorno: l’ Opera al Bianco.All’interno dell’ovale, che poggia sulla testa di quell’essere alato, vi è un cigno che sotto il cielo azzurro-rosato dell’aurora, si abbevera ad uno specchio di acqua lacustre. Il cigno, per il candore delle sue piume, per la sua capacità di nuotare sulle acque, di camminare sul terreno e di volare nel cielo illuminato dalla luce solare, diviene il s imbolo di purezza e perfez ione dell’anima che ha vinto i quattro elementi: chiaro esempio del “cambiamento di stato” che quel pellegrino spirituale ha saputo realizzare. La scritta impressa sul nastro: “non minus candore quam cantu et vaticinio sacer”, ricorda il momento della rinascita verso un nuovo Sapere. Anche le due scimmie che poggiano sul capo dei due putti, hanno un loro

ermetico significato. In India ed in Estremo Oriente si venerava una scimmia regale, simbolo di saggezza e di distacco dai sensi e le si attribuivano qualità legate all’Iniziazione. Affini simbologie risultano anche nella banda decorativa destra che ricorda la donna. La posizione dell’angelo-arpia è identico, ma cambia l’espressione del volto e i colori dell’ovale che sovrasta il suo capo. Infatti il cigno che vi

è raffigurato, pur compiendo le medesime azioni di quello posto nella banda verticale sinistra, si muove sotto un cielo che ha assunto le tinte caldo-aranciate del tramonto.Il messaggio ermetico è chiaro: il cigno de l la banda decorat iva s in i s t ra rappresenta l’aspetto “attivo” maschile, l’iniziativa, l’alba del nuovo giorno,

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mentre il cigno della banda destra mette a fuoco l’aspetto femminile “passivo”, ricettivo, indice di “morte e nuova vita” che trova relazione con il sole che va ad occultarsi dietro all’orizzonte per poi risorgere al nuovo giorno.Ma il cammino in salita di quei due ideali monaci-

asceti prosegue in un crescendo di simboli che si fanno sempre più minuti, più leggeri nella forma, ma sempre altrettanto eloquenti. L’uomo da una parte e la donna dall’altra hanno superato, nella segretezza del loro cuore, le fasi di “ p u r i fi c a z i o n e ” ( O p e r a a l n e ro ) e d i “illuminazione” (Opera al bianco) ed adesso si stanno verso la conquista più difficile da realizzare: l’ Opera al rosso dell’Alchimista, il preludio dello stato regale di chi è finalmente uscito dal gioco della creazione.Purtroppo i graffiti di quel settore della facciata hanno subito il deterioramento dell’incedere del tempo e alcuni particolari sono andati quasi irrimediabilmente perduti, però osservando quelli ancora abbastanza integri raffigurati sulla banda verticale destra, siamo in grado di dare ugualmente la lettura ermetica dei suoi principali elementi simbolici.

Appoggiati sopra una leggera struttura architettonica, vi sono un uomo e una donna alati, con copricapo in testa, inginocchiati davanti ad un grande vaso chiuso. Notiamo subito che la loro posizione non è per niente naturale

perché i loro arti inferiori vanno ad incrociarsi formando una specie di X. Secondo i Filosofi ermetici quelle gambe che si chiudono a triangolo rappresentano lo Zolfo rosso, il “potere di trasmutazione” ed anche quella specie di copricapo, prerogativa del maestro e del sacerdote, è segno di potere e indice dell’avvenuto cambiamento in una natura superiore.Sopra di loro appare una specie di arcobaleno, segno dell’alleanza tra l’umano e il Divino, ed ai due lati vi sono due fiaccole, emblema del fuoco

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d’amore che è sempre stato mantenuto acceso. Per avvalorare maggiormente questo aspetto di salita verso il cielo, troviamo raffigurata anche una solida bilancia che presenta due piccole coppe da cui fuoriesce una fiammella. Presso gli antichi Egizi era il “cuore” del trapassato a venir pesato da Anubi e se il suo peso gravava più della piuma che veniva posta sull’altro piatto, per quell’anima si

preparava un aldilà molto travagliato. Nella nostra tradizione cristiana si ripete lo stesso simbolismo ed è l’Arcangelo Michele a “pesare” le anime al momento della morte. Osservando come quei due piccoli piatti-coppa risultano così perfettamente allineati, si capisce che i due “eremiti spirituali” devono aver lavorato molto bene su loro stessi per essere riusciti a mantenere, nonostante le infinite prove, un simile fuoco acceso.

Salendo ancora con lo sguardo tra vasi colmi di fiori, volatili e maschere, messe lì come “gargoyles” a preservare il luogo da ogni profanazione, arriviamo alla sommità di quelle due bande decorative che si concludono con un vaso cilindrico da cui fuoriescono copiose fiamme e vapore. Ai lati di quei simbolici “athanor” si delineano adesso

due esili figure alate dalle estremità spiraliformi che ormai non hanno più niente di aspetto terreno.“Voi dovete essere perfetti come il Padre vostro che è nei cieli” si trova scritto nei Vangeli, chiaro monito che invita a portare nella propria vita un cambiamento sostanziale di priorità e di valori, mossi dallo stesso unico desiderio sperimentato

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da tutti i santi della cristianità: conquistare il Regno dei Cieli.I nostri due ideali protagonisti - l’Uomo e la Donna - che avevano scelto la “via solitaria”, quella dell’isolamento interiore e dell’ascesi, sono adesso arrivati alla fine del loro lungo intimo viaggio; nel silenzio e nella profondità della loro anima hanno valorosamente combattuto e vinto contro ogni tipo d’insidia. Ma, come abbiamo accennato, il cammino verso Dio si può percorrere anche “a due” e la lettura del tessuto di allegorie impresse lungo la banda verticale centrale, che s’innalza da centro del Palazzo, ce lo dimostrerà.Probabilmente in quel tessuto di allegorie vi era anche un palese riferimento alle doti di intimo candore spirituale che Francesco I de’ Medici e Bianca Cappello si auspicavano di realizzare.

Francesco I de’ Medici Bianca Cappello

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