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BES e DSA: integrazione e inclusione ENTE ACCREDITATO DAL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PER LA FORMAZIONE DEL PERSONALE DELLA SCUOLA IN COLLABORAZIONE CON Rev. 4.1 del 04/01/2016

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BES e DSA: integrazione e inclusione 1

BES e DSA: integrazione e inclusione

ENTE ACCREDITATO DAL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀE DELLA RICERCA PER LA FORMAZIONE DEL PERSONALE DELLA SCUOLA

IN COLLABORAZIONE CON

Rev. 4.1 del 04/01/2016

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Sommario

BES e DSA: integrazione e inclusione......................................................................................................................................4

1.1 La direttiva Ministeriale sui BES: leggi e finalità.......................................................................................4

1.2 Cosa sono i disturbi Specifici dell’apprendimento.................................................................................13

1.3 Gli strumenti per l’individuazione precoce del rischio DSA....................................................................22

1.4 Didattica personalizzata ed individualizzata.........................................................................................25

1.5 Strumenti compensativi e misure dispensative......................................................................................27

1.6 Il piano annuale per l’inclusione (PAI)...................................................................................................31

1.7 Le nuove tecnologie educative per una didattica interattiva ed inclusiva...............................................36

1.8 La relazione con il minore.....................................................................................................................40

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BES e DSA: integrazione e inclusione1.1 La direttiva Ministeriale sui BES: leggi e finalitàDa quando è stata emanata la Direttiva sui Bisogni Educativi Speciali (BES) la scuola e il personale docente, si è posto numerose domande in merito all’argomento, lamentando la necessità di avere maggiori informazioni in merito. Si è riacceso, in realtà un dibattito forte in merito all’inclusione, da non confondere con l’inserimento, termine impiegato con la 517/1977. È questo un dato positivo dell’effetto della Direttiva che ha dato origine a reazioni, anche se spesso in contrasto tra loro.

C’è chi ha visto in tale normativa un orpello burocratico e chi ha guardato ad essa come a una nuova flessibilità didattica, e chi ancora come a una nuova medicalizzazione della scuola. (Raffaele Ciambrone, Giuseppe Fusacchia ne: I BES come e cosa fare)

Il denominatore comune è quello di porre l’accento sulla persona, nel rispetto di tutto ciò che rappresenta, che è, e che può divenire.

È innegabile che all’ elaborazione della normativa, vi abbiano contribuito esperti di tutto rispetto e buone pratiche educative e didattiche che ne hanno avvallato teorie e contenuti.

Di fatto si è dovuta coniugare la competenza con il patrimonio professionale di ogni docente andando a personalizzare i percorsi di apprendimento, rinnovando metodologie e prassi educative, per renderla il più inclusiva possibile.

L’espressione, Bisogni Educativi Speciali (BES)1 ci riporta inequivocabilmente all’emanazione della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica“. Il significato è di per sé contenuto nella Direttiva e ne evidenzia l’ampia gamma di difficoltà: “L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit”.

In ogni contesto educativo ci sono alunni che presentano una richiesta speciale di attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse.

L’acronimo BES viene quindi utilizzato per indicare una vasta area di studenti per i quali il diritto, sancito dalla Legge 53/2003, della personalizzazione dell’insegnamento deve essere applicato con determinate accentuazioni in quanto a peculiarità, intensività e durata delle modificazioni. Tutti gli alunni con BES hanno il diritto di avere accesso a una didattica individualizzata e personalizzata. Le strategie, le indicazioni operative, l’impostazione delle attività di lavoro, i criteri di valutazione degli apprendimenti e i criteri minimi attesi, trovano definizione all’interno del PDP – Piano Didattico Personalizzato. La stesura del PDP deve sempre collocarsi all’interno di un preciso Piano Annuale per l’Inclusività (PAI). Il PDP pertanto, è la diretta e naturale conseguenza della normativa scolastica degli ultimi decenni, nella quale è stata posta, con sempre maggiore vigore, attenzione alla realizzazione del successo nell’apprendimento e alle problematiche dell’abbandono scolastico.

In definitiva il PDP è un piano didattico pensato e applicabile per gli alunni con BES nei quali la difficoltà è nelle abilità di utilizzare i normali strumenti per accedere all’apprendimento, abilità che possono e devono essere supportate, secondo la normativa vigente, per il raggiungimento del successo formativo. Nel PDP,

1 “Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare dei Bisogni Educativi Speciali, per motivi fisici, biologici,

fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”

( DM. 27/12/2012.p.1)

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per ciascuna materia o ambito di studio, devono essere individuati gli strumenti compensativi e dispensativi necessari a sostenere l’allievo nell’apprendimento. Alcuni strumenti compensativi sono, per farne un esempio esplicativo e chiaro: tabella dei mesi, dell’alfabeto e dei vari caratteri; tavola pitagorica; tabella delle misure e delle formule geometriche; calcolatrice; registratore; computer con programmi di videoscrittura. Si tratta di strumenti che facilitano il successo negli apprendimenti, supportando l’alunno nell’acquisire le conoscenze necessarie al suo sapere. Mentre, vengono considerate misure dispensative, alcune attività scolastiche e strumentali che riguardano il sollevare l’alunno dal compiere azioni che normalmente sono richieste in fase di insegnamento-apprendimento2: dispensare dalla presentazione dei quattro caratteri; dispensare dalla lettura ad alta voce; dispensare dal prendere appunti; dispensare dai tempi standard; dispensare dal copiare alla lavagna; dispensare da un eccessivo carico di compiti; dispensare dallo studio mnemonico delle tabelline; dispensare dallo studio della lingua straniera in forma scritta.

A seguito della Legge 170 / 2010 sui DSA sono state emanate delle disposizioni che hanno cercato di declinare cosa e come fare per accogliere i bisogni educativi speciali di un numero ancora più ampio di difficoltà in un progetto di inclusione e di successo formativo utile al bambino.

1.1.1 Chi sono gli alunni BESLa Direttiva Ministeriale 27 Dicembre 2012 tenta di fornire una risposta alle esigenze dei bambini con bisogni educativi speciali, individuandone le caratteristiche ed evidenziando i passaggi necessari a garantirne l’inclusione scolastica, nonché il massimo successo formativo, estendendo a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento.

Nella Direttiva infatti, vengono individuate tre grandi aree: disabilità, disturbi evolutivi specifici, svantaggio economico, linguistico, culturale.

Se parliamo di disabilità, non possiamo non tener conto del ritardo cognitivo, delle minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, con presenza più o meno accentuata di disturbi sul fronte sensoriale, motorio, intellettivo. Viene utile ricordare che in presenza di alunni con DSA è possibile osservare e registrare comorbilità con altri disturbi.

Per i disturbi evolutivi specifici, si sofferma l’attenzione sui DSA ovvero, sui Disturbi Specifici di Apprendimento 3 e sulle sue diverse manifestazioni quali: dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia. Ricerche accreditate, attestano che i DSA sono di origine neurobiologica, hanno matrice evolutiva e si mostrano con un’atipia dello sviluppo, modificabili attraverso interventi mirati e specifici4. Nel quadro di queste difficoltà rientrano anche quelle dell’area verbale, pertanto parliamo di disturbi del linguaggio e di bassa intelligenza verbale associata ad alta intelligenza non verbale; mentre per l’area non verbale, si riscontrano disturbi della coordinazione motoria, le disprassie, i disturbi non-verbali, e la bassa intelligenza non verbale associata ad alta intelligenza verbale. Tra i disturbi possibili sono da includere quelli dello spettro autistico lieve o disturbi specifici misti.

Continuando nell’analisi non si può omettere il funzionamento Intellettivo Limite (FIL), detto anche “Border Cognitivo” o “Cognitivo Borderline”.

È questa una condizione evolutiva caratterizzata da un funzionamento cognitivo borderline, termine che

2 ANDREA CANEVARO, LUIGI D’ALONZO, DARIO IANES, ROBERTA CALDI ” L’integrazione scolastica nella percezione degli

insegnanti”, ERIKSON, 2011. p. 23

3 I Disturbi Specifici di apprendimento interessano alcune specifiche abilità dell’apprendimento scolastico, in un contesto di

funzionamento intellettivo adeguato all’età cronologica. Sono pertanto coinvolte in tali disturbi, tanto l’abilità della lettura, quanto

quella della scrittura e del calcolo. È sulla base dell’abilità interessata dal disturbo i DSA assumono una denominazione specifica.

4 Linee Guida DSA, 2011, p. 4

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indica una zona di confine tra normalità e disabilità5. Per individuare un FIL, risulta necessario considerare tanto le difficoltà di apprendimento, quanto il suo manifestarsi in età evolutiva. Parliamo invece di Disturbo da deficit di attenzione / Iperattività, in sigla ADHD, considerando questo come un disturbo neuro evolutivo, dalla triade sintomatologica: disattenzione, , iperattività, impulsività.

Sono alunni che manifestano difficoltà a scuola, e nelle relazioni tra pari e adulti, dai comportamenti oppositivi e provocatori, con forti disagi emotivi, dall’umore altalenante.

Infine, sono inclusi tra i BES, tutti gli svantaggi socio-economici, culturali e linguistici, capaci di creare situazioni di difficoltà sia sul fronte cognitivo, che sul fronte dell’adattamento sociale e relazionale.

1.1.2 Alunni con disabilità: Legge 104/1992 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”Finalità.

Art 1. La Repubblica:

• garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia;

• previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia;

• persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche;

• predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione.

Art. 3 Soggetti aventi diritto

È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione

Art. 12 Diritto all’educazione e all’istruzione

• È garantito il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie.

• L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.

• L’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap.

Con l’emanazione della legge quadro n. 104 del 5 febbraio 1992, si chiude positivamente un percorso che, avviatosi nel 1971 con la legge 118, aveva avuto un enorme sviluppo sul piano delle realizzazioni e delle riforme dei programmi scolastici, ma che non era adeguatamente sostenuto sul piano legislativo e rimaneva vittima di un pullulare di norme, direttive, ordinanze, circolari ecc., spesso contraddittorie tanto da essere fonte di conflitti, interpretazioni parziali e contrastanti, alidi ed inadempienze. Le stesse esperienze positive rimanevano frammentarie, improntate a provvisorietà, troppo legate al coraggio ed alla buona volontà di tanti operatori.

La legge 104/92 rappresenta una tappa fondamentale perché colloca il diritto all’integrazione tra i diritti

5 I criteri per la differenziazione tra FIL e disabilità intellettiva sono stabiliti dai manuali diagnostici internazionali e peri DSM

IV-TR corrisponde a un QI tra 71 e 84 – APA, 2001; D.M 27 /12/ 2012.

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fondamentali della persona e del cittadino. Tale legge-quadro non limita il suo interessamento alla sola integrazione scolastica o a quella assistenziale, ma riguarda tutti i percorsi di vita delle persone in situazione di handicap e delle loro famiglie che vengono collocati all’interno di un sistema organico di aiuti che impegnano l’intera collettività, a partire dai principali soggetti istituzionalmente interessati: Comuni, Province, Comunità montane, Aziende Sanitarie Locali ecc.

All’integrazione scolastica la legge 104/92 dedica, in particolare gli articoli 12 e 13. Raccogliendo e riordinando disposizioni sparse in più testi legislativi e normativi, si afferma solennemente il diritto della persona in situazione di handicap all’educazione ed all’istruzione negli asili nido, nelle sezioni ordinarie della scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie. L’integrazione deve avvalersi di alcuni strumenti che richiedono l’impegno sia della comunità dei cittadini, soprattutto nelle sue forme istituzionali, sia dell’intera comunità scolastica.

In sintesi sono:

1. gli accordi di programma

2. la diagnosi medica o clinica e quella funzionale

3. il profilo dinamico-funzionale

4. il piano educativo individualizzato (P.E.I.)

1. Gli accordi di programma sono finalizzati al coordinamento dei servizi scolastici con tutti quelli territoriali ed extrascolastici al fine di favorire in concreto l’effettiva realizzazione del progetto di integrazione scolastica ed extrascolastica dei singoli alunni in situazione di handicap, anche attraversi l’individuazione delle priorità degli interventi per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici scolastici di competenza. Essi avranno carattere provinciale, per quanto attiene alla scuola secondaria di II grado, e comunale per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e quella dell’obbligo.

A due anni e mezzo dall’entrata in vigore della legge 104, venne emanato l’Atto di Indirizzo e coordinamento delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap, che costituisce ancora oggi un provvedimento legislativo di grande importanza per l’integrazione scolastica.

Esso delinea l’itinerario che deve essere seguito dalla scuola e dai servizi per la costruzione del percorso che accompagna l’allievo handicappato dapprima all’interno della scuola di base (materna, elementare, media) e, successivamente, nell’istruzione superiore e nella formazione professionale nella prospettiva dell’integrazione sociale, lavorativa, nel tempo libero, ecc..

Viene riconfermato che l’individuazione della persona handicappata è compito degli specialisti della ASL (medico specialista, psicologo, neuropsichiatria ecc.), che dovrebbero provvedervi prima dell’iscrizione dell’alunno a scuola o comunque subito dopo l’eventuale segnalazione, che può essere formulata dal capo di istituto o dai servizi di base, ma comunque rivolta alla famiglia, cui spetta la decisione di rivolgersi all’autorità sanitaria. Il documento di individuazione deve essere consegnato ai genitori dell’allievo in situazione di handicap, i quali sono invitati a presentarlo alla scuola presso la quale intendono iscrivere il figlio.

L’individuazione della persona in situazione di handicap si concretizza nella compilazione di un documento o certificazione che può anche non contenere l’indicazione della diagnosi clinica, ma deve comunque dichiarare che l’allievo rientra tra i soggetti che hanno diritto a fruire delle provvidenze previste dalla Legge 104/92. Tale documento è dunque indispensabile per avviare le procedure amministrative necessarie a garantire l’integrazione scolastica.

2. La diagnosi funzionale. È redatta a cura dell’unità multidisciplinare della ASL e consiste nella “descrizione

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analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell’alunno in situazione di handicap” Essa riporta la diagnosi clinica, con particolare riferimento all’eziologia, ed esprime le conseguenze funzionali della disabilità, indicando la previsione dell’evoluzione naturale.

La diagnosi funzionale consiste in una ricognizione analitica delle funzioni attive del bambino, delle strategie che egli ha mobilitato nel corso della sua esperienza per far fronte ai problemi ed alle difficoltà della sua vita, delle risposte che egli ha costruito nel contesto quotidiano della sua esistenza.

3. Il profilo dinamico-funzionale. Questo documento, che viene generalmente redatto due mesi dopo l’avvio dell’anno scolastico, sintetizza “i possibili livelli di risposta dell’alunno in situazione di handicap” in riferimento alle attività ed alle esperienze che si intendono realizzare durante l’esperienza scolastica.

La sua redazione avviene, in genere, durante una seduta di lavoro a cui prendono parte tutti coloro che hanno avuto modo di compiere esperienze con la persona handicappata ovvero gli insegnanti di sezione o di classe, i genitori, i tecnici della ASL, eventuale personale dell’Ente locale (personale educativo-assistenziale, accompagnatore ecc.), il dirigente scolastico.

Il profilo è definito dinamico in quanto non si limita a fotografare la situazione esistente, ma coglie e descrive i comportamenti, gli atteggiamenti, le abilità, le strategie, le competenze, le conoscenze ed i vissuti che ciascuno ha avuto modo di osservare e registrare durante le diverse situazioni che ha vissuto con il disabile. Esso è pure definito funzionale in quanto descrive le risposte concrete che il soggetto attiva in rapporto a ben definite situazioni di vita; in altri termini, si tratta di evidenziare le funzioni attive che possono essere ulteriormente ampliate, potenziate ed affinate in relazione al suo progetto di crescita.

Serve, infine, che il profilo individui, oltre ad elementi di carattere diagnostico, anche elementi prognostici: quali linee di sviluppo si possono ragionevolmente e fiduciosamente ipotizzare in un determinato tempo e quindi con quali aspettative accingersi ad operare accanto alla persona handicappata.

4. Il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.). È un documento-strumento previsto sia dalla Legge 104/92, sia dall’Atto di indirizzo. Esso descrive “gli interventi integrati ed equilibrati tra loro predisposti per l’alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione”.

Tali interventi debbono essere messi a punto a partire dal profilo dinamico funzionale (tramite il quale sono stati individuati gli “assi” di sviluppo sui quali maggiormente “investire”), correlati alle potenzialità dell’allievo precedentemente rilevate e alle reali risorse disponibili: competenze degli operatori, tecnologie, modalità di organizzazione e di funzionamento del gruppo-classe, metodologia privilegiata, atteggiamenti evidenziati.

Esso deve tenere conto dei progetti didattico-educativi, riabilitativi e di socializzazione individuati, nonché delle forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche. È evidente che non può essere scambiato né risolto con la sola programmazione didattica o disciplinare; anzi questa rappresenta solo un tassello di un piano ben più ampio e in grado di dare conto dell’insieme degli interventi e dei presìdi che vengono attivati da più soggetti in maniera integrata, in determinati spazi e tempi e per quella particolare persona.

Per le sue caratteristiche di documento che raccoglie ed ordina una pluralità di interventi, il P.E.I. deve essere redatto, in base al c. 5 dell’art.12 della Legge 104/92, congiuntamente dagli operatori sanitari, dal personale della scuola (insegnanti curricolari, di sostegno ed eventuale psicopedagogista), dal personale del servizio sociale (se del caso), dall’eventuale educatore o dal personale educativo-assistenziale dell’Ente locale e in collaborazione con i genitori o gli esercenti la potestà parentale dell’alunno.

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1.1.3 Legge n. 170 dell’ 8-10-2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”Obiettivo della legge è migliorare la qualità di vita degli studenti con dislessia favorendone in particolare il successo e l’integrazione a scuola.

1. Art. 1 Riconoscimento e definizione di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia

2. Art.2 Finalità

3. Art. 3 Diagnosi

4. Art. 4 Formazione nella scuola

5. Art. 5 Misure educative e didattiche di supporto

6. Art. 6 Misure per i familiari

7. Art. 7 Disposizioni di attuazione

8. Art. 8 Competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome

9. Art. 9 Clausola di invarianza finanziari

1. Art. 1 – Riconoscimento e definizione di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. La presente legge riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento, di seguito denominati “DSA”, che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana.

Ai fini della presente legge:

• si intende per DISLESSIA un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura;

• si intende per DISGRAFIA un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica;

• si intende per DISORTROGRAFIA un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica;

• si intende per DISCALCULIA un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri.

• La dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia possono sussistere separatamente o insieme. (Comorbilità)

I DSA sono dunque... alunni con un’intelligenza uguale o superiore alla norma che utilizzano un diverso modo di apprendere

2. Art. 2 – Finalità. La presente legge persegue, per le persone con DSA, le seguenti finalità:

• garantire il diritto all’istruzione;

• favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità;

• ridurre i disagi relazionali ed emozionali;

• adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti;

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• preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate ai DSA;

• favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi;

• incrementare la comunicazione e la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari durante il percorso di istruzione e di formazione;

• assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale.

3. Art. 3 – Diagnosi. La diagnosi dei DSA è effettuata nell’ambito dei trattamenti specialistici già assicurati dal Servizio sanitario nazionale a legislazione vigente ed è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente. Le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi nell’ambito dei trattamenti specialistici erogati dal Servizio sanitario nazionale possono prevedere, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, che la medesima diagnosi sia effettuata da specialisti o strutture accreditate. Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico mirato, presentano persistenti difficoltà, la scuola trasmette apposita comunicazione alla famiglia.

È compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali di cui all’articolo 7, comma 1. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA. La diagnosi deve essere redatta su carta intestata del Servizio Sanitario Nazionale o dello specialista che la rilascia e firmata. I logopedisti non possono firmare diagnosi ma soltanto relazioni di accompagnamento.

La diagnosi deve essere datata e prevedere una scadenza, altrimenti permane valida per tutto il percorso scolastico dell’alunno. Deve indicare chiaramente che si tratta di un disturbo specifico di apprendimento precisando anche di quale tipo (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia, misto). I termini possono essere integrati o sostituiti dai relativi codici ICD 10. (Classificazione Internazionale delle malattie e dei problemi correlati)

Inltre deve. esplicitamente richiedere l’assegnazione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalle norme vigenti. Nel caso si richieda la dispensa dalla lingua straniera in forma scritta, ciò deve essere esplicitamente indicato e ne deve essere data motivazione sulla base degli esiti della valutazione clinica effettuata.

4. Art. 4 – Formazione nella scuola. Per gli anni 2010 e 2011, nell’ambito dei programmi di formazione del personale docente e dirigenziale delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, è assicurata un’adeguata preparazione riguardo alle problematiche relative ai DSA, finalizzata ad acquisire la competenza per individuarne precocemente i segnali e la conseguente capacità di applicare strategie didattiche, metodologiche e valutative adeguate.

5. Art. 5 – Misure educative e didattiche di supporto. Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari.

Agli studenti con DSA le istituzioni scolastiche, a valere sulle risorse specifiche e disponibili a legislazione vigente iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, garantiscono:

• l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate;

• l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie

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informatiche, nonchè misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere;

• per l’insegnamento delle lingue straniere, l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilità dell’esonero.

Le misure devono essere sottoposte periodicamente a monitoraggio per valutarne l’efficacia e il raggiungimento degli obiettivi.

Agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all’università nonché gli esami universitari.

Tutti gli alunni hanno diritto alla personalizzazione degli interventi, in base ai propri bisogni, per raggiungere il successo formativo, ma gli alunni con DSA hanno diritto ad una esplicita definizione di questi interventi.

6. Art. 6 – Misure per i familiari. I familiari fino al primo grado di studenti del primo ciclo dell’istruzione con DSA impegnati nell’assistenza alle attività scolastiche a casa hanno diritto di usufruire di orari di lavoro flessibili. Le modalità di esercizio del diritto di cui al comma 1 sono determinate dai contratti collettivi nazionali di lavoro dei comparti interessati e non devono comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

7. Art. 7 – Disposizioni di attuazione. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad emanare linee guida per la predisposizione di protocolli regionali, da stipulare entro i successivi sei mesi, per le attività di identificazione precoce di cui all’articolo 3, comma 3.

Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con proprio decreto, individua le modalità di formazione dei docenti e dei dirigenti di cui all’articolo 4, le misure educative e didattiche di supporto di cui all’articolo 5, comma 2, nonchè le forme di verifica e di valutazione finalizzate ad attuare quanto previsto dall’articolo 5, comma 4.

Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituito presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca un Comitato tecnico-scientifico, composto da esperti di comprovata competenza sui DSA. Il Comitato ha compiti istruttori in ordine alle funzioni che la presente legge attribuisce al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Ai componenti del Comitato non spetta alcun compenso. Agli eventuali rimborsi di spese si provvede nel limite delle risorse allo scopo disponibili a legislazione vigente iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

8. Art. 8 – Competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità ai rispettivi statuti e alle relative norme di attuazione nonchè alle disposizioni del titolo V della parte seconda della Costituzione.

Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a dare attuazione alle disposizioni della legge stessa.

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1.1.4 Alunni con situazioni di svantaggioPer evitare di incappare in equivoci, e per chiarezza di quest’area, è bene considerare tante le cause, quanto le diverse manifestazioni che la caratterizzano.

Lo svantaggio socio-economico, linguistico e culturale può avere una genesi riconducibile alla famiglia, dove intervengono a decretare le difficoltà un basso livello di istruzione dei genitori, nonché delle figure parentali che ruotano intorno all’alunno e le condizioni socio-economiche con scarsi stimoli linguistici e culturali. Tra le cause scatenanti vi sono anche forme educative considerate inadeguate, talvolta inopportune come quelle che muovono i genitori ad essere iperprotettivi, autoritari, permissivi, svalutativi, frustranti o incoerenti con conseguente disequilibrio, a discapito del minore.

In alcuni casi è il contesto relazionale a dar vita ad una povertà affettiva e relazionale che si manifesta nel minore con stati di isolamento. La stessa scuola, può essere causa di disagio e difficoltà, spesso legata a docenti poco formati, o a metodologie rigide o errate: insegnamento trasmissivo-nozionistico, incapacità di gestire la classe, valutazione selettiva scarso rapporto empatico con le dinamiche di classe. Il contesto sociale è un’altra delle cause che possono creare svantaggio e che riguarda la stessa provenienza della famiglia, spesso conflittuale o con modalità educative che spingono alla devianza. Non da meno la emarginazione sociale e culturale: tossicodipendenza, alcolismo, prostituzione, aggressività ripetuta, quotidiana.

Le forme attraverso le quali lo svantaggio si rende manifesto ricade non solo sulla difficoltà dell’apprendimento ove è possibile registrare carenze strutturali nei processi cognitivi e stili di apprendimento non ottimali alla riuscita del successo scolastico ma anche ritardi legati alla maturità, non intesa in chiave di Q.I, quanto di scarsa autostima scarsa motivazione, con relativa immaturità dell’io, che si rende evidente anche come incapacità a tollerare le più semplici frustrazioni.

Un campanello d’allarme è poi rappresentato dall’apatia a reagire a qualunque stimolo. L’alunno appare privo di curiosità non riesce a legarsi con i pari, a vivere anche un hobby condividendo interessi e sport. Ne deriva che all’apatia, alcuni alunni manifestano difficoltà a relazionarsi. È presente la tendenza ad essere costantemente tristi, con poca stima, vuoto, abulia, con perdita di sonno e fame.

Nella registrazione di queste cause e manifestazioni si arriva a registrare disagio, insuccesso scolastico, emarginazione e devianza.

Diversa la questione che riguarda gli alunni stranieri. Per questi ultimi, che non sono da indicare tra i BES se non in casi specifici ed eccezionali, la scuola dovrebbe attivare percorsi individualizzati e personalizzati oltre che impiegare strumenti compensativi e misure dispensative6.

Infatti, con la Nota Ministeriale del 22 novembre 2013, si è specificato che gli interventi a favore degli alunni stranieri devono essere prettamente di natura linguistica. Le espressioni adottate in questo caso nel documento ministeriale sono precise e mirano a contrastare il fenomeno del labelling, ovvero dell’etichettatura.

Il nostro intervento scolastico, in sostanza non deve contenere forme discriminatorie né provocarlo, malgrado la buona fede, né alimentarlo7.

Inoltre gli interventi dovrebbero avere natura transitoria e non permanente8.

Gli alunni neo arrivati nel nostro paese (NAI) sono circa 14 000 nel primo ciclo di istruzione e a pari numero nel secondo. I dati emergono da una indagine avviata dalla fondazione ISMU e MIUR del 2014.

Questi hanno infatti registrato un dato certo: gli ultratredicenni potenziali portatori di bisogni educativi

6 C.M. n. 8 7 2003, p. 3

7 DARIO IANES, SOFIA CRAMEROTTI- Alunni con BES - Bisogni Educativi Speciali, Indicazioni operative per promuovere l’inclusione

scolastica sulla base della DM 27.12.2012 e della Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013

8 Nota 2563/ 2013, p. 3

BES e DSA: integrazione e inclusione 13

speciali si stimano nel numero die 5000, ovvero in media di uno ogni due istituzioni scolastiche.

1.2 Cosa sono i disturbi Specifici dell’apprendimentoI DSA sono disturbi neurobiologici, che riguardano solo specifiche aree di apprendimento (LETTURA, SCRITTURA E CALCOLO) senza compromettere l’intelligenza generale.

Questi disturbi tendono ad essere presenti contemporaneamente nello studente e a persistere nel tempo.

Più nel dettaglio, i DSA sono disturbi, dipendenti da disfunzioni neurobiologiche congenite, che determinano difficoltà, a volte molto importanti, nell’acquisizione di alcune specifiche abilità scolastiche lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale.

Da questa definizione si desume che:

• I DSA non dipendono da fattori esterni (svantaggio socio-culturale; scarsa scolarizzazione, ecc.) o da condizioni di disabilità sensoriale o psichica, ma sono intrisechi all’individuo, legati (probabilmente) a disfunzioni del Sistema Nervoso Centrale;

• questi disordini interessano solo specifici domini di abilità;

• il deficit funzionale si presenta come una difficoltà ad acquisire determinate abilità e non come una perdita di una capacità già presente, recuperabile attraverso la riabilitazione;

• questi disturbi tendono a persistere nel tempo;

• l’alunno posto nelle condizioni di attenuare e/o compensare il disturbo può raggiungere gli obiettivi previsti.

I DSA sono classificati in relazione alla funzione deficitaria. Quelli riconosciuti sono:

• DISLESSIA;

• DISORTOGRAFIA;

• DISGRAFIA;

• DISCALCULIA.

Indipendentemente dalla funzione compromessa i diversi DSA tendono a coesistere nello stesso individuo (ciò che tecnicamente si definisce COMORBILITÀ) e ad associarsi ad altri disturbi neuropsicologici e psicopatologici.

Analizziamoli di seguito nel dettaglio.

1.2.1 La dislessiaProva a leggere il seguente testo:

secnodo un pfrosseore dlel’univiesrità di Cmabrdige, non imorpta in che oridne apapaino le letetre in una paolra, l’uinca csoa imnorptate è che la pimra e l’ulimta letetra sinao nel ptoso gituso.

Il riustlato può serbmare mloto cnofsuo, ma noonstatne ttuto si può legerge sezna mloti prleobmi.

Ti sei trovato sicuramente in una di queste due situazioni:

• Hai letto molto lentamente cercando di capire il testo.

BES e DSA: integrazione e inclusione 14

• Hai letto velocemente il brano commettendo molti errori.

In entrambi i casi lo sforzo impiegato nella lettura ha ostacolato la tua comprensione. Come pensi che avresti reagito se fosse stato un testo più lungo? E come ti sentiresti se avessi dovuto svolgere questo esercizio davanti a un gruppo di persone?

Il soggetto dislessico può leggere e scrivere, ma lo fa in modo non automatico, impiegando al massimo le sue capacità ed energie. Perciò si stanca rapidamente, rimane indietro e commette errori.

La dislessia non è una semplice difficoltà di lettura, ma è un particolare disturbo nel riconoscere e discriminare i segni alfabetici contenuti nelle parole, ad analizzarli in sequenza e a orientarsi sul rigo da leggere.

L’elemento caratterizzante la dislessia è dato dal fatto che gli errori commessi non sono riconducibili a deficit di vista o udito, a scarsa intelligenza, a disturbi della personalità, a scarso adattamento, a caratteri ambientali, a scarsa motivazione, a scarso esercizio. La dislessia è un disturbo caratterizzato da un deficit nell’accuratezza e/o nella velocità di lettura, che rende la lettura stessa nel complesso scarsamente fluente.

Si caratterizza come una mancata o parziale automatizzazione dell’uso dei codici di lettura; come una difficoltà a decodificare testi scritti che diventa un’operazione molto più complessa rispetto ai non dislessici e porta a una maggiore facilità di errore, a un maggior affaticamento, a una maggiore lentezza e a un rilevante impegno delle risorse attentive e mentali. Lo studente con dislessia cioè si concentra specificatamente sulla decodifica del testo stancandosi rapidamente, commettendo errori, rimanendo indietro e di conseguenza esponendosi a una non comprensione completa del significato del testo e non imparando adeguatamente se non ha a disposizione un tempo adeguato o strumenti compensativi idonei.

Spesso il ragazzo con dislessia evolutiva non riesce a imparare alcune informazioni in sequenza come le lettere dell’alfabeto, i giorni della settimana, o i mesi dell’anno; può fare confusione per quanto riguarda i rapporti spaziali e temporali (destra/sinistra; ieri/domani; mesi e giorni); può avere difficoltà a esprimere verbalmente ciò che pensa. Il ragazzo con dislessia può avere difficoltà a copiare dalla lavagna e a prendere nota delle istruzioni impartite oralmente. Talvolta perde la fiducia in se stesso e può avere alterazioni del comportamento. I ragazzi dislessici possono accusare ansia da prestazione, depressione e scarsa autostima.

Gli errori che ricorrono più frequentemente in un soggetto con dislessia sono:

• confusione di segni diversamente orientati nello spazio (p-b -d -q ; u-n)

• confusione di segni che differiscono per piccoli particolari (m-n ; c-e)

• confusione nel discriminare segni alfabetici che corrispondono a suoni che si assomigliano (f-v, t-d, p-b)

• omissioni di grafemi e di sillabe (fonte-fote; fuoco-foco)

• inversioni di sillabe (semaforo-sefamoro)

• salti di parole e salti da un rigo all’altro

• aggiunte e ripetizioni di sillabe (tavolo-tavololo)

Le abilità di base che possono essere compromesse sono:

• la percezione e l’integrazione visivo-uditiva

• la memorizzazione visiva

• l’organizzazione e l’integrazione spazio-temporale

• la simbolizzazione uditivo-grafica

• l’organizzazione del linguaggio

BES e DSA: integrazione e inclusione 15

Si può osservare una dislessia cosiddetta fonologica quando il sintomo predominante è la difficoltà nella conversione/associazione grafema-fonema, segno-suono, delle singole lettere; una dislessia cosiddetta superficiale o lessicale o ortografica quando il sintomo predominante è la difficoltà di lettura di parole con eccezioni di pronuncia o accentate in modo irregolare cioè quando l’allievo non ha costruito il vocabolario lessicale necessario ad automatizzare la lettura e ha difficoltà nell’accesso o nel recupero della forma ortografica e fonologica della parola nel lessico mentale. La dislessia che si può trovare più frequentemente è però quella di tipo misto che presenta sintomi tipici di entrambe le due categorie precedenti.

Nel soggetto con dislessia si possono accentuare i precedenti aspetti di difficoltà nello studio delle lingue cosiddette “opache” come l’inglese (complesso legame tra pronuncia e scrittura).

L’alunno, in una prima fase della scolarizzazione, sbaglia molto o ha bisogno di dedicare più attenzione del normale nel leggere correttamente (e/o nella giusta sequenza) le singole lettere o sillabe.

Questo comporta uno o più di questi effetti:

• si affatica di più quando legge;

• legge in modo più scorretto;

• ci mette più tempo a leggere;

• ha più difficoltà a comprendere la frase letta;

• prova meno piacere e sviluppa scarso desiderio di esercitarsi nella lettura.

Il lettore con Dislessia, in una seconda fase (fino ad arrivare all’età giovanile e a volte adulta), deve dedicare più attenzione del normale nel decodificare correttamente le parole (soprattutto quelle più complesse, quelle nuove o quelle che incontra di meno -per alcuni quelle scritte in carattere più piccolo, “stretto”, elaborato, o che non sia lo stampato maiuscolo-), quindi ha meno risorse attentive da dedicare al contenuto di ciò che sta leggendo.

Così, oltre agli effetti sopra descritti:

• ha bisogno di rileggere consegne scritte e testi (quindi ci mette più tempo);

• salta il rigo o non riesce a dedicare sufficiente attenzione alla punteggiatura;

• ha difficoltà a comprendere i testi, a fare un lavoro sui testi scritti e a studiare;

• prova meno piacere e sviluppa scarso desiderio (se non vero e proprio rifiuto ed evitamento) di leggere o di impegnarsi in compiti che richiedono lettura: seguire una lettura fatta insieme in classe seguire una spiegazione fatta con l’ausilio di scritte sulla lavagna copiare dal libro o dalla lavagna leggere le consegne degli esercizi sul libro leggere i compiti segnati sul diario o sul quaderno verificare di aver scritto bene qualcosa sul quaderno o nelle verifiche scritte cercare parole sul dizionario studiare;

• a volte legge e svolge compiti in modo migliore, altre volte (quando deve pensare a più cose contemporaneamente, quando è più stanco, oppure meno interessato, oppure più in ansia) legge e svolge i compiti in modo peggiore.

Per la diagnosi di dislessia sono considerati, attraverso test standardizzati somministrati da personale specialistico dell’Azienda Sanitaria, i parametri di velocità e accuratezza nel processo di decodifica cioè di lettura.

In un alunno con dislessia è spesso presente la difficoltà di comprensione di un testo attraverso la lettura, aggravando così il quadro clinico, mentre non parrebbe inficiata la comprensione di un testo attraverso l’ascolto.

È importante ricordare che la dislessia non è una malattia, perché la malattia ha un suo cursus specifico,

BES e DSA: integrazione e inclusione 16

viene attivata, ha dei momenti di acutizzazione, dei momenti di riduzione; trattandosi di un disturbo di natura neurobiologica, essa può essere considerata una caratteristica individuale del soggetto (che non lo abbandonerà mai).

Gli studi sull’eziologia di questo disturbo mostrano che la causa più frequente è la familiarità, cioè la presenza della difficoltà di lettura in alcuni membri della famiglia.

Le difficoltà specifiche dell’alunno dislessico, sono molteplici, tuttavia si possono ricondurre a due grandi tipologie di compromissioni:

Le DIFFICOLTÀ FONOLOGICHE: difficoltà nel processo di conversione/associazione di uno o più grafemi ai rispettivi fonemi.

Confusione di segni diversamente orientati nello spazio

La “p” e la “b”; la “d” e la “q”; la “u” e la “n”; la “a” e la “e”; la “b” e la “d”.

Confusione di segni che si differenziano per piccoli particolari

La “m” con la “n”; la “c” con la “e”; la “f” con la “t”.

Confusione nel discriminare segni alfabetici che corrispondono a suoni che si assomigliano

La “f” con la “v”; la “t” con la “d”; la “p” con la “b”; la “c” con la “g”; la “l” con la “r”; la “m” con la “n”; la “s” con la “z”.

Omissioni di grafemi e di sillabe “fonte” con “fote”; “fuoco” con “foco”; “campo” con “capo”.

Inversioni di sillabe “li” al posto di “il”; “la” al posto di “al”; “ni” al posto di “in”.

Inversioni della parola “talovo” al posto di “tavolo”.

Aggiunte e ripetizioni “tavovolo” al posto di “tavolo”.

Le DIFFICOLTÀ LESSICALI ORTOGRAFICHE: difficoltà nell’accesso e nel recupero della forma ortografica e fonologica della parola dal lessico mentale.

Separazioni illegali “in sieme” per “insieme”; “in dietro” per “indietro”.

Fusioni illegali “lacqua” per “l’acqua”; “nonè” per “non è”.

Scambio di grafemi omofoni (non omografi) “quore” per “cuore”; “squola” per “scuola”; “cuaderno” per “quaderno”.

Omissione o aggiunta del grafema “h” “a” per “ha”; “sciena” “schiena”.

Gli studi sull’eziologia di questo disturbo mostrano che la causa più frequente è la familiarità, cioè la presenza della difficoltà di lettura in alcuni membri della famiglia.

1.1.2 La disortografia La disortografia è la difficoltà a tradurre correttamente in forma grafica i suoni che compongono le parole.

La disortografia è un disturbo che riguarda il processo di trascrizione basato sul meccanismo di conversione da suono (fonema) a segno (grafema) e il riconoscimento di regole ortografiche che permettono la corretta scrittura di parole con trascrizione ambigua. Si parla di disortografia quando gli errori ortografici sono significativamente superiori per numero e per caratteristiche a quelli che ci si dovrebbe aspettare, facendo riferimento al grado d’istruzione della persona e alla sua consuetudine alla scrittura.

I principali errori sistematici che caratterizzano la scrittura disortografica sono:

• la confusione tra fonemi simili per cui il soggetto confonde suoni alfabetici che si somigliano come f e v, d e t, b e p;

BES e DSA: integrazione e inclusione 17

• la confusione tra grafemi simili ovvero tra segni alfabetici che hanno somiglianza nella forma, ad esempio b e p;

• le omissioni quando il soggetto tralascia alcune parti della parola come la doppia consonante, la vocale intermedia, la consonante intermedia;

• le inversioni nella sequenza dei suoni all’interno delle parole.

Le abilità di base che possono essere compromesse sono:

• l’organizzazione del linguaggio;

• la capacità di percezione e di discriminazione visiva e uditiva;

• l’organizzazione e l’integrazione spazio-temporale;

• il processo di simbolizzazione grafica.

Anche per i disortografici il processo di scrittura è molto laborioso e riduce le energie per le altre abilità necessarie per il processo di scrittura. Mentre devono ideare un contenuto, scegliere le frasi e le parole per esprimerlo, sono costretti a fermarsi su ogni parola per essere sicuri di averla scritta correttamente.

L’alunno, in una prima fase, sbaglia molto o ha bisogno di dedicare più attenzione del normale nello scrivere correttamente (e nella giusta sequenza) tutte le lettere o le sillabe.

Questo comporta uno o più di questi effetti:

• scrive in modo più scorretto (es. scambia o omette lettere, ne inverte l’ordine, scrive due parole attaccate, omette accenti e apostrofi);

• si affatica di più quando scrive;

• ci mette più tempo a scrivere;

• ha più difficoltà a scrivere una frase;

• prova meno piacere e sviluppa scarso desiderio di esercitarsi nella scrittura;

L’alunno, in una seconda fase, deve dedicare più attenzione del normale nello scrivere correttamente le parole (soprattutto quelle nuove o quelle che incontra di meno), quindi ha meno risorse attentive da dedicare al contenuto del testo che sta scrivendo. L’alunno scrive in modo più scorretto (specialmente quando va di fretta, quando deve pensare a più cose contemporaneamente, è più stanco, meno interessato, oppure più in ansia). Scrivere è una parte importante di questi compiti: prendere appunti, copiare dal libro o dalla lavagna, scrivere i compiti sul diario o sul quaderno. Si scrivono le parole in italiano, ma si scrivono anche i numeri, altri segni matematici, parole e frasi in lingua straniera e antica. Più tardi nella scolarizzazione potrebbe rimanere solo un problema nell’inglese scritto (e in altre lingue).

Questo comporta in molte occasioni (oltre agli effetti sopra descritti):

• non riuscire a dedicare sufficiente attenzione alle maiuscole, alla punteggiatura e alla sintassi;

• aver bisogno di ricontrollare di più (quindi metterci più tempo) per scrivere correttamente;

• aver difficoltà a scrivere testi, riassunti, temi, verifiche scritte in genere in termini di organizzazione, lessico, sintassi, adesione alle consegne;

• provare meno piacere e sviluppare scarso desiderio (se non vero e proprio rifiuto ed evitamento) di scrivere o di impegnarsi in compiti che richiedono scrittura, come i compiti scritti per casa;

• variabilità maggiore delle prestazioni: a volte scrive e svolge compiti scritti in modo migliore, altre volte svolge i compiti scritti in modo peggiore.

BES e DSA: integrazione e inclusione 18

Anche la disortografia è diagnosticata attraverso test standardizzati somministrati da personale specialistico dell’Azienda Sanitaria tenendo conto del parametro della valutazione della correttezza, cioè del numero di errori, nella scrittura.

ERRORI DISORTOGRAFICI

Errori fonologici Errori NON fonologici (o ortografici) Altri errori

Sostituzione di grafemi

« fento» per « vento»

«tono» per «dono»

Separazioni illecite

«in sieme» per «insieme»

«in dietro» per «indietro»

Omissione o aggiunta di accenti

«perche» per «perchè»

«ando» per «andò»

Omissione di lettere o sillabe

«fuco» per «fuoco»

«sana» per «savana»

Fusioni illecite

«cisono» per «ci sono»

«nonè» per «non è»

Omissione o aggiunta di doppie

«picolo» per «piccolo»

«pala» per «palla»

Aggiunte di lettere o sillabe

«saradina» per «sardina»

Scambio di grafemi omofoni non omografi

«licuore» per «liquore»

«squola» per «scuola»

1.2.3 La disgrafiaLa disgrafia è un disturbo che riguarda l’aspetto formale e qualitativo della componente grafica della scrittura. È una difficoltà nella riproduzione dei segni alfabetici e numerici, il cui tracciato appare incerto, irregolare nella forma e nelle dimensioni.

L’alterazione dei processi qualitativi della grafia determina una scarsa comprensibilità dello scritto e un processo di scrittura e di rappresentazione grafica nel complesso poco fluido e molto faticoso.

Il soggetto disgrafico scrive in modo irregolare, con fatica, con impugnatura a volte scorretta della penna. Ha difficoltà a utilizzare correttamente lo spazio sul foglio, lasciando spazi irregolari, non seguendo la linea di scrittura. La pressione esercitata sul foglio non è regolata adeguatamente, possono essere presenti inversioni della direzione di scrittura. Il soggetto disgrafico ha difficoltà nella copia e nella produzione autonoma di figure geometriche. Il ritmo della scrittura può essere troppo lento o troppo veloce o a scatti, senza armonia nel gesto e con interruzioni. Il soggetto disgrafico ha difficoltà a individuare e correggere gli errori. A tali difficoltà si possono aggiungere problemi di tipo emotivo poiché nonostante la grande fatica nella rappresentazione grafica (disegno di figure, schemi, grafici, tabelle ecc.) con l’uso anche di strumentazione specifica, l’allievo si rende conto che il risultato del suo lavoro è esteticamente scadente.

Le caratteristiche di una scrittura disgrafica possono essere:

• inadeguata velocità di scrittura alfabetica e numerica;

• pressione debole o eccessiva sul foglio;

• tendenza alla macro o micrografia;

• discontinuità nel gesto;

• direzione del gesto grafico irregolare;

• occupazione dello spazio nel foglio non adeguata;

• inesatta legatura dei segni;

• distanza tra le parole;

BES e DSA: integrazione e inclusione 19

• caratteristiche delle produzioni e riproduzioni grafiche inadeguate.

Le abilità di base che possono essere compromesse sono:

• le capacità grafo-motorie

• l’orientamento e l’integrazione spazio-temporale

• la coordinazione oculo-manuale e la coordinazione dinamica generale

• la discriminazione e la memorizzazione visiva sequenziale.

Quindi l’alunno in molte occasioni:

• scrive in modo meno leggibile (specialmente o solo quando presta meno attenzione, va di fretta, oppure deve pensare a più cose contemporaneamente) o più lento;

• traccia segni in modo inaccurato, quando disegna tabelle, figure geometriche, ecc.;

• è scoraggiato, demotivato e spesso inaccurato in compiti quali il prendere appunti, il copiare dalla lavagna, lo scrivere sul diario, o i compiti scritti per casa.

Per la diagnosi di disgrafia, attraverso test standardizzati somministrati da personale specialistico dell’Azienda Sanitaria, è necessario analizzare l’assetto morfologico, spaziale e la velocità della grafia.

DIFFICOLTÀ PREVALENTEMENTE VISUO-SPAZIALI

Spazi irregolari tra lettere e parole

SCRITTURA IRREGOLARE CON ECCESSIVO SPAZIO TRA LE PAROLE

SCRITTURA INSUFFICENTE TRA LETTERE ATTIGUE

Macro e micro grafie irregolari

Fluttuazioni delle lettere sul rigo

Incoerenza nell’inclinazione della scrittura

VERSO DESTRA PERPENDICOLARE VERSO SINISTRA

Mancato rispetto dei margini del foglio

Capovolgimenti di lettere

BES e DSA: integrazione e inclusione 20

DIFFICOLTÀ PREVALENTEMENTE POSTURALI E MOTORIE

Postura

Prensione

Tremori

Pressione La pressione della mano sul foglio non è adeguatamente regolata; talvolta è eccesivamente forte (per eccesso di tensione) e il segno lascia un’impronta marcata anche nelle pagine seguenti del quaderno, talvolta la grafia è debole e svolazzante.

DIFFICOLTÀ DI PIANIFICAZIONE E RECUPERO DI SCHEMI MOTORI

Confusione tra lettere graficamente simili

“RUBAVA”

Allografi

Autocorrezioni

DIFFICOLTÀ DI CONTROLLO MOTORIO DURANTE L’ESECUZIONE DEL MOVIMENTO

Dismetrie ESECUZIONE IMPERFETTA NELLA TRAETTORIA DEL MOVIMENTO

BES e DSA: integrazione e inclusione 21

APPRENDIMENTO E AUTOMATIZZAZIONE DI STRATEGIE INAPPROPRIATE

Direzionalità del movimento

Collegamenti tra le lettere

Proporzioni incongruenti tra le parti delle lettere

Lettere irriconoscibili/illegibili

1.2.4 La discalculiaLa discalculia è una difficoltà specifica nell’apprendimento del calcolo che si manifesta nel riconoscimento e denominazione dei simboli numerici, nella scrittura dei numeri, nell’associazione del simbolo numerico alla quantità corrispondente, nella numerazione in ordine crescente e decrescente, nella risoluzione di problemi.

La discalculia riguarda la parte esecutiva della matematica e ostacola quelle operazioni che normalmente dopo un certo periodo di esercizio tutti svolgono automaticamente, senza la necessità di particolari livelli attentivi; le prestazioni di base dei discalculici risultano pertanto significativamente al di sotto del livello atteso rispetto all’età cronologica, alle capacità cognitive e alla classe frequentata. L’efficienza nel problem solving matematico non concorre alla diagnosi di discalculia ma appare correlata al livello delle competenze cognitive o al livello di competenza linguistica.

La discalculia interferisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico e si traduce in difficoltà altrettanto gravi di problematizzazione della realtà e di apprendimento di abilità sociali che richiedono la reversibilità, la seriazione, la classificazione e la comprensione delle relazioni spaziali e temporali

L’allievo con Discalculia spesso è confuso erroneamente con gli studenti con scarso rendimento in matematica dovuto a un insufficiente impegno personale nello studio. Bisognerebbe tenere presente invece una grossa differenza: a causa della non acquisizione degli automatismi di calcolo, per avere un rendimento solo accettabile, un discalculico, in generale, deve utilizzare una gran quantità di energia e di tempo. I docenti dovrebbero, nel rispetto della programmazione disciplinare prevista per la classe, comprendere significativamente i personali tempi e modalità di apprendimento di uno studente con discalculia.

Il soggetto con discalculia può avere le seguenti difficoltà:

• nella lettura e scrittura di simboli matematici (1-7; 3-8; a-a; >-<);

• nella scrittura di numeri sotto dettatura (soprattutto quelli che contengono lo zero: 10035 -135);

BES e DSA: integrazione e inclusione 22

• nell’associare a una certa quantità il numero corrispondente (quattrocento= 104);

• nell’incolonnare i numeri;

• nello svolgimento di operazioni matematiche (5 + 5 = 25 ; 3x3=6);

• nella comprensione di nessi e relazioni matematiche;

• nella memorizzazione di regole, cifre e tabelline;

• nelle strategie di calcolo a mente (applicazione di procedure facilitanti);

• nelle operazioni di calcolo (riporto, incolonnamento, prestito, ordine di esecuzione);

• nelle operazioni di comparazione, seriazione e classificazione;

• nell’analizzare e nel riconoscere i dati che permettono la risoluzione di problemi;

• nel recupero dei fatti numerici;

• negli algoritmi del calcolo scritto.

Le abilità di base che possono essere compromesse sono:

• il processo di simbolizzazione;

• le capacità percettivo-motorie;

• le capacità prassiche;

• l’organizzazione e l’integrazione spazio-temporale;

• la capacità di memorizzazione;

• l’esecuzione di consegne in sequenza.

La Discalculia comporta uno o più di questi effetti:

• svolge molti compiti di matematica in modo più scorretto (specialmente o solo quando va di fretta, quando deve pensare a più cose contemporaneamente, è più stanco, meno interessato, oppure più in ansia);

• si affatica di più quando affronta compiti che comportano aspetti matematici;

• ci mette più tempo a svolgere compiti di matematica;

• prova meno piacere e sviluppa scarso desiderio (se non vero e proprio rifiuto ed evitamento) di svolgere compiti di matematica o di impegnarsi in compiti che la richiedono;

• variabilità maggiore delle prestazioni: a volte scrive e svolge compiti di matematica in modo migliore, altre volte li svolge in modo peggiore.

Per la diagnosi di discalculia, attraverso test standardizzati somministrati individualmente da personale specialistico dell’Azienda Sanitaria, è necessario considerare i parametri di accuratezza e velocità nelle abilità matematiche e ricorrere all’analisi qualitativa dell’errore e delle modalità di approccio ai quesiti aritmetici.

1.3 Gli strumenti per l’individuazione precoce del rischio DSAPer individuare un alunno con un potenziale Disturbo Specifico di Apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia) non necessariamente si deve ricorrere a strumenti appositi, ma può bastare, almeno in una prima fase, far riferimento all’osservazione delle prestazioni nei vari ambiti di apprendimento interessati dal disturbo: lettura, scrittura, calcolo.

BES e DSA: integrazione e inclusione 23

Ambiti di osservazione:

• la scrittura, è possibile osservare la presenza di errori ricorrenti, che possono apparire comuni ed essere frequenti, ma che si presentano a lungo ed in modo non occasionale. Nei ragazzi più grandi è possibile notare l’estrema difficoltà a controllare le regole ortografiche o la punteggiatura.

• la lettura, possono essere indicativi il permanere di una lettura sillabica; la tendenza a leggere la stessa parola in modi diversi nel medesimo brano; il perdere frequentemente il segno o la riga.

• il calcolo, le difficoltà sono più complesse, in quanto la stessa ricerca non ha ancora raggiunto risultati consolidati, in generale il livello di conoscenze apprese può rivelarsi molto distante da quello atteso, spesso ci si trova dinanzi ad un vero e proprio blocco all’apprendimento in senso cognitivo e motivazionale.

Se, anche a seguito di tali interventi, l’atipia permane, sarà necessario comunicare alla famiglia quanto riscontrato, consigliandola di ricorrere ad uno specialista per accertare la presenza o meno di un disturbo specifico di apprendimento.

Nel rispetto degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostanzia attraverso l’impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno: l’uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, etc.), l’attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo.

1.3.1 Il ruolo del Dirigente Scolastico, del referente DSA e del Docente La legge 170/10 allarga le competenze e le possibilità d’intervento delle Istituzioni scolastiche rispetto ai compiti ad esse attribuiti dalla normativa precedente, poiché i docenti e i dirigenti scolastici non sono più tenuti semplicemente a prendere atto di una diagnosi di DSA ad essi presentata, predisponendo e attuando appositi percorsi educativi e didattici individualizzati e personalizzati, nonché a ricorrere all’utilizzo degli strumenti compensativi e delle misure dispensative necessarie. Essi sono chiamati a svolgere un ruolo attivo sia nella “identificazione precoce” di casi sospetti di DSA e nella conseguente comunicazione alle famiglie nel caso in cui “persistano difficoltà”, sia nel “monitoraggio periodico delle misure educative e didattiche di supporto, per valutarne l’efficacia e il raggiungimento degli obiettivi.

Il Dirigente scolastico:

• Garantisce il raccordo di tutti i soggetti che operano nella scuola con le realtà territoriali;

• stimola e promuove ogni utile iniziativa finalizzata a rendere operative le indicazioni condivise con Organi collegiali e famiglie, e precisamente:

• attiva interventi preventivi

• trasmette alla famiglia apposita comunicazione;

• riceve la diagnosi consegnata dalla famiglia, la acquisisce al protocollo e la condivide con il gruppo docente;

• promuove attività di formazione/aggiornamento per il conseguimento di competenze specifiche diffuse;

• promuove e valorizza progetti mirati, individuando e rimuovendo ostacoli, nonché assicurando il coordinamento delle azioni (tempi, modalità, finanziamenti);

• definisce, su proposta del Collegio dei Docenti, le idonee modalità di documentazione dei percorsi didattici individualizzati e personalizzati di alunni e studenti con DSA;

BES e DSA: integrazione e inclusione 24

• gestisce le risorse umane e strumentali;

• promuove l’intensificazione dei rapporti tra i docenti e le famiglie di alunni e studenti con DSA, favorendone le condizioni e prevedendo idonee modalità di riconoscimento dell’impegno dei docenti;

• attiva il monitoraggio relativo a tutte le azioni messe in atto, al fine di favorire la riproduzione di buone pratiche e procedure od apportare eventuali modifiche.

Il Referente DSA:

La nomina del referente di Istituto per la problematica connessa ai Disturbi Specifici di Apprendimento non costituisce un formale obbligo istituzionale ma è demandata alla autonomia progettuale delle singole scuole.

Laddove se ne ravvisi l’utilità, per la migliore funzionalità ed efficacia dell’azione formativa, la nomina potrà essere anche formalizzata, così come avviene per numerose altre figure di sistema (funzioni strumentali) di supporto alla progettualità scolastica.

Egli:

• fornisce informazioni circa le disposizioni normative vigenti;

• fornisce indicazioni di base su strumenti compensativi e misure dispensative al fine di realizzare un intervento didattico il più possibile adeguato e personalizzato;

• collabora, ove richiesto, alla elaborazione di strategie volte al superamento dei problemi nella classe con alunni con DSA;

• offre supporto ai colleghi riguardo a specifici materiali didattici e di valutazione;

• cura la dotazione bibliografica e di sussidi all’interno dell’Istituto;

• diffonde e pubblicizza le iniziative di formazione specifica o di aggiornamento;

• fornisce informazioni riguardo alle Associazioni/ Enti/Istituzioni/ Università ai quali poter fare riferimento per le tematiche in oggetto;

• fornisce informazioni riguardo a siti o piattaforme on line per la condivisione di buone pratiche in tema di DSA;

• funge da mediatore tra colleghi, famiglie, studenti (se maggiorenni), operatori dei servizi sanitari, EE.LL. ed agenzie formative accreditate nel territorio;

• informa eventuali supplenti in servizio nelle classi con alunni con DSA.

Il Ruolo del docente:

Ogni docente, per sé e collegialmente:

• durante le prime fasi degli apprendimenti scolastici cura con attenzione l’acquisizione dei prerequisiti fondamentali;

• mette in atto strategie di recupero;

• segnala alla famiglia la persistenza delle difficoltà;

• prende visione della certificazione diagnostica rilasciata dagli organismi preposti;

• procede, in collaborazione dei colleghi della classe, alla documentazione dei percorsi didattici individualizzati e personalizzati previsti;

• attua strategie educativo-didattiche di potenziamento e di aiuto compensativo;

• adotta misure dispensative;

BES e DSA: integrazione e inclusione 25

• attua modalità di verifica e valutazione adeguate e coerenti;

• realizza incontri di continuità al fine di condividere i percorsi educativi e didattici effettuati dagli alunni, in particolare quelli con DSA, e per non disperdere il lavoro svolto.

1.4 Didattica personalizzata ed individualizzataLa Legge 170/2010 art.5 Misure educative e didattiche di supporto dispone l’obbligo per le istituzioni scolastiche di garantire agli studenti con diagnosi di DSA:

• l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate;

• l’introduzione di strumenti compensativi, di misure dispensative, l’uso di tecnologie informatiche per l’apprendimento;

• per l’insegnamento della lingua straniera, l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento;

• adeguate forme di verifica e di valutazione durante tutto il percorso scolastico nonché per quanto concerne l’Esame di Stato.

Il D.M. 12/07/2011 art.4 Misure educative e didattiche specifica:

• Le istituzioni scolastiche attuano i necessari interventi pedagogici didattici per il successo formativo degli studenti con DSA, attivando percorsi di didattica individualizzata e personalizzata e ricorrendo a strumenti compensativi e misure dispensative.

• I percorsi didattici individualizzati e personalizzati articolano gli obiettivi, compresi comunque all’interno delle indicazioni curricolari nazionali, sulla base del livello e delle modalità di apprendimento dello studente con DSA, adottando proposte di insegnamento che tengano conto delle abilità possedute e potenzino anche le funzioni non coinvolte nel disturbo.

• L’adozione di misure dispensative è finalizzata a evitare situazioni di affaticamento e di disagio in compiti direttamente coinvolti nel disturbo, senza peraltro ridurre il livello degli obiettivi di apprendimento previsti nei percorsi didattici personalizzati.

Lo stesso D.M. 12/07/2011 art. 6 Forme di verifica e di valutazione specifica:

• Le istituzioni scolastiche adottano modalità valutative che consentano allo studente con DSA di dimostrare effettivamente il livello di apprendimento raggiunto, mediante l’applicazione di misure che determinino le condizioni ottimali per l’espletamento delle prestazioni da valutare, relativamente ai tempi di effettuazione e alle modalità di strutturazione delle prove, riservando particolare attenzione alla padronanza dei contenuti disciplinari, ma non verificando e valutando nelle prove gli aspetti strettamente legati all’abilità deficitaria.

• Le istituzioni scolastiche attuano ogni strategia didattica per consentire agli studenti con DSA l’apprendimento delle lingue straniere, privilegiando l’espressione orale, l’uso di misure dispensative e strumenti compensativi idonei. Le prove scritte in lingua straniera sono progettate, presentate e valutate secondo modalità compatibili con le difficoltà connesse a i DSA.

• Anche in sede di Esame di Stato ai candidati con diagnosi di DSA possono essere riservati tempi più lunghi di quelli ordinari, l’utilizzazione di idonei strumenti compensativi e criteri valutativi attenti soprattutto ai contenuti piuttosto che alla forma sia nelle prove scritte sia nel colloquio.

Nelle Linee Guida per il diritto allo studio degli studenti con DSA allegate al D.M. 12/07/2011, al punto 3.

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definiscono la didattica individualizzata e la didattica personalizzata.

1.4.1 Didattica individualizzataLa didattica individualizzata pone obiettivi comuni per tutti i componenti del gruppo-classe, cerca di assicurare a tutti gli studenti il conseguimento delle competenze fondamentali per affrontare lo studio disciplinare, ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteristiche individuali degli studenti. Si tratta di attività di recupero individuale su apprendimenti non raggiunti attivati in classe per esempio sulla base di valutazioni in ingresso o valutazioni formative in itinere o valutazioni sommative; oppure attività di recupero che lo studente può svolgere in momenti a esse dedicate, per potenziare alcune aree o affinare specifiche competenze, anche nell’ambito delle strategie compensative (per es. migliorare la capacità d’uso del computer, migliorare l’abilità di realizzazione di mappe concettuali e schemi, d’uso di testi digitali, di sintesi vocale, etc.) e del metodo di studio.

La didattica individualizzata è finalizzata a fare in modo che lo studente con DSA recuperi i saperi disciplinari e migliori il metodo di studio. Ciascun docente, ogni Consiglio di Classe, il Collegio docenti scelgono nella programmazione annuale le attività/modalità di recupero da attuare.

1.4.2 Didattica personalizzataLa didattica personalizzata, anche sulla base della Legge 53/2003 e del D.L. 59/2004, ha l’obiettivo di promuovere il successo formativo dello studente, di dare a ciascun alunno l’opportunità di sviluppare al meglio le proprie potenzialità e di accrescere i propri punti di forza nell’ottica di promuovere un apprendimento significativo calibrando l’offerta didattica e le modalità relazionali sulla specificità dei bisogni educativi dello studente.

La didattica personalizzata può porsi obiettivi diversi per ciascuno studente, cioè obiettivi non comuni a tutta la classe, come per esempio per lo studente con disturbi specifici dell’apprendimento, essendo strettamente legata a quella specifica e unica persona dello studente. Nel rispetto degli obiettivi generali di apprendimento, la didattica personalizzata si può sostanziare attraverso una varietà di metodologie e strategie didattiche come per esempio alcune di seguito elencate:

• l’attenzione agli stili di apprendimento;

• l’uso di mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, parole-chiave, glossari, ecc.);

• l’analisi dell’errore per favorire la gestione dell’insegnamento;

• la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti;

• l’utilizzo di canali di comunicazione diversificati (uso di immagini, disegni,

• grafici, di tecnologie informatiche, di materiali multimediali, di LIM, del web, inferenze dal titolo e dalle immagini, ecc.);

• l’utilizzo di una pluralità di tipologie di prove di verifica;

• il realizzare una didattica laboratoriale non solo per favorire l’operatività, ma il dialogo e la riflessione su quello che si fa sollecitando nell’alunno l’autocontrollo, l’autovalutazione dei propri processi di apprendimento, le competenze metacognitive.

BES e DSA: integrazione e inclusione 27

La maggior parte delle case editrici per la scuola secondaria di secondo grado offre l’opportunità di adottare testi scolastici multimediali. Gli e-book permettono percorsi didattici personalizzati attenti ai bisogni educativi e ai diversi stili cognitivi consentendo l’utilizzo di risorse e formazione in rete.

La sinergia fra didattica individualizzata e personalizzata determina per lo studente con DSA le condizioni più favorevoli per il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento.

Nella realtà di classi sempre più complesse per la presenza di studenti con disabilità, con disturbi di apprendimento, con difficoltà di apprendimento, non italofoni, con bisogni educativi speciali, occorre sottolineare che nell’attività quotidiana lavorativa di un docente l’utilizzo di metodologie didattiche individualizzate e personalizzate dovrebbe essere prassi quotidiana non solo rivolta agli studenti con DSA, ma anche a tutti gli altri studenti per supportare il loro processo di apprendimento. Non si tratta di fare una didattica diversa per ciascuno studente, ma la didattica svolta dovrebbe sostenere tutti gli studenti nel percorso di costruzione di competenze offrendo opportunità per integrare gli stili di apprendimento degli allievi.

1.5 Strumenti compensativi e misure dispensativeLa Legge 170/2010 richiama le istituzioni scolastiche all’obbligo di garantire l’introduzione di strumenti compensativi, misure dispensative e adeguate forme di verifica e valutazione per gli studenti con DSA sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste in modo comunque da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dello studente.

Premesso che non può definirsi un elenco “ricetta” per la scelta di quanto sopra poiché ciascuno studente con DSA ha una sua specificità legata a molteplici aspetti (tipologia e gravità del disturbo, data della prima diagnosi, interventi riabilitativi e abilitativi svolti, livello di compensazione del disturbo raggiunto, caratteristiche della personalità, punti di forza e di debolezza personali, uso di strategie personali in classe e nello studio individuale, contesto scuola e famiglia, esperienze scolastiche precedenti, disponibilità di tutor per lo studio a casa, livello di competenze disciplinari conseguito, ecc.), quanto segue vuole essere un’indicazione generale per i docenti per la stesura del PDP Piano Didattico Personalizzato.

Gli strumenti dispensativi e compensativi sono misure e strumenti che aiutano l’alunno con DSA a ridurne gli effetti del suo disturbo, predisponendo una modalità di apprendimento più adatta alle sue caratteristiche, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo.

1.5.1 Gli strumenti compensativiGli strumenti compensativi sono strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria.

Tali strumenti sollevano l’alunno o lo studente con DSA da una prestazione resa difficoltosa dal disturbo, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo. L’utilizzo di tali strumenti non è immediato e i docenti – anche sulla base delle indicazioni del referente di istituto – avranno cura di sostenerne l’uso da parte di alunni e studenti con DSA.

Gli strumenti compensativi devono essere adottati da tutti i docenti del c.d.c sulla base delle indicazioni contenute nella diagnosi/certificazione, delle proposte dello studente e della sua famiglia.

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Gli strumenti compensativi consentono allo studente con dsa di compensare le carenze funzionali determinate dal disturbo; sono strumenti didattici che non semplificano il compito dal punto di vista cognitivo, ma facilitano le prestazioni dell’abilità carente che vengono richieste.

La scelta degli strumenti compensativi deve essere sempre condivisa da tutti i docenti, dallo studente e dalla famiglia.

• STRUMENTI COMPENSATIVI

Scuola Primaria:

Tabella dei mesi, tabella dell’alfabeto e dei vari caratteri - Tavola pitagorica - Tabella delle misure, tabelle delle formule – calcolatrice - ausili visivi e tabelle per il calcolo mentale Tabelle per ricordare (tabelle della memoria), in particolare per la grammatica italiana e le lingue straniere – Grafici, schemi, mappe concettuali e mentali di ogni tipo - computer con programmi di videoscrittura con correttore ortografico e/o sintesi vocale, commisurati al singolo caso ecc…

Scuola Secondaria:

Utilizzo di mappe concettuali e mentali, schemi, grafici e tabelle per lo studio e in fase di verifica (orale e scritta) - dizionari digitali per la lingua italiana, straniera e non nativa da usare con il PC - software per la creazione di mappe e tabelle - softwar per la matematica – traduttori – calcolatrice – formulari - uso del PC per la stesura dei testi, la lettura per mezzo di sintesi vocale, la creazione di mappe concettuali e l’uso di power point come ausilio all’esposizione orale - uso del registratore (MP3) in sostituzione agli appunti manoscritti o per la stesura del testo.

ESEMPI STRUMENTI COMPENSATIVI PER ALCUNE MATERIE

ITALIANO

• Schede per le forme verbali, per l’analisi grammaticale, logica, del periodo, aiuti per i tempi verbali, etc...;

• Uso sintetizzatore vocale per i testi;

• Uso registrazioni;

• Computer con correttore automatico e vari programmi e Internet;

• Uso di materiali differenti per appuntare o per fissare graficamente informazioni specifiche;

• Elaborati, materiali vari, conoscenze, documenti o fotografie preparati in ambito domestico;

• Sintesi, schemi elaborati dai docenti, mappe concettuali.

LINGUE STRANIERE

• Privilegiare la comunicazione orale con valorizzazione di eventuali esperienze pregresse;

• Negli elaborati scritti, limitare le correzioni ai soli errori percepibili e modificabili, nonché prevedere un aiuto esterno per le trascrizioni (compagni o docenti medesimi);

• Lettura da parte del docente del Compito in Classe Scritto;

• Computer con correttore automatico e vari programmi e Internet;

• Uso di materiali differenti per appuntare o per fissare graficamente informazioni specifiche;

• Elaborati, materiali vari, conoscenze, documenti o fotografie preparati in ambito domestico;

• Sintesi, schemi elaborati dai docenti, mappe concettuali.

MATEMATICA

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• Tabelle della memoria, tavola pitagorica, tavola delle formule, delle misure o dei linguaggi specifici, etc…;

• Strutturazione dei problemi per fasi;

• Uso della calcolatrice;

• Computer con correttore automatico e vari programmi e Internet;

• Uso di materiali differenti per appuntare o per fissare graficamente informazioni specifiche;

• Elaborati, materiali vari, conoscenze, documenti o fotografie preparati in ambito domestico;

• Sintesi, schemi elaborati dai docenti, mappe concettuali.

STORIA, GEOGRAFIA

• Cartine geografiche e storiche;

• Computer con correttore automatico e vari programmi e Internet;

• Uso di materiali differenti per appuntare o per fissare graficamente informazioni specifiche;

• Elaborati, materiali vari, conoscenze, documenti o fotografie preparati in ambito domestico;

• Sintesi, schemi elaborati dai docenti, mappe concettuali.

ESEMPI PRATICI...

Cosa usa in classe ALUNNO DISLESSICO?

• Possibilità di usare le mappe concettuali durante le interrogazioni, che vengono programmate con lui.

• Prediligere le verifiche orali, dove possibile, e in quelle scritte valutare i contenuti e non la forma (soprattutto nelle lingue straniere).

• Non far leggere ad alta voce e far registrare le lezioni per poterle riascoltare.

• Se la comprensione è deficitaria, dare la possibilità di sentir leggere le consegna di compiti e problemi. Usare programmi di sintesi vocale (es. alpha reader)

• Favorire gli automatismi con mappe procedurali e tavole

Cosa può usare un ALUNNO DISGRAFICO E/O DISORTOGRAFICO?

• Possibilità di scrivere a Computer

• Usare programmi di scrittura con correttore ortografico

• Esentare il più possibile dai compiti scritti

• Valutare i contenuti piuttosto che la forma

Cosa usa in classe un ALUNNO DISCALCULICO?

• Calcolatrice

• Formulari

• Riduzione quantitativa delle operazioni ma non qualitativa (espressioni più corte ma di ugual difficoltà)

• Mappe procedurali e concettuali

• Evitare lo studio mnemonico! (valido per tutti i DSA, la memoria, per tutti, si allena con STRATEGIE e non con l’aumento delle quantità di cose da ricordare).

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1.5.2 Misure dispensativeLe misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno o allo studente di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento.

Le misure dispensative devono essere adottate da tutti i docenti del c.d.c sulla base delle indicazioni contenute nella diagnosi/ certificazione, delle proposte dello studente e della sua famiglia.

Le misure dispensative sono le prestazioni NON RICHIESTE allo studente con DSA.

La scelta delle misure dispensative deve essere sempre condivisa da tutti i docenti, dallo studente e dalla famiglia.

I D.S.A., non consentendo appieno il raggiungimento dell’automatismo, determinano maggiore lentezza e affaticabilità nello svolgimento delle prove e nello studio in generale. Può essere importante, di conseguenza, dispensare lo studente da alcune tipologie di compito.

In generale le dispensazioni dovranno essere rivolte alla quantità del compito piuttosto che alla qualità dello stesso, tuttavia in specifiche condizioni e, in particolare, nella fase superiore di scolarizzazione, può rivelarsi importante non limitarsi a ridurre la quantità di compiti richiesti ma bisogna riconsiderare la modalità di svolgimento degli stessi, garantendo comunque gli obiettivi minimi di apprendimento.

L’insegnante deve evitare di chiedere lettura a voce alta a meno che lo studente non ne faccia richiesta – eccessiva memorizzazione dei termini (in particolare se astratti) - rispetto dei tempi standard (tempi maggiori per l’espletamento delle prove o meglio tempi ottimizzati, con meno esercizi per ogni tipologia). Può essere importante concordare con lo studente e la famiglia le modalità di svolgimento dei compiti a casa e intervenire relativamente alla quantità di compiti e non alla qualità degli stessi. Va precisato che non può essere concessa dispensa da nessuna disciplina curricolare.

In particolare per le lingue straniere il MIUR, nella nota 4674 del 10 Maggio 2007, specifica quanto segue: le prove scritte di lingua non italiana, ivi comprese ovviamente anche quelle di latino e di greco, determinano obiettive difficoltà nei soggetti con disturbo specifico di apprendimento e vanno attentamente considerate e valutate per la loro particolare fattispecie con riferimento alle condizioni dei soggetti coinvolti. Relativamente alla lingua inglese gli studenti non possono essere dispensati dall’effettuazione dello scritto e dell’orale, ma gli insegnanti vorranno riservare maggiore considerazione per le corrispondenti prove orali come misura compensativa dovuta. Per la seconda lingua, per la quale non è obbligatoria la prova scritta, il collegio dei docenti può decidere di utilizzare la sola prova orale.

Fra i più noti indichiamo:

• la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;

• il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della lezione;

• i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli errori;

• la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo;

• altri strumenti tecnologicamente meno evoluti quali tabelle, formulari, mappe concettuali, etc.

Per esempio, non è utile far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura.

D’altra parte, consentire all’alunno o allo studente con DSA di usufruire di maggior tempo per lo svolgimento di una prova, o di poter svolgere la stessa su un contenuto comunque disciplinarmente significativo ma

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ridotto, trova la sua ragion d’essere nel fatto che il disturbo li impegna per più tempo dei propri compagni nella fase di decodifica degli items della prova. A questo riguardo, gli studi disponibili in materia consigliano di stimare, tenendo conto degli indici di prestazione dell’allievo, in che misura la specifica difficoltà lo penalizzi di fronte ai compagni e di calibrare di conseguenza un tempo aggiuntivo o la riduzione del materiale di lavoro. In assenza di indici più precisi, una quota del 30% in più appare un ragionevole tempo aggiuntivo.

L’adozione delle misure dispensative, al fine di non creare percorsi immotivatamente facilitati, che non mirano al successo formativo degli alunni e degli studenti con DSA, dovrà essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale, comunque, da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dell’alunno o dello studente in questione.

1.6 Il piano annuale per l’inclusione (PAI)La Nota Miur n. 1551 del 27 giugno 2013 chiarisce che il P.A.I. non va inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati” educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola “per tutti e per ciascuno”.

Il P.A.I. non è quindi un “documento” per chi ha bisogni educativi speciali, ma è lo strumento per una progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo, è lo sfondo ed il fondamento sul quale sviluppare una didattica attenta ai bisogni di ciascuno nel realizzare gli obiettivi comuni, le linee guida per un concreto impegno programmatico per l’inclusione, basato su una attenta lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell’insegnamento curricolare, della gestione delle classi, dell’organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra docenti, alunni e famiglie.

Per questa prima fase di attuazione, tenuto conto del sovrapporsi di vari adempimenti collegati con la chiusura del corrente anno scolastico, ciascun Ufficio Scolastico Regionale, nell’ambito della propria discrezionalità e sulla scorta delle esigenze emergenti nel proprio territorio di competenza, definirà tempi e modi per la restituzione dei P.A.I. da parte delle Istituzioni scolastiche, tenuto conto che, per le caratteristiche di complessità introdotte dalla Direttiva del 27 dicembre 2012, il prossimo anno scolastico dovrà essere utilizzato per sperimentare e monitorare procedure, metodologie e pratiche anche organizzative.

Resta fermo che il P.A.I. non sostituisce le richieste di organico di sostegno delle scuole, che dovranno avvenire secondo le modalità definite da ciascun Ambito Territoriale.

Le risorse presenti nella scuola, sia di natura umana che strumentale, concorrono in modo inequivocabile a realizzare una rete indicativa per migliorare l’apprendimento degli alunni e che gli strumenti compensativi, rappresentati da materiale informatico e da software, possono essere acquistati e impiegati da tutta la classe e non solo dal bambino dichiarato BES.

L’Istituto che accoglie i bambini con BES “ deve proporsi di potenziare la cultura dell’inclusione per rispondere in modo efficace alle necessità di ogni alunno che, con continuità o per determinati periodi, manifesti Bisogni Educativi Speciali”.

A tal fine si intende, informare tutti i genitori di bambini con Bisogni Educativi Speciali che la scuola, si muoverà a:

• creare un ambiente accogliente e supporto;

• sostenere l’apprendimento attraverso una revisione del curricolo;

• sviluppando attenzione educativa in tutta la scuola;

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• promuovere l’attiva partecipazione di tutti gli studenti al processo di apprendimento;

• centrare l’intervento sulla classe in funzione dell’alunno;

• favorire l’acquisizione di competenze collaborative;

• promuovere culture politiche e pratiche inclusive attraverso una più stretta collaborazione fra tutte le componenti della comunità educante.

Obiettivo principale è la riduzione delle barriere che limitano l’apprendimento e la partecipazione sociale attraverso l’utilizzo di facilitatori e l’analisi dei fattori contestuali, sia ambientali che personali.

Sono destinatari dell’intervento a favore dell’inclusione scolastica tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali comprendenti:

• disabilità (ai sensi della Legge 104/92, Legge 517/77);

• disturbi evolutivi specifici (Legge 170/2010, Legge 53/2003);

• alunni con svantaggio socio-economico; svantaggio linguistico e/o culturale.

1.6.1 Ruoli, funzioni e obiettivi dei Gruppi di lavoro per l’inclusione (GLI) Ogni istituzione istituisce il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI) al fine di realizzare appieno il diritto all’apprendimento per tutti gli alunni in situazione di difficoltà, come stabilito dalla D.M. 27 dicembre 2012 e dalla Legge 53/2003, attraverso la programmazione di un” Piano Annuale per l’Inclusione”.

I Compiti e le funzioni del GLI:

1. Rilevazione dei BES, monitoraggio e valutazione

2. Raccolta e documentazione degli interventi educativo-didattici

3. Consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie e metodologie di gestione delle classi

4. Raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai G.L.H. operativi

5. Elaborazione di un “Piano Annuale per l’Inclusione”

6. Interfaccia con CTS e servizi sociali e sanitari territoriali per attività di formazione, tutoraggio ecc.

Il GLI è presieduto dal Dirigente Scolastico o da un suo delegato; è costituto dal gruppo di sostegno, dal coordinatore del progetto di accoglienza e dal referente L2, dalle figure strumentali, da una rappresentanza dei docenti coordinatori.

1.6.2 Il Piano Didattico Personalizzato (PDP)Il Piano didattico Personalizzato previsto dalla Legge 170 del 2010 e poi esteso a tutti gli alunni con bisogni educativi speciali è uno strumento di progettazione che “ha lo scopo di definire, monitorare e documentare – secondo un’elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata – le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti(…). È necessario che l’attivazione di un percorso individualizzato e personalizzato per un alunno con Bisogni Educativi Speciali sia deliberata in Consiglio di classe - ovvero, nelle scuole primarie, da tutti i componenti del team docenti - dando luogo al PDP, firmato dal Dirigente scolastico (o da un docente da questi specificamente delegato), dai docenti e dalla famiglia. Nel caso in cui sia necessario trattare dati sensibili per finalità istituzionali, si avrà cura di includere nel PDP apposita autorizzazione da parte della famiglia” (Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012).

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Analizziamo le parole che compongono la definizione di Piano Didattico Personalizzato:

• PIANO: è “studio mirante a predisporre un’azione in tutti i suoi sviluppi”: un programma, un progetto, una strategia.

• DIDATTICO: lo scopo della didattica è il miglioramento:

• dell’efficacia e soprattutto dell’efficienza dell’apprendimento dell’allievo, che comporta , quindi, una diminuzione dei tempi di studio e del dispendio di energie

• dell’efficacia e dell’efficienza dell’insegnamento del docente.

• PERSONALIZZATO: indica la diversificazione delle metodologie, dei tempi, degli strumenti nella progettazione del lavoro della classe (C.M. n 4099 del 05/10/2004 e n. 4674 del 10/05/2007 per studenti dislessici – art 10 DPR 122 giugno 2009. – Circ. MIUR 28.5.2009)

“Con la personalizzazione si persegue l’obiettivo di raggiungere i medesimi obiettivi attraverso itinerari diversi. Questa strategia implica la messa a punto di nuove forme di organizzazione didattica e di trasmissione dei processi del “sapere” e del “saper fare” in modo da predisporre piani di apprendimento coerenti con le capacità, i ritmi e i tempi di sviluppo degli alunni”.

In definitiva il PDP è un piano didattico pensato e applicabile per gli alunni con DSA, nei quali la difficoltà non è nella capacità di apprendimento, ma nelle abilità di utilizzare i normali strumenti per accedere all’apprendimento, abilità che possono e devono essere supportate, secondo la normativa vigente, per il raggiungimento del successo formativo.

Quando trattiamo del PDP possiamo parlare sia di personalizzazione che di individualizzazione dell’apprendimento, in quanto metodologie, tempi e strumenti devono essere diversificati ma NON gli obiettivi (a differenza di quanto avviene nel PEI per studenti con disabilità). La difficoltà per i ragazzi con DSA non è nella capacità cognitiva di apprendere ma nell’abilità di saper accedere alla conoscenza attraverso i “normali” canali o strumenti.

Molto spesso gli insegnanti sono in difficoltà nella stesura dello stesso, credendo che debbano crearlo da soli o insieme ad un collegio docenti a volte poco preparato in materia. In realtà il MIUR ha predisposto un modello che può essere scaricato e compilato agilmente nell’interesse dello studente, così come si possono scegliere altri modelli reperibili in diversi siti specializzati presenti in rete.

Il PDP è un contratto tra famiglia, scuola e istituzioni socio-sanitarie, per organizzare un percorso mirato nel quale vengono soprattutto definiti gli strumenti compensativi e dispensativi che aiutano alla realizzazione del successo scolastico degli studenti con DSA. Per ciascuna materia devono infatti essere individuati gli strumenti dispensativi e compensativi più efficaci per consentire allo studente il raggiungimento degli obiettivi alla pari dei compagni.

Attualmente gli strumenti tecnologici hanno acquistato un grande rilievo: l’utilizzo sempre più frequente del computer a scuola non deve sottolineare una differenza, ma una ricchezza come strumento di lavoro per l’intero gruppo classe, a maggior ragione nel panorama attuale dove l’introduzione dei supporti informatici va via via sostituendo i tradizionali strumenti di insegnamento.

Perché fare il PDP?

Innanzitutto in quanto diritto garantito dalla legislazione agli studenti con DSA.

Sul piano pratico è inoltre uno strumento importante per monitorare il percorso scolastico dello studente con DSA e documento ufficiale e vincolante in sede di esami di stato o passaggio da un ordine di scuola all’altro. Tutto ciò nel garantire le pari opportunità e il pari diritto allo studio per ogni persona.

Compito di ogni scuola è dimostrare di aver messo in atto tutte le misure previste dalla legislazione per

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consentire agli studenti con DSA il raggiungimento degli obiettivi minimi per ogni area disciplinare.

Chi deve redigerlo?

Il PDP viene redatto dal consiglio di classe una volta acquisita la diagnosi specialistica e dopo aver ascoltato la famiglia e, laddove è necessario, gli specialisti, in un’ottica di dialogo e di rispetto delle diverse competenze e specificità.

Nella fattispecie:

Il coordinatore ha il compito di incontrare la famiglia e raccogliere le informazioni sull’alunno, redigere una sintesi della diagnosi e mantenere i contatti con la famiglia.

I singoli insegnanti devono, in riferimento alla loro disciplina, compilare la parte del documento con le proprie osservazioni, gli strumenti compensativi e dispensativi che intendono adottare e le modalità di verifica e valutazione che metteranno in atto.

Con quali tempi?

Il PDP deve essere redatto all’inizio di ogni anno scolastico, entro la fine del mese di novembre, per gli studenti con già in atto un percorso, o su segnalazione della famiglia laddove si inizia un rapporto nuovo con l’istituzione scolastica.

Il percorso prevede quindi:

• la presa in considerazione della segnalazione della diagnosi

• un incontro conoscitivo tra il coordinatore di classe, la famiglia, il dirigente scolastico o il tutor referente DSA (nelle scuole in cui è presente questa figura) per raccogliere tutte le informazioni

• un incontro fra i docenti per la predisposizione e la distribuzione dei moduli da compilare

• la stesura finale

• la sottoscrizione del documento da parte dei docenti e dei genitori dello studente

• il PDP deve essere verificato almeno due volte all’anno, in sede di scrutini.

I contenuti del PDP

In particolare, nelle Linee Guida che accompagnano la Legge 170/2010 si dichiara che il PDP deve contenere:

• i dati generali con l’analisi della situazione dell’alunno

• il livello delle competenze raggiunte nelle diverse aree disciplinari

• gli obiettivi e i contenuti d’apprendimento previsti per l’anno scolastico e la metodologia con le misure compensativi e dispensative

• le modalità di verifica con le misure compensative e dispensative

• la valutazione in itinere e finale con le indicazioni sul come viene effettuata

• i rapporti con la famiglia, con particolare riferimento alla parte dei compiti da svolgere a casa

I destinatari

Il PDP deve essere consegnato alla famiglia dello studente con DSA.

È infatti uno strumento indispensabile per poter attivare tutta la rete che sta intorno e deve sostenere il processo di apprendimento dello studente con DSA. Nella progettazione sono infatti presenti le modalità di accordi tra scuola e famiglia.

BES e DSA: integrazione e inclusione 35

In particolar modo:

• modalità con cui vengono assegnati i compiti da svolgere a casa

• quantità dei compiti assegnati

• scadenze con cui i compiti devono essere consegnati, evitando, soprattutto quando ci sono verifiche, sovrapposizioni o sovraccarichi.

• modalità di presentazione e di esecuzione dei compiti.

Piano Didattico Personalizzato

Finalità Struttura Soggetti

• Esplicitare in modo chiaro e trasparente le scelte didattiche e metodologiche, liberamente scelte dalla scuola, per favorire il diritto formativo.

• Corresponsabilità del team docente sulla presa a carico dell’alunno.

• Comprendere la diagnosi e programmare le attività personalizzate e quelle integrate.

• Verbalizzare un percorso unitario tra Sanità, scuola e famiglia.

• Documentare l’applicazione della norma.

• Ampliare e specificare il Contratto formativo di Circolo: “Motivare i propri interventi didattici e formulare degli obiettivi da raggiungere chiari e precisi”.

• Esplicitare le strategie, gli strumenti di verifica ed i criteri di valutazione.

• Normativa di riferimento.

• Dati relativi all’alunno/a.

• Analisi della diagnosi e sua comprensione.

• Considerazioni/osservazioni dei genitori e degli insegnanti.

• Descrizione del funzionamento delle abilità strumentali.

• Caratteristiche del processo di apprendimento.

• Livello di consapevolezza da parte dell’alunno del proprio modo di apprendere.

• Individuazione di eventuali modifiche all’interno degli obiettivi disciplinari.

• Strategie metodologiche e didattiche.

• Misure dispensative.

• Misure compensative.

• Assegnazione dei compiti a casa e rapporti con la famiglia.

• Insegnanti

• Dirigente scolastico

• Esperti

• Genitori

BES e DSA: integrazione e inclusione 36

1.7 Le nuove tecnologie educative per una didattica interattiva ed inclusivaI docenti devono nutrire alte aspettative sull’esito scolastico di tutti gli alunni.

Le aree di competenza sono:

• Promuovere l’apprendimento accademico, pratico, sociale ed emotivo di tutti gli alunni;

• Utilizzare approcci didattici efficaci in classi eterogenee.

Nel Promuovere l’apprendimento, dobbiamo avere sempre ben in evidenza che:

• … Le aspettative degli adulti sono un fattore determinante del successo dello studente ed è quindi fondamentale coltivare alte aspettative sui risultati di tutti gli alunni;

• … Gli studenti dovrebbero essere responsabili attivi delle decisioni che riguardano il loro apprendimento e negli eventuali processi di valutazione in cui sono coinvolti;

• … I genitori e le famiglie sono una risorsa fondamentale per l’apprendimento di ogni studente;

• … E’ essenziale sviluppare l’autonomia e l’autodeterminazione degli studenti;

• … La capacità di apprendimento e la potenzialità di ogni studente va scoperta e stimolata.

• Dobbiamo riconoscere, in modo autocritico ma in prospettiva professionale che:

• … Gli insegnanti capaci insegnano a tutti gli alunni;

• … I docenti si assumono la responsabilità di facilitare l’apprendimento degli alunni;

• … Le abilità degli studenti non sono fisse, tutti hanno la capacità di apprendere e di migliorare;

• … L’apprendimento è un processo e l’obiettivo per gli alunni è “imparare ad imparare” e non solo conoscere i contenuti / le nozioni della materia;

• … Il processo di apprendimento è essenzialmente lo stesso per tutti gli alunni – ci sono pochissime “tecniche speciali”;

• … In alcune occasioni, particolari difficoltà di apprendimento richiedono risposte basate su adattamenti dei metodi di studio e di insegnamento.

I metodi più efficaci per l’inclusione, sono da considerarsi utili all’intera classe e non solo ai BES. Parlare di Apprendimento significativo, cooperativo, metacognitivo e/o di flipped classroom, aiuterebbe a cambiare l’approccio alla disciplina, ma anche a coordinare gli apprendimenti in modo diverso e nuovo.

Uscire dall’insegnamento cattedratico, nozionistico fatto di un sapere trasmissivo e poco empatico, è tra gli obiettivi che dovremmo prefiggerci. Le dinamiche cooperative si realizzano attraversostrategie e tecniche di attivazione di gruppi, di collaborazione di cooperative learning, di tutoring.

Afferma Comiglio – Cardoso: “ Si può definire Cooperative Learning come un insieme di tecniche di conduzione della classe grazie alle quali gli studenti lavorano in piccoli gruppi per attività di apprendimento e ricevono valutazioni in base ai risultati acquisiti”.

Ciò che il bambino può fare in cooperazione oggi, può farlo da solo domani. Vygostkj.

La riflessione del noto autore, non è un osannare l’individualità, ma cogliere nella cooperazione la prima forma di apprendimento, dato che apre a diversi punti di vista e rielaborazioni significative. Il docente inclusivo deve favorire la partecipazione.

Partecipazione significa che tutti gli alunni devono essere impegnati in attività di apprendimento utili ed

BES e DSA: integrazione e inclusione 37

importanti per loro conoscenza, senza distinzione alcuna. La partecipazione aiuta l’alunno a costruire il dato empirico e a tradurre la teoria in azione.

Dal discorso sin qui portato avanti, ne deriva che l’alunno standard non esiste più data la pluralità di situazioni e individui che la scuola accoglie, che ci impedisce di realizzare un profilo di un alunno tipo.

La diversità di fatto, e quindi nel concreto, non può essere vista come un problema, quanto come una occasione che muove al riconoscimento di quella specifica risorsa o delle risorse presenti.

Anche la didattica non è più standardizzata, né meno che mai cattedratica e nozionistica, ma gioca il suo ruolo e la sua riuscita su metodi e strategie, nonché sui tempi dell’apprendimento.

L’integrazione, lascia lo spazio alla inclusione, ai generi e alle diversità. Risulta importante intervenire sul “setting pedagogico ”, ovvero sull’ ambiente che struttura, relazioni educative organizzate e significative.

La sua organizzazione, riguarda tempi e spazi scolastici, modalità di indagine sui contenuti della conoscenza e quelle di presentazione delle esperienze di apprendimento, il rispetto degli stili di apprendimento, le tipologie di relazione, gli atteggiamenti dei docenti.

Nell’organizzazione non sono escluse anche le modalità di aggregazione degli alunni, i mezzi e gli strumenti e i mediatori didattici utilizzati. Unico scopo promuovere l’alunno.

Come possiamo strutturare questo tipo di educazione, didattica in chiave inclusiva?

Abbiamo innanzitutto bisogno di un curriculum che possieda un nucleo solido di competenze chiave. Dobbiamo disporre di un’ampia serie di strategie motivanti d’apprendimento ed insegnamento. Abbiamo bisogno della valutazione per l’apprendimento.

Come professionisti, come docenti, siamo abituati alla valutazione dell’apprendimento, ma abbiamo fatto in questi anni un grande passo in avanti, quello della valutazione per l’apprendimento, una modalità di valutazione che coinvolge profondamente gli studenti, dà loro consapevolezza degli obiettivi d’apprendimento da raggiungere, di quelli raggiunti o di quelli non conseguiti, ma anche di quello che devono fare per poter compiere ulteriori progressi attraverso un proprio percorso. Ciò presume, che il docente, abbia condiviso il processo, che ogni forma di educazione e di didattica deve compiere, direttamente con chi la riceve: ovvero, con l’alunno.

Per un curricolo efficace, risulta essenziale capire quali strategie di insegnamento apprendimento adottare e cosa privilegiare.

Afferma Raffaele Ciambrone, dobbiamo smettere di chiederci “ che cosa ha lui e come faccio a limitare i suoi insuccessi?”, per domandarci: “ Che cosa facciamo noi per metterlo nelle condizioni migliori per esprimere il meglio di sé”.

In uno schema particolarmente chiaro ed esaustivo, lo stesso autore, spiega come sia possibile modificare il setting pedagogico ed avviare una comunicazione pedagogica, sinergica, inclusiva, empatica e produttiva.

Nel caso in cui gli studenti siano anche più grandi, suggerisce come dar voce agli alunni, i quali sono chiamati a cooperare e vivere elettivamente il proprio percorso di studi, dato che un insegnamento standardizzato e la classica lezione frontale non può coesistere, in un tempo che marcia verso il confronto e lo sviluppo della persona. Auspica in una relazione che vive l’alunno non come passivo, ma come parlante, con responsabilità condivise, con un coinvolgimento che ne potenzia ogni aspetto.

Per modificare il Setting Pedagogico, dovremmo considerare nove aspetti, e i relativi interventi, suggeriti da G. Stella e L. Grandi:

I. Tempi della lezione e della relazione. Gli interventi si riferiscono alle unità disciplinari, multidisciplinari, transdisciplinari; scuola ed extrascuola, qualitativo vs quantitativo; modulare, reticolare, interdisciplinare,

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lentezza vs velocità. In questo caso, dovremmo ipotizzare interventi sulla dimensione temporale dell’azione educativa al fine di personalizzarla. Per esempio, nel caso di alunni con ADHD, ipotizzare una diversa distribuzione dell’orario settimanale da destinare alle attività laboratoriali, anche in gruppi diversi; oppure in casi di evasione scolastica conclamata, considerare nell’orario d’obbligo la frequenza concordata ad attività formative extrascolastiche;

II. Spazi.Si riferisce alle aule/laboratori; interni ed esterni, spazi di riposo e del lavoro; flessibili/versatili, arredi orizzontali e verticali, piani di appoggio diversificati; arredi mobili, a seconda delle esigenze didattiche. Nello specifico dovremmo ipotizzare interventi sulla dimensione spaziale, al fine di personalizzare l’intervento educativo. Per esempio, arredare uno spazio specifico e fortemente simbolico (una bacheca, una installazione in un corridoio) per l’espressione degli stati d’animo; oppure mettere a disposizione degli elementi componibili per la personalizzazione autonoma di uno spazio scolastico; oppure ancora ridisporre gli arredi della classe in modo da rendere possibili interazioni faccia a faccia.

III. Modalità di indagine sui contenuti della conoscenza. Apprendimento significativo, per scoperta ed elaborazione, perseguito sul piano: cognitivo, affettivo, psicomotorio,, attuato con metodologie attive, cooperative e metacognitiva. Riprogettare le attività di insegnamento/apprendimento di competenze complesse ( disciplinari e di cittadinanza), tenendo sempre presente la necessità di proporre esperienze di apprendimento “ sfidanti” ( cioè situate lungo la vigotskijana zona di sviluppo prossimale, ossia in quella zona che si trova tra il livello di sviluppo attuale del bambino e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l’aiuto di altre persone, adulti o pari con un livello di conoscenza maggiore) presentando attività di problem solving e compiti reali. Per esempio, possiamo strutturare la classe come una redazione giornalistica, non come attività episodica ( il tipico giornalino scolastico) ma come molla motivazionale di tutta la giornata scolastica.

IV. Rispetto dei diversi stili di apprendimento. Riferiti questi nella dimensione visivo-verbale, visivo non verbale, uditivo, cinestetico. Individuare attraverso l’osservazione sistematica e il confronto tra colleghi del consiglio di classe, gli stili di apprendimento prediletti dall’alunno e quelli che assicurano il maggior successo in termini di apprendimento; in seguito anche attraverso attività a carattere inter/transdisciplinare, incentiviamo l’alunno a impegnarli in diversi contesti disciplinari. Per esempio, nel caso di alunni introversi, si può utilizzare il movimento libero nello spazio pre rappresentare e raccontare situazioni emotive prima di e/o contestualmente alla loro verbalizzazione.

V. Utilizzo di diversi stili di apprendimento. Ovvero, verbale, visuale, globale, analitico, sistematico, intuitivo. Stili di insegnamento diversi sono funzionali a caratteristiche differenti degli alunni. Quanto più l’approccio è versatile e utilizza canali comunicativi diversi, tanto più riesce a venire incontro alla varietà di stili di apprendimento presenti nel gruppo-classe. L’approccio tradizionale, basato esclusivamente sull’utilizzo del canale verbale, ha in realtà meno probabilità di modificare le risorse sensoriali e intellettive e di fissare le esperienze di apprendimento nella memoria. Ad esempio, invece di programmare una lezione espositiva su un argomento, è più efficace utilizzare supporti audiovisivi, proponendo modi diversi di prendere appunti, oppure strutturare un webquest ovvero, una attività di ricerca-azione guidata su internet.

VI. Modalità diversificate di presentazione delle esperienze di apprendimento, utili a suscitare la motivazione degli alunni. Recenti ricerche hanno infatti dimostrato che lo studente valuta lo stimolo offerto dall’insegnante secondo alcuni criteri: novità, piacevolezza ( risposta alla curiosità cognitiva), pertinenza rispetto ai propri bisogni, realizzabilità ( sfida ottimale) sicurezza psicosociale ( assicurare fiducia nelle proprie possibilità) esperienze pregresse e riuscita. In questo caso è preferibile usare la cooperative learning, la peer tutoring, learning together, webquest, brainstorming, circle time.

VII. Ruoli, modalità di relazione e atteggiamenti dei docenti. E’ utile prestare attenzione a: messaggi verbali e non verbali ( prossemica, postura del corpo, espressioni del viso, gestualità); empatia, assertività,

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autorevolezza; ansia vs calma; modalità comunicative ( monologo, dialogo, conversazione; incoraggiare la curiosità; far leva sui punti di forza dell’alunno, piuttosto che sottolineare le sue debolezze. Infatti, sarebbe utile impiegare i momenti di copresenza con i colleghi ( di sostegno e delle altre discipline) per una attività di amico critico; basata sulla osservazione reciproca per rilevare i livelli di motivazione degli alunni in relazione all’efficacia delle attività proposte e delle diverse modalità di relazione e comunicazione adottate dal docente.

VIII. Modalità di aggregazione e di lavoro degli alunni. Secondo la dimensione, dovremmo pensare ad attività individuali, in coppia che consideri stessa/diversa età, sesso, livello ecc. Attività per l’intero gruppo/classe a classi aperte, e di plesso. Secondo la modalità di interazione: peer tutoring e peer collaboration; cooperative learning. Secondo la tipologia di attività proposte: problem solving, attività di ricerca, brainstorming, circle time; lezione frontale con uso di libri, lavori per fasce di livello, percorsi individualizzati, utilizzo di risorse tecnologiche e social media, attività laboratoriali e uscite sul territorio. E’ questo l’aspetto metodologico più importante, dato che da esso dipende la riuscita degli interventi.

IX. Mezzi, strumenti, mediatori didattici utilizzati. In questo caso in realtà parliamo di mediatori didattici attivi (che si basano su esperienze dirette) iconici (immagini e schemi), analogici (giochi di simulazione), simbolici (uso di concetti). La diversificazione dei mediatori didattici permette di mobilitare al meglio le risorse individuali di apprendimento.

Scopo, promuovere ogni aspetto dell’alunno, piuttosto che umiliarlo ed ostacolarlo.

1.7.1 Le tecnologie per DSAGli strumenti compensativi sono fondamentali per favorire l’apprendimento nei bambini e nei ragazzi con Disturbo Specifico dell’Apprendimento.

E’ importante che i bambini si avvicinino precocemente all’utilizzo di hardware e software che possano aiutarli nel ridurre la fatica a carico della letto-scrittura in favore dell’apprendimento delle competenze specifiche per ogni classe di età.

E’ bene capire, prima di tutto, cosa è un hardware e cosa è un software, in quanto anche gli strumenti compensativi informatici possono essere diversi.

L’hardware è l’insieme dei dispositivi fisici di un computer, quindi PC, fisso o portatile, tastiera, mouse, chiavette… mentre i software sono i diversi programmi che vengono installati nel PC. Gli hardware che possono interessare i ragazzi con DSA sono il computer portatile o il netbook, che può essere facilmente portato anche a scuola, mouse, scanner e scanner a penna, smart pen, le cuffie.

I software più diffusi sono invece l’elaboratore di testi, la sintesi vocale, il traduttore automatico, la calcolatrice dotata di sintesi vocale, internet, enciclopedie multimediali.

Alcuni software sono gratuiti e scaricabili da internet e sono utili per incominciare, soprattutto a livello di scuola elementare e media, a prendere confidenza con i supporti informatici:

• Balabolka: è un programma che trasforma i testi in file audio utilizzando i sintetizzatori vocali già installati sul PC.

• Dspeech: è un programma in grado di leggere ad alta voce un testo scritto e di scegliere quali frasi pronunciare a seconda delle risposte vocali di chi lo utilizza.

• CMap: è un programma completo per creare mappe concettuali; è facilmente utilizzabile da studenti e ragazzi e consente una grande flessibilità.

• Freemind: è un programma che consente di creare mappe mentali, per facilitare la schematizzazione e poi l’esposizione orale. Le mappe mentali possono essere utilizzate dal ragazzo con DSA in sede di

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verifica/valutazione per richiamare alla mente i concetti.

• TutoreDattilo: è un programma che consente di implementare la velocità di scrittura con il PC.

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1.8 La relazione con il minoreLa Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 e la C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 sulla didattica inclusiva per alunni BES pongono grande attenzione al nuovo modo di fare SCUOLA. Il personale docente e dirigente si trovano a dover lavorare in classi complesse ed eterogenee:

• alunni con disabilità fisica e psichica (certificati con la legge 104/92);

• alunni con disturbi evoluti specifici (disturbi specifici dell’apprendimento – DSA – disgrafici, dislessici, con discalculia e distortografia; disturbi dell’attenzione e dell’iperattività – ADHD – o con funzionamento cognitivo limitato. Certificati con la legge 170/2010);

• Alunni che vivono in situazioni di svantaggio socio, economici, linguistici e culturali.

Si delineano le basi per una SCUOLA E UNA DIDATTICA INCLUSIVA basata:

• Costruire percorsi di studio partecipati;

• Sviluppare un clima sereno in classe;

• Contestualizzare l’apprendimento;

• Partire dalle abilità possedute dagli studenti;

• Favorire la ricerca e la scoperta;

• Attuare interventi didattici e personalizzati;

• Realizzare attività didattiche basate sulla cooperazione;

• Potenziare le attività di laboratorio

Per poter gestire la classe in modo da permettere le integrazioni delle diverse esigenze personali, occorrono dei prerequisiti, delle condizioni essenziali:

• credere nell’integrazione;

• il ruolo dell’insegnante di sostegno;

• il lavoro unitario di team;

• il ruolo del dirigente scolastico;

• la competenza degli insegnanti nell’affrontare le problematiche speciali.

Tutti gli alunni hanno normali bisogni educativi:

• bisogno di sviluppare competenze (autonomia)

• bisogno di appartenenza – identità

• bisogno di valorizzazione (autostima)

• bisogno di accettazione – accoglienza

• bisogno di motivazione

BES e DSA: integrazione e inclusione 41

I normali bisogni educativi si arricchiscono di qualcosa di Speciale, con il bisogno di specialità, inteso come il fare le cose secondo le funzionalità presenti nell’alunno in senso educativo e di apprendimento, in questo caso il bisogno educativo diventa speciale.

Per poter realizzare una pedagogia inclusiva, bisogna lavorare su tre fronti:

1. Inserimento;

2. Integrazione;

3. Inclusione.

INSERIMENTO - si riferisce alla presenza di alunni con disabilità nelle scuole e al diritto di tutti di frequentare la scuola.

INTEGRAZIONE - gli alunni disabili devono essere inseriti in classi normali agendo sul piano organizzativo e didattico. E’ una situazione, si riferisce esclusivamente all’ambito educativo, guarda al singolo, interviene prima sul soggetto e poi sul contesto, incrementa una risposta specialistica.

INCLUSIONE - rappresenta la disponibilità ad accogliere, è incondizionata. E’ un processo, si riferisce alla globalità della sfera educativa, sociale e politica, guarda a tutti gli alunni e alle loro potenzialità, interviene

prima sul contesto e poi sul soggetto, trasforma la risposta specialistica in ordinaria

Le strategie di intervento richiedono un’elaborazione collegiale attraverso:

• piano dell’offerta formativa;

• analisi ed identificazione del disagio;

• piano didattico personalizzato;

• piano annuale per l’inclusività;

• monitoraggio, valutazione e piano di Miglioramento

Le azioni per l’inclusione possono essere favorite dai seguenti soggetti:

• gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI);

• centri territoriali per l’inclusione (CTI);

• centri territoriali di supporto (CTS);

• uffici scolastici regionali

La relazione educativa è l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra il docente e l’educando, per andare verso obiettivi educativi, in una data circostanza.

Il rapporto che si instaura tra le due figure rappresenta il fulcro della disciplina pedagogica, ciascuno con funzione differente e con obiettivi propri: l’uno con quello di educare, d’insegnare, di condurre verso cambiamenti volti al raggiungimento di un maggior benessere, l’altro con l’obiettivo di apprendere e sperimentare situazioni nuove.

L’insegnante produce educazione non solo per i messaggi che trasmette, ma soprattutto per la relazione che stabilisce con l’alunno, diretta a suscitare reazioni che influiscono in senso positivo sull’apprendimento.

L’alunno, a sua volta, si educa e produce educazione nella misura in cui, rispondendo ai messaggi, provoca reazioni che influiscono in senso positivo sull’insegnamento. L’insegnante e l’alunno, quindi, nella comunicazione instaurano tra loro un processo di reciproca autoformazione.

BES e DSA: integrazione e inclusione 42

Il rapporto fra docente e discente è asimmetrico perché l’insegnante, esercitando una funzione di guida e di orientamento, occupa, nella comunicazione, una posizione di dominanza sull’alunno, una dominanza che è funzionale e non gerarchica. Importante è seguire l’alunno in modo che si apra da solo percorsi per interrogarsi sulla propria esistenza, sul proprio essere, poter essere e dover essere e accompagnarlo nel suo percorso di vita e di progettualità.

La relazione deve essere basata sul dialogo, entrambe le figure devono mettersi in gioco.

Il saper ascoltare è la capacità fondamentale di ogni professione che si basa sulla relazione, sul lavorare con le persone, sul rapporto educativo.

Ascoltare significa essere disponibili ad entrare in contatto con i sentimenti che l’altro prova, non necessariamente per condividerli, ma per capire le dinamiche, sapendo aspettare che i risultati del lavoro didattico giungano, senza la fretta di vederli emergere, in quanto molte volte la fretta di ottenere rapidi risultati, a tutti i costi, è un problema del docente e non dell’alunno.

L’intervento a favore di minori in situazione di disagio implica necessariamente un articolato confronto fra realtà anche molto diverse tra loro quali famiglia, scuola, agenzie extrascolastiche, servizi territoriali, tutti contesti in cui è indispensabile coordinare e monitorare la rete di relazioni creatasi, in modo evitare disfunzioni o incomprensioni fra i soggetti sociali coinvolti. È necessario dunque individuare persone che conoscano i vissuti dei minori e che, allo stesso tempo, sappiano dialogare con le realtà, istituzionali e non, presenti sul territorio.

Il minore che vive una situazione di sofferenza non sempre trova in se stesso le risorse attraverso cui superare la crisi che sta vivendo. Spesso, non riuscendo a spiegare i sentimenti che prova, agisce esteriorizzando le proprie emozioni nella condotta: questi atteggiamenti, in un qualche modo, gli consentono di affrontare i problemi da cui è afflitto, costituendo una risposta adattiva alla difficoltà incontrata.

La situazione si complica nel momento in cui l’adulto considera queste manifestazioni una componente intrinseca della personalità del minore, che viene così visto come cattivo o pigro o come uno che non ci arriva.

Il circolo vizioso si completa nel momento in cui il soggetto, una volta interiorizzata l’identità negativa che gli viene attribuita dall’esterno, struttura uno stile relazionale congruente con quell’immagine.

La preoccupazione principale dell’educatore, pertanto, deve essere quella di promuovere un’azione capace di restituire al minore una visione positiva della propria persona, delle proprie attitudini e potenzialità. In particolare, la possibilità di questo cambiamento si definisce in rapporto alla qualità della relazione interpersonale instauratasi fra educatore ed educando.

Come afferma De Giacinto (pedagogista 1921-1989), “la relazione è ciò che costituisce il nucleo dell’educazione” : se infatti consideriamo l’educazione come “una trasmissione di apprendimenti selezionati, che aiuta il soggetto a svolgersi ed a svilupparsi” , allora tale trasmissione sarà tanto più efficace quanto più la relazione tra educatore ed educando sarà intensa e, per se stessa, ricca di significati. Questo perché l’educazione è essenzialmente “una relazione d’amore (...). È un’esplosione vitale compiuta dall’incontro tra due soggetti e, seppur in modo differente, generativa da ambo le parti” .

Di conseguenza, il docente dovrà disporre di strumenti teorici e metodologici che gli consentano di monitorare l’andamento della relazione, modificando, se necessario, i propri stili comunicativi o le strategie di intervento.

Emerge la necessità di uscire da modelli incentrati sui problemi e sulle carenze del soggetto per promuovere, piuttosto, modelli di intervento centrati sulle risorse e sulla salute del soggetto. La relazione educativa deve rappresentare lo strumento attraverso cui il docente deve intervenire, non solo sulle specifiche condizioni che influiscono sullo stato di malessere provato dal soggetto, ma, soprattutto, sul sistema di significati

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che il minore ha attribuito a quelle difficoltà materiali che lo hanno indotto a strutturare determinati comportamenti. Al centro del problema abbiamo il tipo di lettura che la persona effettua della propria situazione, nei processi di attribuzione di senso con cui investe i propri vissuti. La relazione educativa deve costituire il contenitore sicuro in cui si rende possibile, da parte dell’alunno, una rivisitazione della propria storia ed una ristrutturazione della propria personalità.

In questo contesto, il minore potrà prendere coscienza dei limiti e dei vincoli con cui deve confrontarsi ogni giorno: tale consapevolezza, se sorretta dall’attenta presenza dell’adulto, non condurrà ad un ripiegamento, ma rappresenterà quello sguardo critico che consentirà al ragazzo di conferire nuovi significati alla propria esistenza. Come afferma Canevaro (Docente di pedagogia speciale, 1939), scopo ultimo della relazione è la strutturazione, nell’educando, di una “personalità integrata”, che riesca “a memorizzare, a far tesoro di tutte le informazioni, anche degli errori, per capire come evitarli, per organizzarli in un progetto e per costruirsi un codice condiviso, per avere (…) poche linee di coerenza, pochi punti importanti ben memorizzati, e non un labirinto di piccole regole che non si ricordano” . L’obiettivo è quello della responsabilità: si tratta di compiere il fatidico passaggio dall’educazione all’autoeducazione.

La credibilità della proposta educativa e l’accettazione della relazione, delle regole si basa soprattutto sulla capacità dell’educatore, del docente di far comprendere che i risultati che si vogliono raggiungere sono attuabili e che il percorso che conduce al miglioramento di se stessi è da tutti percorribile. La diffidenza che manifesta chi, per vari motivi, ha sofferto, può essere superata solo se l’adulto dimostra un sincero interesse per il bene del ragazzo, se è disposto ad accettarlo, a comprenderlo, a valorizzare le sue potenzialità.

Il docente deve porsi di fronte all’alunno come adulto significativo in modo da sollecitarlo verso nuovi punti di riferimento. La relazione educativa, pertanto, si evidenzia come un rapporto armonico di rapporti che si basa sulla volontà degli interessati di mettersi in gioco, di conoscersi e di aiutarsi vicendevolmente, ognuno secondo le proprie capacità ed il proprio ruolo. In questo percorso dinamico il docente deve stare attento a non cadere in deliri di onnipotenza tendenti a guidare la volontà dell’educando entro parametri precostituiti, e dovrà mantenere un certo equilibrio mentale che gli consente di avere uno sguardo critico sulla relazione e sulle proprie condotte.

Il discorso educativo inoltre si attua attraverso una dinamica edificante in cui si offre all’educando il percorso per essere autonomo e farcela da solo in modo che la presenza dell’educatore non sia più necessaria. L’educatore deve saper modificare se stesso nella relazione, deve sapersi nascondere progressivamente, affinché il minore possa divenire protagonista della propria crescita. Solo così l’opera dell’educatore si connota come educazione all’autonomia, alla responsabilità, alla libertà.

La relazione educativa si connota come relazione d’aiuto, cioè quella relazione in cui l’uno promuove la crescita dell’altro, il docente promuove la crescita dell’alunno attraverso un intervento di supporto per sviluppare autonomia, lo sviluppo di sé e la capacità di essere autonomi. L’aiuto si orienta, quindi, in direzione della crescita e dell’autonomia dell’altro. Da parte del docente deve essere presente l’impegno al massimo coinvolgimento possibile dell’altro nell’attuazione di quell’intenzionale progetto di cambiamento attraverso il quale si punta alla piena integrazione di colui che si presenta con delle diversità.

Il docente dovrà operare per condurre l’educando in un rapporto di equilibrio tra quelle che sono le spinte determinate dall’iniziativa, che il soggetto tende ad esprimere, e la consapevole accettazione del controllo che, all’interno di un processo educativo, si attua sempre. Per raggiungere ciò diventa fondamentale che l’educando strutturi una buona fiducia in se stesso e nelle proprie capacità, arrivando progressivamente a scoprire i propri punti di forza e i propri limiti.

La relazione d’aiuto, quindi, è un processo che comporta un cambiamento, la crescita di una persona o di entrambe le persone coinvolte per mezzo del loro relazionarsi, si caratterizza come incontro tra due o più persone una delle quali si trova in una condizione di bisogno e l’altra ha una competenza o abilità che risulta

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essere efficace rispetto la situazione o problematica da affrontare.

Può esser definita come una particolare forma di narrazione composta da due figure: il soggetto narratore che è colui che ha una situazione di disagio e il soggetto co-narratore che ha funzione di sostegno e facilitatore.

Tutti i bambini hanno bisogno di imparare, sin da piccoli, ad individuare, gestire e modulare il proprio mondo emozionale per riuscire a sviluppare adeguati livelli di autonomia, autostima e competenze relazionali. Questo insegnamento è definito educazione alle emozioni e realizza l’intelligenza emotiva.

Per rispondere adeguatamente ai bisogni evolutivi e al disagio di bambini e adolescenti il docente deve apprendere il linguaggio dei sentimenti, liberarsi dalla tentazione di rifugiarsi nel giudizio e nel pregiudizio, aprirsi all’ascolto e alla condivisione dello stato emotivo dell’altro. Se gli adulti sviluppano non solo competenze culturali, ma anche abilità emotive e relazionali, nel bambino e nell’adolescente si crea uno spazio interno in cui sarà possibile metabolizzare anche le esperienze più dolorose e conflittuali, trasformandole in risorse per la crescita.

L’intelligenza emotiva sociale è costituita da quell’insieme di caratteristiche che permettono all’individuo di relazionarsi positivamente con gli altri, interagendo in modo costruttivo.

Una delle componenti più importanti di questo aspetto dell’intelligenza è costituita dall’empatia, cioè dalla capacità di riconoscere le emozioni e i sentimenti degli altri, ponendosi idealmente nei panni dell’altro e riuscendo a comprendere i rispettivi punti di vista, gli interessi e le difficoltà interiori.

Essere empatici significa percepire il mondo interiore dell’altro, come se fosse il nostro, mantenendo la consapevolezza della sua diversità rispetto al nostro punto di vista.

Oltre alla condivisione dei sentimenti e dei punti di vista, vi è anche la valorizzazione degli altri, che si manifesta nel credere nelle persone, nel mettere in risalto e potenziare le loro abilità, nel sostenere la loro autonomia, nel rispettare le loro diversità individuali, sociali, economiche e culturali.

Attraverso la valorizzazione dell’intelligenza emotiva è possibile combattere l’analfabetismo emotivo presente nel corso dello sviluppo, che si configura come l’incapacità di riconoscere, di dare un nome e di rispettare i sentimenti, propri e degli altri.

Vi è una stretta correlazione tra analfabetismo emotivo e la presenza di disturbi del comportamento, di inibizione intellettiva e di demotivazione all’apprendimento, di chiusura comunicativa, di atteggiamenti di insofferenza e di irrequietezza.

1.8.1 La famiglia, la scuola, il territorioSono tre le istituzioni per eccellenza che si occupano di educare, socializzare e immettere il nuovo cittadino nel tessuto sociale, eppure quando si parla di BES, molto spesso si tende a dimenticare che sono proprio i bisogni inespressi, o non compensati da una di queste tre a decretare il successo o il non successo formativo e relazionale dell’alunno.

L’AMBIENTE E I BISOGNI DELL’ALUNNO

L’ambiente scolastico, e non solo, deve soddisfare tutti i bisogni fondamentali dell’alunno.

Maslow, psicologo americano, ha coniato la teoria dei bisogni.

La teoria dei bisogni è basata sull’osservazione delle persone e si cercano di trovare dei metodi preventivi per evitare che l’individuo abbia disturbi e per permettere alle persone di raggiungere il pieno sviluppo delle proprie potenzialità sfruttando al massimo le proprie capacità. Secondo Maslow, la natura umana è fondamentalmente buona e il male deriva dai momenti di frustrazione dell’uomo, da quei momenti in cui non

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riesce a soddisfare i suoi bisogni.

Un ambiente favorevole, pertanto, è il requisito fondamentale affinché un bambino possa sviluppare tutte le sue potenzialità, l’ambiente è inteso come contesto in cui si sviluppano relazioni positive con gli altri affinché vengano soddisfatti i bisogni di appartenenza e d’affetto. Si possono individuare diversi tipi di bisogni la cui soddisfazione costituisce la motivazione ad agire di tutte le persone.

Maslow distingue 5 bisogni fondamentali:

• Bisogni fisiologici: sono i bisogni fondamentali di sopravvivenza, come la fame,la sete e il sonno;

• Bisogni di sicurezza: questi bisogni devono garantire all’uomo un senso di protezione e di tranquillità. L’ambiente nel quale è inserito dovrebbe presentare una certa stabilità in modo da farlo sentire sicuro.

• Bisogno di appartenenza: consiste nella necessità di sentirsi parte di un gruppo e di cooperare con altri;

• Bisogno di stima: riguarda il bisogno di essere apprezzato, rispettato e competente. È importante condurre gli alunni a riflettere su di se, sulle proprie qualità e difficoltà al fine di creare un’immagine positiva di se stessi.

• Bisogno di autorealizzazione: riguarda l’esigenza di realizzare la propria identità e di occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo.

A questi cinque bisogni se ne aggiungere un sesto la cui soddisfazione è un requisito fondamentale per uno sviluppo sano ed è il bisogno di autonomia, maggiore è l’autonomia, maggiore sarà lo sviluppo delle azioni delle relazioni e dell’attività spontanea.

Ad esempio: La migrazione comporta l’abbandono del luogo d’origine e l’allontanamento dalle persone conosciute come sistema di appartenenza primaria, che hanno accompagnato l’individuo dalla nascita alla migrazione. Tutto questo comporta il dover affrontare una serie di difficoltà proporzionali al livello di accoglienza del nuovo paese:

• difficoltà di integrazione nella nuova società;

• precarietà abitativa, lavorativa, nutrizionale;

• indeterminatezza giuridica.

Queste variabili non permettono ai bisogni alla base della piramide di Maslow di venir soddisfatti. E’ facile così assistere all’infrangersi dell’aspettativa di migliori condizioni di vita e all’abbassarsi della motivazione necessaria perché l’individuo possa mobilitare tutte le sue risorse interne per soddisfare le proprie ambizioni, i suoi progetti. L’individuo si concentra sulla mera sussistenza e perde lo stimolo ad investire sul sé; nel tempo questa situazione porta l’individuo ad indulgere in una situazione di povertà, anomia, asocialità, esclusione. I bambini cresceranno apprendendo questa realtà ed interpretandola come normale.

La famiglia rappresenta un punto di riferimento essenziale per la corretta inclusione scolastica dell’alunno in quanto è fonte di informazioni ed è il luogo in cui avviene la continuità fra educazione formale ed educazione informale.

Gli orientamenti normativi degli ultimi anni prevedono una sempre più ampia partecipazione delle famiglie al sistema di istruzione:

• L’art. 12 della L. 104/92 prevede il diritto alla partecipazione della famiglia alla formulazione del Profilo Dinamico Funzionale, del PEI e alle verifiche;

• Il D.P.R. 567/96 prevede l’istituzione del Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola istituito con il D.M. n. 14/2002;

• La L. 53/2003 che pone grande rilievo alla collaborazione scuola – famiglia;

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• Il D.P.R. 235/2007 istituisce il Patto educativo di corresponsabilità;

• Il Documento Ministeriale del 22 novembre 2012 Linee di indirizzo: Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa.

La collaborazione tra scuola e famiglia viene sottolineata nella Costituzione Italiana negli articoli 30, 33 e 34 in cui si assegna ai genitori il compito di istruire ed educare i propri figli.

Il DPR 416/1974 segna una tappa importante nella legislazione scolastica, istituisce gli Organi Collegiali con i quali si ha la partecipazione delle famiglie nella gestione della scuola.

Il Decreto Legislativo n. 297 del 1994, Testo Unico sulle disposizioni legislative in materia di istruzione, amplia maggiormente la presenza dei genitori all’interno della scuola, specificando che i genitori possono adottare un regolamento, riunirsi.

Il DPR 567/1996 Regolamento recante la disciplina delle iniziative complementari e delle attività integrative prevede l’istituzione del Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola istituito con il D.M. n. 14/2002. Il Forum nazionale delle associazioni dei genitori ha il fine di valorizzare la partecipazione e l’attività associativa dei genitori e di assicurare una sede di consultazione delle famiglie sulle problematiche studentesche e scolastiche.

Il DPR 235/2007 istituisce il Patto di corresponsabilità educativa. Il patto di corresponsabilità educativa è un documento sottoscritto dai genitori e dal dirigente scolastico è decreta una comune assunzione di responsabilità nel percorso educativo dell’alunno.

Il Documento Ministeriale del 22 novembre 2012 Linee di indirizzo: Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa rimarca l’importanza di creare un percorso comune di educazione tra scuola e famiglia e che l’educazione e l’istruzione debbano essere anzitutto un servizio alle famiglie.

Anche le nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo del 2012 decretano l’alleanza educativa tra scuola e famiglia.

Questa alleanza è sempre più necessaria in quanto vi sono sempre più alunni che hanno delle difficoltà non rientranti nelle certificazioni della L. 104/92 quindi alunni con speciali bisogni di inclusione.

È stata di recente emanata dal Ministero dell’istruzione la Direttiva del 27 dicembre 2012, seguita poi dalla Circolare n.8 del 6 marzo 2013, sugli “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Con tali indicazioni, oltre all’integrazione degli alunni con disabilità si decreta la necessità di elaborare per tutti gli alunni con Bes, un percorso individualizzato, che si realizza attraverso la redazione di un Piano didattico personalizzato (Pdp) redatto dagli insegnati con la funzione di documentare le famiglie sulle strategie di intervento.

Con la Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica sulla rendicontazione sociale nelle amministrazioni pubbliche del 17 febbraio 2006 è stato introdotto l’utilizzo del Bilancio Sociale anche in ambito scolastico.

Fra le azioni volte a realizzare una condivisa corresponsabilità educativa viene sottolineato il Bilancio Sociale come strumento in grado di consentire una maggiore rendicontazione verso i portatori di interesse ivi compresi i genitori, e viene sottolineata la pratica quotidiana di molte scuole nel creare fattivi momenti di collaborazione, cooperazione e piena partecipazione delle famiglie alla vita scolastica, in modo da creare una progettazione educativa partecipata.

Con la nota del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 3214 del 22.11.2012 sono state trasmesse le Linee di indirizzo “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa”, redatte sulla base dei suggerimenti e delle indicazioni del FONAGS (Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola).

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Il documento richiama l’attenzione sull’importanza di una partnership educativa tra scuola e

famiglia fondata sulla condivisione dei valori e su una fattiva collaborazione delle parti nel reciproco rispetto delle competenze. La collaborazione è riconosciuta come un punto di forza necessario per offrire agli alunni ottime opportunità di sviluppo. Si diffonde sempre di più il concetto che l’educazione e l’istruzione sono un servizio alle famiglie che non si può non prescindere da rapporti di fiducia e di continuità che vanno costruiti, riconosciuti, sostenuti e valorizzati.

La famiglia e il sistema educativo svolgono un compito fondamentale nella formazione dei giovani e hanno la responsabilità nella trasmissione di valori umani e morali.

Molte famiglie limitano il loro rapporto con i docenti agli incontri scuola-famiglia. La sola partecipazione dei genitori agli incontri non basta ma vi è la necessità di una compresenza educativa della famiglia e della scuola nel percorso formativo degli alunni per renderlo personalizzato e maggiormente efficace.

Nell’incontro tra scuola e famiglia dovrebbe instaurarsi un patto che consenta ad entrambi di conoscere i percorsi a scuola e a casa degli alunni in modo da poter costruire insieme il loro futuro.

Attualmente le famiglie attribuiscono alla scuola un mandato più complesso rispetto alla semplice richiesta di un’istruzione adeguata. I genitori esprimono soddisfazione nei rapporti con la scuola quando hanno la percezione di compiere insieme ai docenti un percorso condiviso, quando riescono a collaborare, ognuno sfruttando le proprie competenze, per giungere ad un obiettivo comune.

L’insegnante ha, anch’esso, delle attese nei confronti delle famiglie, come l’aspettativa di essere accettato per i suoi metodi di insegnamento, di esser il punto di riferimento costante per le famiglie e di poter gestire i rapporti in modo sereno e con un buon livello di accettazione e definizione degli obiettivi comuni.

Nei contesti in cui viene a mancare la collaborazione con le famiglie, gli insegnanti trovano maggiori difficoltà a superare i possibili disagi e se si vuole superarli si deve puntare sulla collaborazione di questi due sistemi.

Il partenariato tra scuola e famiglia deve esser visto come elemento facilitatore della buona riuscita della formazione educativa degli alunni, solo in tal modo si potranno raggiungere favorevoli livelli qualitativi dell’apprendimento cognitivo e dello sviluppo psico-affettivo degli alunni. Non si può parlare di un unico ed uguale rapporto tra scuola e famiglia, ma esistono diverse possibilità a seconda delle caratteristiche delle scuole, delle famiglie, dell’ambiente sociale e culturale in cui scuola e famiglia sono inserite. In tutte le scuole ci sono i rappresentanti dei genitori, partecipano ai consigli di istituto ma a fronte di casi felici in cui la scuola trova collaborazione con la famiglia vi è un lavorare insieme, ve ne sono altri in cui scuola e famiglia sono su fronti opposti, non comunicano o comunicano male e i rapporti sono improntati su una reciproca diffidenza, se non addirittura ad una guerra aperta: famiglie che ricorrono al TAR, al telefono azzurro in difesa dei propri figli cosa che un tempo non sarebbe mai accaduto in quanto, anche se il genitore pensava che il docente avesse sbagliato non voleva togliere credibilità alla scuola e autorevolezza agli insegnanti.

Dagli anni ‘60 le ricerche sull’insuccesso scolastico e le pedagogie di compensazione per il recupero degli alunni delle famiglie svantaggiate hanno dimostrato che se i genitori si disinteressano e non partecipano al programma di sviluppo dei loro figli, l’azione formativa della scuola diventa molto difficile, se non inutile.

Necessario pertanto che i genitori siamo partner attivi.

I tre passi per favorire l’alleanza tra scuola e famiglia sono:

Migliorare la comunicazione: trovare uno stile comunicativo che sia adeguato;

Vincere la diffidenza;

Favorire l’informazione e la formazione dei genitori: la scuola deve occuparsi non solo degli alunni ma anche di alcune famiglie.

Le famiglie accusano maggiormente gli insegnanti di non saper comprendere i loro figli, di dare troppi compiti, di non avere gli strumenti educativi idonei, dall’altra parte gli insegnanti accusano le famiglie di non seguire i propri figli, di preoccuparsi solo dei voti e non della loro formazione.

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