BASILICHE PALEOCRISTIANE CON INGRESSO A …...vato che l'edificio paleocristiano aveva uno sviluppo...

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- GUGLIELMO MA TTHIAE BASILICHE PALEOCRISTIANE CON INGRESSO A POLIFORA N E LL'AMBITO di un vasto piano di ricer- che scientifiche intorno alla architettura me- dioevale romana, predisposto dal Mini stero della Pubblica Istru zione, sono state eseguite per prima cosa alcune indagini su due antichissime costruzioni paleocristiane, S. Vitale e S. Pietro in Vincoli, con risultati meritevoli di qualche considerazione. I) Della prima chiesà il Viellard già tracciò un quadro delle varie fasi costruttive in rapporto alle notizie sto- riche tramandate dalle fonti, determinando quanto spetta al principio del secolo V, cioè alla età di fonda- zione del titolo, le alterazioni subite nella parziale rico- struzione di Leone III (795-814) e le poche aggiunte attribuibili al secolo XII. 2) La pianta pubblicata a suo tempo dal Viellard lasciava tuttavia adito a diversi dubbi, qua ndo da essa si fosse tentato di ricavare un altato; di qui la necessità di verificare con opportuni \ saggi il reale stato delle cose. 3) Si è potuto così constatare, come risulta dalla nuova pianta (fig. I), che i resti della costruzioné primitiva sono alquanto più estesi di quello che il Viellard non avesse supposto e tali da ridurre grandemente le incer- te zze in una ricostruzione grafica del suo stato primi- tivo; anche se i risultati raggiunti in tal senso non siano affatto trascurabili, l'esame di essi deve essere riman- dato ad altra occasione, perchè richiederebbe troppo lungo discorso. 4) È oppurtuno invece, per le deduzioni che se ne possono trarre, dare notizia dei risultati delle indagini compiute sulla facciata dell'edificio paleocri- stiano. Si ' è anzitutto constatato che il portico (fig . 2) anti- stante la navata centrale, con le sue cinque arcate e le qua ttro colonne dai capitelli di tipo composito, presenta le sezioni murarie estreme troncate verso l'esterno da un taglio, il cui andamento è normale al portico stesso. Verre bbe quasi spontanea l'ipotesi che il portico sia il resto dell'antico atrio esteso o,riginariamente in lar- ghezza quanto il complesso delle tre navate, secondo uno schema in quel periodo abbastanza comune. Non ostante la presenza di un sagrato, che in molti casi è l'ultima trasformazione dell'atrio medioevale, tale ipotesi deve essere senz'altro scartata. Risulta infatti dal complesso dei rinvenimenti archeologici della zona, accuratamente tracciati dal Lanciani su lla "Forma Urbis '" che il vicus Longus, dopo aver attraversato l' attuale via Nazionale quasi di fronte al palazzo dell'E- sposizione, passava davanti alla chiesa che gli risulta normale, in modo che le colonne del portico distavano dal margine della strada romana circa m. 5,50, spazio assolutamente insufficiente p er lo svi luppo di un atrio. 5) Esaminando del resto la serie delle piante romane del rinascimento si può constatare che la tessitura stradale antica era rimasta fin allora invariata e ciò esclude anche il caso in verità poco prob abile che la situazione docu- mentata dalla pianta del Lanciani avesse subìto modi- fica zioni al momento della costruzione della basilica. 6) Alcuni saggi eseguiti poi nella faccia esterna della parete ove è l'attuale ingresso alla chiesa, ridotta come è noto, alla sola navata centrale della costruzione paleo- cristiana, hanno ri ve lato la presenza in essa di un com- plesso di cinque vani arcuati sostenuti da colonne. Di questo complesso sono state ritrovate le due spalle in opera listata con file alterne di mattoni e tufelli (fig· 3), del tutto simile a quella ancora conservata all'inizio del fianco destro e già descritta dal Viellard; da esse, con un li eve arretramento di cm. 9 dal filo al punto di imposta, traggono nascimento le ghiere in laterizio con il primo elemento non inclinato che ricadono sul lato opposto su due colonne rinvenute nella muratura di riempimento (fig . 4)· Esse hanno basi attiche, fusti di marmo lisci e capitelli compositi con volute pure lisce e un doppio ordine di foglie d'acanto del tipo carnoso e senza ner- vature. Essi trovano riscontro in quelli del tutto ana- loghi del Colosseo, attribuiti dal Deichmann ad un restauro del tempo di Valentiniano III o in altri di varie case ostiensi, come quella dei Pesci, pubblicate dal Becatti. 7) I capitelli sono sormontati da un abaco assai sviluppato, quasi un pulvino, sul quale le ghiere dei mattoni si impostano con il primo elemento inclinato di 45° come nell'arcata conservata all'inizio del fianco destro e in quelle del portico. Delle tre arcate centrali esistono solo le ghiere che permettono di restituirne le dimensioni (fig . 5); le colonne invece sono scomparse a causa dell 'i nserzione del grande portale inscritto con il nome di Sisto IV e datato I475. 8 ) Le cinque arcate sono pressappoco uguali e misurano in larghezza da m . 2,05 a 2,22 e in altezza dal piano di base al som- mo dell'intradosso da m. 6,14 a m. 6,27; le due colonne conservate hanno il diametro di m. 0,55 e sono alte, com- presi la base ed il capitello con pulvino, m. 5,08. 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GUGLIELMO MA TTHIAE

BASILICHE PALEOCRISTIANE CON INGRESSO A POLIFORA

NELL'AMBITO di un vasto piano di ricer­che scientifiche intorno alla architettura me­dioevale romana, predisposto dal Ministero

della Pubblica Istruzione, sono state eseguite per prima cosa alcune indagini su due antichissime costruzioni paleocristiane, S. Vitale e S . Pietro in Vincoli, con risultati meritevoli di qualche considerazione. I)

Della prima chiesà il Viellard già tracciò un quadro delle varie fasi costruttive in rapporto alle notizie sto­riche tramandate dalle fonti, determinando quanto spetta al principio del secolo V, cioè alla età di fonda­zione del titolo, le alterazioni subite nella parziale rico­struzione di Leone III (795-814) e le poche aggiunte attribuibili al secolo XII. 2) La pianta pubblicata a suo tempo dal Viellard lasciava tuttavia adito a diversi dubbi, quando da essa si fosse tentato di ricavare un altato; di qui la necessità di verificare con opportuni

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saggi il reale stato delle cose. 3)

Si è potuto così constatare, come risulta dalla nuova pianta (fig. I), che i resti della costruzioné primitiva sono alquanto più estesi di quello che il Viellard non avesse supposto e tali da ridurre grandemente le incer­tezze in una ricostruzione grafica del suo stato primi­tivo ; anche se i risultati raggiunti in tal senso non siano affatto trascurabili, l'esame di essi deve essere riman­dato ad altra occasione, perchè richiederebbe troppo lungo discorso. 4) È oppurtuno invece, per le deduzioni che se ne possono trarre, dare notizia dei risultati delle indagini compiute sulla facciata dell'edificio paleocri­stiano.

Si ' è anzitutto constatato che il portico (fig . 2) anti­stante la navata centrale, con le sue cinque arcate e le quattro colonne dai capitelli di tipo composito, presenta le sezioni murarie estreme troncate verso l'esterno da un taglio, il cui andamento è normale al portico stesso. Verrebbe quasi spontanea l'ipotesi che il portico sia il resto dell'antico atrio esteso o,riginariamente in lar­ghezza quanto il complesso delle tre navate, secondo uno schema in quel periodo abbastanza comune. Non ostante la presenza di un sagrato, che in molti casi è l'ultima trasformazione dell'atrio medioevale, tale ipotesi deve essere senz'altro scartata. Risulta infatti dal complesso dei rinvenimenti archeologici della zona, accuratamente tracciati dal Lanciani sulla "Forma Urbis '" che il vicus Longus, dopo aver attraversato

l'attuale via Nazionale quasi di fronte al palazzo dell'E­sposizione, passava davanti alla chiesa che gli risulta normale, in modo che le colonne del portico distavano dal margine della strada romana circa m. 5,50, spazio assolutamente insufficiente per lo sviluppo di un atrio. 5)

Esaminando del resto la serie delle piante romane del rinascimento si può constatare che la tessitura stradale antica era rimasta fin allora invariata e ciò esclude anche il caso in verità poco probabile che la situazione docu­mentata dalla pianta del Lanciani avesse subìto modi­ficazioni al momento della costruzione della basilica. 6)

Alcuni saggi eseguiti poi nella faccia esterna della parete ove è l'attuale ingresso alla chiesa, ridotta come è noto, alla sola navata centrale della costruzione paleo­cristiana, hanno rivelato la presenza in essa di un com­plesso di cinque vani arcuati sostenuti da colonne. Di questo complesso sono state ritrovate le due spalle in opera listata con file alterne di mattoni e tufelli (fig· 3), del tutto simile a quella ancora conservata all'inizio del fianco destro e già descritta dal Viellard ; da esse, con un lieve arretramento di cm. 9 dal filo al punto di imposta, traggono nascimento le ghiere in laterizio con il primo elemento non inclinato che ricadono sul lato opposto su due colonne rinvenute nella muratura di riempimento (fig. 4)· Esse hanno basi attiche, fusti di marmo lisci e capitelli compositi con volute pure lisce e un doppio ordine di foglie d'acanto del tipo carnoso e senza ner­vature. Essi trovano riscontro in quelli del tutto ana­loghi del Colosseo, attribuiti dal Deichmann ad un restauro del tempo di Valentiniano III o in altri di varie case ostiensi , come quella dei Pesci, pubblicate dal Becatti. 7) I capitelli sono sormontati da un abaco assai sviluppato, quasi un pulvino, sul quale le ghiere dei mattoni si impostano con il primo elemento inclinato di 45° come nell'arcata conservata all'inizio del fianco destro e in quelle del portico. Delle tre arcate centrali esistono solo le ghiere che permettono di restituirne le dimensioni (fig . 5); le colonne invece sono scomparse a causa dell 'inserzione del grande portale inscritto con il nome di Sisto IV e datato I475. 8) Le cinque arcate sono pressappoco uguali e misurano in larghezza da m . 2,05 a 2,22 e in altezza dal piano di base al som­mo dell 'intradosso da m . 6,14 a m. 6,27; le due colonne conservate hanno il diametro di m. 0,55 e sono alte, com­presi la base ed il capitello con pulvino, m. 5,08. Questo

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FIG . I - ROMA, S. VITALE - P I ANTA DELLA CHIESA DEL SEC. V (dis. Leporini)

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FIG. 2 - ROMA, S, VITALE - PARETE DI INGRESSO ALLE NAVATE (A) E PORTICO (B) (dis. Leporini)

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FIG. 3 - ROMA, S. VITALE - PART. PARETE DI FONDO DEL PORTICO CON RESTO DI RIVESTIMENTO DEL SOTTARCO

E DECORAZIONE IN STUCCO SUL PULVINO

porticato aperto nel muro opposto all'abside (fig. 2) aveva la caratteristica di non collegarsi per quanto ri­guarda le proporzioni con le arcate del portico che, se hanno una larghezza media quasi identica, sono però meno sviluppate in altezza. 9) Risulta da ciò che la serie delle aperture per accedere alla navata fu costruita con l'intendimento preciso di ampliare per quanto POS­

sibile la visibilità dell'interno ed in special modo verso la fila dei finestroni che si aprivano sopra le arcate. Anche il ritmo dei colonnati che dividevano le navate era nell'insieme abbastanza distinto dal portico recen­temente scoperto, perchè le arcate risultavano più larghe e più basse (fig . 6).10) La voluta differenziazione si nota anche nei capitelli che, pur appartenendo tutti ad un medesimo genere di lavorazione, sono corinzi nelle navate, compositi con un solo ordine di foglie nel por­tico e con doppio ordine nelle arcate rinvenute nella . attuale parete d'ingresso alla chiesa.

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Altra particolarità notevole è la differenza di livello riscontrata fra le colonne del portico e quelle dei cin­que vani scoperti che si trovano ad una quota più alta di circa m. 0,28; l'accesso alle navate avveniva quindi mediante due gradini che da taluni indizi si ha motivo di credere che si trovassero in corrispondenza di tutti gli intercolunni (fig· 7).

Altri piccoli rinvenimenti giovano a migliorare le nostre conoscenze circa il sistema decorativo delle ba­siliche paleocristiane. Nella prima arcata di sinistra l'arretramento dell'imposta rispetto al filo del pilastro conserva un rivestimento con un grosso strato di malta sul quale sono ancora applicate lastrine di marmo che formavano la decorazione del sottarco, annullando l'ar­retramento stesso. In basso si è scoperta ancora sul luogo la base in pietra di una parasta che faceva parte del sistema decorativo del sottarco (fig. 8). Il pulvino sui capitelli delle navate consta di un grosso dado di marmo che reca tracce di una rifinitura in stucco ro­mano decorata; in una delle colonne testè scoperte si conserva in buono stato un tratto del rivestimento in stucco del pulvino con ornati di palmette.

Non è facile precisare il tempo in cui le cinque arcate d'accesso alla navata centrale siano state chiuse. Il riempimento dei tre vani mediani è di pietrame informe e può appartenere a tutti i tempi; la cosa si spiega perchè al momento di inserire il grande portale quattro­centesco fu fatta forse una grande breccia, asportando anche le due colonne che furono riadoperate più tardi con i loro capitelli nelle edicole degli altari. Nelle arcate estreme invece la mura tura di tamponamento è in late­rizio ed assomiglia a quella dei pilastri e delle arcate che nel corso del secolo XII determinarono una specie di transetto nell'organismo basilicale. Stando a questa costatazione la chiusura delle cinque arcate sarebbe tardomedioevale, il che equivarrebbe a dire che il rifa­cimento del tempo di papa Leone III non avrebbe inteso alcun bisogno di interrompere con un setto murario pieno l'unità spaziale esistente fra le navate ed il por­tico antistante.

Si tratta tuttavia di una affermazione che per conte­nere una determinazione di gusto appare troppo ri­schiosa in confronto alla tenuità degli elementi sui quali si fonda. ll)

Le indagini condotte sulla zona alta della parete opposta all'abside non hanno avuto un esito altrettanto felice. Verso lo spigolo destro la mura tura originaria in opera listata permette di rintracciare la spalla e la soglia di una finestra, ma l'imposta dell'arcata doveva trovarsi al di sopra della linea attuale della copertura, per cui non è possibile determinarne l'altezza (fig. 2). Della spalla opposta esiste appena l'inizio, per cui l'ampiezza del vano può essere fissata in m. 1,80 e considerando lo spazio esistente si può presumere che le aperture fossero cinque e divise fra loro non da colonne ma da

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--pilastri sull'esempio di S. Sabina. Risulta altresì pro­vato che l'edificio paleocristiano aveva uno sviluppo in altezza assai maggiore di quello attuale. 12)

Una situazione analoga si è potuta riscontrare anche nel muro di facciata della chiesa di S. Pietro in Vincoli, costruzione che non ostante le molte trasformazioni conserva quasi inalterato il suo impianto della prima metà del secolo V. ' 3) Occorre avvertire subito che i ritrovamenti sono meno cospicui, ma sempre tali da permettere una ricostruzione grafica dello stato origi­nario della parete.

A poca distanza dal pilastro dal quale hanno mmo le arcate divisorie verso sinistra si è potuto rilevare che si interrompe la struttura a mattoncini che forma gran parte dei muri di perimetro, e se­guendo nell'interno tale traccia si è trovata a notevole altezza la ghiera di un arco pure con mattoni radiali (fig. 9)' Calcolata la posizione del pie­dritto il tasto è stato ripetuto all'ester­no e si è potuto constatare che il fusto della colonna è stato asportato, ma fortunatamente è stata lasciata sul posto la base attica alta complessiva­mente m. 0Ao. Il rinvenimento di un'altra base identica nel tratto di muro a destra del portale e la perfet­ta rispondenza con i peducci delle ghiere ritrovate all'interno valgono ad escludere che si tratti di materiale riadoperato (fig. IO).

delle navate sono larghe in media m. 2,22 ed alte m . 8,08, con colonne intermedie che hanno il diametro di circa un metro, si deve concludere che il porticato testè individuato fu concepito come a sè stante, di­stinto per proporzioni dai colonnati delle navate in modo da consentire per l'altezza dei vani e la sot­tigliezza dei sostegni la massima visibilità dell'in­terno (fig . II).

Anche per S. Pietro in Vincoli è incerto quando le cinque arcate siano state chiuse; la presenza di pie­dritti nei vani estremi lascerebbe intravedere un tam­ponamento con tre porte successivamente ridotte ad una sola ; tuttavia le molte alterazioni non consentono di fare ipotesi su quando ciò possa essere avvenuto. 14 )

Per quanto riguarda le proporzioni dei vani si deve notare che quelli estremi sono larghi soltanto m. 2,08, mentre quelli centrali se erano uguali avrebbero raggiunto i m. 2,44; l'al­tezza al colmo dell'intradosso pari a m . 8,525 era certamente costante per i quattro vani laterali, per cui teoricamente si dovrebbe supporre o una deformazione nel sesto semicir­colare dell'arcata mediana od una ripartizione irregolare della loro am­piezza complessiva in modo che il vano di centro predominasse sugli altri. Le colonne poi avrebbero avuto l'altezza complessiva di m. 7A8 com­presa la base ed il capitello ed un fu­sto dal diametro veramente esiguo di m. 0,68. Qualche ulteriore chiari­mento in proposito si potrà ricavare da un possibile ampliamento dei sag­gi secondo l'indirizzo che si riterrà di dare ai lavori di restauro da poco iniziati. Poichè le arcate divisorie FIG. 4 - ROMA, S. VITALE - PORTICO CON I SAGGI SULLA PARETE DI FONDO

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FIG. 5 - ROMA, S. VITALE - PARETE DI FONDO DEL PORTICO CON LE COLONNE

E GLI ARCHI DELL'ANTICO INGRESSO

proprio la presenza di quest'ultimo elemento esclude che si tratti di un semplice nartece, mentre le arcate si profilano con la loro ghiera su una parete muraria sottilmente segnata nei suoi particolari. 16) Significativo riesce per il nostro scopo il recente commento che di questa rappresen­tazione ha fatto il Cecchelli, il quale riconoscendo giustamente che l'edifi­cio è da identificare con la basilica vaticana e che quelle arcate a causa delle lampade dovrebbero dare ac­cesso ad una navata, resta poi per­plesso, perchè, stando a quanto è noto, le arcate dovrebbero corrispon­dere a quelle del quadriportico re­stando inspiegabili le lampade. 17) Se per altri aspetti si è riscontrata la fe­deltà dell'intagliatore nel riprodurre la sistemazione originaria dell'altare maggiore o l'aspetto primitivo del cantharus anteriormente al restauro di papa Simmaco, sarebbe del tutto conseguenziale non attribuirgli in questa lastra alcuna licenza o libertà inventiva, ma affermare francamente che anche in tal caso egli documenta uno stato di fatto della basilica vati­

Certamente gli edifici chiesastici che hanno nella parete di fondo del nartece arcate in luogo delle co­muni porte di accesso alle navate non sono in Roma una novità. Al cosiddetto endonartece della chiesa infe­riore di S. Clemente, conosciuto da tempo e nel quale i vani furono chiusi anteriormente alla esecuzione del­l'affresco di papa Leone IV, il Prandi ha potuto aggiun­gere con fortunate ed acute ricerche i due esempi dei SS. Giovanni e Paolo E; di S. Maria Maggiore. 15) Gli altri due testè rintracciati di S. Vitale e di S. Pietro in Vincoli inducono a ritenere che il motivo non sia stato per nulla occasionale o determinato da circostanze con­tingenti di un particolare edificio, ma che abbia avuto al contrario una diffusione finora impreveduta.

Si giustifica così una indagine su più vasta scala che può prender!! le sue mosse dalle origini dell'architet­tura basilicale e cioè dal periodo costantiniano. Se, come sembra ormai provato, la cassetta eburnea di Sa­maghèr, ora al museo di Pola, riproduce nei suoi sfondi architettonici vedute della basilica vaticana, uno dei lati di essa conserva una documentazione assai importante per queste chiese senza porte. È il lato nel quale (fig. 12)

è rappresentata la solita coppia con un ragazzo e quattro assistenti in atto di entrare in una basilica attraverso arcate con cancelli, tendaggi e lampade di varia forma;

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cana che dopo i recenti ritrova menti in altre sacre co­struzioni non appare per nulla eccezionale. Se ciò è esatto, anche l'antico S. Pietro in Vaticano potè avere in origine arcate che traforavano la parete fra il nartece e la navata mediana e vien fatto di pensare che ad essa o for­s'anche alla più antica basilica lateranense possa risalire la prima apparizione del motivo. Anche altri temi archi­tettonici, come la cripta semianulare, il protiro, il cam­panile ebbero nella basilica vaticana il loro primo esem­pio romano poi largamente diffuso in altre costruzioni; per ragioni di analogia lo stesso può essere accaduto an­che per la parete traforata da arcate che dà accesso alla navata, e la cassetta reliquiario di Pola, se la lettura iconografica di essa è esatta, costituirebbe di questo im­portante dato la migliore documentazione. Una riprova o meno dell 'esattezza di questa ipotesi potrà essere offerta dalle indagini future, le quali, non ostante le difficoltà nelle quali in genere tale tipo di lavori deve svolgersi, dovrebbero rivelare una diffusione del motivo oltremodo vasta per numero e qualità di esempi. 18)

Uno di natura alquanto particolare ne è stato of­ferto dai recenti lavori di restauro nel soffitto ligneo seicentesco della basilica di S. Sebastiano sulla via Ap­pia. È noto a quale fioritura di ipotesi abbiano dato ori ­gine le poche ed incerte notiz1e storiche tramandate dalle fonti ed i cospicui ritrovamenti archeologici assai

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FIG. 6 - ROMA, S. VITALE - SEZIONE LONGITUDINALE DELLA CHIESA (dis. Leporini)

variamente interpretati. 19) Non è questa la sede per una approfondita discussione critica tendente a pro­vare se la basilica abbia, come pur sembra probabile, un carattere unitario o se il muro perimetrale con arcosoli sia più antico dell 'altro più interno ad arcate o se l'e­dificio abbia avuto o no in un periodo della sua vita il carattere di basilica discoperta. Prendendo le mosse da un momento che non può essere più tardo della se­conda metà del secolo IV, nel quale la costruzione rag­giunse il suo assetto definitivo, si può supporre che il muro perimetrale nel lato opposto all'abside si presen­tasse come una vasta superficie piena interrotta appena da una porta oppure che in essa si aprisse un por ticato, diretto antecedente di quello medioevale noto attra­verso le stampe anteriori alla trasformazione del primo Seicento. 20) Nel primo caso una parete di circa m. 30 di lunghezza, alta non meno di m . 7 e traforata appena da una o tre porte sembra troppo contrastante con il gusto del tempo ed addirittura contraria allargo pre­dominio dei vuoti ottenuti con le tre finestre nella parte alta della facciata stessa. È quindi assai logico presumere che la facciata fosse traforata da arcate attraverso le quali doveva essere visibile l'interno della navata cen­trale. Infatti i saggi eseguiti in quella che è ora la parete di fondo del portico e che fa parte del recinto interno della chiesa (fig. 13) hanno provato che in essa si apri­vano due arcate larghe ciascuna m. 3 ed alte al sommo dell 'intradosso m . 7,20; il pilastro intermedio aveva la larghezza di circa m. 4. La perfetta identità delle strut­ture in opera listata rinvenute nei piedritti degli archi con il resto del recinto interno della basilica permette di stabilire che, al momento nel quale la chiesa assunse il suo aspetto definitivo, il giro delle arcate si sviluppava quindi anche sul lato verso la facciata così da rendere visibile l'interno attraverso i vani che necessariamente dovevano alleggerire il muro di prospetto. Se consi­derando la pianta della basilica con il raccordo delle navatelle verso la facciata non fa meraviglia trovare sul muro interno arcate come quelle che dividevano

longitudinalmente l'interno, il fatto veramente singo­lare è che esse non si accordavano con le altre dei lati lunghi per quanto riguarda le dimensioni, ma le supe­ravano notevolmente in altezza. 2 1) La loro presenza quindi in un edificio basilicale che pur presenta caratteri­stiche proprie, distinte da quelle delle comuni aule litur­giche, rientra nella disposizione riscontrata in costru­zioni di data posteriore ; si ha ragione di presumere che essa fosse già nel vecchio S. Pietro e che fosse dettata dalla intenzione comune di consentire la visibilità della navata dall'esterno attraverso un vano intermedio od esonartece assimilato in questo caso particolare al brac­cio trasversale delle navatelle. Anche a S. Sebastiano tale disposizione fu successivamente modificata annul­lando il rapporto spaziale fra interno ed esterno; le due arcate furono infatti chiuse e sostituite con una sola cen­trale larga m. 4,80 ed alta m. 7,60; essa è stata calcolata in base alla sua ghiera di laterizio r imasta integra inter­rompendo in parte quelle delle due arcate più antiche (fig. 15)· A differenza del rimpicciolimento delle finestre sul prospetto che potrebbe essere anche tardomedioe­vale (fig . 14), l'apertura dell 'unica arcata centrale sem­bra molto antica e potrebbe appartenere ad un periodo nel quale si sia voluto assimilare la disposizione parti­colare di questa basilica cimiteriale con le comuni sale liturgiche e dare al braccio trasversale di collegamento delle navatelle il carattere di un vero esonartece. 22)

Anche S. Pudenziana nel momento in cui l'aula ter­male fu trasformata in basilica e prolungata ebbe la parete di facciata traforata da arcate in numero di tre e sostenute da pilastri anzichè da colonne; i lavori ese­guiti alla fine del secolo XII prima, poi nel tardo Cin­quecento al tempo del card. Caetani ed infine per cura di Luciano Bonaparte rendono alquanto difficoltosa la lettura delle murature modificate da rifacimenti resisi necessari per i fenomeni ancO! oggi visibili di schiaccia­mento . 23) Anche se alterati o parzialmente rifatti sono tuttora ben visibili nella parete d 'ingresso (fig. 16) tre arcate, delle quali la mediana più ampia misura m . 6,80

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Le indagini finora eseguite con­sentono di fissare alcuni dati certi intorno al singolare motivo architet­tonico di un complesso di arcate destinate invece delle comuni porte a mettere in comunicazione il nartece e la navata di una basilica. Esso sem­bra risalire già ad età costantiniana per spingersi poi fin verso la metà del secolo V; ebbe da principio una certa varietà formale, oscillando fra tre e cinque arcate - eccezional­mente due -, sostenute da pilastri o colonne, ma in processo di tempo pare che tendesse a cristallizzarsi in una formula precisa. La sua presenza in una basilica non è condizionata all'esistenza o meno di un atrio, per­chè si trova tanto in edifici che ne erano sicuramente forniti (S. Pietro, S. Clemente, S. Pudenziana), come in altri che ebbero il solo nartece (S. Vitale, S. Pietro in Vincoli); in quest'ultimo caso sembra di poter affermare che la fronte del portico era situata un poco in ritiro rispetto al filo stradale. 25)

L'apparizione di un motivo cosÌ singolare in un periodo assai precoce dell'architettura paleocristiana po­trebbe sollevare il problema se la comunicazione per mezzo di arcate fra il nartece e la navata rimase una variante locale romana o se si estese anche ad altre regioni; la risposta, che è sicuramente negativa per talune province della "koinè" architetto­nica paleocristiana meglio indagate FIG. 7 - ROMA, s. VITALE - ACCESSO ALLE NAVATE ATTRAVERSO IL DOPPIO PORTICO

(r~costruzione grafica Leporini) in tempi recenti, come la Siria, la

Palestina, l'Egitto, ecc., richiederebbe un nuovo esame di molti monumenti con saggi adeguati al quesito. Si avrebbe tuttavia motivo di propendere per una varietà locale romana, pur con possibili estensioni di portata per ora imprecisabile, e ciò perchè i confronti con altre regioni mancano. Giustamente infatti il Prandi ri ­tiene improponibile quello con tal une chiese della Grecia, nelle quali il "tribelon" o complesso di tre arcate pone in comunicazione le navate ed il nartece, separato però dall'atrio o dall'esterno da un muro con vere porte; qualche riserva lo stesso autore ritiene di poter fare per la basilica di S. Demetrio a Salonicco. 26)

Il confronto con le chiese greche è però insostenibile per altri e più forti motivi e cioè perchè in tutte quelle costruzioni, fatta nel caso eccezione per la sola basilica di Sicione, il vano antistante alla navata è un vero

di altezza e 2,70 di larghezza, mentre le due laterali rag­giungono appena le misure corrispondenti di m. 4.30 e 1,80. Anche in questo caso un preciso differenziamento dalle arcate divisorie delle navate era ottenuto dalla diversità dei sostegni e delle misure oltre che dalla accentuazione del vano centrale assai ampio e tale da consentire una buona visibilità dell.:interno dall 'atrio o dal quadriportico, del quale sembra di individuare le tracce anche nelle piante icnografiche di Roma ante­riori al rifacimento del Caetani . 24)

In attesa che altri saggi provino la vasta diffusione del motivo ad arcate fra il nartece e la navata centrale, dai pochi esempi citati si desume con evidenza che senza venir meno al suo fine esso potè assumere una non lieve varietà formale ed adattarsi con facilità alle esigenze di singoli edifici.

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endonartece che sostiene il braccio trasverso dei ma­tronei, come avviene a Roma nelle chiese di S. Lorenzo fuori le mura e S. Agnese. 27) Quello spazio fa quindi già parte effettiva dell'interno della basilica e tanto in pianta come in elevato non è distinto dalle navate late­rali, il che non si verifica mai negli edifici romani presi in esame. Non a caso si è infatti sempre insistito a rile­vare la differenza di proporzione costantemente esi­stente negli edifici romani fra le arcate che immettono nelle navate dal nartece e quelle che dividono i tre spazi longitudinali della basilica, differenza di proporzioni e di misure che non esiste mai in Grecia e che in Roma tende proprio a distaccare il motivo dall'architettura dell'interno e a stabilirlo come preciso inizio dell'entità spaziale delle navate. Anche il S. Demetrio di Salo­nicco non costituisce un punto di contatto fra le forme romane e quelle greche, ma rientra perfettamente nel­l'ambito di quest'ultime con la sola variante di una trifora inserita fra endonartece ed atrio senza che ciò implichi un legame spaziale fra essi. 28) Semmai la basilica di Sicione, l'unica costruzione greca fornita di tribelon nella quale non è stata provata l'esi­stenza dei matronei, potrebbe offrire qualche ana­logia con le chiese romane, se il suo nartece fosse stato effettivamente indipendente sotto l'aspetto spa­ziale dalle navate, il che però sembra poco proba­bile, perchè la perfetta somiglianza della pianta con altre costruzioni della Grecia offre motivo a credere che il vero limite dell'interno sia il muro che divide l'endonartece dall'atrio. 29) Del re­sto in questo caso come nel S. De­metrio di Salonicco manca quel va­sto legamento spaziale fra nartece ed atrio o spazio di natura che è altra caratteristica essenziale della dispo­sizione romana.

sacra", il cui carattere sarebbe conservato a basiliche come quella dei Ss. Giovanni e Paolo proprio dal nuovo rapporto fra interno ed esterno, stabilito attraverso il motivo delle arcate aperte al fondo del nartece. 31) Se però il motivo stesso, invece di essere peculiare di un determinato edificio, per particolari ragioni cultuali si deve estendere ormai ad un numero abbastanza vasto di costruzioni, il concetto di area sacra rischia di esten­dersi fino ad identificarsi con quello stesso di basilica, perdendo naturalmente ogni suo carattere peculiare e quindi molta della sua validità.

Spiegare la presenza del motivo ad arcate fra il nar­tece e la navata considerando come aree sacre S. Pie­tro in Vaticano, S. Pudenziana o ancor peggio S. Vi­tale, appare ormai del tutto impossibile. 32) D'altra parte la proposta trasformazione dell'atrio della casa in sala ipetra e poi nell'area coperta delle navate non è argomento che si presenti con caratteri di palmare necessità rispetto ad altre ipotesi sull'origine della basi­lica. 33) La riprova anzi è fornita proprio dal rap­porto fra tablino ed atrio determinatosi negli edifici ostiensi.

Qualora fosse il complesso atrio-tablino a trasfor­marsi in basilica conservando la giunzione spaziale del motivo ad arcate sottolineato anche da una differenza dei livelli, l'atrio non muterebbe il suo carattere di area scoperta e nel caso il tablino sarebbe quello dal quale si dovrebbero sviluppare le navate, il che risulta chiaramente impossibile per motivi formali.

Indagando intorno ad un più ampio problema e cioè intorno al trapasso formale e funzionale dalla casa alla ba­silica paleocristiana attraverso la dif­ferenziazione dell'atrio in una sala ipetra, il Prandi menziona un gruppo di edifici classici, fra i quali diverse case ostiensi nelle quali, a partire dal secolo II, si viene determinando una più stretta connessione spaziale fra atrio e tablino mediante vani d'acces­so a quest'ultimo con colonne ed arcate, e talora con alterazioni morfo­logiche del porticato interposto. 30) In­tento a tracciare il duplice aspetto di una preistoria della basilica paleocri­stiana, lo stesso autore sorvola sull'a­nalogia formale e si serve di quei dati per determinare il concetto di " area

FIG . 8 - ROMA, S. VITALE - PARTICOLARE ARCATA SINISTRA DELL'ANTICO INGRESSO CON BASE E SOGLIA ANTICA

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FIG. 9 - ROMA, S. PIETRO IN VINCOLI - PARETE DI FACCIATA CON SAGGI DALL' INTERNO

A prescindere da complicati problemi generali che solo una diversa impostazione potrebbe aiutare a risol­vere, il motivo ad arcate riscontrato in varie basiliche romane, oltre ad essere un tema formale che stabilisce un intimo rapporto fra due spazi distinti, è anche una singolare manifestazione di gusto generalmente diffusa nel corso del secolo IV; il gruppo piuttosto considere­vole delle case ostiensi del tardo Impero (del tempio rotondo, del ninfeo, delle colonne, dei pesci, della For­tuna annonaria, sul decumano, ecc.) con la triplice arcata aperta all'ingresso della sala di rappresentanza al termine dell'asse longitudinale del cortile e la diffe­renza di livello variamente risolta, ma sempre collegata al punto di giunzione con il porticato antistante, do­cumenta una perfetta analogia di forme e di intenti con la disposizione simile delle basiliche contempo­ranee. 34) L'intento di lasciare visibile a distanza l'in­terno di un ambiente di rappresentanza senza lo sbar­ramento di una porta si prolunga nel tempo e si ritrova infatti nell'aula del palazzo di Stobi e poi in vari am­bienti del palazzo imperiale di Costantinopoli, quali il " Trichoncon ", 1''' Augusteum " o nell'ambiente a nicchie dietro i Licnoi con la caratteristica costante di

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essere preceduti da un vestibolo che prospetta su un ampio spazio scoperto. 35) Da un gruppo di edifici ostiensi indicato dal Prandi e già pubblicato dal Calza risulta che tale orientamento del gusto era entrato nel­l'edilizia romana fin dal secolo II. 36) Si ha tuttavia motivo per credere che fosse assai più antico e che na­scesse come una caratteristica delle grandi costruzioni di rappresentanza. Senza moltiplicare inutilmente gli esempi si può andare dalla fase definitiva della basilica di Pompei alle sale sulla fronte della Domus Flavia sul Palatino fino al lato corto della basilica di Massen­zio, dove i pilastri presuppongono per l'accesso alla navata arcate simili a quelle sulla fronte del porti ­chetto antistante. 37) In tutti questi casi la visione del­l'ambiente di rappresentanza ~i schiude attraverso vani senza porte legandosi all'esterno con un elemento intermedio coperto da un tetto, il quale, proiettando la sua ombra sulla parete di fondo, consente lo stacco intenso dei vani aperti sull'ambiente altamente illu­minato. Cancelli o cortinaggi come nella cassetta eburnea di Pola o nei mosaici teodoriciani del S. Apol­linare nuovo a Ravenna potevano sostituire le por­te, sottraendo alla vista determinati momenti della liturgia profana o sacra, oppure avvertendo che il Basileus non era nell'aula, considerata come sua sede ufficiale.

Se è vero che il motivo delle arcate sostituì le porte negli edifici di culto fino dall'età costantiniana, il suo passaggio nella basilica paleocristiana in un periodo critico per la sua formazione sarebbe altro motivo di affinità con la basilica civile o palatina, attestando anche nelle forme architettoniche quel generale impron­tarsi della Chiesa trionfante alla iconografia come al cerimoniale imperiale. Attraverso un motivo architet­tonico che consentiva l'epifania del sovrano circondato da tutti quegli elementi che la simbologia aveva con una lunga tradizione di origine orientale accumulato su architetture ed insegne, si schiudeva anche agli occhi del fedele la chiesa, quale sala del trono del So­vrano celeste; immagine vivente di esso era il vescovo intronizzato nell'abside e la sua liturgia si svolgeva sotto il simbolico tegurio che sottolineava l'altare. 38) Al di qua di ogni cristallizzazione liturgica il contatto fra la Divinità e l'uomo, ansiosamente cercato durante il secolo III attraverso le religioni misteriche ed il teismo solare, si raggiungeva nei nuovi edifici di culto con piena aderenza fra i presupposti ideali ed i modi di espressione.

I) Desidero ricordare e ringraziare il prof. Filippo Bisognani e il prof. Luigi Leporini della Soprintendenza ai Monumenti che sono stati validi collaboratori nelle indagini e che hanno tradotto graficamente quanto è stato scoperto; il primo ha eseguito i di­segni relativi a S. Sebastiano; al secondo, particolarmente acuto ed instancabile ricercatore, spettano quelli di S. Vitale, S. Pie­tro in Vincoli e S. Pudenziana.

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FIG. IO - ROMA, S. PIETRO IN VINCOLI - PARETE DI FONDO DEL PORTICO CON LE DUE BASI DI COLONNA ED ALTRI SAGGI

2) R. VIELLARD, Le dernier en date des titres romains, in Riv. di Archeologia cristiana, 1935, p. 103 ss.

3) La pianta Viellard documenta lo stato attuale della chiesa, ma non consente per insufficienza di indagini di ripristinare i colon­nati antichi privi di pilastri intermedi nel loro preciso interasse.

4) Si può brevemente accennare al rinvenimento di larghi tratti del secolo V nelle strutture perimetrali verso l'attuale sacre­stia o in corrispondenza della cappella semicircolare ricavata nella navate Ila destra, ed anche il rinvenimento di una colonna nel primo pilastro del secolo IX a partire dall'abside sul lato destro, elemento prezioso per calcolare l'interasse del colonnato; la nuova pianta ricostruttiva (fig. I) presenta poi il vantaggio su quella Viellard di tenere distinto ciò che è visibile e conser­vato da ciò che è ipotetico.

5) R. LANCIANI, Forma Urbis Romae. 6) Il tracciato di una via che seguendo pressappoco l'anda­

mento del vicus Longus passava davanti alla chiesa si scorge distintamente nella pianta Bufalini (1551), in quella di M . Car­taro (1575), ecc.

7) F . W. DEICHMANN e A. TSCHlRA, Die fruhchristlichen Ba­sen und Kapitelle von S . Paolo fuori le mura, in Rom. Mitt., 1939, p. 99 e ss.; G . BECATTI, Case ostiensi del tardo Impero, in B ol/. d'arte, 1948, pp. 102 ss.; 197 ss.

8) Per i lavori del tempo di Sisto IV nella chiesa di S. Vitale cfr. P . TOMEI, L'architettura a Roma nel Quattrocento, Roma 1942, pp. 171 - 2.

9) Le colonne del portico sono alte, compresi la base e il capi­tello, m. 4,29 ed hanno il diametro di m. 0,43; le arcate sono larghe m. 2,24 ed alte al colmo dell 'intradosso m. 5,51.

IO) Le colonne divisorie delle navate compresi la base ed il capitello sono alte m . 4,51 ed hanno un diametro di m . 0,47; le arcate sono ampie m . 2,42 ed alte al colmo dell'intradosso m. 5,80.

II) Sembrerebbe appartenere invece al rifacimento del prin­cipio del secolo IX l'arcone ancora esistente nel portico che lo taglia in corrispondenza della fila di colonnati di sinistra.

12) Un'altra particolarità interessante è stata messa in luce dopo la compilazione dei disegni e non è stata trascritta grafica­mente per insufficienza di dati. Al disopra delle arcate che danno accesso alla navata si sono rinvenuti fori distanti fra loro m . 0,38 e destinati ad accogliere travetti in legno della sezione di m. 0,18 per 0,24; la parte superiore di tali fori è costituita da un piano ligneo ricorrente per tutta la lunghezza del prospetto ed inserito nella mura tura, avente lo spessore di cm. 2,5. Esso permette di ricostruire il soffitto in piano del nartece; ma la cosa più singolare è che almeno finora non sono stati rinvenuti i fori ad andamento inclinato per l'arma­tura lignea del tetto; alcuni molto distanziati hanno andamento rettilineo ma sono troppo profondi per essere stati solo un mezzo di ancoraggio del ponteggio. Si prospetta fra le varie soluzioni possibili anche quella che in luogo di un tetto vi potesse essere una terrazza. Ciò potrà essere stabilito solo stonacando l'intero prospetto. Inoltre al centro del portico l'inizio di due arcate una delle quali impostata dal pulvino appositamente in­grandito lascerebbe prevedere l'esistenza di un protiro, fatto singolare per il secolo V.

13) Le notizie storiche intorno alla chiesa di S. Pietro in Vincoli si trovano raccolte in ARMELLINI-CECCHELLI, Le chiese di Roma, Roma 1942, pp. 260 e 1416; in complesso manca ancora una analisi delle sue strutture pur essendo generalmente rico­nosciu to che la maggior parte dei muri di perimetro e della navata centrale spetti alla cos truzione collegata con il racconto dell 'invio delle catene da parte di Eudossia e quindi al secondo quarto del secolo V.

14) Le indagini condotte nella parte alta della parete in corri­spondenza del piano aggiunto sopra il portico roveriano sono rimaste senza risultato a causa delle gravi alterazioni subìte dalle strutture in quella aggiunta cinquecentesca. Forse saggi condotti dalla parte interna potranno rivelare l'aspetto originario della fac­ciata. Intanto è possibile affermare, a causa dei rinvenimenti archeologici a breve distanza dalla scalinata esterna, che la chiesa non ebbe in origine un atrio. I resti di una strada rinvenuti a

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FIG. I I - ROMA, S. PIETRO IN VINCOLI - PIANTA E SEZIONE DELLA PARETE DI INGRESSO (dis. Leporini)

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poca distanza dal portico attuale sembre­rebbero attestare che il nartece originario era alquanto in ritiro rispetto al filo stradale come a S . Vitale. L a differenza di livello fra nartece e interno sembra di poco meno d 'una cinquantina di centimetri, quindi di tre gradini.

15) Per l'esempio di S. Clemente, cfr. R. KRAUTHEIMER, Corpus basilica rum romana­rum, Città del Vaticano 1937, p. 127 s. Del saggio da lui stesso praticato in S. Maria Maggiore ha data una relazione A. PRANDI, Notizia su una recente scoperta in S . lv1aria Maggiore, in Atti del I Congresso Naz. d'Ar­cheologia cristiana, Roma 1952, p. 235 ss.; personalmente ritengo che o i vani fossero tre o avessero ampiezza diversa. Per l'esem­plare dei Ss. Giovanni e Paolo ancora A. PRANDI, Il complesso monumentale della basilica celimontana dei Ss. Giovanni e Paolo, Tip. Poliglotta Vaticana 1953, passim.

16) Per la cassetta eburnea di Pola e la relativa bibliografia con le differenti inter­pretazioni delle scene in essa rappresentate cfr. W. F . VOLBACH, Elfenbeinarbeiten des Spiitantike und des friihen Mittelalters, Mainz 1952, p. 62, n. 120.

17) C. CECCHELLI, Vita di Roma nel medioevo, Roma 1951, p. 204 ss. e spe­cialmente l'osservazione finale a p. 210.

FIG. 12 - POLA, MUSEO DELL'ISTRIA - COFANETTO D'AVORIO PARTICOLARE LATO SINISTRO

18) Deve considerarsi ormai del tutto im-possibile rintracciare nella basilica di S. Giovanni in Laterano la parete costantiniana chiusa fra i due rivestimenti del Borromini all'interno e del Galilei all'esterno. Un altro saggio tentato nella chiesa di S. Agata dei Goti dall' esterno è rimasto infruttuoso a causa delle alterazioni settecentesche del Ferrari; quello interno che potrebbe dare risultati positivi richiederebbe una larga demo­lizione nel sistema ornamentale seicentesco con una spesa note­vole per il ripristino.

19) La bibliografia sulla chiesa di S. Sebastiano è oltremodo copiosa ma basterà citare P. STYGER, Il Monumento apostolico dell'Appia, in Dissert. della Pont. Accademia di Arch., 1918, p. 3 ss.; A. von GERKAN, Die christlichen Anlagen unter San Seba­stian, appendice all'opera di H . LIETZMANN, Petrus und Paulus in Rom, Bonn 1927; P. STYGER, R6mische Miirtyrergriifte, Berlin 1935; A. PRANDI, La Memoria Apostolorum in Catacumbas, Città del Vaticano 1936; ID., Ipotesi e studi sulla Memoria Apostolorum in Catacumbas in " Rima", sett.-dic. 1943; F. TOLOTTI, Me­morie degli Apostoli in Catacumbas, Città del Vaticano 1953; F . W. DEICHMANN, Friihcristliche Kirchen in Rom, Basel 1948, p. 22 ss. La distinzione di due fasi costruttive, delle quali l'ultima da riferire al tempo di papa Damaso, ha avuto scarso seguito di consensi.

20) Si veda la stampa di A. LAFRERY del 1575 con le sette chiese giubilari o quella di F. VILLAMENA del 1609, notando che in ambe­due i casi il portico medioevale occupa l'ampiezza della sola na­vata centrale.

21) Presentano quasi la medesima ampiezza oscillante intorno al massimo di m. 2,93 le arcate della zona absidale, quelle delle pareti le superavano invece per un minimo di cm. 30 ed un massimo di 80. Benchè pure l'altezza sia variabile, essa resta costantemente inferiore alle due arcate del prospetto di almeno m. I,20.

2 2 ) A differenza di quanto è affermato anche di recente dal TOLOTTI, op. cit., p. 223, forse sulla scorta delle stampe cinque­centesche, le finestre erano tre ed allineate fra loro; l'esistenza del­l'occhio si desume ora soltanto dalle incisioni predette, perchè le strutture sono state interamente alterate dal restauro borghesiano.

23) Per la chiesa di S. Pudenziana può ritenersi sostanzial­mente valida la monografia di A. PETRIGNANI, La Basilica di S. Pudenziana in Roma, Città del Vaticano 1934, riferendo però ai lavori della fine del secolo IV il prolungamento della aula ter­male ascritto invece ai lavori di Adriano I e l'inserzione delle co­lonne inspiegabilmente attribuita dall'autore ai restauri cinque­centeschi.

FIG. 13 - ROMA, S. SEBASTIANO FUORI LE MURA PORTICO CON I SAGGI CHE MOSTRANO UNA DELLE

DUE ARCATE ORIGINARIE

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FIG. 14 - ROMA, S. SEBASTIANO - PARETE SUPERIORE DELLA FACCIATA CON LE TRE FINESTRE E LE GHIERE

DEGLI ARCHI SOTTOSTANTI

24) L'inizio di un quadriportico sembra esattamente delineato nella pianta Bufalini e la colonna d'angolo a sinistra potrebbe essere quella nella casetta ancora in sito.

25) Cfr. la nota 14. 26) A. PRANDI, op. cit., p. 462 ss. 27) Per le varie basiliche della Grecia, G . A. SOTIRIOU, Die alt­

christliche Basiliken Griechenlands, in Atti del IV Congresso lnt. di archeologia cristiana 1, Roma 1940, p. 356 ss. cui è da aggiun­gere P . LEMERLE, Philippes et la Macedoine orientale, Paris 1945 che ha ripreso in esame il problema del nartece con tribelon in rapporto alla basilica A di Filippi (p. 324 ss.); la presenza di un braccio trasverso sopra l'endonartece è provata oltre che dalla so­miglianza di pianta con i due casi certi della Acheiropoietos e del S. Demetrio a Salonicco, dal rinvenimento nello scavo di due tipi diversi di colonne, riferibili il più grande alle navate il più piccolo ai matronei. E si aggiunga pure che in molti casi la parete verso l'atrio ha due porte spostate verso le navatelle o in asse con esse in modo da impedire la visibilità dell'interno attraverso il tribelon con effetto totalmente opposto al dispo­sitivo romano.

28) Si noti poi che la pianta della chiesa pubblicata da G . A. So­TIRIOU, 1 vasiliki tou aghiou Dimitriou, Atene 1952 può trarre in inganno se non confrontata con la ricostruzione del prospetto, perchè segna allo stesso modo le porte e la trifora che si apre ad un livello notevolmente maggiore e che ha la funzione di illumi­nare l'endonartece e non quella di lasciar trasparire o di mettere in comunicazione interno ed esterno.

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29) A. ORLANDOS, in Praktikà Archaiol. Etaireias, 1933, p. 81 ss. Del resto il fatto che la parete opposta al tribelon presenti solo le due porte discentrate autorizza a ritenere che essa sia il vero li­mite fra interno ed esterno e che la ,hiesa rientri nel tipo comune con endonartece.

30) PRANDI, op. cit., p. 438 ss. 31) PRANDI. op. cit., p. 478 ss. 32) Nei primi due casi la basilica si estende assai oltre la zona

ritenuta sacra per antiche memorie che essa dovrebbe coprire sot­traendola alla indifferenza dei luoghi non di culto; per il terzo caso poi non si ha affatto notizia di alcuna memoria locale da con­servare, anzi il titolo fu creato proprio per ragioni pratiche es­sendo i limitrofi troppo distanti fra loro.

33) Già la basilica ellenistico-romana trae le sue origini da un ambiente colonnato ipetro: cfr. SOGLIANO, La basilica di Pompei, in Mem. R. Acc. di archeologia lettere e belle arti, 1913, p. 124 ss. per cui sembra del tutto antistorico che il processo si sia rinnovato negli stessi termini partendo dalla casa durante i se­coli II-III, quando esisteva un numero assai considerevole di vere basiliche civili e private nelle quali il problema era stato risolto.

34) G . BECATTI, op. cit., 35) B. NESIOROVICH, Un palais à SlObi, in Actes du IV Con­

grés lnt. des Etudes byzantines, II, Sophia 1936, p. 173 ss.; J. EBERSOLT, Le grand palais de Constantinople, Paris 1910; MAM­BOURY e WEIGAND, Die Kaiserpalaste von Kostantinopel, Ber­lin 1934.

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FIG. 15 - ROMA, S. SEBASTIANO - RILIEVO DELLA PARETE DI FONDO DEL PORTICO (dis. Bisognani)

36) G. CALZA, Contributi alla storia dell'edilizia imperiale ro­mana. Le case ostiensi a cortile porticato, in Palladio 1941, p. 1 55.

37) Per la basilica di Pompei v. SOGLIANO, op. cit., per il pa­lazzo dei Flavi e la basilica di Massenzio v. G. LUGLI, Roma antica, il centro monumentale, Roma 1946, con ricostruzioni e bibliografia.

38) Sui rapporti fra l' impero e la Chiesa, e quanto essa ne trasse, resta fondamentale lo studio di A. GRAnAR, L'empereur dans l'art byzantin, Pari!; 1936; per la simbologia della basilica in età costan­tiniana considerata come sala del trono, A. STANGE, Das friihchri­stliche Kirchengebaude als Bild des Himmels, Koln 1950, p. 88 55.

FIG. 16 - ROMA, S. PUDENZIANA - PARETE DI FACCIATA VISTA DALL ' INTERNO CON I TRE ARCHI

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