Basi molecolari della cancerogenesi multifasica

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1 Basi molecolari della cancerogenesi multifasica Gli esperimenti sul DNA dimostrano che nessun oncogene (come ad esempio, myc o ras) è in grado di trasformare completamente una cellula, mentre ras e myc associati possono trasformare i fibroblasti; in questo caso l’oncogene ras induce le cellule a produrre fattori di crescita e le mette in condizione di proliferare senza aderire ad un substrato, mentre l’oncogene myc rende le cellule più sensibili ai fattori di crescita facendole diventare “immortali”. Ogni tumore umano finora studiato mostra alterazioni genetiche multiple che consistono nella attivazione di diversi oncogeni e nella perdita di due o più geni oncosopressori; ognuna di queste alterazioni rappresenta un passaggio cruciale nella progressione che va dalla cellula normale al tumore maligno. Un esempio evidente della acquisizione progressiva del fenotipo maligno è documentato negli studi sul carcinoma del colon, come illustrato nella figura sotto riportata. Modello molecolare dell’evoluzione del carcinoma colo- rettale attraveeso la sequenza adenocarcinoma. Angiogenesi dei tumori Oltre alla attività proliferativa delle cellule neoplastiche vi sono anche altri fattori che influenzano la crescita dei tumori e tra essi il più importante è costituito dall’apporto ematico. L’angiogenesi rappresenta l’elemento indispensabile non solo per la continua crescita tumorale, ma anche per la formazione delle metastasi, in quanto, senza accesso al sistema vascolare, le cellule tumorali non possono metastatizzare.

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Basi molecolari della cancerogenesi multifasica Gli esperimenti sul DNA dimostrano che nessun oncogene (come ad esempio, myc o ras) è in grado di trasformare completamente una cellula, mentre ras e myc associati possono trasformare i fibroblasti; in questo caso l’oncogene ras induce le cellule a produrre fattori di crescita e le mette in condizione di proliferare senza aderire ad un substrato, mentre l’oncogene myc rende le cellule più sensibili ai fattori di crescita facendole diventare “immortali”. Ogni tumore umano finora studiato mostra alterazioni genetiche multiple che consistono nella attivazione di diversi oncogeni e nella perdita di due o più geni oncosopressori; ognuna di queste alterazioni rappresenta un passaggio cruciale nella progressione che va dalla cellula normale al tumore maligno. Un esempio evidente della acquisizione progressiva del fenotipo maligno è documentato negli studi sul carcinoma del colon, come illustrato nella figura sotto riportata.

Modello molecolare

dell’evoluzione del carcinoma colo-rettale attraveeso la sequenza adenocarcinoma.

Angiogenesi dei tumori Oltre alla attività proliferativa delle cellule neoplastiche vi sono anche altri fattori che influenzano la crescita dei tumori e tra essi il più importante è costituito dall’apporto ematico. L’angiogenesi rappresenta l’elemento indispensabile non solo per la continua crescita tumorale, ma anche per la formazione delle metastasi, in quanto, senza accesso al sistema vascolare, le cellule tumorali non possono metastatizzare.

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Studi recenti indicano che le cellule tumorali, nelle fasi iniziali della crescita, non presentano angiogenesi; i tumori rimangono semplicemente in situ senza sviluppare nessun supporto vascolare per mesi o anni, dopo di che, probabilmente a causa di un accumulo di mutazioni, alcune cellule contenute all’interno della neoplasia acquisiscono un fenotipo angiogenetico. Il gene p53 sembra inibire l’angiogenesi inducendo la sintesi della molecola antiangiogenetica trombospondiba-1; a seguita della inattivazione di p53 conseguente all’aquisizione di mutazioni su entrambi gli alleli, i livelli di trombospondina-1 crollano drasticamente, spostando il bilancio a favore dei fattori angiogenetici. L’invasività e la capacità di produrre metastasi costituiscono caratteristiche biologiche specifiche nei tumori maligni; per staccarsi dalla massa primitiva, entrare nei vasi sanguigni e linfatici e produrre una neoplasia secondaria che cresce a distanza, le cellule tumorali debbono attraversare la serie di fasi descritte nella figura sotto riportata. La cascata metastatica: illustrazione schematica delle fasi della disseminazione ematogena di un tumore.

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Il processo metastatico può essere diviso in due fasi:

1. invasione della matrice extracellulare. 2. disseminazione vascolare ed impianto delle cellule tumorali.

Invasione della matrice extracellulare L’invasione della matrice extracellulare è un processo attivo che può essere schematizzato nei seguenti passaggi:

� distacco delle cellule tumorali le une dalle altre. � Attacco alle componenti della matrice. � degradazione della matrice extracellulare. � Migrazione delle cellule tumorali.

Le cellule normali son ben attaccate le une alle altre ed alle cellule circostanti mediante diversi tipi di molecole di adesione quali le caderine, una famiglia di glicoproteine transmembrana. Le caderine E sono legate al citoscheletro da una famiglia di proteine dette catenine, localizzate sotto la membrana plasmatica; in alcuni tumori la caderina E è normale, ma la sua espressione è ridotta a causa di mutazioni del gene per una catenina. Per penetrare la matrice extracellulare circostante, le cellule tumorali devono prima aderire alle componenti della matrice stessa; esistono prove evidenti del fatto che l’attacco delle cellule tumorali alla lamina e alla fibronectina rappresenti una fase importante del processo di invasione e di metastatizzazione. Nella figura a fianco vengono illustrati gli eventi che portano all’invasione della membrana basale da parte delle cellule tumorali. Le cellule perdono adesività e si staccano le une dalle altre per aderire alla membrana basale mediante i recettori della laminina. Esse secernono molti enzimi proteolitici fra cui la collagenasi di tipo IV e l’attivatore del plasminogeno; seguono poi la degradazione della membrana basale e la migrazione delle

cellule tumorali.

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Mentre l’effetto più ovvio della distruzione della matrice è la creazione di un passaggio che consenta alle cellule tumorali di invadere i tessuti circostanti, i prodotti che si formano dalla degradazione della matrice, derivati dal collagene e dai proteoglicani, hanno attività promovente la crescita, angiogenetica e chemiotattica. Disseminazione vascolare e impianto delle cellule tumorali In circolo le cellule tumorali tendono ad aggregarsi in gruppo; questo fenomeno è favorito dall’adesione omotipica tra le cellule tumorali e le cellule del sangue, in particolar modo le piastrine. La formazione di aggregati piastrine-cellule tumorali sembra aumentare la soppravvivenza e la possibilità di impianto delle cellule tumorali stesse. Questi trapianti di cellule neoplastiche possono essere riferiti a tre meccanismi così ripartiti:

� Dato che la prima fase del processo che porta le cellule tumorali ad uscire dai vasi è rappresentato dall’adesione all’endotelio, è possibile che le cellule tumorali presentino molecole di adesione i cui ligandi sono espressi preferenzialmente sulle cellule endoteliali di organi bersaglio.

� Alcuni organi bersaglio possono presentare sostanza chemiotattiche, quali ad esempio i fattori di crescita insulino-simili di tipo I e II, che tendono a reclutare le cellule tumorali.

� In alcuni casi il tessuto bersaglio può risultare inospitale per la crescita delle cellule tumorali metastatiche, ad esempio producendo in loco proteasi che inibiscono l’impianto di una colonia tumorale.

Chemioterapia delle malattie neoplastiche Al momento, la chemioterapia adiuvante segue, di norma, il trattamento locale del cancro al seno, al colon e al retto e altre localizzazioni tumorali, ed è impiegata come parte di un approccio multimodale al trattamento iniziale di molti altri tumori, inclusi stadi avanzati di neoformazioni localizzate alla testa e al collo dell’utero, al polmone, tumori cervicali ed esofagei, sarcomi di tessuti molli e tumori solidi pediatrici. Nella figura sotto riportata è riportata rassegna dei farmaci chemioterapici.

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Riassunto dei meccanismi e dei siti d’azione dei chemioterapici impiegati nel trattamento della malattie neoplastiche. PALA = N-fosfonoacetil-L-Aspartato; TMP = timidina monofosfato. Una delle più recenti scoperte sui farmaci che hanno come bersaglio il processo proliferativo è l’interleuchina-2, essa regola la proliferazione dei linfociti T tossici per le cellule tumorali e delle cellule dette natural-Killer. Questo farmaco ha dato qualche risultato antitumorale con infusione endovenosa continua in bolo ogni 8 ore per 5 giorni, a settimane alterne, ma ha dimostrato una tossicità associata all’attivazione ed espansione dei linfociti litici negli organi e nei vasi con infiammazioni e aumento della permeabilità vascolare, e al rilascio secondario di altre citochine, come il fattore di necrosi tumorale e l’interferone da parte delle cellule attivate. L’interleuchina-2 causa ipotensione, aritmie, edema periferico, azotemia prerenale, alterazione della funzione epatica, anemia, trombocitopenia, nausea, vomito, diarrea, stato confusionale e febbre. In questa rassegna saranno presi in considerazione i farmaci chemioterapici riguardanti: sarcomi dei tessuti molli, osteosarcoma, morbo di Hodgkin, linfomi non-Hodgkin, leucemie acute, tumore della mammella, del tratto genito- urinario, della tiroide, del polmone, dello stomaco, e neublastoma.

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I farmaci riguardanti le patologie sopra espresse sono: mostarde azotate, alcaloidi della vinca e antibiotici; più precisamente: Ciclofosfamide e Ifofosfamide (fra le mostarde azotate); Etoposide e Teniposide (fra le epipodofillotossine); complessi di coordinazione del platino (cisplatino; carboplatino).

Ciclofosfamide

Il farmaco viene sottoposto ad attivazione metabolica (idrossilazione) da parte del sistema delle ossidasi miste del citocromo P450 del fegato, con successivo trasporto dei metaboliti intermedi attivati ai siti d’azione. La selettività della ciclofosfamide contro alcuni tessuti tumorali può essere in parte dovuta alla capacità dei tessuti normali, come il fegato, di proteggersi dalla citotossicità degradando ulteriormente gli intermedi attivati mediante l’adeide deidrogenasi e altre vie; ma la ciclofosfamide è tossica per il fegato. Nella figura a fianco se ne riporta il metabolismo.

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Ifosfamide

Si tratta di una oxazofosforina simile alla Ciclofosfamide; la Ciclofosfamide ha due gruppi cloroetilici sull’atomo di azoto fosfamidico, mentre uno dei due gruppi cloroetilici della Ifosfoamide è localizzato sull’atomo di azoto fosfamidico dell’anello oxazafosforinico. Come la Ciclofosfamide anche l’Ifofosfamide viene attivata nel fegato mediante idrossilazione; tuttavia l’attivazione della Ifofosfamide è più lenta, con maggiore produzione di metaboliti declorurati e cloroacetaldeide. Le più importanti attività farmacologiche degli alchilanti sono quelle che alterano la sintesi del DNA e la divisione cellulare. La capacità di questi farmaci di interferire con l’integrità del DNA e la sua funzione nei tessuti altamente proliferativi rappresenta la base delle loro applicazioni terapeutiche e di molte delle loro proprietà tossiche. Indipendentemente degli effetti dannosi sui tessuti con indice mitotico normalmente basso (fegato, reni, linfociti maturi), la loro tossicità maggiore è a livello dei tessuti rapidamente proliferanti in cui un gran numero di cellule è in rapida divisione e la loro tossicità è molto aumentata se il DNA viene danneggiato in cellule che stanno per dividersi; se il danneggiamento interessa la proteina p53, il gene ras, o la proteina myc, il punto di controllo del ciclo di replicazione non viene arrestato tra la fase G1 → S con la conseguenza dell’impossibilità di riparazione del danno o dell’apoptosi.

La maggioranza dei dati indica che il bersaglio primario dei farmaci alchilanti è il DNA, come indicato nella figura riportata. Spiegazione della figura. A: una catena laterale 2-cloroetilica va incontro a ciclizzazione intramolecolare di primo ordine (SN1) con liberazione di ioni Cl- e formazione di un intermedio etileniminico molto reattivo. B: attraverso questa reazione l’ammina terziaria viene convertita in un composto ammonico quaternari instabile, che può reagire avidamente, per mezzo della formazione di un carbocatione o di un complesso di transizione intermedio, con numerosi gruppi ad alta densità elettronica. L’alchilazione dell’atomo di azoto in posizione 7 dei residui guaninici del DNA sono in forma chetonica tautomera e stabiliscono facilmente

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coppie di basi di Watson-Crck attraverso legami idrogeno con residui di citosina. La guanina modificata può accoppiarsi erroneamente con i residui di timina durante la sintesi del DNA e portare alla sostituzione di una coppia di basi guanina-citosina con una coppia adenina-timina. Queste ultime modificazioni possono causare alterazioni permanenti nella struttura della sequenza del DNA, che sono compatibili con la vita della cellula e che possono essere trasmesse alle generazioni seguenti; queste modificazioni possono dare mutageni o cancerogenesi.

Tossicità di Ciclofosfamide e Ifofosfamide Entrambe causano tossicità agli elementi del midollo osseo e alla mucosa intestinale, provocano grave mielodepressione con caduta della conta granulocitica; sono molto tossici nelle cellule delle mucose in fase di divisione, causando ulcerazioni della mucosa della bocca e denudazione intestinale. Altre tossicità d’organo, meno comuni, possono essere irreversibili e anche letali; tutti i farmaci alchilanti inducono fibrosi polmonare e, con alti dosaggi, un danno endoteliale che può che può precipitare patologie veno-occlusive del fegato; le nitrosuree, dopo cicli mutipli di terapia, possono dar luogo ad insufficienza renale; l’Ifofosamide in patologia ad alto dosaggio causa frequentemente neurotossicità centrale con convulsioni, coma e, talvolta, morte. La tossicità sul sistema nervoso centrale si manifesta sotto forma di nausea e vomito; l’Ifosfamide è il più neurotossico fra questi farmaci, provoca stati mentali alterati, coma, convulsioni generalizzate e paralisi. Tutti gli alchilanti possono indurre leucemia e hanno effetti tossici sul sistema riproduttivo maschile e femminile causando spesso amenorrea permanente, in particolare nelle donne in perimenopausa, e azoospermia irreversibile nell’uomo.

Etoposide e Teniposide Dalla podofillotossina, estratta dalla pianta della mandragora, sono stati sviluppati due glicosidi semisintetici del principio attivo che hanno dimostrato attività terapeutica significativa in molte neoplasie umane. Etiposide e Teniposide sono simili per attività e spettro d’azione, non arrestano il ciclo cellulare in mitosi ma formano un complesso ternario con la topoisomerasi II e il DNA; la formazione del complesso provoca la rottura della doppia catena di DNA, ma il passaggio a chiusura della catena, che normalmente fa seguito al legame della topoisomerasi al DNA, viene inibito dal farmaco. L’enzima rimane legato all’estremità libera del DNA tagliato, con conseguente accumulo di frammenti di DNA e morte cellulare; le cellule nelle fasi S e G2 del ciclo cellulare sono più sensibili all’Etoposide e alla Teniposide; (se questo è il meccanismo di azione sulle cellule neoplastiche sorge spontaneo domandarsi come possa il farmaco non agire sulle cellule sane). I farmaci vengono impiegati, in associazione con Ifofosfamide e Carboplatino, nel trattamento del carcinoma del polmone a piccole cellule, nella leucemia acuta dei bambini, nel glioblastoma, nel neuroblastoma e nelle metastasi cerebrali di carcinomi polmonari. Nella figura sotto riportata sono evidenziate le strutture chimiche dei farmaci.

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Effetti tossici di Etoposide e Teniposide I principali effetti tossici sono rappresentati da mielosopressione, nausea, vomito, leucopenia, stomatite, diarrea; sono state pure osservate febbre, flebiti, dermatiti e reazioni alergiche compresa anafilassi e la tossicità epatica si manifesta specialmente dopo somministrazione di dosi elevate.

Cisplatino Il cis-diaminodicloroplatino è un complesso contenente platino divalente, inorganico e idrosolubile; il Cisplatino sembra entrare nelle cellule per diffusione e la sua formula di struttura è la seguente

I complessi del platino possono reagire con il DNA formando legami crociati intracatena e intercatena; l’azoto in posizione 7 della guanina è molto reattivo e il platino forma legami crociati tra guanine adiacenti sullo stesso filamento di DNA; si formano rapidamente anche legami crociati guanina-adenina. I complessi del DNA con Cisplatino inibiscono la replicazione e la trascrizione del DNA e portano a rotture e errori di codifica. La specificità del Cisplatino rispetto alle varie fasi del ciclo cellulare sembra essere diversa a seconda del tipo di cellula, sebbene gli effetti dovuti alla formazione dei legami crociati siano più marcati nella fase S. La chemioterapia

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combinata con Cisplatino, Bleomicina, Etoposide e Vinblastina, è utilizzata per il carcinoma del testicolo; nel carcinoma dell’ovaio è impiegato con Paclitaxel e Ciclofosfamide, viene inoltre utilizzato nel carcinoma della vescica, della testa e del collo dell’utero, nel carcinoma endometriale, nel carcinoma polmonare a cellule piccole e in alcune neoplasie dell’infanzia. Effetti tossici L’ototossicità non varia con la diuresi e si manifesta con tinnito e perdita dell’udito nell’intervallo delle alte frequenze e può essere più grave nei bambini; nausea e vomito compaiono in quasi tutti i pazienti; dopo cicli ripetuti compare neuropatia periferica, che può peggiorere dopo l’interruzione della terapia. Disturbi elettrici comprese ipomagnesemia, ipocalcemia, ipokaliemia e ipofosfatemia sono comuni; sono state osservate iperuricemia, convulsioni, anemia emolitica e anomalie cardiache, reazioni anafilattiche, caratterizzate da edema facciale, broncocostrizione, tachicardia e ipotensione, che possono presentarsi entro pochi minuti dalla somministrazione. Per gli effetti della formazione di legami crociati il Cisplatino è mutageno, teratogeno e cancerogeno.

Carboplatino Il meccanismo di azione e lo spettro di attività clinica sono simili al Cisplatino, ma questo è meno reattivo del Cisplatino e non si lega alle proteine plasmatiche in modo significativo; la formula di struttura è sotto riportata.

Il Carboplatino viene impiegato, come alternativa al Cisplatino, in pazienti con insufficienza renale, nausea refrattaria, problemi uditivi gravi o neuropatia; la sua dose di impiego deve essere modificata in proporzione alla riduzione della clerance della creatina in pazienti con valori inferiori a 60 mg/ml.

Effetti tossici Nausea, neurotossicità, ototossicità e nefrotossicità sono meno frequenti che con il Cisplatino; la principale tossicità dose-limitante è la mieolosoppressione, che si manifesta con trombocitopenia.