Bal libro 200x250mm 1

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circa 3 mesi orsono ho proposto durante l’atelier espressivo agli inquilini del- la casa di scrivere un racconto che si svolgesse in autunno. Nessuno di loro si era mai cimentato in quest’impresa e inizialmente ci furono alcune perplessi- tà, smorzate quasi sul nascere, occorre segnalarlo, dal profondo rapporto di fiducia e simpatia venutosi a creare in questi anni, con alcuni di loro, e duran- te le recenti attività con i nuovi arrivati. Durante il primo incontro cominciammo a definire l’ossatura della nostra fu- tura storia; secondo le regole democratiche, ognuno proponeva un personag- gio che veniva votato dal gruppo e, nel caso avesse ottenuto più consensi, inserito nella lista. Come per la preparazione di una succulenta pietanza, la ricerca, il raffronto e l’acquisto degli ingredienti necessari ha richiesto molto sforzo ed attenzione. Pian piano il tavolo della nostra cucina si è riempito di profumi e colore.... Pian piano gli odori della cottura hanno riempito lo spazio...Ognuno dei par- tecipanti si è cimentato nella ricerca di uno sviluppo possibile, condiviso e votato ogni volta dal gruppo. Ringrazio le tre Anna, Lilly, Rosa, Maria Pia, Luisa, Maria, Elda, Livia, Catal- do, Carla, Annemarie, Natalina, Ernestina ed Aldo, Giulia, Mariangela, Fla- vio, Edio e Luciana. Buona lettura. Federica Carissimi

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Transcript of Bal libro 200x250mm 1

circa 3 mesi orsono ho proposto durante l’atelier espressivo agli inquilini del-la casa di scrivere un racconto che si svolgesse in autunno. Nessuno di loro si era mai cimentato in quest’impresa e inizialmente ci furono alcune perplessi-tà, smorzate quasi sul nascere, occorre segnalarlo, dal profondo rapporto di fiducia e simpatia venutosi a creare in questi anni, con alcuni di loro, e duran-te le recenti attività con i nuovi arrivati.

Durante il primo incontro cominciammo a definire l’ossatura della nostra fu-tura storia; secondo le regole democratiche, ognuno proponeva un personag-gio che veniva votato dal gruppo e, nel caso avesse ottenuto più consensi, inserito nella lista.

Come per la preparazione di una succulenta pietanza, la ricerca, il raffronto e l’acquisto degli ingredienti necessari ha richiesto molto sforzo ed attenzione.Pian piano il tavolo della nostra cucina si è riempito di profumi e colore....Pian piano gli odori della cottura hanno riempito lo spazio...Ognuno dei par-tecipanti si è cimentato nella ricerca di uno sviluppo possibile, condiviso e votato ogni volta dal gruppo.Ringrazio le tre Anna, Lilly, Rosa, Maria Pia, Luisa, Maria, Elda, Livia, Catal-do, Carla, Annemarie, Natalina, Ernestina ed Aldo, Giulia, Mariangela, Fla-vio, Edio e Luciana.

Buona lettura.

Federica

Carissimi

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ra una bella giornata d’autunno. Il sole riscaldava ancora la natura, l’ambien-te, la terra tutta intera. L’aria era tiepida, il cielo di un azzurro intenso, soffiava una brezza leggera e benevola, che faceva volare le foglie in alto e dall’alto giù sino a sfiorare il prato, quasi fosse una carezza.Due bambini stavano giocando sull’altalena, una di quelle costituite da due corde e un’asse di legno appesa al ramo di un albero, non uno qualsiasi, un pino alto, folto, armonioso nelle forme. Chi si fosse arrampicato sino lassù per fissarla nessuno lo sapeva o forse mai nessuno se l’era chiesto; l’altalena costituiva l’attrattiva del luogo ormai da tanti anni e tanti erano i bambini che si erano divertiti oscillando dalla terra al cielo e dal cielo alla terra. Sotto il pino Alfredo e Violetta ora stavano spintonandosi reciprocamente e lo spazio risuonava delle loro grida di gioia. In comune avevano nove anni di età, frequentavano volentieri la scuola ottenendo buoni voti e provavano la stessa curiosità verso il nuovo. Violetta era un po’ pettegolina, Alfredo un birichino nato. Giocare a nascondino, rincorrersi, ruotare imitando il movimento della trotto-la, erano le loro attività preferite ed il tempo a volte scorreva tanto veloce, che solo l’imbrunire li riportava coi piedi per terra. Successe anche quel pomerig-gio e quando Violetta cercò il suo monopattino per rincasare, si accorse che era sparito e con esso anche Alfredo. “Dove si erano cacciati tutti e due?” e “Perché Alfredo aveva deciso di abban-donarla...?”.

Stava piagnucolando accovacciata a terra pensando al da farsi, quando all’im-provviso si alzò un vento così violento tanto che i rami del pino iniziarono ad oscillare con forza e le foglie multicolori di un castagno a schiaffeggiarla in volto. Dopo lo sbigottimento iniziale la assalì la paura. I suoi grandi occhi passarono al setaccio ogni particolare, ma il buio le impediva di dare un no-me alle forme circostanti. D’un tratto sentì delle voci e vide avvicinarsi un uomo alto, una donna più bassa e ben proporzionata e un cane. Erano a qualche metro soltanto quando finalmente Violetta riuscì a distinguere chiaramente la massa di capelli corti, mossi e brizzolati di lui e quelli soavi e dorati di lei.....”ma sono i miei genito-ri” esclamò concitata a voce alta e il quadrupede scodinzolante con le orec-chie diritte è Nero. Loro la udirono, le andarono incontro, l’abbracciarono ed insieme si diressero verso la panchina in faggio e vi presero posto. Che sollievo avere mamma e papà vicini, tutto sembrava improvvisamente essere meno angusto e persino la notte che ormai era scesa non le incuteva timore. Raccontò loro l’accaduto e le mille domande che si era posta proprio là, sotto il pino. Violetta non riusciva a capire perché Alfredo le avesse giocato un tiro così mancino. L’aria fresca che scivolava sui volti e li obbligava a strofinarsi le mani, ricordò a tutti che era giunto il momento di rincasare. Prepararono insieme una deli-ziosa cenetta, si soffermarono in salotto a guardare un programma divertente alla televisione ed infine andarono a dormire.

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Violetta si addormentò rapidamente e sognò di essere in un castello abbando-nato e inspiegabilmente bardato a festa; l’occasione di tanto sfarzo era la vendemmia. La musica inebriava con le sue mille note i cuori dei festanti, che si esibivano ballando in costumi d’epoca. Torchi stracolmi di grappoli bianchi e rossi, cesti di fichi verdi e viola, canestri di castagne pronte per essere cotte alla brace viva esaltavano di colore le spoglie mura e fiumi di vino nostrano e gazzosa dissetavano l’allegra compagnia.Tra quella folla gaudente, Violetta scorse Alfredo travestito da ramazza di saggina, che stava piroettando con una fanciulla di tronco di betulla agghin-data. La rabbia l’assalì e la fece un poco arrossire. Cominciò a percorrere le sale del castello e si ritrovò in un vestibolo che fun-geva da appendiabiti. Riconobbe il giubbino cerato di Alfredo e presto fatto se lo infilò, con tanto di berretto. Uscendo dal maniero evitò per miracolo di scivolare sui sassi situati sul greto di un piccolo ruscello. Il contatto con la notte stellata precocemente fredda la svegliò. Si guardò attorno sbigottita, respirò a fondo, riconobbe la sua stanza e sulle sue labbra apparse un sorrisetto da furba. Sua madre non faticò quella mattina a farle due belle trecce e a consigliarla sugli indumenti da indossare; Violetta era felice di recarsi a scuola, moriva dalla voglia di incontrare Alfredo e di ascoltare le sue parole. Il suo cuore batteva forte e l’universo intero risplendeva come non mai. Passò accanto al

pino, notò che sul castagno non era rimasta neppure una foglia dopo la tor-menta del giorno precedente, fece oscillare l’altalena e passo dopo passo si ritrovò sul piazzale della scuola. Alfredo l’attendeva con il monopattino in-gentilito da tanti piccoli fiorellini colorati...

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ioletta si destò a fatica quella mattina. Nessun rumore giungeva dall’esterno e persino la casa sembrava avvolta stretta da un insolito silenzio. Si stirò come una gatta, si alzò ed aprì le persiane per far entrare la luce nella stanza. La neve stava cadendo copiosamente e aveva già imbiancato il prato e gli alberi antistanti la dimora.Una gioia immensa la invase; adorava osservare la danza lenta che i minusco-li e distinti cristalli di ghiaccio compivano per infine aggregarsi e compattar-si insieme; grandi, piccoli, leggeri, soffici, a barchetta, a cucchiaio, a mac-chia... e la luce! D’un bianco immacolato e quasi abbagliante!Le piaceva perdersi nell’unicità di ogni singolo fiocco, al quale spesso dava un nome: Spicchio, Nuvola, Arancino, Buffetto diventavano così i suoi com-pagni di gioco.Si decise a scendere in cucina, il suo stomaco bisbigliava la fame e la sete di latte.Nello spazio si stava diffondendo uno strano odore che lentamente si mesco-lava al profumo dei mazzetti di lavanda secchi disposti nei vasi di porcellana appartenuti alla nonna materna.Dalle donne di quella casa il viola era sempre stato il colore preferito tanto che alla sua nascita nessuno avrebbe neppure pensato di chiamarla con un altro nome se non Violetta.Avvicinandosi alla cucina vide sua madre che armeggiava sul fornello a gas uno strano arnese metallico:“ciao mamma, cosa stai facendo?”

“Buongiorno Violetta, hai dormito bene? Hai visto quanta neve?” e si mise a ridere.“Stamattina, mi sono svegliata presto e quando ho visto che tutto era ricoperto di un manto di neve soffice, mi sono improvvisamente ricordata del caffè che preparava mia nonna e siccome, sai, io conservo ogni cosa, sono andata a cer-care il suo brusacafé e ho deciso di ridare vita ai suoi gesti minuziosi e sapienti e di prepararmi la bevanda della mia infanzia...”.

Violetta la ascoltava attentamente, non riuscendo però a capire bene il senso delle sue parole. Sua madre se ne accorse e proseguì nella spiegazione. “Devi sapere che tanti anni orsono il caffè costituiva un bene di lusso; pochi se lo pote-vano permettere e spesso si utilizzavano dei surrogati, quali l’orzo o la cicoria”.“Mamma! Ma allora bevavate l’insalata?”Sua madre sorrise ed aggiunse che si preparava esclusivamente con le radici della piantina, che venivano poste nell’arnese metallico che teneva in mano, abbrustolite preferibilmente sul fuoco di legna, che permetteva una migliore regolazione del calore rispetto al carbone; poi si procedeva alla riduzione in polvere.”lo vedi quel macinino rosso?” e lo si faceva bollire e schiumare diverse volte, prima di berlo. Tutti o quasi tostavano il caffè o l’orzo o la cicoria o una misce-la di essi allo stesso modo.Violetta, che adorava rappresentare le parole in immagine, vide nuvole di odori invadere le vie del paese.

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“La tua infanzia, mamma, sarà stata profumatissima allora...!”“Sì, ma non solo di buoni odori; dai siediti che ti faccio assaggiare il caffè di cicoria e magari ci ritroviamo insieme bambine nella grande cucina di mia nonna che, come per noi adesso, anche allora costituiva il cuore pulsante della casa dove ci si ritrovava per consumare soprattutto la cena, per chiaccherare, per ascoltare i racconti dei grandi, gli adulti che abitavano con noi e quelli che ci rendevano visita.Era arredata con mobili assai rustici: il tavolo sul quale abbiamo appoggiato la nostra colazione, una piantana, ove erano riposte le stoviglie e al cui fianco stavano accatastate le pentole, una madia che serviva da dispensa. Era un lo-cale un poco spoglio, ma a me piaceva particolarmente...”.D’un tratto si sentì la voce del padre di Violetta, che stava riprendendo il cane:“Nero...pulisci le zampe prima di entrare, altrimenti le sentiamo in due le la-mentele di mia moglie!”Nero aveva sì imparato ad usare lo zerbino, osservando i suoi padroni, ma il piacere che provava a scuotersi dentro casa superava ogni limite. Baldanzoso e scodinzolante il cane, infreddolito ed affamato il padre, si intrufolarono in cucina con la voglia di mettere sotto i denti qualcosa di buono e di bere, alme-no il padre, una tazza di caffè.Nero e il suo padrone si misero ad annusare l’aria con circospezione, un odore nuovo e sconosciuto solleticava le narici di entrambi. Si guardarono e tra i due ci fu una grande intesa.Violetta raccontò loro gli esperimenti della mamma e offrì a tutti e due una

tazza ed una ciotola di quella bevanda tanto carica di ricordi.La reazione del padre fu immediata:” ma questo caffè l’è acqua da castegn, brödaia, ciurlina, burlanda! Forza, andiamo a fare una bella passeggiata tutti insieme e magari riesco pure a bere un caffè decente!”Nero, dal canto suo, immersa appena la sommità della lingua, emise un ululato silenzioso, sintomo del più alto grado di disgusto che un cane possa esternare.Violetta e sua madre si fecero l’occhiolino. Lo strato di neve era decisamente molto soffice ma grazie agli sci di fondo si procedeva con facilità.Nero era obbligato a compiere dei grandi salti per stare al passo e solo duran-te gli atterraggi scompariva sotto la coltre lattea per poi riemergere più birbo-ne che mai.La neve mise tutti di buon umore e fece riaffiorare altri ricordi:” Vi ho mai raccontato di come si pulivano le strade un tempo?” le interrogò il padre. “ Gli spazzaneve venivano trainati da buoi o cavalli e...”.Raggiunsero la chiesa, parteciparono alla funzione religiosa officiata da un don Andrea con tanto di barba a cascata di ghiaccio che si sciolse pian piano tra l’offertorio e il pater noster, e gli inzuppò il paramento liturgico tanto da produrre risolini tra i presenti.Sul piazzale non si parlò d’altro e fu normale proporsi di ritrovarsi all’osteria per un buon caffè corretto a piacimento. Violetta e Nero seguirono l’allegra compagnia un po’ di malavoglia, lei si chiedeva dove fosse il suo amico Alfre-do, il cane desiderava raggiungere al più presto l’accogliente e calda cesta...

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ra finita anche l’ultima ora di scuola e la maestra aveva impartito un compito da consegnare per la settimana successiva, avente come soggetto “ la prima-vera”. Avrebbero potuto svolgerlo a loro piacimento, ma a condizione di trat-tarlo con un compagno di classe.Violetta si guardò attorno ed i suoi occhi atterrarono in quelli sprizzanti di Alfredo.Durante il tragitto verso casa scambiarono qualche parola e si ripromisero di telefonarsi la sera stessa per accordarsi.Ambedue le famiglie erano disposte ad accogliere i ragazzi e fu Alfredo che il sabato pomeriggio si presentò a casa di Violetta.Con difficoltà pose l’indice sul pulsante che azionava il campanello; il peso della torta di mele sommato a quello dell’aranciata e dello zaino sulle spalle lo sbilanciava un poco e poi era la prima volta che metteva piede in quella dimora e forse si sentiva un picchiettio di agitazione salirgli lungo la schiena.Violetta, che si trovava in camera sua, si precipitò giù dalle scale e per un soffio non cadde addosso ad uno dei vasi appartenuti alla nonna...”sai che guai”, si ritrovò a pensare...Aprì la porta e con sorpresa osservò Alfredo agghindato di borse e sudore che gli colava dalla fronte: “Vuoi una mano? Dai che ti aiuto...”Alfredo le sorrise e la seguì sino in cucina, approfittando di quei passi per guadarsi attorno.La casa di Violetta era ben ordinata ed accogliente e un profumo delicato si effondeva nell’aria come brezza di fiume.Decisero di concentrarsi sul compito prima di far merenda e vista la piacevole giornata scelsero di sedersi in giardino. Iniziarono a guardarsi attorno e in si-

lenzio scandagliarono tutto ciò su cui i loro occhi si posavano; solo in seguito presero carta e penna e il timbro delle loro voci si miscelò all’ambiente.“Ho notato che la natura si sta vestendo e colorando e che l’aria profuma, come dire, di gioventù” disse Alfredo.Violetta lo guardò incuriosita, cosa si celava dentro quel ragazzino dai capelli corti, vestito con jeans e maglietta, che talvolta si esprimeva in poesia? Perce-pì inoltre qualcosa di nuovo percorrerle il corpo, a cui però non seppe dare nome alcuno.Alfredo si affrettò ad aggiungere che i rami degli alberi stavano infine metten-do le foglie, che il verde del prato era di un verde brillante, e che dei fiorellini erano spuntati qua e là.Violetta annuiva con il capo, la sua mente invece era in attesa di riconnettersi.Alfredo se ne accorse e le propose di assaggiare una fetta di torta che si rivelò deliziosa e corroborante.Violetta prese ad elencare le specie di uccellini che pigolavano allegramente nel giardino,...erano proprio tante... si concentrò sulla scioltezza del volo del-le prime farfalle gialle e bianche, ribadì con gioia quanto le piacessero quelle macchie di viola, bianco, giallo, azzurro, rosso che mettevano colore alla na-tura e a quella giornata.Rimasero entrambi ad osservare le rondini darsi un gran daffare nella costru-zione del nido: il corpo snello e le lunghe ali appuntite permettevano loro evoluzioni incredibili.La madre di Violetta, che stava pulendo i vetri, si soffermò sul loro sguardo sognante e leggero; erano proprio carini quei due seduti in giardino...

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urante il radiogiornale delle 7.00, avevano diramato il comunicato di allerta canicola che per la popolazione sensibile stava a significare due cose: evitare di uscire di casa, se non per ragioni strettamente necessarie, così come esi-mersi da qualsiasi sforzo fisico, quindi e soprattutto nessuna attività sportiva di alcun genere.Violetta, che si era già messa ai piedi le scarpette da corsa rosse e nella testa una voglia sfrenata di correre nel bosco, fu inesorabilmente placcata dalle parole di sua madre che le comunicarono un solo messaggio:” Oggi riposo assoluto!”.Violetta la guardò con stupore, annuì con il capo, poi si diresse un po’ stizzita in camera sua e si mise a leggere un libro di avventura.La vicenda, che si svolgeva nei mari del sud tra tempeste ed attacchi di pirati, era sì accattivante, ma il desiderio di uscire all’aperto si rafforzava pagina dopo pagina.Alla trentaduesima si decise: scese le scale silenziosamente e guadagnò il giardino in men che non si dica.Si allontanò dalla dimora con circospezione ma girato l’angolo si mise a corre-re felice, canticchiando “oh che bella giornata, il sol splende, il cielo è blu, io corro sempre più veloce, dove......”.Avanzò sino al castagno, riprese fiato, guardò in alto e rimase affascinata dal groviglio di rami e foglie che si innalzavano verso il cielo.“Chissà come si vede il mondo da lassù?” pensò e per scoprirlo si mise ad ar-rampicarsi. Via via che poggiava il piede su di un ramo, si rendeva conto che

in realtà l’insieme dell’albero era disposto secondo un ordine preciso e che tutte le fronde si stagliavano nella luce, facendo brillare le lamine delle foglie come perle di vetro.Raggiunse un nodo abbastanza grande e vi si sedette contro. Il panorama era stupendo e con lo sguardo abbracciò persino le case del paese, che dal basso non riusciva neppure a scorgere.D’un tratto vide Alfredo camminare lentamente lungo il sentiero ed il suo cuore iniziò a battere più velocemente. “Ehilà, cucù, ohohoooo…”Alfredo non reagiva a nessuno dei suoi richiami e sembrava profondamente assorto nei suoi pensieri.Violetta non si scoraggiò e ritentò: “Ehi, Alfredooooooo...”Alfredo si guardò attorno, ma non vide nessuno.“Alfredoooooo, sono qui sull’albero, guarda su, più su”Con sorpresa vide le gambe di Violetta penzolare da un tronco, quella ragaz-zina era davvero incredibile pensò.“Che ci fai lì?” le chiese;Violetta lo incoraggiò a raggiungerla sul castagno, ma Alfredo non si mosse e così scese lei.“Mia madre voleva tenermi chiusa in casa per il gran caldo, ma io sono uscita ugualmente perché volevo correre, poi mi sono ritrovata sotto questo albero ma-estoso e ho deciso che dovevo vedere il mondo da lassù. Peccato tu non abbia voluto salire”.”Sai Violetta io non sono così coraggioso come te, ho paura dell’altezza, ho

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paura di cadere e di farmi male!”Violetta decise di unirsi a lui in passeggiata, ma nella sua testolina si faceva strada l’idea di come riuscire a convincerlo ad arrampicarsi sull’albero. Sa-lendo lungo il fianco della collina, raccolsero delle fragoline di bosco dal sa-pore dolcissimo ed alcune more, si misero alla ricerca dei quadrifogli, osser-varono il procedere di una lucertola in cerca di un posticino assolato e tran-quillo, scrutarono l’attento farfallamento delle api tra un fiore e l’altro.Il suono dell’acqua li condusse sino al ruscello e la calura insistente li spinse ad immergervi dapprima i piedi, poi le mani, infine il capo. Spruzzi scintillan-ti schizzarono addosso ai vestiti e le loro grida di gioia varcarono le fronde degli alberi, arrivando sino a stuzzicare una cornacchia grigia , intenta a son-necchiare.Un po’ indispettita gracchiò forte e librò le sue grandi ali verso il basso. Vio-letta ed Alfredo si spaventarono e si misero a correre alla ricerca di un riparo dove la cornacchia non li avrebbe raggiunti, ma lei, la cornacchia, non si diede pervinta , anzi accelerò e li costrinse a fermarsi, le spalle al grande ca-stagno.Violetta afferrò la mano di Alfredo e lo condusse sul primo ramo, dove però anche l’uccello si appollaiò. La paura li pervase a guadagnare qualche metro di altezza, ma la cornacchia imperterrita li seguiva senza sosta.In men che non si dica raggiunsero la cima della chioma ed esausti si appog-giarono al tronco.Violetta guardò Alfredo; il respiro di lui stava entrando in sintonia con il suo e

il silenzio sembrava avvolgerli come bambagia.Erano salvi, almeno sino a quando il ragazzo realizzò dove si trovavano. Im-provvisamente Alfredo si ricordò di una frase di suo nonno “canta, canta perché la paura passa con il canto” ; iniziò a ripeterla senza sosta, anzi la cantò sempre più forte sempre più ritmata tanto che anche Violetta ne fu contagiata, tanto che anche la cornacchia si rifece viva e svolazzò elegante-mente nell’aria limpida.La ragazza colse l’occasione per iniziare a scendere ed Alfredo inebriato da tanta bellezza la seguì senza porre resistenza.Arrivarono a terra senza fatica e lentamente si diressero verso casa.Il sole si era piegato a ponente, ma l’aria era ancora calda e la luce persisten-te. Dopo alcuni passi si imbatterono in...

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