Baggio Roberto - Una Porta Nel Cielo

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ROBERTO BAGGIO

UNA PORTA NEL CIELO.

Un'autobiografia.

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Indice.

Prefazione di Daisaku Ikeda.

Quel giorno, a Pasadena.

Buddhità.

Nascere, soffrire, cominciare.

Gigli per dirsi addio.

Il tempo è un'illusione.

Prima beffa grande.

Amici miei.

Che zebra era?.

Al Diavolo.

Baggio l'Emiliano.

Terza beffa grande.

Azzurro come il cielo, nero come la notte.

Gioia di cacce.

Anatre e rondinelle.

Il calcio che vorrei.

Nel flusso vitale.

Quel giorno, a Yokohama.

Imprese e numeri di una vita.

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Prefazione di Daisaku Ikeda.

Fantasista, ovvero giocatore-artista da sogno.Si tratta di un altissimo elogio rivolto al nostro Roberto Baggio, a nessun altro.E proprio Baggio, che ammira la figura di Leonardo da Vinci, chiama quel gigante del Rinascimento fantasista.Ma, quale è la forza che permette a un fantasista di essere un fantasista?Gli ostacoli non mi piegano. Qualunque ostacolo, con duri sforzi, verrà vinto, così si esprime Leonardo da Vinci.Il genio onnipotente trae forza solo dalla sfida a furie impetuose.Il genio è sinonimo di sfida.Sono sicuro che sia stato proprio lo spirito di sfida a costruire un genio del calcio come Roberto Baggio.Roberto oggi ha 34 anni. Nella società, questa è l'età in cui si inizia ad entrare nella fase di massimo rendimento.Ma nel mondo dello sport, Roberto viene già chiamato veterano. In un mondo dove la cosa più importante è vincere o perdere, i tempi fluìscono secondo un ritmo troppo intenso e concentrato.Ogni giorno, in ogni partita, prezioso e insostituibile, egli ha continuato ad ardere di passione molto più di chiunque altro.Perciò, ha affrontato le prove della vita molto più di chiunque altro.Baggio afferma con fierezza: La vittoria si può ottenere solo attraverso le sofferenze. Non esiste vittoria che non passi attraverso la sofferenza.Poiché, in una giovinezza intensamente tormentata, ha conosciuto profondamente questa lotta, egli sa esprimere anche attraverso queste semplici parole una saggezza da filosofo.Incontrai Roberto Baggio per la prima volta a Tokyo, nel giugno del 1993.Fu soprattutto il suo sguardo a colpirmi; uno sguardo trasparente, carico di una ferrea volontà da guerriero che lotta sul serio fino in fondo. Allo stesso tempo, nei suoi occhi brillavano l'umiltà di chi cerca nella vita un valore lontano dalla gloria terrena e la sincerità di chi vuole dedicarsi agli altri.Al suo fianco stava la signora Andreina, bella e saggia, che sorrideva, discreta, al compagno di questa missione. L'impressione che entrambi mi trasmisero è rimasta intatta negli incontri che seguirono.Il colloquio che ebbi con lui l'anno successivo a Milano rappresenta per me un ricordo indimenticabile. Era proprio la vigilia della sua partenza per il Campionato del Mondo negli Stati Uniti.Io esortai il mio giovane amico: Lottare e lottare fino all'ultimo istante! Egli annuì con un sorriso e partì per gli Stati Uniti.Sarebbe inutile commentare ancora l'eterno dramma di cui è stato protagonista. Il susseguirsi di gol miracolosi con cui lui, rialzatosi più volte nonostante un fisico pieno di ferite, portò gli azzurri a combattere fino alla finalissima. La sua passione non potè non commuovere gli animi di tutti.

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Lui ha vinto. Ha vinto in modo grandioso la sfida con se stesso.Appena conclusa la sua battaglia, gli ho inviato, con assoluta ammirazione, questo messaggio:Evviva, la vittoria di un grande re del calcio!.Anche la sua battaglia nei Campionati del Mondo del 1998 in Francia, fiera e magnifica, sarà ricordata per sempre.La sua gloria è nei suoi passi maestosi, da vero Icone, nella vittoria e nel superamento di tutte le prove più dure, le avversità, le incomprensioni e la cattiveria.Ricordo un proverbio contadino che si tramanda nella terra natale di Roberto Baggio che dice: Al di là delle nuvole, brilla il sole.Baggio, che ha un cuore schietto, chiama tuttora suo maestro, con profonda gratitudine, il fornaio vicino di casa che gli insegnò il calcio da bambino.E' veramente commovente come Baggio abbia a cuore i giovani e come spesso li incoraggi. Per lui è un piacere autentico stare in mezzo ai bambini.Anche gli studenti delle Scuole Soka e dell'Università Soka, da me fondate, hanno ricevuto i suoi incoraggiamenti, rivolti loro con cuore sincero.Nel 1995, subito dopo il terremoto che ha colpito la regione di Hanshin, Roberto Baggio ha inviato alla squadra di calcio della Scuola Soka di Kansai un toccante messaggio: Non datevi mai per vinti!Nel 1999 quando ha visitato la Scuola Soka di Tokyo, ha parlato agli studenti così: L'atteggiamento di fondo della mia vita è stata la passione.Anche i muri che sembravano insormontabili, sono stati superati tutti con la passione. Per realizzare i miei sogni, ho agìto spinto solo dalla passione. La passione muove ogni cosa, una forza davvero straordinaria.Dal XX secolo al XXI secolo...Noi che stiamo vivendo in un'epoca di grande cambiamento, abbiamo avuto la fortuna di incontrare un grande fantasista pieno di passione.L'esistenza di un fantasista ci rivela in modo evidente quanto sia grande la potenzialità nascosta nella vita di ognuno. Essa ci regala il coraggio e la speranza che chiunque potrà far germogliare, nella propria vita, la propria potenzialità.In silenzio, la sfida senza sosta del Fantasista prosegue ancora verso un grande sogno.Per noi è ragione di profonda gioia e di orgoglio poter creare una nuova rinascita del Secolo della Vita insieme a lui, Roberto Baggio.Con l'augurio di una serenità infinita al mio caro amico Roberto Baggio

2 ottobre 2001.Daisaku Ikeda Presidente della Soka Gakkai Internazionale.

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Grazia naturale, fragilità apparente. Era, evidentemente, un uomo giovane dalle molte vite. Un leopardo dallo sguardo orientale, un leopardo gentile. Così appariva. E pregava insieme al suo amico. Li osservavo. Ritmici, cadenzati, lontani. A tratti calava, obbligatorio, il rispettoso silenzio.Il leopardo, ora, non c'era più. Al suo posto un'anatra maschio, un germano dagli occhi verdi. Mi guardava sorridente, rilassato.Il suo spirito respirava, leggero e amico mi indagava. Allora le sue, le nostre parole sono lentamente rifluite. Lungo il grande fiume, nella pace.I risvegliati, gli illuminati, Siddharta il Principe e Vasudeva, il vecchio barcaiolo, i due perfetti, vegliavano in silenzio su di noi.Sulle rive del fiume giallo, amico.

Quel giorno, a Pasadena.

Ciò che è coperto marcisce, ciò che è svelato non marcisce.Perciò scoprite ciò che è coperto, affinchè esso non marcisca!.Versi ispirati del Buddha.

Quel Mondiale l'avrei vinto o perso all'ultimo secondo. Me l'aveva detto il mio Maestro spirituale, Daisaku Ikeda. E lui era uno che non poteva sbagliare.A quella frase ci pensavo giorno e notte, ma questo non bastava a dare una risposta. Mi chiedevo cosa sarebbe successo, che svolgimento avrebbe avuto, come si sarebbe materializzata quella profezia.Era l'appuntamento a cui pensavo da una vita. 'Dicevano fosse la mia Nazionale, dicevano sarebbe stato il mio Mondiale. Logico, per il Pallone d'oro in carica.Io stavo bene, o almeno me lo dicevo. Era nato Mattia, Andreina mi aveva seguito in America. La vedevo poco, ma anche solo la sua vicinanza, comunque, mi aiutava.Io stavo bene, ma non si vedeva. Non all'inizio, almeno. Càpita spesso che l'uomo si avvicini agli obiettivi della vita con troppa tensione. Ci ripenso ancora oggi, a com'era grande l'aspettativa attorno a me. Pareva quasi che le mie intuizioni, il mio talento, la mia classe, sarebbero potuti bastare, da soli, per salire sul tetto del mondo.Un tetto del mondo che avrei visto per un secondo, per poi cadere giù. Anche se questo, ancora, non l'avevo capito. Della profezia conoscevo la trama, non l'esito finale.Quando vidi entrare quella palla contro la Nigeria - e fu come osservare un azzardato colpo di biliardo - quando vidi tutto questo, iniziò il mio Mondiale. Dentro di me sentivo la pace, la pienezza, la grazia. Il mio stato vitale era purissimo.Il mio stato vitale mi accompagnò alla finale. Il mio stato vitale mirò alto quando si trattò di scegliere se rimanere o cadere dal tetto del mondo. E io caddi.Alcune cose non le dimentichi. Rimangono lì, al centro dei tuoi pensieri, bagaglio di cui faresti volentieri a meno, zaino di pietre del tuo futuro, del tuo presente,

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immagine ingrandita di un passato che poteva essere migliore.Il mio fardello si chiama Pasadena. Pasadena è il nome della profezia.Mi scorre ancor oggi davanti agli occhi quel fardello, quella profezia. E non è un belvedere, e non basta chiudere gli occhi per non vederlo. Ricordo, o per meglio dire percepisco, distintamente, come se lo rivivessi tutte le volte, il volo sgraziato della palla, il silenzio dei miei tifosi, il boato degli altri, l'abbraccio di Riva. Ma nessun abbraccio avrebbe potuto curare la mia solitudine. Ancora una volta, ero solo.Su di me se ne sono dette tante, fa parte del gioco. Quella volta, si disse - e più ancora si disse dopo, che non avrei dovuto giocare. Che dovevo lasciare spazio agli altri, che ero infortunato, che non fui incisivo. Era vera solo una cosa, la più importante, purtroppo: che non avevo giocato al meglio. Ma l'infortunio non c'entrava nulla. Potevo giocare, un affaticamento muscolare non mi condizionava di fronte all'appuntamento della vita. Un infortunato, con quel clima lì, sotto quel sole cocente, assurdo, televisivo, si sarebbe arreso dopo cinque minuti.Io no, perché non ero infortunato. Solo stanco, questo sì, come tutti i miei compagni di squadra. Spaesato, perché sentivo di vivere l'appuntamento della vita, e non lo stavo vivendo come avrei voluto. Teso, perché di fronte a una profezia la tranquillità interiore è una chimera.Di tempo ne è passato, eppure non ho mai smesso di pensarci.Gli anni immediatamente successivi a Pasadena, sono stati i peggiori.Non ero io, il fardello rendeva inconcepibili i dribbling dell'infanzia. No, non l'ho mai metabolizzato fino infondo. Perché perdere sul campo va bene, perdere per un rigore no. Non ci sarebbe da esultare neanche dopo la vittoria. Perché non è una vittoria. Mai.Chissà perché è salita così alta, quella palla. Ci sarebbe quasi da ridere, per uno come me, che di rigori ne ha sbagliati davvero pochi, e quei pochi se li è sempre visti parare. Mai un tiro alto, mai, neanche in allenamento, neanche per caso, neanche per disgrazia.Deve avere un senso, una logica, una giustificazione, se un uomo che sa mandare la palla dove vuole, se la vede andare da tutt'altra parte. Voglio dire, uno mira al centro della porta, a mezz'altezza, sapendo che il portiere si sarebbe comunque buttato da una parte.E invece la palla decolla (e decolla male), come comandata dall'alto da una mano invisibile. I brasiliani dissero che fu Ayrton, il grande Ayrton Senna. Dopo, non resta che dolore. Con cui dovrai imparare a convivere.A poco serve il resto. Che, anche se quel pallone fosse entrato, il Brasile avrebbe avuto un altra possibilità. Che, se proprio si volesse essere pignoli, più del mio, furono decisivi gli errori fatti prima. A nulla serve la consolazione facile della sfortuna. Io non ci ho mai creduto, alla sfortuna. Credo alla legge di causa ed effetto, per questo so che quell'errore ha avuto un senso, che doveva andare così. Anche se, ancora, non ho capito perché doveva andare così.Quel rigore l'ho tirato ancora, tante volte. In sogno, nel corridoio di casa, perfino in televisione. Ho sempre segnato.Nei sogni, tutto diverso. Prima della partita, riesco a dormire.La notte passa in un baleno, al mattino sono tranquillo, sereno.

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Entro in campo, le urla del pubblico sono mantra per la mia anima. Dal dischetto, ancor prima di tirare, so che segnerò. Inevitabilmente.Terminato il sogno, mi sorprendo sorridente, come se avessi segnato sul serio. Come se il fardello se ne fosse andato, la profezia invertita.Ma è illusione.Il peso rimane, la profezia non ha avuto lieto fine. Ma oggi fa meno male, questo sì.Roberto, perché questo libro?Difficile rispondere...Forse per fare un bilancio della tua carriera?Forse. Forse l'ho fatto anche per porre ordine ai miei pensieri. Per chiarire certe cose, a me stesso prima, agli altri poi.Qualcuno dirà che l'hai fatto per prenderti qualche vendetta.Proprio per questo ho pensato molto all'opportunità di scrivere o meno il libro.Certi dubbi mi sono rimasti. Ma io non ho vendette da consumare. Fondamentalmente, credo di avere scritto questo libro per un unico motivo.Quale?Dimostrare che ci sono ancora. Che nel frattempo sono finiti altri, non io. Mi considero un miracolo nella fede dell'uomo. Al mio posto, con una gamba in meno e un ginocchio come peggior nemico, avrebbero lasciato in tanti. Ma io ci sono ancora.E ci sei nonostante Pasadena, da cui vorrei partire...Dal momento più duro della mia carriera...In quali condizioni sei arrivato a quel Mondiale?Buone. Venivo da una stagione positiva, sentivo la fiducia attorno a me, ero stato protagonista nelle qualificazioni con la maglia azzurra. Avevo segnato in casa del Portogallo, poi una doppietta all'Estonia e un assist a Casiraghi a Roma contro la Scozia. Tra l'altro, nella partita di andata a Glasgow mi sono rotto una costola. Nella partita decisiva contro il Portogallo, il gol di Dino Baggio era nato da un mio tiro.Anche dalla tua vita privata ti arrivavano grandi gioie.Certo, era nato Mattia. Eravamo in ritiro a Carnago, uscivo di camera soprattutto per telefonare a mia moglie e sapere come stava nostro figlio. Quando, una volta, Andreina mi ha detto che il piccolo aveva dormito undici ore di filata, ho pensato: "Ha già capito tutto della vita".Andreina ti ha seguito anche in America.E' stata lei a volerlo, anche se sapeva che ci saremmo potuti vedere poco. Io all'inizio ero nel New Jersey, lei a New York, con Valentina e i miei genitori, senza conoscere la lingua, ma il fatto stesso che mi fosse in qualche modo vicina mi ha senz'altro aiutato.Pensavi mai a quanto ti aveva detto il tuo Maestro, prima di partire?Ci pensavo sempre, non solo quando recitavo Daimoku. Mi aveva detto che avrei incontrato molte difficoltà, che si sarebbe deciso tutto all'ultimo secondo. Non poteva fare profezia più calzante, ma al tempo non potevo certo saperlo.Attorno alla Nazionale di Sacchi c'era un certo scetticismo.Non era facile attuare gli schemi dell'allenatore, avevamo poco tempo utile per assimilarli. Questo era chiaro a tutti. Alternavamo partite ottime, come l'amichevole con l'Olanda, a prove molto meno convincenti.

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Tipo l'esordio con l'Irlanda.Una partita da dimenticare, eravamo paralizzati dal caldo e dalla paura. A fine partita eravamo stravolti.Dopo l'Irlanda, la Norvegia. La famosa partita della tua sostituzione, e del "questo è impazzito".Venivamo da parecchi giorni di ritiro, c'era molta tensione perché avevamo perso la prima partita e non potevamo più sbagliare. Il giorno prima dell'incontro, Sacchi mi chiama in disparte e mi dice: "Guarda che non stai giocando come nelle qualificazioni". Era vero, ma andava anche considerato che anche il mio ruolo era differente. Prima del Mondiale ero abituato a giocare con una punta davanti.Ero una sorta di centravanti di manovra che sfruttava gli inserimenti che partivano dall'esterno verso l'interno, di Signori e Donadoni. Dovevo fare sponda con loro, ero la boa arretrata. Contro l'Irlanda, invece, mi era venuta a mancare la punta davanti, giocavo troppo avanzato, mi sentivo escluso dalla manovra. Lui però mi ha tranquillizzato: "Robi, tu devi stare calmo, non devi preoccuparti dei nuovi schemi perché tu, per noi, sei come Maradona per l'Argentina.Fondamentale". Devo dire che quella frase mi caricò a mille.Sentivo addosso tante responsabilità, ero pur sempre il Pallone d'oro in carica, tutti si aspettavano la mia esplosione da un momento all'altro, e quell'affermazione, fatta dal mio allenatore, per me aveva un peso decisivo. Insomma, con una sola frase mi aveva tolto tutto il magone che avevo dentro, mi aveva ridato fiducia.E poi, contro la Norvegia, ti ha sostituito dopo dieci minuti.Quello che mi ha fatto male non è stata tanto la scelta tattica, perché non sono stupido e so che, quando una squadra perde il portiere e rimane in dieci, la cosa più naturale è togliere una punta. Per carità, tatticamente ci poteva stare quel cambio. A ferirmi, e molto, era la totale incongruenza tra quello che mi aveva detto il giorno prima, e quello che aveva fatto in campo: "Ma come, alla prima difficoltà mi togli? Allora non sono così importante come avevi detto". Era la prima volta, mi sono sentito preso in giro da Sacchi. E, lo confesso, ho perso fiducia nei confronti della persona, più che dell'allenatore. Se davvero mi avesse ritenuto il Maradona di quella squadra, non mi avrebbe mai tolto, neppure in quella situazione d'emergenza. Anzi, è proprio nelle situazioni d'emergenza che i giocatori di talento possono fare la differenza. Capisci che, appena ho visto il cartello della sostituzione che indicava il mio numero, mi sono detto: "Questo è impazzito!?": sì, l'ho detto, a bassa voce. Mi è venuto spontaneo. E stata un'espressione naturale in quel momento, una reazione ancora civile se vuoi, perché sarei potuto sbottare di più.Con che animo hai seguito la fine di quella partita?Con la speranza che i miei compagni di squadra ce la facessero, come poi è avvenuto. Se non avessimo vinto, ci saremmo fermati subito. Chi sostiene che ho tifato contro, non solo dice un'eresia, perché non concepisco l'idea di non tifare Italia, a prescindere dalla mia presenza in campo, ma, evidentemente, non ha neppure le idee chiare: cosa ci guadagnavo, io, da un'eventuale sconfitta? Sarei tornato a casa, come tutti, e sarei stato il primo capro espiatorio, come sempre.Da allora, come sono stati i rapporti tra te e Sacchi?Non c'è stato un litigio, se è questo che intendi, ma qualcosa si era rotto tra noi. Però,

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in quel momento, non c'è stato nessun chiarimento.In campo, faticavi ad essere determinante. Non hai disputato una grande partita neppure contro il Messico. In molti hanno detto che non eri un giocatore decisivo, ma una sorta di grazioso riempitivo, un ninnolo bello da vedere, ma che raramente incide sulle partite, specie nei confronti diretti.Questa storia del non essere decisivo, mi ricorda quella del leader: mi segue fin da quando ho iniziato a giocare. Ognuno è libero di pensarla come vuole. Io credo che un "ninnolo" non porti la sua Nazionale in finale ai Mondiali, e neppure faccia quello che ho fatto io in quasi vent'anni di carriera. Riguardo al difficile inizio di quel Mondiale, beh, ho cercato di avere delle reazioni positive. Però sono riuscito ad adattarmi piano piano.Ero legato, legato psicologicamente. E anche quel caldo maledetto mi condizionava.E' vero che eri molto nervoso, che telefonavi a Gian Michele, un tuo caro amico, alle tre di notte? Che ce l'avevi col mondo intero, che te la prendevi anche con lui?E' vero. Troppa responsabilità. Accidenti, dopotutto era il "mio" Mondiale, mi stava scivolando davanti, e io non riuscivo a dargli un verso, a lasciare un segno vero. Se non fosse stato per la mia fiducia nel Gohonzon, tutto avrebbe finito col somigliare a un incubo. Pregavo, pregavo molto. Più le cose diventavano difficili, più mi isolavo e tentavo, spesso recitando Daimoku e nel silenzio assoluto, di trovare dentro di me la forza necessaria alla mia condizione vitale.E arrivò la Nigeria, negli ottavi di finale.Anche lì, non potevamo iniziare peggio. Subito in svantaggio di un gol. La Nigeria era fortissima, non solo fisicamente. Non per niente aveva battuto l'Argentina. La critica l'aveva sottovalutata ingiustamente. E' però anche vero che, per larga parte della partita, abbiamo giocato male.Te compreso. Quando Sacchi inserì Zola, poi espulso per un delirio dell'arbitro Erizio Carter, in molti pensavano che saresti uscito tu.Ero poco tranquillo, sentivo addosso la pressione del mondo, non rendevo come dovevo. Ma, a giudicare da come sono andate poi le cose, credo che Sacchi abbia fatto bene a tenermi in campo.Già. A un minuto dal termine, il pareggio. E inizia un Mondiale tutto nuovo, per te e per l'Italia.Sì, lì è cambiato tutto. Ricevo palla da Mussi, la colpisco di destro, ne nasce un tiro che sfiora le gambe di un difensore per andare a morire contro il palo alla destra del portiere. Imprendibile.Un gol fortunato, per molti.Quando segni al novantesimo, un po' di fortuna c'è sempre, ma io la palla la volevo mettere proprio lì. E poi... Forse sì, c'è stato qualcosa di "speciale" in quell'ispirazione."Speciale" in che senso?Nel senso che, forse, quella volta il mio Maestro mi ha aiutato più del solito.O forse mi ha aiutato la mia fede, la mia fiducia in me stesso, la mia pace interiore. Che, nonostante le tempeste di quell'inizio di Mondiale, restava in me.Scattò qualcosa in te?Non mi sentivo più angosciato. Giocavo con facilità, mi riusciva naturale tutto ciò

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che volevo. Sì, ancora una volta, mi ero liberato. Poteva, doveva essere un'occasione fondamentale.Lo era. Gol decisivo alla Spagna, doppietta contro la Bulgaria.Nel primo tempo di quella semifinale, forse, si è visto il miglior Baggio.Del gol ai quarti, ancora allo scadere, ricordo l'abbraccio tra me e Beppe Signori a fine partita. La semifinale si è messa subito sulla giusta carreggiata, ma ho, ancora oggi, un rammarico, a proposito di quella partita.Quale?Eravamo tutti un po' stanchi, giocavamo a temperature infernali, qualcuno di noi aveva bisogno di rifiatare. Io compreso.Nel primo tempo, abbiamo avuto altre tre nitide occasioni per andare sul 3 a 0;. Lì lo scontro sarebbe finito, e nella ripresa sarebbe stato possibile fare dei cambi. Anche a me sarebbe piaciuto uscire. E invece loro sono andati sull'1 a 2 e siamo stati costretti a dare tutto fino alla fine.Infatti in quella partita ti sei infortunato. La tua presenza in finale è stata in dubbio fino alla fine.Non era nulla di grave, era solo un affaticamento muscolare, ma mi ha condizionato nella preparazione alla finale con il Brasile. Un infortunio non serio per altri, lo era un po' di più per la mia struttura "delicata". Ma volevo giocare a tutti i costi, nulla era più importante di quella finale. Avrei giocato anche se mi avessero tagliato la gamba, la finale di un Mondiale è una cosa che non ha un valore quantificabile, è semplicemente il massimo. La sognavo da quando avevo messo le prime scarpe bullonate.La tua tenacia era comprensibile, ma non credi che, avendo giocato quella partita, tu abbia in qualche modo svantaggiato l'Italia?Non eri al meglio, Zola era rientrato dalla squalifica. Per alcuni, la tua presenza ha costretto la Nazionale a giocare in dieci.Scusa, facciamo un po' d'ordine. Io stavo abbastanza bene, prima della partita, altrimenti non avrei giocato. Ho provato tutta la mattina prima della gara. Ho fatto un provino vero e proprio, dentro un albergo, in una sala usata di solito per i ricevimenti matrimoniali. Avevo le scarpe da ginnastica, avevo calciato contro una parete fino allo sfinimento. I muscoli rispondevano, le gambe pure, dolori vari a parte. Ti assicuro, ce la potevo fare tranquillamente.Ma chi ha visto quella partita non può darti ragione facilmente.Nella semifinale avevamo giocato con quaranta gradi, il 100% di umidità, una situazione penosa. Dopo tre giorni, ho giocato e corso per centoventi minuti. Se fosse stata una cosa grave, con quel clima, il caldo, il fuso orario, il viaggio aereo, la tensione nervosa, se dopotutto non fossi stato in buone condizioni, beh, forse sarei collassato e avrei rischiato la pelle. Tieni poi conto che noi ci eravamo sorbiti sei ore di aereo per arrivare in California, mentre il Brasile era già lì in zona e sicuramente fu avvantaggiato da questo. E aveva avuto un cammino meno difficile del nostro per arrivare alla finale. Se io non fossi stato integro fisicamente, non avrei retto così tanto. L'Italia non ha giocato in dieci. E' possibile che all'inizio fossi legato, che avessi inconsciamente paura di farmi male, ma, dopo un po', mi sono sbloccato.Scusa se infierisco, ma la tua non è stata proprio una grande partita.

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Non lo è stata, come non lo è stata per gran parte della squadra.Eravamo sfiniti.Che ruolo ha avuto Sacchi nella vicenda?Ha fatto decidere me. Mi ha chiesto prima della partita se me la sentivo, gli ho risposto di sì, a quel punto mi ha schierato. La responsabilità è interamente mia.Ikeda aveva ragione: il Mondiale si sarebbe deciso all'ultimo secondo.A volte càpita che hai intenzione di fare una cosa, e ne vien fuori un'altra. Noi italiani eravamo meno in forma e aggressivi di loro, per i motivi che ti ho detto. Ora, io non voglio esagerare, ma di rigori, in carriera, ne ho sbagliati pochi. E, anche quando non ho segnato, è perché me li hanno parati, non perché li ho tirati alti. Questo per farti capire che quanto è accaduto a Pasadena non ha spiegazioni semplici. Quando sono andato sul dischetto ero relativamente lucido, per quanto si possa esserlo in quei momenti. Sapevo che Taffarel si tuffava sempre, lo conoscevo bene, così ho deciso di tirare centrale, a metà altezza, mezzo metro o poco più, giusto perché Taffarel non riuscisse a prenderlo con i piedi.Era una scelta intelligente, perché Taffarel effettivamente poi si è buttato alla sua sinistra, e la traiettoria centrale che avevo in mente io non l'avrebbe mai presa. Purtroppo, non so come, il pallone mi s'è alzato di tre metri, ed è volato sopra la traversa.I brasiliani hanno detto che la parabola te l'aveva alzata Senna, dal cielo.Chissà. E' la spiegazione romantica di un atto tecnicamente inspiegabile, se non con la mia stanchezza.Te la sentivi di battere quel rigore?Ero il primo rigorista, non c'era motivo perché non lo battessi.Non sono mai scappato di fronte alle responsabilità. Come ho più volte detto, i rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di batterli. Quella volta ho fallito. Punto.E' stato il momento più brutto della tua carriera?Sì. Mi ha condizionato per anni, lo sogno ancora. Uscire da quell'incubo è stata dura. Se potessi cancellare un'immagine dalla mia vita sportiva, cancellerei quella.Quello che molti si dimenticano, di quel rigore, è che, anche se tu lo avessi segnato, il Brasile avrebbe avuto ancora la possibilità di vincere con l'ultimo tiro dal dischetto. Prima dite, avevano sbagliato Baresi e Massaro.Fa parte del gioco. Ho sbagliato l'ultimo rigore, "cancellando" quelli dei miei compagni. C'era da confezionare un'immagine per quel Mondiale, hanno scelto il mio errore. Tanto per cambiare, quando si è trattato di scegliere un agnello sacrificale, hanno preso me. Dimenticando che, senza di me, a quella finale forse non ci saremmo arrivati.Avevi uno sguardo pietrificato.Mi è rimasto a lungo, quello sguardo. Rammento l'abbraccio di Riva, l'affetto dello staff della Nazionale. Ma io non c'ero già più con la testa, non ce la facevo ad accettare com'era andata a finire.Quando i miei compagni sono andati a cena, mi sono chiuso in camera da solo. Ancora una volta, per risolvere i miei problemi, ho scelto l'isolamento.Dopo Italia '90 ancora un'eliminazione ai rigori.

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Questa è una cosa che non riuscirò mai ad accettare. Perché se perdi sul campo va bene, è regolare, anche se magari avresti meritato di più. Ma ai rigori no, non è giusto. Ti sembra concepibile che quattro anni di sacrifici vengano vanificati da tre minuti di calci di rigore? A me, no. Non è giusto perdere in quel modo, non da gusto neanche vincere. Molto meglio il golden gol, allora. O, come si faceva una volta, in caso di pareggio, rigiocare la finale.Perso il Mondiale, Sacchi ha cambiato radicalmente atteggiamento con te.Perché?Me lo sono chiesto molte volte, ma non l'ho mai chiesto a lui. Io so solo che, quando ho finito il Mondiale, avevo 27 anni e 24 reti in Nazionale. Ero a undici gol da Riva, ce l'avrei fatta a raggiungere quell'obiettivo. Meritavo un altro trattamento, e invece Sacchi mi ha chiamato sempre meno, l'ultima volta il 6 settembre '94;. Ho giocato gli ultimi minuti, poi più niente. Speravo in un po' di gratitudine da parte sua. Avrei capito un'esclusione tecnica, ma quella non lo è stata. Sembrava una cosa più personale.Forse non ti ha mai per donato quell'errore dal dischetto.E' una cosa che ho sentito dire, forse anche lui aveva bisogno di un parafulmine. Non lo so e credo che non lo saprò mai. Ti dirò di più: non lo voglio neanche sapere, davvero.Hai seguito in televisione gli Europei del '96?No. Guardavo solo i gol. Tifavo Italia, ma avevo altro da fare.Che effetto ti ha fatto la fine della sua carriera di allenatore?Non mi ha stupito. L'idea che ho sempre avuto di Sacchi è quella di un uomo totalmente immerso nel suo mondo di schemi e lavagne.Valido, capace, ma troppo "dedicato", troppo intento a quello che fa. Troppa tensione nervosa. Vedi, io ho sempre pensato che, finché si può, è giusto non prendersela più di tanto per le cose della vita.Ancor meno per quelle del calcio.Nei limiti che ormai conosci, ho sempre cercato di applicare questo principio e, a modo mio, ci sono riuscito. Nonostante tutto ho sempre cercato di conservare il mio equilibrio, mantenuto le distanze.Per Sacchi, non credo che valga la stessa cosa.Sembri ancora serbare rancore per lui.No, questo no. Il rancore, parola che amo poco perché rappresenta un sentimento negativo, non lo conservo per nessuno.Rabbia, beh, quella per qualcuno sì.Lippi? Ulivieri?Lasciamo perdere.Torniamo a Sacchi.No, per lui, ormai, neppure rabbia. Vivo seguendo la legge di causa ed effetto, so che il mio unico compito è quello di creare cause positive. Sono fatalista, basta lasciare che le cose accadano, che seguano il loro verso naturale. Cinque anni fa, Sacchi era l'uomo più potente del calcio italiano; oggi, a quello che capisco, non è più in grado di allenare. Non è un caso che sia finita così. Io lo sentivo già.Non ne hai certo goduto.

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Forse lo hanno fatto altri, Sacchi aveva molti nemici. Alcuni avranno esultato della sua sconfitta, non io. Sai una cosa? Ci siamo riabbracciati. Non ci vedevamo dai tempi, tutt'altro che felici, degli ultimi mesi al Milan, nel '97;. Ci siamo ritrovati a Como, non molto tempo fa, per girare lo spot della Wind, quello dove il rigore di Pasadena andava in rete e vincevamo il Mondiale. Un errore storico, tra l'altro, perché, anche segnando, il Brasile avrebbe avuto un altro match-point. Ma si sa, nella pubblicità è lecito alterare il vero. Non fu invece alterato, tantomèno finto, l'abbraccio tra me e Sacchi. Mi ha sorriso, mi ha invitato a Fusignano.Durante la lavorazione, tra una pausa e l'altra, non ha fatto altro che parlare e tentare di spiegare. Seduti su due palloni abbiamo rigiocato il Mondiale americano. E l'abbiamo vinto.

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Buddhità.

Vedo le Vie dei Canti che spaziano per i continenti e i secoli; uomini che hanno lasciato una scia di canto (di cui ogni tanto cogliamo un'eco) ovunque sono andati...Bruce Chatwin, Le Vie dei Canti.

Con l'idea della morte ho imparato a conviverci, come una cosa naturale, che fa parte delle cose. Non l'aspetto, ma so che arriverà.Non mi fa paura, perché so che sarà una fine che preparerà un nuovo inizio. Solo che quella volta mi parve come se fosse arrivata un pò troppo presto.Non so che lineamenti abbia la morte, e non mi interessa saperlo. Non c'era faccia, quella volta, né falce. Solo acqua. Tanta acqua, freddissima. Gelida.Ci sono abbracci che insegui, altri che vorresti evitare. L'abbraccio di quell'acqua sembrava l'ultimo che avrei ricevuto in questa vita. Non è stato molto tempo fa. Non l'ho mai raccontato a nessuno.Forse la racconterebbe meglio Ferruccio, questa storia. Ferruccio era l'uomo nella barca che mi vedeva annegare. Ferruccio era il mio compagno di caccia, quella volta, e poteva essere il testimone della mia ultima sfida. Una sfida che, ragionevolmente, avrei dovuto perdere.Perché, quando un uomo come me, che non sa nuotare neanche nei sogni, cade in acqua, e l'acqua è così alta da farti a malapena immaginare il fondale, la cosa più logica che accada è che vada giù. E ancora più giù. Fino alla fine. Quella volta, non andò così. E sono l'ultima persona che sa dare una risposta accettabile a questa stranezza.Era una mattinata del nord-est. Attorno a me, il Veneto sprofondato nella nebbia, oltraggiato da una bora che non la finiva di soffiare. Gennaio, il freddo che ti scàrdina le ossa e non se ne va più. Immaginando la riva a trecento metri, ripensavo alla posta appena conclusa, alla natura attorno a me, al buio complice dell'anima.I suoi struggimenti.Non c'era nulla di straordinario, quella volta. Era stata un uscita, come tante altre. Quella sensazione di uomo in pace con se stesso, così fortunato da vivere circondato dal miracolo della palude, sempre uguale e sempre diverso, la conoscevo benissimo.Conoscevo molto meno - chissà, forse pensavo troppo, in fondo anche questo è sempre stato un mio difetto - la capacità che ha il vento di alzare le onde. Un'onda che fece scartare la prua della barca fu un attacco che non vidi. Lo sentii arrivare tardi, quando ero solo testimone passivo del mio scarto in aria. Un volteggio disgraziato, che il mio amico osservò ansimando, cosciente di ciò che appariva inevitabile.Un'acqua di ghiaccio entrò negli stivali, li rese piombo. Sarei andato a fondo comunque, non c'era bisogno di quell'affronto ulteriore.Fu la volta che non vidi attorno a me speranza.Si dice che quando si sta per morire, ti passa davanti tutta la vita, come in un film. Io non vidi nessun film. Solo due immagini, fortissime. La prima era un fermo

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immagine, al centro dell'inquadratura c'erano gli oggetti di culto. La mia vita, il mio Gohonzon.La seconda era mio figlio, il piccolo Mattia, che mi sorrideva. No, pensai, non ancora. E' troppo presto. Non posso lasciarlo, lasciarli soli. Non ancora.Tra l'annegamento e l'assideramento, scelsi l'assurda speranza.Ferruccio cercava di avvicinare la barca, ma il motore era spento.A differenza di me, non poteva molto lottare.Ferruccio remava verso di me, io nuotavo - sì, io che non avevo mai saputo nuotare, nuotavo - verso di lui. E la raggiunsi, la barca. Col terrore di morire assiderato, con la gamba sconfitta da un crampo, col volto di mio figlio davanti, la raggiunsi.Il resto è ricordo confuso. Ferruccio che parla, il corpo che non lo senti perché te lo ha rubato il gelo, l'arrivo a riva, gli amici ignari di ciò che è stato, tanta acqua, ora calda, su parti del corpo assiderate, come morte, che nel dolore rivìvono. Dopo, solo molto dopo, il loro abbraccio. Ero ancora vivo. Lo capivo, veramente, solo allora.E' lo spirito che trasale, non più di freddo. E' il cervello che non comprende. E' la tentazione di credere in un miracolo. E' l'unica risposta che è, inevitabilmente, dubbio.No, neppure io so come ho fatto a non morire. Però una cosa, sì, la so bene. So che una settimana dopo ero ancora là. Stessa barca, stesso posto, stesso tragitto. Se avessi aspettato, avrei dato a quella cosa che chiamiamo terrore il tempo di crescere. Avrei perso il controllo, avrei perso la mia volontà.Oggi, viaggio ancora sopra quella barca. Non ho motivo di avere timore dell'acqua, del freddo, del vento. Neppure la nebbia mi inquieta. Attraverso, al di là della coltre, scorgo sempre il sorriso di Mattia.Lo contemplo, lo inseguo. E lo raggiungo. Sono un germano, un germano figlio del vento di bora e lo capisco. La morte può ancora aspettare.Ti sei definito "miracolo nella fede dell'uomo". La tua vita ruota attorno al buddhismo.Il buddhismo è la base della mia vita. E' la cosa più bella che potevo incontrare e scoprire. E' ciò a cui affido la mia vita.In molti hanno ironizzato su questo aspetto...Non ho mai dato troppa importanza a quanto si diceva su di me. Di sicuro se non avessi incontrato il buddhismo non avrei potuto sconfiggere i miei problemi fisici e tu non saresti qui ad ascoltarmi. Sulla mia persona si è scritto tanto e ironizzato gratuitamente, ma questo non ha mai ostacolato il mio percorso di fede, semmai ha contribuito a farmi crescere e migliorare.Come ti sei avvicinato al buddhismo? Sesto di otto fratelli, venivi da una famiglia cattolica praticante.E' successo a Firenze. Era la fine dell'87 e stavo attraversando un periodo molto difficile. Due anni prima, mi ero rotto il ginocchio: tutti mi dissero che avrei dovuto smettere. A distanza di due anni non riuscivo a trovare continuità, non credevo in me stesso. Uscivo poco, sia perché dovevo stare quasi sempre col ghiaccio sul ginocchio, sia perché avevo paura che, se qualcuno mi avesse visto fuori, avrebbe pensato: "Ehi, guarda Baggio, invece di curarsi, si da alla bella vita". Una delle poche uscite che mi concedevo, era quella che mi portava dal mio rivenditore di dischi, in centro.

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Maurizio Boldrini, tuo grande amico. Molto più grande di te.E' stato Maurizio ad avvicinarmi al buddhismo. Nel buddhismo è una catena. A me ne ha parlato Maurizio, a Maurizio un altro ancora, e via così. La punta dell'iceberg è il mio Maestro, Daisaku Ikeda. Se sono buddhista, devo ringraziare tutti i membri sinceri della Soka Gakkai. Ho avuto compagni di fede che mi hanno incoraggiato e sostenuto in tutte le città dove ho giocato: a Firenze c'era il signor Kaneda, a Milano il signor Kanzaki, giusto per citare due pionieri del buddhismo in Italia, ma come dicevo non dimentico tutti coloro che in questi anni hanno contribuito alla mia crescita spirituale. Ciò non toglie che Maurizio abbia avuto per me grande importanza. Fin da quando ci eravamo conosciuti, mi aveva parlato di buddhismo. Mi diceva che praticare mi avrebbe aiutato molto. Era inverno, avevo addosso una malinconia che non hai idea. Ed ero molto, molto diffidente. Quel mondo di "cose mistiche" era visto con molto scetticismo. Io stesso ero molto ignorante in materia. Tutte le volte che me ne parlava mi venivano in mente gli uomini in arancione, gli Hare Krishna... insomma, facevo molta confusione.Eri cattolico?Bah, ero sempre andato a messa la domenica fino a quando il calcio me lo aveva permesso. Avevo anche fatto il chierichetto con gli amici, ma la mia non era fede profonda, solo abitudine.Me ne accorsi quando smisi di andare a messa. Era una mancanza che non mi provocava dolore, come un'usanza che un giorno non c'è più.Come hai sconfitto lo scetticismo nei confronti del buddhismo?Ci ho messo un po' di tempo. Tendevo a vedere soprattutto l'aspetto esteriore. Le religioni "altre" mi pareva avessero qualcosa di strano.Maurizio ha avuto il merito di insistere, alla sua tenacia devo tanto.Incuriosito dai suoi discorsi, un giorno sono entrato in una libreria che era famosa per avere testi di letteratura religiosa. Mi sono avvicinato al commesso del reparto "misticismo".Ero imbarazzato, avevo come la sensazione di inoltrarmi in un territorio dal quale avrei fatto bene a tenermi alla larga.Ricordi bene quel giorno?Eccome se lo ricordo, distintamente. Ero così imbarazzato che ho sentito il dovere di giustificarmi. Ho chiesto al commesso se poteva consigliarmi qualcosa sul buddhismo, specificando la mia ignoranza in materia. Non dimenticherò mai la sua espressione diffidente, il colorito biliare, quelle labbra sottili. Mi sentivo come nell'anticamera d'un tempio-tribunale soprannaturale.Chissà, pensavo, magari questo qui in realtà è uno "spirito" messo lì dalla cancelleria celeste per separare i clienti dotati di un'anima da quelli che ne sono sprovvisti.E alla fine lo "spirito" ti ha assolto?Mi sono salvato in calcio d'angolo. Mentre mi guardava fisso, mi sono ricordato alcuni titoli che mi aveva consigliato Maurizio. Ne ho chiesti due, li ho comprati, ho iniziato a leggere.Che periodo era?Ho iniziato questa esperienza il 12 gennaio del 1988;. Una data simbolica. Mi piaceva che, con l'inizio di un nuovo anno, iniziasse per me anche una vita nuova. Avevo la

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fortuna di vivere vicino ad uno dei centri buddisti più importanti d'Italia, a Sesto Fiorentino.Ricordo ancora lo stupore, e anche lo sconcerto, con cui Andreina e le nostre famiglie accolsero la novità. Io e Andreina vivevamo insieme da poco. Lei aveva paura, era contraria alla mia prova.Vederti pregare due ore al giorno da un momento all'altro...Creava anche dei problemi pratici. Quando andavamo in vacanza, lei, giustamente, voleva fare tardi, e io invece le chiedevo di tornare a casa, perché dovevo pregare. Mi rendo conto ora di essere stato egoista, ma in quel momento era giusto, necessario che facessi così.Quanto è durata l'opposizione di Andreina?Un anno e due mesi. Poi, un giorno, l'ho vista pregare dietro di me, quasi di nascosto. Aveva capito quanto il buddhismo mi avesse aiutato. Da quel giorno, non ha più smesso. Pregare e praticare insieme è divenuta una necessità.E i tuoi figli? Come ti comporterai con loro?Saranno loro a scegliere, com'è giusto che sia. Se poi mi chiedi se mi piacerebbe che anche Valentina e Mattia abbracciassero il buddhismo, la mia risposta non può che essere sì. Già adesso, Valentina mi fa domande quando mi vede pregare, è curiosa.Conoscendo il buddhismo so quanto li aiuterebbe a crescere, ma non sarò certo io a spingerli verso quella scelta.Torniamo al tuo periodo di prova.Mi ero dato sei mesi di tempo, al termine dei quali avrei valutato se la fede mi aveva aiutato. Non avevo nulla da perdere, e sicuramente quel momento diffìcile mi ha reso disponibile, aperto al nuovo. Anche se era un nuovo pieno di dubbi. Naturalmente, come altre volte nella mia vita, toccava a Maurizio e altri amici darmi una mano.In che senso?All'inizio li snervavo. Ero ossessivo. Andavo da loro la mattina presto, avevo bisogno di confrontare le nostre esperienze.Spesso li tiravo giù dal letto. Andavamo in cucina, prendevamo un caffè e giù, a parlare per ore. Era bellissimo. Il più coinvolto è stato Maurizio, il responsabile iniziale. Il giorno di Capodanno dell'88 ho suonato il campanello di casa sua. Erano le sette e mezzo di mattina. Ero proprio animato da sacro furore, non mi avrebbe fermato nessuno. Lui aveva festeggiato la fine dell'anno, come tutte le persone normali. Era andato a dormire neanche tre ore prima. Mi apre con gli occhi gonfi di sonno, poi fa: "Ah, sei tu. Che vuoi, che accidenti è successo?"."Devo iniziare il cammino, ora, subito - faccio io. - O mi prendi ora o non mi prendi più... ".Immagino Maurizio.No, non puoi immaginarlo. Aveva una faccia da film, non poteva credere a quello che vedeva. Era, in effetti, una situazione fuori dal mondo. "Ma tu sei matto, matto da legare. Con tutti i momenti che potevi scegliere... Come diavolo gira quella testa?". Ma io ormai avevo deciso. Avrai notato che sono testardo, testardo in modo disumano. In quella mattina di un gennaio fiorentino - ovviamente un freddo boia - è iniziata la mia esperienza di fede. Ho continuato, avevo bisogno di continuare, era naturale che continuassi. Sono ormai più di tredici anni che vado avanti. Ti posso

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tranquillamente dire che è diventata la sorgente fondamentale del mio flusso, della mia condizione vitale. Sì, è il fondamento di tutto.Da quel primo gennaio 1988 non hai più smesso di osservare?Mai. Neppure un giorno. Anche solo una pausa brevissima sarebbe intollerabile. Prego almeno due ore al giorno. E' un appuntamento irrinunciabile della mia vita. In qualsiasi luogo, situazione, circostanza, ho sempre pregato. In ritiro, all'estero, quando ero malato: sempre.Perché è così importante praticare sempre?Perché la meditazione e la preghiera sono i sentieri vitali attraverso cui è possibile addestrare la mente, renderla aperta e illuminata, felicemente portata alla compassione, alla saggezza, al bene supremo. E' un addestramento rigoroso, che non ammette distrazioni.Anche il tuo manager attuale, Vittorio Petrone, è buddhista.E' attraverso questa esperienza che ci siamo conosciuti.Praticare il buddhismo insieme ci ha permesso di sentire le nostre vite più in profondità. Col trascorrere del tempo il nostro legame è andato trasformandosi e posso definire oggi Vittorio come il mio migliore amico.Ci uniscono la fede buddhista, la determinazione, la sensibilità verso alcuni aspetti dellavita, la voglia di progettare obiettivi e sognare di raggiungerli.Certamente siamo diversi nel modo di porci, però è anche vero che non esito a definirlo il mio alterego: Vittorio è una persona di cui mi posso fidare totalmente e, dopo averlo visto lavorare in tutti questi anni, aggiungo che è una persona soprattutto capace e onesta.Nel corso dell'ultimo viaggio in Giappone, nell'ottobre del 2000 il nostro maestro Daisaku Ikeda, vedendoci insieme e parlando ai nostri cuori, ci ha invitato a sviluppare e far crescere il sentimento di amicizia che ci lega. Ha poi aggiunto che gli piacerebbe scrivere un libro sull'amicizia e Vittorio ed io potremmo essere in grado di ispirare un capitolo del suo libro.Con Vittorio, essendo il mio manager a livello internazionale, devo necessariamente affrontare diversi temi professionali, ma non perdiamo occasione per recitare Daimoku appena possiamo.Credo che tutto ciò rappresenti un unicum nel mondo di oggi; Quando hai capito che il buddhismo era la tua fede?Il buddhismo è una pratica complessa, non c'è stato un giorno preciso in cui ho capito che quella era la mia strada. Il buddhismo è una ricerca, un percorso che non ha mete o traguardi, se non quello dell'illuminazione, di ciò che noi chiamiamo buddhità. La parte teorica è importante, ma conta anzitutto quella pratica, l'esperienza di vita. Il buddhismo ti insegna a creare valore in tutte le cose. No, non mi sono trovato subito a mio agio, spesso mi mancava il terreno sotto i piedi. Ancor prima di provare interesse a livello d'intelligenza, e di cuore, avvertivo l'inquietudine di un pensiero che sembrava fatto apposta per spingermi fuori dai sentieri battuti.Cioè?L'idea-base del buddhismo è rivoluzionaria: ognuno è responsabile di quello che gli succede: tutto ciò che ti càpita, è colpa o merito tuo. Il buddhismo è una sfida durissima alla propria mente, è qualcosa che ti apre la mente ma che, al tempo stesso,

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la destabilizza. E' una guerra a tutte le vecchie certezze consolidate.Questa consapevolezza, questo approdo all'autodeterminazione, ti ha aiutato a superare il trauma dell'infortunio?Certamente. Al centro del buddhismo, c'è la consapevolezza che tutto quello che accade è dentro di te, non fuori. Sei tu che determini ciò che ti succede. Non c'è spazio per il vittimismo.Rimanere prigionieri di un lamento è sbagliato, oltre che inutile.Prendiamo il mio infortunio, quello che avrebbe dovuto porre fine alla mia carriera, nel 1985;. "Perché proprio a me?", ci si chiede di solito in questi casi. La fede, invece, t'insegna a non vedere più le cose da questa angolazione, ad osservare il problema con occhi diversi. Quando si prova una grande sofferenza, ad esempio quella che provavo io quando mi sono avvicinato al buddhismo, il mondo sembra immobile. Le ore e i giorni interminabili. Si ha tempo solo per soffrire. Tutto cambia quando si vive in uno stato di grazia, appagamento positivo. Il buddhismo è ricerca di sé. Acquisito lo stato di grazia vitale, non solo si superano i problemi, ma ci si sente in comunicazione col mondo. Credimi, allora la sola vista di un tramonto, l'ascolto di un brano musicale, possono influire sulla vita di una persona regalandogli emozioni profonde, spesso determinanti.Com'era possibile trovare lo "stato di grazia vitale", nella tua condizione di ventenne con la carriera a rischio?Vedi, io all'inizio avevo occhi solo per la mia sfortuna. Non guardavo nient'altro, non avevo altri interessi: esisteva solo il mio dolore. E' difficile da spiegare ma, nella vita, è come se la realtà esterna facesse risuonare la campana che ognuno di noi ha dentro di sé. Se la campana è di puro bronzo usciranno note di coraggio e gioia; qualsiasi evento, anche il più difficile, produrrà una melodia armoniosa, appagante. Se la campana, al contrario, è stata ottenuta fondendo metalli di scarto, fornirà note cupe, stridule, esasperanti; neppure l'accadimento più straordinario potrà cavarne fuori una musica in qualche modo piacevole.Sei riuscito a trovare in te la "campana di puro bronzo"?Credo di sì. E quella la chiave di tutto. Pensa a quando pratichiamo, a quando ci raccogliamo in meditazione. La differenza fondamentale con le preghiere di altre religioni è che ci impegniamo soltanto con noi stessi, per cercare la saggezza. Tutto è in te, dipende da te. Quando Shakyamuni dice, nel secondo capitolo del Sutra del Loto, che desidera far aprire l'occhio della saggezza del Buddha a tutti gli uomini intende dire, anzitutto, che gli uomini possiedono già la saggezza, lo stato di Buddhità.Solo che non sanno di possederlo, o faticano a trovarlo. Per questo si parla di stato innato di Buddhità. Il buddhismo insegna a cercare la forza latente che è in ognuno di noi. Una forza spesso sopita, ma comunque esistente. Se la trovi, la vita migliora in modo radicale.Anche per questo, più che di religione, a proposito del buddhismo, alcuni preferiscono parlare di filosofia, stile di vita, o codice etico. Non è facile classificarlo.No, non è facile, non è neppure necessario, classificarlo. E' un messaggio rivoluzionario, un invito a cercare se stessi. Poco conta, poi, la definizione. La definizione di una rivoluzione potente.

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Tu stesso riconosci il buddhismo come una pratica dura. Per il buddhismo Hinayana, detto del Piccolo Veicolo, più tradizionale, l'illuminazione è possibile solo per pochi eletti. Ritieni il buddhismo alla portata di tutti?Premesso che il mio buddhismo è quello Mahayana, cioè del Grande Veicolo, accessibile a tutti, credo che il buddhismo possa essere compreso da chiunque, proprio in virtù della forza, della buddhità innata che è in ognuno di noi. Ma il punto è un altro. C'è un momento per tutte le cose: quando arriva, bisogna saperlo cogliere. Lo si deve volere. Il mio momento era il 1988;.Quello, non un altro. Da allora non ho più smesso. Il buddhismo è una pratica assidua, esigente, ma credo che, una volta scoperto, sia impossibile farne a meno.E' il "Conosci te stesso" di Socrate, o, piuttosto, il "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" di Gesù di Nazareth?Direi entrambe le cose, forse qualcosa di più. Il buddhismo supera altre grandi correnti di pensiero per la sperimentazione quotidiana, continua della compassione. Una compassione che è qualcosa di più completo dello sforzo di amare i propri nemici, obiettivo dei cristiani. La compassione buddhista è condivisione sofferta e totale del loro stato vitale, è realtà d'aiuto a superare la condizione negativa che li ha portati all'odio.Come afferma il mio Maestro Ikeda, e come affermava il suo Maestro Toda: "La compassione è tutto per la fede ed è fonte di energia fondamentale. Fintanto che siamo vivi, ci mette in contatto con il cosmo e protegge le nostre azioni. Quando siamo morti, diventa l'energia che ci farà rinascere... ".Stai dicendo che il buddhismo è la migliore religione tra le tante esistenti?No, non ho detto questo, non dirò mai che il buddhismo è la migliore religione del mondo. Dico piuttosto che per me è la pratica migliore, quella che meglio si adatta al mio flusso vitale.Non ho verità indiscutibili da comunicare, solo la mia esperienza di vita. Detto questo, ognuno deve trovare la propria strada, seguendo le sue inclinazioni personali. "Ama e fai ciò che vuoi", come dice il mio amico Benigni, citando Sant'Agostino.Se fraintesa, può essere un invito al menefreghismo.L'hai detto: se fraintesa. La massima di Sant'Agostino è un invito al rispetto. Io cerco di condividere, di rispettare, di compatire più che posso. Mi viene naturale, specialmente con gli anziani e i bambini. Forse è lì che riconosco i miei amici veri, i fratelli migliori. Proprio adesso sto leggendo un libro del mio Maestro Ikeda. Parla degli anziani. E' incredibile come il buddhismo abbia aiutato persone di ottanta, novant'anni a riscoprire il valore della vita. Grazie ad esso, anche in età molto matura, si può creare valore, capire. E rinascere, di fatto.Ti è mai capitato di convenire qualcuno, magari tra i tuoi colleghi calciatori?E' una domanda che mi è stata fatta altre volte. C'è una strana curiosità attorno a questa vicenda, e anche un po' d'ignoranza. E' come se qualcuno mi immaginasse come una sorta di predicatore, che va in ritiro a diffondere il proprio verbo. Non è così, ma proprio per niente. Sono una persona riservata e lo divento ancor di più quando si parla di fede. Non mi va di parlarne con leggerezza. Posso dirti che molti compagni di squadra mi hanno fatto delle domande, spinti dalla curiosità, ma la cosa è rimasta lì. Evidentemente non era il loro momento. Comunque, lo ribadisco, quello

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che conta è la testimonianza di vita. Il resto è niente.Eppure si dice che, nel ritiro della Nazionale prima di Usa '94 a Carnago, Roberto Baggio abbia convertito il suo compagno di stanza...Quello era un mio scherzo, uno dei tanti. C'era un giornalista che mi chiedeva con insistenza se avevo mai convertito i miei compagni di stanza, dato che pregavo tutte le sere. Io gli risposi, serio, che da solo era un'impresa ma che, grazie alla sua fidanzata buddhista, avevo cominciato a convertire il mio collega, notte dopo notte. Il giornalista mi chiese chi fosse mai il mio compagno di stanza. Ed io: "Semplice, un certo Roberto... Che io sappia, è l'unico che dorme con me".Non ci rimase benissimo.L'essere buddhista ti ha aiutato concretamente nella tua carriera?Assolutamente. Il buddhismo mi fa pensare alle cose che contano, mi fa stare bene, mi carica. E mi aiuta a non perdermi. Ti faccio un esempio. Quando giocavo negli allievi del Vicenza, eravamo così bravi che a volte arrivavano a seguirci anche mille persone. Bene, di quel gruppo straordinario, solo io sono riuscito ad emergere.Qualche anno fa, a Verona, ho aperto il giornale e ho visto che uno dei miei compagni di squadra di allora era stato arrestato per spaccio di eroina. E' stato un grande dolore, per il mio amico ma anche per me stesso. Ecco un altro che avevo lasciato per strada, che non avevo aiutato. A certi livelli, perdersi è più facile di quanto si creda. Senza buddhismo, probabilmente, a quest'ora sarei a battere il ferro con mio padre, a Caldogno. Oppure, peggio ancora, farei il bracconiere, o chissà che altro. Nelle condizioni in cui ero, smettere era la cosa più facile. Ma la vita è sfida, il buddhismo sfida continua. E a me piacciono troppo le sfide, soprattutto quelle estreme.Anche proseguire la carriera con quel ginocchio, è stata una sfida estrema.Eccome se lo è stata. E' chiaro, per me: niente succede per caso.Io il buddhismo ce l'avevo dentro, era una tendenza spirituale e un'esigenza innata. Maurizio, gli altri amici, Firenze mi hanno aiutato a prenderne consapevolezza. O meglio: mi hanno aiutato a prenderne consapevolezza nel momento giusto, decisivo della mia vita. Chiaro che era un momento di forte dolore. All'inizio non avevo coraggio. Sopportavo troppo passivamente le mie disgrazie. Che poi nascevano da colpe mie, da errori fatti in precedenza.Lo so, è dura da digerire, lo era soprattutto per me, ma è così.Questa consapevolezza ti ha aiutato?Ho capito che dovevo reagire. La fede era la strada maestra: praticando, dovevo trovare il coraggio di vivere. Era ed è un continuo allenamento spirituale al coraggio. Io ci ho messo la mia determinazione talvolta inspiegabile, la mia incoscienza, il gusto dell'impossibile. Lo so, non sono normale. A volte, durante l'allenamento, ho male, dolori che mi trapanano il cervello.Ma non dico: ok, mi fermo. Vado avanti, oltrepasso il dolore.Con il tempo, sono arrivato a capire che dovevo avere la forza e il coraggio di andare più in là, sempre di più. Il dolore lo sopportavo, non avevo paura di niente, non mi interessava minimamente il giudizio degli altri.Andare oltre: era questo che faceva la differenza. Altri mollavano, io no. Capisci?Credo di sì.

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Di fronte al dolore, ai fastidi che avevo, non mi sono mai fermato. Avevo male, ma non importava. Quella che veniva scambiata per stupidità era la mia forza, la mia generosità. Mettevo in gioco me stesso, più di quanto non facessero gli altri. Te lo garantisco, con il male che ho io al ginocchio avrebbero già smesso quasi tutti.Un po' forte, come affermazione.Non credo. Io sto male da sedici anni, gioco con una gamba e mezzo, ma non mi lamento mai.Hai mai pensato al gol come ad una sorta di illuminazione momentanea?Piano. Credo che si debba andare cauti, molto cauti con questi paragoni. E' però vero che, per certi versi, fare gol provoca una felicità paragonabile a un fulmineo stadio di illuminazione.A volte sono così immerso nei miei pensieri che perfino le urla dei tifosi mi sembrano sutra buddhisti.Per spiegare il gol alla Nigeria nel '94 avresti detto: "Ho pregato Buddha principale e il pallone è venuto a me. Così è successo il miracolo, grazie alle preghiere della Soka Gakkai e del mio maestro, Daisaku Ikeda".Non ricordo di avere detto questa frase. So però che, contro la Nigeria, ho provato una sensazione molto particolare. Mancavano due minuti alla fine, l'Italia stava perdendo, fino a quel momento per me era stato un Mondiale fallimentare, stava per finire tutto. Sì, quel gol mi è sembrato al momento un miracolo, ma attento, un miracolo della volontà. La mia volontà.Il buddhismo ti aiuta a mantenere la forma fisica?Se stai bene con te stesso, sei in forma anche nel fisico. Gli esercizi spirituali mi consentono di fare una riflessione profonda, che porta alla massima concentrazione. Prima ero molto più teso, arrivavo in fondo alla partita che neanche sentivo più le gambe. Riguardo alla forma fisica, ginocchio a parte, non ho mai avuto grossi problemi. Faccio vita appartata, è raro che vada a letto tardi, non ho vizi particolari. Negli anni ho scoperto la bontà del vino, ma so controllarmi.Fumi?Fumavo. Mi piaceva la sigaretta dopo il caffè, oppure prima di andare a letto. Mai più di qualcuna al giorno, comunque. Ho fumato finché mi piaceva farlo. Quando mi sono reso conto che rischiava di diventare un'abitudine, ho smesso. Se c'è una cosa che non sopporto, è quando non ho il controllo su me stesso.Per questo ho smesso, da un giorno all'altro, definitivamente.Se decido di fare una cosa, la faccio.Hai mai perso il controllo?Solo una volta, da ragazzo. Avevo quindici anni, un amico mi convinse controvoglia a fumare uno spinello. Non ne avevo mai fumato uno. Quando andai a letto, la testa iniziò a girarmi come una giostra. Spensi la luce, la luce mi sembrava sempre accesa.Una sensazione di impotenza insopportabile. Non per nulla, nel buddhismo, la condizione vitale in cui Fio si sente impotente corrisponde al mondo di Inferno, Jigoku che significa il più basso e goku l'essere imprigionato). Si vive nel mondo di Inferno quando non si ha il controllo di sé, quando si è pronti a qualsiasi cosa, anche alla violenza, per avere ragione degli altri. Mi ricorda il mondo del calcio, non è una battuta.

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Davvero nessun avversario o allenatore è mai riuscito a farti perdere il controllo?Molti miei avversari, soprattutto i marcatori diretti, mi hanno provocato, ma sono rimasto in me.Di allenatori che mi hanno fatto la guerra, non ne ho incontrati più di tre.Nessuno di loro c'è riuscito. Alla fine la testa l'hanno persa loro, non io.Credi che riuscirai sempre a mantenere il controllo?Me lo auguro, ma non posso esserne certo. Di sicuro, il giorno che lo perderò, sarà guerra. Non ho mai avuto paura di nessuno e, come tutte le persone miti, il giorno che s'arrabbiano davvero sono le più pericolose. In me c'è un animale, lo sento, ma l'importante è che rimanga addormentato, addomesticato, come adesso.Quando potrebbe risvegliarsi?La cosa che proprio non riesco a sopportare è la pedofilia. E' un dramma che mi tocca profondamente, è inconcepibile che si possa fare male ai bambini. Ecco, se una persona si azzardasse a fare del male ai miei figli, vedrebbe esplodere l'animale che è in me.Un atteggiamento comprensibile, ma in conflitto con la compassione incondizionata tipica del buddhismo. Lo stesso Da lai Lama ha più volte detto di provare compassione anche per gli stessi cinesi, che continuano ad opprimere il popolo tibetano.Io non sono il Dalai Lama. Sono solo un buddhista praticante, che non ha ancora imparato ad essere sempre compassionevole. Forse non ho praticato abbastanza. O forse voglio troppo bene ai miei figli.

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Nascere, soffrire, cominciare.

Il sogno impossibile.Sognare il sogno impossibile combattere il nemico invincibile sopportare il dolore insopportabile correre dove l'audace non osa andare.Correggere l'errore irreparabile amare il puro e il casto al di là di tutto sforzandosi quando le braccia sono troppo stanche raggiungere la stella irraggiungibile.Questa è la mia ricerca seguire questa stella per quanto senza speranza per quanto lontana combattere per il giusto senza domande né soste voler avanzare nell'inferno per una causa celeste ed io so che se sarò unicamente fedele a questa gloriosa ricerca il mio cuore giacerà in pace tranquillo.Quando io sarò seppellito e il mondo sarà migliore per questo perché un uomo indegno e ferito si sforzerà ancora con la sua ultima oncia di coraggio per raggiungere la stella irraggiungibile.Josei Toda.

Dicono che abbia fatto dei bei dribbling, nella mia carriera. Hanno ragione.Nessuno, però, ha ancora scritto che il mio dribbling migliore è stato questo. Superare in tunnel l'autocommiserazione, trovare la forza dentro di me, arrivare a 35 anni con ancora la voglia di divertirsi, la capacità, orgogliosamente intatta, di stupire.Mi hanno chiamato malato immaginario. Non hanno mai saputo che io, tutta la mia carriera professionista, l'ho giocata con una gamba e mezzo. Migliaia di ore aggiuntive per tenere viva una gamba che, fosse per lei, si rimpicciolirebbe di giorno in giorno.L'ho giocata senza stare mai bene del tutto, mai, che se giocassi le partite solo quando mi sento al cento per cento, giocherei tre partite l'anno.L'ho giocata con la speranza assurda, per un giocatore di talento, di trovare terreni allentati, magari un po' fangosi, così che quel ginocchio destro soffrisse di meno, avesse la possibilità di appoggiarsi su una superficie più morbida, l'importante era che non fosse dura, con quel maledetto effetto rimbalzo, quella rotula che non ne vuol sapere di darmi tregua.Da quando il pubblico mi conosce convivo con il dolore, duecentoventi punti e un ginocchio a orologeria. Il mio dribbling migliore è stato proprio questo. Andare avanti, nonostante tutto.Fregandomene delle chiacchiere, ponendomi ogni giorno davanti nuovi obiettivi. E sì, lo penso ancora, quel dribbling, quel doppio passo, quella veronica con cui ho superato un ostacolo apparentemente insormontabile - e ci ho messo due anni, due anni lunghissimi, due anni comunque da vivere e sono stati un capolavoro di volontà e di passione. Ne vado fiero.

Roberto Baggio nasce il 18 febbraio 1967 a Caldogno.Caldogno è un paese di ottomila anime, a dieci chilometri da Vicenza, sulla strada di Thiene e Schio. Sono il sesto di otto fratelli: Gianna, Walter, Carla, Giorgio, Anna Maria, io, Nadia, Eddy.

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Una famiglia sportiva. Dopo un inizio da calciatore, tuo padre Florindo è stato un buon ciclista.Lui ama molto la bici, al punto che mio fratello si chiama Eddy in onore di Merckx.Non è l'unico nome ispirato a campioni dello sport, nella tua famiglia.E' vero. Walter si chiama così perché quello era il nome di Speggiorin, un'ala del Vicenza, Giorgio è un tributo a Chinaglia.E il tuo nome?In onore di Boninsegna e Bèttega. Erano due idoli, per mio padre.Bel paradosso. Uno degli "idoli" che hanno ispirato il tuo nome, Bèttega, è stato il primo a volerti lontano dalla Juve...Ne parleremo a suo tempo.Come vuoi. Quando scopri la passione per il calcio?Credo di averla sempre avuta. Ero un malato di calcio. Già a sei anni giocavo con una pallina da tennis o una palla di carta bagnata e indurita sul termosifone: insomma, giocavo con tutto ciò che aveva una qualche forma sferica. Il campo da calcio era il nostro corridoio di casa, in via Marconi 3. Misurava due metri per sette, era perfetto per giocarci due contro due. In quel corridoio c'era tutto: le gradinate, la curva, le urla dei tifosi. Il bagno era la porta. Mi facevo la radiocronaca da solo, i gol li segnavo tutti io. Era fantastico. Solo quando andavo a letto, e l'emozione svaniva, mi rattristavo, e mi dicevo che sarei dovuto crescere in fretta, per trovare una squadra e uscire da quel corridoio.Hai detto che giocavate due contro due. Tu, Walter, Giorgio.Chi era il quarto?Mio zio Piero. Era rimasto solo, veniva a casa nostra dalle sei alle dieci di sera. Ricordo che esitava sempre ad alzarsi da tavola: sarebbe rimasto volentieri a bere il suo bicchiere di vino, sgranocchiando noci e fumandosi in pace una sigaretta, ma io lo guardavo fisso, tristissimo. Lui doveva essere il quarto, altrimenti addio partitella nel corridoio. Non gli davo tregua, a mio zio, ma credo che alla fine si divertisse pure lui.Tua madre si divertiva un po' meno.Ero la sua dannazione, non stavo fermo un minuto. Ha sempre detto che sono stato il più vivace di tutti i suoi figli. Quando era stremata, mi obbligava a scendere giù. Giocavo davanti all'officina di mio padre, anche da solo, contro il muro: destro, sinistro, destro, al volo, spaccata, rovesciata. Un campione straordinario, un grandissimo. Dai, fammelo dire: il Pallone d'oro me l'avrebbero dovuto dare fin da allora. Più volte ho rotto qualche neon. I miei genitori si arrabbiavano, ma sapevo essere ruffiano.Chiedevo scusa, facevo gli occhi dolci, finiva lì. Al punto che, quando pioveva, mio padre mi permetteva di giocare dentro il magazzino. E puntualmente sfasciavo tutto. Lui imprecava, a quel punto qualche calcio nel sedere non me lo cavava nessuno, ma poi si ricominciava regolarmente da capo. Il grande ciclo della vita, evidentemente...Volevi sempre giocare con quelli più grandi di te.Ero testardo: se non mi facevano giocare a calcio, piantavo delle grane incredibili. Quando Walter giocava contro i professori, volevo essere della partita. Una volta - fu l'iniziazione regolare - si vide costretto a portarmi perché mancavano alcuni giocatori

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titolari. Da allora non ho più smesso. Ogni luogo era buono per giocare. Bastavano due magliette per fare le porte, qualcosa di rotondo, e giocavamo senza fermarci mai, spesso sotto un sole dannato. Ma chi se ne accorgeva, del caldo?Un tuo compagno di squadra di allora, Marangoni, dice che quelle partite non avevano storia: vinceva sempre la squadra dove giocavi tu.Stefano ha sempre esagerato. Perdevo anch'io, eccome se perdevo. E mi infuriavo il giusto.Eppure, già a dieci anni, eri per tutti un fenomeno. Gli amici ti chiamavano "Guglielmo Tell", perché ti allenavi a tirare le punizioni mirando i lampioni. E li centravi sempre.Già, e dopo averli colpiti il maresciallo Rizzi ci inseguiva! Ero un diavolo, altro che. Mi piaceva sfidare gli amici. Li facevo mettere in barriera, poi dicevo: "Adesso colpisco il palo". Mi andava bene dieci volte su quindici (poi la media è migliorata...). La storia arrivò anche al parroco, una volta mi fece i complimenti.Sicuramente mi ha dato una benedizione. Una sua, speciale.Dicono che la formazione Giovanissimi del Caldogno, nel '79 fosse straordinaria.Ho avuto la fortuna di militare in squadre giovanili piene di talenti. E' successo anche con gli allievi del Vicenza, molti giocatori erano gli stessi. Ci seguivano anche in trasferta. Dicevano che io ero la "promessa delle promesse". Nel 79 ho fatto 42 gol e 20 assist in una sola stagione. Senza rivali. Eravamo così forti che spesso a fine partita andavamo dall'arbitro e gli chiedevamo se avevamo vinto 8 o 9 a zero. Capisci? Perdevamo il conto.Chi c'era in quella squadra?C'era Marangoni, c'erano i miei due amici del cuore, Diego Ceola e Mauro Carli. Due funamboli, come me.Che fine hanno fatto?Si sono rotti i legamenti del ginocchio, come me, più o meno nello stesso periodo. Purtroppo, non ce l'hanno fatta a riprendersi.Oggi Diego possiede un bar e Mauro lavora in un'officina. Mi capita di risentirli, sono rimaste belle persone.L'allenatore era Zenere, il fornaio del paese, che una volta ti fece arrabbiare...Altro che, se lo fece! Era un martedì. Il sabato prima, avevo preferito andare a caccia con mio padre, piuttosto che giocare. Non potevo dire di no a mio padre. Zenere, che ai suoi tempi aveva giocato in serie D, quando mi vide arrivare all'allenamento, mi prese in giro: "Toh chi si rivede, ecco Caccia e Pesca, bentornato!". Maledetto. Mi aveva chiamato Caccia e Pesca, come si permetteva? Me ne andai furibondo. Se oggi sono orgoglioso, e lo sono tanto, al tempo lo ero ancora di più. Il sabato successivo si giocava una partita importante. Tre miei compagni di squadra vengono a chiamarmi a casa.Gli rispondo, deciso: "Io non vengo". Ore di discussioni, alla fine mi convincono. Il presidente della squadra, l'idraulico del paese, prima della partita mi dice: "Vediamo che sai fare oggi, Caccia e Pesca". Nel primo tempo, segno cinque gol. Vado dal presidente, lo guardo e gli faccio: "Bastano così, o ne vuole altri?". Per la cronaca, nel secondo tempo, ho segnato un'altra volta. Finì 7 a 0;.Questo atteggiamento, questa risposta a muso duro, mi rimandano al tuo rapporto con

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Marcello Lippi, in particolare allo spareggio per la Champions League tra Inter e Parma.Quella volta ho giocato una grande partita, con due reti ho risolto la partita. E pensa che Lippi mi aveva mandato in campo per disperazione, non aveva altri attaccanti da schierare. E così l'Inter si è qualificata in Europa, anche se poi l'Helsingborgs ha interrotto il cammino nerazzurro prima ancora che cominciasse (non credo che anche quella sia stata colpa mia...). Comunque quella volta, e non era la prima, l'ho salvato dall'esonero. Io, che non reggevo più di otto minuti a partita... ipse dixit. Ma su Lippi torno dopo...Quando eri "la promessa delle promesse", sapevi che un giorno saresti diventato famoso?Non funziona così. Non è che esiste un giorno in cui dici: ecco, adesso so che farò carriera. Sentivo dire in giro che ero bravo, che avevo delle doti, ma quando hai quell'età lì, sai bene che il talento ce l'hanno in diversi, ma quello da solo non basta.Pensa a Diego o Mauro: loro meritavano di emergere come me.Per quanto giovane, le tue doti avevano attirato un procuratore dalla vista lunga come Caliendo.Ero appena un ragazzino, ma lui disse ai miei genitori che avevo bisogno di un procuratore. Era bravo, è bravo a parlare con la gente. Loro provarono a resistere per sei mesi, poi si fecero convincere.Nell'80 a 13 anni, mi acquistò il Vicenza - il presidente era ancora Farina per cinquecentomila lire.La tua era una famiglia ricca, o almeno benestante?No, al contrario. Spesso, i miei non avevano neppure i soldi per farci i regali a Natale. Ci rimanevo male, certo, ma capivo la situazione. I regali più belli erano i vestiti. Mi bastava un paio di jeans per essere felice e anzi, credo di vestire ancora oggi un po' casual proprio per il fascino che aveva su di me, al tempo, quel tipo di vestiario. E poi adoravo le scarpette da calcio. Ne andavo pazzo. Una volta volevo a tutti i costi un paio di scarpe, solo che non c'era il mio numero. Erano più piccole. Per il terrore di tornare a casa senza scarpe, le ho comprate lo stesso. Quando giocavo, le dita dei piedi a malapena ci entravano. Un male dell'altro mondo. Un'altra volta, ho comprato il primo paio di scarpette con i tacchetti svitabili. Per me era un sogno, uno sballo. Mi piacevano così tanto che ci sono andato a letto. La mattina dopo, avevo segato mezzo lenzuolo! Quando me ne sono accorto, ricordo che mi è venuto da ridere. Mia madre, invece, non ha riso per niente. Meno male che filavo veloce.Ma i tuoi genitori te le passavano tutte?Col cavolo! La prima volta che mi sono innamorato - lei si chiamava Susanna - i miei non mi hanno permesso di andare al suo compleanno. Ero piccolo, avevo nove anni. Ero furibondo, al punto da rompere il vetro della finestra di camera. Per punizione, i miei genitori me l'hanno sostituito dopo un mese. Era inverno, da noi gela presto: un freddo! Devo dire che mi è servito.Mia madre mi ha dato qualche bel ceffone in molte occasioni. Una volta sono tornato a casa nascondendo sotto la maglietta un fagiano. Lo avevo ucciso con un sasso, per farmi grosso con gli amici. Ma era vietato uccidere fagiani, se mi beccavano mi facevano una multa spaventosa. Non ho fatto in tempo a darlo a mia madre che lei,

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urlando che ero un delinquente, lo aveva già pelato e cucinato, per paura che qualcuno si accorgesse della mia bravata. Poi lo hanno mangiato tutti. Già allora amavo gli scherzi, mi divertivano le zingarate. Rubavo le fragole, cantavo Tu scendi dalle stelle a settembre - sapessi quante volte ho fatto scendere giùil Signore fuori tempo! - e poi chiedevo l'offerta per tirar su qualche soldo, e mi beccavo un bel po' di legnate.Niente da dire. Da ragazzo le ho prese diverse volte, credimi.Chi erano le vittime dei tuoi scherzi?Oggi i miei obiettivi preferiti sono Peter e Gian Michele, al tempo era la mia sorellina Carla. Ho sempre avuto il dono di imitare tutti i suoni: quelli degli animali, quelli dei motori. Sapevo riconoscere da lontano il rumore che faceva la bicicletta di Anna Maria. Una volta, mi sono nascosto dietro il fosso, vicino al cimitero, che distava cento metri in linea d'aria da casa mia.Era buio. Appena ho sentito arrivare Anna Maria, sono uscito dal fosso e ho iniziato a gridare: "Ecco il fantasma di Caldogno, il vampiro delle Tre Venezie!". Quanto ero scemo... Anna Maria ha iniziato a pedalare così forte che per terra potevi vedere le strisciate di fuoco! Non la smetteva più di pedalare, di urlare, era spaventatissima. Quando è arrivata a casa e ha appoggiato la bicicletta sul muro, quella pedalava ancora, da sola... Mia madre l'ha abbracciata, e poi mi ha dato un ceffone, l'ennesimo: "Quando la smetterai di fare l'imbecille?". Me lo chiedeva spesso.Hai smesso?Se essere imbecille vuol dire scherzare e fare scherzi, oggi sono più imbecille di prima.Guardavi la televisione?A casa mia, il coprifuoco calava presto. Tranne il mercoledì. Quello era un giorno sacro: c'erano le partite. E non era come oggi. C'erano meno incontri, avevi il tempo di entrare in tensione, gustare l'atmosfera unica. Sentivi l'attesa. Io ero sempre sulla corda. Ricordo bene le partite dei Mondiali del 74 e del 78;. Quello dell'82 lo so a memoria. Quando ero piccolo, si toglieva l'erba cattiva dal giardino di casa. Era il "riscaldamento" della famiglia Baggio prima della partita. Ero incredibilmente vorace di partite, più dei miei fratelli, che erano già abbastanza insaziabili.In casa tua si tifava Inter?Io non sono mai stato tifoso di nessuna squadra in particolare. Al massimo, quando ero piccolo, tifavo Vicenza. Quando c'erano le Coppe, tenevo per tutto ciò che era italiano, vizio che m'è rimasto attaccato alla pelle. Se dicevo di tifare Inter, era solo perché non volevo buscarne dai miei fratelli.Avevi degli idoli particolari? Ho letto che andavi matto per Cinesinho e Zico.Non avevo nessun idolo speciale. A volte penso che sia un pregio, altre un difetto, non avere mai avuto grandi eroi calcistici.A volte, come tutti, tiravo fuori qualche nome straniero, ma per darmi delle arie. Certo, Zico mi piaceva, ma quella è una storia dei tempi in cui iniziai a giocare nel Vicenza. Era Savoini, mio primo allenatore del Vicenza, che mi chiamava così.E Cinesinho?E' stato il primo giocatore di talento che ho visto dal vivo. Era il 73; non lo dimenticherò mai: mio padre mi portò a vedere il Vicenza allo stadio, era la prima

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volta. Era una partita di serie A. Faceva un freddo cane, sarebbe stato naturale non uscire di casa, specie per un bambino di sei anni, ma non volli sentire ragioni, al solito.Cinesinho era una mezzala divertente, dotata, fantasiosa: il massimo, per un bambino. Era di un altro livello, rispetto agli altri.In tv guardavi solo partite?Non c'era molto altro, ma una folgorazione extracalcistica l'ho subita: Goldrake. I programmi per bambini, al tempo, erano pochi e scadenti. Goldrake è stato una rivoluzione. Quel robot non era solo il protagonista di una serie televisiva. Era un eroe che proteggeva gli altri, che faceva del bene. Volevo essere come lui. Ero come lui. Le sue erano storie che parlavano di guerra e pace, amore e amicizia. C'erano gli eroi e i malvagi. Era appassionante, vederlo significava cominciare ad entrare un po' nel mondo, ed era un bel mondo fantastico. Non perdevo una puntata, sgomitavo un'ora coi miei fratelli per prendere il posto in prima fila. La Goldrakemania esplose tra i miei coetanei, fino a quando i soliti perbenisti non decisero che quel cartone animato era pericoloso, amorale. Quando smisero di trasmetterlo, piansi molto. Io li odio, i censori d'ufficio.Nessun altro cartone animato?Remì. C'era un personaggio che mi attirava. Si chiamava Mattia, era un bambino dolce, sensibile, povero, senza genitori.Non è un caso che anche mio figlio si chiami Mattia.Ti rivedevi in quel personaggio?Un po' sì. Ero una peste, è vero, ma credo di avere sempre avuto una sensibilità non comune. Stavo male per molte cose, ero impressionabile in maniera esagerata. Anche nei confronti del problema della povertà, mi sentivo sempre parte in causa.Mi dicevo: che senso ha la mia felicità, se tutti gli altri non possono essere felici come me? Sognavo un mondo senza ingiustizie, incontaminato. Ero un bambino semplice, ingenuo, che piangeva quando sentiva passare le ambulanze. Era un effetto automatico: l'ambulanza passava, io piangevo. Due sirene insieme. Fin dai quattro anni, sempre così, regolare. Sono contento che un po' di quella ingenuità mi sia rimasta. Anche Valentina è così. Deve essere una tara di famiglia... Sensibilità mentale, intelligenza emotiva? Non so, sarà così, non è facile trovare una definizione semplice.Ascoltavi musica?Sì. La radio passava Battisti, ma io ero innamorato di Hotel Cali/orma degli Eagles. Avrò avuto nove anni. Il mio giradischi aveva una puntina di ceramica che, quando toccava il vinile, sembrava più la frenata di una macchina che musica. Però era bello anche quel suono.Dedicando tutto il tempo al calcio, come "facevi" a scuola?Facevo male. Infatti in seconda media mi hanno bocciato.Ero sveglio, ma non mi applicavo: si dice così, no? Per me, studiare voleva dire sottrarre tempo all'allenamento. I nostri tempi erano folli: uscivamo da scuola, affiggevamo un cartello con le formazioni e la scritta: "Chi non si presenta al campo, non giocherà mai più". Era una minaccia spaventosa, infatti non mancava mai nessuno. Dopo due ore di partitella, magari sotto un sole che ti cavava il cervello, si

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andava agli allenamenti da Zenere.Senza mangiare. Ritmi assurdi. Non avevo tempo per studiare. Una volta, il professor Todescato ha detto a mio padre: "Se i libri fossero rotondi, insegnerebbe anche a noi"."Fammi l'analisi logica di questa frase: "So che tu sei un bravo calciatore"". Ricordi chi lo ha detto?Come farei a dimenticarmelo? La mia professoressa di lettere alla scuola media Dante Alighieri, la signora Campagnaro.Erano gli esami per la licenza media inferiore. Si prese una rivincita, con quella battuta. Diceva che gli stavo simpatico, che ero sveglio, bellino, ma non mi impegnavo. Era vero. Così, quando si trattò di farmi la domanda di analisi logica, mi prese in giro.Mi misi a ridere, poi risposi alla domanda.Come te la cavasti?Bene.Torniamo al tuo approdo al Vicenza. E' il 1980; hai 13 anni.Troppo pochi. La definizione di talento precoce mi stava a pennello. A Vicenza non c'erano i giovanissimi, ma gli allievi, e per giocare negli allievi dovevi avere 14 anni. Così, da settembre a febbraio, mi sono allenato senza giocare mai. L'anno dopo, lo stesso: hanno tolto gli allievi. Non ho giocato fino a febbraio, però ho avuto la fortuna di allenarmi per sei mesi con la prima squadra. Compiuti 15 anni, ho giocato con la Beretti. Dalla stagione successiva, 1982 83 sono entrato stabilmente nel gruppo della prima squadra. Allora il Vicenza giocava in C1.Il tuo score nelle giovanili è spaventoso: 120 presenze, 110 gol.Davvero? Non credevo di avere segnato così tanto.Nel febbraio dell'82 a Veronello, il primo infortunio.Oh, una cosa leggera. Mi lesionai il menisco del ginocchio sinistro durante Veneto Liguria, una sfida tra le rappresentative regionali. Mi ha operato il professor Viola, sono rientrato dopo un mese. In confronto a ciò che mi è accaduto tre anni dopo, non era nulla. Al massimo, un'avvisaglia, un segnale.Come ti trovavi a Vicenza? Antonio Moro, talent scout di consolidata fama, diceva che eri un fenomeno. Giulio Savoini, terzino fluidificante cresciuto alla squola di Scopigno, ti chiamava "Zico".Mi volevano tutti bene, c'era una grande fiducia attorno a me. Il pubblico ci seguiva anche in trasferta, la società - specie con l'arrivo del presidente Maraschin, che risollevò il Vicenza dopo la crisi Farina - credeva in me, mi cullava e proteggeva. Lo stesso Scopigno venne a vedermi, chiamato da Savoini: mi guardò, scettico, e poi chiese se sapevo segnare. Savoini rispose che segnavo quanto e come volevo. Credo che mi volesse troppo bene. Diceva che di talenti come il mio non ne aveva mai visti in vita sua. Comunque, anche Scopigno rimase soddisfatto dopo la mia "visionatura". Già, il "filosofo". Ne ho dovuti convincere molti, nella mia carriera. E la storia pare che debba continuare ancora oggi... A qualcuno, il fatto che non mi sia ancora fermato, probabilmente da fastidio. Cosa dovrei fare? Mollare per fare un piacere ai dubbiosi, ai nemici? Ma figuriamoci. Io continuo per la mia strada, alla fine si tireranno le somme. Vedremo chi avrà avuto ragione. Scusa lo sfogo.Savoini, juventino e amico di Boniperti, al quale parlò spesso di te, racconta che una

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volta facesti un tunnel al libero della prima squadra.Me lo chiese Savoini. Mi disse: "Zico, fagli un tunnel". Ed io lo feci. Il libero non la prese bene. Per un po' ci tenne il broncio, a me e Savoini, ma io non c'entravo niente. Avevo solo eseguito una disposizione tattica...Spiritoso... All'inizio, non hai trovato molto spazio in prima squadra.Sì. Non che la cosa mi facesse piacere, anche perché è stato allora che ho iniziato a familiarizzare con il mio incubo peggiore, la panchina, ma, vista la situazione a vent'anni di distanza, credo sia stato giusto così. Avevo 16 anni.La stagione successiva, (1983 84) è andata un po' meglio. Sei presenze e un gol.Fino ad un certo punto. L'allenatore, Bruno Giorgi, aveva puntato su una rosa di giocatori esperti. Ho giocato poco, quella era una squadra matura, che doveva raggiungere la B. Non la raggiunse. Sempre molta panca all'orizzonte, per il sottoscritto.Nel corso di quella stagione non felicissima, però, arriva l'esordio in Nazionale.Sì, il 15 febbraio, con l'Italia under 16;. Ad Arezzo, contro la Jugoslavia, 1 a 1;. Di quell'esperienza, ricordo l'emozione che mi tagliò le gambe. In campo mi muovevo a fatica, non avevo neanche dormito, chissà cosa avrà pensato la gente. Per un po' di tempo, quando vestivo la maglia azzurra, la paura mi paralizzava. Non ho fatto molte altre partite nella Nazionale giovanili. Il 9 gennaio mi ha chiamato la juniores: 3 a 0 e mio primo gol in azzurro. Poi un 5 a 0 a Malta, e un bellissimo 2 a 0 in Portogallo: una doppietta. E quella doppietta era mia, solo mia, finalmente.Egoista fin da allora...Ero un ragazzo, godevo delle prime gioie sportive. E da ragazzi è consentito anche cercare più del dovuto la soddisfazione personale. Ti garantisco che la gloria non l'ho mai cercata, men che meno quando sono diventato un calciatore professionista. Ed egoista, no, non lo sono proprio mai stato. Né in campo, né fuori.Come ti accoglievano in paese, quando tornavi dalla Nazionale?Be', ero l'eroe locale. Mi faceva piacere, certo, ma non sono mai stato il tipo che conserva i ritagli dei giornali. Lo faceva Andreina, all'inizio, ma adesso ha smesso anche lei. Forse me ne dovrò pentire un giorno, chissà.Nell'84 Giorgi ti promuove stabilmente in prima squadra: 29 presenze e 12 gol.Una stagione stupenda, epilogo a parte. Giocavo bene, era il mio esordio vero tra i professionisti, ero il beniamino dei tifosi.Eri così bravo che si scatenò un'asta sul tuo conto, alla quale il Vicenza, bisognoso di liquidi, non poteva restare sordo.Sono cose che ho saputo dopo. Mi voleva soprattutto la Sampdoria. Il direttore sportivo del Vicenza, Salvi, aveva segnalato il mio nome a Claudio Nassi, al tempo direttore sportivo blucerchiato. Sembrava fatta, poi il presidente Mantovani, nel momento decisivo, si trasferì a Houston per i problemi di cuore.E la Sampdoria dirottò su Matteoli. Sipario del Torino, poi arrivò la Juve, a cui il Vicenza ti avrebbe ceduto volentieri, per ricucire i rapporti con la Vecchia Signora, in crisi per la cessione di Paolo Rossi.Questo non lo so. So che Savoini mi faceva una grande pubblicità, e Boniperti si era fatto convincere. Era tutto deciso, quando arrivò a Maraschin l'offerta del conte Pomello.

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Due miliardi e 700 milioni. Non male, per un ragazzo di 18 anni, che giocava in C1.E infatti il Vicenza ha accettato subito. Era il 3 maggio. Non poteva dire di no, Maraschin aveva fatto miracoli per tirare su la società. Io ho accettato la cessione, ma non ho fatto in tempo a rendermi conto di quello che mi stava succedendo, che il mondo mi è crollato addosso.Due giorni dopo, l'infortunio.Si giocava Rimini-Vicenza. Sulla panchina del Rimini sedeva Arrigo Sacchi. Dopo pochi minuti vincevamo già 1 a 0; avevo segnato io. Poi ho rincorso uno da dietro, sono entrato in scivolata, la gamba si è girata all'incontrario. Mi sono partiti il crociato anteriore, la capsula, il menisco e il collaterale della gamba destra.Una tragedia.Ti sei accorto subito della gravità dell'incidente?No, ma ho provato immediatamente un dolore tremendo, una lama di coltello infilata nella gamba.La Fiorentina però, a dispetto dei timori di Maraschin, a quel punto non ha ricusato il contratto.Sono stati molto corretti. Si può dire che la Fiorentina mi ha comprato due volte. Il loro osservatore in Veneto, Vicariotto, aveva detto che con me valeva la pena aspettare, che era giusto fare una puntata grossa.Dove ti sei operato?A Saint-Etienne, dal professor Bousquet. Il 5 giugno '85 un mese dopo l'incidente. Tieni presente che al tempo un'operazione del genere era molto difficile. Giocatori come Zmuda, Briaschi e Marangon avevano dovuto smettere di giocare, per traumi simili. E io tutte queste cose le sapevo.L'operazione andò bene, paragonata alle tecniche di quegli anni, ma fu terribile. Durante l'intervento mi hanno bucato la testa della tibia col trapano, poi hanno tagliato il tèndine, lo hanno fatto passare dentro al buco, lo hanno tirato su e lo hanno fissato con duecentoventi punti interni. Hai capito bene: 220 punti.Quando mi sono svegliato dall'anestesia, ho avuto paura. La gamba destra era diventata così piccola che pareva un braccio.Apparivo come una strana mutazione genetica, con tre braccia e una gamba. Il ginocchio, gonfio come un melone e rosso per la tintura di iodio, non era stato cucito esternamente col filo: era tenuto insieme con delle graffette di ferro, tipo quelle che si vendono dal cartolaio. Provavo un male incredibile, ero distrutto, mi sentivo totalmente privo di speranza. Il dolore, il dolore mi trapassava il cranio.Non ti aiutavano gli antidolorìfici?Magari! Sono allergico agli antidolorìfici più potenti, e quelli che mi davano non li sentivo neanche. Stavo così male che mi girai verso mia madre, che mi sedeva accanto, e le dissi: "Mamma, se mi vuoi bene uccidimi, perché io non ce la faccio più".Era un tormento continuo, 24 ore su 24;. Sono tornato a casa, e anche là non dormivo e non mangiavo. A due settimane dall'operazione pesavo 56 chili, ne avevo persi 12;. Non ce la facevo neanche ad andare in bagno, tanto mi girava la testa. Avevo un gesso a doccia, aperto sul davanti, per fasciare la gamba dovevo stenderla. Solo che non ce la facevo a stenderla. Riuscivo a sopportare il male soltanto flettendola

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leggermente. Insomma, un martirio.Quali erano i tuoi pensieri?I miei pensieri erano, sempre, in un modo solo: disperati.Troppe notti bianche, notti intere a fissare il soffitto, come impazzito, a chiedermi perché. Di continuo: perché. C'è una cosa che ho letto di recente, mi è rimasta impressa. Te la racconto come la ricordo. Primo Levi era ad Auschwitz, lottava per la vita. Aveva una sete tremenda, inestinguibile, non c'era acqua potabile. Era riuscito a staccare dal tetto della baracca una colonnetta di ghiaccio. La stava succhiando avidamente. Lui era un "piccolo" numero, uno arrivato da poco. Arriva un "grande" numero, un vecchio confinato, spietato nella sua determinazione a vivere, pronto a tutto.Gli strappa di forza il sottile ghiacciolo di mano e si mette a succhiare. Levi, stupito, domanda: "Perché?".E l'altro: "Qui non c'è perché". Capisci? Qui non c'è nessun perché.Sì, credo di capire.Nel mio piccolo di adolescente operato, non c'era un perché. Soffrivo e basta.Il perché è venuto dopo. E mi ha salvato, te lo giuro.Quell'infortunio ti ha condizionato e ti condiziona tuttora.Da quando mi conosce il grande pubblico, ho sempre giocato con una gamba e mezzo. Ho una gamba più piccola dell'altra, un ginocchio a orologeria, i menischi non so neanche più cosa siano. Con il male che ho io al ginocchio, avrebbero già smesso tutti da anni. Io ho male tutte le volte che gioco, da 16 anni a questa parte.Se tu dovessi giocare soltanto quando stai totalmente bene, quante partite disputeresti?Poche, pochissime. Due o tre all'anno, non di più. Quando cominciano ad esserci i terreni duri provo cose incredibili, roba che nessuno può averne un'idea. Mi tocca prendere la gamba e tirarla, tirarla per allungarla, perché se non la stendo mi rimane bloccata e poi non si stende più. A dispetto del mio talento, preferisco i terreni allentati, morbidi, così la mia gamba non risente dell'effetto rimbalzo. Ho sempre giocato in città fredde e umide, un clima malefico per un giocatore tecnico. Ma pensa te, va a finire che devo ringraziare questi climi difficili e i campi pesanti. Certo che ce ne sono di ironie, nella vita.Sono cose che non hai mai raccontato. Paradossalmente, in molti ti hanno accusato di essere un malato immaginario.Certi "addetti ai lavori" sanno essere cattivi. Non ne ho parlato perché non voglio la pietà della gente. E poi, se lo avessi detto agli allenatori, quelli mi avrebbero schiaffato in panchina più di quanto, oggettivamente, abbiano fatto. E gli avversari si sarebbero approfittati delle mie debolezze, vere o presunte.Anche quando mi alleno, sento quasi sempre male. Ancora oggi.Ma non lo dico, perché, se poi lo dico, non gioco. Nessuno escluso, almeno un'ora al giorno, devo impegnarmi in esercizi di potenziamento particolare, senza i quali la gamba perderebbe tono, il ginocchio rischierebbe nuovamente di cedere. Sono assolutamente convinto che parti del nostro corpo, sottoposte a operazioni importanti, non tornino mai come prima. Mi considero, di questo, una prova vivente. Si può dire che convivo con il dolore, è il mio compagno, un vecchio compagno. Mi vuole bene,

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davvero, non mi lascia praticamente mai. Se fosse una donna, direi: ecco un'amante fedele, discreta, insaziabile. Chi mi vedesse allenare prima della partita, avrebbe paura: durante i massaggi, la mia gamba destra fa delle torsioni innaturali, come se si dovesse spezzare da un momento all'altro. Credo che, una volta appese le scarpe al chiodo, dovrò fare degli esercizi ancora più specifici, programmare una specie di prevenzione antiartrosi, altrimenti arrivare a sessanta anni integro e perfettamente deambulante, come dicono oggi, sarà dura.Verrebbe da chiederti: ma chi te lo fa fare?Mia madre me lo chiede sempre. I maligni potrebbero dire che lo faccio per soldi, ma i maligni li ho sempre lasciati parlare, non mi hanno mai interessato. Cosa me lo fa fare... La passione.Solo la passione. Il gusto di giocare, di esserci ancora. Il mio obiettivo non è mai stato ottenere la parità democratica tra le due gambe, perché una uguale all'altra non le avrò mai, ma almeno farle assomigliare il più possibile tra loro, giusto per permettermi di divertirmi ancora un po'. E dimostrare qualcosa d'importante, soprattutto a me stesso.

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Gigli per dirsi addio.

Benedetti fiorentini, hanno un ben strano destino.La Storia, delle volte, li costringe a ricordarsi che son nati etruschi.Anonimo toscano.

Uno dei paradossi della mia carriera è che sono passato per uno che ama cambiare squadra una volta all'anno, quando il mio desiderio è sempre stato, nel calcio come nella vita privata, credere nel grande amore. E la Fiorentina era il grande amore. Chi non ha vissuto quello che ho vissuto io, chi non conosce Firenze, faticherà a capirmi.Quando arrivai a Firenze, ero un campione virtuale. Avevo diciotto anni, un curriculum da fenomeno e un ginocchio da storpio. Ero messo molto male.Eppure Firenze mi ha amato da subito. Fidandosi di me, adottandomi come una seconda famiglia. Dovevo sentirmi solo, ma Firenze non mi fece sentire solo mai. Dovevo sentirmi distrutto, ma Firenze, al contrario di certi medici, non smise mai di incitarmi, di dirmi che sì, ce l'avrei fatta. Contro tutti, contro tutto. Grazie a loro, ai miei tifosi amici, ce l'avrei fatta sul serio.Dovevo sentirmi spaesato, ma fu a Firenze che scoprii il buddhismo, e solo a Firenze potevo trovarlo. E da lì rinacqui. Si vede che solo a Firenze potevo rinascere.Che strana cosa, io, vicentino sulle mie, che lego così profondamente con la naturale schiettezza dei toscani. Sarà stata la mia vocazione allo scherzo, il mio vivi e lascia vivere. O, ancora, sarà che un amico lo vedi nel momento del bisogno. E Firenze, nel momento del bisogno, c'era. Eccome se c'era. Sempre.C'è chi dice che il miglior Baggio lo si sia visto in viola, che funambolo come in quegli anni non lo sono stato più, che allora in me c'era come una miracolosa naturalezza. Non credo sia vero, mi pare di aver fatto qualcosa di buono anche dopo. Ma non fatico certo a dire che, a Firenze, dopo quella prova, tutto mi veniva naturale.Lì avevo risalito la china, una china lungo la quale la scienza aveva previsto che sarei finito con lo scivolare, e precipitare. E invece, lì toccai il cielo. Non me lo posso dimenticare.Nulla era più lontano da me dall'idea di andarmene. Eppure me ne dovetti andare. Perché qualcuno lo volle. Un qualcuno così potente che neppure io potevo contrastare. Ci provai, ma ero solo un ragazzo. Avevano già deciso tutto.E' stato un addio doloroso, che ha lasciato ferite non rimarginabili. Mi sentivo come un innamorato a cui viene tolta, senza motivi presentabili, la donna amata. Da allora, mi sono sempre portato dentro una malinconia sportiva, una tristezza di fondo. In ogni città che visitavo, cercavo la bellezza di Firenze. Ma non potevo ritrovare la "mia" Firenze.Ancora oggi, quando gioco al "Franchi", sento gente che mi urla dietro "giuda". Non ha ancora smesso di farmi male, quell'insopportabile contraddizione di sentirsi chiamare traditore, quando, in realtà, si è stati traditi.Qual è stato il tuo primo contatto diretto con la Fiorentina?Nell'estate dell'85 a Serramazzoni, sull'Appennino modenese. Era lì che la Fiorentina

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faceva il ritiro precampionato. L'allenatore era Agroppi. Ovviamente, facevo allenamento differenziato: piccole camminate, esercizi per rimettere in moto l'articolazione, cose così. Sono arrivato in condizioni spaventose: il ginocchio gonfio, le stampelle, le unghie mangiate dal nervosismo, il morale sotto i tacchi. Mi ha accompagnato mio padre.Avevo settantamila lire in tasca e tanta paura. Ricordo le sue parole: "Adesso tocca a te". Quell'esperienza nasceva come un'incognita, per anni è rimasta tale.Cosa prova, dentro, nel profondo, un ragazzo proiettato di colpo fuori dal suo ambiente, in quelle condizioni fisiche e psicologiche, senza nessuna garanzia di un futuro?La risposta è ovvia, naturale: prova paura, tanta paura. Ansia continua, insicurezza. La notte dormi poco, e male. Il compagno dolore non ti lascia mai. Ogni giorno è un test, una prova continua. Sai che ogni allenamento potrebbe essere l'ultimo.Quando sento dire frasi tipo: "Ma tu sei Baggio, è stato facile per te, avessi avuto le tue doti naturali... ", m'infurio. Perché, questa gente, non prova a fare quello che ho fatto io, a mangiare tutta la merda che ho mangiato? Me l'hanno pagata miliardi, poi, quella merda, ma l'odore disgustoso lo sento ancora. Tutto ha un prezzo nella vita. L'odore nauseante del dolore senza prospettiva, fine a se stesso, non mi abbandonerà mai.Per colpa dell'infortunio di Rìmini, e delle molte ricadute, di fatto hai saltato due stagioni.La riabilitazione è stata un Vietnam. Dicevano che l'operazione fosse andata bene, a me non sembrava. Seguivo il programma di riabilitazione con intensità.Mi allenavo sempre, anche il sabato, due volte al giorno. Ero smanioso di rientrare, avevo fretta, ma la fretta in questi casi è la tua peggiore nemica.Vivevo in un altro mondo. Per dire quanto fossi di fuori, dopo il primo Natale a Firenze mi chiamò Righetti, il segretario della Fiorentina, chiedendomi perché gli stipendi degli ultimi cinque mesi non risultavano pagati. Semplice, mi ero dimenticato di incassare gli assegni.Avevi 19 anni. Quanti te ne sentivi addosso?Delle volte 19; altre 12; più spesso 50. Come ti dicevo prima, ho avuto spesso la sensazione di avere molti più anni di quelli effettivi. In quei primi due anni a Firenze ho quasi consumato una vita intera.Quando incontri Pagni, il massaggiatore che ti segue ancora oggi?E' stato all'inizio dell'86;. E' un incontro che devo ad Aldo Maldèra: lui si era operato come me, nello stesso periodo, e dopo sette mesi era rientrato. Io no. Non capivo il motivo di quella differenza. E' stato lui a dirmi che si era fatto seguire da un fisioterapista molto bravo. Pagni, appunto. Da allora, mi ha sempre seguito, il suo aiuto è stato fondamentale. E' diventato un amico.Con lui ho imparato a non avere fretta. In quel periodo, da quanto ero smanioso, ho partecipato al torneo di Viareggio, con la Primavera viola. Era il gennaio dell'86;.Immagino che giocare in quelle condizioni fosse un grande rischio.L'hai detto. La gamba destra era nettamente inferiore a quella sinistra: se il ginocchio cedeva nuovamente, per me era finita sul serio. Il punto è che non ne potevo più. Di non giocare, di non uscire con gli altri ragazzi, e di stare invece in casa, con la gamba

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alta e la borsa del ghiaccio sul ginocchio. Sì, il tèndine tagliato, il muscolo che non ha più la forza e lo spessore dell'altro, la difficoltà di giocarci, i campi viscidi e fangosi di fine inverno. Non mi fregava più di niente. Volevo, dovevo riprovare a giocare, a tutti i costi. Ora sono come allora, anche peggio. Quando sento che c'è da rischiare, rischio. Rischio il tutto per tutto. E sono testardo come un mulo alpino. Il 26 gennaio ho fatto la mia prima panchina in A, a Lecce; tre giorni dopo, ho giocato i miei primi 17 minuti in maglia viola, durante Fiorentina-Udinese, in Coppa Italia. Il giorno dopo, a Viareggio, ho disputato tutta la partita contro gli Ocean New York. Finì 2 a 0; i gol erano miei.Allora non stavi così male.Guarda, neanche mi ricordo come ho segnato. Non mi sentivo la gamba, non la potevo muovere bene, avevo paura. Mi sentivo come un equilibrista che cammina sul filo, con la differenza decisiva che, prima o poi, sarei sicuramente caduto. Così sentivo. Se non è successo, lo devo a Pagni. Fosse stato per me, impulsivo com'ero a quell'età, prima o poi mi sarei rotto del tutto, per sempre.Pagni credeva nel tuo pieno recupero?Sì, lui ci credeva. E' stato l'unico che mi ha dato veramente fiducia. Per il resto, non c'è stato un medico che mi abbia detto: vedrai che ce la fai sicuramente, insisti.Non c'è nulla da salvare di quel primo periodo in viola?Non ho mai detto questo. Una cosa da salvare c'è, ed è la più importante: la gente di Firenze. E' stata sempre straordinaria con me. Mi ha voluto bene fin dall'inizio, a prescindere dal mio reale valore. Mi ha adottato, coccolato, aspettato. I fiorentini sono gente speciale. Sentivo l'affetto dei bambini, degli adulti, degli anziani: di tutti. E' una cosa che non potrò mai dimenticare, anche per questo il mio addio a Firenze è stato traumatico. Io non ho un carattere semplice, sono un tipo riservato, che si riguarda ad aprirsi in profondità con le persone, ma con i fiorentini stavo bene. Può sembrare strano, perché i toscani, specialmente se fiorentini, hanno generalmente un carattere aperto, sfrontato.Eppure, tra me e loro, l'intesa era semplice, naturale.Abitavi a Firenze?All'inizio sì. Uscivo di casa e visitavo le vie meno battute del centro. C'è poco da dire, se non che mi erano entrate dentro, ci stavo come a casa mia. A volte giocavo a biliardino al bar, mi accoglievano fraternamente. Poi sono andato ad abitare in una villetta in via Presciani, a Sesto Fiorentino, con Andreina. In quel periodo, ho ricominciato anche ad andare a caccia, in un piccolo laghetto al TOsmannoro, con dei cacciatori più anziani di me, che tengo nel cuore. Io, a Firenze, non sono stato bene: sono stato benissimo.E i rapporti con la società com'erano?Con il conte Pontello non ho mai avuto rapporti. Quando ho firmato il contratto di passaggio dal Vicenza alla Fiorentina, non voleva che all'incontro partecipasse anche il mio procuratore.Già allora, ho capito che tra me e lui non ci sarebbe mai stato feeling. Chi mi ha davvero voluto bene, è stato il povero presidente Baretti.Aveva la rara dote di capire le persone, sapeva caricarti. Per farmi sentire a mio agio, invitò la mia famiglia a Firenze. Non ha mai smesso di credere in me. Quando è

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morto, ancora oggi faccio fatica a crederci, ho perso un amico. Era una persona vera.E con gli allenatori?Il primo che ho avuto è stato Agroppi. Diceva che non ero maturo, che avevo troppi vezzi. Sai com'è, Aldo: appena vede una catenina o un qualche gingillo, inizia subito a dire che non sei maturo, che devi crescere, una litania che non finisce più.Probabilmente lo faceva per responsabilizzarmi, ma, considerando l'età e la situazione che attraversavo, poteva avere con me un po' più di tatto. Ha comunque concorso di sicuro alla mia formazione.La tua prima stagione in maglia viola si chiude senza nessuna presenza in campionato. La stagione 1986 87 ti avrebbe dovuto lanciare, e invece...E invece in quel periodo non me ne andava bene una. A livello affettivo, mi mancava la mia città, o meglio il mio paese. Sì, a Firenze stavo bene, ma non mi ero fatto, ancora, nessun amico serio. Quelli arriveranno nell'88 a Sesto Fiorentino. Un po' per la mia natura, un po' perché non ce la facevo fisicamente a uscire ore e ore di ghiaccio sul ginocchio, la riabilitazione non mi dava tregua - e un po' perché non volevo che la gente pensasse che non mi impegnavo abbastanza nel recupero, conducevo una vita da recluso. Sono arrivato al ritiro con la voglia di fare bene, ma per me i ritiri di quel periodo erano calvari. Sapevo che avevo a malapena il 10% della forza dei miei compagni. Sai che gusto, avere vent'anni e sentirsi come un vecchio, limitato nei movimenti, nel fiato, in tutto. Sempre. Una fatica maledetta, perché dopo un anno di inattività, senza mettere il cuore sotto sforzo, senza mettere le gambe sotto pressione, era come se avessi sempre, sulla schiena, un carico di venti chili da portare avanti.In panchina c'era Bersellini.Un brav'uomo, che capiva quello che stavo provando. Era subentrato ad Agroppi. Ero lontano anni luce da una forma accettabile, ma tra agosto e settembre mi ha fatto giocare le mie prime partite in Coppa Italia. Il 3 settembre, in casa contro l'Empoli, ho segnato anche due gol. E il 21 settembre, finalmente, ho esordito in A contro la Sampdoria. Camminavo a mezzo metro da terra, finalmente ce l'avevo fatta. Chiaro che, di lì a poco, sarebbe arrivata una nuova tempesta.In che ruolo giocavi?Da punta esterna. Ero l'alternativa a Di Chiara. La prima punta era Diaz, le mezze ali Antognoni e Nicola Berti, futuro "traditore" come me.Che succede dopo l'esordio in A?Succede che il ginocchio fa crac un'altra volta. Il giovedì dopo la partita con la Samp (25 settembre '86), prima della partita con l'Inter, faccio una finta e mi parte il menisco. Ancora il ginocchio destro, proprio nella parte suturata. Un momento terribile, in quei casi la prima cosa che pensi è: basta, lascio tutto, non ce la faccio più. Tutto volevo, fuorché operarmi di nuovo.Con Pagni e il professor Beccani, che faceva parte dello staff viola, in qualche modo riesco a rimettermi in sesto. Torno in squadra il 6 dicembre, in un'amichevole contro il Sion. Non faccio in tempo a rassicurarmi, che mi faccio male di nuovo. Sempre al menisco, che parte definitivamente. L'operazione, a quel punto, era inevitabile.Torni ad operarti a Saint-Etienne, dal professor Bousquet.Avevo sempre meno speranze. Non piegavo la gamba, inorridivo all'idea di una

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nuova riabilitazione. E' stata mia madre a convincermi, solo lei sapeva scuotermi in quei casi. Ero terrorizzato dall'idea di svegliarmi e sentire il male alla gamba come l'altra volta, anche se era un'operazione diversa, più semplice.Quando ho riaperto gli occhi, ho chiesto a mia madre: "Mamma, quand'è che mi operano?". E lei: "Guarda Robi che ti hanno già operato, è andato tutto bene".In quel preciso istante, uno dei più belli della mia vita, ho detto a me stesso: "Adesso torno a giocare, e li stendo tutti".Eppure, il rientro tardava ad arrivare.Un periodo snervante, quello. Ero stato un povero illuso, a pensare che il rientro fosse vicino. Ogni settimana, Pagni mi diceva: "Dai Robi, un'altra settimana e poi ci siamo". Così per settimane, mesi. Non ce la facevo più. Finalmente arrivò il giorno in cui credevo di rientrare. Era inizio aprile, una bella primavera, quattro mesi dopo la seconda operazione a Saint-Etienne.Mi convoca il presidente Baretti, che non aveva mai smesso di essermi vicino. Mentre aspetto di incontrarlo, mi cade l'occhio su un titolo della "Gazzetta dello Sport". Di solito non do grande importanza ai giornali, ma quel titolo mi raggelò: "Oggi Baggio decide se smettere di giocare oppure no". Sono entrato dal presidente con lo sguardo allucinato. A posteriori, posso e devo dire che nei miei confronti aveva una cautela paterna, si comportava come un secondo padre.Ti aveva convocato per proporti di andare a Formia.Già, dal professor Vittori, il mago dell'atletica leggera che aveva seguito Mennèa. Non ci ho visto più. Credevo di essere arrivato alla fine della via crùcis, e invece mi mandavano da un'altra parte: "No, io non vado da nessuna parte, anzi, che vadano tutti 'affanculo, chi me lo fa fare, dopo tutti 'sti mesi, di farmi prendere ancora in giro?". Non mi vergogno a dirlo: sono scoppiato a piangere a dirotto, come un bambino. Lì, in ufficio, in sede, davanti a lui. Ero disperato. Avevo sperato, sperato, e il porco mondo mi crollava nuovamente addosso. Un'altra volta. Quando sono entrato in camera mia, ho spaccato tutto. Letteralmente.Poi però a Formia ci sei andato.E' stato ancora di mia madre, l'intervento decisivo. Mi ha convinto che quello era l'ultimo sforzo, che per superarlo meglio mi avrebbe accompagnato lei. Così, sono stato per due settimane a Formia, coi preparatori della Nazionale di atletica leggera, quelli di Mennèa, e lì ho fatto la rifinitura di potenziamento muscolare, anche se il grosso della riabilitazione l'avevo già fatto con Pagni.Credi che la cura Vittori ti sia servita?Male non mi ha fatto sicuro, ma credo che Baretti mi abbia mandato là per non lasciare nulla di intentato, per poter poi dire: "Abbiamo fatto veramente di tutto, per recuperare quel povero ragazzo". A Formia non è accaduto nessun miracolo. E' stato un ritocco finale intelligente, basato, questo è vero, su esercizi per me completamente nuovi.Sei rientrato in tempo per giocare le ultime quattro partite della stagione.Ma non stavo bene. Il ginocchio si gonfiava, i 220 punti interni creavano problemi, la gamba non era stabile. Insomma, la solita croce di Sant'Antonio. Però, anche se in quelle condizioni, grazie ad un mio gol, ci siamo salvati all'ultima giornata. Era il 10 maggio 1987;. Giocavamo al "San Paolo" contro il Napoli di Maradona, una squadra

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foltissima al suo primo, incredibile scudetto. Stavamo perdendo, col mio gol su punizione - fammelo dire: proprio una punizione alla Maradona - fissammo il risultato sull'1 a 1;. Accanto a me c'era il dieci storico della Viola, Giancarlo Antognoni: speravo in qualche modo di divenire il suo erede. Quello è stato un punto decisivo per la salvezza della Fiorentina. Una bella soddisfazione integrale, anche se ero lontano dallo stare bene. E me ne sono accorto subito, d'estate.Punto.Eppure, la stagione 1987 88 è stata la tua prima senza infortuni.E' vero, ho giocato 27 partite e fatto 6 gol. Non molti, lo so, ma che non sarebbero state rose e fiori l'ho capito durante la preparazione. In ritiro, con Eriksson come nuovo allenatore, non ero minimamente paragonabile ai miei compagni di squadra. Non stavo in piedi, mi stancavo dopo dieci minuti: una vergogna, per uno come me, che anche solo per passione, da ragazzo andava avanti per ore. Era molto umiliante, stavo toccando il fondo, non è un caso che proprio in questo periodo abbia cominciato a scoprire il buddhismo, e con esso la certezza che piangermi addosso non sarebbe servito a niente. Dovevo combattere, quell'anno, combattere contro il fantasma di me stesso. Il Baggio che sarebbe stato un calciatore fallito, che gettava la spugna.Entravo dentro, giocavo e mi liquefacevo. Morivo perché non avevo forza, non avevo resistenza, non avevo niente. Mi mancava proprio la base, la condizione vitale. Dopo un quarto d'ora avevo già dato tutto, mi trascinavo sul campo. Nel mio primo anno vero di serie A, alternavo brevi, belle giocate a pause interminabili. Lì la volontà non bastava più, proprio non ce la facevo. Comunque, una cosa la devo dire, davvero.Ti ascolto.Ho finito il combattimento in piedi, non ho gettato la spugna, mai. L'asciugamano bianco del mio manager è rimasto lì, nel mio angolo del ring. Ho finito in piedi, pesto, sanguinante, ma in piedi.Non ho conosciuto l'onta del k o, non sono andato al tappeto.Le ho prese, le ho date, a testa alta, sempre, guardando negli occhi il mio destino. Ero ancora in piedi, ero giovane, ero vivo.Nonostante tutto ero forte, anche dentro. Ero vivo. E piano piano ho capito che ce la potevo fare. Quello che non potevo sapere, ancora, è che avrei dovuto lottare molte volte per la corona mondiale e per difendere quel titolo.In quella tua prima stagione piena, così difficile, il 20 settembre, a San Siro, eri comunque riuscito a segnare al Mìlan di Sacchi un gol incredibile: l'intera difesa saltata, 2 a 0 il pubblico avversario che ti applaude, in piedi.E' stata una rete straordinaria, uno di quei gol che immaginavo da bambino, che realizzavo nel corridoio di casa. Quel giorno, il corridoio di casa si è allargato, si chiamava San Siro. Un bel salto, sì, ma restava un episodio. Ho iniziato a stare bene fisicamente soltanto con l'anno nuovo, anche se la consacrazione è arrivata nella stagione successiva.Sempre con Eriksson.Con Eriksson mi sono trovato bene. Aveva fiducia in me. Sì, fu la stagione dell'affermazione vera e propria. Risparmiato dagli infortuni, protetto dallo Spirito, con tutto il lavoro extra che facevo ogni giorno, ho fatto 15 reti in 30 partite. Con

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Borgonovo mi intendevo a meraviglia. Dopo uno spareggio con la Roma, giocato il giorno prima del mio matrimonio, ci siamo qualificati in Uefa.Un'ottima stagione, che ti ha permesso di entrare nel giro della Nazionale.Per i miei gusti, e per i miei sogni, avevo aspettato anche troppo. Dopo la convocazione di Maldini nella under 21 e quella di Zoff per la sua Olimpica, ho esordito con la Nazionale maggiore di Vicini a Roma, il 16 novembre '88;. Un mese prima, ero stato convocato per la prima volta: si giocava a Pescara contro la Norvegia, non sono entrato.Ventidue aprile '89 a Verona, primo gol.Indimenticabile. Italia-Uruguay. Su punizione. Ricordo quella rincorsa, la pausa prima di tirare, la palla che si insacca. Nella ipotetica top ten delle gioie da me provate, quel gol ci sta di diritto.Per me, la maglia della Nazionale ha sempre avuto un valore particolare. Era il sogno più grande che avevo da bambino. A vedermi c'era mezza Caldogno. Probabilmente avevano prenotato un charter... I momenti negativi erano alle spalle. Stavo trovando serenità interiore, equilibrio. In estate mi sono sposato con Andreina, al nostro paese. Il matrimonio, che non era certo obbligatorio, era un'esigenza, un completamento naturale del nostro rapporto. C'era tanta gente, anche molti tifosi della Fiorentina. Lanciarono fumogeni viola e inneggiarono a me, alla mia gioia, a quella della mia famiglia.C'era un grande striscione. Diceva: "Forza Roberto. Firenze ti ama". Eh sì, il mio rapporto con i fiorentini era davvero unico. Prima dell'addio, credo che non ce ne sia stato uno che abbia mai parlato male di me. Né io di loro.Uno dei testimoni del tuo matrimonio era un altro amico sfortunato, come Diego e Mauro: Gianni Cullo.Gianni aveva giocato nella Sanremese. Era a Saint-Etienne con me, nell'85;. Non ce l'ha fatta a rientrare. E' un caro amico.Tra i tanti estimatori che avevi nella città gigliata, c'era anche Roberto Benigni.Benigni è sempre stato un mio idolo, mi faceva e mi fa morire dal ridere. L'ho conosciuto al ristorante La Pianella di Sesto Fiorentino. Il proprietario era Giuliano Ghelardoni, allora eravamo spesso insieme. E' una persona speciale, Benigni: gli ho citato a memoria le sue battute, ci siamo divertiti, proprio uno sbraco.Con l'espressione del tuo talento, crescevano anche le attenzioni dei tuoi marcatori. In quel periodo, hai depositato addirittura un esposto scritto.Prima di una partita, a Firenze, i compagni del mio marcatore diretto lo avevano incitato ad entrare duro, a spaccarmi la gamba. Mi è presa paura, anche ripensando al tunnel da cui ero appena uscito, ma non ho fatto nessun esposto. A che sarebbe servito? Purtroppo, anche quelle provocazioni fanno parte del calcio.E arriviamo alla stagione 1989 90;. Tu ami Firenze, Firenze ama te, eppure quella sarà la tua ultima stagione in viola. Pontello padre dice che "Baggio e Berti sono la rovina di Firenze". Eriksson, allontanato a favore di Giorgi, è uno dei primi a parlare di un forte interessamento della Juve.E stata una stagione travagliata. In campionato andavamo male ma, non si sa bene come, nonostante tutti i cambiamenti di panchina che ci furono, arrivammo alla finale Uefa. Io giocavo bene, il mio tabellino finale registrerà 17 reti in 32 partite, ma non

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potevo non essere coinvolto in una vicenda che mi riguardava direttamente, pesantemente. Già a settembre i tifosi chiesero alla dirigenza di non cedermi."Per noi fiorentini, Baggio è come il Perseo".Proprio così. Mi volevano bene, io ne volevo a loro. Lo voglio ripetere fino alla nausea. Li avevo sempre difesi, a costo di apparire impopolare.Una volta, ti hanno accusato di difendere la frangia più violenta della curva.Follie. Avevo solo detto che della violenza in curva si parla, ma soprattutto si sparla. Da ragazzino, anch'io seguivo il Vicenza, andavo in curva. Conoscevo come andavano le cose. Quanto accaduto a Bologna tra tifosi fiorentini e bolognesi, quella violenza assurda, mi aveva però sconvolto. Stavo male come un cane, ma volevo provare a capire perché quella cosa era successa. Dicevo che lo sdegno non bastava, occorreva provare a capire. Non li giustificavo. Dicevo solo che avevamo, tutti, il dovere di ascoltare.Credevo in questo, non mi sono mai piaciute le considerazioni dei benpensanti.Torniamo all'addio da Firenze.Tutti dicevano che me ne sarei andato, che Pontello si era già accordato con Agnelli. Io sapevo solo una cosa: volevo restare a Firenze. Per questo avevo rinnovato il contratto fino al giugno '91;. Per questo facevo quelle dichiarazioni che poi mi verranno rinfacciate, dopo l'addio. Quando dicevo: "Resterò a Firenze, lo scriverò sui muri", ero sincero. Ingenuo, ma sincero. Volevo così bene alla città che nel dicembre di quell'anno avevo comprato casa con Andreina, stavamo già lavorando all'arredamento. La mia testa era lontana anni luce dall'idea di andarmene.Firenze mi era stata vicina nel momento più difficile della mia vita, era una città stupenda, a misura d'uomo. Sarei rimasto lì anche solo per gratitudine. C'erano persone amiche, ormai mi sentivo a casa. Perché avrei dovuto andarmene?Eppure te ne sei andato.Non me ne sono andato: mi hanno mandato via. Pontello aveva già preso accordi con Agnelli, mi aveva venduto l'estate prima. Quando Berlusconi provò ad acquistarmi, Agnelli gli rispose che potevano accordarsi su tutto, ma che Baggio era già bianconero. Sono stato il protagonista passivo di una vicenda che mi riguardava direttamente. Una sensazione bruttissima, che mi ha segnato per tutta la vita.Davvero non potevi fare nulla per restare?No. Al tempo la legge Bosman non c'era, i calciatori erano in totale balìa delle società. E la società, i Pontello in testa, avevano deciso di vendermi. Lo avevano già fatto, senza dirmi niente.Dietro a questo, c'erano anche interessi personali di procuratori e direttori sportivi.Che ruolo ha avuto Caliendo in tutto questo?Caliendo era il mio procuratore, il suo ruolo è stato per forza primario. Non è un caso che, già nel '91 non fosse più il mio procuratore ufficiale. Fino al '96 ho preferito affidare i miei interessi soltanto a me stesso, piuttosto che a gente di cui non mi fidavo più pienamente.Ti sei incontrato con Pontello in quel periodo?Ci ho provato, ma è stato inutile. La mia idea era: "Guadagno meno, però resto qua". Ne ho parlato con Pomello, ma lui mi ha risposto che se io fossi restato, lui avrebbe fatto una squadra per retrocedere. Come potevo discutere con una persona così? Non

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puoi restare in paradiso a dispetto dei santi. Era già stato deciso tutto senza di me. Ho sopportato delle pressioni inaudite, in quel periodo. Ogni giorno, un incontro con i tifosi.Io ripetevo loro la verità: voglio restare. Mia moglie era incinta, c'era la finale di Coppa Uefa alle porte, tra l'altro proprio contro la Juve: il destino, quando ci si mette, sa essere cattivo. Di tutto avevo bisogno fuorché di quel surplus di tensione. La testa mi scoppiava, ero sempre sulla corda.Ancora oggi, molti tifosi viola ti rinfacciano quella finale.Provaci tu, a giocare bene con l'affanno che avevo io in quel periodo, con i tifosi che ti assediano, la società che non vuole vedermi, col cuore che resta a Firenze e la certezza di doversene andare. Contro la Juve, all'andata e al ritorno, ho dato tutto quello che avevo, come sempre. Se poi era poco, non era certo colpa mia.Ti faceva male soltanto l'addio da Firenze, oppure anche la tua nuova destinazione?Questo è un aspetto importante, che voglio chiarire una volta per tutte. Io volevo rimanere a Firenze perché stavo bene a Firenze, ma non avevo nulla contro la Juventus. Sono un professionista, e quando ho capito che il mio destino era scritto, ho reagito da professionista. L'approdo alla Juventus ha turbato i tifosi viola, perché per loro quelli erano gli avversari di sempre, i "gobbi", ma io non ho mai fatto un ragionamento di questo tipo. Sono naturalmente lontano da una logica di questo tipo. E' il mio carattere, la mia natura, direi.Quando hai capito che non avevi margini di trattativa?Nella fase calda della vicenda, in primavera, ho incontrato a Roma, di nascosto, Mario CecchiGori. Gli ho detto che volevo rimanere a Firenze e che, se comprava la Fiorentina lui, sarei rimasto viola a vita. Lui mi ha detto che si sarebbe informato con Pontello, adoperandosi in ogni modo perché io restassi.Quando ci siamo incontrati la seconda volta, mi ha confermato che non c'erano speranze. I Pontello vendevano la società solo se io me ne andavo. Se restavo io, restavano i Pontello, si apriva la prospettiva della B. Era finita.Stai dicendo che la responsabilità del tuo addio a Firenze è solo della società.Sì. Io ho solo subìto la situazione, e ne avrei fatto volentieri a meno. Su questo punto, posso e voglio essere categorico.Il 18 maggio viene ufficializzata la tua cessione alla Juventus.A Firenze scoppia la guerriglia urbana. Come vivi quella situazione surreale?Malissimo. Ero a Caldogno. Piangevo, non potevo credere a tutto quello che vedevo in televisione e leggevo sui giornali. Io, un tipo tranquillo, che ama la calma e la pace, ero il responsabile, il pretesto di una situazione gravissima. Nella città che più amavo. Non era facile accettare questo destino.Eppure, ancora oggi, c'è chi dice che sei andato alla Juve per soldi.Andando alla Juve, ho preso il triplo di quanto incassavo a Firenze, ma non me n'è mai fregato niente. Finché ho potuto, ho lottato contro i mulini a vento. Poi mi sono stancato: Andreina era incinta, c'era un Mondiale alle porte, chi me lo faceva fare di lottare da solo contro il sistema? Mi stritolàvano, se insistevo.Così, sono andato a Torino. Certo, se proprio dovevo andare via, tanto valeva trarre il meglio almeno a livello economico. Ma è stato un addio quasi disperato, davvero. Quel travaglio interiore mi ha lasciato una malinconia di fondo, un sapore amaro che

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non mi è andato più via. Sono già un tipo abbastanza particolare. Non avevo certo bisogno di questo ricordo doloroso. E non ho mai preteso di passare per eroe.Più volte, nel corso della tua carriera raminga, si è parlato di un tuo ritorno a Firenze."La vida es sueno", diceva Calderon de la Barca, lui, sul serio, un "grande di Spagna". Sono più voci giornalistiche che possibilità concrete. Non tornerò più a Firenze nelle vesti di calciatore. Riambientarsi sarebbe durissima, avrei tutti davanti col fucile spianato. Preferisco serbare il "mio" ricordo di ciò che è stato e tornare a Firenze da semplice innamorato.Si può dire che ti sei trovato bianconèro tuo malgrado?Si può dire, fermo restando che non avevo nulla contro la Juve. Solo che, fosse dipeso da me, non ci sarei andato.

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Il tempo è un'illusione.

Il tempo non è reale, Govinda... E se il tempo non è reale, allora anche la discontinuità che sembra esservi tra il mondo e l'eternità, tra il male e il bene è un'illusione. ..Il peccatore ch'io sono e che tu sei è peccatore, sì, ma un giorno sarà di nuovo Brahma, un giorno raggiungerà il nirvana, sarà Buddha...No, nel peccatore è, già ora, oggi stesso, il futuro Buddha, il suo avvenire è già tutto presente, tu devi venerare in lui, in te, in ognuno il Buddha potenziale, il Buddha in divenire, il Buddha nascosto.Herman Hesse, Siddharta.

Parliamo troppo di spiritualità, ma più ne parliamo meno ci pensiamo, meno la viviamo. Come l'essenza profonda della vita, la coscienza stessa della morte. Io ho trovato una via, la "mia" via, in questo tempo presente. Posso solo riflettere sulla mia esperienza e sulla condizione umana. Offrire, a chi vuole, il senso riposto dei miei pensieri. Questo, per me, è tutto il valore possibile. Anche se non sarà servito a niente, e a nessuno.Torniamo alla sorgente. Esistono molti tipi di buddhismo, tra cui, fondamentale, quello Mahayana, nell'interpretazione della scuola di Nichiren Daishonin, monaco santo vissuto in Giappone nel tredicesimo secolo. Rappresentata, oggi, dalla Soka Gakkai del tuo Maestro Daisaku Ikeda, premio per la Pace delle Nazioni Unite 1983 personalità di livello mondiale.E stata la scuola che mi ha fatto conoscere Maurizio. A Sesto Fiorentino c'era il centro più antico della Soka Gakkai in Italia, attivo fin dal 75;. Ho avuto la fortuna di conoscere persone con una grande fede pur non essendo preti o santoni. Ho recitato Daimoku con persone laiche, sposate con famiglia o giovani, ma tutte con il profondo desiderio di crescere interiormente, in grado di trasmettermi la loro bontà e la loro voglia di lottare per un mondo migliore. Il riferimento storico è Daishonin, un vero "Buddha dell'ultima ora", un sapiente che aveva scorto nel Sutra del Loto di Siddharta la verità ultima per giungere alla illuminazione. Ne è nata una scuola complessa, con regole molteplici e precise. Ad esempio, la recita due volte al giorno della Legge mistica e delle formule fondamentali. In particolare, alcuni passaggi del Sutra del Loto e il mantra Nam Myoho Renge Kyo.Che significa?Sono parole antiche. Vogliono dire, più o meno letteralmente, "Omaggio al Sutra del Loto del vero dharma".Daishonin assicurava che, concentrandosi su queste parole con fede intensa e devozione, fosse possibile realizzare i propri obiettivi materiali e spirituali. Ti assicuro che aveva ragione, a me è successo. Ed è accaduto anche ad amici miei, a molte persone che conosco.Puoi dirmi come preghi, e quando?Prego due, anche tre ore al giorno. La mattina, quando ho la mente pulita, e la sera,

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per porre ordine nella mia giornata. I miei gesti sono essenziali. Chi mi osservasse, vedrebbe che non c'è in me compiacimento. Sono totalmente immerso in ciò che faccio. So di assorbire dentro di me parole supreme. Nell'atto di pronunciarle ho l'anima raccolta e la convinzione che sia possibile riattivare la forza, chiamando il Buddha dentro di me.Nella meditazione, la voce ha una componente essenziale.Che la voce abbia un'importanza particolare, è indubbio. Meditando, e quindi recitando, si ricerca la forza attraverso la propria voce, a partire dall'invocazione. Vedi, qui si tratta di capire che la mente da sola non basta. Un esempio elementare: se io ti voglio chiamare, uso la mente, ma solo con la mente non puoi sentirmi. Devo chiamarti: ecco l'importanza della voce. Detto questo, tutto ciò che rischia di confondere la meditazione con qualcosa di eccessivamente rigido, che toglie naturalezza, non mi convince. Il buddhismo ha un fascino intellettuale, certo. E' un pensiero forte, una sfida al pensiero pigro e ingrassato di oggi.Per questo, leggere testi è fondamentale, ma troppa dottrina rischia di snaturare tutto. Non bisogna mai dimenticare che il buddhismo, e questo è uno degli aspetti che più mi hanno colpito, è una pratica che da importanza primaria alla vita concreta, al valore dell'esperienza.L'esempio di una vita autentica vale più di qualsiasi teoria.Certo. Le pratiche ascetiche che portano alle estreme conseguenze la parte teorica e ìsolano l'uomo non mi piacciono. E la stessa cosa penso del digiuno, di pratiche puramente penitenziali.Dalle mie parti, cultura contadina, si dice che i sacchi vuoti non stanno in piedi... Questo non vuol dire che non so rispettare il valore della rinuncia, del sacrificio. Ma lo concepisco solo quando è strettamente necessario, e preparatorio. Non come pratica fine a se stessa. Che, poi, è quello che dice anche Shakyamuni.Torniamo alla meditazione.La meditazione è fondamentale, perché rappresenta la pratica assidua (gongyo) attraverso cui comprendere le scritture sacre. La mia è una pratica reiterata, scandìta da una serie di regole nel senso quasi monastico del termine.L'oggetto della devozione ha due aspetti: la Legge, che sarebbe la Verità fondamentale, e la Persona, cioè il Buddha, che ha manifestato questa verità nella sua vita. Per questo, nel corso della meditazione, ho davanti a me il Buddha (la Persona) e il Gohonzon (la Legge), una pergamena con ideogrammi e rappresentazioni grafiche del buddhismo: go è un prefisso onorifico, honzon significa "oggetto a cui si deve portare il rispetto più profondo". Sopra il Gohonzon è scritto il titolo del Sutra del Loto che, secondo Daishonin, contiene la legge della vita e dell'universo che permea tutti i fenomeni. Attento: questi non sono schemi e ritualismi.Qui siamo nel cuore della nostra fede, per questo entro proprio nel dettaglio.Vuoi spiegarmi perché la formula Myoho-Renge-Kyo, con l'aggiunta del prefisso Nam, è così importante?Per spiegarlo correttamente, occorrerebbe spiegare il significato parola per parola, anche se, per il Maestro, anche recitando il Sutra del Loto senza comprenderne il significato, è già possibile intuire l'essenza di tutti gli insegnamenti del Buddha. Nam è un prefisso che vuol dire "dedicarsi a", e testimonia da un lato l'importanza del

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precetto, dall'altro la devozione assoluta al Buddha. Myoho può essere tradotto come "Legge mistica, mistero della vita". La Legge è chiamata mistica perché è infinitamente profonda, e impossibile da concepire, per la mente umana. E ciò che la mente non arriva a comprendere e le parole non riescono ad esprimere. Vita (ho) e morte (myo) sono i due aspetti opposti della Legge mistica.Siamo arrivati al significato della parola Renge.Renge, letteralmente, vuol dire "fiore di loto". Il loto è una pianta che cresce nella regione dell'Himalàya, un simbolo importantissimo per numerose culture e tradizioni. Simboleggia la longevità, la fertilità, la prosperità. Si dice che Brahma, il creatore dell'universo, sia emerso da un fiore di loto. Il dato importante è che il loto cresce nel fango, a riprova che la bellezza può nascere dal suo contrario. Il loto si chiude la notte e si schiude all'alba, simbolo vivente della capacità delle nostre menti di aprirsi alla parola divina. Ma, più ancora, il fiore del loto rimane asciutto pur vivendo nell'acqua, dandoci l'idea di qualcosa che conserva la propria integrità anche in mezzo alle contrarietà della vita."Dai diamànti non nasce niente, dal letame nascono i fiori", cantava Fabrizio De Andrè. Il paragone è azzardato. Regge?Regge. Il senso è quello. Kyo, infine, è traduzione della parola sutra, che vuol dire "discorso". La parola Kyo rappresenta i discorsi, i suoni e quindi le voci di tutti gli esseri viventi."Infiniti significati derivano da un'unica Legge", diceva Siddharta.Voglio ricapitolare e semplificare, è necessario.Myo è questa energia universale; ho sono i fenomeni; Renge è la dinamica del loro contaminarsi; Kyo è il suono che ne emana.Nam è il vibrare all'unisono.A cosa porta, allora, la ripetizione della formula Nam-MyohoRenge-Kyo?Recitando e ripetendo queste parole ci sintonizziamo con l'armonia cosmica, e riportiamo l'armonia nel nostro ritmo vitale di base. E l'effetto si manifesta, immancabilmente, nei fatti concreti della vita quotidiana. E' evidente che succede perché anche la nostra esistenza fa parte della rete universale.Detta così la cosa è suggestiva...Ascolta. Il punto è che recitare Nam-Myoho-Renge-Kyo funziona, che ci si creda o meno, che si sappia o no il significato, proprio perché va ben al di là della convinzione mentale. Agisce a un livello più profondo: attiva energie universali, grandissime, tendenzialmente addormentate dentro di noi.Una frase del Sutra del Loto dice, semplicemente: "Questo stesso mondo è dove la gente può vivere in pace e felicità".Utopia.Non credo, io stesso ne sono la prova. Quello che io e te stiamo facendo, adesso, non è un dialogo astratto. E' una testimonianza di vita: la mia vita. E', adesso, il necessario pretesto.Il buddhismo, quello vero, non è negativo, anzi, esalta la vita. La consapevolezza della vita eterna non è un trucco per persuàdere la gente ad accettare il fatto che deve morire. E' una lezione assoluta.Si lotta, ascoltami bene, contro la sofferenza della nascita, della vecchiaia, della

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malattia, della morte. Si spera, si lavora per se stessi, per gli altri, perché "la compassione è la sorgente prima della vita cosmica".Resto stupito dal trasporto con cui dici queste cose.E' perché ti parlo della mia vita, di ciò che ho conquistato, appreso, scoperto. Il buddhismo ti insegna che tutte le prove avverse, le difficoltà, possiamo trasformarle in una sorgente di potere, di forza interiore, che porterà gioia alla nostra vita.Hai sofferto, soprattutto all'inizio della tua esperienza. Hai continuato a soffrire in modo "speciale". Siamo d'accordo, ma non siamo forse di fronte ad una sopravvalutazione...E chi l'ha detto? Te lo ripeto: io parlo per esperienza personale, fatta, verificata. Dunque, prova provata, per me. Le prove che affrontiamo, ogni giorno, diventano pietre per costruire l'edificio del nostro carattere. Lo dice, meglio di me, il mio maestro Ikeda, un uomo che dovresti conoscere. Ti toglierebbe lo scetticismo.Lui dice: "Ogni goccia di dolore spesa nella lotta per la salvaguardia di se stessi, e il miglioramento della società, diventa il germe di un'energia più grande". Per capire, guarda me, che a 18 anni dovevo smettere di giocare a calcio. L'aveva decretato, concorde, l'universo della scienza medica, nessuno escluso. Per loro ero spacciato."Soltanto lo spirito di solidarietà romperà l'isolamento disperato dell'io moderno, aprendo nuovi orizzonti di speranza per la civiltà", recita ancora la tua Scuola. Per la quale, non a caso, è di vitale importanza la figura del Bodhisattva, colui che si mette totalmente in gioco, mette in moto la propria energia e la propria saggezza per il bene degli altri. Rischia tutto se stesso. Ripenso, inevitabilmente, alle parole di Gesù: "Non c'è amore più grande di colui che dona la vita per i propri amici". Ecco un vero Bodhisattva.Ti ritieni un Bodhisattva?Non sta a me dirlo, sarei pazzo se lo facessi. Non so rispondere, davvero. Io cerco solo di mettere in pratica, al meglio, quello che mi viene insegnato. Di sicuro c'è la volontà di fare bene.In che modo?Mi fai parlare troppo del "personalissimo", e sai bene che non è cosa facile per me.Questo è il racconto della tua vita...Cercherò di spiegarmi meglio. Ci sono dei momenti di illuminazione, è allora che percepisci qualcosa di molto forte. E' una sensazione breve, troppo intensa. Illuminazione è anche quando ti rendi conto di avere contribuito, forse determinato, la felicità degli altri.Troppo generico... Fammi un esempio concreto.Dopo 13 anni di pratica, è un momento positivo. Sto bene, molto bene. Come ti ho spiegato, non c'è nulla di facile, ogni giorno riparti da zero. Eppure, oggi, ho la certezza di stare bene.Completamente.Vuoi dire che stai vivendo una specie di condizione di grazia?Sì. Volevi un esempio concreto... La scorsa stagione, con il Brescia, abbiamo affrontato il Napoli. Era una partita decisiva nella lotta per la salvezza. Perdevamo, immeritatamente, per 2 a 1;.Mancavano due minuti alla fine. Punizione al limite dell'area.

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Vai Roberto, mi dicono i compagni, tocca a te. Tieni conto che quel Brescia era una squadra giovane, inesperta a certi livelli.Spesso l'ho dovuta prendere per mano. Accarezzo il pallone, lo metto sull'erba, lo aggiusto nel punto preciso da cui partirà la traiettoria. Lo stadio, il San Paolo, intorno a me è ammutolito.Quarantamila muti. Guardo la barriera, guardo il portiere, leggermente in avanti. C'è un buco in basso sulla sua destra. L'arbitro fischia: è il segnale.Colpisco di piatto, una traiettoria tesa.Osservo la palla, la palla vola esattamente dove volevo che volasse.Gol.Pareggio. Un pareggio che ci ha dato la carica decisiva per la salvezza, poi raggiunta con due giornate di anticipo.Ricordo: bel gol. Ma l'illuminazione dov'è?Calma, adesso ci arrivo. Festeggiamo in campo, dopo pochi minuti finisce la partita. La folla applaude, il "San Paolo" mi ha sempre trattato bene. Ricambio volentieri, braccia levate. I compagni mi abbracciano. Rientro negli spogliatoi, portandomi dietro i soliti dolori. Dentro di me sono felice, pieno. Mentalmente, recito una preghiera di ringraziamento. Varco la porta dello spogliatoio a testa bassa - solo adesso mi rendo conto di essere l'ultimo - e all'improvviso parte un applauso scrosciante. Alzo la testa, stupito. Tutti i compagni in piedi, l'allenatore, il massaggiatore. Ad applaudirmi. Un'ovazione, un piccolo trionfo, come alle feste di compleanno da bambino. Mazzone - un grande, un grandissimo, magari l'avessi incontrato prima - mi abbraccia: "Grazie, Robi". In quel grazie c'era tutto. Era un grazie che mi ripagava di tutto quello che mi hanno detto in questi anni.Addirittura?A chi aveva detto grazie, Mazzone? Al divo, al rompiballe, al coniglio bagnato, a quello che spacca gli spogliatoi, al malato immaginario, a quello che non regge neanche venti minuti, allo stronzo ricco e finito? No, Mazzone aveva detto grazie all'uomo. Per questo è un momento che non dimenticherò mai. E sono io, adesso, a ringraziare Mazzone, i compagni, tutti coloro che erano presenti. Quella volta lì, ho ritrovato la purezza, e l'entusiasmo, dei miei inizi. Ecco la prova che volevi. Il mio karma, un karma particolarmente positivo nell'occasione, ha incarnato e realizzato un valore collettivo. Eravamo puliti, fortemente motivati.Volevamo e meritavamo quel pareggio. L'abbiamo voluto, l'abbiamo avuto, tramite me, e i miei compagni l'hanno riconosciuto. Me ne sono stati grati.Ti pare poco?Comunque la tua posizione di persona famosa, quindi visibile, ti consentirebbe prese di posizioni sicuramente più impegnative, ad esempio contro la guerra.Quando ho potuto, mi sono sempre schierato. L'ho fatto per la Cecenia, il Kòssovo. Ho fatto partite per la pace, tutte le volte che mi hanno chiamato, in Israele come in Giappone. Il punto, però, è che, per quanto tu possa essere non-violento, da solo non puoi fare nulla. Ti devi per forza scontrare con questa società, l'avidità e la cattiveria che ci circondano. Capisco che l'illuminazione, la buddhità la trovi solo quando hai, veramente, dimenticato te stesso. So di essere un punto di riferimento, su questo tema delicato. E su questo punto devo molto migliorare. Purtroppo, vedo che non

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mancheranno certo le occasioni.So che fai beneficenza, aiuti gli altri.Sì, ma non mi va di parlarne. E' una cosa mia, riguarda solo me.Sei riuscito a raggiungere un equilibrio interiore, un "armonico equilibrio"?E' una sfida continua, ma credo di avere capito l'equivoco che sta alla base della credenza comune: possedere ciò che ci piace, evitare ciò che ci dispiace.La causa della sofferenza non è la perdita dell'oggetto che abbiamo conquistato dopo tante fatiche, ma l'attaccamento all'oggetto stesso.Esatto. La felicità è in noi stessi, e la vera rivoluzione è conoscersi e compiersi al punto da avere gli altri dentro di sé. E' la rivoluzione umana: dividere la nostra felicità con più persone, sviluppare e confrontare i propri pensieri con quelli degli altri.Straordinario.Come te lo immagini il nirvana?Non me lo immagino come un traguardo, ma come una felicità assoluta.Qualcosa che devi continuamente inseguire, per poi mantenere, fluidamente mantenere. Per quanto mi riguarda, e credo sia la prima volta che posso permettermi di dirlo, mi basterebbe vivere sempre come adesso, con tutta la felicità che ho dentro. Non sono mai stato bene come ora, la mia condizione vitale è ottima, riesco a creare valore in quasi tutte le cose che faccio. E ho ben chiara la legge di causa ed effetto che sta alla base di tutto.Cosa intendi, più precisamente, per legge di causa ed effetto?In ogni momento della vita, sono consapevole che sto ponendo le premesse per la mia vita futura e che, se non lavoro per fare arrivare ciò che amo, dovrò poi amare quello che arriva. Generando karma favorevole incrementiamo le qualità positive della mente, poniamo i presupposti perché gli effetti delle cause da noi suscitate, in futuro, siano favorevoli. Per questo, nel buddhismo, è più facile dire cosa si sarà, piuttosto che cosa si è stati.Come definiresti il karma?Il karma è il nostro spirito, la nostra essenza. E' qualcosa che c'era prima della nostra vita, qualcosa che sopravviverà alla nostra esperienza terrena.Ti interroghi mai sulla reincarnazione?A volte sì, ma non so darmi risposte facili. Certo, mi domando cosa sia stato in passato. A Peter, "mio amico da mille vite", dico spesso che io e lui siamo stati indiani d'America. A volte ho la sensazione di avere già vissuto qualcosa, ma credo càpiti a tutti. Forse sono stato un'anatra, o un Icone. Un Icone con le ali.Il Icone mi piace perché, quando ruggisce, emana, allo stesso tempo, un senso di potenza e di dignità. Non per nulla nella mia fascia di capitano, con i colori della Soka Gakkai, è disegnato un Icone, che rappresenta la voglia di combattere.Su quella fascia c'era anche una scritta.Erano degli ideogrammi che volevano dire: "Bisogna vincere". Adesso non ci sono più. Non è più necessario. Tornando al Icone, al Icone con le ali, un suo ruggito è un invito alla lotta, ma anche l'esigenza di trovare la forza in sé. Le ali, e quindi un volatile, quelle di un volatile. Un'anatra, certo, perché è l'animale che amo di più, che maggiormente mi sento vicino.

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Eppure è l'animale che cacci, e che quindi uccidi. Apparentemente, una contraddizione non da poco. Secondo il buddhismo, quell'anatra potrebbe essere la reincarnazione di una persona come te...Scusami, ma la domanda è mal posta.E' una contraddizione che percepìscono in molti.Piano con i giudizi. La trasmigrazione non è un circuito chiuso su un unico livello. Dobbiamo pensarla come un cielo aperto, tridimensionale. Dice Ikeda: "Una spirale che può condurre verso l'alto o verso il basso". Dunque, se io uccido selettivamente, sportivamente, un'anatra, compio un atto naturale, che non è violento di per sé. Un gesto che è nell'ordine delle cose, che diventa cattivo, quindi violento, se lo fai con animo cattivo, quindi violento. Ti assicuro che non è il mio caso. Sono quasi arrivato al punto che neanche sparo più. Se poi succede, vuol dire che "doveva succedere".Eppure, perdonami se insisto, la maggioranza dei buddhisti ritiene impossibile qualsiasi forma di violenza, e spesso è anche vegetariana. Sei stato anche accusato esserti inventato una forma ad hoc di fede. Un buddhista vero non può andare a caccia, dicono.Per me la caccia è una passione, è stato qualcosa che mi ha permesso di stare - io, ricordalo bene, sesto di otto fratelli accanto a mio padre. Con la caccia ho imparato un sacco di cose. Mi ha aiutato, mi piace. E poi adoro la natura. Il buddhismo non impone nulla, insegna a creare valore in tutte le cose. E io, sì, io creo valore anche andando a caccia. Mi piacerebbe portare molti detrattori della caccia con me. Cambierebbero idea. Non vado in riserva, la cosa importante è la ricerca, la sfida. Mi piace il contatto con la natura, sono un tipo particolare, che si documenta, si immedesima. Conosco ogni tipo di animale. Per me, la caccia non è uccidere un animale, ma stare immerso nella vita. Preparare la baracca, gli stampi, prendere il freddo, vibrare dentro. Amo la caccia migratoria perché mi permette di incontrare animali che vengono magari da cinquemila chilometri, e io ho la fortuna di incontrarli.Resta il fatto che spari. E uccidi.Premesso che ho sempre fatto caccia mirata, e che sparo sempre meno, se noi dovessimo seguire un ragionamento simile, non dovremmo neanche camminare, perché camminando uccidiamo organismi vitali. Non dovremmo usare spray, non dovremmo andare in macchina, anzi, non dovremmo uscire neppure di casa. Non basterebbe neppure essere vegetariani. Per me la caccia non vuol dire uccidere, ma stare bene con me stesso, misurarmi, esplorarmi, applicare la mia ricerca in maniera concreta.E questo non è certo contrario al buddhismo.Hai paura della morte?Non più, non adesso. So bene che tutto ciò a cui sono attaccato, ben presto non ci sarà più: le persone amate, gli amici, i parenti, le cose piacevoli. Perfino il mio stesso corpo non ci sarà più. Questa consapevolezza mi permette da un lato di ridurre l'attaccamento alle cose di scarso valore, dall'altro di apprezzare maggiormente quelle che ho. Non si deve mai dare nulla per scontato. Neppure la luce dell'alba di domani.Nel non avere paura di morire, ti aiuta la legge di causa ed effetto a cui alludevi prima?

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Certamente. E' un precetto irrinunciabile. Vivo seguendo questa legge. Se sei consapevole di ciò, cerchi di attivare cause su cause, perché sai che, in futuro, il tuo karma sarà positivo.Non so cosa accadrà esattamente dopo la morte, ma so con certezza che rimarrà il mio karma, tutto ciò che ho detto e fatto.Più cose di valore abbiamo raccolto nel nostro magazzino, più avrà valore la nostra vita domani.Con il karma, credi che rimarrà anche la coscienza del tuo essere stato Roberto Baggio?No, quella penso di no, ma è una cosa d'importanza relativa. Non mi angoscia, anzi, credo che sia naturale morire. Una persona di 180 anni sarebbe strana, contronatura. Io so che, nel momento in cui si ricreeranno le cause perché il mio karma torni a fiorire, ricomincerà il mio cammino. Non è tanto reincarnazione, quanto un effetto delle premesse che ognuno di noi pone nella propria vita. C'è un periodo, molto breve, in cui un karma si manifesta concretamente attraverso l'esistenza di un essere vivente, ma è un attimo, in confronto all'eternità del karma.Se tu potessi scegliere, cosa vorresti essere nella prossima vita?Mi piacerebbe avere accumulato così tante cose positive, in questa vita, da rendere possibile una veloce rinascita. Sono io che determino questo, quindi la mia non è un'utopia, ma un proposito. Mi piacerebbe incontrare il Buddha, e questo potrebbe già bastare. E poi vorrei avere la possibilità di incontrare nuovamente le persone a cui ho voluto bene. I miei affetti. Chissà, magari sarò il padre di mio padre, oppure il figlio di mio figlio, e Andreina sarà mia madre. Magari porterò a caccia mio padre, oppure rimprovererò Mattia perché non mi ha portato con sé nel week-end. Non so cosa sarò, che lavoro farò, anche se, avendo dedicato gran parte della mia vita e delle mie passioni al calcio, forse svolgerò una qualche attività sportiva anche nella prossima vita.Come si ripercuote concretamente, nella tua vita di oggi, la legge di causa ed effetto?Mi spinge a controllare me stesso, a non cedere alle provocazioni di chi non mi vuole bene. Il mio dovere è quello di porre presupposti buoni, positivi in sé. Se, poi, altri ne scovano volontariamente di negativi - penso a certe persone che ho incontrato nella mia carriera - sono affari loro. Io non perdo la calma, perché so che il mio futuro sarà più radioso del loro. Io sono qui, al mio posto naturale, resisto. E non ho mai conosciuto da vicino la pienezza come adesso.Quando ha vinto il Pallone d'oro, Ruud Gullit ha dedicato il premio a Nèlson Mandèla. Tu lo hai dedicato, tra gli altri, al leader della Soka Gakkai, Daisaku Ikeda.Lui è il mio Maestro, il Sensei, una presenza fondamentale della mia vita. Ne ho sentito parlare fin dal mio primo contatto col buddhismo. Ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona nel '93 in Giappone.Cosa ricordi di quell'incontro?L'emozione incredibile, la certezza di avere di fronte una persona con un'umanità speciale. Vederlo è sconvolgente, è come se ti conoscesse da sempre. E il turbamento non mi ha più abbandonato, tutte le volte che ho avuto l'onore di rivederlo.E' accaduto anche nel '94 a ridosso dei Mondiali.Sì, a Milano. Era una grande festa per la pace. Cantanti, ballerine, musicisti.

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Mi portò sul palco, gli parlai. Quattro giorni dopo partivo per gli Stati Uniti. C'era un terremoto, dentro di me.Ti ha fatto profezie sul Mondiale?Sì. Mi ha detto che avrei incontrato grosse difficoltà, che avrei dovuto resistere, e che il Mondiale l'avrei vinto o perso all'ultimo secondo. All'inizio, quella frase proprio non l'ho capita. Ma l'ho compresa anche troppo dopo, a Pasadena. L'incontro successivo è avvenuto a Tokyo. Sono stato invitato alla giornata mondiale della gioventù, con molte migliaia di studenti collegati via satellite. Lui mi ha chiesto di raccontare la mia vita per il calcio.E cosa hai raccontato?Che ero riuscito a mantenere la mia forza di base, il mio entusiasmo, ma che un professionista, normalmente, non può permettersi, nel calcio di oggi, il lusso della passione. Sei una mosca bianca, ti fanno fuori, a meno che tu non abbia doti e volontà superiori. La passione che avevo da ragazzo, quando non mangiavo pur di giocare a pallone con gli amici, beh, quella ce l'ho ancora, nonostante tutto, ma quanto è difficile tenere. Senza passione non fai nulla, per questo il calcio sta morendo. Siamo d'accordo, un'eccessiva passione, forse, talvolta sbilancia, ma la sua mancanza rimpicciolisce qualsiasi esperienza.Nell'ottobre del 2000, Daisaku Ikeda ti ha indicato come esempio di vita e di disciplina. Sei divenuto uno dei testimoni, un vero alfiere della Soka Gakkai.Un'emozione incredibile. Avessi potuto, sarei scomparso dal palco. Il Maestro ha fatto quella scelta perché mi ritiene una persona concreta, che viene da una famiglia umile, che non ha perso la considerazione e il rispetto per le persone, e che è riuscita a coronare i suoi sogni nonostante le avversità. Diciamo che mi ha additato come esempio di moralità sportiva. Non so se merito quelle parole, forse no. Di sicuro, un'investitura simile mi ha ulteriormente responsabilizzato. E' come se mi avesse affidato una missione. Attraverso la mia esperienza, devo dimostrare il valore della mia fede. Ho dimostrato tenacia, ho costruito qualcosa, raggiungendo una certa ricchezza spirituale. La fama mi da maggiore visibilità, forse per questo ho la possibilità di dimostrare qualcosa agli altri. Anche se il primo a dover imparare sempre sono io. Si impara da tutti. Io, ad esempio, sto imparando un sacco di cose da mio figlio Mattia, che ha sei anni.Ikeda ti conosce come calciatore?Sì, però mi ha sempre trattato come gli altri. Segue con discreta passione il calcio. Dopo l'amichevole per beneficenza fatta in Giappone, mi ha detto ironicamente che avevo giocato bene, ma solo perché avevo fatto vincere il Giappone. Tutte le maglie che ho indossato, comprese quelle per la pace, le ho portate a lui, che le ha poi messe nella sala dei cimeli della Soka Gakkai. In occasione della mia investitura, gli ho consegnato la mia maglia del Brescia.Ti ha anticipato nulla sul tuo futuro?No, quella volta nessuna profezia. Anzi, sono stato io che, donandogli la maglia del Brescia, gli ho detto: "Maestro, spero che con questi colori io possa riconquistare la Nazionale; in quel caso, tornerò in Giappone per donarle un'altra maglia. Solo azzurra, stavolta".Se Ikeda ti chiedesse di smettere di giocare, e di testimoniare in giro per il mondo la

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tua esperienza, lo faresti?Sì, certo. Con gioia.Parli con grande passione del tuo maestro, ma attorno ad Ikeda sono circolate accuse e polemiche feroci.Sono voci a cui non do la minima importanza, per un motivo molto semplice. In Giappone, la Soka Gakkai è diventata una potenza culturale e sociale, avendo più di 15 milioni di aderenti.E' molto attiva in tutti i campi: spirituale, umanitario, economico, sindacale, politico. E questo da molto fastidio a una componente del clero, tradizionalmente una parte della classe dirigente. Un certo ceto al potere ha paura di un uomo come Ikeda, che ha buoni rapporti con la Cina, la Russia, Gorbaciov, Fidel Castro, ma anche l'Africa e l'America Latina, gli Stati Uniti liberali, l'Europa avanzata. C'è poco da fare: è un uomo che impressiona, sconvolge gli equilibri consolidati, turba le coscienze.Oltre al maestro Ikeda, hai altre figure di riferimento?Nessuna come lui, ma, se mi chiedi se esistono persone che mi colpiscono, o mi hanno segnato, potrei dirti Gandhi, Martin Luther King, Mandèla. Persone che hanno dedicato la loro vita ai valori fondamentali. Certe volte rivedo nel mio Maestro proprio il Mahatma, per la ricerca attiva della pace, il dialogo praticato ad ogni costo, il confronto permanente tra culture diverse. La continua espansione internazionale della Soka Gakkai, pur in un momento così difficile, testimonia l'efficacia del suo messaggio. Messaggio che riesce a penetrare in tutto il mondo perché è il buddhismo delle prove concrete e, soprattutto, della gente comune.Perché un buddhista, praticante e convinto come te, si è sposato in chiesa, con una cerimonia cattolica?Perché non volevo creare dolore ad Andreina e alle nostre famiglie, che ci tenevano molto. Come ti ho detto, all'inizio erano tutti molto scettici nei miei confronti. Certo, per me è stata una contraddizione, ma l'ho fatto per loro. Non dimenticare che era il 2 luglio '89 e praticavo da poco più di un anno.Se decidessimo di sposarci oggi, non lo faremmo in chiesa, non lo faremmo così.Il buddhismo influenza la tua vita civile, ad esempio la politica?Non ho grande fiducia nei politici. Parlano al popolo solo quando ne hanno bisogno. La politica che vedo è un teatrino, non mi appassiona molto.Di te si è detto che sei un moderato, forse un po' qualunquista.La verità è che vado a votare solo quando ritengo sia importante, quindi non ci vado sempre. Chi aiuta davvero, oggi? Chi fa politica per autentico servizio, per aiutare gli altri? Dove la vedi questa benedetta politica concepita come missione? Nomi, fammi i nomi.Ho paura di non essere la persona più adatta.Perché è difficile fare nomi, non ci sono. Preferisco pensare che si possa fare di più, e soprattutto di meglio. In Giappone, la Soka Gakkai ha fondato scuole, ha creato una grande università per il confronto interrazziale e interculturale. Poi, laicamente, alcuni hanno portato in politica i valori del buddhismo. Questa è la politica che mi piace. Quella che nasce dal basso, dalla vita delle persone, dai valori. Uomini che, mossi da passione e compassione, mettono la loro esperienza e competenza al servizio degli altri.

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Nel sindacato, nelle amministrazioni, negli ospedali. Anche in Parlamento, se necessario. Sì, è la classica riforma sociale che nasce dall'interiorità personale, dal vissuto. Non mi pare che, in Italia, ci sia attualmente nulla che assomigli a questo.C'è stato un momento, particolarmente intenso, in cui hai sentito che il tuo karma stava influenzando, positivamente, la vita di chi ti sta attorno?E' accaduto più volte, ma mai intensamente come nella circostanza che sto per descrivere. La racconto perché ho avuto il permesso del diretto interessato, Gian Michele. Il mio compagno di tante vite, come Peter e pochi altri. Eravamo a Pehuajò, nell'Argentina che sento più mia, quella selvaggia: Buenos Aires è a cinquecento chilometri. Eravamo sfiniti dopo una giornata intera di caccia. Come sempre, io e Chele - lo chiamo sempre così, Chele - dividevamo la camera. Eravamo in un piccolo albergo, decente. Come di consueto, iniziai a pregare. M'ero preparato l'altarino che mi porto sempre dietro per il Gohonzon e andavo avanti da mezz'ora almeno. Con la coda dell'occhio, avevo visto crollare Chele sul letto. Piangeva, singhiozzando.Gli chiesi: "Chele, ma che cosa hai?". Lui mi disse: "Niente, Robi, niente". Non ce la faceva a raccontarmelo subito. Però me lo ha scritto dopo, di getto. Era una lettera piegata in quattro, gli spazi tra una riga e l'altra strettissimi. L'ho letta la sera stessa. Mi sono fermato a metà, ci siamo abbracciati. Quella volta, mentre pregavo, Chele aveva visto in sogno sua madre.In quel pomeriggio di giugno, si era interrotto il suo incubo.Chele è più vecchio di me, ha 58 anni. Sua madre, Rosetta, è morta quando aveva 18 mesi: non appena smise di allattarlo, fu colpita da un'infezione ai reni che presto la uccise. Era il 1943;.Chele non ricordava certo il volto di sua madre, per pensare a lei aveva solo una vecchia foto.Come si svolgeva il sogno di Gian Michele?Fino a quella volta, in sogno, la madre di Chele spariva non appena si avvicinava il figlio, avvolta da una luce abbagliante.Più di cinquant'anni così: un viale, due muretti bassi ai lati e in fondo la sua delusione che si trasformava, con la scomparsa della madre, in disperazione. Chele aveva sempre inseguito, inutilmente, la figura di sua madre.Quella volta, a Pehuajò, sua madre non è scomparsa, ma si è girata. Con lei c'era suo padre, morto da un anno. Gli hanno detto che andava tutto bene, che finalmente erano tornati insieme, che erano felici. Sua madre, nel rivederlo cresciuto, ripeteva: "Chele, come sei diventato alto".Lui, allora, ha provato una consolazione immensa, indescrivibile.Ci siamo abbracciati, fratelli. Abbiamo pianto insieme. Chele dice che quel sogno lo deve a me, e al mio Buddha.E tu, ora?Io dico che, per un momento breve, ma indimenticabile, quella volta Chele è entrato in un altro mondo.Ascoltandoti parlare di buddhismo e spiritualità, si ha una visione inedita, molto diversa di Roberto Baggio. Sembri quasi troppo maturo, per avere 34 anni.I media si sono sempre interessati al personaggio Baggio, quasi mai alla persona. Per questo, quanto ho detto finora, parrà nuovo, quasi sconvolgente. Quanto alla maturità,

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credo di aver già vissuto tre volte i miei 34 anni. Nella mia testa, nei miei pensieri, non sono più giovane. E forse non lo sono mai stato, o lo sono stato troppo.

Prima beffa grande.

Fortunato colui che può con ala vigorosa slanciarsi verso campi sereni e luminosi, abbandonando i vasti affanni ed i dolori, peso gravante sopra la nebbiosa vita; colui che lascia andare i suoi pensieri come le lodolette verso i cieli nel mattino; colui che sulla vita plana e, sicuro, intende la segreta lingua dei fiori e delle cose mute.Charles Baudelaire, I fiori del male.

Dicono che in quel Mondiale, se avessi trovato più spazio, soprattutto in quella strana semifinale, probabilmente in finale ci saremmo andati, e magari l'avremmo pure vinta.Può darsi, non so. lo stavo bene, ero pronto, ma mi toccò fare quello che spesso mi hanno fatto fare, il dodicesimo di lusso.Se penso a quel Mondiale, il primo della mia carriera, mi arrabbio per quei rigori beffa, i primi di una lunga serie...Eppure, no, nessuna polemica, perché io, di quel Mondiale, ho un buon ricordo. Nonostante le lacrime della semifinale, la vittoria amara per il terzo posto, la strana sorte di perdere un torneo così, senza aver per so mai sul campo, ma, al massimo, durante una matta lotteria. E, se di quel Mondiale serbo un buon ricordo, è perché ha coinciso con una delle mie tante rinascite.Io a quel Mondiale ero arrivato con la testa rotta, triturata dalle polemiche, dalla rivolta di quelli che avrei voluto fossero ancora i miei tifosi, e invece non lo erano più. lo, tranquillo e non violento, avevo visto una sommossa condotta in mio nome. Non potevo muovermi di casa, che mi assalivano. Non potevo aprire bocca, che mi fraintendevano. Non potevo riflettere, che la testa mi girava.Era troppo, troppo davvero.Coverciano è a due passi da Firenze. Lì ci allenavamo, per quel Mondiale. Anche solo tre mesi prima, mi avrebbero osannato. Ma era cambiato tutto. Il figliol prodigo era diventato giuda, l'eroe traditore. Avevo dovuto raggiungere il ritiro sepolto dentro una volante, per proteggermi dagli attacchi, dagli insulti.Era troppo. Non reggevo più le pressioni, i fischi, le chiacchiere, tutto quel frastuono che mi appariva come una solenne ingiustizia. No, non fu facile prepararsi per quel Mondiale. Non lo fu per niente. Ci provai con tutte le mie forze, e alla fine mi feci trovare pronto. Ma cera bisogno di una liberazione, di qualcosa che mi permettesse disvuotarmi, per poi ripartire. Un gesto a suo modo memorabile, una risposta inequivocabile dal mio avamposto preferito: il campo da calcio.Quella risposta, per me, fu il gol alla Cecoslovacchia. Un gol in cui feci di tutto per non essere banale, per dare una dimostrazione evidente del mio talento, per urlare al mondo che e ero ancora.

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Nonostante Pontello, nonostante quelli che non mi capivano, nonostante l'accusa infamante di essere un mercenario.Ciò che feci contro la Cecoslovacchia, partire da metà campo e ricamare dribbling impossibili, fino a saltare l'ultimo difensore e disorientare il portiere, non fu soltanto una rete, bellissima, una delle più belle. Fu qualcosa di più. Io proclamai: non mi avete ucciso, io ci sono ancora. Quel gesto fu una delle mie "ripartenze" migliori.Prestate un'attenzione particolare al momento in cui la palla entra in rete. Osservate me, il mio sguardo verso il cielo, il mio crollo a terra. Poche volte, sono stato felice, interamente felice come in quegli attimi. Capitemi, e credetemi.Dopo tanto tempo, giorni che a me erano parsi secoli, ritrovavo me stesso. La gioia dopo quel gol era illuminazione, estasi. Ero vivo.Non si può dire eh e preparasti Italia '90 nel miglior e dei modi.L'atmosfera intorno a me era elettrica, gli echi della rivolta non erano certo lontani. D ritiro era a Coverciano, a due passi da Firenze. La situazione era così grave che Vicini fece chiudere il centro federale al pubblico.Per la prima volta, i fiorentini ti insultarono.L'avevo previsto. Qualcuno però continuava ad appoggiarmi.Sapevano che avevo fatto di tutto per rimanere con loro, che avevo la coscienza a posto. Arrivai a Coverciano sdraiato dentro la volante della Novoli, vivevo blindato. Ricordo che mi chiusi nella mia camera, e pregai. La preghiera era il mio unico conforto, e l'unico rimedio.Chi avevi accanto a te?Andreina. Mi ero isolato, il mio modo di proteggermi dal mondo. Per carattere tendo spesso a risolvere i problemi da solo.E' ciò che feci anche quella volta. Comunque bisogna provarli di persona, certi momenti, per capire fino in fondo.I tifosi bianconeri se la sono sempre presa perché hai più volte affermato che, quel Mondiale, l'hai giocato da fiorentino, non da juventino.Mi sembrava naturale. Avevo conquistato la Nazionale grazie alla maglia viola, erano stati loro a lanciarmi. Sai, ho capito cosa stai per chiedermi, consentimi di prevenirti. Ero caduto in una trappola infernale: i tifosi, i "miei" tifosi andavano in giro a dire che Baggio è un mercenario, cambia bandiera senza problemi, se ne frega della squadra in cui gioca. Ci sto ancora male come una bestia, se ci penso. E ci sono stato male tutte le volte che ho subito violenza, quando le società mi hanno venduto per i loro interessi e mi hanno infangato, facendo dire a giornalisti e collaboratori prezzolati che era tutta colpa mia, che ero avido, spregiudicato.L'accusa di essere un mercenario è stata una costante, nella tua carriera.Mercenario, io, Roberto Raggio? A essere definito così non ci sto. Te lo possono confermare tutti i miei allenatori, compresi quelli che mi hanno contrastato. Io, che mi attacco alla maglia, alla società, alla gente, a tutto l'ambiente? Io, che ho fatto scelte dolorose, rinunciato a montagne di soldi, pur di continuare a giocare in Italia, a sperare di poter rivestire un giorno la maglia della Nazionale? Non credo proprio! Ho sempre dato tutto, non mi sono mai venduto. E scrivilo: non mi sono mai drogato o "aiutato", neanche un po'.La nuova gestione Chiusano-Montezemolo ti aveva convinto a venire allajuve

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promettendoti che, se tu avessi disputato Italia '90 da inventino, avresti avuto più spazio in prima squadra. Qualcuno lo scrisse, al tempo.La Juventus non mi ha mai fatto discorsi di questo tipo. E comunque, visto quante partite ho giocato, non mi sembra di avere avuto quel grande spazio. Spesso sono partito dalla panchina, a volte non sono neppure entrato.Che rapporti hai avuto con Vicini?Abbastanza cordiali. Prima della fase finale dei Mondiali, mi aveva convocato più volte, mostrando attenzione nei miei confronti. Il mio giorno di gloria era stato l'incontro con la Bulgaria: due gol, un assist, 8 in pagella. Riconoscimenti generali.In quel Mondiale, sipario molto del tuo dualismo con Giannini.Non esisteva dualismo tra me e Giannini, erano le solite favole giornalistiche. Oltretutto, tra noi c'era anche differenza di ruolo: Giannini era un regista classico, io giocavo molto più avanzato. Piuttosto, la mia presenza in campo costringeva Vicini a mutare l'assetto tattico, sbilanciandolo forse troppo, secondo i suoi gusti. Tieni presente che Vicini aveva puntato tutto sul gruppo che aveva costituito la sua Under 21, e io di quel gruppo non avevo potuto far parte, per colpa del ginocchio. Ero il dodicesimo elemento, richiesto dal pubblico e dalla critica. Un destino che mi è toccato altre volte, quello del dodicesimo imposto dall'opinione pubblica. Va così.Vicini diceva che voleva tutelarti, proteggerti dalle pressioni esterne, soprattutto dopo il passaggio alla juve.Se lo diceva, probabilmente lo pensava. Mi è sempre parso un uomo corretto, non ho motivo di pensare il contrario. E' evidente come, in quella fase della mia vita, di pressioni ne avessi tante.Non ero più la promessa, ma "Mister 25 miliardi", il calciatore più pagato d'Italia. Dovevo sempre stupire, dare il massimo.Ti eri integrato con il gruppo?Sì, il rapporto era buono, per quanto lo potesse essere in quel periodo. Mi avevano accolto molto bene Tacconi e Schillaci, i miei nuovi compagni di squadra. Con Totò e le nostre famiglie, giusto per farti capire quanto mi fossi trovato bene con lui, passai le vacanze estive a Montecarlo.Il tuo esordio vero e proprio è con la Cecoslovacchia.Sì. Avevo giocato i minuti finali della prova generale con la Grecia, non ero entrato contro Austria e Stati Uniti, il 19 giugno ero partito titolare.Segnasti un gol da antologia, dribblando praticamente tutti.Se ogni rete provoca quella che io chiamo "gioia da manicomio", quello fu il gol della liberazione. Anzi, il gol della levitazione. Dopo avere visto la palla entrare, mi lasciai cadere a terra, stremato. Era la fine di un'annata tremenda. Altro che orgasmo, è una scarica d'adrenalina incredibile. Vibri a mille, proietti fuori tutto in una gioia incontrollabile, voli. Dopo sei libero, finalmente in pace.Come ti venne l'idea di segnare in quel modo?Avevo già fatto qualcosa di analogo al "San Paolo", con la Fiorentina. Dopo aver saltato Alemao, avevo proseguito l'azione come in trance, dicendomi che dovevo saltarne un altro, e poi un altro ancora. Fino al gol. L'aspirazione di chi gioca a calcio con passione, specie se fantasista, non è tanto quella di segnare, ma di segnare in maniera originale, mai banale. E quello non fu un gol banale. Cerchi d'istinto il tocco

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originale, da artista. Poi ti rivedi in tv, e stenti a riconoscerti, a capire. "L'ho fatto proprio io, quello?", ti chiedi un po' stupito, un po' incredulo. E ti stupisci.E' tua quella firma unica, inimitabile. Allora dimentichi tutto il resto. Quel momento vale tutto. Questa, per me, è l'essenza del calcio. Un'invenzione continua, che si esprime attraverso intuizioni, gesti atletici individuali e collettivi. Poi c'è la sublimazione di tutto questo, il godimento puro: il gol, il bel gol. E ognuno è come un nuovo figlio. Tuo, carissimo, ma diverso da tutti gli altri. E' tuo. Unico, speciale, lo porti sempre con te. Tutto il resto sono chiacchiere.L'Italia è la grande favorita, ma, in semifinale, con Raggio in panchina, perde ai rigori contro l'Argentina diMaradona.C'è poco da aggiungere, tutti sanno come andò. Io avevo giocato con l'Uruguay, segnando su punizione, ma l'arbitro aveva annullato. In semifinale, seppi di non giocare poco prima della partita. Vicini preferì schierare Vialli.Il Vialli della frase celebre: "Quando il gioco si fa duro, i duri scendono in campo".Ognuno è libero di commentare come vuole ciò che accadde.Io so solo che meritavamo di vincere, e non abbiamo vinto.La ricordi come un'esclusione dolorosa?Di sicuro non mi rese felice, ma altre esclusioni mi hanno fatto stare peggio. Ero ancora molto giovane. Ero ingenuo, credevo d'avere davanti un lungo tempo per sperare. Vicini agì nella convinzione di aiutare la squadra. Certo, un po' di rabbia in quei casi è normale, quasi fisiologica. Poi ti passa.Sei entrato sull'1-1. Ti sei mai chiesto come sarebbe andata se avessi giocato dall'inizio, come tra l'altro voleva gran parte d'Italia?Me lo sono chiesto spesso, ma nessuno è in grado di dire con certezza che, se avessi giocato dall'inizio, sarebbe andata meglio.Non esiste la controprova. Nei minuti in cui giocai, quando già si stava sull'1 a 1, sfiorai il gol a pochi minuti dalla fine, su punizione, ma il loro portiere fece un miracolo. Dal dischetto, realizzai il mio rigore, ma non bastò. Perdemmo lo stesso, come ci sarebbe accaduto anche nei due Mondiali successivi. Una maledizione che non mi va giù.Che ricordo hai della vittoria sull'Inghilterra per il terzo posto?Quella partita l'abbiamo giocata bene, in uno stadio quasi troppo bello per essere vero. Appariva a tratti, fluttuava, come se galleggiasse. Feci fare un gol, ne realizzai un altro. Ma nessuno aveva voglia di esultare. Non era una vittoria vera. In campo ci guardavamo e ci chiedevamo come fosse possibile non aver conquistato un Mondiale, pur avendo vinto cinque partite su sei, pareggiandone una. Evidentemente era possibile.Quanto hai impiegato a smaltire la delusione per quel Mondiale?D'estate non si parlava d'altro che di quei Mondiali, dell'errore dal dischetto di Serena e Donadoni, della mia panchina in semifinale. A un certo punto, però, staccai la spina. Sapevo che, di lì a poco, sarebbe iniziata un'esperienza durissima. Va bene la passione, che era e rimane tanta, ma sono un professionista. Dovevo continuare a giocare, a sopravvivere.Insomma, la calda estate del '90 finisce così: banalmente sciupata, da accantonare con tristezza e rimpianto.

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Sì, finisce così.

Amici miei

Riso? C'è forse ancora qualcuno che si interessa al riso? Voglio dire il riso vero, che non ha niente a che fare con lo scherzo, con la beffa e col ridicolo. Riso, godimento immenso e delizioso, godimento totale...Milan Kundera, Il libro del riso e dell'oblio

Credo negli affetti, nei sentimenti, nelle persone pulite. Credo negli amici. Peter e Chele, lo sono.Con le persone che hanno vissuto più anni di me, ho sempre legato in modo speciale. Chele ha 58 anni, Peter 64. Sono i miei compagni.Li ho conosciuti per caso, mentre cercavo il posto giusto per la caccia umida, quella che piace a me. L'ho capito subito, che con loro avrei legato. Capisci tutto dalla prima occhiata, dall'intesa che si realizza immediatamente. Da quella gelida notte di Natale non ho più smesso di frequentarli.Sono persone buone, mi vogliono bene così, senza calcoli. Si fidano di me. Hanno quasi l'età di mio padre e sono puri come bambini.Hanno cose da insegnare, esperienze di vita da raccontare, eppure sono come ragazzi. Mi vogliono bene e sono fedeli.Non do loro tregua, ma i nostri sono giochi e burle innocenti, solo una maniera per rimanere vivi. Chele e Peter mi dicono che con me sono tornati giovani.Eppure anche con loro, a volte, non riesco a manifestare tutto quello che provo. Ma loro, ne sono sicuro, mi capiscono benissimo. Loro intuiscono anche solo da uno sguardo, un gesto, un movimento impercettibile. Tra amici veri succede così.Hai parlato e parlerai più volte di amici, in questo libro.Ho sempre dato una grande importanza all'amicizia, ma non ho mai avuto molti amici. Ho rapporti buoni con tutti, ma di amici veri ne ho sempre avuti pochi. Per via del mio carattere, certo, ma anche per scelta. Credo che, di amici veri, nella vita non se ne incontrino molti.I primi della lista sono Peter e Gian Michele.Ecco, loro sono amici veri. Devo dirti che non sono gli unici, però.Li hai conosciuti dieci anni fa.Era il 28 dicembre '91, il mio secondo anno alla Juve. Avevo chiesto a un amico di portarmi a mangiare le rane. Lui mi disse che conosceva un buon ristorante. Il cuoco era un suo amico, che però non vedeva da un sacco di tempo. Così andammo a Casoni Borroni, un paesino in provincia di Pavia, nella Lomellina, zona umida, ottima per la caccia in palude.Il ristorante era Da Rome. Il proprietario Peter, il cuoco Gian Michele, suo cognato.Già. Quando siamo arrivati, Peter - che aveva risposto al telefono - sapeva che ci sarei stato anch'io, mentre Chele non sapeva nulla. Peter è juventino, Chele del Torino. Quando mi ha visto, Chele ha strabuzzato gli occhi. Non credeva che potessi essere davvero Baggio, e ha detto al suo amico: "Ehi, ma che scherzi mi fai, mi porti

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il sosia di un giocatore della Juve?Potevi almeno tagliargli il codino". L'ho guardato fisso, glaciale, quella battuta non mi era piaciuta. Lui allora ha capito che non ero un sosia. Il nostro primo incontro è stato all'insegna dell'imbarazzo. Fatto curioso, per due che poi non hanno più litigato.Perché hai continuato a frequentarli? Cosa ti ha colpito di quell'incontro?Non saprei dirti con esattezza. Ho mangiato bene, certo, ma era come se quelle persone le conoscessi da una vita. Parliamo di caccia, di tutto un po', pochissimo di calcio. Ne ho come la nausea. Quando sono con loro, faccio di tutto per evitare l'argomento, ne mastico già abbastanza tutti i giorni. A fine cena, ho chiesto a Peter se potevo andare a vedere il laghetto dove tenevano le anatre. Erano le undici di notte. Era bello, intatto, un'oasi perfetta per rilassarsi. E' scoccata la scintilla. Due settimane dopo, timidamente, li ho richiamati, chiedendo se potevo tornare a vedere il laghetto, anche da solo. Da allora non abbiamo più smesso di frequentarci. Tra l'altro, prima di quell'incontro, stavo giocando malino, era il primo anno con Trapattoni.Poi, con l'inizio dell'anno nuovo, mi sono sbloccato. Mi avevano pure portato fortuna.Perché è così importante quel laghetto?Perché è un rifugio dell'anima, come la mia Argentina. Ci vado tutte le volte che posso. Osservo l'acqua, la vegetazione, mi abbandono. E stacco la spina. Una volta, ero con Chele.Lui voleva mangiare, io no. Aveva ragione, era ora di cena, ma a me, di cenare, non importava niente. A furia di aspettarmi, poveraccio, si è addormentato. Russava così tanto che non so come hanno fatto le piante intorno a non morire. Quando si è risvegliato, era notte inoltrata, mi ha rimproverato: "Ma perché non mi hai svegliato, sei uno sciagurato, non abbiamo neanche mangiato!". Io gli ho risposto tranquillo, indicando il laghetto: "Di bello, così, cosa c'è nella vita? La luna piena, gli uccelli che si muovono dentro l'acqua, il buio, il vento... ". Ecco perché è importante quel laghetto, perché sto bene anche solo a guardarlo.Hai più volte detto, a Peter e Chele, che vi siete conosciuti in una vita passata.E' una sensazione, non so se sia successo davvero. E certo però che il nostro feeling è profondo. Io parlo poco, tengo le emozioni per me, eppure ci capiamo sempre. Mi fido così tanto che, spesso, lascio a loro i miei figli, quando io e Andreina non ci siamo.Non litigate mai?Raramente, e comunque sono baruffe che nascono e finiscono lì. Spesso bofonchiano perché io non vorrei fermarmi mai, specialmente quando sono in Argentina. Starei fuori tutto il giorno, senza dormire, a cacciare e guardare la natura selvaggia. Li ho convinti a sorbirsi 30 ore di viaggio per seguirmi nella Pampa, loro che non avevano mai preso un aereo, perché ne erano terrorizzati.Gli ho fatto fare cose folli. Loro provano a starmi dietro, e ci riescono pure, perché hanno una carica interiore enorme ma, a volte, mi dimentico che sono più anziani di me.In effetti, di questa soffertissima amicizia colpisce il fatto che loro sono nettamente più vecchi di te. Gian Michele ha 58 anni, Peter 64.So che una differenza d'età simile può stupire. In effetti, potrebbero essere, entrambi, mio padre. Ma io ho sempre legato con gente più adulta di me. Anche a Firenze era

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così, al tempo andavo a caccia con un uomo di 60 anni, nel nostro lago alTOsmannoro. Ricordo bene una coppia di vecchietti che tutti i giorni, di prima mattina, arrivava al capanno, faceva colazione - carta gialla da macellaio, pane, mortadella e vino rosso - e poi cacciava. Erano commoventi, mi mettevano addosso una voglia di vivere infinita. Stavo ore e ore ad ascoltare le loro storie, mi piacevano quei racconti di esperienze vissute. Con Peter e Chele è la stessa cosa. Anche con mio suocero, con mio padre, che ha 70 anni. Le persone mature mi affascinano, perché hanno tante cose da raccontare, solo che c'è sempre meno gente disposta ad ascoltarli. La cosa più bella che mi hanno detto, Peter e Chele, è stata che con me sono tornati giovani.Con i tuoi coetanei leghi meno?Beh, non che non sia socievole. E' che con le persone più mature tendo ad aprirmi veramente. Forse perché ho accumulato troppa esperienza per la mia età, perché all'anagrafe ho 34 anni, ma dentro ne ho di più.Hai molto vissuto, ma ti definiscono un fanatico degli scherzi.A giudicare da quello che dicono di te, i tuoi amici, sembri uscito dalle novelle del Decamerone, quelle con Bruno e Euffalmacco.Sì, amo molto gli scherzi. Non credo affatto che serietà significhi perdere il gusto di ridere e di divertirsi. Ci sono stagioni, momenti in cui sembra che la gente non se la senta di scherzare, pare quasi che lo scherzo sia passato di moda, ma secondo me è proprio vero che, a volte, una risata può salvarti la vita. Chissà, forse per questo ho così legato con toscani ed emiliani, nella mia carriera.Vuoi raccontare gli scherzi riusciti meglio?Uh, la lista sarebbe lunga. Il primo che mi viene in mente risale ai tempi della Juve. Al tempo, quando non andavo a Caldogno, dormivo quasi sempre a Casoni Borroni. Dopo un po', come ti ho già detto, anche Peruzzi e Bino Baggio avevano preso l'abitudine di passare la maggior parte del tempo là con me. Da Rome - come in tutti i ristoranti - arrivano spesso dei corrieri a scaricare ogni genere di derrate alimentari. Una mattina, mentre Gian Michele e Peter sono in cucina a disossare la carne, si presenta un ragazzo alla guida d'un camioncino pieno di casse d'acqua minerale. Decidiamo di andare noi ad accogliere il ragazzo e di aiutarlo nelle operazioni di scarico.Chissà come c'è rimasto...Era sconcertato. Ci guardava ad uno ad uno con aria sbigottita.Immaginatevi quel tipo mentre vedeva me, Peruzzi e Dino Baggio, in tenuta da aiutanti, che ci offrivamo di dargli una mano a trasferire le casse nella cucina di un ristorante sperduto della bassa Lomellina. Entrando dentro, si rivolge a Gian Michele, con lo sguardo esterrefatto: "Ma quelli non sono... ?".Chele non gli ha lasciato nemmeno finire la frase, moriva troppo dalla voglia di rispondergli: "Beh, sai com'è, di questi tempi gli stipendi dei calciatori sono quello che sono e alcuni di loro arrotondano. Questi fanno qualche lavoretto per me".Serio, impassibile, è rimasto così. A oltranza. In compenso, neppure Dino si è salvato dalla mia voglia di burle.Racconta.Una domenica pomeriggio sono andato nel capanno di caccia con Dino; il laghetto

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era pieno di marzaiole e io avevo con me la macchina da presa perché volevo filmarle da vicino. Era agosto e Bino - che aveva una sete dell'anima - s'era portato con sé cinque lattine di coca-cola e non vedeva l'ora di tracannarsele. Una volta giunti in prossimità del luogo d'appostamento, lui, da persona educata qual è, mi chiede se poteva aprire una bibita, perché nel frattempo gli avevo spiegato che il rumore dello stappo della lattina avrebbe potuto innervosire le anatre, mandando a monte il mio proposito. "No, no, Dino, sei pazzo?Fai rumore, me le fai scappare, se apri la coca me le fai volare via tutte, abbi pazienza ancora un pochino...". Ogni tanto, garbatamente, ci riprovava. L'ho tenuto nel capanno cinque ore senza bere, ti giuro, con un caldo che si impazziva e con un litro e mezzo di coca-cola gelata sotto al naso...Chissà com'era contento, Dino...Non ti dico. E' andato da Chele e gli ha detto: "Quello là dev'essere matto, io con lui non ci vado più... Non m'ha lasciato bere per cinque ore". Non è che avesse tutti i torti...Nessun'altra vittima illustre?Sì, Seba Rossi: l'ho fatto mangiare dalle zanzare. Ho portato anche lui, in agosto, una sera, a vedere l'arrivo degli uccelli.E tornato che aveva una testa grande come una ruota. Lì sono tutte risaie, figuriamoci, ci sono delle zanzare enormi; io non me ne accorgo perché ho la pelle dura. A lui, invece, era venuta una faccia rossa, grossa e tonda come una pizza margherita.Non s'è nemmeno più voluto fermare a cena: è scappato subito a casa. Anche lui è andato da Gian Michele a dirgli: "Quello là è pazzo, un pazzo pericoloso!". E mi sa che aveva ragione pure lui. Lì ho esagerato.I tuoi obiettivi preferiti, comunque, rimangono Chele e Peter.Oh, a loro gliene ho fatte di tutti i colori. Quando li ho portati la prima volta in Argentina, m'avevano fatto capire che erano piuttosto preoccupati, riguardo alla fauna che avrebbero potuto incontrare da quelle parti. Mi chiedevano: "Ma non ci saranno mica dei serpenti, o animali pericolosi della pampa, là che siamo fuori dal mondo, sai com'è...". Insomma, non avevano mai messo il naso fuori dall'Europa, avevano le loro paure.Scommetto che facevi di tutto per non tranquilliszarli.Certo, figuriamoci. I primi tempi mi mantenevo sul vago, gli accennavo che c'era sostanzialmente da fare attenzione a due animali: il puma, presente nel territorio argentino in ogni stagione, e il serpente shararà, con la brutta abitudine d'andarsi a rintanare - d'inverno - all'interno delle abitazioni civili, o sotto le automobili, perché sono gli unici posti caldi e riparati. Avevo anche specificato che se uno shararà ti morde, sei spacciato: non ti restano più di venti minuti, ma sono venti minuti di spasmi atroci. Una delle morti più feroci presenti in natura.Che allegria.Chele e Peter erano preoccupati. E io, sadico, con la storia del serpente sono andato di lungo due o tre settimane, giusto per far maturare lo scherzo che avevo in mente. Poi, col passare dei giorni, ho cominciato a calcare la mano anche sulla presenza di altri animali pericolosi: pipistrelli, insetti terribili, rettili misteriosi, belve sconosciute.

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Insomma, un sacco di stronzate. Durante il viaggio in aereo non si parlava d'altro: "Ma insomma, Robi", mi chiedevano in continuazione, "quel serpente di che colore è?". Oppure: "Quanto è lungo?". "E i pipistrelli?". E io: "State attenti, entrano in casa, se lasci la porta aperta!". Tutto il viaggio così. Era una fatica bestiale rimanere seri.E una volta arrivato in Argentina?Mi ero portato in valigia un guanto speciale, che al posto della mano aveva una testa di dobermann, e non vedevo l'ora di usarlo. Arriviamo di sera, stanchi morti per il lungo viaggio: dall'Italia ci vogliono più di trenta ore per arrivare a casa mia.Peter si mette in camera con mio padre, io con mio suocero, Gian Michele e mio cognato in un'altra stanza ancora. Il mattino dopo, non avevo ancora disfatto la valigia, avevo solo tolto fuori il braccio da cane, mentre Peter era in camera che disfaceva la sua, al buio, per non svegliare mio padre che dormiva ancora. Era senza occhiali, e lui non è che ci veda tanto, senza occhiali. S'era messo lì, senza fare rumore, a togliere le sue cose dalla valigia per riporle nell'armadio, piano piano, un capo alla volta, facendo sempre lo stesso tragitto, dal letto all'armadio, dall'armadio al letto. Era in mutandoni e calzini. Da amante dell'opera, mentre sistemava le cose nell'armadio, canticchiava un'aria andando avanti e indietro, senza voltarsi.Già così mi sembra una situazione abbastanza comica...E te la sto raccontando. Figurati io che vedevo la scena dal vivo. A un certo punto, mi sono avvicinato alle sue spalle e gli ho infilato la testa di dobermann sotto il braccio. Dalla paura che s'è preso, m'ha afferrato il braccio e m'ha sollevato di peso. Si è trovato davanti - un cane, sono stato un cane! - la testa di dobermann che mi ero infilata nella mano. Una cosa incredibile, un suono agghiacciante. Pensa: lui era già sul chi vive per tutti i discorsi fatti in aereo, e la prima notte si trova subito davanti quella cosa, al buio, mezzo addormentato...Sentiva che ero un po' troppo pesante come cane, o come puma, ma al buio non vedeva cos'aveva in mano, scorgeva solo la testa. Io gridavo: "Mollami! Mettimi giù, Peter, mettimi giù!".Soltanto quando s'è reso conto, a scoppio ritardato, come nei cartoni animati, che le belve non parlano e dopo avermi guardato negli occhi, ha capito che ero io. Era bianco come un cencio, sudava, s'è trattenuto per non menarmi. Quella volta, se non sono morto c'è mancato poco. Mi sono rotolato a terra, piangevo, sul serio, piangevo proprio dal ridere. Quello sarebbe stato il primo scherzo di una lunga serie.Ma c'era un giorno in cui li lasciavi in pace, in Argentina?Che io ricordi, no. Tutte le sere, quando andavano a dormire, io appendevo o cambiavo i quadri. Una cosa assolutamente senza senso, giusto per non farli riposare tranquilli. E loro, poveracci, tutte le volte urlavano: "Ma insomma, è l'una, vogliamo dormire!" E io, come niente, continuavo ad appendere quadri di notte. Un mattino dico a Gian Michele: "Senti, facciamo uno scherzo a Peter. Tu vai a svegliarlo, gli dici che sto appendendo quadri da tre ore e che tu non ne puoi più, se per piacere può dirmi di smetterla". Tutti gli altri erano nascosti nella stanza di fianco, pronti a intervenire. Peter entra, mi si avvicina, tutto umile, e dice: "Per favore, Robi, sono le quattro del mattino, stai piantando troppi chiodi, ne abbiamo abbastanza".Faceva una tenerezza che non hai idea. Dopo un po' caccio un urlo. Accorrono tutti dall'altra stanza: avevo una garza bianca infilata al dito con un chiodo incorporato,

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come se avesse trapassato il dito da parte a parte. Loro sapevano che era uno scherzo, quindi la mettevano sul ridere: "Per fortuna che è una mano, se fosse stato un piede", oppure "Per fortuna che è la mano sinistra, così con la destra puoi ancora sparare!". Tutti allegri, tranne Peter. Era basito, come morto. E' arrivato da me che sembrava una farmacia. Almeno lui, mi voleva bene. Ero mutilato, e gli altri imbecilli facevano gli spiritosi...Siete stati anche a Edimburgo, a caccia.Altro luogo malefico e propizio. Subito, all'aeroporto, ho detto a Chele di prendere una valigia, facendogli credere che era la mia. In realtà era di un altro. Quando se n'è accorto, gli è toccato tornare indietro e consegnarla al proprietario, facendo la figura del ladro, ma questo è niente. L'ho spinto leggermente sulla scala mobile, e lui è caduto, è andato giù, con metodo, con educazione. Come una palla da bowling ha fatto uno strike di persone, tutte giù per terra insieme a lui. Rotolando, era finito sopra una donna scozzese bruttissima, con dei denti da cavallo, una tipa brutta da paura: lei sbraitava, inveiva, sbuffava, e Chele lì, zitto, immobile, mortificato, che le lingue straniere non sa neanche cosa siano. Uno spettacolo indimenticabile. Un'altra volta l'ho portato in un castello, gli ho fatto credere che c'erano i fantasmi. Quando siamo andati a letto, lui, terrorizzato, mi ha implorato di dormire con lui. Sotto il cuscino, aveva nascosto un coltello. Un coltello per combattere i fantasmi. "A qualcosa servirà", aveva detto.Ma la più bella l'ho fatta appena scesi dall'aereo, sempre in Scozia.Sempre a Chele?No, a tutti e due altrimenti poi Peter era geloso. C'erano due fuoristrada che aspettavano, fuori dall'aeroporto. Ad un certo punto è arrivata una Volvo, la guidava un tipo che con noi non c'entrava niente, stava semplicemente parcheggiando.Parlava al cellulare. Peter mi chiede: "Robi, dove dobbiamo andare?". E io: "Tu e Gian Michele salite sulla Volvo, io vado sul fuoristrada". Nevicava, avevamo tutti i giubbotti. Uno entra dal davanti e quell'altro da dietro. Dovevi vedere la scena.Il proprietario della Volvo lascia andare il telefono, perché vede entrare due estranei dentro la macchina. Era un tipo anziano, elegante, un'aria flemmatica. Si gira per guardarli, non ci capiva niente pure lui, inizia a chiedergli che ci facevano nella sua macchina, ma Chele e Peter non capivamo una parola d'inglese. Stavano lì, con lo sguardo fisso come dei baccalà, e si guardavano attorno, poi guardavano lontano. Io, lì vicino, ero piegato dal ridere.Sei un mostro davvero. E quella dello smoking?E' successo prima di partire per la Scozia. Avevo detto a Peter che andavamo a caccia in un castello, e che era obbligatorio lo smoking o il tight, per la cena della sera. Anche questa era una cosa fuori dal mondo: come fai ad andare a caccia e portarti dietro lo smoking? Ma Peter è un ingenuo, un buono che ci casca sempre. Mi fa impazzire. Lui mi aveva risposto che non ce l'aveva, lo smoking, men che meno il tight. "Guarda - gli ho detto - se non si va vestiti in una certa maniera, non ci fanno neanche attraversare il ponte levatoio". Non se n'è parlato più. Poi, giorni dopo, mentre si mangiava, Peter scappa fuori e mi dice: "Guarda Robi che domani il sarto mi porta il vestito". S'era fatto fare un vestito da un milione e mezzo...Io non mi ricordavo neanche di avergli detto quelle cose. Se non lo blocco, mi arriva

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in smoking all'aeroporto, alle sette della mattina.Ho sentito dire che hai miracolato uno zoppo.Merito del solito serpentello di gomma, quello che avevo usato con Chele. Era l'ultimo giorno che stavamo in Argentina, eravamo andati a fare le foto nel parco. C'era questo mio amico, vestito in giacca e cravatta, che è un po' zoppo. L'avevo fatto piazzare sotto un albero molto folto, pieno di rami, con la scusa che c'era un pappagallo che sarebbe venuto nella foto.Avevo piazzato il serpente shararà di gomma a cavallo di un ramo, ben visibile. L'avevo fatto voltare, dicendo: "Non lo vedi il pappagallo?". Ma niente, non aveva visto il serpente. Allora, dopo un po', ho perso la pazienza e dando una scrollatina all'albero gliel'ho fatto cadere sulla testa. Tu non hai idea. Dopo cinque minuti, se gli avessi buttato un secchio d'acqua addosso, sarebbe stato meno bagnato. Ha fatto un parziale che neanche Mennea ai tempi d'oro... Avevo dato la telecamera a Chele, gli avevo detto: "Devi solo spingere "ree"", ma lui è riuscito a non filmare. Chele è negato per queste cose. Peccato: sarebbe stata la prima volta che veniva filmato, senza possibili obiezioni, un miracolo. Avevo ridato le gambe a uno zoppo. Ha fatto 50 metri nel parco che sembrava Ben Johnson, per dieci secondi gli è tornata la gamba normale. Dopo zoppicava più di prima, ma per dieci secondi gli è tornata la gamba normale.Questa vittima è la stessa a cui hai fatto mangiare la nutria?Ah già, la nutria. Sì, la stessa. Devo dire che anche quello scherzo è venuto bene. Questo mio amico è uno schizzinoso, uno che prova schifo per qualsiasi nonnulla. Avevamo mangiato la lepre con la polenta. Finito di mangiare, a Chele gli viene da dire: "Buona la nutria, eh?". E io: "Mah, è un po' troppo bianca come carne, ma non era male, ho mangiato anche di peggio".Quello comincia a guardarsi attorno per cercare qualche smentita nello sguardo degli altri. Lo schifosissimo sospetto iniziava a ronzargli nella testa: aveva appena mangiato una nutria! Salta su un altro che rilancia: "Sì, buonina, però devo dire che è meglio il serpente fatto in brodo". Non l'avesse mai detto. Quello là s'è sentito male e in bagno ha vomitato anche l'anima. Da quel momento ha cominciato a mangiare pasta in bianco e a bere acqua. Anche di bere il vino aveva troppa paura.Eh?Ti spiego. In viaggio con noi c'era uno zio di mia moglie a cui, venticinque anni fa, per via di quei primi fucili automatici che facevano all'epoca, era scoppiato un percussore in un occhio. Così aveva un occhio di vetro. E che ha fatto un giorno, quel matto? S'è tolto F occhio di vetro e gliel'ha infilato in un bicchiere di vino rosso. Immagina questo qua, schifiltoso come nessun altro, che beve il vino e ci trova un occhio dentro. Per forza, che poi il vino neanche lo voleva vedere da lontano.Di scherzi ne hai fatti tanti, ma anche tu ne hai subito uno mica male. L'hanno pure trasmesso in tv...Sì, su "Scherzi a parte". Gli scherzi si fanno e si prendono, è giusto così. Mi hanno fregato in pieno, colpendomi nel vivo.Quando sono arrivato al laghetto, lo stavano prosciugando.C'erano le gru, un sacco di macchine, era tutto transennato.M'è preso un colpo. Ho chiesto spiegazioni, mi hanno risposto che quell'invaso, per

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ordine della protezione civile o che so io, andava eliminato perché inquinava l'ambiente. Dicevano che nell'acqua c'erano percentuali sospette di piombo, che la salute dei cittadini era a rischio. Non ci ho visto più. Ho dato di matto, ero pronto a fare una strage. Quel laghetto era parte della mia vita, lo accudivo, era un rifugio. Non potevo vederlo distrutto in quel modo.Quando ti hanno detto che era uno scherzo che reazione hai avuto?Quella di un coglione che c'è cascato in pieno. Ho visto i responsabili, Chele e Peter, che se la ridevano. Come sghignazzavano!S'erano finalmente vendicati delle tante beffe che avevano subito. Li ho raggiunti, li ho buttati a terra, ci siamo rotolati nel fango. Poi ci siamo buttati nel laghetto, tutti insieme.Una doccia calda, una bella mangiata, una grande bevuta, e via, amici come prima, ancora più di prima. Come sempre.

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Che zebra era?

.... Limpido fresco ed elettrico era il lume della sera e là le alte case parevan deserte laggiù sul mar del pirata de la città abbandonata tra il mare giallo e le dune...Dino Campana, Viaggio a Montevideo

Com'è che la chiamano i brasiliani? Sì, saudade. Nostalgia.Una nostalgia continua, soprattutto all'inizio. Non ci potevo fare niente, era più forte di me, era giusto che la malinconia mi travolgesse. Firenze mi mancava.Il mio rapporto con la Juventus non poteva essere facile, facile non è stato. Non mi sono mai ambientato fino infondo a Torino, inutile che lo nasconda. Dipendeva da me, solo da me. Preferivo correre a casa, da Andreina, dalla mia prima figlia, Valentina, nata - destino, ancora -proprio la notte prima che io affrontassi, per la prima volta da avversario, la fiorentina.Ancora oggi, e è che mi dice che non ho fatto nulla per ambientarmi.Non so, magari hanno ragione. Però io credo che una cosa debba nascere da sé, naturalmente. A Torino sono stato bene, ma non fino infondo. E credo che in tutto questo non siano colpevoli.E' andata così.Quando sono arrivato a Torino, mi volevano male i tifosi che avevo lasciato, mi guardavano con diffidenza i tifosi che andavo a incontrare. Una parte della tifoseria bianconera ho fatto fatica a conquistarla, un'altra non l'ho mai conquistata fino in fondo. Anche questo fa parte del mio carattere, della mia natura. Ho sempre diviso, ovunque. C'è sempre stato chi mi ha amato, e chi odiato. A Torino, dovevo ripartire da zero, lo capii fin dal primo ritiro a Buochs. Lo capì anche Maifredi, uno degli allenatori che più mi è stato vicino.Le sfide mi sono sempre piaciute. Non sono mai scappato. Concepisco la vita stessa come una sfida continua, ripetuta, con il grado di difficoltà che aumenta ogni volta. Giocare nella Juve era una grande sfida. Avevo gli occhi di tutti puntati addosso, l'Avvocato mi voleva decisivo come Platini, l'ambiente era piuttosto prevenuto.E io ho sempre dato il meglio. Non sarà un caso che, mi tetto del mondo, ci sia salito proprio con la maglia della Juve. Perché avevo degli stimoli potenti, perché mi sentivo carico. Perché non mi era andato giù il fallimento diMaifredi, perché con Trapattoni avremmo meritato di più, e non era colpa nostra se quelli erano gli anni del Milan degli invincibili, invincibili sul serio.E' stato il miglior Raggio quello del '93, quello che guidò la su a squadra alla conquista della Coppa Uefa, quello che con suo stupore vinse il Pallone d'oro, il Pallone di platino, il Premio FIFA e il Premio come miglior giocatore del mondo, quello che qualificò l'Italia ai Mondiali di Usa '94? Lo decida la critica, questo. Sono ancora troppo coinvolto, per poter esprimere un giudizio obiettivo.Quello che posso dire, oggi, è che io alla Juve ho dato tutto quello che avevo. Che sono stati cinque anni che vivrei di nuovo, esattamente come li ho vissuti. Compreso

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l'episodio incriminato del rigore non tirato contro la Fiorentina, della sciarpa viola raccolta da terra, al "Franchi", in quel 6 aprile '91 vissuto da rinnegato, immaturo, traditore. Da condannato.Alcuni credono che crescere significhi dimenticare il passato.Io no. Se avessi dimenticato Firenze, non avrei amato la Juventus.Con quel gesto istintivo, mi congedavo da un'esperienza bellissima.Alcuni, questo, l'hanno capito subito. Altri, per capirlo, hanno dovuto vedermi con un trofeo sotto braccio e il plauso unanime di France Football.Questione di tempi, di sensibilità differenti, non so. Io, alla Juve, ho voluto bene, nonostante tutto. Sono in pace con la mia coscienza, e sì, lo ripeto, quegli anni, se potessi, li rivivrei proprio come allora. A modo mio, e pazienza se a qualcuno il mio modo d'essere non piace. Di piacere a tutti, sinceramente, non mi sono mai illuso.Con che stato d'animo approdi a Torino?Con la consapevolezza che dovevo dimostrare di valere tutti quei soldi, e la certezza di avere i fucili spianati contro da entrambi i fronti.Quali fronti?Quello fiorentino, il mio passato, e quello juventino, il mio presente. Per i viola, ero un traditore, un giuda, uno "sporco gobbo".Agli occhi di molti juventini, rimanevo un bastardo fiorentino, uno che non voleva venire a Torino, un viziato che non amava la Vecchia Signora. Per come era stato gestito il mio trasferimento, avevo ottenuto l'invidiabile risultato di essere odiato da tutti.Il 30 luglio, giorno del ritiro juventino, gli ultras juventini distribuiscono un volantino dai contenuti molto duri nei tuoi confronti: "Il suo comportamento e le sue dichiarazioni hanno profondamente ferito il nostro orgoglio".Ce l'avevano con me per il mio passato, perché avevo detto che avevo giocato i Mondiali da fiorentino, e per uno stupido episodio capitato il giorno della mia presentazione a Torino. Un episodio montato ad arte dalla stampa.Durante l'incontro con i giornalisti e i tifosi, non hai indossato la sciarpa bianconera, limitandoti ad appoggiarla sopra una sedia.Perfino un bambino avrebbe capito che quello non era un gesto studiato, ma dettato dalla fretta e dalla ressa che avevo attorno. C'era troppa attenzione e prevenzione attorno a me.Non ti sei ambientato facilmente a Torino?.Non mi sono mai ambientato del tutto. Spesso pensavo a Firenze. No, non ho mai legato fino in fondo con Torino, ma la colpa è in gran parte mia, perché dalla vicenda-trasferimento ero uscito malconcio, intristito. E mi ero chiuso. Non ci potevo fare niente, era una difesa istintiva.La critica dirà che, in quegli anni di militanza bianconera, sei sempre rimasto un elemento esterno al gruppo.Stavo sulle mie, vivevo appartato, questo sì. Non dormivo quasi mai a Torino, quando potevo fuggivo da mia moglie. Le facevo compagnia, era incinta, aveva bisogno di me. Poi, una volta nata Valentina, sono stato ancora più vicino alla mia famiglia.Finiti gli allenamenti tornavo subito a casa, spesso mi mettevo il pigiama alle cinque

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di pomeriggio e giocavo con Valentina. Nulla era più importante della mia famiglia. E' una delle costanti della mia vita, ho sempre messo la famiglia avanti al resto.In questo modo, però, non hai fatto spogliatoio.Non direi. Certo, la sera non uscivo con i miei compagni di squadra, e forse per questo non ho creato in quegli anni forti amicizie, tranne con Peruzzi e Dino Baggio (che spesso dormivano a Casoni Borroni con me), ma ho sempre cercato di fare gruppo.Ma con Vialli non ci sei riuscito.Chi lo ha detto?In molti.Si dicono e scrivono tante cose.Alcune sono vere.Certo tra i compagni c'era chi voleva essere sempre al centro dell'attenzione. Chi faceva l'impossibile per catturare la simpatia. Non amo fare nomi, ma posso dire con tranquillità che c'era chi mi soffriva.Con il tuo primo allenatore juventino, invece, hai avuto un ottimo rapporto.Sì, con Maifredi ho avuto un bel rapporto. Era stato voluto dalla società per importare a Torino il calcio-champagne, a costo di allontanare il vincente, ma "tradizionalista", Zoff. Con Maifredi ci siamo capiti fin dal primo incontro, il 5 agosto, nel ritiro di Buochs. Abbracciandomi e parlandomi, mi fece capire che comprendeva molto bene la mia situazione, prima di tutto umanamente. Ha costruito la squadra attorno a me, all'inizio le cose sono andate molto bene.Poi però lo champagne non si è visto, né bevuto.Non so cosa sia successo, è difficile da dire. Una squadra che nel girone di andata lotta per il titolo, subisce un crollo inspiegabile, finisce addirittura fuori dall'Europa. Non so, credo che qualcuno abbia remato contro Maifredi. Eravamo una squadra particolare: se fossimo riusciti a sbloccare la partita, avremmo fatto come niente quattro o cinque reti. Poi abbiamo perso contro il Genoa dopo avere attaccato per 85 minuti e lì qualcosa si è rotto. Probabilmente alcuni giocatori erano gelosi della fama che s'andava facendo Maifredi.Ti riferisci ad alcuni calciatori in particolare?Nomi non ne faccio. Dico solo che qualcosa non ha funzionato, e non credo proprio che quel crollo fosse spiegabile soltanto con l'accusa di scarsa copertura al reparto difensivo, soprattutto a Julio Cesar, che tra l'altro era mio amico. Maifredi non ha avuto quello che si meritava. Era una brava persona e un buon allenatore: il suo fallimento è stato anche il mio.In quella stagione, hai realizzato in campionato 14 reti in 32 partite. Alcune di esse erano decisive, ma di quell'anno passerà alla storia soltanto quello che è accaduto al "franchi" il 6 aprile '91.Ancora la storia del rigore non tirato... Devo dire che nella doppia sfida con la Fiorentina non sono stato fortunato, neppure all'andata. Quel giorno, il 2 dicembre '90, è nata mia figlia Valentina. Io volevo abbandonare la squadra, stare con Andreina. Ho giocato con la febbre, poi sono subito corso da lei. Al ritorno, era l'anticipo del sabato, ho vissuto un pregara irreale. Coverciano era blindato. I vecchi amici che venivano a trovarmi erano preoccupati per il trattamento che mi avrebbe

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riservato il mio vecchio pubblico, addirittura c'era qualcuno che ipotizzava incidenti. La cosa assurda è che ero io a dover tranquillizzare loro. Un clima allucinante.Neppure tu, comunque, potevi immaginare cosa sarebbe accaduto allo stadio.No, in effetti la realtà ha superato la fantasia. Ricordo la coreografia della Fiesole. Con dei cartoncini opportunamente disposti avevano riprodotto le figure dei monumenti di Firenze. Ero teso, come potevo non esserlo. Prima della partita, avevo detto a Maifredi che, se ci fosse stato un rigore, non l'avrei battuto.Non volevi segnare alla "tua" squadra?No, quello sarebbe stato un atteggiamento infantile, non da professionista. Ero pagato dalla Juve per fare bene, mica per fare beneficenza. D punto era un altro: il portiere viola, Mareggini, mi conosceva benissimo, ci eravamo allenati insieme tanto tempo. Se lo avessi effettuato io, il tiro eventuale, l'avrei in qualche modo agevolato.Avevi avvertito i compagni?Sì, in maniera particolare De Agostini. Lui lo sapeva che il rigore - peraltro procurato poi da me - lo avrebbe battuto lui.Comunque, non se ne parlerebbe ancora oggi, se De Agostini avesse segnato. D caso ha voluto che Mareggini parasse il rigore, e tutti sono partiti con le dietrologie.Tifosi bianconeri in testa. Hai faticato a conquistarli. E quando ti hanno visto raccogliere una sciarpa viola, caduta dagli spalti, di sicuro non li hai fatti innamorare di te. Il "Franchi" è esploso, al tuo gesto.Quello è stato un gesto istintivo. Stavo uscendo dal campo, ero stato sostituito, ho visto cadere quella sciarpa e l'ho raccolta. E' stata una cosa naturale, quasi un commiato ad un pubblico che, pur fischiandomi per tutta la partita, mi aveva voluto bene per tanti anni. Non mi pento, se è questo che vuoi sapere. Anzi, ne approfitto per chiarire un punto. Calciatore bravo, professionista ambizioso, perfezionista. Mi sta bene. Ma, io, Roberto Baggio, sono e resterò un uomo, prima di tutto. Un uomo sensibile, completo.Con una coscienza, ricca di sentimenti. Te lo ripeto: ricca di sentimenti. C'è poco da fare, li ho anteposti e li anteporrò sempre a tutto. E' una necessità, e anche un dovere, per me.Perciò...Perciò devi osservare i miei comportamenti, anche quelli in apparenza più controversi, attraverso questa lente. Questa è la chiave per un'interpretazione corretta.Su questo punto sei un po' polemico. Strano, per te.No, non polemico. Appassionato, questo sì. Ci sento troppo.Resta il fatto che, alla fine di quel Fiorentina-Juventus, sono scoppiate le polemiche. I più gentili ti hanno chiamato immaturo.La società ti ha difeso?Mica tanto. E' stato soprattutto Maifredi a rincuorarmi dalle critiche. Entrato negli spogliatoi, mi ha abbracciato davanti ai miei compagni. In tribuna stampa, disse che gli juventini non avevano capito di aver trovato un uomo, non un mercenario. E aggiunse che il suo sogno non era allenare una grande squadra, ma allenare una squadra dove giocava Roberto Baggio. Sono parole che ti restano dentro.Volendo fare un bilancio generale, quello fu un anno poco positivo sia per te a livello personale (nascita di Valentina a parte), sia soprattutto per i risultati raggiunti dalla

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squadra, al punto che Agnelli - che non aveva mai amato Maifredi - richiamò il tandem dei bei tempi Boniperti-Trapattoni. Ti pesava il grado di fama raggiunto?Gli anni alla Juve sono stati difficili. Non potevo neppure uscire di casa, ero letteralmente assediato. Gli alberghi in cui andavamo erano blindati. Sempre così, fino all'esplosione dei Mondiali. Quando, dopo Usa '94, sono andato in Argentina, un bambino mi ha riconosciuto nonostante il travestimento, e tutto l'aeroporto mi ha assediato. Se non interveniva la polizia, a quest'ora ero ancora lì.Hai un rapporto conflittuale con la popolarità...La popolarità ti fa piacere, è il riconoscimento di quello che fai, la "consacrazione", se vuoi, di come lo fai. Vedi, la siccità è atroce, ma troppa pioggia tutta insieme... Alla fine diventa un diluvio di angoscia. Ti segna, in qualche modo ti blocca la vita.Torniamo a Trapattoni. Erano in molti a sostenere che, con lui in panchina, saresti tornato a dare il meglio di te.E' stata una fortuna aver lavorato con lui. Lo conoscevo di fama, qualche anno prima aveva ancora stravinto il campionato, con l'Inter. Uno dei migliori al mondo. Mi disse che credeva in me, che ci saremmo intesi. E' stato di parola. Lui è uno con cui, eventualmente, puoi anche discutere, ma è un uomo vero. Ed è sempre di parola.Eppure, hai avuto problemi di posizione. Giocavi più arretrato, per dare spazio alla rapacità di Schillaci.E' indubbio che preferissi giocare più avanzato, ma capivo le esigenze di Trapattoni: lui mi ha chiesto maggior sacrificio e minore estro. Oggi come allora, comunque, Trapattoni può chiedermi tutto quello che ritiene necessario, a livello tattico.Pur di giocare ai Mondiali con la sua Nazionale, vado anche in porta...Però tornavi sempre più spesso a Caldogno, e partirono le frecciate dell'Avvocato Agnelli.A Caldogno tornavo quando potevo, perché era il posto in cui stavo meglio. Era la mia casa. Agnelli mi definì in sèguito "coniglio bagnato". La cosa non mi ha fatto piacere, ovvio, ma ero il primo a sapere di non rendere sempre quanto potevo. E poi, credo che, con quelle battute, Agnelli volesse stimolarmi, spronarmi.In società, c'era chi sosteneva che acquistarti era stato uno sbaglio.Anche Romper ti non riteneva che Baggio meritasse tutti quei soldi. Che rapporto avevi con la società, con l'Avvocato?Un rapporto onesto, di stima e cordialità. Loro avevano tutto il diritto di esprimere le loro perplessità, ma il rapporto tra me e loro non era conflittuale. L'Avvocato mi voleva bene, quando ci vedevamo era cordiale. Non l'ho conosciuto benissimo, non siamo mai stati a cena insieme. Ci sentivamo molto al telefono. Era cortese, talvolta un po' distaccato, ma credo lo fosse con tutti.Ha sempre detto che eri l'erede naturale di Platini, ma che non sei arrivato ai suoi livelli complessivi.Può essere, è l'opinione di una persona che s'intende di calcio. Mi permetto di dissentire. A me Platini piaceva, anche se credo che giocare in quella squadra, per giunta nel calcio di allora, fosse più facile. E comunque credo che abbia smesso di giocare qualche anno prima di me...E' esatto dire che in quel periodo ricevevi più soddisfazione dalla Nazionale di Sacchi che dalla JuveP

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Guarda, io nella stagione 1991 '92 ho fatto 18 reti in campionato, non è che abbia giocato così male... Abbiamo anche sfiorato la Coppa Italia, perdendo col Parma. Detto questo, è indubbio che, con l'arrivo di Sacchi alla guida della Nazionale, abbia avuto inizialmente la possibilità di fare vedere fino in fondo le mie doti, giocando più avanzato, dimostrandomi così decisivo per la qualificazione ad Usa '94.Una delle accuse che più spesso ti sono state rivolte, soprattutto in quel periodo, è che sei un buon giocatore, ma non sei un vero leader.Bah, questa faccenda del leader mancato va avanti tuttora.Forse sono troppo buono in campo, oppure non mi aiuta la faccia, che ne so. Chissà, magari qualcuno pensava che, una volta arrivato alla Juventus, risolvessi tutti i problemi con la bacchetta magica. Intendiamoci, io ero importante, e non sempre mi sono dimostrato all'altezza, però neppure potevo essere sempre e soltanto l'unico capro espiatorio. Ma, quando le cose andavano male, il primo che veniva tirato in ballo ero sempre io.Ancora "incomprensioni strutturali". Destino segnato, il tuo.Sarà così, sarà stato il prezzo da pagare per restare me stesso, indubbiamente un atipico, anche calcisticamente parlando.Appunto. Platini ti ha definito 9 e 1/2.Questa storia del 9 e 1/2 è proprio strana. Io ricordo cosa disse Platini, in sèguito ne abbiamo anche parlato. La sua non voleva essere una critica, ma una semplice constatazione: io non ero un 10 nel senso classico del termine, non ero neppure un trequartista puro. Preferivo agire in fase più avanzata. Spesso come un attaccante, quindi come un numero 9. La definizione aveva una sua validità, se vuoi era pure originale. Mi ha chiamato 9 e 1/2 per questo. I giornali hanno inteso il giudizio a modo loro.Non ti vanno troppo a genio i giornalisti, eh?Mi hanno fatto quasi sempre domande banali e mi hanno tradito troppe volte, ma soprattutto hanno intonato troppo spesso la mia orazione funebre: è finito..., non regge la partita..., ormai fa tenerezza... Oggi vorrei incontrare di nuovo tutti questi "maestri", e chiedere a ognuno di loro cosa pensa di Roberto Baggio.Resta la domanda sottintesa, da cui siamo partiti. Sei o non sei, ti senti o non ti senti un leader vero, in campo e no? Platini, probabilmente, alludeva anche a questo.Se intendi uno che da il meglio di sé e, se necessario, si mette al servizio dei compagni, questo l'ho sempre fatto. E ho sempre lasciato un'unghiata, un sigillo importante. Se per leader intendi il trascinatore, l'animatore, il sostenitore, il simbolo, beh, è una faccenda più delicata. Guarda, io credo che all'inizio non lo ero, ma col tempo sì. Maturando per gradi, lo sono diventato. Soprattutto in Nazionale, ma anche nelle squadre in cui ho militato. Forse non con continuità, ma per lunghi tratti sì. E' però anche vero che ti parlo adesso, che di anni ne ho 34, e forse leader lo sono diventato, definitivamente, soltanto adesso. E' stato un percorso faticoso, accidentato. Forse mi dovevo prima completare come uomo. E' stato importante trovare Brescia, Mazzone, un gruppo che ha creduto in me.Torniamo allajuventus. Nell'estate del '92, la società acquista anche Vialli. Tu e lui dovevate condurre la squadra allo scudetto, ma non è successo. Di chi è stata la colpa?

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Del Milan. Quel Milan lì era invincibile davvero. La nostra era "soltanto" una buona squadra. Il primo anno Gianluca ha avuto qualche problema, ma anche al massimo della forma collettiva, non ce l'avremmo fatta a vincere. Gli uomini di Capello, al tempo, erano inarrivabili.Avevi il codino, poi sarebbe arrivato l'orecchino. Agroppi, che, dopo lo scetticismo iniziale ha sempre speso belle parole per te, forse non avrebbe gradito...Sono cose che appartengono alla mia sfera personale. Non devo renderne conto a nessuno.La stagione 1992 '93 sarà quella della tua consacrazione mondiale.Eppure era iniziata male. A gennaio, pareva certo il tuo arrivo a Parma, in cambio di Minotti.Sì. Giocavo bene in Nazionale, ma faticavo con la Juve. Nella partita con la Scozia, il 18 novembre, mi sono infortunato alla costola. Dieci giorni prima, contro l'Udinese, ho realizzato l'unica quadripletta della mia carriera. Senza di me, la domenica successiva, la Juve ha vinto il derby con un'autorete al 93esimo, e subito qualcuno ha iniziato a dire che, fuori il sottoscritto, la squadra era più bilanciata e vinceva più facilmente. Poi, senza di me, la Juve ha perso di fila le ultime tre partite del '92... Ciò nonostante, a Torino mi hanno criticato in tanti, ed è venuta fuori la storia dello scambio tra Baggio e Minotti. Uno scambio che, per quanto ne sapessi io, non stava né in ciclo né in terra. Io volevo rimanere a Torino. Al mio rientro, quasi per un segno del destino, il 3 gennaio abbiamo vinto proprio contro il Parma, grazie a un mio gol. Eppure, dopo una doppietta contro il Pescara, alcuni tifosi mi hanno contestato ad Orbassano. Lo scatto definitivo, comunque, è avvenuto in primavera.La semifinale di Coppa Uefa contro il Paris Saint-Germain, il 3 e il 22 aprile.Perdevamo in casa 1 a 0, quello era un Psg molto forte, c'era anche Weah. Fu suo il gol iniziale. Nel secondo tempo siamo entrati caricati. Ho segnato una doppietta splendida. Anche al ritorno, a Parigi, in un'atmosfera infuocata, ho firmato il gol decisivo. In campo volavano botte da orbi. Anche in campionato mi riusciva di tutto: il gol decisivo nel derby (anche se poi lo hanno attribuito a Conte), il 3 1 a San Siro contro il Milan degli invincibili (e tutto il pubblico in piedi ad applaudirmi), e il 3-0 alla Fiorentina. E' stato il mio primo gol alla mia ex squadra, che a fine anno sarebbe retrocessa in serie B.Con Firenze avevi chiuso del tutto, si disse. Giorni prima, c'erano stati i fischi e le offese alla tua famiglia, durante l'amichevole Italia-Messico disputata al "Franchi", che ha contribuito ad allontanarti dal tuo passato.Quella contestazione mi ha ferito molto, non la meritavo io e ancor di più non la meritava la mia famiglia: cosa c'entrava?Devo però dire che, se una parte del pubblico mi ha insultato, ce n'è stata un'altra, più consistente, almeno così mi è sembrato, che ha applaudito quando ho segnato.Provoco: non sarete mercenari, ma spesso vi dovete comportare da cinici.Dovete passare sopra ai ricordi, agli affetti, e mandate in serie B le vostre ex squadre...Che dovrei fare, oggi, che di squadre ne ho cambiate tante?Non scendere in campo quando incontro una mia ex, oppure non impegnarmi? Già ci pensa il ginocchio a farmi saltare partite, ci mancherebbe pure questa. Fa parte del

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gioco, la mia posizione di professionista mi impone di rendere sempre al meglio.Altra cosa è la sensibilità. E la mia sensibilità è un nervo sempre scoperto, fa male. L'importante è la correttezza, e io sono stato sempre corretto. Con tutti.Il tuo capolavoro di quella stagione è stata la finale di Coppa Uèfa contro ilBorussia Dortmund. Protagonista assoluto.La finale d'andata non poteva iniziare peggio. Pronti, via, e già loro erano sull'1 a O. Poi abbiamo vinto 3 a 1, io ho segnato due reti e la terza l'ha realizzata Dino. Il ritorno è servito solo per divertire il pubblico. Ricordo che a un certo punto volevo segnare come contro la Cecoslovacchia ai Mondiali, dribblando tutti, per il puro gusto dello spettacolo, ma non mi è riuscito. In prossimità della linea di porta, mi hanno fermato, accidenti a loro. Peccato, sarebbe stato un bel gol. E' stata una grande emozione, quello era il primo trofeo che vincevo. E lo vincevo da protagonista.Per festeggiare, hai portato tutta la squadra nel ristorante di Peter e Gian Michele, a Casoni Borroni.Di quella festa non ricordo tutto, dovresti chiedere a Chele e Peter, loro hanno più memoria di me. Bevemmo molto, c'era gente che saliva sui tavoli, avevamo "rubato" la Coppa Uefa, l'abbiamo riempita di champagne. Si è fatto tardi. Una bella festa davvero, era un pezzo che non ne vivevo una così.Fin troppo quieta e serena, questa parte. Manca un po' di buio, di movimento.Beh, scusa se ho festeggiato una Coppa Uefa vinta da "leader", come diresti tu...Casoni Borroni ha proprio un'importanza particolare, per te.Portandoli là, avevo condotto i miei compagni a casa mia, o meglio, al pezzo morale che ce n'era lì: alla sua succursale, insomma.Sì, li avevo portati tutti a festeggiare questo mio primo, nostro trofeo, troppo importante per me.Quel grandioso finale di stagione ti ha permesso di vincere il Pallone d'oro 1993, terzo italiano nella storia dopo Rivera e Paolo Rossi.Una gioia inaspettata. Non credevo di vincerlo, davvero. Solo un anno prima, non avevo preso neanche un voto. A lungo, si era parlato di un testa a testa tra me e Bergkamp, che in estate era stato inseguito e poi lasciato proprio dalla Juve.Un atteggiamento troppo prudente che critichi in un'intervista dalla Versilia. E giù, polemiche.Io mi ero solo permesso di dire che speravo in una squadra competitiva, le mie erano solo considerazioni, al massimo critiche costruttive. Ma la società mi multò. Bah.Torniamo al Pallone d'oro.Ho vinto davanti a Bergkamp e Cantona. Quell'anno è stata una grandine di premi: il Fifa World Player (davanti a Romario), il World Soccer (secondo Bergkamp) e l'Onze d'Or (davanti a Boksic). Mi ha fatto molto piacere il fatto che tutti fossero d'accordo con la mia vittoria. Anche Sacchi mi ha votato, e lo stesso Platini si disse felice della scelta fatta da France Football. Perfino Baresi, che non mi reputava forte mentalmente al punto da salire in cima al mondo, ammise pubblicamente di essersi sbagliato: "Ha stupito anche me". Ho ritirato il premio il 29 gennaio '94.Devo dirti la verità: quanto e più del premio, mi emozionò lo sguardo rapito di Valentina quando la portai a Disneyland. Aveva sul volto una gioia totale che... sì, forse è proprio questo il ricordo più intenso che ho di quel viaggio a Parigi. Lo

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sguardo di Valentina. Tornato a casa, sono passato da Casoni Borroni. Erano le sei di mattina, ho lasciato il Pallone d'oro sopra il banco del ristorante di Peter, e sono andato a caccia, da solo. Fatti raccontare la faccia che hanno fatto, quando sono scesi per colazione.E innegabile. In te c'è una vena di candida follia...Pensala come vuoi, per me va bene così. Quello era un buon periodo davvero; nel solo girone d'andata avevo realizzato 10 gol (in tutto 17). Mi stavo preparando al meglio per il Mondiale degli Stati Uniti, l'obiettivo che consideravo essere il più importante della mia vita. Avevo 27 anni, l'età migliore per un calciatore. Ma nulla fu più bello, in quel periodo, della nascita di Mattia, il mio Mattia. Ero padre per la seconda volta. E niente vale una cosa come questa.In mezzo alla serie di elogi, e all'affetto finalmente convinto dei tifosi bianconeri, Omar Sivori restava critico: "II Baggio della Fiorentina, quello sì mi entusiasmava. Ma il Baggio della Juve, per carità, è un goleador assolutamente normale. Dice Umberto Agnelli che i fuoriclasse sono quelli che giocano sempre bene e qualche volta meno bene. Se devo essere sincero, non mi sembra il caso di Baggio... ". In sostanza, e non era il solo, Sivori ti accusava da un lato di eccessiva discontinuità, dall'altro di non essere mai stato "bello" come ai tempi di Firenze.Se avessi risposto a lui, avrei dovuto rispondere a molti altri, passare metà del mio tempo a chiudere la bocca a questo e quello. No, grazie: vivi e lascia vivere. Sivori la pensava in quel modo, io e molti altri no. Punto.Credi che quello del '93 sia stato il miglior Baggio? Quanto eri cambiato, tecnicamente e tatticamente, rispetto agli inizi?E' stato uno dei Baggio migliori. Per il resto, avevo naturalmente acquisito maggiore malizia. Mi considero un attaccante particolare, atipico, che sa impostare ma anche finalizzare. Comunque, il ruolo che preferisco è quello di trequartista avanzato, che agisce dietro le punte, che però ha anche licenza (e libertà) di tiro.Quel bel periodo porta al rinnovo del contratto, che scadeva nel 1993. Altri due anni, per una cifra vicina ai dieci miliardi. Rifaresti quella scelta?Quali miliardi? Con la società non si era mai parlato di cifre: questa era una notizia tirata fuori ad arte. Nel momento in cui firmai, credevo che la società avrebbe continuato a puntare su di me. Non c'era motivo per pensare il contrario. Se avessi saputo che, di lì a poco, se ne sarebbero andati Trapattoni e Boniperti, e sarebbero arrivati Lippi, Moggi e Bettega, probabilmente ci avrei pensato di più.Ti è dispiaciuto perdere Trapattoni?Sì, perché avevamo raggiunto insieme degli obiettivi, c'era stima reciproca, era ed è una persona di cui fidarsi. Non è poco, nel calcio.Quegli anni alla Juve sono stati funestati dalla morte di Andrea Fortunato, tuo compagno di squadra.Andrea era un fiore di campo. La sua morte è stata una tragedia per tutti. In quel periodo, come sempre, mi ha aiutato la mia fede. E' lei che mi ha fatto andare avanti, che mi ha detto che il karma di Andrea era tutto positivo, che non c'era nulla da temere. Per lui era finita un'esperienza, di lì a poco ne sarebbe iniziata un'altra.Giunto alle soglie del Mondiale d'America, che bilancio traevi da quei primi quattro anni juventini?

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Un bilancio sostanzialmente positivo, anche se avevamo vinto molto meno di quanto avessimo sperato. Le difficoltà incontrate mi avevano fortificato, psicologicamente avevo ormai superato molte cose. Si dice così, no? Il mio motto è: non avere rimpianti. Beh, per quello che ero riuscito a fare in quei quattro anni, non avevo rimpianti.Da quanto racconti sul tuo rapporto non sempre facile con Torino e la Juventus, emerge più volte l'idea che hai sempre messo davanti a tutto la famiglia, anche a costo di danneggiare la tua carriera.La famiglia è un valore portante, fondamentale. Per la mia famiglia farei tutto, anche di più. E questo lo dico a prescindere dalla fede.Quando hai conosciuto Andreina?Oh, mi pare di conoscerla da sempre. Avevamo 15 anni, abitava vicino a casa mia, le nostre famiglie si conoscevano. Veniva nella mia scuola. E' accaduto tutto il giorno prima di partire in ritiro con il Vicenza. Era la sera del 24 luglio 1982. Avevo giocato a calcio con Diego fino alle nove e mezzo di sera, ininterrottamente. Lei è passata tre volte con il motorino. Alla terza, si è fermata. Le ho rotto le scatole, dicendo le solite sciocchezze che si dicono in questi casi, per fare colpo. Poi, quando se n'è andata, le ho preso l'anello che teneva. Era una fedina d'oro, gliela aveva regalata la nonna. Le ho detto: io adesso parto, torno tra tre settimane, questo lo porto con me, così sarai costretta a pensarmi.E poi?Poi sono andato in ritiro e mi sono scoperto fulminato, innamorato perso. Ero cotto, non facevo altro che pensare a lei.Quando sono tornato, ho scoperto che per lei era lo stesso. E ci siamo fidanzati. Era il 16 agosto dell'82.Buona memoria. Non dev'essere stato facile, per lei, accettare i tuoi continui viaggi.No, non lo è stato, soprattutto quando partii per Firenze. Lei veniva da me ogni quindici giorni, per i fine settimana. Ogni volta che arrivava, per me era una festa. Poi nell'88 siamo andati ad abitare insieme. Sai, avevo bisogno di lei, era un periodo difficile, lì a Firenze. E nell'89 ci siamo sposati, a luglio. C'era tutta Caldogno.Che ricordo hai del matrimonio?Un ricordo stupendo, ma un po' confuso. Ero cotto come una pera. Il primo luglio, il giorno prima di sposarmi, c'era lo spareggio per la Coppa Uefa contro la Roma. Finita la partita, sono passato da Firenze per prendere la roba, poi sono andato a Caldogno.La sera, insieme con un mio amico che suonava la chitarra, ho cantato ad Andreina una serenata, sotto la sua camera. Un casino che non hai idea, ho toccato il letto alle sette del mattino. Tre ore dopo mi dovevo sposare. Ero distrutto. A metà pranzo, già mi si chiudevano gli occhi. E' stata una festa completa, il coronamento di un'unione forte, senza la quale non potrei vivere. Da allora, siamo sempre stati insieme, non mi ha abbandonato neanche un minuto. Soprattutto nei momenti più difficili, che non sono mancati, come ormai avrai capito.Non hai mai parlato volentieri della tua famiglia.Perché è una cosa mia. Ne sono geloso.Hai già detto che il tuo buddhismo, inizialmente, non fu accettato da Andreina.Era comprensibile, entrambi venivamo da famiglie cattoliche.

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Io, da un giorno all'altro, mi metto a meditare per ore davanti al Gohonzon. Non era facile capire, per lei. Poi, quando ha visto che il buddhismo mi aveva aiutato, non solo mi ha capito, ma, come sai, si è avvicinata lei stessa. E adesso preghiamo insieme.La vostra unione, ormai quasi ventennale, è forte. Eppure sei sempre stato uno dei calciatori più desiderati d'Italia.Ma quello è folklore, fa piacere e nulla più. I complimenti sul mio aspetto fisico, mi hanno sempre fatto sorridere. Non mi sono mai sentito un sex symbol, né ho mai trovato impossibile resistere alle tentazioni, per un motivo semplice: quando ami una donna, esiste anzitutto quella donna. Amo Andreina. Certo, nella vita può succedere di tutto, un giorno potremmo anche lasciarci ma, oggi, sarebbe l'ultima cosa che vorrei.Sei davvero un calciatore particolare. Molti tuoi collegi collezionano flirt, e tu posi per il ritratto del marito felice.Ognuno ha il proprio modo di vedere le cose. Io ho questo.E i tuoi figli?Valentina ha undici anni, Mattia sette. Valentina mi somiglia, è sensibile come me. Anche troppo, dev'essere una tara di famiglia. ..Mi ha fatto male non essere accanto ad Andreina quando è nata, ma purtroppo c'era Juve-Fiorentina. Se me ne fossi andato, sarebbe scoppiato un putiferio, la società non me lo ha permesso.Anche Mattia è nato in un periodo caldo della mia vita, ero a Carnago nel preritiro di Usa '94. Mattia è una peste, e anche questo è un aspetto che mi ricorda la mia infanzia. Non sta fermo un minuto.Mattia segue il calcio?Sì, ha anche iniziato a giocare da poco. Non l'ho spinto io, è lui che si diverte con la palla, anche in casa. Già fa l'intenditore, guarda le partite in tv e fa dei commenti incredibili. Vai a capire le sciocchezze che dicevo anch'io, alla sua età.E' bravo?Non si può dire ancora, è troppo piccolo, anche se Andreina dice che è uguale a me: lo stesso fisico, gli stessi gesti. Chissà.Ti piacerebbe che facesse il calciatore?Non mi opporrei, ma sarebbe una scelta sua. Come il buddhismo. Sarà lui a decidere cosa fare della sua vita. Io cercherò di stargli vicino, come hanno fatto i miei genitori con me.Quest'anno, hai scritto il loro nome sugli scarpini da calcio.Un altro modo per portarli sempre con me, anche in campo.Che rapporto hai con i tuoi genitori e i tuoi sette fratelli?Ho sempre avuto un ottimo rapporto con mia madre, mentre mi sono avvicinato a mio padre grazie alla caccia. E' stato quello un modo per incontrarci, e scoprirci a vicenda. Ancora oggi cacciamo insieme. C'è stato un momento in cui ci siamo un po' allontanati. Erano gli anni della Juve, qualcuno della mia famiglia temeva che, con la fama, rischiassi di dimenticare gli affetti.Nulla di più lontano dalla mia natura. Oggi, ho un rapporto saldo con i miei genitori. Con i miei fratelli, i rapporti sono sempre stati più complessi: siamo in tanti, non è

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sempre stato facile andare d'accordo con tutti, ma ci vogliamo bene.Hai dato dei consigli particolari ad Eddy, l'unico ad averti seguito nella carriera di calciatore?Eddy ha sette anni meno di me, è sempre stato molto orgoglioso. Non mi ha mai chiesto troppi consigli in passato, c'è stata un po' di distanza tra lui e me, dovuta anche alla differenza d'età. Tuttavia siamo riusciti col tempo a costruire un ottimo rapporto. E, comunque, non è certo stato facile per lui essere il fratello minore di Roberto Baggio: per fortuna, è un ragazzo forte, come atleta e come uomo.Sei attaccato alle tue origini?Come tanti, forse più di altri. Voglio bene a Caldogno, è il luogo in cui sono nato e cresciuto. Caldogno è Veneto pieno, e io mi sento veneto. La gente delle mie parti crede in valori come la famiglia e l'amicizia, che sono il sale della vita. Comunque, io mi sento anzitutto cittadino del mondo. Me lo ha insegnato il mio Maestro.

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Al Diavolo

Già vola il fiore magro dai rami. E io attendo la pazienza del suo volo irrevocabile.Salvatore Quasimodo, Già vola il fiore magro, in Nuove Poesie

Mi dicono: hai vinto poco per quello che vali. Non mi sono mai posto il problema. Non ho mai misurato la bravura di un giocatore, la sua professionalità, in base all'albo d'oro o al curriculum.Un giocatore lo giudichi dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia, cantava ancora De Gregori.Ero arrivato a 27 anni senza vincere mai lo scudetto. "Finora ho vinto trofei da bar, ora voglio vincere qualcosa di serio". Lo avevo detto con l'arrivo di Trapattoni alla Juve, ma lo scudetto non era arrivato. La Fiorentina non aveva lottato per quel traguardo, perlomeno non quella in cui avevo militato io. Lì e era da pensare anzitutto alla salvezza, poi se andava bene ti trovavi in Uefa, e a quel punto te la giocavi.Con la Juventus, gli obiettivi erano quelli di una società avvezza al dominio: vincere, contava solo il primo posto. I primi quattro anni non ci riuscimmo. Nonostante Maifredi, nonostante Trapattoni, nonostante Vialli. Lho detto e lo ripeto: la colpa non era nostra, ma di un Milan irraggiungibile.Dopo dieci anni di carriera, avevo vinto, eccezion fatta per il Pallone d'oro, soltanto una Coppa Uefa. Eppure non mi sentivo sprecato, l'unica vera ferita che sanguinava, che sapevo già non cicatrizzabile, era la finale. Quel Mondiale maledetto.Tornato dall'America mi capitò un fatto importante, che da solo giustificherebbe un'intera carriera. Vinsi due scudetti in due anni, consecutivamente, con due maglie diverse.Il primo arrivò con la Juve di Lippi. Fu una stagione che vivemmo da dominatori, che io non giocai per intero perché a Padova mi infortunai di nuovo, al ginocchio, evia, altri due mesi fermo. Dissero che avevo vinto uno scudetto dalla panchina, ma era una cattiveria.Quello scudetto lo sentivo mio, sapevo che le mie reti, i miei assist, erano serviti, e molto.Eppure quel retrogusto amaro me lo sentivo sempre lì, sulla lingua. Sarà stato l'infortunio, sarà stato che, da una società alla quale avevo dato molto per quattro anni, mi aspettavo un po' di riconoscenza. Sarà stato per questo o per altro ancora, ma, quando la nuova dirigenza, Moggi-Bettega-Giraudo, mi disse che non rientravo nei loro piani, e me lo disse senza ricorrere a giochi di parole, proprio come fece Umberto Agnelli, beh, quando mi dissero questo, ebbi la conferma che la vittoria non è, non sarà mai, tutto.Poi il Milan. Mi volevano in tanti, scelsi il Milan perché fu quello che mi volle di più, o che me lo fece capire meglio. Proprio il Milan, che mi voleva già anche ai tempi fiorentini. E anche lì, con Capello, scudetto. Per loro, il quarto in cinque anni. Per me, il secondo in due anni. Quello di Weah, di Savicevic, di Maldini. E di Roberto

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Baggio. Fu una bella annata, anche se forse Capello mi tolse qualche volta dì troppo, lui diceva per preservarmi, e sicuramente ne era convinto, solo che io non avevo bisogno di essere preservato, io stavo bene. E, se non giocavo quanto potevo, rendevo inevitabilmente meno. E' stato sempre così.Dissero ancora: Baggio, l'unico campione che vince gli scudetti da comprimario. Non era verità neppure quella, i miei gol importanti li feci, quello scudetto era tanto mio quanto degli altri. Fu gioia vera, avevo l'affetto di San Siro. Loro, i tifosi, mi sono stati vicini, quell'anno vinsi il premio come miglior milanista. Furono loro a decretarlo.Eppure, ancora quel retrogusto amaro sulla lingua. Non feci in tempo a gioire della vittoria, che vissi l'europeo del '96 da tifoso distratto, la Nazionale sembrava definitivamente perduta. E poi l'anno successivo, il fallimento di Tabarez che tanto mi ricordava Maifredi, l'arrivo di Sacchi, il suo ostracismo, lo zuccherino della convocazione azzurra a Napoli, le parole a fine stagione del rientrante Capello che mi diceva che, per me, tanto per cambiare, non c'era più spazio.Era tempo, ancora, di cercarmi una squadra nuova. Mancava un anno solo al Mondiale, non potevo fallire. In quegli anni, vinsi tutto quello che c'era da vincere. Lo feci a modo mio. Badando al sodo, non alle chiacchiere.Avrei dovuto essere felice, un po' lo ero, ma non del tutto.C'era sempre quel retrogusto amaro, nei sapori che assaggiavo. E ci volle Bologna perché tutto tornasse come una volta, ritornasse a posto.Terminato il Mondiale americano, di ritorno dal tuo buen retiro argentino, ti trovi davanti la nuova Juve targata Moggi-Giraudo-Bettega. L'allenatore è Lippi.I primi contatti sono stati all'insegna della normalità. La nuova dirigenza non poteva dirmi molto, ero reduce da un grande Mondiale, insomma, avevo le spalle coperte. Di Lippi mi colpì l'attenzione meticolosa alla preparazione atletica. Nuovi macchinari, un nuovo preparatore. Rispetto a Trapattoni, i cambiamenti non erano pochi.Lippi voleva una Juve "Baggio-indipendente".La volevo anch'io. Quella non era una critica. Aveva detto quella frase per togliermi qualche responsabilità. Quell'anno con Lippi non ho avuto grossi problemi. Quelli sono arrivati dopo.Già si parlava del tuo rinnovo di contratto, che sarebbe scaduto al termine della stagione.Me lo chiedevano già prima del Mondiale, era un tormentone che andava avanti da mesi. Volevo avere le idee chiare, rendermi conto di come si stavano evolvendo le cose, prima di dire cosa pensavo.E che idea ti erifatto?L'idea che la Juve non voleva confermarmi. Ha fatto di tutto per allontanarmi, devo dire che c'è riuscita molto bene.Come sei arrivato a questa consapevolezza?Per me è stato un campionato strano. Otto reti, molte decisive, vinco lo scudetto, ma ricordo quasi più i problemi che le gioie.Soprattutto dopo la partita di Padova. Nel primo tempo, dopo un mio gol decisivo, ho sentito un crack al ginocchio destro, il solito, quello disastrato. Ero così spaventato che, nell'intervallo, ho telefonato a Chele dicendogli di avvertire subito Pagni. La

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sera, ho fatto uscire il pullman della Juve a Vogherà, in maniera tale che potessi raggiungere subito Casoni Borroni.E' iniziato un momento brutto per me, sono stato fermo mesi. Il dubbio non era tanto se operarsi o meno, purtroppo l'operazione era inevitabile, ma come operarsi. La mia paura era che, rimuovendo interamente il menisco, si sarebbe potuta creare lassila in un ginocchio già martoriato, perdendo stabilità. Preferivo rimuovere in artroscopia soltanto una parte del menisco, ciò che poi è avvenuto. Quell'operazione è stata una liberazione, non ne potevo più di sentire tutti quei crack, dentro il ginocchio. Ho aggredito la rieducazione, i suoi tempi funebri. Ormai ero un esperto.Però, nel frattempo, d'inverno era esploso Del Piero. E la dirigenza bianconera non aveva più voglia, con lui in casa, di confermare un giocatore di 28 anni, con l'ingaggio alto come il tuo.Le cose sono andate più o meno così. Ero contento per Del Piero, lo vedevo crescere in allenamento, si fidava di me, mi chiedeva consigli, lo aiutavo.Eaggio, l'unico campione che vince gli scudetti quando va in panchina.Un anno dopo, la stessa cosa col Milan. Lo pensano in molti.Questi "molti" di cui parli tu, si riguardino le partite. Scopriranno che, nonostante le panchine e gli infortuni, ho sempre fatto reti importanti, senza le quali, forse, non ci sarebbe stato nessuno scudetto.E il rinnovo del contratto?Non mi ci volle molto a capire che non c'erano speranze.Quando parlai con Bettega, mi disse che mi avrebbero rinnovato il contratto soltanto se accettavo una riduzione del 50%. E con questo ti ho detto tutto. O accettavo questa cifra, o me ne andavo. Me ne sono andato.Scusa se ci ritorno, ma l'accusa del mercenario tornò di moda.La tattica della Juventus era la solita, quella seguita anche da Pontello. Mi screditavano agli occhi dei tifosi, dicevano che non avevo accettato un triennale da quattro miliardi l'anno. Una volta, andando all'allenamento, ho trovato Bettega che parlava con i capotifosi, arringandoli contro di me. Io, quella volta, mi sono limitato a dire: "Scusa, ma perché non gli spieghi che in realtà i miliardi netti sono due, e che mi avete chiesto una riduzione del 50 % ?".Il fatto è che Bettega stava parlando con gente che prendeva a malapena due milioni al mese. La loro rabbia nei miei confronti era comprensibile, sarei stato infuriato anch'io, al loro posto.E l'accusa di avere cambiato troppe bandiere?Il calcio è anche questo. Ho sempre fatto di tutto per rimanere nelle città che amavo, ma qualcuno non me l'ha consentito. Quando si è trattato di accettare dei trasferimenti che magari avrei evitato, a quel punto è ovvio che abbia tentato di non rimetterci. Certo, adesso non sono più povero come quando ero bambino, ma non ho ancora avuto il tempo per realizzare i miei progetti. L'unico sogno che ho realizzato è la fazenda in Argentina. Cambiando città, ho perso amicizie importanti (che tengo nel cuore), ma ho anche visitato posti sconosciuti, incontrato persone nuove. E' il mestiere del calciatore. Quello che mi dispiace è che c'è ancora gente che non sa che io, una volta che mi affeziono ad un posto, mi do intensamente. Sono state le società, che mi hanno spinto ad andarmene, a mettere in giro l'idea che me ne andavo per i

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soldi. Ma i soldi sono sempre venuti dopo, e non sono mai stati la cosa decisiva. Un mercenario non rischia la gamba, non gioca con le infiltrazioni e un ginocchio martoriato, come ho sempre fatto io.Non credi che il tuo ciclo alla Juve fosse comunque finito, a prescindere dai problemi di rinnovo?E' possibile. Io stesso mi sono più volte chiesto cosa avrei fatto, se mi avessero fatto una proposta decente, se attorno a me avessi sentito l'affetto della società. Sì, forse era ora di cambiare, il mio tempo a Torino era finito, sentivo il bisogno di cambiare aria. Ciò non toglie che, dalla società, mi aspettavo un trattamento diverso.Colpa tua o della Juventus, quella volta?Non lo so, o meglio, lo so anche troppo. Non m'interessa più. Quello che è stato è stato.Oltre alla storia con Bettega, c'è stato qualche episodio che ti ha ferito particolarmente?Molti. Una volta arrivai al casello autostradale, ero di corsa, in macchina con me Andreina e mio fratello Eddy. Accanto al Viacard c'era una persona che chiedeva soldi, non ho avuto neppure il tempo di vedere chi fosse. Gli ho dato d'impulso gli spiccioli che avevo in tasca, come si fa in questi casi, mi pare fossero duemila lire. Era domenica, il giorno prima avevo giocato. La cosa è finita lì. Almeno così credevo. Il martedì successivo, guardo il televideo, e a pagina 229 trovo la notizia che Baggio, dopo aver parlato a lungo di temi come la solidarietà e la pace nel mondo, aveva dato la miseria di duemila lire ad un'associazione benefica che chiedeva fondi. Il "flash" si chiudeva con una frase che, più o meno, diceva così: "Con i problemi di contratto che ha, evidentemente, Baggio non può dare più di duemila lire".Ma ti rendi conto? Io con questo qui neanche avevo parlato, neanche la faccia mi ricordo. Da questa non-notizia era uscita fuori un'Ansa. Doveva essere iniziata una campagna diffamatoria. Ma forse penso male.La stampa da che parte stava?Era divisa. Molti mi attaccavano, altri mi difendevano. Mi colpì la difesa appassionata di Ivan Zazzaroni sulle colonne del "Corriere dello Sport". Ma lui era, ed è, un amico vero.E Lippi?Ha sempre detto che non c'entrava nulla con il mio allontanamento dalla Juve, che era stata una scelta della società. Non ci ho mai creduto. Aveva appena vinto uno scudetto, era potentissimo, figuriamoci se non aveva dato il suo assenso all'operazione.Non ti ha difeso la famiglia Agnelli?Non so cosa pensasse l'Avvocato. So cosa mi ha detto Umberto Agnelli, l'ultima volta che ci siamo visti. Mi ha detto che me ne dovevo andare, che il mio tempo si era concluso, che la società voleva investire su forze giovani, eccetera. Poi, quasi di passaggio, mi ha consigliato di andare all'Inter, che aveva appena vinto lo spareggio Uefa: "Sai, conosco bene Moratti... ". A quel punto l'ho fermato subito, dicendogli che, se permetteva, la prossima squadra, almeno, me la sarei scelta io.Le offerte non mancavano.No, decisamente. Dall'Italia e dall'estero. Mi cercavano le migliori squadre inglesi e

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spagnole, ma all'estero non ci sarei andato.Perché questa resistenza ad abbandonare l'Italia? All'estero, nessun allenatore avrebbe avuto il coraggio di metterti in discussione, saresti diventato l'idolo dei tifosi.Può darsi. Certo, giocare nel Barcellona o nel Manchester United mi avrebbe fatto piacere. Da un lato, però, sapevo che, andando fuori avrei perso per sempre la Nazionale (e ancora ci speravo); dall'altro, non volevo costringere la famiglia ad un trasferimento difficile, soprattutto per i figli.Perché proprio il Milan ?Perché è stata la squadra che mi ha cercato con maggiore convinzione. Mi voleva anche l'Inter di Moratti, che stravedeva per me, ma il Milan è stato più bravo a convincermi.E' stata una trattativa difficile?Per niente. Cinquanta secondi, poco più. Galliani e Braida sono venuti a Casoni Borroni, ci siamo accordati subito. Chele aveva preparato una vagonata di salumi e formaggi, credendo che sarebbe stata una trattativa laboriosa. Per dirti com'ero al tempo, mi bastarono poche parole di Galliani: una stretta di mano, e via. L'approccio del Milan fu così irruente e diretto da non poter essere gestito più di tanto. La Juve mi voleva pilotare verso l'Inter, come ti ho detto. E io ho risposto "nossignori".Del resto il Milan mi aveva "moralmente" comprato fin dal 1990, ma allora Berlusconi aveva dovuto abdicare all'Avvocato, e non per ragioni solamente calcistiche.Come ti sei trovato con Capello?All'inizio bene, poi meno.Ti riferisci alle molte sostituzioni?No, o meglio: non solo. Certo, mi dava molto fastidio il fatto che, appena la partita si metteva bene, lui mi toglieva. Sempre.Diceva che lo faceva per conservarmi per i momenti difficili della stagione, ma a me dispiaceva, perché, se non giocavo i secondi tempi, non potevo segnare quanto volevo, e carburare nel modo giusto.Porse eri un po' capriccioso, egoista. Col passare degli anni, eri diventato una primadonna.Io non mi sono mai comportato da divo. Non coscientemente, almeno. Non è obbligatorio che, col passare del tempo, uno diventi pauroso, geloso di tutti gli emergenti. E non è il mio caso. Io vado per la mia strada. Non ti dico che sono indifferente agli altri, ma sono troppo assorbito dalle mie battaglie personali, dal perseguimento dei miei obiettivi. La mia maledizione è che ho un forte, innato senso di giustizia. Sopporto male le discriminazioni, sia quelle fatte a me, sia quelle fatte ad altri. C'è poco da fare, tendenzialmente sono un ribelle, e questo crea tensioni e malumori con le autorità. Ma, attento, parlo di tensioni nascoste, malumori sottopelle, perché sono un tipo educato, controllato. Non amo gli sfoghi plateali, non sono il tipo.E allora perché dici di non avere avuto un rapporto buono fino infondo con Capello?Perché si è inacidito col tempo. Quando decise di lasciare il Milan per andare al Real Madrid, pareva che volesse "regolare i conti" con la squadra. In massima parte ci riuscì: nello spogliatoio non lo sopportava più nessuno. Alla fine ci provò anche con

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me, ma gli andò male.Cosa fece?Avevamo appena vinto lo scudetto, c'era in programma una tournée in Oriente. Il Milan aveva dovuto fare ricorso a un sacco di prestiti. La tournée non andò male, il viaggio di ritorno sì.Mentre raggiungevamo l'aeroporto con un pullman mezzo vuoto, dato che molti compagni erano già partiti per le vacanze, Capello, seduto qualche fila più avanti, cominciò a stuzzicarmi.In che modo?Faceva battute a doppio senso sul mio talento, diceva che non avevo accettato le sostituzioni, che ero troppo benvisto dalla stampa... Rimasi in silenzio.Strano atteggiamento, il suo.Era il primo Milan senza gli olandesi, c'era voglia di vincere anche senza di loro. Missione compiuta, alla grande. Ma evidentemente Capello non si sentiva pienamente, come dire, appagato.Sette gol in 28 presenze: uno score non alla tua altezza, il tuo primo in rossonero. E via, con la storia del campione decorativo, bello da vedere ma raramente decisivo.Ognuno è libero di credere quello che vuole. Io ricordo almeno cinque reti decisive, molti assist e grandi partite. Certo, se Capello mi toglieva sul più bello, era difficile segnare di più.Resta il fatto che quello scudetto era anche mio, come il precedente con la Juve. Avevo vinto due scudetti in due anni, il resto erano chiacchiere.Del dualismo con Savicevic cosa mi dici?Ti dico che è una sciocchezza. Con Dejan avevo un rapporto straordinario. Raramente mi è capitato di incontrare persone pulite come lui. E' proprio un ragazzo d'oro. Oltre al fatto che aveva un grande talento. Non c'è mai stato nessun vero dualismo nella mia carriera, con nessuno, men che meno con lui.Ti ha dato fastìdio privarti del numero 10?Sì e no. Ho preso il 18, era giusto che il 10 lo tenesse lui, era al Milan da molto tempo prima di me. Mi adatto sempre ad un ambiente nuovo. In questo sono un buon camaleonte.Ti volevano bene, i tifosi?Sì, molto. Quell'anno mi hanno addirittura eletto "Cuore Milan". E' stato più facile conquistare loro, che i sostenitori bianconeri.E con Berlusconi?Un ottimo rapporto. Berlusconi era diverso da Agnelli, meno formale, più diretto. Siamo stati insieme a cena, qualche volta.L'ho conosciuto bene. Ha sempre amato i fantasisti, voleva bene anche a me. Mi ricopriva di complimenti. Sì, avevamo un buon rapporto. Però, già allora faceva politica attivamente, e credo che la squadra abbia risentito della lontananza del presidente.Forse ne ho risentito anch'io. Lo posso dire senza timori: tutti sanno e dicono che ho vari difetti, ma tra questi non c'è sicuramente quello di essere un ruffiano.La stagione 1996 97 è stata molto più dura.Non all'inizio. Quanto è accaduto con Tabarez mi ricorda Maifredi. Tabarez era una

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persona onesta, leale, mi stimava, stravedeva per me. All'inizio giocavamo anche bene. Poi, all'interno dello spogliatoio, qualcuno ha iniziato a fare fronda. ETabarez è saltato.Siamo al già visto...E cosa posso farci? Al massimo, a malincuore, posso solo testimoniare. L'allontanamento di Tabarez mi è dispiaciuto, non ha avuto il tempo per insegnarci molto. Eppure, con lui, là davanti ci saremmo divertiti, io e George.Hai detto di non avere mai creato delle amicizie molto profonde con i tuoi colleghi. Eppure sembravi legato a Weah.Lo spirito allegro, l'andare oltre le convenzioni e le apparenze.Ecco quello che ci accomunava. Non è una cosa normale, nel mondo del calcio. E George era senza dubbio un fuoricategoria.Dopo l'esonero di Tabarez, Sacchi. Direttamente dalla Nazionale.E io non gioco più. La società aveva ritenuto che, per una situazione d'emergenza, la cosa migliore fosse rifugiarsi nel passato. I risultati li hanno visti tutti: subito fuori dalla Champions League col Rosenborg, campionato da dimenticare. E' un errore storico, quello di riscaldare la minestra. Un errore provato. Eppure molte società, periodicamente, ci ricascano.Con Sacchi era sempre più gelo.Per lui sembrava quasi che io non esistessi neppure. Ma io avevo la coscienza a posto: durante la settimana mi allenavo, facevo il mio lavoro, nella eventualità (remota) di essere impiegato con maggiore frequenza.Nonostante i problemi con Sacchi, sei tornato in Nazionale. A quasi 31 anni, ti ha riconvocato Cesare Maldini.Quando Maldini mi ha chiamato al telefono, ho pensato ad uno scherzo. Non mi sembrava vero. E' stata una chiamata d'emergenza, c'erano molti infortunati. La partita si giocava a Napoli, sono entrato nella ripresa per Zola. Dopo cinque minuti, ho segnato. L'ovazione del "San Paolo" è stata una magia. Si ricominciò a parlare di me. A Milanello, Sacchi mi disse che mi aveva visto bene. Ma io ero quello della settimana prima. Nessuna mutazione organica, garantisco. E' stato il momento più difficile tra me e Sacchi, quello. Al tempo non avrei previsto quello che poi è successo con lo spot Wind.Quella sarebbe stata l'ultima stagione in rossonero.Non ci è voluta una grande fantasia per capirlo subito. Sapevo che sarebbe tornato Capello, e così lo chiamai al telefono per sondare il terreno.Non vi eravate lasciati bene.Ma con me non c'era stato lo scontro diretto. Altri miei compagni proprio non potevano vederlo, e i risultati, poi, si sono visti. Quando gli telefonai, fu molto vago. Poi disse che la società voleva rinnovare, che aveva bisogno di giocatori forti fisicamente, che il mio ingaggio era elevato e altre balle del genere.Avevo capito, era l'ora di togliere il disturbo. Ero vaccinato. Me ne dovevo andare, me ne sarei andato. Rispetto al passato, però, non è stato un addio traumatico. Capivo, anche se non condividevo, la logica della società.Che era la solita.Vero. Forse ero cambiato io. In meglio, spero. Forse ero diventato più saggio, e

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fatalista Alle porte, c'era il Bologna.Non lo sapevo ancora. Sapevo solo che volevo trovare una squadra che mi desse spazio, e che mi permettesse di riconquistare la Nazionale. E, ovviamente, di giocarmi la partecipazione al Mondiale.Una vera fissazione, per te, quella del Mondiale.Provaci tu, a vivere un'esperienza come quella di Pasadena.Quanti ne sarebbero usciti indenni, con le rotelle a posto? E invece io ero sano, integro. Di più: animato da una voglia di rivincita che definire "feroce" era un eufemismo.Che non ti ha più abbandonato.A dispetto della diplomazia. Oggi, la voglia di rivincita è più forte di sempre, non mi abbandona mai.Già, chi l'avrebbe detto...

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Baggio l'Emiliano

Chissà perché ha fatto quel salto, pensò il vecchio.Pareva quasi che volesse farmi vedere com'era grosso.Comunque ora lo so, pensò. Vorrei potergli mostrare che tipo d'uomo sono io. Ma allora mi vedrebbe la mano col crampo. Facciamogli credere che sono più uomo di quanto non lo sia e così lo diventerò. Vorrei essere il pesce, pensò, con tutto quello che ha da contrapporre alla mia volontà e alla mia intelligenza, che sono Tunica cosa che ho io.Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare

Bologna è stata un'oasi, l'isola fortunata, la tregua tra un mare in tempesta e un altro. Bologna mi ha abbracciato come solo Firenze aveva fatto. Se dovessi descriverla, direi che Bologna è un abbraccio caldo, forte, che ti rimane dentro. Si dice che a Bologna si può rinascere: a me è successo, a Signori pure. Non è un caso.La Bologna che ho nel cuore è quella che per me si abbonò allo stadio e che per una volta preferì il calcio al basket. Quella che non mi ha mai abbandonato. E' stato un anno indimenticabile.Sema Bologna, non solo non avrei fatto il Mondiale di Francia, ma probabilmente non sarei neppure qui. Forse avrei già smesso.Sì, Bologna è stata un'oasi, il resto è brusio.Tutto ciò che accadde tra me e Ulivieri, o meglio, tutto ciò che Ulivieri mi fece, è brusio. Nient'altro che brusio impercettibile, ora, i tentativi di accantonarmi per avere i riflettori, le malcelate invidie, le panchine ingiuste, le sostituzioni a volte avvilenti. Nulla poteva rubarmi quell'anno irripetibile, vissuto con un entusiasmo che non provavo da tempo, e che solo Mazzone ha saputo risvegliare. Quegli affetti veri.Ricordo i tifosi che applaudivano, la gente che mi salutava, la ritrovata maglia numero 10, i gol da funambolo, gli assist dei bei tempi, le imprese memorabili, e quel girone di ritorno nel quale non temevamo nessuno. Neppure la Juventus, neppure l'inter.Perché i più forti eravamo noi, perché il nostro feeling era totale.A Bologna ho compiuto trent'anni, non potevo scegliere un luogo migliore per festeggiare quel traguardo. Perché a Bologna, quasi tutti i giorni, cera motivo per fare festa. Fosse stato per il cuore, a quest'ora sarei ancora lì, a spegnere le candeline, a inventarmene altre. Un abbraccio da prolungare.Ma un calciatore non è solo cuore, io non sono solo cuore, è inevitabile che sia così. A fine stagione, ero felice come un ragazzo.Quella felicità me l'aveva data Bologna. Gli screzi dell'inverno già un ricordo lontano.Allora, giunto a quel punto, mi parve opportuno andarmene, per rincorrere obiettivi alti, e riprovare ad essere protagonista in un grande club. Seguii la ragione, non il cuore. P'orse sbagliai, forse no. Quel che è certo, è che l'abbraccio di Bologna non lo

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posso dimenticare, soprattutto ora che non ce l'ho più.Estate nuova, vita nuova. Questo calcio forsennato ti sarà costato caro, ma ha pure continuato a offrirti opportunità irripetibili.Sì, hai ragione. Non finirò mai di ringraziarlo. Ad esempio, proprio nell'estate del '97, mi ha dato la possibilità di scoprire Bologna.Eppure, sembrava fatta col Parma.Mi voleva la famiglia Tanzi, Parma mi sarebbe andata benissimo. Io volevo giocare, il Parma era una società ambiziosa che mi prometteva spazio e motivazioni. Giocava la Champions League, ci sarei andato anche a piedi. Era vicino a casa mia, una città d'arte, come piacciono a me, e a misura d'uomo: insomma, ero soddisfatto di quella destinazione.Ma poi non se ne è fatto nulla. Ancelotti e Chiesa non ti hanno voluto.Non ho mai saputo come siano andate veramente le cose.Avevo parlato al telefono con Tanzi, era in Canada, Vittorio Petrone aveva già intavolato la trattativa, sembrava andasse tutto bene, poi c'è stata la brusca frenata. La verità non l'ho mai saputa fino in fondo, e io non sono certo andato a chiedere in giro. E' probabile che Ancelotti non volesse una seconda punta, in fondo aveva spinto ad andarsene Zola, che era riparato in Inghilterra al Chelsea. Su Chiesa non so che dire, lui ha sempre negato. Certo, non sarebbe bello, se un collega minacciasse di andarsene per paura che arrivi uno più forte di lui. Resta il fatto che a fine stagione sono andato ai Mondiali.Si era fatta avanti anche la Fiorentina.Quella della Fiorentina era una storia che tornava di moda tutte le volte che cercavo una nuova squadra. Anche nei cinque anni di Juve, spesso, sentivo dire che sarei tornato a Firenze. Lo leggevo nei giornali. Di vero c'era poco: con Vittorio Cecchi Cori ho avuto pochi contatti, tutti informali, e ho sempre avuto ben chiara l'idea che non mi sarebbe piaciuto tornare a Firenze. Non certo per la città, ma perché non amo le minestre riscaldate.Sanno di vecchio. Spesso sanno di bruciato..Alla fine, il'Bologna. Hai sciolto la prognosi dopo tre giorni di ritiro a Milanello colMilan.Avevo preso in considerazione l'idea di andare a Bologna già da febbraio. Era la festa per il mio trentesimo compleanno. Come sempre, ho festeggiato da Peter e Chele, a Casoni Borroni. Un mio amico di Casalecchio di Reno, Giampiero Malena, mi ha detto: "Robi, se hai problemi al Milan, perché non vieni a Bologna?Sono sicuro che a Bologna rinasci. Io sono calabrese, ma Bologna non la cambierei con nessun'altra città al mondo. Per qualità della vita è la numero uno". Alla fine, mi sono fatto convincere. Trovare l'accordo con il presidente Gazzoni non è stato difficile. Ho deciso alla svelta, poi ho lasciato a Vittorio i particolari aspetti del contratto.Rifaresti quella scelta?Eccome se la rifarei. Soltanto il primo periodo che ho passato a Firenze è paragonabile al piacere che ho provato vivendo e giocando a Bologna. La città mi amava, io amavo lei. Quello che mi avevano detto era vero: a Bologna rinasci.Centravano i soldi?

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Ero pagato bene, ma se fossi andato in Giappone o in Inghilterra mi avrebbero dato il triplo. Credimi sulla parola.Nuova squadra, nuovo look. Addio codino, capelli cortissimi.Se n'è parlato anche troppo. Dopo sette anni coi capelli lunghi, volevo cambiare. Nessuna voglia di rinascita.Quella è stata una stagione straordinaria, a conferma di chi sostiene che, per rendere al meglio, Roberto Raggio abbia bisogno di città tranquille, che lo coccolino e vizino. E di squadre buone, ma non grandissime, giusto per evitare la troppa pressione, i confronti impegnativi.Ti rispondo così: hai seguito il mio scorso campionato con il Brescia?Splendido, ma così dai ragione ai tuoi critici. Infatti, è azzardato definire il Brescia una squadra di grandissima caratura...Lasciamo perdere. Diciamo piuttosto che, se amo una città e mi ambiento, rendo meglio. E' accaduto soprattutto a Firenze, Bologna e Brescia. Ma da questo a dire che non sopporto la pressione, dopo aver giocato tre Mondiali e aver retto quello che ho retto, ce ne corre. Sfido chiunque a misurarsi al mio posto.Torniamo in tema: 22 gol in 26 partite, il tuo record. Eppure la stagione non era partita bene.Attorno a me c'era grande entusiasmo fin dall'inizio. C'era stato il record di abbonamenti, una città naturalmente interessata al basket si stava riappassionando al calcio. Forse attorno a me c'era troppo affetto, qualcuno si ingelosì.Ogni riferimento ad Ulivieri è puramente accidentale...Ulivieri non mi voleva, lo aveva detto chiaro e tondo prima che arrivassi. Era andato da Gazzoni per spiegargli che, se il Bologna mi avesse comprato, avrebbe rischiato la serie B. A volermi è stato Gazzoni, non lui. Appena ha saputo del mio acquisto, ha fatto una sceneggiata dimettendosi per finta, giusto per attirare l'attenzione e mettere le mani avanti.In un secondo tempo, Ulivieri ha chiarito quelle affermazioni: era contento di averti ma, se lo avesse saputo prima, avrebbe impostato una diversa campagna acquisti.Mi convince poco. Non ha mai dimostrato d'essere contento di avermi. Non nutro rancore nei suoi confronti, ma secondo me lui sapeva di giocarsi la possibilità di allenare una buona squadra, e non voleva che un giocatore famoso gli rubasse il palcoscenico.Sei uno che non ama gli scontri, dici, ma, soprattutto a inizio stagione, le frizioni non sono mancate. La tua parte la devi aver e giocata anche tu...Intendiamoci, non sono il tipo che porge sempre l'altra guancia, ma gli scontri li ha voluti Ulivieri. La sua era la tecnica che poi adotterà, portandola alle estreme conseguenze, anche Lippi: provocarmi, indurimi alla reazione per poi dire: visto, Baggio è un viziato, uno che spacca lo spogliatoio. Dato che sono uno a cui non si può dire che va in discoteca o ha vizi particolari, l'unico modo per screditarmi agli occhi della gente e dei compagni era quello di mandarmi fuori di testa. Già, i compagni. Ho sempre tenuto troppo, allo spogliatoio.Ci è riuscito?No, ma c'è andato vicino, e devo ringraziare la mia serenità interiore. Passata la buriana estiva, una volta che ci siamo incontrati nel ritiro di Sestola, si è mostrato

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molto disponibile con me.Mi ha dato la fascia di capitano, mi ha responsabilizzato. Sembrava sincero, ma gli doleva il fatto che lui fosse lì da tempo, io da pochi giorni, e già i bolognesi parlavano più di me che di lui.Insamma, il motivo per cui Ulivieri ce l'ha avuta con te, era la gelosia.Non ne vedo altri. Io pensavo al Mondiale, ero troppo impegnato a fare bene nel Bologna per pensare al suo umore. Però, la cosa è peggiorata sempre di più. Una volta che ero squalificato, Ulivieri ha dato la fascia di capitano a Marocchi. Quando sono rientrato, mi ha garantito: "Un'altra settimana e torni capitano".Via così, per tutta la stagione. Non sono più stato capitano. Di episodi ce ne sono stati tanti, li ho voluti dimenticare. Quello che non ho dimenticato, è stato il trattamento che mi ha riservato prima delle partite che, tra dicembre e gennaio, il Bologna avrebbe giocato contro Milan e Juventus, le mie ex squadre.Racconta.Giocavamo con il Milan. Era prima di Natale. Per tutta la settimana, parlo di quella che per me era la prima partita da ex, contro i rossoneri. Insomma, le solite cose: sarò emozionato, ce la metterò tutta, onorerò la maglia rossoblù senza dimenticare i due anni al Milan. Così per una settimana. Il sabato pomeriggio facciamo la rifinitura, e scopro che sarei andato in panchina...Capisci? Lui mi aveva fatto parlare tutta la settimana, ben sapendo che non sarei partito titolare (perché queste cose qui le decidi il martedì o il mercoledì, mica due minuti prima della partita), e soltanto alla fine mi aveva fatto capire che non avrei giocato. Mi aveva umiliato, glielo dissi. Con aria decisa, ma con educazione.E con la Juventus?Ah, lì Ulivieri si è superato. A inizio anno giochiamo contro il Brescia, vinciamo 2 1 e faccio due gol. Poi con l'Empoli: un assedio, una partita strana, ma termina 0 0. La domenica dopo, arriva la Juve. Come per il Milan, accade la stessa cosa: parlo con i giornalisti, mi chiedono del mio passato, era logico che fossi un protagonista, un po' l'attrazione della giornata. Ero carico, tenevo particolarmente alla partita. Ma, ancora una volta, durante l'allenamento del sabato, scopro che non avrei giocato.Allora non ci ho visto più. Ho pensato: ah, ma allora questo mi prende per il sedere apposta! E me ne sono andato, incazzato nero. Era stato anche peggio di tre settimane prima: sapeva quanto tenessi alla partita, mi aveva umiliato apposta. Dopo avermi fatto esporre per una settimana intera, mi aveva colpito a freddo. Di nuovo. Sono arrivato a casa, ho detto ad Andreina che il giorno dopo non sarei andato neanche in panchina, e poi ho telefonato al presidente. Gli ho spiegato chiaramente che ero venuto a Bologna per giocare, non per stare in panchina. In panchina doveva starci Ulivieri, non io.E' vero che poi sei tornato in albergo per un confronto àuro con Ulivieri?Sì, ero troppo arrabbiato. La squadra era a Casteldebole, all'"Amadeus". Stavano cenando. Appena mi vide, Ulivieri cincischio: "Ti metto in campo quando gli altri sono stanchi, devi capire". E io: "No, io non devo capire proprio niente, sei tu che mi stai prendendo in giro dall'inizio dell'anno!". Lui abbozzò una risposta, mi chiese perché la facevo così difficile.A quel punto andai di fuori. Gli urlai di tutto. Sì, ero davvero andato di fuori.

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In qualche modo, ti aveva fatto esplodere.Sì, ma meno di quanto credeva. Andò peggio tra Ulivieri e Petrone. Ulivieri ebbe il coraggio di dare la colpa dell'accaduto a Vittorio, che proprio non c'entrava niente. Avevo fatto tutto da solo. Si scontrarono nell'ufficio di Renato Cipollini, a Casteldebole. Fuori i tifosi urlavano la loro rabbia. Per la prima volta dopo tre anni, Ulivieri si sentiva contestato. Cipollini li divise a fatica, Ulivieri aveva quasi preso Petrone per il collo, e lui stava per partire con un diretto. Ulivieri non aveva mai sopportato Vittorio, e come lui tutti quelli che potevano entrare nello spogliatoio senza il suo permesso. Credo che non sopportasse nemmeno i passaggi del presidente Gazzoni. Fu Cipollini a dividerli. Meno male che c'era lui. Renato è proprio una brava persona.Da eh e par te stava la squadra?Lo scontro era rimasto in qualche modo privato, comunque gran parte del gruppo stava con me. Non tutti, però. Ulivieri aveva i suoi fedelissimi. Se restava lui, restavano anche loro, avevano il rinnovo del contratto assicurato. Quando circolò la voce di un suo possibile esonero, il nemico numero uno divenni io, per alcuni giocatori: se partiva lui, addio rinnovo.A quel punto, a gennaio, Moratti si rifa sotto.Sia a lui che a Simoni, ringraziandoli, ho risposto nell'unico modo possibile: no. Trentamila persone si erano abbonate al Bologna perché sapevano che c'ero io, non mi andava proprio di tradire quella gente.Come hai fatto a riconquistare il posto?Ho avuto fortuna. Se il Bologna avesse vinto quella partita lì con la Juve, io non avrei più messo piede in prima squadra. Addio stagione, addio Mondiale. Ulivieri non aspettava altro che dire: "Visto, il Bologna vince anche, e soprattutto, senza Baggio".Gli è andata male, perché il Bologna ha perso: 3 1, senza storia.Io, ovviamente, quella partita non la vidi nemmeno.Da allora, non sei più uscito.Non è esatto. Ho sempre giocato titolare, ma anche nel girone di ritorno, quello in cui secondo molti si sarebbe rinsavito, quello in cui abbiamo fatto 32 punti, di dispetti me ne ha fatti.Ad esempio?Giocavamo col tridente, io dietro e là davanti Kolyvanov ed Andersson. Giocavo il primo tempo, segnavo o facevo segnare, e lui, puntualmente, mi sostituiva. Non appena la partita si metteva in discesa, lui mi toglieva. Lo faceva contro il bene della squadra, e contro le mie caratteristiche organiche.In che senso?Nel senso che io sono bradicardieA9. Ci metto un po' a carburare: più gioco, più entro in partita. Aveva paura che segnassi troppo: se segnavo troppo i giornali parlavano di me, non di lui.Mi ha fatto cose che la gente non ha idea. In casa col Bari, vincevamo 3-2, avevo segnato due volte, mancavano venti minuti. Insomma, segno il 3-2 e lui, puntuale, mi sostituisce, mettendo a repentaglio la partita. Fortuna che poi Kolyvanov segnò il 4-2 allo scadere! Con la Juve a Torino fu il massimo. Era una giornata importantissima: se noi vinciamo, l'Inter conquista lo scudetto.

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Andiamo in vantaggio, poi la Juve pareggia e si riporta in vantaggio. Io segno il 2-2. A quel punto, garantisco, la Juve era stanca.Se fossi restato in campo, sono sicuro che quella partita l'avremmo vinta. Puoi scommetterci. E Ulivieri che fa? Due minuti dopo il 2-2, mi toglie. Roba da matti.Che giudizio definitivo dai, di Ulivieri?L'Ulivieri che ho conosciuto io soffriva di protagonismo. Ci sono allenatori che rifiutano il dialogo, gelosi, che devono far sempre vedere di avere scoperto l'acqua calda. Io ne ho avuti tre. Comunque, nonostante tutto, lui non è stato il peggiore. E che ne so, forse ora, dopo questi anni, si è fatto un'altra idea del sottoscritto.In tutto questo, il pubblico come reagiva?Non ha mai smesso di incoraggiarmi. Del resto l'affetto della gente non mi è mai mancato, quella è una cosa che non mi può togliere nessuno. Ancora oggi, ricevo migliaia di lettere da tutto il mondo. Una cosa che, invece di diminuire, cresce a ritmo impressionante. Sarà anche un caso, ma ho la tentazione di pensare che, dopotutto, qualcosa di buono l'ho fatto anch'io.Quella stagione ti permise di approdare al Mondiale. Bologna ti amava, tu l'amavi. Il feeling era completo. Ulivieri se ne sarebbe andato, d'estate sarebbe arrivato Signori. Avresti giocato la Coppa Uefa con Mazzone in panchina, allenatore che ti ha sempre voluto bene. Sembrava naturale che tu rimanessi. Invece, scegliesti l'Inter. Visto come sono andate le cose, lo rifaresti?No. O meglio, non lo so. E comunque, giunti a questo punto, non ha senso porsi una domanda come questa.

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Terza beffa grande

Il signore Shakyamuni che dichiarò: "Io solo posso salvarli" in un'epoca ancora più remota di gohyaku jintengo, non è altro che ognuno di noi esseri umani...Un comune mortale è un Buddha, un Buddha è un comune mortale.Nichiren Daishonin, Scritti

Per me, quel Mondiale fu vinto in partenza. Io l'avevo già vinto. Osservavo il gruppo di Maldini, e non provavo nessuna gelosia. Io ero uno di loro, parte integrante della selezione azzurra.Era il mio terzo Mondiale. Non sapevo ancora che avrebbe avuto lo stesso epilogo, un epilogo di sofferenze e traiettorie beffarde.Non sapevo nulla. Se non che ero felice e abbastanza fiero di me.Per questo, quando leggevo che Baggio era arrabbiato con l'allenatore, che era geloso di Del Piero, che non si era integrato con il gruppo, mi veniva da sorridere. Non ho mai vissuto una competizione importante con quella tranquillità, mai. Eccolo, il distacco positivo, la "mia" atarassia.Si parlava di un mio spazio limitato. Non so, era anche vero.Certo, mi faceva piacere l'affetto della gente. Ammetto che ci rimasi male quando, negli ottavi di finale, contro la Norvegia, Maldini mi fece scaldare un tempo intero, ma poi non entrai. Mi spiacque soprattutto perché il tutto aveva un che di ridicolo: io che corro, mi scaldo, mi preparo, e poi non entro. Mi era capitato già con Ulivieri, giusto qualche mese prima. Come dire, non avevo proprio bisogno di repliche. Non fui l'unico a trovare bizzarra quella situazione. Da dietro la panchina, un gruppo di tifosi contestò Maldini, nel bel mezzo di una partita giocata benino e nulla più, e lui si girò per rispondere alle accuse. Un battibecco in diretta tra et e tifosi. Avevo visto anche quella, nella mia vita...Eppure, neppure quella volta ero arrabbiato. Non ce n'era motivo.Avete presente quando, nella vita, sentite come scattare una molla, che non sapete bene cosa sia e che alcuni chiamano maturità?Ecco, a me accadde quella volta. Non ero soltanto un giocatore. Mi sentivo un fratello maggiore della squadra, guida silenziosa, punto di riferimento discreto. Quello, in altre parole, che cera già passato, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno. Quello che, dopo Pasadena, era vaccinato per qualsiasi pressione, problema, sconfitta eventuale.E anche quella storia con Del Piero, il dualismo, la supposta rivalità tra me e lui... Quante sciocchezze mi è toccato sentire.Lui era me quattro anni dopo, io ero lui quattro anni prima. Credete sia possibile, rivaleggiare sul serio con un atleta nel quale si rivedono le proprie, passate sofferenze? No, non è possibile, se hai un minimo di sensibilità. E io ne avevo anche troppa.Consigliavo Alex, gli facevo scudo. Aveva troppe pressioni addosso, non trovava se

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stesso, l'ambiente non lo aiutava a sufficienza. Le sue difficoltà erano le mie. Ecco qual era il rapporto tra me e lui: di tacita condivisione. Altro che rivalità.Certo, poi non ci volle molto a capire che neppure la mia tranquillità, la mia esperienza, sarebbero stati anticorpi validi contro la sofferenza. Come otto anni prima, come quattro anni prima, venivamo eliminati senza aver mai perso. Successo invidiabile, non trovate? Se non fosse che mi ci infuno ancora adesso, ci sarebbe quasi da ridere.Quando vidi l'errore di Gigi dal dischetto, quella palla maledetta che andò a sbattere sulla traversa e non ne volle sapere di entrare; quando vidi l'esultanza diBarthez; quando mi venne nuovamente da piangere: allora capii che era finita un'altra volta. Ed era finita male. E tutto aveva, di nuovo, il sapore della beffa atroce.E chi non mi conosce potrebbe dirmi: ma cosa ti importa, tu hai fatto un gran Mondiale, hai segnato col Cile, con l'Austria, non hai fallito il nuovo appuntamento dal dischetto, la colpa è di chi ti ha usato poco, con te l'Italia sarebbe andata in finale, e a quel punto non ci sarebbe voluto molto a battere i resti del Brasile. Ma, appunto, queste cose le può dire solo chi non mi conosce.Quando dicestì che eri andato a Bologna per poter fare ancora i Mondiali, ti avevano dato del decaduto, una vecchia stella che non si rassegna ad abbandonare le luci della ribalta. Uno che non si era ancora accorto di avere imboccato il sunset boulevard.Sai che novità, mi hanno dato per morto tante di quelle volte. .. Il giorno che sarò finito, il primo ad accorgermene sarò io.E allora smetterò, di corsa.Prima del Mondiale, c'era stato il passaggio all'Inter. Una scelta che si rivelerà, poi, abbastanza infelice. Avevi preferito i soldi all'affetto dei bolognesi, dissero in diversi.No, scusa, ma questa è proprio un'interpretazione che non accetto.Andai all'Inter per una scelta professionale. Se avessi dovuto seguire il cuore, e forse avrei dovuto, sarei rimasto a Bologna.Scelsi Flnter perché avevo più di 31 anni, non mi restava molto da giocare, e l'Inter mi parve Pultima grande possibilità della mia carriera. Non volevo avere rimpianti. Moratti mi voleva da tre anni, fosse stato per lui mi avrebbe preso dopo la Juventus. Andando all'Inter avrei giocato la Champions League, lottato per lo scudetto.Per questo, soprattutto per questo, ho scelto l'Inter.Una volta deciso il tuo approdo futuro, ti restava da giocare il Mondiale. Che rapporti avevi con Cesare Maldini?Lo conoscevo poco, mi aveva convocato quella volta a Napoli e poco più.Fu quasi costretto a convocarti. Ti voleva il pubblico, ti voleva, per una volta quasi unanime, la critica. Un plebiscito.Non so se Maldini abbia vissuto la cosa come fai intendere, come una costrizione. Spero di no. Molto più semplicemente, credo di avere dimostrato, con la stagione a Bologna, che meritavo quella possibilità.Sarà il Mondiale della rivalità tra te e Del Piero?Guarda, molti, troppi, sono sempre alla caccia di questi dualismi. Prima Giannini, poi Savicevic, ora Del Piero. Ma quale rivalità? Io e Alex stavamo bene insieme. Tra me e lui non c'è mai stato l'antagonismo che in genere si pensa. Anzi, ho fatto di tutto per aiutarlo. Dico la verità: mi sembrava di rivedere me stesso, quattro anni prima. Per

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me Del Piero era una sorta di fratello minore, più ancora di quando giocavamo insieme nella Juve. Nelle dichiarazioni cercavo di alleggerire parte delle pressioni che aveva addosso, consigliavo di stargli vicino. No, nessun dualismo.Come seiirenico. Non mi convinci fino infondo.Mi spiace, ma è la verità.Maldini non ha mai nascosto che il titolare era lui, tu la riserva.Mi andava bene, era una scelta che rispettavo. Vedi, quello che spesso non si capisce è che io, andando in Francia, avevo già vinto. Contro l'opinione e lo scetticismo dei più, ce l'avevo fatta. Ero rilassato, potevo permettermi di fare da sparring partner.Io, quel Mondiale lì, l'ho vissuto molto bene su questo piano.L'infortunio patito da Del Piero ad Amsterdam, nella finale di Champions League persa contro il Real Madrid, ti ha permesso di partire titolare.Sì, ho giocato titolare la prima partita, contro il Cile. Ho fatto l'assist a Vieri per il primo gol, poi mi sono procurato il rigore del 2 2, a sei minuti dalla fine. L'ho tirato io, quel rigore, e ho segnato. Pasadena era lontana, finalmente. Era anche l'ora.Sei tornato protagonista, tutti ti hanno applaudito. E hai creato problemi a Maldini...Bah, i problemi a Maldini, a partire dalla partita con il Cile, ho contribuito oggettivamente a risolverli. Non li ho creati di certo. Detto questo, ho sempre detto che, in un Mondiale, si perde e si vince in 22. L'attenzione nei miei confronti era eccessiva, come al solito. Ma questo era ed è il calcio di oggi. Il circo dei media, lo star System, tutte queste stronzate che vorrebbero i calciatori come tanti pupazzi colorati, scimmie ammaestrate e poco più. Oltretutto, diciamo una verità, anche se scomoda. I personaggi sono sempre meno, non bastano più. Mancano gli attori, i grandi guitti adatti a calcare il palcoscenico mondiale. E allora, flash e riflettori abbaglianti puntati su quei pochi che ancora sanno far parlare di sé, che stimolano la fantasia, che hanno doti tecniche e sono - ascolta bene - originali.Però, mica male come sfoggio di immodestia...Può darsi che queste parole siano poco prudenti, forse sfrontate, ma voglio dirti una cosa: che tristezza. Che tristezza questo modo di ragionare, questo business che ingoia tutto, e che alla lunga non incentiva il talento, ma lo soffoca, e lo sopprime.Hai detto che quel rigore contro il Cile l'avevi cercato, mirando la mano del difensore.Sì, a mente fredda, credo di poterlo confermare.Bell'inizio di Mondiale, ma contro il Camerun non hai giocato benissimo.Mi hanno annullato un gol buono, ma soprattutto mi hanno picchiato dall'inizio alla fine. Ricordo un'entrata da dietro, all'inizio, terribile. Poi nella ripresa è entrato Del Piero.Nonostante la vittoria per 3-0, non ero soddisfatto della mia prova personale.Dopo Mazzola-Rivera, Del Piero-faggio. Un'altra staffetta celebre.In molti volevano vedere in campo sia me che lui, insieme, per costruire con Vieri un tridente esplosivo. Almeno sulla carta.Abbiamo provato questo modulo in allenamento prima della partita col Camerun, ma Maldini non lo ha mai adottato in partita. Comunque Del Piero era il titolare, era giusto che giocasse lui. Te lo ripeto: era quello che pensavo veramente. Ero tranquillo.

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Gli italiani un po' meno. Ti volevano sempre in campo. Anche con l'Austria, pur giocando pochissimi minuti, eri stato protagonista.Ho fatto anche un gol, dopo una bella manovra con Moriero e Pippo Inzaghi. Era il mio nono centro in tre Mondiali, come Paolino Rossi.Un altro partito da Vicenza. Si vede che queste colline danno buoni frutti.Sei stato l'unico italiano ad avere segnato in tre Mondiali.Spero di arrivare a quattro, ma già così fa un bell'effetto.Ne gli ottavi, contro la Norvegia, ti sei scaldato un tempo intero, ma alla fine non sei entrato.Io mi scaldavo, mi scaldavo, ma alla fine non sono entrato mai. Ad un certo punto la panchina ha chiamato un cambio.Credevo toccasse a me, invece è entrato un altro. Ci siamo stupiti un po' tutti.Alle spalle della panchina gli italiani protestavano, ti volevano in campo, e Maldini è arrivato al punto di prendersela con loro, battibeccando palesemente con alcuni tifosi. Una scena di raro umorismo, anche ridicola, se vuoi.Del Piero non era riuscito a dimostrare quanto valeva. Aveva dato segni di ripresa contro il Camerun, poi si era nuovamente smarrito. Naturale che il pubblico pensasse a me. In effetti lo scontro tra Maldini e i tifosi un po' ha fatto ridere anche me.Ne parli senza rabbia. Eppure, avresti meritato ben altro spazio, come otto anni prima, in Italia.Te lo ripeto: quel Mondiale, per conto mio, l'avevo già vinto. Certo, scaldarmi per un tempo intero senza entrare non mi esaltava di certo, ma non ho mai provato rancore nei confronti di Maldini. Otto anni prima, il titolare era Vialli, nel '98 Del Piero. Il mio compito era quello di essere pronto in caso di necessità, e io lo ero. Pronto, prontissimo. Anche troppo, se ragiono col senno del poi.Che ricordo hai della partita con la Francia?Il ricordo di una cosa che fa male.Anche perché, pure quella, non era una trama per te nuova.Ancora: dov'è la mia colpa? Questa cosa faccio fatica a spiegarmela, anche con la legge di causa ed effetto.Entri dopo J0 minuti, troppi. Del Piero aveva costretto la squadra in dieci.Lui non ha giocato bene, ma ha subito troppe critiche. Non ha costretto la squadra a giocare in dieci. Quando sono entrato, mi sono messo bene. E ho sfiorato il gol.Un golden gol.Un quasi golden gol, purtroppo. Sarebbe stato bello, ma la mia Italia, ai Mondiali, non ha mai avuto fortuna. Ero spostato alla destra della porta di Barthez, il mio unico errore è stato quello di colpire troppo bene la palla, che è uscita di pochissimo: se la colpisco sporca, son sicuro che va a morire nel sette. E viene giù lo stadio. Sarei stato un eroe.Poi, ancora la sconfitta ai rigori. La terza in otto anni.E' questo che mi fa più male. In tre Mondiali, l'Italia ha perso una sola partita, e non ha mai conquistato la "Rimet".Incredibile. Un pizzico di fortuna, e avremmo potuto vincere tre volte di fila.Segni il primo rigore dal dischetto. Gol. Pasadena era davvero scomparsa.Una gioia di breve durata. Certo, ero teso, quando ho segnato ho cancellato un

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incubo, è stata una liberazione, ma non è bastato per evitare la sconfitta. Quello che è toccato a me a Pasadena, è capitato ad Albertini e Di Biagio. Alla fine provavo una rabbia che, ancora, non riesco a descrivere bene. Ho fatto fatica a smaltirla. So io le notti bianche che ho passato, a fissare il soffitto. Io, il voltagabbana, il mercenario... quante stupidaggini!Che bilancio fai di quel Mondiale?Era un Mondiale a cui non avrei neanche dovuto partecipare, quindi è un bilancio che nasce in partenza positivo. Credo di avere giocato bene tutte le volte che me ne hanno dato la possibilità, ma non mi sono mai accontentato della mia prestazione personale. Avrei preferito giocare male, e battere la Francia.Magari, proprio con quel quasi golden gol, uscito per colpa di una traiettoria troppo giusta. Avrei fatto anche il raccattapalle in quella squadra, pur d'arrivare alla finale di Parigi. Chiedilo a chi era con me, in quella sfortunata estate transalpina.

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Azzurro come il cielo, nero come la notte

Osa credere Osa credere che c'è un canto, nel tuo cuore.Osa credere nei tuoi desideri!Finché hai il coraggio di credere niente potrà impedirti di giocare il ruolo che vuoi!Troppe persone si tirano indietro un momento prima di realizzare i propri sogni...Josei Toda

Non ho fatto il militare. Non dovrei avere quindi una grande esperienza, in fatto di sergenti di ferro. Eppure sento che, in materia, ho una preparazione tale che potrei competere con un marine. lo, un sergente di ferro l'ho conosciuto bene. Si chiamava Marcello Lippi. IILippiche ho avuto all'Inter, arrivato dopo un'annata in cui se non era per me ed altri due o tre, l'Inter finiva dritta in serie E, non era lo stesso che avevo avuto a Torino quattro anni prima. Il Lippi che ho avuto all'Inter mi ha fatto la guerra, senza smettere un minuto, senza addurre motivazioni plausibili, senza che tutto questo avesse un senso, una logica condivisibile.Non bastavano i malanni al ginocchio, il problema di una squadra che non era neppure l'ombra di quella che sognava il presidente. No, ci voleva pure lui, e la ma guerra santa contro il sottoscritto. Per eh è? Lippi era "il grande antipatico", io "il grande simpatico". Non che questa fosse la verità, ma lui la viveva così. Io avevo dalla mia il pubblico, lui no. A conferma del fatto che la vittoria non è tutto nella vita, lui aveva mietuto successi con la Juventus, eppure faticava a farsi amare. E invece, io, anche se non giocavo (e con lui non giocavo mai), ero sulla bocca di tutti. E non avevo vinto come lui.Lippi, tutto questo, non lo poteva accettare. Da qui, la guerra.Giorno dopo giorno, a partire dal primo incontro, quando mi chiese di far e i nomi di chi la stagione passata... e io i nomi non li feci, non li ho mai fatti in vita mia. Nel ritiro estivo, avevo a malapena il diritto di respirare. Dovevo mangiare solo quello che voleva lui, se facevo un dribbling di troppo s'infuriava, se un compagno mi applaudiva lo faceva nero.Una cosa mai vista. A 33 anni, mi vidi ridotto a riserva delle riserve. Se non avessi imparato l'autocontrollo, avrei vanificato i miei anni di fede, di pratica, non avrei capito nulla del mio passato, delle mie discese e delle mie risalite. Ogni sua provocazione aveva l'unico risultato di fortificarmi maggiormente. Più lui si inalberava, più lui colpiva basso, più io stringevo i denti, e volavo alto.Voleva distruggermi, non c'è riuscito.Non ho grossi rancori con nessuno. Rispetto Sacchi, Olivieri, e anche tutti quelli che, almeno una volta, mi hanno messo i bastoni tra le ruote, coscienti o no. Ma Lippi, lo ammetto, fa storia a sé nella mia vita.Il tuo primo anno all'Inter (1998 99), coincide con una stagione a dir poco tormentata.Le premesse erano ben altre. C'era grande attesa, tutti volevano vedere me e Ronaldo insieme. Le prime uscite estive lasciavano intuire un ottimo campionato. Purtroppo le

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cose sono andate diversamente.Vieri ha definito l'ambiente interista un inferno, Trapattoni una centrifuga strizzatutto. Scusa se insisto, ma chi te l'ha fatto fare?Lo ripeto, è tutta qui la ragione: giocare nell'Inter significava ritrovare una grande squadra a 31 anni, disputare la Champions League. Se uno le cose le sapesse prima, non sbaglierebbe mai.Ma non sarebbe neppure umano, non credi?Non dev'essere stato divertente quel 1 dicembre del '98, quando rinter comunica a Simoni, fresco vincitore della Panchina d'oro, l'esonero.La liquidazione di Simoni era nell'aria da tempo, è stata sbagliata nei tempi e nei modi. Arrivò dopo una brutta partita a Salerno, che comunque avevamo vinto. Non c'era il gioco, i risultati sì. Dopo un avvio disastroso in Champions League, contro il Real Madrid, eravamo riusciti ad avere la nostra rivincita. Firmai due grandi reti, quella fu una delle mie prove migliori in maglia nerazzurra. Simoni era in gamba, il gruppo era con lui, mi è dispiaciuto quando è stato esonerato.Al suo posto, Lucescu.A quel punto la squadra non c'era più, poteva venire chiunque. Ho capito subito che l'esonero di Simoni avrebbe avuto conseguenze devastanti. Lucescu non poteva fare niente, non ha colpe, come lui Castellini e Hodgson. Il gruppo era allo sbando, alcuni non c'erano con la testa, altri non si impegnavano quanto avrebbero potuto. Fin da ottobre si sentiva parlare dell'arrivo di Lippi, la mente della maggioranza dei giocatori era altrove.E' stata anche la stagione delle dimissioni date, e poi ritirate, di Moratti.Credo che il presidente non avesse grandi colpe, stavano succedendo cose imprevedibili. Non eravamo neppure fortunati, basta pensare ai guai fisici che martoriavano Ronaldo. Magari anche quello delle dimissioni poteva essere un gesto per spronarci.In questa situazione, cosa ha fatto Eaggio, l'uomo che era passato dal Bologna all'Inter per giocare la Champions League e si ritrovava a lottare per la retrocessione?Sono stato uno dei pochi che si è tirato su le maniche, impegnandosi perché la squadra non colasse a picco. Guarda, ho sempre avuto una convinzione a proposito di quella stagione: se noi non avessimo vinto 5-4 all'Olimpico, contro la Roma, saremmo andati di sotto.Addirittura?Ne sono certo. Non c'era più una squadra, men che meno uno spogliatoio. La B era più vicina di quanto la gente pensasse.Vanno dopo, arriva Lippi, come previsto. Quando lo incontri?A marzo. In pieno centro, via Bigli. Era l'ufficio di un importante notaio milanese. Moratti abita poco distante da lì. Ci sono andato con Vittorio, poi lui mi ha lasciato solo, non appena abbiamo iniziato a parlare.Che sensazione hai avuto?Lippi era molto carico. Era chiaro che aveva voglia di fare, di ricominciare. Doveva prendersi delle rivincite immediate, il fallimento juventino gli bruciava. Erano passate, più o meno, quattro settimane dalla famose dimissioni accolte al volo. Lippi non è capace di accettarsi, nel momento in cui si scopre perdente.

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L'incontro durò mezz'ora. Non era iniziato male. Lippi mi spiegò che voleva giocare in un certo modo, che mi vedeva esterno a sinistra con Ronaldo davanti, che Moratti gli avrebbe preso Candela e Di Biagio, Seedorf e forse Andersson. Kennet aveva giocato con me a Bologna, lo conoscevo bene, di lui si parlò a lungo.Ti sembrava sincero?Non ci eravamo lasciati benissimo quattro anni prima. Mi aveva detto in privato di non sapere nulla della mia cessione ai tempi della Juve, ritengo, ora, sapendo di mentire. Tuttavia, allora mi sembrò sincero. Ripetè più volte che Moratti stravedeva per me, che ci saremmo divertiti. Lo stesso Petrone mi aveva detto in precedenza che, parlando con Moratti e Mazzola, Lippi aveva detto: "Se si discute un calciatore come Baggio, vuoi proprio dire che c'è qualcosa che non funziona".Qualcosa che non funzionava tra te e lui, in effetti, e era.Più di qualcosa. Che la mia sarebbe stata una stagione difficile anche se al tempo non credevo che sarebbe stata così difficile - lo capii verso la fine dell'incontro. Dopo tutti quei discorsi, all'improvviso, mi chiese se lo aiutavo a scoprire i giocatori che avevano remato contro Timer quell'anno, e chi osteggiava, più o meno palesemente, il suo lavoro. In pratica, mi chiese di fare la "spia". Questo non l'ho mai fatto in tutta la carriera, glielo dissi con chiarezza: "Mister, io l'aiuterò in tutti i modi, ma non mi chieda di fare nomi". Lippi la prese male, cominciò a dirmi "ma che hai capito, io mica ti chiedevo di fare la spia, mi hai frainteso". Poi cambiò discorso, ma l'incontro era già finito. Non gli chiesi un trattamento particolare per il futuro, ma solo di avere le stesse possibilità degli altri, almeno in partenza. Me la volevo giocare, quella maglia da titolare.E lui?Fece sì con la testa.E basta?No. Mi fece delle promesse, ribadendomi che per lui tutti erano uguali, che contava su di me, che mi apprezzava per quanto mi ero impegnato con la maglia nerazzurra, per salvare la nave che stava affondando. Cose di questo tipo. Tutto un complimento.Mi ci mangio il fegato, ancora oggi. Io lo osservavo, Marcello Lippi, io osservo sempre bene il mio interlocutore, prima di parlare. Era in forma, così disponibile, non aveva paura di ridere. "Moratti stravede per te", ripetè più volte. Avevo davanti la persona che aveva detto che, se si discuteva Baggio, moriva il calcio. Quante stronzate. Pure Mazzola aveva garantito: "E' cambiato, vedrete che non ci saranno problemi con Marcello".Mazzola tende sempre ad aggiustare tutto. Il risultato: non ho giocato mai.Davvero è stata tutta colpa di quell'incontro a primavera?No, non credo, anche se, quando sono uscito dall'incontro, ho detto a Vittorio che mi aspettava una stagione durissima. Ricordo che dopo di me è entrato Paulo Sousa. Io credo che a Lippi sia accaduto quello che era successo a Ulivieri. Lippi ha sempre sofferto il fatto che non risultava gradito alla stampa.Era un po' il grande antipatico, non aveva buoni rapporti con i giornalisti, e spesso il pubblico nerazzurro lo beccava. Dall'altra parte c'ero io, che suscitavo affetto spontaneo e applausi tra i tifosi anche se non giocavo: anzi, ancora di più, se non giocavo.

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Era una cosa che proprio non sopportava. E allora mi ha preso di punta, in una maniera che in confronto Ulivieri era un amico.L'obiettivo vero era costringermi a togliere il distintivo, ad andare via.Puoi raccontare qualche episodio?Di episodi ce ne sarebbero troppi, devo per forza tagliare.Eravamo da poco in ritiro. Mi ero presentato al raduno in grande forma. Avevo chiuso benino la stagione, in vacanza mangiavo con moderazione, facevo vita regolare, in Argentina mi allenavo da solo o con Enrique, quando mi veniva a trovare alla fazenda. Lui è di Lincoln, un paese a 360 chilometri da Buenos Aires. Correvo per chilometri, soprattutto la sera. Volevo presentarmi in ritiro in buone condizioni. In buone condizioni, maledetto me.La seconda sera in Valle d'Aosta, telefonai a Petrone e Tunica cosa che riuscii a dirgli fu: "Vittorio, sono stato ingannato".L'attacco frontale di Lippi al sottoscritto era iniziato. Episodi per alcuni senza valore, ma per me, che di calcio e di allenatori ne ho frequentati tanti, decisivi.Parliamone una volta per tutte, allora, di questi episodi.Già la campagna acquisti aveva acceso più di un campanello d'allarme. All'Inter non era arrivato Andersson ma Vieri, in più c'era Recoba. Già qualcuno diceva che con una rosa simile io ero di troppo. Ma io, sempre più illuso, ci credevo: ci volevo credere, nonostante tutto. Poi gli episodi avvenuti in ritiro... Lippi ha sempre avuto un'attenzione particolare per la dieta. Non si poteva variare nulla d'importante senza la sua autorizzazione. Una volta, condendo l'insalata, chiedo del peperoncino a un cameriere. Il giorno dopo, faccio lo stesso, ma il cameriere mi risponde: "Mi spiace, non posso darglielo, chieda al responsabile medico". Vado dal dottor Volpi, lui mi conferma che, da quel momento in poi, non si poteva mangiare nulla, in assoluto, senza il permesso diretto dell'allenatore. Era stato Lippi stesso a volere tutto questo. Qualcuno lo aveva avvertito della mia richiesta di peperoncino, e lui aveva iniziato il "trattamento". Ogni pretesto era buono, anche il peperoncino. Un'altra volta, sempre in ritiro, in una delle prime partitelle, faccio un lancio smarcante di quaranta metri a Vieri. Bobo segna, lui si gira e dall'area di rigore mi fa un applauso. Anche Panucci mi fa i complimenti. Una cosa normalissima, tra compagni. Non hai idea come ha reagito Lippi.E' andato di fuori: "Vieri, Panucci, ma che cazzo fate? - urla. Credete di essere a teatro? Non siamo qui per farci i complimenti a vicenda, siamo qui per lavorare!". Lo ha detto con una durezza incredibile. Un comportamento del tutto fuori luogo. Sono rimasti tutti di sasso. E poi mi chiedono se mi sono stupito del suo esonero dall'Inter... come dicevano i nostri vecchi, chi semina vento raccoglie tempesta.Però è tornato nel grande calcio dalla porta principale. Una porta chiamata Juve.Vuoi dire che ad alcuni piacciono le minestre riscaldate. A me no.Lippi ha continuato a provocarti anche durante il campionato?Sempre peggio. Quando provavamo i calci di punizione, appena toccava a me, mandava tutti negli spogliatoi. Durante l'allenamento mi snobbava, ai giornalisti diceva frasi sibilline nei miei confronti. Quando ero in panchina, mi faceva scaldare per tutto il secondo tempo, e poi non mi mandava in campo. Un attacco dopo l'altro, senza tregua, uno stillicidio. Una volta, era poco prima di Natale, ha chiesto un

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confronto con noi giocatori. Eravamo tutti a centrocampo. Lui inizia a parlare, poi mi critica perché ai giornalisti avevo detto che non era stato di parola.Mi rimprovera di non averlo messo io nelle condizioni di poter mantenere le promesse. Io rilancio, a muso duro, chiedendogli di dire ai miei compagni cosa mi aveva detto a inizio stagione. E lui: "Lo dica lei". Naturalmente ribatto che avevo già detto tutto quello che dovevo dire, e proprio pubblicamente.Che se aveva appunti da farmi li facesse subito, davanti a tutti, altrimenti se ne stesse zitto. Lui non risponde. Fine dell'allenamento, e del confronto. Il "trattamento" però è continuato, fino alla fine dei miei giorni all'Inter.Vi davate del "lei"?Sempre. Io lo chiamavo "Misten>. Aveva sempre il muso duro, quando parlava con me. Credimi, non era un bel vedere, tantomeno un bel vivere.Alla stampa, diceva che a malapena reggevi venti minuti.Balle. Quella degli infortuni era un'altra tattica per screditarmi.Ho avuto qualche malanno muscolare, quell'anno, nulla di grave però. Sono stato quasi sempre fuori per scelta tattica, altro che infortuni. La mia situazione nell'Inter era semplice: ero la riserva di tutti, compresi Mutu e Russo, un ragazzo della Primavera.Praticamente, giocavo solo se c'era un'epidemia. Evidentemente, io, a 32 anni, visto che ancora correvo, dovevo maturare e dimostrare qualcosa di significativo.Non e era proprio nessun dialogo tra te e Lippi?No, nella maniera più assoluta. Tutto ciò che faceva, pareva finalizzato a provocarmi, così poi poteva mettermi fuori rosa, come era accaduto con Taribo West. Il massimo lo ha raggiunto nella trasferta di Verona.La partita in cui hai sfoggiato un cappellino su cui e era scritto in spagnolo: "Matame, sino te servo". Uccidimi, se non ti servo.Quel cappellino lo portavo da tempo, solo che la stampa se né è accorta a Verona. Lo aveva comprato un mio amico in Argentina, d'estate. Prima della partita, Lippi mi chiama per dirmi che, secondo lui, facevo meglio ad andare via dall'Inter, che non servivo più alla sua squadra, che per me non c'era proprio spazio. Me lo diceva con tono sicuro, arrogante, sperava di farmi perdere la calma. Ma io la calma non l'ho persa neanche quella volta. Io, se voglio, la calma non la perdo mai. Non ho aperto bocca per tutto l'incontro. Stavo davanti a lui, con le braccia incrociate, e lo fissavo negli occhi. Lui, non vedendomi reagire, ripartiva con la sua litania. Ha detto la stessa cosa tre volte. E io, niente. Così, per otto minuti. Poi, gli ho voltato le spalle e me ne sono andato.Non avevi mai pensato di andartene per bene?Più di una volta. A metà gennaio ero pronto ad andarmene ad Istanbul, al Galatasaray di Terim. Mi offrivano dieci miliardi Tanno, i turchi. Ma prima di tutto, mi offrivano una via di fuga pulita, quello che cercavo. Volevo scappare da Lippi, da quella situazione. Avevo pure chiesto a Chele di seguirmi, mi avrebbe fatto da cuoco...Poi però sei rimasto. Per non darla vinta a Lippi.Proprio così, il mio orgoglio sarà la mia rovina, lo sento. La partita con il Verona, quella del cappellino, mi ha aiutato molto.Perdevamo 1 a 0. Lui, non avendo altri attaccanti a disposizione, ha dovuto farmi

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entrar? per forza. Io, prima ho fatto l'assist a Jugovic, poi ho segnato il 2 a 1. Questo era il mio modo di rispondere alle sue provocazioni.Da eh e parte stava il pubblico?Dalla mia, nonostante Lippi facesse di tutto per screditarmi.Una volta, a Bologna, è spuntato fuori in curva uno striscione con la scritta "Baggio ti odiamo". Lo aveva pagato qualcuno, come si fa in questi casi; regali cento biglietti agli ultras, in cambio di uno striscione il cui testo lo scrive chi deve. Non ero simpatico neppure ad Oriali, che era vice di Ulivieri quando giocavo nel Bologna.Non mi ha mai visto di buon occhio. Punto.Non voglio dire altro su questa vicenda.Cosa hai provato ad aprile, nel vedere Ronaldo infortunarsi?Io dico che si muore molte volte, vivendo. Il mio amico Ronaldo è già morto almeno due volte. So cosa si prova. Se vorrà, tornerà più forte di prima.Quando eri già certo che te ne saresti andato, nonostante le richieste di Moratti, ti sei preso la più bella rivincita possibile: a Verona, praticamente da solo, hai vinto lo spareggio di Champions League, contro il Parma.Mi ha applaudito tutto il "Bentegodi", dopo quella doppietta.E' stata una giornata unica, che mi ripagava, in parte, dei molti affronti subiti. Lippi, al solito, era stato costretto a schierarmi perché aveva gli uomini contati. Finita la partita, nello spogliatoio, mi ha fatto i complimenti, come a tutti del resto, ma neanche sono stato ad ascoltarlo. Era tardi, non per ricucire, ma per cicatrizzare un rapporto che lui aveva voluto trasformare in una piaga aperta.Sanguina ancora?Per certi versi sono lontano mille miglia, per altri...Come hai fatto a non reagire?Mi ha aiutato la fede. E poi non volevo dargli soddisfazione.So bene che è la vita stessa che poi pareggia le cose. Causa ed effetto: non dimentico mai questa regola base. Io sono una persona tranquilla, con un grande controllo di sé, che ha rispetto del proprio karma, e per questo è disposta anche ad incassare. Credo che la migliore resistenza sia quella passiva, quando si può.L'ho già detto quando parlavo di Ulivieri: sono fatalista.Eppure, quando parli di Lippi, hai ancora una rabbia per te inconsueta.In parte hai ragione. Per Sacchi provo quasi rispetto, perché l'ho sempre visto come un uomo convinto, anche se eccessivamente rigido.A suo modo, è stato coerente. Mi ha fatto male, ma credo che fosse in buona fede. E ha pagato di persona i suoi errori. Quando ci siamo riparlati, ci siamo anche, in un certo senso, spiegati. Mi ha detto che, per lui, ero stato il più grande di tutti, e che quello che aveva fatto l'aveva fatto solo nel mio interesse, per preservarmi. Che ti devo dire, quella volta mi è sembrato sincero.Quanto a Ulivieri, credo che fosse un allenatore tosto, preparato, d'esperienza, deluso dal non avere avuto in carriera quello che credeva di meritare. Voleva costruirsi una nuova immagine a tutti i costi, anche contrapponendosi ad un personaggio famoso nel mondo. Credo si sentisse vulnerabile. Ma quell'anno pensavo al Bologna e al Mondiale, potevo e dovevo passare sopra alla storia di Ulivieri. Lippi no, lui è andato troppo oltre. Era un caudillo, ostentava una conduzione militaresca dello spogliatoio.

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Contro di me, ha usato tutto il potere di cui era in possesso, nella speranza di annientarmi. Era uno scontro totale, tra persone. Un confronto atomico che non cercavo di certo.C'è riuscito?No, perché ero e sono più duro di lui. Mi è bastato leggere le sue dichiarazioni alla stampa il giorno prima della partita, per capire che la sua Inter sarebbe stata eliminata, anche contro una squadra come l'Helsingborgs. E non mi sono stupito quando l'ho visto fare quella sceneggiata, dopo la sconfitta con la Reggina, alla prima di campionato. Sentivo che sarebbe accaduto. Lippi ha creato cause negative, gli effetti n jn potevano che essere quelli.Hai più incontrato Lippi?No, ed è stato bene così. Ma i incontreremo di nuovo, un giorno vicino. E' rientrato nel g ande calcio, lo incrocerò per forza. Quel momento vorrò viverlo fino in fondo, ho diverse cose da dirgli di persona. Prima, però, spero di avere dimostrato a tutti, coi fatti, quanto fosse in malafede e che incredibile abbaglio avesse preso col sottoscritto.Mi viene in mente una scena del Goya, Gli innocenti fucilati.Chi fucilerà questa piccola storia, vera, e nuova, e coerente? Chi saranno gli innocenti?Nosotros. Noi saremo i fucilati. E risponderemo per tutti. Noi, gli innocenti protagonisti.

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Gioia di cacce

Improvvisamente giunse una coppia di codoni, da chissà dove, scendendo di sbieco in una picchiata veloce che nessun aeroplano era mai riuscito a fare e il colonnello udì la traiettoria di penna, si voltò e uccise il maschio. Questo giunse stecchito sul ghiaccio, battendo con la forza con la quale un'anatra può battere il ghiaccio, e prima che fosse caduto il colonnello aveva ucciso la sua compagna, che stava salendo rapida col collo teso. Cadde accanto al maschio. Dunque è un assassinio, pensò il colonnello. E che cosa non lo è oggigiorno? Però, ragazzo, sai ancora sparare. Ragazzo un cavolo, pensò.Ernest Hemingway, Di là dal fiume e tra gli alberi

Per me, la caccia è un bambino con suo padre. Che ha freddo, ma si sente il re del mondo. Che raccoglie attento le prede e il colpo è come se l'avesse sparato lui. Che mangia pane e salame alle prime luci del mattino, che si dimentica di aver mai avuto sonno. Che assapora, indimenticabile, il sapore della passione, e duna gioia assoluta. Speriamo che non cresca, quel bambino.Come ti sei avvicinato alla caccia?Avevo solo cinque anni, ma due cose le avevo afferrate bene: che mio padre adorava la caccia e che io adoravo mio padre. Ci vedevamo troppo poco, per i miei gusti. Avrei dato qualunque cosa per stare più tempo con lui. Non ci ho messo molto a capire che la strada diretta passava attraverso i suoi uccellini da richiamo. Così, ho cominciato ad interessarmene. Si sudano sette camicie ad allevarli: occorrono i mangimi giusti, le gabbie vanno tenute pulite, bisogna fare in modo che non si ammalino e non vengano aggrediti dai parassiti.Ed è necessario convincerli a rassegnarsi alla cattività e farli familiarizzare con noi. Poi, può cominciare l'addestramento vero e proprio: per prima cosa vanno abituati al rumore della detonazione. Gli uccelli tendono a zittirsi, non appena vengono a contatto con un fenomeno acustico violento, inatteso.Per abituarli, li esponevamo via via a suoni sempre più forti, avvicinandoli, metro dopo metro, ai capanni da cui partivano le fucilate. Nella bella stagione spostavamo i nostri richiami in fondo alla cantina e, aumentando artificialmente le dosi di buio, gli facevamo scambiare l'estate per l'inverno: secondo i loro calcoli la stagione in arrivo era la primavera. Giunto l'autunno, che non arrivava mai abbastanza presto, caricavamo le gabbie in macchina e le appendevamo sugli alberi attorno al capanno: cantavano come un disco.E arrivava il giorno della caccia.Lo attendevo con frenesia. Ogni volta era il grande giorno. Si raggiungeva la postazione, che di solito veniva allestita sotto alberi dai rami radi, per non offrire troppo riparo agli altri uccelli.Dopo aver foderato le pareti delle gabbie con un foglio di compensato, disponevamo

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le voliere a semicerchio a varie altezze attorno al capanno, per impedire alle prede di scorgere i richiami da lontano, costringendole a svolazzargli attorno per cercarli. Poi s'iniziava la caccia vera e propria. Il momento migliore era di primo mattino, quando la fame e le gabbie schermate attenuavano la timidezza dei volatili, che, una volta sentiti i cinguettii, cercavano, scrutando dai rami più alti. Diffidenti e curiosi, flettevano un po' alla volta le loro traiettorie, si avvicinavano a portata di tiro nella nebbia, una nebbia appesa come una sciarpa fluttuante. L'avventura si rinnovava tutte le settimane: il venerdì sera, quando mio padre tornava dal lavoro, i miei occhi erano l'espressione della felicità. Non c'era violenza, e non c'era crudeltà. Tutto appariva naturale.Ricordi bene i preparativi?Alla perfezione. Stavamo alzati fino all'una di notte a preparare tutto e a controllare di non aver dimenticato nulla di ciò che potesse servirci. Poi stipavamo la macchina. Erano sessanta o settanta gabbiette, fucili, cartucce, vestiti, capanni, e a volte anche un fratello. Alle due e mezzo già mi svegliavo: non stavo in me dall'eccitazione. Spesso non riuscivo nemmeno a dormire quel breve intervallo di tempo: era la reazione dei miei cinquesei anni alla paura che mio padre mi lasciasse a casa. Quando cominciava la stagione autunnale, che poi era quella della caccia, lui si chiedeva se stesse facendo bene a portare con sé un marmocchio, con quel freddo. Pensava che ero così piccolo da poterci stare male.Ma tu non gli davi possibilità di scelta.Se mi lasciava a casa, davo di matto. Così, finiva sempre che mi faceva mettere diverse paia di calzini, così tante che non mi entravano più gli scarponcini. Partivamo che era ancora notte fonda, per la nostra piccola spedizione di due giorni in Friuli.Centocinquanta, duecento chilometri in macchina. Arrivavamo prima dell'alba, il vento tagliente, le stelle brillavano, l'enorme carico dell'automobile oscillava assieme a noi: io stavo andando a caccia con mio padre. Ed era bellissimo. Arrivavamo che era ancora buio, l'aria era gelida. Io lo seguivo con un po' d'apprensione, non vedevo nulla attorno a me e tremavo, per la paura e il freddo. Lui diceva: "Robi, sbrigati, non avere paura, seguimi!". Io ero eccitato. Mi immaginavo che giornate, che avventure. Era un mondo nuovo, che si spalancava all'improvviso.Fantastico.Di quelle prime uscite, cosa ti piaceva di più?La vicinanza con mio padre, il contatto con la natura. E l'attesa. Le cose che mi piacciono ancora adesso. Sono capace di stare ad aspettare l'arrivo di un'anatra per un giorno intero, nascosto con le gambe in acqua. Per un giorno intero. In Argentina l'ho fatto tante di quelle volte che Peter e Chele ancora mi tengono il muso. Ma la cosa meno importante, sia da bambino che da adulto, era la parte finale, lo sparo. Quello che mi piaceva era star lì ad aspettare, assorbire lo scenario, per poi guardare il ciclo che pian piano trascolorava, e i richiami che iniziavano a cantare. E' impressionante, vedere arrivare i primi uccelli che si posano: sono neri contro il ciclo, e, quando piombano tra i rami, scompaiono, improvvisi, inghiottiti dall'oscurità. L'aria è pungente, le fronde scure. Senti l'odore sulfureo dei pallini. Io me ne stavo rannicchiato nel capanno e guardavo mio padre immobile, che a sua volta guardava fisso davanti a sé, quasi non respirava. Finalmente qualcosa si posava e riconoscevo

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la sagoma attraverso i rami. Il ciclo si faceva azzurrino, l'ombra nera si muoveva, la si distingueva.Si poteva puntare, e fare fuoco.Qua I era il tuo compito?Uscivo subito a cercare tra l'erba sotto l'albero. Ero un bambino, ero curioso. Mi sgomentava e mi attraeva insieme, cogliere quel trapasso vitale.Ho paura che, nel leggere questo passaggio, molti lettori rimarranno quantomeno disturbati.Lo capisco, ma non devo scusarmene. Ero autentico, un bambino. Quel corpicino caldo mi faceva tenerezza e pena insieme.Per me, quella era una cosa grande, il momento più atteso della settimana. Stringevo la preda tra le mani e la portavo orgoglioso a mio padre, come se il merito fosse mio. Di me che l'avevo trovata piuttosto che di lui che l'aveva centrata da lontano. Poi aspettavo con impazienza che arrivasse l'ora della colazione: pane e formaggio o pane e salame. Un rituale magico, che è rimasto così, fissato nel tempo per sempre, e vale ancor oggi. Fare colazione in questo modo, a caccia, la mattina presto, con persone care. Gustare quei sapori, quegli odori, provare certi pensieri. E' uno dei massimi piaceri della vita. Ricordo che mio padre beveva vino e ne dava un goccio anche a me, annacquato. Io mangiavo, e masticando il boccone tornavo a contare per la centesima volta il numero delle prede nel carniere: erano abbastanza per non sfigurare, al ritorno a casa. Quando cominciavo ad avere sonno, finita la mattina, mio padre lasciava che mi addormentassi, poi mi sdraiava su una panca e mi copriva con una coperta. Gli spari avevano l'effetto di farmi sollevare un occhio: mi svegliavo appena appena, e subito ripiombavo nel sonno. Per me era tutto. Stare contemporaneamente con mio padre e con la natura, vedere sorgere un nuovo sole. Difficilmente andavamo due volte nello stesso posto. Cambiavamo a seconda dei permessi.Vedevamo posti nuovi, cose nuove, ogni volta era uno spettacolo.Perché, ancora oggi, la caccia è così importante per te?La caccia è una passione interiore. Non saprei spiegarla in altro modo. Mi ha insegnato un sacco di cose, mi ha permesso di stare con mio padre, con amici veri. E' il momento in cui ritaglio tempo per me stesso. Io e l'infinito, insieme. Una cosa unica.Potresti definirli come una forma di nirvana, certi tuoi momenti sensitivi, di contatto con la natura?Sì, lo potrei davvero definire in quel modo, una forma di nirvana. Certe volte è così.Eppure nel nirvana non si uccide. E, per stare insieme alla natura, non è necessario uccidere.Questa cosa puzza di moralismo. Potrei dirti che non si capisce bene perché sia ritenuto giusto uccidere un insetto e non un'anatra, come potrei dirti che tutti i giorni, anche non volendo, uccidiamo qualcosa, anche soltanto camminando. Ma il punto non è neanche questo. Per vivere veramente la natura, credo che non basti contemplarla. Devi entrarci dentro. Mi rendo conto che questo non è facile da capire, ma entrare dentro la natura significa, anche, imitare il verso degli uccelli, o interpretarli.

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Avvicinarsi alla creatura, viverla, osservarla, comprenderla. E, a volte, ucciderla.Più o meno quello che scriveva Hemingway in Fiesta: cacciare è un modo per creare un rapporto intenso e personale con la vita.Profondamente intimo.Sono parole importanti. Credo di comprendere cosa vuol dire.Per Hemingway, la caccia era uno stato d'animo e un modo necessario, obbligatorio, per ritornare agli inizi del nostro essere uomini. Un rito partecipativo e, al tempo stesso selettivo, naturale.Ci siamo, condivido. Vedi, si tratta di intendersi su cosa si intende per caccia. Io, se potessi, almeno una volta porterei con me tutti quelli che ne parlano male. Devono provare, prima di giudicare.Anche se Peter e Chele all'inizio mi prendevano in giro, su questo aspetto, non sono mai stato un cacciatore da riserva. Né tantomeno mi piace sparare ai fagiani che vengono fatti volare da una gabbia. Io faccio caccia migratoria, aspetto molte ore, caccio all'aria aperta. Di ciò che ho intorno, conosco tutto. Leggo libri, mi documento. Sono anch'io parte di questo tutto. Per me la caccia non vuoi dire sparare, ma vivere nella natura, con la natura. Mi alzo la mattina presto, costruisco il mio capanno nella palude, preparo gli stampi, c'è tutto un rito lunghissimo. Sto al freddo, sopporto il gelo, l'acqua, le condizioni più dure. Ma non sento il dolore, la fatica.Perché è una cosa che mi piace. Sparare è l'ultima cosa che mi piace fare della caccia.Però lo fai.Anche su questo aspetto c'è molta ignoranza. Prendi il caso dell'Argentina. Dove abito io, la terra è ancora selvaggia, e le anatre sono così numerose che distruggono tutto. Se non le uccidono i cacciatori, lo fanno i gauchos in una maniera più crudele: le avvelenano. Se uccidi un'anatra, i gauchos sono così contenti che ti offrono il pranzo.Fai caccia selettiva?Non saprei dirti cosa sia, alla fine, la caccia veramente selettiva.Quando esco con Peter e Chele, spesso non sparo neanche più.Dico a Chele di filmare tutto quello che vede, e Chele lo fa: male, perché con lo zoom non ci capisce niente, ma lo fa. Poi torno a casa, mando la musica sopra le immagini e mi riguardo la scena. Tornare a casa con le prede, mi sembra quasi un dono alla mia famiglia. Lo so, è un passaggio difficile da capire, ma per me la caccia è un momento di passione e dunque vitale. E', per dirla con il buddhismo, qualcosa attraverso cui creo un valore particolare. Vuoi sapere qual è il senso profondo della mia caccia?Ti ascolto.La caccia è attesa, ricerca di qualcosa che non sai ancora cosa sia. Ignori cosa potrai incontrare. Sei fuori dal mondo, fuori dal tempo, ti lasci andare, ti perdi: eccolo, il senso della caccia. La caduta dentro se stessi, la ricerca dell'ignoto, potersi isolare dai mali del mondo, da certe brutture. Ecco perché io non potrei vivere senza caccia. Perché, senza caccia, non potrei conoscere e, insieme, dare tregua a me stesso. Puoi tornare a casa a mani vuote o piene, non cambia niente. Anzi, vuoi sapere il mio sogno di cacciatore? Darei qualsiasi cosa perché ci fosse una nicchia del tempo in cui poter colpire la preda per poi ridarle la vita. Liberare la selvaggina, rianimarla, vederla arrivare di nuovo, azionare il replay in modo che la scena ricominci. Sarebbe

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bello. A Chele e Peter dico spesso che, se fossero in commercio i proiettili con il sonnifero, sarei l'uomo più felice del mondo. Spesso, quando esco, mi capita di richiamare a me gli uccelli, quelli che più mi colpiscono, e poi li lascio andare via. Allora ho già dimostrato a me stesso che, se avessi voluto, avrei potuto sparare. Guarda, è questo il massimo per un vero cacciatore.Ricorda molto la scena del cervo ne Il cacciatore.Ho visto il film, il paragone è calzante. Sul mio amore per la caccia ne ho sentite tante. C'è chi ha pure detto che è un mio modo per sfogarmi, per liberare le mie pulsioni violente. Ma io, nella caccia, non ci vedo nulla di distruttivo. E' come potare una pianta. La ami, lo fai il meno possibile, ma sai che devi farlo. E' il ciclo vitale.Ho letto che ami le armi, che le collezioni.No, ho le armi che mi servono per cacciare, né più né meno.Colleziono armi antiche giapponesi, spade fatte a mano, questo sì. Mi affascinano, ma è una passione tutta estetica. Non le ho mai usate, ci mancherebbe. Mi piace guardarle. Mentre le osservo, ripercorro la storia che le ha condotte a me, gli antichi samurai, le battaglie di un tempo... e fantastico. Come spesso mi piace fare. Resto e resterò sempre un sognatore.Hai sempre cacciato?No, per dieci anni ho dovuto smettere, c'erano le partite, non potevo rischiare di farmi nuovamente chiamare "Caccia e pesca" dai miei allenatori... Ho ricominciato a vent'anni, a Firenze.E' stato lì che hai scoperto la caccia alle anatre?Sì. L'anatra è l'animale che più mi affascina. Io stesso, come ti ho già spiegato, mi sento un'anatra maschio, forse sono stato un'anatra in una delle mie vite passate. Abitavo già a Firenze e in quel periodo dovevo cambiare casa. Ho conosciuto il proprietario di un'agenzia immobiliare. Dopo un po' che parlavamo, lui mi ha chiesto a bruciapelo: "Perché non si va a caccia?".Gli ho risposto che ci andavo dieci anni prima, ma che ormai avevo smesso. Ma lui ha insistito: "Senti, noi abbiamo un laghetto artificiale dove cacciamo le anatre. Se ti fa piacere, una volta puoi venire". Non ero molto convinto. Un giorno è tornato a casa mia e mi ha detto: "Questo è il periodo adatto, se vuoi andiamo.Domani mattina all'alba. Vengo a prenderti io". Alle cinque del mattino mi sono fatto trovare pronto, ero impaziente.Siamo arrivati sul posto, il ciclo era ancora scuro. Mi hanno portato in un capanno costruito dentro l'acqua. Ribaltando la piccola finestra, l'acqua arrivava al livello del pancale. Mi hanno dato un cannocchiale. Mi ricorderò sempre quando vidi sfarfallare un gruppo di ombre e dissi: "Mi sembra d'aver visto passare qualcosa". S'erano calati sette uccelli sulla mia destra, però io non avevo capito bene cosa fossero. Ho sentito soltanto uno che diceva: "Dai, che gli spariamo!". Mi hanno dato il fucile in mano e abbiamo sparato tutti e tre, uno da sinistra, uno in mezzo e uno a destra.Le hai colpite?Le abbiamo ammazzate tutte e sette. Siamo andate a prenderle. Mi hanno dato un'anatra in mano e da quel giorno, anzi da quell'istante, ho cominciato a vedere le anatre con occhi nuovi. Lo sguardo, la figura, i colori, tutto era per me una fitta di passione. Ero stato stregato dalle anatre. Io ero un'anatra. Al solo fiutare la presenza

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d'una di loro, mi percorre una scarica elettrica. Come accade per ogni passione che s'impadronisce d'un animo dalla tempra come la mia, mi sono reso subito conto che non mi sarebbe passata presto. In quel preciso momento, ho compreso che avevo imboccato una strada senza ritorno: non avrei più smesso di rispettare, amare e cacciare le anatre. Infatti non ho più smesso. Mi era tornato il desiderio cento volte più forte di prima: non più una passione infantile, ma una frenesia, oscuramente divina.Cosa credi ti abbia folgorato di quella esperienza?Non lo so: il fascino dell'acqua, l'alba, il buio, il rapimento dell'attesa, vedere arrivare tutti quegli uccelli in discesa, una picchiata coordinata. Non riesco a dire niente più di questo. E' una cosa importante, pulita. E puoi fare tutte le considerazioni che vuoi, su questo.Dopo il laghetto d'Osmannoro, quello di Casoni Borroni. Poi la Scozia, e infine l'Argentina, dove hai costruito la tua casa.Vado fiero della mia casa in Argentina. Ci sono migliaia di uccelli stanziali, spazi liberi, tanti alberi, eucalipti dai tronchi giganteschi. Nulla di sfarzoso, è solo una fazenda accogliente.Non amo le cose eccessive. Si trova tra Buenos Aires e la Pampa, una zona ancora selvaggia, fuori dal mondo. E' un posto splendido. Per la caccia alle anatre, il periodo migliore è giugno luglio, che è poi il loro inverno. Fa freddo, freddissimo.Come descriveresti la tua Argentina?L'Argentina è una cosa difficile da capire: bisogna provarla.Il fascino della caccia, come credo di avere spiegato, non sta nel momento dello sparare. C'è tutta una preparazione. Se non ci fosse un "dietro", uno potrebbe anche andare a tirare al piattello.C'è una differenza di ambiente, di colori, di profumi che non è spiegabile. Quello che puoi fare in Argentina, non lo puoi fare in nessun'altra parte del mondo. Ha questo fascino per mille motivi. Per la lingua... Le usanze non sono lontane dalla nostra cultura. Gli argentini sono molto aperti, i loro modi sono simili ai nostri. Anche questo aiuta a coinvolgere la tua sensibilità. Sento che tra noi e loro c'è affinità profonda, pur nella differenza.Questo mi piace da impazzire. Poi, per me, c'è tutto il fascino che va al di là della caccia. E' soprattutto l'avventura, la libertà di fare delle cose che qua non ti sogneresti mai per mille motivi.Ad esempio?Quando siamo là, ci capita di andare magari a cinquanta chilometri da casa mia a caccia. Però, invece di tornare a mezzogiorno, stiamo via tutta la giornata e a volte anche la notte.Nessuno ci proibisce di farlo. Partiamo con tutta l'attrezzatura, cani, furgoni pieni di roba, capanni, badili, tutto per eventuali battute improvvisate, possiamo proseguire a oltranza. Più spesso ci fermiamo a mangiare a mezzogiorno. E allora, in quel caso, tavolino con sedie, acqua, coca-cola, vino, asado (carne ai ferri), salsicce, pane caldo, la torta fatta dalla Stella, la mia fazendera. E' avventura nell'avventura. Puoi fare di tutto, conoscere i gauchos, mangiare con loro, accettare il pranzo frugale in mezzo alla Pampa, con posate di stagno e un salame pepato che in Italia non avresti neanche

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il coraggio di guardare. E' capitato di fermarsi a mangiare la sera con quattro o cinque di loro, che cuocevano carne su di un pezzo di rete metallica arrugginita. Che incanto, quell'odore di fumo nella prateria.I fifoni che mi accompagnavano, non volevano rimanere, ma io non me ne sarei andato per nulla al mondo. Avevamo fame, avevo fame. Erano degli uomini pieni, come noi. Che m'importava delle facce poco rassicuranti? Abbiamo condiviso tutto quello che avevamo, fregandocene dell'igiene, della carne d'incerta provenienza, di quella rete arrugginita. Se non mi fossi fidato avrei tradito l'Argentina. Abbiamo mangiato e bevuto, riso e scherzato. Davanti a noi, l'ultimo orizzonte e la sua linea, le erbe oscillanti al vento della prateria. Questo per me vale molto, nella vita. E amo l'Argentina perché puoi fare queste cose. E devi farle, perché altrimenti tanto varrebbe restare a casa.Come organizzi la tua giornata in Argentina?Amo lasciarmi trascinare dalle emozioni e dalle occasioni del momento. Magari la mattina fai la posta alle anatre sul lago, il pomeriggio cammini col cane e fai dieci chilometri senza rendertene conto, poi arrivi alla sera che quello che hai mangiato a mezzogiorno te lo sei dimenticato, e hai una fame da lupo. D giorno dopo, decidi di andare in un posto che conosci e ti dici, speriamo che sia rimasto come l'abbiamo lasciato l'anno scorso.E scopri che è cambiato tutto, è cambiato l'ambiente, non ha piovuto, non c'è l'acqua, non ci sono gli animali, magari si sono spostati, e allora c'è tutta l'avventura di cercare, di sperare di trovare...Com'è la Pampa?Bellissima. Se la vedi di notte, poi, è impressionante. Un anno sono arrivato a Santa Rosa con l'aereo, era buio. Da Santa Rosa a casa mia sono centocinquanta chilometri. E' venuto a prendermi il mio campesino, e per i primi cinquanta chilometri avremo incontrato nella strada almeno trenta volpi. La Pampa ti da queste occasioni: cervi, lepri, puma, gatti selvatici, tutti animali selvatici allo stato puro. Magari ti capita di incontrarli anche di giorno, e allora devi mantenere la concentrazione. L'intensità è così grande che, arrivato a sera, ti addormenti come un sasso.Mangi con gusto, ti piace bere e, anche solo il fatto di sentire il caminetto acceso, quando hanno spento tutte le luci, ti rende felice. Sono una delle poche persone al mondo che, in casa sua, dorme sul divano del salotto.Non hai una camera?Ce l'avevo, ma ormai quello è territorio di Chele e Vittorio.Ci dormono loro, e quando Chele dorme, fa di tutto: russa, abbaia, parla, si morde i denti da solo, si continua a girare. Dormire accanto a lui è impossibile, fa venire l'asma, domandalo a Vittorio. Ma dormire in salotto è una fortuna.Perché?Mi piace da morire dormire davanti al caminetto acceso. Esco fuori con qualsiasi tempo, mi prendo i tronchi di eucalipto che teniamo fuori, li butto nel caminetto, un caminetto grandissimo, poi di notte quando cala il fuoco mi sveglio, butto su un altro tronco da venti o trenta chili - sì, sono enormi - e fino alla mattina sono a posto. In Argentina provi ogni giorno un fiotto continuo di sensazioni impossibili da dimenticare, I fruscii della notte, le urla degli animali, il vento radente, un mondo

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libero e selvaggio che respira a dieci gradi sotto zero. E tu davanti a quel fuoco, solo, con quel profumo che ti entra dentro. Profumo di eucalipto.Hat mai portato i tuoi figli in Argentina?Sì, nel Natale del 2000. Per farti capire questa stregoneria.Mattia non era mai salito su un pony o su un cavallo, in vita sua.Il primo giorno che siamo arrivati, è salito su un pony insieme al figlio del mio campesino: sembrava che ci fosse nato sopra. Il giorno che siamo partiti per tornare in Italia, Mattia era accanto al pony. Piangeva, non voleva lasciarlo solo. Mi sono emozionato, non me lo sarei mai aspettato.E' che l'Argentina ti trasforma. Quell'ambiente lì toglie qualsiasi paura e inibizione.Viene anche tuo padre in Argentina?Sì, quando cacciamo è sempre con me. Anzi, parlare di lui mi aiuta a far capire meglio l'effetto che ha l'Argentina sull'umore delle persone. Mio padre aveva un problema serio. Lo avevo fatto visitare da un medico spiegandogli che lo volevo portare con me in Sud America, convinto che quel viaggio lo avrebbe aiutato. Il professore era d'accordo, era lui stesso a consigliarmi di portarlo con me, prima dell'operazione. Sapevo quanto poteva aiutarlo la caccia. Prima di partire, aveva fatto tutte le analisi, non aveva dei valori buoni. E' venuto con noi in Argentina. Là aveva il nostro stesso ritmo, nonostante l'età: si alzava alle cinque e mezzo del mattino, mangiava (per due), cacciava tutta la mattina, a mezzogiorno rimangiava (per tre), poi cacciava tutto il pomeriggio, la sera mangiava (per quattro) e poi si metteva sul divano: dopo un secondo, già dormiva. Ha fatto questa vita per quindici giornate.Bene, quando siamo tornati gli hanno rifatto le analisi prima di operarlo, ed erano a posto. Lo hanno operato, adesso sta bene. Pensa quanto può essere importante fare le cose che ti piacciono, quanto questo possa influire positivamente sulla tua condizione vitale, sul tuo umore, sul tuo essere.Insamma, l'Argentina ha un fascino unico, difficilmente spiegabile a parole. Bisogna viverla, come tutte le cose decisive.L'Argentina è una malattia. Una bella malattia.Mi stavo chiedendo se c'era qualche avventura speciale che ti andava di raccontare.Speciale,... non so. Ci sono cose che non racconto volentieri.Ero a caccia con gli altri, una battuta a lungo raggio. Mi ero spostato in avanti, seguendo certe tracce interessanti. Rimasto solo, ero arrivato sopra una cresta frastagliata, immerso in un buon odore d'America. Sotto di me c'era un vallone, che scendeva profondo nella terra rossa. Intorno felci, eucalipti, piante nane. Ero in alto rispetto alla piccola gola che, proprio verso la fine, si rizzava in una sella che riguadagnava la sommità. Intorno a me, su di me, solo silenzio. Un condor roteava in lontananza.Luce meridiana, sfrangiata, quieta. Io avevo la carabina pesante, quella che di solito uso per la caccia grossa. L'avevo scelta mosso come da un presentimento, che mi aveva spinto verso quel valloncello sconosciuto. Ora trasalivo nel vento lieve, aspettavo.Il sentiero era percorso da animali, si notava subito. La polvere secca moriva tra le rocce e le erbe spinose, era rivelatrice. Ero sottovento. Stavo sempre attento, in occasioni come quella, a rimanere sottovento. Ero fermo, praticamente immobile.

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Aspettavo. E lui arriva, cauto. Un grosso puma maschio, che mette la testa fuori dalle frasche, annusa l'aria e attraversa lento il sentiero.Una frazione di tempo. E' giallo, la grande testa. Realizzo, sparisce. Il cuore mi sfonda il costato. Rimango fermo dove sono, non mi muovo d'un palmo. Solo faccio ruotare piano la carabina in avanti, controllo l'otturatore, tolgo la sicura, pronto a sparare. Un puma maschio solitario, enorme. Lo so, lo sento, non se n'è andato. Era un vecchio diffidente, mi voleva fregare. Li capisco bene, io, certi vecchi solitari, persi dietro ai riflessi della grandezza passata. Aspetto forse mezz'ora, forse un'ora. Lame di luce obliqua, il sole comincia a declinare. "Stai a vedere che... ".E lui rimette la testa fuori dai cespugli, dall'altra parte del sentiero. La scuote leggermente, annusa l'aria profumata dalle tamerici, e fa per riattraversare, esattamente sulle sue tracce di prima. Appoggia felpato i primo passi. Lo colpisco al volo, ruotando in un baleno la canna della carabina. Un colpo solo, al collo. Un colpo mortale. La violenza secca dello sparo lo arresta come a mezz'aria, lo fa scivolare, lentamente, sulla polvere rossa. E' una ferita profonda, perde subito molto sangue. Gli occhi verdi velati, mi guarda reclino. Gli si gonfia il petto, gli manca il respiro. Rabbrividisco nella giacca di pelle dall'emozione.

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Anatre e rondinelle

Senza limiti, eh, Jonathan? pensò. E va bene... E quantunque cercasse di mostrarsi tutto serio e severo ai suoi allievi, il gabbiano Fletcher, a un tratto, per un attimo, li vide come veramente erano, e sorrise: non soltanto gli piacevano, li amava. Quello che vide era molto bello. Nessun limite, eh, Jonathan? pensò, e sorrideva. Era come l'inizio di una gara: aveva cominciato a imparare.Richard Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston

Il mio unico rammarico, tutte le volte che lo vedo, e gli parlo, e lo ascolto, è di non averlo incontrato prima. Molto prima.Sarebbe potuto accadere a Bologna, se a Bologna fossi rimasto, ma lì non ci rimasi. Avevo un sogno da inseguire, e sarebbe troppo facile dire adesso, col senno del poi, che non ne valeva la pena. E' accaduto a Brescia, due anni dopo. E' stato importante. forse il pubblico non lo sa bene, ma la dote più importante di un allenatore non è la bravura tecnica, ma la ricchezza umana. Senza questa, perfino gli schemi perfetti, se mai ne esistono (e di questo ho sempre dubitato), diventano inevitabilmente pieni di limiti.Ho conosciuto molti allenatori. Alcuni erano bravi, altri meno.Con alcuni, la maggioranza, ho legato. Con Carletto Mazzone, l'uomo che mi sarebbe piaciuto incontrare prima, è stato feeling a prima vista.Era completamente naturale, l'allenatore che avevo sognato: schietto, sincero, lontano da ogni ipocrisia, da ogni invidia, totalmente insensibile al fascino del potere autoritario, alle adulazioni interessate.Se il calcio fosse popolato da tanti Mazzone, sarebbe ancora quello che appariva ai miei occhi di bambino, lo sport più bello del mondo. I talenti non avrebbero timore di manifestarsi, i giovani non avrebbero fretta nel maturare, i professionisti onesti saprebbero che c'è qualcuno su cui fare conto.Quando Mazzone mi ha voluto nel suo Brescia, e mi ha detto fin dall'inizio che avrebbe puntato su di me, avevo 33 anni e mezzo.Inseguivo, come spesso mi è capitato, un obiettivo pazzesco.Inseguivo il mio quarto Mondiale. Cercavo un allenatore di cui fidarmi. Ci ho messo meno di mezzo minuto, per capire che quell'allenatore era Mazzone.Non mi sono sbagliato. Mazzone mi ha dato fiducia all'inizio, mi ha protetto quando un infortunio mi ha rubato la prima parte di stagione, mi ha indicato il proscenio quando e era da recitare. E ho recitato bene, o perlomeno credo di averlo fatto, perché sapevo che, in panchina, e era uno di cui fidarsi.Certo, Brescia non è solo Mazzone. Farei un torto ai compagni, alla società, ai tifosi, se affermassi questo. Farei torto a chi mi ha voluto bene, mi vuole bene. Farei torto alle persone per le quali do il massimo, tutti i giorni, in allenamento come in partita.Ma voglio ripeterlo, quando un uomo rende al massimo, è perché intorno ha persone

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che glielo consentono. Mazzone è uno di questi.A volte, mi passano per la testa strane fantasticherie. Chissà, credo che se Mazzone lo avessi incontrato prima, magari, a quest'ora un Mondiale l'avrei pure vinto. Ma sì, forse sono soltanto fantasticherie, divagazioni di chi pensa troppo. Però, credetemi, immaginarmi a Pasadena festante, con lui in panchina, le braccia levate al cielo, beh, è davvero un bel divagare.Dopo i due anni con l'Inter, c'era da trovare una nuova squadra. Si è scritto che baipassato un'estate tesa, in depressione.Balle, per niente. Tutto ero fuorché depresso. Anzi, quella è stata la migliore estate da quando faccio il calciatore. Ero felice.Dopo venti anni passavo un'estate a casa. Mi allenavo a casa, mangiavo a casa, stavo con Andreina e i miei bambini...Come facevo ad essere depresso? E poi, anche per quanto riguardava il lavoro, le offerte non mancavano.All'inizio sono usciti fuori i nomi di Reggina, Napoli, Udinese.Non solo. C'erano anche diverse richieste dall'estero, soprattutto Inghilterra e Giappone. Lo stesso Moratti voleva che rimanessi in qualche modo all'Inter: mi ha chiamato non appena sono tornato dall'Argentina, ma per me la storia con l'Inter era finita, anche perché c'era ancora Lippi. Sarebbe forse durato poco, ma nel ritiro me lo sarei trovato ancora davanti. Un'esperienza umiliante, che mi era largamente bastata.Perché proprio Brescia?La squadra che doveva rilanciarmi - ero fermamente intenzionato a lottare per ottenere il quarto Mondiale della mia carriera - doveva avere tre requisiti: essere in A, essere vicina a casa, darmi la ragionevole sicurezza che avrei giocato. Questo escludeva, in partenza, tutte le richieste che avevo all'estero: giocare fuori dall'Italia, significa, inevitabilmente, dire addio alla Nazionale. Guarda Vialli e Zola. Anche Reggio Calabria e Napoli erano troppo lontane per la mia famiglia, non volevo costringerle a un trasferimento difficile.Zeman non ti ha voluto, come tre anni prima Ancelotti.Non so se Zeman non mi voleva, ma non c'era problema. ANapoli non ci sarei andato comunque. E questo, bada bene, nonostante abbia sempre avuto un feeling particolare con la gente del Sud, che mi ha sempre appoggiato, e che mi è sempre piaciuta.Intendiamo il calcio nello stesso modo, l'abbiamo nel sangue, ci brucia dentro.Rimanevano Udine e Vicenza.Con l'Udinese non c'è stato nessun contatto serio, solo qualche voce.Non ho mai ricevuto una proposta formale dal presidente. L'idea di tornare a Vicenza, invece, mi piaceva molto.C'era un che di poetico, nel finire la mia carriera con la stessa società che mi aveva lanciato. Eppure, non ho ricevuto nessuna offerta dal Vicenza, al di là di ciò che si è scritto, e questo mi ha un po' deluso.Nemopropheta in patria. Il Brescia, invece, ti ha accolto a braccia aperte.Sono stati Corioni e Mazzone a volermi. Mazzone mi ha detto che sarebbe stato felice se io fossi andato a Brescia, che avrebbe costruito la squadra attorno a me. Io non avevo preclusioni, le parole di Mazzone mi inorgoglivano, ma con lui volevo essere

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molto corretto. Avevo una proposta dal Giappone, che era impossibile non prendere in considerazione.Ovvero?Mi proponevano un contratto favoloso, inconsueto anche per uno come me. Sapevo che, se avessi accettato il Giappone, avrei detto addio alla Nazionale. E allora, come avevo anticipato a Mazzone, ho chiamato Trapattoni. L'ultima parola sarebbe stata la sua.Se Trapattoni mi avesse detto che per me non c'erano assolutamente speranze di andare ai Mondiali del 2002, avrei scelto il Giappone, altrimenti sarei rimasto a Brescia. Non chiedevo certo al Trap trattamenti di favore, so bene chi è e come la pensa. E poi, il mio orgoglio, le mie convinzioni, me l'avrebbero comunque impedito. Volevo solo la possibilità di giocarmela alla pari con gli altri. Trapattoni è stato chiarissimo: mi ha detto che mi avrebbe seguito, che dovevo stare tranquillo, e che andare o no al Mondiale sarebbe dipeso anzitutto da me, come per tutti gli altri potenziali nazionali, speranze e veterani. Se lo avessi meritato sul campo, solo in quel caso, mi avrebbe chiamato. Naturalmente sapevo che la concorrenza sarebbe stata durissima, che la selezione sarebbe stata spietata. Le speranze erano vaghe, ma a me andava bene.A quel punto non c'erano più dubbi: Brescia. Ho chiamato Mazzone, gli ho detto che sarei andato, e ho lasciato la palla al presidente Corioni e a Petrone per il contratto.Un contratto unico nel suo genere: hai legato la tua permanenza a quella di Mazzone. Il giorno che Mazzone non c'è più, te ne vai anche tu.Era una clausola fondamentale, per me. Avevo 33 anni passati: te lo immagini se Mazzone lo esonerano, e al suo posto chiamano uno di quelli col culto della personalità? Non ho più l'età per rischiare certe situazioni.Che rapporto hai con Mazzone?Profondo, autentico. Mazzone è un grande, l'ho ripeterò sempre. E' disponibile con tutti, sa capirti, è dotato di vera umanità. Il mio rammarico è quello di averlo conosciuto troppo tardi: se fossi rimasto a Bologna l'avrei trovato due anni prima. Non ne esistono quasi più, di allenatori come lui. E' pulito, per niente presuntuoso. Mi ha fatto riscoprire il piacere di giocare per giocare, a volte con lui mi sembra di essere tornato ragazzo. Anche durante gli allenamenti, mi è tornato il gusto di divertirmi, di provare i dribbling, di cercare lo spettacolo.Mazzone è l'allenatore ideale per me, schietto, dice quello che pensa. Non ha complessi e ha doti tecniche straordinarie, come dimostrano le tante salvezze che ha conquistato, con squadre non esattamente eccelse. Questi sono gli allenatori bravi, altro che i santoni degli schemi.Mazzone ha raggiunto la salvezza anche con il Brescia, con il tuo fondamentale contributo. Eppure, l'avventura era iniziata male.Eravamo partiti bene, in Coppa Italia avevamo eliminato addirittura la Juventus. Mi sentivo in forma. Poi è arrivata la fase più delicata della preparazione. Sono iniziati i carichi di lavoro più pesanti, quindi gli affaticamenti muscolari. E' sempre un momento a rischio, quello, per me.In occasione del Giubileo degli Sportivi, all'Olimpico davanti al Papa, Trapattoni ti ha riconvocato in Nazionale.

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Quell'episodio mi ricorda una delle sciocchezze più grosse della mia vita. Due giorni prima della partita, terminato l'allenamento, mi ero attardato un'ora e mezzo in più degli altri per provare i calci di punizione. Quando sono andato a letto stavo benissimo, ma il giorno dopo non sentivo più la gamba. Tutti quei calci di punizione mi avevano fatto male, e la colpa era solo mia. Quando Trapattoni mi ha detto che sarei entrato, sono stato costretto a dirgli che non potevo giocare perché la gamba mi faceva male: ti assicuro, mi sarei sotterrato. Non potevo giocare una partita per me importantissima, dal grande valore simbolico, e di questo potevo incolpare solo me stesso. Mi sarei sparato un colpo in testa.Quell'infortunio ti ha costretto a saltare quasi tutto il girone di andata, in effetti.No, non è andata così. Per quell'infortunio, ho saltato due partite, comunque importanti, con Lazio e Roma. Prima di Natale mi ero ripreso, o così credevo. C'era la partita contro il Lecce, un freddo cane, il ghiaccio sul campo, a filo d'erba. Dopo dieci minuti, ho battuto un calcio di punizione al limite dell'area. Stavo bene, mi sentivo la gamba calda come poche altre volte, ero certo che avrei segnato. E invece, nel battere quella punizione, ho sentito come una coltellata nella gamba. Un male incredibile.Mi ero preso uno stiramento, che significava, come minimo, due mesi senza giocare. Ecco, lì sì, che ho avuto paura di non tornare a giocare per un pezzo. Ero proprio giù, quell'infortunio voleva dire rifare daccapo la preparazione, ma proprio dall'inizio.Era una disdetta. Avevo lavorato apposta per essere al meglio da gennaio, nel momento decisivo della stagione. Ho vissuto quei due mesi di assenza malissimo.A quel punto la stampa ti ha massacrato, ironizzando sul fatto che il Brescia aveva puntato tutto su di te, e tu di fatto non giocavi mai.Sì, tanto per cambiare mi hanno dato per finito. La squadra andava male, era ultima, la retrocessione sembrava inevitabile, le contestazioni a Mazzone e alla squadra erano all'ordine del giorno, qualche ultras è entrato nello spogliatoio. E io ero sempre fuori.Come affronta un atleta maturo, molto avanti nella carriera, questi momenti? Riabbiamo visto ragazzo, atleta all'apice. E ora?Sei stato delicato. Non hai chiesto come affronta un infortunio, peraltro molto noioso, uno che si gioca gli ultimi spiccioli della sua vicenda. Hai fatto bene, perché il sottoscritto si sentiva e si sente tutto, fuorché alla fine della sua esperienza agonistica.Credo che stupirò e continuerò a stupire ancora per un po'. E comunque di una cosa resto certo: quando smetterò, l'ultima parola l'avrò detta io.Il solito orgoglio...Non è una cosa semplicissima da spiegare. Quello che segue è il frutto di una pratica di vita. Da un infortunio si impara, ho sempre imparato qualcosa. Dobbiamo essere consapevoli che, in una vita, il ciclo delle vittorie e delle sconfitte, delle conquiste e delle rinunce, è una costante, a cui non possiamo opporci. L'infortunio, il periodo di crisi, vanno accettati come eventi naturali. Bisogna rovesciare la prospettiva e considerarli anch'essi una opportunità. Riposo, introspezione, reazione karmica, fecalizzazione dell'obiettivo fondamentale. Tutto questo può, deve venire fuori, da un abbandono consapevole e dalla gestione mentale della cosa. Riducendo il livello di ansia, di tensione, si vince sulla sofferenza e si guarisce prima. Gli strumenti più efficaci sono, almeno per me, la preghiera e la meditazione.

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Così, tu, allora...Ho fatto tutto questo, durante l'ultimo infortunio a Brescia.Ero partito male, inutile negarlo. Troppa rabbia, troppe domande (le solite) del tipo: "Perché proprio a me, che succederà adesso. .. ".Poi ho riconsiderato il tutto, con calma. Ho cercato di non resistere, di non forzare la sofferenza. L'ho accolta e mi sono abbandonato ad essa. Appena l'ho fatto, ho realmente cominciato a guarire, a recuperare nuovamente, ad essere in armonia con il prezioso lavoro di Pagni e dei medici. I miglioramenti sono stati presto evidenti.Non hai forzato i tempi di recupero.Al contrario. Mi sono imposto di aspettare il momento giusto.Quando sono rientrato ero veramente a posto. Soprattutto: ero molto motivato, ma contemporaneamente sereno, rilassato. Avevo fatto tutto quello che era in mio potere per essere al meglio.Infatti è stato un bel rientro. E, come per magia, tutto si è rimesso a posto quando sei rientrato.Sì, a Firenze - proprio con la Fiorentina, vedi te il destino. .. - ho fatto subito una doppietta. Due gol che ci hanno garantito un pareggio importantissimo e, francamente, insperato.I viola di Terim erano nettamente più forti di noi. Ma ho indovinato una punizione fatata, la palla è andata esattamente dove la volevo mettere io.Hai capito qualcosa, durante quella gara, qualcosa di particolarmente importante?Sì, certo. Ho compreso, finalmente, dove avevo sbagliato fin dall'inizio della stagione. Ero stato troppo umile, troppo giudizioso.Dovevo, invece, smetterla di tirarmi da parte. Dovevo impormi, fare il capitano, guidarli. Dovevo mettere la mia classe e la mia esperienza al servizio della squadra, assumermi tutte le responsabilità, anche quelle più pesanti. E così ho cominciato a fare, subito, fin da quella partita di Firenze. E' stata un'intuizione fondamentale.Raggio leader assoluto, uomo squadra. Che batte le punizioni, i calci d'angolo, imposta, rifinisce, tampona, va in difesa a fare barriera, regola la disposizione in campo. Non si era mai vista, una cosa del genere, in tutta la tua lunga, tribolata carriera.Probabilmente è vero, non si era mai visto, almeno non così evidentemente. Sono sempre stato a disposizione delle squadre in cui ho giocato, ma in questo modo totale, coinvolgente, credo mai.E' nato un nuovo Roberto Baggio?No. E definitivamente maturato quello vecchio.Dopo Firenze, UBrescia è come sbocciato.Direi di sì. Abbiamo vinto con l'Udinese, perso due partite che ci stava di perdere (con Roma e Lazio, anche se con quest'ultima meritavamo ampiamente di vincere), e da lì non ci siamo più fermati. Più passavano le partite, più stavo meglio.E, contro la Juve, è arrivato il tuo capolavoro. Non è azzardato dire che quel gol sia stata la cosa più bella della stagione. Oltre al fatto che, con quella rete del definitivo 1 a 1, hai tolto due punti decisivi alla Juventus per la lotta allo scudetto. Un bello sgarbo alla tua ex...Io pensavo al Brescia, anche troppo, figurati. Non alla Juve.

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Quel punto per noi era di vitale importanza. Sì, è stato un bel gol. Soprattutto lo stop al volo, con cui mi sono spostato il pallone alla destra del portiere, aggirandolo. Sono partito con quell'idea lì, l'alternativa era calciare all'istante, d'istinto. Quelle sono decisioni che devi prendere in un attimo. Ci ho provato, è andata. Non ti va bene quasi mai ma, quando riesci in un'impresa così difficile, la gioia è tripla. Se non provi, fai solo gol normali.Anzi, spesso nemmeno quelli. Lì c'è stata l'altra svolta, quella decisiva. Quella rete ha convinto tutti che ce la potevamo fare.Io potevo risolvere il match in qualsiasi momento, loro erano motivati. Mi seguivano, ci credevamo. Se avevamo pareggiato in casa della Juve, dopo una partita in quel modo...E così, sotto la tua guida, come aveva previsto Mazzone, UBrescia si è salvato con due giornate d'anticipo.E' stato un ottimo finale di stagione, il gruppo era buono fin dall'inizio: non appena abbiamo trovato tranquillità e fiducia in noi stessi, i risultati sono arrivati. E siamo arrivati settimi in massima divisione, e all'Intertoto. Altro che saliscendi tra la A e la B. In questa realtà, credimi, abbiamo raggiunto l'impossibile.Comunque il merito è stato di tutti. Io ho avuto solo la fortuna - dettata e in qualche modo imposta dal mio passato di godere di una maggiore visibilità rispetto ai miei compagni di squadra.Un'altra bella soddisfazione te la sei tolta a Milano, alla penultima giornata.Abbiamo fatto una buona partita, e pareggiato 1 a 1 col Milan.Eravamo già salvi, ma ci tenevamo a far bene. Ho giocato a livelli discreti, qualche assist, due punizioni sventate da Abbiati. Era caldo, ma mi sentivo bene.Non minimizzare ciò che è stato. Mazzone ti ha tolto a due minuti dalla fine, ed è partita la standing ovation.Il pubblico milanista è stato molto caldo, come sempre. Sono questi i riconoscimenti che più mi gratificano. Ho sempre pensato che, alla fine, l'unico vero giudice sia il pubblico, la gente.Dopo la partita, Cesare Maldini ha detto: se continui così, ti meriti il Mondiale.Se lo ha detto lui, lo ha detto uno che di calcio ci capisce. Lo ringrazio. E' un altro convcrtito. Dovrai aggiornare la lista.La tua ennesima rinascita sembra dare ragione a Trapattoni, quando dice che il lavoro serio, fatto con coscienza e passione, alla fine paga sempre. Proprio un altro che avevano definito bollito, che poteva allenare solo all'estero, e che ora è il et, indiscusso e osannato, della Nazionale...Non mi far parlare di questo, anche se ci sarebbe molto da dire. Comunque è vero, il lavoro duro, onesto, paga sempre. Ci vuole passione per quello che si fa, coscienza del proprio valore.E gioia. Sì, la gioia di fare una cosa che ci piace fare. Una fortuna che pochi hanno, nella vita. In fondo, questa miscela di passione ed entusiasmo è alla base di una vita consapevolmente felice.A fine stagione, si è parlato nuovamente di un tuo trasferimento importante, ma sei rimasto a Brescia.Non c'era motivo di andarsene, a Brescia mi sono trovato bene, sto bene, e ho un

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contratto da onorare. Finché c'è Mazzone, sto tranquillo.Però a inizio stagione Mazzone se n'era andato, per problemi con le frange violente della curva.Se andava via lui, andavo via anch'io.L'obiettivo resta sempre il Mondiale?Ora più che mai. Voglio fare un grande campionato con il Brescia, e arrivare a giocare il Mondiale. Ho iniziato bene, non mollerò certo adesso la presa. Oltretutto, si giocherà in Giappone.Credo si sia abbondantemente capito, cosa significa giocare in questo Paese, per me.Andrai comunque in Giappone durante i Mondiali?Sì, con la mia famiglia, per incontrare nuovamente Ikeda.Ma, come ho promesso al mio Maestro, oltre che a me stesso, io in Giappone non voglio andarci da turista, ma da calciatore della Nazionale azzurra.Cosa sei disposto a fare per raggiungere quest'ultimo sogno, per molti impossibile da realizzare?Tutto ciò che è possibile, anche di più. Sono pronto ad andare oltre me stesso, non mi pongo limiti prestabiliti. So che è un sogno difficile da realizzare, ma non sono proprio questi i sogni più belli? Io voglio vivere senza rimpianti. Se non ci avessi provato, avrei avuto rimpianti per tutta la vita. Sto facendo di tutto per presentarmi al massimo della forma nella primavera del 2002. Se poi non basterà, pazienza. Ma potrò dire di averci provato, questo sì.Lo sai che sei uno strano tipo? Mai visto uno più umile e, al tempo stesso, più orgoglioso di te, consapevole del proprio destino e delle proprie possibilità.L'hai detto tu, hai detto bene. Sono proprio uno strano tipo.Corioniha fatto le cose in grande. Giunti, Toni, Guardiola...Sono arrivati ottimi giocatori, siamo un gruppo unito, faremo un buon campionato. Non a caso abbiamo debuttato bene. E poi abbiamo un certo Carletto Mazzone, il nostro valore aggiunto.Un po' nervosetto, ultimamente.Non direi. Ha solo reagito a suo modo, con la sincerità che lo caratterizza, ai pesanti insulti razziali di una minoranza di tifosi dell'Atalanta. Non lo condanno di certo, per questo. Avevamo appena segnato il 3-3, era un derby sentito, la curva atalantina non ha mai smesso di offenderlo da quando è a Brescia.Lo capisco.Ma tu non ti sei mai lasciato andare a certi sfoghi.Ho un altro carattere. Mazzone è molto più estroverso.Quando tornai al "Franchi" per la prima volta da juventino, me ne dissero di tutti i colori. Ammetto che faticai molto a non reagire.Mazzone lo ha fatto. Può permetterselo, dall'alto di una carriera esemplare. Lo hanno insultato per le sue origini romane.Non condanno certo lui, ma la pratica dell'insulto, che è grave tanto quanto la violenza fisica.Mazzone ha detto che la colpa del suo sfogo è di quel "monello" disaggio.Sì, lo ha detto anche a me. E' perché ho fatto tre reti, in quella partita, anche se a dire il vero il terzo gol me l'hanno regalato.

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Vuoi sapere una cosa? Io non mi ero accorto della sua corsa verso la curva, in campo. Ero troppo preso ad esultare. Ho visto la scena in televisione, devo dire che vederlo correre in quel modo mi ha fatto ridere. Mazzone è simpatico anche quando si arrabbia. E' proprio un grande.E Raggio? Anche lui resta grande, a giudicare dalle prestazioni di questo inizio stagione.Sto bene, sia mentalmente che fisicamente. I risultati arrivano di conseguenza.E il Mondiale non è più un miraggio.Per me non lo è mai stato. Io ci credo.Eppure, potrebbe dire qualcuno, il gruppo è già di buon livello, magari un personaggio del tuo spessore andrebbe a rovinare gli equilibri della squadra, come si disse per Vialli nel '94...Io credo che ai Mondiali debba andarci chi ha dimostrato di meritarlo sul campo. Il resto sono chiacchiere.La pensa così anche Trapattoni, ma non tutti gli azzurri sembrano convinti che una tua convocazione sarebbe vissuta bene nel gruppo. Cannavaro ha detto che la tua presenza nel '98 innervosì Del Piero.Io non ho innervosito Del Piero, anzi, l'ho aiutato. Erano altri, per primi i giornalisti, a fare forti pressioni su di lui.E Totti? Ha detto che, se verrai convocato, dovrai accettare di essere il ventitreesimo.Io non ho mai chiesto trattamenti di favore. E' da una vita che mi dicono di fare il dodicesimo di lusso, posso anche fare il ventitreesimo. Mi interessa solo fare bene quest'anno. E dipende solo da me. Di Trapattoni mi fido, Totti non ha nulla da temere.Merita il Pallone d'oro?E' un campione, ha tutte le carte in regola per ambire al premio. Ha tempo per vincerlo.Cosa temi di più, per questa stagione?Gli infortuni. Guarda Chiesa. Quando si è fatto male, era l'attaccante più in forma del momento.Il tuo sogno più grande, quindi, resta la tua partecipazione al Mondiale in Giappone?No, quello è il mio sogno sportivo. Importante, molto importante, ma non quanto il mio più grande sogno. Da sempre.Quale, allora?Vorrei, anzi no, voglio aiutare i bambini, gli indifesi. Restituire la gioia agli occhi degli innocenti, che nulla chiedono se non il rispetto della loro dignità umana. Pensa soltanto agli occhi dei bambini. Ecco, io vorrei aiutare quegli occhi a essere luminosi.Sì, questo è il mio sogno più grande.

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Il calcio che vorrei

Il grande fiume Gange ha inizio da una sola goccia.Anche l'eterno viaggio per la pace comincia da un passo.E' importante dunque fare il primo passo con coraggio!Poi dobbiamo continuare ad avanzare con fermezza!Daisaku Ikeda

Un calcio con poche regole, chiare, da rispettare e far rispettare con rigore. Un calcio spontaneo e colorato, che si possa giocare da bambini e da ragazzi, insieme. Che si possa vedere al vecchio stadio con il babbo e con gli amici, senza rischiare la vita.Un calcio che diverta ed emozioni, che ci faccia sognare. Senza procuratori onnipotenti, presidenti pigliatutto, allenatori sergenti, accordi sottobanco, strane medicine. Un calcio vigoroso che non conosca più violenza, in campo e fuori. Un calcio dove l'ultimo dribbling, oltre il portiere, è ragione di gioia e speranza di vita.Questo è il calcio che vorrei.Confermi che quella in corso sarà la tua ultima stagione?Sì, dopo il Mondiale dovrei chiudere. Che lo giochi o meno.Anche se mi lascio un margine di ripensamento. Se a fine anno sto bene, posso anche prenderci gusto e rinviare il ritiro. li fa paura smettere di giocare?Ogni partita che gioco, è una partita in meno di quelle che mi restano. Questo l'ho sempre saputo. E' una cosa che ho ben chiara tutte le volte che entro in campo, e che non mi rattrista più di tanto. L'ho detto, sono fatalista, anche questo fa parte della vita. Per come ero messo a 18 anni, non posso che essere felice. Il giorno che non ce la farò più a dare il meglio di me, dirò basta. Non sopporterei un crepuscolo triste della mia carriera.Comunque, te lo ripeto, sarò io a decidere quando dire basta.Cosa credi che ti abbia spinto a giocare fino ad ora?Facile: la passione, e la gioia. E alla passione non si comanda.Quando hai una passione, fai le cose e non ne senti il peso. Il problema grosso comincia quando diventi professionista.Cosa cambia?Cambia che la passione diventa soprattutto lavoro, e affare.Cambia tutto. La mia fortuna, in un mondo del calcio che va sempre peggio, dominato dal business e dai santoni, è avere mantenuto accesa la fiamma della passione. Questo mi ha salvato.Il giudizio che dai del calcio di oggi non è positivo, ami.L'entusiasmo che avevi da ragazzine te lo puoi scordare, in un calcio così. Perfino la passione che ho conservato da adulto l'ho dovuta frenare, addomesticare, altrimenti mi stritolavano. Se m'intestardivo a dare ascolto soltanto a quello che sentivo dentro, mi dicevano che il mio posto era il circo... E se io perdo sul serio la gioia, il gusto di

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quello che faccio, perdo il senso della vita, il senso di tutto.Se tu fossili presidente della A5 e Federcalcio, cosa faresti?Non sarò mai presidente della Federcalcio, quindi parliamo in via del tutto teorica. Comunque, credo che porrei un freno alle uscite, per sanare i bilanci ed evitare che le società vadano dritte verso il collasso. Ridimensionerei il potere dei procuratori, e di tutte quelle coorti di gente che lucrano sui calciatori. Metterei un tetto limite per gli stranieri, per valorizzare i nostri vivai.Esattamente l'opposto di quello che si fa oggi, dove basta che qualche grande club voglia abbattere il limite per gli extracomunitari, e questo magicamente avviene, magari a stagione in corso...E' successo l'anno scorso, ne ha beneficiato anche la Roma.Pensa se quella cosa lì l'avesse fatta un piccolo club come il Erescia: ci avrebbero massacrato. Comunque, quando si arriva al punto di cambiare una regola a macchina in corsa, vuoi dire che non c'è più giustizia certa. Tutto questo è dannatamente pericoloso.E il problema doping?Mi sconvolge. Ho una paura matta, non hai idea. Io non so quanto circoli nel calcio, di sicuro c'è chi ne fa uso. So solo che, in una situazione così intricata, confusa, a passare per drogati non ci vuole niente. Quando, la scorsa stagione in trasferta, ho mandato uno giù al bar per prendermi un caffè, mi sono subito chiesto: e se, durante il tragitto, qualcuno mi mette chissà quali sostanze dentro la tazzina? Voglio dire, ti rendi conto qual è il rischio per noi calciatori? Siamo costretti a fidarci. Se qualcuno vuole, ci frega come e quando crede. Poi vaglielo a dire, alla gente, al pubblico, a chi ti conosce, che non hai preso niente, mai, in tutta la tua carriera. Per tutti, passerai per drogato. Sì, il problema doping mi angoscia. E non voglio parlare del rischio salute. Rischio di prendermela troppo, al solito.Sei pessimista, per lo sviluppo che potrà avere il calcio nel futuro?E' difficile che il calcio torni indietro: ormai le cose andranno sempre peggio. Ci sono troppi interessi economici: il calcio evaporerà, perderà progressivamente il suo profumo, il suo fascino.Prendiamo il grande progetto che sta ribollendo nel calderone della Lega: la Coppa dei Campioni europea per Grandi Club.Sarà un successo, verrà seguita da milioni di persone, ma il resto?Il resto è destinato a sprofondare nell'oblio. Il destino del calcio mi appare buio: si rischia che nessuno vada più a vedere i campionati minori. Il business e i grandi interessi economici hanno rovinato sempre tutto. Sono i soldi a guastare i rapporti, a rovinare le amicizie. Figuriamoci se non distruggono anche i sogni, i sentimenti, le illusioni. La triste verità è che, se sei un professionista, non puoi permetterti il lusso della passione: devi seguire le regole, altrimenti diventi un eretico, una voce fuori dal coro, e vieni stritolato dalla ruota degli eventi, concatenati tra loro. Purtroppo, come ho già detto, a fare il nostro mestiere, ti passa anche la voglia di parlare. E' l'unico modo per difendersi dalla banalità: non ce la faccio a sottopormi sempre alle stesse domande. E quando lo faccio, e mi nascondo, vengo rimproverato. Vedi Baggio? Dopo tanti anni, si vede che ancora non ha imparato, non è proprio un buon professionista. Strano discorso.

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Pensare che io stesso mi rimprovero di tante cose, non certo di essere un buon professionista. Forse è meglio che cominci, prima che sia troppo tardi, chissà.Garrincha diceva che il calcio è fantasia.Mane aveva ragione e giocava come pochi, ma era tanto tempo fa. Il calcio che vorrei sarebbe proprio quello della poesia, genuinità, istinto naturale. Uno sport per adulti che hanno ancora la testa da bambini, i sogni dell'infanzia, la voglia di divertire e divertirsi. Purtroppo, tutto questo non è possibile. Neppure i protagonisti del calcio sanno più divertire.Ti riferisci ai calciatori?Anche. Di campioni veri ce ne sono sempre meno, ma non è neppure colpa dei calciatori. Il calcio è ormai una questione di muscoli, di preparazione atletica. Se uno azzarda un dribbling di troppo, anche solo in allenamento, viene sbattuto subito in panchina. Se fossero tutti come Mazzone, ci sarebbe da sperare, ma Mazzone ha 62 anni, viene da un altro calcio, è anche lui una mosca bianca.I più grandi calciatori di ogni epoca.Pelé, Maradona e Roberto Baggio.Però... tra le tante doti che possiedi, c'è anche la modestia.Ma no, dai... Pelé e Maradona sono di un altro pianeta.[In realtà Roberto Baggio è risultato terzo assoluto nel sondaggio mondiale promosso dalla FIFA, ndr\.Io faccio parte del gruppo degli inseguitori. Un bel gruppo, direi.[Primo assoluto tra i giocatori in attività, il gruppo degli "inseguitori" è costituito da giocatori come Di Stefano, Puskas, Cruijff, Beckenbauer, Rivera..., ndr\.Che futuro ti attende?Non so. Mi piacerebbe insegnare calcio ai bambini, nelle scuole-calcio, proprio per difendere i più giovani dal business, dalla routine del calcio che trasforma la passione in un peccato. Sì, allenare i bambini mi piacerebbe molto. Se ci saranno i presupposti, forse lo farò. I bambini mi sono sempre piaciuti.E l'allenatore di professione?Oh, potrei risponderti con una battuta facile facile, dicendoti che, se certi soggetti allenano, lo posso fare benissimo anch'io.Ma, appunto, sarebbe una battuta. Non lo so. Allenare professionalmente, al momento, non è in cima ai miei pensieri. Ho una gran voglia di stare con la famiglia, gli amici, i miei affetti. Ho voglia di contemplare la natura, di dedicare tempo a me stesso e agli altri. Credo che farò una vita appartata, lontano dal frastuono, dai luccichii ingannevoli. Come sempre ho fatto. Cercherò d'essere d'aiuto a me stesso e, soprattutto, ad altri.Che immagine vorresti che serbasse di te la gente?L'immagine di una bella persona, coerente con se stessa, che ha provato a divertire le persone con la cosa che più gli piaceva al mondo. E l'ha fatto provando testardamente, continuamente, ogni giorno, a superare i suoi limiti iniziali e naturali. Dando tutto quello che aveva dentro.

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Nel flusso vitale

Ci sono momenti Ci sono momenti di sofferenza o tristezza, o giornate come pugnalate al cuore, quando hai questi momenti, prova a bussare alla porta del mio cuore la mia vita e il mio cuore sono sempre aperti per te.Queste orecchie possono ascoltare qualsiasi cosa in ogni momento.Anche questi occhi hanno accumulato tante lagrime per piangere con te.Quando sei gioioso non c'è bisogno di parlare, io lo capisco vedendo il tuo viso.Invece quando senti tristezza, solitudine o voglia di allontanarti, parla con me di tutte queste cose.Io carico sulle mie spalle la metà del peso della tua sofferenza.Andiamo avanti insieme.Questa è la nostra strada fino a quando continuerà la nostra amicizia.Daisaku Ikeda

Siamo ancora in questa stanza, quella che ha visto nascere questo racconto. Le anatre di legno, laccate e colorate ci fissano. Da ogni parte. E' casa mia. Sto bene, qui.Ho parlato molto. Troppo, forse. Non è stato facile. Ho parlato della mia vita, dei miei sogni. Ho parlato di futuro. Un futuro che vorrei si chiamasse Giappone, Mondiali.Ma il sogno più grande che ho è di veder cessare, una volta per tutte, il vento di guerra. E vedere l'innocenza intatta nello sguardo di un bambino. Felice della vita che lo attende, come felice ero io, quando sognavo la vita che poi è stata.E' appena finito un settembre nero, Settemila vittime innocenti ci pesano addosso. Spirano venti di guerra. Come vive questa situazione uno come te?Con rabbia, con pietà infinita. E angoscia, io che quasi non la conoscevo più. Che lo spirito ci illumini, tutti.Cosa vuoi dire?Il compito dell'umanità non è il puro raggiungimento di una pace "passiva" o, meglio, dell'assenza di guerre. Come dice il mio maestro Daisaku Ikeda è necessaria una profonda trasformazione delle strutture sociali che minacciano la dignità umana, ma ancora più vitali sono gli sforzi creativi degli individui per sviluppare una cultura della pace che sia veramente libera da condizionamenti e imposizioni religiose.La profondità e la complessità dei problemi da affrontare sono scoraggiami. Per quanto possa essere difficile capire da dove cominciare o cosa fare, non dobbiamo mai cadere nel cinismo o nella paralisi. Ognuno di noi deve iniziare ad agire nella direzione che ritiene giusta. Dobbiamo resistere alla tentazione di adattarci alle circostanze attuali, e accettare la sfida di creare una nuova realtà.Lo spirito umano è capace di trasformare anche le situazioni più difficili. Ognuno di noi deve fare la sua parte dov'è, dove può, come può. Creare una cultura della pace e del dialogo, oltre ogni apparente speranza. La gente comune sarà la protagonista di

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questa grandiosa avventura.

Quel giorno, a Yokohama

Come passano rapidamente i giorni!Non sappiamo quanto poco ci resta da vivere, gli amici cari con i quali ammiriamo la fioritura dei ciliegi una mattina di primavera, sono spazzati via assieme ai fiori del vento deirimpermanenza, lasciando di sé nient'altro che i loro nomi.Benché i fiori siano scomparsi, la prossima primavera sbocceranno ancora; ma quando rinasceranno quelle persone?Nichiren Daishonin, Scritti

Per me, i sogni sono necessità. Per me, i sogni sono obiettivi.Quando penso ai sogni, agisco. E' il mio modo di vedere le cose. I miei sogni si chiamavano famiglia, calcio, pace interiore. Ho raggiunto tutto, a modo mio. Eppure ho ancora fame. Continuo a sognare. Che, poi, è agire.Sogno il Mondiale in Giappone. Lavoro per raggiungerlo. Se mi chiedete se ce la farò, vi dico che sì, con un po' di fortuna e salute, forse ce la farò.Lotto per non perdere quello che ho già. La gioia di vivere, la passione di sfidarmi. E sogno di avere un karma positivo. Di vivere amando gli altri, di andarmene senza rimpianti, di rinascere forte di un passato vissuto nella conoscenza, nella saggezza, nella compassione.Non ho chiesto profezie al mio Maestro, anche se so che lui, certe cose, le sa già. Ma io no, non voglio saperlo. E' giusto così.La mia vita, voglio viverla sempre così, creandola, giorno per giorno. llbuddhismo mi ha insegnato che tutto dipende da me. Io ci ho messo la gioia e la passione. Sarò io, a determinare tutto questo.E se la mia vita somiglia a un sogno, e a un sogno somiglierà, vorrà dire che qualcosa di speciale ci avrò messo davvero.Nel brusio ancora sommesso del grande alveare, risuonavano internamente le parole antiche: "Le mie parole, o monaci, debbono essere verificate e accettate dai savi così come l'oro, che viene riscaldato, spezzettato e provato, non certo per riverenza verso di me". Così aveva parlato Shakyamuni, l'Illuminato, il 'Buddha.Quelle par ole erano state farina e lievito e sale, pane di vita, dunque, da molti anni per me. E la Buddhità si era risvegliata in me, avevo avuto gioia e dolore, avventura e speranza. Prove, anche, prove che talora mi erano sembrate troppo dure, delusioni feroci.La prima beffa grande, la seconda beffa grande, la terza beffa grande.... Tre Mondiali di calcio vissuti da protagonista, e persi tutti, beffardamente, imperscrutabilmente ai rigori. E pensare che i desideri terreni sono illuminazione. Io

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voglio vincere questo Mondiale. Lo voglio con tutto il mio spirito, con tutto me stesso. E', insieme, un forte diritto, un sacro dovere. Suonano purissime le parole di Nichiren Daishonin, autentico Buddha dell'Ultima Ora: "Tu stesso, Roberto, sei un vero Buddha, che possiede le tre virtù dell'illuminazione. Recita ancora, e sempre, Nam Myoho Renge Kyo, con questa convinzione. Allora il luogo dove vivi e reciti Daimoku è il luogo della Torre Preziosa".Il luogo dove vivo e recito Daimoku sono i pulitissimi spogliatoi del nuovo, enorme stadio di Yokohama. Sono seduto su una panca di lato, prego mentalmente, e intanto guardo i giocatori titolari della Nazionale italiana di calcio, gli azzurri, che, tesi, rifiniscono il loro riscaldamento prepartita. Vicino a me Gigi Riva, maschera azteca rigidamente incisa, mira la scena e non apre bocca. Che sente montare nel petto d'atleta la stessa marea di trentadue anni prima, finale dei campionati del mondo, Italia 1 Brasile 4.Mi tocco dietro la testa, ci passo la mano. E' leggermente sudata, non trova il mio codino leggendario. Sacrificato a un pegno d'amore, a un sogno impossibile. Scomparso tra ninfee candide e fiori di loto. Nam Myoho Renge Kyo. Ilo davanti il cristiano Trapattoni, che sembra un vecchio ghepardo, pronto a scattare nella caccia serale. Li guarda, mi guarda. Un sorriso che è un ghigno, o un ghigno che è un sorriso?Onesto, intramontabile, sano come un pezzo di pane azzimo.Inflessibile e implacabile, devo riconoscere, nella sua umanità.In questo nostro cammino tortuoso e tormentato, meritato alla finale, mi ha fatto entrare in campo tre volte, per un totale esatto e complessivo di cinquantadue minuti. Cinquantadue lampi azzurri per me, cinquantadue momenti vitali. E stato onesto, il vecchio Trap, come sempre. Ha rispettato gli impegni presi, ha onorato la parola a suo tempo data. "Giocherai solo se sarai in forma perfetta, se sarà assolutamente necessario, se ciò rispetterà gli equilibri di squadra. Se sarà così, giocherai". E così è stato.Cinquantadue minuti, cinque assist, due gol spettacolari offerti ai miei compagni, entrambi decisivi. Non mi posso lamentare.Sono contento, sono sereno e appagato. Ho onorato il patto, ho dato tutto quello che potevo nei limiti ristretti e contingenti, ho portato il mio contributo."Bevendo l'essenza del ritiro dalla vita mondana e l'essenza della tranquillità, egli è libero dal timore e dal male, e assapora l'essenza della gioia del dharma", così penso e sento, in questo momento. Poco fa, Giovanni mi ha annunciato che mi porterà in panchina, e il cuore mi è balzato in petto come un capriolo per la gioia...Nam Myoho Renge Kyo...Sono carico di energia, positiva. Sono intenso e fluido e concentrato.Sono pulito, già felice. Ho già vinto. Nulla mi può intaccare, nulla di male mi può accadere. Ora capisco, ora ho capito.Nam Myoho Renge Kyo...E pensare che l'erba è sempre verde, morbida, tagliata rasoterra, come piace a me. Il portento si realizza ogni volta che qualcuno rende omaggio al Su tra del Loto, ricordatelo. In quell'istante supremo, l'uomo mortale, e comune, è il Buddha Shakyamuni, è il Buddha Tao, è tutti i Buddha dell'universo e la Torre Preziosa si

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innalza gigantesca dentro la sua vita. Lo voglio, lo posso fare, lo farò.Sarà un tiro violento, a mezz'altezza, alla destra del portiere.Sarà un tiro teso, leggermente dal basso verso l'alto. Sarà un gol mancino, di collo pieno.Sentirò la vittoria fluire in me, e da me, fresca e vitale, rifluire su tutti gli astanti. Il Maestro guarderà dalla tribuna, e una piccola perla scivolerà giù per la guancia."Quando, entrando in contatto con gli eventi del mondo, la mente di una persona non vacilla, rimane priva di dolore, tersa, quieta. Questa è la grazia suprema. Avendo realizzato tali cose, restando vittoriosi in ogni circostanza, essi vanno ovunque, privi di pericoli. Questa è, per loro, la grazia suprema".

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Imprese e numeri di una vita: di Elio Barraco

Questa è, per me, la grazia suprema.

Statistiche aggiornate al 28 ottobre 2001, Roberto Baggio ha dato il via all'attività di calciatore professionista nel Vicenza, nelle cui file ha fatto il suo debutto in campionato - nel girone A della C1 - il 5 giugno 1983 a sedici anni appena compiuti: 0 1 in casa contro il Piacenza. Era l'ultima giornata.Tre stagioni in biancorosso poi, nell'estate 1985, il passaggio alla Fiorentina. A causa di un grave infortunio, però, la sua avventura nella massima serie è cominciata soltanto un anno dopo. Roberto Baggio ha esordito infatti in serie A il 21 settembre 1986, nella seconda giornata, in occasione della prima partita interna della Fiorentina. L'allenatore viola era Eugenio Bersellini, l'avversaria di turno la Sampdoria di Roberto Mancini. Baggio scese in campo fin dal primo minuto con la maglia numero 10.La Fiorentina vinse per 2-0 con una doppietta di Ramon Diaz.Ma un altro serio infortunio lo costrinse subito a un nuovo lungo stop. Baggio tornò in campo solo sette mesi più tardi, il 26 aprile a San Siro contro l'Inter (0 1), schierato nell'ultimo quarto d'ora al posto di Alberto Di Chiara. Era la ventisettesima giornata. Le successive tre gare le giocò da titolare, col numero 11 sulle spalle, accanto ad Antognoni. Il primo gol in A il 10 maggio 1987: lo realizzò al "San Paolo" contro Garella (Napoli-Fiorentina 1 1).Quattro campionati in viola, poi la scelta di giocare nelle grandi: Juventus, Milan e Inter, nell'ordine, con una parentesi - peraltro felice - a Bologna. L'anno scorso, infine, la decisione di trasferirsi a Brescia. Questo il suo curriculum in campionato: Stagione società serie 1982-83 Vicenza CI1983-84 Vicenza CI1984-85 Vicenza CI1985-86 Fiorentina A1986-87 Fiorentina A1987-88 Fiorentina A1988-89 Fiorentina A1989-90 Fiorentina A1990-91 Juventus A1991-92 Juventus A1992-93 Juventus A1993-94 Juventus A1994-95 Juventus A1995-96 Milan A1996-97 Milan A1997-98 Bologna A

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1998-99 Inter A1999-00 Inter A2000-01 Brescia A2001-02 Brescia A

gare reti V P S1 0 0 0 16 1 2 2 229 12 11 15 35 1 2 2 127 6 8 9 1030 15 11 9 1032 17 7 14 1133 14 12 11 1032 18 18 11 327 21 12 9 632 17 15 13 417 8 11 2 428 7 16 9 323 5 5 10 830 22 10 12 823 5 10 5 818 4 8 3 725 10 7 12 68 8 3 4 1

Tot. 426 191 168 152 106

LEGENDA: V vittoria; P pareggio; S sconfitta.

La Juventus è la squadra con la quale ha totalizzato il maggior numero di presenze e il maggior numero di gol: rispettivamente 141 e 78. Il riepilogo per campionato e per squadra: gare reti V P S

Serie CI 36 13 13 17 6Serie A 390 178 155 135 100Juventus 141 78 68 46 27Fiorentina 94 39 28 34 32Milan 51 12 21 19 11Inter 41 9 18 8 15Vicenza 36 13 13 17 6Brescia 33 18 10 16 7Bologna 30 22 10 12 8

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Gli allenatori Da Mazzia con il Vicenza, a Mazzone con il Brescia, sono diciassette gli allenatori che hanno utilizzato Baggio in campionato. Nell'elenco manca Agroppi, che nel 1985-86 potè schierare l'allora giovanissimo talento vicentino solo in Coppa Italia (il primo grave infortunio al ginocchio gli fece saltare l'intero campionato).Pochi i cambi di panchina vissuti da Robi: il tourbillon più clamoroso con l'Inter nel 1998-99, stagione nella quale alla guida dei nerazzurri si avvicendarono ben quattro tecnici. Il quadro: Mazzia, Giorgi, Giorgi, Agroppi (Baggio, infortunato, salta l'intero torneo)Bersellini, Eriksson, Eriksson, Giorgi, dalla 3 la giornata Graziani Maifredi Trapattoni, Trapattoni, Trapattoni, Lippi, Capello, Tabarez, dalla 12a giornata Sacchi, Ulivieri, Simoni, dalla 12a giornata Lucescu, dalla 27a Castellini, dalla 31a Hodgson.Lippi, Mazzone, Mazzone 1982-83: Vicenza (CI)1983-84: Vicenza (CI)1984-85: Vicenza (CI)1985-86: Fiorentina (A)1986-87: Fiorentina (A)1987-88: Fiorentina (A)1988-89: Fiorentina (A)1989-90: Fiorentina (A)1990-91: Juventus (A)1991-92: Juventus (A)1992-93: Juventus (A)1993-94: Juventus (A)1994-95: Juventus (A)1995-96: Milan (A)1996-97: Milan (A)1997-98: Bologna (A)1998-99: Inter (A)1999-2000: Inter (A)2000-01: Brescia (A)2001-02: Brescia (A)

Dei diciassette allenatori in questione, Trapattoni è quello con cui Baggio ha giocato il maggior numero di partite di campionato: 91. In questa particolare graduatoria l'attuale et azzurro precede Giorgi ed Eriksson. Il dettaglio: Trapattoni 91; Giorgi 64; Eriksson 57; Lippi 35; Maifredi e Mazzone 33; Ulivieri 30; Capello 28; Sacchi 14; Lucescu 12; Tabarez 9; Bersellini e Simoni 5; Castellini, Graziani e Hodgson 3; Mazzia 1.

Le reti in campionato Il primo gol in campionato Roberto Baggio lo ha realizzato diciassette anni fa, il 3 giugno del 1984 in Ci, guarda caso proprio contro il Brescia,

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su rigore. Giocava nel Vicenza. Il record personale lo ha stabilito con il Bologna di Ulivieri nel 1997-98: 22 reti. Ecco, in ordine cronologico, l'elenco dei 191 gol - 13 serie C, 178 serie A - che ha segnato in campionato sino allo scorso 28 ottobre.1982-83 (Ci) -VICENZA: nessuna rete 1983-84 (CI) -VICENZA: 1 rete Partita Vicenza-Brescia 1984-85 (CI) -VICENZA: 12 reti Partita Rondinella-Vicenza Vicenza-Modena Pistoiese-Vicenza Vicenza-Rimini Vicenza-Legnano Vicenza-Pavia Carrarese-Vicenza Vicenza-Rondinella Vicenza-Reggiana Rimini-Vicenza 1985-86 (A) - FIORENTINA (nessuna partita) reti 3-0 KR)12 reti09 reti 1-2 2 (IR)2-2 KR)0-2 13-0 ree. 21-1 KR)2-1 KR)4-4 KR)1-0 KR)3-0 KR)2-1 1 giornata e data 34ag.-03.06.1984 giornata e data 2 ag.-30.09.19845ag.-21.10.19849ag.-18.11.198412 ag.-19.12.198414 ag.-23.12.198416ag.-13.01.198517 ag.-20.01.198519ag.-10.02.198524 ag.-17.03.198529ag.-05.05.19851986-87 - FIORENTINA: 1 rete Partita Napoli-Fiorentina 1-1 reti giornata e data 129ag.-10.05.1987LEGENDA: il segno R indica gol su rigore.

1987-88 - FIORENTINA: 6 reti Partita Milan-Fiorentina0-2Torino-Fiorentina 2 -1Pisa-Fiorentina 2 -1Pescara-Fiorentina 1-1Fiorentina-Ascoli 1-0Juventus-Fiorentina 1-2 reti giornata e data 1 2 ag.-20.09.19871(R) 6ag.-25.10.19871 10ag.-29.11.19871(R) 22 ag.-13.03.19881 27 ag.-24.04.19881 30ag.-15.05.19881988-89 - FIORENTINA : 15 reti Partita Fiorentina-Ascoli* 2 -1Cesena-Fiorentina 0-3Fiorentina-Torino 2 -1

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Fiorentina-Pescara 3 -2Verona-Fiorentina 2-1Fiorentina-Lazio 3 -OFiorentina-Juventus 2 -1Fiorentina-Inter 4-3Fiorentina-Cesena 4-1Atalanta-Fiorentina 0-1Fiorentina-Comò 3-1* giocata a Pistoia reti giornata e data 1 2ag.-16.10.19882 3 ag.-23.10.19881(R) 4 ag.-30.10.19882 (IR) 9ag.-11.12.19881(R) llag.-31.12.19881 12 ag.-08.01.19891(R) 13 ag.-15.01.19891 17 ag.-12.02.19892 (IR) 20ag.-05.03.19891 22 ag.-19.03.19892 (IR) 27 ag.-07.05.19891989-90 - FIORENTINA : 17 reti Partita Bari-Fiorentina 1-1Fiorentina-Lazio * 1-0Napoli-Fiorentina 3-2Fiorentina-Samp 3-1Fiorentina-Ascoli 5 -1Fiorentina-Inter 2-2Fiorentina-Bari 2-2Fiorentina-Juventus 2-2Fiorentina-Milan** 2-3Fiorentina-Lecce** 3-0 reti giornata e data 1 lag.-27.08.19891(R) 4 ag.-10.09.19892 (IR) 5ag.-17.09.19891 9ag.-22.10.19893 12-g.-19.11.19891(R) 16ag.-17.12.19891(R) 18ag.-07.01.19901(R) 20ag.-17.01.19901(R) 23 ag.-04.02.19901(R) 25 ag.-18.02.1990

Ascoli-Fiorentina 2-1Fiorentina- Verona 3-1Fiorentina-Atalanta 4 -1* giocata a Pistola ** giocata a Perugia 1990-91 - JUVENTUS: 14 reti Partita Parma-Juventus 1-2Juventus-Atalanta 1-1

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Cesena-Juventus 1-1Juventus-Inter 4-2Bologna-Juventus 0-1Juventus-Roma 5-0Torino-Juventus 1-1Pisa-Juventus 1-5Juventus-Parma 5-0Juventus-Bologna 1-1Juventus-Pisa 4-21991-92 -JUVENTUS: 18 reti Partita Juventus-Bari 2-0Juventus-Inter 2-1Juventus-Parma 1-0Cagliari-Juventus 1-1Juventus-Foggia 4-1Juventus-Atalanta 2-1Juventus-Genoa 3-0Juventus-Napoli 3-1Cremonese-Juventus 0-2Juventus-Ascoli 1-0Roma-Juventus 1-1Inter-Juventus 1-3Verona-Juventus 3 -31(R) 29ag.-18.03.19902 (IR) 32ag.-14.04.19901 34 ag.-29.04.1990 reti giornata e data 1(R) lag.-09.09.19901(R) 2 ag.-16.09.19901(R) 3 ag.- 23.09.19901(R) 7 ag.-28.10.19901(R) 8ag.-11.11.19901 9ag.-18.11.19901 12 ag.-10.12.19902 16ag.-13.01.19912 18ag.-27.01.19911(R) 25 ag.-17.03.19912 33 ag.-19.05.1991 reti giornata e data 1(R) 5 ag.-29.09.19911(R) 13 ag.-08.12.19911 15 ag.-05.01.19921 16ag.-12.01.19923(2R) 19 ag.-02.02.19921 21 ag.-16.02.19922 23 ag.-01.03.19922(2R) 24 ag.-08.03.19921 25 ag.-15.03.19921(R) 28 ag.-12.04.19921 29 ag.-18.04.1992

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2 (IR) 30ag.-26.04.19921 34 ag.-24.05.1992

1992-93 - JUVENTUS: 21 reti Partita Napoli-Juventus 2-3Juventus-Ancona 5-1Juventus-Udinese 5-1Juventus-Parma 2-2Juventus-Pescara 2-1Lazio-Juventus 1-1Juventus-Cagliari 2-1Roma-Juventus 2-1Milan-Juventus 1-3Juventus-Fiorentina 3-0Juventus-Foggia 4-2Parma-Juventus 2-1Juventus-Lazio 4-11993-94 -JUVENTUS: 17 reti Partita Juventus-Sampdoria 3-1Juventus-Reggiana 4-0Lecce-Juventus 1-1Juventus-Atalanta 2-1Milan-Juventus 1-1Juventus-Genoa 4-0Inter-Juventus 2-2Udinese-Juventus 0-3Cremonese-Juventus 1-1Juventus-Foggia 2-0Juventus-Lecce 5-1Torino-Juventus 1-1Atalanta-Juventus 1-3Juventus-Lazio 6-11994-95 - JUVENTUS: 8 reti Partita Cremonese-Juventus 1-2Juventus-Milan 1-0 reti giornata e data091 5'g- -04.10.19922 8'g. -01.11.19924 9'g. -08.11.19921 14' g. -03.01.19932 16' g. - 17.01.19931 17' g- -24.01.19931 18" g. -31.01.19931 2l' g. -28.02.19931 28" g. -17.04.1993KR) 29' g. -25.04.19933 30' g. -09.05.19931 3l'g. -15.05.19932(2R) 34' g. -06.06.1993 reti giornata e data 1 3ag.-08.09.1993

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1 5ag.-19.09.19931(R) 6ag.-26.09.19931(R) 8ag.-17.10.19931(R) 9ag.-24.10.19933(2R) 10ag.-31.10.19931 13ag.-28.11.19931 17ag.-02.01.19941 18ag.-09.01.19941 21ag.-30.01.19941 23ag.-13.02.19941 24ag.-20.02 19942 (IR) 25ag.-27.02.19941 32ag.-17.04.1994 reti giornata e data 1 7ag.-23.10.19941 8ag.-30.10.1994

Padova-Juventus 1-2 1 llag. -27.11. 1994Juventus -Foggia 2-0 1 23ag.- 12.03. 1995Reggiana-Juventus 1-2 2 27ag.- 15.04.1995Fiorentina-Juventus 1-4 KR) 29ag.- 29.04. 1995Genoa-Juventus 0-4 KR) 31ag.- 13.05. 19951 995-96 -MiLAN: 7 reti 09Partita reti giornata e data Milan -Udinese 2-1 1 2ag.- 10.09. 1995Milan-Atalanta 3-0 1 4ag.- 24.09.1995Fiorentina-Milan 2-2 KR) 15ag.-23.12.1995Milan-Sampdoria 3-0 1 16ag.- 07.01. 1996Milan -Padova 1-0 KR) 18ag. -21.01. 1996Milan -Parma 3-0 1 27ag. -24.03. 1996Milan-Fiorentina 3-1 KR) 32ag.- 28.04. 19961996-97 -MILAN: 5 reti 09Partita - reti giornata e data Milan -Verona 4-1 1 lag.- 08.09. 1996Milan -Perugia 3-0 1 4ag.- 29.09.1996Milan-Napoli 3-1 1 6ag.- 20.10.1996Milan-Inter 1-1 1 10ag.- 24.11. 1996Inter-Milan 3-1 1 27ag.- 13 .04.19971997-98 -BOLOGNA: 22 reti 09Partita reti giornata e data Atalanta-Bologna 4-2 KR) lag.- 3 1.08.1997Bologna-Inter 2-4 2 (IR) 2ag.- 14.09. 1997Bologna-Napoli 5-1 3(2R) 7ag.-02.11.1997Vicenza-Bologna 3-2 1 8ag.- 09.11. 1997Bologna-Sampdoria 2-2 KR) 10ag. -30.11. 1997Bologna-Brescia 2-1 2 (IR) 14ag.- 04.01. 1998Bologna-Bari 4-3 2 (IR) 20ag.-l 1.02. 1998

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Bologna-Piacenza 3-0 1 22ag.- 22.02. 1998Fiorentina-Bologna 1-1 KR) 26ag.- 22.03. 1998Bologna-Milan 3-0 2 (IR) 30ag.- 19.04. 1998Brescia-Bologna 1-3 2 3 lag.- 26.04. 1998Bologna-Empoli 2-2 KR) 32ag.-03.05.1998Juventus-Bologna 3-2 1 33ag.- 10.05. 1998Bologna-Lazio 2-1 2 (IR) 34ag.- 16.05. 19981998-99 -INTER: 5 reti09Partita reti giornata e data Inter-Roma 4-1 1 14ag. -20.12.1998Inter-Venezia 6-2 1 16ag.- 10.01. 1999Inter-Cagliari 5-1 2 18ag.- 24.01. 1999Inter-Empoli 5-1 1 20ag.- 07.02. 19991999-2000 -INTER: 4 reti09Partita reti giornata e data Verona-Inter 1-2 1 18ag.-23.01.2000Inter-Roma 2-1 1 19ag.- 30.01. 2000Inter-Bari 3-0 1 3 lag.- 22.04.2000Cagliari-Inter 0-2 KR) 34ag.- 14.05 .20002000-01 -BRESCIA: 10 reti09Partita reti giornata e data Fiorentina-Brescia 2-2 2 20ag.- 24.02.2001Juventus-Brescia 1-1 1 24ag.- 01. 04.2001Brescia-Reggina 4-0 1(R) 25ag.- 08.04.2001Brescia- Verona 1-0 1 26ag.- 14.04.2001Napoli-Brescia 1-1 1 27ag.- 21.04.2001Brescia-Inter 1-0 1(R) 28ag.- 29.04.2001Lecce-Brescia 0-3 3 (IR) 29ag.- 05.05 .2001200 1-02 -BRESCIA: 8 reti (sino alla nona giornata)Partita reti giornata e data Torino-Brescia 1-3 1(R) 2ag.- 09.09.2001Brescia-Lecce 1-1 1 3ag.- 16.09.2001Brescia-Atalanta 3-3 3 5ag.- 30.09.2001Brescia-Chievo 2-2 1(R) 7ag.- 14. 10.2001Piacenza-Brescia 0-1 1 8ag.- 21. 10.2001Brescia- Venezia 3-2 1(R) 9ag.- 28. 10.2001Gli avversati Baggio ha affrontato 53 squadre in campionato. Il miglior bilancio lo vanta con il Cagliari (nessuna sconfitta in dodici gare), Pisa Como Empoli Padova5 4 4 4 5 2 2 2 2 1 1 3 2 1 3 0 1 2 0 1 il miglior rapporto partite giocate/gol segnati con il Foggia (otto ! Perugia

4 1 2 1 1 reti in sette incontri). Atalanta e Inter i bersagli preferiti. SudVenezia 4 2 2 0 2 diviso per avversarie, ecco il suo ruolino in campionato (serie AVicenza 4 1 2 1 1 e serie C):

Ancona 3 2 2 1 0Modena 3 1 0 2 1

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Squadra gare reti V P S Reggina Jesi 3 2 1 0 2 0 1 20 0

Napoli 23 11 10 8 5 Livorno 2 0 1 1 0Inter 22 12 7 6 9 Pistoiese 2 1 2 0 0Roma 22 5 8 7 7 Rimini 2 3 1 0 1Sampdoria 22 4 6 8 8 Rondinella 2 3 2 0 0Atalanta 21 12 9 8 4 1 \ Sanremese 2 0

0 20Lazio 21 8 6 7 8 1 Spal 2 0 0

1 1Milan 21 7 6 9 6 i Treviso 2 0 2

0 0Parma 17 7 5 6 6 i Asti 1 0

0 1 0Torino 17 5 6 6 5 I Avelline 1 0

1 0 0Fiorentina 16 7 6 5 5 Chievo 1 1 0 1 0Juventus 14 5 2 8 4 Carrarese 1 1 0 1 0Udinese 14 6 6 3 5 ' Legnano 1 1 0 1

0Piacenza 14 2 7 6 1 Pavia 1 1 1 0 0Lecce 13 7 5 6 2 Prato 1 0 0 1 0Verona 13 7 5 3 5 Salernitana 1 0 1 0 0Bari 12 6 5 4 3 Trento 1 0 1 0 0Cagliari 12 5 4 8 0 TOTALE 426 191 168 152

106Cremonese 10 3 7 3 0 09Bologna 9 2 2 3 4 09Genoa 9 6 3 4 2 09Ascoli 7 7 5 1 i 09Brescia 7 5 3 2 2 * 09Cesena 7 5 3 3 1 09Foggia 7 8 5 1 1 09Reggiana 7 4 5 2 0 09Pescara 6 5 3 2 òi 09Gli spareggi Per due volte Baggio ha dovuto fare gli straordinari in campionato, in occasione di due spareggi per l'ammissione alle Coppe europee. Li ha disputati a distanza di undici anni l'uno dall'altro, il primo nel 1989 con la Fiorentina contro la Roma per un posto in Coppa Uefa e il secondo nel 2000 con l'Inter contro il Parma per un posto in Champions League: li ha vinti entrambi segnando anche due reti. Ai giallobl- emiliani. I due tabellini: Stagione 1988-89 spareggio per un posto in Uefa Perugia, 30 giugno 1989Fiorentina-Roma 1-0Fiorentina: Landucci, Mattei, Carobbi; Dunga, Battistini, C.

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Piu (38'st Calisti); Salvatori, Cucchi, Pruzzo (17'st D. Pellegrini), Baggio, Di Chiara. Ali. Eriksson.Roma: Tancredi, Tempestilli, Nela; Manfredonia, Collovai, Di Mauro; Gerolin (l'st Renato), Desideri, Voeller, Giannini, Massaro. Ali. Liedholm.Arbitro: Pezzella di Frattamaggiore Marcatore: 12'pt Pruzzo Note: al 35'st espulso Giannini.Stagione 1999-2000 spareggio per un posto in Champions League Verona, 23 maggio 2000Inter-Parma3-l Inter: Peruzzi; Simic, Cordoba, Blanc, Domoraud; Cauet J.Zanetti, Jugovic, M. Serena (30'st Recoba); Vieri (33'st Zamorano), Baggio (40'st Fresi). Ali. Lippi.Parma: Buffon; Sartor, Thuram, Cannavaro; Fuser, Belano (15'st Di Vaio), Breda, D. Baggio (39'st Dabo), Vanoli; Crespo, Amoroso (15'st Stanic). Ali. Malesani.Arbitro: Cesari di Genova Marcatori: 34'pt Baggio (I), 25'st Stanic (P), 38'st Baggio (I), 46'st Zamorano (I).Un altro spareggio, attraverso un doppio confronto andata-ritorno, Baggio l'ha giocato al termine della stagione 199899 con l'Inter contro il Bologna, ma in questo caso si è trattato di una coda alla Coppa Italia. Le due squadre, in qualità di semifinaliste, si giocarono infatti l'ammissione alla Coppa Uefa avendo le due finaliste (Parma e Fiorentina) già acquisito il diritto a disputare la Champions League. Baggio segnò un gol in quei 180' minuti, ma non evitò ai nerazzurri una doppia sconfitta.Stagione 1998-99 spareggio Uefa tra le semifinaliste di C. Italia Milano, 27 maggio 1999 (andata)Inter-Bologna 1-2Inter: Pagliuca; Simic, West, Silvestre; J. Zanetti, Sousa, Cauet (45'st Ze Elias), Milanese (28'st Pirlo); Baggio; Ventola, Ronaldo (l'st Winter). Ali. Hodgson.Bologna: Antonioli; Paramatti, Rinaldi, Mangone, Bettarini; Binotto (18'st Maini), Ingesson, Marocchi (3l'st Nervo), Cappioli; Andersson, Signori (18'st Eriberto). Ali. Mazzone.Arbitro: Boggi di Salerno Marcatori: 8'pt Andersson (B), 4'st Paramatti (B), 14'st Baggio (I).Bologna, 30 maggio 1999 (ritorno)Bologna-Inter 2-1Bologna: Antonioli; Paramatti, Rinaldi, Mangone, Bettarini (37'st Bia); Binotto (30'st Nervo), Ingesson, Marocchi, Cappioli (30'st Eriberto); Andersson, Signori. Ali. Mazzone.Inter: Pagliuca; Simic (l'st Colonnese), West, Silvestre;}. Zanetti, Sousa, Simeone, Cauet; Pirlo; Ventola, Baggio. Ali. Hodgson.Arbitro: Cesari di Genova c Marcatori: 4'pt Signori (B), 4l'pt Bettarini (B), 45'st Ventola (I).La Coppa Italia La prima partita in Coppa Italia Baggio l'ha disputata il 31 agosto 1983 allo stadio Menti contro il Palermo: 1-0 per il suo Vicenza. Ha conquistato il trofeo una volta, nel 1994-95, ultima stagione disputata con la maglia della Juventus. La sua scheda nella competizione: stagione società TOTALE gare reti 84

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36V1982-83 Vicenza - - - - 1983-84 Vicenza 4 0 1 1

21984-85 Vicenza 5 2 1 2 21985-85 Fiorentina 5 0 2 1 21986-87 Fiorentina 4 2 1 2 11987-88 Fiorentina 7 3 5 0 21988-89 Fiorentina 10 9 5 2 31989-90 Fiorentina 2 1 1 1 01990-91 Juventus 5 3 3 0 21991-92 Juventus 8 4 4 3 11992-93 Juventus7 3 4 3 01993-94 Juventus 2 2 0 1 11994-95 Juventus 4 2 3 1 01995-96 Milan 1 0 1 0 01996-97 Milan 5 3 2 3 01997-98 Bologna 3 1 2 0 11998-99 Inter 4 0 2 1 11999-00 Inter 5 1 1 2 22000-01 Brescia 3 0 1 1 12001-02 Brescia ... . 0939 24 21La Fiorentina è la squadra con la quale ha collezionato più gare (28) e più gol (15), il Milan Tunica con la quale non ha perso.Il bilancio in funzione della società di appartenenza: società gare reti Fiorentina 28

15 14 6 8Juventus 26 14 14 8 4Inter 9 1 3 3 3Vicenza 9 2 2 3 4Milan 6 3 3 3 0Bologna 3 1 2 0 1Brescia 3 0 1 1 1TOTALE8436392421Le reti in Coppa Italia Sotto il profilo dei gol, il miglior risultato in Coppa Italia Baggio lo ha conseguito nel 1988-89. In quella edizione, con la maglia della Fiorentina, e sotto la guida di Sven Goran Eriksson, realizzò nove reti in dieci partite, anche se cinque su calcio di rigore. Questa la lista dei suoi gol in Coppa, il primo dei quali risale all'estate 1984: lo segnò col Vicenza, su rigore, al "Castellani" di Empoli.1983 -84 - VIGENZA: nessuna rete 1984-85 - VIGENZA: 2 reti Partita reti

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Empoli-Vicenza 4-2 1 (R)Vicenza-Cesena 1-1 1 (R)1985-86 - FIORENTINA: nessuna rete 1986-87 - FIORENTINA: 2 reti Partita reti Fiorentina-Empoli 2-1 21987-88 - FIORENTINA: 3 reti Partita reti Fiorentina-Udinese 2-0 1 (R)Fiorentina-Livorno 2-1 1Napoli-Fiorentina 2-1 1 (R)1988-89 - FIORENTINA: 9 reti Partita reti Fiorentina-Avellino * 1-0 1 (R)Pisa-Fiorentina 4-2 1Fiorentina-Virescit * 3-0 2 (IR)Ancona-Fiorentina 0-1 1 (R)Fiorentina-Udinese* 3-0 2 (IR)Inter-Fiorentina** 3-4 2 (IR)* giocata a Pistoia ** giocata a Piacenza turno e data la fase, 2ag.: 26.08.1984 la fase, 4ag.: 02.09.1984 turno e data la fase, 4ag.: 03.09.1986 turno e data la fase, 2ag.: 26.08.1987 la fase, 4ag.: 02.09.1987 la fase, 5ag.: 06.09.1987 turno e data la fase, 2ag.: 24.08.1988 la fase, 3ag.: 28.08.1988 la fase, 4ag.: 31.08.1988 lafase,5ag.:03.09.19882a fase, 2ag.: 21.09.19882a fase, 3ag.: 28.09.19881989-90-FIORENTINA: 1 rete Partita reti Licata-Fiorentina 1-3 11990-91 - JUVENTUS: 3 reti Partita reti Juventus-Tarante 2-0 1 (R)Juventus-Pisa 3-2 1 (R)Pisa-Juventus 1-2 1 (R)1991-92 - JUVENTUS: 4 reti Partita reti Juventus-Udinese 3-0 1Inter-Juventus 1-2 dts 2Juventus-Parma 1-0 1 (R)1992-93 -JUVENTUS: 3 reti Partita Juventus-F. Andria 4-0F. Andria-Juventus* 1-1Torino-Juventus 1-1* giocata a Bari 1993-94 - JUVENTUS: 2 reti Partita Juventus -Venezia 1 -1Venezia-Juventus 4-31994-95 - JUVENTUS: 2 reti Partita Juventus-Reggiana 2-0Juventus-Lazio 2 -1 reti 11KR) reti KR)KR) reti 1KR) turno e data primo turno: 23.08.1989 turno e data 16mi, andata: 05.09.1990 ottavi, andata: 14.11.1990 ottavi, ritorno: 21.11.1990 turno e data 2°t. ritorno:04.09.1991 quarti, ritorno: 26.02.1992 finale, andata: 07.05.1992 turno e data 2° t. andata: 27.08.19922°t. ritorno:02.09.1992 semif., andata: 09.03.1993 turno e data 16mi, andata: 06.10.199316mi, ritorno: 27.10.1993 turno e data ottavi, andata: 12.10.1994 semif., ritorno: 11.04.1995

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1995-96 - MILAN: nessuna rete 1996-97-MILAN: 3 reti Partita reti turno e data Reggiana-Milan* 0-2 2 ( IR) ottavi, andata: 23.10.1996Milan-Vicenza 1-1* giocata a Cremona 1 quarti, andata: 12.11.19961997-98-BOLOGNA: 1 rete Partita reti turno e data Ravenna-Bologna 0-5 1 2° t., andata: 03.09.19971998-99 - INTER: nessuna rete 1999-2000-INTER: Irete Partita reti turno e data Inter-Milan 1-1 1 quarti, ritorno: 27.01.20002000-2001 - BRESCIA: nessuna rete 2001-2002-BRESCIA:...260Le Coppe europee Nelle Coppe europee, dove ha esordito il 17 settembre 1986 (Fiorentina-Boavista 1-0 in Coppa Uefa), Baggio ha giocato complessivamente 63 partite mettendo a segno 32 gol (in media più di uno ogni due incontri) . Un solo trionfo, nella Coppa Uefa 1992-93, che conquistò con la Juventus battendo nella doppia finale il Borussia Dortmund. Nella sfida d'andata, in Germania,

09 realizzò anche una doppietta decisiva.09 stagione società Coppa gare reti V P S

1986-87 Fiorentina Uefa 1 0 1 0 01987-88 Fiorentina - 091988-89 Fiorentina - 091989-90 Fiorentina Uefa 12 1 4 6 21990-91 Juventus Coppe 8 9 7 0 11991-92 Juventus - 091992-93 Juventus Uefa 9 6 7 1 11993-94 Juventus Uefa 7 3 3 1 31994-95 Juventus Uefa 8 4 5 2 11995-96 Milan Uefa 5 3 4 0 11996-97 Milan Campioni 5 1 3 1 11997-98 Bologna - 091998-99 Inter Campioni 6 4 4 1 11999-00 Inter - 092000-01 Brescia - 092001-02 Brescia Intertoto 2 1 0 2 0TOTALE 63 32 38 14 11261 09Il maggior numero di presenze europee Baggio le ha collezionate nella Juventus, la squadra alla quale ha anche regalato più gol: 22 in 32 partite.Juventus Fiorentina Milan Inter Brescia TOTALE gare 3213106263 reti 2214

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4132V22574O3846112146221O11Le reti nelle Coppe Il primo gol nelle Coppe europee Baggio lo ha segnato a Perugia: nel 1989 con la Fiorentina contro la Dinamo di Kiev (la partita si giocò al "Curi" per l'inagibilità dello stadio Franchi a causa dei lavori di ristrutturazione per i Mondiali di Italia '90).La stagione più prolifica è stata quella del 1990-91, disputata con la Juventus in Coppa delle Coppe: Robi allora realizzò nove reti, ma non bastarono a portare i bianconeri al di là delle semifinali (li fermò il Barcellona).1986-87 - FIORENTINA - Coppa Uefa: nessuna rete 1989-90 - FIORENTINA - Coppa Uefa: 1 rete Partita reti Fiorentina-Din. Kiev (Ucr) * 3-0 1 (R)* giocata a Perugia turno e data ottavi/and: 22.11.19891990-91 -JUVENTUS - Coppa delle Coppe: 9 reti Partita Sliven (Bui) -Juventus Juventus-Siiven (Bui)Austria V. (Aut) -Juventus Juventus-Austria V. (Aut)Liegi (Bel) -Juventus Juventus-Barcellona (Spa) reti 0-2 1 (R)6-1 2 (IR)0-4 14-0 3 (IR)1-3 11-0 1 turno e data 16mi/and: 19.09.199016mi/rit: 03.10.1990 ottavi/and: 24.10.1990 ottavi/rii: 07.11.1990 quarti/and: 06.03.1991 semif./rit: 24.04.19911992-93 - JUVENTUS - Coppa Uefa: 6 reti Partita reti Juventus-Anorthosis (Cip) 6-1 1

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Juventus-Paris SG (Fra) 2-1 2Paris SG (Fra) -Juventus 0-1 1Borussia D. (Ger)-Juventus 1-3 21993 -94 - JUVENTUS - Coppa Uefa: 3 reti Partita reti Juventus-L. Mosca (Rus) * 3-02Juventus-Tenerife (Spa)* giocata a Bologna 3-0 1 (R) turno e data 32mi/and: 16.09.1992 semif./and: 06.04.1993 semif./rit: 22.04.1993 finale/and: 05.05.1993 turno e data 32mi/and: 15.09.1993 ottavi/and: 24.11.19931994-95 - JUVENTUS - Coppa Uefa: 4 reti Partita reti Admira W. (Aut) -Juventus 1-3 2Juventus-Borussia D. (Ger) * 2-2 1 (R)Borussia D. (Ger)-Juventus 1-2 1* giocata a Milano turno e data ottavi/and: 24.11.1994 semif./and: 04.04.1995 semif./rit: 18.04.19951995-96 - MILAN - Coppa Uefa: 3 reti Partita reti turno e data Milan-Strasburgo (Fra) 2-1 2 (IR) 16mi/rit: 02.11.1995Milan-Bordeaux (Fra) 2-0 1 quarti/and: 05.03.19961996-97 - MILAN - Coppa dei Campioni: 1 rete Partita reti turno e data Milan-Goteborg (Sve) 4-2 1 lafase/4ag.: 30.10.19961998-99 - INTER - Coppa dei Campioni: 4 reti Partita reti Inter-Skonto Riga (Let)* 4-0 1Inter-Real Madrid (Spa) 3-1 2Sturm Graz (Aut) -Inter 0-2 1* giocata a Pisa turno e data Prel./and: 12.08.1998 lafase/5ag.: 26.11.1998 lafase/6ag.: 09.12.19982001-02 - BRESCIA - Coppa Intertoto: 1 rete Partita reti Brescia-Paris S.G. 1-1 1 (R) turno e data finale/rit.: 22.08.2001La Supercoppa italiana La Nazionale Raggio conta una sola partecipazione alla Supercoppa di Lega: disastrosa. Si riferisce a una delle prime esibizioni con la maglia della Juventus. Vincitrice della Coppa Italia 1989-90 (che Baggio aveva disputato con la Fiorentina), la squadra bianconera venne travolta al "San Paolo" dal Napoli fresco campione d'Italia: 1-5. Suo, però, l'unico gol juventino.Napoli, 1 settembre 1990Napoli-Juventus 5-1Napoli: Galli, Ferrara, Francini; Grippa (35'st Rizzardi), Baroni, Corradini; De Napoli, Alemao, Careca, Maradona, Silenzi (25'st Mauro). Ali. Bigon.Juventus: Tacconi, Napoli, De Agostini; Calia, D. Bonetti (l'st De Marchi) J. Cesar; Haessler (l'st Fortunato), Marocchi, Casiraghi, Baggio, Schillaci. Ali. Maifredi.Arbitro: Longhi di Roma Marcatori: 8'pt Silenzi, 11 'pt Careca, 39'pt Baggio, 44'pt Grippa, 45'pt Silenzi, 26'st Careca.In Nazionale Baggio vanta 55 presenze (tutte nella rappresentativa maggiore: non ha mai giocato nella B e nella under 21) e un bottino di 27 gol. La prima maglia azzurra l'ha indossata allo stadio Olimpico di Roma il 16 novembre 1988, in occasione di un'amichevole contro l'Olanda, allora campione d'Europa, organizzata per celebrare i

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90 anni della nostra federazione. Fu Azeglio Vicini a lanciarlo: sin dal primo minuto, con la maglia numero 11, al fianco di Vialli e Giannini. Cinque mesi dopo, alla partita numero 3, arrivò anche il primo gol: Robi lo realizzò contro l'Uruguay a due passi da casa, a Verona, trasformando con una magia un calcio di punizione. Questo l'elenco di tutte le sue partite e di tutte le sue reti in Nazionale: le divide tra quattro et: Con Azeglio Vicini et - 17 presenze, 7 reti Città data partita* reti note 09Roma 16 .11. 1988 Italia-Olanda 1-0 (am) 009Sibiu 29 .03. 1989 Romania-Italia 1-0 (am) 0 (1)Verona 22.04.1989 Italia-Uruguay 1-1 (am) 109Cesena 20 .09. 1989 Italia-Bulgaria 4-0 (am) 2 (IR)09Bologna 14 .10. 1989 Italia-Brasile 0-1 (am) 009Vicenza 11 .11.1989 Italia-Algeria 1-0 (am) 009Londra 15 .11. 1989 Inghilterra-Italia 0-0 (am) 0 (2)Rotterdam 21 .02. 1990 Olanda-Italia 0-0 (am) 0 (3)Roma 19 .06. 1990 Italia-Cecoslov. 2-0 (CM) 109Roma 25.06. 1990 Italia-Uruguay 2-0 (CM) 0 (4)Roma 30 .06. 1990 Italia-Irlanda 1-0 (CM) 0 (5)Napoli 03 .07.1990 Italia- Argentina 1-1 ,4-5 09 dr (CM)

0 (6)Bari 07 .07. 1990 Italia-Inghilterra 2-1 (CM) 109Palermo 26 .09. 1990 Italia-Olanda 1-0 (am) 109Budapest 17 .10. 1990 Ungheria-Italia 1-1 (q.e) KR)09Roma 03 .11. 1990 Italia-Urss 0-0 (q.e) 009Sofia 25 .09. 1991 Bulgaria-Italia 2-1 (am) 0 (7)

LEGENDA: am 3D amichevole; q.e 3D qualificazioni europee; q. m 3D qualificazioni mondiali; CM3D Coppa del Mondo 267Con Arrigo Sacchi et - 28 presenze, 17 reti Città data partita reti

note Foggia 21.12.1991 Italia-Cipro 2-0 (q.e) 1 (8)Cesena 19.02.1992 San Marino-Italia 0-4 (am) 209Torino 25.03.1992 Italia-Germania 1-0 (am) 1 (R) (9)New Haven 31.05.1992 Italia-Portogallo 0-0 (am) 0 (10)Chicago 06.06.1992 Usa-Italia 1-1 (am) 1 (11)Eindhoven 09.09.1992 Olanda-Italia 2-3 (am) 1 (R) (12)Cagliari 14.10.1992 Italia-Svizzera 2-2 (q. m)109Glasgow 18.11.1992 Scozia-Italia0-0 (q. m)009Firenze 20.01.1993 Italia-Messico 2-0 (am) 109Oporto 24.02.1993 Portogallo-Italia 1-3 (q. m)1 (13)Trieste 14.04.1993 Italia-Estonia 2-0 (q. m)109Berna 01.05.1993 Svizzera-Italia 1-0 (q. m)009Tallinn 22.09.1993 Estonia-Italia 0-3 (q. m)2 (IR)09Roma 13.10.1993 Italia- Scozia 3-1 (q. m)009Milano 17.11.1993 Italia-Portogallo 1-0 (q. m)009Napoli 16.02.1994 Italia-Francia 0-1 (am) 009

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Parma 27.05.1994 Italia-Finlandia 2-0 (am) 0 (14)Roma 03.06.1994 Italia-Svizzera 1-0 (am) 009New Haven 11.06.1994 Italia-Costa Rica 1-0 (am) 009New York 18.06.1994 Italia-Irlanda 0-1 (CM) 009New York 23.06.1994 Italia-Norvegia 1-0 (CM) 0 (15)Washington 28.06. 1994 Italia-Messico 1-1 (CM) 009Boston 05.07.1994 Italia-Nigeria 2-1 09 dts (CM) 2 (IR)09Boston 09.07.1994 Italia-Spagna 2-1 (CM) 109New York 13.07.1994 Italia-Bulgaria 2-1 (CM) 2 (16)Los Angeles17.07.1994 Italia-Brasile 0-0: ,2-3 09 dcr(CM) 009Palermo 16.11.1994 Italia-Croazia 1-2 (q.e) 009Udine06.09.1995 Italia- Slovenia 1-0 (q.e) 0 (17)Con Cesare Maldini et - 7 presenze, 3 reti Città Napoli Tbilisi Gòteborg Bordeaux Montpellier Parigi Parigi data 30.04.199710.09.199702.06.199811.06.199817.06.199823.06.199803.07.1998 partita Italia-Polonia Geòrgia-Italia Svezia-Italia Italia-Cile Italia-Camerun Italia-Austria Francia-Italia reti note 3-0 (q. m) 1 (18)0-0 (q. m) O (19)1-0 (am) O2-2 (CM) 1 (R)3-0(CM) O (20)2-1 (CM) 1 (21)0-0,4-3 dcr(CM) O (22)Con Bino Zoff et - 3 presenze, O reti Città Liverpool Pisa data 05.09.199810.02.1999 partita Galles-Italia Italia-Norvegia 0-2 (q. e)0-0 (am) reti note O (23)O (24)Ancona 31.03.1999 Italia-Bielorussia 1-1 (q.e) O (25)Le note 1) entra al 65' al posto di Donadoni 2) entra all'821 al posto di Vialli 3) esce al 72' sostituito da Mancini 4) esce al 79' sostituito da Vierchowod 5) esce al 7l' sostituito da Aldo Serena 6) entra al 75* al posto di Giannini 7) entra al 46' al posto di Mancini 8) esce al 66' sostituito da Casiraghi 9) esce al 90' sostituito da Berti 10) esce al 71* sostituito da Casiraghi 11) esce al 74' sostituito da Vialli 12) esce al 78' sostituito da Signori 13) esce all'851 sostituito da Mancini 14) esce al 45' sostituito da Zola 15) esce al 2l' sostituito dal dodicesimo Marchegiani (Pagliuca espulso)16) esce al 7l' sostituito da Signori 17) entra al 60' al posto di Zola 18) entra al 5l' al posto di Zola 19) entra al 73' al posto di Lombardo 20) esce al 65' sostituito da Del Piero 21) entra al 73' al posto di Del Piero 22) entra al 67* al posto di Del Piero 23) entra al 75' al posto di Del Piero 24) esce all'811 sostituito da Chiesa 25) entra al 64' al posto di Chiesa Il riepilogo per club di appartenenza presenze 13 reti 531 19

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2 16 23 0Fiorentina Juventus Milan Bologna Inter Da sottolineare che Roberto Baggio, assieme a Bettega, è il giocatore che ha segnato più gol in Nazionale da juventino.Quarto goleador azzurro di sempre Con le sue 27 reti Baggio è il quarto di sempre nella classifica generale dei goleador azzurri, mentre in quella delle presenze (55) è ventiquattresimo assieme a Romeo Benetti. Le due graduatorie dopo Italia-Ungheria 1-0 dello scorso 6 ottobre, ultima partita del nostro girone di qualificazione ai Mondiali 2002: RETI - Riva 35; Meazza 33; Piola 30; R. BAGGIO 27; Altobelli e Baloncieri 25; Oraziani 23; A.Mazzola 22; P. Rossi 20; Bettega 19.PRESENZE - Maldini 121; Zoff 112; Pacchetti 94; E Baresi, Bergomi e lardelli 81 ; Scirea e Albertini 78; Antognoni e Cabrini 73 ; Gentile 71; A. Mazzola 70; Burgnich 66; Oraziani 64; Causio e Domenghini 63; Altobelli 61; D. Baggio e Rivera 60; Caligaris, Costacurta e Vialli 59; Zenga 58; R.BAGGIO e Benetti 55.

Gli esordi Cinque le date da ricordare per Baggio, quelle dei suoi cinque esordi: in campionato, in Coppa Italia, nelle Coppe europee, in serie A e in Nazionale. Solo il debutto in C gli ha regalato un dispiacere, per il resto sono state quattro vittorie.Serie CVicenza, 5 giugno 1983 (34a giornata)Vicenza-Piacenza 0-1Vicenza: Memo, Guerra, Bombardi; Dona, Perego, Simonato; Perrone (20'st Baggio), Nicolini, Cavagnetto (l'st Pistis), Bigon, Grop. Ali. Mazzia.Piacenza: Serena, C. Caricola, Pederzoli (20'st Ghio); Zanotti, Maiani, Tonali; Filosofi, Gaiardi, Mulinacci, Rossi (25'st Erba), Mandressi. Ali. Montanari.Arbitro: Ramicene di Tivoli Marcatore: 22 'pt Pederzoli.Coppa Italia Vicenza, 31 agosto 1983Vicenza-Palermo 1-0Vicenza: Petrovic, Mosconi, Pasciullo; Dal Prà (12'st Guerra), Mazzeni, Morganti; Mariani (26'st Baggio), Manzin (l'st Bigon), Grop, Lutterotti, Rondon. Ali. Giorgi.Palermo: Paleari, Miranda, Volpecina; Guerini, Di Cicco, Odorizzi (37'st Barone); Montesano, De Biasi, De Stefanis (29'st Malaman), Maio, La Rosa (29'st Pircher). Ali. Giagnoni.Arbitro: Coppetelli di Tivoli Marcatore: 35 'st Lutterotti.Coppe europee Firenze, 17 settembre 1986(Coppa Uefa, andata primo turno)Fiorentina-Boavista 1-0Fiorentina: Landucci, Gentile, Contratto; Carobbi, Fin, Galbiati; Onorati, Oriali, Diaz (32'st Di Chiara), Baggio, Monelli.Ali. Bersellini.Boavista: Alfredo, Queiro, Frederico; Caetano, Agatao, Adao; Coelho, Walker, Nelson (30'st Ribeiro), Tonanha, José Augusto. Ali. Monterò Jaime Alves.Arbitro: Brunmeier (Austria)Marcatore: 32' pt Pin.

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Serie AFirenze, 21 settembre 1986 (2a giornata)Fiorentina-Sampdoria 2-0Fiorentina: Landucci, Gentile, Contratto; Carobbi, Pin, Galbiati; Onorati, Oriali, Diaz, Baggio (42'st Battistini), Monelli.Ali. Bersellini.Sampdoria: Bistazzoni, Mannini, A. Paganin; Fusi, Vierchowod, L.Pellegrini; Salsano (29'st Ganz), Cerezo, Mancini, Briegel (3l'st Gambaro), Lorenzo. Ali. Boskov.Arbitro: Casarin di Milano Marcatori: 28'st e 41 'st Diaz.Nazionale Roma, 16 novembre 1988Italia-Olanda 1-0 (amichevole)Italia: Tacconi, Bergomi, Maldini; F. Baresi, Ferri, De Agostini (37'st Berti); Rizziteli (8'st Ferrara), De Napoli, Vialli, Giannini, Baggio.Ali. Vicini.Olanda: Van Breukelen, Silooy, Reekers; R. Koeman, Koot, Rijkaard; Vanenburg, Suvrijn (24'st Rutten), Van Basten, Eykelkamp (16'st Van Loen), Huistra. Ali. Libregts.Arbitro: Soriano Aladren (Spagna)Marcatore: 44* pt Vialli.Il libro nero Raggio è incappato in quattro espulsioni: la prima l'ha subita in Coppa Italia mentre le tre successive si riferiscono a gare di campionato. Gli sono costate complessivamente cinque giornate di squalifica. I suoi quattro cartellini rossi: 1) C. Italia-25 gennaio 1989: Fiorentina-Sampdoria 1-1 espulso dall'arbitro Frigerio di Milano e squalificato per un turno.2) Serie A - 19 marzo 1989: Atalanta-Fiorentina 0-1 espulso dall'arbitro Fabricatore di Roma e squalificato per un turno.3) Serie A-28 maggio 1989:Juventus-Fiorentina 1-1 espulso dall'arbitro Felicani di Bologna e squalificato per due turni.4) Serie A -5 ottobre 1997: Piacenza-Bologna 0-0 espulso dall'arbitro Racalbuto di Gallarate e squalificato per un turno.I rigori Da record il ruolino dal dischetto. Baggio, infatti, è il giocatore che ha battuto il maggior numero di rigori nella storia della serie A: 71. Sessantatré le realizzazioni, altro primato, otto gli errori (due dei quali poi comunque convcrtiti in gol riprendendo la respinta del portiere). Il primo sbaglio nella massima serie lo ha commesso l'8 aprile del '90 allo stadio Flaminio (Roma-Fiorentina 0-0, arbitro Lo Bello): gli parò il tiro Franco Tancredi. Da record anche il suo score dagli undici metri in Nazionale: sette centri su sette. Nessun altro azzurro ha calciato e trasformato tanti rigori.Campionato (A+C)Coppa Italia Coppe europee Nazionale TOTALE79 rigori - 71 realizzati, 8 falliti 21 rigori -18 realizzati, 3 falliti 9 rigori - 8 realizzati, 1 fallito 7 rigori - 7 realizzati 116 rigori - 104 realizzati, 12 falliti Parliamo, ovviamente, di rigori nei tempi regolamentari o supplementari. Non sono considerati quelli di spareggio. Di rigori extra-time, peraltro, Baggio ne ha tirati

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quattro fallendone uno, un errore determinante: nella finale dei Mondiali '94 a Los Angeles contro il Brasile.Le marcature multiple In fatto di gol in 90 minuti, Baggio ha fissato il primato personale l'8 novembre del '92 quando la Juve superò l'Udinese a Torino per 5-1. Quel giorno segnò quattro reti. E senza l'aiuto di rigori. Al suo attivo anche otto triplette. Sette le ha realizzate in campionato: una con la Fiorentina nel 1989-90 (5-1 all'Ascoli), tre con la Juventus nel 1991-92 (4-1 al Foggia), nel 1992-93 (4-2 ancora al Foggia) e nel 1993-94 (4-0 al Genoa), una con il Bologna nel 1997-98 (5-1 al Napoli), due con il Brescia nel 2000-01 (3-0 a Lecce) e in questo primo scorcio del 2001-02 (3-3 con l'Atalanta). A completare il conto i tre gol rifilati all'Austria Vienna con la Juve nella Coppa delle Coppe 1990-91 (4-0 a Torino). Fanno da contorno 45 doppiette: 27 in campionato, 6 in Coppa Italia, 7 nelle Coppe europee e 5 in Nazionale.Per quanto riguarda le marcature consecutive, Robi ha stabilito il suo record nello scorso campionato col Brescia, andando a rete per sei giornate di fila, dalla ventiquattresima alla ventinovesima compresa.H compendio finale Baggio va a caccia in questa stagione della trecentesima rete da professionista. Con il gol realizzato domenica 28 ottobre al Venezia (3-2) - ultima gara presa in considerazione in questa indagine statistica - il capitano del Brescia ha infatti portato il proprio bottino "tutto compreso" a quota 290 (in 633 partite).Il riepilogo finale: gare reti Serie A 390 178 155 135 100Serie C 36 13 13 17 6 spareggi 4 3 2 0 2Coppa Italia 84 36 39 24 21S. C. italiana 1 1 0 0 1Coppe europee 63 32 38 14 11Nazionale 55 27 30 17 8TOTALE633290277207149Il medagliere Una carriera ormai quasi ventennale, ma in bacheca solo pochi trofei. Due scudetti, conquistati consecutivamente e con due squadre diverse, una Coppa Italia, una Coppa Uefa, più il titolo di vicecampione del mondo 1994 in Nazionale. A Italia '90, invece, è stato medaglia di bronzo. A livello strettamente personale, il più grande successo è stato il Pallone d'oro: Baggio lo ha vinto quale miglior giocatore europeo del 1993 precedendo in classifica l'olandese Bergkamp (Ajax) e il francese Cantona (Manchester United). Ha vinto anche il Pallone di platino ed è stato premiato come miglior giocatore del mondo sempre nel 1993.2 Scudetti (Juventus 1994-95, Milan 1995-96)1 Coppa Italia (Juventus 1994-95)1 Coppa Uefa Quventus 1992-93)1 Pallone d'oro (Juventus 1993 )1 Pallone di platino (1993)

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Premio come miglior giocatore del mondo (1993)Vicecampione del mondo con la Nazionale (1994)

Finito di stampare nel mese di dicembre 2001 presso Tipostampa srl - Lama di San Giustino (PG)

FINE.

GRAZIE.

Ai miei genitori Fiorindo e Matilde, a tutti i miei fratelli, sorelle e nipoti, a tutti i membri sinceri della SGI, al mio adorato Maestro Daisaku Ikeda e a sua moglie Kaneko, a tutti i miei amici d'infanzia, a tutti i miei tifosi e non, a tutti gli amici di Grado, a tutti gli amici del lago, a Paolo, Raffaella, Max, Paola e Arianna, Pierà, Lina, Peter, Gian Michele, Claudio, Luciana, Diego, Paola, Jonathan, Alberto, Stefano, Riccardo, Prince, Cleto, Toni, Marcello, Claudio, Carlo, Luca, Angelo, Erminio, Gino, Fumino, Buti, Fiorello, Fabio, Primo, Ciccio, Renzo, Duilio, Margherita, Veronica, Tonino, Vittorio, Mimmo, Marcello, Zucchero, Dalla, Benigni, David, Ivan, Enrique, Antonio, Valerio, Vinicio, Cip, Ferruccio, Doriana, Elisa, Federica.Grazie a José, Stella, Martinsito.Grazie alla terra Argentina.

Fine dell'opera.Progetto grafico Achilli Ghizzardi Associati ito di copertina Giovanni Gastel Kronomark & Partners spa