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XXVIII CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI MULTI LEVEL GOVERNANCE E DECENTRALIZZAZIONE: UNA APPLICAZIONE AL CASO ITALIANO Massimo BAGARANI 1 , Antonio BONETTI 2 e Simona ZAMPINO 1 1 Università del Molise, Dipartimento di Scienze Economiche, Gestionali e Sociali, Via De Sanctis, 86100 Campobasso 2 Università di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Economia Pubblica, Via del Castro Laurenziano 9, 00161 Roma SOMMARIO Il lavoro analizza le caratteristiche del modello di Multi Level Governance che caratterizza la politica territoriale della UE ed è stato pienamente recepito anche in Italia sul finire degli anni Novanta per l’attuazione delle politiche di sviluppo regionale. Nella prima parte, si descrive il percorso di empowerment delle Regioni e si evidenzia la scarsa coerenza del processo di "decentralizzazione" delle politiche pubbliche con il modello di Multi Level Governance comunitario. Nella seconda parte, il lavoro propone la formulazione di un modello di stima e verifica degli effetti macroeconomici connessi all’adozione del principio di decentralizzazione della spesa in Italia avvalendosi delle statistiche disponibili nella banca dati dei Conti Pubblici Territoriali e relative alla spesa in conto capitale attuata, per livello di governo e per settori di destinazione della spesa, nei territori regionali tra il 2000 ed il 2005. L’ipotesi posta alla base del lavoro e verificata nella sua elaborazione è che il progressivo spostamento di competenze territoriali e settoriali dal livello centrale a quelli locali abbia contribuito in misura poco rilevante alla variazione del prodotto interno lordo pro capite delle regioni italiane.

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Papere discussed at the Annual Conference of AISRE (Italy) in Semptember 2007

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XXVIII CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI

MULTI LEVEL GOVERNANCE E DECENTRALIZZAZIONE: UNA APPLICAZIONE AL CASO ITALIANO

Massimo BAGARANI1, Antonio BONETTI2 e Simona ZAMPINO1

1 Università del Molise, Dipartimento di Scienze Economiche, Gestionali e Sociali, Via De Sanctis, 86100

Campobasso

2 Università di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Economia Pubblica, Via del Castro Laurenziano 9, 00161

Roma

SOMMARIO

Il lavoro analizza le caratteristiche del modello di Multi Level Governance che caratterizza la politica territoriale della UE ed è stato pienamente recepito anche in Italia sul finire degli anni Novanta per l’attuazione delle politiche di sviluppo regionale. Nella prima parte, si descrive il percorso di empowerment delle Regioni e si evidenzia la scarsa coerenza del processo di "decentralizzazione" delle politiche pubbliche con il modello di Multi Level Governance comunitario. Nella seconda parte, il lavoro propone la formulazione di un modello di stima e verifica degli effetti macroeconomici connessi all’adozione del principio di decentralizzazione della spesa in Italia avvalendosi delle statistiche disponibili nella banca dati dei Conti Pubblici Territoriali e relative alla spesa in conto capitale attuata, per livello di governo e per settori di destinazione della spesa, nei territori regionali tra il 2000 ed il 2005. L’ipotesi posta alla base del lavoro e verificata nella sua elaborazione è che il progressivo spostamento di competenze territoriali e settoriali dal livello centrale a quelli locali abbia contribuito in misura poco rilevante alla variazione del prodotto interno lordo pro capite delle regioni italiane.

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1 Introduzione

Nel corso degli ultimi venti anni, in Italia, il sistema comunitario di Multi Level Governance (MLG) - progressivamente adottato all’interno di tutti gli Stati Membri della UE - si è andato affermando come modello di governo delle politiche territoriali. In tale modello, i diversi livelli di giurisdizione partecipano alla formazione delle scelte pubbliche e le Regioni assumono un ruolo rilevante nella gestione delle politiche di sviluppo. In questo lavoro, si evidenzia come il sistema di MLG, prevalentemente guidato da istituzioni pubbliche, si fondi su principi volti non solo ad ampliare il novero di soggetti decisionali, ma anche a rendere più efficienti tutti i livelli di governo e i processi di coordinamento istituzionali. Nella prima parte della ricerca, si analizza il difficile processo di adattamento del sistema di gestione delle politiche strutturali italiane al modello di MLG della politica regionale della UE. In particolare, si evidenzia come solo con l'esperienza della "nuova programmazione" prendano inizio in maniera contestuale due percorsi di riforma i quali ridisegnano fortemente il panorama istituzionale nazionale: (i) il processo di empowerment delle Regioni, le quali divengono il fulcro delle politiche di riequilibrio territoriali; (ii) la decentralizzazione delle competenze di spesa, con particolare riguardo alla spesa pubblica in conto capitale. Le principali motivazioni alla base di tali processi sono: 1. la crescente rilevanza dei Fondi Strutturali della UE nel finanziamento delle politiche di

sviluppo nazionali, a fronte dell'irrigidimento dei vincoli di bilancio pubblico (ragione "economica");

2. la crescente spinta localista a "tenere a casa le politiche" (ragione "politica"). In misura maggiore o minore, su tutto il territorio nazionale si moltiplicano le pressioni per una maggiore autodeterminazione a livello locale delle scelte pubbliche. Conseguentemente, il "federalismo fiscale" diventa una priorità dell'agenda politica nazionale. La seconda parte del lavoro muove dalla consapevolezza che in Italia, in coerenza con la letteratura di riferimento, ambedue i citati processi sono valutati soprattutto sulla scorta della loro presunta funzionalità rispetto agli obiettivi di incrementare la capacità dei decisori pubblici locali nel corrispondere ai desiderata manifestati dalle popolazioni locali e di rendere parimenti più efficienti i processi di spesa. Risulta molto meno esteso il novero dei contributi che tentano di stimare l'impatto dei processi di decentralizzazione sulla performance economica delle regioni e sulle dinamiche di sviluppo economico delle aree più arretrate (Barro, 1990; Devarajan, Swaroop e Zou, 1996; Alesina e Wacziarg, 1999; Akai e Sakata, 2002; Bardhan, 2002; Feltenstein e Iwata, 2005). In questo lavoro, pertanto, si tenta di valutare principalmente il contributo dei processi in atto alla formazione e dinamica del PIL. Più nello specifico, i principali obiettivi della ricerca sono:

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• l’esame della compatibilità tra il processo di riorganizzazione del sistema italiano di governance delle politiche territoriali e le caratteristiche principali del sistema di MLG comunitario

• la comprensione e valutazione degli effetti del processo di decentralizzazione delle funzioni di spesa sulle dinamiche di crescita economica registrate a livello regionale

2 La riforma della politica regionale italiana negli anni Novanta e la "nuova programmazione"

2.1 Caratteristiche generali del modello istituzionale di MLG delle politiche strutturali di sviluppo dell'UE

Il modello di MLG costituisce il framework istituzionale di riferimento della politica regionale comunitaria ("politica di coesione") sin dalla riforma dei Fondi Strutturali del 1988. Tale riforma, infatti, annovera tra i principi alla base dei Fondi il partenariato istituzionale (principio di sussidiarietà) e prevede meccanismi decisionali rigidi e quasi-gerarchici. I meccanismi di programmazione delle politiche di sviluppo e di coesione della UE, infatti, sono stati incardinati su una suddivisione multi-livello delle responsabilità di spesa tra giurisdizioni nettamente separate e su un marcato empowerment degli enti sub-statali, segnatamente le Regioni (Marks, 1992; Marks, Hooghe e Blank 1996; Bache, 1998, 2004; Hooghe e Marks, 2001; Marks e Hooghe, 2004; Bagarani e Bonetti, 2005, 2006). Il sistema di MLG comunitario si concretizza come processo decisionale fondato su una architettura istituzionale rigida, in cui hanno un ruolo prevalente gli attori pubblici con un chiaro connotato “istituzionale”. In questo sistema, che caratterizza la politica di coesione della UE, più livelli giurisdizionali “general purpose” – sovranazionali, nazionali, subnazionali – si confrontano nella fase di policy-making e interagiscono in sede di implementazione delle politiche pubbliche (cfr. Tab. 1). Il modello di MLG comunitario, infine, prevede anche l’assenza di sovrapposizione territoriale di competenze (esiste un numero limitato di giurisdizioni multi-obiettivo, con rigidi vincoli istituzionali saldamente legati ai confini territoriali e fortemente caratterizzati dal principio dell’identità territoriale). Il sistema di governo multi-livello delle politiche strutturali della UE presenta diversi elementi di forza (capacità di cogliere le preferenze dei cittadini-utenti nei vari territori, coinvolgimento ampio dei vari decisori pubblici, presenza di regole condivise, stabilite di comune accordo tra le parti attraverso un’azione di concertazione), ma anche molteplici criticità (Bagarani e Bonetti, 2005, 2006; Bagarani, Bonetti e Zampino, 2007). In particolare si segnala la possibilità di generare costi connessi alla necessità di un dialogo costante sia

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all’interno di ciascuna istituzione (in prevalenza costi di transazione), sia tra le diverse istituzioni (costi di coordinamento).

Tabella 1 Caratteristiche del sistema istituzionale di Multi Level Governance Giurisdizioni “general purpose” Ogni giurisdizione può perseguire più obiettivi, anche se esistono

delle specializzazioni rispetto a determinate politiche pubbliche Giurisdizioni mutuamente esclusive a livello territoriale

I confini giurisdizionali non sono sovrapponibili a livello territoriale e, quindi, non si verifica una sovrapposizione territoriale di competenze (la struttura Stato-Regioni-Province-Comuni). In questo modello risulta molto forte la rilevanza del fattore “identità territoriale” dei beneficiari dell’azione pubblica

Numero di giurisdizioni limitato distribuito su un numero ristretto di livelli

L’esistenza di giurisdizioni “general purpose” e la necessità di contenere i costi di coordinamento determinano la presenza di poche giurisdizioni articolate su pochi livelli di governo

Sistema istituzionale rigido Esiste una gerarchia rigida rigorosamente definita da atti normativi condivisi. La gerarchia determina una distribuzione di funzioni pubbliche “a cascata”

Da un punto di vista organizzativo, con riferimento alla specifica forma assunta nella sua applicazione in Italia, il modello può essere schematizzato come mostrato dalla Figura 1. Appare evidente come la logica “a cascata” delle responsabilità decisionali che sottende al modello consenta anche di stabilire la gerarchia tra le giurisdizioni. Il meccanismo di decisione che ne deriva è incentrato soprattutto su due cardini: (i) il principio di concertazione tra i diversi livelli istituzionali (concertazione che avviene, usualmente, tramite negoziati bi o plurilaterali); (ii) il chiaro riconoscimento del grado di autorità politica e decisionale che ciascun livello può vantare nei confronti degli altri. In particolare, il modello prevede che il coordinamento delle attività avvenga attraverso la definizione di regole e procedure condivise e rese "dall'alto verso il basso" giuridicamente vincolanti. Dal basso verso l’alto, invece, si prevede la realizzazione di un concatenato sistema di obiettivi a partire dai micro-obiettivi locali per risalire fino agli obiettivi classici di tipo macroeconomico e macro-sociale. Il conseguimento degli obiettivi avviene mediante la esecuzione di programmi strutturati su di un percorso di spesa articolato in un intervallo pluriannuale (Bagarani e Bonetti, 2005, 2006). L'efficienza complessiva di un sistema decisionale così articolato richiede il rispetto di una serie di condizioni di tipo istituzionale, tra le quali spiccano: (i) elevata capacità di relazioni tra tutti i livelli di governo coinvolti; (ii) condivisione delle scelte dei livelli a monte da parte di quelli a valle; (iii) capacità di gestire le fasi di coordinamento e attuazione delle scelte programmatiche effettuate ad ogni livello. Risulta parimenti indispensabile il rispetto di alcune condizioni “soggettive”, relative alla possibilità che ogni istituzione trovi al suo interno le capacità gestionali senza le quali risulta impossibile, o comunque molto difficile, garantire l’efficienza complessiva del processo

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multi-istituzionale di governo. Per questo motivo, sono previste anche forme di incentivazione della capacità gestionale ed amministrativa delle singole istituzioni che vi partecipano (sistema di “condizionalità positiva” imperniato su regole di premialità-penalità imposte dal vertice decisionale per chi non riesce a rispettare gli accordi e a garantire determinati livelli di performance amministrativa). Figura 1 Schema di relazioni nel sistema di MLG della politica regionale della UE

C o o rd in am en toe re g o le

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Ne deriva un sistema di programmazione e di gestione della spesa strutturale ancorato a capisaldi funzionali all'obiettivo di minimizzazione dei costi di coordinamento: 1. i programmi elaborati dai diversi livelli giurisdizionali devono risultare funzionalmente collegati; 2. le relazioni verticali sono determinanti dell'efficienza complessiva del sistema, mentre le relazioni orizzontali tra le giurisdizioni sono ridotte al minimo; 3. ogni livello di governo, in un sistema di MLG istituzionale, deve risultare efficiente, affinché sia efficiente il sistema di governance nel suo complesso (capacità di ciascuna giurisdizione di attuare gli interventi secondo i tempi e le modalità condivise con gli altri attori istituzionali). Quanto sopra implica che il sistema di gestione multi-livello della politica regionale della UE operi attraverso una logica di “isole programmatiche”, in cui esista una rigida corrispondenza biunivoca fra programmi regionali e territori su cui esercitino la loro potestà le Regioni. L’aspettativa è quindi di spillover piuttosto contenuti, se non addirittura negativi.

2.2 Spesa strutturale comunitaria e "nuova programmazione" nelle politiche regionali

L’evoluzione della programmazione regionale delle politiche di sviluppo negli ultimi quindici anni è stata fortemente condizionata da principi e meccanismi gestionali propri della politica di coesione comunitaria. Il processo di adattamento risulta alquanto debole nella prima metà dello scorso decennio ed è solo nella seconda metà degli anni Novanta che si registra una forte accelerazione nella

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modifica dell’assetto istituzionale e nella gestione delle politiche di sviluppo e dell’azione amministrativa. L’avvio della c.d. “nuova programmazione”, generalmente datata 1998, infatti, è il segnale di una scelta politica forte diretta a rimodulare la programmazione e la gestione della politica territoriale nazionale sulla base di quella comunitaria (Ministero del Tesoro, 1998, 1999). I motivi sono: (i) la crescente rilevanza dei Fondi Strutturali nel finanziamento degli interventi di sviluppo per il Mezzogiorno (Regioni Ob. 1); (ii) la volontà di adottare i principi di MLG, in modo da favorire, indirettamente, un forte recupero di efficienza amministrativa nella gestione delle politiche di sviluppo, soprattutto a livello regionale, ossia quello rilevatosi più debole negli anni Novanta (Trigilia, 1992; Putnam, 1993; Mele, 2000).1

In effetti, i Fondi Strutturali in Italia hanno realmente sostenuto un processo di rinnovamento delle politiche territoriali e degli stessi assetti gestionali. La scelta di adattare la governance delle politiche territoriali in Italia al sistema di MLG istituzionale dei Fondi Strutturali richiede: (i) un progressivo rafforzamento, tuttora in corso, di potestà legislative e autonomia finanziaria delle Regioni (decentramento del baricentro dei processi di policy making). Tale processo, in questa fase, si accompagna ad una maggiore responsabilizzazione amministrativa degli Enti Locali, sulla scorta delle disposizioni della “legge Bassanini” (L. 59/97); (ii) una decisa finalizzazione dell'azione di riforma su obiettivi “orizzontali” di “europeizzazione” e di maggiore efficienza della macchina amministrativa italiana (Dente, 1999; Fabbrini, 2003; Graziano, 2003, 2004; Gualini, 2004; Bull e Baudner, 2004). In questa fase, infatti, si rafforza il processo di "aziendalizzazione" della P.A., ispirato al filone del New Public Management (Pollit, 1990; Osborne e Gaebler, 1992; Pierre e Peters, 2000). Gli obiettivi ultimi sono quelli di abbattere gli oneri amministrativi a carico delle imprese e migliorare l’efficienza delle politiche pubbliche, attraverso l'introduzione di principi di management by objective nell'azione amministrativa e il coinvolgimento di operatori privati nell’erogazione dei servizi di pubblica utilità (partenariato pubblico-privato). Sul versante della politica economica, la redistribuzione di competenze tra centro e periferia nella programmazione delle spese pubbliche per lo sviluppo comporta la definitiva affermazione di due particolari strumenti multi-livello di programmazione: le Intese Istituzionali di Programma e gli Accordi di Programma Quadro. Rapidamente, essi diventano la “cerniera” fra programmazione centrale e regionale delle politiche di sviluppo (Bagarani e Bonetti, 2005, 2006; OCSE, 2006; MISE-DPS, 2007). Inoltre, specialmente negli anni più recenti, essi consentono anche di ovviare alle criticità di policy riconducibili al mancato completamento di un processo di riforma in senso federalista dell’azione statale.

1 La debole performance amministrativa delle Regioni è considerata uno dei principali nodi strutturali dello sviluppo del Mezzogiorno. Inoltre, l’obiettivo di capacity building fissato dalla “nuova programmazione” trova ragioni oggettive nei deludenti risultati di efficienza ed efficacia prodotti dalle Regioni nei cicli di programmazione 1989-1993 e 1994-1999 dei Fondi Strutturali.

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Le sovrapposizioni fra Governo centrale e Regioni nell’attribuzione della gestione delle funzioni pubbliche, infatti, comportano delle inefficienze e dei ritardi attuativi, a cui si può fare fronte attraverso appunto gli Accordi di Programma Quadro. In sostanza, l'esperienza “nuova programmazione” - paradigmatica delle riforme degli assetti gestionali e degli strumenti di policy nazionali all’interno del modello di MLG della politica regionale comunitaria - si sviluppa sulla base di tre scelte strategiche di grande rilevanza: 1. la piena accettazione del modello "istituzionale" di MLG anche per la politica territoriale nazionale; 2. l’individuazione del modello neocorporativo quale base della definizione della politica economica nazionale e, quindi, della concertazione quale strumento fondante l’azione pubblica in campo economico e sociale; 3. la consapevolezza che, in territori nei quali l'iniziativa privata tarda a svilupparsi e l'intervento pubblico in economia ha un peso rilevante nella formazione del reddito, l'efficienza dell'azione amministrativa del Settore Pubblico diventi fattore cruciale di successo per qualsiasi politica di sviluppo. Questa consapevolezza alimenta sia la forte ripresa dell'azione riformatrice del Settore Pubblico, sia la destinazione di una quota rilevante delle risorse comunitarie e nazionali al rafforzamento alle azioni di capacity building di tutti i livelli di governo.

3 Il processo di empowerment delle Regioni e degli Enti Locali e le modifiche nella ripartizione delle competenze fra livelli di governo centrale e regionale

Il sistema di MLG comunitario e i processi di empowerment delle Regioni si pongono in un rapporto di forte complementarità logica con la teoria del federalismo fiscale (Oates, 1972, 1993, 1999; Tanzi, 1995; Cerniglia, 2003). Essi trovano legittimazione teorica nella tesi secondo la quale la distribuzione delle “prerogative” di governo nella fornitura di beni pubblici e di beni di merito fra i diversi livelli istituzionali debba garantire la corretta corrispondenza fra “esternalità” che si determinano e “scale territoriali” su cui esercitano la loro giurisdizione le istituzioni ai vari livelli.2

In questa prospettiva, le forme di governo a scala multipla risulterebbero essere le uniche in grado di riuscire a cogliere pienamente gli effetti delle esternalità generate dall’offerta di beni pubblici e di merito. In altri termini, il modello di governo strutturato su più livelli consentirebbe, meglio di altri, di internalizzare tali esternalità (Marks e Hooghe, 2004; Perraton e Wells, 2004). Queste considerazioni acquisiscono maggiore valenza se, come assunto nel modello originario di Oates (1972), sussiste una forte differenziazione delle preferenze dei cittadini-

2 L’espressione “prerogative” viene ripresa da Alesina e Wacziarg (1999): “a prerogative [is] the right allocated to a level of govenrment to exercise a certain policy or to provide a given public good” (p.17).

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utenti tra le varie giurisdizioni mutuamente esclusive a livello territoriale. Tale ragione, infatti, è tra le principali che giustificano la programmazione e la gestione multi-livello della politica territoriale della UE. In questo modo, infatti, si tenta di massimizzare la capacità di corrispondere alla complessa ed eterogenea domanda proveniente dalle popolazioni locali.3

Tali principi della MLG istituzionale e del federalismo fiscale sono certamente alla base del disegno logico della "nuova programmazione" e delle riforme costituzionali degli ultimi anni. Il rafforzamento dell'autonomia delle Regioni nella programmazione delle spese previsto dalla “riforma Bassanini”, di conseguenza, acquisisce ben altra dimensione con le due leggi di riforma costituzionale del 1999 e del 2001 (Bagarani e Bonetti, 2005, 2006). In questa sede, in particolare, si sottolineano le innovazioni previste dalla riforma degli artt. 117 e 118: • la previsione di una netta separazione tra materie di esclusiva legislazione statale,

materie di legislazione concorrente e materie di esclusiva competenza delle Regioni, rilevate in via residuale (in altri termini, viene costituzionalizzato il principio di sussidiarietà, affiancandolo a quelli di “differenziazione” e di “adeguatezza”);

• la reale valorizzazione della funzione di programmazione della spesa delle Regioni, a fronte di un ridimensionamento delle funzioni amministrative di loro competenza, devolute agli Enti Locali e la costituzionalizzazione della politica di coesione nazionale (art. 119).

La tavola sinottica, presentata in Tabella 2, evidenzia come allo Stato si riservi la potestà legislativa esclusiva in relazione ad alcune materie che, in sostanza, garantiscono l’unitarietà istituzionale della Repubblica. La titolarità legislativa inerente molteplici politiche pubbliche, con la riforma del Titolo V della Costituzione, invece, viene conferita alle Regioni in via concorrente: le Regioni hanno piena autonomia legislativa, “salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.4 Le materie di legislazione regionale esclusiva non sono richiamate espressamente nella Carta costituzionale, ma si ricavano in via residuale. In realtà, la scelta di mantenere una competenza concorrente rende molto meno trasparente il processo di decentralizzazione delle funzioni e, in ultima istanza, anche quello di trasferimento della responsabilità di spesa, contribuendo in modo decisivo alla riduzione dell’efficacia della scelta di decentramento amministrativo, politico ed economico. Una formulazione così vaga della potestà legislativa concorrente ha sollevato da subito la necessità di puntualizzare la ripartizione delle competenze. 3 Seguendo l’approccio di Oates, emerge che tanto più è alto il grado di eterogeneità delle preferenze all’interno delle giurisdizioni e tanto più alto è il grado di omogeneità delle preferenze tra le diverse giurisdizioni, tanto meno conveniente sarà la scelta di una politica di devoluzione. Nello stesso tempo è condivisibile l’assunto che tanto più è forte l’identità territoriale e il senso di appartenenza ad un territorio, tanto più sarà omogeneo il sistema di preferenze, rendendo con ciò più conveniente il processo di regionalizzazione. 4 Si segnala, inoltre, come alcune materie – in particolare sicurezza sociale, ambiente e beni culturali - possono essere oggetto di competenza del Governo centrale in modo da garantire l’interesse generale della comunità sull’intero territorio nazionale e, al contempo, essere oggetto di legislazione concorrente da parte delle Regioni.

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Tabella 2 Ripartizione della potestà legislativa tra Governo centrale e Regioni (ex art. 117 della Costituzione riformata)

Materie di esclusiva competenza statale Competenza concorrente

Politica estera e rapporti internazionali dello Stato

Rapporti internazionali e con l’UE delle Regioni

Dogane e protezione dei confini Commercio estero

Rapporti tra la repubblica e le confessioni religiose

Tutela e sicurezza del lavoro

Immigrazione Istruzione e professioni

Cittadinanza, stato civile, anagrafi Ricerca e Sviluppo e sostegno all’innovazione

Moneta e tutela del risparmio Tutela della salute e alimentazione

Organizzazione dello Stato e leggi elettorali Ordinamento sportivo

Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato

Protezione civile

Difesa e forze armate Governo del territorio

Sicurezza e ordine pubblico Porti e aeroporti civili

Norme generali sull’istruzione Grandi reti di trasporto e navigazione

Sicurezza sociale Ordinamento della comunicazione

Giustizia Produzione e trasporto di energia

Tutela dell’ambiente e dei beni culturali Previdenza integrativa

Servizi informativi e statistici Valorizzazione dell’ambiente e dei beni culturali

Casse di risparmio e aziende di credito regionali

Enti di credito agrario e fondiario regionali

Questo avviene con la L. 131/2003 (“legge La Loggia”), volta a superare le questioni più controverse concernenti la distribuzione delle funzioni pubbliche tra livelli di governo. Ancora oggi, tuttavia, la questione dei limiti e della fondatezza teorica e politica della autonomia legislativa delle Regioni è oggetto di dibattito e di ulteriori proposte riformatrici (in primis la proposta di legge sul nuovo "Codice delle Autonomie"). Sono parimenti oggetto di discussione le questioni, ancora più delicate, del rafforzamento dell’autonomia finanziaria delle Regioni (alle quali, diversamente dal passato, si conferisce “autonomia finanziaria di entrata e di spesa) e delle forme più adeguate di federalismo fiscale (Viesti, 2001; Bordignon e Cerniglia, 2004; ISAE, 2006). In questo quadro, due sono le questioni problematiche. In primo luogo, le scelte di decentralizzazione e, dunque, di trasferimento dei poteri e delle "prerogative" a Regioni ed Enti Locali sono solo parzialmente coerenti sul piano logico con il modello di MLG che caratterizza la gestione degli interventi strutturali nell’UE (Bagarani e Bonetti, 2006). In particolare risalta che, ad un numero troppo elevato di livelli giurisdizionali coinvolti nel processo decisionale (con conseguente rischio di “polverizzazione” delle competenze), non corrisponde una netta separazione gerarchica delle funzioni pubbliche tra le varie istituzioni (appare eccessivo il numero di funzioni oggetto di legislazione concorrente). Infine, causa l’eccessiva numerosità delle funzioni pubbliche, non è possibile individuare una corretta

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corrispondenza fra "scale territoriali" di competenza delle singole giurisdizioni e "scale territoriali" su cui si dispiegano gli effetti delle funzioni pubbliche. Questo vale in relazione alle infrastrutture a rete, ma anche in relazione a determinate infrastrutture puntuali e a interventi pubblici di sostegno allo sviluppo (quali quelli a sostegno delle attività di R&ST, del potenziamento dei servizi logistici e dei servizi di connettività – materiali e immateriali – e del miglioramento del servizio di distribuzione dell’energia). Questi elementi, negli anni recenti, hanno determinato l’insorgere di rilevanti costi di coordinamento, associati a bassa efficienza economica e rischio di immobilismo istituzionale. In secondo luogo, lo spostamento delle competenze di spesa dal Governo centrale alle Regioni non è funzionale solo all'obiettivo di incrementare la corrispondenza fra preferenze locali (domanda di policy) e offerta di policy dei decisori pubblici. Se si consegue questo obiettivo, certamente la decentralizzazione delle competenze implica una maggiore efficacia delle politiche pubbliche (Oates, 1993). Se, tuttavia, questo processo non conduce anche a una maggiore efficienza amministrativa di Regioni ed Enti Locali, non necessariamente la decentralizzazione delle politiche strutturali di sviluppo (e della spesa in conto capitale), comporta anche un incremento della crescita economica su scala regionale/locale. Analisi recenti evidenziano, in relazione alle regioni del Mezzogiorno storico, che l'empowerment delle Amministrazioni regionali provvede ad elevarne le capacità di corrispondere alla domanda di policy delle popolazioni locali (Bagarani, 2005), ma che gli effetti sulla chiusura del gap strutturale fra Centro-Nord e Mezzogiorno sono ampiamente insoddisfacenti in relazione al rilevante montante di spesa pubblica destinato a questo obiettivo (Rossi, 2005; Bagarani, Bonetti e Zampino, 2007). Il resto del lavoro, pertanto, è dedicato alla verifica, a livello empirico, della esistenza di una relazione fra decentralizzazione della programmazione delle spese per lo sviluppo strutturale e la dimensione e le variazioni del PIL pro capite delle regioni.

4 Dati

Il lavoro utilizza informazioni offerte da tre differenti data set: i Conti Pubblici Territoriali (CPT), elaborati dal Ministero dello Sviluppo Economico, i Conti Economici Regionali (CER), forniti dall’ISTAT e, infine, le Statistiche per le Politiche di Sviluppo, prodotte congiuntamente da ISTAT e Ministero per lo Sviluppo Economico. I Conti Pubblici Territoriali presentano dati a livello regionale circa la spesa consolidata erogata, distinguendo per differenti livelli di governo, i.e. amministrazioni centrali, regionali, locali e flussi di spesa finanziati dagli Enti della Pubblica Amministrazione. L’analisi si concentra sui dati disponibili circa la spesa pubblica in conto capitale nel periodo 1996-2005. Si evidenzia come le informazioni contenute nei CPT permettano di esaminare la distribuzione della spesa pubblica nei diversi settori di intervento in modo tale da individuare,

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qualora esistenti, differenze nei modelli di politica economica caratterizzanti le diverse regioni. In particolare, i CPT consentono di analizzare le relazioni esistenti tra differenti obiettivi di spesa e processi di decentramento politico e sviluppo economico. I Conti Economici Regionali, viceversa, consentono di completare il quadro di analisi con informazioni in grado di definire, nel periodo 1994-2005, le caratteristiche socioeconomiche delle regioni (quali, ad esempio, livelli di PIL, caratteristiche demografiche, attività economica, grado di sviluppo economico, etc.). Infine, questo lavoro utilizza gli Indicatori di contesto chiave e variabili di rottura contenuti nelle Statistiche per le Politiche di Sviluppo, i quali integrano i dati disponibili con ulteriori informazioni relative alle caratteristiche socioeconomiche di rilievo in termini di politiche per lo sviluppo economico a livello regionale, ad esempio povertà economica, tasso di disoccupazione, tasso di istruzione della popolazione, indice di criminalità, etc..

5 Analisi empirica

5.1 Contesto macroeconomico

La Tabella 3 mostra la distribuzione macro territoriale del PIL pro capite nel periodo 1994-2005 ed evidenzia l’esistenza di un, seppur molto debole, fenomeno di avvicinamento delle aree più povere alle più ricche. Il “peso” del Mezzogiorno nei confronti del Nord e del Centro, infatti, passa rispettivamente dal 53,5% e 61,5% del 1995, anno di minimo, al 58,4% e 63,2% del 2005, con un incremento nel decennio del 5,3% rispetto al Nord e del 2,8% rispetto al Centro. Più in aggregato, la crescita del Sud rispetto al resto d’Italia (Nord+Centro) risulta pari, sempre nel il periodo 1995-2005, al 4,6%. In termini di tasso di crescita medio annuale nel decennio, la variazione risulta pari allo 0,45%. Il confronto delle variazioni nei singoli anni mostra che il tasso annuale del PIL pro capite del Mezzogiorno è più alto del resto del Paese per quattro anni consecutivi, tra il 1996 ed il 1999 (gli anni di attuazione della programmazione comunitaria 1994-1999), flette nel 2000 per poi riprendere, con fasi alterne, tra il 2001 ed il 2005 (periodo di programmazione comunitaria 2000-2007). In questo contesto, si sottolinea come il Sud sia interessato da un flusso di aiuti finanziari piuttosto rilevante, associato alle specifiche politiche per lo sviluppo promosse sia a livello nazionale che comunitario. Di conseguenza, le differenze tra tassi di crescita del PIL pro capite nelle diverse aree, mostrate in precedenza, appaiono piuttosto trascurabili, anche se sostanzialmente costanti nell’intervallo temporale considerato. Si osserva come l’anno 2001 rappresenti un punto di discontinuità. Infatti, mentre un sostanziale processo di crescita sembra caratterizzare in maniera uniforme tutte le regioni nel

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periodo 1994-2001, a partire dal 2002 emerge il trend negativo nei tassi di crescita del PIL pro capite.

Tabella 3 PIL pro capite regionale per macro aree geografiche, 1994-2005

1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005PIL pro capite(val. in Euro - prezzi 1995)Nord 19.237,02 19.972,50 20.136,03 20.489,52 20.744,64 20.958,81 21.839,85 22.077,11 21.947,89 21.723,46 21.587,65 21.416,86Centro 16.865,76 17.380,86 17.524,01 17.722,56 18.104,77 18.372,78 19.251,28 19.734,18 19.440,43 19.220,67 19.158,65 19.090,95Sud 10.643,51 10.689,54 10.781,69 11.059,93 11.301,20 11.576,66 12.058,58 12.222,22 12.286,17 12.105,79 12.094,11 12.073,15

Andamenti relativiSud/Nord 0,553 0,535 0,535 0,540 0,545 0,552 0,552 0,554 0,560 0,557 0,560 0,564Sud/Centro 0,631 0,615 0,615 0,624 0,624 0,630 0,626 0,619 0,632 0,630 0,631 0,632Sud/(Nord+Centro) 0,575 0,557 0,557 0,563 0,567 0,574 0,572 0,572 0,580 0,577 0,580 0,583

Tasso di variazione del PIL pcNord . 0,0382 0,0082 0,0176 0,0125 0,0103 0,0420 0,0109 -0,0059 -0,0102 -0,0063 -0,0079Centro . 0,0305 0,0082 0,0113 0,0216 0,0148 0,0478 0,0251 -0,0149 -0,0113 -0,0032 -0,0035Sud . 0,0043 0,0086 0,0258 0,0218 0,0244 0,0416 0,0136 0,0052 -0,0147 -0,0010 -0,0017Confronti Sud, Nord, Centro -- ++ ++ ++ ++ -- +- ++ -- ++ ++ Fonte: ISTAT Conti Economici Regionali

L’esistenza di pur deboli dinamiche di convergenza economica è confermata dall’analisi dei processi di sviluppo del PIL pro capite nelle aree del Nord e Centro Italia in rapporto ai trend di crescita caratterizzanti le regioni meridionali. Si propone l’adozione di un indice estremamente intuitivo e efficace nel rappresentare, in maniera sintetica, le relazioni tra le due diverse macro aree identificate. Formalmente:

tCENTROpcNORD

tpcSUD

YY

I)(

)(

+

=

dove t rappresenta gli anni nel periodo 1995-2005. La Figura 2 mostra graficamente come, tra il 1994 e il 2005, il rapporto tra i valori del PIL pro capite delle due differenti macro regioni presenti un trend decrescente sostanzialmente omogeneo, i.e. il Sud appare caratterizzato da processi di crescita debolmente più consistenti rispetto alle regioni del Nord e del Centro.

Figura 2 Rapporto tra PIL pro capite Sud/(Nord+Centro), 1995-2005

0,5

0,52

0,54

0,56

0,58

0,6

1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Anni

Rap

port

o Su

d/(N

ord+

Cen

tro)

Fonte: ISTAT Conti Economici Regionali

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E’ in questo quadro, per alcuni aspetti controverso, caratterizzato, da un lato, da un incompleto processo di decentralizzazione, dall’altro, da seppur deboli dinamiche di convergenza tra i livelli PIL pro capite regionali, che si intende procedere nel verificare se e in che misura la spesa pubblica attivata nei territori regionali contribuisca alle variazioni del PIL pro capite delle regioni stesse. Il lavoro, pertanto, utilizzando le informazioni sulla spesa settoriale fornite dalla banca dati sui Conti Pubblici Territoriali, procede alla definizione di due sotto-insiemi distinti della spesa pubblica in conto capitale:

i. l’ammontare di spesa diretta alla produzione di beni pubblici (ipotesi di presenza di mercati incompleti);

ii. la spesa pubblica destinata ad interventi in sostegno dei privati (ipotesi di esistenza di particolari condizioni di contesto sociale, quali ad esempio le condizioni alla base della definizione degli Obiettivi territoriali comunitari).

La Tabella 4 presenta l’elenco dei settori che, in questa analisi, sono definiti quali settori di intervento per il sostegno del sistema sociale (produzione di beni pubblici) e, alternativamente, settori di produzione, rientranti in programmi e politiche di aiuto all’attività imprenditoriale privata. Come primo risultato analitico, la disaggregazione proposta consente di verificare come il, seppur limitato, processo di convergenza precedentemente discusso, sia accompagnato da una azione di decentramento, la quale, se può essere considerata rilevante sul piano politico, appare debole ed incerta sul piano economico.

Tabella 4 Chiavi di aggregazione per le variabili “Beni pubblici” e “Aiuti alle imprese”

Beni pubblici Aiuti alle imprese

istruzione ricerca e sviluppo formazione lavoro

cultura telecomunicazioni edilizia agricoltura sanità turismo sociale commercio acqua industria

fognature energia ambiente altre opere pubbliche

rifiuti altre spese per l'economia altri sanitari previdenza

strade altri trasporti

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Il tasso di decentramento5 della spesa pubblica in conto capitale, infatti, rimane pressoché stabile per tutto l’intervallo temporale considerato (1996-2005), come mostrato chiaramente in Figura 3.

Figura 3 Andamento dei tassi di decentramento per aggregato funzionale di spesa pubblica, 1996-2005

0.000

0.050

0.100

0.150

0.200

0.250

0.300

0.350

0.400

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Anni

Beni pubblici Aiuti Tasso medio di decentramento

Tass

o di

dec

entr

amen

to

Fonte: Elaborazione dati Ministero per lo Sviluppo Economico Conti Pubblici Territoriali

E’ comunque interessante notare che, mentre l’aggregato “beni pubblici” presenta un livello di tasso di decentramento stabilmente in linea con il valore assunto dall’intera spesa in conto capitale, gli “aiuti alle imprese” presentano valori dell’indice di decentramento consistentemente inferiori, per i quali non è possibile individuare uno specifico processo di sviluppo temporale (dinamiche di incremento e/o riduzione).

5.2 Il modello di stima

Il modello di stima ipotizza che il Prodotto Interno Lordo (Y ), dipenda principalmente dal livello di spesa pubblica ( ) e da una serie di variabili ambientali, i.e. variabili di “stato” del contesto socio-economico, le quali possono essere ragionevolmente considerate una sorta di proxy del capitale (

G

K ). Dunque, in una prima fase, è possibile rappresentare formalmente tali relazioni come:

),( KGfY = [1]

Inoltre, l’analisi propone l’ipotesi di esistenza di spillover ( S ) originati dalle decisioni di investimento in spesa pubblica definite nel sistema politico nel suo complesso. Nello specifico, si ipotizza che i meccanismi di reddito nella regione i al tempo t siano influenzati

5 Calcolato come rapporto tra la spesa pubblica regionale e locale e la spesa pubblica totale, a livello nazionale.

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dal livello di spesa pubblica registrato nelle rimanenti regioni al tempo , con

e

1−t ∑=

−=j

tjGS1

1,

J

Jj ,...,1= ij ≠ .

In coerenza con quanto proposto da Alesina e Wacziarg (1999), si adotta una funzione di produzione del reddito di tipo Cobb-Douglas. Nel caso specifico la funzione è rappresentata dalla [2]:

( ) ik d

ktiktititi eXSGAGy δγβββ ∏−= ,,1,,,

321 21 [2]

dove: y prodotto interno lordo pro capite

1G spesa pubblica in c/capitale per la produzione di beni pubblici 2G spesa pubblica in c/capitale destinata agli aiuti ai settori produttivi

S spillover kX k -variabili di contesto sociale ed economico

d variabile dummy rappresentante l’orientamento politico dei governi regionali (in particolare assume valore 1 se la regione è governata da schieramenti politici di sinistra) di regioni t anni j altre regioni con ij ≠

La [3] rappresenta l’equazione econometrica di tipo lineare utilizzata in questo lavoro per la stima delle determinanti il PIL pro capite a livello regionale:

∑ ++++++= −k

tiitikktititi dXSGGAy ,,,31,2,1, ln2ln1lnlnln εδγβββ [3]

5.3 Analisi statistica

Questa sezione presenta i risultati ottenuti esaminando le determinanti del PIL pro capite a livello regionale nel periodo 1996-2005 in Italia. Nello specifico, si propone un’analisi delle relazioni esistenti tra processi di crescita economica (rappresentati dalle dinamiche del PIL pro capite) e caratteristiche politiche, economiche e sociali dei diversi sistemi regionali. La Tabella 5 presenta i risultati ottenuti implementando modelli OLS panel fixed-effects nei quali il logaritmo del PIL pro capite a livello regionale rappresenta la variabile dipendente. Si sottolinea come l’analisi sia sviluppata su un campione di 18 regioni: le regioni Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige sono escluse a causa di problemi di eteroschedasticità. Infine, come discusso nella sezione precedente, è necessario richiamare l’attenzione sull’opportunità in questa analisi di utilizzare esclusivamente informazioni relative alle dinamiche di spesa pubblica in conto capitale, i.e. escludendo, almeno in questo esercizio, sia la spesa corrente, sia le entrate. Tale procedura rappresenta naturalmente un importante limite

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analitico. Tuttavia, essa risulta essere coerente con l’obiettivo di valutazione dell’approccio di Multi Level Governance (e, dunque, con le direttive comunitarie) nei suoi aspetti principali, i.e. le politiche di sviluppo dei Fondi Strutturali promosse a livello regionale. Come mostrato in Tabella 5, gli investimenti in spesa pubblica, siano essi definiti a livello di governo regionale e locale o a livello centrale, generano effetti contrastanti sullo sviluppo temporale del PIL pro capite a seconda dei diversi settori di intervento. I modelli, i cui risultati sono riportati in Tabella, pur mantenendo la stessa struttura formale, differiscono per numero e/o caratteristiche delle variabili esplicative. In particolare, il modello 1 descrive le relazioni esistenti tra i diversi aggregati di spesa pubblica definiti, “beni pubblici” ed “aiuti”, e le dinamiche di PIL pro capite a livello regionale. Il modello 2 completa l’analisi delle relazioni di base tra spesa pubblica e PIL introducendo la variabile Spillover. Nei modelli 3, 4 e 5 si aggiungono ulteriori variabili di contesto, mentre il modello 6 rappresenta i risultati ottenuti con tutte le variabili adottate. In generale, si sottolinea sia la stabilità dei segni, sia la significatività dei parametri. Si evidenzia il segno positivo del coefficiente associato alla variabile Spesa beni pubblici rappresentante gli investimenti diretti allo sviluppo e al sostegno dei sistemi sociali a livello regionale. La variabile risulta essere significativa in tutti i modelli proposti, nonostante il valore assoluto del parametro sia, soprattutto nel modello 6, piuttosto ridotto. Diversamente, è interessante analizzare la relazione negativa, evidenziata in tutti i modelli proposti, tra le dinamiche temporali dei livelli di reddito pro capite e gli aiuti alle imprese. Infatti, nonostante il valore assoluto dei coefficienti suggerisca effetti economici piuttosto limitati, la spiegazione degli effetti negativi associati ad incrementi della spesa diretta al sostegno del sistema economico appare complessa. La variabile utilizzata, Aiuti alle imprese, rappresenta gli investimenti pubblici indirizzati al sostegno del sistema economico regionale, i.e. investimenti in ricerca e sviluppo, finanziamenti al sistema di previdenza sociale o del lavoro, aiuti pubblici ai settori agricolo, industriale, del commercio, etc. Il segno negativo potrebbe essere spiegabile assumendo un comportamento razionale degli operatori, i quali, in presenza di flessioni reali o attese del sistema economico regionale, reagiscono con un incremento della domanda di aiuti ed agevolazioni che assumerebbero dunque, una funzione anticiclica. Dato il basso valore dell’indice di decentramento verificato per l’aggregato in esame, questa interpretazione comporterebbe, come prerequisito, l’assunzione di una ipotesi di alta efficienza dell’amministrazione pubblica, in particolare dell’amministrazione centrale dello Stato, nella percezione e soddisfazione della domanda. Un’interpretazione alternativa, in antitesi con le precedenti conclusioni, suggerirebbe come la negatività del parametro possa essere considerata un segnale di incapacità da parte dello strumento di agire come leva per lo sviluppo. Questa differente lettura comporterebbe, come

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conseguenza, l’assunzione di una consistente inefficienza tanto dello strumento in sé, quanto dell’azione dell’amministrazione pubblica. E’ evidente che il risultato ottenuto richiede uno sforzo ulteriore di ricerca, dato che i modelli presentati non riescono a fornire un contributo positivo ai fini di una spiegazione univoca della relazione trovata. Tuttavia, in sintesi, al di là delle incertezze interpretative, è possibile sostenere che, se da un lato, la spesa diretta alla produzione di beni pubblici sembra tradursi in maniera diretta in aumento del PIL pro capite a livello regionale, dall’altro lato, i finanziamenti stanziati in favore delle attività economiche non necessariamente appaiono generare miglioramenti del PIL pro capite. Tale conclusione appare rafforzata se si considera, come esaminato nel paragrafo precedente, che il periodo compreso tra il 2002 e il 2005 è caratterizzato da trend economici negativi registrati in tutte le aree geografiche (vedi Tabella 3). Inoltre, i risultati dello studio delle dinamiche di PIL e di spesa sviluppata in cross section per ciascun anno di riferimento e, alternativamente, in serie storica per ciascuna delle regioni comprese nell’analisi, risultati non riportati in questo lavoro, dimostrano come, mentre la spesa pubblica per la produzione di beni pubblici tenda ad aumentare all’aumentare del livello di PIL, gli aiuti alle imprese presentino comportamenti anticiclici, aumentando al diminuire del reddito considerato sia nelle sue dimensioni territoriali, che nelle sue variazioni temporali. Come ragionevolmente atteso, il segno associato alle decisioni di spesa delle altre regioni (spillover) è positivo in tutti i modelli proposti. La variabile (Log) Spillover (t-1) per ciascuna specifica regione, rappresenta la somma della spesa pubblica totale in conto capitale registrata nelle rimanenti regioni con un ritardo temporale pari ad un anno. Dunque, i risultati ottenuti evidenziano la presenza di spillover positivi generati dalle decisioni di aumento di spesa definite nel sistema politico nel suo complesso (ove, di volta in volta, si esclude l’ammontare di investimenti pubblici osservati nella regione in esame dal totale della spesa). Tali decisioni determinano aumenti del PIL pro capite a livello regionale a prescindere dal settore di investimento. Si evidenzia come l’esistenza di non trascurabili livelli di correlazione tra le decisioni di spesa definite nelle diverse regioni determini problemi di multicollinearità, i quali plausibilmente giustificano, in alcuni modelli, una riduzione nei livelli di significatività. Come evidente nello studio dei risultati ottenuti sviluppando i modelli 4,5, e 6, si sottolinea il segno positivo associato alla variabile Criminalità. L’indice di criminalità è calcolato come variazione temporale nel numero di atti criminali registrati, dove l’anno 1995 rappresenta l’anno di riferimento, i.e. 1995=100. Tale risultato può sembrare ad una prima analisi controintuitivo dal momento che il fenomeno criminalità sembra essere maggiormente sviluppato nelle aree caratterizzate da livelli di reddito inferiori. Tuttavia, esso risulta essere del tutto coerente con quanto evidenziato dall’analisi di correlazione, che mostra l’esistenza di una relazione diretta e positiva tra PIL pro capite a livello regionale e tasso di crescita della criminalità. Tale conclusione è, inoltre, ulteriormente supportata dall’esame dei dati in serie

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storica. Infatti, in questo caso, si sottolineano dinamiche di aumento della presenza di criminalità principalmente nelle regioni del Nord e del Centro Italia, caratterizzate, in generale, da più elevati livelli di reddito. Anche in questo contesto, considerata la complessità del fenomeno, si suggerisce l’opportunità di esaminare tali processi con maggior grado di dettaglio in progetti di ricerca futuri. Infine, i coefficienti associati alle variabili rappresentanti caratteristiche ambientali quali il grado di istruzione della popolazione, il grado di apertura dei diversi mercati regionali ai mercati internazionali (Log esportazioni), le caratteristiche del mercato del lavoro (Log disoccupazione) e le caratteristiche del mercato delle attività economiche private (Log rischio di finanziamento) presentano tutti il segno atteso e le variabili risultano essere costantemente fortemente significative.6

In questo quadro, è interessante evidenziare come il valore assoluto dei coefficienti associati alle variabili rappresentanti il tasso di disoccupazione e il grado di educazione della popolazione suggeriscono l’opportunità di considerare tali fattori quali principali determinanti il livello di ricchezza regionale.

Tabella 5 Determinanti delle dinamiche di PIL pro capite a livello regionale (1996-2005): analisi dati panel Variabile mod1 mod2 mod3 mod4 mod5 mod6Log spesa beni pubblici .15617577*** .10246572*** .0580631*** .03510082* .03743899* .04038705**

(9,19) (5,4) (3,26) (1,7) (1,93) (2,32)Log spesa aiuti imprese (t-1) -.03139685*** -.05372555*** -.05509429*** -.03091705*** -.02848848*** -.0288405***

(-2,67) (-4,58) (-5,39) (-3,01) (-2,94) (-3,33)Log spillover (t-1) .12911906*** .06956126*** .04542697 .03670762 .06359983**

(5,05) (2,9) (1,58) (1,35) (2,55)Log disoccupazione -.10024204*** -.08906988*** -.07513191*** -.07507194***

(-6,72) (-5,37) (-4,69) (-5,23)Log criminalità .02007151 .01820806 .02487839**

(1,63) (1,57) (2,38)Governo regionale -.02274561*** -.01873442***

-3,78 (-3,44)Log educazione (20-24) .19274028*** .213855*** .13295533**

(2,9) (3,41) (2,28)Log rischio di finaziamento -.01975754*** -.01780057*** -.01441845***

(-3,55) (-3,38) (-3,03)Log esportazioni .08169922***

(5,08)Costante 8.823027*** 7.8638627*** 9.0646685*** 8.423877*** 8.38937*** 8.160888***

(68,76) (35,14) (34,23) (26,05) (27,58) (29,57)

Numero casi 162 162 162 126 126 126r2 0,3779 0,47324 0,60162 0,7616 0,79135 0,83447F 43,129 42,225 52,855 46,094 47,409 55,451legenda: * p<.1; ** p<.05; *** p<.01t in parentesi

6 La variabile Log educazione (20-24), nel modello 6, appare poco significativa. Ciò può essere dovuto a problemi di multicollinearità tra le diverse covariate introdotte nella specificazione econometrica. Tuttavia, il segno del coefficiente e il suo valore risultano essere del tutto coerenti con i risultati ottenuti nei restanti modelli.

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6 Conclusioni

Questo studio muove da una breve ricognizione delle principali caratteristiche del modello di Multi Level Governance adottato dalla UE nello sviluppo della politica strutturale negli ultimi due decenni. Si verifica l’adozione di tale modello da parte del policy maker nazionale soprattutto attraverso la realizzazione della c.d. “nuova programmazione”, in stretta concomitanza con l’evoluzione di una politica orientata ad introdurre elementi di federalismo regionale all’interno del sistema istituzionale italiano. Successivamente il lavoro cerca di valutare, nel quadro delle evoluzioni macroeconomiche degli ultimi anni, la capacità degli interventi pubblici di spesa strutturale (in conto capitale) ad avviare e sostenere processi di sviluppo nel PIL pro capite regionale. I principali elementi conclusivi che emergono alla fine dell’esercizio proposto, possono essere riassunti nei seguenti:

i. l’adozione del modello di MLG è avvenuta in un quadro di decentramento politico, amministrativo ed economico asimmetrico e incompleto;

ii. l’asimmetria deriva dalla scarsa rilevanza del processo di decentramento dal punto di vista economico, visto che solo poco più del 30% della spesa in conto capitale complessiva è sotto il controllo e la responsabilità dei livelli locali;

iii. l’incompletezza del processo di decentramento è testimoniata dalla presenza di una “zona grigia” ancora in via di definizione in cui si collocano le competenze concorrenti, non attribuibili con certezza alla responsabilità di una giurisdizione territoriale unica;

iv. il contributo della spesa pubblica appare essere, di conseguenza, poco determinante nella formazione del PIL regionale, anzi una parte di questa, quella destinata agli aiuti alle imprese, risulta fornire un contributo negativo;

v. tutti i modelli evidenziano l’importanza del capitale sociale presente nelle Regioni, ai fini della crescita del PIL e non è un caso, pertanto, che la spesa pubblica destinata alla creazione di beni pubblici presenti coefficienti significativi con segno positivo;

vi. è ragionevole supporre che il grado di efficienza della PA nella gestione degli interventi pubblici possa essere una delle maggiori concause al basso livello di impatto dell’azione pubblica.

Lo studio ha anche posto in rilievo la necessità di alcuni approfondimenti, in particolare con riguardo a:

a) la possibilità di misurare quantitativamente l’efficienza dell’azione della PA nelle politiche strutturali;

b) il ruolo effettivamente svolto dagli strumenti di aiuto alle imprese e le ragioni per cui questa variabile assume segni negativi rispetto al PIL;

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c) il ruolo effettivamente svolto da alcune variabili del contesto sociale, in particolare il ruolo svolto dalla presenza di criminalità nel tessuto sociale delle regioni.

Su queste linee di ricerca si intende impostare il lavoro futuro in materia di analisi delle politiche economiche regionali nel contesto del sistema di MLG che costituisce il framework istituzionale della politica strutturale comunitaria e nazionale.

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ABSTRACT

The research work analyses the characteristics of the Multi Level Governance model adopted in the framework of the EU regional development policies. The paper describes the regional economic policy model coming from the objectives of the communitarian cohesion policy. Furthermore, the paper presents a model aiming to verify and to estimate the macroeconomic effects deriving from the adoption of the decentralization of public expenditure principle in Italy. Such a model utilises the available data from Territorial Public Account (Conti Pubblici Territoriali) on the capital expenditure for different jurisdiction level and for different economic and social sector in regional areas during the period 2000-2005. The work in hand verifies the hypothesis that the contribution of the public expenditure to the local development, in terms of per capita GDP, by the on going process of decentralization, from the Centre to the Regions, could be weak and poorly relevant.