B1483_UN EREDITIERA IN CAMICE BIANCO

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Lucy Clark

UN'EREDITIERA IN CAMICE BIANCO

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Doctor's Society Sweetheart

Harlequin Mills & Boon Medical Romance © 2010 Anne Clark and Peter Clark

Traduzione di Silvia Calandra

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Serie Bianca

maggio 2012

Questo volume è stato stampato nell'aprile 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano

HARMONY SERIE BIANCA

ISSN 1122 - 5420 Periodico settimanale n. 1483 del 15/05/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 377 dello 09/02/1982 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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«Perché proprio durante il mio turno?» Dartagnan Freeman era quanto mai infastidito. Scrollò il capo e si voltò a guardare Jalak, l'anziano del villaggio di Tarparnii. «Non capisco perché ti arrabbi» replicò Jalak. «Non sono arrabbiato.» Dart si passò la mano tra i capelli scuri. Solitamente li portava corti, ma ormai era a Tarparnii da quasi tre mesi e i capelli erano cre-sciuti. «Sono irritato. Le troupe televisive sono una palla al piede. Per loro contano solo gli indici d'ascol-to e gli introiti pubblicitari.» «Non fanno un buon lavoro?» Jalak era confuso. Dart chiuse gli occhi e cercò di calmarsi. Non vo-leva offendere l'uomo che lo aveva accolto al villag-gio e che gli aveva fornito utili consigli durante la sua permanenza. «Il loro lavoro è eccellente.» Aprì gli occhi e si diresse verso la capanna che fungeva da ambulatorio. Aveva terminato le visite della mattina e doveva mettere in ordine. Quel giorno era rimasto solo e così aveva impiegato il doppio del tempo per fare ogni cosa ed era parecchio stanco. «Quando le immagini entreranno nelle case informeranno il pub-blico sulla piaga che affligge la tua gente, sugli even-ti che hanno devastato questo paese. È un'ottima cosa

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la presenza di una troupe televisiva, Jalak.» «Perché allora fai obiezioni?» Dart si fermò e mise le mani nelle tasche dei ber-muda color cachi. Portava un paio di scarponcini di cuoio e una leggera camicia di cotone e un'ombra di barba gli velava il viso. Faceva caldo, c'era afa ed era stanco per le visite. Non ci voleva proprio a far traboc-care il vaso di quella giornata già abbastanza frenetica, la troupe televisiva, capitanata dalla signora della tv spazzatura Emerson-Rose Jolfille. L'aveva già vista in televisione. Sicuramente era stato suo padre a farla assumere come conduttrice di un programma d'informazione medica. Sebastian Jol-fille era un magnate nel campo della comunicazione e sembrava che sua figlia fosse più che lieta di stare da-vanti alle telecamere, con il sorriso perfetto, i lunghi e morbidi ricci che faceva ondeggiare sulle spalle e gli occhi azzurri e penetranti con cui incantava il pubbli-co. Si diceva in giro che avesse una laurea in medici-na, ma aggirarsi per gli studi televisivi e presentare ru-briche nei talk show del mattino non contribuiva a di-minuire le lunghe liste d'attese negli ospedali austra-liani e non era di alcun aiuto né a Jalak né al suo vil-laggio né a lui. No. Non gli piaceva l'idea di avere tra i piedi Emer-son-Rose, la sua troupe e le loro telecamere. L'avreb-bero subissato di domande sulle tecniche mediche che adottavano. Non era semplice gestire le liste d'attesa degli interventi chirurgici e delle visite ambulatoriali in un contesto "primitivo" dove mancavano farmaci e attrezzature mediche. Eppure, lui e il suo staff erano contenti di ciò che avevano a disposizione. I medici che lavoravano per la PMA erano professionisti veri e non avevano alcun interesse a pavoneggiarsi davanti a una telecamera.

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Poteva essere "interessante" per i telespettatori a ca-sa, ma per Dart era solo una scocciatura spiegare tutto quello che faceva. Ancora sette giorni e sarebbe rien-trato al Brisbane General Hospital dove lavorava co-me chirurgo e non sarebbe tornato a Tarparnii prima di sei mesi. Se solo la troupe avesse ritardato di qualche giorno il suo arrivo, lui si sarebbe risparmiato quel fastidio. Era stanco. Era venuto a Tarparnii per dare una mano alla gente di quel paese meraviglioso, ma anche per fuggire e dimenticare i disastri della sua vita. Guardò Jalak, l'uomo che dieci settimane prima l'a-veva accolto nel suo villaggio. «Mi scuso per il mio u-more» disse Dart gentilmente. «Non voglio renderti le cose più difficili, Jalak. La televisione vi aiuterà ad a-vere più visibilità. Farà conoscere la vostra situazione e sicuramente verrà raccolto del denaro che forse fi-nalmente ci permetterà di acquistare un generatore nuovo e non uno di terza mano.» Jalak annuì, poi reclinò il capo di lato e ascoltò. «I furgoni stanno arrivando. Devo andare.» Dart si trattenne ancora alcuni minuti per riordinare prima di uscire, chiudendosi la porta alle spalle e in-camminarsi lungo la strada sterrata che portava al cen-tro del villaggio. Arrivò giusto in tempo per vedere la donna responsabile della sua frustrazione scendere dal grosso furgone che l'aveva portata lì dalla pista d'atter-raggio. Emerson-Rose Jolfille. Era più minuta di come l'a-veva immaginata e non più alta di un metro e sessanta. Indossava un paio di scarponcini bassi, dei jeans fir-mati che le fasciavano la figura snella, una camicia az-zurra di cotone leggero con il collo aperto e le mani-che lunghe. Portava un cappello a tesa larga e gli oc-chi erano riparati dalla luce accecante del giorno da un

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paio di occhiali da sole, che sfilò non appena vide Ja-lak e sua moglie Meeree andarle incontro per salutar-la. Quando si voltò, Dart vide che i lunghi capelli ra-mati erano raccolti in una bella treccia che le scendeva sulla schiena dritta. Era ben diversa da come appariva in televisione o sulle pagine delle riviste scandali-stiche, con i capelli morbidi che le ricadevano sulle spalle, incorniciando perfettamente i lineamenti deli-cati. Indubbiamente aveva un eccezionale portamento e lui sapeva che sicuramente aveva frequentato le mi-gliori scuole del mondo. Grazie al denaro del padre, non avrebbe mai dovuto faticare veramente per gua-dagnarsi da vivere. Jalak si voltò e lo chiamò, facendogli cenno di av-vicinarsi. Dart mise il cappello e infilò le mani in ta-sca prima di raggiungere la conduttrice e gli uomini della troupe che stavano iniziando a scaricare le at-trezzature. Notò che Jalak e Meeree avevano accolto la stranie-ra con il loro saluto tradizionale, prendendole entram-be le mani e facendole girare brevemente. «Lui è Dart Freeman» lo presentò Jalak subito do-po. «Attualmente è il nostro chirurgo in carica.» Dart tirò fuori la mano destra dalla tasca e salutò Emerson-Rose con una forte stretta tipicamente au-straliana. «... giorno. Benvenuta nella giungla.» Quando lei sollevò lo sguardo, Dart notò con sor-presa che il suo viso era completamente struccato. Vo-leva dire che era dotata di un po' di buon senso? Poi lei gli sorrise e lui si rese conto che dal vivo era più bella di quanto avesse immaginato. In Australia aveva visto spesso le sue foto, soprat-tutto sulle riviste femminili e nella cronaca mondana dei giornali, ma poteva affermare in tutta sincerità che

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mai nessuna macchina fotografica aveva reso giustizia alla naturale e radiosa bellezza che sprigionava da lei mentre gli sorrideva calorosamente e metteva la mano affilata e minuta in quella forte e grande di lui. Perché improvvisamente si sentiva un peloso e allampanato scimmione? Il tocco della sua pelle liscia e morbida gli trasmise allo stomaco una sensazione di sensuale consapevo-lezza. Indubbiamente era abituata ad avere gli uomini che le ronzavano intorno come mosche. Be', non lui. «Grazie.» Emerson-Rose rise per un breve istante e il suono dolce della sua voce lo indusse a rilassarsi... ma solo marginalmente. «Ci dispiace piombare qui e interferire col magnifico lavoro che tu e la tua équipe svolgete col sostegno della Pacific Medical Aid, ma dopo aver saputo da un'amica delle condizioni in cui portate avanti la vostra missione medica, ho insistito con la mia rete televisiva per venire a girare un docu-mentario.» Aveva insistito per venire? Dart annuì lentamente. Quando la PMA l'aveva avvertito del loro arrivo, lui aveva subito pensato che Emerson-Rose fosse stata costretta a venire. Oppure che fosse in cerca di "av-venture" per riempire le sue giornate vuote e monoto-ne di donna di mondo. Adesso, mentre la fissava e le stringeva la mano ben curata, non poté fare a meno di rendersi conto che la donna che aveva davanti era ben diversa da quella che pensava. E quando si accorse che le stava stringendo ancora la mano, gliela lasciò subito andare. Meno toccava la bella signora Jolfille e meno sentiva la sua pelle mor-bida, meglio sarebbe stato. Lei gli presentò il cameraman e il tecnico del suo-no, che stavano scaricando le delicate attrezzature dai furgoni.

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«Prego, venite da questa parte» li inviò Meeree, fa-cendo loro cenno di entrare in una capanna per toglier-si dal sole cocente del mezzogiorno. «Sarete stanchi e avrete sete dopo il lungo viaggio. Chiami i suoi amici così beviamo qualcosa prima di continuare il lavoro.» «Oggi è molto tranquillo il villaggio» le spiegò Ja-lak, prendendo sua moglie per mano e avviandosi. «Solitamente nelle belle giornate le persone se ne van-no in giro, ma adesso sono tutti a dare una mano in un altro villaggio. Noi siamo rimasti per accogliervi e darvi il benvenuto.» «Mi dispiace di avervi distolti dalla vostra routine» replicò lei lievemente. «E vi prego di chiamarmi Emmy, come tutti.» Non guardò solo Meeree e Jalak. Il suo sguardo abbracciò anche Dart. Lui cercò di non lasciarsi scalfire e incantare dai suoi modi tranquilli e affabili. Sapeva che aveva molta esperienza come af-fabulatrice e che era maestra nel convincere le persone a scommettere su di lei. Era ciò che facevano i ricchi e famosi, che gridavano a gran voce, ma a lui non piace-va e neanche lo apprezzava. Bastava che non ferisse e imbrogliasse Jalak e Meeree, che erano due delle per-sone più gentili del pianeta. Per il resto, avrebbe sapu-to tenerle testa. Mentre avanzavano nel villaggio, Emmy si fermò di scatto e rimase un istante senza fiato a osservare le capanne di bambù con le porte di foglie e i tetti di pa-glia. «È affascinante.» Sorrise dolcemente a Meeree. Le abitazioni erano costruite su palafitte, sollevate da terra e collegate tra loro da passerelle di assi, per evi-tare di camminare nel fango. «Il vostro villaggio è davvero incantevole. I giardi-ni davanti alle capanne sono così graziosi. La flora è variopinta e il profumo dei fiori dolcissimo.» Si chinò, sfiorando un bocciolo con un dito.

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Oh, sì, era proprio una vera diplomatica, non poté fare a meno di pensare Dart. Sarebbe stata una vera scocciatura avere tra i piedi Emerson-Rose e la sua troupe mentre lui e la sua équipe cercavano di fare del loro meglio per garantire l'assistenza medica a quel villaggio e agli altri della zona. Essendo il loro il prin-cipale di una vasta area, la gente spesso percorreva numerose miglia a piedi per farsi visitare. In altri casi, come quel giorno, i furgoni carichi di scorte e perso-nale medico si recavano nelle zone limitrofe dove ve-niva richiesta la loro assistenza. Infatti, proprio perché da più di vent'anni il paese era tormentato dalla guerra civile, spesso era più semplice che si spostassero i me-dici che non le persone. Quel giorno lui era rimasto al villaggio per tenere a-perto l'ambulatorio e anche per accogliere la signora Jolfille e la sua allegra combriccola. Si guardò alle spalle e aspettò che gli uomini della troupe li raggiun-gessero e si togliessero anche loro le scarpe prima di entrare nella capanna di Jalak e Meeree. Un gruppetto di bambini piccoli arrivò di corsa e i nuovi arrivati li guardarono smarriti, senza compren-dere il loro chiacchiericcio gutturale. Alcuni di loro si strinsero intorno alle gambe di Dart e un piccolo di due anni lo supplicò di prenderlo in braccio. Lui, sor-ridendo, lo sollevò senza il minimo sforzo e subito il bambino gli strinse le braccia al collo, come se fosse sia contento sia spaventato di essere così in alto. Emmy venne piacevolmente catturata da quella visio-ne. Lui era alto, forse un metro e novanta e trattava i bambini con incredibile cordialità, elargendo loro sor-risi dolcissimi. I suoi lineamenti si erano improvvisa-mente rilassati. I profondi occhi scuri brillavano di piacere e felicità, il suo viso si era rivelato da sotto la

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maschera di serietà e garbo che aveva indossato al suo arrivo. Con quel bambino tra le braccia e con tutti gli altri che gli ronzavano intorno sembrava tranquillo, a proprio agio e lei, stranamente, si ritrovò a chiedersi se era sposato. Tuttavia, anche in quel momento, mentre li faceva accomodare all'interno della capanna, Emmy ebbe la sensazione che Dart Freeman non fosse affatto entu-siasta del suo arrivo nel villaggio. Non si era espresso in proposito, ma in tanti anni di vita pubblica era di-ventata esperta nella lettura del linguaggio del corpo. Spesso le persone dicevano una cosa, ma i loro corpi un'altra. Be', avrebbe dovuto farsene una ragione per-ché per la settimana seguente lei e la troupe avrebbero cercato di fare luce sulle difficoltà di prestare cure me-diche in quell'angolo di mondo. Dopo aver parlato con la sua buona amica Eden Montgomery di Tarparnii e delle sfide che i medici della PMA erano costretti ad affrontare, Emmy aveva deciso di approfittare della propria "popolarità" per fa-re qualcosa di buono. Non era stato facile convincere la rete televisiva a produrre il suo progetto, ma se dal padre aveva ereditato il senso degli affari, dalla madre aveva preso la capacità di incantare le persone. E in-fatti l'aveva spuntata. Emmy si girò apposta per distogliere lo sguardo dall'affascinante Dart Freeman, soprattutto ora che a-veva preso in braccio anche un altro bambino ed era circondato da un crocchio di piccoli che lo guardava-no con fare adorante, con i loro occhi scuri, le braccia esili e gli addomi prominenti. Non contava che avesse la sensazione che al chirur-go non importasse granché della sua presenza e di quella della troupe. Lei aveva un lavoro da svolgere e l'avrebbe portato a termine. Meeree stava ancora a-

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spettando che entrassero nella capanna. Una bambina, che non doveva avere più di tre anni, allineava ordina-tamente le scarpe degli ospiti fuori dalla porta. «A K'tooryh piace mettere a posto le scarpe» le spiegò Meeree. «È la sua passione.» Emmy annuì e prese nota mentalmente di fare una ripresa di K'tooryh impegnata nella sua "passione". Lo sguardo sensuale del bel chirurgo era ancora su di lei e cominciava a innervosirla. Inspirò profondamente per calmarsi. Era cresciuta sotto la luce dei riflettori, era abituata ad avere gli occhi puntati addosso, e non era facile farle perdere la pazienza. Perché allora quel me-dico alto, bruno e affascinante le faceva quell'effetto? «Qah!» Udendo il forte grido gutturale, Dart si voltò di scatto e lentamente posò a terra i due bambini che a-veva in braccio. Non c'era nessuno intorno, ma dalla vasta area di savana che circondava il villaggio senti-rono avvicinarsi un rumore di passi, pesanti sul terre-no fradicio. «Dok-ter.» Il suono arrivò ancora e questa volta Dart lo individuò e si mosse. «NuqneH?» chiamò lui a sua volta, con urgenza. Emmy vide un uomo entrare nel villaggio, il viso cupo contorto dal dolore e dalla fatica, la mano destra, avvolta in una pezza intrisa di sangue, stretta al petto. Non serviva un interprete per capire cos'era successo e fu lieta di non essersi ancora tolta le scarpe. Lasciò la troupe e seguì Dart che conduceva l'uomo ferito verso una capanna con una grossa croce rossa all'esterno. «Come posso aiutarti?» gli chiese, piegandosi per sfilarsi gli scarponcini, vedendo però che lui non li a-veva tolti. Si raddrizzò e si rese conto che nonostante le abitudini locali, nell'ambulatorio dov'erano presenti malattie e infezioni le scarpe si indossavano comun-

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que. Si guardò intorno e vide due barelle sollevate dal pavimento con strutture di bambù. Vi erano delle scaf-falature con medicinali e attrezzature varie, oltre a una pila di coperte e lenzuola. Era tutto ordinato e ben or-ganizzato. In un angolo c'era un tavolo su cui erano posate una bacinella per lavarsi e una salvietta ripiega-ta. Sotto il tavolo vi era un secchio d'acqua. Dart le lanciò un'occhiata veloce, prima di tornare a concentrarsi sull'uomo, che gemeva di dolore. Lo fece sedere su una barella e prese una siringa e una fiala. Probabilmente un antidolorifico. Non disinfettò la par-te e iniettò subito il liquido, cercando di tranquillizza-re l'uomo. «Posso aiutarti?» si offrì ancora Emmy, avvicinan-dosi. Dart si voltò, prese un lenzuolo dallo scaffale e ne fece delle strisce. «Stammi alla larga» borbottò lui. Poi versò dell'acqua nella bacinella, evidentemente per ripulire la ferita. Emmy esaminò gli scaffali e tro-vò del disinfettante. Lo prese e senza dire una parola lo posò sul tavolo. Poi trovò il materiale per suturare e delle garze e mise anche quelle sul piccolo ripiano vi-cino alle barelle. Dart non disse più nulla ma, dopo essersi lavato le mani, indossò un paio di guanti e sfasciò la mano del paziente. «È solo un taglio» osservò tra sé e subito do-po tradusse per Hunklu. «Un taglio di tutto rispetto.» Mentre ripuliva la ferita, Emmy gli stava accanto, as-sistendolo senza parlare, ma anticipando le sue mosse e porgendogli puntualmente il necessario per la sutura. Lavorarono in silenzio e solo dopo che la mano di Hunklu fu ricucita e bendata, Dart aprì bocca. «Ce l'avrei fatta anche da solo.» «Non ho dubbi. Ma sono medico anch'io» replicò lei solo con un lieve disappunto, avendo imparato

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molti anni prima a tenere sotto controllo le proprie e-mozioni. «Hmm.» «Ho l'autorizzazione della PMA a lavorare qui a Tarparnii, letta, approvata e sottoscritta, dottor Free-man.» Dart si limitò a rispondere con un'alzata di soprac-ciglia, mentre gettava via le bende insanguinate. Ri-volse poche parole a Hunklu, poi lo fece alzare e lo aiutò a togliersi la camicia sporca. «Signora Jolfille, sarebbe di grande aiuto se chiedesse a Meeree una ca-micia di Jalak.» «Dottoressa Jolfille, se non le dispiace» precisò lei, cominciando a sentire una certa frustrazione per la sua indifferenza. Si portò le mani ai fianchi con atteggia-mento di sfida. Perché si sentiva sulla difensiva? In tutte le cose che aveva fatto nella vita, dall'appartenere alla famiglia Jolfille, alla facoltà di medicina, al lavo-ro, aveva sempre dovuto dimostrare quanto valeva e dopo trentadue anni era davvero stufa! Dopo un minimo impercettibile cenno del capo del-l'insopportabile Dart Freeman, Emmy si voltò e uscì dalla capanna, assicurandosi di chiudere con cura la zanzariera. Meeree le stava venendo incontro e dopo averle riferito la richiesta del dottor Freeman, Emmy tornò verso l'ospedale di fortuna. «Dov'è?» chiese Dart. «Meeree è andata a prenderla» rispose lei, di nuo-vo calma e controllata. Si spostò di fianco al paziente e gli sorrise. Il fatto che il dottor Freeman avesse de-ciso di essere pungente e brusco con lei, non signifi-cava che il paziente dovesse farne le spese. «Salve, io sono Emmy» disse all'uomo che giaceva sdraiato, coperto da un leggero plaid, nonostante fuori fosse caldo e umido.

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«Hunklu non parla inglese» borbottò Dart, mentre gli praticava un'iniezione di antibiotico. «Non importa» fece notare Emmy con sussiego, continuando a sorridere all'uomo. Dall'età di otto anni andava a trovare i malati in ospedale perché i suoi ge-nitori volevano che da grande diventasse patrocinatri-ce di varie organizzazioni benefiche. Non avevano mai capito perché avesse scelto di seguire le orme del-la sua nonna diventando medico, ma così Emmy era giunta alla conclusione che affrontando l'impensabile spesso scopriva lati nascosti del suo essere più intimo. Forse un giorno si sarebbe scoperta soddisfatta di se stessa e si sarebbe piaciuta così com'era. «La barriera della lingua è irrilevante e un sorriso sincero può essere molto loquace» continuò con voce dolce, prendendo la mano dell'uomo per rassicurarlo. Dart notò che il paziente cominciava a rilassarsi e sorrideva alla graziosa rossa che, a un certo punto, si era tolta il cappello, liberando i ribelli capelli ramati. I suoi occhi azzurri brillavano ed erano pieni di com-prensione per quell'uomo, anche se intorno non c'era-no le telecamere. Lo faceva per mettersi in mostra o era sincera? Quando l'uomo le chiese qualcosa in tarpanese, lei lanciò un'occhiata a Dart in attesa di una traduzione. «Eh...» Lui aggrottò la fronte, cercando di ripensare a ciò che aveva detto il paziente, anche se in realtà non l'aveva ascoltato attentamente. Era rimasto assor-to a osservare Emerson-Rose. Non riusciva a credere che quella donna che aveva visto in televisione e sui giornali fosse lì con lui in una capanna di Tarparnii, a miglia e miglia di distanza dall'Australia. Era bella e intelligente... una combinazione letale. Chiese a Hun-klu di ripetere la frase e poi annuì. «Vorrebbe che restasse finché non si addormenta.»

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«Oh.» Lei sorrise a Hunklu e annuì. «Ma certo, re-sto.» E senza sollevare lo sguardo ordinò a Dart di portarle una sedia. Dart si meravigliò del suo tono perentorio, ma qual-cosa lo indusse a obbedire. Poi uscì a vedere perché Meeree impiegava tanto a portare la camicia e una volta fuori si passò la mano tra i capelli e scrollò il ca-po perplesso. Emerson-Rose Jolfille era al villaggio solo da mez-z'ora e già si comportava da padrona. I ricchi pensava-no sempre di essere più importanti di tutti e di potersi prendere tutto quello che volevano, senza il minimo rispetto per gli altri. Aveva imparato la lezione da ra-gazzo. Strinse i denti. Non avrebbe permesso che accades-se anche al villaggio, con quella gente meravigliosa. Se la gran dama dell'alta società s'aspettava di essere servita e riverita e d'impartire ordini a destra e a man-ca, certa che tutti si sarebbero inchinati a renderle o-maggio, aveva capito male. Raddrizzò le spalle e pen-sò che ci avrebbe pensato lui a fare stare al suo posto sua maestà la signora Jolfille.