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� Alma Mater StudiorumUniversità di Bologna – Sede di Forlì
FACOLTA’ di SCIENZE POLITICHE“ROBERTO RUFFILLI”
Corso di Laurea in
Sociologia della salute e degli stili di vita (89/s)
TESI DI LAUREA
in Sociologia della salute (corso avanzato)
Azioni per la salute in Burkina Faso:un’analisi sociologica
CANDIDATO RELATOREFederica Neri Costantino Cipolla
Anno Accademico 2009/2010Sessione III
2
A mio padre,al suo entusiasmo per la vita e alla sua umiltà
messe sempre al servizio della salute e del progresso..
3
Indice
Introduzione
1. Fattori sociali e disuguaglianze di salute: un rapporto
biunivoco
1.1. I determinanti della salute e l’evoluzione dei modelli concettuali
1.2. Disuguaglianze sociali e disuguaglianze di salute: modelli
esplicativi
1.3. Le disuguaglianze di salute nei paesi in via di sviluppo e delle
economie emergenti
1.4. Le disuguaglianze di salute nei paesi a economia avanzata: uno
sguardo sull’Europa
1.5. La particolarità del “genere” tra le disuguaglianze nella salute
1.6. Riflessioni epidemiologiche
2. Politiche contro le disuguaglianze di salute e nuove
prospettive strategiche
2.1 Il concetto di salute e l’approccio delle organizzazioni
internazionali
2.2 L’impegno internazionale contro le disuguaglianze di salute
2.3 Il contributo dei sistemi sanitari
2.4 Il ruolo chiave del medico: una nuova proposta strategica
2.5 Teorie sociologiche per un’analisi di salute globale
4
3. I Lions italiani contro le malattie killer dei bambini in
Burkina Faso: un progetto concreto
3.1 L’associazione e le sue finalità
3.2 Perché il Burkina Faso
3.3 Uno sguardo al bilancio del progetto e nuove proposte di
intervento
4. Analisi sociologica dei punti “chiave” di programmi e
interventi per la salute nei Paesi in via di sviluppo.
4.1 Acqua potabile e salute: un rapporto imprescindibile
4.2 L’importanza della community participation
4.3 Salute infantile: primo obiettivo per il futuro delle nazioni
4.4 L’istruzione per tutti: una delle principali chiavi di sviluppo delle
società
Conclusioni
Bibliografia e Sitologia
Ringraziamenti
5
Introduzione
Oggetto di questa tesi è un’analisi sociologica delle disuguaglianze sociali nella
salute e delle azioni volte a contrastarle soprattutto in relazione a quei paesi,
cosiddetti “in via di sviluppo”, contraddistinti da un elevato tasso di povertà e
sottosviluppo.
Come afferma Bronzini, le disuguaglianze sociali di salute fanno riferimento “a
differenze sistematiche, non necessarie ed evitabili, nei livelli di salute tra gruppi
sociali definiti sulla base di fattori di natura socio-economica, demografica, o
geografica”1.
I fattori che danno luogo a tali disuguaglianze sono molteplici e di diversa natura e
incidono in maniera totalmente differenziata da individuo a individuo. I fattori più
rilevanti e prioritari delle disuguaglianze nella salute sono quelli caratterizzanti la
posizione sociale, il reddito e il grado di cultura.
Numerosi studi hanno dimostrato che le persone che si trovano negli strati inferiori
della piramide sociale, con basso reddito e bassa cultura, rischiano di ammalarsi
maggiormente e di essere colpiti da morte prematura, soprattutto in quei paesi
gravati da una forte condizione di svantaggio socio-economico.
Equità nella salute implica che tutti dovrebbero avere la stessa opportunità di
raggiungere il massimo potenziale di salute. Sulla base di questo ragionamento
l’obiettivo, sia per le politiche pubbliche che per quelle private, per l’equità e la
salute non è quello di eliminare tutte le differenze in modo tale che ciascuno abbia lo
stesso livello e la stessa qualità di salute, ma piuttosto di ridurre o di eliminare le
differenze che derivano da quei fattori che sono considerati iniqui. Questi fattori
variano da luogo a luogo e cambiano nel tempo, ma si basano comunque su un
criterio di fondo: la libertà di scelta.
1 Bronzini M., ( a cura di ), Sistemi sanitari e politiche contro le disuguaglianze di salute, FrancoAngeli,Milano, 2009, p.29
6
Laddove la gente ha poca libertà di poter scegliere, è più probabile che le differenze
nella salute vengano considerate ingiuste rispetto ai rischi che vengono assunti in
modo volontario.
A partire dal riconoscimento di questa problematica, la tesi, che nasce con
l’obiettivo di riflettere e confrontarsi attorno a questo tema, prende in esame alcuni
interventi e azioni volte a ridurre le disuguaglianze sociali nella salute, e cerca di
stabilire, a fronte delle considerazioni che sono state in precedenza delineate, quali
potrebbero essere le modalità di azione da intraprendere per aumentare il grado di
equità e poter permettere a tutti gli individui di raggiungere il massimo grado di
salute.
Lo scopo di questa tesi è dunque quello di offrire al lettore una serie di strumenti
concettuali e metodologici mediante i quali affrontare l’analisi delle azioni per la
salute ed in particolare il tema delle disuguaglianze sociali di salute, con riferimento,
soprattutto, agli interventi rivolti ai paesi in via di sviluppo.
La tesi è suddivisa in quattro capitoli. Il primo capitolo è dedicato al riconoscimento
del rapporto imprescindibile che lega i fattori sociali alle disuguaglianze nella salute
degli individui. Il primo paragrafo si incentra sul concetto di salute ed individua
quelli che vengono ormai riconosciuti come fattori determinanti: patrimonio
genetico, fattori ambientali, fattori socio-culturali, stili di vita e uso dei servizi
sanitari. Nel secondo paragrafo mi sono concentrata sulle disuguaglianze di salute
presentando i diversi elementi che concorrono a delineare il fenomeno proponendo
alcuni modelli interpretativi. Due sono le principali posizioni che hanno alimentato
un vivace dibattito negli ultimi anni: quella neomaterialista e quella psicosociale. La
prima considera il reddito assoluto la principale variabile esplicativa delle
disuguaglianze di salute. La seconda invece si occupa del modo in cui i redditi
risultano distribuiti all’interno della società e dei meccanismi psicologici e sociali
che mediano la relazione tra reddito e salute. Nei paragrafi successivi, vengono
descritte quelle che sono le principali disuguaglianze che si riscontrano
rispettivamente nei paesi in via di sviluppo, in quelli delle economie emergenti e in
quelli avanzati, ponendo l’attenzione sulle differenze principali che si evidenziano
passando da un economia all’altra. Il quinto paragrafo è dedicato alle disuguaglianze
7
di genere nella salute e mette in evidenza la minore possibilità di accesso delle
donne all’istruzione e ai servizi sanitari. Il sesto paragrafo conclude il capitolo con
alcune riflessioni che sottolineano quanto sia importante tenere conto, ai fini di
un’analisi completa, dei quadri epidemiologici che si stanno via via configurando,
inserendo le risposte che il sistema delle cure da ai nuovi scenari di salute e malattia
all’interno dei cambiamenti sociali.
Il secondo capitolo è dedicato al settore pubblico e alle politiche intraprese contro le
disuguaglianze di salute. Il capitolo si apre con l’analisi del concetto di salute
impiegato da varie organizzazioni internazionali. Il secondo paragrafo affronta
l’impegno internazionale a ridurre le disuguaglianze sociali nella salute attraverso
tre approcci: creando sistemi a rete per il monitoraggio delle malattie su scala
globale e del loro differente grado di diffusione nei diversi gruppi sociali;
rafforzando i sistemi sanitari nelle economie in via di sviluppo; dedicando
un’attenzione costante alle disuguaglianze di salute lungo tutti i suoi possibili assi di
sviluppo. Il terzo paragrafo mostra come i sistemi sanitari e le politiche pubbliche in
questo settore possano essere di fondamentale importanza nel ridurre le
disuguaglianze di salute. In particolare, agendo a tre livelli: ridistribuendo le risorse
sanitarie tra aree geografiche in modo da favorire quelle maggiormente deprivate,
facilitando l’accesso per i gruppi svantaggiati e assumendo un ruolo guida nelle
politiche pubbliche in genere.
Il quarto paragrafo propone una nuova proposta strategica suggerita dal Royal
College of Phisycians, che vede nel ruolo dell’operatore sanitario, la chiave di volta
per il contrasto delle disuguaglianze nella salute attraverso raccomandazioni che
seguono tre assi di intervento volti alla promozione di un cambiamento culturale,
strutturale e della formazione.
Il capitolo si conclude poi con alcune riflessioni sociologiche riguardo alle politiche
e i programmi che nel complesso possono portare ad un miglioramento della salute
globale. Esistono diverse teorie e studi sociologici che cercano di spiegare e
descrivere i meccanismi che stanno alla base delle scelte di politiche di salute
globale, in questo paragrafo ci limiteremo a cercare di spiegare quelle che secondo
8
Kleinman, sono ritenute le più importanti in quanto rappresentano le basi concettuali
sulle quali costruire qualsiasi intervento o programma di salute.
Oggetto del terzo capitolo, per completare il quadro dei programmi e delle politiche
per la salute e per la riduzione delle disuguaglianze, è l’aiuto fondamentale che può
arrivare dal settore privato, attraverso la descrizione di un progetto concreto e in
continuo sviluppo, intrapreso da un’associazione O.N.L.U.S, gestita ed ideata dal
gruppo Lions italiano. L’associazione è denominata “I Lions italiani contro le
malattie killer dei bambini”, in sigla MK Onlus, e prevede una serie di interventi per
la salute in Burkina Faso, uno dei paesi più poveri al mondo e con i tassi di mortalità
infantile più alti. Il capitolo è composto da tre paragrafi in cui vengono descritti la
mission generale dell’associazione, i programmi e i rispettivi obiettivi da
raggiungere per ogni settore di intervento, la situazione socio-economica, politica e
culturale di questo paese drammaticamente sottosviluppato. Il capitolo si conclude
con l’ultimo paragrafo in cui viene fatta una sorta di verifica dei traguardi raggiunti
dopo quattro anni dalla costituzione di questa associazione, nonché uno sguardo
verso nuovi interventi futuri che possano ampliare e portare avanti il progetto, volto
sempre di più verso il raggiungimento di un grado di sviluppo sostenibile, che porti
a un miglioramento delle condizioni generali della popolazione burkinabè su tutti i
fronti.
Il quarto capitolo infine mette in rilievo l’importanza di concentrare le azioni,
soprattutto nei paesi in via di sviluppo, su quattro assi di intervento principali: la
fornitura di acqua potabile e l’aumento delle misure igieniche di base; la promozione
della partecipazione su tutti i fronti, da quella pubblica, privata e soprattutto civile;
la focalizzazione verso la salute infantile, in quanto i bambini rappresentano il futuro
di ogni società; ed infine l’istruzione, soprattutto quella femminile, come base
fondamentale per qualsiasi forma di sviluppo, sociale, economico, sanitario e
culturale.
In sede conclusiva, ho voluto riprendere il tema delle disuguaglianze sociali, in
quanto primo punto da cui partire per qualsiasi azione e politica che miri ad
aumentare il livello di salute di una società, ma soprattutto l’importanza che tali
politiche devono dare al concetto di partecipazione, sottolineando come esse
9
necessitino di collettività disposte ad accollarsi i costi di misure delle quali si
avvantaggiano altri gruppi o settori sociali, attraverso la condivisione comune di un
progetto che porti ad un aumento sensibile delle condizioni di salute a livello
globale.
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CAPITOLO 1
Fattori sociali e disuguaglianze di salute: unrapporto biunivoco
1.1 I determinanti della salute e l’evoluzione dei modelli
concettuali.
Lo stato di salute di un individuo e, più estesamente, di una comunità o di una
popolazione è influenzato, determinato da molteplici fattori. La discussione sul fatto
se contino di più i comportamenti individuali o il contesto politico, socio-economico
o culturale non è solo teorica e concettuale, la sua vera valenza sta alla base delle
conclusioni a cui essa può portare, in quanto hanno a che fare con le disuguaglianze
di salute e con le relative strategie di prevenzione, tramite le politiche sanitarie, che
le nazioni possono adottare2.
I determinanti della salute, secondo la Commissione appositamente istituita
dall’Oms3, possono essere raggruppati nelle seguenti categorie: comportamenti
personali e stili di vita; fattori sociali; condizioni di vita e di lavoro ed accesso ai
servizi sanitari; condizioni generali socio-economiche, culturali e ambientali; fattori
genetici. Come afferma Maciocco, la semplice enumerazione di tali fattori non pone
nessuna discussione o problema concettuale, cosa che non accade invece, se si cerca
di soffermarsi sui tentativi di classificazione dei determinanti di salute per ordine di
influenza e di importanza.
A questo proposito lo stesso autore si è dedicato ad un importante riflessione
sull’evoluzione dei modelli concettuali che tentano di stabilire una gerarchia di
valori tra i vari elementi.
2 Maciocco G., (2009), I determinanti della salute: alla ricerca di un conceptual framework, in: G. Costa, C.Cislaghi e N. Caranci ( a cura di ), Salute e Società,n.1/2009, Franco Angeli, pp.31-423 http://ec.europa.eu/health/ph_determinants/healthdeterminants_it.htm ( consultato il 10/12/2010)
11
Il primo modello che descrive, tratto da documentazione Usa, percepisce lo stato di
salute delle persone come condizionato dal 50% dai comportamenti e dallo loro
stile di vita. Molto meno importanti gli altri fattori: fattori ambientali (20%), fattori
genetici (20%), assistenza sanitaria (10%). Si tratta di un modello che mette in
primo piano il ruolo degli stili di vita delle persone e rispecchia l’enfasi che negli
USA viene posta alla responsabilità individuale nei confronti della salute e delle
malattie.
Il secondo modello su cui si sofferma Maciocco, elaborato da due studiosi di una
scuola di sanità pubblica dell’ Europa del Nord4, può essere rappresentato da una
serie di cerchi concentrici, corrispondenti ciascuno a differenti livelli di influenza.
Al centro si trova l’individuo, con le sue caratteristiche biologiche: il sesso, l’età e il
patrimonio genetico: ovvero i determinanti non modificabili della salute.
I determinanti modificabili, quelli cioè che sono suscettibili di essere corretti e
trasformati, si muovono dagli strati interni verso quelli più esterni, partendo quindi
dal quello più interno, troviamo in ordine: gli stili di vita individuali, le reti sociali e
comunitarie, l’ambiente di vita e di lavoro, il contesto politico, sociale, economico e
culturale. Anche in questo caso si può notare come tale modello concettuale rifletta
quella che è la cultura di appartenenza dei suoi ideatori e cioè l’idea europea di
welfare state fondata sul “diritto alla salute5”.
Il modello più interessante però, descritto dall’autore, è quello proposto dalla
Commissione sui Determinanti Sociali della Salute, istituto promosso nel 2005 dal
Direttore Generale delle Nazioni Unite, Lee Jong-wook. Tale Commissione infatti fu
istituita proprio con l’idea di produrre documentazioni, approfondimenti e studi da
tradurre in strategie e in azioni finalizzate a migliorare lo stato di salute delle
popolazioni dei paesi a medio e basso reddito.
Il modello proposto dalla Commissione infatti si riferisce non solo ai fattori che
influenzano lo stato di salute degli individui e delle comunità ( determinanti della
salute), ma anche a quelli coinvolti nella diseguale distribuzione della salute
4 Dahllgren, Whitehead, 19915 Maciocco G., op.cit., p. 34
12
all’interno della popolazione ( determinanti delle disuguaglianze della salute).
Rispetto agli altri modelli, questo oltre ad essere il più completo, si presenta anche
come il più interessante ai fini logici della mia dissertazione scritta.
Passando ad analizzare più specificamente tale “conceptual framework6”, come la
definisce lo stesso Maciocco in vari saggi sul tema, si evidenziano i fattori che a
diverso titolo hanno un’impatto sulla distribuzione della salute:
A. Il contesto politico e socio-economico
B. La posizione socio-economica
C. Determinanti intermedi
Secondo la Commissione le prime due categorie farebbero parte di una categoria
unica, definibile come determinanti strutturali, in quanto comprendono quei fattori
che generano la stratificazione sociale e che definiscono la posizione socio-
economica degli individui all’interno di gerarchie di potere, prestigio e accesso alle
risorse. Rappresentano i primi anelli di una catena di cause e sono strettamente
connessi ad altri anelli composti da ulteriori fattori causali, la cui azione è più
direttamente legata all’insorgenza di malattie, definibili determinanti intermedi. Le
principali categorie di determinanti intermedi di salute riguardano principalmente le
condizioni materiali, intesi come standard di vita quotidiana ( disponibilità di acqua
potabile e di cibo adeguato, riscaldamento, infrastrutture igieniche, etc); le
condizioni socio-ambientali o psicosociali intesi come fattori predisponesti
l’insorgenza di malattie, soprattutto relative a forme di stress acuto o cronico;
comportamenti individuali quali abitudini a fumo, alcol, sostanze, alimentazione,
attività fisica; la coesione sociale, in quanto espressione della qualità delle relazioni
sociali e dell’esistenza di reciproca fiducia e rispetto, aiuta a proteggere le persone e
la loro salute; fattori biologici non modificabili, come patrimonio genetico, età,
sesso.
Insieme a questi fattori intermedi che la Commissione sui Determinanti individua
come fattori direttamente legati all’insorgenza della malattia, la novità di tale
modello concettuale che più ci preme sottolineare è la rivalutazione del ruolo del
6 Maciocco G, op. cit., p.36
13
sistema sanitario, individuato come anch’esso fondamentale determinante della
salute, ma soprattutto anche come determinante delle disuguaglianze nella salute, in
particolar modo nelle sue funzioni di protezione contro le conseguenze sociali ed
economiche della malattia.
1.2 Disuguaglianze sociali e disuguaglianze di salute: modelli
esplicativi
Abbiamo appena visto nel precedente paragrafo come la salute dipenda quindi da
una serie di determinanti individuali – quali il rischio soggettivo, gli stili di vita, lo
stress, le risorse sociali, l’accesso ai servizi sanitari – oltre che da alcune variabili di
contesto, quali le caratteristiche del sistema economico e del mercato del lavoro, il
sistema di welfare, le condizioni strutturali dell’offerta sanitaria e le caratteristiche
dell’ambiente fisico. I determinanti delle disuguaglianze di salute fanno quindi
riferimento a tutti quei fattori che spiegano la diversa distribuzione nella società
degli stili di vita, della disponibilità di risorse sociali, dell’accesso ai servizi, degli
eventi stressanti e al modo con cui i fattori strutturali modificano i rischi di malattia
e le possibilità di cura.
La distanza sociale tra gli individui sulla basa della condizione occupazionale, della
classe sociale, dell’area geografica, della classe socio-economica, del genere e
dell’etnia, si riflette sulla salute, in particolare nella perdita sistematica di anni di
vita per determinati gruppi sociali, perdita cui i sistemi sanitari non riescono a far
fronte e anzi spesso accentuano.
Nonostante l’estensione delle forme di protezione sanitaria e nonostante i progressi
della medicina nella prevenzione e nella cura delle malattie, si assiste oggi, alla
presenza di un’apparente paradosso , ovvero, la presenza di due tendenze
contraddittorie: la crescita generalizzata della speranza di vita e il progressivo
14
inasprirsi delle disuguaglianze di morbilità e mortalità7. La risposta quindi al
persistere di questo paradosso dipende dalle cause che vengono identificate
all’origine delle disuguaglianze sociali di salute e la cui mancata rimozione, pur in
presenza di un generale miglioramento dello stato di salute di una società, è
responsabile della loro persistenza.
Esistono diversi modelli esplicativi alla base delle disuguaglianze sociali di salute,
partirei con l’associazione che è stata più a lungo studiata negli ultimi decenni e
cioè, quella tra posizione sociale e condizione di salute.
Nonostante le numerose ricerche che attestano l’esistenza di un legame diretto tra
reddito e salute, definito gradiente sociale8, i meccanismi coinvolti e le possibili
spiegazioni sono tuttora controversi. Negli ultimi anni, due sono le posizioni che si
confrontano alimentando un vivace dibattito: quella neomaterialista e quella
psicosociale9.
La prima posizione si è sviluppata attorno alla School of Public Health del Michigan
e considera il reddito la principale variabile esplicativa dei determinanti della salute.
Questi ultimi si associano alle differenze nelle condizioni di vita e nell’accesso a
risorse ed opportunità. Secondo questa visione, le disuguaglianze nella salute sono il
risultato di differenti accumulazioni di esperienze che hanno la loro radice nel
mondo materiale. La spiegazione materialista evidenzia dunque la relazione scalare
tra posizione socioeconomica e accesso, sia a condizioni materiali tangibili, sia
quelle di altro tipo come l’accesso ai servizi telefonici, internet, ecc.
La seconda invece si è sviluppata a partire dallo studio di Wilkinson, che si occupa
del modo in cui i redditi sono distribuiti all’interno della società e dei meccanismi
psicologici e sociali che mediano la correlazione tra reddito medio pro-capite e
malattia. Wilkinson si domanda infatti: “ lo svantaggio di salute della parte meno
abbiente della popolazione è soprattutto un riflesso degli effetti fisiologici diretti e
7 Giarelli G., (2009), Modelli esplicativi delle disuguaglianze di salute: una riflessione sociologica, in: G.Costa, C. Cislaghi e N. Caranci ( a cura di ), Salute e Società,1/2009, Franco Angeli, pp.19-29
8 Sito internet: http://saluteinternazionale.info/2009/01/25/oms-le-disuguaglianze-uccidono-su-larga-scala9 Bronzini M., ( a cura di), Sistemi Sanitari e politiche contro le disuguaglianze di salute, FrancoAngeli,Milano, 2009, p.51
15
indiretti di circostanze psicosociali associate alla posizione sociale, ovvero alla
posizione rispetto agli altri?”.10
Wilkinson sostiene che le persone che occupano i gradini più bassi della piramide
sociale si sentono povere rispetto a quelle che ricoprono posizioni elevate. Questa
auto rappresentazione produce un aumento dell’ansia e dello stress per chi si trova ai
livelli più bassi della piramide sociale, che si ripercuote sulla salute fino a
comprometterla.11
Wilkinson è il primo autore ad aver ipotizzato e in parte verificato che, superata una
certa soglia di reddito procapite (5.000$), l’incidenza delle malattie sia correlata con
una diseguale distribuzione della ricchezza, piuttosto che con il suo livello assoluto.
Dunque, secondo l’autore sarebbero i meccanismi psicologici e non le condizioni di
effettiva deprivazione a dare conto del gradiente sociale della salute.12
Anche Kawachi e colleghi (1997), replicando lo studio di Wilkinson con riferimento
agli Stati americani hanno confermato l’esistenza di un legame tra capitale sociale e
salute.
Gli autori verificarono infatti che vi era una correlazione molto forte tra il numero di
persone d’accordo con l’affermazione: “La maggior parte delle persone
approfitterebbe delle tue debolezze se ne avesse la possibilità” e il tasso di mortalità.
Infatti stati nei quali vi erano scarsa fiducia sociale e forti disuguaglianze della
distribuzione del reddito, avevano i più alti tassi di mortalità. Stati con
disuguaglianze di reddito, ma con elevata fiducia sociale, non manifestavano invece
un nesso tra disuguaglianza e tasso di mortalità.13
Sulla base di un simile risultato, Kawachi e colleghi hanno ipotizzato che sia proprio
il capitale sociale a mediare, ammortizzandola, la relazione diretta tra la
sperequazione nei redditi e la mortalità.
Mirowski ha sintetizzato in modo chiaro ed efficace la relazione tra povertà e salute:
“I poveri devono sopportare un peso triplo: hanno più problemi da affrontare; le loro
10 Wilkinson in Maturo A., Sociologia della malattia, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 40.11 Maturo A., op. cit., pp.40-4112 Bronzini M, op. cit., p. 5113 Maturo A., op. cit., p. 41
16
storie personali spesso creano in loro uno spossante senso di impotenza; tale senso
di impotenza li demoralizza e indebolisce la loro volontà di cercare e di
intraprendere azioni concrete per risolvere i problemi. L’effetto è, per molti, una
moltiplicazione della malattia e della sofferenza”.14
Le persone povere si caratterizzano per la loro vulnerabilità, termine che appunto
trae origine proprio dall’instabilità della posizione sociale occupata. Essa si riferisce
alla “presenza sempre più numerosa di individui collocati in una situazione di
fluttuazione nella struttura sociale”.15 La vulnerabilità configura dunque una
situazione di vita in cui l’autonomia e la capacità di autodeterminazione dei soggetti
è permanentemente minacciata. Una condizione definibile di “ sofferenza senza
disagio”16, più latente che manifesta, caratterizzata da un rapporto problematico tra
opportunità e vincoli che ostacola le azioni volte a soddisfare i bisogni sociali e
riduce le possibilità di scelta.17
Dunque la povertà si autoalimenta generando anche una perdita progressiva di
opportunità che va a rinforzare la condizione di vulnerabilità.18
A livello individuale, prende corpo la convinzione che le proprie azioni non possano
incidere sul corso della propria vita. Si rischia quindi di divenire “ rinunciatari
singoli”.19
Una spiegazione diversa da quella di Mirowski, il quale evidenzia il forte legame tra
povertà e salute e riconduce le disuguaglianze di salute alla condizione di
vulnerabilità dei soggetti, ci viene fornita da Marmot, il quale sostiene che nelle
società meno ugualitarie le persone sarebbero più affette da “stress da gerarchia20”.
Le disuguaglianze di salute in questo caso determinerebbero differenze tra gli
individui nella capacità di controllare la propria vita. Nella gerarchia sociale le
persone che si trovano ad un gradino più basso sentono di avere un minore controllo
14 Mirowski in Maturo A., op. cit., pp 41-4215 Castel 1995, in Ranci C., Fenomenologia della vulnerabilità sociale, Rassegna Italiana di Sociologia, n.4,2002, p.11.16 Olagnero in Ranci C., op. cit., p.1217 Ranci C., op. cit., p.1218 Maturo A., op. cit., p.4219 Ardirò, Cipolla in Maturo A., op.cit., p. 4220 Marmot in Giarelli G., op. cit., p. 23
17
della loro vita rispetto a chi si trova più in alto. La percezione della mancanza di
controllo mette l’individuo in una condizione di stress cronico che va a ripercuotersi
in modo negativo sulla salute.
Altri autori sostengono invece che la correlazione tra disuguaglianze sociali e
disuguaglianze di salute riflette soltanto la relazione curvilinea tra reddito e salute.
Essi infatti considerano l’elemento distributivo inerente alla situazione
socioeconomica (SES) come il meccanismo causale fondamentale: ciò in quanto , “
esso incorpora risorse come la conoscenza, il denaro, il potere ed il prestigio che
possono essere utilizzate in differenti modi in diverse situazioni per evitare i rischi
della malattia e della morte”.21
Un'altra spiegazione materialista ci viene fornita da Navarro, il quale muove delle
critiche all’uso della nozione di capitale sociale.22 Secondo Navarro
nell’epidemiologia sociale contemporanea, l’importanza del capitale sociale come
determinante di salute risulta sovrastimata a scapito di fattori politici ed economici
connessi alla classe sociale23. Questo orientamento materialista critica quelle
ricerche sociali che hanno ricondotto le condizioni di salute solo alla qualità dei
legami familiari, di vicinato, religiosi e comunitari.
Interpretare le relazioni fra le persone prevalentemente in chiave individuale e
psicologica, conduce a sottostimare la rilevanza dei fattori strutturali nella
insorgenza dei problemi di salute, nelle politiche sanitarie e nell’organizzazione dei
servizi.
La spiegazione materialista si concentra dunque sulle condizioni di contesto. Da
questo punto di vista, in una società poco egualitaria risulta più ampio il numero di
persone che vivono in condizioni di povertà e che hanno minore accesso a risorse di
ogni genere.
Un sistema politico che accetta queste disuguaglianze sociali, inoltre, è meno attento
alle misure di salute pubblica, soprattutto nei confronti delle fasce più povere della
popolazione.
21 Link e Phelan in Giarelli G., op. cit., p. 2522 Navarro V., Il contesto politico e sociale della Salute. (ed).New York: Baywood, 2004
18
Di particolare interesse in quanto offre spiegazioni in più a tal proposito, è la ricerca
sul campo svolta da Paul Farmer, medico e antropologo, ad Haiti. Fuoco di interesse
della sua ricerca è stata appunto l’ineguaglianza sociale e la differente distribuzione
delle risorse che sono incorporate nell’esperienza individuale della sofferenza,
attraverso lo studio di resoconti storici ed etnografici e delle narrazioni biografiche
dei contadini haitiani . L’autore sottolinea l’urgenza di considerare la relazione tra la
dimensione economica-politica e la violenza strutturale degli ordinamenti sociali, tra
incorporazione della malattia e incorporazione delle disuguaglianze sociali, tra
violenza esplicita e non esplicita che limita i margini di controllo dei soggetti sulla
loro esistenza. Parlare di violenza strutturale per Farmer vuol dire mettere al centro
dell’osservazione e dell’analisi il radicamento nelle soggettività e nei corpi degli
effetti indiretti di dinamiche sociali, culturali, economiche e politiche, della
globalizzazione e della povertà indotta dalle forze economiche e politiche che
muovono i mercati internazionali. La violenza strutturale è radicata nei processi
storici e politici che la producono e che limitano l’agentività dei soggetti che hanno
incorporato e continuano ad incorporare la differenza come condizione naturale e
astorica. Le differenze culturali ed etniche, di razza, di genere e di orientamento
sessuale, sono spesso usate come alibi per mascherare proprio la violenza strutturale.
La violazione della dignità umana è spiegata come male endogeno, radicato nelle
istituzioni culturali, nella storia e nella tradizione locale, che giustificano
ineguaglianze, disparità nell’accesso alle risorse sanitarie, alle cure, al
riconoscimento dei diritti umani universali; “La differenza si trasforma, da bandiera
del rispetto di ogni particolarità umana, in alibi di un nuovo determinismo che
attribuisce ad una presunta seconda pelle culturale la violenza strutturale aita nei
teatri del mercato e dei poteri forti”24.
Accanto al dibattito alimentato dalla due posizioni, quella meomaterialista e quella
psicososiale, si sta affermando di recente un altro filone di ricerca innovativo che
rimanda alla sociologia dei corsi di vita. Questa particolare branca della sociologia
23Ibidem24 Farmer P., Pathologies of power: health, human rights, and the new war on the poor, 2007.
19
vede le esperienze di vita come un cumulo di eventi che si susseguono nel tempo e
che possono produrre effetti sulla salute dopo un lungo periodo di latenza. Molte
malattie croniche nell’età adulta ad esempio sembrerebbero abbiano origine
dall’infanzia. Non è più, dunque, un solo fattore ad avere un’influenza decisiva e di
lungo periodo sulla salute, quanto un cumulo di eventi minori che insieme danno
origine ad una catena avversa.25
Un importante contributo per questa teoria ci viene dato da Barker (1994), che
definisce “programmazione fetale o biologica” il fatto che scadenti condizioni di
vita, di salute e di nutrizione della madre manifestano già i loro effetti durante la
gravidanza, con ritardi di maturazione dei tessuti che si evidenziano precocemente
con un basso peso alla nascita, maggiori rischi di natimortalità e di mortalità
infantile e, successivamente, anche in età adulta, con una maggior prevalenza di
malattie respiratorie, cardiocircolatorie e metaboliche.26
Il vantaggio o lo svantaggio accumulati quindi lungo tutto il corso della vita possono
predire sia la possibilità che si verifichino eventi sfavorevoli per la salute, sia anche
la capacità di superarli in maniera positiva, qualora accadano.27
Pertanto, le politiche di contrasto non dovrebbero rivolgersi unicamente a specifiche
classi sociali che versano in condizioni di disagio, ma dovrebbero configurarsi come
interventi di natura strutturale che evitino l’accumularsi di eventi sfavorevoli.
Il ruolo dello svantaggio sociale nel determinare differenze di salute è stato studiato
e da tempo riconosciuto nei paesi europei. Nessun fattore di rischio biologico,
considerato singolarmente, ha sulla salute una influenza paragonabile a quella dello
svantaggio economico-culturale. Per capire i singoli fattori ( disagio economico,
carenze culturali, disoccupazione, ecc.) che concorrono a formare lo svantaggio
sociale e i meccanismi di azione attraverso i quali le condizioni di svantaggio sociale
determinano l’insorgenza dei problemi di salute o la loro mancata soluzione, sono
25 Blane D. (2009), Lo sviluppo dell’epidemiologia del life corse, in: G. Costa, C. Cislaghi e N. Caranci ( acura di ), Le disuguaglianze sociali di salute, Salute e Società,n. 1/2009, Franco Angeli, pp. 171-19126 Barker in Girelli G., op.cit. p. 527 Blane D., op. cit., p. 180
20
necessarie politiche e strategie mirate che andremo a veder con maggiore dettaglio
nel prossimo capitolo.
Per ora ritengo opportuno soffermarmi ancora sulla descrizione delle disuguaglianze
di salute, in particolare, andando a cercare di distinguerne quelle che sono le
caratteristiche principali in riferimento al contesto economico del paese e al genere.
1.3 Le disuguaglianze di salute nei paesi in via di sviluppo e
delle economie emergenti
Per analizzare le disuguaglianze di salute nei paesi in via di sviluppo occorre fare
riferimento al quarto obbiettivo di Sviluppo della Dichiarazione del Millennio, che
prevede la riduzione di due terzi del tasso di mortalità infantile rispetto al 1990 ed il
quinto obiettivo che prevede la riduzione di tre quarti del tasso di mortalità materna,
entro il 2015. Il dato più significativo è quello relativo alla mortalità dei bambini al
di sotto dei cinque anni d’età. I dati riportati dall’Unicef del periodo 1998-2006
evidenziano che su 1000 nati vivi possono morire 107 bambini entro il quinto anno
di vita nelle famiglie povere, a fronte di 67 nelle famiglie ricche.28
In presenza di tali disuguaglianze, l’impegno internazionale per monitorare il
fenomeno e per apportare politiche di contrasto, rischia di lasciare ulteriormente
indietro i poveri, in quanto essi vivono in una situazione di deprivazione, oltre che
economica, culturale e relazionale, ovvero in una condizione di svantaggio rispetto
ai più ricchi, che li colloca pertanto, in luoghi difficilmente raggiungibili dalla
normale comunicazione sociale.
Ma le disuguaglianze di salute nei paesi a basso reddito sono anche di tipo
geografico; basti considerare un’altra indagine condotta dall’Unicef tra il 1996 e il
2006 in 57 paesi in via di sviluppo, dove si registrano ampie differenze
nell’assistenza sanitaria per il reparto tra le aree urbane e quelle rurali: il 19% delle
28 I dati si riferiscono al periodo 1998-2006 e sono consultabili nel sito internet:http://www.Unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3650 consultato il 03/11/2010
21
donne che vivono in aree urbane partorisce senza un’adeguata assistenza sanitaria,
contro il 51% delle donne che vivono in aree rurali.29
Nascere in una zona rurale in India significa avere una probabilità su 12 di morire
entro il quinto anno di vita, a fronte di una su 19 per chi nasce in un’area urbana
dello stesso paese. Per di più, chi nasce in una famiglia povera o da madre poco
istruita ha il triplo delle possibilità di incorrere in una tale sorte rispetto a chi nasce
in una famiglia ricca o da una madre con un elevato livello di istruzione.
Simile appare anche la mortalità infantile in Brasile dove ogni 1000 nati, 79
bambini nelle zone rurali muoiono entro il quinto anno di età a fronte dei 49 nelle
aree urbane, 99 bambini nati in famiglie povere contro 33 in quelle ricche e 119 da
madri con un basso livello di istruzione a fronte di 37 dalle madri istruite.
Riguardo la morbosità, l’indice che esprime la frequenza di una malattia in una
popolazione30, la Banca Mondiale mostra come nei gruppi più poveri il tasso di
prevalenza delle principali malattie responsabili della mortalità infantile ( diarrea,
febbre, infezioni respiratorie) sia più alto nei gruppi che fruiscono meno
dell’assistenza medica e delle cure.
Il programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “La salute per tutti nel
2000” mostrava che a trarre maggiore vantaggio dagli investimenti nelle cure
primarie sarebbero stati i più disagiati. Mentre la Banca Mondiale evidenzia come
siano stati i gruppi più avvantaggiati a trarre maggiore beneficio.31
Risulta dunque molto alta la mancanza di copertura di base tra le fasce disagiate
economicamente. Nell’Africa sub sahariana ad esempio, per quanto riguarda la
profilassi antimalarica, si passa da un livello di copertura del 34% nei gruppi
economicamente più svantaggiati, ad una copertura del 53% in quelli più
avvantaggiati. In Nigeria invece nel 2003 si passa da un livello di copertura del 22%
nelle famiglie più povere contro una copertura del 61% nelle famiglie più ricche.
L’esistenza di disuguaglianze nel livello di copertura vaccinale sono confermate
anche dall’Oms a seconda della ricchezza familiare, del livello d’istruzione materno
29 Ibidem30 Sito internet: http://data.worldbank.org/topic/health consultato il 15/11/2010
22
e del luogo di residenza. Considerando la vaccinazione contro il morbillo, la
Repubblica Centro Africana, ad esempio, ha un grado di copertura per il quintile di
reddito più alto dell’80% a fronte di un appena 31% nel quintile più basso. In
Nigeria lo scarto tra i due quintili è ancora più marcato, dove solo il 16% dei
bambini di un anno nelle famiglie povere risulta vaccinato contro il morbillo, contro
il 71% dei nati nelle famiglie più ricche.
Altrettanto drammatici risultano anche i raffronti nei paesi considerati per quanto
riguarda le disuguaglianze geografiche di salute. In Cina ad esempio le aree urbane
costiere hanno raggiunto i livelli di sviluppo dei paesi industrializzati, mentre nelle
zone rurali le condizioni di vita e di salute risultano ancora precarie.
L’indagine Nazionale sulla Maternità e l’Infanzia evidenzia che nel 2004 i tassi di
mortalità materna, infantile e i tassi di mortalità sotto i 5 anni nelle zone rurali erano
tre volte più alti che nelle aree urbane: rispettivamente lo 0.006% a fronte dello
0.02%, il 3.7% contro 1.2% ed il 4.6% contro l’1.4%. Più dettagliatamente, nel 2000
i tassi di mortalità materna oscillavano da 9.6 ( su 100.000 nati vivi) di Shanghai ai
161 di Xinjiang fino a 466 nel Tibet.32
Per quanto riguarda la copertura sanitaria, sempre in Cins, nel 2003, il 79% della
popolazione rurale e quasi il 45% di quella urbana ne risultava priva.
Riguardo le disuguaglianze nell’accesso all’acqua potabile e alle condizioni igienico
sanitarie si dispone di dati per tutti i paesi censiti dall’Oms33, ma limitatamente alle
disuguaglianze geografiche. Questi dati riportano una situazione di grave disagio per
i paesi africani, per l’America Latina e per il Sud Est Asiatico. Nella stragrande
maggioranza dei paesi, meno di una persona su due ha accesso a condizioni
igienico-sanitarie adeguate: l’Eritrea (5%), il Ghana (10%), la Sierra Leone, il Togo
e il Madagascar (12%), la Guinea (19%), il Burkina Faso (22%), Ruanda e la
Somalia (23%), ma anche l’India(28%). Se si considera separatamente il dato
relativo alla popolazione urbana e a quella rurale tale lista si allunga. I dati riportano
i casi di Pakistan ( dove solo il 40% della popolazione rurale vi accesso contro il
31 Bronzini M.. op cit., p.3832 I dati riportati dall’Unicef sono consultabili nel sito internet: http://www.unicef.org/china/health.html
23
90% di quella urbana), dell’Angiola (16% contro 79%) o del Perù (36% contro
85%). Similmente anche paesi come il Brasile e la Cina presentano raffronti notevoli
tra zone urbane e rurali: l’1.7% in Brasile contro 1.5% in Cina per l’accesso
all’acqua potabile e il 2.3% e l’1.2% per l’accesso a condizioni igienico sanitarie
adeguate34.
Tuttavia le grandi città appaiono come luoghi ambivalenti perché se da un lato,
hanno un effetto protettivo sulla salute della popolazione, per l’offerta di
infrastrutture di vario genere, dall’altro, le malattie, infettive e non, si diffondono più
velocemente che nelle zone rurali, a causa di comportamenti a rischio e di
condizioni di vita insalubri. Gli ambienti urbani sono infatti interessati alle nuove
malattie legate all’inquinamento urbano e industriale, ai lavori nocivi, e alle malattie
legate al consumo di alcool, tabacco e comportamenti sessuali a rischio.35 Il
problema della salute nei contesti urbani apre, dunque, nuovi fronti per l’analisi
delle disuguaglianze sociali.
Le profonde disuguaglianze nello stato di salute tra i paesi in via di sviluppo e i
paesi delle economia emergenti, così come all’interno dei paesi stessi, sono dunque
economicamente e socialmente inique e inaccettabili. Particolarmente significativo
può essere il contributo delle politiche in grado di ottenere vantaggi di salute
attraverso interventi non direttamente sanitari ma di tipo educativo, ambientale, o
assunti nell’ambito delle politiche di welfare. Difficilmente infatti si può pensare di
poter avere un buon sistema sanitario in una società che rimanga fortemente
squilibrata.
Nel prossimo paragrafo analizzerò le disuguaglianze di salute all’interno dei paesi
europei, al fine di evidenziare come il fenomeno abbia dimensioni tanto ampie da
richiedere indagini mirate a capire il ruolo dei singoli fattori ( carenze culturali,
disagio economico, disoccupazione, emarginazione e così via) che concorrono a
formare lo svantaggio sociale.
33Who in Bronzini M., op.cit., p.4034 Ibidem35 Bronzini M, op. cit., p.40
24
1.4 Le disuguaglianze di salute nei paesi a economia
avanzata:uno sguardo sull’ Europa.
Come si è visto, molteplici sono i fattori che risultano in grado di influenzare lo stato
di salute delle persone. Avere condizioni economiche precarie e cattive abitudini
alimentari, non avere un lavoro o essere costretti a lavori rischiosi, vivere in
condizioni abitative insalubri ed avere uno scarso supporto sociale, sono tutte
situazioni di svantaggio che hanno un fortissimo impatto sulla salute e possono
condurre a morte prematura.
Disoccupati, poveri e soprattutto donne povere, immigrati, senza tetto, lavoratori
occasionali e minoranze etniche rappresentano i gruppi più a rischio.
L’Oms ha sottolineato nell’ultimo rapporto che in Europa “tutti i paesi [...]
presentano diseguaglianze nella salute ampie e crescenti tra i più ricchi e più poveri.
Ridurre le diseguaglianze all’interno della popolazione al minimo possibile è la sfida
chiave per tutti i paesi”.36
Alcuni studi hanno cercato di verificare se sussistano delle differenze tra i paesi
europei nella composizione e nell’ampiezza delle diseguaglianze di salute. I dati a
tal proposito non sono sempre comparabili e, pertanto, non risulta semplice
verificare se le differenze emerse sottendano una diversa conformazione delle
diseguaglianze.
Mackenbach ha verificato, in una ricerca comparata su 22 paesi europei, che il
livello di diseguaglianze nella mortalità maschile per grado di istruzione in tutti i
paesi è molto alto, evidenziando uno svantaggio per i meno istruiti.37 Tuttavia
l’intensità delle diseguaglianze varia notevolmente: è infatti inferiore in Svezia, in
Norvegia, in Danimarca, nel Regno Unito, in Belgio, in Italia e in Spagna, mentre in
36 The European Helath Report in Bronzini M., op. cit.,p.4137 Mackenbach e altri in Bronzini M., op.cit., p.42
25
altri paesi è superiore, come in Finlandia, in Svizzera e in Francia. Nei paesi
dell’Est, come Ungheria, la Repubblica Ceca e la Polonia, le persone poco istruite
presentano tassi di mortalità quattro volte superiori rispetto a quelle con un elevato
livello di istruzione.
Tuttavia tali diseguaglianze si registrano in modo particolare a causa di patologie
cardiovascolari che colpiscono i gruppi più svantaggiati: la metà delle
diseguaglianze nei tassi di mortalità femminili per grado di istruzione e un terzo di
quelle maschili si possono ricondurre, infatti, a questa categoria. Da questo punto di
vista politiche mirate a contrastare le patologia cardiovascolari nelle classi
svantaggiate potrebbero ridurre in maniera sostanziale le diseguaglianze sociali di
salute nel loro complesso.
Il Dossier I fattori di rischio e i determinanti di salute, cause di disabilità e
mortalità38 pubblicato dal Ministero della Salute italiano nel 2007, evidenzia come
in Europa i fattori di rischio che spiegano nel loro insieme il 60% delle malattie sono
strettamente connessi alle abitudini alimentari e agli stili di vita: il tabagismo, il
consumo di alcool, l’eccesso di colesterolo, l’ipertensione, il sovrappeso, lo scarso
consumo di frutta e verdura e l’inattività fisica.
Lo studio di Mackenbach (2008) conferma, ad esempio, che il fumo e l’obesità sono
i più frequenti tra persone istruite. Nel caso del fumo inoltre si registrano differenze
per grado di istruzione più accentuate nel Nord d’Europa, nell’Europa Continentale
ed Occidentale, e meno marcate nei paesi Mediterranei. Nei paesi Mediterranei, poi,
si osservano notevoli diseguaglianze a seconda del grado di istruzione per quanto
riguarda l’obesità.39
Considerando invece le cause di morte si possono intravedere altre specificità nei
percorsi delle diseguaglianze di salute nei vari paesi. Confrontando ad esempio, i
tassi di mortalità dei lavoratori non qualificati con quelli di tutti gli occupati, è
emerso che nei paesi scandinavi le morti in eccesso tra i primi sono riconducibili
38 Il dossier è consultabile al sito:http://www.ministerosalute.it/imgs/C_17_primopianoNuovo18_documenti_itemDocumenti_2_fileDocumento.pdf39 Mackenbach e altri in Bronzini M., op. cit., p. 42-43
26
principalmente ad incidenti, in Inghilterra a malattie cardiovascolari ed in Francia a
patologie legate al consumo di alcol.40 I lavoratori non qualificati hanno infatti una
tendenza più elevata ad avere una dieta squilibrata, cui si associa spesso una vita
sedentaria, alcool e fumo. L’eccesso di cibo può contribuire inoltre all’insorgenza di
gravi malattie cardiovascolari, diabete, obesità e cancro.
Le patologie ed i fattori che contribuiscono ad aumentare le diseguaglianze di salute
variano non solo tra i paesi, ma anche tra le diverse coorti all’interno di uno stesso
paese. Huisman (2005) osserva come le cause di morte tra i meno istruiti cambiano
all’aumentare dell’età.41 Ad esempio, le malattie cardiovascolari contribuiscono
all’eccesso di mortalità tra i meno istruiti nella popolazione anziana e non altrettanto
in quella in età lavorativa.42
Inoltre negli ultimi anni le ricerche relative ai paesi europei si sono occupate
maggiormente della popolazione anziana e delle differenze socioeconomiche nella
prevalenza delle malattie croniche. Lo studio di Dalastra (2005) conferma che
l’infarto, le malattie del sistema nervoso, il diabete e l’artrite sono soggette a
diseguaglianze connesse al livello di istruzione piuttosto consistenti, ma più ampie
nella popolazione in età lavorativa. Inoltre alcune ricerche, in riferimento al fattore
lavorativo, attestano il persistere di diseguaglianze di salute nella popolazione
anziana, seppure di entità minore rispetto a quelle che si registrano nella popolazione
attiva. Il livello di disabilità e delle limitazioni funzionali risulta poi variare a
seconda del livello socioeconomico: in tutti i paesi sono le classi svantaggiate a
subire maggiormente le conseguenze delle diseguaglianze.
Nel caso del diabete, dell’ipertensione e delle cardiopatie sono emerse, poi,
diseguaglianze socioeconomiche maggiore tra le donne che tra gli uomini.43 Questo
aspetto, ovvero la maggiore vulnerabilità femminile nei confronti delle malattie
croniche, si ricollega ad un tema più ampio, quello delle diseguaglianze di genere
nella salute, cui verrà dedicato l’intero paragrafo successivo.
40 Leclerc in Bronzini M., op.cit., p.4341 Huisman e altri in Bronzini M., op.cit., p.4442 Bronzini M., op.cit., p.4443 Dalastra e altri in Bronzini M., op. cit., p.44
27
I dati precedenti hanno evidenziato come, in tutti i paesi europei, sono ancora una
volta i gruppi più svantaggiati a presentare i tassi di mortalità più elevati rispetto alle
classi di reddito più avvantaggiate, e che il reddito e l’istruzione sono i fattori che
più influiscono in maniera negativa sui livelli di salute.
1.5 La particolarità del “genere” tra le disuguaglianze nella
salute
Come osservano Carla Facchini e Elisabetta Ruspini “gli aspetti concreti della
disuguaglianza di genere, cioè le limitazioni imposte alle donne in termini di
possibilità di scelta, opportunità e partecipazione, hanno conseguenze dirette e
spesso deleterie sulla loro salute, sull’istruzione e sulla partecipazione sociale ed
economica” .44
Secondo la Banca mondiale le disuguaglianze di salute connesse al genere
pregiudicano lo sviluppo e la possibilità di ridurre la povertà, mentre la crescita
economica e l’aumento dei redditi diminuiscono tali disuguaglianze.
Negli ultimi decenni è emerso comunque un maggiore impegno dei paesi nel
soddisfare i bisogni delle donne in materia di salute, istruzione e salute riproduttiva.
In Asia, in Africa e in America latina si è riscontrato infatti come molte
organizzazioni femminili stiano cercando di raggiungere questi obiettivi anche
attraverso una maggiore collaborazione con gli uomini.45
Tuttavia la disuguaglianza di genere è ancora molto diffusa. Essa è infatti un
problema sia pubblico, sia legato alla sfera privata e ai modelli culturali molto
radicati nella popolazione. Per questo motivo risulta essere di difficile soluzione,
soprattutto nei paesi in cui la supremazia maschile è alla base della vita familiare.
La globalizzazione, uno dei fenomeni economici più potenti del XX e del XXI
secolo, continua a procedere lungo il suo cammino asimmetrico: il numero dei
poveri aumenta e continuano ad aumentare anche i redditi di poche persone, i
44 Facchini C., Ruspini E., Salute e disuguaglianze, FrancoAngeli, Milano, 2001, p.5745 Ibidem, p.58
28
mercati si espandono oltre i confini nazionali e viene sempre più soffocata la vita di
chi non ha le capacità per beneficiare della cultura globale o non ha le risorse per
investire.46
Oggi l’economia mondiale allarga il divario tra persone e tra paesi ricchi e poveri. In
questo quadro il genere femminile è fortemente penalizzato e la discriminazione
sessuale si acutizza.
Per una bambina nascere povera significa sopportare varie discriminazioni. Basti
considerare l’Asia meridionale in cui la discriminazione sessuale e sociale contro il
genere femminile raggiunge i massimi livelli: ogni anno infatti milioni di bambine
nascono in povertà, schiave del debito e del sistema delle caste. Ancora più
drammatico sono i casi in cui le donne povere, durante la gravidanza, preoccupate al
pensiero della dote da dare in futuro alle figlie femmine, si rivolgono a «ecografisti»
ambulanti: sono emersi casi di aborto di feti femmine in 27 stati indiani su 32.47
Un caso emblematico lo ritroviamo poi nel Bihar e nel Rajasthan dove il rapporto
dei sessi alla nascita è di 60 femmine ogni 100 maschi (dovrebbe invece essere 100
su 103)48. Le bambine povere inoltre vengono spesso trascurate a vantaggio dei loro
fratelli maschi, rispetto al cibo, all’istruzione e alle cure mediche. Esse soffrono
l’isolamento dell’ignoranza e dell’analfabetismo.49
Ancora più allarmante è il divario tra donne ricche e donne povere nell’accesso alle
cure e alle politiche della salute. Le donne povere sono ancora più oppresse rispetto
alle donne ricche. Esse sono sessualmente sfruttate e vengono discriminate nel
mercato del lavoro e in altre aree nelle quali viene impedito loro di giocare un ruolo
preminente.
In tutto il mondo le donne povere hanno un accesso inadeguato
all’assistenza sanitaria essenziale e, senza dubbio, i sistemi di assistenza sanitaria
devono essere rafforzati.
46 Lombardi L., Società, Culture e differenze di genere, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 8147 Ibidem, p. 8248 Unicef in Lombardi L., op.cit., p.8249 Lombardi L., op.cit., p.82
29
In Bangladesh, Ciad, Nepal, e Niger le donne che appartengono a fasce di reddito
elevate possono accedere a cure e assistenza sanitaria di alto livello, mentre per le
donne più povere risulta difficile accedere persino all’assistenza di base. In questi
paesi infatti i tassi di accesso all’assistenza qualificata sono tra i più bassi del
mondo. In altri paesi come la Turchia, il Brasile e il Vietnam dove i tassi di accesso
sono relativamente alti, le donne più povere sono quelle con minore possibilità di
assistenza qualificata durante la gravidanza e il parto.50
La mortalità materna è inoltre di difficile misurazione poiché da tempo vi è un
problema con i dati. In molti contesti infatti i casi non vengono registrati
adeguatamente oppure la morte delle donne e le sue cause non vengono denunciate
dalla famiglia e dalla comunità locale. Gli stessi problemi emergono con la morbilità
materna.51
Da alcuni anni però gli organismi di rilevazione internazionale hanno iniziato una
campagna di attenzione alla raccolta e misurazione dei dati sulla mortalità materna e
sulla salute riproduttiva in generale. Molti paesi quali l’Angola, l’Argentina, la
Bolivia, la Cambogia, il Marocco, il Mozambico, il Namibia, il Nicaragua, le
Filippine, il Senegal, lo Sri Lanka e lo Zimbabwe, hanno già aderito all’iniziativa
evidenziando significativi miglioramenti.
Tra le iniziative riportate da alcuni paesi vale la pena ricordare quella dello Sri
Lanka che ha dimezzato la propria mortalità materna in soli tre anni e quella della
Malesia che invece ha ridotto la mortalità materna di tre quarti in vent’anni.52 Tali
paesi hanno raggiunto questi risultati grazie ad iniziative di politica sociale in grado
di integrare l’intervento pubblico con quello privato e allo stesso tempo di
sviluppare un sistema di assistenza sanitaria di base, capace di raggiungere tutti gli
strati della popolazione senza esclusioni in base alla razza, alla classe sociale,
all’etnia, alla collocazione territoriale, in linea con le Raccomandazioni della
Conferenza del Cairo del 1994.53
50 Unfpa in Lombardi L., op.cit., p. 8551 Lombardi L., op.cit., p. 8652 Ibidem, p.8753 Ibidem
30
Alla luce delle precedenti considerazioni possiamo dunque affermare che eliminare
le disuguaglianze di genere dando pari opportunità di accesso all’istruzione,
all’occupazione, alla proprietà e al credito, e garantire la partecipazione delle donne
alla vita pubblica, migliora la salute della popolazione, rallenta la crescita
demografica e rafforza la crescita economica complessiva. Se infatti il reddito
aumenta, le famiglie incrementeranno le spese per l’istruzione, l’alimentazione e la
cura dei figli, e in questi casi, saranno più le ragazze ad avvantaggiarsene. Allo
stesso modo quando si creano nuove opportunità di lavoro, saranno le donne a trarne
maggiore profitto.54
La disuguaglianza di genere ostacola il progresso degli individui, l’evoluzione della
società e lo sviluppo globale di un paese, in quanto le limitazioni imposte alle donne
in termini di opportunità e possibilità di scelta hanno conseguenze negative sulla
loro salute, sull’istruzione e sulla partecipazione alla vita sociale e politica.
Le disuguaglianze nell’accesso al potere politico, la scarsa presenza di donne nelle
posizioni lavorative più remunerate e di responsabilità e la persistenza di notevoli
differenziali retributivi, testimoniano che la parità dei sessi è presente soprattutto a
livello formale. L’uguaglianza è dunque soltanto apparente: le donne partecipano
alla vita attiva nella medesima proporzione degli uomini, ma rimangono le uniche a
farsi carico del lavoro familiare, conducendo dunque una faticosa «doppia presenza»
tra lavoro retribuito e lavoro domestico.
Le donne ricoprono inoltre spesso mansioni secondarie rispetto agli uomini, anche
se dimostrano intelligenza e professionalità. Esse vengono infatti discriminate nel
mercato del lavoro e in altre aree nelle quali viene impedito loro di ricoprire un ruolo
di primo piano.
Le donne hanno le stesse capacità e risorse degli uomini, ma se non utilizzano a
pieno queste potenzialità e non sperimentano alcuna partecipazione alla vita politica
ed economica del proprio paese, si accentuerà ancora di più una segregazione di
funzioni e posizioni.
54 Lombardi L., op.cit., p. 81
31
Eliminare le disuguaglianze di genere può senza dubbio rappresentare una
potenzialità per la crescita economica di una nazione. Ma questa potenzialità può
divenire realtà soltanto se viene distribuita la ricchezza in maniera funzionale per lo
sviluppo umano in un’intera nazione e tra i singoli individui.
Senza crescita economica non ci sarà dunque alcun miglioramento della salute e del
benessere della popolazione. Pertanto la rapida crescita demografica è la maggiore
minaccia a uno sviluppo sostenibile.
La deprivazione economica e in generale quella umana frustra le ambizioni e i sogni
delle persone. In molti casi l’istruzione non riesce a fornire alle persone mezzi ed
opportunità per attribuire loro un maggiore potere. In tutto il mondo milioni di
persone e soprattutto milioni di donne non possono accedere all’assistenza sanitaria
essenziale.
La soluzione a questi problemi sta nella creatività degli individui, nelle risorse e
nell’azione sociale per la salute. E’ necessario che il settore sanitario attiri
l’attenzione sulle cause alla radice delle disuguaglianze di salute. Ma la crescita
economica da sola non porta a un miglioramento della salute delle persone.
L’impossibilità di vivere in buona salute è legata agli svantaggi che hanno profonde
radici sociali. Tutto ciò richiede però un forte impegno, da parte dei governi e delle
organizzazioni non governative a livello globale, nazionali e locali, a favore di
politiche per la salute e per l’ambiente.
1.6 Riflessioni epidemiologiche
Abbiamo appena visto in questo capitolo, come le disuguaglianze sociali di salute
facciano riferimento dunque a differenze sistematiche, non necessarie ed evitabili,
nei livelli di salute tra gruppi sociali definiti sulla base di fattori di natura socio-
economica, demografica, o geografica.
Si è visto anche come l’analisi delle disuguaglianze di salute in una prospettiva
globale necessiti di riferimenti continui ai processi economico-sociali globali e agli
effetti convergenti che questi producono sulla salute degli individui. E’ importante
però ricordare come tali riferimenti siano inefficaci al fine dell’analisi se non si
32
tengano conto anche delle convergenze con i quadri epidemiologici che via via si
stanno configurando.
A questo punto è utile ricordare il concetto di care transition proposto da Taylor e
Bury nel 200755, che presenta un significato più ampio di quello di transizione
epidemiologica ideato da Omran nel 1971 e di quello di health transition.
La transizione epidemiologica di Omran faceva riferimento al passaggio da alti tassi
di mortalità infantile e bassa speranza di vita al declino della mortalità per malattie
infettive e all’invecchiamento della popolazione ed a un aumento delle patologie
cronico-degenerative. Il concetto di health transition56 è più esteso di quello di
transizione epidemiologica in quanto comprende anche le trasformazioni sociali e
demografiche. Il concetto di care transition infine considera anche le risposte da
parte del sistema delle cure ai nuovi scenari di salute e malattia e le inserisce
all’interno dei cambiamenti sociali.
Il quadro epidemiologico del XXI secolo si apre all’insegna di vecchie e nuove
malattie infettive e di problematiche sanitarie. Le malattie possono diffondersi
inoltre più velocemente di quanto non sia accaduto in passato, in quanto le persone
si spostano maggiormente da un continente all’altro. L’Oms ha avvertito che esiste
un possibile rischio di pandemia entro i prossimi anni.
Le pandemie hanno luogo quando un nuovo ceppo del virus dell’influenza viene
trasmesso all’uomo da un’altra specie animale. Le principali specie nell’insorgenza
di un nuovo ceppo umano sono i suini, le galline e le anatre.57
Questi nuovi ceppi si possono diffondere rapidamente e possono infettare
moltissime persone.58 Esistono diverse malattie delle quali si è temuto che potessero
dare origine a pandemie. A partire dal febbraio 2004 si sono cominciate a rilevare
casi di influenza aviaria in Vietnam. Si teme che l’influenza aviaria possa
combinarsi con ceppi di influenza umana, dando vita a una pandemia molto
55 Girelli G., La “care transition” come nuova sfida dei sistemi sanitari delle società tardo industriali?, inBattisti F.M., Esposito F. ( a cura di), FrancoAngeli, 2008, p. 20056 http://www.who.int/trade/glossary/story050/en/index.html57 www.who.int/influenza/pandemia consultato il 11/11/201058 La Sars e l’influenza aviaria sono state le prime malattie infettive del nuovo millennio, per le quali si èparlato di pandemia.
33
pericolosa. In Messico nell’Aprile del 2009 si è diffuso il virus A/H1N1, noto come
il virus dell’influenza suina, che potrebbe dare luogo a una pandemia. Tale epidemia
minaccia di estendersi a molte aree del mondo, tra le quali gli Stati Uniti d’America
ed i paesi europei. Nell’aprile 2009 l’Oms ha lanciato l’allarme, sottolineando come
il virus iniziasse a trasmettersi direttamente tra uomini, senza quindi che sia
necessario il contatto con l’animale infetto.59
Questi rischi globali non consentono ai paesi di proteggersi da soli. Sono dunque
necessari interventi coordinati così come previsto dalla Dichiarazione del
Millennio60, un documento sottoscritto nel 2000 dai Capi di Stato e di governo di
tutti gli Stati Membri dell’ONU, che contiene gli impegni precisi per la lotta alla
povertà, alla fame, alla malattia, all’analfabetismo, alla discriminazione contro le
donne e al degrado ambientale, sulla base dei quali sono stati definiti otto obiettivi di
sviluppo del millennio, da realizzarsi entro il 2015.
Con tale dichiarazione si riconosce in tal modo la responsabilità collettiva nel
sostenere i principi della dignità umana, dell’uguaglianza e dell’equità a livello
globale. Il rafforzamento dei sistemi sanitari, inoltre, è ancora più essenziale per la
tutela della comunità mondiale.61
59 www.who.in/influenza/pandemia60 Bronzini M., op.cit., p.3061 Bronzini M., op.cit., p. 30
34
CAPITOLO 2
Politiche contro le disuguaglianze di salute e nuoveprospettive strategiche
2.1 Il concetto di salute e l’approccio delle organizzazioniinternazionali.
La definizione di salute più nota è, senza dubbio, quella formulata
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948: “ è uno stato di completo
benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solo nell’assenza di malattia”.
Questa definizione evidenziava, in un’epoca in cui ciò era culturalmente e
politicamente meno scontato di oggi, che la salute fosse qualcosa di connesso al
benessere fisico delle persone ma anche al loro benessere psichico e sociale.
In modo più concreto l’Oms definisce la salute anche come “uno stato di equilibrio”.
Il mantenimento dell’equilibrio viene reso più difficile per il fatto che l’uomo è un
essere abitudinario. Modelli di vita consuetudinari, regolati spesso da ritmi severi,
sono in estremo contrasto con la vita reale, che obbedisce ad un ritmo vitale.
Negli anni ’80-’90 emerse dunque questa nuova concezione della salute come
equilibrio psico-fisico della persona. L’idea di equilibrio è centrale anche nella
definizione di salute fornita dal filosofo tedesco Gadamer (1994): “ Il modo più
chiaro per raffigurarsi la salute consiste nel concepirla come uno stato di
equilibrio”.62 In tal senso, la salute va intesa come un fenomeno globale di tipo
processuale e relazionale, che coinvolge tutti gli aspetti dell’esistenza umana.
Bissolo e Fazzi considerano la salute come una percezione soggettiva dell’individuo,
connessa allo stato fisico, psicologico e sociale della persona.63 E’ dunque di tipo
multidimensionale, cioè tiene conto di tutte le “dimensioni sociali”64, che a loro
62 Gadamer in Bronzini M., op. cit., p. 12863 Bissolo G., Fazzi L., Costruire l’integrazione socio-sanitaria, Carocci, Roma, 2005, p. 3064 Bronzini M., op. cit., p. 129
35
volta dovrebbero costituire le basi per le politiche contro le disuguaglianze nella
salute.
La politica dell’Unione Europea considera la salute “efficiente” nell’ambito
produttivo-lavorativo. Ogni individuo svolge un ruolo importante per la società
contribuendo alla crescita economica, tutelando la propria salute, ed assumendo
inoltre il dovere all’educazione, all’integrazione sociale e alla promozione di
conoscenze conformi ai ruoli ricoperti nella società.65
La società investe ingenti somme soprattutto in ambito sanitario in quanto si è già
visto come nelle condizioni di salute delle persone contribuiscono in maniera
significativa a incrementare il reddito pro capite. E’ evidente dunque l’interesse
della società al controllo sociale della malattia anche in termini economici. Ed è in
questo senso che si fa riferimento ai principi secondo cui ogni individuo ha il dovere
di tutelare la propria sanità fisica anche per il rispetto della stessa collettività, e nella
tutela della salute è implicata anche la prevenzione.
Come è stato detto nei paragrafi precedenti, anche nei paesi avanzati con un buon
livello culturale e di reddito vi sono disparità economiche e sociali. Il progresso
economico e quello tecnologico-scientifico non possono da soli compensare
disuguaglianze nell’organizzazione sociale. In tal senso la salute deve essere intesa
“funzionale” nella nuova e ampia sfera della vita produttiva, familiare e sociale.
Un dato generale positivo è che i cittadini europei vivono molto più a lungo di
qualche decennio fa, mediamente 79 anni in 15 stati membri e 74 anni in 10 nuovi
paesi membri.66 Negli ultimi decenni, nonostante i miglioramenti generali nella
salute e nelle politiche di welfare ed in particolare sulle aspettative di vita media,
studi internazionali hanno dimostrato che differenze di mortalità relativa tra gruppi
socio-economici alti e bassi sono aumentati in tutta Europa, fino ad arrivare tra i 4 e
i 6 anni per gli uomini e tra i 2 e i 4 anni per le donne67.
Per quanto riguarda il tema centrale di questo lavoro, ossia la forte correlazione della
condizione socio-economica con lo stato di salute/malattia, gli stessi studi hanno
65 Bronzini M., op. cit., p. 12766 Dato riferito al 2003 su fonte United Nations Development Program, 2005.
36
verificato che68: la mortalità, la morbilità e gli incidenti nell’infanzia sono prevalenti
nei gruppi socialmente svantaggiati; i comportamenti dannosi per la salute quali la
cattiva alimentazione, il fumo e la carenza di attività fisica sono maggiori negli strati
più poveri della popolazione; il rischio di sviluppare malattie croniche in età adulta,
ad esempio malattie alle coronarie o depressione, è più elevato per le persone con un
background socio-economico basso e la mortalità prematura è più frequente.
Alla luce di questi studi è possibile superare o contrastare tali problematiche facendo
riferimento a tre interventi: migliorare la salute dei più bisognosi; ridurre/eliminare
il gap tra i gruppi; ridurre/eliminare i fattori di rischio.69
Tali interventi, contestualizzati nelle realtà territoriali specifiche, dovrebbero
perseguire in modo diverso i seguenti obiettivi: migliorare le condizioni socio-
economiche per gli strati più poveri della popolazione (educazione, abitazioni, ecc.);
migliorare lo stato di salute dei poveri più velocemente dei ricchi per un effettiva
eguaglianza/parità; adottare politiche per migliorare le condizioni di salute per le
classi più povere ed intermedie ma i cui effetti devono aver un maggior impatto sulla
classe sociale più bassa, prevedendo solo per quest’ultima servizi aggiuntivi.70
Queste ovviamente costituiscono solo delle indicazioni al problema delle
disuguaglianze della salute, non essendo possibile sconfiggere le disuguaglianze
della salute in un’unica direzione.
Il concetto di salute, come abbiamo visto, è infatti così complesso che sfugge alla
riduzione a uno solo dei fattori oggettivi, soggettivi e socioculturali che la
caratterizzano. È una nozione integrale, che inoltre sul piano della vita concreta, si
può riscontrare solo ad un livello relativo, in quanto essa è determinata e limitata dal
significato della vita.
Alla luce di tutto ciò è doveroso sottolineare l’importanza della partecipazione della
società civile all’elaborazione e definizione delle politiche sanitarie, attraverso la
consultazione dei cittadini, delle organizzazioni che rappresentano gli interessi dei
67 Mackenbach in Bronzini M., op. cit., p. 129.68 EuroHealthNet, 2006.69 Bronzini M., op. cit., p. 130.70 Ibidem.
37
pazienti. È anche importante evidenziarne la sensibilità verso il tema della
solidarietà, frutto dell’incontro delle diverse istanze solidaristiche istituzionali e
private (es. le organizzazioni governative, ONG), nonchè tra sistemi sanitari.
Per una cultura della solidarietà è fondamentale dunque un consenso su questi temi
da parte dei paesi sviluppati e meno sviluppati.
Nel prossimo paragrafo ci soffermeremo sull’impegno della comunità internazionale
ad adottare misure e strategie comuni per garantire condizioni di vita sane.
2.2 L’impegno internazionale contro le disuguaglianze di salute
Come ha dichiarato il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale Sanità, Lee
Jong-Wook: “tradurre una evidenza scientifica in pianificazione e azione è sempre
un processo complesso. Esso è particolarmente difficile quando le implicazioni per
le azioni possono comportare un cambiamento nel nostro modo di concepire le
politiche rivolte alla salute. C’è voluta più di mezza generazione affinchè i Governi
e i responsabili delle decisioni riconoscessero e cominciassero a prestare attenzione
alle disuguaglianze sociali nella salute. Oggi, la conoscenza scientifica sui
determinanti sociali della salute sta rapidamente aumentando”71.
Dichiarando, perciò, che “solo gli interventi che si fossero occupati di determinanti
sociali di salute avrebbero ridotto le malattie e migliorato la salute della popolazione
mondiale”72, nel 2005 L’OMS costituì la Commissione sui Determinanti Sociali di
Salute, composta da 20 membri ( accademici, ex ministri della salute ed ex capi di
stato, tra cui Giovanni Berlinguer, il quale ha diretto l’elaborazione del Primo
Programma Sanitario Nazionale italiano, Sir Michael Marmot, premio Balzan 2004
per l’epidemiologia e Amartya Sen, premio Nobel per l’economia), per raccogliere
informazioni sull’impatto dei determinanti sociali sulla salute a al fine di trasformare
il patrimonio di esperienza e di conoscenza, in possibili interventi e politiche efficaci
71 Lee J.W., Discorso alla 56° assemblea Mondiale Sanità, Ginevra, Svizzera, 21 Maggio 200372 Ibidem
38
per i governi di tutto il mondo. Nel 2008 la Commissione ha pubblicato il rapporto
finale del suo lavoro dal titolo Closing the gap in a generation: Health equity
through action on the social determinants of health, la cui conclusione principale è
che agire sui determinanti sociali di salute per eliminare le disuguaglianze di salute
tra paesi e all’interno dei paesi, deve costituire l’imperativo per tutti i governi.73
La Commissione aveva inoltre istituito 9 gruppi di lavoro composti da 350 persone
tra ricercatori, professionisti, politici, tecnici, rappresentanti delle società civili e
rappresentanti delle istituzioni di 100 paesi, che hanno elaborato azioni e progetti da
implementare a diversi livelli (dalle Nazioni Unite, ai governi nazionali, fino al
settore privato e alle organizzazioni dei cittadini). Al fine di contrastare gli effetti
delle disuguaglianze la Commissione ha formulato tre raccomandazioni generali nel
rapporto pubblicato nel 2008: contrastare a livello globale, nazionale e locale, la
distribuzione ingiusta del potere, del denaro e delle risorse; misurare e analizzare il
problema; verificare l’impatto degli interventi, investendo prima di tutto nella
formazione dei decisori e dei professionisti sanitari e in sistemi di registrazione.
L’impegno della Commissione si è sviluppato su tre piani: la ricerca di evidenze, i
rapporti con le istituzioni globali ed il coinvolgimento della società civile. Per
quanto riguarda il primo punto, la Commissione si è articolata in nove reti di
conoscenza su specifiche aree tematiche: strutture urbane, esclusione sociale,
condizioni di lavoro, malattie di interesse pubblico, sistemi di salute, prima infanzia,
globalizzazione, equità di genere, evidenze e misurazioni.
Per quanto concerne il versante istituzionale, la Commissione è stata impegnata
nella costruzione di alleanze globali, attraverso il dialogo con le istituzioni
finanziarie internazionali e con le Agenzie delle Nazioni Unite, al fine di progettare
una strategia condivisa per la salute.
La Commissione ha promosso infine il coinvolgimento delle organizzazioni della
società civile, attraverso un processo consultivo avviato nelle diverse aree
geografiche, al fine di diffondere a livello comunitario le conoscenze e le esperienze
73 Sito internet: http:// saluteinternazionale.info/2009/01/25/oms-le.disugualianze-uccidono-su-larga-scala
39
maturate nei singoli contesti.74 Va inoltre riconosciuta l’importanza di un’azione
integrata tra diversi stakeholder, soggetti governativi e non governativi, società
civile, organizzazioni private e gli stessi operatori sanitari.
L’impegno internazionale nell’ottica di una tutela della salute globale si può
sintetizzare in tre approcci. Il primo approccio è quello di creare sistemi a rete per il
monitoraggio delle malattie su scala globale e del loro differente grado di diffusione
nei diversi gruppi sociali. Da questo punto di vista, la comunità internazionale,
consapevole che la disponibilità di informazioni sul fenomeno e lo scambio di
conoscenze rappresentano un importante passo per monitorarlo e per approntare
politiche di contrasto, si è fatta promotrice di un comune sforzo conoscitivo in
questo senso75.
Il secondo approccio si propone di rafforzare i sistemi sanitari nelle economie in via
di sviluppo, in quanto gli organismi internazionali non possono sostituirsi ai governi
locali nella tutela della salute. Il terzo approccio dedica infine un’attenzione
crescente e costante alle disuguaglianze di salute lungo tutti i possibili assi di
sviluppo di quest’ultime.
Occorre infine considerare due aspetti, per quanto riguarda le politiche e le azioni
correttive da intraprendere. Da un lato, il fatto che nei gruppi svantaggiati si
registrino peggiori condizioni di salute, a prescindere dalle cause delle stesse,
suggerisce l’esistenza di fattori di svantaggio sociale. Sotto questo profilo interventi
tesi ad attenuare le disuguaglianze sociali ridurrebbero in ogni caso le
disuguaglianze di salute. Dall’altro lato, i percorsi delle disuguaglianze possono
risultare molto diversi tra loro, come diverso a seconda dei contesti appare il peso
dei fattori che ne sono alla base, quali gli stili di vita, le risorse materiali, l’accesso
ai servizi, ecc. Questo rafforza l’esigenza di analisi specifiche che verifichino a
quale tipo di causa siano riconducibili la morbilità e le morti in eccesso tra i gruppi
svantaggiati in modo da intervenire con politiche e interventi mirati.76
74 Bronzini M., op. cit., p. 5875 Ibidem, p. 57-5876 Bronzini M., op. cit,. p. 62-63
40
I fattori economici, sociali, culturali, politici, ambientali, comportamentali e
biologici possono favorire la salute come lederla. Infatti, mentre le cure mediche
possono prolungare la sopravvivenza e migliorare la prognosi di alcune malattie,
risultano più importanti per la salute della popolazione nel suo complesso, le
condizioni sociali ed economiche che fanno ammalare le persone e che le portano a
richiedere cure mediche. I fattori socio-economici e gli stili di vita contribuiscono
infatti alla salute più dell’eredità genetica e dei servizi sanitari. In questo senso, il
legame diretto tra reddito e salute, chiamato gradiente sociale, che era già stato
sottolineato in passato, soprattutto mettendo in evidenza le ingiustizie e le
disuguaglianze in termini di cause evitabili di malattia, tra paesi in via di sviluppo e
paesi ricchi.
Infine dato che le disuguaglianze di salute sono il prodotto delle differenze degli
standard di vita, quali il sostegno sociale, l’alloggio, l’istruzione, ecc., la
promozione della salute diviene un obiettivo di pertinenza di tutti i settori della
politica sociale.
2.3 Il contributo dei sistemi sanitari
Prima di conoscere il contributo fornitoci dai sistemi sanitari per ridurre le
disuguaglianze sociali nella salute, è necessario chiarire ulteriormente il concetto di
salute. La salute secondo la Costituzione Italiana è un “ fondamentale diritto
dell’individuo” e “interesse della collettività”.77 Questa definizione di salute come
diritto umano possiede diverse ramificazioni. In primo luogo, concettualizzare
qualcosa come un diritto significa evidenziare la sua importanza quale fine sociale o
pubblico e concentrarsi sulla dignità della persona. L’uguaglianza e la non
discriminazione sono principi fondamentali dei diritti umani e la partecipazione dei
singoli individui e dei gruppi alla soluzione dei problemi che li riguardano, è un
aspetto importante dei diritti umani. Sotto questo profilo è possibile comprendere
l’obiettivo principale di un sistema sanitario, ovvero l’eguaglianza di accesso per
41
pari condizioni. Ogni sistema sanitario definisce in genere a livello nazionale i
proprio obiettivi di equità e decide come renderli operativi. Ma un uguale
accessibilità per gli stessi bisogni non è facile da garantire. È risaputo che le persone
socialmente emarginate, con basso reddito, con scarse informazione, hanno una
salute precaria, si ammalano e muoiono più velocemente. Ed è noto che le persone
in situazione di svantaggio, non utilizzano i servizi di base e preventivi ed utilizzano
in modo poco efficiente le risorse del sistema sanitario.78
“Disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari o nella qualità dei servizi ricevuti e
disuguaglianze nello stato di salute sono comunque due facce della stessa medaglia,
rappresentata dal problema dell’equità dei sistemi sanitari”.79
Le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari sono quelle maggiormente
evidenti, in quanto le varie tipologie di disuguaglianze sociali possono essere
direttamente determinanti. Esempi visibili sono quelli connessi alle difficoltà che
riscontrano i disabili, le persone immigrate, e i poveri nell’accesso al diritto alla
salute.80 Questa “disparità di trattamento che può significare anche ingiustizia”81 può
arrivare ad escludere alcuni, per motivazioni connesse a criteri oggettivi e di parte,
che vanno contro il diritto alla salute di ogni persona.82
Il contributo che i servizi sanitari sono in grado di dare alla salute di ogni persona
cambia a seconda del quadro epidemiologico. I servizi sanitari infatti hanno un peso
fondamentale nell’abbattimento delle malattie infettive, mentre incidono in misura
minore sulla cura delle malattie cronico-degenerative che colpiscono i paesi ad alto
reddito, rispetto alle quali rivestono un peso maggiore gli stili di vita. Ma il
contributo dei servizi sanitari non riguarda solamente l’area della cura, ma anche
quella dell’educazione sanitaria e della prevenzione, che interviene sugli stili di vita,
e quella della riabilitazione, che influisce invece sugli esiti delle malattie. Sotto
questo profilo il sistema sanitario ha una responsabilità diretta sia nei confronti delle
77 Art. 32, comma 2 della Costituzione Italiana78 Cipolla C., Manuale di sociologia della salute, FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 17379 Giarelli G., Sistemi sanitari. Per una teoria sociologica comparata, FrancoAngeli, Milano, 1998, p. 24780 Cipolla C., Manuale di Sociologia della salute, op. cit., p. 17381 Cipolla C., Epistemologia della tolleranza, vol.II, FrancoAngeli, Milano, 1997, p. 80282 Cipolla C., Manuale di sociologia della salute, op. cit., p. 173-174
42
morti evitabili tramite la prevenzione primaria e secondaria, attraverso l’accesso a
cure tempestive e l’appropriatezza degli interventi, sia nei confronti della qualità
della vita di chi si trova a convivere con una qualsiasi forma di disabilità.83
Anche l’utilizzo dei servizi sanitari risulta soggetto all’inverse care law84, la
cosiddetta legge inversa dell’assistenza, per la quale l’accesso ai servizi sanitari
risulta inversamente correlato al bisogno degli stessi. L’operare di questa legge è
evidente sia sul piano macro, se si mettono a confronto le risorse sanitarie
disponibili nei paesi sviluppati con quelle dei paesi in via di sviluppo, sia a livello
micro, se si guarda ad esempio al diverso ricorso ad esami diagnostici non di routine
da parte di diversi gruppi sociali. Questo solleva un problema di equità
nell’assistenza sanitaria, in quanto a beneficiare dell’accesso ai servizi sanitari sono
principalmente i gruppi più avvantaggiati.
Anche quando il servizio sanitario si ispira a principi universalistici, si possono
registrare esiti ambivalenti sulle disuguaglianze di salute. Infatti i sistemi
universalistici possono alimentare le disuguaglianze se a beneficiare dell’accesso
indifferenziato alle cure sono in misura maggiore coloro che già godono di un
migliore stato di salute e di maggiori risorse. Questo è particolarmente evidente nel
caso della prevenzione primaria; si pensi ad esempio agli screening che, sebbene
possano ridurre i tassi di mortalità medi, rischiano di far aumentare gli indici di
disuguaglianza in quanto sono le classi avvantaggiate a ricorrervi in misura
maggiore. È stato infatti dimostrato che le campagne di prevenzione raggiungono
maggiormente i soggetti più istruiti.85
Inoltre non occorre soltanto verificare che i sistemi sanitari non aumentino le
disuguaglianze socio-economiche nella salute, ovvero che non ci siano differenze
nell’accesso, nella fruizione o nella qualità dei servizi. I sistemi sanitari dovrebbero
anche correggere i nodi critici dei percorsi assistenziali e contribuire a riequilibrare
le disuguaglianze, intervenendo sia sull’iniqua distribuzione dell’incidenza delle
83Bronzini M., op. cit., p. 6884 Hart in Bronzini M., op. cit., p. 6885 Bronzini M., op. cit., p. 69
43
patologie, attraverso la prevenzione primaria, sia sull’iniquo decorso delle stesse,
attraverso un miglioramento della prevenzione di secondo e di terzo livello.86
Tutto questo richiede politiche che si rivolgano maggiormente ai gruppi sociali
svantaggiati con interventi mirati, che vanno dalla promozione della salute
all’educazione sanitaria. Da questo punto di vista è necessario mettere i soggetti
nella condizione di adottare stili di vita salutari e di utilizzare i servizi preventivi,
oltre a quelli curativi, accrescendo la loro capacità di comprendere i fattori di rischio
per la salute.
Pertanto bisogna non solo capire perché, a fronte di una stessa esposizione ai fattori
di rischio, alcuni si ammalano (approccio epidemiologico), ma anche interrogarsi sul
perché alcuni non si ammalano (approccio sociologico), al fine di promuovere e
garantire a tutti le stesse condizioni di salute.
Le politiche sanitarie inoltre, possono ridurre le disuguaglianze di salute agendo a
diversi livelli: facilitando l’accesso per i gruppi svantaggiati, ridistribuendo le
risorse sanitarie tra aree geografiche in modo da favorire quelle maggiormente
deprivate e assumendo un ruolo guida nelle politiche pubbliche in genere.87
Alfieri afferma che “l’industria della salute […] deve essere ridimensionata da un
sistema di sicurezza sociale che faccia leva su una maggiore maturità e
consapevolezza dei cittadini […] La politica deve dimostrarsi all’altezza dei
problemi, riavvicinandosi ai cittadini e promuovere la loro partecipazione,
coinvolgendo a pieno titolo i rappresentanti delle comunità locali sulle politiche
favorevoli alla salute che investono, a tutto campo, anche i problemi sociali. La
politica […] deve riappropriarsi di un ruolo sintetico se vuole che la sanità non si
limiti a procurare ricchezza ad alcuni pochi disinvolti che hanno voluto e saputo
approfittare della sua deriva mercantile, ma tuteli effettivamente la salute di tutti,
contribuendo, in questo modo, a un autentico sviluppo del Paese”.88
Come è stato già detto, il problema delle disuguaglianze nei confronti della salute
investe non solo il sistema sanitario, ma anche altri settori non strettamente sanitari.
86 Mackenbach in Bronzini M., op. cit., p. 6987 Bronzini M., op. cit., p. 70
44
Le politiche sanitarie devono dunque prendere in considerazione anche tali settori,
integrandosi in maniera più stretta con le altre politiche. Si pensi ad esempio alle
politiche urbane, alimentari o a quelle del tempo libero.
Occorre ripartire dalla consapevolezza che la salute è un fenomeno culturale,
influenzato da tanti fattori (stili di vita, lavoro, istruzione, ecc.) e che non tutte le
disuguaglianze nella salute sono ingiuste. Non lo sono per esempio quelle su base
genetica, mentre lo sono quelle derivanti comportamenti indotti. Tra le
disuguaglianze di salute vi è soprattutto il vastissimo campo dell’iniqua
distribuzione delle malattie correlate a condizioni lavorative e ambientali, alla
collocazione nella gerarchia sociale e alle differenze di sapere e di potere, cioè ai
modi in cui è strutturata la società. In questo senso occorrerebbe modificare il
sistema sociale e quello culturale per poter eliminare queste disparità.
Bisognerebbe creare o favorire per ciascun individuo la possibilità di perseguire e di
raggiungere il livello potenziale di salute che gli è proprio. Se, da un lato, a questo
obiettivo, che è irrealizzabile nella sua totalità, ci si sta avvicinando con
l’incremento delle aspettative di vita media in quasi tutti i paesi, dall’altro lato ci
sono anche segnali in senso contrario.
Negli ultimi anni, infatti, vi è stato anche un aumento della distanza tra paesi ricchi e
paesi poveri in termini di salute, anche perché la globalizzazione sta creando
profonde disparità.
Il livello di salute e la speranza di vita di una popolazione non dipende però soltanto
dal PIL, né dal reddito pro capite. La spiegazione sta soprattutto nelle differenze
sociali e culturali e nel valore che la collettività attribuisce alla salute.
L’equità nella salute va dunque ricercata in una migliore distribuzione della salute
esistente, cioè in operazioni redistributive che tolgono un poco ad alcuni per darlo ad
altri.
Il primo obiettivo fa riferimento alla possibilità di accedere alle cure, attraverso
processi che privilegino la priorità clinica piuttosto che altri elementi. Questo
88 Alfieri R., Le idee che nuocciono alla sanità e alla salute, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 190-191
45
problema si rende maggiormente evidente quando le risorse sono scarse e devono
essere effettuati tagli alle spese.
Il secondo obiettivo tiene conto della reale accessibilità dei servizi, considerando i
diversi fattori che la caratterizzano. Se si riscontrano differenze nei tassi di utilizzo
di certi servizi da parte di differenti gruppi sociali, questo non significa
automaticamente che le differenze siano dovute a situazioni di ingiustizia, ma
piuttosto che è necessario approfondire le questioni per portare alla luce i motivi che
stanno alla base di tali differenze.
Il terzo obiettivo implica uguali diritti per tutta la popolazione all’accesso ai servizi
disponibili, attraverso la loro distribuzione nonché l’eliminazione degli ostacoli che
possono limitare tale accesso. In questo caso si tiene conto che quando le risorse
sono scarse l’accesso deve essere maggiore per chi ha più bisogno.
Infine, i sistemi sanitari devono rispondere alla scarsità delle risorse destinate
all’assistenza sanitaria adottando politiche di contenimento della spesa e
individuando priorità negli interventi.
È necessario concentrare l’attenzione sui fattori determinanti della salute, al fine di
raggiungere un risultato di salute migliore per la popolazione, una maggiore equità
nella salute e un uso sostenibile delle risorse. Un governo convinto di questo
dovrebbe adottare un approccio più sofisticato alla spesa sanitaria, riconoscendo che
il denaro speso nell’assistenza sanitaria non rappresenta necessariamente lo
strumento più efficace per migliorare la salute della popolazione, e che esiste anche
un costo di opportunità nel distogliere fondi da altre iniziative che promuovano la
salute.
2.4 Il ruolo chiave del medico: una nuova proposta strategica
Alla luce di quanto scritto finora, si è ormai giunti alla conclusione che parlare di
quanto le società siano diseguali negli esiti di salute sia pertanto un problema che
riguarda tanto l’ambito medico e scientifico quanto quello politico e sociale. D’altra
parte però, se da un lato vediamo quasi quotidianamente pubblicate analisi raffinate
46
e approfondite che mettono in luce tale divario, dall’altra ci si accorge di quanto
siano ancora pochi, fino ad oggi, gli studi che si sono spinti oltre l’analisi,
individuando e studiando gli attori e i luoghi chiave della produzione delle
disuguaglianze, entrando nel terreno più scomodo delle soluzioni e delineando
azioni concrete che possano essere intraprese sia a livello internazionale che locale.
Anche se da più parti, soprattutto come abbiamo precedentemente descritto
nell’orizzonte concettuale internazionale89, è stato sottolineato il ruolo chiave degli
operatori sanitari nella lotta alle disuguaglianze, sono ancora rare le prese di
posizione e le strategie concrete messe in atto da singoli o da associazioni di
categoria.
Una proposta interessante di trasferire la teoria nella pratica quotidiana dei
professionisti sanitari viene dall’inglese Royal College of Physicians (RCP), che nel
giugno scorso ha pubblicato un documento di indirizzo dal titolo “How doctors can
close the gap”.90
Nel testo, dopo un’introduzione in cui si richiama la teoria dei determinanti sociali
di salute e si ribadisce con forza come le disuguaglianze siano evitabili, vengono
raccomandate specifiche azioni per contrastarle. Il documento non solo definisce
strategie concrete, chiare e puntuali, perfettamente calate nel contesto sanitario
inglese, ma indica anche gli attori istituzionali responsabili della loro attuazione,
individuando nei medici la chiave di volta. Le raccomandazioni seguono tre assi di
intervento, promuovendo un cambiamento culturale, strutturale e della formazione.
E’ già stato visto come contrastare e ridurre le disuguaglianze richieda un approccio
complesso, capace di prendere realmente in considerazione tutti i fattori che
influiscono sulla salute della popolazione. È, quindi, necessario, da un lato un
cambiamento culturale volto a riconsiderare il ruolo del singolo medico, che da
semplice “tecnico del corpo umano” deve diventare soggetto attivo nella
promozione e protezione della salute, anche attraverso la lotta alle disuguaglianze.
89 Maciocco G., (2009), I determinanti della salute: alla ricerca di un conceptual framework, in: G. Costa, C.Cislaghi e N. Caranci ( a cura di ), Salute e Società, Franco Angeli, pp.31-4290 Royal College of Physicians Policy Statement 2010. How doctors can close the gap. Tackling the socialdeterminants of health through culture change, advocacy and education
47
Dall’altro, è richiesta un’attiva collaborazione e una forte interazione tra i
professionisti appartenenti ai settori sanitari e sociali, per sviluppare insieme, grazie
alla condivisione di informazioni ed esperienze, efficaci strategie di contrasto.
Per raggiungere questi obiettivi, il RCP raccomanda quindi che i professionisti
sanitari siano consapevoli del profondo impatto che la propria pratica quotidiana ha
sulla genesi o sul contrasto delle disuguaglianze; che clinici, medici di salute
pubblica, operatori sociali e decisori locali lavorino in team multiprofessionali nel
modellare e sviluppare i servizi.
Un altro aspetto rilevante del documento è il voler affermare con forza la necessità
che tutti i professionisti sanitari debbano coinvolgere le comunità locali per
strutturare servizi socio-sanitari che rispondano ai bisogni della popolazione e
garantiscano l’accesso anche alle fasce più marginalizzate. Fare questo significa
ripensare ai servizi di cure primarie in un’ottica di integrazione tra sanitario e sociale
e promuovere la capacitazione dei cittadini che diventano così soggetti attivi,
avvocati della propria salute ma anche di quella della comunità. Nella pratica medica
quotidiana, questo implica confrontarsi con il paziente per individuare i fattori
sociali coinvolti nel processo di malattia, e identificare, a partire da quest’analisi,
ambiti di intervento sia all’interno che all’esterno del settore sanitario.
Il documento dunque esorta i medici a lavorare in maniera innovativa e partecipativa
allo sviluppo di strategie di riduzione delle disuguaglianze, raccomandando che
siano loro garantite informazioni, risorse finanziarie e di tempo adeguate. Sollecita
un maggiore coinvolgimento dei medici nelle politiche non sanitarie, affinché queste
non abbiamo ripercussioni sull’incremento delle disuguaglianze in salute e possano
al contrario portare benefici al benessere collettivo, anche grazie all’aiuto dei
decisori politici e dei professionisti nel garantire servizi sanitari più inseriti nella
comunità e quindi più accessibili anche alle fasce più svantaggiate.
A tali fini, appare chiaro come un ruolo chiave si debba attribuire alla formazione
dei futuri medici: per questo i curricula della facoltà di medicina non dovrebbero
focalizzarsi solo sugli aspetti tecnici della cura del singolo paziente, ma aprirsi
trasversalmente alle tematiche di salute pubblica. L’effetto auspicato dal documento
è che gli studenti dovrebbero trovarsi in grado di leggere gli eventi patologici anche
48
attraverso la lente dei determinanti di salute e individuare così le loro cause più
remote. Questo deve essere realizzato mediante un approccio metodologico che
combini appunto l’apprendimento teorico con esperienze pratiche sul campo, così
che gli studenti possano conoscere e sperimentare le diverse condizioni che
influenzano lo stato di salute di individui e comunità.
Le raccomandazioni quindi incoraggiano anche il coinvolgimento di presidi e
docenti nella definizione di un percorso formativo innovativo, che valorizzi gli
elementi di sanità pubblica integrando l’approccio dei determinanti di salute, come
strumento operativo, in tutte le discipline. Esortano a un attivo coinvolgimento di
studenti e specializzandi nella formulazione e implementazione di nuovi percorsi
didattici, e all’identificazione di docenti e formatori motivati e adeguatamente
preparati attraverso programmi specifici.
La novità della proposta del RCP sta quindi nel riconoscere il ruolo strategico che il
medico ha nel processo di riduzione delle disuguaglianze, in virtù del suo mandato e
delle sua responsabilità prima di tutto sociale.
Tuttavia, come sottolineato anche da Sir Michael Marmot nel discorso inaugurale
alla presidenza della British Medical Association91, “la conoscenza scientifica, gli
strumenti tecnici che i professionisti sanitari possiedono e la consapevolezza del
proprio potenziale di trasformazione sociale non saranno sufficienti a produrre un
cambiamento significativo, se non supportati da una forte volontà politica.
“Do we have the political will?”, si chiede infatti Marmot, mettendo in luce quanto “
le circostanze nelle quali le persone crescono, vivono, lavorano e invecchiano sono
plasmate da forze politiche , sociali ed economiche”. Prendere in considerazione
queste circostanze, che rappresentano i determinanti “distali” di salute e malattia,
non può prescindere da una riflessione critica sulla società, orientata tanto alla
struttura quanto ai processi in cui esse vengono prodotte. La responsabilità del ruolo
dei medici e del settore sanitario, giustamente sottolineati dal documento appena
91 Marmot M. BMA presidency acceptance speech: fighting the alligators of health inequalities. BMJ 2010,p.341
49
descritto, devono quindi essere contestualizzati all’interno di una necessaria
trasformazione del quadro sociopolitico attuale.
Come ribadito nel già citato rapporto “Closing the gap”, le disuguaglianze, al
contrario delle differenze, non sono naturali e casuali, ma il risultato di processi
sociali attivi, ingiusti e fraudolenti. Il rapporto della Commissione si apre proprio
con questa denuncia: “L’ingiustizia sociale sta uccidendo le persone su larga scala”.
Quando gli operatori sanitari si confrontano con le disuguaglianze, quindi, sono
chiamati a esprimersi direttamente riguardo ai processi sociali, politici, economici,
ingiusti, che le sottendono.92
Già nel capitolo precedente abbiamo notato come autori quali M. Kelly e V.
Navarro93 abbiano già ribadito che analizzare i determinanti sociali non significa
affrontare le disuguaglianze, né che queste possano essere rimosse se non agendo sui
processi sociali che le generano.
Gli operatori sanitari, comprensibilmente, non sono molto propensi a questo tipo di
approccio, che implica uscire dallo spazio delle evidenze scientifiche per entrare in
quello più complesso della medicina sociale. Tuttavia, questo approccio non
dovrebbe risultare molto problematico, perché richiama ruoli per cui gli operatori
sanitari dovrebbero già stati appositamente formati. Seguendo le indicazioni della
stessa OMS, infatti, essi dovrebbero adoperarsi attivamente per colmare quello che
viene definito “know-do gap”, ovvero lo iato tra le conoscenze scientifiche e le
politiche implementate.
Produrre conoscenze adeguate non ha infatti impatto sulla salute finchè queste non
sono trasferite efficacemente ai decisori politici. Inoltre, gli operatori sanitari sono
chiamati ad essere “avvocati” responsabili dei proprio pazienti, specie delle fasce
più fragili e vulnerabili. La popolazione più colpita dai processi di disuguaglianza,
infatti, è anche quella che non dispone delle risorse per opporsi attivamente ai
processi che la rendono diseguale. Per le persone “intrappolate” all’interno delle
disuguaglianze, sono quindi necessarie politiche socio-sanitarie che prevedano una
92 http://saluteinternazionale.info/2009/01/25/oms-le-disuguaglianzeuccidono-su-larga-scala
50
“diseguale” e prioritaria ridistribuzione di risorse nei loro confronti. In questo
contesto, gli operatori sanitari giocano appunto un ruolo cruciale nel costruire le
evidenze necessaire a dare priorità a tali interventi e contemporaneamente
nell’opporsi a politiche che possono ulteriormente ampliare il divario. L’advocacy
nei confronti delle fasce di popolazione più svantaggiate non prevede dunque una
posizione neutrale, in quanto non agire significa essere parte del problema.
La riduzione delle disuguaglianze emerge quindi come problema etico delle
professioni sanitarie, sia a livello dei singoli che delle associazioni di categoria. Il
ruolo dei professionisti dovrebbe essere prima di tutto autoriflessivo nel pensare
quanto, nel quotidiano , essi stessi sono produttori di disuguaglianze, così da
individuare le azioni concrete che possono essere intraprese modificando modalità di
lavoro e attitudini. Essi dovrebbero inoltre svolgere un ruolo di attenta vigilanza
sulle pratiche in atto, promuovendo lo sviluppo di un clima favorevole al contrasto
attivo delle disuguaglianze. Le associazioni di categoria, dal canto loro, hanno un
ruolo importante nella formazione dei professionisti, nel contribuire alla definizione
di un quadro normativo mirato alla riduzione di tali disparità, e nel promuovere
buone pratiche (ed eventualmente attivare procedure disciplinari) tra i proprio
associati.
Il cambiamento auspicato, dunque, è prima di tutto un cambiamento culturale,
rispetto al quale, come sottolineato anche dal RCP, l’ambito della formazione
emerge come luogo strategico. Non a caso, da qualche anno le Facoltà di medicina
di molti paesi sono state teatro di tentativi di trasformazione dei curricula, spesso
promossi dagli studenti stessi, nel senso di una maggiore apertura alle tematiche dei
determinanti sociali di salute.
Anche in Italia, una parte del mondo accademico e di quello studentesco ha iniziato
un percorso di riflessione che, a partire dal progetto europeo “Equal opportunities
for health: action for development”94, ha portato nel 2010 alla creazione della Rete
Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG), di cui fanno parte
93 Navarro V. What we mean by social determinants of health. Global Health Promotion 2009;16: 5-16.94 Sito internet: http://www.mediciconlafrica.org/globalhealth/home.asp
51
istituzioni accademiche, ONG, associazioni scientifiche e studentesche.
Nell’accezione della Rete, per “salute globale” si intende un approccio alla salute e
alle problematiche correlate centrato sul quadro teorico dei determinanti e volto a
combattere le disuguaglianze in un’ottica di giustizia sociale. L’obiettivo è quello di
promuovere, nella Facoltà di medicina del nostro Paese, la formazione di operatori
sanitari capaci di inquadrare, nella teoria e nella pratica, la salute al centro delle
dinamiche sociali, politiche, culturali ed economiche che la determinano, e motivati
a mettere il proprio sapere al servizio della collettività, in particolare delle fasce più
vulnerabili, recuperando il senso etico e civile del proprio ruolo sociale.
2.5 Teorie sociologiche per un’analisi di salute globale
Partendo proprio dalla rivoluzione culturale proposta nel campo specifico della
medicina e della formazione per gli operatori sanitari, al fine di raggiungere quella
auspicata riduzione marcata delle disuguaglianze di salute, mi sembra opportuno
aggiungere alcune riflessioni sociologiche rilevanti riguardo alle politiche e ai
programmi che nel complesso possono portare ad un miglioramento della salute
globale.
Abbiamo appena descritto nel paragrafo precedente, di quanto sia importante per gli
operatori sanitari uscire dal rassicurante spazio della biomedicina, in cui le decisioni
sono prese attraverso una presunta neutralità delle evidenze scientifiche, per entrare
nello spazio più complesso della medicina sociale, in cui le decisioni acquistano
necessariamente una connotazione politica. Arrivare a raggiungere tale obiettivo
rappresenterebbe un passo in avanti importante per la lotta alle disuguaglianze, ma
non sufficiente a produrre concreti risultati duraturi e globali. È indispensabile
infatti, partendo dalle esperienze e anche dai relativi errori del passato, che si attivi
una sorta di “cambiamento culturale” anche tra i decisori politici, che porti ad
allargare gli orizzonti verso nuovi programmi d’azione più efficaci, che partano
appunto dalla consapevolezza che fattori sociali e salute siano ormai imprescindibili.
52
Non è mio intento entrare nell’ambito della scienza medica, il cui ruolo è
palesemente fondamentale per le politiche di salute, ma è interessante addentrarsi
nell’ambito sociologico per cercare di capire ed analizzare l’influenza che alcune
teorie possono avere nella produzione di programmi, pensieri e azioni corretti e
soprattutto più efficaci.
Esistono diversi studi sociologici e teorie che cercano di spiegare e descrivere i
meccanismi che stanno alla base delle scelte di politica globale di salute, secondo
Kleinman, antropologo americano, esse possono essere riunite in tre teorie
concettuali di base95.
Il primo assunto di base, quando si parla di scegliere e valutare azioni e programmi
di salute come del resto qualsiasi altra forma di scelte politiche, si rifà alla teoria
sociologica dell’azione sociale proposta da Merton96. Secondo questo autore infatti,
ogni azione sociale comporta delle conseguenze, in alcuni casi auspicabili, ma in
altri, del tutto imprevedibili. Partire da questo presupposto significa, prima di tutto,
cercare di valutare ogni iniziativa politica e sociale, partendo proprio dall’analisi
delle possibili conseguenze che essa produce, da quelle volute a quelle inaspettate e
che, in alcuni casi, potrebbero portare ad un cambiamento degli stessi o addirittura,
in altri, alla loro fine. La storia della salute globale è piena di esempi di come scelte
politiche abbiano trovato nella pratica conseguenze e reazioni inaspettate e talvolta
anche nocive; si pensi ad esempio alla campagna di sradicamento del vaiolo in India,
che ha avuto come effetto sulla popolazione una sorta di resistenza individuale e
collettiva verso qualsiasi altra campagna vacinale.
Il secondo assunto sociologico rilevante, quando si parla di politiche ed azioni per la
salute, è dettato da Peter Berger e Tomas Luckmann97 quando parlano di costruzione
sociale della realtà. Ciò che intendevano infatti i due autori, quando nel 1960,
iniziarono a parlare di questo concetto, era la consapevolezza che il mondo reale,
oltre ad avere ovviamente basi materiali, sia anche costruito attorno ad idee, pensieri
95 Kleinman A., The Art of medicine, four social theories for global health, Vol 375, 201096 Merton RK, The unanticipated consequences of puposive social action. Am Sociological Rev ,1936, p. 894-90497 Berger P., Luckmann T., The social construction of reality. Garden City, Anchor Books, 1967
53
e politiche legittimate socialmente e culturalmente. Direi che l’evidenza di tale
concetto è rintracciabile da più parti, basti pensare a tematiche quali aborto o
eutanasia, ritenute questioni problematiche a seconda dello stato dove vengano
trattate. Le politiche e i programmi che si intendono perseguire devono perciò
sempre essere contestualizzati nelle varie realtà locali, nelle credenze e aspettative
culturali che si creano all’interno di una determinata società, tenendo conto quindi
dei differenti significati che esse assumono. L’analisi della realtà locale, delle
credenze, etiche e morali, rappresenta perciò un passaggio fondamentale dal quale
non si può sviare se si intende implementare programmi di salute pubblica che
portino a risultati concreti e soddisfacenti.
L’ultimo concetto fondamentale, di cui bisogna assolutamente tener conto in fase di
scelte politiche, appare molto più sottile ma presuppone tre implicazioni molto
profonde e potenzialmente utili per la salute globale, quello di “sofferenza sociale”.
Vari autori si sono soffermati sull’analisi di tale concetto, P. Farmer e lo stesso
Kleinman98, entrambi antropologi, sono tra quelli che ne hanno tratto le
considerazioni più rilevanti.
Parlare di sofferenza sociale implica il rendersi conto che le forze socio-economiche
e socio-politiche possono esse stesse causare malattia, come nel caso della violenza
strutturale attuata sull’estrema povertà che crea le condizioni per il nascere di
malattie quali l’AIDS e la tubercolosi.
Farmer99, nel suo lavoro sul campo ad Haiti, va oltre una semplice riflessione e
descrive la sofferenza sociale come il risultato di una violenza strutturale agita da
forze sociali e politiche, dagli assetti localizzati dei capitali e delle politiche sanitarie
che ne derivano, sui corpi dei cittadini.
Nelle biografie personali degli Haitiani, raccolte e descritte dall’antropologo, non si
legge tanto le caratteristiche individuali e psicologiche delle vittime dell’AIDS e
della violenza politica, quanto piuttosto la violenza strutturale, la povertà e
l’ineguaglianza nell’accesso alle risorse di cura. La sofferenza sociale si iscrive
98 Kleinman A., Das V., Lock M., Social suffering., Berkeley, University of California Press, 199799 Farmer P., Pathologies of power, in Antropologia Medica, (a cura di) Quaranta I., 2006
54
secondo modalità differenti nei corpi, in relazione a percorsi ed esperienze di vita
attivati nei percorsi regolati dai ruoli di genere, classe e status che riscrivono le
biografie degli attori sociali in condizioni di povertà, esclusione e dunque di
maggiore esposizione al contagio da HIV e TBC. Nelle biografie delle vittime, si
legge tutta la potenza dei meccanismi sociali, politici ed economici di oppressione
sociale che agiscono sulle storie individuali e collettive, sull’esperienza incorporata
della malattia e della sofferenza. Quello che accomuna le diverse biografie non sono
condizioni psicologiche, individuali e personali di esistenza, cultura o razza, quanto
piuttosto la povertà e l’esposizione ad atti di violenza. Secondo Farmer infatti, le
variabili di genere, status, razza ed eticità hanno comunque un ruolo generativo nella
sofferenza sociale, ma semplicemente perché utilizzati come assi di oppressione per
mascherare la violenza strutturale di fondo.
Le differenze di genere spiegano perché in molte società lo status socio-economico
delle donne non è pari a quello degli uomini, spiegano le differenti esperienze di
sofferenza, di malattia e di morte. Ma il genere da solo non spiega la violazione dei
diritti umani, perché la povertà e l’indigenza attraversano trasversalmente le
differenze etniche e di genere, determinando percorsi di vita, malattia e sofferenza.
La stessa razza, termine considerato da molti antropologi insignificante
biologicamente nella determinazione di sostanziali differenze tra esseri umani, è
troppo spesso utilizzato e investito di significati che hanno contribuito ad alimentare
le disuguaglianze sociali. Anche etnia e colore della pelle, nelle analisi
epidemiologiche, sono le variabili che indicano un tasso di mortalità infantile tra i
nativi del Sud Africa più elevato di dieci volte rispetto a quello dei bianchi, ma sono
piuttosto la povertà, la disuguaglianza sociale e la mancanza di accesso alle cure e
non una presunta differenza razziale e culturale a spiegare gli alti tassi di mortalità e
morbilità tra i neri sudafricani.
Ultimo asse di oppressione individuato da Farmer è l’orientamento sessuale, ma allo
stesso modo, la storia ci racconta come gay colti e ricchi hanno saputo opporre
un’efficace resistenza all’omofobia, hanno favorito e incoraggiato campagne di
prevenzione e informazione riguardo al contagio da HIV, mentre sono i gay poveri
55
ad essere sempre stati coinvolti nella prostituzione maschile e maggiormente esposti
al rischio di contagio.
Violenza politica, razzismo, sessismo, povertà sono quindi il risultato dell’azione
umana e richiedono pertanto di essere analizzate e spiegate a partire dalla
ricontesualizzazione delle biografie individuali nelle più ampie matrici della cultura,
della storia e della economia; richiedono di essere narrate dai resoconti etnografici
che muovano dal locale al globale e viceversa, che includano nell’analisi dei contesti
anche l’analisi delle strutture di potere, delle dinamiche che fanno da cornice alla
sofferenza incorporata, alla tortura e alla morte.
È indispensabile quindi, conclude Farmer, che anche la stessa antropologia medica
critica “identifichi le forze che cospirano nel promuovere la sofferenza, con
l’intendimento che esse sono calibrate in modi diversi, nei diversi contesti. Se
saremo in grado di farlo avremo la possibilità di individuare le cause della
sofferenza estrema e anche le forze che espongono alcuni al rischio di abuso dei
diritti umani, mentre altri vengono salvaguardati100.”
Parlare di sofferenza sociale presuppone anche un’altra implicazione logica oltre
all’importante concetto di violenza strutturale, essa infatti trasmette l’idea che la
pena e la sofferenza causata da una disabilità non sia limitata ad essere
un’esperienza puramente individuale, ma che anzi molto spesso comprenda anche la
famiglia e la rete di relazioni sociali che circondano il malato. Arrivare a capire
questa implicazione vuol dire tener conto della necessità, sia di iniziare a pensare a
programmi ed interventi ad hoc anche per queste presenze di cui la persona è
circondato, sia prendere sempre in considerazione l’influenza che entrambe
esercitano nella richiesta e nell’accoglienza di aiuto.
Secondo quanto detto quindi, anche la teoria della sofferenza sociale rimarca, ancora
una volta, la necessità di oltrepassare la distinzione storica tra problema sanitario e
problema sociale, descrivendo condizioni contestuali che necessitano di politiche sia
sanitarie che sociali. Abbiamo già evidenziato, anche nel capitolo precedente, come i
bassifondi urbani dove sono rintracciabili alti tassi di povertà, criminalità e violenza,
100 Farmer P., Pathologies of power, in Antropologia Medica, (a cura di) Quaranta I., 2006, p. 297
56
siano scenari favorevoli per l’insorgere di malattie e stili di vita insalubri, quali
depressione, tendenza al suicidio, stress e abuso di droghe. Sebbene ci siano
situazioni favorevoli alla produzione di politiche di salute e politiche sociali con
obiettivi differenti, è importante rendersi conto di come nella parte più povera della
comunità, economia, medicina e politica debbano essere considerate spesso
inseparabili.
Tener conto di queste riflessioni sociologiche, significa per gli attori che devono
pensare, mettere in pratica e gestire nuovi programmi di salute, soprattutto in
presenza di un così alto tasso di disuguaglianze, sviluppare una cornice concettuale
di base che indirizzi sempre verso una riflessione critica sulla malattia e
sull’assistenza e verso nuovi strumenti per migliorare la pratica. Significa anche
iniziare a pensare a programmi costituiti sempre di più da una forte integrazione
socio-sanitaria, a gestioni sempre più cooperanti tra pubblico e privato ad azioni
sempre più concrete e personalizzate soprattutto in riferimento al contesto
economico, geografico e socio-politico, dove i destinatari degli interventi sono
inseriti.
Nel prossimo capitolo descriverò a tal proposito, una iniziativa interessante, già
avviata da alcuni anni, che vede come protagonisti i Lions italiani in Burkina Faso.
57
CAPITOLO 3
I Lions italiani contro le malattie killer dei bambiniin Burkina Faso: un esempio di progetto concreto
3.1 L’Associazione e le sue finalità
L’Associazione “I lions italiani contro le malattie killer dei bambini” in sigla MK
Onlus è un’associazione senza fini di lucro, apartitica e aconfessionale che, nel
perseguire esclusive finalità di solidarietà sociale, si propone di raccogliere fondi per
attuare direttamente o tramite l’utilizzo di strutture esterne, interventi umanitari in
Burkina Faso volti al miglioramento delle possibilità di sopravvivenza ed in genere
della qualità della vita della popolazione, in particolare dei giovani, con specifico
riguardo alla prevenzione delle malattie killer dei bambini.
Essa nasce dall’idea di alcuni membri appartenenti all’associazione Lions101 Club
Italia che, spinti dall’incitamento del loro presidente internazionale Mahendra
Amarasuriya verso una sfida al cambiamento che comporti l’impegno verso
programmi e service che si ispirino almeno ad uno degli obiettivi del millennio,
hanno proposto l’idea di rinunciare ad una cena in meno per devolvere il
corrispettivo a favore della parte più debole della società, i bambini.
In sostanza la proposta, successivamente rilanciata dalla rivista nazionale “The
Lion”, fu diffusa attraverso un sondaggio in cui si chiedeva ai lions club italiani la
volontà di mettere a disposizione di un progetto umanitario, scelto attraverso un
101 Il Lions Club International è un’associazione umanitaria, il cui motto è “noi serviamo”, fondata nel 1017che si compone di club i cui soci devono essere maggiorenni e godere di buona reputazione nella comunità dicui fanno parte e sono associati tramite invito. Il termine appunto Lions è un acronimo che sta per “LibertyIntelligenze Our nation’s service”in italiano “Libertà, intelligenza al servizio della nostra nazione”.
58
elenco predisposto da “The Lion”, l’importo corrispondente ad una cena in meno
effettuata dai soci durante un loro meeting abituale. Se si pensa che i lions italiani
spendono ad ogni meeting per la ristorazione (stiamo parlando di 50.000 soci) circa
1.500.000 euro102, cioè quasi 3 miliardi delle vecchie lire si può capire subito, anche
stimando in realtà attorno al 70% la presenza media dei soci ai meeting con il
conseguente abbassamento di tale cifra del 30%, quanto l’importo monetario
immediatamente disponibile risulti decisamente rilevante.
Ecco perché il sondaggio, a cui aderirono 278 club lions italiani, fu trasformato
subito in progetto concreto, scelto tra un elenco di sette proposte, dove appunto
quello intitolato “ I lions italiani contro le malattie killer dei bambini” risultò la sfida
più interessante e coinvolgente, tanto da ottenere una ingente quantità di voti rispetto
alle altre proposte.
La motivazione che spinse alla scelta di tale service fu, senza ombra di dubbio, il
fatto che esso si indirizzava non solo verso un obiettivo, ma verso ben cinque degli
otto indicati dalle Nazioni Unite103:
“eliminare la povertà estrema dimezzando entro il 2015 la percentuale di
persone che soffrono la fame” attraverso la fornitura di viveri alle strutture di
ricovero per bambini malnutriti;
“ridurre di due terzi il tasso di mortalità nei bambini di età inferiore ai 5 anni”
attivandosi in prima persona nella lotta alle malattie endemiche del paese
(malaria, HIV, tubercolosi e meningite;
“migliorare l’assistenza sanitaria alle madri” offrendo la propria
collaborazione di medici lions volontari per diminuire l’elevata mortalità
prenatale e al momento del parto;
“assicurare la sostenibilità ambientale, arrestando la perdita delle risorse
dell’ambiente ed apportando cambiamenti di rilievo nelle esistenze degli
individui più poveri” grazie all’approvvigionamento di acqua potabile e alla
costruzioni di pozzi;
102 Dalla rivista “The Lion”, Febbraio 2002103 www.un.org/millenniumgoals consultato il 15/01/2011
59
“realizzare un partenariato globale per lo sviluppo dei rapporti tra i “paesi
ricchi” e quelli in via di sviluppo” attraverso la stipula di convenzioni e
protocolli firmati direttamente dai lions italiani con le istituzioni governative
locali.
Conformemente alla normativa fiscale italiana e per facilitare la raccolta di
contributi della aziende e delle istituzioni si è quindi deciso di costituire, a costo
zero, tale associazione Onlus attenendosi scrupolosamente, nell’ambito della
costituzione, a tutte le normative civilistiche e fiscali italiane in materia di
Organizzazioni Non Profit oltre alle normative impartite dal Lions International.
L’Associazione è totalmente gestita dai Lions e basa la sua azione su un “progetto
base” e su importanti documenti sottoscritti con le autorità locali. Essa è formata da
un Consiglio di Amministrazione formato da 19 soci rappresentativi dei club
distribuiti in tutta Italia, composto da un presidente, un vice presidente Vicario, un
vice presidente Scientifico, un vice presidente Amministrativo e 15 consiglieri. Di
questi 19 membri del Consiglio di Amministrazione, 9 fanno parte anche del
comitato esecutivo che si occupa direttamente di tutte le funzioni operative per la
messa in opera del progetto. A questo comitato esecutivo sono state poi aggiunte
deleghe speciali ad altri soci dell’associazione, per la logistica delle missioni in
Burkina Faso, per l’amministrazione e le problematiche fiscali, per la cooperazione
internazionale e per l’organizzazione e i rapporti con i lions club italiani.
I principali settori di intervento su cui opera l’associazione sono l’infanzia, l’acqua,
la sanità e la formazione professionale, rintracciabili nei vari obiettivi pensati e
istituiti al momento della creazione del progetto.
Per quanto riguarda l’acqua potabile, l’impegno profuso dall’associazione riguarda
la fornitura di acqua pulita al maggior numero di villaggi burkinabè nell’area
circoscritta dalle province di Kadiogo, Kourweogo, Oubitrenga e Boulkiemde,
attraverso la programmazione, il finanziamento e la costruzione di pozzi.
Passando al settore dell’infanzia e alla lotta contro le malattie killer dei bambini,
l’idea principale è stata quella di concentrarsi sulle vaccinazioni e, in particolar
modo, su quelle contro la meningite meningiococcica a carattere epidemico, quella
più accantonata da parte delle autorità locali, visto l’alta spesa che essa comporta. In
60
secondo piano, ma non per importanza ma bensì per facilità di realizzazione e costi,
l’impegno comprende anche fornitura di viveri per 365 giorni ad orfanotrofi e centri
per il recupero educazionale e nutrizionale per bambini malnutriti, nonché donazioni
di materiale scolastico, abbigliamento e kit di pulizia personale.
In riferimento al campo sanitario, quello dove si è pensato di concentrare di più gli
interventi visto la grande quantità di bisogni da soddisfare, l’associazione si è
prefissata di operare su diversi fronti, offrendo, su richiesta dell’autorità sanitaria di
Burkina ( Ministero della Salute e Ospedali locali) la professionalità di medici
volontari a supporto di quelli locali per le specialità richieste e in alcuni casi
fornendo anche corsi di formazione specialistici anche in ambito universitario;
collaborando all’interno di progetti quali la creazione di una unità di Pneumologia e
Allergologia Infantile all’interno dell’Ospedale Charles de Grulle, schierandosi in
prima fila per la richiesta di sussidi al L.C.I.F104; donando materiale sanitario,
sempre su richiesta delle autorità locali, quali camici, materiali di consumo per le
sale operatorie, lenzuola, kit diagnostici per HIV, ghiacciaie per la conservazione dei
medicinali, moto per il traino della barella su due ruote, microscopi bioculari,
farmaci, ricercando soprattutto in questo ambito collaborazioni e donazioni di
provati e aziende.
Il campo della formazione professionale, rappresenta uno sguardo in più verso il
futuro e l’aiuto forse più utile che si possa dare, perché trasmette direttamente le
competenze ai cittadini volenterosi del Burkina Faso impegnati nel settore sanitario.
L’impegno da parte dell’associazione in questo settore si traduce nell’offerta di corsi
formazioni, seminari in loco e finanziamenti per borse di studio in Italia a giovani
dottori burkinabè.
Per permettere la realizzazione di tali obiettivi la MK Onlus reperisce fondi tramite
donazioni provenienti direttamente dai vari lions club italiani, tramite donazioni di
privati e aziende, sia in forma economica che materiale, tramite qualsiasi
contribuente a cui interessi il progetto e che voglia donare il suo contributo a favore
61
della causa ma soprattutto, accettando l’impegno di medici volontari che intendano
dare il proprio supporto concreto durante le missioni programmate.
Questo magnifico service dei Lions Italiani è inteso come un lavorare “con” gli
Africani, quindi è un approccio che guarda oltre la situazione immediata del bisogno
e dell’emergenza (anche se non la trascura) ma guarda ad uno sviluppo sostenibile105
e soprattutto allo sviluppo umano i cui protagonisti siano i Burkinabè, cioè gli
abitanti del Burkina Faso.
3.2 Perché il Burkina Faso
Il Burkina Faso, chiamato fino al 1984 Alto Volta, è un paese sahariano e
continentale situato nel cuore dell’Africa occidentale, privo di sbocchi sul mare. È
situato all’interno dell’ansa formata dal corso del fiume Niger. Non ci sono rilievi
montuosi importanti e il paese è fondamentalmente una grande pianura. I corsi
d’acqua si riallacciano a tre fiumi importanti, il Volta, il Comoè e il Niger, che
restano in secca da novembre a giugno e si riempiono nella stagione delle pioggie
che va da luglio a ottobre.
Il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri del mondo, classificato dall’Onu come
“quinto mondo”106. Praticamente privo di risorse naturali, come si evince anche dal
clima da cui è caratterizzato, ha un’economia che si basa prevalentemente su una
poverissima agricoltura. Nonostante sia governato da un regime democratico, soffre
endemicamente di inefficienza dell’apparato burocratico-amministrativo, di una
diffusa corruzione, della totale assenza di sviluppo e di imprenditorialità, di un
104 L.C.I.F è l’acronimo della Fondazione Lions Club International, fondazione ufficiale di beneficenza con loscopo di sostenere gli sforzi dei Lions Club in tutto il mondo nel servizio delle comunità locali edinternazionali e nel loro impegno in progetti umanitari. I sussidi sono assegnati ai distretti di tutto il mondo.105 La definizione di sviluppo sostenibile si può far risalire al Report adottato dalla World Commission onEnviroment and Development del 27 aprile 1987. I suoi concetti chiave si possono racchiudere in :
- i bisogni di oggi non devono compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare iloro bisogni
- c’è un legame diretto fra economia e ambiente- devono essere soddisfatti i bisogni dei poveri- affinché l’ambiente sia protetto le condizioni economiche dei poveri devono essere migliorate- in tutte le azioni si deve sempre considerare l’impatto sulle generazione future
106 www.un.org/millenniumgoals consultato il 15/01/2011
62
diffuso analfabetismo, tipica condizione della maggior parte dei paesi africani. La
popolazione è malnutrita, la mortalità infantile è altissima,c’è una forte carenza di
infrastrutture e la popolazione vive a stento.
Da questa breve cornice introduttiva del paese si possono cogliere subito i criteri
fondamentali che hanno portato i lions italiani a scegliere questo stato come
destinatario dei loro servizi:
Elevata mortalità infantile;
Condizione di estrema povertà;
Modeste dimensioni geografiche;
Assenza di guerre;
Per quanto riguarda l’elevata mortalità infantile, è interessante soffermarsi sulla
situazione igienico-sanitaria, per cercare di capire come il tasso di mortalità possa
raggiungere grandezze così drammatiche. Quasi tutta la popolazione entro il primo
anno di vita ha già contratto la malaria e vi è un’elevata presenza e frequenza di
patologie che in Europa sono scomparse da lungo tempo, come la pellagra , malattia
dovuta alla carenza di vitamine del gruppo B. I ceti più poveri della popolazione
hanno delle spaventose carenze alimentari che determinano una iponutrizione
generalizzata e malattie gravissime soprattutto nei bambini come il Marasma e il
Kwashiorkor, causate appunto dalla carenza di vitamine e proteine107. Molti bambini
di due/tre anni pesano meno di 7 kilogrammi, cioè come un bambino europeo di
sette mesi. In Burkina Faso la mortalità infantile è del 106 per mille.
L’iponotruzione, oltre alla mortalità per inanizione, porta ad uno stato di depressione
delle difese immunitarie per cui il soggetto diventa particolarmente vulnerabile ai
molteplici microbi e protozoi che carenze igieniche fanno proliferare108. Il tasso di
prevalenza di HIV è del 4,2% per un totale di malati di AIDS di quasi 300.000109, la
speranza di vita è mediamente attorni ai 42 anni. Il servizio sanitario del Burkina
Faso è composto da 53 distretti, ciascuno con un ospedale e 15-20 Centri di Salute e
Promozione Sociale, circa 1 ogni 10.000 abitanti, per vaccinazioni, dispensazione
107 www.medicisenzafrontiere.it108 ibidem
63
farmaci e consultorio materno-infantile. Il personale medico-sanitario si compone di
circa 400 medici, di cui l’80% solo nella capitale Ouagadougou, 3500 infermiere e
500 ostetriche. Spesso proprio per la carenza di medici, soprattutto nei villaggi (circa
1 medico per 37.700 abitanti, mentre per OMS il rapporto dovrebbe essere di 1 su
10.000), la popolazione non ha altra scelta che quella di affidarsi a guaritori, che
possono essere raggruppati in tre categorie, a seconda delle loro pratiche curative:
gli erboristi che somministrano piante e radici dopo una visita diagnostica; i maghi
che consultano gli spiriti degli antenati per conoscere la causa della malattia e la
cura adeguata; i medium degli spiriti locali posseduti da uno spirito di un antenato
che sono in grado di conoscere le cause delle malattie considerate “perturbamenti
dell’animo” ed eventualmente di contrastare gli effetti negativi della stregoneria.
Passando all’esame delle condizioni di estrema povertà, a cui ho accennato anche
prima, il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri nel mondo con un indice di
sviluppo umano del 0,3 (174° su 177 paesi, dietro di lui soltanto il Mali, la Sierra
leonee il Niger), il reddito medio pro capite è di gran lunga inferiore a quel dollaro al
giorno che, secondo l’Onu, rappresenta la soglia della povertà assoluta (il reddito
medio annuale dei cittadini è di 900 euro). Solo il 15% della superficie del paese è
coltivata in prevalenza a miglio, sorgo e cotone (principale prodotto di
esportazione). È un paese scarsamente dotato di vie di comunicazione tanto che si
possono percorrere in condizioni climatiche avverse anche 60/80 chilometri di strade
sterrate prima di arrivare ad un villaggio per portare un po’ di assistenza sanitaria. Il
47% delle famiglie rurali e il 20% di quelle urbane non copre i propri bisogni
alimentari, solo il 40% della popolazione ha accesso all’acqua potabile e appena il
25% ai servizi igienici110.
Appare subito evidente, statistiche alla mano, che gli aiuti che si possono rivolgere a
questo paese possono essere molteplici e soprattutto, se pianificati in modo corretto,
immediatamente efficaci e rilevanti. Voglio qui ricordare infatti, che l’Associazione
MK Onlus nasce dall’idea di rinunciare ad una cena per devolvere il corrispettivo
109 www.who.int/countries/bfa consultato il 20/01/2011110 www.unicef.org/infobycountry/burkinafaso consultato il 16/01/2011
64
verso progetti umanitari importanti rivolti a paesi dove ogni giorno la lotta più
importante si svolge per la sopravvivenza. I calcolo su cui si basava l’iniziativa “una
cena in meno” prevedeva il costo medio di una cena (25 euro) per il numero dei soli
lions italiani (47900), stimando così un risultato di 1.250.000 euro immediatamente
disponibile e raggiunto con un minimo sforzo, rispetto alle possibilità di ciascuno. È
quindi evidente, visto i dati socio economici che caratterizzano il Burkina, come
anche solo l’importo versato da un solo socio possa fare la differenza.
La scelta del luogo dove attuare programmi di aiuto, tramite lavoro benevolo e
volontario, non può però basarsi solamente sui dati socio economici del paese,
nonostante essi portino alla certezza di una ingente quantità di bisogni da realizzare.
Le variabili quindi da non sottovalutare, ai fini dell’efficacia del progetto, devono
perciò comprendere anche dati geografici e socio-politici.
Il mondo è popolato, purtroppo, da non poche popolazioni che vivono nelle stesse
condizioni di quella del Burkina, in alcuni però, la situazione può risultare ancora
più drammatica, se si pensa a quei paesi dove, alle pessime condizioni socio-
economiche, si aggiungono situazioni socio-politiche turbolenti, con un’elevata
presenza di guerre civili. In un clima guerrigliero è difficile anche solo inviare aiuti
monetari, senza il dubbio che essi possano raggiungere realmente i bisogni pensati,
cercare quindi, di avviare un progetto basato su una forte collaborazione con le
autorità e la popolazione locale, che comporti aiuti concreti come quello pensato
dalla MK Onlus, è da ritenere del tutto impraticabile.
L’assenza di guerre, quindi, è un altro dei criteri importanti su cui si è basata la
scelta del paese da aiutare, inoltre le modeste dimensioni (poco più grande
dell’Italia) sono state valutate come le più idonee per un progetto che cercasse di
raggiungere e diffondersi in tutte le zone maggiormente popolate.
È importante sapere che, il Burkina Faso, che in italiano significa “ terra di uomini
integri”, vi coabitano una moltitudine di etnie, religioni e costumi. La cultura del
Burkina è formata perciò, da un insieme di tratti distintivi, spirituali e materiali,
intellettuali e affettivi, che caratterizzano la pluralità di etnie del paese, e che
ingloba, oltre che alle arti e la letteratura, i modi di vita, i sistemi di valori, le
tradizioni, le credenze e i diritti fondamentali dell’essere umano. Sebbene questa
65
cultura non sia rimasta immutata, in quanto ha subito e continua a subire,
cambiamenti provocati da fattori interni ed esterni, fisici, sociali ed economici,
svolge sempre una funzione di coesione che resta una condizione fondamentale per
lo sviluppo del paese. La popolazione del Burkina Faso si distingue per dei tratti
culturali precisi: ospitalità, umiltà, lealtà, gentilezza, rispetto per i beni comuni,
attaccamento al lavoro, coraggio nelle avversità e soprattutto amore per la patria.
Nonostante questa indole culturale, particolarmente propensa all’ospitalità, cercare
comunque di inserirsi in un contesto territoriale contraddistinto da una così forte
tradizione culturale, per attuare programmi per la salute e lo sviluppo della
popolazione, non risulta sempre facilmente possibile, soprattutto se si pensa alle
continue invasioni coloniali subite nel corso della sua storia111.
È importante quindi, al fine di acquistare fiducia e conseguentemente collaborazione
con la popolazione locale, cercare di sviluppare il più possibile convenzioni e nuove
forme di parternariato con le istituzioni locali.
Il primo passo in questa direzione, che la MK Onlus ha intrapreso, è stato quello di
stipulare un accordo di collaborazione sottoscritto con 14 lions club del Burkina
Faso, attraverso il quale i lions locali si sono impegnati a sovrintendere gli interventi
dei lions italiani e a contribuirne finanziariamente. Nella pratica, il contributo
effettivo dei lions locali, in termini non solo finanziari ma anche di propositività
verso gli interventi suggeriti non è sembrato particolarmente visibile ma essi
comunque giocano un ruolo di fondamentale importanza anche solo nella
semplicissima veste di “persone del luogo”, dal semplice accompagnamento nel
territorio, alla presentazione e all’incontro con le autorità locali e soprattutto con la
popolazione stessa.
Forti della collaborazione con i lions locali, più teorica che pratica, come abbiamo
appena detto, è stato possibile, attraverso vari viaggi in loco intrapresi dai membri
del comitato esecutivo, allargare la cerchia delle collaborazioni, stipulando altre
111 Il burkina Faso è stato dal 1896 al 1960 una colonia francese, solo dopo il 1960 ottenne piena indipendenzae divenne una repubblica presidenziale.
66
forme di convenzioni con le istituzioni locali, raggiungendo così un’integrazione
con il paese sempre più profonda e meno superficiale.
Ad oggi, si può dire che l’Associazione si basa su queste importanti accordi:
Convenzione quinquennale con il Ministero della Salute burkinabè;
Un protocollo di collaborazione con la fondazione Suka112, firmato dalla
presidentessa Chantal Campaorè, moglie del presidente della Repubblica e
madrina della campagna vacinale;
Collaborazione e riconoscimento da parte della L.C.I.F per le attività e gli
interventi che la MK Onlus svolge in Burkina Faso, attraverso la concessione
di sussidi finanziari arrivati ad oggi a quasi 55.000 euro.
Una convenzione di parternariato, in vigore almeno fino al 2015, con il
Ministero dell’Agricoltura in Burkina Faso, relativa alla realizzazione di
pozzi in favore delle popolazioni locali;
Un accordo preliminare con il direttore dell’ospedale pediatrico Charles De
Gaulle di Ouagadougou per la realizzazione di un progetto che prevede il
miglioramento della qualità delle cure pediatriche;
Un’importante sinergia con l’Associazione “ Acqua per la vita O.N.L.U.S113”
con la quale la MK ha collaborato allo sviluppo del programma della
trivellazione dei pozzi in base a quanto deliberato dai delegati al congresso di
Carole, che con una votazione plebiscitaria hanno classificato questi
“service” come servizi permanenti114.
112 Clinica all’interno del centro sanitario di Ouaga113 L ‘Associazione “Acqua Per La Vita” Lions è una associazione di servizio volontario O.N.L.U.S(Organizzazione non lucrativa di utilità sociale) costituita nell’anno 2004 composta di soli soci lions. La suaattività di servizio volontario e disinteressato,che si avvale di lions con professionalità specifica nel settore, siindirizza principalmente a favore della tutela ambientale, lotta alla desertificazione, protezione ed ampliamentodelle risorse idriche ed attività connesse. E’ particolarmente impegnata nella creazione di nuove risorse idrichetramite la costruzioni di nuovi pozzi d’acqua e relativi impianti complementari presso gli stati Africanimaggiormente bisognosi ed in genere presso i paesi dell’Area A.C.P (Africa, Area Caraibica ed AreaPacifico) in sintonia con il programma internazionale prioritario della Comunità Europea 2005-2015denominato “Water For Life”.114 Bilancio sociale dal 2006 al 2008, I lions italiani contro le malattie killer dei bambini ONLUS, Aprile,2009
68
Foto 3. “Oggi...ci mettiamo i soliti vestiti”115
3.3 Uno sguardo al bilancio del progetto e nuove proposte di
interventi futuri
Dopo quattro anni di attività e interventi gestiti, finanziati e attivati dalla MK Onlus
il bilancio sociale che ne deriva appare decisamente rilevante.
“Redigere il bilancio sociale, per un associazione, è un atto comunicativo con il
quale un’azienda può raccontare se stessa, i propri valori di riferimento, gli
obiettivi, i risultati raggiunti e quelli perseguiti, diventando uno strumento di
115 Foto realizzate da Luciano Diversi, delegato speciale per la logistica delle missioni in Burkina Faso,durante l’ultima missione in Burkina dal 03/02/11 al 13/02/11.
69
dialogo con l’esterno, che racconta fatti e cifre con un linguaggio adeguato e
comprensibile alla comunità di riferimento”116.
Ecco perché il bilancio sociale, redatto ogni anno, è un documento nel quale la MK
Onlus crede molto, sia come testimonianza, verso i portatori di interesse, del lavoro
svolto nel perseguimento della mission, sia come momento di valutazione ma anche
di messa in discussione del suo operato. In sostanza, tale documento deve essere
visto come un vero processo culturale, una pratica che coinvolge l’organizzazione in
una dinamica di miglioramento continuo nel lavorare assieme nella solidarietà e nel
volontariato.
Secondo quanto appena detto, è quindi importante valutare ciò che è stato fatto
concretamente fino ad ora per poter proporre nuove strategie di intervento all’interno
di un progetto continuo che miri ad attuare specifici programmi di intervento sociale
e sanitario al fine di contrastare le condizioni di sottosviluppo, povertà, denutrizione
ed emarginazione che ancora causano la persistenza e la diffusione delle malattie
killer in Burkina Faso.
Per quanto riguarda l’obiettivo “acqua potabile”, ritenuto uno degli interventi
prioritari da azionare in Burkina, dopo appena quattro anni dall’inizio
dell’operazione esso può ritenersi quasi totalmente terminato. Ricordo che il
progetto consisteva nel finanziamento e nella fornitura, attraverso la costruzione di
pozzi, di acqua potabile mirato sulle province di Kadiogo, kourwego, Oubitrenga e
Boulkemde, per un totale di 52 villaggi. Attualmente con la costruzione di 40 pozzi
il progetto si può praticamente già catalogare, tra uno degli obiettivi raggiunti. Il
Ministero dell’Agricoltura, con il quale l’associazione ha stretto un rapporto di
parternariato ai fini del progetto, ha già informato la MK sul piano decennale
riguardante lo sviluppo delle risorse idriche e sulla relativa distribuzione di esse,
previa depurazione delle acque, suggerendo così la trasformazione del progetto
verso obiettivi sempre più importanti e sempre più mirati a raggiungere in maniera
116 Castellana S., dal bilancio sociale dal 2006 al 2008, I lions italiani contro le malattie killer dei bambiniONLUS, Aprile, 2009
70
progressiva un forma autosufficiente di sviluppo sociale, economico e sanitario
rilevante.
Per quanto riguarda invece il settore dell’infanzia, altro obiettivo base costituito
all’inizio del progetto, anche sotto questo aspetto gli interventi effettuati hanno già
portato al raggiungimento di traguardi importanti, anche se è necessario sempre
tenere presente che, data l’elevata mortalità infantile che contraddistingue il Burkina
Faso, l’impegno e la varietà di programmi che si possono attuare in questo campo
restano infiniti.
La MK Onlus però, dal suo piccolo, può vantare già dopo pochi anni di servizio, più
di 4000 bambini vacinati contro la meningite meningococcica, avvenuto anche
grazie alla collaborazione con la “fondazione Suka”. Inoltre, con il sostegno e la
collaborazione di due lions club burkinabè, si è realizzata nel mese di novembre del
2009, una visita oculistica a più di 3000 persone, in modo particolare a bambini,
ragazzi ed anziani affetti da varie patologie e problemi visivi, attraverso un accurato
screening e la fornitura di appositi occhiali correttivi. Sempre in collaborazione con
un altro lions club locale, si è potuto realizzare una campagna preventiva per il
depistage del diabete infantile, con l’aiuto anche dei medici pediatri di
Ouagadougou.
Su richiesta della autorità sanitarie di Burkina ( Ministero della Salute e Ospedali
locali) sono stati inviati una ventina di medici lions italiani che hanno offerto la loro
disponibilità e professionalità per effettuare visite e cure specialistiche, al fianco dei
medici locali, oltre all’offerta di corsi di formazione avvenuti in ambito
universitario. Formare significa “lavorare con”, “lavorare insieme” agli Africani,
istituendo corsi per creare una sensibilità sanitaria preventiva e favorendo il
diffondersi di una corretta educazione sessuale che potrebbe ridurre in maniera
sensibile la percentuale delle malattie sessualmente trasmesse e per le gestanti,
prevenire anche patologie a carico del nascituro. Tra i più rilevanti va ricordato il
corso di formazione di sessuologia ginecologica tenuto agli specializzandi
dell’università di Odaga, alle ostetriche e al personale sanitario della clinica Suka.
71
Oltre a queste iniziative speciali mirate alla soluzioni di problematiche prioritarie e
particolari, l’Associazione ad oggi, ha finanziato, attuato e gestito anche i seguenti
interventi di rilievo:
Ha garantito viveri per 365 giorni agli orfanotrofi “ Les Saints Innocents” di
Ziniarè e “L’hotel maternel” di Ouagadougou nonché ai centri per il
recupero educazionale e nutrizionale dei bambini;
Ha finanziato tre borse di studio in Italia a medici burkinabè;
Ha effettuato lavori di ristrutturazione delle camere di degenza, della cucina,
del refettorio, dei bagni e del pozzo nel CREN di Boussè;
Ha favorito la donazione di strumentazione e attrezzature sanitarie da parte
di medici lions e case di cura; la donazione di materiale scolastico ed
abbigliamento per bambini da parte di negozi e industrie; la donazione di
medicinali e materiale di consumo da parte di medici e farmacie;
Ha acquistato materiale igienico-sanitario per un importo pari a 20.100 euro
Per raggiungere questi obiettivi e poter tradurre i programmi in aiuti concreti per
soddisfare le esigenze principali del paese, ogni anno vengono organizzati incontri
con autorità, medici e paramedici del luogo per aiutare, individuare sul posto le
necessità impellenti e programmarle.
L’impegno continua attraverso il continuo lavoro di specialisti, sociologi, operatori
locali che cercano di analizzare le tappe successive al progetto di sviluppo
intrapreso.
Dopo quattro anni di gestione e continuo impegno, l’auspicio migliore da parte
dell’Associazione, è che si possano raggiungere traguardi sempre più importanti, in
vista di una futura indipendenza economica, sociale e sanitaria che rilanci paese
verso un miglioramento generale delle condizioni di vita. Ecco perché le sfide che si
propongono, di anno in anno, diventano sempre più interessanti, perché elaborate ed
ideate verso la nascita e l’inserimento nella cultura locale, di un nuova coscienza
responsabilizzante che porti alla condivisione di un progetto di sviluppo societario
comune.
Nell’ultimo anno infatti, in relazione a quanto appena detto, l’Associazione si è
concentrata verso progetti di collaborazione sempre più multisettoriali che
72
permettano di focalizzarsi su interventi che possano condurre ad uno sviluppo
sostenibile e duraturo.
Su questa direzione, si è pensato di stipulare una convenzione biennale con il Liceè
Professionnel Agricole (L.P.A) “ Sainte Anne”, con sede in Nanoro, per la
realizzazione, da parte di giovani diplomati, di un progetto mirante all’integrazione
alimentare dei bambini, attraverso le attività di “piccolo” allevamento e orticulture
su terreni demaniali posti in località Soum, ottenuti in concessione gratuita dalla
Pubblica Amministrazione. Una parte del ricavato delle attività svolte sarà utilizzata
per l’integrazione alimentare dei bambini denutriti ricoverati presso il centro di
Recupero educazionale e nutrizionale (CREN), incentivando e suggerendo così una
partecipazione attiva dei giovani burkinabè all’interno di uno dei programmi d’aiuto
pensati dall’Assaciazione MK, ossia la donazione di viveri verso orfanotrofi e
CREN.
Un passaggio successivo a cui l’Associazione aspirerà nei prossimi anni, sarà la
concessione di un “microcredito”, nei villaggi dove si sia provveduto alla
trivellazione dei pozzi, affinché i destinatari possano, attraverso l’avvio di attività
agricole, ottenere uno piccolo sviluppo economico capace di soddisfare le necessità
contingenti e quindi migliorare la qualità della loro vita.
Tra le nuove prospettive, verso cui l’Associazione sta indirizzando i suoi interventi
in vista di impegni futuri, di particolare importanza risultano:
La convenzione con il dipartimento di Biologia dell’Università di Padova,
per la promozione della ricerca nell’ambito del progetto riguardante le
nuove tecniche foto-biologiche ai fini della prevenzione della malaria, con
l’obiettivo di ridurre la popolazione delle larve delle zanzare del genere “
Anopheles”, vettrici del plasmodium, il protozoo responsabile della malaria;
Il protocollo di collaborazione con il Comune di Milano riguardante il
progetto “ ONE DREAM ONE CITY”, mirato ad ospitare giovani del
Burkina a Milano ed in Italia, per consentire loro una specializzazione di
apprendimento di un lavoro da sviluppare nel proprio paese e da trasferire a
loro volta ad altri giovani.
73
Nel Novembre 2008 l’Associazione, grazie ai suoi importanti interventi, ha ottenuto
l’iscrizione come Associazione Lions Italiana nell’albo delle Associazioni Non
Profit tenuto da Dipartimento per la Cooperazione Italiana Burkina, presso
l’Ambasciata Italiana di Abidjan.
Attraverso la diffusione di risultati concreti che l’Associazione ha conseguito in
così poco tempo, essa è riuscita ad acquistare anno dopo anno sempre più credibilità
nel mondo del privato, tanto che nel 2006, anno di costituzione della MK Onlus,
essa contava quasi totalmente sul solo contributo di soci provenienti dal mondo
Lions (90.40%)117, mentre già a fine 2009 il dato è stato quasi capovolto contanto
una quota contributiva dal mondo privato pari al 53% delle entrate118. Questo è stato
reso possibile grazie anche ad un grande lavoro di comunicazione e diffusione
assicurato dalla predisposizione di articoli e rendiconto annuale pubblicati sulla
rivista “The Lion”, che raggiunge gli oltre 49000 soci italiani; da depliant, cd e dvd
riguardanti i lavori effettuati direttamente in loco; dall’affidamento del sito di MK
Onlus a persone esperte in comunicazione sia per i contributi che per
l’implementazione e divulgazione; ma soprattutto grazie all’efficacia e alla
concretezza dell’impegno portato avanti dai membri che gestiscono il progetto,
sempre con trasparenza e sempre alla ricerca della migliore gestione aziendale, per
poter destinare quasi l’intero ammontare delle uscite esclusivamente agli scopi e le
finalità che sono alla base dell’associazione.
La crescente sensibilità verso problemi sociali e di salute a livello planetario e la
disponibilità di chi raggiunge una ragionevole certezza, in ordine all’effettivo
impiego di ciò che può donare, saranno sempre di più il motore decisivo per
l’avanzamento del progetto verso nuove ed importanti sfide.
117 Bilancio sociale dal 2006 al 2008, I lions italiani contro le malattie killer dei bambini ONLUS, Aprile,2009118 Bilancio sociale 2009, I lions italiani contro le malattie killer dei bambini ONLUS, Aprile, 2010
74
Foto 1. “Un medico Lions all’opera”.119
Foto 2. “un allievo dopo la lezione di igiene orale dimostrail suo apprendimento”.
119 Foto realizzata dal Dott. Neri, durante la sua missione in Burkina Faso, in febbraio 2007
75
Foto 3. “ Dott. Villa durante una lezione teorica dicolposcopia”120
120 Foto 2 e 3, realizzate da Ermanno Turchetti, durante la missione in Burkina del febbraio 2009
76
CAPITOLO 4
Analisi sociologica dei punti “chiave” di
programmi e interventi per la salute nei Paesi in via
di sviluppo.
Abbiamo appena visto, con il capitolo precedente, un esempio di progetto di aiuto
umanitario concreto, di una delle tante associazioni Non profit che operano in
Burkina e nell’Africa in generale. Ora il mio intento, in quest’ultimo capitolo, è
cercare di approfondire sociologicamente quelli che sono i punti fondamentali che
contraddistinguono questi specifici programmi di intervento sociale e sanitario verso
paesi, come il Burkina Faso, segnati da una forte condizione di sottosviluppo,
povertà, denutrizione ed emarginazione.
4.1 Acqua pulita e salute: un rapporto imprescindibile
Ci sono beni che sono fondamentali e l’accesso ai quali configura un diritto primario
dell’uomo. Uno di questi è l’acqua. Si tratta, nella fattispecie, di un diritto che è
presupposto del diritto ala vita eppure non è ancora giuridicamente tutelato. Secondo
il World Development Report (WWDR)121, circa 1.1 miliardi di persone (il 18 per
cento della popolazione mondiale) non hanno accesso all’acqua potabile, mentre più
di 2.4 miliardi non dispongono di impianti fognari adeguati. Nei paesi in via di
sviluppo, inoltre, più di 2.2 milioni di persone, in maggioranza bambini, muoiono
ogni anno per malattie la cui insorgenza è associabile alla mancanza di acqua
potabile, a impianti fognari inadeguati e a un’igiene scadente.
121 The World Water Development Report, Water for People, Water for Life, march 2003
77
Nel rapporto del Segretario delle Nazioni Unite122, predisposto in vista del Vertice
Mondiale sullo sviluppo sostenibile del 2002, si legge quanto segue:
“Si stima che, nel corso dei prossimi vent’anni, il consumo d’acqua per gli esseri
umani aumenterà del 40% e che sarà necessario il 17% d’acqua in più per la
produzione alimentare delle popolazioni sempre più numerose nei paesi in via di
sviluppo. Un terzo dei paesi situati nelle regioni più aride dovrebbe conoscere gravi
penurie idriche nel corso di questo secolo. Nel 2025, i paesi con scarsità d’acqua
avranno circa 6.5 volte più abitanti che nel 2000, cioè 3.5 miliardi di abitanti in più.
L’aumento dell’inquinamento e l’esaurimento delle risorse idriche di superficie e
sotterranee aggravano ancor più la situazione. Si ritiene che più della metà dei
grandi corsi d’acqua nel mondo siano gravemente inquinati e impoveriti. È altresì
necessario distribuire adeguatamente le risorse idriche per sostenere le funzioni ed i
sistemi ecologici”.
Se si considera l’acqua un “bene sociale” non si può prescindere dalla necessità che
esista un diritto all’acqua, socialmente garantito, rivendicabile dai cittadini di una
determinata comunità, nei confronti delle proprie autorità politiche.
L’accesso all’acqua è una condicio sine qua non affinché si possano realizzare i
diritti fondamentali dell’uomo e con questi si renda possibile la piena espressione
delle potenzialità umane.
La sua importanza per lo sviluppo sostenibile si riflette anche nell’impegno assunto
dal World Summit Sustainable Development123, di dimezzare, entro il 2015, il
numero di persone prive sia di acqua potabile, sia della sanità di base. L’accesso
all’acqua deve considerarsi sia fisico che economico, e deve essere garantita sia la
sua quantità che la sua qualità.
Anche la ECE Convention124 sottolinea l’importanza di sviluppare i bisogni di base.
In particolare speciale attenzione alle necessità dell’uomo viene ribadita nel ECE
Protocol on Water and Health che all’articolo 1 afferma appunto: “l’obiettivo di
122 Report of the Segretary-General on Water: a key resource for sustainable develpment123 World Summit on Sostenaible Development, Johannesburg, 26 august-4 september 2002124 Convention on the protection and use of trasboundary watercourses and international lakes, Helsinki,march 1992 da www.unece.org consultato il l5/01/11
78
questo protocollo è quello di promuovere in tutti gli opportuni livelli, nazionale,
transfrontaliero ed internazionale, la protezione della salute umana e del benessere
[…] attraverso il miglioramento della gestione delle acque, compresa la protezione
dell’ecosistema di acqua e, attraverso la prevenzione, il controllo e la riduzione delle
patologie connesse”.
Dall’inizio degli anni ’70, numerose conferenze internazionali hanno affrontato
l’argomento dell’accesso alle risorse di base e del diritto all’acqua.
Una delle prime conferenze che ha trattato diffusamente il problema, è stata quella
del Mar del Plata del 1977. Il documento finale, il Mar del Plata Action Plan125,
sostiene che tutte le persone, qualunque sia il loro grado di sviluppo e le loro
condizioni economiche e sociali, hanno il diritto ad aver accesso all’acqua, in
quantità e qualità pari ai loro bisogni di base.
Secondo il Dublin Statement126 l’acqua dovrebbe essere riconosciuta come un bene
economico, non trascurando però il diritto di tutti gli esseri umani ad aver accesso
all’acqua potabile e alla sanità a prezzi accessibili.
Il Capitolo 18 dell’Agenda 21127 sottolinea la necessità di dare priorità ai bisogni di
base e alla tutela degli ecosistemi.
Anche nella Johannesburg Declaration128 si fa riferimento all’acqua come bisogno di
base.
Sebbene gli impegni presi enfatizzino l’importanza riconosciuta dagli Stati
all’accesso all’acqua e contribuiscano al suo riconoscimento all’interno del diritto
internazionale, è difficile argomentare che basti questo per parlare di un opinio juris
degli Stati in favore di un diritto umano all’acqua, in quanto se esso fosse realmente
considerato come un diritto umano porrebbe, per gli Stati, un obbligo legale molto
forte. La sussistenza di un diritto all’acqua all’interno dei diritti umani doterebbe
125 Report of the UN Water Conference, Mar del Plata, 14-15 march 1977.126 The Dublin Statement on Water and Sustainable Development, Dublin, 26-31 january 1992 dawww.wmo.ch/web/homs/documents/english/icwedece.html consultato il 10/01/11127 Rio Declaration, Agenda 21 adottata alla UN Cofenrence on Enviroment and Development, 3-14 june 1992da www.un.org/esa/sustdev/documents/agenda21/english/agenda21chapter18.htm consultato il 10/01/11128 Johannesburg Declaration adottata al World Summit on Sustainable Development (WSSD), 26 august-4september 2002 da www.johannesburgsummit.org consultato il 10/01/11
79
infatti la popolazione di un mezzo per reclamare l’accesso all’acqua per i bisogni di
base e obbligherebbe gli Stati a garantire tale accesso.
Nonostante ciò, esistono trattati sui diritti e specialmente il diritto a un adeguato
standard di vita che ne implicano l’esistenza e che fungono da supporto a quelle
organizzazioni129 che si battono per il suo riconoscimento.
L’articolo 6 del Patto sui diritti civili e politici afferma che il diritto alla vita è
inerente alla persona umana e come tale essere protetto dalla legge. Esso costituisce
uno jus congens, non può essere derogato neanche in caso di pericolo pubblico
eccezionale ( art. 4 ICCPR130).
Nel General Comment131 adottato il 26 Novembre 2002, l’acqua viene descritta
come una risorsa limitata e come un bene pubblico indispensabile alla vita e alla
salute.
La sua mancanza o la sua scarsa qualità creano, quindi, le condizioni ideali per il
proliferare di malattie ad esse legate. Per quanto riguarda malattie dovute alla
carenza di acqua potabile da bere tra le più frequenti troviamo il colera, il tifo, la
dissenteria e l’epatite virale A. Mentre la carenza di quantità di acqua necessaria per
l’igiene personale comporta la diffusione di infezioni della pelle e degli occhi come
il tracoma, malattia molto diffusa nei paesi dell’africa sud occidentale tra cui il
Burkina Faso132. Diversi studi hanno dimostrato che laddove una comunità migliora
le sue condizioni idriche, migliorano anche la salute e la sanità. Per esempio, la
dissenteria può essere ridotta del 26% quando ci sono acqua e igiene. Le statistiche
raccontano una storia impressionante, il 40% della popolazione mondiale non ha
accesso a servizi sanitari adeguati e più di un miliardo di persone attingono l’acqua
da fonti contaminate. La WHO afferma che la dissenteria rimane la prima causa di
malattia e morte nei paesi in via di sviluppo. Ogni anno muoiono circa 2.2 milioni di
129 Si fa riferimento ad associazioni come la WHO e la Green Cross130 International Convenant on Civil and Political Rights.131 General Comment on right to water, adottato dal Committee on Economic, Social, and Cultural Rightsnella sua XXIX sessione del 26 novembre 2002132 www.childinfo.org: statistics by area-water-the challenge consultato il 16/01/11
80
persone, il 90% di queste sono bambini. Dato che non esistono vaccini, il semplice
gesto di lavarsi le mani ridurrebbe l’incidenza della malattia del 35%.133
L’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo afferma che ogni
individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il
benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al
vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali essenziali. Tale
adeguato livello di vita non può essere possibile senza un minimo di accesso
all’acqua134. Si pensa che il termine “alimentazione” summenzionato, includa
anch’essa. Sembra, infatti, potersi ritrovare nella generica definizione di cibo: “
sostanza nutritiva che può essere mangiata o bevuta dall’uomo o dagli animali e che
le piante assorbono per mantenersi in vita e crescere135”.
Lo stesso articolo 14 della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di
discriminazione contro le donne136 ribadisce questo concetto stabilendo il diritto per
la donna di godere di adeguate condizioni di vita in relazione anche alla sanità e alla
fornitura di acqua. Nelle zone rurali del Burkina Faso, come nella maggior parte dei
paesi in via di sviluppo, le donne sono amministratrici delle risorse idriche. Esse
sono spesso costrette a camminare per miglia e miglia in cerca dell’acqua necessaria
a svolgere i lavori domestici essenziali. È evidente come un adeguato accesso
all’acqua possa comportare, da subito, grossi benefici anche in termini di riduzione
della povertà, basti pensare alla notevole quantità di donne e bambini che passano il
tempo per andare a prendere l’acqua e che potrebbe essere speso in modo più
efficace su altri compiti, migliorando la loro produttività economica. L’OMS stima i
benefici economici, per ogni dollaro, investito in approvvigionamento idrico e
133 Si veda www.int/water_sanitation_health/en/takingcharge.html. consultato il 16/01/11134 Riporto qui di seguito una tabella riguardante le quantità d’acqua giornaliere, espresse in litri ,per persona,necessarie alla sopravvivenza:Acqua da bere 5 (a)Acqua per servizi sanitari 20Acqua per lavarsi 15Acqua per la preparazione del cibo 10 (b)a- questo è il minimo per vivere in condizioni climatiche moderate e livelli medi di attivitàb- si esclude l’acqua per l’irrigazione, che si stima essere di 2700 litri per persona al giorno.Fonte: Peter Gleick, The human right to water, 1996, pag 14135 www.wikipedia.org/wiki/alimento consultato il 16/01/11136 Adottata il 18 dicembre 1979, num.34/180.
81
servizi igienico-sanitari, tra i 5 a 28 dollari a seconda del livello dei servizi offerti e
della regione. Tra i principali vantaggi che deriverebbero infatti si potrebbe
considerare il minor tempo trascorso in malattia e conseguentemente, significativi
risparmi in costi del settore sanitario e paziente, a causa della riduzione della
prevalenza di malattie diarroiche e il valore dei decessi evitati137.
Si stima che la percentuale di donne che soffrono la penuria di acqua sia del 55% in
Africa, del 32% in Asia e del 45% in America Latina138.
La copertura di acqua potabile e pulita in Africa sud occidentale è ancora
notevolmente inferiore rispetto a quello di altre regioni. Tuttavia, la copertura è
aumentata dal 49% nel 1990 al 60 % nel 2008, il che significa che altri 238 milioni
di africani stanno ora utilizzando acqua potabile sicura.
Nonostante la popolazione mondiale sia quasi equamente divisa tra abitanti di zone
urbane e di zone rurali, la stragrande maggioranza delle persone senza accesso ad
acqua e servizi igienico-sanitari vive in aree rurali. Abitano in zone rurali sette
persone su dieci prive di servizi igienici di base e più di otto su dieci senza accesso
ad acqua potabile e fonti di acqua. Un divario analogo si trova tra poveri e non
poveri. Un confronto tra il 20% della popolazione più ricca e più povera dell’Africa
sud occidentale rivela che i più ricchi hanno più del doppio delle probabilità di
utilizzare fonti di acqua potabile e quasi cinque volte di più la probabilità di
utilizzare impianti igienici adeguati. Anche se al momento non esistono dati
sufficienti , le informazioni disponibili confermano che queste disparità sussistono
anche in altri paesi139.
Le tendenze attuali, però, indicano che oltre il 90% della popolazione mondiale
userà fonti di acqua potabile entro il 2015. Già l’87% della popolazione mondiale
utilizza acqua potabile rispetto al 77% del 1990. Le previsioni demografiche
137 www.childinfo.org: statistics by area-water-the challenge consultato il 16/01/11138 Tratto da www.onuitalia.it consultato il 16/01/11139 Rapporto 2010 “Progress on Sanitation and drinking-water 2010”, realizzato nell’ambito del Programmacongiunto Oms-Unicef per il monitoraggio dei progressi ottenuti nell’approvigionamento e nell’igiene delleacque. Il documento si propone come strumento utile per responsabili politici, donatori, agenzie governative enon governative per decidere che cosa deve essere fatto e dove concentrare gli sforzi per raggiungerel’obiettivo del millennio per il dimezzamento entro il 2015 delle persone prive di accesso all’acqua potabile ea servizi igienico-sanitari di base.
82
indicano che atri 632 milioni di persone avranno bisogno di un miglioramento delle
fonti di acqua potabile per soddisfare gli obiettivi del Millennio. L’obiettivo
principale rimane quindi un progresso accelerato per l’Africa sud occidentale, che
ospita ancora il 37% della popolazione che vive senza accesso a fonti di acqua
potabile.
Il Burkina Faso, è caratterizzato, oltre che da un elevato tasso di povertà, anche da
una situazione climatica che comporta lunghi periodi di siccità, alternati a brevi
periodi di piogge intense. L’acqua del periodo di pioggia viene perciò conservata
negli stagni per tutto il periodo di siccità. Quest’acqua, al massimo filtrata da un
sottile diaframma è quella che le popolazioni, soprattutto dei villaggi rurali, usano
per bere e per i lavori domestici. Migliorare l’accesso all’acqua in queste zone, oltre
a produrre una rilevante riduzione delle malattie, che è fattore fondamentale per un
cambiamento vantaggioso delle condizioni di vita dei villaggi, permette anche alle
donne, come abbiamo anche visto in precedenza, di praticare l’orticoltura
migliorando l’alimentazione e producendo così anche un reddito aggiuntivo.
Nel comunicato stampa della “Conferenza internazionale sull’acqua e la salute”
(Colloqui International Eau et Santè), svolta nel 2000 a Ouagadougou (Burkina
Faso), il miglioramento dell’idro-coltivazione viene considerato indispensabile per
riparare il deficit alimentario. Non solo, si è analizzato che piccoli progetti di idro-
coltivazione comportano molti più vantaggi di quelli che potrebbe portare la
costruzione di grandi dighe, sia verso il rispetto dell’ambiente, che verso tutte quelle
costrizioni sociali, sanitarie, economiche e demografici, decisamente più facili da
superare a livello di villaggio o comunità140. Si deve perciò cercare anche di
guardare al futuro e cercare di capire le misure da adottare per cercare di limitare la
disseminazione di malattie collegate alla gestione dell’acqua, trasmesse da insetti
che vivono in zone umide. Tra gli interventi fondamentali sono stati rilevati:
Costruzione di case ad una certa distanza dall’acqua
Costruzione di canali per l’irrigazione
Fornitura di acqua potabile
83
Informazione ed educazione della gente
Quest’ultimo punto è da ritenere di fondamentale importanza se si guarda al futuro,
è necessario infatti un quadro educativo che favorisca la comprensione dei fenomeni
naturali per poter far nascere nelle popolazioni un giusto senso di rispetto, di
consapevolezza e di senso civico, passo imprescindibile verso qualsiasi forma di
miglioramento e di sviluppo.
4.2 L’importanza della Community Participation
Anche se, ancora non ci sia un accordo unanime tra progettisti e professionisti
sanitari, sul contributo che la partecipazione della comunità può dare nel
miglioramento della vita delle persone, in particolare poveri e svantaggiati, la
partecipazione della comunità continua ad essere promossa come chiave
fondamentale per lo sviluppo.
“Il mito che la popolazione colpita e sottosviluppata sia troppo sconvolta per
assumersi responsabilità per la proprio sopravvivenza è superato dalla realtà, dove al
contrario, molti trovano nuove forze soprattutto in caso di emergenza” scrive
Goyet141, per ribadire la forte convinzione che alle comunità colpite da grosse
condizioni di sottosviluppo sociale, economico e sanitario, deve essere data la
massima opportunità di partecipare ai programmi di aiuto. Partecipazione non
significa semplicemente essere coinvolti nella costruzione di impianti, ma anche
apportare idee, prendere decisioni e assumersi responsabilità. Troppo spesso le
comunità bisognose sono trattate dalle organizzazioni e agenzie di aiuto come entità
impotenti che necessitano solamente di essere alimentate, abbeverate e riparate nelle
loro carenze prioritarie. Il fatto che si tratta di persone con notevoli conoscenze,
abilità, empatia e orgoglio è quindi spesso trascurato e dimenticato.
140 Si fa riferimento ai problemi di trasferimento di intere popolazioni e le conseguenze connesse.141 Goyet, Claude dvd (1999) Stop Disaster Myths di moltiplicazione. Pan American Health Organization:Washington in www.paho.org consultato il 15/01/11
84
Quello della community participation, è stato e continua ad essere, un tema costante
che ha contraddistinto i dialoghi internazionali degli ultimi cinquant’anni nel campo
dello sviluppo ed è diventato un elemento centrale per la politica sanitaria promossa
a livello internazionale, nella sua conferenza di Alma Ata del 1978. Nell’accettare
Primary Health Care come politica di governo, tutti i membri della OMS hanno
riconosciuto, infatti, l’importanza di coinvolgere beneficiari di servizi e programmi,
nel loro disegno ed attuazione. Le seguenti ragioni per questa accettazione sono state
dedotte dall’analisi di quattro argomenti fondamentali che riguardavano
principalmente i servizi sanitari, l’economia, la promozione della salute e la giustizia
sociale. Per i servizi sanitari forniti, infatti, si era notato come questi finissero con
l’essere utilizzati in maniera abusiva o del tutto inefficiente, proprio dalle persone
per le quali erano progettati, in quanto non coinvolti nel loro sviluppo. Per quanto
riguarda l’aspetto economico era ormai apparso evidente a livello internazionale
come in tutte le comunità fosse necessario mobilitare tutte le risorse umane e
materiali per migliorare la salute e soprattutto le condizioni ambientali locali. Ed è
proprio da questa necessità che si è giunti alla conclusione, infatti, che il più grande
miglioramento in salute derivasse, ancor prima degli interventi medici, proprio da
ciò che le popolazioni facevano per la propria comunità e per se stessi, riconoscendo
il ruolo chiave giocato appunto dalla promozione. Appellandosi, infine, all’esistenza
di una sorta di “giustizia sociale” secondo cui tutte le persone, specialmente povere e
svantaggiate, hanno il diritto e il dovere di essere coinvolti in decisioni che
riguardano la loro vita quotidiana142, l’Oms ha pensato di creare , proprio partendo
dalle filosofie di Primary Health Care, un altro programma inerente allo sviluppo di
servizi per le persone svantaggiate nei paesi in via di sviluppo, incentrato appunto
sugli interventi basati sulla comunità, Community Based Rehabilitation (CBR). Con
tale programma si riconosce il fallimento dei programmi di riabilitazione ed aiuto
istituzionali, in quanto non sufficienti da soli nel soddisfare le esigenze di persone
malate o con gravi disabilità nei paesi più svantaggiati e punta sul presupposto che
142 Rifkin, SB, Frits BICHMANN e Wolfgang Muller, Primary health care: On measuring participation,Social Science and Medicine, Vol. 26, 1988, pp. 931-940
85
sia necessario un trasferimento di informazione e competenze riabilitative proprio
verso le persone interessate e le loro famiglie, per far sì che tali programmi
raggiungano il maggior numero di persone143. Nel 1990, l’enfasi si è poi spostata, in
definitiva, verso il coinvolgimento della comunità nella pianificazione, decisione e
valutazione dei programmi di aiuto144.
Nella politica e nel clima economico attuale, la Banca Mondiale, ha anch’essa
sfruttato queste ragioni che hanno evidenziato l’importanza della partecipazione nei
programmi di salute, utilizzando gli stessi concetti e ribadendone l’importanza anche
verso un tema più ampio quale la lotta all’equità e sostenibilità. Le principali ragioni
che hanno influenzato la Banca Mondiale nel promuovere la partecipazione delle
comunità come elemento indispensabile per lo sviluppo delle stesse si possono
racchiudere in 4 punti fondamentali:
la quantità di esperienza e comprensione che le popolazioni locali hanno su se
stessi, in quanto più consapevoli di quello che funziona, che non funziona e
perché;
il coinvolgimento della popolazione locale nei processi di pianificazione,
aiuta in primis, ad aumentare il loro stesso impegno nei progetti e, allo stesso
tempo, contribuisce ad incrementare le risorse disponibili per i programmi;
coinvolgere la popolazione locale può aiutare a sviluppare tecniche e capacità
manageriale utili per aumentare le loro possibilità di sviluppo sostenibile;
da ultimo, la partecipazione ed il coinvolgimento della popolazione locale è
un modo per portare “apprendimento sociale sia per i professionisti che per le
popolazioni locali, attraverso lo sviluppo di partenariati, in cui, ogni gruppo
impara dall’altro145.
Se le ragioni che sottendono la partecipazione della comunità come elemento
fondamentale per i programmi di sviluppo , soprattutto in materia di salute e
143 HELANDER, E., MENDIS, P., NELSON, G. & GOERDT A., Training in the community for people withdisabilities. WHO. Geneva, 1989.144 MITCHELL, R. (1999). The research base of community based rehabilitation. Disability andRehabilitation 21, pp 459-468.
145 WORLD BANK (1996). Participation Sourcebook Washington, D.C.: The World Bank.
86
malattia, sembrano essere ormai provate e ben definite, un suo tentativo di
definizione generale non appare del tutto lineare.
Ci sono, infatti, diverse definizioni che ruotano attorno al concetto di Community
Participation, che si diversificano in base al grado di coinvolgimento della stessa
comunità e soprattutto ai diversi approcci adottati dai professionisti e dai progettisti
nei confronti della salute.
La letteratura circa la partecipazione della comunità in campo sanitario, che risale
appunto alla dichiarazione di Alma Ata del 1970, individua 3 approcci principali.
Il primo approccio può essere chiamato “strumentale” in quanto la salute, intesa qui,
come assenza di malattia, viene vista come una merce piuttosto che un processo e la
comunità come consumatori, in quanto usano la merce. La partecipazione della
comunità/consumatori è un intervento volto a conseguire risultati di salute nel modo
più efficace e più equo possibile, quindi guidata esclusivamente dai professionisti146.
Questo approccio è definito anche di tipo medico, in quanto la partecipazione della
comunità consiste solamente nel fare ciò che il medico ha ordinato.
Il secondo approccio è chiamato di programmazione sanitaria in cui la salute è intesa
secondo la definizione data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, quindi “non
semplicemente assenza di malattia, ma anche come benessere fisico, sociale e
mentale dell’individuo”. In questo contesto, la partecipazione della comunità viene
vista come un contributo di denaro, materiali e risorse umane per la fornitura di
servizi sanitari. Anche in questo accostamento la partecipazione viene guidata dai
progettisti e la comunità rimane comunque fuori da qualsiasi processo decisionale147.
Il terzo approccio è denominato di “empowerment”, la salute viene definita come
una condizione umana e la partecipazione attiva di comunità come coinvolgimento
nel processo decisionale, mirando quindi a responsabilizzare e sostenere le persone
146 Rifkin SB., Lessons from community participation in health programs in Health Policy and Planning, vol.13, 1986, pp.240-249147 Ibidem
87
verso un maggiore controllo su questioni che riguardano la loro salute. Esso sottende
anche le nozioni di sviluppo, sensibilizzazione, azione personale e sociale148.
I tre approcci non dovrebbero però escludersi a vicenda, ma essere visti come in
continuum all’interno di un processo che passa dalla condivisione di informazioni,
consultazione, collaborazione ed infine empowerment, che offre appunto
opportunità ed esperienze, per permettere alle persone della comunità di essere
coinvolte attivamente nel processo decisionale del programma149. Anche se non
esiste una definizione del concetto, il continuum presenta un quadro, che consente la
gamma di punti di vista da prendere in considerazione e sottolinea l’importanza del
processo di partecipazione piuttosto che solo il risultato.
Genericamente è possibile definire il concetto di community participation come il
coinvolgimento di persone in progetti per risolvere i propri problemi. La gente non
deve sentirsi obbligata a partecipare ai progetti che riguardano la loro vita ma deve
essere data loro l’opportunità, ove possibile, essendo considerato questo un diritto
umano fondamentale e un principio di democrazia.
Essa è considerata di fondamentale importanza soprattutto in programmi di
emergenza igienico-sanitaria in cui le persone devono essere abituate al proprio
ambiente e al tempo stesso all’inserimento di servizi igienici nuovi. La
partecipazione in tali programmi può avvenire durante una qualsiasi delle seguenti
attività:
valutazione dei bisogni: esprimere opinioni sui miglioramenti auspicabili,
attraverso l’elencazione delle priorità e la negoziazione con le agenzie;
pianificazione: formulare, definire ed anche criticare gli obiettivi pensati;
mobilitazione: sensibilizzare la popolazione sui bisogni dell’intera comunità,
cercando di creare e sostenere strutture organizzative all’interno di essa;
148 Williams L., Labonte R., Changing health determinants through community action: power, participationand policy in IUHPE- Promotion and Education, vol X, 2003, pp.65-71149 RIFKIN, S.B. & PRIDMORE, P. (2001). Partners in Planning: information, participation andempowerment. London and Oxford: Macmillian/TALC.
88
formazione: partecipare ad attività di formazione formale ed informale per
migliorare la comunicazione, la costruzione, la manutenzione e le
competenze di gestione finanziaria
implementazione: impegnarsi in attività di gestione, contribuendo alla
costruzione, all’esercizio e alla manutenzione con risorse materiali, mentre ai
costi, ai pagamenti di servizi e quote di adesione di organizzazioni di
comunità, con risorse in denaro;
monitoraggio e valutazione: partecipare alla valutazione del lavoro svolto,
riconoscendone i miglioramenti e ridefinendo altre esigenze.
La maggior parte dei programmi di emergenza igienico-sanitaria tendono ad essere
pensati ed eseguiti dai rilievi delle stesse agenzie e/o organizzazioni, ma questo non
significa che la comunità non è in grado o non voglia partecipare ad alcune o a tutte
le attività sopra descritte.
Ci sono ragioni forti per cui spesso le persone desiderano partecipare ai programmi.
Troppo spesso infatti gli operatori umanitari danno per scontato che l’interesse sia
solo economico, dimenticandosi così la difficile e reale situazione difficile vissuta
dalla comunità. Questo è spesso il risultato delle azioni intraprese, a volte, anche
dalle stesse organizzazioni che si limitano a inviare soldi e cibo ai membri della
comunità, senza intraprendere nessun dialogo significativo o di consultazione.
Generalmente le persone sono pronte e ben disposte a partecipare e il più grande
disincentivo che possono avere è dovuto probabilmente proprio dall’atteggiamento e
dalle azioni delle organizzazioni che operano presso queste comunità. Trattare le
persone con rispetto, ascoltarli e imparare anche da loro, contribuisce ad
intraprendere la strada giusta per il successo del programma e per la sua
sostenibilità, attraverso anche il risparmio notevole di tempo e risorse.
Il punto più critico che si deve affrontare quando si parla di partecipazione e su cui
bisogna prestare maggiormente attenzione, è cercare di capire che non sempre le
comunità sono unite e coese nei confronti dei gruppi più emarginati e svantaggiati.
89
Alcuni autori150 hanno rilevato come i più svantaggiati e perciò anche i più bisognosi
di programmi di aiuto, facciano parte di minoranze non inserite nei gruppi di potere
delle comunità e perciò spesso dimenticati o oggetti di troppo poca attenzione. In
primo luogo perché, date le origini dei programmi di salute e miglioramento, nella
carità, la comunità potrebbe avere la sensazione che le persone più svantaggiate
“appartengano al governo” e l’avere delle attese dalla comunità nei confronti di
queste persone, potrebbe apparire come un’abdicazione di responsabilità da parte dei
governi stessi151. Lo stesso utilizzo dell’ approccio top-down del modello medico,
usato in alcuni programmi e interventi di miglioramento della salute, che vedeva i
professionisti continuare a mantenere il ruolo di decision maker, ha continuato a
sostenere questa tendenza, rinviando la partecipazione della comunità come un
obiettivo a lungo termine. È molto importante sottolineare poi che dove la povertà è
rampante e ci sono un’ingente quantità di necessità da soddisfare, appare comunque
difficile condividere le poche risorse che ci sono nelle comunità152.
Per questo motivo, è necessario iniziare a pensare alla creazione e formazione di
importanti figure all’interno della comunità, sostenute anche da eventuali
ricompense e remunerazioni, che operino tra i diversi settori di sviluppo e siano in
grado di coordinare i diversi gruppi per la partecipazione della comunità. Il
programma CBR, lanciato dall’Oms, è già riuscito ad inserire figure di questo tipo
all’interno dei progetti e il loro coinvolgimento, insieme all’alto livello di
partecipazione della comunità che hanno raggiunto, sembrano essere stati ingredienti
chiave per il successo di alcuni programmi.
Per chi affronta programmi ed interventi volti al miglioramento della salute e delle
condizioni igienico-sanitarie di determinate comunità, è necessario comprendere che
lo sviluppo di strategie di servizio efficaci ed efficienti, debba partire proprio dalla
150 THOMAS, M. & THOMAS M. J. (2001). Planning for ‘Community Participation’ in CBR. Asia PacificDisibility Rehabilitation Journal. 12, pp. 44-51.151 LANG, R. (2000). The role of NGO’S in the process of empowerment and social transformation of peoplewith disabilities. Asia Pacific disability Rehabilitation Journal. 1, pp 1-19
.152 THOMAS, M. & THOMAS M. J. (2001). Planning for ‘Community Participation’ in CBR. Asia PacificDisibility Rehabilitation Journal. 12, pp. 44-51.
90
comprensione e dall’analisi delle esperienze di salute delle popolazioni locali.
Questo comprende anche il cercare di mantenere una mente aperta e flessibile, oltre
allo sviluppo di atteggiamenti e comportamenti di sostegno alle persone, nella
ricerca per ottenere il controllo della loro vita.
4.3 Salute infantile: primo obiettivo per il futuro delle nazioni
“Ogni anno, milioni di donne e bambini muoiono per cause prevenibili. Queste non
sono mere statistiche. Sono persone con nomi e facce. La loro sofferenza è
inaccettabile nel 21° secolo. Dobbiamo, quindi, fare di più per il neonato che
soccombe alle infezioni per mancanza di una semplice iniezione e per il ragazzo che
non potrà mai raggiungere il suo pieno potenziale a causa della malnutrizione.
Dobbiamo fare di più per la ragazza di fronte ad una gravidanza indesiderata, per la
donna infetta dal virus HIV e per la madre che deve affrontare complicazioni
durante il parto153”. È quanto si legge nella prefazione del Segretario Generale delle
Nazioni Unite nel documento che descrive la strategia globale per la donna e la
salute dei bambini per raggiungere entro il 2015 gli obiettivi del Millennio 4 e 5,
riguardanti appunto la riduzione di due terzi della mortalità infantile e il
miglioramento della salute materna.
Se negli ultimi anni un numero sempre crescente di Paesi ha visto migliorare
nettamente i propri dati sui tassi di mortalità materna, neonatale ed infantile, è
altrettanto vero che in diverse aree, in particolare proprio quelle che negli anni
Novanta il tasso di mortalità e morbilità era più elevato, i progressi fatti registrare
sono minimi se non addirittura negativi.
Secondo il rapporto redatto dall’Unicef nel 2008154, infatti, regioni come l’Asia
Orientale, l’Europa Centrale e orientale e l’America Latina hanno compiuto un
evoluzione notevole, riuscendo praticamente già a dimezzare il loro tasso di
mortalità infantile. Risultati assai diversi si sono invece riscontrati nell’area
153 Ban ki-moon, Global strategy for women’s and children’s health, New York, September 2010154 Unicef, The State of the World’s children, 2008 in www.unicef.it consultato il 20/01/11
91
meridionale e occidentale nordafricana, in Asia meridionale e nell’Africa
subsahariana: le prime due zone infatti, nonostante facciano registrare dei piccoli
miglioramenti, continuano a mantenere tassi di mortalità infantile ancora molto alti
(1 bambino su 22 muore prima di compiere i 5 anni in Medio Oriente e nella parte
meridionale e occidentale del nord Africa, 1 su 12 in Asia meridionale). Ancora più
preoccupante è la situazione vissuta dall’Africa subsahariana, dove la percentuale
scende drammaticamente a 1 bambino su 6 e dove si sono rilevati i progressi meno
significativi.
Nonostante, quindi, i miglioramenti sostanziali ottenuti in questi ultimi anni, il
rischio che il Quarto obiettivo del Millennio non sia raggiunto nel 2015 è elevato,
come anche denunciato nel rapporto delle Nazioni Unite del 2010 sugli obiettivi del
Millennio riguardanti la mortalità infantile e la salute materna155.
I prossimi cinque anni rappresenteranno dunque un’occasione per fare tesoro di
queste esperienze e accelerare le riforme in quei trenta Paesi156 dove si concentra
l’80% delle morti di bambini al di sotto dei cinque anni. In un mondo dove la
recessione economica globale pesa sempre più sulle famiglie, sui bilanci dei governi
e di conseguenza sugli aiuti ai Paesi più poveri, sono in pericolo anche i pochi
traguardi raggiunti fino ad ora. Secondo le previsioni della Banca Mondiale altri 2,8
milioni di bambini moriranno da qui al 2015, se non sarà presa nessuna iniziativa
immediata per fronteggiare la mortalità infantile.
Gli ultimi dati disaggregati disponibili sulle cause di mortalità infantile risalgono
agli anni 2000-2003157 e dimostrano come la maggior parte delle malattie che
provocano la morte di bambini al di sotto dei cinque anni, sia curabile e comunque
facilmente prevenibile attraverso operazioni di vaccinazione, l’utilizzo di zanzariere
contro la malaria ma soprattutto la presenza durante il parto di personale
specializzato che potrebbe risolvere efficacemente molte complicazioni neonatali.
155Ban ki-moon, Global strategy for women’s and children’s health, New York, September 2010156 Afghanistan, Angola, Bangladesh, Burikina Faso, Burundi, Camerun, Repubblica dell’Africa Centrale,Ciad, China, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale, Etiopia, Guinea Bissau, India,Indonesia, Kenya, Liberia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Pakistan, Ruanda, Sierra Leone, Somalia,Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia.157 www.who.int/whosis/en consultato il 20/01/11
92
Circa l’86% dei decessi neonatali, infatti, è dovuto a tre cause principali: infezioni
gravi158, asfissia, parto pretermine. Sia la prima che la seconda causa possono essere
prevenute grazie proprio all’apporto di operatori sanitari e condizioni igieniche
minime.
Per quanto riguarda l’Hiv/Aids va detto invece che il principale problema da
risolvere è quello dell’accesso gratuito a farmaci antiretrovirali, almeno per i Paesi
in via di Sviluppo. Tali farmaci infatti, essendo protetti da brevetto nell’ambito degli
accordi Trips del WTO, sono commercializzabili almeno per vent’anni solo dalle
cause farmaceutiche che li hanno prodotti, con costi insostenibili per i Paesi più
poveri, dove si concentra la maggior parte della popolazione, bambini compresi,
affetta da Hiv/Aids. Nonostante le promesse e gli impegni dichiarati dai Paesi nelle
sedi internazionali per incrementare il più possibile l’accesso ai farmaci e alle
tecnologie più avanzate, i risultati finora ottenuti in questo campo sono ancora
lontani dall’essere apprezzabili. Vi sono alcune eccezioni come il Malawi, ove, la
mortalità infantile per Aids è scesa del 75% grazie alla creazione di centri
ospedalieri che tra l’altro distribuiscono gratuitamente proprio i costosi farmaci
antiretrovirali159.
Sarebbe però pericoloso e fuorviante restringere le cause della mortalità infantile alle
semplici malattie senza sottolineare a sufficienza le cause strutturali e più generali.
Abbiamo già visto in precedenza, come queste determinate affezioni debbano essere
infatti considerate come conseguenze quasi inevitabili di fattori ben più ampi: oltre
all’incidenza che può esercitare sulla salute di un bambino la presenza o meno di
conflitti armati nell’area in cui vive, bisogna ricordare la denutrizione e la
malnutrizione, il grado di facilità di accesso ai servizi di salute materno-infantile e la
loro qualità, la possibilità di accesso per le madri alle informazioni e alle conoscenze
di carattere sanitario basilare, la disponibilità di acqua potabile sicura e servizi
igienico-sanitari di base oltre ovviamente al gradi disuguaglianza sia economica che
di genere all’interno dei diversi Paesi.
158 Polmonite, tetano e diarrea le più frequenti.
93
Le cause dell’elevata mortalità infantile cambiano comunque da Paese a Paese, e
perciò richiedono risposte specifiche da parte dei governi, dei donatori e delle
istituzioni internazionali. Laddove i governi hanno dato priorità alla salute infantile,
il Malawi ne rappresenta un esempio concreto, i risultati sono spesso arrivati.
Se l’aumento degli aiuti di per sé non sarà sufficiente per il raggiungimento del
Quarto obiettivo del Millennio, l’erogazione di risorse finanziare adeguate resta
comunque la condizione necessaria per fornire una reale assistenza sanitaria ai
bambini e alle loro famiglie.
Questa variabile ancora non è stata ben presa in considerazione, dato che diciotto dei
trenta Paesi ad alta mortalità infantile spendono meno del 10% del proprio bilancio
pubblico per la salute. La ripartizione della spesa pubblica destinata alla sanità è
importante almeno quanto l’intero volume: per aumentare la sopravvivenza dei
bambini e il loro benessere è essenziale la presenza di personale sanitario
opportunamente formato, operante dove necessario e che fornisca un servizio che le
famiglie in condizioni disagiate possono permettersi di utilizzare. Il primo livello di
aiuti, per l’assistenza sanitaria per i bambini, deve avvenire proprio all’interno delle
famiglie e nelle comunità locali. I governi danno ancora troppa poca importanza alle
misure meno costose e facilmente realizzabili a livello locale: lavarsi le mani,
allattare al seno, riconoscere in tempo i sintomi della polmonite possono avere un
effetto decisivo sulla salute dei bambini e salvare le loro vite. Il ruolo del personale
sanitario è sempre più cruciale nel portare l’assistenza sanitaria nelle comunità e nel
dispensare conoscenze necessarie alla salute pubblica a livello locale.
È necessario dunque ridefinire i sistemi sanitari, dando maggiore attenzione alle
misure meno costose da realizzare a livello familiare e locale e parallelamente
ripartire meglio la spesa pubblica, puntando maggiormente sulla prevenzione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che l’accesso all’acqua potabile, ai
159Dati aggiornati al 2007 consultabili in Unicef, The State of the World’s children, 2008 in www.unicef.itconsultato il 20/01/11
94
servizi igienico-sanitari e all’igiene di base potrebbe far risparmiare ogni anno
all’assistenza sanitaria sette miliardi di dollari160.
La realizzazione dell’Obiettivo 4 dipende soprattutto dai governi dei Paesi più
poveri. Eppure il ruolo dei Paesi più sviluppati è egualmente fondamentale in quanto
dovrebbero garantire che nessun Piano Nazionale per la salute infantile fallisca per
mancanza di fondi. Per cambiare realmente le cose e permettere ai Paesi in via di
Sviluppo di realizzare gli obiettivi del Millennio inerenti alla salute, i governi più
ricchi dovrebbero far sì che le risorse allocate passino dai 16 miliardi di dollari annui
a 42.5 miliardi, una cifra che equivale a cinque giorni di spesa sanitaria in America,
o al 4% del pacchetto fiscale annunciato dal G20 per il 2009161.
Qualsiasi incremento delle risorse finanziarie per la sanità nei Paesi in via di
Sviluppo deve essere accompagnato da una revisione drastica del modo in cui tali
aiuti vengono spesi. Troppo spesso le risorse stanziate sono inefficaci e poco
ponderate: i trenta Paesi dove si verificano i quattro quinti delle morti infantili
mondiali ricevono meno della metà degli aiuti per la salute. Gli aiuti inoltre non
sono mirati alle malattie più gravi e alle loro cause: ad esempio la malnutrizione è
responsabile di più di un terzo dei decessi di bambini, ma solo l’1.5% degli aiuti alla
salute viene speso in questo settore162.
Le risorse finanziarie destinate alla salute sono attualmente di bassa qualità, poco e
mal coordinate con gli altri donatori, erogate in maniera irregolare e saltuaria ai
governi destinatari, e spesso non in linea con i piani sanitari dei Paesi in via di
sviluppo.
Il fatto che anche in alcuni dei Paesi più poveri del pianeta siano stati realizzati
significativi passi avanti deve essere uno stimolo per un’azione concertata dei
governi nazionali, delle istituzioni internazionali, delle organizzazioni Non Profit e
dei donatori.
L’esperienza di Malawi e di altri Paesi prossimi al raggiungimento del Quarto
obiettivo deve essere portata come esempio per tutti quei Paesi che dal 1990 ad oggi
160 Ban ki-moon, Global strategy for women’s and children’s health, New York, September 2010161 Ibidem
95
hanno fatto pochi progressi o che addirittura si sono fermati. È importante capire che
la prevenzione è meno costosa della cura: in Sud Africa le morti infantili provocate
dal morbillo si sono ridotte del 90% grazie ad una vaccinazione quasi totale dei
bambini iniziata nel 2001. In Etiopia, una campagna partita nel 2005 per realizzare
zanzariere da letto trattate con insetticida, consegnate poi ad ogni famiglia, ha
ridotto del 61% i casi di malaria nel Paese163.
Queste esperienze positive hanno dimostrato che sono inoltre necessari cambiamenti
di abitudini all’interno delle famiglie e delle comunità per realizzare progressi
duraturi e che questi richiedono la realizzazione di Piani Nazionali per la salute,
flessibili e decentrati.
Se dunque l’equilibrio tra le varie politiche sanitarie deve variare in base al contesto
locale, tre settori chiave necessitano di una particolare attenzione:
Nutrizione. Le principali azioni da intraprendere devono mirare all’aumento
dell’allattamento esclusivo al seno e di una alimentazione complementare del
bambino, attraverso vitamine a costi sostenuti, integratori minerali che
prevengano la malnutrizione e i ritardi sullo sviluppo, sistemi di monitoraggio
per una diagnosi precoce e la somministrazione di cure adeguate ai bambini
affetti da malnutrizione acuta. Queste misure possono diminuire del 35% le
morti infantili causate da malnutrizione164.
Mortalità materna. La sopravvivenza e il benessere delle madri è già di per
sé un obiettivo che necessita di maggiore attenzione da parte dei governi
soprattutto se si pensa all’influenza che esercita nella salute dei bambini. Una
migliore nutrizione della madre durante la gravidanza e l’allattamento, un
accesso facilitato ai Programmi di Pianificazione Familiare, al loro utilizzo e
al distanziamento delle nascite, la presenza di personale qualificato al
momento della nascita e l’assistenza completa degli operatori nelle fasi pre e
162 Ibidem163 Dati aggiornati al 2007 consultabili in Unicef, The State of the World’s children, 2008 in www.unicef.itconsultato il 20/01/11
164 United Nations Inter-Agency Group on Child Mortality Estimation, Levels & Trends in Child Mortality:Report 2010, Maternal estimates from United Nations inter-agency estimates based on 2010 data.
96
postatali del bambino, potrebbero prevenire una gran parte di quel 40% di
morti infantili causate da complicazioni e infezioni neonatali. Inoltre tali
misure servirebbero anche per portare una sostanziale diminuzione dei
500.000 decessi materni registrati ogni anno.
Prevenzione e cura delle maggiori malattia dell’infanzia. L’educazione
all’igiene, la promozione a livello locale e familiare di servizi igienico-
sanitari sicuri e il lavaggio delle mani con il sapone, insieme ad una migliore
nutrizione e alla somministrazione di antibiotici, potrebbe prevenire più
dell’85% delle morti provocate dalla polmonite165. L’accesso all’acqua
potabile, ai servizi igienico-sanitari e l’utilizzo di semplici terapie di
reidratazione, come abbiamo visto anche nel paragrafo precedente, sono di
fondamentale importanza per prevenire la maggior parte dei decessi tra quei
1.5 milioni di bambini che ogni anno perdono la vita a causa della diarrea. Le
morti infantili per malaria, come l’esempio dell’Etiopia insegna, possono
essere diminuite in maniera sostanziale fornendo all’80% della popolazione
zanzariere da letto impregnate di insetticida, spray contro le punture di
zanzare, cure per le madri e per i bambini con terapie combinate a base di
Artemisia e programmi per la prevenzione della malaria per le comunità
locali. Inoltre, diagnosi precoci e cure ad hoc sono in grado di prolungare
l’aspettativa di vita di più del 90% di bambini colpiti dall’Hiv e dall’Aids166.
Tutti questi interventi, se inseriti all’interno di una più ampia ridefinizione delle
strategie di salute e ad un utilizzo maggiore di approcci innovativi, possono
realmente portare all’eliminazione di barriere per la salute e alla produzione di
progressi rilevanti.
La salute di donne e soprattutto bambini sono le chiavi del progresso in tutti gli
obiettivi di sviluppo; investire di più, quindi, in queste categorie di persone non
rappresenta solo la cosa giusta da fare ma apre la via anche per costruire società più
stabili, pacifiche e produttive.
165 Ibidem
97
4.4 L’istruzione per tutti: una delle principali chiavi di sviluppo
delle società
L’istruzione è un fattore determinante dello sviluppo e del benessere del bambino e
costituisce anche una delle principali armi per combattere le situazioni di povertà, di
sfruttamento e di sottosviluppo strettamente legate alle spirali dell’ignoranza e
dell’analfabetismo. Un Paese che non investe abbastanza sull’educazione dei suoi
giovani e sulla formazione del capitale umano di cui dispone, è un paese senza
futuro e destinato al solo regresso sociale, culturale ed economico. Nei Paesi in via
di sviluppo, dove il tasso di natalità è molto elevato ma il livello di reddito è
inferiore ai minimi per la sussistenza, i ragazzi rappresentano il principale punto di
partenza per realizzare un’economia avanzata e autosufficiente. Eppure come si
evince dai database globali dell’Unicef, aggiornati al 2007167, in Africa sud-
occidenatle circa 41 milioni di bambini in età scolare non frequentano la scuola. In
Burkina Faso, uno dei paesi più arretrati dell’Africa, il tasso di alfabetizzazione è
appena del 28.8%. Per queste ragioni dunque, anche l’istruzione, è sancita come
diritto umano fondamentale al secondo posto fra gli otto Obiettivi di Sviluppo del
Millennio stabiliti nel 2000 dall’Assemblea Generale Onu (OSM 2: Istruzione
primaria per tutti: fare in modo che tutti i bambini e le bambine completino il ciclo
scolastico primario entro il 2015168). La piaga dell’analfabetismo e dell’ignoranza
scolastica di un numero troppo elevato di bambini nel mondo è già stato un tema di
discussione internazionale nel 1990, quando i capi di Stato e di governo riuniti a
New York nel Summit Mondiale sull’infanzia avevo dichiarato solennemente che
nell’ano 2000 tutti i bambini del pianeta avrebbero dovuto ricevere un’istruzione e
che, tra questi, l’80% avrebbe dovuto almeno concludere le scuole primarie.
Successivamente nel 2000 la Sessione Speciale dell’Onu dedicata all’infanzia ha
166 United Nations Inter-Agency Group on Child Mortality Estimation, Levels & Trends in Child Mortality:Report 2010, Maternal estimates from United Nations inter-agency estimates based on 2010 data.167 www.unicef.it/flex/AppData/Redational/Pubbl/Files, consultato il 20/01/11
98
analizzato i progressi compiuti e fissato, con il secondo obiettivo del Millennio, i
traguardi da raggiungere anche in questo campo. UNICEF e UNESCO stanno già
lavorando da parecchi anni per sostenere fortemente l’istruzione dei bambini, sia
perché la scuola è attività formativa del bimbo, che lo aiuta a costruire un senso di sé
e del mondo che lo circonda, sia perché è utile a sconfiggere il “cattivo sviluppo” di
molti Paesi: è la soluzione ottimale per favorire uno sviluppo a lungo termine della
società e prevenire fenomeni come l’analfabetismo, lo sfruttamento del lavoro, la
prostituzione minorile, le gravidanze precoci e tante altre problematiche sociali
diffuse. Il principale ostacolo riscontrato, nella realizzazione di questo traguardo
universale è rappresentato dalla dubbia volontà politica degli Stati, che spesso non
danno priorità al potenziamento di questo settore di primaria importanza per la
crescita dei bambini e del paese stesso. Uno studio dell’UNICEF, infatti, ha rilevato
che il tasso di scolarizzazione dei bambini è strettamente legato al livello di povertà
dello Stato in cui vivono, ma allo stesso tempo, dipende anche dalla specifica
volontà di ogni singolo governo. Basti pensare che in Paesi di pari livello di
sviluppo economico come lo Zimbawe e la Guinea, le percentuali di iscritti alla
scuola primaria tra i 6 e i 10 anni sono totalmente diverse: i bambini che studiano in
Zimbawe (98%) sono quasi il doppio rispetto a quelli della Guinea (59% circa)169.
Queste differenze, quindi, confermano quanto appena detto sopra: il grado di
istruzione di un Paese è fortemente influenzato dal suo stato di ricchezza o povertà
ma molto dipende anche dai governi e dalla loro volontà di inserire questo settore tra
le priorità dell’agenda politica e dalla loro attitudine ad adottare politiche mirate e
lungimiranti in tal senso. I costi che ogni Stato deve sostenere per finanziare il
diritto all’istruzione dei ragazzi variano a seconda del Paese, ma in proporzione sono
più alti per i Paesi in via di sviluppo.
Lo stato di sviluppo di un Paese e le decisioni assunte dai governi, però, non sono gli
unici elementi che incidono negativamente sul livello di istruzioni. Ci sono anche
delle ragioni profonde, guidate sia dalle ristrettezze economiche sia dai
168 www.un.org/millenniumgoals consultato il 21/01/11169 COLLANA UNICEF, La condizione dell’infanzia nel mondo 2009: salute materna, p.137
99
condizionamenti culturali, che spingono le famiglie a ritirare l’iscrizione dei propri
figli dalle scuole, negando così loro la possibilità di crescere in un ambiente di
formazione importante per le loro giovani vite e favorendo così l’esclusione sociale
di tanti gruppi ed individui che, senza un’educazione adeguata, restano le principali
vittime di fame, sfruttamento e violenza.
Le ristrettezze economiche e la povertà sono da sempre il più forte incentivo
all’abbandono scolastico: una famiglia che versa in condizioni economiche
disastrate preferisce tenere il proprio figlio lontano dalla scuola per impiegarlo in
qualche lavoro precoce e non privarsi quindi del relativo guadagno. Un altro
problema di accesso all’istruzione, riscontrato soprattutto nelle comunità rurali, è la
distanza della scuola da molti villaggi che determina uno scarso livello di
scolarizzazione nelle aeree rurali a fronte di un tasso anche tre volte più alto
registrato invece nelle zone urbane. Nei villaggi rurali, inoltre, è importante evitare
di far confliggere l’impegno scolastico del bambino con le attività agricole in cui
viene impiegato per aiutare la propria famiglia. Un importante aiuto che si può dare,
in tal senso, è la ricerca e la creazione di situazioni che riescano a conciliare le
tradizioni ed esigenze delle comunità rurali con il diritti dei bambini a frequentare la
scuola, come potrebbe essere il tener conto di particolari stagioni favorevoli al
raccolto o alla semina quando si decide il calendario scolastico.
Di circa 121 milioni di bambini che non sono mai andati a scuola, 65 milioni, quindi
circa la metà (54%), sono bambine e, attualmente, i 2/3 degli adulti analfabeti nel
mondo sono donne. Il principale ostacolo alla realizzazione dell’obiettivo di
un’istruzione globale è proprio costituito da questa alta percentuale di analfabetismo
presente tra le bambine e le ragazze. Nei Paesi in via di sviluppo, come analizzato
finora, sia bambini che bambine incontrano notevoli ostacoli alla loro piena
partecipazione alla vita scolastica, ma le bambine subiscono penalizzazioni maggiori
dei loro compagni, per una diffusa “discriminazione di genere” tipica di molti Paesi
in via di sviluppo. Le motivazioni che spingono le famiglie alla scelta di tenere a
casa le figlie femmine e favorire l’inserimento a scuola dei figli maschi sono di
diversa natura. Una di queste è la povertà della famiglia che non può permettere a
tutti i figli del nucleo familiare di andare a scuola e induce i genitori alla scelta di
100
mandarci i maschi e tenere a casa le figlie femmine, utili per i lavori domestici e
destinate, secondo la mentalità comune ai Paesi più poveri e svantaggiati, a non
nutrire l’aspettativa di un cambiamento di status sociale, cosa che renderebbe
superfluo, per loro, l’insegnamento scolastico; i matrimoni e le gravidanze precoci
che costringono migliaia di bambine ad abbandonare gli studi e segregarsi in casa
sotto l’autorità opprimente di famiglia o marito; i timori della violenza e del
disonore nutriti dai genitori quando il lungo tragitto verso la scuola può comportare
dei pericoli per la bambina, quando in classe si verificano fenomeni di bullismo,
quando i servizi igienici non sono separati e infine anche quando l’insegnate è un
uomo; i programmi scolastici ispirati, in alcuni paesi, a teorie sessiste e
discriminatorie e gli insegnanti che applicano metodi punitivi e derisori nei confronti
delle ragazze spingono le bambine ad allontanarsi dalla scuola e, deluse dalle tradite
aspettative di apprendimento e di nuove acquisizioni per il loro futuro, a ritenere che
sia più proficuo ritornare alle cure della casa e della famiglia170. Sostenere diversi
progetti per garantire e difendere il diritto alla scuola delle bambine è uno degli
investimenti migliori che i Paesi in via di sviluppo possano compiere: le bambine
che studiano saranno donne più consapevoli di se stesse, del proprio valore, dei
propri diritti, con migliori opportunità di lavoro e saranno anche madri in grado di
provvedere ad una crescita sana dei propri figli171. Solitamente, infatti, le donne che
hanno ricevuto un’istruzione tendono ad evitare comportamenti sessuali a rischio di
contagio da HIV e gravidanze precoci, e, più padrone di se stesse, gestiscono
autonomamente sia l’educazione dei figli che la propria vita sessuale e riproduttiva,
mentre le ragazze analfabete sono più soggette a violenze e soprusi di ogni genere. È
assodato , come abbiamo già avuto modo di vedere nel primo capitolo riguardante i
fattori determinanti della salute e delle sue disuguaglianze, che una madre istruita
eserciti una certa influenza sulla sulle condizioni di salute dei figli, perché è una
mamma più informata sulla prevenzione delle malattie e più attenta a recepire i
170 www.unicef.it171 Paternò P., Unicef perché?, cit., p. 35
101
messaggi delle istituzioni sanitarie sulla necessità di vaccinare i bambini, mantenere
misure igieniche e dosare le medicine.
È importante perciò, in primis ai fini della stessa salute, aiutare e pensare a strategie
di collaborazione che riescano a facilitare l’acceso delle bambine all’istruzione
scolastica, cercando di rimuovere gli ostacoli che le tengono lontane dalla scuola,
formando gli insegnanti alla promozione e all’uguaglianza di genere e orientando
anche i programmi scolastici verso l’insegnamento di questi principi, migliorando
l’ambiente scolastico rendendolo più sicuro ed accogliente anche per le bambine.
Inoltre per facilitare e favorire l’istruzione scolastica in genere, soprattutto in paesi
come il Burkina Faso, contraddistinti da un bassissimo tasso di alfabetizzazione, è
importante concentrare gli aiuti per la fornitura di materiale scolastico e la creazione
di scuole più vicine ai villaggi nonché, anche attraverso l’offerta di collaborazioni
internazionali con università di paesi avanzati e la predisposizione di borse di studio
e stage per i più meritevoli.
Dare un aiuto sincero per l’ampliamento dell’educazione, soprattutto nelle zone
rurali dei paesi sottosviluppati, è stato identificato anche dai Paesi del G8 come un
elemento fondamentale di sviluppo del sistema educativo; questo risponde non solo
alla necessità primaria di ridurre le differenze e creare pari opportunità per tutti, ma
anche all’imperativo di fornire alle popolazioni rurali migliori strumenti, abilità e
competenze172.
172 FAO, Il ruolo dell’educazione, la formazione e lo sviluppo di capacità per la riduzione della povertà e lasicurezza alimentare, 2010 in www.fao.org consultato il 22/01/11
102
Conclusioni
Garantire un livello di salute adeguato ai propri cittadini è considerata una delle
funzioni primarie di ogni Stato, ma anche, al tempo stesso, uno dei problemi di
maggiore complessità.
Le disuguaglianze di salute sono una costante nelle società, fanno parte della loro
“costituzione intrinseca173”. Come è stato rilevato in molte ricerche di carattere
medico, ma soprattutto sociologico, i poveri, le persone meno istruite, quelle di
bassa classe sociale, si ammalano di più e muoiono prima. Si tratta di un dato
comune a tutti i paesi, che chiama seriamente in causa le politiche sanitarie dei
governi. Infatti una parte di queste disuguaglianze dovrebbe essere considerata
evitabile e quindi non accettabile. Inoltre, le disuguaglianze nella salute di tutta la
società sono una testimonianza concreta che un consistente miglioramento della
salute potrebbe essere raggiunto riducendo il carico di malattie dei gruppi più
svantaggiati.
Come abbiamo visto nel primo capitolo della presente tesi, dall’indagine condotta
dall’Unicef tra il 1998 e il 2006174, nei paesi in via di sviluppo è emerso che la
povertà e l’appartenenza a classi sociali svantaggiate sono associabili ad un rischio
maggiore di mortalità, morbilità e fragilità della popolazione, a situazioni di
maggiore rischio di eventi avversi, e quindi ad un maggiore bisogno di servizi
sanitari.
Le cause e i meccanismi che sottendono le disuguaglianze di salute sono molte, ma
sono le condizioni sociali ad influenzare la salute e non il contrario. In particolare
sono le disparità di distribuzione delle risorse materiali, di istruzione, di status e di
173 www.epicentro.iss.it/igea/pdf/Progetto_Disuguaglianze.pdf (consultato il25/01/11)
103
accesso alle cure che generano differenze di esposizione ai principali fattori di
rischio per la salute. Queste disparità variano inoltre per genere e per età e ciò
produce una ulteriore articolazione dei meccanismi di discriminazione da affrontare.
Tali differenze non sono altro che una manifestazione delle disuguaglianze che
permangono anche in società dove ognuno dovrebbe disporre delle stesse
opportunità per un buon livello di salute.
Dunque, per assicurare un’effettiva equità nell’accesso alle cure, le risorse
dovrebbero essere distribuite a seconda dei bisogni della popolazione e le variabili
socioeconomiche non dovrebbero influenzare tale distribuzione. A tal fine sarebbe
necessario garantire che le persone con medesimi bisogni, ma diversi livelli di
reddito, abbiano la stessa probabilità di accedere a prestazioni sanitarie.
L’impegno adottato a livello internazionale, attraverso il raggiungimento degli otto
obiettivi del Millennio, viaggia proprio verso questa direzione, fornendo linee guida
per la creazione di giuste politiche e mirati interventi che possano portare un
miglioramento rilevanti nelle condizioni di salute delle comunità.
Non bisogna quindi trascurare le opportunità di promuovere un migliore sistema
sanitario tramite provvedimenti che non rientrano nelle tradizionali competenze dei
responsabili delle politiche. Innanzitutto, se si considerano le conseguenze sulla
salute, delle malattie dovute a fattori ambientali e di rischio, migliorare la salute
significa anche affrontare problematiche connesse agli stili di vita (alimentazione,
attività fisica e salute sessuale)e alle dipendenze(droga, alcool e tabacco).
L’atteggiamento di alcuni Paesi, nel ritenere l’importanza del settore sanitario,
circoscritta esclusivamente alla cura delle malattie nel momento in cui si
manifestano, rischia di non cogliere le opportunità sociali ed economiche che un
atteggiamento di prevenzione delle patologie potrebbe portare in futuro.
Negli ultimi anni lo stato di salute è migliorato nelle classi più elevate; non solo per
la possibilità di praticare stili di vita più salubri, ma anche per la loro maggiore
capacità di accesso ai servizi sanitari, cosa invece, come abbiamo avuto modo di
174 Sito internet: http://www.Unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3650
104
notare nel corso di tutta la presente tesi, che risulta del tutto carente per le classi
meno agiate e per le popolazioni residenti nei territori rurali.
Da soli, i cambiamenti nelle politiche per la salute potrebbero rivelarsi del tutto
insufficienti a colmare le differenze nello stato di salute, soprattutto per alcuni
gruppi socialmente svantaggiati, in quanto tali disparità sono sintomi di problemi
come la povertà e l’esclusione sociale.
Tuttavia, l’esperienza mostra che l’intervento di alcune politiche mirate può ridurre,
laddove esistono, le disparità economiche nell’accesso alle cure sanitarie e
contribuire quindi, per alcuni paesi, ad intraprendere la strada verso un
miglioramento generale delle condizioni di vita dell’intera comunità.
A mio avviso, le disuguaglianze di salute sono socialmente costruite e per questo,
possono essere affrontate e superate socialmente. L’obiettivo da raggiungere sarà
dunque la condivisione delle competenze e delle informazioni, in modo da scoprire
le migliori pratiche e l’ambito nel quale esse possono agire con successo. Progetti in
questo campo cofinanziati dal settore pubblico, privato, dalle più grandi
organizzazioni internazionali e da quelle Non Profit, che nel loro piccolo riescono a
raggiungere risultati concreti attraverso la volontà e l’impegno, contribuiscono a
riunire, nel loro insieme, esperienze, nuove conoscenze e nuove idee e
contribuiscono ad aiutare le politiche sanitarie a vincere le sfide che devono
affrontare.
Abbiamo avuto modo di vedere, come le azioni più corrette per la salute sono quelle
che vanno fortemente ad influenzare, in primis, le condizioni di vita e di salute delle
persone, riducendo le disuguaglianze e rimodellando i loro percorsi di vita. Per fare
ciò, è necessario, promuovere la collaborazione di una pluralità di soggetti,
istituzionali e non, puntando di più sugli strumenti della comunicazione e cercando
di promuovere azioni coordinate con la comunità internazionale.
A mio avviso, devono essere adottati interventi e politiche che consentano di
aggredire le disuguaglianze di salute con un approccio integrato, che faccia propri
più obiettivi di salute.
Le politiche di salute dunque, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, caratterizzati
da condizioni di estremo sottosviluppo in ogni settore della società, possono
105
funzionare solo se caratterizzate da multidisciplinarietà, ovvero dalla necessità di
coniugare le competenze sanitarie con quelle sociali, politiche e urbanistiche; da una
maggiore capacità nel riconoscere e valorizzare i bisogni locali; e dalla capacità di
attivare e valorizzare la collaborazione delle istituzioni e soprattutto il
coinvolgimento dei cittadini.
Il concetto di salute, come abbiamo visto, è infatti così complesso che sfugge alla
riduzione a uno solo dei fattori oggettivi, soggettivi e socioculturali che la
caratterizzano. È una nozione integrale, che inoltre sul piano della vita concreta, si
può riscontrare solo ad un livello relativo, in quanto essa è determinata e limitata dal
significato della vita stessa.
Alla luce di quanto detto è perciò doveroso sottolineare l’importanza, ai fini di
interventi che risultino efficaci ed efficienti, di quella che abbiamo chiamato
community participation, soprattutto in ambito di definizione ed elaborazione degli
interventi, attraverso la consultazione di chi realmente prova sulla sua pelle la
carenza di bisogni di cui necessita.
Quella a cui si aspira, attraverso l’utilizzo di tale concetto, sarà lo sviluppo di una
strategia globale, sensibilizzata verso il tema della solidarietà e che veda tutti gli
attori, uniti verso misure coordinate, ciascuno con un ruolo importante da svolgere:
governi, società civile, organizzazioni comunitarie, nazionali e regionali, istituzioni
globali, donatori, fondazioni filantropiche, Nazioni Unite, banche di sviluppo,
settore privato, personale sanitario, associazioni professionali, accademici e
ricercatori.
“Ora è il momento per tutti i partner ad unirsi in uno sforzo concertato. Ciò significa
priorità nei pacchetti di interventi ad alto impatto, rafforzamento dei sistemi sanitari
e integrazione delle attività tra le malattie e settori come sanità, istruzione, acqua,
igiene e nutrizione. Significa anche promuovere i diritti umani, parità tra i sessi e la
riduzione della povertà175”.
175 Ban ki-moon, Global strategy for women’s and children’s health, New York, September 2010
106
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Ringraziamenti
Ed eccomi finalmente giunta alla parte apparentemente più semplice ma non per
questo meno importante del mio elaborato, la sezione dedicata ai ringraziamenti.
Vorrei ringraziare innanzitutto il mio Prof. Antonio Maturo, che nonostante i suoi
impegni internazionali, si è preso in carico la mia elaborazione, offrendomi la sua
professionalità e disponibilità con consigli, suggerimenti e correzioni e adoperandosi
affinchè riuscissi a laurearmi nonostante la sua impossibilità di presiedere in
commissione. Un grazie doveroso al Prof. Cipolla e alla correlatrice Linda Lombi,
che mi hanno dato la possibilità di laurearmi e di discutere e presentare questa tesi
insieme a loro.
Un ringraziamento speciale va alla Mk Onlus, in particolare al Sig. Luciano Diversi,
delegato speciale per la logistica delle missioni in Burkina Faso, per la sua
immediata disponibilità nel concedermi informazioni, materiale e testimonianze
sugli interventi e le azioni svolte, ma soprattutto per il suo entusiasmo veramente
contagioso.
Un grazie particolare va alla mia famiglia, la mia prima sostenitrice, a partire dai
miei genitori, che mi hanno dato ancora una volta la possibilità di superarmi ancora,
raggiungendo questo importantissimo traguardo. Se questa tesi è dedicata a mio
padre, come celebrazione per la sua inesauribile dedizione verso il sociale e il
sanitario, a mia madre certamente devo l’insegnamento dell’importanza di valori
quali solidarietà, speranza e carità che ne stanno alla base. Grazie a mio fratello
Gabriele, mia sorella Emanuela, mio cognato Lele e all’ultimo arrivato Simone, il
mio primo nipotino, che mi ha tenuto compagnia nell’ultimo mese dedicato alla tesi,
forse il più duro e, a volte, il più scoraggiante, ma i suoi strilletti e sornecchiamenti
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si sono rivelati un’ottima fonte di ispirazione, è strano da capire, ma è
impressionante quanto un bambino appena nato riesca a trasmetterti un’enorme
quantità di forza ed energia.
Un grazie speciale a tutti gli zii e parenti, che mi sono sempre stati vicini e che, con
la giusta dose di interesse e affetto, mi hanno sempre supportato e incoraggiato nel
mio cammino universitario. In particolare, Zia Carla, la zia preferita per eccellenza,
la cugina Jessica, quasi come una sorella per me, la lontananza si fa sentire ma colgo
l’occasione per dirle quanto sia orgogliosa della sua forza e del suo coraggio, sono
sicura che la passione e l’impegno che stai mettendo in ciò che credi ti sarà ripagato.
Un grazie di cuore a Zio Mario e una dedica in cielo a Zia Rosa, i miei nonni
acquisiti, con cui ancora una volta ho condiviso gioie e dolori lungo questo cammino
universitario e ai quali dedico questo mio secondo traguardo, il più importante .
Se il capitale sociale si vede dalle relazioni parentali e amicali che uno tiene, mi
posso realmente considerare molto ricca; non posso qui citare ogni singolo persona
che, in un certo senso, ha caratterizzato anche un solo piccolo momento della mia
vita fino ad ora, ma vorrei sottolineare quelli che so che, sicuramente,
condivideranno con me questo momento, a partire dagli amici storici e di infanzia
Giulia, Daniele e Gigia, dalle mie compagnie di squadra vecchie e nuove, dai miei
colleghi di lavoro e da tutti gli amici, vecchi e nuovi che hanno sempre saputo
dimostrarmi il loro affetto, partecipando alle mie gioie e ai miei dolori in maniera
gratuita e sincera, grazie davvero a tutti.
Da ultimo, ma non per ordine di importanza, quanto di entrata nella mia vita e nel
mio cuore, un grazie speciale all’unica persona che realmente mi ha sopportato in
questi tre anni e a ha condiviso concretamente insieme a me, i momenti felici e
quelli più bui, standomi vicino sempre e incondizionatamente. Il mio cuore è sempre
più e inevitabilmente nelle tue mani, ogni giorno che passa, grazie di tutto Riki, ma
soprattutto di esistere.