Avolesi Gennaio 2009 - Gli Avolesi nel Mondo · di Enrico Bullian 39 Avolesi alla Fincantieri di...

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S O M M A R I O Associazione Culturale Fondata nel 1998 da Michele D’Amico Avolesi nel mondo Rivista di arte, storia, cultura, attualità Anno X n. 22 - 2009 n. 1 GENNAIO Edizioni proprie Presidente Grazia Maria Schirinà Direttore responsabile Eleonora Vinci Direttore della fotografia Corrado Sirugo COMITATO DI REDAZIONE Sebastiano Burgaretta - Michele Favaccio - Maria Giallongo Grazia Maria Schirinà - Nella Urso - Eleonora Vinci IN COPERTINA Avola, particolare della Fontana dei leoni - foto di Corrado Sirugo FOTOGRAFIE Corrado Bono – Paolo Candido – Aldo Cassinese – Antonio Dell'Albani Maurizio Florio – Corrado Sirugo – Gabriella Tiralongo – Antonino Vinci HANNO COLLABORATO Isabella Amodei di Filpo - Giuseppe Astuto - Corrado Bono Enrico Bullian - Sebastiano Burgaretta - Sebastiano Caia Beatrice Campisi - Vincenza Caruso - Umberto Confalonieri Michele Favaccio - Paolo Fontana Angela Grande - Franco Marino - Salvatore Monello - Giorgio Morale Paolo Randazzo - Maria Teresa Rossitto Pirrone - Grazia Maria Schirinà Giovanni Stella - Samuele Suma - Michele Tarantino - Corrado Tedesco Gabriella Tiralongo - Sebastiano Tiralongo - Corrado Vella Eleonora Vinci - Sergio Zavoli - Nella Urso - Nicoletta Zorzan HANNO CONTRIBUITO Caffè Girlando - Registri Buffetti Linea Carrozzeria Guarino - Pasticceria Tre Bontà - La bottega dell’Arte Banca Agricola Popolare di Ragusa REDAZIONE Avola, via Felice Orsini, 3 - Tel. 0931/832590 - Fax 0931/834522 www.gliavolesinelmondo.it - e-mail: [email protected] Registrazione al Tribunale di Siracusa n. 9/2000 del 26/05/2000 Progetto grafico e impaginazione: Grapho Art, via Piemonte, 7 - Avola - Tel. 0931.561337 Stampa: Motta Arti Grafiche - Avola Chiuso in tipografia il 29 Gennaio 2009 sedi associative: Avola, via Felice Orsini, 3 - 96012 c/o studio Monello - Roma, via Chiana, 87 - 00198 La redazione declina agli autori la responsabilità di quanto viene affermato negli articoli. I testi per la prossima rivista dovranno pervenire preferibilmente entro il 30 Maggio 2009 Il contributo annuo associativo, di euro 40,00 per i soci ordinari residenti ad Avola e di euro 60,00 per i soci benemeriti o non residenti, può essere effet- tuato con le seguenti modalità: Bonifico Bancario: codice IBAN IT22U0503684630CC0341241705 presso Banca Agricola Popolare di Ragusa; Conto corrente postale n. 12330916 I soci under 30 usufruiranno dello sconto del 50%. Da parte dell’Associazione verrà rilasciata ricevuta dell’avvenuta riscossione. 2 Sursum corda! di Grazia Maria Schirinà 3 Frateantonio a Ronciglione di Michele Tarantino 5 Avola di Isabella Amodei di Filpo 7 Un uomo e un artista, Intervista all’attore Lino Coletta di Sebastiano Burgaretta 13 La sarta dell’isola di Maria Teresa Rossitto Pirrone 14 90° Anniversario della battaglia di Vittorio Veneto di Michele Favaccio 16 L’onestà di Carmine Tedesco 18 Una favola moderna di Nella Urso 19 Avola... 40 anni dopo di Gabriella Tiralongo 21 I giardini di Avola di Sergio Zavoli 24 Avola 2 dicembre 1968 di Giorgio Morale 25 Viaggio in treno di Grazia Maria Schirinà 26 Ieri come oggi Avola V B ginnasiale - 1998 28 I fatti di Avola di Sebastiano Burgaretta di Giuseppe Astuto 30 Rrèpitu per il due dicembre. Memoria breve in cinque moti di Sebastiano Burgaretta 31 Barack Obama di Giovanni Stella 32 Malastrada: il nuovo spettacolo di Tino Caspanello di Paolo Randazzo 33 Mi scantu! di Paolo Fontana e Nicoletta Zorzan 34 Le giornate del ricordo per un delitto tanto efferato di Eleonora Vinci • Cantina del ragazzino di Beatrice Campisi Eredi di Vincenza Caruso • Settembre di Umberto Confalonieri 36 Avola e il fiorente mercato del limone di Umberto Confalonieri 37 La fede ci può aiutare di Sebastiano Caia 38 Il male che non scompare: l’amianto. Un crimine di pace a responsabilità diffusa di Enrico Bullian 39 Avolesi alla Fincantieri di Monfalcone di Salvatore Monello 40 La mensa di accoglienza “San Vincenzo De’ Paoli” e i suoi 13 anni di attività di Eleonora Vinci 42 Energia e ambiente: quale futuro? di Sebastiano Tiralongo 43 Dai pensieri di Martina La vita - Il Mare - I Sogni di Martina Agricola Canzuni d’addiu di Angela Grande La nuova alba di Corrado Bono 44 Meteorologia di Corrado Vella 46 Lettera di Franco Marino all’ex prefetto dott. Francesco Marino di Franco Marino 48 L’angolo della posta

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S O M M A R I O

Associazione Culturale

Fondata nel 1998 da Michele D’Amico

Avolesi nel mondoRivista di arte, storia, cultura, attualità

Anno X n. 22 - 2009 n. 1 GENNAIOEdizioni proprie

Presidente Grazia Maria SchirinàDirettore responsabile Eleonora Vinci

Direttore della fotografia Corrado Sirugo

COMITATO DI REDAZIONESebastiano Burgaretta - Michele Favaccio - Maria Giallongo

Grazia Maria Schirinà - Nella Urso - Eleonora Vinci

IN COPERTINAAvola, particolare della Fontana dei leoni - foto di Corrado Sirugo

FOTOGRAFIECorrado Bono – Paolo Candido – Aldo Cassinese – Antonio Dell'Albani

Maurizio Florio – Corrado Sirugo – Gabriella Tiralongo – Antonino Vinci

HANNO COLLABORATOIsabella Amodei di Filpo - Giuseppe Astuto - Corrado Bono

Enrico Bullian - Sebastiano Burgaretta - Sebastiano CaiaBeatrice Campisi - Vincenza Caruso - Umberto Confalonieri

Michele Favaccio - Paolo FontanaAngela Grande - Franco Marino - Salvatore Monello - Giorgio Morale

Paolo Randazzo - Maria Teresa Rossitto Pirrone - Grazia Maria SchirinàGiovanni Stella - Samuele Suma - Michele Tarantino - Corrado Tedesco

Gabriella Tiralongo - Sebastiano Tiralongo - Corrado VellaEleonora Vinci - Sergio Zavoli - Nella Urso - Nicoletta Zorzan

HANNO CONTRIBUITOCaffè Girlando - Registri Buffetti

Linea Carrozzeria Guarino - Pasticceria Tre Bontà - La bottega dell’ArteBanca Agricola Popolare di Ragusa

REDAZIONEAvola, via Felice Orsini, 3 - Tel. 0931/832590 - Fax 0931/834522www.gliavolesinelmondo.it - e-mail: [email protected]

Registrazione al Tribunale di Siracusa n. 9/2000 del 26/05/2000

Progetto grafico e impaginazione:Grapho Art, via Piemonte, 7 - Avola - Tel. 0931.561337

Stampa: Motta Arti Grafiche - Avola

Chiuso in tipografia il 29 Gennaio 2009sedi associative: Avola, via Felice Orsini, 3 - 96012c/o studio Monello - Roma, via Chiana, 87 - 00198

La redazione declina agli autori la responsabilitàdi quanto viene affermato negli articoli.

I testi per la prossima rivista dovranno pervenirepreferibilmente entro il 30 Maggio 2009

Il contributo annuo associativo, di euro 40,00 per i soci ordinari residenti adAvola e di euro 60,00 per i soci benemeriti o non residenti, può essere effet-tuato con le seguenti modalità:Bonifico Bancario: codice IBAN IT22U0503684630CC0341241705 pressoBanca Agricola Popolare di Ragusa;Conto corrente postale n. 12330916I soci under 30 usufruiranno dello sconto del 50%.Da parte dell’Associazione verrà rilasciata ricevuta dell’avvenuta riscossione.

2 Sursum corda!di Grazia Maria Schirinà

3 Frateantonio a Ronciglionedi Michele Tarantino

5 Avoladi Isabella Amodei di Filpo

7 Un uomo e un artista, Intervista all’attore Lino Colettadi Sebastiano Burgaretta

13 La sarta dell’isoladi Maria Teresa Rossitto Pirrone

14 90° Anniversario della battaglia di Vittorio Venetodi Michele Favaccio

16 L’onestàdi Carmine Tedesco

18 Una favola modernadi Nella Urso

19 Avola... 40 anni dopodi Gabriella Tiralongo

21 I giardini di Avoladi Sergio Zavoli

24 Avola 2 dicembre 1968di Giorgio Morale

25 Viaggio in trenodi Grazia Maria Schirinà

26 Ieri come oggiAvola V B ginnasiale - 1998

28 I fatti di Avola di Sebastiano Burgarettadi Giuseppe Astuto

30 Rrèpitu per il due dicembre. Memoria breve in cinque motidi Sebastiano Burgaretta

31 Barack Obamadi Giovanni Stella

32 Malastrada: il nuovo spettacolo di Tino Caspanellodi Paolo Randazzo

33 Mi scantu!di Paolo Fontana e Nicoletta Zorzan

34 Le giornate del ricordo per un delitto tanto efferatodi Eleonora Vinci• Cantina del ragazzino

di Beatrice Campisi• Eredi

di Vincenza Caruso• Settembre

di Umberto Confalonieri

36 Avola e il fiorente mercato del limonedi Umberto Confalonieri

37 La fede ci può aiutaredi Sebastiano Caia

38 Il male che non scompare: l’amianto.Un crimine di pace a responsabilità diffusadi Enrico Bullian

39 Avolesi alla Fincantieri di Monfalconedi Salvatore Monello

40 La mensa di accoglienza “San Vincenzo De’ Paoli”e i suoi 13 anni di attivitàdi Eleonora Vinci

42 Energia e ambiente: quale futuro?di Sebastiano Tiralongo

43 Dai pensieri di MartinaLa vita - Il Mare - I Sognidi Martina AgricolaCanzuni d’addiudi Angela GrandeLa nuova albadi Corrado Bono

44 Meteorologiadi Corrado Vella

46 Lettera di Franco Marino all’ex prefetto dott. Francesco Marinodi Franco Marino

48 L’angolo della posta

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Mentre si era alle stampe dell’ultima rivista pubblicata, abbia-mo avuto il piacere di sapere che il vescovo della nostra dio-cesi di Noto, mons. Mariano Crociata, era stato nominatoSegretario della CEI. Col rammarico di vedere allontanarsi,anche se per compiti senza dubbio più onerosi e validi dellareggenza di una diocesi come la nostra, un Pastore di talelevatura spirituale e culturale, abbiamo sentito il dovere diandarlo a salutare e di fargli avere il numero della rivista, che,guarda caso, conteneva un articolo a lui dedicato. La suadisponibilità ad accoglierci è stata grande, e, in quell’occasio-ne, abbiamo ricevuto incoraggiamenti e lodi per il nostrolavoro, che ha mostrato di apprezzare ampiamente.Il 2008 si è appena concluso e noi abbiamo voluto iniziare ilnuovo anno assieme ai nostri soci-amici per uno scambio diauguri e per la presentazione della programmazione annuale.Giorno 5, al Porto Matto c’eravamo tutti, o quasi, per trascor-rere insieme una serata conviviale. In questa occasione è statopresentato il calendario del 2009, riproducente un quadro del-l’amico Corrado Frateantonio, già pubblicato nel servizio chelo riguardava nel n.1/2008; quadro significativo, a mio avvi-so, del ruolo della nostra terra nell’ambito del Mediterraneo.Se consideriamo, infatti, che il 2010 sarà l’anno del libero scambiofra l’Unione Europea e i partner afro-asiatici, presentandoquesto quadro vogliamo precorrere i tempi e augurarci che siraggiungano gli obiettivi fissati dalla Conferenza diBarcellona del 1995, con la realizzazione di una zona di pacee stabilità e con lo sviluppo di società libere e democratiche.Diciamo ciò consapevoli che molti sono ancora i problemi darisolvere: per esempio, il conflitto palestinese-israeliano è,purtroppo, lontano da una pacifica soluzione e in molti Paesialcuni diritti dell’uomo, anche se riconosciuti, spesso nonsono applicati.Consapevoli altresì del valore delle tradizioni che vogliamotrasmettere, sollecitati dall’interesse di alcuni soci, in partico-lare di Clara Trefiletti Candido e Corrado Bono, che propone-

vano gustosi indovi-nelli (nivinagghi),abbiamo curato unapiccola raccolta dinivinagghi pp’a fa-migghi, proponendo-la durante la stessaserata. L’amica Cla-ra, ceramista titolarede “La bottega del-l’arte”, già nostro spon-sor, ha voluto regala-re, a chi indovinavala soluzione degli in-dovinelli proposti,piccoli doni auguralida lei stessa realizza-ti. È stato un modo per vivacizzare la serata, rendendo parte-cipi tutti gli intervenuti, i quali, ricevendo in dono la nostrapubblicazione, si sono rammaricati di non aver trovato lerisposte e si sono scervellati, si fa per dire, per indovinarequelle giuste. Tutti, con estro e inventiva, si sono cimentati ehanno fatto riflettere sull’importanza di questo tipo di espres-sione culturale. I nivinagghi o miniminagghi, da sempre, sonostati alla base della curiosità umana o, oserei dire, della ci-viltà. Si tratta più comunemente di un enigma popolare, diforma breve e di facile memorizzazione, dotato di una strut-tura metrica elastica e, generalmente, anche di una formulad’inizio che varia da luogo a luogo: “Indovina, indovinaglia”in Sicilia; “Cosa, cosella” in Lucania; “Devine, devinaille” inBretagna; “Adivina, adivinanza” in Andalusia; ecc.Visto dunque il successo ottenuto con questo esperimento,abbiamo proposto a tutti, di frugare nei loro ricordi e di pro-porne altri, ovviamente diversi da quelli già inseriti per pote-re pubblicare un testo più ricco, con le dovute soluzioni. Sitratta di un’operazione altamente culturale, perché, che io sap-pia, non ci sono pubblicazioni in dialetto avolese di tal gene-re. Qui si aprirebbe un altro capitolo da affrontare, perché“l’avolese” è un dialetto diverso da tutti gli altri, un’isolaquasi a parte, anche rispetto a Noto e Siracusa, centri limitro-fi. Durante la serata l’amico Paolo Candido ci ha fatto dono diun suo componimento in vernacolo, che ci piace proporre:Aulisi unu ogni paisi/chista è l’antica frasi./Aulisi nnomunnu/fu ra bonanima l’ispirazioni/ri rapiri st’associazio-ni./Cettu nunn’ è facili puttalla avanti,/ci vonu soddi, sacrifi-ci e vuluntà,/pp’i chistu c’è Graziella Schirinà./N’autra cosavi vogghiu riri./Nun v’alluditi/se arrivati ‘nta ‘mpostu e rici-ti/nun hagghiu truvatu aulisi:/forsi siti l’unicu ‘nta su paisi.

Sursum corda!

di Grazia Maria Schirinà - foto di Paolo Candido

EDIT

ORIA

LEAvolesi nel mondo - Anno 10 n. 1 - Gennaio 2009

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Mons. Crociata fra la presidente ed Enrica Munafò.

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Avolesi nel mondo - Anno 10 n. 1 - Gennaio 2009

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Ronciglione è una cittadina dell’Alto Lazio di qualchemigliaio di abitanti. Sfoggia un suggestivo quartieremedioevale e gode turisticamente della presenza del vicinolago di Vico. Per dire che, di per sé, non si tratta di realtàurbana che ordinariamente aspiri ad ospitare eventi artisticidella rilevanza e del significato di quello che vi si è svoltodurante il trascorso mese di ottobre. Il fatto è che aRonciglione agisce una validissima associazione culturale“Tempi Moderni” e lì vive ed opera un mecenate della forzae della sensibilità di Gianni Di Mattia. Di tal che, dopo unpaio di sofferti rinvii, proprio nell’edificio cinquecentescodi proprietà del Di Mattia, nel bel mezzo della principalearteria cittadina, dall’11 al 19 ottobre è stata ospitata la per-sonale del maestro Corrado Frateantonio. Di più, il palaz-zo, dopo il radicale restauro curato senza lesinare risorsedal Di Mattia predetto, ha aperto i saloni del primo piano,proprio con la Mostra del nostro illustre concittadino.Cinquanta tele del Frateantonio vi erano sapientementeesposte. Un itinerario artistico lungo sette superbi saloniche ha consentito ai visitatori di godere del poliedricomondo figurativo di Corrado. Noi della Sezione romanadell’Associazione degli “Avolesi nel Mondo” c’eravamo.Alle 18 in punto, fra i tantissimi intervenuti, una gagliardarappresentanza di Avolesi varcava la soglia dell’ampio por-tone di ingresso. Non voglio ora nominarli tutti e correre ilrischio di far immeritato torto a qualcuno. Non posso farea meno di ricordare quanti erano venuti dalla lontana Avolaper non mancare l’evento. Il sindaco dott. AntoninoBarbagallo e l’ assessore alla Cultura sig. Giuseppe Carbè,rappresentarono nell’occasione l’intera cittadinanza. Conloro, anch’essi venuti da Avola, c’erano la prof.ssa Grazia

Frateantonioa Ronciglione

di Michele Tarantino - foto di Aldo Cassinese

SEZI

ONE

DI R

OMA

Ma veniamo ad altro. Il 22 Dicembre 1998 un gruppo diamici, sollecitati dal dott. Michele D’Amico, ci ritrovammo inpiazza Teatro dal notaio Battista, per fondare, in Avola, un’as-sociazione culturale: “Gli Avolesi nel Mondo”, ASCAM; il 22dicembre del 2008 ha avuto inizio il decimo anno di vita dellanostra associazione. Vogliamo che questo decennale sia unmomento diverso, particolare, ricco di avvenimenti culturali edi partecipazione personale di tutti. Il dott. D’Amico dicevache dobbiamo ricevere dieci da ciascuno, ma rendere cento atutti. L’impegno nostro è massimo; con i pochi mezzi di cuidisponiamo non lesiniamo tempo e professionalità nella rea-lizzazione della rivista e delle attività varie organizzate nelcorso dell’anno. Raramente siamo supportati economicamen-te dagli Enti pubblici cui abbiamo fatto ricorso e ne siamostati amareggiati. Oggi però, consapevoli di offrire alla città ealla sua storia, tramite la rivista, uno strumento importante perla conoscenza del territorio, consapevoli altresì della sua vali-dità per aver superato il decennio e per la mole di materialeche ci è stato donato dai nostri collaboratori, con la speranzadi poterlo offrire tutto ai nostri lettori, vogliamo guardare alfuturo con ottimismo. Certamente la situazione economica, alivello locale, nazionale, o meglio, mondiale, non è delle piùrosee (forse è proprio nera), ma siamo tutti tartassati da mes-saggi espliciti e subliminali che ci inducono alla tristezza e/oa piangere su noi stessi. Non è una bella cosa. Bisogna reagi-re! Già dal fatto di esserci dobbiamo trarre la forza per conti-nuare, certi che verranno tempi migliori e che, comunquevadano le cose, il nostro intervento nel territorio, nonostantela stanchezza fisica e morale di alcuni momenti, è stato posi-tivo. Proprio in questo contesto, da quest’anno, vogliamoaprirci maggiormente all’altro con azioni concrete di acco-glienza e solidarietà, soprattutto per quanto riguarda il mondodegli anziani, che, come sappiamo, attendono i nostri inter-venti e per i quali la rivista stessa è compagna e conforto, eper quanto riguarda anche i giovani, patrocinando, ove possi-bile, le loro richieste e aiutandoli a emergere. Vogliamoriprendere, dunque, quanto il nostro statuto già prevede, perincidere ancora di più sul territorio. Sursum corda!

Il maestro Corrado Frateantonio durante la conferenza stampa

Clara Trefiletti e Corrado Bono leggono Nivinagghi.

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Avolesi nel mondo - Anno 10 n. 1 - Gennaio 2009

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Maria Schirinà, presidente sempre più convinta e determi-nata della nostra Associazione degli “Avolesi nel Mondo”,il consorte di lei, stimatissimo dott. Sebastiano Munafò; ilgenerale Michele Favaccio e la moglie Nella Urso; il prof.Sebastiano Burgaretta e la moglie prof.ssa Rosa Raeli; ilprof. Corrado Piccione con la moglie Saria Trovato; lasorella e la nipote del maestro Lala Frateantonio eMargherita Tiralongo. Non voglio, qui, dilungarmi nel rimarcare la validità del-l’evento artistico, forte della nutrita presenza di oli diFrateantonio, opere fra le più significative della sua varie-gata esperienza pittorica. Mi sia concesso tentare una sin-tesi con il riportare alcuni brani degli scritti di esperti d’ar-te e/o semplici amici e ammiratori del pittore, che introdu-cono il catalogo della Mostra.Dopo aver tratteggiato la ricca personalità artistica diCorrado, così si esprime il critico d’arte Franco Giordano:Col tempo ho capito che per comprendere la pittura diCorrado bisognava per forza di cose scinderla per genere;è come se tre/quattro pittori vivessero in un unico corpo e,forse, bisognerebbe parlare di tre/quattro distinti maestri,tutti capaci di creare capolavori assoluti.Circa l’atteggiamento di Frateantonio nei confronti dellarealtà, così intensamente presente in grandissima partedelle opere, e pur così variamente vissuta, in maniera rea-listica piuttosto che veristica, un appassionato cultore dicose d’arte, amico ed estimatore di Corrado, Mons.Michele Basso, ci dice: Malgrado una tipologia apparen-temente uniforme Frateantonio riesce a creare non un pae-saggio tipo atteggiato nelle differenti situazioni, ma unpopolo di personaggi; un mondo di gente simile tra loro ediverso, di azioni, di animali, di colline, di cieli, che puressendo intrisi di un solo sentimento desolato e cupo, la cuiradice sociale è evidente, articola un poema tra i più ric-chi e vasti che mai siano stati scritti sulla vita di ogni gior-no di un popolo. Uomini – poveri Cristi, come li evoca unaltro commentatore – che ora io ammiro e che mi parlano

dalle pareti dei saloni della Mostra.Ciascuno trasmettendo un inconsapevo-le quanto profondo messaggio: Operai;Sulla soglia; Pescatori; Uomini inPiazza; Rammendo; Uomo che beve;Pescatore ad Avola, per menzionarealcune delle opere presenti nellaMostra. Infine – ma solo per le dimensioni delpresente scritto, ché il discorso sarebbe,altrimenti, ben più lungo – quanto alleopere di argomento religioso, le più re-centi: Crocifissione, Deposizione, Re-surrezione (in catalogo), Annunciazione,Fuga in Egitto – osserva il nostro Se-bastiano Burgaretta: Ci sono, nel com-plesso, una levità, un senso di “celeste”lirismo che, nonostante qualche proba-

bile, non so quanto involontaria, ascendenza memoriale,quasi certamente sono ispirati dal cammino interiore chel’artista ha percorso negli ultimi anni e da determinatiapprofondimenti di natura teologica che presumibilmentevi stanno dietro... Del resto lo stesso registro coloristiconuovo, con il suo spostamento verso toni pastello, chiari,luministici, dei più recenti lavori, è un ulteriore segno del-l’evoluzione subita dalla creatività pittorica di Fratean-tonio. Anche il colore, infatti, oltre e accanto al segno, èvenuto spostandosi in direzione di una levità lirica vieppiùevidente e confermata nelle ultime realizzazioni. A me piace notare che, affrontando l’argomento religioso,Corrado, con timidezza e rispetto, io credo, sottrae fisicitàalle figure; rompe la continuità del colore; pone in essereuna serie di pennellate per delineare spazi, a volte impro-babili ed incerti. Com’è della fede.Lasciata la Mostra, con il proponimento di ritornare pergodercela con maggiore concentrazione, ci recammo acena da Fiorò, caratteristico ristorante in riva al lago diVico. Qui l’imprevista presenza di circa centocinquantapersone mise a dura prova gli organizzatori. Non ci fumodo di riunire tutti i commensali in un solo ambiente.Molti dovettero privarsi della presenza del “protagonista”,in altra sala, con numerosi altri presenti. Corrado ripagògli insoddisfatti dando il meglio di sé il mattino seguentecon l’illustrare senza risparmio di energie il palazzoFarnese di Capranica.Mi capita qualche volta di chiedermi se vale la pena che iomi impegni così tanto per l’Associazione, come ho sinorafatto e come continuerò a fare finché sarà necessario: beh,quando mi capita, mi dico che, in ogni caso, l’Associazionedegli Avolesi nel Mondo mi ha dato l’opportunità di cono-scere uomini del valore di Corrado Frateantonio, avernel’amicizia.

Caprarola, foto di gruppo.

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Intorno agli anni ’90 a cura del Gior-nale di Sicilia di Palermo è stata pub-blicata una serie di piccoli ma elegantifascicoli sotto il titolo: “Il Tesoro del-l’Isola”.“L’invito al viaggio” era rivolto ai let-tori da Domitilla Alessi che ne era l’i-deatrice e il direttore, nonché titolaredella prestigiosa Casa Editrice paler-mitana “Novecento”, che, fra le altreiniziative, aveva creato il premio “Larosa d’oro”. Il primo personaggio insi-gnito era stato l’argentino Jorge LuisBorges, il quale l’anno successivoaveva scelto il secondo artista da pre-miare e così via, di anno in anno, per-ché è caratteristica del premio infattiche il vincitore venga proposto dalprecedente. In circa venti anni questopremio ha portato a Palermo nomi illu-stri di tutto il mondo che in qualchemodo erano legati alla Sicilia.Supervisore del progetto grafico del“Il Tesoro dell’Isola” è stato FrancoMaria Ricci; le referenze fotograficheriportavano i nomi più importanti nel-l’ambito nazionale e internazionale,alcuni scelti fra i numerosi bravissimifotografi siciliani.La pubblicazione veniva sponsorizzatadalla Regione Siciliana, dalla Provin-cia di Palermo, dall’Assessorato Re-gionale Territorio e Ambiente, da pri-vati; i fascicoli erano dati in omaggioai lettori come supplemento al Gior-nale di Sicilia.Nel mese di gennaio 1990 uscì ilnumero dedicato ad Avola “La cittàdell’Utopia”, con le fotografie di MeloMinnella.Avola ha oggi circa 32.000 abitanti; ilsito della città vecchia demolita dalsisma del 1693, più a monte rispettoalla nuova, viene indicato con il nomedi Avola Antica.Come la vicina Grammichele Avola ècaratterizzata da “una rigorosa geome-

tria”. Con un articolo di SalvatoreBoscarino si apre il fascicolo sullacittà; altri sono a firma di Salvo LoNardo, Eleonora Consoli e MariaTeresa Lanza. Quest’ultima descrivein maniera affascinante la Cava Gran-de del Cassibile, il canyon più granded’Europa, lungo una decina di chilo-metri e profondo sino a 250 metri, diuna bellezza incomparabile. Salvo LoNardo invece con la sua profondaconoscenza e grande sensibilità riescea dare in breve un’immagine completadi Avola e delle sue peculiarità.Dopo il disastroso sisma del 1693l’Amministrazione spagnola, insiemeal clero e alla nobiltà isolana, rapida-mente decise di affidare l’incarico perla ricostruzione al gesuita AngeloItalia, dandogli carta bianca anche perla scelta del luogo.La responsabilità era grave; innumere-voli dubbi dovettero creare problemi albravo architetto. Innanzitutto sarebbestato meglio ricostruire la città altro-ve? E in questa ipotesi, dove?Il territorio si presentava difficile peranfratti, corsi d’acqua, coltivazioni,insediamenti abitativi; era venuta

meno però la necessità di difesa dallaparte del mare.L’architetto si affidò quindi alla suaesperienza, alle proprie doti di intelli-genza e d’intuito, privilegiando cosìl’ipotesi di collocare il nuovo insedia-mento più vicino alla costa, sulla diret-trice che collega Siracusa con laContea di Modica, in quel pianororicco di acque ed elevato sul mare, ren-dendolo così un punto di passaggioobbligato fra due zone ad economiaavanzata.La pianta della città, secondo la ten-denza del tempo, era rappresentata daun esagono intersecato dalle linee deldecumano con il cardo massimo, daNord a Sud, da Est ad Ovest.Il punto di incontro delle vie è anche ilcentro della grandissima piazza intito-lata a Umberto I, contornata da piccoliisolati, tranne il complesso grandiosodella Chiesa Madre, San Nicolò.Gli isolati sono di forma quadrangola-re ad eccezione di quelli posti ai latiobliqui dell’esagono, che sono trian-golari o trapezoidali; racchiudono cor-tili, giardini, spazi con funzione diaggregazione, costituendo vere e pro-

Avola

di Isabella Amodei di Filpo

STOR

IAPA

TRIA

Avolesi nel mondo - Anno 10 n. 1 - Gennaio 2009

La Chiesa di S. Antonio Abate in piazzza Regina Elena alla fine degli anni ‘20 del Novecento.

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prie “unità di vicinato”. Attornoall’esagono è invece un susseguirsidi edifici più piccoli, stretti e lunghi,paralleli, separati da viuzze; ma ilmovimento pedonale e veicolare èconvogliato verso la zona del centroa mezzo di strade più larghe e con-vergenti.Avola è proprio espressione della“Città ideale” rinascimentale, oggidiremmo “a misura d’uomo”, natadalla scuola di Antonio Averulinodetto “il Filarete” e di Leon BattistaAlberti; grande architetto quest’ulti-mo, e profondo studioso di urbani-stica il primo, contemporanei e fio-rentini entrambi, anche se l’Albertiera nato a Genova da esuli fiorentini.Angelo Italia, dunque, dopo studi ericerche, tenendo presente i luoghi,la natura e soprattutto il silenzio tipi-co di uno spazio vuoto, isolato, unpo’ alto sul mare e verso i monti pro-tetto dal Cassibile, aveva scelto quelsito e quella soluzione urbanistica.Alla luce della memoria, che è sem-pre reinterpretata di tempo in tempo,reinventata, come un gioco di specchiche rimandano le immagini e scatena-no la fantasia, la città diventa una scac-chiera su cui si muovono le pedine;basta variare una mossa e il risultatocambia; se i percorsi sono infiniti lemete saranno sempre diverse.Gli itinerari ad Avola non sono maiuguali, le prospettive e gli scorci ognivolta nuovi.Mentre a Noto la direzione è quasiobbligata e a Modica bisogna andareguidati, tanto la città è grande, disper-siva, ad Avola invece occorre sostaresenza fretta davanti al barocco smorza-to degli edifici, alle chiese monumen-tali, ai palazzetti deliziosi; soprattuttobisogna cogliere la miriade di strutturearchitettoniche, di particolari insoliti,dei decori, delle vetrate, delle finestree dei fregi; e poi ringhiere, stemmi,mensole in puro stile Liberty, che sioffrono ad ogni passo, dietro gli ango-li, nei cortili, nelle vie.La scelta lungimirante dell’architettoItalia è stata alimentata ed esaltata inmodo esponenziale innanzitutto dalbarocco con la fantasia della pietra e lasontuosità delle linee e poi dal gusto

orientaleggiante del Liberty con imateriali innovativi e coi colori accesi,luminosi, gli uni e gli altri pur nella piùrigorosa tradizione del vetro, del ferrobattuto, della ceramica e del legno, raf-finati prodotti di artisti locali.Con il sisma del 1693, come detto,poco si salvò dalla distruzione totale equindi pochissimo fu recuperato; madesidero ricordare qualcosa che tutta-via è rimasto e viene custodito ancoraoggi con grande amore e interesse daicittadini.Nella sua cappella ove si trovava, nellaChiesa totalmente distrutta, fu “salva-ta” la statua molto venerata ad Avoladel Cristo alla colonna, intatta. Operastupenda, in legno e gesso dipinto, erastata realizzata nel 1612 da un ignotoartista.Era proprio l’immagine della lacerantesofferenza della gente colpita da queldisastro morale e materiale. Parevaproprio che ancora una volta Gesùvolesse condividere il dolore di ciascu-na delle vittime.I sopravvissuti allora offrirono alCristo quanto di più prezioso avevano

potuto recuperare dalle macerie sindalla notte che seguì le prime scos-se, dando così un segno concreto difede nella Resurrezione e una spe-ranza ai sofferenti, a chi aveva per-duto tutto.La Chiesa nuova, benedetta diecianni dopo, l’11 gennaio 1703 venneintitolata a S. Antonio Abate la cuiimmagine, del 1713, era stata dona-ta dai lavoratori della canna da zuc-chero, i cosiddetti “cannamilari”. Lacoltura della canna da zucchero erapraticata nel territorio da oltre tre-cento anni; il culto del Santo invecerisale al XII secolo. L’immagine chesi trova nella Chiesa reca i suoi sim-boli come protettore degli animalidomestici, ma anche degli ammalatidi “herpes zoster” o “fuoco di S.Antonio”.Sullo sfondo del quadro in alto èriprodotto l’antico prospetto dellaChiesa, quello del periodo barocco.La facciata attuale della Chiesa èneoclassica, ma è stata conservataanche la facciata del ‘700, ricostrui-

ta subito dopo il terremoto. Lo spaziotra le due facciate è stato utilizzatoinfatti per collocare in alto l’organo.Bellissimi sono gli altari, quello inonice verde, miele e diaspro; l’altrobarocco con marmi mischi e diaspro,che, sacrificandolo un po’, accoglie inuna grande teca la statua del Cristoalla colonna.Interessante l’acquaforte del 1756 conla pianta esagonale nitidissima diAvola.È comunque ancora tangibile che lacittà fu ricostruita ex novo in brevetempo con il contributo economico,l’apporto fattivo e la volontà di tutte leforze: potere centrale, nobiltà, clero,gente comune.Avola quindi non è da meno dellemagnifiche cittadine che la circonda-no: Ragusa, Noto, Modica, e poi Sci-cli, Pachino, Ispica, Chiaramonte Gulfi.Ha degli aspetti insoliti e richiede visita-tori più attenti e sensibili, pronti a rece-pire questo “tesoro”, un po’ nascosto.

Foto tratte dal volumeSant’Antonio Abate in Avola di FrancescaGringeri Pantano

S. Antonio Abate - Altare del Cristo alla colonna.

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Da anni mi è capitato d’incontrare spes-so, per le vie di Avola, un signore dallafigura snella, il volto segnato dal tempo,un berrettino sul capo riccioluto, calzon-cini e sandali nei mesi estivi, l’imman-cabile borsello a tracolla. L’ho visto,ogni volta, incedere speditamente, conatteggiamento dimesso, quasi semprecome assorto nei suoi pensieri, schivo,insomma, e solitario, ma sempre conportamento serio e dignitoso. Le primevolte mi domandavo chi fosse questosignore un po’, all’apparenza, eccentri-co, ma, al tempo stesso, di una compo-stezza che, certo, non passava inosserva-ta. Ho saputo poi, da qualcuno, che sitrattava del nostro concittadino attorePasqualino Coletta, di recente tornato adAvola, dopo esser vissuto per molti annifuori e aver lavorato nello spettacolo.Qualche amico che lo conosce meglio dime ne ha poi esaltato le qualità umane,confermando con ciò quanto io peraltroavevo già negli anni vagamente intuito.Confesso che affiorava in me il deside-rio di conoscere questa persona da vici-no, ma mi trattenevano, dal presentarmimea sponte a lei per la strada, un po’ ilsenso della discrezione e un po’ il timo-re di apparire il curioso di turno che va ainvadere il terreno della vita altrui. Ilcontegno serio della persona rafforzavaquesto mio timore. Un evento speciale, aun certo punto, mi venne in soccorso,sciogliendo, in certo qual modo, i mieitimori e le mie cautele. Lo colsi, facen-do zapping come raramente mi succede,mentre, sulla rete locale TV Amica, leg-geva un canto della “Divina Com-media”. Fermai il tasto del telecomandoe, ascoltando il programma, rimasi pia-cevolmente coinvolto dal fascino discre-to e misurato che lettura e mimica delvolto di Coletta emanavano a profusio-ne. Toccai allora, come si dice, conmano, sia pure attraverso lo schermotelevisivo, la passione artistica e, siintuiva pour cause, la carica umana diquesta persona, che, quando cammina

per le vie di Avola, ha l’apparenza di unuomo assorto in astrattezze sue persona-lissime. E invece dal teleschermo comu-nicava una straordinaria ricchezza inte-riore e un trasporto emotivo che solo altelespettatore distratto sarebbero potutesfuggire.Per me fu come fare conoscenza direttacon Pasqualino Coletta, attore in pensio-ne, che per anni ha lavorato in teatro enel cinema col nome d’arte di LinoColetta. Non mi fu difficile, quindi, fer-marlo alla prima occasione per strada e,superando timori e cautele, salutarlo,presentarmi a lui e congratularmi per illavoro che andava registrando, con lalettura di Dante, a TV Amica. Grandifurono la mia emozione e, in parte, ilmio intimo disagio, al sentire il signorColetta ringraziarmi, commosso, delmio gesto, e, soprattutto, profondersi inattestati di stima per la mia persona. Miprecisò subito, infatti, che mi conoscevae mi apprezzava da tempo, schermendo-si, per contro, davanti alle mie espres-sioni di ammirazione e di simpatia perlui.Il ghiaccio, come si suol dire, era rotto, eda quel giorno ci salutiamo e scambiamo

qualche battuta ogni volta che ci incon-triamo. Devo dire che più spesso sono ioa forzargli la mano e a prendere l’inizia-tiva, stanandolo da dietro i suoi imman-cabili occhiali scuri da sole, con i qualiforse si difende dalla violenza del caosmateriale e dall’invadenza dei fenomeniesteriori che ammorbano la società e ilmondo di oggi. Ho scoperto nel tempo,infatti, l’alto spessore spirituale diPasqualino Coletta, uomo di preghiera edi grande apertura d’animo, che ama ilprossimo e lo soccorre, quando può, nelsilenzio e nella discrezione. Cristianopraticante, frequenta i sacramenti e quo-tidianamente va in visita di adorazionealla Santissima Eucaristia. Ed è all’usci-ta di chiesa che ho potuto più volte par-largli e, piano piano, nel tempo, convin-cerlo a rilasciarmi un’intervista sulla suavita di attore; cosa alla quale in un primotempo era fortemente contrario.Non è stato facile, stante la sua ritrosia aparlare di sé e a dover, per forza di cose,toccare nel corso della conversazione,anche qualche aspetto, a suo giudizio,poco degno di attenzione della sua espe-rienza di uomo e di artista. Oggi, infatti,Coletta guarda con un certo distacco, econ giudizio di superiore maturità, aun’attività che pure ha svolto con pas-sione, entusiasmo, rigore morale, e conferma tenacia, tutte connotazioni, que-ste, che orgogliosamente e giustamenterivendica come suo portato intimamentesentito, goduto e sofferto. La modestiadi vita e la mitezza di carattere comple-tano i tratti di un uomo che mi onoro diavere, sia pure nel rispetto della privacye nella discrezione, come amico, e di cuiAvola ha motivo di essere orgogliosa.Mi corre l’obbligo, cui volentieri ottem-pero, di ringraziarlo, in questa sede,della grande cortesia che mi ha usato edi chiedergli scusa per l’intrusione dame consumata nella sua sfera personalee per la “studiata violenza” che mi sonoritrovato a “infliggergli” con l’iniziativadell’intervista-colloquio realizzata il 31

Un uomo e un artistaIntervista all’attore Lino Coletta

PERS

ONAG

GIO

di Sebastiano Burgaretta

Lino Coletta

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marzo 2008 e qui di seguito ospitatadalla nostra rivista.Sig. Coletta, mi parli un po’ di lei edella sua vita.Sono nato ad Avola il 27 marzo 1932 daCorrado e da Francesca Riscica, ultimodi sette figli, sei maschi e una femmina.La mia era una famiglia di modeste con-dizioni, che negli anni della guerraconobbe momenti di povertà. Abitava-mo in casa d’affitto. Dopo aver superatola terza media, fui mandato a garzonepresso mio fratello Francesco, dettoCiccio, che a San Giovanni aveva unapiccola officina in cui riparava biciclet-te. Allora la bicicletta era il mezzo di tra-sporto col quale i braccianti di Avola sirecavano al lavoro nelle campagne delSiracusano, e perciò le zone di SanGiovanni e della Porta di città contavanovarie “officine” per due ruote a pedali.Ricordo, oltre a quella di mio fratello,anche quelle dei signori NicolinoCavarra, Guglielmo Sessa, Nuzzo Caru-so, Corrado Macca e Angelo Gentile.La passione per lo spettacolo quando ecome nacque in Lei?Nell’officina di mio fratello ero infelice.Non mi trovavo bene in quel lavoro. Misentivo fuori posto. Smaniavo dentro dime per il teatro e il cinema. Sentivo cheero nato, per esprimermi e comunicarecon questi mezzi. A diciassette annipotei per la prima volta soddisfare que-sta mia forte aspirazione, non da tutti aquel tempo capita per quello che era.In che modo ciò avvenne?Era il 1949 e il sacerdote di santa memo-ria, originario di Pozzallo, don Antonio

Pozzo, parroco del Sacro Cuore di Gesù,allo scopo di aggregare in modo sano eculturalmente costruttivo i giovani dellacittà, organizzava delle rappresentazioniteatrali, realizzando spettacoli e comme-diole per i parrocchiani e i giovani.Questi si riunivano numerosi attorno allastraordinaria e carismatica persona dipadre Pozzo, sacerdote amato assai dagliavolesi per la totale dedizione alla suamissione e per la generosità con cuiesercitava il suo ministero. Tutti ricorda-no ad Avola quanto si prodigò in occa-sione dell’incendio che nel 1950 devastòil timugnali di grano che tradizional-mente si realizzava ogni estate in contra-da Santa Venericchia, nell’area in cuiattualmente sorgono le palazzine di edi-lizia popolare e la piazza che ospita i cir-chi equestri. Robusto e possente com’e-ra, con tutto l’abito talare addosso, affer-rava a due per volta, uno per ciascunamano, i covoni di grano della poveragente, per sottrarli alle fiamme, correndocome un forsennato, per salvare quantopiù grano possibile. Quest’episodio lofece amare ancora di più dagli avolesi,che lo ricordano infatti con granderispetto e venerazione. Mi scusi, se misono dilungato su questi dettagli, ma èper dare l’idea della stima di cui godevaad Avola padre Pozzo e del lavoro che,attorno alla sua persona, egli riusciva afare con i giovani che lo seguivano e peri quali, come si sa, aveva cominciato lacostruzione di quell’opera che sarebbedovuta servire come oratorio ma che,per la morte prematura del sacerdote,restò per tutti, e fu per anni conosciuta,

come “il cantiere” di padrePozzo.Lei come conobbe don AntonioPozzo?Mentre lavoravo nell’officina dimio fratello a S. Giovanni, pro-prio accanto ai locali della cano-nica della chiesa, mi notò, ravvi-sando le mie intime aspirazioni,il signore che organizzava comeregista gli spettacoli teatrali al S.Cuore. Questo signore si chia-mava Pippo Basile e guidava unavera e propria filodrammatica,che operava con continuità.Ebbene, mi volle con i giovaniattori della sua compagnia.Che lavori teatrali mettevate inscena?Erano lavori in lingua. Un titolo

che ricordo è Le campane nella zolfara.Ricordo anche L’eredità dello zio cano-nico di Antonino Russo Giusti. Spesso,nella distribuzione delle parti, c’eranodelle forzature con ruoli non appropriatiall’età degli attori. Quando avevodiciannove anni, per esempio, mi capitòdi dover interpretare il ruolo del padre diun ragazzo. Ma ci divertivamo e cresce-vamo in ambiente sano e culturalmenteaperto.Chi altri c’era nella filodrammatica?C’erano Nunzio Cancemi, Carmelo Am-brogio e altri giovani dell’Azione Cat-tolica. Ciccio Spada realizzava magi-stralmente le scene. Regista, come hodetto, era Pippo Basile.Dopo quell’esperienza com’è andata?Quando avevo l’età di 22 anni la miafamiglia si trasferì in Piemonte. Il miofratello maggiore, Carmelo, aveva tro-vato lavoro alla Fiat. Quindi chiamò lì ilresto della famiglia e così, il 1° maggio1954, partimmo da Avola, per trasferirciin Piemonte. Era il giorno della festa dellavoro e sulla motrice del treno c’era ungrosso mazzo di mai, le margherite gial-le che allora erano il simbolo della festi-vità del 1° maggio. Se ne facevano, in-fatti, mazzetti, corone e collane neicampi, in cui i lavoratori si recavano afesteggiare con parenti e amici. Noi“festeggiammo” andando a cercarelavoro lontano da Avola. Ci stabilimmoa Trecate, in provincia di Novara, perchéCarmelo lavorava come verniciatore allaFiat. Riuscì a impegnare lì anche me,nell’officina di carrozziere che avevaaperto privatamente, ma io non ci stavobene. Ero infelice in quel lavoro. E nonmi ci vedevano a mio agio neanche imiei familiari.Che cosa avrebbe desiderato fare lei?Io continuavo a vedermi impegnatonella filodrammatica dell’oratorio. Misentivo nato per questo. Non amavo nes-sun altro lavoro. Mi adattavo per neces-sità, perché la vita mi obbligava, ma eroinfelicissimo. Desideravo evadere, perinseguire il mio sogno. Mi sentivo comeprigioniero. Pregavo il Signore con fer-vore, talora con rabbia, arrivavo abestemmiare, perché avrei voluto che mirisolvesse Lui i miei problemi di vita. Inquel paesetto di diecimila abitanti nonvedevo spiragli per me e per i miei sogninel mondo del teatro. Milano, che pureera vicina, in realtà per me era lontana,almeno così la percepivo nella miaQui e a pag. 9 Lino Coletta nel film "Uno di più all'inferno"

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inquietudine. Avrei avuto bisogno diqualcuno che, conoscendo le mie qua-lità, mi guidasse e mi aiutasse a sapermiorganizzare.Come si sbloccò poi questa situazione econ quali sviluppi?Un giorno mia madre, che soffriva anchelei nel vedermi infelice, mi disse: Deviavere pazienza. Questa notte ho sognatoun vecchietto bellissimo, con i capellibianchi come la neve, che ti parlava,dicendoti: devi avere pazienza. Da quelgiorno io presi a rimuginare il sognofatto da mia madre, domandandomi:Che cosa vorrà dire?Poco dopo, consigliato da un amico,cominciai a frequentare una scuola direcitazione.Che scuola era?Era la “Scuola del cinema” di Milano,diretta da Renato Spezzo, il quale tenevalezioni di regia. Io presi lezioni di recita-zione e di dizione. Però sapevo bene cheil cinema si faceva a Roma. Erano làRizzoli, Ponti, De Laurentiis… Sentivo,insomma, che quella non era la scuolaappropriata per me. A Milano c’eraanche la scuola di Giorgio Strehler ePaolo Grassi. Feci un esame, un’audi-zione vera e propria. Nella risposta scrit-ta, che mi mandarono a casa, dicevanoche potevo lavorare benissimo in teatro,anche senza bisogno di una scuola. Maio non sapevo nulla di dizione. Rimasideluso. Non sapevo che cosa fare.Che successe dopo?Nella “Scuola del cinema” insegnavaun’ex attrice, Livia Eusebio, la quale siaccorse che io emergevo sugli altri allie-vi. Cominciò allora a chiamarmi a lavo-rare in piccole parti in alcune messe inscena teatrali cui lei collaborava comesegretaria di edizione. Iniziai in talmodo a lavoricchiare. Ebbi l’opportunitàdi conoscere grandi attori e di lavorarecon Luigi Pavese, Gianni Santuccio,Paola Borboni. Con costei nel 1963 feciil cocchiere di carrozza nella riduzionetelevisiva del Matrimonio di Gogol.Qualcosa dunque cominciò a muoversinell’ambito delle sue aspirazioni…Furono anni di sacrifici. I miei familiarimi lasciavano libero, cosicché potessifrequentare la scuola a Milano. Affron-tavo sacrifici durissimi, ma io, determi-nato com’ero, non li sentivo. Nel pome-riggio andavo in treno a Milano, per fre-quentare la “Scuola del cinema”, all’unadi notte tornavo in Piemonte e poi alle

cinque del mattino mi recavo al lavoro aVercelli, nella carrozzeria di Carmelo, ilquale, a un certo punto, aveva lasciato illavoro alla Fiat, per dedicarsi soltantoalla sua carrozzeria. Stavamo economi-camente bene, ma io ero col cuore apezzi. La gente del posto era dura, nonaveva sentimenti. Alcuni, vedendomicosì irrequieto, mi definivano fannullo-ne, ritenendomi un lavativo e scansafati-che. E invece io facevo sacrifici durissi-mi, che però non mi pesavano.Sacrifici che La portarono a qualchesbocco positivo, immagino, nel tempo?Sì. Partecipai alla realizzazione di alcunifilmati pubblicitari per Carosello con laUnion Film. A Milano c’era GiorgioBarbafiera, un signore di origine russache gestiva una specie di sindacato perlavoratori dello spettacolo. I cineasti sirivolgevano a lui, quando avevano biso-gno di attori, di effetti speciali, di mezzivari. Fu lui a farmi fare dei “caroselli”con Arnoldo Foà, con Claudio Villa. Fului che mi procurò una parte nel Galilei

di Brecht con la regia di Strehler e conTino Buazzelli come protagonista. Mipropose a Strehler, per sostituire un suoallievo, che non poteva andare a Romaper le repliche dello spettacolo, in quan-to a Milano doveva seguire un corso diregia. Fu così che andai a Roma conquella compagnia importantissima, qua-si senza rendermene conto.Passò quindi dalle piccole cose estem-poranee ad impegni più grossi e coin-volgenti.Sì. Con le repliche di Galilei nel 1964lavorai tre mesi al teatro Eliseo di Roma,con attori come il citato Buazzelli eRenato De Carmine. Fu un grandissimosuccesso quello.Dopo come andò?Sciolta la compagnia, decisi di rimanerea Roma e perciò dovetti cercarmi unasistemazione con una stanza in affitto,che trovai dalle parti del Quirinale. Fudura anche lì. Piano piano, tra stenti epianti, mi inserii nel mondo dello spetta-colo. La mia fu un’ascesa lenta e soffer-

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ta, anche per via del mio pessimismopersonale e del mio rifiuto intimo acedere a compromessi e a sgambetti. Inquell’ambiente erano di casa intrallazzie cose talvolta poco chiare. Ci volevanointraprendenza, furbizia e ampia dispo-nibilità ai compromessi. Si capiva benis-simo che in tanti accettavano i compro-messi, specialmente le ragazze. Maanche attori uomini scendevano a com-promessi. Sotto questo aspetto io ero untimido, per niente disposto a cedere aquella che era la parte tarata di quelmondo. Ricordo bene che, quando allesette andavamo a lavorare sul set cine-matografico, uno degli attori che eranocon me mi gridava: – A Colè’, la seradove vai? – Sto a casa – rispondevo io.– A Colè, così non sfonderai mai! Lasera tu devi venire con noi a “fare bat-terie”, a fare le ore piccole – . E parlo dipersone che sono poi diventate assaifamose nel mondo dello spettacolo.Riuscì comunque, stando a Roma, alavorare quasi sistematicamente.Ebbi modo di lavorare molto fra teatro,cinema e anche televisione. Lavorai con

Michele Placido in Fontamaradi Ignazio Silone, dove avevo laparte di un cafone. Tutte le partipiù belle le ho fatte con ottimiattori, quali, negli anni Ottanta,Umberto Orsini, Gabriele Lavia,Monica Guerritore e altri.Che ruoli Le affidavano preva-lentemente?Ho rivestito i ruoli più diversi.Qualsiasi abito di scena mi met-tessero, io ero quel personaggio.Parlavo come doveva parlarequel personaggio. Ho fatto,come ho detto, il cafone, ilcameriere, il ministro di unpaese orientale, il pistolero, partidi ogni genere. Quando, nel1965, in Sardegna partecipai aUna questione d’onore, con UgoTognazzi, il regista, che eraLuigi Zampa, telefonò a GraziaDi Leo, la mia agente, e le disse:– Se lo tenga ben forte quest’at-tore. È un attore con la facciagiusta. Può fare tutto: dal santoal diavolo–. E all’aiuto registadisse: – Ricordati di quest’attore –.Sono state attestazioni di stimache l’avranno gratificato e,immagino, anche incoraggiato.

Certo, mi stimavano. Mi pronosticavanoun avvenire migliore, ma non è statocosì. Ora capisco bene quel che è stato.Dio mi ha dato il dono di poter comuni-care attraverso la parola e la mimica fac-ciale e il corpo, ma non mi ha permessodi praticare la ruffianeria e di accettare icompromessi. Sono, per mia natura e performazione, proteso a fare cose che nonoffendano la morale.È un bilancio, che tenta di fare, del Suocammino ..?Non potevo, per come sono fatto io,sfondare in mezzo a quella gente.Potevo, come ho fatto, lavorare inimmersione, ma non potevo emergere adogni costo. Perciò ho dignitosamentelavorato, ma non ho sfondato. E ringra-zio il Signore Dio per questo dono. Ionon vi ho messo nulla di mio. Lui mi hadato tutto e io Lo ringrazio. Ho sentitosempre questo dono come una missione.Ho cercato, nel mio piccolo, di far frut-tare i talenti in modo serio, puntuale,nella sana moralità. Ho voluto una vitadi amicizia con Dio e ho fatto questolavoro mantenendomi pulito.Avrà avuto degli incontri interessanti

nel corso della sua carriera di attore?Era apprezzata la mia professionalità nellavoro. Una sera, mentre lavoravo conLavia, Orsini e la Guerritore, ebbi, incamerino, i complimenti di RossellaFalk per la mia voce, che giungeva chia-ra e limpida dappertutto. – La figura tea-trale basta – mi disse – Lei potrebbebenissimo anche non parlare. La mimicava benissimo – . Ma io so che in teatro lamimica non si vede. Al cinema contamolto. In teatro conta molto l’intonazio-ne.Come ha conosciuto Gabriele Lavia?Stava mettendo in scena Delitto e delittodi Stringberg e da due mesi cercava unattore per la parte dell’abate. Gli amicimi esortarono a presentarmi a lui e cosìfeci un giorno, in cui i candidati eranopiù di venti. Venne fuori l’aiuto regista,Franco Però, il quale mi presentò aLavia. Questi mi chiese delle referenze,volle sapere con quali attori avessi lavo-rato e poi mi diede delle battute da leg-gere. Dopo un attimo esplose in un: –Questo è l’attore che cercavo! – Era il1983. In scena c’era pure Daria Nico-lodi, moglie di Dario Argento. Finite lerepliche di Delitto e delitto, Lavia mivolle per il Don Carlos di Schiller, dovemi chiamò a sostituire un attore che siera infortunato.Belle soddisfazioni, dunque, ha avutocon il lavoro in teatro.Ricordo che una sera, durante una scenacon la Guerritore, dalle prime file partìun sonoro bravo! dedicato a me. Erastata apprezzata la mimica con la qualeio avevo seguito la Guerritore. Sapevotenere dietro anche a chi improvvisava.È successo più volte con UmbertoOrsini, per esempio.Come è andata poi negli anni?Mentre tra gli anni Sessanta e Settantaho lavorato fra cinema e teatro, neglianni Ottanta ho fatto prevalentementeteatro, con alcuni lavori anche alla radio.L’ultimo film al quale ho partecipato èstato Vado a riprendermi il gatto (1989),con Mario Adorf.Dopo che cosa è successo?Nel 1990 sono venuto via da Roma esono tornato ad Avola, da dove non sonouscito più.Perché è tornato in Sicilia?A Roma c’era stato lo sblocco degliaffitti, e, dopo una proroga di quattroanni, fui sfrattato. O compravo l’appar-tamento o andavo via. Immagini lei:

Lino Coletta nel film “Il giorno della civetta”

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sedici milioni al mq in un palazzo delSeicento. Pertanto, pur se a malincuore,sono andato via da Roma. Con quelloche avevo guadagnato ho acquistato lacasetta in cui abito. Certo, sarei volutorestare nel mondo dello spettacolo elavorare fino alla morte, ma non mi èstato possibile.Che cosa fa adesso ad Avola?Trapiantato nella terra d’origine, dopol’amarezza del distacco dall’amato lavo-ro, ho cercato di dimenticare il passato,ma non ci sono riuscito. I ricordi affiora-no fortemente. Il rimpianto è continua-mente presente.Vivo di pensione, posso mangiare dellavoro che ho fatto con dignità. Homaturato i ventidue anni di lavoro diattore, necessari per godere della pensio-ne dell’ENPALS. Quindi Dio, da bravoregista della mia vita, mi ha permesso divivere del lavoro che mi chiamò a fare.Come sono scandite le sue giornate?Accudisco alla mia persona nel fisico enello spirito. Cammino, partecipo quoti-dianamente alla S. Messa, ascolto RadioMaria, penso, penso. Trovo sollievo,quando la gente per strada mi dice: –T’ho visto in TV. Sei bravo! – Succededa quando a TV Amica ho letto LaDivina Commedia, La baronessa diCarini, Il re di Francia. Mi accontentoormai di parole, ma avrei voluto farequesto mestiere sino alla fine della miavita.Ma può essere contento della sua vita.Sì. Non mi lamento. Dio ha tenuto leredini della mia vita artistica. Non mi hafatto fare cose strabilianti, ma cose per lequali sono stato apprezzato. Nessunomai mi ha detto: – Sei stato un cane! –.Ora la gente mi rispetta, perché ha capi-to la mia professionalità e la mia bravu-ra. Cerco di pensare a me e mi preparo algrande passo che dovrà fare la miaanima. Io ora devo essere lo scopo dellamia vita e dico ogni giorno: – Signore,sono qua. Ho gli acciacchi della vec-chiaia, ma eccomi, sono qua – .

APPENDICEAlcuni titoli nel Curriculum professionale

di Lino Coletta

Teatro:Alta distensione, di Pasquale Festa Campanile,regia di Antonio Calenda, 1989.Il cimitero delle automobili, di FernandoArrabal, regia di Marcello Baldi, 1968-69.Dieci poveri negretti, di Agatha Christie, regia

di Marcello Baldi, 1970.Il supermaschio, di Alfred Jarry, regia diAntonio Salines, (anni ’70).Antigone, di Sofocle, regia di AntonioCalenda, 1972.Pinocchio, di Collodi, con Enzo Cerusico,1981.Il Galileo, di Bertold Brecht (1964, regia di G.Strehler, col “Piccolo” di Milano)Il berretto a sonagli, di Luigi Pirandello, regiadi N. Marineo, col “Teatro comico italiano”,1968.La mandragola, di Niccolò Machiavelli, 1981.Il Santo Graal, al Meeting di Rimini, 1985.Caravanserraglio, di e con Giancarlo Corbelliregista e protagonista, (anni ’80).Delitto e delitto, di August Stringberg, regiadi Gabriele Lavia, 1983.Don Carlos, di Federico Schiller, regia diGabriele Lavia, 1983.Cinema:Una questione d’onore (Uccidere per salvarel’onore) di Luigi Zampa, con Ugo Tognazzi,Leopoldo Trieste, Bernard Blier, NicolettaMachiavelli, Sandro Merli, Tecla Scarano,Franco Fabrizi, Pasquale Cennamo. Italia,1966.Il Re dei Criminali – L’Invincibile Supermandi Paolo Bianchini, con Guy Madison, KenWood, Aldo Bufi Landi, Liz Barrett, ValentinoMacchi, Diana Loris, Biagio Pelligra, AldoSambrell, Diana Lorys, Giovanni Cianfriglia,Luisa Baratto, Tomas Blanco, Aldo Sambrel,Sergio Testori, Valerio Tordi. Italia, Spagna,1967. Il gioco delle spie di Paolo Bianchini, conRoger Hanin, Tino Carraio, Lea Padovani,Rory Calhoun, Evi Malandi, Raf Baldassarre,Jean Gaven, Nino Fuscagni, Fabrizio Cortese,John Karlsen, Ralph Baldwin, Mario Lecchi,Conrad Andersen. Italia, 1966.Il giorno della civetta di DamianoDamiani, con Claudia Cardinale,Lee J. Cobb, Franco Nero, SergeReggiani, Ugo D’Alessio, Nehe-miah Persoff, Fred Coplan, EnnioBalbo, Brizio Montinaro. Italia,1968.Hypnos – Follia di un massacro diPaolo Bianchini, con GiovanniCianfruglia, Robert Woods, RadaRassimov, Fernando Rancho, PieroGerlini, Nino Vingelli. Italia, 1968.Uno di più all’inferno di GiovanniFago, con George Hilton, ClaudieLange, Paul Stevens, Gil Roland,Silvio Bagolini, Pietro Tordi,Ferruccio Viotti, Paolo Gozlino,Renato Pinciroli, Krista Nell, CarloGaddi, Ugo Adinolfi, AdrianaGiuffré, Mirko Valentin, AdolfoBelletti, Robert Anthony, FrancoAloisi. Italia, 1968. Straniero... fatti il segno dellacroce! di Demofilo Fidani, conCharles Southwood, Jeff Cameron,Cristina Penz, Luciano Doria,

Ettore Manni, Calisto Calisti, Joe Sentieri,Fabio Testi, Dino Strano. Italia, 1968. Sedia Elettrica di Demofilo Fidani, con Big I.Verdi (Reza beyk Imanvardi), Sheila Rosin(Spela Rozin), Dean Stratford (Dino Strano),Silvio Noto, Franco Ricci, Luciano Conti,Frank Fargas (Paolo Figlia), Amir Jeffrey,Franca Licastro, Tennis Colt (Benito Pacifico)Mariella Palmich, Piero Del Papa, SimonettaVitelli. Italia, 1969. Il grande silenzio di Sergio Corbucci, conJean-Louis Trintignant, Klaus Kinski, FrankWolff, Luigi Pistilli, Vonetta McGee, MarioBrega, Carlo D’Angelo, Marisa Merlini,Maria Mizar, Marisa Sally, Raf Baldassarre,Spartaco Conversi, Remo De Angelis, MirellaPanphili, Fortunato Arena, Bruno Corazzari,Loris Loddi, Benito Pacifico, Mimmo Poli,Claudio Ruffini, Giulia Salvatori. Italia. 1968.Una nuvola di polvere... un grido di morte...arriva Sartana di Giuliano Carnimeo, conMassimo Serato, Piero Lulli, Susan Scott,Gianni Garko, Nieves Navarro, Franco Pesce,Renato Baldini, José Jaspe, Luis Induni, SalBorgese, Brizio Montinaro, Bruno Corazzari.Italia, 1970. Edipeon di Lorenzo Artale, con Magali Noël,Massimo Serato, Hélène Chanel, MirellaPamphili, Christian Hay, Aïché Nana, LucaSportelli, Malisa Longo, Roberto Lande,Marcello Tamborra. Italia, 1970. Trastevere di Fausto Tozzi, con Nino Man-fredi, Leopoldo Trieste, Rosanna Schiaffino,Vittorio De Sica, Milena Vukotic, UmbertoOrsini, Vittorio Caprioli, Ottavia Piccolo, Ni-no Musco, Enrico Formichi, Rossella Como,Gina Mascetti, Luciano Pigozzi, Stefano Op-pedisano, Marcella Valeri, Fiammetta Baralla,Enzo Cannavale, Carlo Gaddi, Nerina Mon-tagnani, Vittorio Fanfoni, Gigi Ballista, DonPowell, Giorgio Maulini. Italia, 1971.

Lino Coletta nel film "Trastevere"

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Testa t’ammazzo, croce... sei morto... mi chia-mano Alleluja di Giuliano Carnimeo, conCharles Southwood, George Hilton, AgataFlori, Linda Sini, Andrea Bosic, PaoloGozlino, Roberto Camardiel, Claudio Ruffini,Ugo Adinolfi, Fortunato Arena, GaetanoScala. Italia, 1971.Uomo avvisato mezzo ammazzato … Parola diSpirito Santo di Giuliano Carnimeo, conGianni Garko, Víctor Israel, Poldo Pendandi,Cris Huerta, Jorge Rigaud (Gorge Rigaud),Pilar Velásquez, Paul Stevens (Paolo Gozli-no), Nello Pazzafini, Fortunato Arena, AldoBarberito, Carlo Gaddi, Franco Pesce, MonicaAltomonte, Salvatore Baccaro. Italia, 1971.Il terrore con gli occhi storti di Steno, conEnrico Montesano, Lino Banfi, AlighieroNoschese, Isabella Biagini, Francis Blanche,Mimmo Poli, Nello Pazzafini, Dino Curcio,Daniele Vargas, Umberto Raho, ValentinoMacchi, Gastone Pescucci, Sergio Serafini,Luca Sportelli, Maria Baxa. Italia, 1972. Scacco alla Mafia - La Morte Improvvisa diWarren Kiefer, con Pier Paolo Capponi,Micaela Pignatelli, Maria Pia Conte, EnzoFiermonte, Carmen Scarpitta, Aldo Berti,Victor Spinetti, Paolo Giusti, AngelaGoodwin. Italia, 1972.Anche se volessi lavorare, che faccio? diFlavio Mogherini, con Adriana Asti, VittorioCaprioli, Luciano Salce, Maurizio Arena,Ninetto Davoli, Enzo Cerusico, FiorenzoFiorentini, Tiberio Murgia, Nerina Mon-tagnani, Ugo Fangareggi, Giorgio Dolfin,Barbara Bouchet, Livio Galassi, GiacomoRizzo, Ettore Mattia. Italia, 1972. Che cosa è successo tra mio padre e tuamadre? di Billy Wilder, con Jack Lemmon,Juliet Mills, Pippo Franco, Gianfranco Barra,Edward Andrews, Clive Revill, FrancoAcampora, Sergio Bruni, Janet Agren, FrancoAngrisano, Giacomo Rizzo, Yanti Somer.USA, 1972.Lo chiamavano Tresette … Giocava semprecol morto di Giuliano Carnimeo, con GeorgeHilton, Cris Huerta, Evelyn Stewart (IdaGalli), Sal Borghese, Umberto D’Orsi,Rosalba Neri, Alfio Caltabiano, NelloPazzafini, Dante Cleri, Bruno Boschetti, GinoPagnani, Furio Meniconi, Pietro Ceccarelli,Fortunato Arena, Aldo Cecconi, VerianoGenesi, Carla Mancini, Ottorino PolentiniMaurice Poli. Italia, 1973.Catene di Silvio Amadio, con Maurizio Merli,Rosemarie Dexter, Mimmo Palmara, SimonaSchillaci, José Greci, Tuccio Musumeci,Vincenzo Ferro, Eva Ricca, Salvatore Scalia,Luisa Tirinnanzi, Alessandro Perrella. Italia,1974.Di Tresette ce n’è uno, tutti gli altri son nes-suno di Giuliano Carnimeo, con GeorgeHilton, Cris Huerta, Alfio Caltabiano, Mem-mo Carotenuto, Nello Pazzafini, UmbertoD’Orsi, Riccardo Garrone, Renato Baldini,Dante Maggio, Enzo Maggio, Gino Pagnani,Ettore Arena, Dante Cleri, Pietro Ceccarelli,Artemio Antonimi, Fortunato Arena, Aldo

Cecconi, Ennio Colaianni. Italia, 1974.Lezioni di Violoncello con Toccata e Fuga diDavide Montemurri, con Gabriele Ferzetti,Mario Scaccia, Leopoldo Trieste, SandraMantegna, Marina Malfatti, Christian Bor-romeo, Carlo Giuffrè, Luigi Montini. Italia,1975.Furia Nera di Alex Demos, con Ettore Manni,Erna Schurer, Andrea Balestri, Luigi Pezzotti,Susanna Melandri, Nino Vingelli, AttilioDottesio, Dada Gallotti, Franco Mazzieri,Dino Emanuelli. Italia, 1975. Al piacere di rivederla di Marco Leto, conUgo Tognazzi, Françoise Fabian, Miou-Miou,Cesarina Gheraldi, Alberto Lionello, BiagioPelligra, Maria Monti, Paolo Bonacelli,Franco Graziosi, Philippe March, Lia Tanzi,Claudio Bigagli, Shirley Corrigan, BarbaraNay. Italia, 1976. Zappatore di Alfonso Brescia, con MaraVenier, Gerardo Amato, Mario Merola, ReginaBianchi, Nino Marchesini, Nico Pepe, TeclaScarano, Marisa Merlini, Gabriele Ferzetti,Valeria Valeri, Alberto Farnese, Aldo Giuffré,Biagio Pelligra, Giacomo Rizzo, BenitoArtesi, Jeff Blynn, Lucio Montanaro, AngeloDessy. Italia, 1980. Fontamara di Carlo Lizzani, con MichelePlacido, Ida Di Benedetto, Deddi Savagnone,Antonella Murgia, Imma Piro, AntonioOrlando, Ciccio Busacca, Dino Sarti, AntonioBandini, Liliana Gerace, Stefano Oppedisano,Armando Bandini, Marcella Valeri, LorenzoPiani, Empedocle Buzzanca, Luigi Casellato,Enzo Monteduro, Carlo Monni, Franco Java-rone, Angelo Pellegrino, Marina Confalone,Renato Montalbano. Italia, 1980.Il carabiniere di Silvio Ama-dio, con Fabio Testi, EnricoMaria Salerno, Massimo Ra-nieri, Valeria Valeri, AndreaAureli, Marino Masé, ChiaraSalerno, Vincenzo Ferro, Tom-maso Bianco, Nicola Pignataro.Italia, 1981.Vado a riprendermi il gatto diGiuliano Biagetti, con MarioAdorf, Barbara De Rossi, JeanPierre Cassel, Eolo Capritti,Alessandro Partexano, EnzoFabbri, Anna Zimmermann,Stefano Gragnani, Anna Petti,Renzo Cantini, Luciano Pado-vani, Jean Mass, AmbrettaGianni, Maria Teresa Battaglia.Italia, 1989.Televisione:Sacro esperimento, 1963. La signora Ava, di AntonioCalende, con Amedeo Nazzari,Nino Castelnuovo, BrunoCirino, Guido Alberti, GerardoAmato, Ugo D’Alessio, RenzoGiovampietro, Remo Giro-ne,Claudia Marsani, Silvia Mo-nelli, Romina Power, SalvatorePuntillo, Leopoldo Trieste. Ita-

lia, 1975.Il matrimonio, di Gogol, 1963.Diario di un giudice, regia di Marcello Baldi.(anni ’70).Davide Lazzaretti, nel ruolo del protagonista,regia di Sandro Rossi (anni ’70).Un siciliano in Sicilia, di Pino Passalacqua,con James Russo, Patti Lupone, VincentGardenia, Sergio Castellitto, Paolo De Vita,Ennio Fantastichini, Gianluca Favilla, OrsoMaria Guerrini, Christian Jean, BiagioPelligra, Carlo Reali, Vincenzo Salemme, BillVanders, georges Wilson. Italia, 1987.Western di cose nostre, di Pino Passalacqua,con Domenico Modugno, Gabriella Saitta,Raymond Pellegrin, Philippe Lemaire, BiagioPelligra, Sergio Castellitto. Italia. 1984.Casanova, con Ugo Pagliai (anni ’70 ).La provvidenza e la chitarra, regia di MarioLandi.L’uomo del momento, (anni ’70 ).La donna dai due sorrisi (episodio italianodella serie francese Arsenio Lupin), diretto daMarcello Baldi, con Raffaella Carrà, NerioBernardi, Pasquale Coletta, Giuseppe Lauri-cella, Vittorio Sanipoli, Pino Sansotta, NinoTerzo, Nietta Zocchi. Francia – Italia, 1971(trasmesso su Rai Uno il 19 settembre 1971).Radio:Approdo a Nuova Cithera, regia di SandroRossi (anni ’80). Le mosche, di J. P. Sartre, regia di SandroRossi (anni ’80).Cala normanna, (anni ’80).

Lino Coletta durante le prove di "Delitto e delitto"

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Avolesi nel mondo - Anno 10 n. 1 - Gennaio 2009

La sarta dell’isola

di Maria Teresa Rossitto Pirrone

RACC

ONTO

Una casa bianca a due piani, con un terrazzo-solaio illumina-to da un sole cocente ogni giorno dell’anno. Fitti reticoli distrade simmetriche, interrotte da improvvise aperture su piaz-ze dominate da chiese barocche. Polvere, luce, qualche car-toccio abbandonato al bordo dei marciapiedi come ultimotestimone di feste, felici incontri tra sacro e profano. Un pro-fumo intenso di gelsomino penetra nelle narici risvegliandoantichi ricordi. Un silenzio irreale all’alba del nuovo giorno,una luce filtra attraverso piccoli varchi dalle finestre ancorachiuse, come una premessa per un giorno carico di sogni eriscatti, in lontananza il mare abbraccia la spiaggia e la cir-conda di un amore infinito, l’accarezza e le lascia piccoli rega-li. Conchiglie, sedimenti, qualche alga, parlando così un lin-guaggio incomprensibile agli umani. Il rumore dell’onda chesi infrange ogni volta in maniera diversa è un dialogo fitto traterra e acqua fatto di sospiri e di brontolii. Una donna allafinestra della sua casa bianca osserva e registra i primi movi-menti attorno alla sua strada: è piccola, un po’ curva, i suoiocchi sorridono senza che abbia pronunciato una sola parola.È la sarta dell’isola. Nel suo aspetto fisico non ci sono carat-teristiche evidenti, ma la sua figura quasi evanescente prendecorpo ed intensità quando crea i modelli, quando costruiscesegmenti di un abito che andrà a ricomporre sul manichino. Itessuti sotto le sue abili mani prendono forme inaspettate.Trasformano, nascondono, enfatizzano, simulano, esaltano. Icolori delle stoffe quasi per magia si intensificano o assumo-no disegni stilizzati, cambiando durante la lavorazione ma inmaniera impercettibile. La sarta, dal canto suo, lavora il tes-suto come se fosse creta, plasma il modello attorno alla donna,ne fa apparire l’essenza, il nucleo profondo della femminilità.La sarta dell’isola costruisce sogni a portata di ogni donna che

si affida al suo talento e parla un linguaggio muto, come tuttii linguaggi della materia. Regala alle donne sogni di vite futu-re che si schiuderanno. Non ha bisogno di nulla perché il suotalento è il talismano dell’eterna giovinezza.Un giorno la sarta decise che era venuto il momento di smet-tere. Quel giorno compiva ottant’anni. Terminato l’ultimovestito prima delle vacanze estive e consegnato alla cliente,decide di interrompere, anche se a malincuore, la sua attività.Quella notte stessa la donna fa un sogno. Nel sogno un giova-ne uomo suona alla sua porta e le chiede di poterle parlare. Ladonna rimane inizialmente interdetta, poi lo fa entrare.“Cosa vuole da me?”“Che le tue mani continuino a rendere felici le donne: ti chie-do di continuare la tua attività”.“Perché dovrei farlo? Sono vecchia e stanca”.“Perché con il tuo talento vesti il futuro anche a chi ha smes-so di sognare. Da domani troverai tessuti in abbondanza neltuo solaio e ancora tanti sogni da esaudire. Non ti mancheràné la forza né la capacità”.La donna si sveglia in piena notte in preda all’ansia e all’agi-tazione. Si rende conto che si è trattato solo di un sogno e sirimette a dormire.L’indomani mattina, come ogni giorno, apre le finestre e siaccorge di non accusare alcuna stanchezza. Come se avessedieci anni di meno. Ripensa allo strano sogno e si domandache significa e chi era quell’uomo. Poi, come per riflessoautomatico, cammina decisa verso il solaio e lì vi trova cata-ste di stoffe di ogni colore e tessuto. Sgomenta si siededavanti a quelle matasse domandandosi che significa tuttociò.Il mondo nel quale vive è il trionfo dell’informatica, tutto èvorticoso e veloce. La potenza delle macchine, l’evoluzionedella tecnologia ha raggiunto ogni angolo del pianeta. Non viè strumento che non sia stato sviluppato dall’uomo. La scien-za e la tecnica hanno facilitato la vita degli uomini, hannoreso ogni minima operazione sia all’interno della casa, che inufficio, alla portata di tutti. Ma si è perso il piacere delle cose,la costruzione, l’evoluzione di una materia dallo stadio ini-ziale al completamento finale. L’uomo non è più veramentelibero di esercitare la propria creatività, ma è diventato pri-gioniero delle sue stesse scoperte. Succube delle macchine esvuotato di ogni minima capacità decisionale. Ogni rischio ècalcolato e prevedibile. La felicità torna a essere privilegio dipochi. La sarta comprende il significato del sogno. La libertà è la capacità dell’uomo di tornare a creare sor-prendendo se stesso e gli altri, ed è vera risorsa, piccolo egrande strumento per rimettere in gioco se stessi e regalareagli altri frammenti unici di felicità.

Elena Pirrone - Le ricamatrici, olio su tavola.

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Alle ore 11 dell’11 novembre 1918,dopo oltre quattro anni di cruente bat-taglie, tacquero le armi sugli insangui-nati fronti della prima guerra mondia-le. Per l’Italia la vittoria si era già deli-neata il 3 novembre 1918, quando aVilla Giusti venne siglato l’armistizio,diretta conseguenza della battaglia diVittorio Veneto, che pose fine allaguerra contro l’Austria e l’Ungheria.Gli eventi del 1918 hanno una straor-dinaria rilevanza storica per l’Italiaperché rappresentano la vittoria delpopolo italiano contro l’oppressore e ilcompletamento dell’unità nazionalecon l’annessione di Trento e Trieste.La ricorrenza ha suscitato un insiemedi iniziative e di dibattiti le cui ragionisono da ricercare nel lungo periodostorico che ci separa dalla conclusionevittoriosa per l’Italia, e permette unavisione matura di quel momento dram-matico della nostra storia nazionale.Con queste celebrazioni si tende avalorizzare e rendere omaggio a que-gli uomini che in quei durissimi quat-tro anni di guerra persero la vita.Seicentomila italiani caddero sul MonteGrappa, sul Montello, sul Piave, sulCarso, sul San Michele, e sono sepoltinel Sacrario militare di Redipuglia, diCima Grappa, sull’altopiano di Asia-go, ad Aquilea, dove nel 1921, esatta-mente il giorno 28 del mese di ottobre,la signora Maria Bergamas di Trieste,madre del sottotenente medaglia d’oroMontempelli, scelse, fra undici bare disoldati ignoti, la salma di un caduto,che, traslata a Roma, venne tumulataall’Altare della Patria, a simbolo del-l’amor di Patria.Verso questi caduti la nazione italianaha un debito che non potrà essere maiestinto, e che dovrà sempre essereonorato, in quanto ad essi dobbiamo lanostra identità. Ci consegnarono unPaese unito, fiero e pronto a superare

momenti difficili, che nel corso delNovecento hanno attraversato la no-stra storia e l’Europa intera. L’ampiodibattito, che si è sviluppato quest’an-no sugli eventi di novanta anni fa, hamesso in evidenza l’effetto di identifi-cazione del popolo con la nazione e diconseguenza lo sviluppo di un senti-mento comune, che si traduce in defi-nitiva nell’identità nazionale. Mettere in degna evidenza ciò non hanulla a che vedere con l’esaltazione distampo nazionalistico o militaristico.Sta di fatto che fra le trincee del Car-so, fra i cavalli di frisia che separava-no i combattenti italiani dagli austroun-garici, per un ideale comune, si trova-rono in un contesto di guerra, meridio-nali, settentrionali, italiani provenientida tutte le regioni, che non avevanoalcuna idea di nazione, in quantoancora l’Italia era stata unita solo sullacarta ma non nelle coscienze.Questi uomini, che non riuscivanonemmeno a capirsi, perché provenien-ti da regioni diverse, seppero vivere,combattere, rispettarsi, aiutarsi neimomenti difficili, ma soprattutto pre-sero coscienza che stavano perdendola libertà e necessariamente dovetteroriconoscere l’esistenza di una colletti-vità nazionale; sì, perché fino ad allo-ra lo scambio di informazioni era

quasi impossibile, le notizie viaggia-vano a rilento, l’istruzione scolasticaera di pochi, ma soprattutto ognunoguardava all’interno del proprio terri-torio. L’Italia umile e provinciale, formatada gente povera e in gran parte analfa-beta che lasciava il suo paese solo perandare in America, in cerca di fortuna,si trovò coinvolta nella guerra e i suoifigli seppero di essere cittadini italianisolo quando indossarono una divisache aveva lo stesso colore per tutti e sitrovarono fianco a fianco nelle trincee.E che si era formata in breve tempouna coscienza nazionale è dato dalladimostrazione della reazione al disa-stro di Caporetto e nell’offensiva diVittorio Veneto.L’invasione del vasto territorio vene-to-friulano sino al Piave mise in di-scussione, per la prima volta, l’inte-grità nazionale, a fronte delle motiva-zioni di unificazione date dalla guerra,sviluppò un senso di patriottismo cheportò grandi personalità italiane, incli-ni al neutralismo, a gridare che laguerra era veramente nostra. Da questisentimenti, che cominciavano ad al-bergare nei cuori di tutti gli italiani, nescaturì una straordinaria risposta cheportò fino alla vittoria. Una vittoriaresa possibile dallo sforzo comune dei

90° Anniversario della battagliadi Vittorio Venetodi Michele Favaccio - foto di Maurizio Florio

Il sacrario di Redipuglia

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soldati al fronte, degli operai, di intel-lettuali, di industriali, delle crocerossi-ne al fronte, delle donne rimaste a casaa presidio della famiglia o delle donneeroiche come le portatrici dellaCarnia; una vittoria che fece nascerenella società italiana una forte comu-nanza più che lo status di una grandepotenza.E a 90 anni dalla conclusione dellaGrande Guerra, è per tutti noi dovero-so celebrare questa giornata. Nellacelebrazione non richiamiamo orgo-gliose rivendicazioni, ma solo il com-mosso ricordo del sacrificio di tantigiovani al fronte e tante genti sconvol-te dalla tragedia di una guerra. Anchedalla loro esperienza di dolore, dipaura, di obbedienza, ma soprattuttodi coraggioso eroismo, derivano leragioni del nostro essere “Italiani”, delnostro essere Nazione. Le sorti delnostro Paese, tra le vette alpine, lungoi fiumi, sugli altipiani, nelle trincee,vennero difese e affermate da giovanidai dialetti diversi, dalle consuetudinidiverse, dalle tradizioni diverse; ma illoro combattere, il loro difendere, illoro sentire, il loro morire non vedevadistinzioni e contribuiva, come hacontribuito, a consolidare l’unità na-zionale.Nella celebrazione del quattro novem-bre non c’è retorica, non c’è esaltazio-ne del militarismo, non c’è nazionali-smo, perché come ha precisato a Re-dipuglia il presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano in occasione dellaricorrenza celebrare questo storicorisultato non significa per un momen-to dimenticare o tacere errori fatali,responsabilità politiche e militari, cuisi debbano far risalire costi umani erischi estremi imposti al Paese; cele-brare la festa del 4 novembre ed esal-

tare i sacrifici e gli eroismi che la pre-pararono e la forgiarono, non signifi-ca nemmeno per un momento edulco-rare le atrocità della guerra, le soffe-renze subite, l’immenso prezzo di viteumane pagato dal popolo italiano. LaPrima guerra mondiale o GrandeGuerra fu la prima grande esperienzacollettiva del popolo italiano, e i suoifrutti sopravvissero alla convulsa crisisociale e politica che seguì negli annisuccessivi, in forza di una nuovacoscienza nata fra gli italiani: essereuna nazione e riconoscersi nell’unitànazionale.Il 4 novembre si celebra in tutta Italiae presso tutte le Comunità italianeall’estero la festa delle Forze Armate edell’Unità nazionale. L’evento, daqualche anno, ha avuto il giusto rilie-vo grazie al Presidente Ciampi, alquale va il merito di aver fatto risco-prire sentimenti ormai sopiti nell’ani-mo di tantissimi italiani, e sulla cuiscia si muove l’attuale PresidenteGiorgio Napolitano.La giornata del 4 novembre è statacelebrata anche ad Avola, a cura del-l’Amministrazione comunale.

Dopo la Santa Messa, in onore deicaduti, celebrata nella Chiesa Madreda padre Di Rosa e la lettura della pre-ghiera per i caduti, il corteo, con labanda musicale in testa, il Gonfalonedel Comune, il Sindaco, la Giuntacomunale e il Consiglio comunale alcompleto, le Associazioni d’Arma ele numerose scolaresche convenute,ha raggiunto piazza Vittorio Veneto,ove sorge il Monumento ai Cadutidella Prima guerra mondiale e dove ilSindaco ha deposto una corona di allo-ro e ha tenuto un breve discorso rivol-to soprattutto ai giovani sul significatodella celebrazione. Altre corone dialloro con le stesse modalità sono statedeposte alla lapide del Milite Ignoto inpiazza Umberto I, al Monumento alMarinaio e ai caduti della Secondaguerra mondiale in piazza Allende. Inquesta circostanza, alla presenza deglialunni della scuola elementare, gli stu-denti della scuola media hanno intona-to l’Inno di Mameli e la Canzone delPiave.

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Avolesi nel mondo - Anno 10 n. 1 - Gennaio 2009

Momento della cerimonia in piazza Vittorio Veneto

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L’onestà

di Carmine Tedesco

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Intorno al termine ‘onestà’ si sonocostruite, più o meno a ragione, unaquantità di piccole e grandi menzogne– non volute, ovviamente – o, se prefe-rite, di mezze verità e mezze menzo-gne. Così, le espressioni ‘parole one-ste’, ‘azione onesta’, ‘libro onesto’,‘mercante onesto’, ‘prezzo onesto’,‘proposta onesta’, ‘persona onesta’ esimilari, risultano tante perle. Peccatoche, spesso, siano solo delle enuncia-zioni con pochi o punto riscontri nelquotidiano. Di rimando, proprio nellarealtà deve penetrare l’onestà, se sivuole ritrovare, quantomeno, uno spic-chio di pudicizia o, meglio, un pizzicodi credibilità nella relazionalità infamiglia, sul lavoro, nella società.Volutamente ometto ‘in politica’, per-ché in questa, a seconda dei punti diosservazione, è tutto onesto o è tuttoimprobità. E coi tempi che corrono cre-do sia saggio non toccare questo tasto.Numerosissime sono le occasioni nellequali l’onestà diventa una questione divita o di morte, di libertà o di galera, diamicizia o di ostilità, di ricchezza o diimpoverimento, di salute o di malattia,di fede o di miscredenza, di poesia o diillusione, anche nella vita di coppia.Certo, essere onesti, cioè sinceri, ha uncosto elevato; però ne vale la pena: ilsollievo che si prova, l’approvazionedella coscienza, la leggerezza dell’ani-mo sono compensi diversamente nonraggiungibili.Portare dentro, di contro, il peso dellamenzogna e dell’inganno, a tutti i livel-li, rappresenta il fardello più dolorosodell’esistenza. Sentirsi in colpa, abbas-sare inavvertitamente gli occhi dinanzia un amico vittima della propria diso-nestà, doversi ripetutamente nasconde-re per quello che si è detto o fatto diignobile, guardarsi continuamenteintorno, per non essere scoperti, inven-tare sempre nuove menzogne, pernascondere i falsi precedenti non solo

compromettono irapporti, ma an-che, stando airisultati di alcunericerche specifi-che, avviliscono l’esistenza. A nullagiova, peraltro, invocare il fatto che, afavore della slealtà, esercitano un’in-fluenza determinante le convenzionisociali. Mi spiego. Più spesso di quan-to comunemente si crede, si è spinti amentire dalla situazione contingente eparticolare: per accondiscendere allarichiesta di un ‘amico’, per appariremigliore o diverso da quello che si è,per compensare la propria fallibilitànel privato e nella vita pubblica, perriscuotere il plauso dei compagni, perottenere un riconoscimento da partedell’interlocutore, per sentirsi forte oanche per boriosa semiincoscienza.Ovviamente situazioni del genere sipresentano a tutti, prima o poi, e innumero rilevante: è arrivato il momen-to di fare ricorso a tutto il coraggioposseduto, per non sentirsi, poi,oppressi e frustrati. Restarne vittima èmolto facile.Cosa fare per sconfiggere, diciamocosì, le tentazioni?In primis non illudersi che certi com-portamenti consentano di raggiungeretraguardi importanti. Forse potrannoanche apparire opportuni, per conse-guire scopi utili: provare rilassamentoe disinibizione nei confronti del grup-po di appartenenza in quel frangente,mettere alla prova la propria forza diresistenza e indipendenza, gustare la‘soddisfazione’ di gabbare qualcuno, ealtro. Può anche darsi – non sempre,comunque – che qualcuno di dettirisultati si consegua. Ma con qualeguadagno? In genere sono conquisteeffimere, illusioni della mente, chedurano lo ‘spazio di un mattino’;immancabilmente, in tempi più o menolunghi, ritornano il buon senso, la spin-

ta etica, la razionalità. E allora irrom-pono il rodimento interiore, il crucciodell’animo, il logorio del pensiero, iquali, il più delle volte, superano, inintensità, il precedente temporaneo‘godimento’.A ben riflettere, gli obiettivi sopradescritti possono essere raggiuntianche con atteggiamenti e scelte salu-tari. A mo’ di esempio, posso citare: losforzo di presentarsi padroni di sé, dimostrarsi a proprio agio nella relazionecon gli altri, di mettere in essere coseutili (aiutare chi ne ha bisogno, soccor-rere chi trovasi in difficoltà, svolgerevolontariato negli ospizi, nelle comu-nità e nelle confraternite, fare compa-gnia e svolgere servizi a favore dellepersone anziane sole), di praticare atti-vità fisico-sportive rilassanti e walkingin compagnia. Diversi sono i modi percontrastare l’impulso – indotto o meno– alla disonestà. Come linea generale,basta sapere scegliere quegli impegni equei comportamenti, quel linguaggio equel sorriso che generano la consape-volezza di essere disponibili e solidali,pronti alle sfide regolari, corazzati con-tro le ingannevoli tentazioni della vita.Fin qui, con molta probabilità, ho datol’impressione di volere mettere sottoaccusa la disonestà del “dire” o, permeglio esprimermi, la loquacità e letestimonianze disoneste per convince-re, avvicinare, essere accettato e, forse,corteggiato.Ma c’è una seconda strada che porta auna disonestà ancora più meschina, piùviscida e più velenosa. È la disonestàdel “fare”: nei molteplici aspetti delmercato, nella preparazione di manu-fatti e alimenti, nelle transazioni finan-ziarie e negli investimenti, nella pre-

Giustizia, Corrado Frateantonio - 2006 collezione privata

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sentazione di qualsivoglia prodotto, nelproclamarsi vittime innocenti in fattiilleciti acclarati, nello spalmare nefan-dezze su soggetti innocenti solo perchéritenuti antipatici o per chissà qualealtra innominabile avversione.È facile dedurre, a questo punto, chel’onestà del fare è da preferire all’one-stà del dire. Quest’ultima procuraindubbiamente compiacimento, sebbe-ne fugace e in presenza di motivi quasisempre contingenti; l’altra, viceversa,promuove atti durevoli, lascia segnisostanziali, influisce sulla qualità dellavita. Per converso, si intuisce subitoche la disonestà del fare porta dannialla salute, al portafogli e all’immaginedifficilmente assorbibili e, comunque,duraturi. Per di più, se il danno prodot-to da una testimonianza può esseresanato facilmente proponendo la ver-sione veritiera dei fatti in precedenzadistorti, i guasti cagionati dalla ‘diso-nestà del fare’ procurano sciagure emalanni non sempre riparabili e, pur-troppo, persistenti.Non vorrei, a questo punto, che il letto-re deducesse che è meglio essere diso-nesti nel parlare che nell’agire, appog-giandosi al poco edificante proverbio‘tra due mali va scelto il minore’. Nelmerito mi permetto di ricordare che imali sono mali e basta; cioè: in ognicaso portano guai, per cui è semprepreferibile tenerli alla larga. D’altrondela differenza tra i due mali presentatinon è sicuramente un invito a sceglieretra l’uno e l’altro. Sarebbe un fallimen-to mio e del presente scritto su tutti ifronti. Se una scelta si è obbligati afare, l’unica è tra onestà e disonestà,cioè tra vero e falso, bene e male, chia-ro e scuro, dentro e fuori. Eterno pro-blema!E, visto che si stanno, per così dire,puntualizzando i vari aspetti dell’one-stà, mi sono riservato per ultimo ilterzo aspetto, il più sottile, il più sfug-gente e, forse, il più avvolgente: l’a-spetto storico-letterario.Immaginate lo scrittore che voglia farepassare per vere certe vicende storichedella cristianità – il pensiero inavverti-tamente mi corre al libro “Il Codice daVinci” – o che intenda sostenere comevere le molte storielle sulla Vergine

Maria e su Gesù riportate nei Vangeliapocrifi, o che voglia accreditare comesempre e tutte convenienti le azioni deipartigiani e come sempre e tutte scelle-rate le scelte degli aderenti allaRepubblica di Salò, o che, con recen-sioni artificiose, cerchi di fare conqui-stare il mercato al proprio amico pitto-re scadente o scrittore mediocre, o chesi impegni a presentare la laicità radi-cale come l’unica via per affrancarsidall’oppressione delle religioni, o cheun tempo non lontano demonizzaval’economia marxista e oggi demonizzal’economia capitalista.È arduo e delicato decidere da cheparte stare per diversi motivi: la con-vincente prosa di chi scrive, la forzadei documenti che si portano o sirichiamano a sostegno, la fama dell’au-tore e/o della testata giornalistica, l’au-torità dei personaggi citati o chiamati atestimoniare, e in ultimo, ma non menoimportante, la contingenza dei rapportie dei tempi che si stanno vivendo.Ma è proprio in queste occasioni cheha da rivelarsi la robustezza delle pro-prie convinzioni, l’autenticità dell’edu-cazione che si è ricevuta, la determina-zione personale a essere disposti a pati-re piuttosto che a mentire, a rinnegarsi,a sconfessarsi. D’altro canto, il succes-so provvisorio o l’approvazione condi-zionata o anche un provento fondatosulla disonestà – di parola o di fatto –svaniscono in fretta, per lasciare postoal rimorso, al tarlo e al rincrescimento;e lo stato d’animo legato a questi even-ti, questo sì, non sarà certamente dibreve durata né di lieve interiore soffe-renza; è indicibile, insopportabile. Sultema mi vengono in mente, di traverso,un proverbio arabo che, a mio avviso,definisce fieramente la situazioneappena descritta: “La persona avidadorme con la fame”, e la leggenda chenarra di un uomo poverissimo checomprò una gallina che faceva le uovad’oro. In brevissimo tempo l’uomodivenne ricchissimo ma, avido, nonaccontentandosi delle uova d’oro chela gallina deponeva giornalmente,pensò bene di ammazzarla, per impa-dronirsi del tesoro che nascondevanelle viscere. Di colpo l’uomo tornòpiù povero di prima.

La disonestà più ignominiosa, nondi-meno, è quella che viene consumatanon in pubblico ma nel privato.Provate, per un attimo, ad immaginarela devastazione interiore che procura inuna coppia – sposata o meno – la sco-perta che l’altro/a ha nascosto uno opiù tradimenti o in un genitore quandoviene a conoscenza, per terze vie, che ilfiglio/figlia ha sistematicamente men-tito sull’identità dei componenti delgruppo che frequenta o sulle ‘bravate’– sempre negate – cui prende parte, oin un figlio, quando scopre che i geni-tori – ciascuno all’oscuro dell’altro –hanno relazioni extraconiugali o sonoinvischiati in azioni illegittime, purconservando, all’esterno, comporta-menti e ragionamenti irreprensibili. Piùo meno la medesima reazione si verifi-ca, allorché vengono feriti gli affettidei parenti: fratelli, nonni, zii, nipoti,cugini.Irrompe, a questo punto, una sentenzaincontrovertibile: sotto qualsiasi aspet-to e sotto qualunque cielo la disonestàsi presenti è sempre una negatività e undisvalore; però, se essa coinvolge per-sone al di fuori della cerchia familiare,rode l’anima e la coscienza, tormenta eavvilisce, ma è destinata a perdere diintensità col trascorrere del tempo ocon l’allontanamento delle personecoinvolte; la disonestà all’interno dellafamiglia, intesa in senso allargato,invece, può fracassare un matrimonio,una convivenza, produrre ribellione neifigli e rifiuto nei genitori, svilupparerisentimenti insidiosi e/o vendette peri-colose, disgusto, sdegno, astio persi-stenti, se non permanenti.Cosa dire o consigliare, allora, a quelliche, dietro tentazione o per consuetudi-ne o per libera scelta, perdono il lumedell’onestà? Le parole più penetrantimi sembrano, sia come libero cittadinoche come psicopedagogista, quelle chePaolo di Tarso rivolge ai Filippesi nellalettera a loro indirizzata: “In conclusio-ne, fratelli, quello che è nobile, quelloche è giusto, quello che è puro, quelloche è amabile, quello che è onorato, ciòche è virtù e ciò che merita lode, que-sto sia oggetto dei vostri pensieri”.

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C’era una volta una fata.., così potremmo iniziare questafavola, solo che non si tratta di una favola, ma di una sto-ria vera.C’era una volta una signora che abitava in una casa son-tuosa, ricca di argenti e ori, tappeti e quadri d’autore. Unicacompagna della sua vita una governante. Era vedova daanni e amava vivere in quella casa piena di ricordi. Potevatrasferirsi altrove, perché possedeva altre case: in città, maanche al mare o in montagna.Sulla soglia degli 80 anni conduceva una vita tranquilla esolitaria, non avendo avuto né figli né nipoti, che potesse-ro animare e rallegrare le sue giornate. E questo era il suocruccio principale, che cresceva di giorno in giorno colpassare delle stagioni, accompagnato dagli acciacchi che iltempo si porta dietro.Pensa e ripensa, un bel momento la nobildonna ebbe un’i-dea il tempo per pensare non le mancava di certo: consultòelenchi, segnò dei nomi, contattò delle persone e poi altree altre ancora. Alla fine ebbe l’impressione finalmente diaver dato un senso alla sua vecchiaia.Ebbe delle difficoltà, perché l’interlocutore di turno resta-va incredulo, pensando a uno scherzo; inizialmente nessu-no credeva al suo progetto, e non fu facile convincere alcu-no che a volte la vita fa di questi scherzi. E fu estrema-mente difficile convincere undici persone a presentarsi inquella grande casa all’ora stabilita. Grande fu lo stupore,quando la signora in presenza dei convenuti e dei notaisvelò il lieto fine di questa favola: lascio a voi ogni mioavere.

La signora si chiama Giulia, vive a Trieste nella grandecasa che ha donato insieme agli altri beni, riservandosi soloil diritto di viverci sino alla fine dei suoi giorni.Tutte le sue proprietà sono andate a undici ragazzi della suacittà. Ma non a ragazzi presi a caso: la signora Giulia hainsegnato per tanti anni e ha conosciuto gli stenti di alcuni

studenti e le necessità di altri, e ha deciso con lucidità enco-miabile di elargire una sua personale borsa di studio a stu-denti bisognosi e meritevoli.Per un anno intero ha contattato presidi e direttori d’istitu-to che hanno fornito i nomi e la storia familiare di ognunodi loro. La signora ha letto e riletto, ha studiato accurata-mente la storia familiare di ognuno e alla fine, compilatauna lista, ha iniziato a telefonare a casa dei prescelti. Nonè stato facile credere che c’è una persona che vuole farti unregalo, una signora che vuole aiutare un ragazzo o unaragazza ad andare avanti negli studi: una signora che hauna certa fretta, perché la sua vita adesso è come un bigliet-to a tempo e si avvicina la scadenza. E così una sera gliundici studenti insieme ai genitori sono stati convocati acasa sua: Non vi conosco, ma so che siete bravi, capaci emeritevoli. Per questo voglio premiarvi, per permettervi dicontinuare gli studi.Quindi ha invitato i ragazzi in un’altra stanza, dove avevapreparato un contenitore con undici pezzetti di carta accu-ratamente ripiegati, pregando ciascuno di tirare a sorte ilproprio futuro.Alla fine, increduli e in preda alla commozione, piangeva-no tutti di fronte a quella generosità irreale, ma soprattuttodi fronte a quella fiducia loro assegnata.

Anche se quella che ho appena raccontato non è una favo-la e la signora non è una fata, è una bella storia, e così, inquesto mondo che ha perso tutti i valori fondanti di unasocietà giusta, questo evento apre il cuore alla speranza inun futuro migliore.

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Una favola moderna

di Nella Urso

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Il 2 dicembre scorso è stata celebrata, ad opera delle Confederazioni sindacali e degli Enti amministrativi locali, la memoria deitragici eventi che sono passati alla storia come I fatti di Avola del 1968. Data la ricorrenza quarantennale, la celebrazione si è svol-ta in modo particolarmente solenne nel corso di due giornate, l’1 e il 2 dicembre, durante le quali si sono tenuti incontri pubblicie dibattiti di tipo storico e politico-sindacale, premiazione di concorsi artistico-letterari, proiezioni di filmati d’epoca e di un corto-metraggio realizzato, per la circostanza, su commissione della Film Commission, da Giovanni Di Maria e Gioacchino Tiralongo,e performance artistiche e canore.La nostra rivista vuole contribuire alla coltivazione memoriale di quel tragico evento, che ebbe a protagonista la nostra città, non-ché di quanto da quell’evento è scaturito, nel positivo e nel negativo, durante il quarantennio susseguito, ospitando, in un apposi-to fascicolo speciale, alcuni interventi e contributi, in parte già editi e in parte nuovi, che mette a diposizione dei lettori.

È stato un quarantennale dei “Fatti diAvola” ricco di appuntamenti e denso disignificato. L’Amministrazione comuna-le, nella consapevolezza di contribuirealla maturazione di una coscienza civileda parte dei giovani, ha organizzato, incollaborazione con i Sindacati confedera-li e la Provincia regionale di Siracusa, unaserie di appuntamenti che hanno saputoporgere il significato di quei tragici avve-nimenti che tracciarono, col sangue deilavoratori, una delle pagine più tristi e altempo stesso più importanti della storiadelle lotte bracciantili. Gli eventi dell’1 edel 2 dicembre, di cui parleremo condovizia di particolari, hanno registrato sinda subito un particolare coinvolgimentodelle scuole oltre che del mondo degliartisti. Procediamo con ordine, cercandodi fare un po’ la cronistoria, partendo dal-l’incontro dell’1 dicembre, al cine teatroOdeon, degli studenti delle ultime classi

degli istituti superiori con gli storici,Giuseppe Astuto e Rosario Mangiameli,in concomitanza con la proiezione di fil-mati dell’epoca. Nessuno può pretenderedi espellere la lotta dalla storia, ma sipuò e si deve renderla incruenta e piùumana sono le parole conclusive deldiscorso pronunciato ad Avola, a poco piùdi un mese dalla strage, il 4 gennaio 1969,dal ministro del lavoro Giacomo Bro-dolini, e a quelle stesse parole si è rifattolo storico Giuseppe Astuto alla fine del-l’incontro, per lasciare traccia indelebilenella memoria degli studenti di quello cheavrebbe rappresentato il nucleo fondantedello Statuto dei lavoratori. A introdurre ilavori, prima della visione del documen-tario “I Giardini di Avola” di SergioZavoli, andato in onda all’epoca dellastrage su “TV Sette”, è stato lo storicoSebastiano Burgaretta, che ha puntatosulla necessità di rivivere quei momenti

non con atteggiamento celebrativo, macon la consapevolezza di fare tesoro diquegli eventi, proiettandosi nel contempoverso il futuro. Dopo un’attenta disaminadei capisaldi della carta costituzionale fil-trata attraverso la lente della storia, conocchio attento al presente, non immunedallo stesso fenomeno del caporalato, vis-suto, però, ai danni dei braccianti magre-bini, Burgaretta ha ceduto la parola primaal sindaco Antonino Barbagallo per i con-sueti saluti e gli onori di casa, poi al pre-sidente della Provincia, Nicola Bono, chesi è soffermato sull’ingiustizia del tratta-mento dei lavoratori, quindi, ai professoriRosario Mangiameli e Giusepe Astuto.Gli storici, nel contestualizzare quello cheaccadde ad Avola, hanno sottolineato ledifficoltà che la Nazione viveva in queglianni, rinverdendo la memoria a beneficiodei giovani nati in un mondo apparente-mente lontano da quelle tensioni. In-teressanti le testimonianze che si sonosuccedute dalla platea, a partire da Toni-no Giansiracusa, segretario della Cgilall’epoca dei fatti, Antonino Catinello, exbracciante, dei sindacalisti FrancescoLentini e Salvatore Alfò. Il momento piùcoinvolgente è stato quando, inaspettata-mente, una delle figlie di GiuseppeScibilia, Paola, è intervenuta, per trasmet-tere il disagio vissuto quando, all’età diappena nove anni, le venne strappato ilpadre. Anni bui, vissuti nell’ombra e nelsilenzio più totale delle istituzioni chenon seppero garantire, così come non lohanno garantito fino ad ora, nonostante lepromesse dei politici, il diritto al lavoro.Ciò nonostante, la signora ha saputo tra-smettere ai propri figli, ai quali solo tardiha confessato in che modo era morto ilnonno, il rispetto della verità. E in nomedi questi principi suo figlio è entrato in

Avola... 40 anni dopo

I fatti di Avola

di Gabriella Tiralongo

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polizia, consapevole che le forze che sicontrapposero erano formate da lavorato-ri, braccianti, da un lato, poliziotti, dal-l’altro. Nella stessa giornata di lunedì si èsvolta, nell’aula Magna dell’Istituto supe-riore “E. Mattei”, la riunione dei direttiviregionali e provinciali della federazionesindacale unitaria Agroindustria, cui hafatto seguito, nella serata, sempre neglistessi locali, la “Cianciana”, spettacolo di“Esiba Arte” con Angelo Abela, MarcoPisano, Eugenio Vaccaro, per la regia diMilena Viscardi. La mattina del 2 dicem-bre si è aperta con la consueta cerimoniadi deposizione, a Chiusa di Carlo, di unacorona di fiori sul monumento alle vitti-me cui ha fatto seguito, intorno alle 10,00al cine teatro Odeon, la proiezione delfilm documentario Avola, 2 dicembre1968, seguita dalla commemorazione allapresenza dei direttivi regionali CGIL,CISL, UIL, dei dirigenti sindacali provin-ciali. La tanto attesa venuta dei segretarinazionali Gugliemo Epifani, RaffaeleBonanni e Luigi Angeletti, contrariamen-te alla consuetudine dei vari decennali, siè tradotta in delusione a causa della loroassenza. Ha riscosso unanimità di consen-

si l’anteprima assoluta del suddetto docu-mentario realizzato da Giovanni Di Mariae Gioacchino Tiralongo, con la fotografiadi Francesco Sole, prodotto da Videoscope,con il contributo di Film Commission-Provincia Regionale di Siracusa e delComune di Avola. Il film, per il qualesono stati utilizzati, insieme con materia-le di archivio, alcuni filmati inediti dell’e-poca, si è avvalso delle testimonianze dibraccianti di Avola e dei contributi diSalvatore Alfò (FLAI-CGL), FaustoBertinotti, Sebastiano Burgaretta, Al-fonso Gatti, giornalista dell’Espresso,Antonio Infantino, musicista, autore as-sieme a Dario Fo della canzone “Avola”,Elia Li Gioi, già sindaco di Avola, SaroMangiameli, storico dell’Università diCatania, Toto Roccuzzo, scrittore, SergioZavoli giornalista, inviato RAI all’epocadell’eccidio. Le testimonianze medialidell’epoca enfatizzano le vittime, l’eternacondizione bracciantile nel sud, i “capo-rali”, lo scandalo di esistenze espropria-te e private di ogni tutela, la giustiziamancata – spiega Giovanni Di Maria –.Ciò che in qualche modo venne rimosso,furono le ragioni profonde dello sciopero

che, ribaltate, diventaronoinvece il cavallo di batta-glia degli agrari e offrironouna motivazione vergogno-sa per giustificare le cari-che della polizia. Da partedel padronato si disse,infatti, che i braccianti diAvola avevano sostanzial-mente bloccato e occupatoper quindici giorni unpaese di quasi trentamilaabitanti, che lo sciopero,legittimo, si era trasforma-to in una rivolta e che nonsembrava neanche chiarodove si volesse arrivare.I braccianti sciamavanogiorno e notte per il paese,facevano chiudere scuole ebanche, invitavano gli stu-denti a manifestare, diffon-devano ovunque le loroistanze di cambiamento.Era tutto vero. Tuttavia,nonostante si fosse nel ’68,dopo i morti, era stato logi-co porre l’enfasi sulla ri-vendicazione salariale, suidiritti sindacali e sullasproporzione della rispostadata dalle forze dell’ordine,

trascurando così la portata delle istanzepoliticamente più profonde e scardinantiche erano il segno di una trasformazionein atto. A distanza di quarant’anni –aggiunge Gioacchino Tiralongo –, moltidei protagonisti di quei fatti ricordanocome per loro si sia trattato soprattutto diuna lotta per la dignità, per la partecipa-zione attiva, per l’abbandono di una men-talità subalterna. Il loro paese d’altraparte, esclusi gli agrari e le frange piùreazionarie, appoggiava e favoriva, insie-me allo sciopero, il clima di quella rivol-ta: le bottegaie facevano credito allefamiglie dei braccianti in lotta consenten-do loro di resistere ad oltranza, buonaparte degli studenti erano solidali con ilavoratori, ampie frange dei movimenticattolici sostenevano i braccianti, la stes-sa polizia locale, che non a caso vennetenuta fuori dalle cariche, familiarizzavacon gli scioperanti durante i blocchi stra-dali. “Mai più i fatti di Avola” è stato iltema della mostra di pittura inauguratanel pomeriggio del 2 dicembre nei localidel Centro Giovanile, che ha raccolto l’a-desione dei migliori artisti della provin-cia. Ognuno ha interpretato, con stiliespressivi che spaziano dalle forme piùclassiche a quelle d’avanguardia, quei tra-gici fatti, dando una chiave di lettura sin-golare. Una presenza articolata che havisto circa cinquanta artisti testimoni diun altro fatto storico, la costituzione, gra-zie alla donazione delle opere, del nucleofondante della pinacoteca cittadina. Ilpercorso artistico visivo, che ha offertointeressanti spunti di riflessione, si è aper-to con la presenza vivida del pittore EliaLi Gioi, il quale, ha fatto precedere il suolavoro, che appariva avvolto da un suda-rio, tale sembrava la tela bianca su cui siposava la sua tavola, dalla presenza fisicadi due elementi appartenenti a quel tragi-co “2 dicembre 1968”: un Motom, mezzoutilizzato dai braccianti dell’epoca perandare in campagna, le pietre vissute deimuri a secco che delimitarono le campa-gne di Chiusa di Carlo a confine con la SS115. Al centro della sala, attorniate daimagnifici quadri, cinque sculture di artisticontemporanei. Li Gioi, proprio per daredignità al grido di coloro che dopo 40anni non hanno ancora avuto giustizia eimprimere l’evento nella memoria inmaniera indelebile, ha rilanciato la propo-sta, coltivata da tempo, di realizzare ilMuseo della memoria all’interno dell’ExMercato di via San Francesco D’Assisi,valido strumento per insegnare ai giova-Istallazione di Elia Li Gioi.

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ni che non si deve mai interrompere ildialogo con la pace. Una sezione potreb-be essere dedicata all’arte, un’altra aidocumenti storici, articoli dei quotidiani,pubblicazioni, materiale d’epoca, nelcontempo si potrebbe predisporre unmuseo multimediale che ingloba nel suoarchivio tutto il materiale in maniera taleda poter essere consultato da ogni partedel mondo. L’inaugurazione della mostra,rimasta aperta fino al 20 dicembre, è statapreceduta dalla premiazione dei ragazzidelle scuole che hanno partecipato al con-corso “I fatti di Avola nei temi e nei dise-gni dei bambini”. Le pitture degli artisti, idisegni, oltre i temi dei ragazzi, sono statiraccolti in due cataloghi dal titolo rispet-tivamente “1968/2008 Colore Avola” e “Ifatti di Avola nei temi e nei disegni deibambini” realizzati col patrocinio delComune di Avola, della ProvinciaRegionale di Siracusa, della RegioneSicilia, e dei Sindacati confederali.Grande successo di pubblico e boom dipresenze, infine, per la prima nazionaledel recital musicale “I Fatti di Avola”,andato in scena al cine teatro Odeon lasera del martedì. Il pregevole lavoro havisto sul palco Carlo Muratori, nella vestedi attore, autore ed esecutore delle musi-che, che ha ripercorso la storia della pro-testa dei braccianti su un testo di FilippoArriva, per la regia di Walter Manfré. Unracconto doloroso, rigorosamente storico,

generoso nei suoi paralleli-smi con l’attuale situazioneeconomico-politica, densodi spunti, capace di vivifi-care il passato per trasfor-marlo in patrimonio ditutti, anche di chi non havissuto i tragici avveni-menti e reso superlativo dauna musica che si identifi-ca nell’essenza stessa dellaSicilia. La pièce teatrale siè snodata anche attraversopassaggi poetici, come ilRrèpitu per il due dicembre(rrèpitu, lamento funebreintonato dalle reputatrici, ledonne che piangevano il de-funto con nenie caratterizzate da unacadenza ben precisa), poemetto in cinquemomenti, declamato da Stefania Bongio-vanni e Doriana La Fauci, scritto daSebastiano Burgaretta. Di lui anche iltesto del canto popolare dedicato alledonne che lavorano la mandorla, trattodalla recente pubblicazione Sicilia intima,di cui Carlo Muratori ha composto lamusica. Filippo Arriva, nel suo lavoro,non si è limitato a ricostruire la protestasindacale nella provincia di Siracusa nel1968, ma è riuscito a ricreare il climasocio-politico di quell’anno attraversouna serie di storie parallele, con perso-naggi che si ritrovano tutti, quella mattina

del due dicembre, come chiamati da undestino ineluttabile, sulla statale 115 diAvola. Mirabile l’armonia tra parole,musica e poesia, resa possibile da unaregia che ha portato il sigillo di WalterManfré, il quale è riuscito a imprimere atutto il racconto una tensione continua,punteggiata da un’ironia che talvolta si ètradotta in divertimento, talaltra in ama-rezza e rabbia. In scena, accanto a CarloMuratori, Stefania Bongiovanni, DorianaLa Fauci, Maria Teresa Arturia alla fisar-monica, Francesco Bazzano alle percus-sioni, Marco Carnemolla al basso, Mas-simo Genovese alla chitarra.

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Carlo Muratori

In un campo di ulivi, a qualche chilome-tro dalla fascia industriale, sono morti inuno scontro con la polizia due bracciantiagricoli. Si chiamano « giardini » questipoderi sui quali la Sicilia tenacementeconsuma la sua vecchiezza e un’indoma-bile volontà di conservarla. In questoentroterra, a due passi dalle ciminiere, ilsottosviluppo agita problemi arcaici,ingaggiando battaglie che ricordano imoti proletari di cinquant’anni fa. I quat-tromilacinquecento braccianti di Avolacos’hanno spartito con l’Italia che cam-bia? Che cos’hanno in comune con lanuova società operaia, se una sparatorialascia sui «giardini» due vittime delnostro «ordine»?Su questo confine fra due mondi, tra lalegge e l’arbitrio, tra ciò che è un uomo eciò che non lo è, vanno sciolte le contrad-

dizioni drammatiche che perdurano intor-no a noi. La gente dei «giardini» chiedeche lo Stato non sia soltanto il guardianodella legge.Perché due braccianti sono stati ammaz-zati? Queste due morti dànno scandalo,sono scomode per la nostra coscienza. Neparlano, a piena pagina, tutti i giornali.Avola si sente stretta da un giudizio che lamette al centro di un dramma del quale èresponsabile l’intero paese. «Questopopolo di poveri ha bisogno di essereconosciuto ed amato in ciò che non dice»,ha scritto un narratore siciliano. I poveridi Avola, forse per la prima volta, hannodeciso di farsi conoscere in ciò che dico-no. Ecco le loro voci.Sa cos’è il mercato di piazza? Il datore dilavoro, o il suo collocatore, si reca inpiazza e sceglie fra la moltitudine dei

braccianti chi è più abile al lavoro, scegliecolui che ha i muscoli più forti, colui chesi presenta bene nella forma, e lo porta alavorare; mentre scarta definitivamentecolui che è avanti con l’età, colui che hamagari i muscoli un po’ esili...

I giardini di Avoladi Sergio Zavoli

Il libro dal quale è tratto il testo di Zavoli.

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Le cose vanno così da un’infinità ditempo e la gente, prima, era rassegnata.Ma adesso c’è della gente che si rifiuta,naturalmente! Chi ha più coscienza diclasse, chi ha più coscienza di lotta, si ri-fiuta di accettare il cosiddetto mercatodelle vacche. Perché, qui, viene chiamatomercato delle vacche, purtroppo. Ma c’èanche chi, per bisogno, o perché analfa-beta, o perché debole di volontà, accettal’ingaggio in piazza e fa passivamentequello che dice il datore di lavoro. Nonso, se il datore di lavoro gli dice che develavorare mezz’ora di più, lavora e non siribella. Perché ha paura, dopo, di non tro-vare il lavoro. Quando poi il lavoro cala,mandano i capociurma, i «caporali», afare il ricatto: invece delle tremila lire odelle tre mila e cinquecento, duemilacin-que, duemilasei, obbligando anche a fareun orario non di sette ore, ma di otto eanche di più; anche di nove.Chi sono i «caporali»?Sono degli uomini come noi. Ecco, peresempio: noi guadagniamo duemilacin-quecento lire, loro guadagnano duemila-settecento lire.Perché?Perché il padrone li usa per farci lavora-re di più, mentre loro non fanno niente.Sono dei Kapò.Vuole spiegarmi meglio il meccanismodell’ingaggio?Due tipi di ingaggio: l’ingaggio in bian-co e l’ingaggio bloccato, pulito. Per noil’ingaggio bloccato potrebbe ancheandare, perché consiste in questo: il dato-re di lavoro si reca all’Ufficio di colloca-mento, fa la lettera di assunzione e preci-sa nella lettera di assunzione che il lavo-ratore Tizio è alle sue dipendenze, adesempio, dal 1° al 18 gennaio. Quindi allavoratore vengono corrisposte diciottogiornate lavorative ingaggiate. Quello

che noi non possiamo sopportare è ilsistema dell’ingaggio in bianco. Sa checos’è? Il datore di lavoro presenta la let-tera di assunzione e dice: il lavoratoreTizio è alle mie dipendenze, ma senza pre-cisare quanto tempo deve durare il lavo-ro ; il lavoratore Tizio è alle mie dipen-denze, e basta. Il lavoro finisce dopo qua-ranta-cinquanta giorni e il datore di lavo-ro non presenta la lettera di licenziamen-to, no. È a suo agio, la può presentaremagari a distanza di sei mesi senza che loStato lo colpisca...Questa circostanza, quali guai provo-ca?Che il datore di lavoro, producendo lalettera di licenziamento a distanza, met-tiamo, di sei mesi, non dichiara effettiva-mente le giornate lavorative; ne dichiaradi meno, molto di meno... Guardi, questaè una prova documentata in cui risultaquello che dico. È storia mia. Dopo averlavorato per circa sei mesi negli agrumipresso una ditta, mí sono visto pervenirela seguente lettera: «In relazione alladenuncia su indicata, si comunica che ilresponsabile della ditta in oggetto hadichiarato di non avervi mai occupatoalle proprie dipendenze. Poiché quantoprecede contrasta con il vostro assunto,siete invitato a fornire a questo ispettora-to prove documentali o testimoniali atte-stanti la veridicità della vostra denuncia.Ciò nel più breve tempo possibile affinchénon cada in prescrizione l’azione penalerelativa a quanto da voi reclamato. Ilcapo dell’Ispettorato provinciale dottor...Tizio e Caio».In realtà, quanti mesi ha lavorato pres-so questa ditta?Ho lavorato cinque-sei mesi. Ci sonomolti testimoni. Siccome gli ho chiesto difarmi l’ingaggio bloccato, l’ingaggiopulito, questo proprietario mi ha licenzia-

to e non mi ha fatto frequentare più inquella azienda. Allora sono andato allaPrevidenza sociale. Dopo un anno mi èarrivata questa lettera.I danni pratici quali sono?I danni pratici sono che i lavoratori, nonraggiungendo le giornate lavorative –che sono come eccezionale cinquantacin-que giorni, come occasionale centounogiorni, come abituale centocinquantagiorni – non raggiungendo questo quo-ziente, vengono cancellati dalla Cassamutua, non hanno assistenza, hanno ibambini al lastrico, ammalati senza dot-tore, senza assistenza medica...L’Ufficio di collocamento automatica-mente ci scarta, ci cancella, e noi perdia-mo i medicinali, il dottore. Quando io nonho il dottore, perché sono cancellatodella Cassa mutua, venendo a casa miaper una visita il dottore mi chiede tremilalire. Se io in una giornata non guadagnoneanche tremila lire, i soldi per pagare imedicinali dove li vado a prendere? Devoandare a rubare?Perché voi studenti avete solidarizzatocon i braccianti?Perché noi apparteniamo alla stessamiseria, siamo i figli dei braccianti equindi se scioperano loro, i figli devonoandare dietro ai padri.

In una terra dove la ragione ha conosciu-to tante sconfitte, non poteva esservi unlegame, né storico né morale, fra chi sa echi non sa. I giovani, oggi, cercano que-sto legame, superando in coraggio e con-sapevolezza la scuola che non li ha for-mati. Ecco uno stralcio di dialogo con unmaestro elementare:In virtù di che cosa il collocatore riesceancora ad avere tanto successo in que-sta società agricola?Beh, veramente, non voglio riferirmi ad

La statale 115 dopo gli scontri.

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un determinato collocatore perché nonfaccio nomi, ecco...Parliamo dell’istituto. Come riesce ilcollocatore ad avere ancora la megliosull’Ufficio di collocamento?Non saprei. Si vede che ha saputo fare, sivede che dà fiducia ai datori di lavoro, sivede che è ritenuto una persona idonea,capace di risolvere i problemi, insomma...… i problemi del datore di lavoro?Della categoria, sissignore.Il collocatore, dunque, serve solo ilpadrone?Certo, questione di correttezza, questioneanche di amicizia; insomma, un comples-so di cose.Non è un mediatore tra le due parti?No, è un uomo di fiducia del datore dilavoro.E gli altri, gli operai, si fidano?Beh, cosa vuole! È questione di lavoro...C’è un distacco tra vecchio e nuovo chenon risiede soltanto nella capacità disapere o non sapere scegliere un atteg-giamento civile: sta nell’immobilità divecchi e costituiti interessi. Interrogo unagricoltore.Per quali ragioni preferite ingaggiarela mano d’opera attraverso i «capora-li» e non attraverso gli uffici competen-ti?Beh, questa mano d’opera di Avola vieneassorbita in gran parte, per lo menoall’ottanta per cento, dalla zona limitrofadel Siracusano. E allora mandano unapersona di fiducia, in genere si chiamacollocatore o anche « caporale », a prele-vare sulla piazza cinquanta, venti, centobraccianti. Allora, a noi di Avola, resta loscarto. Ci sarebbe l’Ufficio di colloca-mento, ma in genere non ha la sensazioneesatta del numero delle persone disoccu-pate che ci sono e non ce l’ha per diversimotivi: perché il bracciante spesso nontrova il tempo per andarsi ad iscrivere,perché è un po’ complessa la prassi, per-ché non va a farsi bollare il tesserinoquando è disoccupato, ecc.Come vi garantite che il «caporale»non recluti lo scarto?Io personalmente non dispongo di «caporali » e quindi la scelta la faccio dipersona, e poi non è che la mia aziendaassorba una eccessiva mano d’opera,quindi so già chi devo ingaggiare. E ingenere, anche se mando una persona difiducia, gli dico: senti, mi abbisognanotre, quattro, dieci operai; cerca di porta-re Tizio, Caio, Sempronio, proprio indi-cando le persone. Nelle grosse aziende

dove invece ci si affida al «caporale», ingenere è il «caporale» che ne risponde equasi mai credo che venga meno a questafiducia.Il «caporale» sa bene che cosa desiderail padrone?Il «caporale» sa chi deve scegliere.A quali inconvenienti andate incontronell’ingaggiare i braccianti in piazza piut-tosto che negli uffici di collocamento?Penso nessuno. Anzi, abbiamo la conve-nienza. Poi vi sono fattori anche morali,affettivi. Se io vado in piazza e cerco deibraccianti, cercherò di scegliere quellepersone che già mi conoscono e che ioconosco. Quelle persone alle quali è gra-dito venire nella mia azienda, oltre che iogradire loro. Io scelgo quelli che vengonocon piacere a lavorare da me. Per diversimotivi: o perché con alcuni siamo statianche ottimi compagni di scuola e d’in-fanzia, altri perché li conosco come otti-mi lavoratori, altri perché addiritturasono già pratici e sanno quali sono le esi-genze della mia azienda, sanno qualisono i lavori e come si devono fare.Allora, capirà, io non posso affidarmi achicchessia!Perché non denunciate le effettive gior-nate lavorative?Beh, questo non credo che sia eccessiva-mente esatto. Adesso, come è congegnatala denuncia dei contributi unificati, èabbastanza difficile sfuggire in quanto cideve essere una certa relazione fra le notedi ingaggio e le denunce che noi faccia-mo.Perché c’è stata tanta esitazione daparte vostra nel condurre le trattativeper il rinnovo del contratto, perché lo

sciopero è durato tanto? È vero chesiete mancati ad un appuntamento trale parti?Guardi, in merito andremmo troppo perle lunghe, perché ci sono dei precedentiche sono stati riferiti con assoluta inesat-tezza. Magari non ci sarà la malafede daparte di nessuno, però inesattezze mol-tissime...La interrompo, per facilitarle il compi-to, con un’altra domanda. Perché si ègiunti alla soluzione della vertenza sol-tanto dopo, la sparatoria e i morti?I nostri rappresentanti sono arrivati auna firma non gradita, per evitare il ripe-tersi di altri incidenti, sebbene le trattati-ve fossero in corso ed avviate a sicurasoluzione anche senza bisogno di questisfoghi violenti.Anche anni fa, se non sbaglio, per ilrinnovo del contratto di lavoro giunge-ste ad una soluzione dopo una serie discioperi, dimostrazioni, ferimenti...Vede, ormai lo sciopero non naturale, nonnormale, ma lo sciopero così, sotto formaestrema, è diventato una prassi. Almenoqui, localmente. Non penso che ci siaassolutamente bisogno di arrivare a que-sti estremi, in quanto trattare si può sem-pre con reciproca comprensione... Com-prensione, ci vuole!Il funerale di Avola dovrebbe fare giusti-zia di tante cose, prima fra tutte la paurache annulla ogni speranza e arresta sulformarsi ogni slancio civile. Questi duemorti forse stanno già strappando la Si-cilia dai siciliani che parlano poco, cherinunciano, che si rodono dentro.C’è gente, oggi, che si apre. E va capita«in ciò che dice ».

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Uno dei cortei svoltisi dopo gli scontri.

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Da giorni ci domandava-mo:“Si sciopera o no?”. Il 2 ildilemma fu sciolto dai brac-cianti. Accolti da grandi ap-plausi, fecero uscire tutti (enoi, fra spintoni e urla, fummovelocissimi). Ricordo ancoracome fu tirata giù la saracine-sca. Uno schianto: la scuolachiusa. Come negozi e uffici.Chissà per quanto. Sennonchési sentirono invocazioni d’aiu-to: il bidello era rimasto den-tro. La scuola fu riaperta perfarlo uscire.Orazio propose di andare alblocco sulla statale, per vede-re gli scioperanti. Andammo,per curiosità. Felici di occupa-re la strada nella sua larghezzae di celebrare ore di inaspetta-ta libertà, chiedendo sigarettea destra e a manca. Man manoche ci avvicinavamo al bloc-co, la folla s’infittiva, i discor-si si facevano più accesi.Circolava l’energia che si creaquando s’incontrano tante per-sone, tante volontà, tanti gesti.Alcuni scioperanti erano se-duti in circolo per terra; altrierano intenti a spiegare agliautomobilisti le loro ragioni.Ai lati della strada, di qua e di là dei muridi sassi, languivano i resti di fuochi not-turni. Il cielo era limpido, come a benedi-re la vacanza, ma l’aria fredda, come asottolineare i disagi. Le facce stanche, lebarbe lunghe. Io ero colpito dalla padro-nanza con cui i braccianti tenevano lastrada. Tutto si svolgeva come obbedendoa un ordine naturale: questo era possibile,dunque, per difendere un diritto.Giovani conosciuti in paese come comu-nisti sembravano nel loro elemento: par-lavano con cognizione, formavano croc-chi. Si muovevano nella ressa secondonecessità solo a loro evidenti. Si ricono-scevano dall’aspetto: larghi maglioni,lunghe sciarpe, lo sguardo e la parolapronti per tutti. Il sindaco e le autoritàparlamentavano, evidenziati da un vuotoattorno.La polizia arrivò mezz’ora dopo che io eOrazio eravamo andati via. Fra gli ulivi si

scatenò la battaglia. Il ventospinse i lacrimogeni contro glistessi poliziotti, che persero latesta: si videro circondati damille braccianti e aprirono ilfuoco.La notizia volò di bocca inbocca. Nel pomeriggio io eOrazio, increduli che tantofosse successo dove noi erava-mo stati, ci recammo alla sededel partito comunista. Ma nonfu possibile entrare. Il dolore ela rabbia formavano un murospesso di gente fin sulla porta.Sulla strada erano rimaste pal-lottole e pietre. Si erano conta-ti due morti e due chili dipiombo.L’indomani gli agrari, che dagiorni disertavano le riunioni,si presentarono alla firma delcontratto. Il giorno dei funera-li tutta Avola si vestì a lutto. Ilcorteo si svolse il 4, sotto lapioggia, sotto una selva diombrelli neri.Io pensavo ai miei nella terradi nessuno dell’emigrazione, atante case che si svuotavanoper addii sommessi, al via vainella strada Nord Sud, aglisguardi obliqui di chi restava,

che percorrevano tutti i marciapiedi,fermi sulla soglia della disoccupazione.Pensavo alla tessera della DC di miopadre, riposta nel cassetto delle cose chenon si usano, ma non si buttano.“Se no,quando tu eri piccolo, non lo facevanolavorare” mi aveva spiegato mia madre.Ricordai una sera che mio padre tardavapiù del solito: era stato pagato per affig-gere manifesti della DC. “Se lo incontra-no i carabinieri, lo arrestano” diceva miamadre nell’attesa. “Se lo incontrano quel-li di un altro partito, lo picchiano”. Miopadre arrivò che io già dormivo: fui sve-gliato dalla sua voce. Mio padre raccontòche i manifesti erano tanti: i più li avevaportati a casa. Finirono nascosti nell’ulti-mo cassetto dell’armadio. Per tantotempo avevo pensato ad essi con un sensodi colpa. Ne guarii quel 2 dicembre.“Tutta propaganda in meno per la DC”pensai con soddisfazione.

Avola 2 dicembre 1968di Giorgio Morale

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Viaggio in trenodi Grazia Maria Schirinà

Era il 1977 e mi trovavo in treno, per tor-nare a casa per le vacanze, forse quellepasquali; il treno era affollatissimo, ma ioavevo trovato il posto e mi sentivo privi-legiata. Stavo comodamente seduta men-tre tante persone, soprattutto del Sud, conuna giornata intera di viaggio da fare,erano in piedi nel corridoio. All’epoca,viaggiare, soprattutto nel periodo dellevacanze, era un vero problema. Ci siavventurava, ma non sempre il viaggioera comodo: del resto anche ora, e per dipiù in aereo, non è che i problemi siano dimeno. Ma non voglio divagare, altrimen-ti andrei troppo lontano e invece in questomomento voglio ricordare dei fatti benprecisi. Eravamo dunque nel tratto di stra-da che porta da Milano a Bologna (ioinsegnavo al “Sarpi” di Bergamo) e misentivo, ed in effetti lo ero, fortunata,anche se la mia fortuna era frutto, almenocredo, di un lavoro intenso e appassiona-to di studi classici e letterari. Mi trovavodunque in treno, intenta, come semprequando i viaggi sono lunghi, alla letturadi un libro; ogni tanto scambiavo una bat-tuta con mio marito, che spesso interferi-va con le mie letture e mi invitava a par-lare. Una signora, seduta davanti a me,dopo le prime nostre parole, cominciò aguardarci in maniera sempre più insisten-te. Non la conoscevamo, ma si capiva chevoleva dirci qualcosa. Tra un motto e l’al-tro, infatti, esordì col chiedere da dovevenissimo. Senza esitazione rispondem-mo che eravamo di Avola. Ah! Il paese dei famosi fatti! Avevo bencapito che eravate siciliani!Non capii cosa volesse dire e che tipo didiscussione volesse intavolare. Era unasignora ben vestita, sui quarant’anni, unadel Nord, una docente universitaria che sirecava a Bologna a tenere una sua lezio-ne. Questo ovviamente lo sapemmo dopo. Cosa ne pensate, voi giovani, dei fatti?Evidentemente non si era resa conto,forse per il nostro comportamento o forseper il nostro modo di essere, che poi tantogiovani non eravamo, dato che io erodocente e mio marito medico in un ospe-dale del Nord. Aveva un cipiglio strano,che non mi convinceva; la sua non erasolo curiosità, l’espressione era tropposeria, arcigna quasi, che faceva contrastocon i suoi lineamenti e tutto il portamen-

to. Noi parlammo dei braccianti e dellaloro condizione di vita, del fatto che civolesse un’attenzione diversa ai problemidella gente, dei lavoratori dei campi inparticolar modo, che, all’epoca, nonerano garantiti e lottavano per una giustacausa. Parlammo anche dei morti ammaz-zati e facemmo le nostre considerazionisul fatto che i militari erano altri giovanidel Sud, che, per non avere trovato unposto di lavoro, si erano arruolati e sierano trovati di fronte i loro stessi fratelli.Due uomini erano caduti, Angelo Sigonae Giuseppe Scibilia, appena fuori dellacittà, nel tafferuglio generale. Due cheneanche c’entravano, avevano perso lavita e avevano lasciato le loro famiglie inpreda alla disperazione più nera. Noi, siaio sia mio marito, al momento dei fatti,eravamo in terza liceo e, fino alla giorna-ta del 2, quando ci fu riportata la notizia,vivevamo quegli avvenimenti con parte-cipazione sì, ma forse anche con goliar-dia: lo sciopero, si sa, quando si è studen-ti, fa sempre un certo effetto. La notizia diquelle morti ci aveva fatto svegliare dibotto, ci aveva resi partecipi di una realtàpiù grande di noi; la moglie di uno degliuccisi era una nostra coetanea, avevaappena diciannove anni; fu allo-ra forse che cominciammo avedere la protesta con occhidiversi. Era il 1968, e tutti i gio-vani reclamavano qualcosa, chiconsapevolmente chi inconsape-volmente. In Francia il movi-mento studentesco era in subbu-glio, alla televisione ci facevanovedere cortei di giovani studentimanifestanti, giovani e operaiinsieme..; era una protesta chenoi, allora, accettavamo, condi-videvamo, ma della cui portatanon ci rendevamo conto. Ci indi-spettì tuttavia la proiezione dellanostra bella città che, durante larubrica TG7, venne propostadalla televisione italiana. Tutte ledonne erano velate, quasi con lacappa nera, e gli uomini sembra-va quasi nascondessero sotto legiacche la lupara. Dove eraandato a pescarle Sergio Zavoliquelle immagini? Non apparte-nevano alla nostra città, sicura-

mente non erano veritiere; dov’erano igiovani che scioperavano accanto aglioperai?Il viaggio in treno proseguiva con i nostriricordi e, in verità, diventava anche menostancante, noi rispondevamo alle doman-de sempre più incalzanti della nostrainterlocutrice, che voleva sapere, e noncapivamo cosa volesse farci dire. Per noiil ricordo era, se non fosse stato per quel-le morti, anche piacevole (gli anni dellascuola, col senno di poi, sono sempre ipiù belli). Eravamo stati anche soddisfat-ti che fosse nato, proprio ad Avola, loStatuto dei lavoratori, e, in quel momen-to, forse anche la curiosità della nostrainterlocutrice ci rendeva un po’ orgoglio-si per il suo interesse ai fatti. Non sapeva-mo dove volesse arrivare e non capivamoil suo cipiglio, finché non sbottò: Ad Avola si è originato anche tanto altrodanno. Nelle università non se ne può più.A Bologna gli studenti sono diventatiinsostenibili! Tutti pretendono, anche ildiciotto politico, a tutti si deve tutto!Mettono sempre davanti le rivendicazionidegli operai, dei braccianti di Avola,come se fosse una cosa che appartenesseanche a loro.

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Restammo sbalorditi, la sua era vera epropria rabbia nei confronti del cambia-mento, che i giovani universitari voleva-no attuare negli atenei (il cambiamento cifu, ma i baroni c’erano allora e ci sonoanche ora); forse non tutti eravamo prepa-rati ad accettare quello che era successo,forse non tutti volevano ammettere che itempi erano cambiati (così come oggi nontutti siamo disposti ad ammettere chequalcosa non ha funzionato). Noi non cre-devamo, allora, che la nostra interlocutri-ce potesse nutrire tanto rancore nei con-fronti dei giovani universitari, anche se ciavevano detto che a Bologna la situazio-ne era stata molto calda e che al “Sarpi”stesso, dove io insegnavo, le rimostranzedegli alunni avevano indotto a prendereseri provvedimenti nei confronti di alcunifacinorosi, che avevano malmenato deidocenti. A me sembrava pressoché impos-

sibile una situazione del genere; a Cataniaci eravamo riuniti con gli altri studenti,avevamo discusso e manifestato anchenoi, ma forse, come sempre da noi, al Sudla situazione è molto più soft. Eppure c’e-rano stati i morti dei fatti di Avola eAvola, cittadina del profondo Sud, avevadato prova ancora una volta di partecipa-zione sociale ai problemi della nazione,aveva fatto sventolare per prima, ancorauna volta, la bandiera della libertà, comenei famosi moti del 1848, quando il trico-lore sventolò dal balcone di una casa sitain quello che poi fu chiamato CorsoGaribaldi. Negli occhi della nostra inter-locutrice notai anche una punta di stizzanei nostri confronti, che, gente del Sud,avevamo trovato un posto di prestigio alNord: emigranti di livello diverso daquello del primo ‘900. Si era arrivati intanto nei pressi di

Bologna e, oserei dire, fortunatamente, laprof.ssa scese; forse fui un poco solleva-ta, non mi piaceva più il tono di quelladiscussione; io non mi sentivo in colpa segli studenti e i lavoratori avevano recla-mato i loro diritti, anzi me ne sentivoorgogliosa anche se avevo nel cuore,ancora di più, la rabbia per quelle mortiingiuste, che tuttavia avevano attirato, colloro sangue, finalmente, un po’ di interes-se.Continuammo a parlare con mio marito,non ero più serena come prima, queldiscorso mi aveva turbato e ancora ora,quando ci penso, mi sento ribollire il san-gue. Solo molto dopo fui capace di pren-dere il mio libro, per continuare la lettura,ma non fu più la stessa cosa.

Giorni fa, a scuola, la prof. di Italiano ciha invitati a partecipare alla realizzazionedi un lavoro su I fatti di Avola. Non sape-vamo di che cosa parlasse, avevamo unavaga idea del ’68, anche se nel corso diun’assemblea studentesca, durante l’annoscolastico 1997-98 avevamo appreso cheun grande impegno sociale e politicoaveva caratterizzato quegli anni. Il 1968 èstato infatti un anno che ha lasciato unsegno profondo nella storia della societàitaliana, e non solo per le proteste studen-tesche, per il terremoto nel Belice e inIran, per l’invasione della Cecoslovacchiae per l’accordo raggiunto fra braccianti eagricoltori, ma anche per il tragico scio-pero degli stessi braccianti, che, solodopo la morte di Angelo Sigona e Giu-seppe Scibilia, videro prese in considera-zione le loro richieste. La discussioneemersa in classe è stata stimolante, percui si è deciso di approfondire il problemae si è cercato di realizzare una ricerca ri-gorosa innanzi tutto sulle fonti d’epoca e,quindi, attraverso un questionario.Ciascuno di noi lo doveva proporre adieci persone. Alla fine di questa indaginesi sono messi insieme i dati raccolti e,quello che ne è venuto fuori è questonostro lavoro. Siamo stati ben lieti di

essere intervenuti perché così abbiamopotuto condurre la nostra “guerra illustrecontro il tempo”, ricordando a chi dimen-tica e insegnando a chi non conosce, noiper primi. Oggi, a trenta anni di distanza,si può cercare di ricostruire con maggiorechiarezza la storia di quei giorni e com-

prendere le ragioni politiche dalle qualiscaturirono gli scontri tra le forze dellapolizia e i lavoratori.Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia, ucci-si dal piombo della polizia, divennero ilsimbolo della lotta per l’emancipazionedella classe lavoratrice e di quanti recla-

Ieri come oggi

Avola V B ginnasiale - 1998

Corteo celebrativo a Chiusa di Carlo.

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mavano i loro giusti diritti.Le domande poste agli intervistati eranole seguenti:Cosa ricordi del ’68?Quali furono le cause?Sotto quale profilo personale è stata vis-suta quest’esperienza?Cosa accadde di preciso?Come reagì l’opinione pubblica?Perché ci fu l’intervento armato?All’epoca la protesta era solo da partedei braccianti o si ampliò?Come hanno reagito i datori di lavoro?A cosa è servito?Servono gli scioperi?La scuola appoggiava la manifestazionee perché?I due morti potevano essere evitati?Se “non ci scappa il morto” lo Statointerviene?Come reagì la politica?Degli intervistati solo un terzo ha rispostoa tutte le domande, mentre i rimanentidue terzi hanno dichiarato di non ricorda-re o di non sapere. Eppure avrebberodovuto poter dire qualcosa di più! Mahanno dichiarato di non voler rispondereper motivi politici, motivi rispettabilissi-mi, eppure… sorge il dubbio che si trattidi quelle stesse persone che un tempoerano in prima linea e che oggi… voglio-no dimenticare.La nostra indagine risulta quindi limitata,ma pur nei suoi limiti, ha evidenziato che,allora come oggi, la società meridionale,specialmente del nostro paese, sia divisatra opposte fazioni e comunque alla ricer-ca del proprio utile.Un giovane in particolare racconta:le mie conoscenze sul ’68 ad Avola sonoovviamente legate a quanto riferitomi daimiei genitori, dai miei nonni, dai miei zii,da quanti, trent’anni or sono furono inte-ressati, direttamente o indirettamente, neicosiddetti fatti di Avola. Sentimenti diemozione, di rabbia, di paura, di pietàancora suscitano gli avvenimenti di quelgiorno. Mi raccontano della sera del 2dicembre, allorché stavano chiusi in casaper timore di qualche reazione sproposi-tata da parte della gente e si assisteva allatv, ironia della sorte, alla proiezione delfilm sul bandito Giuliano, in cui si rap-presentavano scene di Portella dellaGinestra; mi raccontano di come tutta lastampa e la televisione si occuparono dei“fatti di Avola”; mi raccontano dell’urlodelle sirene delle ambulanze in quelpomeriggio autunnale; dei funerali deidue morti in un giorno piovoso; della

venuta ad Avola del Ministro del lavoro. Ciascuno ha raccontato a modo suo la suastoria, un pezzetto della propria vita edella vita del nostro paese. Noi non pos-siamo trascrivere tutto, ma… dalle rispo-ste, tutte documentabili, abbiamo dedottoquanto segue:Nel 1968 i braccianti avolesi lavoravanodall’alba al tramonto, ma il loro lavoronon era regolamentato. Non solo non ave-vano un contratto, ma non venivano paga-ti nè in modo equo, né tenendo conto del-l’orario di lavoro. Inoltre i braccianti cheandavano a lavorare nella zona nord delsiracusano percepivano una paga giorna-liera superiore, pur lavorando mezz’ora dimeno. Arrivati all’esasperazione i brac-cianti, dopo alcuni mesi di discussione,decisero di protestare, per porre fine aquelle ingiustizie. Diedero così inizio auno sciopero che avrebbe coinvolto, intempi diversi, tutto il Meridione e l’interanazione. Lo sciopero iniziò dapprimasenza blocchi stradali e vide la partecipa-zione non solo dei braccianti ma anche dimolti operai. Si mostrarono subito sensi-bili gli studenti e alcuni consiglieri comu-nali, fra cui il vicesindaco avv. FaustD’Agata, cui abbiamo anche rivolto lenostre domande. Da lui apprendiamo chela gente si ribellò ai fini di una politicapiù giusta: i braccianti volevano un lavo-ro regolare e un contratto. Non volevanoessere sfruttati. Lo sciopero ebbe iniziò il21 novembre, quando i braccianti si riuni-rono sulla strada statale 115 che porta aSiracusa, presso la Chiusa di Carlo, doveora sorge l’ospedale “Di Maria” e si limi-tarono a manifestare senza creare alcunblocco stradale. Dopo però, visto che nes-suno li prendeva in considerazione, deci-sero di agire in modo più efficace. Così lanotte dell’1 dicembre crearono dei bloc-chi sia lungo la strada nazionale chelungo le provinciali; in questo modoavrebbero isolato il paese. Essi stessi poisi diedero dei turni anche di notte, persorvegliare le strade. Tenevano lontano ilfreddo, facendo dei falò per scaldarsi. Ilgiorno dopo la polizia si consultò con ilQuestore di Siracusa, il sindaco del paese,on. Denaro, e il vicesindaco, on. D’Agata,per decidere sul da farsi e convincere ibraccianti a togliere i blocchi. Ma quellinon vollero saperne: la loro causa eratroppo importante, per lasciar perderetutto. A questo punto la polizia cominciòa lanciare lacrimogeni; i braccianti rispo-sero, scagliando pietre: alcuni poliziottirimasero feriti. È il momento decisivo

dello scontro: si aprì il fuoco contro imanifestanti; lo scontro durò circamezz’ora, e due braccianti persero la vita.Angelo Sigona morì sul colpo, mentreGiuseppe Scibilia, pur soccorso, nonarrivò vivo in ospedale.I motivi che avevano indotto i bracciantia protestare erano determinati soprattuttodalla mancanza di lavoro, dall’eccessivoaumento dei prezzi, dalla predominanzadi lavoro nero, dalla mancata parificazio-ne del trattamento.L’esperienza di questo ’68 avolese è statavissuta dagli intervistati in modo diverso:alcuni sono stati coinvolti in prima perso-na, altri ne hanno avvertito i disagi e leproblematiche, perché i loro familiariappartenevano alla categoria bracciantile,altri, più giovani, sono stati indotti ariflettere sul problema e a dare il loro con-tributo sociale, altri ancora erano troppopiccoli e non hanno quindi avuto o subitoalcuna ripercussione. Una minoranza hacomunque affermato che lo sciopero deibraccianti creò non pochi disagi a chidoveva allontanarsi dal paese per motividi lavoro o per motivi di studio, nonpotendone fare a meno.Già la sera del 3 dicembre, all’Assem-blea Regionale Siciliana, si votò, perchéil Parlamento e il Governo decidesserol’immediato disarmo della polizia e deicarabinieri in servizio di ordine pubblico,particolarmente durante le lotte di lavoro,e si espressero lo sdegno contro l’usodelle armi e il ricorso alla violenza perreprimere le lotte sindacali.Lo sciopero, secondo i nostri intervistati,è dunque un valido strumento, forse l’u-nico che il cittadino ha per reclamare ipropri diritti, ma alla base non ci devonoessere né interessi settari, né strumenta-lizzazione politica per motivi non attinen-ti alla tutela dei lavoratori (come spessoaccade). L’optimum sarebbe che non cifosse più bisogno di protestare e che sivivesse in uno stato di libertà e di diritto.La scuola aveva il dovere di appoggiare lemanifestazioni, perché, venendo a man-care in famiglia il denaro, ai figli nonpoteva essere mantenuto il diritto allo stu-dio. E inoltre vive nella scuola, soprattut-to, la società di domani, per cui, alloracome ora, essa ha il dovere di appoggiaretutte quelle manifestazioni che mirano almiglioramento sociale, civile ed econo-mico dei lavoratori e della società di cuiessa fa parte.Tutti, alla domanda se le due morti sisarebbero potute evitare, hanno risposto

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[...] Con questo lavoro, Burgaretta ci con-segna una ricostruzione precisa e articola-ta sull’eccidio di Avola, e in generalesulle lotte operaie e bracciantili del bien-nio 1968-69 avvenute in provincia diSiracusa. Certo a partire da quegli annimolti progressi sociali sono stati compiu-ti, molte libertà politiche sono state con-quistate e poi difese, lo spazio della par-tecipazione popolare alla cosa pubblica èaumentato. Ma via via che questo proces-so duro e faticoso si apre la strada, pur fralotte aspre e fra le insidie del ritorno alpassato, è lecito interrogarsi sul significa-to di quelle battaglie, sugli obiettivi rag-giunti e sui problemi indicati, ma cheattendono una soluzione. E se è vero chela contraddizione dello sviluppo italianodegli anni Settanta e Ottanta consiste,ancora, nelle particolari condizioni delMezzogiorno e nella forte disoccupazio-ne, allora la riflessione su quegli eventiacquista ulteriore legittimità.Il libro di Burgaretta risponde proprio a

questa esigenza. L’autore, attraverso unaricerca scrupolosa e puntuale, ha rico-struito i drammatici giorni di Avola e iltragico epilogo. Per fare il punto sui fattie per comprenderne la dinamica, ha uti-lizzato tutte le fonti esistenti, dalla stam-pa dell’epoca agli atti parlamentari e alleinterviste dei protagonisti. Burgaretta ciconsegna “una memoria ordinata” (direb-be Giarrizzo) di quegli eventi, che servirà,come ha scritto l’autore, “a farli conosce-re ai giovani che non sanno alcunché diquegli avvenimenti, a ricordarli a chifacilmente dimentica”. E in una fase nellaquale la domanda di conoscenze storicheva via via crescendo, gli studiosidell’Italia repubblicana troveranno inquesto volume elementi utili perapprofondire questo periodo così difficiledella nostra storia, contrassegnato da epi-sodi drammatici come quello di Avola,ma anche carico di sollecitazioni e tensio-ni della società civile che chiedeva unprofondo rinnovamento politico e sociale.

La ricostruzione degli avvenimenti, dal-l’inizio della lotta bracciantile fino al tra-gico epilogo, le reazioni nel paese dopol’eccidio, l’atteggiamento del governo e

I fatti di Avola di Sebastiano Burgarettadi Giuseppe Astuto

di sì, a condizione però che vi fosse stata,da parte delle autorità preposte, la volontàdi risolvere in modo civile e democraticola controversia fra i braccianti e gli agraridatori di lavoro. Forse le due morti furo-no volute, si dice anche, e cercate da qual-che parte politica. Si diceva a quei tempiche sobillatori fossero venuti da Palermo,ma la verità non si saprà mai. Lo Stato,d’altronde, non si impegna adeguatamen-te, per salvaguardare i diritti dei cittadiniche sono costretti, allora come oggi, amobilitarsi. In questo modo lo Stato inter-viene solo per evitare ulteriori disordini,ma può sempre accadere che la protestadegeneri in tragedia.In quell’occasione, come ancora accadeper altri motivi, ogni partito politico cercòdi scaricare sugli altri le colpe dell’acca-duto, e, se da una parte i partiti di sinistrasottolineavano le responsabilità delGoverno, dall’altra parte i partiti di destraaccusavano i partiti di sinistra e le forzesindacali di avere esasperato gli animi edi avere speculato sul bisogno dei lavora-tori. Molte parti politiche si sentirono, inquell’occasione, impegnate sul tema deldisarmo delle forze dell’ordine.Oggi come allora gli studenti si trovanonelle condizioni di dovere lottare, per

essere ascoltati dallo Stato che, se da unaparte propone innovazioni, dall’altramantiene arretrate le strutture e i servizidal punto di vista quantitativo sia qualita-tivo. E che dire del mondo del lavoro?Non è più il ’68, ma quanto malcontento!La disoccupazione dilaga, e, oseremmodire che il caporalato non è morto, nono-stante le categoriche affermazioni del sen.Giacomo Brodolini, allora ministro dellavoro, nella sua visita ad Avola, avvenu-ta il 4 gennaio 1969, a poco più di unmese dalla strage (S. Burgaretta, I fatti diAvola, libreria editrice Urso, 1981).I braccianti stanno lì nel posto dove sta-vano allora, ad aspettare che arrivi qual-cuno a chiamarli, a sceglierli, e dire; tu,tu, tu domani venite a lavorare. Esat-tamente come prima di quel dicembre ditrent’anni fa. Anzi con meno lavoro e piùgiorni a passeggio (F. Piccolo, Il brac-ciante che visse due volte, in “Il diariodella settimana”, 1998).In molti pensano che i diritti rivendicatiallora dai braccianti agricoli ancora ogginon siano rispettati: c’è mancanza dilavoro e, mentre il costo della vita aumen-ta, i salari restano fermi. Dilaga il lavoronero e lo Stato propone sempre nuoveleggi che danneggiano tanto gli operai

quanto i datori di lavoro; uno che vogliamettersi in regola ingaggiando un ope-raio, non solo deve pagare uno stipendioequo, ma deve pagare allo Stato una per-centuale tale da costituire quasi un altrostipendio. E questo non conviene, perchéspesso i prodotti non si vendono e le usci-te superano le entrate. D’altronde i pro-dotti che lo Stato importa costano moltomeno dei nostri, che restano, per neces-sità, a marcire sugli alberi.Oggi lo Stato ha molte colpe, in quantonon incoraggia il commercio o lo fa soloa parole e spesso si tura le orecchie difronte alle richieste del popolo. Si torna aparlare di scioperi e manifestazioni. Setutto funzionasse, gli scioperi non cisarebbero, ma… non tutti si rendonoconto che ci sono categorie di persone chevivono seri problemi e che cercano, perbisogno, di farsi ascoltare ricorrendo atali mezzi.Lupi e agnelli ce ne sono sempre stati econtinueranno ancora ad essercene, per-ché purtroppo molti, o meglio tutti, pen-sano solo ai propri interessi anche adanno del prossimo. Perché la societàfunzioni dovremmo imparare ad esserepiù umili e rispettare il prossimo: non esi-stiamo solo noi con il nostro utile.

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della magistratura sono i punti fondamen-tali attorno ai quali si articola il lavoro diBurgaretta. Sulle reazioni nel paese si èaccennato. Per quel che riguarda la dina-mica degli avvenimenti, dalla esposizionedell’autore appare netto che l’interventofu voluto e che in nessun modo si puòparlare di legittima difesa da parte dellapolizia.Come è noto, con la lotta che i bracciantiiniziano nel novembre 1968 si rivendicala parificazione delle due zone salariali incui è divisa la provincia di Siracusa,miglioramenti economici e l’introduzionedi una normativa volta a consentire nelleaziende il controllo delle applicazionicontrattuali. Mentre gli aspetti economicidella vertenza non costituiscono un serioostacolo al componimento della stessa,viceversa si manifesta subito da partedegli agrari una ostilità preconcetta sullaparte normativa, che le organizzazionisindacali hanno concretizzato nella istitu-zione di commissioni comunali pariteti-che e nel controllo sulla esecuzione deicontratti.Di fronte alle resistenze degli agrari atrattare su questi punti della vertenza, losciopero si protrae per alcuni giorni e finoa quando il Prefetto di Siracusa, dietro lepressioni del movimento sindacale e diesponenti della classe dirigente siracusa-na più vicina ai lavoratori, convoca dinuovo le parti. Ma per ben due volte i rap-presentanti degli agrari non si presentanoalle trattative. In questo clima matura ladecisione dello sciopero generale del 2dicembre e poi lo scontro alle ore 14 sullastatale 115.Gli aspetti più interessanti di questa partedel volume sono le interviste ai testimoni.Per capire l’atteggiamento e gli umori cheserpeggiano negli ambienti dell’apparatostatale è opportuno far riferimento alledichiarazioni di alcuni protagonisti diquelle vicende. Ad un determinatomomento, – afferma l’on. D’Agata – men-tre trattavamo in prefettura e si stavaarrivando al dunque, il prefetto fu chia-mato al telefono da Roma. Non parlòdavanti a noi, si allontanò e si fece pas-sare la comunicazione dall’altra parte.Poco dopo ritornò con atteggiamentocambiato di punto in bianco: mentreprima aveva una posizione mediatrice etendeva a far raggiungere un accordoalle parti, dopo la telefonata diventò col-laterale e di sostegno alle posizioni diintransigenza degli agrari. Non ricordose in quella riunione o in quella successi-

va minacciò di far intervenire i militari,non più la polizia, i militari. Di carattereanalogo è la dichiarazione del sindaco diAvola del tempo, on. Denaro, il quale erapresente a quella seduta: L’impressioneche io ebbi,… quello che avvenne fu acausa di una telefonata (al prefetto) venu-ta dall’alto, proprio forse dal ministroRestivo, in seguito alla quale il prefettofece allontanare dal gabinetto il colon-nello dei carabinieri e il questore, cam-biando tattica.L’atteggiamento ambiguo e ostile dellaprefettura e degli organismi statali verso ilavoratori verrà richiamato più volteanche nel corso del dibattito parlamenta-re. Il deputato comunista AntoninoPiscitello, che era stato presente agliavvenimenti, nel suo intervento dirà chefin dall’1 dicembre era stata segnalatatelegraficamente al ministro del Lavoro ladrammatica situazione della zonae che egli era riuscito ad avereassicurazione da parte del Pre-fetto di Siracusa che la polizianon sarebbe intervenuta.Giustamente Giarrizzo rileva chela decisione politica di cui ilPrefetto di Siracusa fu strumentointerpretò anticipandole sceltereazionarie quali erano maturatein settori decisivi dell’apparatostatale e della classe politica ita-liana. E poi conclude domandan-dosi se la reazione di destra, ecioè le motivazioni e gli obiettividella cosiddetta “strategia dellatensione”, non vadano ricercatinelle vicende di questi mesi enella crisi politico-sociale in attonel paese. La prova generale, –continua Giarrizzo – come è noto,sarebbe stata ad un anno precisoda Avola la strage di PiazzaFontana: è arbitrario proporreche le radici di quel radicalismo

di destra abbiano tratto succhi ed alimen-to da iniziative di repressione e di scon-tro, proposte all’opinione pubblica come‘errori’? (Giarrizzo, Nota introduttiva).Si tratta di suggerimenti e riflessioni, suiquali non si può non convenire. Ma chivoglia approfondire la storia delMezzogiorno e della Sicilia, ed in parti-colare la storia delle campagne e delmovimento contadino, non può non inter-rogarsi sul significato e sull’importanzadelle lotte bracciantili del 1968, di cui ifatti di Avola assumono ormai un caratte-re periodizzante. In che senso queste lotteinnovano rispetto alla tradizione delmovimento contadino siciliano e da qualecontesto economico-sociale traggono ali-mento?(da Sebastiano Burgaretta, I fatti di Avo-la, Editrice Urso)

I professori Rosario Mangiameli, Sebastiano Burgaretta e Giuseppe Astuto al Convegno dell’ 1 dicembre 2008.

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Quel due dicembreQuel due dicembre fu di lunedì.

Bloccata la vita tutta nel paese.

Gelo nella decima notte vuota

e ancora al fuoco caldo dei falò

pane tostato e olive per operai,

braccianti e poliziotti amici.

Ma quei ceppi fumiganti forieri

furono di ben altro fumo nero.

Nìuri tizzuna comu piçi

a-llampu caruti ri lu çelu.

Nìuri tizzuna comu piçi

a-llampu caruti ri lu çelu.

La Celere mandata dai potenti

a compiere l’opera suprema.

Gli elmetti in testa ai militari

annunciano la carica vicina.

Squilli di tromba rituali

e via alla sardana comandata.

Acri lacrimogeni infernali

tornati per il vento agli emissari.

Ittati mazzacani a-mmenzâ strata!

Picciotti, nun si passa a-bbia ri forza!

Ittati mazzacani a-mmenzâ strata!

Picciotti, nun si passa a-bbia ri forza!

Scurrìa lu sanguScurrìa lu sangu a funtaneddhi,

scurrìa lu sangu a funtaneddhi

a-mmenzê mènnuli a-Gghjusi ri Carru.

Scurrìa lu sangu a funtaneddhi.

Cade il sangue ad arrossar le ali

di una candida colomba.

Giustizia di piombo scende sugli inermi.

Scurrìa lu sangu a funtaneddhi,

scurrìa lu sangu a funtaneddhi

a-mmenzê mènnuli a-Gghjusi ri Carru.

Scurrìa lu sangu a funtaneddhi.

Corron nell’aria i morti rivoltati.

Ora e sempre torna a trionfare

l’antica bestia dagli occhi di fuoco.

Scurrìa lu sangu a funtaneddhi,

scurrìa lu sangu a funtaneddhi

a-mmenzê mènnuli a-Gghjusi ri Carru.

Scurrìa lu sangu a funtaneddhi.

RrèpituCurremu, fimmini, curremu!

A casa ni vutàu sutta e supra.

Punteddha nun ci n’è ppi la difisa

e-mmancu tarca nìura i cummogghju.

Solo il pianto sale per la via,

conforto necessario a chi rimane.

Non valgono parole e attestati

tardivi come polvere di mota.

Ora l’eterno rrèpitu si canta

e culla morte e vita senza tempo.

Curremu, fimmini, curremu!

A casa ni vutàu sutta e supra.

Punteddha nun ci n’è ppi la difisa

e-mmancu tarca nìura i cummogghju.

Ferru vecciuÇentuçinquanta campagnoli dinunziati,

ferru vecciu scanciatu ê cantuneri.

Inchiesti rui ma senza risultati.

Saccu ri giustizia senza funnu.

E poi e poi nun si ni sappi nenti.

Na pocu i privulazzu ppi-ccuntenta:

çentuçinquanta scaçiunati ccô rialu

ginirusu è-ddhanni ri l’amministia.

Rui suli motti per mano di ignoti.

E poi e poi nun si ni sappi nenti.

A manu manca si mangiàu chiddha ritta.

Cchi-bbelli piatti annuçi ssa vilanza!

E poi e poi nun si ni sappi nenti.

Morsi cu morsiMorsi cu morsi tannu

e aiutu mancu ci ni potti.

Cu mori mangia terra

e-ccu campa va a la guerra.

I morti ormai son morti,

i vivi nveçi s’han’a-ttèniri forti.

La vita bella continua per noi,

per Angelo e Giuseppe la lapide e la via.

Morsi cu morsi tannu

e aiutu mancu ci ni potti.

Cu mori mangia terra

e-ccu campa va a la guerra.

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di Sebastiano Burgaretta

A quarant’anni dal due dicembre1968 la verità sui tragici fatti diAvola continua a rimanere occultatatra le millanta carte dellaRes publica nata dalla Resistenza.

Rrèpitu per il due dicembrememoria breve in cinque moti

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Quel sogno si è realizzato. Ora nonsoltanto sui monti della Georgia ma inogni angolo degli Stati Uniti d’Ame-rica. I figli degli ex schiavi siederan-no allo stesso tavolo della mensaassieme ai figli degli ex schiavisti. Eovunque ci sarà a capo tavola BarackObama, un uomo di colore, di origineafroamericana, eletto a largo suffragioPresidente degli U.S.A., perciò l’uo-mo più potente del pianeta. È questo,io credo, l’evento più importante delTerzo Millennio, l’atto di civiltà piùeclatante e significativo realizzatodopo lunga macerazione con demo-cratica espressione del popolo ameri-cano.Solo quarant’anni fa pensare una cosasimile era follia pura.Allora agli uomini di colore, ai neri,che con disprezzo venivano chiamatinegri, erano negati i diritti civili, anzierano addetti ai lavori più umili, fati-cosi e a rischio, pagati con salari dasopravvivenza. E per di più venivanofatti vivere all’interno della società inuna sorta di “riserva” dalla quale eraimpedito uscire pena sanzioni ingiu-ste. Erano, di fatto, gli schiavi del XXsecolo.Si resero necessari lunghi, duri anni dilotte, perché agli uomini di colorevenisse riconosciuto il diritto di esse-re uguale ai bianchi. Battaglie durateoltre un decennio alla cui guida fuposto un pastore protestante Martin

Luther King, al quale nulla fu rispar-miato, neppure il carcere, ma cheimperterrito lottò con forza e conideali, pronunciando fra i tanti discor-si quello che è rimasto il più famoso:I have a dream.Un sogno che ora è realtà.Il risultato fu finalmente ottenuto conla firma della legge da parte del presi-dente Johnson nel 1965. King fu insi-gnito del premio Nobel per la pace nel1964, ma fu assassinato da una pallot-tola partita da un fucile in un motelnel 1968.Ora, Obama presidente degli USAsignifica in primo luogo tutto questo:una vera conquista di civiltà di unpopolo che affida a questo giovane

quarantenne le sorti del Pianeta nelmomento più delicato degli ultimi 50anni. La crisi finanziaria e monetariamondiale, la Cina e l’India che detta-no e impongono regole nuove nelmercato globalizzato, l’Africa il gran-de continente nero da sempre escluso,anzi abbondantemente sfruttato, chesi sveglia e chiede di stare al tavolocon gli altri.Le spalle di Obama devono mostrarsisimili a quelle di un novello Atlante,per sorreggere un globo che mutagiorno dopo giorno, il suo cervellodeve inventare momento dopo mo-mento soluzioni per fatti, eventi, pro-blemi che nascendo in ogni dove siestenderanno a macchia d’olio in tuttoil Pianeta.Questo quarantenne avrà il compito direstare in lunghezza d’onda con i suoicoetanei, la generazione che piùmuove i fenomeni sociali, economici,politici.Si rischia forte: è in forse la sopravvi-venza dell’intero sistema poggiato subasi che non siamo disposti a trasfor-mare. Ma Obama viene da molto lon-tano: dal dolore, dalla sofferenza,dalla fatica e dal sacrificio. Penso chesaprà guardare lontano con lungimi-ranza e prendendoci per mano sapràportarci avanti, sempre più avanti.

Barack Obama

di Giovanni Stella

ATTU

ALIT

Á

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In molta importante pittura il buio non èvuoto di colore ma tonalità densa e ric-chissima, e non tonalità di un colore soloma di mille sfumature, di colori su colo-ri, di spazi colmi di tragedia e cultura,che rendono quel buio un profondocampo di senso in cui avventurarsi, erendono ancor più interessanti e dense lefigure che da quel buio si stagliano. Nonsappiamo quanto possa aver direttamen-te influito (e influisca ancora) nellacostruzione del teatro di Tino Caspanellola sua sicura conoscenza della storia del-l’arte, ma non c’è dubbio ch’è presentenel suo teatro, sia pur apparentementesemplicissimo e quasi minimalista, unasensibilità coloristica che va considerataed assolutamente segnalata. Una sensi-bilità che si esplicita anzitutto nella scel-ta sapiente del disegno di luci e appuntonel rapporto luce-buio sulla scena, mache davvero va molto al di là di questo econnota tutto il suo linguaggio teatrale.Una sensibilità pittorica che ovviamen-te, facendosi teatro, si arricchisce dimolta cultura specifica e di molta acutae partecipe intelligenza della realtà.Scriviamo dello spettacolo “Malastrada”,l’ultimo lavoro di Caspanello che hadebuttato a luglio a Vico Del Gargano inPuglia nel contesto di “FestambienteSud”, e che s’è visto per la prima voltain Sicilia in agosto scorso nel contestodel Festival “Teatrincittà” organizzato aCaltagirone da “Nave Argo”. In scena,con lo stesso Caspanello (drammaturgoe regista), altri due componenti storicidella compagnia “Pubblico Incanto”,Cinzia Muscolino (come sempre brava eintensa) e Tino Calabrò. L’impiantodrammaturgico è semplicissimo: unafamiglia – padre, madre e figlio – finisce

di percorrere una strada lunga, vecchia epolverosa, una strada al buio, e si trovafinalmente, sempre al buio, di fronte a“lui”, un enorme essere lungo, liscio emisterioso da affrontare. Alle loro spalleuna terra – un’isola – che conoscono mache probabilmente non riconoscerebbe-ro più, se solo potessero rivederla conchiarezza, davanti a loro il mistero diquell’essere estraneo da affrontare.Parole pochissime e rarefatte, domandepiuttosto, mai risposte. Il mistero diquella presenza che – se ne renderannoconto ben presto – ha già sconvolto laloro semplice vita prima ancora di averdeciso, colpevolmente, che dovrà essereil giovane figlio a dover affrontare perprimo il mostro. Da questa scoper-ta in poi, dall’acquisizione di que-sta consapevolezza, nulla sarà piùcome prima, e la loro vita saràdefinitivamente sconvolta. È sintroppo ovvio e quasi scoperto ilriferimento al realizzando ponte diMessina, ma è proprio questaovvietà che fa sì che il pubblicopossa agevolmente superare que-sto riferimento in direzione di unariflessione amara sulla pervasiva espesso violenta presenza della cul-tura capitalistica contemporanea,che, senza chiedere permesso,spazza via (o, più spesso ed util-mente, compra con moneta sonan-te) qualsiasi cosa possa opporsiefficacemente al suo trionfo. Ecerto non è uno scontro indolore néprivo di sofferenze: solo che pro-babilmente le vittime di questoscontro non hanno una voce abba-stanza forte per farsi sentire, peresprimere utilmente le loro ragio-

ni, per superare politicamente quelrombo (nello spettacolo un inquietante eferroso “basso continuo”) che costante-mente inghiotte la loro umanità. Non èpoco, ma c’è di più: non c’è solo infattila rivendicazione politica in questo lavo-ro (per quanto elegante e rarefatta,sarebbe stata semplicistica e magariavrebbe attratto e parlato troppo facil-mente a un pubblico geograficamente epoliticamente definito a priori), il suospessore artistico ci sembra attingere adei livelli più profondi di riflessione.Non ha solo una dimensione politica,infatti, quell’essere mostruoso che riescepersino a disaggregare i rapporti paren-tali: no, sembra piuttosto possedere una

Malastrada: il nuovo spettacolo diTino Caspanellodi Paolo Randazzo

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Molte volte la presidente dell’associazione “Gli Avolesi nel Mondo” mi ha cortesemente invitato a scrivere qualche articolo perquesta rivista; molte volte a questo invito s’ è affiancato quello altrettanto gentile del professore Sebastiano Burgaretta, ma hosempre declinato l’invito, giacché ho creduto che il mio lavoro di giornalista e di critico teatrale militante non si adattasse al tagliodi approfondimento culturale di una rivista legata specificamente a problematiche cittadine. E tuttavia capisco anche che è dav-vero bello, e in qualche modo persino doveroso, condividere con la mia città i frutti del mio lavoro giornalistico. Così ho propo-sto di presentare in ogni numero della rivista la recensione dello spettacolo teatrale o della coreografia a mio parere più interes-sante che ho avuto occasione di vedere in giro per la Sicilia.

Foto di scena da “Malastrada”

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dimensione metafisica e surreale, chesuggerisce al pubblico di guardare oltrei rapporti di potere, alla struttura stessadell’essere, alla sostanza, alla presenza,al fascino del male, alla sua segreta efacile pervasività nelle strade, nei giornie nella storia dell’umanità. Un’ultimanotazione riguarda la dimensione stili-stica complessiva di questo spettacolo,che, se appare matura e consapevolmen-te dimensionata sul rapporto di pochepresenze attoriali, mostra anche, seppurimpercettibilmente, i segni di una qual-che stanchezza, che potrebbe (o dovreb-be?) suggerire a Caspanello e a tuttol’ensemble di “Pubblico Incanto” dirivolgere la propria ricerca teatraleverso nuove, magari più rischiose mapiù ampie e feconde, dimensioni dellascena.

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Donne del 2008, emancipate, laureate,studiose, ricercatrici, imprenditrici,casalinghe, madri, mogli, amiche, com-pagne... donne del 2008 che ancora,purtroppo come una volta, combattonoun nemico sconosciuto, temuto, semprein agguato, che si chiama tumore alseno!Donne frammentate, distinte, di città,di provincia, di paese, di borgo, donnedi Avola!Certo, perché, per chi si dedica a cura-re questa patologia si deve confrontarecon una comunità che ha la maggioran-za di donne in età a rischio e con un’al-ta percentuale di questo modo di pen-sare... io non vedo, non sento, nonparlo!Per prevenire un tumore al seno ladonna deve invece guardare, deve sen-tire, deve parlare! L’esatto opposto diun modo di pensare e di agire che lacultura siciliana molto radicata, in par-ticolare ad Avola, si tramanda di fami-glia in famiglia, di madre in figlia.Perché non guardi il tuo seno?.. perchémi scantu!Perché non senti quando ti chiamanoper i controlli? Perché mi scantu!Perché non parli quando noti qualcosa?Perché mi scantu!È in questa amara realtà che l’aggrega-zione risulta essere un elemento troppomoderno, dove le istituzioni sono spes-so silenti e la tutela della propria salutediventa inutile o troppo difficile.

La persona che si ammala di tumore alseno chiude la porta di casa, e, anchequando l’uscio si socchiude, sono quel-li della porta accanto a volerla sola.Eppure, analizzando la storia di questedonne, si scoprono verità di coraggio,pazienza e tenacia. Metà della loro vita,spesso di stenti, dedicata alla famiglia eai figli non è servita a scalfire la paurache il tumore della mammella halasciato. Un mostro oscuro, imprevedi-bile che bisogna aspettare in silenzio epossibilmente lontano dalla vista e daltatto dei familiari.Lasciare questa terra e vivere in altrecomunità ha permesso a tante donne difrantumare il loro pensiero antico e diassorbire invece le abitudini di donnepiù disposte a parlarne e più sensibilialla prevenzione. Una donna che scopre di avere untumore della mammella non deve res-pirare quella “sottile emarginazione” diuna società che forse per eccesso o perdifetto la vuole “diversa”.Il tumore ha una sua vita, ma anche unasua morte ed è la donna che lo ospitache deve condannarlo, non silenziosa-mente, ma a voce alta tra le pareti dicasa, fuori tra la gente, nelle struttureche le servono, davanti a chiunque.“Sicilia Donna”, associazione nata treanni fa, è la voce più alta contro ilpregiudizio, la paura, l’emarginazioneperché il sorriso di ogni donna di Avolaannulli il mi scantu!

Mi scantu!

di Paolo Fontana e Nicoletta Zorzan - foto di Antonio Dell’Albani

RU

BR

ICA

Un momento della Campagna di sensibilizzazione ad Avola.

Tino CaspanelloTino Caspanello insieme con la CompagniaPubblico Incanto (l’impareggiabile CinziaMuscolino, Andrea Trimarchi e Tino Ca-labrò), rappresenta oggi una delle voci piùinteressanti del panorama del nuovo teatronazionale. Caratteristica del suo lavoro è unadimensione poetica del fare teatrale che ottie-ne riuscendo a miscelare con acuta intelli-genza artistica il silenzio (attesa, sospensio-ne, ferita, discorso), la purezza del gesto e laparola (quasi sempre in un dialetto sicilianoautentico ma teatralmente “altro” e necessa-rio). Una dimensione teatrale che sin dal1993, nel piccolissimo spazio teatrale (il“teatrino della Lanterna rossa”) a Pagliara,in provincia di Messina, e sin dai suoi primispettacoli (“Landscape”, “Eclissi”, “Il colo-re rosso del mare”, “Textures”, “Bian-co/Nero”, “La distanza della luna”, “Kiss”,“Bartleby, lo scrivano”, “La Favola del figliocambiato”), ha attirato sulla Com-pagnial’affetto del pubblico e l’attenzione della cri-tica più avvertita. Del 2003 è lo straordinariospettacolo Mari con cui la compagnia hameritato il “Premio speciale della Giuria” alRiccione Teatro e il cui testo è stato pubblica-to dalla rivista “Hystrio”. Ancora ottimiriscontri di pubblico e critica per Rosa (del2006) e per ‘Nta ll’aria (del 2007), presentatientrambi nel contesto di “Primavera dei tea-tri” di Castro-villari. Da segnalare che “‘Ntall’aria” per altro è stato prodotto dal TeatroLibero di Palermo. Altra esperienza, interes-sante per la feconda direzione di ricerca incui si avvia questa Compagnia, è il progetto-spettacolo “Land-scape”, prodotto in colla-borazione col Teatro Garibaldi di Palermo epresentato a Graz, in Austria, per il Festival“Blogtxt”, che ha ricevuto il “Premio dellagiuria popolare”. Nel giugno di quest’annoTino Caspanello ha infine ricevuto a Palermodal-l’Associazione nazionale dei critici diteatro il Premio della Critica come realtàemergente.

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TUAL

ITÁ

A cinque anni dalla strage di Nassiriya il dolore vissutodall’intera nazione si trasforma in solidarietà verso i bam-bini tanto amati dal brigadiere dei Carabinieri GiuseppeColetta.

Il 12 novembre diventerà la Giornata del ricordo di tutti icaduti nelle missioni di pace. All’annuncio del Ministrodella Difesa Ignazio La Russa, proprio nel giorno del quin-to anniversario della strage di Nassiriya, dove persero lavita 19 italiani (17 militari e 2 civili), il gruppo del Pdl alSenato ha fatto seguire l’immediata presentazione di undisegno di legge per istituirla.Innumerevoli sono state le cerimonie, in Italia e all’estero,che si sono tenute nella triste ricorrenza dell’attentato allabase irachena occupata dai Carabinieri dell’Unità specia-lizzata multinazionale, pianificato a Baghdad da Al Qaida.In particolare a Roma, dove si sono riuniti i familiari, èstata deposta una corona d’alloro all’Altare della Patria e aPalazzo Madama è stata scoperta una targa che dedica laSala delle conferenze stampa ai caduti di Nassiriya e a tuttigli italiani caduti nel corso dell’operazione “AnticaBabilonia”. Anche ad Avola due sono stati i momenti diricordo e preghiera, ai quali hanno partecipato le più altecariche istituzionali, l’Arma dei Carabinieri e i volontari, lavisita all’ultima dimora del Brigadiere dei CarabinieriGiuseppe Coletta, che riposa accanto al figlioletto Paolo, ela Messa commemorativa celebrata da don Fortunato DiNoto, nella chiesa del Carmine, alla presenza dellamamma, della sorella e dei familiari, affettuosa-mente circondati da tante persone che mai potran-no dimenticare il sorriso e la disponibilità del loroconcittadino. Ad Herat e Kabul, invece, le solen-ni cerimonie del ricordo sono state volute dai mi-litari attualmente in missione in Afghanistan.Questo quinto anniversario è stato anche occa-sione per presentare, attraverso i canali d’infor-mazione, soprattutto televisivi, il libro Il seme diNasiriyah – Giuseppe Coletta il Brigadiere deiBambini, scritto dalla giornalista Lucia Bellaspigacon Margherita Coletta; la prefazione è a firmadell’inviato del TG5 Toni Capuozzo. L’inviata delquotidiano nazionale “Avvenire”, Bellaspiga,incontrò la vedova di Giuseppe Coletta nei giornidel dolore più cupo, quando, tenendo in mano laBibbia, pronunciava parole d’amore e invitava apregare per i colpevoli di quella orrenda strage,

forte della sua incrollabile fede messa più volte a duraprova nel corso della sua giovane esistenza. Dall’incontrotra le due donne è nato il volume, che è un invito alla soli-darietà e all’amore incondizionato verso il prossimo e inmodo particolare verso i più deboli, verso i bambini deipaesi martoriati dalle guerre, privi di alimenti, di vestiario,di medicine, di giocattoli. E, proprio lo scorso novembre,un automezzo della Croce Rossa è partito per l’Afgha-nistan con un carico di giocattoli raccolti dall’associazione“Giuseppe e Margherita Coletta – Bussate e vi sarà aperto”,alla quale andranno anche i proventi della vendita del libro,che saranno utilizzati per altri impegnativi progetti di soli-darietà.Il sodalizio sociale ha istituito già da due anni anche unpremio riservato agli studenti degli istituti d’istruzionesuperiore della città per componimenti e lavori artistici sultema della legalità, la cui premiazione si è tenuta lo scorso19 novembre. Di seguito i nomi e i lavori dei vincitori e uncontributo che riteniamo degno di segnalazione:

SEZIONE GRAFICA PITTORICA1° Samuele Suma € 500,002° Umberto Confalonieri € 200,00

SEZIONE LETTERARIA1° Beatrice Campisi € 500,002° Vincenza Caruso € 200,00

Le giornate del ricordoper un delitto tanto efferato

di Eleonora Vinci - Foto di Antonio Dell’Albani

Samuele Suma viene premiato dall’assessore alla P. I. Francesco Magro e da Margherita Coletta

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Eredidi Vincenza Caruso

Il tuo mantello nero,ali di giustizia,vola leggero in aulaoltre gli specchi della paura.

Il tuo spirito puro,fortezza di coraggio,dirada la coltre di silenzioanimato da un soffio di verità.

Un sipariorosso di sangueha spento la lucesulla scena della tua vita.

L’hanno abbassato velocecome una ghigliottinasul coraggio,protetti da un’auradi vigliaccheria,di impurità.

Le tue parole,immortali come un ricordo,sono note di speranzanel vento tiepido di Sicilia.

Non smettere,Rosario,non smettere mai,grida e lotta con noi,tuoi eredi,testimoni di delitti,sognatori di giustizia.

Cantina del ragazzinodi Beatrice Campisi

Credevo ci fosse un giglio per preghiera.Vedevo tanti campi arsi in veste amenacercavo il diritto di contestare ad ogni uomoche la giustizia viene dal cerchiodi un sapore mai stato nuovo.E portava in braccio il figliol prodigo per dilettosenza capire che per dunas’intendevasaper soffrir.Camminava a passi stanchi senza metaportando in gremboil peso di un bambinomai stato uomoe i preti in veste viola gridano il cielosenza capire se c’è un inciucio tra bontà e stupidità.“Questa Storia, si, grazie a loro finirà!”E la stranezza della strafottenza si manifestanei visi ancora palesidi chi alle lacrime mischia un solcoin guancia, chiamato solo sorrisoignobile scure per i gendarmiche hanno combattuto senza preghierain malo modoun Minosse, un amico, un cretinochiamato Donper grazia e per fuocoE le gesta di antichi guerrieri, riportati nei libri di Storiacome un Achille con più tallonicon un’armatura rubata al padronevengono stipati negli archivicon la polvere di un uomocome privo di coscienzasenza sapere che sulle tombeci sono ancora tanti sospiriper chi conserva i ricordiingoiando sogni di figliprofumati di viole.

L’uomo in Bianco lo dissemartire della giustizia ed indirettamente della fedeRagazzino(per così dire)non cerca più riparo.

Disegno di Samuele Suma

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Settembredi Umberto Confalonieri

L’ultimo sole d’estate lentoabbandona l’orizzonte marinoe indora la valle dell’antica Girgenti.

Sale un profumo di umida terra,olezza mossa dal ventola bionda ginestra.Un cupo latrato,accompagna l’arrivodi un’auto che avanza veloce.

Il giovane uomo al volantepensa ai doveri del giorno,alla madre lontanae al suo ultimo abbraccio.

Ma una belvasi muove nell’ombras’avventasulla tenera predaostacolo al suo losco cammino.

Uno sparo improvviso echeggia nell’ariaun gridosi muta in singulto ...

... l’asfalto si tinge di rosso.

Una donna sobbalzaangosciata

Una stele-per lei- non bastaal ricordo.

Oggi qual è l’elemento peculiare del-l’economia avolese?Nonostante Avola sia rinomata a livel-lo nazionale per la pregiata mandorlaPizzuta, il limone contribuisce conoltre il 60% ad alimentare la nostraeconomia. Sembra quasi un parados-so, ma in realtà l’introduzione dellamandorla californiana tuono ha man-dato in crisi il mercato della nostramandorla.Quali sono i tipi di limone avolese ei rispettivi periodi di raccolta ?Sono tre-quattro i principali tipi dilimone avolese:- Il Primo Fiore, raccolto verde, daottobre a fine gennaio, per le suecaratteristiche verrà mandato nellestufature e dopo selezionato attraversodei calibri;- Bianchetti e il Maggiolino raccoltida marzo a maggio;- Verdelli raccolti da giugno ad ago-sto.Ormai il limone di Siracusa ha otte-nuto il marchio IGP; che cosa rap-presenta ciò per lei?Il riconoscimento IGP al limone diSiracusa rappresenta una vittoria perla nostra Avola e per tutto il siracusano.Oggi in Italia come all’estero si privi-legiano i prodotti biologici, e questoriconoscimento contribuirà a svilup-pare il nostro mercato degli agrumi.Il limone avolese dove viene distri-buito?Oggi circa il 60-70% del nostro limo-ne viene distribuito in Germania,Austria, Inghilterra e, da qualcheanno a questa parte, anche nell’Esteuropeo e in particolare nella Russia,tanto che nella scorsa annata lerichieste sono state superiori alla pro-duzione.Quindi l’annata 2007-2008, che cisiamo lasciati alle spalle è stataricca?

In effetti era da tanto che non accade-va che le richieste fossero superiorialla nostra produzione, ma questo èstato determinato anche dall’assenzadella concorrenza spagnola a causadelle condizioni climatiche avverse.Quali sono le prospettive di que-st’annata appena cominciata?A dire la verità, anche quest’anno siaspettava un “bomm” delle richiestema è stata una delusione perchè laconcorrenza spagnola si è risvegliata.Le grandi catene di distribuzioneinfatti preferiscono acquistare un pro-dotto di scarsa qualità a basso prezzoanzichè un prodotto di prima qualità aun prezzo più elevato come quellonostro.Quello dei costi, non solo del limone,è un problema cui si discute moltooggi, a causa delle cosiddette “filie-re”, perché dal coltivatore al consu-matore i prezzi aumentano?In realtà dopo la raccolta il limoneviene mandato nei magazzini, doveviene operata la selezione, per poiandare non direttamente sul mercatoma nelle piattaforme, (ed è qui che ilconsumatore rimane all’oscuro dellevariazioni del prezzo), solo successi-vamente sarà pronto per la vendita. Chi sono i lavoratori impegnati inquesto campo?Solo il 30% degli avolesi lavora neiterreni della nostra città, la maggiorparte è costituita da giovani, il piùdelle volte inesperti riguardo alle tec-niche di coltivazione, innesto e potatu-ra, tecniche conosciute dai lavoratoripiù anziani. Il 70% dei lavoratori cheopera nei nostri terreni viene da fuori,dalle cosiddette cooperative di raccol-ta, grazie alla fiducia concessa al ter-ritorio avolese ricco di prodotti diprima qualità.

Avola e il fiorentemercato del limoneIntervista all’agrumaio Corrado Dell’Albani EC

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di Umberto Confalonieri

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Oggi più che mai il cristiano o il creden-te si viene a trovare nella società post-industriale davanti al vuoto della fede.Non si possono analizzare tutte le vicissi-tudini della vita che a volte accentuano ilnostro credere così come lo affievolisco-no. Si dice che credere è scommettere inqualcosa che non si sa, non si vede, non èpalpabile; è un affidarsi a una certa alea-torietà che non dà certezza. Al di là delcredere, la vita è una prova per tutti. Se lanostra vita è vissuta su questa terra nellafede, è innegabile che alla fine si riduca auna prova. Del resto nella vita le provenon finiscono mai, e occorre trovare conintelligenza illuminata i metodi con cuiaffrontarle. Oggi, con l’affermarsi di unamentalità edonistica, si è riottosi ad accet-tare le prove della sofferenza, del dolore.In breve si cerca di respingere l’insoppri-mibile croce della vita. Eppure chi l’av-versa o non crede, senza volersene, portala sua bella croce quotidiana. Per il cre-dente la scuola della croce è amore,sapienza di Dio, è catarsi che fortifica l’a-nima e il corpo. La fede ci spinge a cre-dere in un Dio crocifisso e abbandonatoche è mistero di salvezza e di gloria. Laprova, come la tentazione, è ordinata allavita. È un dato della vita in Gesù Cristo,e San Paolo, l’apostolo della sofferenza,in una lettera a Timoteo aggiunge: Così,tutti coloro che vogliono vivere piena-mente in Cristo saranno perseguitati. Èuna delle tante prove. In generale però laprova è una condizione indispensabile dicrescita e di robustezza: per il credente, inuna parola, è la via stessa della Pasquainteriore, la via dell’amore che spera.Essere cristiano provato comporta speri-mentare lo Spirito, perché nella provaEgli compie il suo lavoro di liberazione.Il cristiano liberato, illuminato dalloSpirito sa discernere e verificare, provareogni cosa. Questo è la fonte teologale del-l’esame di coscienza, non aritmetica spi-rituale, ma discernimento dinamico in cuiognuno si prova alla luce dello Spirito. LaSacra Scrittura invita a dare alla prova unsenso teologale, perché è passaggio versoDio attraverso il suo disegno, che mira a

divinizzare l’uomo in Cristo. Le prove, letentazioni sono ineluttabili, fanno passaredalla libertà offerta alla libertà vissuta,dall’elezione all’alleanza. La provaaccorda l’uomo con il mistero di Dio, e,per l’uomo ferito, la vicinanza di Dio ètanto più dolorosa quanto più è intima. LoSpirito fa discernere nel mistero dellaCroce il passaggio dalla prima alla secon-da creazione, il passaggio dall’egoismoall’amore. La prova fa parte del nostrocammino spirituale, del nostro esodoverso la nuova patria, della nostra con-versione. Dopo la prova rovinosa delcapostipite dell’umanità, Adamo, Diostesso si è messo in discussione, pur diriabilitare la nostra condizione umanadecaduta a causa del peccato di prevari-cazione, peccato di origine. Dio ha sor-prendentemente voluto, attraverso un suostratagemma, un piano “salvifico” conce-pito e nascosto da secoli, con un atto d’a-more incommensurabile, debellare allaradice il peccato e le sue conseguenze,che distruggono l’umanità. Il grande dot-tore della legge e teologo di Dio, SanPaolo, nella sua cristologia dice e rivelache allora Dio, per ovviare a questo gravedisastro procurato dal nostro progenitore,consequenzialmente e successivamentedagli uomini ereditato, ha mandato il pro-prio Figlio nella pienezza dei tempi inuna carne simile a quella del peccato e invista del peccato, per condannare il pec-cato nella carne. Rivestendo la naturaumana, reso perfetto dall’ubbidienza, neldolore, in tutto alla volontà del Padre, ilFiglio, fattosi carne e apparso in formaumana, pur essendo di natura divina, nonconsiderò un tesoro geloso la sua ugua-glianza con Dio, ma spogliò se stesso,facendosi ubbidiente fino alla morteignominiosa di croce. Dio insieme conCristo ci ha richiamati alla vita dopoaverci perdonato tutti i peccati. Cancellògli obblighi assunti che erano diventatiinsolvibili quando ci impegnammo aosservare i suoi precetti e la legge mosai-ca, scrittura che deponeva contro di noi;la tolse di mezzo e la inchiodò alla croce.Gesù con la sua morte ci ha fatti suoi:

come frutto di questo intervento noisiamo sottratti alla legge e quindi allamaledizione conseguente alla sua nonosservanza. Infatti Gesù, per riscattarcidalla maledizione della legge, diventa luistesso maledizione per noi, per come stascritto nella lettera di San Paolo ai Galati:Maledetto chi pende dal legno. Gesù, conla sua sofferenza e morte divenute inscin-dibili dalla nostra salvezza, elimina lamaledizione della legge, perché in Lui labenedizione di Abramo passasse allegenti e noi ricevessimo la promessa delloSpirito mediante la fede. La fede è supe-riore alla legge perché questa è sempliceosservanza, quella è convinta adesionedel cuore. La fede ci fa accedere allarealtà invisibile della gloria di Gesù risor-to, senza aver bisogno di vedere i nume-rosi segni che la manifestano. La fede,che è un andare, un procedere, un passodell’intelligenza cui una parola o deisegni permettono di accedere a realtà chenon si vedono, se di fatto ha bisogno divedere e di toccare, è non di meno chia-mata a manifestarsi nella coscienza enella contemplazione dell’invisibile.

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La fede ci può aiutare

di Sebastiano Caia

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Il male che non scompare: l’amianto.Un crimine di pace a responsabilità diffusa

di Enrico Bullian

Amianto. È una parola maledetta aMonfalcone, dove sono nato. Il suo uti-lizzo indiscriminato all’interno dei pro-cessi produttivi – e in particolare nelcantiere navale cittadino che producecon il suo indotto ancora oggi oltre metàdel PIL provinciale e impiega migliaiadi dipendenti – ha causato centinaia divittime nel monfalconese. Questa emer-genza amianto ovviamente coinvolgeanche i “cantierini”, che sono giunti inqueste terre in seguito ai numerosi econsistenti flussi migratori, che hannoreso questi luoghi autentici crocevia dipopoli e di genti. Ecco perché il drammaamianto può interessare anche gli Avo-lesi che hanno operato nel cantiere diMonfalcone o nelle altre fabbriche (ita-liane e non) che hanno impiegato in pas-sato il minerale. Per storicizzare la vicenda amianto –tragedia monfalconese, nazionale einternazionale – ho appena pubblicato illibro Il male che non scompare. Storia econseguenze dell’uso dell’amianto nel-l’Italia contemporanea (che uscirà as-sieme a un DVD in omaggio semprededicato allo stesso tema). Il primoaspetto inquietante è che si assiste a unparadosso: mentre si consolidavano leconoscenze scientifiche sulla nocività epoi - negli anni Sessanta - sulla cancero-genicità del minerale, l’estrazione, l’uti-lizzo e la commercializzazione dell’a-mianto crescevano costantemente, alme-no fino all’inizio degli anni Ottanta.Procediamo con ordine. Il minerale, re-peribile sul mercato a basso costo, fuusato in ogni Paese industrializzato,anche se già a inizio Novecento si cono-sceva la nocività dell’asbesto (sinonimodi amianto). Negli anni Venti si appuròche le fibre inalate dai lavoratori, unavolta depositate nei polmoni, provocanol’asbestosi, patologia respiratoria chepuò causare la morte. Nel corso deglianni Sessanta fu definitivamente accer-tato che l’amianto era responsabile dineoplasie particolarmente virulente e a

diagnosi infausta: il mesotelioma e ilcarcinoma polmonare. Ciononostante,per gran parte del XX secolo, i lavorato-ri furono continuamente esposti a con-centrazioni elevate di fibre di asbesto.Comunque, alcune norme generali ditutela dalle polveri – maschere, aspirato-ri con filtri – esistevano già dagli anniVenti e furono aggiornate negli anniCinquanta. Prevedevano anche chefosse garantita la corretta informazionedei lavoratori sui rischi che subivano acausa del contatto con materiali insalu-bri. A fronte di queste consapevolezze,nelle fabbriche, le misure sulla sicurez-za furono quasi sempre violate: le tantetestimonianze dei lavoratori dei cantierinavali (Monfalcone, Genova…) delleindustrie del cemento-amianto (CasaleMonferrato, Bari…) e dell’edilizia,degli stabilimenti di costruzione e ripa-razione delle carrozze ferroviarie (Bre-da, Officine Grandi Riparazioni…), del-la miniera di Balangero concordano econfermano questo quadro generale.Solamente nel 1992 il Parlamento italia-no emanò la legge 257 che – finalmente– mise al bando l’amianto. Risultato:oggi si registrano quasi quattromiladecessi asbesto correlati all’anno inItalia, quasi uno ogni due ore, con tempidi latenza che superano anche i qua-rant’anni. Nel resto del mondo, in parti-

colare nei Paesi asiatici, la situazione èancor peggiore, posto che il minerale ètuttora utilizzato nelle attività produtti-ve. Appena una quarantina di nazioni havietato l’impiego dell’asbesto, fra lequali i ventisette Stati membri del-l’Unione Europea. Per l’inosservanza della legislazionesull’igiene e sulla salute del lavoro sonoaperti migliaia di procedimenti penali ecivili nelle aree italiane più colpite dallatragedia amianto: Monfalcone, Padova,Marghera, Casale Monferrato, Genova,La Spezia, Broni, Volla, San Filippo delMela, Taranto, Bari, ecc. Le vittime del-l’amianto o i loro familiari superstitichiedono “giustizia” e risarcimenti equiai Tribunali della Repubblica. Spessoperò la magistratura non ha ancoraaccertato quella verità che ormai la con-sapevolezza civile e la ricerca storicahanno già appurato: è stato commessoun “crimine di pace a responsabilità dif-fusa”. Oltre ai dirigenti aziendali chenon hanno rispettato le più elementarinorme di tutela dell’integrità psicofisicadei dipendenti, risultano incomprensibi-li i ritardi delle istituzioni politiche neldefinire un quadro normativo adeguatoalla salvaguardia della salute e alla pre-venzione dell’inquinamento ambientale.L’Ispettorato e la Medicina del Lavoro esoprattutto l’INAIL hanno sottovalutato

AMBI

ENTE

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per decenni – più o meno consapevol-mente – le conseguenze dell’impiegodel minerale, non svolgendo i controlli ele ispezioni nelle fabbriche, non ricono-scendo e non risarcendo le malattie pro-fessionali riconducibili all’asbesto edunque essendo inadempienti rispetto alproprio ruolo istituzionale. I sindacatispesso hanno agito contraddittoriamen-te, più propensi a mantenere gli stan-dard occupazionali che non a rischiareridimensionamenti del personale dovutiad esigenze di tutela della salute deilavoratori. L’Associazione Esposti Amianto(AEA) di Monfalcone, che ha promossoil libro, vuole infrangere quel “muro digomma” che avvolge la tragedia.Questa, forse più di altre, è un’autentica“pagina strappata dai libri di storia”.Come scrive il Senatore Felice Cassonnella prefazione del libro, è “importan-te, direi addirittura vitale, mantenerealta l’attenzione su tutti gli aspetti con-cernenti la vicenda-amianto: da quellodei lavoratori esposti ed ex-esposti, aquello della individuazione dei siti edegli immobili da bonificare, a quellodella sorveglianza sanitaria”.Evidenziare quanto è avvenuto e conti-nua ad avvenire nella questione amiantoè necessario, anche perché, come ricor-da il Senatore Antonio Pizzinato nellapostfazione, “i media cancellano, fannoscomparire dall’informazione i drammi,le morti sul lavoro causate dalle condi-zioni di lavoro, dal non rispetto delleleggi e delle norme sulla sicurezza”.

Avolesi alla Fincantieridi Monfalcone

di Salvatore Monello

Monfalcone città dei cantieri. Recitacosì un cartello che indica questa cittàdel nordest d’Italia, nel Friuli VeneziaGiulia ai confini della Repubblica diSlovenia. Qui nello stabilimento dellaFincantieri da cento anni si costruisco-no le più grandi e belle navi da crocieradel mondo, navi che fanno conoscere labellezza e l’alta professionalità del pro-dotto italiano.Quest’anno si celebrano i cento anni delcantiere navale di Monfalcone, unalunga esperienza nella costruzione dinavi, piattaforme per il recupero dinavi, (la Micoperi è stata costruita inquesto cantiere) come petroliere, som-mergibili ed ora navi da crociere; centoanni di storia e lavoro unite a una capa-cità di trasformazione ed innovazione.Alla Fincantieri si costruiscono navipasseggeri lunghe 290 metri come la“Ventura” per Princess Cruise (gruppoCarnival) un’unità da 114.000 tonnella-te di stazza lorda che può ospitare lino a4850 passeggeri (3592 ospiti assistiti da1258 membri dell’equipaggio). Ma nelcantiere è già al lavoro per la compa-gnia Carnival Corporation la “CarnivalDream”, che sarà la più grande unitàfinora concepita e realizzata dallaFincantieri. Avrà 1823 cabine, 1145 del-le quali esterne, la gran parte dotate diun balcone privato. Gli alloggi destinatiall’equipaggio saranno 736. Il nuovocolosso dei mari sarà lunga 306 metri,larga circa 37,20 metri alta 60,80 metricon una velocità di prova di 22,5 nodicon 130.000 tonnellate di stazza.Queste navi vengono costruite a tempidi record, se si pensa che ci voglionomeno di diciotto mesi per realizzarle,navi che sono delle vere città galleg-gianti. Naturalmente in tutto questo cisono l’esperienza dei tecnici ed il lavo-ro di tutti i dipendenti Fincantieri, oltre1800 unità e dei lavoratori delle ditte inappalto, che sono circa 2000 unità. Tuttiquanti fanno sì che il Cantiere di Mon-falcone riesca a varare queste maestose

ed eleganti navi da crociera. Ed è pro-prio di questi lavoratori che vorrei par-lare, perché diversi di loro provengonodalla Sicilia e anche da Avola.Lavoratori che hanno lasciato il loropaese per cercare lavoro al nord, tro-vando qui un’opportunità per costruirsiuna vita dignitosa. Persone che adAvola facevano i più svariati lavori:muratori, braccianti, infermieri, eccete-ra ora sono diventati esperti saldatori,tubisti, carpentieri in ferro, piastrellistispecializzati nella posa in opera di cabi-ne e suite delle navi, come il signorVincenzo Rossitto che ormai è qui aMonfalcone con la sua famiglia da circadieci anni, ed è titolare di una ditta checura l’allestimento delle cabine e che èin grado di offrire lavoro ad altre perso-ne, grazie al suo operare serio e profes-sionale.C’è anche Paolo Nastasi, che fa il pia-strellista (opera quindi nell’allestimentodelle cucine, dei bar e ristoranti dellanave) un vero lavoratore sempre agile eveloce nell’eseguire il suo compito.Ogni volta che ci incontriamo, ci fac-ciamo una bella chiacchierata e mi parlacon il suo modo sorridente che lo con-traddistingue. Parliamo di Avola e notodentro di lui molta nostalgia per il suopaese; il ricordo è sempre nel cuore.Nel cantiere di Monfalcone ci sono tantialtri loro compaesani che, in sordina,danno il loro contributo alla costruzionedi questi enormi salotti galleggianti, emi diverto ad ascoltarli, quando allamensa aziendale sento il tipico dialettoavolese che mi fa sentire Avola un po’più vicina.Dunque una parte di Avola collabora acostruire, con la fatica, l’impegno e laprofessionalità dei suoi figli, le più gran-di e belle navi, una parte di Avola chenaviga nei mari di tutto il mondo, unaparte di Avola che si fa conoscere per lavoglia di fare di questi lavoratori.

LAVO

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La mensa di accoglienza “San Vincenzo De’ Paoli”e i suoi 13 anni di attività

di Eleonora Vinci - foto di Gabriella Tiralongo

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Non c’è persona talmente sfortunata chenon possa aiutare chi ha ancora piùbisogno; facendo ciò, si può scoprire sestessi e ciò che alberga nel più profondodel proprio cuore.La vita di oggi ci impone ritmi serraticon il lavoro da svolgere, la famiglia daaccudire, le proprie aspirazioni da colti-vare... tanto da pensare agli “ultimi”,solo se fortemente sollecitati dai mediain occasione di mirate campagne pro-mozionali.Ritagliando una piccola parte del propriopreziosissimo tempo per regalarla a chiha più bisogno, privandosi, magari unavolta al mese, di un dolce, di una con-fezione di acqua minerale, di un cestinodi frutta, si può scoprire che alla fine lo“sforzo” è veramente un’inezia, anche sela costanza è tutt’altra cosa. Dedicarsiagli altri, anche se in modo molto limita-to, ma per un lungo periodo della nostravita, significa veramente contribuire amigliorare le condizioni di grande disa-gio in cui vivono tante persone indigentie non solo.In quasi tutte le città sono attive le menseper i poveri, che, nate per soddisfare ilbisogno primario dell’alimentazione,hanno come obiettivo prevalente la pro-mozione della persona, facendo delpasto l’occasione per stabilire un rappor-to di fraterna solidarietà tra coloro chechiedono aiuto e gli operatori che liaccolgono.Dal 6 gennaio del 1996, su iniziativa del

parroco della Chiesa di San Giovanni,don Angelo Giurdanella, è operativa,presso il Salone San Pietro, la mensa diaccoglienza “San Vincenzo de’ Paoli”.Sono stato sollecitato a istituirla – dicedon Angelo – dalle pressanti richieste diaiuto materiale e spirituale che perveni-vano da parte di persone che vivevanosituazioni di emarginazione e di solitu-dine. Con il conforto e il sostegno dellaComunità parrocchiale tutta e, in parti-colare, di un gruppo di volontari dispo-nibili a donare parte del loro tempo,delle loro risorse economiche e, soprat-tutto, della loro carica affettiva a chi sitrova nel disagio, ho portato la propostaal Consiglio pastorale parrocchiale chel’ha esitata favorevolmente. Da allora èoperante un servizio di accoglienza dipersone in difficoltà economiche, maanche con problemi psichici e di dipen-denza da alcool e da droghe. L’acco-glienza non è limitata all’offerta di unpasto caldo, ma comprende anche l’ascol-to, l’attenzione e la condivisione dellesituazioni penose in cui spesso vivono,un momento di preghiera che precede laconsumazione del pasto e l’ospitalità peralcune persone senza fissa dimora. Insinergia alla mensa opera il Centroascolto e di prima accoglienza “DonTonino Bello”.Fattivamente quando e come opera ilservizio mensa a disposizione dellacomunità?Nel corso degli anni il servizio ha gra-

dualmente cercato di adeguarsi alle esi-genze sempre diverse che si presentano,come la preparazione dei pasti daportare a casa per quanti sono impossi-bilitati, per motivi di salute o giudiziari,a recarsi nei locali della mensa. Nelcorso dell’anno 2008 sono stati offerti intotale circa settemila pasti, distribuiti tragli ospiti abituali, persone che si appog-giano occasionalmente alla mensa ealtri che li ricevono a casa. Per quantoriguarda gli operatori, il servizio è por-tato avanti esclusivamente da volontariche si avvicendano secondo turni presta-biliti per quattro giorni a settimana, dagiovedì a domenica, e per tutto l’anno,festivi compresi; si tratta di persone che,grazie al cammino di fede effettuatonella comunità, nelle associazioni e neigruppi presenti in parrocchia, hannomaturato la scelta di uno stile di vita cheprivilegia la relazione umana, la com-pagnia, la condivisione, la vicinanzaagli ultimi come testimonianza dellasperanza che è stata seminata nei nostricuori. Prima di arrivare alla mensa, gliospiti vengono accolti dai responsabilidel Centro ascolto che provvedono, neilimiti del possibile, al soddisfacimentodei bisogni più urgenti, con la consegnadi pacchi di generi alimentari, di ve-stiario e, persino, con il pagamento dibollette e aiuto finanziario di modestaentità; nei casi di disagio stabilizzato sicerca di approfondire la conoscenzaanche con visite a domicilio per verifi-

care il contesto familiare eambientale in cui vivono e,se necessario, far inter-venire i servizi sociali delComune.Padre Giurdanella, qualisono le spese vive permantenere operativo,quattro giorni a setti-mana, il servizio mensa?Il costo unitario del pastosupera i due euro, per cuila spesa complessiva so-stenuta quest’ultimo anno6 Gennaio 2009, volontari e assistiti alla Mensa nel 13° anniversario.

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è di circa quindicimila euro, senza tenerconto dei conti fissi relativi al Centroascolto. Per quanto riguarda l’anno2007 abbiamo potuto contare sul con-tributo del Comune di 1.500 euro, diquello della Banca d’Italia di 700 euro edi quello della Caritas diocesana di4.000 euro, per il resto provvede intera-mente la Comunità parrocchiale conofferte in natura o in denaro e con l’au-totassazione di alcune famiglie. Bisognaanche aggiungere che la parrocchia ac-coglie nei propri locali due ospiti fissi ealcuni in forma temporanea, prov-vedendo al loro mantenimento o ai lorospostamenti in centri di accoglienza ocittà di origine.Alla luce di quanto sopra si evince che isostenitori di tali iniziative devono assi-curare la continuità del loro operato, aiu-tandosi gli uni con gli altri, per noncreare disservizi che sarebbero imper-donabili.Anche i rappresentanti delle Istituzionipubbliche vengono coinvolti da padreGiurdanella in alcuni momenti partico-lari dell’anno come il Natale, l’Epifania,la Pasqua, e condividono alla stessatavola il pasto con gli ospiti della mensae alcuni membri della Comunità, for-mando un’unica famiglia.Per quanto riguarda le prospettivefuture, don Angelo si auspica che, conmaggiori possibilità economiche e ladisponibilità dei volontari, si possaampliare il servizio mensa e migliorarnela qualità, per rispondere sempre meglioalle richieste, che sono purtroppo in con-tinuo aumento, a conferma del momentodi difficoltà economica in cui vivonoattualmente strati sempre più ampi dellasocietà.Ed è certo che in questa struttura di cari-tà, che possiamo sostenere con una rac-colta di fondi, si può sperimentare quan-to veramente amiamo il prossimo.

Marcello RibberaL’attività di poliziagiudiziaria minorileElle Due - 2008

Provincia Regionale diSiracusaI fatti di Avola nei temie nei disegni dei bambini2008

Amici della Cattedraledi Noto

Agosto 2008

Corrado Frateantoniopercorsi pittoricivicende dell’immagine traverismo sociale e naturalismodipinti 1978-2008

Giuseppe Beccaria 1887La regina Biancain SiciliaCmd edizioni - 2008

U.N.U.C.I. - NotoNotiziario per i soci

U.N.U.C.IDicembre 2008

Sebastiano BurgarettaSovente all’anima

Assoc. Città e Siti ItalianiPatrimonio mondialeUNESCOSitiOttobre/Dicembre 2008

Assoc. I netini di RomaI netini di Roma

Ottobre/Dicembre 2008

Paolo FontanaQualcosa di lei.Maria e il suo senoChronos - 2008

Luciano MontoneriStudi sul pensiero anticoArti grafiche Motta1996

Comune di Avola1968/2008Colore Avola2008

Ehud GolDa Gerusalemme aRomaMondadori - 2008

Hanno arricchito la nostra biblioteca

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Il fabbisogno energetico mondiale cre-sce continuamente. Popoli che apparte-nevano al cosiddetto terzo mondomigliorano sensibilmente le loro condi-zioni economiche e tendono a raggiun-gere velocemente livelli di vita parago-nabili a quelli occidentali.Le risorse energetiche stentano a soddi-sfare le richieste, i prezzi dei combusti-bili registrano valori di crescita preoc-cupanti e molti esperti avanzano ipote-si di esaurimento dei combustibili fossi-li in tempi medi.Tuttavia, anche se importante, questorimane un problema secondario, inquanto quello principale è sicuramentel’inquinamento ambientale.Bruciando gli idrocarburi, quali oliocombustibile, carbone e metano, com-posti per lo più da idrogeno e carbonio,si producono principalmente il vaporeacqueo, l’anidride carbonica e gli ossididi azoto, pertanto, mentre il vaporeacqueo si limita ad incrementare l’umi-dità dell’aria, gli altri due gas contribui-scono in maniera determinante all’effet-to serra, che rende caldo e turbolentol’ambiente. Molti esperti sostengonoche l’incremento degli uragani registra-to negli ultimi anni sia dovuto all’effet-to serra, mentre altri ritengono che que-sti fenomeni siano ciclici, in quanto ri-conducibili alle fasi di riscaldamento eglaciazione del pianeta. Tuttavia, sonotutti quanti d’accordo in riferimentoall’eccessivo incremento del valore dianidride carbonica nell’aria rispetto alpassato e sulla necessità di trovareurgentemente rimedio a questo squili-brio. Il protocollo di Kyoto indirizzaverso una politica energetica che con-sente la salvaguardia dell’Ambiente e losviluppo economico, e l’Italia, dovendopagare la multe salate per il superamen-to dei limiti d’inquinamento, ha indivi-duato nell’Energia da fonti rinnovabilila soluzione al problema ambientale ealla dipendenza dell’energia elettricadall’estero, in quanto importiamo circa

il 15% del fabbisogno nazionale.Pertanto sono stati avviati deimeccanismi d’incentivo stataleper la costruzione di impianti fotovol-taici.Il principio di funzionamento dell’im-pianto fotovoltaico è basato sulla rac-colta dell’energia elettromagnetica pro-veniente dal sole, dove viene generatadalla fusione nucleare dell’idrogeno, econversione in energia elettrica. Il pro-cesso di produzione dell’energia foto-voltaica non è inquinante, in quanto ilsilicio, utilizzato per la realizzazionedelle celle fotovoltaiche, è il materialesemiconduttore delle apparecchiatureelettriche ed elettroniche e, quindi èpresente da molto tempo in tutte le abi-tazioni. Questi materiali semiconduttorideterminano, durante il giorno, la con-versione della radiazione solare in ener-gia elettrica, tale conversione avviene invirtù dell’orientamento delle caricheelettriche che, formando il polo positivoe quello negativo, generano la forzaelettromotrice o tensione, la quale facircolare la corrente per l’alimentazionedelle utenze elettriche. Effettuando gliopportuni collegamenti dei moduli foto-voltaici, si ottiene il valore di tensioneprossimo a quello di rete. Per consenti-re il parallelo dell’impianto fotovoltaicocon quelli di Enel o altri produttori,l’Energia uscente dal campo fotovoltai-co va all’Inverter, dove, oltre a passareda corrente continua in corrente alterna-ta, gli vengono conferite la stessa fre-quenza e la stessa tensione di rete. Neigrandi impianti è previsto l’allacciosulla media tensione, pertanto, si utiliz-zeranno i trasformatori elevatori. Perquanto ri-guarda l’incentivo statale, c’èda dire che esso viene concesso tramiteil Nuovo Conto Energia, che prevedeper venti anni il pagamento a tariffaincentivante dell’energia elettrica pro-dotta dall’impianto fotovoltaico, ed ètale da ottenere abbondantemente ilritorno del capitale investito per la

costruzione dell’impianto; in aggiunta iproduttori di grandi quantità di energiafotovoltaica hanno diritto al ricavo davendita energia al prezzo di mercato,mentre le famiglie e le piccole imprese,qualora l’energia prodotta sia pari aquella consumata, ottengono l’azzera-mento del costo della bolletta. Successivamente ai venti anni e finoalla dismissione dell’Impianto, ipoteti-camente dai cinque ai dieci anni, ilgrosso produttore continuerà a riceveresolo i ricavi da vendita energia al prez-zo di mercato, mentre le famiglie e lepiccole imprese continueranno a nonpagare la bolletta.Mediamente una famiglia spende circa800 euro all’anno per il consumo dell’e-nergia elettrica, escludendo i costi diriscaldamento, per il quale generalmen-te si utilizza gas metano, invece, realiz-zando l’impianto fotovoltaico, diventaconveniente anche riscaldare elettrica-mente.Pertanto il mancato costo rappresentaun risparmio importante, viste le pesan-ti difficoltà economiche attuali chespingono in inverno molte famiglie amantenere fredde le abitazioni, metten-do a serio rischio la loro salute. Dialtrettanti benefici si possono avvantag-giare le aziende, che attualmente perdo-no competitività con l’estero, le qualirealizzando gli impianti di produzioneda fonti rinnovabili per coprire il lorofabbisogno energetico, azzereranno icosti energetici e, conquistando il mer-cato, produrranno ricchezza e nuoviposti di lavoro. L’Italia è fra i maggiori paesi importa-tori di combustibili fossili e ha, inEuropa, il più alto valore di radiazionesolare, pertanto, puntare all’utilizzo diquesta fonte di energia ci consente dimigliorare l’economia e di ridurre l’in-quinamento ambientale.

Energia e ambiente:quale futuro?di Sebastiano Tiralongo

AMBI

ENTE

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Canzuni d’addiu La nuova alba

di Angela Grande di Corrado Bono

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POES

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Io ora ti lassu, paisi du sulichi spunta ro mari e si vota a punenti.Cu ‘na spina no corisi movi ‘u me cantuca sapi d’amurica scava in profunnu.Io ora ti lassu, paisi du mari,ca duna li pisci,ricchezza a la genti,minnuli e opi ne’ piatti danzannu.Cu l’amaru di l’occhis’avvilena la mentipi scurdari li iornatra li ioca e li risadi carusi contenti.Cu na pena profunnaabbrazzu li ciuri russi di sangu de to poveri figghi ammazzati ne stradi.Cu lu pettu straziatu io ora ti dugnu,Sicilia do cori,‘sta canzuni d’addiucu paroli di figghia pi la matri luntana.

Le luci dell’albadel primo giorno dell’annonel loro splendorehanno illuminatonubi grigie e nere,sprazzi di cielo azzurro,flutti spumeggianti,inebriati dai pensieri vagantinell’ultima notte.

Il grande mistero del tempo,è il trascorrere dei giorni,dell’esistenza che passa,che fluisce come l’acqua del fiumeche va nel mare.

È la vitache, giorno dopo giorno,va verso il percorsoindefinito e infinito.

Dai pensieri di Martina

di Martina Agricola - foto di Antonino Vinci

LA VITA

La vita è come un fiorenasce, cresce e muore.

La vita è come un gabbiano, vola nel cielo lontano.

La vita è la vita...non sprecarla inutilmente,

ma vivila pienamente.

IL MARE

Il sole è alto nel cielo,Il vento mi sfiora i capelli,

Cammino a piedi nudi sulla spiaggia...La sabbia è calda e i piedi sfiorano l’acqua.

Il mare è calmo, le onde creano una dolce melodia.Le gocce d’acqua mi bagnano il viso, ma non mi asciugo

e continuo a passeggiare vicino alla riva.

I SOGNI

I sogni sono importanti,senza di essi non potremmo vivere.

I sogni ci fanno cresceree ci fanno volare.

Non rinunciate mai ai vostri sogni,perché ve ne pentirete per tutta la vita...

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Meteorologia

di Corrado Vella

AMBI

ENTE

L’altra sera la televisione, come alsolito, trasmetteva le previsioni deltempo e un distinto e noto presentato-re tentava di spiegare l’elaborazionedei dati effettuata per rendere credibi-le la sua meteorologia (da “meteora”= fenomeni celesti, e “logia” = pro-gnostica). Si trattava del solito appa-rentemente dotto soliloquio rivolto aun pubblico di telespettatori che per lagrandissima parte nulla capiva, tanto-meno la veloce presentazione dellacarta delle linee isobare, cioè di quel-le linee ideali che congiungono puntisulla superficie terrestre aventi lastessa pressione atmosferica, apparsesullo schermo per pochissimi istanti.Poi è arrivato il deus ex machina cheha risolto d’improvviso la difficilesituazione: la cartina con le nuvolette.Il presentatore ha atteggiato il volto aun leggero sorriso conscio di avereassolto a un compito sociale, quasietico. Il popolo di ascoltatori è statomesso nella condizione di decidere,sereno, se restare a casa la prossimadomenica a causa delle probabiliintemperie, o optare per la sortitafuori porta romana, o programmare lagita in montagna o il fine settimana almare. Così avviene da decenni e io miadiro perché sono convinto che se ipresentatori si fossero, solo breve-mente, soffermati in questi anni aspiegare l’andamento delle linee iso-bare o i rapporti fra i vari elementi cheinteressano le previsioni del tempo,quali la pressione, la temperatura, lostato igrometrico, i venti nelle valli enei monti e così via, oggi tutti cono-sceremmo un po’ di più i fenomenimeteorologici, né si arrabbierebbe ilfiducioso vacanziere domenicale pernon avere portato l’ombrello. D’altraparte quanti sanno cosa indica un nor-male igrometro e cosa vuol dire quel

simbolo di per-centuale riporta-to sul quadrantedello strumento? Come è noto, leprevisioni deltempo effettuatedal Servizio Meteorologico del-l’Aeronautica Militare sono divulgatedalla radio, dalla televisione, permezzo del telefono o della stampaquotidiana e da altri mezzi. Sono ingenere molto generali perché si riferi-scono a fenomeni probabili ed estesi,associati all’evoluzione di perturba-zioni, anche se ben individuate. Sitratta di indicazioni utili, per esempio,agli amanti della montagna o dellabarca che, per quanto riguarda lafenomenologia locale, possono risul-tare a volte inattendibili. Nelle zonealpine o appenniniche i fenomeniatmosferici sono strettamente legatiall’altitudine e alla conformazionedell’orografia locale o della natura delterreno boschivo, roccioso, innevato,o alla vicinanza di grossi specchid’acqua come laghi, fiumi e torrenti.Nei boschi si registrano temperatureinferiori di 2 – 5 gradi rispetto ad altriluoghi posti alla stessa latitudine mascarsamente silvestri. Anche il tipo dipiante sensibilizza queste differenzedi temperatura. In estate, i boschi difaggio rinfrescano di più dei boschi diabete o di pino. In questi casi tornautile l’esperienza locale acquisita inanni di osservazione diretta. Peresempio, una massa di aria umida puòstazionare in una certa zona senzaprodurre condensazione e nubi se latemperatura rimane elevata, ma se ècostretta a sollevarsi per scavalcareuna montagna può raffreddarsi e con-densare producendo annuvolamenti,nebbia e precipitazioni. Chi vive in

montagna sa che questo fenomenopuò verificarsi solo sul versantesopravento del monte, mentre sul ver-sante opposto sottovento si può avereun rapido miglioramento delle condi-zioni.Per essere in grado di fare un minimodi previsione attendibile basta dispor-re di un barometro e di un termome-tro, strumenti a portata di tutti, nonnecessariamente di precisione, perchénon è importante il valore assolutoche si legge sullo strumento ma quel-lo relativo, cioè quello che indica lavariazione rispetto a una lettura pre-cedente. È sempre bene avere unbarometro tarato in base alla quota delluogo di stazione, ma ripeto, nonserve il valore esatto della pressionequanto invece constatare che è inaumento o in diminuzione e l’entitàdel gradiente. La lettura della tempe-ratura, inoltre, deve essere fatta conregolarità con il termometro all’om-bra e lontano da fonti di calore.Vediamo adesso alcune facili regoleche, se applicate con giudizio e inqua-drate nella situazione generale deltempo, possono dare qualche soddi-sfazione. Usando il barometro si haun miglioramento se la pressione è inaumento costante e regolare con rota-zione dei venti da Nord. Con pressio-ni alte e cielo sereno di notte sonoprobabili nebbie basse al mattino e unlieve aumento di pressione nelle orepomeridiane. Si ha un peggioramentose la pressione è in costante e regola-re diminuzione con venti che rinfor-

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zano da Sud. Se la caduta di pressioneè rapida con calma di vento e caldoafoso c’è da aspettarsi il temporale.Se la pressione si abbassa fra l’alba eil mezzogiorno la pioggia è moltoprobabile. È tipico il vento di sciroc-co (dall’arabo magrebino shuluq =vento di Sud) molto noto e fastidiosodalle nostre parti, vento da SE, caldoe soffocante, che spira dall’Africa,secco in origine ma che, attraversandoi nostri mari, si carica di umidità eprovoca violenti temporali soprattuttonella nostra penisola appenninica e alNord.Con un termometro si può misurare latemperatura e, se si nota che è rimastainvariata rispetto alle 24 ore prece-denti, con una pressione pressochécostante, anche il tempo non dovreb-be registrare sostanziali variazioni. Sela temperatura tende ogni giorno adaumentare c’è da attendersi a breveun peggioramento. Al contrario, sonopossibili condizioni migliori.Vi ricordo adesso un simpatico feno-meno facilmente verificabile da chiabita vicino al mare o alla montagna:il gioco delle brezze di valle e dimonte. Di giorno i fianchi dei rilievisi riscaldano e l’aria che vi staziona siscalda più dell’aria circostante o delmare. Si genera una differenza di den-sità e quindi un movimento d’ariadalla valle alla sommità del pendio.Questa è la brezza di valle. Di notte siverifica il fenomeno inverso: i fian-chi del monte si raffreddano più rapi-

damente delle aree circostanti o delmare, pertanto l’aria che vi staziona ècostretta a scendere verso la vallegenerando la brezza di monte.A tal proposito vi voglio raccontareun aneddoto vissuto. Tempo fa, la miafamiglia usava trascorrere qualchegiorno di vacanza dai suoceri, inLiguria, nei mesi estivi. Dopo cenaera prassi consolidata godersi il frescodella sera seduti su delle poltroncinesistemate sul terrazzo di casa. I postierano fissi e assegnati da anni, lungoun allineamento NS, con a Sud ilmare e i monti a Nord. Il suocerostava alla mia destra, verso la spiaggiae la suocera alla mia sinistra, verso lamontagna. Si beveva il solito whiskye io fumavo la mia gradita pipa.Subito cominciavano le lamenteledella brava donna di mia suocera chemal sopportava il mio fumo che lainvestiva sul viso.- Abbi pazienza, sto pregando re Eoloperché cambi la direzione del vento,non farmi smettere di fumare. Fra unpo’ il fumo non ti disturberà.- Fuma pure, perché è tardi e io vadoa dormire.Si alzava e andava via. Dopo un po’ritornava per augurare la buona nottee notava che il fumo della pipa avevacambiato direzione e raggiungeva ilsuocero seduto alla mia destra, versoil mare, che sniffava, gratificato, l’a-roma del tabacco. Lei notava la cosa esi rammaricava:- Ma questo Eolo ce l’ha proprio con

me?- Non so, suocera, forse dovresti esse-re più buona e generosa…In effetti avveniva che di giorno ifianchi delle pendici si scaldavano piùdel mare, pertanto la brezza andavaverso i monti e il fumo verso la suo-cera. Sul tardi si verificava invece ilfenomeno inverso. I monti si raffred-davano più rapidamente del mare e sigenerava la brezza di monte, verso lamia destra, cioè verso il suocero.In conclusione: avremo bel tempo sec’è rugiada sui prati al mattino o sialternano regolarmente le brezze dimonte, di notte, e le brezze di valle, digiorno. È indicativa la presenza dinubi lenticolari ad alta quota chescompaiono nel pomeriggio lasciandoil cielo limpido e il rosso di sera.Avremo tempo cattivo se osserviamoaloni solari e lunari e il cielo sbianca-to, rosso intenso al mattino con pre-senza di nubi e l’infittirsi di nebbiemattutine con annuvolamenti irrego-lari nelle valli.Bastano queste poche nozioni perimparare a riconoscere i segni premo-nitori e cominciare ad appassionarsiallo studio dei fenomeni meteorologi-ci. Se poi pensate che questi piccoliapprofondimenti possano affaticarvitroppo, non disperate, troverete sem-pre una cartina con le nuvolette.Resta comunque valido il detto che,se volete che non piova, basta usciredi casa portando l’ombrello.

Complimenti ad Angelo Caruso, che “per l’impegno profusoa favore dell’artigianato e della micro impresa” ha ottenuto,dalla Confederazione nazionale dell’artigianato, il riconosci-mento di “impresa eccellente”. Titolare da oltre venti anni diuna piccola officina per lavori in ferro e alluminio, in viaPalestro, Caruso ha ottenuto il riconoscimento durante unacerimonia svoltasi a “Città della Notte”, nei pressi diAugusta, dal presidente nazionale Unipol Lauria. AngeloCaruso, avolese di 42 anni, il più giovane dei premiati, ha benragione di essere orgoglioso di questo riconoscimento in unmomento in cui l’artigianato, come lui stesso ha affermato,tende a scomparire. Sono pochi i giovani che si cimentano inquesta che è una vera e propria arte, quella di forgiare il ferro,un’arte che richiede impegno, passione e laboriosità.

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Caro prefetto, dott Francesco Marino,Vi ho visto nascere una mattina diluglio del lontano 1961 quando sietepartito da Siracusa col treno diretto aRoma e con un foglio di carta in tasca:“Ministero dell’interno. La S.V. dovràpresentarsi alla Prefettura di Maceratacome consigliere di 3ª classe in provail 10 luglio 1961 alle ore 8,30”. DaRoma poi dovevate prendere un treno

per Ancona, scendere a CivitanovaMarche e poi da qui proseguire perMacerata. So che durante il viaggio, visiete sentito male a causa di un latte dimandorla andato di traverso e dellelacrime versate dalla madre vedova,che vedeva partire il figlio maggioresenza che fosse previsto un suo ritornoa breve scadenza. Questo è l’iniziodella Vostra Storia. Vediamo ora quan-

do è finita. 27 Agosto2003 - Salone di Rap-presentanza della Pre-fettura di Rieti. “IlPrefetto Marino (chesiete Voi) e la Signoradanno una cena di com-miato alle Autorità dellaProvincia, Sindaci, Par-lamentari Nazionali eRegionali. Rappresen-tanti delle categorie eco-nomiche e sociali ...” Uncentinaio di persone.Con quella cena è finitala vostra carriera. Dal 1°settembre 2003 il Sosianon c’è più ed eccomiqua, sono tornato adessere Franco Marino,quello dell’ex cortileCirino di Avola, sia puremodificato e corretto,non fosse altro perchécittadino della capitaledal 4 ottobre 1974.Ed allora facciamoci unadomanda: come sono sta-

ti questi 42 anni di convivenza, giornodopo giorno, nei diversi luoghi e neipiù svariati ambienti di lavoro? Direche c’è stato un reciproco ingombroforse è troppo, la parola giusta è che“abbiamo convissuto” per tantotempo, insieme, ma non c’è mai statauna perfetta immedesimazione alpunto di annullare la prima identitànella seconda. Sicuramente c’è statauna sopportabilità reciproca, dialet-tica, che spesso Vi ha portato a dero-gare dallo stile obbligato o dalle usan-ze del rango prefettizio che rappresen-tavate.Non poteva essere diversamente! Voiavete dovuto subire quel che era rima-sto inculcato in Franco Marino, dal-l’infanzia, dall’adolescenza e dallagiovinezza: chiari e saldi principi.morali trasmessi da due genitori verieducatori (madre maestra e padredirettore didattico) e da due Sacerdotiveri formatori di coscienze (PadreFrasca e Padre Fortuna).La “similitudine” e “l’avolesità” veni-vano poi semprc allo scoperto durantei vostri discorsi sentendo la vostrainconfondibile inflessione dialettale. Icitati principi di onestà e senso deldovere sono usciti allo scoperto piùvolte: così è stato a Siracusa, dove unTizio chiedeva “un favore” per il solofatto di avere conosciuto vostro nonnoe vostro padre; e voi lo avete cacciatoin malo modo; e lo stesso rifiuto avetefatto a Roma quando all’Antimafia vioffrirono una volta un grosso vantag-

Lettera di Franco Marino all’exprefetto dott. Francesco Marinodi Franco Marino

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I coniugi Marino con Oscar Luigi Scalfaro.

Agli amici lettori,qualche anno fa, sotto l’ombrellone d’estate, ho letto uno dei tanti libri scritti da Luciano De Crescenzo che si intitola-va “Tale e Quale” ed era un’intelligente caricatura dove l’autore parlava col suo Sosia, ossia con se stesso, mettendo inluce ironicamente i suoi pregi e i suoi difetti. Orbene, io non ho affatto l’ardire di paragonarmi a De Crescenzo, tuttaviaho provato a fare qualcosa di simile. Avendo vissuto per 42 anni una costante distinzione tra me e il ruolo che di voltain volta sono stato chiamato a sostenere, dedico un’insolita lettera al mio Sosia (Prefetto Marino) dove, con qualche ten-tativo di ironia, rinfaccio a me stesso i sentimenti che mi hanno accompagnato in questo lungo e intenso lavoro istitu-zionale. Eccovi allora la missiva: vi prego di leggerla.

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gio economico, o vi suggerirono dischierarvi con questo o con quello chesicuramente vi avrebbe “portato su”.Evidentemente tutto questo ha com-portato: qualche perdita... in carriera ein altro; ma a questo mondo nulla ègratuito. Però se diamo il giusto peso aquella contropartita, il prezzo non èstato in fin dei conti così alto…Credete a me, caro Prefetto, ne valevala pena!!!E ora parliamo del DARE E AVERE!!Che cosa io ho dato a Voi??Certamente, come abbiamo detto, nonho potuto togliermi il mio DNA origi-nario, ma vi ho dato tante cose: perprimo tutto il mio tempo, da lunedì alsabato, spesso anche la domenica.Tanto da non avere mai conosciuto unprofessore dei miei tre figli. E poi viho dato tutto il mio pensare, in cuisono compresi l’amore per il lavoroche facevo e l’impegno a farlo bene.Senza quella passione e quel rifiuto acedervi tutto me stesso, voi avrestepensato semplicemente a fare carriera

e così, ineluttabil-mente, vi sareste av-vitato nella sudditan-za dei più forti dentroe fuori il Ministero.E vediamo ora checosa io HO AVUTOda voi. In verità tan-tissimo; è difficile daenumerare partita-mente. In primis hoavuto la felice oppor-tunità di conosceretantissimi posti dellanostra bella Italia, daAgrigento a Vercelli.Dal vivo del dialogoho parlato poi conpersone di gran nomee reputazione, non sto

a dire quali, e poi con tantissime per-sone semplici dalle quali ho fattocome le api: ho preso il nettare e homesso da parte lo scarto, quello chenon serviva. Se questa è l’entrata, fate-mi registrare in uscita il fatto che miavete costretto, per dovere di ruolo, atollerare e a soffrire inerme tantivociaioli – o tromboni che dir si voglia– alcuni rinomati, altri sconosciuti aipiù. E poi ho avuto... Voi avete dato amio padre e mia madre la soddisfazio-ne, piuttosto postuma, poiché il primose ne è andato in fretta e la secondadue anni prima della nomina, di avereil Prefetto in casa!E ora??? Parliamo del presente; certa-mente mi mancheranno l’impegnointellettuale quotidiano a risolvere iproblemi della gente ed il contatto coni collaboratori che mi erano essenzialinel perseguire l’obiettivo comune.Non mi mancheranno certamente lefeste e le commemorazioni che finiva-no sempre con ghiotte colazioni e cenechiamate “conviviali”. Mettendo in

conto l’età e il tasso glicemico inaumento, erano cose che già allorafacevano male alla salute ed oggiancora di più. Per converso, avrò piùtempo da dedicare alla mia famiglia;moglie e tre figli, prima trascurati, chesono andati avanti da soli. Ora c’è purela nipotina Cecilia, che ha aperto unaltro fascicolo nel libro della mia vita.

Ed allora, Caro Prefetto, “è bene quel-lo che finisce bene”: sarebbe statomolto triste se avessi alimentato in mela velleità di tenere in vita per semprela nostra convivenza, io avrei mancatodi rispetto a Voi e Voi a me!Perciò non farò come Pinocchio quan-do, realizzato il sogno di diventare unbambino vero, guardò l’ormai inertelegno snodato in cui aveva vissuto edesclamò: “come ero buffo quando eroun burattino”. No, io non farò così!Vi dico: addio Prefetto Marino, conserenità e con il sorriso sulle labbra, econ la convinzione che la nostra vita èsegnata da Dio; è Lui che l’ha pro-grammata e che ci guida giorno dopogiorno fino alla fine.

Il Prefetto Marino e il cardinale Tarcisio Bertone.

Il Prefetto Marino con l’Abate di MontecassinoMons. D’Onorio e l’on. Enzo Bianco.

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Avola, novembre 2008Ancora una volta mi onoro di scrivere aquesta illustre rivista “Avolesi nelmondo” anzitutto per ringraziare ladott.ssa Grazia Maria Schirinà, che la pre-siede, per l’ingente mole di lavoro chesvolge. Sono particolarmente riconoscen-te, anche a nome della mia famiglia, aldirettore didattico dott. Carmine Tedescoper la recensione così incisiva e approfon-dita sulla figura del concittadino e poetaAlessandro Caia. Sono alquanto grato aquesta rivista culturale per gli argomentiche affronta, ricordando le nostre radicistoriche, facendo rivivere attraverso lamemoria storica la cultura del passato,vivificando un patrimonio storico cosìprezioso che è stato fondamento del vive-re della nostra comunità. Mi augurereiche in futuro fossero ricordate tante altrefigure di nostri stimati concittadini, chehanno dato lustro e dedicato la loro vita alservizio del bene comune. Nel leggerequesta rivista resto sempre ammirato estupefatto, perché, senza che le mie sem-plici e umili parole siano d’encomio, èdifficile, in una temperie delle più svaria-te attrattive, promuovere e attrarre un altointeresse culturale. L’associazione “GliAvolesi nel Mondo” con i suoi convegni econ questa rivista, attraverso i suoi scritti,è la sentinella che grida forte nel desertodel disinteresse, dell’indifferenza delbuon sapere, è l’alfiere di quei valorietici, umani, cristiani e sociali che hannocaratterizzato da secoli, la crescita civiledella nostra società. Cordiali salutiSebastiano Caia

Palermo, dicembre 2008Gent.ma signora,La ringrazio per la cortesia che mi hausato accogliendo la mia ricerca su Avolanella bella rivista da Lei diretta e la pregodi estendere il mio grato saluto a tutto lostaff che la collabora. Per il lavoro da mesvolto, devo dare atto che mi è stata pre-ziosa l’amicizia di Nella Urso Favaccio edel marito Gen. Michele, mentre laprof.ssa Marinella Piccione Loforti mi haaddirittura contagiato il suo entusiasmoper la città. Avola infatti ha sempre desta-to in me tanto interesse così come la suagente, fiera, attiva, affabile, qualità tutteche denotano una storia lunga millenni.Le invio il mio breve curriculum persona-le e alcune notizie circa la raccolta di fotodei ferri battuti di Alessandro Mazzuco-telli, avendo letto con piacere l’articolo suGiuseppe Montalto a firma di CorradoAppolloni. Il volume, formato cm. 35 xcm. 25, in 50 pagine, edito nel 1916 circadalla prestigiosa casa editrice milanese“Bestetti e Tumminelli”, reca in primapagina la fotografia dell’artista e lamagnifica prefazione di Ugo Ojetti; erastato donato a mio nonno materno OrestoLo Valvo il 10 giugno 1916; sul fronte c’èla dedica con la firma :”Lisander elferee”. Per le dimensioni, la vetustà, lafragilità della carta non può essere tra-sportato; lo metto a disposizione comun-que di chi volesse farne riproduzioni ecopie; qui a casa mia.Ancora cordiali saluti Isabella Amodei di Filpo

Reggio Emilia, dicembre 2008Carissima Prof.,anzitutto tanti auguri di Buon Anno a lei ealla sua famiglia e ai soci di Avolesi nelMondo. Come sta? Spero abbia trascorsoqueste feste in serenità. Purtroppo, puressendo stato ad Avola nel periodo natali-zio, non sono riuscito a partecipare adalcuna delle iniziative che l'associazioneaveva preparato... pazienza. Immaginoche questo sia, come ogni anno, un annoimpegnativo per le attività dell'associa-zione che spero vengano portate avanticon la stessa passione di sempre.Buon lavoro ed ancora tanti auguri. Conaffetto,Corrado Gisarella

Toronto, Ontario, Canadadicembre 2008Grazie per avermi inviato la rivista. Èstata da me molto gradita, e, di conse-guenza, invio un assegno del valore di€ 60,00. Mi è piaciuta tanto la storia diPinuccia e Turi. Chissà, può darsi che liconoscessi durante la mia infanzia adAvola… Io emigrai nel 1951.Prof. Giovanni Paglialunga

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Avolesi nel mondo - Anno 10 n. 1 - Gennaio 2009

L’angolo della postaRedazioneAvolesi nel mondoVia Rattazzi, 5296012 AVOLA (SR)

Avola (SR) - Via Venezia, 35 - Tel. 0931 821208

La tradizione della pasticceria artigianale

Si ringraziano gli amici che, avendoricevuto la rivista, ci hanno fatto per-venire, a sostegno della stessa, comeextra, un loro contributo volontario:Giovanni Paglialunga dal Canada ePaolo Rametta da Roma.