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AUTO AIUTO Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici Poste Italiane Spa - Spedizione in abbo- namento postale - D.L. 353/2003 (Conv: in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bolzano Reg. 3.7.1995, n. 17/95, Nr. 1/2011 IL TRIALOGO - un nuovo modo di pensare ed agire ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI 8 aprile 2011

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Giornale-Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici, Bolzano (Italia)

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Auto Aiuto

Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici

Poste italiane Spa - Spedizione in abbo-namento postale - D.L. 353/2003 (Conv: in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 2, DCB Bolzano Reg. 3.7.1995, n. 17/95, Nr. 1/2011

iltrialogo- unnuovomododi pensareedagire

assembleagenerale deisoci 8aprile2011

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Auto Aiuto

Indice

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Editoriale

Il Trialogo - Non più solo in due, ma in tre: un nuovo modo di pensare ed agire

I 7 peccati capitali - Le 7 virtù

“Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”

L’angolo della riflessione e dell’ascolto Aiutareoessereaiutati

Parliamone insieme Ritrovareilsensodellavita

“L’allegra brigata” Giovani e volontariato Assemblea Generale dei Soci

Entusiasmo, fiducia, collaborazione

Il nuovo Consiglio Direttivo

I lettori ci scrivono: “Attacchidipanico”

iMPRESSuM

opuscolo informativo quadrime-strale dell‘Associazione Parenti ed Amici di Malati Psichici

Registrato al tribunale di Bolza-no: Nr. 17/95 R.St. del 3.7.1995

Editore:Associazione Parenti ed Amici di Malati PsichiciVia G. Galilei, 4/a39100 Bolzanotel. 0471 260 303 Fax 0471 408 [email protected]

Responsabile:Prof.ssa Carla Leverato

Redazione:Martin Achmüller, Lorena Gavil-lucci, Margot Gojer, Laura Kob, Carla Leverato

traduzione:Martin Achmüller, Margot Gojer, Klaudia Klammer, Carla Leverato

Foto:Archivio, Martin Achmüller, Mar-got Gojer, Carmen Premstaller

impostazione e veste grafica:Carmen Premstaller

Stampa:Karo Druck, Frangarto

La redazione ringrazia per la preziosa collaborazione tutti co-loro che hanno contribuito alla pubblicazione di quest‘edizione. Si riserva il diritto di effettuare abbreviazioni ai testi.

Con il sostegnodella Città di Bolzano

Con il sostegno della

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EDitoRiALE

Cari lettori!Carla Leverato

o gni volta che l‘Associazione con-voca i soci per l‘Assemblea an-

nuale mi sembra di essere invitata ad una festa di compleanno.Quest‘anno è una festa particolare: non perché si ricordi un importante evento o perché si tratti di una ricor-renza diversa dalle altre, ma perché si sente che è tutto diverso.Sono sfumature, stati d‘animo, impo-stazioni diverse, diverse prospettive...tutto difficile da definire, però si sente nell‘aria che c‘è.Le attività svolte sono più o meno sempre quelle, come pure quelle pro-

grammate ...però.Però sembra che tutto abbia basi di-verse, che poggi essenzialmente su tre colonne ben distinte e nello stesso tempo unite: l’entusiasmo, la fidu-cia, la collaborazione.Non si tratta dell’illusione che or-mai tutto sia risolto, che nessuno soffra più perché non esiste più lo stigma, che tutti riconoscano l’altro, chiunque sia, pari diritti e pari dignità, che i familiari siano sempre ascoltati ecc. ecc.Sappiamo benissimo quanta strada ci sia ancora da fare ...però.Però alcuni segnali forti indicano che è in atto un profondo cambiamento nell’Associazione e nella mentalità delle persone.Se infatti ci soffermiamo ad ascoltare il nuovo impulso dato dal “Recovery” ma anche dal “trialogo”, ci accorgiamo che l’approccio alla malattia è consi-derato in entrambi i casi globale. in entrambi i casi l’intervento curativo non è più esclusiva competenza del medico, ma si crede che la guarigione, che è possibile, richieda l’agire colle-gato e responsabile di tutte le compo-nenti in causa. Ci si richiama alla colla-borazione, alla fiducia reciproca nelle competenze e nelle risorse di tutti, al reciproco rispetto.

La stessa atmosfera che si ritrova in chi per l’Associazione lavora quotidia-namente con entusiasmo, spirito crea-tivo e insieme con grande correttezza e disciplina, in chi da il suo contribu-to e la sua collaborazione volontaria-mente per un tempo più limitato, ma con la stessa unità di intenti.Col passare degli anni, se pur lenta-mente, ma ora in modo evidente, si è verificato il passaggio dalla rasse-gnazione passiva alla responsabile presa in carico della propria vita, con il coraggio di chiedere aiuto nei momenti difficili. E di validi aiuti l’Associazione ne mette a disposizio-ne parecchi. Si va, per citarne solo i più evidenti, dal servizio di ascolto e consulenza del “Punto di Sostegno”, ai seminari di formazione per familiari e ai soggiorni di vacanza per gli uten-ti. oltre, importantissimo, il mettersi a fianco di chi al momento da solo non ce la fa, per difendere concre-tamente presso le istituzioni i suoi interessi, perché soprattutto nessuno debba sentirsi più solo.tutto questo l’Associazione offre ai soci come torta di compleanno; e siccome le candeline sono soltanto 22 possiamo ancora ben sperare per il futuro. Auguri!

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Auto Aiuto

n egli ultimi trent’anni ha pre-so lentamente piede in campo

psichiatrico, ma anche in ambito sociale e sanitario, una nuova forma di cultura della partecipazione, che ritiene che gli esperti con il loro sape-re, i familiari e il paziente stesso con la loro esperienza possano e devano essere tutti e tre coinvolti nel percor-so di cura, riabilitazione e guarigione: „il trialogo“. il termine „trialogo“, coniato dal prof. Klaus Dorner, è un neologismo che non si trova in nessun dizionario: lo si può definire un dialogo fra medico e paziente, aperto a considerare anche il punto di vista dei familiari.Non si tratta perciò di un nuovo meto-do terapeutico, anche se in tal modo la cura viene facilitata, ma di un pas-so avanti, rispetto anzitutto a quanto avveniva nel passato, speriamo molto remoto, in cui il medico, e lui soltan-to, sapeva di che cosa avesse bisogno il paziente, senza nemmeno doversi prendere il disturbo di informarlo; e di un altro passo avanti ancora, che ha previsto il coinvolgimento dei familia-ri. ora i partners sono tre e sono alla

pari: essi decidono e procedono insie-me, ognuno riconoscendo le specifi-che capacità e competenze degli altri. Ciò non solo fa diminuire le probabili-tà di errore nel trattamento del distur-bo, ma acquista anche una notevole valenza nella realtà sociale.Naturalmente la strada da percorrere non è affatto senza difficoltà. il fami-liare, ad esempio, non va considerato come un aiuto in più per l‘esperto e per il paziente, ma come persona con i suoi particolari bisogni e desideri, affinchè egli possa veramente essere parte attiva nel sostenere il paziente e la cura. Bisogna sempre, inoltre, tener conto che il medico ha bisogno di conoscere il contesto e la realtà in cui quotidia-namente vive il paziente e che lo può fare al meglio ascoltando il familiare. Questi a sua volta non conosce il con-testo e la realtà di un luogo di cura ed ha bisogno di capire, di essere rassicu-rato, per poter a sua volta far capire e rassicurare. tutto ciò presupponendo che esista già collaudata l‘alleanza terapeutica medico-paziente.il trialogo, questa forma di comuni-

Il trialogo - Non più solo in due, ma in tre: un nuovo modo di pensare ed agireCarla Leverato

cazione solidale, che è importante in ogni fase della malattia, tanto più lo è durante il ricovero ospedaliero, ini-ziando con la partecipazione ai primi colloqui che sono sempre di grandis-sima importanza. Altrettanto lo è nel-la pratica ambulatoriale, dove sempre più spesso si incontrano pazienti an-ziani e/o pazienti con patologie multi-ple, che vengono assistiti in casa e che da soli non sono in grado di spiegarsi, di capire e di farsi capire.in ogni caso la considerazione della realtà quotidiana del paziente, che può emergere da colloqui e program-mazione a tre, risulta importantissima per non rendere vana o addirittura dannosa la scelta dei rimedi, dei far-maci, dell‘assistenza e della cura.Questo cammino verso una psichiatria democratica, questo pensare ed agire partecipativo dei tre gruppi, valido in tutti gli ambiti socio-sanitario, incon-tra evidentemente anche resistenze ed ostacoli alla sua pratica realizzazio-ne, fra cui in primo luogo la ricerca e la condivisione di un codice comune, condiviso e compreso da tutti.

Ci siamo chiesti se questa convincente teoria del trialogo sia conosciuta e applicata. Ci siamo perciò rivolti a utenti, familiari ed esperti con domande che avevano lo scopo di suscitare riflessione e considerazioni e di far emergere l‘esperienza in proposito delle persone interessate:

i l termine trialogo è risultato sco-nosciuto da tutti, ma è bastata

una breve spiegazione perché subito fosse chiaro di che cosa si tratti. Poi qualcuno ha detto di essersi accorto recentemente di avere sperimentato questa forma di collaborazione.Le maggiori difficoltà incontrate dai pazienti sono: il non-ascolto

o l’ascolto solo apparente, il non essere presi sul serio, non essere creduti, la mancanza di compe-tenza degli operatori, a volte il loro disinteresse, anche nei momenti più difficili.il malato soffre se è previsto solo un numero definito di minuti per ogni „caso“, se cioè non si è consi-derati „persona“, ma solo numero

o diagnosi. il malato psichico in genere non riesce ad opporsi a queste „prescrizioni burocratiche“.inoltre risulta chiaramente che la parte maggiore dei malati psichici in primo luogo ha bisogno di un buon accompagnamento nel quo-tidiano. Ciò significa espressamen-te che le strutture sono il posto giusto solo per una piccola parte

un gruppo di auto aiuto per persone depresse

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Auto Aiuto

di malati psichici e solo per un pe-riodo assai limitato. A dimissione avvenuta, tantissimi rimangono soli; avrebbero, invece, bisogno di una rete che li sostiene (non solo il lavoro in rete dei servizi e delle strutture). il trialogo sarebbe la strada giusta, se fosse veramente realizzato; non solo un colloquio tra malati, ope-ratori e familiari, ma come „istitu-zione continua“:

il malato psichico in genere è trop-po debole per comunicare e farsi capire. Gli operatori possono cer-care di capire cosa avviene nel ma-

lato, perché lo hanno “imparato” e si sono confrontati tutti i giorni; ma chi non l’ha vissuto in prima persona avrà difficoltà ad imma-ginarlo, tanto più a sentirlo vera-mente. E i familiari non hanno le informazioni specifiche; pertanto è molto più facile attribuire colpe o sentirsi colpevoli, anche senza consapevolezza. Qui servirebbe l’aiuto di una persona estranea, benchè non basti solo parlarne, bisogna agire!Proprio per questo motivo spesso gli ammalati non vogliono coin-volgere i familiari, soprattutto perché temono commenti inde-siderati, inopportuni – non veri consigli, ma “colpi”. Altri si aspet-terebbero più che altro una vera comprensione – che, purtroppo, trovano raramente. Non è solo „la società“ che esclude – anche i fa-miliari possono escludere, posso-no peggiorare i sintomi, così come anche i malati possono “attaccare” la disperazione e l’incapacità ai familiari – e forse anche “solo”, una

burocrazia che dimentica la per-sona. Dal medico e dagli altri operatori tutti aspettano gentilezza, ascolto vero, competenza professionale e serietà, comprensione e disponi-bilità… e talvolta anche miracoli (come p. es. disponibilità assoluta fino al punto di sostituire la pro-pria famiglia).il paziente dovrebbe esprimere chiaramente i suoi disturbi per non far perdere tempo al medico, ma ovviamente non sempre ci rie-sce. inoltre si ritiene giusto segna-lare a chi di dovere eventuali man-canze nei confronti del paziente: chi dei malati osa farlo, e chi degli operatori accetterebbe una simile critica? Si ritiene che i gruppi a.m.a. siano un buon modo per migliorare la situazione del malato e che non dovrebbero essere ostacolati, ma favoriti e consigliati dai medici e dai servizi, invece sembra non ne sappiano nulla o non li conoscano abbastanza.

d el trialogo qualcuno, non tutti, ha sentito parlare e sa

anche che questa forma di colla-borazione viene applicata nelle strutture e nel Centro di Salute Mentale di Bolzano.

La situazione potrebbe migliorare se ci fossero incontri più frequenti tra medico, infermieri, assistenti sociali, malati stessi e familiari. Malissimo stanno i familiari nelle situazioni di crisi.Ci si riconoscerebbe reciproca-mente di più come persone, se fossero evidenziati le capacità e l’impegno di ciascuno. Qualcuno vorrebbe che ci fosse più comprensione per la malat-tia e che i medici sostenessero il lavoro di rete con i familiari. Anche se è molto difficile, si pensa che i familiari dovrebbero impara-re a “tenersi da parte” e a ricordarsi di badare anche a se stessi.

Familiari

Se poi si presenta qualche diffi-coltà sa solo proporre di cambiare medicinali. C‘è anche poco coordinamento tra esperti e familiari: gli uni non sanno quello che fanno gli altri e così si sprecano tempo ed energie.Ci sono poi dei comportamenti o delle situazioni che fanno sta-re e sentire ancora più male: ad esempio quando i familiari hanno l‘impressione di non essere con-siderati o, peggio, quando hanno la sensazione di essere un ele-mento di disturbo per il medico, qualche volta anche per gli infer-mieri.

Naturalmente ci sono difficoltà, specialmente

nei colloqui con il medico, che spesso fa

tante domande ai familiari, però restituisce

poche risposte o addiritura nessune.

È il peggiore dei mali quando gli operatori e i fa-miliari non capiscono che i malati si sentano soli ed abbandonati pur vivendo

in una famiglia.

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Esperti

l a collaborazione dei pazienti è fondamentale per una buona

alleanza terapeutica, che possa elaborare gli obiettivi comuni: i malati devono imparare a ricono-scere gli sviluppi positivi e non creare un legame troppo forte con gli operatori.Anche i familiari dovrebbero col-laborare, avere con noi una linea uniforme e perseguire obiettivi comuni.

inoltre sarebbe importante per noi lavorare insieme in un buon team, essere apprezzati e riconosciuti, avere la possibilità di una buona formazione continua, di feed back dal team e da altri gruppi, di di-scussioni dei casi, di supervisione e disponibilità ad imparare accet-tando e valorizzando anche altre idee.Purtroppo, invece, incontriamo spesso atteggiamenti non ade-guati, inopportuni, screditanti, fuori posto, poco apprezzamento, ammaestramenti invece di infor-mazioni e soprattutto la mancan-za di un vero ascolto.

Psichiatraserviziopubblico

l e difficoltà con i pazienti e i fa-miliari ci sono quando questi

si aspettano un „miracolo“ oppure una „riparazione“ senza però darsi da fare di persona, senza occuparsi dei problemi che stanno alla base

infermiereserviziopubblico

Sarebbe molto bello se ci fosse un riconoscimen-to del nostro lavoro di

operatori, ma non succede molto spesso.

o persino attribuendosi la colpa a vicenda. io stessa posso esporre con tanta pazienza quali siano i li-miti e le possibilità, ma ci vuole da parte dei pazienti e dei familiari una certa apertura e la disponibi-lità alla collaborazione.A me giova avere equilibrio e liber-tà, ma anche possibilità di discute-re con i colleghi e di aggiornarmi per ampliare l’orizzonte. ostacoli sono invece la mancanza di tempo e l‘enorme dispendio burocratico. Mi piacerebbe un riconoscimento ed una valorizzazione del mio la-voro, ma questi sono sempre gli ultimi. Probabilmente ai pazienti si dovrebbe concedere più re-sponsabilità e rispetto della loro volontà. D’altra parte, però, essi avrebbero bisogno di un maggio-re “empowerment” (che è altret-tanto difficile da realizzare quanto da tradurre).

in genere però funziona bene. La collaborazione dipende moltissi-mo dalla disponibilità del singolo; manca una forma organizzata di discussione che permetta un lavo-ro produttivo e creativo. A volte la mancanza di organizzazione porta a perdita di tempo e di energia.i pazienti avrebbero bisogno di una migliore integrazione sociale, nonchè di una vera diminuzione dello stigma.

Psichiatraprivato

s e ci sono difficoltà con un pa-ziente psichiatrico, questo fa

sempre parte della malattia stessa.

i problemi più grossi invece li ho avuti con l’amministrazione ed è per questo che me ne sono anda-to. Se avessi avuto più sostegno, non sarei mai andato via dal servi-zio pubblico.Meno burocrazia e minore interfe-renza da parte dei politici sarebbe un bene per tutti e gioverebbero a tutti. Per i pazienti mi immagino che un garante del malato e un sistema meno rigido da parte dei centri di salute mentale potrebbe essere di molto aiuto, per esempio la libera scelta del medico (spesso non possibile), una migliore con-tinuità terapeutica (anche questa non garantita).un valido aiuto per i familiari sono i gruppi di auto-aiuto e una maggio-re comunicazione con le persone che curano il malato; per i medici e gli altri collaboratori la possibili-tà di supervisione ed intervisione nel caso di difficoltà nel gruppo di cura stesso, oppure con certi malati o familiari. Dagli operatori e dai centri o dalle strut-ture mi aspetto una formazione possibilmente buona. Comples-sivamente sarebbero opportu-ni maggiore riconoscimento e apprezzamento per chi lavora.

Spesso si “delega” la responsabilità ai servizi,

dimenticando in certi casi che i pazienti sono

persone.

i pazienti hanno familiari, vivono in un contesto, e

questo può anche far am-malare. Queste difficoltà spesso si risolvono con la

terapia. La stessa cosa vale anche per i familiari. Quando qualcuno si

ammala ci sono spesso elementi nella famiglia che hanno contribuito. Anche i membri della

famiglia possono essere difficili.

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Auto Aiuto

medicodibase

l e depressioni così frequenti con i loro vari aspetti sono di

pertinenza del medico di base. il paziente depresso ci conduce già sulla giusta via con la sua mimica e i suoi gesti. importantissimo è l’ascolto, senza far tante doman-de specifiche – i classici sintomi di “mancanza di...” arrivano poi da soli – sintomo centrale secondo me è la mancanza di gioia. il compito fondamenta-le per il medico è riuscire a trasmettere al paziente che non è solo con la malattia, che essa è curabile, anche se ciò richiederà tanta pazienza e tanto tempo. Per questo per le prime 2 settimane rimango in stretto contatto con il paziente: mi deve telefonare ogni 2 o 3 giorni per riferirmi come sta. Così posso adattare il dosaggio alla reale situazione.Personalmente non trovo partico-larmente pesante il lavoro con le persone depresse.

Mi ricarica anche la grati-tudine dei familiari perché a casa, almeno per un certo tempo, va di nuovo tutto bene.Ho difficoltà soprattutto con fa-miliari che non vogliono proprio capire che il malato sta male e con rabbia gli dicono solo che si controlli e si dia da fare. Qui l’uni-ca soluzione è informarli paziente-mente.

Da m i -

g l i o r a r e sarebbe soprat-

tutto la collaborazione tra ospedali, centri e medici. il punto debole è la mancanza di informa-zione su nuovi ricoveri, nuovi casi o controlli sui decorsi di malattia (di-cono per mancanza di personale). in questo modo sono impossibili sia una diagnosi che una terapia “olistica”.

Se si è riusciti più volte a tirar fuori un paziente

dal suo buco profondo, la soddisfazione di avercela

fatta un’altra volta è molto grande.

Le interviste sul trialogo ci hanno dato l‘occasione di capire quanto sia da tutti auspicata una collabo-razione a tre ma quanto essa sia difficile. ognuno porta con se i suoi disagi, la sua sofferenza, la sua fati-ca... medici compresi dai quali tut-to ci si aspetta, ai quali ci si sente in diritto e in dovere di rivolgere criti-che e quasi mai apprezzamento o comprensione per il loro difficile e faticoso lavoro.tutti chiedono di essere ascoltati,

non tutti sanno come fare per esse-re ascoltati. Le aspettative su quan-to gli altri devono fare sembrano essere la cosa più importante.Non è ancora molto sentita da par-te di malati e familiari la possibilità, anzi la necessità, di impegnarsi co-munque anche in prima persona, di non pretendere sempre tutto soltanto dagli altri.Soprattutto ci sono rimaste molte domande, molte questioni ancora aperte: come trovare un codice co-

mune per comunicare e ascoltarsi efficacemente? Come favorire la reciproca conoscenza delle par-ti interessate? Come collaborare veramente superando le diversità di competenze e mettendo in co-mune conoscenze, esperienze e quanto altro? Come favorire una formazione di tutti in questo cam-po? Che ruolo possono avere nel percorso di guarigione (anche se non direttamente) il contesto so-ciale e la politica? Ecc. ecc.

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Sia che si parli di „trialogo“, che più in generale di cura e assistenza di mala-ti psichici, ci sono degli atteggiamen-ti che fanno male, molto male a tutti. Sono raccolti sotto la voce „peccati capitali“, quasi fossero, anzi lo sono proprio, la radice di tutti i mali, come la negazione della collaborazione, della fiducia, della speranza, del ri-spetto.

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Non mancano, però, in ogni campo esempi di come si può e si potrebbe fare: “le virtù teologali“, che in realtà sono soltanto tre (fede, speranza e carità). Comunque esse, se applicate, diventano atteggiamenti e modi di vita che portano i pazienti, ma anche i familiari e anche i professionisti a rapporti costruttivi in cui tutti hanno la possibilità di crescere, di star me-glio... e di guarire!

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l o psichiatra sorride e ci fa accomo-dare nel suo studio, un ambiente

luminoso, pulito, essenziale, un’atmo-sfera che infonde tranquillità. Ci sono dei divanetti e delle poltroncine bian-chi, prendiamo posto.Con il mio congiunto “malato” mi sie-do su un divanetto, sulle poltroncine si siedono il dottore ed il resto della famiglia.Ecco, penso, abbiamo chiarito spazial-mente i ruoli. Poi però mi accorgo che abbiamo formato un cerchio e che an-che la conversazione è circolare.Lo psichiatra sembra non avere alcu-na fretta, come se noi e i nostri pro-blemi fossero la sola cosa al mondo ad occuparlo. Ci ascolta. E’ interessato a ciascuno di noi.ognuno espone il proprio punto di vi-sta sul problema, ma il problema non è il parente “malato”, in realtà stiamo parlando di noi, dei nostri sentimenti, dei nostri dubbi, delle nostre aspetta-tive e delle nostre ansie e paure, della nostra visione della vita: capisco che emerge abbastanza chiaramente il complessivo contesto esistenziale in cui il “malato” si situa.Lo psichiatra ci spiega che non esi-stono ricette preconfezionate e che le soluzioni si costruiscono insieme, in questa rete di relazioni e nelle sue dinamiche: un attivo, reciproco scam-bio di informazioni è fondamentale per questo percorso di trasformazio-ne, che va dallo “stare male” al “benes-sere”.Finalmente, penso, si parla di circola-rità dell’informazione: quante volte per il solo fatto di voler comunicare qualcosa che mi sembrava importan-te, ho avuto la colpevolizzante sensa-zione di apparire agli occhi di qualche terapeuta o come una spia o come qualcuno che vuole indebitamente interferire.Ho la sensazione che perfino i miei problemi personali siano una risorsa da mettere in gioco, ma da un altro lato questa sorta di “assemblearismo” mi spaventa.Ci sono cose che potrei, anzi dovrei

dire al dottore, ma non mi sento di farlo davanti agli altri. in questa rete, prosegue lo psichiatra, nessuno sarà lasciato solo, ciascuno avrà il proprio spazio e ciascuno sarà attore di questo percorso secondo il proprio passo, i propri tempi, i limi-ti della sua disponibilità, con la più completa libertà di esprimersi. “Anche individuale? Anche da soli con Lei, in un dialogo a due?” chiedo. “Cer-to, se serve è indispensabile,” rispon-de il dottore.ottimo, ha un approccio pragmatico – osservo dentro di me – “ma non si verranno a creare dinamiche strane di alleanze poco trasparenti, di assun-zioni di responsabilità poco chiare?” chiedo ancora.“Le dinamiche si gestiscono, sono un professionista”, risponde in sintesi, ma in realtà con una ben argomentata spiegazione.Penso alla potenza della relazione te-rapeutica, ma dove sta scritto che ne esista una sola tipologia?Sento che i miei dubbi sono accolti, le mie incertezze sono legittimate e non confutate a priori con un atteg-giamento dogmatico, mi rendo conto che con questo psichiatra il dialogo è davvero tale, è confronto autentico, ricerca condivisa: la fiducia in lui ed un senso di sicurezza si fanno spazio nella mia percezione della situazione.il telefono dello psichiatra inizia a suo-nare, lui non distoglie la sua attenzio-ne da noi, ma il telefono insiste…, no, non è il suo telefono: è la sveglia, sul mio comodino!!!

“Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Marco 2, 27)

Luce

Luce: “Conosco psichiatri, psicologi, operatori del settore, che anche a fronte di difficoltà serie, sanno sem-pre porsi con competenza, attenzio-ne, rispetto ed accoglienza profonda verso i pazienti ed i loro familiari: a loro, che per fortuna sono una realtà e non un sogno, un grazie sincero.”

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c i sono persone, e non solo tra i volontari, che ritengono di ave-

re la “vocazione” ad aiutare gli altri, ad essere sempre buoni ed amabili, a fare tutto per tutti, e qualche volta è anche vero. Ma non sempre.E se qualcuno non desidera essere aiu-tato? Qual‘è il confine, il limite, quello che fa dire all‘altro: „Ma perché non mi lasci un po‘ in pace? Perché pensi che

io abbia sempre bisogno di te?”Difficile da digerire per chi pensa: „Ma guarda come mi tratta con tutto quel-lo che faccio per lui, o per lei. Nemme-no un po‘ di riconoscenza!“Riconoscenza significa soltanto che mi accorgo di quello che fai, ma non significa che quello che fai mi debba anche piacere, o comunque che io ne abbia proprio bisogno.E allora? Si deve sconsigliare alle per-sone di darsi da fare per gli altri? No di certo, perché di aiuto dagli altri ab-biamo tutti bisogno ma proprio tutti, anche noi.Però... cerchiamo di non essere inva-denti, di rispettare sempre i desideri altrui, di non giudicare sbagliate le abitudini e i gusti degli altri soltanto perché sono diversi dai nostri...Cerchiamo soprattutto di non sentir-ci indispensabili. Chi ha detto che gli altri non possano fare a meno di noi?

Chi ha detto che siamo noi i responsa-bili della vita, delle scelte di vita, degli errori degli altri? Pensiamo al messaggio che in tal caso è sottinteso al nostro agire: „tu sen-za di me non sei capace di...; se non ci fossi io...; che cosa faresti senza di me?“un‘ultima riflessione: è più facile aiu-tare o essere aiutati?Se la risposta è ”aiutare” provate a pensare a come si deve sentire chi si trova sempre in posizione “inferiore” e a chi, aiutando, si sente sempre in qualche modo “superiore”.Conclusioni. Almeno ogni tanto pro-viamo a fidarci di chi ci sta vicino, con la convinzione che può certo farcela, anche da solo. E proviamo anche noi ogni tanto a chiedere aiuto, inverten-do i ruoli. Perché anche io a volte ho bisogno di te.

Carla Leverato

L’angolo della riflessione e dell’ascoltoAiutare o essere aiutati

Parliamone insieme...Malattia psichica - genitori e figli

Martin Achmüller

E‘ possibile e come che genitori e figli parlino di malattia psichica?Se ne può parlare come di qualsiasi al-tro argomento. La differenza sostanzia-le caso mai sta nel fatto che ciascuno si sente troppo legato o viene troppo co-stretto al suo ruolo.

Quale ruolo?Il ruolo classico di genitore è quello di educatore, di chi a causa dell‘età ne sa di più. Il tipico ruolo di figlio è quello

di chi vuole e deve farsi la sua strada. In entrambi i casi è l‘empatia che ci ri-mette, perché non si riesce ad essere sufficientemente obiettivi e distaccati, ma si è troppo coinvolti, il tutto in modo completamente diverso da come succe-de normalmente fra familiari.

Quali sono le conseguenze?Si fa ancora più fatica ad accettare il disagio, lo sgradevole, di cui si aveva sentore ma che non si vuole accettare e perciò lo si rifiuta e si allontana.

C‘è differenza se l‘ammalato è un geni-tore oppure un figlio?Dipende soprattutto da come i singoli si pongono nei riguardi della malattia psichica, se ne hanno esperienza o se ne hanno paura. Poi naturalmente ha peso come e quanto si è imparato a parlare di problemi, quanto è stabile la relazione e quanta fiducia si dimostra verso l‘altro. C‘è anche grande differen-

za se si parla della preoccupazione per una possibile malattia o di una chiara diagnosi. Differenza fa anche l‘età del malato e degli altri, se si è all‘inizio o se si tratta di una nuova crisi, se il proble-ma è la terapia o le prospettive di vita e del futuro, se il tema magari è quello del suicidio.

Come si fa a prepararsi al meglio ad affrontare un dialogo?Si cerca aiuto e consiglio: da un esperto consulente, dal nostro o da altri „Punti di Sostegno“, dai gruppi di auto aiuto, da amici che sono in buona relazione con l‘altro, anche magari soltanto come intermediari.

E poi?Bisogna avvertire di voler parlare, chie-dere attenzione e ascolto, cercare il mo-mento adatto e dare messaggi in prima persona, del tipo: “Io ho l‘impressione...; Io sono preoccupato, perché...“

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s ono otto (Alessandro Svettini, Si-glinde Jaitner, Martin Achmüller,

Leo Matzneller, Alessandra Masiero, Reinhilde Mair, Maria Schneider e Ri-chard Santifaller) i nuovi – e vecchi - consiglieri d‘amministrazione che nel-l‘assemblea dell‘8 aprile hanno preso sulle loro spalle la responsabilità di condurre la nostra Associazione nel prossimo triennio. Divisi nell‘impegno fra l‘ottimo lavo-ro quotidiano di servizio alle perso-ne e alle famiglie, svolto da tutte le collaboratrici e dai volontari, e situa-zioni esterne di non facile soluzione malgrado il lavoro fatto fino ad ora e alcuni miglioramenti sicuramente ottenuti nel tempo. Come sottolinea la presidente Siglinde Jaitner, „dob-biamo alzare la voce per quelli che a causa del loro ‚essere diversi‘ e della loro situazione spesso precaria‚ non hanno voce‘.”Le problematiche più ostiche, dibat-tute a lungo presso la Centro Par-rocchiale del Duomo di Bolzano alla presenza della consigliera provincia-

le dott.ssa Veronika Stirner Brantsch, al direttore d’ufficio distretti sanitari dott. Alfred König e al primario del re-parto per la psichiatria di Bressanone dott. Josef Schwitzer riguardano una volta di più la resistenza dello stigma nei confronti del disagio psichico, l‘in-

serimento lavorativo così difficile, la ristrutturazione del centro riabilitati-vo Grieserhof a Bolzano.Come si pensa di aprire un cantiere al Grieserhof con l‘impegno (virtuale?) di non arrecare disagi ai nostri cari?, chiede la fondatrice storica dell‘As-

Assemblea Generale dei SociLorena Gavillucci

„L’allegra brigata“ - Progetto: giovani e volontariato

iNtERViStA CoN uNA DELLE 4 GioVANi VoLoNtARiE

Per quale motivo hai dedicato il tuo tempo a un‘esperienza di volontariato? Ho dedicato il mio tempo libero al vo-

lontariato perché mi piace molto aiuta-re le persone, infatti faccio parte anche del gruppo giovani della Croce Bianca.

Quali sono le tue impressioni in genera-le? Te la sentiresti di ripetere una espe-rienza del genere? Quest’esperienza di volontariato mi è piaciuta molto, e la rifarei ancora, nonostante la nostalgia di casa. Mi è sembrato un lavoro molto difficile, perché c’erano degli ospiti un po’ difficili da gestire.

Che cosa hai imparato in questi giorni, sia in generale, che nel diretto contatto con persone con un disagio psichico? Ho imparato che basta molto poco per ren-dere felice una persona, ho saputo che tanti ospiti portano dietro di loro delle storie molto tristi, mi è dispiaciuto mol-to per loro. Ho notato che questi ospiti

erano contenti che dei giovani abbiano trascorso del tempo assieme a loro.

Quale è stato il riscontro dei tuoi amici, familiari ecc., anche sul fatto che hai prestato il tuo tempo gratuitamente? I miei familiari erano molto contenti e mi hanno appoggiata nella mia decisione.

Che cosa si potrebbe migliorare? L’unica cosa che si potrebbe migliorare sta nel-la scelta dell’ alloggio, perché le camere erano troppo piccole e sprovviste di ba-gni e per fare la doccia bisognava an-dare nel bagno in cui entravano tutti.

Che cosa pensi dei tutors e del loro aiu-to? I tutor erano tutti simpatici, pazienti e molto preparati. Penso che per fare questo tipo di lavoro bisogna essere portati.

n el mese di marzo l‘Associazione ha offerto a 4 giovani la possi-

bilità di dedicarsi al volontariato. Essi hanno trascorso a San Lorenzo in Ba-nale, una quarantina di chilometri da trento, alcuni giorni di vacanza con gli ospiti dei Centri di Riabilitazione della nostra Provincia, guidati da due tutors e da esperti accompagnatori. obiettivo dell‘iniziativa era quello di sensibilizzare i giovani sulla malat-tia psichica, offrendo la possibilità di esercitare le proprie competenze so-ciali e sentendosi responsabili.

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Èquanto chiaramente e conti-nuamente emerge ascoltando e

partecipando all’assemblea. C’è una relazione e come ogni relazione che si rispetti questa contiene un elenco, lungo o corto che sia, delle iniziative intraprese e realizzate, degli incontri, dei seminari, ecc. ecc. A prima vista sembra tutto come sempre.Le attività per lo meno sono uguali. Però niente è uguale, perché si scopre che a vent‘anni, o poco più (questa è l‘età della nostra Associazione) può perfino ringiovanire. Lo si scopre da una “diversa aria che tira”, che si può sintetizzare in alcune parole chiave.Entusiasmo che si concretizza in vo-glia di fare, di rinnovare, consape-volezza delle risorse esistenti, della possibilità di collaborare, di avere aumentato le nostre competenze e di aver contribuito a rafforzare quelle dei familiari...Ciò che soprattutto caratterizza l‘As-sociazione, rinnovata dall‘interno, consiste in due elementi portanti: fiducia e camminare insieme

Fiducia significa che crediamo nelle risorse della famiglia, risorse di cui a volte gli interessati non sono consa-pevoli, chiusi nel dolore e nella tri-stezza, nella sensazione di non farce-la, di essere soli... Crediamo che si può guarire. il malato non è la sua malat-tia, ed anche chi ha problemi psichici deve avere il diritto di condurre una vita soddisfacente, produttiva e all‘in-segna della fiducia e della speranza. Anche se la malattia dovesse durare, non deve però durare la sua influen-za negativa. Questo ci insegna la tesi portante del “Recovery”.Crediamo nei servizi, con i quali vo-gliamo collaborare e camminare in-sieme. Non vogliamo dai Servizi che si assumano tutta la responsabilità della vita delle persone, ma che forniscano gli aiuti e il sostegno indispensabili ai malati e ai familiari, soprattutto nei casi più gravi. tutti dobbiamo ringra-ziare per aver coinvolto l‘Associazio-ne, per non averci mai negato il loro prezioso aiuto, la loro competenza, la loro solidarietà.

Camminare insieme ha significato per noi poter avere una nostra rap-presentanza nei vari comitati in cui si discutono i problemi socio psichiatrici e la partecipazione a diversi gruppi di lavoro. Camminare insieme significa inoltre saper comunicare, saper ascol-tare i bisogni e le esigenze altrui, far capire quali sono quelle dei malati.

Più di qualsiasi elenco valgono le pa-role di chi ha usufruito del nostro ser-vizio di consulenza. Ci ha detto una signora :”Ho capito il valore e l‘impor-tanza dell‘Associazione. Ho sentito che accanto a me c‘erano persone che mi capivano, che non mi illudevano con vaghe parole di conforto, ma che erano vicine a me per indicarmi una strada, per percorrere la quale per la prima volta in tantissimi anni non mi sono sentita più sola. Ho trovato di colpo la forza e il coraggio di impor-mi, di chiedere con decisione, di non lasciarmi più andare, per il bene del malato e di tutta la mia famiglia. Gra-zie per avermi ascoltata e capita.”

Entusiasmo, fiducia, collaborazione... Carla Leverato

sociazione Edith Bertol. Non ci crede nessuno, per non parlare dei continui ritardi che hanno spostato la realizza-zione delle nuove opere di alcuni anni ormai. L‘ultima decisione della Giunta provinciale fissa il termine dei lavori „entro il 2013“.Come possono considerarsi sufficien-ti per dare futuro ai giovani e non più giovani, le sole iniziative delle coope-rative sociali di inserimento lavorati-vo? E questo malgrado il bell‘esempio portato da dott.ssa Fernanda Mattedi che ha raccontato di iskra (scintille), progetto in comune fra le cooperati-ve sociali Aquarius e Novum che ha all‘attivo ben 47 inserimenti.Perché si costringe la persona con di-sagio psichico, in ossequio alla norma burocratica e contrariamente a quan-to avviene per tutti gli altri malati, a dover avere quale riferimento un uni-co ospedale e un unico medico, quel-

lo e nessun altro, negando di fatto la libertà di scelta dell‘individuo?E perché non si può realizzare questo sogno espresso da una socia: quello che anche i malati psichici, soprattut-to i depressi possano essere accom-pagnati da volontari, non in qualità di assistenti, ma di amici? Fra una battaglia e l‘altra non manca-no per fortuna le buone notizie, come la grande partecipazione alla vita co-mune dell‘Associazione, con 4.700 ore di lavoro garantite dai dipendenti nel 2010 a fianco delle 5.600 ore (docu-mentate) offerte dai volontari; come il concorso letterario sulle storie di recovery presentato dal dott. Alessan-dro Svettini assieme al fiocco d‘argen-to da portare quale simbolo della lotta contro lo stigma e poi ancora le tante iniziative ormai consolidate sul territo-rio, a livello istituzionale, di sostegno alle famiglie, del tempo libero.

Meno positivi i segnali di crisi anche da parte dell‘ente pubblico, si legge taglio dei contributi, a fronte di un conto consuntivo annuale cresciuto del 3,5% nell‘anno appena concluso. Quindi si è registrato un leggero de-ficit che rende ancora più pressante il richiamo a sostenere in tutti i modi le attività, con un‘offerta tutelata da „do-nazioni sicure“, con una collaborazio-ne attiva e volontaria, dedicandoci il 5 per mille con la dichiarazione dei red-diti. Poi naturalmente non si pongono limiti alla fantasia e alla creatività.L‘assemblea ha approvato infine all‘unanimità il bilancio consuntivo dell‘anno 2010 e la relazione sull‘atti-vità, e le previsioni per il 2011, ringra-ziando con un applauso corale tutti coloro che permettono all‘Associazio-ne, ancora dopo tanti anni, di conti-nuare a crescere e di essere parte atti-va nella vita di questa provincia.

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Siglinde Jaitner, San Leonardo/Val Passiria

insegnante per 24 anni; dall’autun-no 2000 lavora nel Distretto sociale Val Passiria negli ambiti attività di progetti ed aiuto finanziario sociale, dal 2005 membro del Direttivo e dal 2008 Presidente dell‘Associazione;

Dopo sei anni come componente del Diret-tivo si ripropone per me il problema delle diverse possibilità per sostenere i familiari di malati psichici. Di bisogni dei malati e dei loro familiari ce ne sono ancora tanti e io mi voglio impegnare nell‘ambito delle mie possibilità e per buona parte del mio tempo in loro favore.

Dott. Martin Achmüller, Bolzano

Laurea in medicina con specializza-zione in pediatria, in pensione dal 2009, dal 2008 membro del Direttivo e dal 2011 vicepresidente dell’Asso-ciazione;

La mia personale esperienza mi fa stare con tutto il cuore dalla parte dei malati psichici e dei loro familiari. Essi hanno bisogno di essere energicamente rapp-resentati presso le istituzioni pubbliche. Voglio essere il portavoce degli interessi di queste persone.

Reinhilde Mair, Brunico

Assistente psichiatrica; 10 anni di esperienza in reparto psichiatrico; per molti anni accompagnatrice e capogruppo nelle vacanze per persone con malattie psichiche, dal 2008 membro del Direttivo dell’As-sociazione;

Impiegherò tempo, competenze e le mie capacità personali affinchè familiari e pazienti possano avere una migliore qualità di vita. Le persone sono per me molto importanti, lavoro volentieri con le persone e credo di poter anche dare a loro qualcosa con i miei modi aperti.

Alessandra Masiero, Vigo di ton (tN)

Assistente psichiatrica dal 1989 (otAP); esperienze lavorative (CSM, casa alloggio, Stadlhof, CRP Griese-rhof, CRP Gelmini; varie esperienze con gruppi A.M.A. (Auto Mutuo Aiuto), dal 2008 membro del Di-rettivo dell’Associazione, dal 2011 vicepresidente della Federazione per il Sociale e la Sanità;

In questo triennio si è consolidata in me la consapevolezza che esiste realmente la possibilità di cambiamento nei servizi, nelle percezioni comuni rispetto al disagio psichico. Mi ritengo molto soddisfatta del triennio passato in e con le persone dell‘Associazione.

Il nuovo Consiglio Direttivopr

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Leo Matzneller, Merano

insegnante per 21 anni, dal pension-amento impegnato nel volontariato in diverse Associazioni (Ein Platz für uns - il nostro spazio, Caritas, Casa di riposo e per senza tetto, KVW, oEW, Amnesty international ecc.), responsabile del gruppo di auto aiuto per familiari dell‘Associazione di Merano;

Ho amici tra i familiari e le persone con disturbi psichici. L‘atteggiamento della società, dei politici responsabili e dei governanti nei riguardi dei malati psichici e dei loro familiari è da cambiare e si deve pretendere maggiore attenzione. I servizi psichiatrici devono essere migliorati (uma-nizzati). Si può e si deve fare di più.

Richard Santifaller, Bressanone

insegnante elementare, forma-zione in NLP e Life Coaching, negli ultimi tre anni vicepresidente dell‘Associazione;

Sono stato spesso paziente in psichiatria e sono convinto sostenitore di una psichi-atria globale olistica, che si avvalga della collaborazione di psichiatra, psicoterapeu-ta, auto aiuto e medicina complementare. Per guarire occorre far ricorso a tutti i metodi creativi. Anche l‘anima vuole poter-si esprimere nella malattia.

Maria Schneider, Brunico

Dal 1984 impiegata nell‘Azienda Sanitaria di Brunico, da 12 anni assistente psichiatrica nel repar-to di psichiatria, accompagna-trice nei soggiorni di vacanza dell‘Associazione;

Le positive esperienze del lavoro prestato negli anni passati e dei risultati ottenuti mi hanno motivato a collaborare con l‘Associazione per dare il mio contributo nelle pubbliche relazioni.

Dott. Alessandro Svettini, Bolzano

Laurea in Medicina e Chirurgia, spe-cializzazione in Psichiatria e psico-terapia; Medico Psichiatra Reparto di Psichiatria - ospedale di Bolzano; Medico Psichiatra Responsabile del Servizio psichiatrico e precoce di riabilitazione e Recovery“Gelmini”, Salorno, dal 2008 membro del Direttivo dell’Associazione, dal 2010 membro della Federazione europea delle Associazioni per la Salute Mentale (EuFAMi), contatti nazio-nali ed internazionali nell’ambito psichiatrico;

Voler svolgere una parte atttiva nell‘associazionismo di tipo sociale; in quanto Psichiatra, nonchè figlio di pa-ziente, voler portare un messaggio di lotta allo stigma, anche interno.

Periodo di legislatura 2011 - 2014

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s ono facilitatrice di un gruppo AMA (auto mutuo aiuto) per de-

pressione, ansia e attacchi di panico.Scrivo alla vostra rivista perché pur-troppo per esperienza personale e per le testimonianze raccolte in otto anni di pratica, ho potuto constatare che le persone che soffrono di attacchi di panico non ricevono l’aiuto di cui avrebbero bisogno. Questo disturbo non è una manifestazione rara di re-cente scoperta, io ne ho incomincia-to a soffrire 10 anni fa, e se allora era giustificabile una certa “ignoranza” in materia, adesso non lo è più, e per di-versi motivi:

sono molte le persone che ne sof-frono e che si rivolgono ai medici, sia di base, che specialisti;molti libri ne trattano esauriente-mente;esiste un’Associazione a livello na-zionale: la LiDAP (Lega italiana per i Disturbi da Attacchi di Panico);sul territorio italiano ci sono pa-recchi gruppi di auto mutuo aiuto specifici per persone con questo disturbo;

Eppure ancora tutt’oggi ricevo telefo-nate di persone che ne soffrono e che, pur essendo già state viste da più di un medico, hanno tutt’al più ricevuto la prescrizione di un medicinale. A volte neppure la diagnosi. ogni volta che ciò succede, mi irrito perché so quanto si sta male e perché so che l’attacco di pani-co è possibile combatterlo con buoni risultati. E io non sono un medico.il medico, se non sbaglio, ha il com-pito di guarire (se possibile) il suo paziente, o almeno di aiutarlo ad alleviare la sua situazione di soffe-renza. io so che l’attacco di panico provoca nella persona la sensazione di esse-re in punto di morte o di impazzire, e ciò scatena un terrore che cono-sce soltanto chi l’ha provato. inoltre la persona si vergogna di quello che prova e tende ad evitare le persone che stanno bene, non chiede aiuto.

Per questo i medici sono così impor-tanti: perché queste persone è solo a loro che si rivolgono. io ho scoperto da sola, su un libro, che cos’era questo sosia dell’infarto e anche le “operazio-ni” da fare per bloccarlo. Già soltanto il sapere che si può fare qualcosa è una “cura”, perché aiuta ad alleviare l’ansia preventiva che si prova nell’attesa del prossimo attacco. Per questo motivo resto volentieri al telefono per spiegare a chi mi ha chie-sto aiuto ciò che deve fare, mentre nel gruppo ne abbiamo già parlato abbondantemente, verificandone an-che i risultati.

CoSE DA SAPERE Di attacco di panico non si muore: devo convincermene, anche se la sensazione è quella.Medicinali: meglio prenderli subi-to, ai primi sintomi.Prendere un sacchetto di carta, metterlo davanti alla bocca e re-spirarci dentro finchè non si sente diminuire la tachicardia e gli altri sintomi.Se l’attacco arriva per strada, in mezzo alla gente, si possono usare le mani a mo’ di coppa davanti alla

bocca e usarle come il sac-chetto.

Arrabbiarsi contro l’attacco di pa-nico: ripetere ad alta voce o den-tro di sé: “E’ solo un attacco di pa-nico!” Dichiarare guerra all’attacco di panico significa non volerlo più subire e prendere in mano la situa-zione, diventare più forti.Dirlo ad altri: “Ho un attacco di pa-nico”

Se poi qualcuno sperimenta altri me-todi che non sono in questo elenco e funzionano, benissimo, l’importante è star meglio! Al di là di questi provvedimenti d’emergenza, è bene imparare eserci-zi respiratori: concentrarsi sul respiro aiuta a rilassarsi e lo si può fare più volte al giorno, quando si hanno alcu-ni minuti di tempo. Altre attività benefiche sono il Feldenkrais, la meditazione, per altri lo yoga.inoltre, ed è ovvio per me che sono una facilitatrice in un gruppo A.M.A., fare un percorso insieme ad altre per-sone in un gruppo, rende più sempli-ce e più veloce il miglioramento.Penso che se ogni persona che soffre di Attachi di Panico conoscesse e app-plicasse queste regolette potrebbe ridurre di molto i farmaci, e magari anche farne a meno (naturalmente col parere del medico).

Anna Bologna

Attacchi di panico I lettori ci scrivono…