Autismo: Comunicazione Facilitata e gestione della ... · 5 Autismo si può affrontare con ha...

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5 SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA SIS CORSO DI SPECIALIZZAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE PER IL SOSTEGNO ALL’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALLIEVI IN SITUAZIONE DI HANDICAP A.A. 2004/2005 Autismo: Comunicazione Facilitata e gestione della relazione dell’alunno all’interno della classe SPECIALIZZANDO: Cristina BELLATI SUPERVISORE: Carla BIDONE

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SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE

PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SEC ONDARIA SIS

CORSO DI SPECIALIZZAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE PER IL SOSTEGNO ALL’INTEGRAZIONE SCOLASTICA

DEGLI ALLIEVI IN SITUAZIONE DI HANDICAP

A.A. 2004/2005

Autismo: Comunicazione Facilitata e gestione della

relazione dell’alunno all’interno della classe

SPECIALIZZANDO: Cristina BELLATI

SUPERVISORE: Carla BIDONE

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INDICE

1. Fascicolo dei processi e dei prodotti p.3

1.1 Mappa concettuale p. 4

1.2 Diario di bordo del portfolio p. 5

2. Modello teorico di riferimento e collegamento all’attività progettata p. 9

2.1 Parte I: l’autismo natura, caratteristiche e breve excursus storico p. 10

2.2 Parte II: gli approcci operativi e terapeutici p. 29

2.3 Parte III: la comunicazione facilitata p. 39

3. Indice ragionato dei materiali presentati p. 49

4. Attività progettata: l’intervento didattico p. 57

5. Schede bibliografiche p. 62

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FASCICOLO DEI PROCESSI E

DEI PRODOTTI

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Autismo

si può affrontare

con

ha

Metodo

DELACATO

Metodo

TEACCH

Farmaci

Metodo DAN!!

Approcci Educativi

Terapie

mediche

Comunicazione

inibisce la

Studi

è oggetto di

Natura complessa

Trattamenti

Cause

Diagnosi

Comunicazione

facilitata

recuperabile

attraverso la

ha aspetti

Positivi Negativi

Critiche

si presta a

Influenzamento Utilità

di

Kanner

Psicologi Educatori Cognitivisti

Etnopsichiatri

Unità

didattica

si presta a

si possono mediare

nella

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DIARIO DI BORDO

La storia parte apparentemente da lontano ma ciò non deve stupire. Il percorso è stato lungo

e a volte faticoso, come ogni percorso che si rispetti, però è stato compiuto e quindi ora è necessario

ripercorrerlo…

AGOSTO 2003

Era stata una strana estate e non solo per il caldo afoso e le ore che trascorrevano lente. Per

la prima volta da quando avevo iniziato a lavorare (e si parla del lontano 1991) non avevo avuto

nessun incarico e quindi vivevo nell’attesa di quella che mi si presentava come la mia ultima

possibilità di lavorare: le nomine del sostegno. Me l’ero presa con tutti: coi sindacati che a luglio

avevano fatto procedere le nomine senza che fossero disponibili le graduatorie, con i colleghi della

famigerata SIS che in numero crescente mi avevano scavalcato nella graduatoria della scuola media

(l’unica che offriva chances di lavorare), con me stessa che avevo indugiato troppo nella scuola

privata ed ora, nonostante i due concorsi, non avevo molti punti da vantare.

Alla fine di un’interminabile giornata arrivarono a chiamare il mio nome e su suggerimento

di un insegnante che conosceva una mia amica accettai l’incarico presso un Liceo Scientifico della

mia città. Ancora non immaginavo che questa esperienza avrebbe cambiato la mia vita….

ANNO SCOLASTICO 2003-2004

Gli episodi salienti di questo anno scolastico sono stati essenzialmente due, strettamente

collegati l’uno all’altro. Anzitutto seguivo un ragazzo cui era stato diagnosticato un disturbo

generalizzato dello sviluppo ad andamento autistico e che si serviva della comunicazione facilitata;

ed in seguito, per approfondire l’argomento ed il ruolo dell’insegnante di sostegno che mi era del

tutto nuovo, decisi di iscrivermi ad un Master sull’ “ Insegnamento in classi della scuola secondaria

eterogenee in presenza di allievi con difficoltà”, che mi avrebbe stimolato ad iscrivermi al corso di

specializzazione per il sostegno.

FEBBRAIO 2005

In occasione della penultima lezione di programmazione didattica la nostra docente, la

prof.ssa Carla Bidone, ci ha chiesto se avessimo già un’idea del contenuto del nostro portfolio ed io

ho immaginato con un certo margine di sicurezza quale sarebbe stato l’oggetto della mia ricerca. Mi

interessava approfondire il tema della Comunicazione facilitata perché durante il mio unico anno di

sostegno l’avevo utilizzata ma al tempo stesso ne ero rimasta impressionata e non potevo

negare che essa avesse suscitato in me qualche dubbio.

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APRILE 2005

Alla ripresa dell’attività di tirocinio ho parlato del mio progetto al tutor che mi seguiva.

L’idea gli è piaciuta subito perché anche lui aveva avuto non pochi problemi nell’utilizzare la

comunicazione facilitata. E’ stato proprio grazie a lui che il piano del mio lavoro si è circoscritto ai

problemi legati all’influenzamento del facilitatore ed alle tecniche di de-influenzamento che sono

state messe in atto anche durante le ore in cui io ero presente in classe. Un ulteriore elemento ci è

sembrato giusto aggiungere ed è stato quello dell’integrazione dell’alunno in situazione di handicap

nel gruppo classe.

MAGGIO 2005

Non posso dire che il lavoro fosse già avviato, però la visita alla Biblioteca Pedagogica è

stata per me un nuovo ed importante stimolo. Mi sono recata al Centro Multimediale di

Documentazione Pedagogica da sola perché mi era stato impossibile aggregarmi al gruppo di

tirocinio di cui faccio parte. Le addette alla biblioteca mi hanno accolto con estrema gentilezza e

competenza. Ho consultato l’archivio disponibile sul computer e le riviste specializzate, usufruendo

subito di alcune fotocopie gratuite che mi sono state fatte dalle addette. Ho preso in prestito alcuni

libri che dovevano servirmi da sprone per iniziare i lavori. Soprattutto, però, ho avuto in dono un

utilissimo e prezioso catalogo aggiornato al febbraio, specifico sul tema dell’autismo, che era stato

approntato in occasione di un convegno.

GIUGNO 2005

Gli impegni scolastici di fine anno mi hanno tenuta lontana dal lavoro per il portfolio, ma,

reduce dalla visita alla biblioteca pedagogica, avevo continuato a pensare ai tempi dell’Università, a

quando, alla disperata ricerca di testi, articoli e quant’altro potesse tornare utile per completare

l’analisi di una tragedia greca che stava letteralmente trasformando in tragedia la mia vita, mi ero

rivolta fiduciosa alla biblioteca Civica della mia città. Lì avevo trovato un servizio di prestito

interbibliotecario efficace e comodissimo. Mi sono quindi recata alla biblioteca estremamente

fiduciosa, e la mia fiducia è stata ben riposta: il servizio esiste ancora ed è stato potenziato. Ho

chiesto che si mettessero in contatto con la Biblioteca Pedagogica di Torino ma in questo caso non

c’è stato nulla da fare: lì è in atto una ristrutturazione e quindi, per il momento, non possono

partecipare al prestito interbibliotecario. Non mi sono lasciata scoraggiare dalla piccola delusione

subita, infatti sono disponibili moltissime biblioteche in tutta Italia e potevo comunque iniziare le

ricerche sfruttando il catalogo che mi era stato donato dal centro di documentazione pedagogica.

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LUGLIO 2005

Questo mese è stato in parte dedicato alle vacanze, ma non ho voluto trascurare il portfolio

ed ho quindi portato con me il computer ed i libri che avevo preso in prestito, o che mi erano stati

prestati dal tutor che mi aveva seguito durate il tirocinio.

Una volta rientrata in città, stimolata anche dalle colleghe che stavano già lavorando, mi

sono “rimessa sotto”. Ho iniziato a risistemare gli appunti, ho concluso la lettura dei testi che avevo

a mia disposizione e sono tornata in biblioteca.

AGOSTO 2005

Ho scoperto un nuovo servizio offerto dalla biblioteca civica: è possibile infatti usufruire di

computer e di collegamenti ad Internet gratuiti. Ovviamente ne ho subito approfittato ed ho iniziato

a navigare trovando siti interessanti e nuovo materiale.

Nel frattempo mi sono arrivati i primi testi ordinati col prestito interbibliotecario.

Ho quindi iniziato a scrivere qualcosa un po’ per riprendere quell’attività di elaborazione

che, di fatto, non avevo più rinnovato dai tempi dell’Università, ed un po’ per vedere di fare

chiarezza in tutto il materiale che andavo acquisendo sulla scia dell’entusiasmo ma in modo

disordinato. Il 21 di Agosto ho inviato per la prima volta il materiale alla mia SPV.

SETTEMBRE 2005

Ora il lavoro procede in modo un po’ più spedito. Gli intoppi ed i dubbi ci sono lo stesso ma,

tutto sommato, scrivere mi aiuta a delimitare i problemi e ad avere una visione complessivamente

più chiara di quello che mi resta da fare. Per il momento mi dedico ancora a ciò che mi riesce più

semplice, ovvero alla stesura delle parti discorsive del portfolio, la mappa concettuale aspetta….

Un fatto va detto: il materiale continua lievitare, ogni volta mi imbatto in qualcosa che mi

piacerebbe leggere, e mi risulta difficilmente reperibile, oppure vorrei approfondire qualche altra

questione, ma non ne ho le competenze. L’autismo offre una gamma pressoché infinita di agganci e

di spunti e devo obbligarmi a rimanere ancorata alle scelte che ho fatto ad inizio lavoro, quando ho

definito una scaletta che mi porta a concentrarmi sulla Comunicazione Facilitata.

OTTOBRE 2005

Ora i giochi sono fatti. Il lavoro è impostato non posso fare altro che andare avanti. Ogni

fine settimana mi dico: questo è l’ultimo, ed invece mi ritrovo tutte le volte con qualcosa da

completare, chiarire, rifare. E’ il momento più difficile perché mi prende lo sconforto, ci sono

giorni, ma soprattutto notti, in cui penso che non ce la farò. Poi però mi rimetto sotto e a testa bassa

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vado avanti, ma che stanchezza! I tempi si dilatano, impiego ore a far cose che, fino ad un mese fa,

facevo in dieci minuti. Mi dico “passerà” ed agogno al momento in cui finalmente non avrò

NULLA da fare.

Faccio le ultime corse in biblioteca, sistemo i file sul computer e correggo le bozze di

stampa. Speriamo bene……

Alla fine del mese sono pronta ad inviare il file completo del mio lavoro alla mia SPV. La

risposta è positiva! Non mi resta che masterizzare, ma ci penserò il mese prossimo.

NOVEMBRE 2005

Il fatidico momento della masterizzazione è giunto. Come al solito devo farmi aiutare, ma

per fortuna esistono gli amici e sono MOLTO pazienti!

Alla fine, grazie alla collaborazione di familiari, amici, colleghi e della mia SPV il lavoro

può dirsi concluso.

Tiro un sospiro di sollievo!

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MODELLO TEORICO DI

RIFERIMENTO E COLLEGAMENTO

ALL’ATTIVITA’ PROGETTATA

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PARTE I

1. L’autismo: natura, caratteristiche e

breve excursus storico

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1.1 COS’È L’A UTISMO?

L’autismo non è una malattia, ma un disturbo dello sviluppo della funzione cerebrale1. Tre

sono i tipi di sintomi2 che le persone affette da autismo manifestano:

1. interazione sociale alterata;

2. problemi nella comunicazione verbale, non verbale e di immaginazione;

3. attività ed interessi insoliti o estremamente limitati.

Tali sintomi generalmente si presentano entro i primi tre anni di età3 e perdurano per tutta la

vita. Ancora non esiste una cura per questo problema, ma un trattamento appropriato può favorire

uno sviluppo relativamente normale e ridurre comportamenti indesiderati, visto che le persone

autistiche hanno un’aspettativa di vita normale.

L’autismo colpisce i maschi quattro volte più frequentemente delle femmine, ed è stato

riscontrato presso tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale. La sua incidenza

è stimata tra il 2 ed il 10/10.000; questo valore dipende dai criteri diagnostici utilizzati.

1 Cfr. a questo proposito il Documento del NINDS presentato al Congresso di Neuroscienze tenutosi a Washington (16-21 – XI – 1996). 2 I criteri per la diagnosi di autismo ricavati dal DSM – III – R (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali 3a edizione riveduta) sono infatti così elencati: A. Deficit qualitativo nella interazione sociale reciproca

1. marcata mancanza di consapevolezza della esistenza dei sentimenti degli altri 2. nessuna ricerca o una ricerca anomala di sollievo nei momenti di disagio 3. capacità nulle o ridotte di imitazione 4. gioco sociale assente o anomalo 5. deficit notevole nella capacità di fare amicizia con i coetanei

B. Deficit qualitativo nella comunicazione verbale e non verbale e nella attività immaginativa 1. nessuna capacità di comunicazione verbale 2. comunicazione non verbale marcatamente anormale 3. assenza di attività immaginative 4. marcate anomalie nella produzione del discorso 5. marcate anomalie nella forma e nel contenuto del discorso, che comprendono uso stereotipato e ripetitivo del discorso 6. deficit notevole nelle capacità di iniziare o sostenere una conversazione con gli altri

C. Marcata limitazione del repertorio di attività a di interessi 1. movimenti stereotipati del corpo 2. persistente occupazione ripetitiva con parti 3. marcato disagio in occasione di banali cambiamenti dell’ambiente circostante 4. insistenza esagerata nel seguire dettagliatamente certi comportamenti routinari

5. marcata ristrettezza degli interessi, e dedizione particolare a qualche interesse ristretto

Di tutti questi sintomi almeno 8 (e tra questi almeno 2 devono rientrare nelle categorie A-C) devono essere presenti contemporaneamente per poter fare una diagnosi di autismo. Cfr. Simpson R.L.- Ziontis P. 1994:13 ss. 3 Ecco alcune caratteristiche che dovrebbero far insospettire i genitori: il bambino presenta difficoltà di interazione con gli altri bambini, sembra sordo, si rifiuta di apprendere, non si paventa di fronte a pericoli reali, si oppone ai cambiamenti nella routine, indica con i gesti i propri bisogni, ride e scherza in modo inappropriato, è fisicamente molto attivo, limita al massimo il contatto oculare, sviluppa un attaccamento inappropriato per certi oggetti, si dedica a giochi strani, è freddo e distaccato.

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La gravità dell’autismo è molto variabile: i casi più problematici sono caratterizzati da

comportamenti estremamente ripetitivi, insoliti, auto o etero-aggressivi. Le forme più lievi

assomigliano ai disturbi della personalità associati a disabilità dell’apprendimento.

1.2 CARATTERISTICHE PRINCIPALI

La caratteristica più evidente dell’autismo è il disturbo dell’interazione sociale.

I bambini che ne sono affetti possono non rispondere se chiamati per nome, spesso evitano lo

sguardo altrui, hanno difficoltà nell’interpretare il tono della voce o le espressioni del viso e non

corrispondono alle emozioni altrui. Come appaiono inconsapevoli dei sentimenti che altri provano

nei loro confronti, così sembrano non curarsi dell’impatto negativo del proprio comportamento su

chi hanno vicino.

Capita spesso che si dedichino ad attività motorie ripetitive (dondolarsi, arrotolare ciocche di

capelli sulle dita), oppure a manifestazioni di auto-aggressività (picchiettare o battere la testa).

Tendono a parlare più tardi degli altri bambini e spesso si riferiscono a se stessi col nome

proprio piuttosto che con “io” o “me”.

Quelli che parlano, spesso lo fanno con voce cantilenante e di un numero ristretto di

argomenti, poco preoccupandosi dell’interesse delle persone con cui stanno “dialogando”.

Spesso hanno risposte anomale ai suoni, al tatto, oppure ad altri stimoli sensoriali.

Frequentemente mostrano una ridotta sensibilità al dolore, mentre possono essere

straordinariamente sensibili ad altre sensazioni. Questa alterata sensibilità può contribuire ai sintomi

comportamentali (esempio: la resistenza ad essere abbracciati).

Le testimonianze dei genitori di bambini affetti da autismo indicano che talvolta le capacità di

linguaggio regrediscono precocemente, solitamente entro i tre anni di età4. Tale regressione sembra

4 Ho trovato splendida la descrizione che dell’approssimarsi della malattia fa nel suo romanzo Grossman D. 2000:262 ss. “… per tutto il pomeriggio abbiamo cercato di comporre il puzzle dell’orso Pooh che a due anni e mezzo era in grado di completare in pochi minuti. A quattro anni ci impiegava un’ora e mezza, e oggi ci ha passato sopra tutto il pomeriggio. … Neanche del bambino che era prima della malattia ho quasi mai raccontato… del bambino felice che si è dissolto nel giro di poche settimane, pochi mesi. Come fosse veloce nell’apprendere, il suo senso dell’umorismo, il suo fascino. Era un bambino così loquace. Conosceva tantissime parole. E aveva un’intera biblioteca di libri adatti alla sua età… Da qualche parte abbiamo ancora una videocassetta del suo secondo compleanno. Non ho il coraggio di guardarla. Lo si vede ridere, ballare, recitare con noi la fiaba “Succo di lampone”. Tre mesi dopo si è manifestata la malattia con tutti i suoi sintomi, e anche le parole hanno cominciato a svanire. Cancellate, una dopo l’altra. Vedevamo quello che accadeva e non potevamo fare nulla. Né noi né i medici. Lui cercava le parole come uno che si fruga nelle tasche, sicuro d’averci messo qualcosa, ma non riusciva a trovarle. … Mi sedevo di fronte a lui e gli ripetevo le parole. La sera le ricordava ma al mattino erano sparite. Una volta, durante una crisi (mia), ho passato una notte intera a cancellare dai suoi libri, con un pennarello nero, tutte quelle parole maledette che lo avevano tradito. Ricordo che le poche rimaste mi apparvero come volti di gente che gridava angosciata dalle finestre, di notte. Quando poi tutte le parole furono cancellate, rimasero cinque o sei canzoncine. Furono le ultime a sparire. Alla fine ne restò una sola, quella del giacinto. Anche dentro di me si spense tutto e ogni albero, qualunque esso fosse, si chiamò solo: albero, e ogni fiore: fiore….”

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legata allo sviluppo dell’epilessia o di attività cerebrali di tipo epilettico. Anche l’adolescenza può

peggiorare i problemi di comportamento in alcuni soggetti che possono diventare depressi o sempre

più ingestibili.

Alcune persone possono comunque arrivare a condurre una vita normale o quasi normale.

1.3 LA DIAGNOSI

L’autismo è classificato come un disturbo pervasivo dello sviluppo; alcuni usano anche il

termine “disturbo emotivo”5. Come abbiamo detto, sintomi e gravità possono variare ampiamente,

ciò significa che l’autismo può venire misconosciuto, soprattutto nelle persone che ne sono colpite

in modo lieve oppure in quelle affette da più handicap.

Sono state sviluppate diverse serie di criteri diagnostici per l’autismo, i più usati

comprendono:

1. Assenza o riduzione del gioco immaginativo o sociale;

2. Ridotta capacità di fare amicizia coi coetanei;

3. Ridotta capacità di iniziare o sostenere una conversazione con gli altri;

4. Linguaggio stereotipato, ripetitivo o inconsueto;

5. Ambito di interessi ristretto e anomalo per intensità o concentrazione;

6. Adesione apparentemente irremovibile a specifiche routines o rituali;

7. Eccessiva attenzione per dettagli di oggetti.

E’ necessario, però, anche fare riferimento ad altri tre fattori: intensità, contesto e durata del

comportamento.

L’intensità ci permette di valutare la gravità del problema6. Con tale termine inoltre si fa

riferimento anche al grado in cui una reazione interferisce con le abilità funzionali e lo sviluppo del

bambino.

Con “contesto” si intendono le situazioni in cui i comportamenti diventano manifesti. Un

modo di esprimersi strano e poco funzionale ha luogo solo in casa, mentre a scuola il bambino parla

correttamente? Manifesta comportamenti autostimolatori solo quando è in preda alla stanchezza? E’

evidente che dare risposte corrette a domande di questo tipo è molto importante nella formulazione

di una diagnosi di autismo.

5 I bambini presentano alcuni tratti che possono accomunarli ad altre tipologie di bambini, non esclusi quelli con disturbi emozionali o problemi di comportamento, va detto però che l’autismo, di fatto, non si può considerare una forma di disturbo emozionale. Ciò è escluso categoricamente anche dalla “Carta dei diritti fondamentali degli handicappati” (The Individuals with Disabilities Act). 6 Per esempio il bambino si dondola con un’intensità tale da farlo sembrare strano oppure la sua autostimolazione si manifesta in movimenti impercettibili?

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Con “durata” si vuole intendere il lasso di tempo in cui permane il comportamento

problematico (un bambino può mettere in atto un comportamento “strano” in seguito, per esempio,

a problemi familiari, in tal caso esso durerà qualche settimana, ciò è ben diverso da un

atteggiamento che si è registrato fin dalla nascita).

Una piccola percentuale di persone autistiche viene definita “sapiente”; esse hanno infatti

capacità limitate ma straordinarie in aree come la musica, la matematica, il disegno o la

visualizzazione. Circa la metà delle persone con autismo, invece, presenta nei test di Q.I. un

punteggio al di sotto di 50, il 20% tra il 50 ed il 70, ed il 30% oltre il 70. Va detto però che è

difficile stimare il Q.I. nei bambini affetti da autismo poiché i problemi di linguaggio e di

comportamento possono interferire con il test.

1.4 LE CAUSE DELL’A UTISMO

Non c’è un’unica causa per l’autismo: i ricercatori pensano infatti che svariati geni e fattori

ambientali, virus o sostanze chimiche, possano contribuire a determinare il disturbo. Sono state

riscontrate anomalie in diverse strutture cerebrali di persone autistiche, particolarmente nel

cervelletto, nell’amigdala, nell’ippocampo, nel setto e nei corpi mammillari. Ciò sembra suggerire

una possibile derivazione dell’autismo da una frattura nello sviluppo cerebrale normale in una fase

precoce dello sviluppo fetale. Studi, ancora da completare però, sostengono che le persone

autistiche presentano anomalie della serotonina o di altre molecole deputate alla trasmissione

nervosa nel cervello.

Anche i fattori di natura biochimica sono stati presi in considerazione. Per esempio alcuni

studiosi hanno evidenziato che il cervello delle persone autistiche produce in eccesso una forma

naturale di oppiacei, gli oppioidi. Negli anni Ottanta è stata avanzata la teoria secondo la quale nei

bambini con uno sviluppo normale, in particolare in quelli molto piccoli, si verificherebbero una

serie di comportamenti interpersonali funzionali alla riduzione dell’eccesso di questi oppioidi, cosa

che, invece, nel cervello dei bambini autistici non si verificherebbe motivando in questo modo il

loro disinteresse per i rapporti umani ed altri disturbi del comportamento. La somministrazione di

sostanze che riducono i livelli degli oppioidi ha avuto come esito la diminuzione dei fenomeni di

autolesionismo e di autostimolazione nonché della tendenza all’isolamento.

E’ stata invece smentita la precedente credenza che le cure parentali fossero responsabili

dell’autismo7. Numerose furono fin dall’inizio le critiche a questa posizione basate essenzialmente

7 Bruno Bettelheim (ne riparliamo più avanti a p. 18 e ss.) fu uno dei principali sostenitori della natura psicogenetica dell’autismo. Egli riteneva che i bambini affetti da questo disturbo percepissero l’ambiente familiare a tal punto freddo, ostile e minaccioso da rifiutarlo completamente e da rendersi ad esso del tutto impermeabili.

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sul fatto che i sintomi fossero presenti fin dalla nascita e che quindi le reazioni estreme che lo

caratterizzano difficilmente potevano essere imputabili ad un rifiuto del mondo esterno suscitato da

sfumature del carattere dei genitori. Va detto poi che se così fosse stato le condizioni del soggetto

erano destinate a peggiorare progressivamente, cosa che invece si verifica solo di rado.

Ci sono studi recenti che parlano di una predisposizione genetica di alcune persone per

l’autismo. Le prove a sostegno di questa tesi sono, però, deboli soprattutto per il fatto che non

sembra che vi sia un unico meccanismo genetico responsabile del disturbo.

E’ comunque dimostrato che in famiglie con un bambino autistico il rischio di avere un

secondo figlio affetto dallo stesso disturbo sia maggiore (fino a 50 volte) del rischio esistente per la

popolazione generale. Anche i gemelli di bambini autistici hanno possibilità molto più elevate di

sviluppare la medesima sindrome. Alcuni studi hanno poi evidenziato che fratelli e sorelle di

bambini autistici presentano un’incidenza di ritardo nello sviluppo cognitivo e nel linguaggio

superiore a quella riscontrata tra bambini che non hanno fratelli autistici. E, se è chiaro che in questi

ultimi casi non si parla di autismo vero e proprio, però si sottolinea la presenza di problemi di tipo

cognitivo e sociale in percentuale maggiore rispetto a tutti gli altri casi.

Il fatto è che l’autismo sembra essere connesso con una varietà di meccanismi genetici tale

che è difficile spiegare il ruolo svolto dall’ereditarietà.

Si stanno quindi cercando indizi sui geni che contribuiscono ad aumentare la suscettibilità.

Pare anche che disturbi di tipo affettivo o emozionale, come per esempio la sindrome maniaco-

depressiva, si presentino con una frequenza superiore alla media nelle famiglie che presentano casi

di autismo.

Non esistono al momento prove che dimostrino che i danni cerebrali o le malformazioni

neurologiche siano cause scatenanti dell’autismo, benché in alcuni soggetti autistici sia possibile

riscontrare disfunzioni cerebrali o del sistema nervoso centrale.

1.5 IL TRATTAMENTO DELL’A UTISMO

Attualmente non esiste una cura per l’autismo, terapie e/o interventi vengono scelti in base ai

sintomi specifici di ogni individuo e possono essere di tipo educativo/comportamentale e

farmacologico. Spesso portano sostanziali miglioramenti.

I trattamenti educativo - comportamentali danno grande importanza ad un training altamente

strutturato8 e spesso intensivo adattato al singolo bambino: i terapisti, dopo avere individuato i suoi

8 L’espressione “ambiente strutturato” significa che il programma è coerente e prevedibile, che è ben organizzato e che è finalizzato a far comprendere a chi ne usufruisce il rapporto esistente tra il comportamento adottato e le conseguenze che esso ha.

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obiettivi individualizzati, lavorano con lui per aiutarlo a sviluppare capacità sociali e di linguaggio.

Dal momento che i bambini imparano tanto più efficacemente quanto più sono piccoli è evidente

che tale terapia dovrebbe iniziare il più presto possibile. E’ stato evidenziato infatti di recente che

un intervento precoce ha buone possibilità di influenzare positivamente lo sviluppo cerebrale.

I programmi strutturati si caratterizzano per tre elementi fondamentali: il concatenamento,

l’uso di routines, l’adattamento dell’ambiente fisico. Nel primo caso si intende insegnare un

comportamento desiderato in modo graduale e progressivo9. L’uso costante di routines serve a

ridurre l‘incertezza dei bambini, a far loro comprendere e soprattutto prevedere ciò che succede

intorno a loro. Anche l’ambiente fisico deve collaborare e quindi esso deve essere reso idoneo al

raggiungimento di determinati obiettivi10.

I medici possono prescrivere vari farmaci per ridurre l’auto-aggressività o altri sintomi

disturbanti dell’autismo, oppure i disturbi associati, per esempio l’epilessia, ed i deficit di

attenzione. La maggior parte di tali farmaci agisce modificando i livelli di serotonina o di altri

trasmettitori chimici cerebrali.

Altri tipi di intervento, che pure esistono, non sono supportati da studi scientifici.

9 Per esempio, se l’obiettivo è insegnare ad un ragazzo a raggiungere in modo autonomo la fermata dell’autobus, si parte con l’insegnargli ad arrivare senza assistenza alla porta d’ingresso della scuola (se ciò risultasse troppo difficile, l’azione preparatoria potrebbe essere quella di farlo pervenire da solo al limitare della scalinata posta al piano della sua classe). E’ importante che al conseguimento di ogni tappa (per piccola che possa sembrare) segua un “rinforzo positivo”, che il bambino comprenda tutte le istruzioni che gli vengono di volta in volta fornite, che le attività proposte ed i materiali usati siano appropriati e si situino nella sua gamma di capacità e necessità. 10 In questo caso si può per esempio cambiare di banco un compagno che è fonte di distrazione, oppure è possibile rivestire di gomma la parte del pavimento che si trova sotto al banco del bambino con autismo, così da ridurre la sua tendenza autostimolatoria alimentata al rumore prodotto dal suo battere dei piedi. Sarebbe anche possibile assegnare certe aree ad attività determinate e così via.

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17

BREVE EXCURSUS STORICO 1.6 Gli inizi ed il fondatore: Leo Kanner

Si sente parlare per la prima volta di “autismo” nel 1911, anno in cui uno psichiatra svizzero,

Eugen Bleuler11, descrive la sindrome della schizofrenia infantile ponendo l’accento su un sintomo

in particolare: la dissociazione (o Spaltung). Egli nota che i bambini che ne sono affetti

interrompono ogni contatto con la realtà esterna e vivono, per così dire, chiusi nel loro mondo: è

questo che si dice “autismo”12 (dal greco αυτος che significa se stesso). Il fatto però che i bambini

colpiti dalla sindrome autistica siano del tutto incapaci di rapportarsi alla realtà, rende difficile

applicare loro la definizione di Bleuler. Essi, infatti, o ignorano la realtà o le si aggrappano

ansiosamente con un desiderio di immutabilità.

Per avere però la descrizione di una sindrome ben definita di autismo infantile precoce

(“Early Infantile Autism”) dobbiamo aspettare il 1943 e Leo Kanner, che osserva undici bambini13.

Questa descrizione rimane, ancora oggi, valida, almeno per quel che concerne l’autismo nella sua

forma più pura14. Nel corso degli anni Kanner aggiungerà alcuni elementi come il desiderio di

immobilità (nulla deve muoversi o mutare) e la grave patologia a livello del linguaggio che, anche

se pure talvolta è presente, rimane a lungo senza alcun valore comunicativo.

Kanner, durante tutto l’arco delle sue ricerche, non riesce a stabilire con certezza le cause

dell’autismo. Egli infatti oscillerà tra un’innata incapacità di creare il contatto affettivo di natura

biologica con le persone15, un disordine psicobiologico, e l’assenza di calore materno e padri poco

disposti a partecipare alla vita del figlio16. Alla fine approderà ad una tesi organicista, parlerà cioè di

un deficit organico.

11 Per la stesura di questo capitolo mi sono ampiamente rifatta al testo di M. D. Amy 2000. 12 Con tale termine Bleuler fa riferimento al “ritiro in sé stessi”, all’isolamento psichico tipico degli schizofrenici adulti. Capita che persone adulte psichicamente del tutto normali si isolino dalla realtà che li circonda, trovando rifugio nelle loro fantasie, ma in questo caso siamo di fronte ad individui che sono perfettamente consapevoli del proprio desiderio di fuga e che periodicamente possono far ritorno al mondo reale. 13 Ho potuto leggere nel testo di Brauner A. e F. 2002: 205-217 le schede relative agli undici bambini fornite di commento. 14 Riportiamo di seguito le sue parole: “il disturbo più evidente,…, è l’incapacità dei bambini di rapportarsi nel modo usuale alle persone e alle situazioni sin dai primi momenti della vita. I genitori riferivano che essi erano stati sempre “autosufficienti”, “come in un guscio”, “felicissimi se lasciati soli”, “perfettamente incuranti di tutto quanto non riguardasse se stessi”, “dando l’impressione di una silenziosa saggezza”, “come sotto l’effetto di ipnosi” […]. Vi è sin dall’inizio un estremo isolamento autistico che, per quanto possibile, trascura, ignora, taglia via tutto ciò che viene al bambino dall’esterno. Il contatto fisico diretto, un certo movimento o un determinato rumore sono vissuti in quanto elementi che minacciano di rompere la solitudine di questi bambini e sono da essi trattati o “come se non esistessero” oppure, se di breve durata, accusati dolorosamente quale fastidiosa inferenza”. Cfr. Kanner. L. 1943:217 ss, ma sono debitrice della citazione ad Amy M. D. 2000:19. 15 Nell’articolo citato scrive infatti “Dobbiamo dunque pensare che questi bambini siano venuti al mondo con un’incapacità innata che rende loro impossibile stabilire un contatto affettivo normale, fondato su possibilità biologiche, come altri bambini nascono con incapacità fisiche o intellettuali innate”. 16 A questo proposito, però, è forse opportuno puntualizzare che se è vero che Kanner descrisse i genitori dei bambini da lui osservati nel 1943 come “intellettuali, freddi, rigidi” è altrettanto vero che nel 1969 in occasione di un suo

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18

1.7. Autismo e psicanalisi

1.7.1 Bruno Bettelheim17

Gli studi di Bettelheim ebbero una immediata eco in tutto il mondo. Le sue vicende

personali18 lo guidarono nell’elaborare le sue teorie in merito all’autismo. La sua ipotesi è che il

bambino trovi nel ritiro autistico l’unica via d’uscita possibile da una esperienza, che vive come

intollerabile, del mondo esterno. Tale esperienza viene provata molto precocemente nell’ambito

della relazione con la madre e l’ambiente famigliare. Parla quindi di “bambini vittime di gravi

disturbi affettivi”. L’autismo sarebbe dunque un meccanismo di difesa messo in atto da un bambino

molto piccolo per trovare protezione da una disorganizzazione della sua personalità. Se invece si è

in presenza di una lesione organica questi stessi meccanismi di difesa si instaurano in maniera

secondaria per difendere il bambino dall’angoscia determinata dalle condizioni patologiche innate.

Partendo da tali presupposti accettava di curare nel suo istituto a New York soltanto bambini

che egli potesse tenere lontano dai genitori19.

Pur attuando terapie anche efficaci, egli ha però aperto la porta a tutta una serie di teorie

colpevolizzanti nei confronti dei genitori che vengono, di fatto, considerati la causa primaria

dell’handicap dei figli.

Va detto però che nessuno psicoanalista ha accettato in toto l’ipotesi dell’origine acquisita

dell’autismo, da un lato perché ci si è resi conto che i migliori alleati nella cura sono proprio i

famigliari, dall’altro perché i genitori stessi erano la dimostrazione del fatto che i comportamenti

anarchici o assenti dei figli li avevano portati a non saper più come reagire. In un simile contesto è

facile immaginare che si possa sviluppare una patologia familiare che la terapia può, invece, aiutare

intervento all’Assemblea dell’associazione americana dei genitori di bambini autistici affermò con decisione di essere sempre stato ben lungi dal voler colpevolizzare i genitori, anzi, d’aver cercato in ogni occasione di dissipare la loro angoscia. 17 Un giudizio estremamente negativo viene espresso dai Brauner (2002:229). Conosciuto da Alfred in una lunga fila di studenti universitari a Vienna intorno al 1930 subito comunicò un’immagine di sé poco piacevole (“un mitomane” lo definisce). Concluse gli studi universitari con un dottorato in filosofia la cui tesi conclusiva era intitolata L’estetica della letteratura. E’ evidente quindi che non ha condotto studi di psicologia. Sopravvissuto alla deportazione e trasferitosi negli Stati Uniti, giocando sull’equivoco che anche i laureati in filosofia sono detti “dottori” e sul fatto che Vienna godeva allora fama di città al culmine del progresso in campo pedagogico e psicologico ottenne la direzione di un istituto educativo per bambini con difficoltà fisiche, trasformato successivamente in un centro per bambini che evidenziavano difficoltà nella sfera famigliare (si tratta di scuole di “ortogenetica”). Rifiutò, anni dopo, un incontro con Brauner e suscitò intense discussioni per i suoi metodi di lavoro. 18 Di origini viennesi, fu internato a Dachau e Buchenwald dal 1938 al 1939, qui egli ebbe modo di osservare i fenomeni di ripiegamento interiore che la sofferenza patita induceva in alcuni prigionieri. 19 Scrive infatti: “I genitori non hanno il diritto di conoscere il contesto in cui vive il loro bambino. […] Se accordiamo loro il diritto di intervenire, anche solo per una volta, rischieremmo di distruggere il sentimento presente nel bambino di avere un suo proprio mondo, costituito di elementi a proposito dei quali i genitori non possono interrogarlo ed in base ai quali non possono imporgli una condotta”. Cfr. B. Bettelheim 1979.

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19

a risolvere. Solo con una vera e propria alleanza terapeutica si può pensare, infatti, di lavorare con

successo ad un approccio psicanalitico.

1.7.2. Frances Tustin

Frances Tustin, psicanalista inglese, parlava di “bambini incapsulati” e pensava che il loro

sviluppo psicologico si fosse fermato ad uno stadio precoce della vita neonatale a causa di una

traumatica presa di coscienza della separazione del corpo del bambino da quello della madre. A

causa di questa sua consapevolezza in lui veniva indotto un immaginario vissuto psichico di

lacerazione, di “buco nero”. La studiosa definiva il fanciullo autistico come un bambino “colto dal

panico”, benché appaia, in genere, passivo ed imperturbabile. Secondo l’autrice questi bambini

lottano contro le loro angosce con procedimenti definiti “autosensuali” e che consistono nella

ricerca di conforto in forme oppure oggetti autistici. Gli oggetti autistici sono oggetti duri che

sembra comunichino al bambino sensazioni di limiti corporei. Questo li rassicura della propria

solidità ed allontana le fantasie di disgregazione, crollo o liquefazione.

Le forme autistiche, invece, sono molli o morbide, spesso informi, e possono provenire dal

bambino stesso (saliva o feci) o costituirne degli equivalenti (sabbia o acqua). Tali forme hanno una

funzione calmante, confortante e protettiva.

Frances Tustin, che per molti anni svolse il ruolo di educatrice, attribuiva una grande

importanza all’approccio educativo e pedagogico20. Ella pensava a piccole unità pedagogiche

concepite in modo specifico per i bisogni di questi bambini. Credeva, infatti, che fosse importante la

presenza di genitori, educatori e terapeuti avvertibile sotto forma di un’atmosfera di fiducia e di

incoraggiamento.

1.7.3. Donald Meltzer

Questo studioso si interessò prevalentemente del vissuto del bambino autistico. Descrive lo

stato di “smontaggio”, uno stato cioè di sospensione della vita psichica. L’io non ha più alcuna

coerenza; la funzione di attenzione è sospesa; da ciò derivano una disorganizzazione ed una

condizione estremamente primitiva dominata dal vuoto psichico. Questo stato di sospensione viene

paragonato ad un attacco di epilessia, in una sua forma attenuata. Con ciò l’autore vuole suggerire la

possibilità di un coinvolgimento di fattori neuro-fisiologici. Sottolinea inoltre la possibilità che

questi bambini hanno di accedere a dati sensoriali grezzi e molto disturbati che provengono, senza

20 Tra i suoi punti di riferimento ricordiamo almeno Maria Montessori, di lei parliamo più oltre, cfr. p. 41.

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che sia però possibile discriminare, dal loro vissuto interno e esterno. Può così parlare di un

“organismo nudo” esposto a tutte le correnti sensoriali ed emotive; il che spiegherebbe l’estrema

sensibilità agli stati altrui, avvertiti come se fossero propri. Meltzer dimostra che questi bambini

vivono nel loro universo relazionale l’assenza di spazio fisico e corporeo21. Le stereotipie e le

ripetizioni compulsive di alcuni bambini diventano espressione del loro bisogno di controllare in

maniera ripetitiva gli oggetti, così da poterne garantire l’immobilità.

Lo “smontaggio” diventa perciò una manovra difensiva di isolamento dagli oggetti.

Gli studi di Donald Metzler hanno portato un contributo importante alla comprensione della

natura della relazione terapeutica che si può instaurare con questi bambini. E’ una relazione che

registra momenti di eccezionale intensità e rotture profonde. Il concetto di “smontaggio” permette

di capire meglio i periodi in cui il bambino entra in una crisi di profonda angoscia: il ricorso allo

smontaggio gli è divenuto impossibile a causa della sua progressiva presa di coscienza della realtà

esterna.

1.7.4. Esther Bick

Questa psicanalista inglese introduce l’osservazione dei neonati, che costituiranno la base

teorica delle sue ipotesi psicanalitiche22. L’autrice parla dell’ “esperienza della pelle nelle

primissime relazioni oggettuali”. Ella insiste sull’aspetto contemporaneamente psichico e concreto

della funzione della pelle. Nelle patologie più gravi, quando la pelle non può fungere da elemento

contenitivo, il bambino finisce con il rivestirsi di una “seconda pelle” che ha la funzione di

sostituire alla dipendenza dall’oggetto una specie di pseudo - indipendenza.

1.7.5. Geneviève Haag

E’ partita dall’ipotesi formulata da Esther Bick sulla pelle come contenitore o membrana

psichica. Ha dimostrato le lacerazioni presenti nei bambini autistici e la loro responsabilità nella

costituzione di meccanismi primitivi di sopravvivenza. Questa seconda pelle fungerebbe da

“autocontenitore psichico” difensivo e da barriera tra se stesso e gli altri. A questi bambini manca

un contenitore “naturale” e ciò impedisce loro di predisporre i raccordi necessari alla costituzione di

legami in grado di creare della “sostanza psichica”, capace di sdoppiarsi senza che si verifichi lo

21 Si tratta, secondo l’Autore, di un universo bidimensionale privo di profondità e senza differenziazione tra interno ed esterno. 22 Poiché la studiosa ha lasciato pochissimi testi scritti, ci si avvale del materiale raccolto da altri psicanalisti, in particolare Geneviève e Michel Haag.

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21

strappo della separazione, e di permettere quindi il graduale procedere della coscienza della

separazione.

Ritiene inoltre necessario proporre ai bambini delle interpretazioni che li rassicurino e

permettano loro di percepire le capacità di contenimento del loro corpo. Nella sua attività pratica

lavora insieme a bambini, genitori ed educatori, ricercando ed interpretando il significato dei

sintomi ed indagando le cause dei sintomi stessi.

1.8. L’approccio cognitivista

Oggetto di studio per i cognitivisti sono stati prevalentemente la debolezza o l’assenza di

pensiero, giudizio, percezione, memoria ed attenzione. Ne hanno descritto le conseguenze

sull’empatia, l’identificazione ed il riconoscimento delle emozioni e dei sentimenti altrui. Rimane

comunque discutibile il loro approccio, che esclude una possibile interazione tra psichico e mentale.

La disfunzione mentale per loro è all’origine di ogni cosa, quindi anche delle sue ripercussioni

psicologiche. Causa ed effetto sono pertanto fissi, né possono essere invertiti.

Sulla base delle esperienze e dei test somministrati i cognitivisti presuppongono, per

l’insorgenza dell’autismo, un’ età mentale di almeno tre anni.

Negli anni ’70 si mise l’accento sulla mancanza di coordinamento sensoriale dei bambini

autistici, che sembrano, infatti, incapaci di associare in modo simultaneo due percezioni. Sono

individuate inoltre la difficoltà di comprendere le cose e la conseguente elaborazione disturbata

della informazione, da cui risulta un’incapacità oppure un’incomprensione dei meccanismi di

esecuzione.

1.8.1. Alan Leslie

Partendo dall’ipotesi che il bambino normodotato acquisisce un sistema di rappresentazione

del mondo esterno, l’autore ipotizza che sia proprio tale facoltà rappresentativa a permettergli di

accedere alla realtà mentale ed alla logica astrattiva. Quando tali rappresentazioni diventano parte

integrante delle funzioni mentali del bambino, egli è in grado di giocare consapevole che si tratta di

una finzione. E’ a questo punto che il bambino percepisce gli stati mentali propri ed altrui, e su

questo funzionamento interattivo si sviluppano i procedimenti di comunicazione.

Secondo Leslie si tratta di una capacità innata che però giunge a maturazione solo dai due

anni di età.

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22

L’autore ritiene che nel bambino autistico la capacità di costruire una “rappresentazione di

rappresentazione” (= meta-rappresentazione) sia difettosa. E’ chiaro a questo punto che il bambino

non può comprendere le interazioni e le basi della comunicazione. Inoltre, l’assenza di questa

facoltà di rappresentarsi le cose implicherebbe l’impossibilità di attribuire un significato agli

oggetti, alle reazioni altrui, alla immaginazione ludica ed a tutto ciò che produce l’interazione.

1.8.2. Uta Frith

Con il suo testo più famoso, Autism. Explaining the Enigma23, la studiosa offre un importante

contributo al lavoro sui disturbi del funzionamento mentale del bambino autistico. Ella propone

infatti lo schema di un disturbo dello sviluppo, tralasciando del tutto l’aspetto relazionale.

La sua analisi prevede che la mente umana funzioni in questo modo: per azione di processi

periferici essa riceve dati che vengono elaborati per essere trasmessi al sistema centrale che è

preposto alla revisione ed interpretazione dei dati stessi prima di ordinarli e trasformarli in azioni e

comportamenti coerenti. E’ quindi dal sistema centrale che dipendono l’analisi di una situazione

complessa e la sua traduzione in un comportamento adeguato. In questo modo possiamo dire che

esso ha la funzione di fornire una forza coesiva sufficiente affinché si metta in moto tutto questo

meccanismo.

Nel caso dell’autismo, invece, si prospetta l’esistenza di una disfunzione a livello del sistema

centrale che impedirebbe la costituzione di questa forza coesiva da cui conseguirebbe la condanna

del bambino a vivere in un universo frammentato ed incoerente. Ciò permetterebbe di spiegare

anche la comparsa di “isolotti di capacità”, termine con il quale la Frith indica quella facoltà, a volte

veramente impressionante, legata a fenomeni mnemonici ma pur sempre disgiunta dal senso

generale della situazione e priva quindi di un valore comunicativo. Le disfunzioni del pensiero

(l’incapacità di pensare se stessi e gli altri) e di linguaggio trovano così una loro spiegazione.

Insieme ad Alan Leslie ha quindi elaborato batterie di test per comprovare le proprie teorie.

Ella cerca di dimostrare che le facoltà intellettuali dei bambini autistici non dipendono

dall’ambiente socio-culturale o dal livello di istruzione, poiché si tratta di una sorta di

“memorizzazione automatica” del tutto slegata dal contesto.

Parla quindi di un “distacco autistico”, ben diverso da quello che intendiamo comunemente

con “distacco” che potremmo anche tradurre con “capacità di giudizio”, dovuto all’impossibilità di

organizzare gli stimoli in un insieme coerente. Da ciò nascerebbero quindi quei sentimenti di

23 La prima edizione italiana è stata pubblicata con il titolo L’autismo. Spiegazione di un enigma, 1996 Laterza Roma-Bari

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indifferenza e disattenzione, nonché l’impossibilità di percepire i sentimenti altrui e la mancanza di

reazioni affettive adeguate.

I limiti di tale interpretazione sono abbastanza evidenti: la studiosa infatti non fa alcun cenno

al mondo psichico del bambino autistico poiché riduce tutto ad una disfunzione del processo

centrale, ad un difetto neurologico che colpisce lo sviluppo cognitivo. Ciononostante le sue

osservazioni aprono una prospettiva interessante sulle specificità di questi soggetti che spesso

appaiono del tutto insondabili.

1.9. Gli approcci educativi

Gli anni ’60 hanno visto levarsi proteste negli U.S.A. da parte di educatori, genitori e

ricercatori che portarono all’approvazione di una legge che rendeva obbligatoria l’educazione per

tutti i bambini handicappati. Su questa scia anche in Europa furono emanate leggi in favore dei

soggetti in situazione di handicap24.

Queste proteste miravano allo stesso tempo a contrastare le teorie di Bettelheim sull’origine

acquisita dell’autismo infantile. Duplice è stato il risultato positivo di queste lotte: non solo si è

garantito il diritto all’educazione per tutti, ma anche i genitori, sgravati da sensi di colpa, sono

potuti diventare parte integrante del progetto educativo dei loro figli. Con ciò non tutto si risolve

poiché si passa ad un altro eccesso: l’educazione diventa il rimedio a tutti i mali, compresa la

patologia relazionale.

Si comincia a parlare di deficit, a sottolineare la manchevolezza o l’inesistenza di determinate

funzioni, al posto del sintomo, che lascia sperare nella possibilità di recupero. Il bambino autistico

ancora una volta non può riconoscersi in simili schematizzazioni: se fa progressi è chiaro che è in

contraddizione con quanto si afferma parlando di deficit, perché fa emergere ciò di cui si pensava

fosse del tutto privo25. L’autismo, infatti, comprende disturbi molto diversi fra loro e le disfunzioni

sensoriali, cognitive ed affettive si manifestano secondo modalità sempre differenti. Molti educatori

giustamente quindi tendono a puntare su quelle che riconoscono come le potenzialità del bambino,

combinano i metodi educativi usano, insomma, una certa “saggezza” nel formare le loro

competenze e nell’approcciare ogni singolo caso.

24 In Francia abbiamo la Legge quadro del 30 giugno 1975 ma in Italia già con la Legge 118 del 1971 si prevede l’inserimento delle persone handicappate (pur se con qualche limitazione dovuta a deficit intellettivi o fisici di tale gravità “da impedire o rendere estremamente difficoltoso l’apprendimento e l’inserimento”) nelle scuole normali. Non è qui il luogo per ripercorrere le tappe dell’integrazione nel nostro paese, ma vale la pena ricordare che il percorso fatto in tal senso ci pone all’avanguardia in tutto il mondo. 25 Molti sono i casi riportati in letteratura di bambini autistici che manifestano sentimenti, riconoscono gli stati d’animo altrui, “fingono”, fanno dispetti eccetera.

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24

1.9.1. Maria Montessori

Il contributo educativo e pedagogico di Maria Montessori nei confronti dei bambini autistici è

di un’attualità straordinaria, soprattutto se pensiamo che il suo metodo venne ideato in un periodo

storico in cui le ricerche in merito neppure esistevano e che lei stessa definiva “deficienti” questi

bambini. Già nel 1897 ebbe il coraggio di affermare “questi bambini cosiddetti “idioti” hanno il

diritto di vivere e di frequentare la scuola”.

Col 1906 la Montessori inizia a dimostrare l’importanza dell’osservazione e della valutazione

in una pedagogia che si va facendo sempre più individualizzata. Le sue valutazioni sono molto

articolate e tengono presenti i seguenti fattori: equilibrio, movimento, linguaggio, udito, umore,

capacità reattiva, ritmo, alimentazione e risposta dei genitori messi di fronte alle difficoltà del figlio.

Suo è anche il merito d’aver prima compreso che il bambino ha bisogno di un universo a sua

misura e poi di aver dimostrato che anche gli apprendimenti astratti possono essere assimilati da

bambini in grande difficoltà, purché questi vengano mediati con gradualità e con i giusti strumenti.

Tre sono i compiti che gli educatori devono affrontare:

1. aiutare il bambino a farcela da solo, in modo proporzionale alle sue capacità

2. mostrare al bambino le attività che potrà imitare, dopo aver individuati i suoi

interessi così da potergli proporre qualcosa che incontri il suo gradimento

3. mettendosi al livello del bambino, osservarlo in modo da scoprire quando inizia un

processo ripetitivo e rassicurante per sottoporgli materiale più evoluto.

E’ una pedagogia che trova svariate applicazioni, non solo quindi nella vita pratica e

quotidiana, ma anche nell’educazione dei sensi, del linguaggio, della logica. La pratica ha potuto

dimostrare la validità e l’efficacia di questi assunti.

Ancora oggi questo metodo pedagogico, per la sua semplicità, per il rigore del materiale e per

l’impiego che ne viene fatto dagli educatori, rimane uno degli approcci educativi più pertinenti nella

cura dell’autismo.

1.9.2. Eric Schloper

Nel 1966 Schopler mette in atto un progetto sperimentale quinquennale finalizzato ad educare

i bambini autistici con l’aiuto dei genitori. Il lavoro si dimostra estremamente proficuo ed il

progetto verrà ufficializzato nel 1972 col nome di programma TEACCH26.

26 TEACCH = Treatment and Education of Autistic and Communication Handicaped Children.

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Il suo più grande merito è stato forse quello d’aver restituito ai genitori la “forza di agire”,

anche se è difficile pensare ad un percorso del tutto svincolato dal sostegno psicologico per i

genitori e per i bambini. Il senso di colpa è di fatto intrinseco nella condizione parentale e

l’angoscia, il dolore, la prostrazione nel vedere le sofferenze del proprio figlio non sempre sono

dissipate da un intervento esclusivamente pedagogico ed educativo.

Schloper ha comunque ideato un programma di strategie educative tali da poter essere

utilizzate dai genitori o per l’assenza di centri specializzati o anche per il desiderio di applicarle tra

le mura domestiche. Si tratta di un progetto educativo, del quale comunque riparleremo più avanti27,

fortemente personalizzato che tiene conto delle esigenze della famiglia, del luogo di abitazione e del

modo di vivere. Valuta anche le possibilità di un inserimento scolastico. Si compone di lavoro

individuale, grande rigore generale, obiettivi a breve termine, osservazioni e valutazioni costanti,

materiale flessibile e/o scomponibile. All’assenza di linguaggio si sopperisce con una

comunicazione per mezzo di codici per immagini. L’obiettivo ultimo è quello di condurre il

bambino a comportamenti sempre più appropriati.

Si tratta di strategie educative che vertono sulla percezione, l’imitazione e la motilità,

considerati strumenti indispensabili per la comunicazione, ed anche sul comportamento,

l’autonomia, la competenza verbale e la socialità. Gli esercizi sono progressivi e studiati in funzione

dell’età mentale del bambino, da zero a sei anni28.

C’è però un aspetto “condizionante” che non incontra il favore di tutti: il successo od il

fallimento, infatti, sono a volte subordinati a processi di ricompensa o punizione sulla cui necessità

ci si interroga (soprattutto nei casi in cui vengano applicati in modo meccanico ed eccessivo).

Abbiamo sottolineato l’importanza della collaborazione tra genitori e terapeuti, ma va detto

anche che se da un lato è bene che i genitori sostengano lo sforzo compiuto dal figlio e che mettano

in pratica a casa quanto gli educatori insegnano al bambino, tuttavia è opportuno che non

trasformino la loro dimora in un luogo di apprendimento permanente. Una vita famigliare il più

possibile normale in cui siano coinvolti anche gli altri figli è necessaria per un bambino, per malato

che possa essere.

Un progresso qualitativo e quantitativo si registra di preferenza con bambini molto piccoli, già

a sette anni, se non c’è stato il raggiungimento di un sufficiente grado di autonomia, manifestano

27 Cfr. p. 30 ss. 28 Per esempio nel caso della competenza verbale si vorrà sollecitare la comparsa dei suoni con l’aiuto di bolle di sapone che vengono fatte scoppiare soffiandoci sopra ed accompagnando al gesto un’esclamazione. Di seguito poi si assoceranno due suoni, si ripeteranno due esclamazioni unite a gesti comunicativi, ci si chiamerà per nome, eccetera. Nel caso della motilità fine si lavorerà per far emergere le capacità elementari: articolare dita e mani in modo controllato, afferrare un oggetto con una sola mano, utilizzare entrambe le mani ecc.

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infatti una certa resistenza al miglioramento; drammatica si può definire la situazione dell’adulto

affetto da autismo, sul quale l’intervento è oltremodo faticoso e difficile.

Va ricordato che, per quanto scarse siano le conoscenze in merito, tuttavia sembra ormai

assodato che l’abbandono di ogni sforzo di sollecitazione segna l’inizio di una regressione spesso

irreversibile, quale che sia l’età del soggetto interessato.

1.9.3. La comunicazione facilitata

Della comunicazione facilitata parleremo ampiamente più avanti29, basti qui dire che si tratta

di un metodo ideato in Australia da Rosemary Crossley per aiutare bambini ed adulti affetti da

lesioni cerebrali, da autismo, dalla sindrome di Rett o da trisomia 21. Ha ipotizzato che in simili

soggetti i disturbi dell’espressione potessero essere superiori a quelli della comunicazione, che la

mancanza di motivazione potesse nascere dall’incapacità di comprendere e che l’assenza di un

linguaggio verbale non dovesse forzatamente escludere l’esistenza di un linguaggio interiore. E’ per

questo motivo che viene proposto un facilitatore che regolando il movimento faccia comprendere

l’associazione tra lo scopo del desiderio e la modalità di metterlo in pratica.

Nel bambino autistico competenza e comprensione della competenza sono due cose

differenti30. Il lavoro di agevolazione non fa altro che realizzare una connessione tra le attitudini, la

percezione delle stesse e le conseguenze che da esse derivano.

1.10. La ricerca medica oggi

Ultimamente le ricerche si sono intensificate un po’ in tutto il mondo, possiamo raccogliere i

punti attorno ai quali vertono:

1. le cause possibili dell’autismo (patologiche, organiche, biochimiche, immunologiche,

neurologiche, psichiatriche)

2. i sistemi di individuazione (diagnosi, elettroencefalogramma, scanner, risonanza

magnetica)

3. le cure mediche che si possono ipotizzare

L’unico punto sul quale tutti sembrano essere concordi è che si sa ancora troppo poco sulle

origini dell’autismo infantile.

29 Cfr. p. 40 ss. 30 E’ come dire che il bambino può leggere, senza nemmeno rendersi conto del fatto che sta leggendo, e comprendere ciò che legge.

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27

Nell’ipotesi genetica si è osservata una porzione di circa 4/5 bambini affetti da autismo ogni

diecimila, con un rapporto di 3/4 maschi per ogni femmina ed un elevato tasso di concordanza tra

gemelli monozigoti.

E’ frequente un’associazione tra autismo ed epilessia il che ha fatto supporre una disfunzione

neurologica, ma non sono stati portati risultati probanti in merito.

Studi immunologici sembrerebbero evidenziare che alcuni sistemi di difesa potrebbero essere

debilitati, ma anche in questo caso non abbiamo risposte definitive.

Non sono invece prive di fondamento le ipotesi che sottolineano un elevato tasso di

neuromediatori (la serotonina) da una parte e dall’altra il tasso (anche questa volta al di sopra della

media) di stress prodotto dall’ormone ipofisario31. Si sta anche lavorando all’ipotesi di una

interazione tra diversi processi che potrebbe portare una smobilitazione di vasta portata dei

meccanismi psichici, cerebrali e motori.

E’ stata avanzata l’ipotesi32 secondo la quale l’autismo andrebbe definito come “un profilo

comportamentale associato ad un profilo biologico (neuroanatomico e neurochimico)”. E’ chiaro

che se tale ipotesi si rivelasse fondata sarebbe necessario un approccio integrato di dati biologici,

psicologici ed ambientali. Sarebbero tre i livelli di tale modello:

a. cause derivate da più fattori, generatrici di sensazioni incomprensibili ed

incontrollabili dovute ad una disfunzione nell’elaborazione dei segnali ambientali;

b. angosce primordiali riguardanti essenzialmente le rappresentazioni spaziali e

l’immagine del corpo; angosce responsabili delle esperienze di sprofondamento,

annientamento, caduta o liquefazione;

c. tentativo di controllo di tali angosce per mezzo del controllo dei sistemi sensorio-

percettivi che starebbe alla base delle stereotipie, vissute quindi come una scarica delle

tensioni ansiose.

Il merito più grande di un modello simile è quello di indicare la direzione della ricerca a

quanti si interessano del problema (medici, genetisti, cognitivisti, neurologi, biologi), una ricerca in

cui l’intreccio e l’integrazione dei dati potrebbe rivelarsi come la migliore risorsa.

31 Gli studi condotti a tal proposito sono stati fatti per ora solo su animali ma tenderebbero ad evidenziare una relazione tra uno stress materno anormale durante la gestazione, il tasso elevato nel bambino, il ritardo motorio ed alcune insensibilità al dolore. 32 E’ avvenuto durante il convegno “Autismo: dalla biologia alla clinica” tenutosi a Parigi nel 1995 da parte della dottoressa S. Tordjman (che fa parte dell’équipe del prof. Ferrari direttore di un gruppo di ricerca sull’autismo).

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1.11. L’etnopsichiatria

C’è infine anche l’ipotesi formulata da Tobie Nathan33 che, sulla scorta della sua esperienza

relativa alle famiglie di emigrati con figli autistici, dimostra che vivendo in ambienti destabilizzanti

i genitori perdevano la capacità di dare ai loro figli basi culturali sufficientemente solide che

potessero fungere da sostegno psichico. Poiché il bambino deve acquisire una conoscenza del

sistema che regola le sue origini (regole di parentela, di alleanza, di comunicazione o di scambi) e

poiché nell’emigrazione tale sistema si indebolisce e si stempera, può capitare che viva questa

esperienza come un vero e proprio sradicamento, che lo priva delle radici inconsce sulle quali poter

costruire un sistema coerente di comunicazione. Il panico che si genera in simili circostanze è tale

che solo l’autismo sembra poterli salvare34.

Se è vero che c’è una certa incidenza di casi di bambini autistici nelle famiglie di emigrati è

altrettanto vero che non è sufficiente per suffragare una teoria che vede la responsabilità dei soli

fattori socio-culturali, senza tener conto del fatto che progressi e miglioramenti si registrano a

cominciare da quando il clima familiare assume connotazioni di fiducia e permette il recupero delle

proprie tradizioni culturali e tribali.

33 Autore di un articolo apparso sul numero 14 della rivista Nouvelle Revue d’ethnopsychiatrie. 34 Tale teoria di “rifugio nell’autismo” si avvicina a quella formulata da molti psicanalisti sulla scorta dell’esempio di Bettelheim.

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PARTE II

Gli approcci educativi e terapeutici

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2.1 Il metodo TEACCH35

Come abbiamo anticipato36, analizziamo ora più da vicino questa metodologia. TEACCH è

un’organizzazione di servizi su base statale, messa a punto nelle scuole specializzate per autistici nello Stato

americano della Carolina del Nord, da Eric Schopler37 e dai suoi collaboratori circa 30 anni fa. Grazie alla

traduzione dei testi ed all’attivazione di corsi di formazione, questo “metodo”, che ha riscosso in patria un

enorme successo, è uscito dai confini degli Stati Uniti per approdare in Europa ed anche in Italia. Offre non

solo servizi alle persone con autismo ed alle loro famiglie, ma anche formazione e consulenza nelle scuole. Il

lavoro non si interrompe con la conclusione del ciclo di studi, ma continua nelle età successive, rispondendo

anche a necessità di abitazione e lavoro per persone autistiche adulte.

Dunque, potremmo definire TEACCH non come un semplice metodo, né come un tipo di

trattamento per bambini, ma un servizio integrato di interventi38. I modi e gli strumenti metodologici si

modificano in base all’esperienza ed alle idee dei genitori e degli operatori39. Un programma ben congegnato

si svolgerà in tutti gli ambiti significativi di vita del bambino, casa, scuola, ambulatorio; sarà composto

all’80% di compiti valutati al test come “riusciti”, cioè già presenti nel repertorio dei bambini, dei quali si

promuove l’uso indipendente, al 20% di insegnamento di nuove abilità che risultano “emergenti”. Compiti

semplici, necessari, utili nelle aree fondamentali dell’autonomia, della comunicazione, del lavoro, del tempo

libero. I suoi principi fondamentali sono quelli più in relazione con l’insegnamento strutturato, finalizzati a

migliorare l’adattamento di ogni individuo al suo ambiente (o attraverso il miglioramento del livello di

abilità individuale o modificando e strutturando l’ambiente per adattarlo in modo da compensare i deficit

della persona) ed a fornire un insegnamento strutturato idoneo al livello di sviluppo dell’individuo autistico a

casa, a scuola e sul posto di lavoro. E’ evidente quindi che il programma TEACCH andrà di volta in volta

contestualizzato ed individualizzato.

Quattro sono i criteri su cui è necessario basarsi: modello di interazione, prospettive di sviluppo,

relativismo comportamentale e gerarchia di addestramento.

Quando si parla di modello di interazione si vuole far riferimento alla necessità di contestualizzare

una determinata tecnica di intervento all’interno del sistema di relazioni (l’ambiente quotidiano, quello cioè

famigliare e scolastico) in cui il bambino è immerso.

La prospettiva di sviluppo sottolinea l’importanza di tener presente, quando si va a definire

l’intervento riabilitativo, del livello di sviluppo globale del bambino nelle diverse aree (tanto quelle deboli,

quanto quelle in cui palesi maggiori capacità).

35 Numerosissimi sono i siti Internet che offrono l’opportunità di conoscere ed approfondire questo metodo. Io, tra i tanti, ritengo che possa essere utile consultare www.autismoitalia.org . 36 Cfr. p. 25 ss. 37 Schopler E. 1998. 38 Esso comprende, infatti, numerose attività di tipo educativo da svolgere insieme al soggetto che presenta un disturbo generalizzato dello sviluppo o disturbi della comunicazione. 39 Secondo Schopler ed i suoi collaboratori il coinvolgimento dei genitori come partners incide per il 50% sulle possibilità di successo del programma.

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Il terzo criterio tiene presente la difficoltà (che talora diventa impossibilità) a generalizzare ad ambiti

differenti da quello in cui è stata appresa una risposta comportamentale; ne consegue la stretta necessità di

definire obiettivi educativi specifici per ogni contesto.

Sulla base della gerarchia di addestramento si definiscono le priorità tra i problemi da affrontare40.

L’individualizzazione dell’insegnamento si attua partendo dal particolare modello delle abilità

emergenti e dei deficit misurati per mezzo del Profilo Psicoeducativo (PEP-R) e della Childhood Autism

Rating Scale (CARS). Lo scopo è quello di aumentare il funzionamento indipendente della persona e di

diminuire progressivamente le correzioni ed i rimproveri da parte dell’educatore.

Se in passato si pensava che la sofferenza dei bambini autistici fosse causata dal rifiuto dei

sentimenti e quindi, come conseguenza, si offriva loro la possibilità di esprimersi liberamente in un ambiente

non strutturato, pensando che così essi potessero dare libero sfogo alle loro potenzialità inibite, oggi, invece,

si è visto che in questo modo si ottiene l’effetto contrario, aumentando l’angoscia ed i problemi

comportamentali. Se il soggetto, invece, sa con chiarezza cosa deve fare, che cosa ci si aspetta da lui e cosa

gli succederà in seguito, lo si rassicura e gli si impedisce di cedere all’ansia. Va detto comunque che

“strutturazione” non significa “rigidità”, ma essa va costruita in modo flessibile tenendo conto delle esigenze

del singolo soggetto.

Le componenti fondamentali dell’insegnamento strutturato sono quattro:

1) l’organizzazione dell’ambiente fisico

2) i programmi

3) i sistemi di lavoro

4) l’organizzazione dei compiti

1) E’ molto importante adattare l’ambiente alla persona perché in questo modo si dimostra di

rispettare l’individuo nella sua diversità41. Si presta una particolare attenzione alla disposizione fisica della

stanza o dello spazio che viene utilizzato per l’insegnamento, il tempo libero, il lavoro o qualsiasi altra

attività. Il soggetto viene così aiutato ad identificare e ricordare le attività che si volgono nei diversi luoghi e

le relazioni tra le attività stesse. Può in questo modo lavorare con maggior efficacia perché una classe

organizzata in modo chiaro permette di evidenziare le attività specifiche ed aiuta a rafforzare i concetti più

importanti. Facilita infatti la concentrazione dell’attenzione sugli aspetti più rilevanti dei compiti da svolgere,

perché il soggetto autistico si lascia frequentemente distrarre da segnali visivi e dai suoni dell’ambiente.

Inoltre offre una maggior prevedibilità e programmazione delle attività da svolgere riducendo drasticamente

l’ansia che l’inaspettato può provocare.

40 Al primo posto l’intervento educativo porrà il tentativo di modificare quei comportamenti che mettono a rischio la vita del bambino, quindi quelli che riguardano la sua capacità di adattarsi all’ambiente familiare, poi quelli che compromettono l’adattamento all’ambito scolastico ed infine quelli che rendono critico l’adattamento alla comunità extrascolatica. 41 Quanti, pur affetti da autismo, hanno la capacità di raccontare le proprie esperienze parlano del nostro mondo come di un “caos senza padrone”.

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E’ anche importante individuare luoghi all’interno della classe in cui i bambini possano gestire il loro

tempo42 in modo indipendente.

Un ambiente perfetto non esiste, è ovvio, ma esso può essere modificato ed adattato per renderlo il

più confortevole possibile43 alle esigenze di ogni singolo individuo.

A seconda del livello evolutivo e dell’età dei componenti del gruppo è chiaro che la struttura della

classe andrà modificata44.

I bisogni individuali di ogni studente possono essere soddisfatti adattando la struttura fisica

dell’ambiente alle sue caratteristiche45. In base al livello di autonomia raggiunto dalla persona si potrà

procedere gradualmente a modificare sia la strutturazione sia gli aiuti visivi.

Una delle caratteristiche condivise da molti individui affetti da autismo è la scarsa tolleranza ai

cambiamenti inaspettati, per quanto insignificanti essi possano sembrarci, del loro ambiente. E’ stata a tale

scopo ideata “l’area di transizione”46, un luogo, cioè, dove vengono esposti tutti i programmi, la persona può

così orientarsi nei cambiamenti osservando ed imparando quale sarà l’attività successiva, una volta esaurita

quella precedente.

2) I programmi hanno la funzione non secondaria di aiutare gli studenti a comprendere quando

si svolgerà e come sarà strutturata una determinata attività. Li aiutano inoltre ad anticipare e predire le

attività ed in questo modo riducono l’insorgenza dell’ansia. Ci sono, però, altri aspetti da sottolineare:

a. minimizzano i problemi legati ai disturbi della memoria e dell’attenzione

b. grazie alla gestione della scansione temporale e della organizzazione delle attività nel tempo,

poiché forniscono visivamente la sequenza delle attività da compiere, riducono i problemi

c. compensano i disturbi del linguaggio ricettivo, che ostacolano la capacità di seguire

indicazioni verbali

d. favoriscono l’indipendenza degli studenti che non sono più costretti a dipendere

dall’insegnante per avere informazioni su cosa accadrà dopo

e. incrementano l’automotivazione perché rendono immediatamente disponibili promemoria

visivi che rammentano le attività principali da svolgere

42 Il passare del tempo è una nozione difficile da apprendere perché si basa su dati non visibili, pertanto anche questo va organizzato. Ogni giornata sarà strutturata in modo tale che in ogni momento il bambino sappia cosa accadrà. Si aumentano così la prevedibilità degli eventi ed il controllo della situazione. Ciascun bambino sarà così fornito della sua “agenda” giornaliera, costituita da una serie di oggetti, di immagini o di parole scritte, ordinati dall’alto verso il basso. 43 Per esempio una classe con numerose uscite potrebbe non essere confacente per studenti che stanno attraversando la fase della fuga o che vivono con ansia la presenza di più “vie” dalle quali altre persone possono entrare o uscire. 44 Ad esempio, per bambini in età prescolare le aree pertinenti all’apprendimento comprenderanno il gioco, il lavoro individuale o di gruppo, l’insegnamento delle abilità quotidiane eccetera; per studenti in età scolare, invece, bisognerà pensare all’area per il tempo libero, a quella per l’insegnamento di abilità di avviamento al lavoro, all’autoaiuto finalizzato alle abilità domestiche e così via; infine per gli adulti, che vivono in comunità di accoglienza o in famiglie, sarà opportuno dividere le attività tra le diverse stanze, con delimitazioni visive se esse sono necessarie per il singolo. 45 Se ci troviamo a lavorare con uno studente che si lascia facilmente distrarre da stimoli esterni, potremmo pensare di sistemare la sua scrivania davanti ad un muro bianco e sul pavimento con il nastro adesivo segneremo la collocazione della sedia. 46 Ecco la definizione che ne dà Schloper stesso “l’area di transizione è un modo concreto, mediato dai programmi visivi, per dare coerenza ai diversi cambiamenti che si verificano nel corso di una giornata”.

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Più e meglio gli studenti imparano ad utilizzare i programmi visivi, prima impareranno ad eseguire le

indicazioni in modo indipendente.

A seconda del genere di problema preso in considerazione esistono diversi tipi di programma. Di

solito ne vengono utilizzati due contemporaneamente nella classe-tipo: quello generale della classe e quello

individuale del ragazzo. Spesso quest’ultimo è illustrato con immagini o disegni47 che rappresentano le

differenti attività da svolgere per venire incontro a quegli studenti che non comprendono il linguaggio scritto.

E’ evidente che le attività presentate nel programma devono essere significative per il ragazzo e che

devono, di conseguenza, essere calibrate con cura sulla valutazione dei suoi bisogni, preferenze e

caratteristiche personali. E’ altrettanto necessario che essi siano adeguati ai livelli di abilità di lettura e di

comunicazione individuali, perché mantenendo collegati il livello di complessità del programma e quello di

funzionamento evolutivo è possibile operare la transizione verso livelli di comunicazione sempre più astratti.

3) Il sistema di lavoro serve per informare gli studenti di ciò che devono fare nelle ore di lavoro

indipendente. Questo è finalizzato ad insegnare loro a lavorare in modo progressivamente sempre più

autonomo senza che si renda necessaria la costante supervisione degli insegnanti.

I sistemi di lavoro offrono tre fondamentali informazioni:

I. il compito che deve essere eseguito

II. quanto lavoro deve essere compiuto

III. come sapere quando il compito è terminato48.

Quando il bambino termina il lavoro che gli è stato assegnato ottiene la ricompensa precedentemente

pattuita49.

Anche in questo caso, variando la complessità del sistema simbolico impiegato, è possibile adattare i

sistemi di lavoro a tutti i livelli di funzionamento evolutivo.

4) L’organizzazione dei compiti, per mezzo di supporti visivi scelti in base al livello di

funzionamento raggiunto, offre alla persona affetta da autismo la sicurezza e la strutturazione necessarie per

poter svolgere il compito nel modo più autonomo possibile. Ci sono elementi che rimangono costanti nel

tempo, nonostante si registrino processi evolutivi; in questo caso parliamo per esempio del modo di

procedere che sarà sempre da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso.

Un aspetto molto importante è quello legato al tentativo di rendere produttive e flessibili le routine e

le stereotipie per mezzo di una strutturazione che riesca a trasformare le abitudini ripetitive, facendole

47 Un programma visuale può essere ordinato dall’alto verso il basso o da sinistra verso destra, si associa generalmente alla descrizione verbale delle attività rappresentate per agevolare il passaggio dalle immagini alle parole. 48 Di solito il materiale della scheda di lavoro, che è depositato in una scatola posta alla sinistra del bambino, una volta che è stato elaborato, viene spostato nella scatola di destra che contiene i lavori finiti. La disposizione dei compiti da sinistra a destra risponde all’organizzazione tipica della cultura occidentale. 49 Vale la pena soffermarsi un momento sul tema del rinforzo. E’ difficile per qualsiasi bambino comprendere perché si debbano svolgere determinate attività, a maggior ragione lo sarà per il bambino autistico per il quale sarà necessario ricorrere a motivazioni concrete (è troppo astratto puntare sul suo desiderio di “far bella figura” o compiacere la mamma o la maestra), la più semplice tra tutte in questo caso sarà quella alimentare, ma altrettanto utili saranno i rinforzi verbali (lodi e complimenti) od il permesso di dedicarsi all’attività preferita, anche se stereotipata.

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passare da una passività distratta ad un’attività consapevole. Se il sistema cognitivo degli autistici è rigido ed

il loro modo di pensare è poco flessibile, forse è possibile utilizzare queste caratteristiche a loro vantaggio.

Le persone con autismo hanno bisogno di cure specialistiche assidue ed il metodo TEACCH serve da

modello per genitori ed esperti.

3.2. Il metodo Delacato50

L’idea che dietro ai comportamenti manifestati dai bambini autistici ci fosse un messaggio e che la

nostra incapacità di leggerlo ci portasse a considerarli come degli “stranieri” ha spinto Delacato51 ad

occuparsi di loro.

Lo studioso rintraccia l’origine della patologia autistica in una lesione cerebrale52 che genera difficoltà

percettive. Tale distorsione si insedierebbe durante il percorso dal recettore al cervello53.

Alcuni sintomi, quali il bisogno di conservare l’uniformità dell’ambiente, la mancanza di lateralità e

l’iperattività, sono caratteristici anche di altri soggetti che presentano lesioni cerebrali di tipo differente. Le

stereotipie sembrano all’autore essere l’unico aspetto specifico dell’autismo, esse diventano quindi oggetto di

osservazione proprio perché, come si diceva, portatrici di un messaggio, di significato.

Col passare del tempo, però, Delacato si rese conto che tali “comportamenti autistici” non erano

presenti solo nelle persone affette da tale disturbo, ma che in ambiti diversi venivano definiti

“comportamenti da sordi”, “atteggiamenti da ciechi”: venivano quindi individuati come atteggiamenti in

relazione al problema sensoriale della persona. Ne dedusse che il messaggio che tale individui cercano di

50 Anche in questo caso sono numerosi i siti che offrono informazioni a chi abbia voglia di navigare un po’. Ne cito uno per tutti, quello che a me è sembrato organizzato meglio: www.unpassoavanti.it . 51 Di origini italiane ma nato negli Stati Uniti, il dottor Carl H. Delacato intorno agli anni ’60 fu uno dei primi ad intuire un’origine di natura organica per questo disturbo che allora veniva spiegato per lo più come la conseguenza di un errato rapporto madre-figlio. Iniziò ad interessarsi all’osservazione empirica dei bambini che presentavano difficoltà di apprendimento per occuparsi successivamente dei disturbi del comportamento e delle disabilità motorie. Frutto di questi studi fu l’elaborazione della teoria dell’organizzazione neurologica: ogni bambino può sviluppare il suo massimo potenziale di apprendimento se rispetta i vari stadi dello sviluppo motorio e sensoriale fino a quello conclusivo della dominanza emisferica, per cui in alcune funzioni un emisfero cerebrale prevale sull’altro, determinando la dominanza di un lato del corpo (in particolare della mano e dell’occhio). Questo processo di lateralizzazione ha la funzione di consentire un buon livello di lettura, scrittura ed espressione linguistica. Se uno degli stadi dello sviluppo salta, l’apprendimento può subire un ritardo oppure un arresto. Causa di una disorganizzazione del funzionamento del sistema nervoso centrale può essere una lesione cerebrale (come pure un ambiente povero di stimoli). Cfr. Delacato C. H. 1975. 52 Non dobbiamo dimenticare che se era facile accettare una diagnosi di cerebrolesione nel caso di un soggetto con disabilità motorie, non lo era altrettanto di fronte a bambini affetti da dislessia, iperattività, disturbi del linguaggio o del comportamento in generale. Delacato pertanto teorizzò il concetto di “lesione minima e diffusa”. Sottolineiamo soltanto il fatto che Delacato arrivò ad elaborare tale teoria in un momento in cui non si disponeva certo della strumentazione diagnostica attuale. 53 Ricordiamo che il cervello invia i comandi a tutto il corpo (permettendoci di vivere) e gli organi di senso sono gli strumenti che ci permettono di relazionarci col mondo che ci circonda. Essi sono collegati col cervello dalle vie nervose costituite da cellule altamente specializzate dette neuroni. Nella corteccia cerebrale (o materia grigia) si formano le attività cognitive (sensoriali e percettive) ed intellettive (riconoscimento, pensiero, giudizio ecc.). Tutto dipende quindi dal collegamento degli organi di senso al cervello e, di conseguenza, dall’elaborazione ed interpretazione del segnale. E’ qui che si ingenera il problema del comportamento autistico: si tratta di disfunzioni neuronali che determinano un disordine nell’organizzazione dei collegamenti. Le cause di tali disfunzioni possono essere varie e vanno ricercate in vari periodi della vita prenatale, perinatale e postatale (per esempio, una banale influenza contratta dalla madre entro le prime tre settimane di gestazione può danneggiare le strutture cerebrali dell’embrione).

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comunicare è relativo al problema sensoriale che li colpisce. Gli stimoli che dal mondo esterno arrivano al

cervello non vengono sfruttati in modo consono poiché una o più delle vie di entrata è difettosa, col loro

comportamento quindi cercano di indicarci quale o quali siano.

Sempre sulla base delle osservazioni fatte su bambini affetti da autismo, Delacato pensò di poter

individuare tre tipi di lesione per ogni senso: “ipo”, “iper” e “rumore bianco54”. La lesione è detta “iper”

quando al cervello arriva una parte eccessiva di stimolazione che lo bombarda con una sensazione

insostenibilmente violenta; parliamo di “ipo” quando si verifica il caso opposto e di “rumore bianco” quando

una specie di rumore interno di fondo interferisce con lo stimolo e rende illeggibile la sensazione55.

Conoscere la via sensoriale danneggiata ed il grado del danneggiamento ci permette di intervenire per

aiutare il bambino a normalizzarla. Quando il canale è normalizzato, notiamo che l’atteggiamento ripetitivo

cessa ed il soggetto può spostare la sua attenzione sul mondo esterno.

In ogni comportamento ritualistico ci sarebbe quindi nascosta una richiesta di aiuto e di comprensione.

Delacato propone di realizzare cinque obiettivi nella sua “cura di sopravvivenza”:

1. capire il comportamento problema

2. cambiare l’ambiente per diminuire il disagio del bambino

3. cambiare l’ambiente per attenuare gli atteggiamenti sensoriali del bambino

4. alterare le funzioni della terminazione sensoriale da cui gli atteggiamenti hanno inizio

5. aiutare il bambino a cominciare a normalizzare la via o le vie anormali56

Il sistema sensoriale di queste persone si rivela inattendibile, infatti rende ambigue tutte le

stimolazioni in entrata, esse si vedono pertanto costrette a cercare di controllare in modo completo le

sensazioni di cui il cervello si deve occupare; è per questo motivo che gli schemi comportamentali usuali non

vengono né seguiti né, poi, compresi dagli altri.

Grazie all’esperienza ed al contributo offerto dalle mamme dei bambini autistici è stato elaborato un

programma di neuroriabilitazione basato su una serie di stimolazioni sensoriali ben mirate e finalizzate a

54 “White noise” o “rumore bianco” è, nella gamma dei suoni, all’estremo opposto del suono puro, cioè il suono più complesso. Si può ottenere con molti mezzi, amplificando, per esempio, il voltaggio prodotto dall’agitazione termica degli elettroni in una resistenza o dall’urto delle molecole dell’aria riscaldata le une contro le altre. Se l’udito dell’uomo fosse molto più acuto (come accade nel bambino autistico) sentirebbe soltanto il cozzare delle molecole nell’aria o lo scorrere del sangue nelle sue vene. In questo contesto, il concetto di “rumore bianco” è esteso alle cinque vie sensoriali e si identifica con una “sensazione di fondo” che il cervello leso del bambino autistico non riesce ad eliminare. 55 Proviamo a fare un esempio considerando la modalità tattile. Abbiamo una modalità tattile di iper-tatto quando vediamo che il bambino rifiuta il contatto, a volte anche quello cutaneo con certi tipi di tessuti o con l’acqua, e per normalizzarsi si solletica o accarezza. Se ci troviamo invece di fronte ad una situazione di ipo-tatto il bambino può arrivare addirittura a comportamenti autolesionistici dimostrando così d’essere del tutto indifferente al dolore. Riscontriamo infine “esplosioni tattili”, rivolte a sé o agli altri, nel caso di tatto rumore bianco. Si tratta di improvvise esplosioni di comportamenti tattili come se il bambino sperimentasse un aumento graduale della stimolazione proveniente dall’interno del corpo. 56 Vediamo quindi applicato questo modello sempre alla modalità tattile. In questa modalità sono presenti le seguenti dimensioni: temperatura, dolore, pressione, propriocezione e sensazione del movimento. Se il problema è l’iper-tatto, il tatto monopolizza tutta l’attenzione del bambino e poiché è all’origine delle sue paure sarà opportuno osservarlo attentamente per scoprire quali posizioni o movimenti lo rassicurano e provare quindi a fargli ciò che lui fa a se stesso. Se, al contrario, il problema è l’ipo-tatto, il bambino necessita di tutte le stimolazioni possibili e di esperienze propriocettive: gli input sensoriali vanno in questo caso incrementati e variati al massimo grado. Nel caso di tatto rumore bianco, infine, il bambino deve poter sperimentare molte stimolazioni tattili provenienti dall’esterno, per imparare la differenza tra sensazioni tattili iniziate dall’interno e sensazioni tattili provocate dall’esterno.

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normalizzare i canali percettivi compromessi. Il compito che questo programma si prefigge è quello di far

ripercorrere lo stadio che è stato saltato in modo da orientare il suo cervello verso una percezione corretta.

Il programma è svolto da un’équipe di consulenti con una formazione specifica cui si affianca la

famiglia che viene coinvolta57 nel trattamento. Lo scopo è quello di permettere ai genitori di imparare il

programma individualizzato di riabilitazione per poi applicarlo al loro bambino.

3.4. Metodo DAN!

Il nome di tale metodo è di per sé illuminante: Defeat Autism Now!. Esso è stato promosso da medici

e ricercatori ed ha dato vita ad un movimento internazionale che ha avuto la sua origine circa dieci anni fa

negli Stati Uniti58. Ora è arrivato anche in Italia divulgato al grande pubblico grazie ad una trasmissione

televisiva59 che gli ha dedicato un po’ di spazio, ad un testo scritto da Franco Verzella60, ad articoli apparsi su

riviste61 e siti Internet62.

Secondo tale teoria l’autismo e tutti i problemi con esso connessi sono sintomi di una disfunzione del

sistema nervoso, immune e/o di quello digestivo che si manifesta in soggetti geneticamente suscettibili a

fattori particolari (intolleranze alimentari, aumento di microbi e tossine, alimentazione al di sotto del livello

ottimale). Essi pongono in primo piano l’aspetto biomedico del trattamento che trova le sue basi nelle

seguenti considerazioni:

1. si sta assistendo ad una vera e propria epidemia di autismo in Nord America ed in molti paesi

industrializzati

57 Sono cinque gli interventi attraverso i quali la famiglia viene coinvolta:

1. la fase formativa: avviene mediante la lettura di testi che illustrano le basi neurofisiologiche dell’approccio e a partecipazione ad incontri di orientamento. In questo modo la famiglia ha un quadro chiaro e coerente delle conseguenze del danno neurologico. 2. la fase pre-diagnostica: i genitori compilano un questionario anamnestico così che arrivano loro stessi alla formulazione di una diagnosi sensoriale del soggetto in questione. 3. la fase diagnostica: è il momento dell’elaborazione del programma individualizzato di intervento sulla base di un ordine delle priorità stabilito insieme ai genitori. 4. la fase terapeutica: per 4 mesi si mette in atto il programma di esercizi di stimolazione sensoriale e motoria. Viene svolto da 1 a 4 volte al giorno ed ogni esercizio può durare da 1 a 10 minuti. I tempi totali del programma variano da un’ora e mezza a 4 ore al giorno, suddivise su due o più sessioni, per 5 giorni alla settimana, a scelta dei genitori. Ogni due mesi si osserva una settimana di assoluto riposo. 5. la fase di valutazione: è il momento della valutazione dell’andamento della terapia e della ridefinizione degli obiettivi. I genitori usufruiscono di una completa supervisione da parte dell’équipe di riabilitazione inviando registrazioni video.

58 Il progetto Defeat Autism Now! è stato avviato nel 1995 dall’Autism Research Institute (ARI) che dal 1967 si occupa di bambini autistici ed ha ideato, in supporto ad un intervento biomedico precoce, anche un intervento comportamentale precoce, detto ABA (Applied Behavior Analysis). Due sono state le intuizioni fondamentali di Bernard Rimland che hanno condotto in un primo momento alla costituzione di ARI ed in seguito alla stesura del programma DAN!: 1. la natura biologica delle alterazioni in particolare a carico dell’intestino; 2. il ruolo strategico della famiglia per il costante monitoraggio (24 ore su 24) del rapporto tra i rimedi prescritti, sintomi e comportamento. 59 Si tratta della trasmissione “Report” andata in onda su Raitre il 24 Aprile 2005. 60 Chirenti V. A. –Verzella F. 2005 61 Cfr. ad esempio l’articolo di S. Pagnotti 2005. 62 www.superabile.it ; www.autismoperche.it

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2. proprio sulla base delle cause ambientali di tale epidemia bisogna fondare le opzioni

diagnostiche e quindi realizzare i corrispondenti trattamenti

3. poiché ogni bambino è diverso da qualsiasi altro i risultati dei test di laboratorio devono

guidare l’intervento clinico

4. i genitori sono la fonte privilegiata da cui trarre fondamentali informazioni sul bambino ma

essi sono anche i destinatari privilegiati delle conoscenze acquisite dai medici.

Gli esperti di tale nuovo metodo si concentrano sui seguenti fattori in correlazione:

a. deficienze nutrizionali e bisogni speciali (soprattutto vitamina B6, B12 A e magnesio, calcio,

selenio, zinco ed acidi grassi omega 3)

b. disfunzioni intestinali dovute a fattori multipli (malnutrizione, infezione, antibiotici,

antinfiammatori non steroidei)

c. aumento microbico comprendente infezioni virali in bambini suscettibili, contratte in seguito

ad alcuni vaccini, parassiti intestinali, aumento dei batteri e candida nell’intestino

d. tossine ed in particolare metalli pesanti (mercurio da fonti ambientali e da alcuni vaccini

destinati alla prima infanzia)

e. intolleranze alimentari (compresa quella a glutine e caseina), allergie alimentari immuno-

mediate (che i test cutanei non sempre sono in grado di evidenziare), intolleranza ai cosiddetti cibi

Feingold ed agli additivi e essitocine

f. anormalità nella capacità chimica di detossificazione e della funzione immune

g. benefici dalla secretina, colostro, e da speciali enzimi digestivi in molti individui con sintomi

autistici.

Come era inevitabile, data la pubblicizzazione del metodo attraverso il canale televisivo e diversi siti

internet63, si è aperto un dibattito che ha avuto anche note molto accese. Tralasciando le accuse reciproche

che le due parti si lanciano64 è comunque interessante vedere quali siano i punti individuati come

problematici. Innanzitutto tale metodo non è stato sottoposto a sperimentazione scientifica (non sono stati

fatti studi epidemiologici a doppio cieco perché essi richiedono non solo molti fondi ma anche anni di lavoro

che, vista l’ “epidemia” in atto, non sono affatto consigliabili per i sostenitori di detta metodologia). I calcoli

statistici che sono stati approntati riguardano comunque un numero ridotto di individui tale da impedire una

corretta valutazione sulla validità e sull’efficacia del metodo65. I sostenitori del metodo DAN! non si affidano

alle riviste specializzate ma alle pagine dei siti Internet che hanno un impatto emotivo molto forte su chi si

trova ad essere coinvolto personalmente nel problema. I toni sono allarmistici (l’epidemia di cui abbiamo

63 Cfr., per esempio www.iodellasalute.org; www.genitoricontroautismo.org 64 La polemica vede coinvolto in prima persona Pietro Barbieri presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che aveva scritto una lettera di protesta al direttore generale della RAI, Cattaneo, per il taglio dato alla citata trasmissione Report, ed alcuni genitori che hanno sottoposto i propri figli alle cure del metodo DAN!. 65 Per chiarire la portata dell’evento possiamo ritornare con la mente ad altri episodi che, divulgati al grande pubblico dai mass media, hanno suscitato polemiche e dibattiti prima di essere sottoposti all’attento vaglio del mondo della scienza e di essere sconfessati: il caso Di Bella ne è un esempio a tutti noto.

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detto), si sottolinea l’urgenza dell’intervento che, se dilazionato nel tempo, può risultare del tutto inefficace,

si pone l’accento sulla naturalità delle cure e vengono coinvolti come parte attiva i genitori66.

C’è da considerare però il fatto che tutte le principali agenzie67 che da anni si occupano dell’autismo

disconoscono la validità del metodo DAN! adducendo solide basi scientifiche alle loro affermazioni.

L’appunto che viene mosso è che non solo tale metodo non guarisce l’autismo (cosa che del resto non è in

grado di fare nessun altro “metodo”), ma esso non rientra nemmeno nei programmi esistenti che nel tempo

hanno dimostrato la loro efficacia. Ad aggravare la situazione c’è anche il fatto che esso millanta la validità

di rimedi che sono già stati testati e screditati nonché di strumenti68 del tutto inadatti per la diagnosi

dell’origine dell’autismo.

Come si può notare la polemica è aperta e difficilmente potrà essere risolta nel giro di poco tempo.

Alle contestazioni degli scienziati rispondono le parole commoventi e piene di speranza dei genitori69 che

hanno “curato” i propri figli col metodo DAN! di fronte alle quali è ben difficile rimanere indifferenti.

66 Il primo passo che la famiglia deve compiere è quello di compilare un questionario sul comportamento del bambino. Quest’ultimo quindi deve essere sottoposto ad una serie di esami presso strutture statunitensi e nel frattempo i genitori inoltre scrivono un rapporto dettagliato sulla giornata tipo del figlio. E’ necessario allegare anche fotografie di dettagli del viso e filmati che catturino i comportamenti più tipici del bambino. Essi dovranno poi anche monitorare scrupolosamente eventuali miglioramenti del figlio (miglioramenti reali o resi visibili dall’ansia che qualcosa finalmente cambi?) 67 NIMH (National Institute of Mental Health), NIH (National Institute of Neurological Disorders and Stroke), IACAPAP (International Association of Child and Adolescent Psychiatry and Allied Professions) ed Autisme Europe per citare solo quelle principali. 68 Un esempio potrebbe essere l’analisi del capello che era già stata presa in considerazione, testata e rifiutata anni fa. Va detto che molti contestano anche l’atteggiamento “esterofilo” di coloro che attuano il metodo DAN!: essi infatti utilizzano esami di laboratorio ed alimenti particolari che sarebbero reperibili solo negli U.S.A. imponendo così costi molti elevati a chi loro si affida. Prescindendo dal fatto che tali analisi si possono fare anche nel nostro paese e che gli integratori alimentari sono ugualmente reperibili qui in Italia, si sottolinea anche il fatto che qualche anno fa sono state tentate le medesime strade, tra l’altro a costo zero per le famiglie coinvolte, secondo un progetto (di fatto mai andato in porto) che è possibile consultare e scaricare da Internet presso il sito www.autismoperche.it . 69 Ne ho trovate alcune, per esempio, sul già citato sito www.genitoricontroautismo.org ; sono anche quelle della trasmissione Report , e dal sito www.iodellasalute.it è possibile scaricare filmati di bambini “guariti” dall’autismo.

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PARTE III

La Comunicazione Facilitata

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LA COMUNICAZIONE FACILITATA

La Comunicazione Facilitata (C.F.)70 nasce in Australia, a Melbourne, presso il centro per la

comunicazione “Dignity through Education and Language”, fondato nel 1986 da Rosemary Crossley71,

destinato all’assistenza di persone incapaci di linguaggio verbale. In un primo momento fu utilizzata

esclusivamente con soggetti colpiti da paralisi cerebrale, solo in seguito furono sperimentate le sue

potenzialità con persone autistiche. Essa si presenta come un’alternativa al linguaggio verbale per coloro che

non lo possiedono o lo possiedono in modo ecolalico e/o stereotipato.

Tale tecnica si è diffusa dall’inizio degli anni ’80 in Australia, U.S.A.72, Canada73, Francia, Germania,

ed altri Paesi del Nord Europa74. In alcuni di essi è entrata a far parte dei programmi scolastici nelle scuole

speciali.

In molti casi la comunicazione facilitata è stata scoperta ed utilizzata spontaneamente, soprattutto da

genitori i cui figli erano stati rifiutati anche dalle scuole speciali. Essi, infatti, seguendo con attenzione ed

avendo fiducia nelle capacità dei figli, si sono accorti che questi erano in grado di leggere in modo globale e

che riuscivano a distinguere e conoscevano le lettere dell’alfabeto.

Su queste basi hanno iniziato, spesso in modo del tutto casuale, a farli scrivere, ora su una tastiera, ora

con una penna, sostenendo loro la mano o toccando altre parti del corpo. I ragazzi, rassicurati dalla vicinanza

fisica, riuscivano a produrre testi semplici e quindi a comunicare. Le strategie messe in atto erano del tutto

personali ma pur sempre riconducibili alla presenza ed al contatto facilitante che sono appunto la base della

C.F.

In Italia si è diffusa tramite l’esperienza personale della Dottoressa Patrizia Cadei75 che, dopo averla

sperimentata con il figlio affetto da autismo, non solo ne ha promosso la diffusione, ma ne ha anche

controllata l’applicazione e la salvaguardia.

70 Non manca la confusione tra i termini utilizzati nel campo della comunicazione: esistono infatti la “comunicazione aumentativa” e la “comunicazione aumentativa e alternativa” che, però, non vanno confuse con la C.F. le cui caratteristiche verranno analizzate in questo capitolo. 71Per la stesura del presente capitolo ci siamo serviti essenzialmente del suo testo: Crossley R., 1998. Ella era un’insegnante attiva presso il St. Nicholas Hospital e già agli inizi egli ani ’70 impiegò la C.F. con 12 bambini con handicap fisici e mentali. Sulla base delle sue osservazioni ritenne che i soggetti con cui aveva sperimentato tale tecnica possedessero abilità intellettuali normali o anche superiori alla norma, ma non riuscì a convincere di ciò i suoi superiori che di fatto le impedirono di procedere con la sperimentazione e successivamente le imposero l’allontanamento dall’ospedale. 72 Venne importata in questo paese nel 1989 da D. Biklen, sociologo e docente di istruzione speciale presso la Syracuse University, che aveva conosciuto il lavoro della Crossley. 73 Grande importanza per la conoscenza della C.F. hanno qui avuto i mass media (giornali e programmi televisivi 60 Minutes e Frontline, in particolare). 74 Nel 1990 una logopedista collaboratrice di Biklen illustrò il metodo ad un gruppo di genitori di bambini affetti da autismo a Berlino.Tra questi era presente anche Anne-Marie Sellin, la madre di Birger il ragazzo che nel 1993 sarebbe diventato famoso con la pubblicazione del suo libro (Sellin B., 1995) che parlava della sua condizione e che riuscì a scrivere proprio grazie alla C.F. A seguito di tale esperienza si diffonde la conoscenza del metodo e cominciano ad essere condotti numerosi studi osservativi sui ragazzi facilitati. Più o meno lo stesso percorso viene seguito anche in Francia dove Vexiau fonda un centro specializzato (l’EPICEA, Insegnamento Pratico e Informazione sulla Comunicazione con il Bambino Autistico). 75 Patrizia Cadei è la mamma di Alberto, un ragazzo affetto da autismo, col quale utilizza la C.F. Ella ha appreso tale tecnica nel 1992 dopo un viaggio negli U.S.A. in occasione del quale contatta Biklen. Insieme a Francesca Benassi,

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La C.F. non è un metodo psicoeducativo né una terapia76. La sua applicazione costante, però, finisce

con l’avere effetti terapeutici. Permette infatti a soggetti con gravi difficoltà nella comunicazione,

nell’interazione e nell’uso del linguaggio di comunicare e di avere più fiducia nelle possibilità di farlo.

Siamo di fronte ad una tecnica che rende possibile alle persone che presentano gravi difficoltà

nell’interazione sociale e nella comunicazione con gli altri interagire usando la competenza dell’indicare. Di

per sé non richiede particolari sforzi di applicazione, ma il preciso rispetto dei suoi passaggi e delle sue

tappe, per aiutare chi incontra problemi in questo campo a superare le disabilità che non consentono

l’utilizzo di una comunicazione convenzionale. La “facilitazione” si esplica con un tocco o con una presa e

serve al soggetto per avviare un’azione, per eseguirla correttamente e per raggiungere un obiettivo richiesto o

volontario. Come si vede, essa non è legata soltanto ad aspetti di comunicazione scritta ma si può estendere

anche a comunicazioni posturali, mimiche ed al linguaggio. “Facilitare” non significa accompagnare,

spingere o guidare, quanto piuttosto presentare un modello, mostrandolo, o improntare una richiesta

verbale77. Parleremo in questo caso di “facilitazione indiretta”. Se invece lo start di avvio viene dato da un

contatto tra i soggetti lo chiameremo “facilitazione diretta”78.

La motivazione scientifica del perché un soggetto si attivi con un tocco non è a tutt’oggi del tutto

chiara, sono in corso però studi e ricerche che confermano, almeno a livello empirico, che il tocco o la

pressione o il blocco dell’arto prima dell’attivarsi del movimento permette di organizzare a livello centrale

una migliore precisione del movimento stesso.

Come abbiamo detto, la principale competenza coinvolta nella tecnica della C.F. è la capacità di

indicare. Tale capacità si sviluppa nel bambino spontaneamente come prima forma di comunicazione esterna

direttrice del “Centro Studi sulla Comunicazione Facilitata” di Roma, ha curato l’edizione italiana del testo di Biklen D. 1999 e si dedica anche al sito Internet www.geocities.com , si può ben dire che la C.F. arriva in Italia proprio grazie a lei. 76 Non è un caso se la pagina iniziale del testo citato sopra di Biklen contiene un interessante schema volto a chiarire, ancor prima di iniziare la lettura del libro, caratteristiche e funzioni della C.F.: COMUNICAZIONE FACILITATA

• E’ una strategia alternativa all’impossibilità di comunicare in assenza di linguaggio verbale o in presenza di linguaggio non comprensibile.

• E’ una modalità diversa di rapportarsi ai pazienti. • E’ un’alternativa alla mancanza di comunicazione. • Può essere utilizzata in qualsiasi contesto. • Consente di raccogliere informazioni che altrimenti non potremmo mai conoscere

COSA NON È LA COMUNICAZIONE FACILITATA • Non è antitesi a metodologie comportamentali educative. • Non consente inferenze o interpretazioni. • Non è induzione ma rilevazione di informazioni comprensibili attraverso il linguaggio scritto o attraverso il

gesto di indicazione. • Non è alfabetizzazione. • Non è in contrasto con altri linguaggi (gestuale, mimico etc.) ove possibili.

77 Il metodo è sempre stato considerato quanto meno “controverso” (l’aggettivo è stato preso a prestito da Grandin T. 2002:57) e, dopo un iniziale successo che portò gli addetti ai lavori a salutarla come uno straordinario progresso tanto che si avanzò subito l’ipotesi che le persone autistiche afflitte dai deficit più gravi avessero poi in realtà intelligenza ed emozioni perfettamente normali, successivamente studi ulteriori dimostrarono che in molti casi era il facilitatore ad esprimere le proprie emozioni muovendo la mano del soggetto autistico. 78 Pensiamo ad un soggetto che calcia la palla solo in seguito ad uno start verbale “vai, prendi”: siamo evidentemente in presenza di una facilitazione verbale e, quindi, “indiretta”. Pensiamo invece ad un soggetto che calcia la palla solo se viene toccato alla gamba: qui si tratta di facilitazione “diretta”.

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al proprio sé verso gli otto - nove mesi. Nei bambini con danno neuromotorio o neuropsicologico (è il caso

dell’autismo) questa competenza o non si sviluppa oppure si sviluppa in ritardo, e comunque non raggiunge

mai un livello di precisione soddisfacente tale da poter essere utilizzato nello scambio comunicativo.

Per accedere alla tecnica sono richiesti dei requisiti che sono valutati durante un periodo di

osservazione nel quale è indispensabile instaurare una relazione di fiducia e di chiarezza con il soggetto. Si

valutano: la presenza o meno di deficit linguistici, di deficit prassici, di difficoltà a livello posturale,

l’incapacità di indicare su richiesta verbale, le modalità di attivazione del movimento se toccati e la capacità

di raggiungere l’obiettivo. Ulteriore attenzione viene prestata a come avvengono i processi di avvicinamento

operatore-soggetto79. Sono oggetto di analisi anche eventuali interessi per libri e giornali80. Un altro

parametro da valutare è la mano predominante del soggetto; in molte occasioni si osserverà un’assenza di

lateralizzazione che necessariamente verrà superata dall’imposizione, da parte dell’operatore, ad utilizzare un

arto piuttosto che il controlaterale.

Le osservazioni vanno fatte in un luogo contenuto, con pochi elementi, senza molte distrazioni, senza

disturbo e vanno attivate tutte le strategie tendenti ad abbassare l’ansia.

3.2. LA TECNICA81

La C.F. si avvale di un “facilitatore”. Si tratta di una persona che, davanti ad una tastiera, chiamata

comunicatore, provvista di lettere, simboli o immagini, sostiene il movimento del soggetto autistico

aiutandolo a ritrarre la mano dopo ogni esecuzione. E’ evidente che c’è un contatto molto stretto ma, almeno

nella fase iniziale, è necessario che l’operatore “senta” sul proprio corpo le variazioni del tono pressorio

esercitato in risposta alle resistenze del soggetto. Tale tecnica prevede una precisa conoscenza del metodo ed

un atteggiamento di profondo rispetto da parte del facilitatore, in modo da evitare manipolazioni82.

Il facilitatore deve aiutare il soggetto a superare i problemi di carattere fisico83 e lo deve condurre a

sviluppare schemi di movimento che siano funzionali.

79 Per esempio se il soggetto tende a muoversi specularmene rispetto all’operatore, se mantiene sempre una “distanza di sicurezza”, se non accetta il contatto fisico. 80 In questo caso si verifica per esempio se, presentati dal lato rovescio, vengono sempre raddrizzati. I medesimi aspetti vengono valutati per parole scritte su cartoncini. 81 Ho avuto in fotocopia dalla tutor che mi ha seguito nel tirocinio alla scuola media le sbobinature degli Atti del corso di formazione intitolato “Autismo e comunicazione facilitata: una strategia di intervento” che si è tenuto a Novara nei giorni 8-15-22 settembre e 6 ottobre 2001,organizzato dall’ANGSA, e che ha avuto come direttore il dr. M. Brighenti (primario 2° servizio N.P.I. P.E.E. ASL 20 di Verona). Ho trovato interessante questo materiale soprattutto perché, non solo fa riferimento a nozioni che troviamo anche sui testi “sacri” dedicati alla C.F., ma presenta anche dati ed elementi concreti che è difficile reperire altrimenti; peccato, però, che la qualità della sbobinatura lasci molto a desiderare. 82 L’addestramento al metodo della comunicazione facilitata prevede un lungo lavoro che può richiedere fino a sei anni perché il soggetto possa acquisire una competenza di base nell’uso degli ausili di comunicazione senza facilitazione. 83 Le difficoltà che più frequentemente ricorrono sono: scarsa coordinazione occhio/mano, basso o elevato tono muscolare, problemi nell’isolare e nell’estendere il dito indice, tremori, instabilità dei muscoli del radio e dell’ulna, utilizzo di entrambe le mani per un compito che ne richiederebbe una sola, perseverazione, disprassia, problemi di avvio, impulsività, instabilità prossimale, difficoltà a separare i movimenti degli arti da quelli del tronco, scarsa coscienza propriocettiva, mancanza di sicurezza. Per ciascuno di questi problemi la Crossley propone degli specifici esercizi fisici e/o l’utilizzo di semplici strumenti (leggii, sedie speciali ecc.).

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Ogni soggetto ha tempi propri per accettare la tecnica, ma il facilitatore può utilizzare a tal fine alcuni

accorgimenti84: diminuire i contatti fisici non essenziali, segnalare l’intenzione di toccare, indicare ed

informare dove si intende toccare, segnalare ogni cambiamento del tocco, ridurre le informazioni non

rilevanti, aspettare e pretendere una risposta da parte del soggetto.

In molti soggetti si osserva la presenza di azioni ripetitive e apparentemente prive di finalità

(stereotipie) o tentativi di produzione verbale (stereotipie verbali) che, sostituendosi alla vera e propria

comunicazione, possono essere visti come tentativi di comunicazione andati a vuoto. E’ come se questi

soggetti nel tentativo di comunicare attivassero un qualcosa che però non riesce ad esprimersi in modo

congruo, oppure come se fossero bloccati non tanto dall’incapacità di rappresentazione quanto da quella di

trovare il giusto movimento o la giusta sincronizzazione verbale. Tali tentativi, in particolare in soggetti

adulti, sono divenuti abitudinari e risulta pertanto estremamente impegnativo per loro ridurre od omettere

queste azioni.

Da quando il contatto entra a far parte dell’esperienza a due ci si inoltra maggiormente nella tecnica

della comunicazione facilitata. In questa fase è fondamentale essere aperti e misurati nel porre le domande

calibrando le richieste alle possibilità di risposta. E’ necessario rivolgersi al soggetto come si parlerebbe ad

un soggetto normale della stessa età, spiegando che la facilitazione si è mostrata efficace anche in molti altri

casi. Il linguaggio da usare deve essere semplice ma non semplicistico. Bisogna mantenere una richiesta

finché non viene data una risposta pur considerando che ogni soggetto ha tempi diversi.

Può risultare necessario a volte contenere il soggetto; l’ansia infatti è un aspetto comportamentale che

va gestito dando stabilità e continuità all’intervento. A tal proposito possiamo parlare di ansia da

esposizione85 e ansia da prestazione86.

L’ansia si riduce se l’operatore non fornisce inutili scenari al contesto, se usa un linguaggio concreto,

se formula chiaramente semplici proposte, se non complica o arricchisce inutilmente gli argomenti, se

richiede risposte ad argomenti ben noti al soggetto. E’ opportuno prepararsi inoltre prima il piano di lavoro,

prevedere delle alternative, offrire un supporto fisico ma anche psicologico, scegliere attività adatte all’età.

Il training prevede i seguenti passaggi:

1. indicare oggetti, colori, forme, immagini, parole singole, a coppie, scelte multiple.

2. dare ritmo e continuità al gesto dell’indicare, mai accompagnare o dirigere, allenare alla

comunicazione facilitata.

3. diversificare il lavoro per livello di età87.

Per l’avvio di una comunicazione personale di desideri, preferenze, pensieri, si usano all’inizio due

grossi cartelli con scritto: “sì” e “no”, che il soggetto deve indicare quando il facilitatore pone delle domande

84 Cfr. Willliams D. 1998. 85 Essa si esplica nella fase di interazione con l’altro ed i parametri che vengono messi in gioco sono: la vicinanza/lontananza, lo sguardo diretto, indiretto, la postura. 86 Essa si attiva nel momento della richiesta di performance e limita molto la possibilità del soggetto di rispondere e quindi di essere valutato. 87 Se il referente della tecnica è un adulto, possiamo immaginare che i processi di lettura siano o meno attivati; nel bambino la lettura può essere insegnata anche se alcuni canali percettivi o dispercettivi possono limitare di molto i segnali in ingresso, e quindi compromettere l’acquisizione di nuove informazioni.

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chiare e precise. Questo semplice sistema potrà essere usato dai famigliari per le comunicazione della vita

quotidiana.

Quando ci si è accertati, dopo lunghe prove, che il facilitato ormai conosce le lettere dell’alfabeto, si

procede utilizzando una grossa immagine di tastiera di macchina da scrivere o computer; solo quando il

gesto avrà acquisito precisione e forza si potrà passare alla tastiera reale. I facilitatori consigliano

inizialmente l’uso di una macchina da scrivere portatile con display ed anche di un vocalizzatore88.

L’obiettivo della comunicazione facilitata è quello del raggiungimento di un’autonomia di scrittura e

quindi, a mano a mano che i gesti si fanno più consapevoli e precisi, si alleggerisce la facilitazione. Di solito

si passa dalla facilitazione al polso a quella del gomito, dal gomito alla spalla, dalla spalla alla testa (alcuni

toccano la nuca, altri sfiorano soltanto i capelli) fino ad eliminare il tocco oppure ad appoggiare una mano

sulla gamba. Successivamente può essere sufficiente la semplice vigilanza o presenza del facilitatore, fino al

raggiungimento dell’autonomia; in questo caso possiamo vedere che a volte il facilitato si “autofacilita”

sostenendo con una mano il polso dell’altra.

Il compito del facilitatore, come abbiamo già detto, non è affatto facile. La Crossley ha elaborato un

decalogo89 in cui raccoglie quelli che sono i comportamenti ideali affinché la comunicazione sia efficace.

1. Controllare il contatto visivo. Consiste nella costante verifica che il soggetto facilitato guardi

il display o la tastiera. Per arrivare alla riduzione del supporto è fondamentale lo sviluppo della

coordinazione occhio-mano e delle capacità di autocontrollo.

2. Controllare la produzione. Quando il messaggio che ci viene dato non è chiaro, è necessario

farlo presente: a volte si tratta di semplici errori di battitura, per cui bisogna invitare il soggetto a

cancellare e riscrivere le parole, altre volte, invece, siamo di fronte ad un individuo che non sa cosa

dire e manifesta questa sua “perplessità” producendo una comunicazione inintelligibile. E’ evidente

che ogni equivoco va chiarito, magari strutturando meglio la comunicazione stessa.

3. Tirare indietro. I problemi di funzionalità della mano non si risolvono spingendola in avanti,

anzi, molti soggetti traggono vantaggio dalla resistenza fisica che si offre loro, proprio tirando

indietro l’arto oppure rallentandone i movimenti. In questo modo il facilitatore si protegge dal rischio

di suggerire accidentalmente le risposte al soggetto.

4. Ridurre il supporto. Se lo scopo della C.F. è quello di giungere ad un uso indipendente

dell’ausilio, è chiaro che il livello di facilitazione utilizzato va sottoposto ad una costante verifica,

ma soprattutto va sempre mantenuto al livello minimo necessario perché l’ausilio sia utilizzato in

modo proficuo.

88 Il primo strumento è funzionale a superare la difficoltà di controllare uno schermo verticale per un soggetto che ha problemi nello stabilire un contatto oculare con la tastiera orizzontale. Il vocalizzatore ripete le lettere e le parole digitate, cosa che in sua assenza fa il facilitatore, e questa modalità ha una funzione di rinforzo e di facilitazione sul canale uditivo; accompagna inoltre il pensiero del soggetto e lo aiuta ad una maggiore coerenza. 89 R. Crossley 1998:133

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5. Non esagerare nelle interpretazioni. Sembra scontato ed invece non lo è: qualsiasi significato

attribuito ad una sequenza di consonanti priva di vocali oppure ad una sequenza i sostantivi senza

verbo è frutto di una nostra interpretazione90.

6. Non credere a tutto ciò che viene detto. Le persone con disabilità possono esagerare,

fantasticare e mentire esattamente come tutte le altre. Un’affermazione di per sé improbabile, non

diventa vera solo perché è stata scritta.

3.3. UTILITÀ DELLA COMUNICAZIONE FACILITATA

Grazie alla C.F. è possibile ottenere informazioni e spiegazioni di prima mano sulle difficoltà

sperimentate dalle persone affette da autismo. Essa porta anche un cambiamento nella visione che gli altri

hanno di loro, consente cioè di non considerarli più ritardati mentali ma persone in grado di pensare impedite

però dalla loro disabilità che non gli consente di dimostrare le proprie competenze intellettive.

Come abbiamo detto la C.F. fornisce anche un supporto psicologico. Il facilitatore infatti deve essere

fonte di sicurezza e fiducia per il facilitato, ma al tempo stesso deve credere nella capacità che la persona ha

di imparare e con il suo comportamento empatico deve trasmettere questa fiducia.

E’ fondamentale creare un clima nel quale la persona si senta protetta, incoraggiata e sostenuta. Il

facilitatore deve promuovere ed assumere un atteggiamento positivo, è tenuto a mostrare interesse per le idee

espresse dal facilitato.

Il ruolo del facilitatore è quello di assicurare che la persona facilitata sviluppi la capacità di

comunicare i suoi pensieri. E’ ovvio che a tal fine deve rifuggire dall’interpretazione, deve evitare di

anticipare le lettere o le parole, è importante che insegni al soggetto ad affermare le proprie scelte ed anche a

protestare.

Per assicurarsi che la persona facilitata non sia influenzata nella comunicazione da chi la facilita è

opportuno affiancarle più facilitatori. La loro pluralità, oltre a consentire una più vasta gamma di rapporti

comunicativi, accelera l’avvio dell’autonomia di scrittura poiché permette al facilitato di prendere sempre

maggior coscienza delle proprie capacità.

3.4. CRITICHE E RISCHI DELLA COMUNICAZIONE FACILITATA

Uno dei rischi, nonché motivo di critiche e scetticismo verso la C.F., è quello della possibilità di

manipolazione da parte di facilitatori non sufficientemente esperti, rispettosi o attenti a non sovrapporre le

proprie proiezioni, intenzioni o fantasie a quelle che emergono dalla persona autistica.

Altro rischio è quello di attivare attese magiche nella persona autistica, nei suoi familiari e negli

insegnanti stessi.

90 Se interpretare “mamma latte” può essere facile, non lo è altrettanto capire cosa significa “uomo coltello”.

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Capita molto di frequente che i soggetti inizino a comunicare con grande entusiasmo (scrivono di sé,

svolgono compiti anche complessi, eccetera) ma tutto ciò dura fino a quando vogliono dimostrare le loro

competenze all’ambiente che li circonda. Quando però poi il lavoro diventa routine, le richieste si fanno più

precise, ma i contatti con i coetanei sono sempre superficiali se non impossibili ed improntati ad un certo

assistenzialismo, sopraggiunge il momento della crisi, in cui la comunicazione viene rifiutata o ridotta ai

minimi termini. E’ come se ci dicessero “vi ho dimostrato di essere capace ma questo non ha cambiato il mio

rapporto con il mondo ed il rapporto che il mondo ha con me, quindi lasciatemi stare”.

Una delle più comuni obiezioni alla C.F. è relativa ad una sua inutilità al raggiungimento di

un’autonomia nell’uso “vero” del linguaggio, infatti i soggetti resteranno legati al facilitatore ed al

comunicatore per potersi esprimere.

Anche la questione dell’attendibilità delle comunicazioni tramite C.F. ha suscitato molte discussioni.

L’ American Psychological Association91, l’American Speech-Language Hearing Association92, l’ American

Academy of Child and Adolescent Psychiatry93, l’ American Association on Mental Retardation94 e

l’ Association for Behavior Analysis95, per esempio, sono fortemente contrari. Invece l’Autism Society of

America nel 1998 esplicita la propria neutralità in merito96.

Sono state utilizzate molte procedure per indagare sull’efficacia della C.F. Per esempio, si è sostituito

con un sostegno meccanico il braccio del facilitatore. In un numero rilevante di casi si è notato che i soggetti

autistici, privati della presenza fisica del facilitatore, si dimostravano incapaci di rispondere in modo

indipendente alle domande. L’obiezione mossa dai sostenitori della tecnica consisteva proprio nel fatto che il

soggetto veniva privato del senso di sicurezza e di fiducia che solo una persona fisicamente presente può

dare e che, nel caso di individui affetti da autismo, è la conditio sine qua non per poter comunicare.

Altri ricercatori hanno usato le condizioni del blind testing. In questi casi i facilitatori erano all’oscuro

delle domande che sarebbero state poste al soggetto da valutare, non avevano tutte le informazioni relative ai

test, oppure ancora venivano isolati dagli stimoli visivi diretti al soggetto. In tutti questi i casi i risultati sono

91 Nel 1994 ha sostenuto che gli studi condotti sulla C.F. hanno dimostrato ripetutamente che questo non è un metodo scientifico valido per soggetti con autismo o con ritardo mentale. Sconsiglia quindi il suo utilizzo per eventuali conferme o confutazioni di affermazioni relative ad abusi sessuali o per assumere decisioni diagnostiche o relative ai trattamenti cui sottoporre il soggetto. 92 Troviamo le stesse posizioni: sulla base dei risultati pubblicati i messaggi prodotti con l’ausilio della C.F. non possono essere attribuiti alle persone con autismo in modo del tutto attendibile, mentre, al contrario, risultano evidenti le interferenze del facilitatore sulle risposte. Anche l’ASHA sconsiglia l’uso della C.F. nei casi di denuncia di abuso sessuale e nelle decisioni relative alle diagnosi ed ai trattamenti da seguire. 93 Secondo tale associazione la C.F. è una tecnica del tutto priva di una convalida scientifica. Ancora una volta viene ribadito il fatto che tale sistema non va utilizzato per confermare o smentire affermazioni relative ad abusi e/o per prendere decisioni terapeutiche o diagnostiche. 94 Va evitato in modo assoluto l’uso della C.F. per qualunque decisione rilevante debba venir presa nei confronti di soggetti facilitati senza che emerga un’evidenza chiara ed oggettiva della paternità di ogni singolo messaggio. 95 La tecnica viene addirittura considerata screditata, il suo utilizzo è ingiustificato ed immorale perché manca un’evidenza scientifica che possa constatare i benefici e le condizioni specifiche per un uso proficuo della C.F. 96 L’ASA comunque si propone di informare in modo accurato su tutte le novità e ricerche della comunità scientifica in merito alla C.F. Demanda alle famiglie, agli operatori ed a tutti coloro che sono in contatto con i disabili la decisione se usare la C.F. o meno, e consiglia in ogni caso di subordinarne l’impiego all’uso di altre tecniche di comunicazione aumentativa.

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stati concordi nel dimostrare che il soggetto risultava incapace di rispondere alla maggior parte delle

domande di cui il facilitatore ignorava la risposta.

Altrettanto interessante è l’esperimento condotto da Kezuka97. La sua ricerca verte sui movimenti

ideomotori del facilitatore analizzando con estrema cura (30 fotogrammi al secondo) una registrazione video

del soggetto facilitato. Il soggetto in questione tendeva a compiere molti rapidi movimenti verso differenti

tasti, omettendo però quelli giusti, prima di arrivare a fermarsi su di essi. Inoltre, con questo esame, sono

state evidenziate le sue difficoltà a lavorare con un facilitatore con cui non aveva avuto recenti contatti ma

ancor più si manifesta l’incapacità di comunicare avvalendosi della collaborazione di facilitatori sconosciuti.

Questo studio farebbe pensare all’esistenza di movimenti inconsci del facilitatore ed è inoltre stato possibile

anche notare numerosi segnali visivi. La conclusione cui arriva Kezuka è che il soggetto riesca a ricevere

suggerimenti inconsci molti sottili da parte del facilitatore e che proprio grazie a questi preme il tasto giusto.

Questa può essere considerata una forma efficace di condizionamento. Il fatto poi che il facilitatore, a fronte

di una risposta esatta lo elogi, non fa altro che rinforzare il comportamento. Si crea una sintonia tra il

soggetto facilitato ed i movimenti del facilitatore che però a sua volta determina una dipendenza pressoché

totale. Il facilitatore, incoraggiato dai successi nel comunicare del soggetto ed inconsapevole di quei

movimenti ideomotori, non fa altro che innescare un vero e proprio “controllo motorio” e perseverare, di

conseguenza, nel mantenerlo.

Le principali agenzie che si occupano di autismo, come abbiamo visto, negano la validità della

comunicazione facilitata nei tribunali, in particolare in occasione di accuse di abuso sessuale. Nella

stragrande maggioranza dei casi che sono stati esaminati, è emerso che tali accuse risultavano infondate e

provenienti dai facilitatori (e quindi dall’uso quanto meno maldestro della C.F.) piuttosto che dai soggetti

(per lo più bambini) che si trovavano in tribunale. Le conseguenze di tali eventi non sono affatto da

sottovalutare: i bambini per tutta la durata dell’inchiesta vengono separati dai genitori che poi a loro volta si

trovano costretti a spendere ingenti somme di denaro per uscire da tale situazione. Si possono poi

quantificare i traumi provocati dallo stress e dall’angoscia sia nella famiglia che nel soggetto? Alcune

considerazioni che si possono ora fare non mi sembrano di relativa portata nella misura in cui coinvolgono

anche noi docenti: il personale scolastico può essere ritenuto responsabile d’aver utilizzato tecniche

sperimentali, prive di basi scientifiche, che possono causare danni finanziari ed emotivi assai gravi alle

famiglie? Dal momento che il soggetto facilitato potrebbe essere privato di un’educazione appropriata, è

possibile pensare che siano stati violati i suoi diritti?

Non credo che si possa rimanere indifferenti di fronte ai problemi che tale tecnica solleva proprio

perché è in gioco il diritto all’educazione dell’individuo, in generale, che, nel dettaglio, è un individuo

disabile.

Coloro che invece sono favorevoli alla C.F. denunciano la mancanza di validità degli studi psicologici

citati dagli oppositori.

97 E. Kezuka 1997:571-593, che io ho letto nell’articolo di Anna Bigazzi (Bigazzi A., 2004: 24-26).

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Alcuni studiosi propongono, per superare tale situazione, di sviluppare un protocollo di test affidabile

ed accettato da entrambe le parti, in modo da accertare quindi se, in relazione ai singoli soggetti esaminati, la

C.F. funzioni. Per fare un esempio, Patrizia Cadei avanza la proposta che vengano considerati facilitatori

solo coloro che sono stati formati presso uno dei centri riconosciuti e che abbiano lavorato per almeno otto

mesi con una persona con disabilità sotto un’adeguata supervisione. Altre regole sono state elaborate: a)

applicare la C.F. rispettando con precisione la consequenzialità di fasi specifiche; b) far preparare la persona

disabile da un esperto che elabori un programma da far seguire alla famiglia, agli insegnanti ed agli operatori

coi quali la persona dovrà lavorare; c) sconsigliare fortemente l’uso della tecnica agli psicoanalisti, a meno

che non lo richieda in modo esplicito il facilitato.

Al momento tale mezzo di valutazione non è ancora stato elaborato e ciò spiega le opinioni divergenti

che abbiamo citato.

La C.F. non può guarire dall’autismo e dalla dipendenza che questa sindrome comporta, offre però la

possibilità di dare parola alle esperienze, di essere capiti e di condividere con altri il proprio vissuto.

L’interesse di coloro che applicano la C.F. è rivolto alla persona con autismo, ed è per questo che sono

innegabili la sua utilità nel miglioramento della qualità della vita e la possibilità che offre per il “progetto di

vita”.

Mi piace concludere questo capitolo riportando le parole di una ragazza che si avvale della

comunicazione facilitata98 perché sono, secondo me, particolarmente significative: “Per coloro che non sono

in grado di farlo, parlare dipende spesso dalla generosità degli altri, sia nel volerne dare

un’interpretazione, sia nel fornire facilitazione, sia nel concedere tempo per ascoltare ciò che desiderano

comunicare. Questo è inevitabile, ma deve esserci un diritto irrinunciabile a fare conoscere le proprie

opinioni su argomenti che riguardano il proprio benessere futuro…. Non esiste un diritto ad essere ascoltati,

non c’è un diritto ad un interprete, non c’è l’obbligo ad ascoltare…. La comunicazione rientra nella stessa

categoria di cui fanno parte anche il cibo, l’acqua e un tetto: è indispensabile per vivere. Senza la

comunicazione, la vita perde ogni valore.

98 Ne parla la Crossley (1998:16) come di un esempio estremamente importante. La giovane Anne McDonald, infatti, ebbe modo di difendere se stessa, il proprio diritto alla comunicazione e l’uso della C.F. addirittura in tribunale.

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INDICE RAGIONATO

Parte I: Natura, caratteristiche dell’autismo e breve excursus storico

1.1

D. GROSSMAN, (2000) Che tu sia per me il coltello, Mondadori Milano

Potrà sembrare strano che la mia scelta sia caduta proprio su questo libro, un romanzo che poco, o

meglio, nulla ha a che fare con la Comunicazione Facilitata. Si tratta di una lettura che ho fatto appena il

testo fu pubblicato su consiglio di una mia amica. Eppure, quando ho iniziato a pensare al mio portfolio ed

alla struttura che esso avrebbe avuto, mi sono tornate in mente quelle pagine in cui si descriveva il

progressivo manifestarsi della malattia nel piccolo figlio della co-protagonista. Non so, mi è sembrato che lo

scrittore avesse saputo cogliere nel segno descrivendo l’angoscia della madre e la sua perplessità di fronte al

fatto che il bambino, che fino a quel momento aveva cresciuto ed amato, si andava inesorabilmente

trasformando in un essere del tutto diverso ed impenetrabile.

1.2

R. L. SIMPSON - P. ZIONTS, (1994) Cosa sapere sull’autismo. Concetti base e tecniche educative,

Erickson Trento

Questo maneggevole volumetto, reperito grazie al prestito interbibliotecario, ha il pregio di essere

esaustivo senza annoiare. E’ costruito con il criterio delle domande - risposte e per questo motivo è

consigliabile a chi si appresta ad affrontare lo studio dell’autismo. In modo semplice e diretto risolve i quesiti

più comuni sulle tematiche legate alla malattia. Chi non conosce l’argomento può restare spiazzato di fronte

alla vastità ed alla complessità degli interrogativi che esso suscita, pertanto conviene partire da qui per

avvicinare un problema che ha talmente tante sfaccettature che è impossibile conoscerle tutte. Se poi chi

nutre l’interesse per la materia è un insegnante che per la prima volta si confronta con un alunno affetto da

autismo, direi che è il primo passo che mi sento di consigliare, facendo leva sulla mia esperienza personale:

quando ho avuto bisogno di informazioni su tutti gli aspetti (anche apparentemente banali e quotidiani) che

coinvolgono la vita dei soggetti autistici avrei voluto che qualcuno mi avesse fatto leggere questo testo.

1.3

Documento del NINDS sull’autismo

Ho avuto la fotocopia di questo documento, redatto dal NINDS e diffuso al congresso delle

Neuroscienze che si è tenuto a Washington dal 16 al 21 Novembre 1996, dalla tutor che mi ha seguito per il

tirocinio alla scuola media inferiore. E’ testo utile perché nella sua concisione permette di avere subito le

idee chiare in merito all’argomento ed agli interrogativi più immediati che suscita.

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1.4

M. D. AMY, (2000) Affrontare l’autismo, Armando editore Roma

Questo testo è stato la mia guida per l’elaborazione dell’excursus storico sulle teorie e gli studi

dell’autismo. Mi era stato consigliato dalla docente di Psicologia Clinica che mi aveva seguito, due anni fa

ormai, per la stesura della tesi finale di un Master che avevo frequentato. Mi aveva garantito che si trattava di

un testo aggiornato ed esauriente benché necessariamente sintetico. In effetti si è dimostrato un prezioso

aiuto per me che altrimenti mi sarei persa nei meandri degli studiosi che più o meno direttamente si sono

occupati di autismo. Troppa vasta è la messe degli studi che si trovano sull’argomento ed è difficile

districarsi per i non addetti ai lavori. Consiglio quindi la consultazione di questo testo (e non solo nella sua

parte iniziale che effettivamente fa il punto della situazione sugli studi).

1.5

A. & F. BRAUNER, (2002) Storia degli autismi. Dalle fiabe popolari alla letteratura scientifica, Erickson

Trento

Prescindendo dal fatto che questo libro merita d’esser letto tutto (e tutto d’un fiato), ho utilizzato per

il mio portfolio i capitoli dedicati ai ricercatori ed al lavoro svolto all’interno della scuola fondata dai due

autori. La scoperta di questo testo è stata del tutto casuale (un pieghevole pubblicitario trovato abbandonato

non si sa da chi in sala professori) ma quando si dice il destino… Mi è servito molto avere un testo che

fornisse non solo dati ed informazioni ma anche commenti e riflessioni perché spesso di fronte all’aspetto

puramente clinico (che non è proprio il mio campo) non mi sentivo in grado di formulare delle mie ipotesi

ma sentivo ugualmente l’esigenza di formulare un mio pensiero e magari di esprimerlo un po’ più a ragion

veduta. La lezione dei coniugi Brauner mi è anche servita dal punto di vista umano, il loro insegnamento

dovrebbe guidarci sempre nella relazione con chi si trova in difficoltà.

1.6

B. BETTELHEIM, (1979) La fortezza vuota, Garzanti Milano

E’ il testo fondamentale per conoscere la posizione di Bettelheim in merito all’autismo. E’ una

interpretazione che ha fatto scuola e che ha suscitato un mare di polemiche ma ancora l’idea che ci sia un

nesso tra l’autismo e la famiglia del bambino che ne è affetto è dura a morire, soprattutto a livello

“popolare”. Infatti, capita spesso, una volta entrati in contatto con tante madri (non si capisce bene il perché,

ma a scuola vengono quasi sempre loro) sfinite, arrabbiate e deluse, che si commenti frettolosamente “con

una madre così, cosa volevi?...”

1.7

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51

U. FRITH, (1996) L’autismo. Spiegazione di un enigma, Laterza Roma-Bari

Anche questo libro è stato inserito perché è il testo fondamentale della Frith. In tale testo ella ha

studiato le caratteristiche generali della malattia, che vede come un enigma, ed ha tentato di offrire al

pubblico dei lettori una sua personale soluzione. La lettura facile e piacevole permette a tutti di affrontare

questo argomento che per la sua drammaticità potrebbe senza problemi diventare veramente ostico.

PARTE II: gli approcci educativi e terapeutici

2.1

B. MONTI, (2004) “Alcuni approcci educativi e terapeutici per l’integrazione “comunicativa” e sociale delle

persone autistiche”, in Handicap & Scuola, n° 115, 8-15

Questo articolo è estremamente interessante perché, essendo di carattere generale, affronta in modo

semplice e schematico i principali metodi educativi analizzandoli uno alla volta. E’ da qui che sono partita

per approfondire le singole tematiche cercando conferme a quanto avevo letto. E’ particolarmente importante

il fatto che l’articolo presenti anche un aspetto critico: non si limita cioè ad elencare le caratteristiche dei

metodi più usati, ma si sofferma anche a mettere in luce quelli possono essere gli aspetti positivi e quelli

problematici. Con una guida così non mi è stato difficile organizzare il lavoro successivo.

2.2

E. SCHOPLER, (1998) Autismo in famiglia. Manuale di sopravvivenza per genitori, Erickson Trento

Da Bologna mi è arrivato questo testo pratico e maneggevole che è la base del metodo TEACCH. Mi

ero posta il problema del suo reperimento, in effetti la rete di Internet ed alcuni articoli offrivano la

possibilità di conoscere tale metodo anche prescindendo dalla consultazione del testo basilare di Schopler.

Non mi sono voluta però fermare qui ed il prestito interbibliotecario mi è venuto in aiuto. Ripeto, i concetti

fondamentali mi erano noti, ma visto che recuperare il libro non era impossibile ho preferito consultarlo

personalmente.

2.3

Available: http://www.autismoitalia.org

Ci sono moltissimi siti in Internet che, occupandosi di autismo, trovano spazio per parlare del

metodo TEACCH. Ho scelto di citare solo questo perché poi in fondo si assomigliano tutti per quello che

riguarda i contenuti, diverse sono invece le pagine e la fruibilità dei siti stessi. Questo mi è parso chiaro,

esauriente e facile da consultare. L’ultima caratteristica che ho citato per me è fondamentale visto che non

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sono una grande amante della rete dal momento che trovo non facile navigare in essa senza perdermi nei suoi

meandri.

2.4

C. H. DELACATO, (1975) Alla scoperta del bambino autistico, Armando editore Roma

Anche questo libro arriva dalla biblioteca dell’Università di Bologna. E’ evidente che il prestito

interbibliotecario funziona, per fortuna! Parlare del metodo ideato da Delacato senza poter leggere il suo

testo fondamentale non mi pareva troppo corretto. Il libro è scritto in modo semplice, quindi la sua

consultazione è agevole anche per chi non è molto addentro agli argomenti trattati. La passione e

l’entusiasmo che animano l’autore sono contagiosi.

2.5

Available: http://www.unpassoavanti.it

Navigando su Internet ho trovato questo sito, curato ed esauriente, che, tra gli altri argomenti apre

anche una pagina sul metodo Delacato. Fa riferimento ad un centro di studi specializzato in questo metodo.

E’ costituito da un indice dettagliato che contiene un po’ tutto quello che si vorrebbe conoscere

sull’argomento. Si tratta di un sito che mi è parso ben fatto ed utile.

2.6

Available: http://www.genitoricontroautismo.org

La conoscenza del metodo DAN! è avvenuta prevalentemente attraverso i siti Internet e questo è

stato il primo che ho consultato. L’elemento che prevale è quello del sensazionalismo: in effetti i toni sono

sempre molto accesi si infatti sono evidenziati in grassetto le parole-chiave (“l’autismo è trattabile” “E’

ESSENZIALE NON PERDERE LA SPERANZA” ). Non vengono fornite molte informazioni in merito

alle cure che vengono somministrate ma si pubblicizza l’esistenza di un forum aperto a tutti per scambiare

notizie, esperienze e risultati.

2.7

Available: http://www.iodellasalute.it

Anche questo sito pubblicizza il metodo DAN!. Di “interessante” e diverso rispetto agli altri siti che

ho già citato c’è la possibilità di scaricare filmati che mostrano bambini guariti dall’autismo. Non voglio qui

commentare l’opportunità di mettere su Internet simili immagini (si tratta pur sempre di bambini), mi chiedo

soltanto come possa districarsi chi si trova davvero in difficoltà in mezzo a questa messe di dati ed

informazioni che non si sa se siano mai stati sottoposti a qualche vaglio.

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Ho trovato anche i contenuti della filosofia del Dan! di Bernard Rimland. Si tratta di un testo

costituito da una breve introduzione che spiega le caratteristiche del metodo e da una serie di sottopagine che

rimandano ad abstract di articoli in inglese che riguardano l’autismo ed i disturbi che, secondo i sostenitori di

questa metodologia, sono ad esso connessi.

2.8

Available: http://www.rai.it

Mi è stato utile cercare sul sito della RAI il servizio che era stato mandato in onda dalla trasmissione

di raitre Report. Sono infatti riuscita a scaricare il testo del reportage che era qui riportato integralmente. Pur

non avendo seguito la trasmissione quando è stata mandata in onda ho potuto comunque conoscere i

contenuti della stessa e l’impostazione che era stata data alla trattazione. Ancora una volta ho dovuto

riscontrare la prevalenza della sottolineatura del metodo e dei successi che sono stati riscossi da chi ha deciso

di applicarlo, ma mancano delucidazioni, secondo me fondamentali, per capire con chiarezza di che cosa si

tratti.

2.9

Available: http://www.superabile.it

Qui ho trovato le voci “fuori dal coro” degli entusiasti del metodo DAN!. Mi è stato così possibile

riflettere dalla posizione privilegiata che occupa chi non è personalmente ed emotivamente coinvolto dalla

malattia. E’ uno spazio che conviene tenere presente, dà infatti la possibilità di soppesare gli elementi che ci

vengono forniti con uno spirito critico ma non disfattista od oppositore per partito preso.

2.10

Available: http://www.autismoperche.it

Grazie a questo sito ho trovato ulteriori informazioni sul metodo DAN! soprattutto ho potuto

scaricare alcuni dati relativi agli esami medici che sono richiesti per la cura e che, si sostiene, si possono fare

solo all’estero.

2.11

S. PAGNOTTI, (2005) “Oltre il muro dell’autismo – Dan, il metodo che arriva dagli Stati Uniti”, in

Famiglia Cristiana, n° 3, 52-55

Ho usato per ultimo questo articolo di cui ho avuto notizia consultando i siti Internet che si sono

occupati (e tuttora si occupano) del metodo DAN! Non si tratta di un testo indispensabile proprio perché mi

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pare scritto in modo acritico e superficiale. Dà notizia del metodo senza scendere in particolari, limitandosi

piuttosto ad intervistare i genitori di due ragazzi che hanno scelto di curare i loro figli con questo metodo.

Non è quindi necessario leggerlo se non per verificare come sia facile dare informazioni superficiali e non

verificate anche se in gioco ci sono la salute e la serenità di tante famiglie.

2.13

V. A. CHIRENTI - F. VERZELLA, (2005) Defeat autism now!, Valter Casini Editore, Roma

Ho recuperato questo libro grazie al prestito interbibliotecario. Ho ritenuto importate cercare di

averlo tra le mani per capire un po’ meglio il programma del metodo DAN! ma, dato che di fatto ripropone

esattamente tutto quello che è divulgato sui siti Internet, sono rimasta un po’ delusa (soprattutto per il

meccanismo che ho dovuto mettere in moto) perché non ha saputo dirmi nulla di nuovo.

PARTE III: La Comunicazione Facilitata

3.1

R. CROSSLEY, (1998) Il metodo della Comunicazione Facilitata, Quaderni di Savona provincia I

Sono voluta partire da questo libro perché è stato scritto da colei che ha, di fatto, “inventato” la

comunicazione facilitata. Mi serviva avere fin dall’inizio le idee chiare in merito ad un sistema di

comunicazione controverso. E’ evidente che la posizione della Crossley non può che essere favorevole

all’utilizzo di tale tecnica, però è consapevole dei rischi che facilitato e facilitatore corrono nell’avvalersene

e cerca di mettere in guardia che si avvicina alla CF, affinché impari al più presto ad evitare ogni

atteggiamento che possa indurre in errori e fraintendimenti.

Il testo ovviamente spiega con dovizia di particolari come funziona la tecnica della CF e tutto quello

che si deve fare per poterla applicare correttamente.

3.2

D. BIKLEN, (1999) La comunicazione facilitata, Omega edizioni Torino

Anche questo libro spiega il meccanismo della comunicazione facilitata ed è quindi da considerare

un testo fondamentale per chi vuole conoscere tale tecnica. Mi è stato consigliato dal tutor che mi ha seguito

durante il tirocinio perché lo ha usato moltissimo nel corso dell’anno, visto che con l’alunno che seguiva la

CF aveva cominciato a dare non pochi problemi.

3.3

A. BIGAZZI, (2004) “La comunicazione facilitata”, in Informautismo, n° 9, 24-26

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Questo articolo, invece, cerca di evidenziare i problemi legati all’influenzamento del facilitatore

producendo anche i dati di alcuni esperimenti che sono stati fatti in merito. Nella sua brevità e concisione si

presenta come un testo assai istruttivo e di agevole lettura. E’ consigliato a chi vuol sapere qualcosa di più

sugli aspetti “oscuri” di questa tecnica soprattutto perché essa viene utilizzata con soggetti affetti da una

malattia che gli studiosi stessi definiscono “enigmatica”.

3.4

Available: http://www.geocities.com

In questo sito, che ho consultato su indicazione del mio tutor, ho trovato materiale interessante sulla

comunicazione facilitata. Quanto qui reperito mi è sembrato corretto, potendolo valutare sulla base delle

letture che ho fatto per informarmi sulla tematica attorno alla quale ruota il mio portfolio.

3.5

B. SELLIN, (1995) Prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo, Bollati Boringhieri, Torino

Finalmente uno spiraglio di luce: non sempre la comunicazione facilitata è fonte di perplessità ma, al

contrario, permette a molti genitori di sentire notizie dall’intimo dei loro figli ed a loro di aprirsi e aprire il

guscio che li racchiude. E’ questo il caso di Birger Sellin che dopo quindici anni di silenzio inizia a dialogare

col mondo, a far conoscere i suoi sentimenti ai famigliari, a scrivere un libro…..

3.6

T. GRANDIN, (2002) Pensare in immagini ed altre testimonianze della mia vita di autistica, Erickson,

Trento

Ho letto questo bel libro ma di fatto ne ho utilizzato solo uno spunto perché di passaggio cita la

comunicazione facilitata parlandone come di uno strumento “controverso”. Il testo è appassionante e merita

un’attenta lettura, ci illumina su un mondo che per noi è e rimane misterioso. E’ bello anche perché ci offre

uno sguardo su di noi, sul nostro modo di agire, sui nostri comportamenti che, osservati con occhi diversi ci

paiono davvero assurdi, a volte.

3.7

D. WILLIAMS, (1998) Il mio e il loro autismo, Armando editore, Roma

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Ecco un altro testo scritto da una persona autistica. Non ho ovviamente utilizzato l’intero libro ma

solo quelle pagine in cui fa cenno alla comunicazione facilitata. I riferimenti a questo argomento non sono

molti ma in modo sintetico evidenzia le problematiche più comuni legate al suo impiego.

Non è un testo semplice, ciononostante ritengo che sia opportuno affrontarne la lettura. Sono

moltissimi gli spunti di riflessione e le occasioni di approfondimento che offre.

Ho trovato molti belli i versi che introducono a volte i capitoli, mi piacerebbe concludere questo

indice citandone alcuni:

Parlami del linguaggio,

a me, che non posso vedere le tue parole,

né “trattenere” un pensiero, elaborato

con conscia consapevolezza.

Parlami del linguaggio,

a me che non posso sperimentare la creazione,

ma soltanto il prodotto.

Parole nel vento: parole nel vento

come uccelli cadenti cadono,

da un cielo che non esiste,

con un testo che non è nemmeno percepito.

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UNITA’ DIDATTICA

La Cellula

Prerequisiti

1. la Comunicazione Facilitata è conosciuta da alcuni compagni

2. l’alunno ha acquisito la capacità di indicare

3. l’alunno conosce la cellula vegetale

Obiettivi generali

1. raggiungere la padronanza e l’autonomia nell’uso della comunicazione facilitata

Obiettivi specifici

1. imparare ad indicare un’immagine in modo autonomo

2. saper scegliere tra immagini simili

3. saper riconoscere la cellula animale

4. conoscere le parti della cellula

Contenuti

La cellula: struttura

Tempi

3 moduli

Modalità di attuazione

1. l’alunno segue la lezione insieme ai compagni

2. attività di rinforzo col supporto delle immagini

3. verifica

Strumenti

Libro di testo

appunti

lavagna

computer

microscopio

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I modulo

M. ascolta la lezione in classe insieme ai suoi compagni. Sta seduto al banco sulla sua sedia

personale (diversa ed un po’ più grande di quelle dei compagni) è calmo e sembra seguire la spiegazione. Gli

piace la materia? Il professore riesce ad interessarlo con le sue lezioni? Lo conosco da quasi due anni ed

ancora non sono riuscita a capirlo, però, certo è che è tranquillo. Seduto accanto a lui c’è un compagno di

classe, il docente di sostegno sta seduto in fondo alla classe e prende appunti per lui, l’educatore che

accompagna M. è addirittura fuori dall’aula. Sto seduta anch’io in disparte e mi godo la spiegazione: dopo

dovrò organizzare i contenuti in modo che M. possa apprenderli al meglio.

La lezione è vivace come al solito: l’insegnante spiega a braccio, sta in piedi ed usa moltissimo la

lavagna. I ragazzi prendono appunti ed intervengono facendo domande o proponendo collegamenti con altre

parti del programma. Il tempo scorre velocemente e M. è riuscito a stare in classe per tutta l’ora!

Nell’ora successiva scendiamo in laboratorio. Il tecnico ha già predisposto i microscopi per

l’osservazione di alcuni vetrini. Con M. facciamo un giro un po’ più lungo di sotto nel chiostro del cortile,

perché i compagni possano nel frattempo prendere posto: l’aula è ampia ma il soffitto è alto e le voci

producono un rimbombo fastidioso, non vorremmo che l’equilibrio che si è creato in classe andasse perso per

l’eccessivo rumore. Quando rientriamo i gruppi si sono già formati ma c’è posto anche per M. insieme ad

altre tre ragazze. Sul microscopio vengono disposti i vetrini: prima quelli della cellula vegetale, osserviamo

una foglia ed un apice radicale, passiamo quindi alla cellula animale (ci sono lo striscio di sangue, il midollo

osseo e l’epitelio). M. dà un’occhiata attraverso la lente, con delicatezza le compagne gli coprono l’occhio

sinistro perché non è capace di chiuderlo tenendo contemporaneamente l’altro aperto. Fa tutto di fretta,

vedremo poi se saprà riconoscere la cellula vegetale distinguendola da quella animale. I compagni disegnano

sul quaderno di scienze i vetrini che hanno visto, approfitteremo del loro materiale per far ripassare M.

II modulo

Questa è la parte più delicata. Da quando è stato appurato che M. riesce a cogliere ogni singolo

movimento (apparentemente impercettibile) del facilitatore, facendosi quindi influenzare soprattutto nelle

risposte che deve dare in occasione di verifiche e test, è stato necessario ricominciare tutto da capo

nell’impiego della comunicazione facilitata. Ogni volta che è possibile (si utilizzano ritagli di tempo, si

colgono tutte le opportunità offerte sia dall’orario scolastico che dalla disponibilità di M., si “sfruttano” i

compagni etc.), pertanto, si fanno esercizi di de-influenzamento. La lezione di oggi prevede il ricorso alle

immagini. Con questo sistema è più facile per M. non lasciarsi condizionare dal facilitatore.

Approfittiamo di un cambio d’orario per restare in classe ed utilizzare il computer: ho preparato una

presentazione con power point99 che, però, secondo il mio tutor è un po’ troppo ricca; quindi cerco di ripetere

gli argomenti spiegati la volta precedente soffermandomi soltanto sui concetti essenziali. Non voglio proprio

che si confonda perché non so essere sintetica! Tentiamo di convincere M. a seguire anche guardando lo

schermo sul quale appaiono in modo schematico le informazioni principali. Accompagniamo la spiegazione

99 Cfr. infra p. 60 ss.

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con l’utilizzo di alcune immagini prese da testi diversi ma tutti in uso nei licei. Mantenere viva la sua

attenzione non è molto facile pertanto il collega di sostegno lo richiama, con dolcezza ma in modo fermo. M.

lo ascolta e cerca di collaborare. Mi vado convincendo che scienze tutto sommato gli piaccia.

Ripetiamo i concetti chiedendogli di indicare le immagini di riferimento, prima seguendo l’ordine

della spiegazione, poi “saltando” da un concetto all’altro. Se la cava abbastanza bene ed un compagno, che è

entrato per recuperare qualcosa dalla cartella, lo guarda ammirato. Vuole provare anche lui a fargli indicare

delle immagini e M. accetta la sua collaborazione. Vanno d’accordo e M. è disponibile con lui. Coinvolgere i

compagni, insegnando loro la CF, è stata proprio una mossa azzeccata, i rapporti migliorano rapidamente e

c’è maggior comprensione nei confronti di certi atteggiamenti di M. determinati dall’autismo. Ovviamente il

rapporto è diverso: con alcuni va meglio che con altri, però mi pare che il clima sia più disteso.

III modulo

Dedichiamo quest’ultimo modulo alla verifica. Somministriamo a M. immagini che riproducono la

cellula e le sue parti. Sono le stesse che gli abbiamo più volte proposto la volta precedente. Deve anche

indicare le parti costitutive della cellula all’interno di un disegno al quale abbiamo cancellato, ovviamente,

tutte le scritte.

Recuperiamo i disegni delle cellule viste al microscopio fatti dai compagni e M. indica con

precisione e sicurezza.

Siamo soddisfatti del risultato ottenuto, non sempre le cose vanno così bene, oggi, la maggior parte

delle richieste da noi formulate ha avuto una risposa positiva.

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Diapositiva 1 La cellula

• La cellula è l’elemento costitutivo (il mattone fondamentale) di tutti gli organismi viventi. • Questo vale sia per gli organismi più semplici (unicellulari), sia per quelli più complessi.

Diapositiva 2 La cellula

Le cellule sono molto piccole, invisibili ad occhio nudo, visibili solo al microscopio. Tutte le cellule derivano dalla divisione di cellule preesistenti. Diapositiva 3 I tipi di cellula

Le cellule possono essere anzitutto classificate sulla base della presenza di un nucleo e di altre partizioni (cellula eucariote) o della loro assenza (cellula procariote).

Diapositiva 4 La cellula procariote (senza nucleo)

Costituisce alcuni degli organismi più semplici, sempre unicellulari (nei quali cioè l’intero organismo è composto da un’unica cellula). Esempio: i batteri. Diapositiva 5 La cellula eucariote (con nucleo)

Costituisce alcuni organismi unicellulari (protozoi), e tutti gli organismi più complessi (alghe, funghi, felci, muschi, vegetali e animali).

Diapositiva 6 Le caratteristiche comuni (procariote ed eucariote)

Ogni cellula è racchiusa da una membrana plasmatica, che la separa dall’ambiente esterno; Ogni cellula ha un DNA che ne contiene le istruzioni genetiche; Ogni cellula una un corpo cellulare (citoplasma). Diapositiva 7 Le differenze

Le cellule procariote sono dotate di informazioni genetiche relativamente semplici. Hanno un solo cromosoma costituito da un filamento di DNA. Diapositiva 8 Le differenze

Le cellule eucariote sono dotate di informazioni genetiche più complesse. Il DNA è molto abbondante e racchiuso nel nucleo. Diapositiva 9 Caratteristiche della cellula eucariote

La cellula eucariote è caratterizzata dalla presenza di numerosi organelli .

Diapositiva 10 Gli organelli della cellula eucariote

Il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi sintetizzano varie sostanze e le trasportano all’esterno della cellula , così come ne trasportano altre all’interno.

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Diapositiva 11 Gli organelli della cellula eucariote

In particolare, il reticolo endoplasmatico è una rete di canali che si estendono dalla membrana nucleare (della quale sono la continuazione) attraverso il citoplasma, fino alla membrana plasmatica.

Diapositiva 12 Gli organelli della cellula eucariote

L’apparato di Golgi è anch’esso un sistema di membrane; comunica con il reticolo endoplasmatico (RE) attraverso vescicole navetta. Anche questa struttura è un veicolo per le sostanze cellulari. Diapositiva 13 Gli organelli della cellula eucariote

Mitocondri e cloroplasti costituiscono una seconda categoria di compartimenti. I mitocondri sono delle specie di “centrali energetiche”, sono in grado di produrre proteine, di fondersi tra loro, di dividersi e moltiplicarsi. Sono in continuo movimento. Diapositiva 14 Gli organelli della cellula eucariote

I cloroplasti sono presenti solo nelle cellule vegetali: contengono clorofilla ed al loro interno di svolge la fotosintesi, cioè quel processo di trasformazione ed immagazzinamento dell’energia solare in forma di zuccheri, che è tipica dei vegetali, e che ha consentito lo sviluppo della vita sulla Terra.

Diapositiva 15 Gli organelli della cellula eucariote

Il vacuolo è il luogo di accumulo di sostanze di riserva, di digestione e di degradazione dei costituenti cellulari non più richiesti, insomma di accumulo di vari metaboliti (compresi i pigmenti che danno il colore ai fiori).

Diapsitiva 16 La parete cellulare rigida

Le cellule vegetali si differenziano da quelle animali per una parete rigida che circonda all’esterno la membrana plasmatica. E’ costituita da cellulosa e lignina. La lignina ha una importante funzione strutturale meccanica, di sostegno, l’equivalente delle ossa per i vertebrati

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N° rif. 1.1 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Questo è un romanzo epistolare, opera dello scrittore israeliano David Grossman. Testo

particolarissimo narra la vicenda appassionante di Yair e Miriam. Il protagonista maschile colpito

dall’atteggiamento schivo e riservato della donna, osservata di nascosto in mezzo ad un gruppo di

persone, ed interpretato come una forma di difesa, le scrive una lettera. Ha così inizio un rapporto

straordinario che conduce ad una conoscenza reciproca sempre più profonda ed intima.

Definizioni e citazioni: “Myriam, tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non

conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso

mi sono arreso. […] Non spaventarti, non voglio incontrarti ed interferire con la tua vita. […]

Vorrei poterti raccontare di me (ogni tanto) scrivendo. […] Mi piacerebbe darti qualcosa che

altrimenti non saprei a chi dare. Intendo qualcosa che non immaginavo si potesse dare ad un

estraneo. […] Se tu sei quella che ho visto stringersi nelle braccia con un cauto sorriso, credo che

capirai.” p. 11

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Il riferimento, forse ovvio, va a alle “Lettere a Milena”

di Franz Kafka.

Eventuali note o commenti: E’ evidente che questo testo non ha direttamente a che fare con

l’argomento del portfolio, eppure mi è sembrato inevitabile inserirlo non solo perché la sua lettura

mi ha catturata dalla prima all’ultima pagina, ma anche perché la figura femminile che domina tutto

il romanzo, così fragile e determinata al tempo stesso, è madre di un bambino autistico. Le pagine,

poche, in verità, dedicate a questo aspetto della sua vita sono così commoventi che a distanza di

anni (ho letto infatti il libro appena è stato pubblicato in Italia) sono rimaste impresse in me in modo

così indelebile che non ho potuto non farne parte anche gli eventuali lettori del mio lavoro.

Autore: D. GROSSMAN

Titolo del libro o dell'articolo: Che tu sia per me il coltello

Rivista: ___________________________________________________ |________|______|_________________

TITOLO NUMERO ANNO Pagg. inizio fine articolo

Libro : Mondadori |Milano |2000

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SCHEDA

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N° rif. 1.2 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Gli autori di questo testo utilizzano la tecnica stilistica della domanda e della risposta. In

questo modo possono affrontare in modo semplice (ma non semplicistico) gli interrogativi più

svariati. Il libro è quindi di agevole e piacevole lettura ma al tempo stesso riesce ad essere chiaro

ed esauriente. Vengono discusse tutte le tematiche legate all’autismo: le caratteristiche del

disturbo, le cause, i problemi ed i bisogni, i metodi di intervento educativo ecc.

Definizioni e citazioni: “Questo libro si rivolge soprattutto a chi vuole approfondire la propria

conoscenza sull’autismo: genitori e familiari di bambini autistici, medici, psicologi, educatori

professionali e insegnanti che, anche occasionalmente, si trovano a contatto con bambini ed

adolescenti autistici.” pag. 7

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Il testo raccoglie tutte le informazioni note

sull’autismo e costituisce un po’ la summa delle conoscenze sull’argomento acquisite al momento

della stesura dello stesso. E’ fornito di un’ampia bibliografia ed anche di un utile elenco delle più

importanti associazioni che si occupano del problema.

Eventuali note o commenti: Il libro è interessante, ma proprio nel suo registro stilistico, ravviso un

limite: mi è risultato un po’ difficile reperire gli argomenti più interessanti ed utili per la mia ricerca

perché procede in modo abbastanza asistematico. Talvolta si ripetono domande e risposte che, se da

una parte approfondiscono di volta in volta le tematiche affrontate, dall’altra possono apparire un

po’ ripetitive.

SCHEDA

Autore: R. L. SIMPSON – P. ZIONTS

Titolo del libro o dell'articolo: Cosa sapere sull’autismo. Concetti base e tecniche educative.

Rivista: ___________________________________________________ |________|______|_________________

TITOLO NUMERO ANNO Pagg. inizio fine articolo

Libro : Erickson | Trento | 1994

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N° rif. 1.4 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: L’autrice ha lavorato a lungo in un gruppo di psicoterapia con bambini autistici ed ha

deciso di condividere questa esperienza con un vasto pubblico di lettori. Il testo è organizzato in tre

parti che sono tra loro strettamente collegate: la prima è dedicata ai cinquant’anni di ricerca

sull’argomento, la seconda alla relazione terapeutica, ai suoi differenti approcci, al rapporto con le

famiglie, l’ultima all’esperienza condivisa con Francois, un suo piccolo paziente.

Definizioni e citazioni: “E’ stata la lettura di Bruno Bettelheim o la mia personale analisi a

orientare inizialmente i miei interessi verso l’autismo e la psicosi infantile? Probabilmente

entrambe, fatto sta che sono stata in qualche modo irretita dal fascino per questa malattia e ho

sentito il bisogno di tentare di approfondirne il mistero attraverso un viaggio all’interno del mio

proprio inconscio.” p. 12

“E’ a Francois che ho voluto dedicare l’ultima parte di questo lavoro. Io e Francois ci siamo

incontrati quando lui aveva due anni e mezzo e da allora abbiamo intrapreso un lungo viaggio

insieme. Il racconto di questo percorso è una bella storia e, mi auguro, un messaggio di speranza per

tutti coloro, genitori e specialisti che, come me, talvolta si perdono d’animo. Francois non è guarito

ma comunica tramite il linguaggio, va a scuola, è uscito dal buco nero: è di nuovo un bambino che

vive in mezzo agli altri.” p. 14

“La sofferenza è uscita dall’ambulatorio del medico o dello psicoterapeuta e può esprimersi

pubblicamente. Ogni testimonianza è un aiuto e un sostegno incomparabile per i “nuovi” genitori di

bambini autistici. Grazie soprattutto a questo coraggio di esporsi e all’opportunità che in tal modo

viene data ai genitori di confrontarsi tra loro, il quadro familiare è molto migliorato. Diminuisce il

numero di famiglie distrutte e nonni, fratelli e sorelle vengono maggiormente coinvolti.” p. 154

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Come ho detto c’è un’intera sezione dedicata agli studi

compiuti sull’autismo che quindi prevede un’abbondante messe di riferimenti e citazioni di autori e

SCHEDA

Autore: M. D. AMY

Titolo del libro o dell'articolo: Affrontare l’autismo

Rivista: ___________________________________________________ |________|______|_________________

TITOLO NUMERO ANNO Pagg. inizio fine articolo

Libro : Armando Editore | Roma | 2000

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testi. Non mancano riferimenti interessanti anche nelle altre sezioni, relativi ai possibili trattamenti

dell’autismo.

Eventuali note o commenti: Il testo mi è parso subito coinvolgente, la parte storica è necessaria

per comprendere l’evoluzione delle terapie e delle tecniche impiegate e devo affermare che non è

assolutamente “pesante”, anzi, anch’essa si presenta come una lettura agevole. E’ evidente che

siamo di fronte ad un testo non per soli addetti ai lavori. Quello poi che maggiormente colpisce è la

partecipazione dell’autrice. Ella sa affrontare la difficile tematica con leggerezza ma al tempo stesso

ci rende consapevoli delle difficoltà, delle delusioni, degli smacchi cui si va incontro nello svolgere

il compito di psicoterapeuta. Quello che non viene mai meno è la speranza di poter migliorare la

situazione dolorosa di tante famiglie. Alla fine del libro sono raccolti alcuni disegni di Francois:

dicono più di tante parole!

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N° rif. 1.5 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Gli autori si propongono di ripercorrere la storia dell’autismo attraverso un lungo

percorso letterario, prima, e scientifico, poi, che cerca di rintracciare il filo rosso che unisce le

vicende di bambini chiamati “autistici” ma che di fatto sono solo un po’ diversi dagli altri. E’ un

viaggio appassionante grazie al quale si scoprono elementi nuovi che affondano le loro radici in un

passato ormai remoto.

Definizioni e citazioni: “Non abbiamo voluto creare una parola nuova quando abbiamo intitolato

inizialmente questo libro: L’enfant déréel (il bambino extrareale). Si tratta di una semplice

constatazione. Déréel non è un neologismo […]. Alcuni inglesi hanno detto di invidiare questa

parola alla lingua francese. Ciò che intendiamo indicare con essa è la separazione che esiste di fatto

tra il bambino che vive male e la realtà complessa che lo circonda.” pag. 298-299

“Nei nostri centri di terapia educativa di Saint-Mandé le giornate di lavoro si assomigliavano tutte.

Alle prese con i compiti quotidiani, si rischia di vedere soltanto lo sviluppo individuale dell’uno o

dell’altro bambino, perdendo di vista l’evoluzione generale delle conoscenze. Abbiamo potuto

evitare questo scoglio grazie alla stretta collaborazione con gli specialisti dei centri ospedalieri, che

sollecitavano le nostre osservazioni sui bambini seguiti da loro e ci tenevano informati sui loro

lavori scientifici.

I contatti più preziosi tuttavia erano quelli con le famiglie. […] nella maggior parte dei casi si

instauravano rapporti di grande fiducia, che spesso ci permettevano di conoscere l’ambiente

famigliare nelle sue ramificazioni. In tal modo abbiamo scoperto delle eziologie a cui le famiglie

stesse non avevano pensato” pag. 296

SCHEDA

Autori: A. & F. BRAUNER

Titolo del libro o dell'articolo: Storia degli autismi. Dalle fiabe popolari alla letteratura scientifica

Rivista: ___________________________________________________ |________|______|_________________

TITOLO NUMERO ANNO Pagg. inizio fine articolo

Libro : Erickson |Trento | 2002

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Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Il testo, passando in rassegna gli studi condotti sul

tema dell’autismo, fornisce un’ampia documentazione dello stato della ricerca e dedica la sua parte

finale ad una filmografia ed bibliografia sull’argomento assai aggiornate.

Eventuali note o commenti: Gli autori sono persone speciali: accanto alla loro formazione

specifica (medico lei, letterato lui) il lettore percepisce anche l’impegno profuso durante tutto l’arco

della loro vita in difesa dell’infanzia. Hanno accolto i bambini spagnoli rifugiati in seguito alla

guerra civile, quelli ebrei vittime della “notte dei cristalli”, quelli sopravvissuti ai campi di

concentramento, quelli in grave situazione di handicap. Hanno fondato “Centri di trattamento

educativo”. Non lesinano critiche anche dure nei confronti di quanti, occupandosi di autismo,

dimenticano che hanno a che fare con bambini e non con cavie od oggetti. Lo stile e la passione con

cui il libro è scritto mi hanno fatto venire in mente le lezioni del prof. Riziero Zucchi e benché non

sappia se le cose stiano veramente così, mi è parso di cogliere in queste pagine l’eco della

pedagogia dei genitori.

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N° rif. 1.6

(indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: L’autore esplora il mistero legato al bambino autistico basandosi sulle esperienze

maturate all’interno della Sonia Shankman Orthogenic School. In questo libro trova spazio la teoria

dell’influenza parentale che tante discussioni farà nascere in seguito. Il testo è diviso in tre parti: la

prima (“L’universo autistico”) è dedicata all’analisi dell’autismo e dei suoi riflessi nella vita dei

bambini che ne sono affetti; la seconda (“Tre storie di…”) è costituita dal resoconto delle

esperienze di tre piccoli pazienti, Laurie, Marcia e Joey; l’ultima (“Discussione letteraria

sull’autismo infantile”) indaga le cause e la natura della malattia e riflette sul suo trattamento.

Definizioni e citazioni: “In questo libro, io sostengo, dall’inizio alla fine, che il fattore che fa

precipitare il bambino nell’autismo è il desiderio dei suoi genitori che egli non esista. Anche se il

medesimo desiderio non provoca disturbi in altri bambini e anche se in futuro si scoprirà che una

lesione organica può rivestire il ruolo di condizione necessaria all’autismo, resta tuttavia il fatto che

tutte le lesioni organiche finora riportate come caratteristiche di questa malattia sono state

ugualmente riscontrate anche in bambini non autistici.

Questa mi pare essere una ragione sufficiente perchè si debba cercare nelle attitudini dei genitori la

spiegazione del fatto, in sé singolare, per cui una lesione organica, sempre che se ne trovi una

veramente specifica, fa ammalare di autismo solo determinati bambini e non altri. Tanto più che in

tutti i casi in cui avevamo potuto valutare con un buon margine di attendibilità gli atteggiamenti

emotivi parentali, risultava che il bambino aveva sperimentato tali atteggiamenti coscienti e non

coscienti, come espressione del desiderio dei genitori che egli non esistesse.” pp. 126-127

“E’ inutile per esempio colpevolizzare i genitori. In primo luogo non abbiamo alcuna certezza che il

loro atteggiamento e il loro modo di allevare il bambino siano sufficienti a determinare la malattia.

A nostro avviso sono dei fattori precipitanti, e quindi costituiscono una condizione necessaria ma

Autore: B. BETTELHEIM

Titolo del libro o dell'articolo: La fortezza vuota. L’autismo infantile e la nascita del sè

Rivista: ___________________________________________________ |________|______|_________________

TITOLO NUMERO ANNO Pagg. inizio fine articolo

Libro: Garzanti | Milano | 1988

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SCHEDA

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non sufficiente. […] E’ già abbastanza doloroso avere un bambino così; farli sentire colpevoli non

può che aumentare la loro desolazione e non è di aiuto alcuno.

Tuttavia, una cosa è evitare di colpevolizzare i genitori, altro è rifiutarsi di ricercare quali

esperienze hanno causato l’autismo infantile o contribuito al suo instaurarsi per il solo fatto che

questa ricerca è “perniciosa” e può far male ai genitori.” p. 422

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : La terza parte di questo ampio volume, non per nulla

intitolata “Discussione letteraria sull’autismo infantile”, è dedicata ad una rassegna degli studi fatti

fino al tempo di Bettelheim (compaiono infatti Kanner, Eisemberg, Spitz, Bender, Goldstein, per

non ricordarne che alcuni). L’autore cita e commenta i contributi di quanti lo hanno preceduto

fornendoci così un quadro interessante ma soprattutto comprensibile anche per i non addetti ai

lavori. Completano l’opera un indice bibliografico di ben 9 pagine ed un indice analitico

estremamente funzionale.

Eventuali note o commenti: La scrittura è appassionante e convincente e, anche se la teoria sottesa

è stata ormai ampiamente superata, tuttavia si rimane affascinati dalla descrizione di questo “regno

delle ombre” e dei suoi piccoli abitanti.

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N° rif. 1.7 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: L’autrice ci conduce, tenendoci per mano, all’interno di questo universo, partendo da

una definizione di autismo, attraverso un excursus di “casi” noti in letteratura fino all’elaborazione

della sua teoria relativa all’eziologia dell’autismo. Secondo lei si deve parlare di un assente o

inadeguato sviluppo da parte del soggetto autistico di una Teoria della mente all’interno di una

costellazione di altri disturbi che riguardano differenti processi cognitivi (la percezione, la

memoria, il ragionamento ecc.).

Definizioni e citazioni: “La cosa più sorprendente è la tipica immagine del bambino “autistico”.

Chi ha qualche familiarità con le immagini di bambini affetti da altri seri disturbi evolutivi sa che

questi bambini appaiono handicappati. Al contrario, il più delle volte, il bambino autistico colpisce

chi lo osserva per la sua bellezza incantevole, un po’ da altro mondo. E’ difficile credere che dietro

quell’immagine da bambola si celi un disturbo sottile ma devastante, crudele tanto per il bambino

quanto per la sua famiglia.” p. 3

“I bambini autistici sono dei comportamentisti. Non si aspettano che le persone siano gentili o

crudeli. Prendono il comportamento per quello che è. Quindi le intenzioni che cambiano il

significato del comportamento, come ad esempio l’inganno, l’adulazione, la persuasione e l’ironia,

presentano dei difficili problemi di interpretazione. Mentre l’individuo autistico interpreta il

comportamento in modo letterale, l’opposto è vero per chi mentalizza in modo compulsivo: il

comportamento non sarà interpretato in sé e per sé, ma dal punto di vista delle intenzioni retrostanti.

E’ questo l’effetto di una Teoria della mente.

Il fatto che la gente talvolta sia tortuosa, le piaccia prendere in giro, ma allo stesso tempo si

comporti in modo sincero, per le persone autistiche è un enigma senza senso. L’affermazione

frequente che le persone autistiche vedono tutto in “bianco e nero” e non comprendono le sfumature

del significato, può essere ben compresa in questo contesto.” p. 206

Autore: U. FRITH

Titolo del libro o dell'articolo: L’autismo. Spiegazione di un enigma

Rivista: ___________________________________________________ |________|______|_________________

TITOLO NUMERO ANNO Pagg. inizio fine articolo

Libro : Editori Laterza | Bari |2002

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Eventuali rimandi ad altri testi od autori : L’autrice fornisce un ricco apparato di note ad ogni

singolo capitolo nelle quali possiamo trovare una messe di citazioni bibliografiche veramente

invidiabile. C’è anche una sezione dedicata a chi voglia approfondire l’argomento con ulteriori

letture.

Eventuali note o commenti: Siamo ancora di fronte ad testo scritto da una studiosa esperta eppure

lo stile è comprensibilissimo anche ad un lettore sprovveduto. Forse l’urgenza di comunicare tutto

quello che si è scoperto in merito all’autismo e che può essere utile ai “pazienti” ed alle loro

famiglie spinge gli autori ad impiegare un linguaggio che non sia per specialisti ma che a contrario

raggiunga un pubblico, il più vasto possibile. La lettura, tra l’altro, è estremamente piacevole, le

esemplificazioni, gli esperimenti e le citazioni che incontriamo ci permettono una comprensione al

di là di ogni più rosea aspettativa.

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N° rif. 2.1 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: L’autrice, una psicologa, illustra nel suo articolo tre metodologie ed approcci educativi

(il metodo TEACCH, il metodo Delacato e la Comunicazione Facilitata) elaborati per favorire

l’integrazione “comunicativa” e sociale delle persone affette da autismo. Il suo scritto vuole essere

uno spunto di riflessione e di osservazione.

Definizioni e citazioni: “Al termine di questo lavoro, vorrei ritornare alla citazione iniziale di Osler

(chiedetevi non quale malattia la persona abbia, ma piuttosto quale persona la malattia abbia) che

mi ha guidato nel condurre l’analisi e le riflessioni sulle persone incontrate. Ma, alla fine di questo

percorso, sento anche di aver aggiunto la consapevolezza di essere giunta non ad un punto che

possa rappresentare una compiuta conclusione, ma solo l’inizio di un nuovo percorso.

E alla fine dell’esplorazione

Saremo al punto di partenza,

sapremo il luogo per la prima volta.

Eliot p. 14

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : a conclusione del suo articolo l’autrice propone una

ricca bibliografia che raccoglie i più importanti testi relativi all’autismo in generale ed ai tre

approcci analizzati.

Eventuali note o commenti: Ho trovato l’articolo interessante ed esauriente. In modo semplice e

schematico (ma mai sbrigativo o superficiale) analizza le metodologie più conosciute per potersi

avvicinare al mondo dell’autismo. Il confronto con altri testi, infatti, mi ha permesso di

comprendere che in fondo gli elementi salienti erano tutti già presenti in queste pagine. Importante è

Autore: B. MONTI

Titolo del libro o dell'articolo: Alcuni approcci educativi e terapeutici per l’integrazione “comunicativa” e sociale

delle persone autistiche

Rivista: Handicap & Scuola |115|maggio-giugno 2004| 8 - 15

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Libro : | |

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anche l’atteggiamento che guida la dott.ssa Monti nella ricerca: non è un entomologo che osserva col

suo microscopio in un asettico laboratorio strani insetti, ma una persona che si mette a disposizione

di altre “persone” con l’intento esplicito di aiutarle a trovare una dimensione propria in un mondo

che appare (ma molto spesso è) ostile.

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N° rif. 2.2 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Tutto il testo ruota attorno ad un concetto: i genitori sono “educatori” ma anche

“esperti”. E’ per loro e con loro che il libro è stato scritto. Dal momento che tutti desiderano per i

propri figli, e per quelli in difficoltà a maggior ragione, il raggiungimento della massima

autonomia, l’autore si prefigge di fornire ai genitori, spesso delusi e sfiniti, un modello di

educazione rispondente alle esigenze particolari dei soggetti con autismo e tale che possa

sviluppare le loro potenzialità. Non è senza significato, quindi, che il primo capitolo si intitoli

proprio “La collaborazione tra genitori e operatori”. I capitoli successivi sono organizzati partendo

da un aneddoto che viene prima descritto e poi discusso (analisi del comportamento, sue cause,

strategie per prevenirlo o cambiarlo). In molti casi i genitori scoprono in modo intuitivo approcci

simili a quelli trovati dalla ricerca scientifica: si può dunque trascurare un contributo di questo

tipo?

Definizioni e citazioni: “Siamo stati ispirati da genitori che hanno lottato efficacemente con i

problemi più difficili mentre allo stesso tempo hanno cercato risposte sul futuro. Le loro soluzioni al

problema erano spesso ingegnose, creative ed astute, a volte avevano permesso una nuova

comprensione del loro bambino con un’osservazione molto attenta e molto ravvicinata, a volte

avevano utilizzato queste osservazioni in nuovi interventi educativi che venivano

contemporaneamente scoperti dai ricercatori professionisti. L’esperienza può essere il miglior

insegnante.” p. 27

“Ho scoperto che il meccanismo migliore per la sopravvivenza è stato quello di collegarmi ad altri

genitori di bambini autistici. Erano genitori – i soldati in trincea – che conoscevano le risorse locali

e i servizi, e avevano le grandi idee! Erano i genitori – quelli di noi a caso gettati insieme in una

tragedia per la quale non erano preparati – che potevano aiutarci a far fronte all’autismo.

Autore: E. SCHOPLER

Titolo del libro o dell'articolo: Autismo in famiglia. Manuale di sopravvivenza per genitori

Rivista: ___________________________________________________ |________|______|_________________

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Libro : Erickson | Trento | 1998

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Una delle prime telefonate che ho fatto dopo aver appreso la diagnosi di nostro figlio è stata ad

un’estranea, il cui nome avevo avuto dal medico quando gli avevo chiesto se potesse indicarmi un

altro genitore con cui parlare. Sentivo l’urgenza di parlare con qualcuno che fosse già passato

attraverso questa situazione terribile, qualcuno che sapesse com’era questo dolore. Ricorderò

sempre quella conversazione come una delle più significative della mia vita.” p. 164

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Il testo fornisce una ricca bibliografia, i testi citati sono

abbastanza recenti (si comincia dal 1970 per arrivare al 1998) e sono sia in lingua inglese che in

italiano. E’ stata organizzata, secondo le intenzioni dell’autore, in modo che chiunque possa

approfondire i temi affrontati nel testo. Non manca un’appendice (a cura di E. Micheli) che

raccoglie un elenco, accurato per quanto parziale, dei centri specialistici nazionali, delle

associazioni e di altri indirizzi utili per avere informazioni di vario genere.

Eventuali note o commenti: Pur partendo dal presupposto che questo libro è stato scritto sulla

scorta di esperienze maturate in un paese ben diverso dal nostro, tuttavia, poiché oggi molto si sa

dell’autismo anche in Italia, ritengo che questo rimanga un testo di fondamentale importanza. I 350

aneddoti che qui sono riportati offrono spunti di riflessione interessantissimi per chi si trova ad

affrontare i soggetti autistici e lotta ogni giorno per garantire loro una qualità della vita sempre

migliore.

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N° rif. 2.4 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Di fronte a quello che l’autore definisce “the ultimate stranger” (approssimativamente

tradotto con “lo straniero dell’ultima frontiera”) si prova un senso di smarrimento se non

addirittura di paura. Delacato ebbe il merito di non farsi travolgere da questi sentimenti e, guidato

dalle madri, cercò di comprendere le ragioni degli atteggiamenti strani di questi bambini. Elaborò

così la sua teoria basata sulla convinzione che fossero dei segnali e delle richieste di aiuto. Nasce

da qui la definizione di “ipo”, “iper” o “rumore bianco” che prende spunto dall’osservazione delle

reazioni alle stimolazioni sensoriali e dalla loro catalogazione.

Definizioni e citazioni: “Poiché questi bambini autistici, abbandonati senza speranza, non

rappresentano il territorio di alcun sistema costituito, questo libro non può essere considerato

un’invasione.

Non è un’invasione perché non ci sono segni di … recinti in questo territorio. In realtà esso è quasi

un deserto.

Ho scoperto poche orme sulle sabbie aride e solitarie del mio viaggio.

Ho camminato da solo.

Durante la via sono stato guidato da qualcuno: se ho fatto cattivo uso del loro consiglio, io solo

devo essere biasimato e chiedo perdono. …

Ho scelto di lasciare gli Institutes for the Achievement of Human Potential e la mia meta è di

camminare per tutta la vita con quelle mamme e i loro bambini autistici.” pp. 8-9

“Osservai queste madri mentre spiegavo loro la mia teoria. Sparivano le lacrime e cambiava

l’atteggiamento. Ora avevano almeno un motivo teoretico sul perché dello strano comportamento

dei loro bambini. Ora quel comportamento non sembrava più così strano.

Autore: C. H. DELACATO

Titolo del libro o dell'articolo: Alla scoperta del bambino autistico

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Libro : Armando Editore | Roma | 1975

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Scoprii che le possibilità di sopravvivenza del bambino aumentavano in modo drammatico quando i

genitori capivano la possibile causa di questo comportamento. Anche se questo continuava, poteva

essere tollerato perché non era più considerato senza scopo o sconcertante dai genitori.

Ora il comportamento sembrava significativo e quindi comprensibile ed accettabile.” p. 126

“Siamo ancora al primo stadio della ricerca, non allo stadio di ricerca della conoscenza. Ogni

bambino aiutato a sopravvivere, ogni bambino integrato nel nostro mondo, si avvicina di una pietra

miliare alla soluzione del problema dell’autismo. …

La ricerca di risposte nuove, la ricerca di risultati migliori, devono essere la nostra continua risposta

allo spaventato grido di aiuto lanciato da ogni bambino autistico attraverso il suo sconosciuto

comportamento di straniero.” p. 211

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : A conclusione del testo troviamo un indice

bibliografico costituito da libri ovviamente un po’ datati e quasi tutti in inglese (rare sono infatti le

traduzioni italiane citate). Comodo per la consultazione è anche l’indice analitico che rimanda sia

agli argomenti trattati sia agli studiosi citati.

Eventuali note o commenti: La descrizione che Delacato ci dà della sua particolare esperienza è

appassionante sia dal punto di vista narrativo (la sua lettura infatti è piacevole), sia perché offre

tecniche specifiche studiate e messe a punto affinché i genitori le possano utilizzare con i loro figli.

Non si può non tener conto dello spirito che anima il testo, sia che si condividano le sue posizioni,

sia che ci si trovi in disaccordo.

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N° rif. 2.12 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Nell’articolo l’autrice porta all’attenzione dei lettori un nuovo metodo di cura

dell’autismo (il metodo DAN!) attraverso le testimonianze di genitori che hanno scelto di provare

queste tecniche innovative. Essi hanno anche dato vita ad un portale Internet attraverso il quale si

scambiano informazioni ed esperienze.

Nel riquadro di pagina 55 troviamo molto sinteticamente narrata la storia che ha portato

all’elaborazione del metodo e le opinioni di due intervistati in merito.

Definizioni e citazioni: “Mi sono messa a studiare. Ho scoperto che da più di 20 anni negli Stati

Uniti curano l’autismo come una malattia organica. Ho preso mio figlio e l’ho portato a Chicago.”

p. 53

“Si tratta di un fenomeno colpevolmente sottovalutato, anche perché l’autismo, raro fino al 1980

(due o tre casi su 10.000 nati), ha presentato negli ultimi anni un aumento esponenziale. Le più

recenti statistiche statunitensi registrano un caso su 166 nuovi nati, il che significa che in Italia, su

540.000 nuovi nati, oltre 3.000 ogni anno sviluppano una sindrome autistica.” p. 53

“Ogni bambino autistico è diverso dagli altri, non c’è nessun intento di incoraggiare il “fai da te”.

L’importante è che tutti i genitori, che sono disperati come lo ero io, sappiano che adesso le cose si

stanno muovendo anche in Italia. Finalmente.” p. 55

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : L’unica indicazione che viene fornita nell’articolo è il

sito Internet www.genitoricontroautismo.it (che chiunque voglia avere informazioni sull’autismo

trova nel giro di 30 secondi); mancano i testi che illustrano il metodo DAN!, che pure esistono, od

anche una più accurata scelta dei siti che sono numerosi e ricchi di informazioni.

Autore: S. PAGNOTTI

Titolo del libro o dell'articolo: Oltre il muro dell’autismo. Dan, il metodo che arriva dagli USA

Rivista: Famiglia Cristiana | 3 | Gennaio 2005 | 52-55

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Eventuali note o commenti: L’articolo non mi pare molto utile né istruttivo per chi voglia

conoscere l’argomento. Certo ha il merito di rendere nota l’esistenza del metodo DAN! ma

sinceramente non fa nulla di più. E’ divulgativo nel senso più banale del termine, assolutamente

acritico.

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N° rif. 2.13 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Partendo dal presupposto che l’autismo sta conoscendo oggi una fase di recrudescenza

tale da poter far parlare di una vera e propria epidemia, gli autori sono persuasi che le esperienze

maturate in questi ultimi anni stiano alla base di un approccio innovativo alla malattia. Si tratta di

una proposta nuova e ricca di potenzialità nei confronti del trattamento delle malattie psichiatriche.

Definizioni e citazioni: “… Anche se per ora non esiste guarigione. Questo, circa dieci anni fa. Ma

ora le cose sono cambiate e di autismo si può guarire.” p. 34

“L’approccio medico multidisciplinare promosso dal DAN! ha generato in questi ultimi 10 anni una

serie di strumenti, esami di laboratorio, percorsi, programmi alimentari, protocolli di trattamento.

Una attività di ricerca intensissima, giocata quotidianamente via internet tra ricercatori, medici e

famiglie promuove un continuo aggiornamento e verifica di questi strumenti. Aggiornamenti e

verifiche che trovano in sede congressuale, alla DAN! Conference di Aprile e Ottobre, un

coordinamento e una preziosa messa a punto.” p. 231

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Il testo fornisce un’ampia bibliografia sia specifica

sull’autismo, sia relativa agli svariati metodi di cura che vengono proposti nel testo, soprattutto in

lingua inglese. Non mancano una sitografia ed un indice dei periodici.

Eventuali note o commenti: Gli autori riportano molti esempi di bambini “guariti” dall’autismo

che sono interessanti da leggere, anche se, purtroppo, difficili da valutare per chi li conosce solo

dalle parole di chi scrive. Troviamo anche dettagliatamente elencate le terapie e le tappe del metodo

proposto che sono interessanti per chi voglia andare a fondo.

Autore: V. A. CHIRENTI – F. VERZELLA

Titolo del libro o dell'articolo: Defeat Autism Now!

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Libro : Valter Casini Editore |Roma | 2005

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N° rif. 3.1 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: l’autrice, sulla base dell’esperienza maturata nel centro presso il quale opera, ripercorre

le tappe che l’hanno portata ad ideare e perfezionare col tempo il metodo della comunicazione

facilitata. Esso è funzionale a permettere di comunicare a quanti, per i motivi più diversi (paralisi

cerebrale, sindrome di Down, autismo etc.) ne sono impossibilitati. Illustra le tecniche e gli

esercizi, ne analizza tutti gli aspetti, anche quelli problematici, e supporta le sue affermazioni con

le esperienze vissute al centro.

Particolarmente significativa, benché marginale rispetto al resto del testo, la parte dedicata alla

“telepatia”. Mi è parsa interessante anche quella dedicata all’addestramento del facilitatore.

Definizioni e citazioni: “Il metodo della comunicazione facilitata è una strategia didattica utilizzata

per aiutare le persone affette da gravi disturbi della comunicazione a sviluppare le capacità manuali

necessarie per utilizzare da sole un ausilio di comunicazione e il fine ultimo della tecnica è portare

le persone a utilizzare i loro ausili senza facilitazione”. p. 88

“Il metodo di addestramento alla comunicazione facilitata è, come dice la parola stessa, un metodo

di addestramento. Per l’addestramento alle strategie di comunicazione non verbale occorre tempo. I

terapisti indicano che possono occorrere 6 anni per acquisire una competenza di base nell’uso degli

ausili di comunicazione senza facilitazione.” p. 95

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Questo testo è di fondamentale importanza per chi

voglia conoscere il metodo della comunicazione facilitata. Funge esso stesso, infatti, da punto di

riferimento per quanti si avvicinano a tale argomento.

Eventuali note o commenti: L’elemento che più colpisce, leggendo il testo, è l’entusiasmo

dell’autrice. Sembra quasi che ella abbia trovato il metodo infallibile per dare la parola a chi non ce

l’ha e sicuramente ha aiutato tantissime persone che vivevano un disagio veramente grande. Solo di

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Autore: R. CROSSLEY

Titolo del libro o dell'articolo: Il metodo della comunicazione facilitata

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Libro : Quaderni di Savona provincia 1 | Savona | 1998

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sfuggita si accenna ad eventuali problemi connessi con l’utilizzo di questa tecnica, e questo, mi

pare, è un appunto (ma è l’unico, davvero) che mi sento di muovere a questo testo, perché, invece,

io ero alla ricerca piuttosto dei lati negativi, o quanto meno problematici, della tecnica insegnata

dalla Crossley.

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N° rif. 3.2 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Il testo si occupa della comunicazione facilitata e ne analizza tutti gli aspetti. E’ diviso

in tre parti di cui solo la prima, di carattere generale (parla, infatti, della natura e del funzionamento

della CF, della sua utilizzazione nei differenti ambiti della vita, dei criteri che dovrebbero guidare

la sua validazione ed infine dell’insegnamento che da essa possiamo trarre), è stata scritta

dall’autore, le rimanenti due (l’una, che riguarda tra l’altro l’esperienza italiana, i modelli di

intervento, la disprassia, e l’altra, quella finale, nella quale si riportano brani di conversazione con

soggetti autistici) sono frutto del lavoro di P. Cadei e di F. Benassi.

Definizioni e citazioni: “C’è una bella differenza tra imparare a comunicare e la comunicazione

quotidiana. Il primo aspetto riguarda lo sviluppo delle abilità comunicative, mentre il secondo si

focalizza sul contenuto della comunicazione. […] La persona facilitata sarà molto più motivata a

comunicare nel momento in cui si renderà conto che ciò comporterà dei cambiamenti e che

finalmente potrà comunicarci qualcosa. […] la mia presunzione è che la comunicazione di ogni

giorno richieda persone che desiderano comunicare e persone che sappiano ascoltare e rispondere.”

p. 69.

“Non andando continuamente alla ricerca di “prove di validazione”, ma concentrandomi sulla

qualità nell’utilizzo della comunicazione, ho ricevuto da Alberto molte prove di validazione

indirette, attraverso messaggi il cui contenuto mi coglieva di sorpresa e la cui veridicità avrei poi

verificato nel tempo.” p. 134.

“Che cosa vorresti fare?

LEGGEREI UN LIBRO SULLA GUERRA

quale guerra?

UNA QUALSIASI

perché

Autore: D. BIKLEN

Titolo del libro o dell'articolo: La comunicazione facilitata

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Libro : Omega Edizioni |Torino |1999

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PERCHÉ È COME MI SENTO IO MI PARE CHE MI SOMIGLIA MI SENTO COME UN SOLDATO CHE COMBATTE

IN PRIMA LINEA

contro chi?

CONTRO LA GUERRA”. p. 205

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Il testo è ricco ed esaustivo. E’ fornito di una

bibliografia ampia e completa centrata prevalentemente sul tema della comunicazione facilitata, ma

non manca il supporto di altre sezioni dedicate ora a ciò che è utile sapere in tema di autismo, ora ad

informazioni relative all’uso della CF (per esempio sono elencati i punti di supervisione della CF

nel nostro paese).

Eventuali note o commenti: Il testo comunica al lettore l’urgenza di diffondere la conoscenza della

CF perché non capiti più quello che è successo a tante famiglie di bambini con autismo: l’essere

lasciati soli senza le informazioni necessarie per affrontare in modo dignitoso il problema che li

affligge. Vene spesso sottolineata la necessità di utilizzare la CF secondo criteri ben precisi che

possano portare prove della sua validità magari non scientifiche ma, per quanto indirette,

estremamente significative.

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N° rif. 3.3 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: L’autrice si vuole soffermare su quanto di problematico la comunicazione facilitata

presenta. (Non è un caso che l’articolo sia inserito nella sezione intitolata …Che cosa non

funziona). Enumera le critiche che sono state avanzate nel corso degli anni, elenca le posizioni

delle principali agenzie che si occupano di autismo e propone una conclusione. La sua posizione

sembra essere critica nei confronti della CF proprio perché non ne è stata ancora confermata la

validità scientifica. Questo non significa, però, che non sia necessario continuare a cercare anche

per verificare e valutare la sua eventuale pericolosità.

Definizioni e citazioni: “La tecnica doveva aiutare a comunicare i soggetti con paralisi cerebrale e

disabilità fisiche.” p. 24

“La documentazione raccolta e la ricerca empirica non confermano l’efficacia della comunicazione

facilitata E’ altrettanto importante che la ricerca adduca delle prove valide sul potenziale di nocività

da essa contenuto.” p. 25

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Pur nella sua brevità questo articolo fornisce

interessanti spunti di ricerca per tutti coloro che fossero interessati all’argomento. Esso è corredato,

infatti, anche da un’ampia bibliografia sugli studi condotti in merito ai più comuni problemi

evidenziatisi nel corso degli anni in cui la CF è stata utilizzata.

Eventuali note o commenti: L’articolo è molto interessante perché affronta in modo sintetico ma

accurato proprio i problemi dell’influenzamento del facilitatore. E’ evidente che, trattandosi del

tema che più mi ha colpito da quando sono entrata in contatto col mondo dell’autismo ed avendo

anche impiegato la CF a scuola, questo articolo è stato per me una vera rivelazione, in quanto ha

dato consistenza ai miei dubbi.

Autore: A. BIGAZZI

Titolo del libro o dell'articolo: La comunicazione facilitata

Rivista: Informautismo | 9| Settembre-Dicembre 2004| 24 - 26

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N° rif. 3.5

(indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: L’autore riesce ad esprimere se stesso e tutto il suo mondo di emozioni attraverso la

comunicazione assistita: è autistico infatti dall’età di due anni. Il libro presenta una lunga

prefazione di Michael Klonovsky che dopo aver descritto l’incontro con Birger Sellin, ripercorre le

tappe degli studi sull’autismo. Il testo vero e proprio è costituito dai pensieri del giovane scrittore

tutti datati: attraverso i suoi scritti impariamo a conoscere l’autore come soggetto autistico ed il suo

universo.

Definizioni e citazioni: “abcdefghijklmnopqrstuvwxyz

birger papà jonasmamma

27.8.90” p. 3

“anche un muto vuole esprimersi

anche lui ha il diritto di avere un linguaggio

senza linguaggio siamo apparecchiature morte isolate emarginate un lavoro importante

insegnare il linguaggio ai muti

27.2.92” p. 56

“rovino prima me e poi voi

in parte di proposito in parte senza buon motivo

mi sento cattivo e vorrei essere buono

ma sempre si impone il male

senza motivo distruggo la nostra vita

ancora una volta si tratta di osare semplicemente un nuovo inizio

tenterò di mettere a profitto intellettualmente quanto è successo oggi

e a tastoni troverò il cammino che fa uscire dal mondofuorime

Autore: B. SELLIN

Titolo del libro o dell'articolo: prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo

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Libro : Bollati Boringhieri | Torino | 1995

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particolarmente scopro sempre percorsi isole che intuiscono la riva

mentirei

se descrivesi la solitudine

come se fosse il mio desiderio

la solitudine è la mia nemica

e voglio combatterla come un eccellente guerriero

13.12.92” p.114

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : riferimenti sono presenti nella prefazione che, per

citare l’autore, è stata scritta “In luogo di un’introduzione”. C’è anche un piccolo indice

bibliografico che contempla le opere più significative nel campo degli studi sull’autismo.

Eventuali note o commenti: E’ un’esperienza toccante leggere la parabola esistenziale di questo

giovane scrittore. A me interessa particolarmente perché si tratta di un testo scritto grazie all’ausilio

della comunicazione facilitata e, visto l’argomento del mio portfolio, mi ha fatto piacere trovare tra

tanti tentativi falliti ed esperienze assai dubbie un esempio coronato da successo.

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N° rif. 3.6

(indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: Chi scrive questo straordinario libro è una scienziata affermata nel campo della

progettazione di attrezzature per la zootecnia nonché una professoressa di scienze del

comportamento animale. Con questo testo ella ci racconta il mondo dell’autismo, per così dire,

“dal di dentro”: infatti ha combattuto e vinto la sua battaglia contro questa malattia e tutti i

pregiudizi che ad essa si accompagnano. Certo non è guarita nel senso che noi siamo soliti dare al

termine “guarire”, ma, grazie alla sua eccezionale intelligenza e, soprattutto, all’incontro con

docenti che hanno creduto in lei, è riuscita a realizzare il proprio progetto di vita ed a pensare a se

stessa proiettata in un futuro che non è irraggiungibile. Il testo assume spesso l’andamento di un

vero e proprio saggio ed affronta tutte le tematiche nodali dell’autismo filtrandole attraverso la

sensibilità dell’autrice e le sue esperienze di vita.

Definizioni e citazioni: “Io penso in immagini. Le parole sono come una seconda lingua per me. Io

traduco le parole, sia pronunciate che scritte, in filmati a colori, completi di suono, che scorrono

come una videocassetta nella mia mente”. pag. 1

“Se potessi schioccare le dita e non essere autistica, non lo farei. L’autismo è parte di ciò che sono”.

pag. 60

Eventuali rimandi ad altri testi od autori : L’autrice stessa fornisce una ricca e documentata

bibliografia legata ai temi dell’autismo, si sofferma a lungo a commentare, criticare, confutare le

teorie più note partendo sempre dal dato personale.

Eventuali note o commenti: Oliver Sacks ha scritto una prefazione al libro che è, secondo me,

veramente illuminante, per comprendere l’atteggiamento dell’autrice nei confronti dell’autismo e

della propria vita, quando afferma “Temple non tinge di rosa l’autismo, né minimizza quanto il suo

autismo l’abbia esclusa dalla giostra sociale, dai piaceri, dalle gratificazioni e dalla compagnia

SCHEDA

Autore: T. GRANDIN

Titolo del libro o dell'articolo: Pensare in immagini ed altre testimonianze della mia vita di artistica

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Libro : Erickson | Trento | 2002

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che per molti di noi possono costituire buona parte di quella che chiamiamo “vita”. Tuttavia ha

una consapevolezza forte e positiva del suo essere e del suo valore e di come l’autismo,

paradossalmente, possa aver contribuito in questo senso”. Mi ha molto colpito il fatto che l’autrice

non solo abbia saputo accettare la propria malattia, ma anzi, la riconosca come una parte

imprescindibile di sé. Direi che forse è questa la lezione più importante che possiamo cogliere dalla

sua esperienza.

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N° rif. 3.7 (indice ragionato)

TESTO ESAMINATO

Concetto: L’autrice è una giovane donna autistica “ad alto funzionamento”. Solo quando ormai era

adulta le venne diagnosticato l’autismo ed allora ha iniziato a scrivere ed a tenere i contatti con

altri autistici. Lo scopo di questo libro è quello di offrire sia ai professionisti che agli insegnanti un

modo per capire meglio il mondo dell’autismo. Chi scrive vuole inoltre parlare ai genitori, perché

riescano a comprendere meglio i propri figli, ed a quelli che sono come lei, affinché trovino una

via d’uscita per la realizzazione di se stessi. Il testo è organizzato in capitoli che affrontano i temi

più importanti in modo da dare al lettore la chiave per ricomporre il “puzzle” che è il soggetto

autistico.

Definizioni e citazioni: Una confusione interessante

Di ambigui guazzabugli,

quest’erba piena di giardini…

questa porta per la chiave…

questi piatti carichi di lavelli…

questo pisello pieno di baccelli…

l’indietro andato avanti….

Questa me stessa. p. 9

“I libri che ho scritto mi hanno messo in contatto con un’ampia gamma di persone “autistiche”, a

vari livelli di “funzionalità”, provenienti da ogni parte del mondo e sono arrivata a pensare che

questo gruppo abbia più cose in comune, in termini di meccanismi di adattamento al loro autismo

che in termini di forme che questi adattamenti assumono. Molto di quanto viene, correttamente o

meno, supposto sull’autismo è basato su quelle forme: su quanto “appare” piuttosto su quel che è.”

p. 213

Autore: D. WILLIAMS

Titolo del libro o dell'articolo: Il mio e il loro autismo

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Libro : Armando Editore |Roma |1998

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Eventuali rimandi ad altri testi od autori : Non c’è un indice bibliografico, però l’autrice tocca un

po’ tutti gli studi che sono stati fatti sull’argomento. Avendo un po’ studiato il tema dell’autismo

quando ho letto questo libro, ho fatto meno fatica ad orientarmi al suo interno ed a riconoscere a chi

ed a che cosa si faceva riferimento di volta in volta.

Eventuali note o commenti: La lettura non è sempre agevole, spesso è stato necessario riprendere

alcune pagine perché i concetti espressi non mi sono stati subito chiari. Il testo è comunque

interessante, soprattutto perché offre una visione dell’autismo dall’interno e permette forse di essere

meno impreparati di fronte ai tanti interrogativi che esso ci pone.