Auguri di un sereno Natale e di un felice anno...

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mensile socio-culturale della a.n.r.p. Spediz. abbonamento postale mensile - art. 2, comma 20/c, L. 662/96 - Filiale di Roma - Italia - Anno XXIV - n. 11/12 - Novembre/Dicembre 2002 In caso di mancato recapito, si prega ritornare al mittente: rassegna a.n.r.p. - Via Statilia, 7 - 00185 Roma Una copia Euro 2.50 Auguri di un sereno Natale e di un felice anno nuovo

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Auguridi un sereno Natale e di

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rassegnamensile socio-culturale della a.n.r.p.

Anno XXIV - n. 11/12 - Novembre/Dicembre 2002Sped. in abb. post. mensile - Roma

Direzione e Redazione:00185 Roma - Via Statilia, 7Tel. 06.70.04.253 - Fax 06.70.47.64.19internet: www.anrp.ite-mail: [email protected]

Presidente Nazionale:Francesco CAVALERA

Segretario GeneraleDirettore Editoriale:Enzo ORLANDUCCI

Direttore Responsabile:Salvatore CHIRIATTI

Redattore Capo:Giovanni MAZZÀ

Redazione:Maristella BOTTAAlessandro MARONGIUAlvaro RICCARDI

A questo numero inoltrehanno collaborato:Martino CONTUGiorgio R. FANARARaimondo FINATIAnna Maria ISASTIAM. Rita MARRASIlio MURACAManuel ORAZIOlindo ORLANDIGermana PORCASIArmando RAVAGLIOLIClaudio SOMMARUGA

Progetto grafico:Anna N. Mariani

In copertina:Giotto, “la Natività”Padova,cappella degli Scrovegni

Gli articoli firmati impegnanosolo la responsabilità dell’Autore.Tutti gli articoli e i testidi “rassegna” possono essere,citandone la fonte, ripresi e pubblicati.

Sede Legale:00184 Roma - Via Sforza, 4

Registrazione:- Tribunale di Roman. 17530 - 31 gennaio 1979

- Registro Nazionale della Stampan. 6195 - 17 febbraio 1998

Stampa:Edizioni Grafiche Manfredi sncVia Gaetano Mazzoni, 39/a00166 RomaDato alle stampe il 5 dicembre 2002

AssociazioneNazionaleReduci dallaPrigionia,dall’Internamentoe dalla Guerra diLiberazione

S O M M A R I O

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Editorialedi Enzo Orlanducci

Napoli 3 Novembre 2002

Ad Aldo Colombaidi Claudio Sommaruga

Fierezza per l’identitàitalianadi Armando Ravaglioli

La cooperazione civile-militare nei territori delsud Europadi Ilio Muraca

Tragedie taciute edimenticatedi Raimondo Finati

Giuseppe Garibaldipacifistadi Anna Maria Isastia

In Parlamentoa cura di Giorgio R. Fanara

schiavi di Hitlera cura di Alessandro Marongiu

A.U.C. del ’43a cura di Alvaro Riccardi

I P.O.W. in USAa cura di Maristella Botta

Gli IMI nei campi disterminio nazistidi Olindo Orlandi

Sa vida pro sa Patriadi Martino Contu

Il Corano …il Librodi Germana Porcasi

Antisemitismo: un temineusato a sproposito di Alvaro Riccardi

Libria cura di Manuel Orazi

nuovo atto…schiavi di Hitler

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Abbonamento annuale: Euro 15.00Gli abbonamenti e i contrubuti a sostegno di

“ rassegna” vanno versati, indicando la causale,sul c/c postale n. 51610004 intestato A.N.R.P.

Un target mirato di 30.000 lettori. 30

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Editoriale 3

Il 2002 sta per concludersi e vorremmo esprimere, in questo momento di pas-saggio, un pensiero non sulle tematiche che ci riguardano più da vicino, ma sualcuni eventi che hanno caratterizzato la cronaca più recente.

Nel 2003 ricorreranno 60 anni da quel fatidico 1943 che ha visto eventi, condolorose ripercussioni e dubbiose considerazioni sulla “nascita o morte di unaNazione”, che le differenti scelte degli uomini di allora determinarono.

Il dinamico evolversi del periodo attuale, con le sue contraddizioni antiche enuove, la valenza dei protagonisti e soprattutto l’apporto di quel “quid” impon-derabile che ne determina le svolte straordinarie, ci induce ad osservare, con oc-chio critico e attento, fatti e opinioni, a considerarne i punti d’incontro e le di-vergenze, di fronte alle quali possiamo trovarci più o meno in sintonia.

Il messaggio pronunciato dal Presidente Ciampi per il 4 novembre è stato uninvito ad esaminare l’evoluzione che la nostra comunità sta vivendo. “La storianon divide più gli italiani” ha affermato il Capo dello Stato che si riferiva allapossibilità di una “memoria condivisa”, un ponte sulla storia, una conciliazionedegli opposti, una ricomposizione tra valori antichi e nuovi nell’organizzazionedi una collettività pacifica e democratica e soprattutto i cui confini sono semprepiù allargati.

L’opinione di Giorgio Bocca, che ci sia dell’idealismo nel voler considerarepossibile la conciliazione di ideologie e esperienze politiche contrastanti, è con-divisibile, ma è pur vero che in ogni situazione c’è un dritto ed un rovescio eche spesso i punti di vista possono essere invertiti.

A nostro avviso, se vogliamo instaurare un rapporto nuovo con il passato erivisitarlo con quell’obiettività che la storia comanderebbe, è necessario rompe-re i tabù, come ha fatto ultimamente per provocazione lo storico berlinese JoergFriedrich. Non è facile, certo, finchè, come dice con la sua inconfondibile ironiaClaudio Sommaruga, in una lettera aperta ad Aldo Colombai, saranno in vita iprotagonisti, la cui vita è stata condizionata da scelte diverse, effettuate pursempre in buona fede. Eroi o tutti colpevoli? Ai posteri l’opportunità di giudica-re. Agli antagonisti storici del ’43/’45 la possibilità di un accordo direttamente“nell’al di là”.

Noi dal canto nostro non ce la sentiamo di confutare l’opinione di chi conestremo pudore e dignità porta ancora vive le ferite del dramma vissuto. Tutta-via non ce la sentiamo neanche di allinearci tra le file degli scettici.

Tacciare il Capo dello Stato di “buonismo” ci sembra alquanto superficiale.Il suo è il lavoro paziente di chi si fa portatore di valori stabili, in una società incui tutto corre in fretta e in cui tutto ormai sembra concesso e possibile. Non cisembra idealistico affermare i valori della Repubblica, della Costituzione, dellaDemocrazia. La gente ha bisogno di credere e il dovere del Capo dello Stato èquello di proporre quei valori che tendono a ricomporre, non a frantumare.

Di tutto questo parleremo e continueremo a parlare.Vorremmo infine ricordare un recentissimo even-

to che ha ravvivato le nostre aspettative e ha toccatonel profondo ciascuno di noi. Ci riferiamo alla visitadel Papa al Parlamento italiano, un fatto straordina-rio e senza precedenti nella storia. L’incontro è statoun momento di intensa riflessione sulle problemati-che del nostro tempo. Sono questi attimi, seppur bre-vi, che fanno bene e inducono a sperare.

Per tutti l’augurio per un futuro più sereno.Enzo Orlanducci

BIANCO E NEROL’inconciliabilità (o la conciliabilità?) degli opposti

L’atmosfera prenatalizia è giànell’aria mentre questo

numero di “rassegna” inizia ilsuo iter per venire alla luce.È come al solito, un partofaticoso, ma siamo sicuri chesarà accolto con il favore disempre e quindi: buon Natale,buon Anno, amici cari!Noi di “rassegna” ve lo diciamocon l’affetto di chi apprezza lafedeltà e l’assidua consuetudinead una rivista come la nostra.E voi ci avete accolto consimpatia, ci avete incoraggiato,ci avete seguito, fedeli sempre;avete contribuito alla suadiffusione, al suo primato:perché “rassegna” – lo abbiamogià detto e lo ripetiamo a costodi sembrare un po’ presuntuosi– è uno dei periodici di“veterani e vittime di guerra”più apprezzato in Italia, con unnumero di lettori che sfiora incerti mesi i trentamila. Unrecord che è costato anni dilavoro. Quasi sempre abbiamoraggiunto l’obiettivo che cieravamo posti all’inizio: offrireuna pubblicazione associativa,utile come una guida e, nelmedesimo tempo, gradevole,tutta “da leggere”. Un’altranostra ambizione è quella dimigliorarla, modificandone viavia la grafica, arricchendola, findove è possibile, nei contenutie nelle collaborazioni,stampandola sempre meglio.A questo riguardo ci fa piacereaccennare ai nostri programmiper il 2003.Dal prossimo numero vedretetrasformata la nostra rivista evi aspettano sorprese perquanto riguarda la sua presenzanelle vostre case. Potenzieremole iniziative collaudate da anni,su studi, dottrina ecc.attraverso “rassegna-rivista”,intervallate da informazioni,cronaca, vita associativa, ecc.attraverso “rassegna-notizie”.Possiamo dunque contare sulvostro sostegno e sulla vostraassiduità? Pensiamo di sì,perché siamo certi che non videluderemo. Ancora un augurioaffettuoso a voi e alle vostrefamiglie da parte di noi tutti di“rassegna”.

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N apoli si è svegliata in silenzio questa mattina. Il cielo color cenere ed una pioggerelli-na impalpabile non impediscono una passeggiata mattutina. Potrebbe essere una delle

tante passeggiate rilassanti nelle strade tranquille di una Napoli domenicale, se non fosseper quella sottile pena che vela gli animi e gli sguardi. Una pena da scontare in silenzio,perché solo tacendo si ascolta il moto più profondo del cuore…No. Napoli non se l’è sentita. Fino a ieri sera perdurava l’incertezza, il dubbio: si farà onon si farà la Festa con la bandiera più grande del mondo? Tutto era pronto nella splendidacornice del colonnato a semicerchio di piazza Plebiscito. Era sgombro e spazioso il selcia-to lucido, erano morbide le luci ritmate tra le colonne e sulla cupola che le sovrasta al cen-tro. Il lungo palco, laggiù sullo sfondo, era immobile, in attesa, i legni rivestiti dai vivacipanni tricolori. Napoli aveva preparato la sua più calorosa accoglienza per ospitare il grande Tricolore di1797 metri, che avrebbe dovuto dispiegarsi dalla via Partenope per poi proseguire versopiazza del Plebiscito, dove avrebbe terminato il suo maestoso itinerario, tra le acclamazio-ni di quella folla variegata, popolo e forze armate insieme, che sarebbe certamente accorsaper stringersi nei comuni festeggiamenti. Ma questi non ci sono stati.Alle ore 10.00 con discrezione, quasi in punta di piedi, alcuni militari stavano togliendo idrappi tricolori dagli spalti di legno e li riponevano, senza far troppo rumore, nell’internodi un camion. Forse, ci siamo chiesti, serviranno domani, ricorrenza della Giornata delleForze Armate. Oggi comunque la festa non ci sarà. Ieri sera ne è stata data la revoca uffi-ciale, per solidarietà e partecipazione al lutto nazionale proclamato per la giornata odierna.Questa mattina si stanno svolgendo i funerali delle vittime del terremoto a San Giuliano diPuglia, e il nostro pensiero non può non rivolgersi a quelle piccole 26 bare bianche, stra-colme di fiori, contrassegnate da un semplice nome: il nome di bambini e bambine, e quel-lo delle maestre che sono morte insieme a loro, senza la possibilità di lottare, travolte inpochi secondi dal rovinare delle macerie. Una tragedia che ci ha toccati tutti e ci ha fattopiangere davanti alle immagini trasmesse in TV, un alternarsi di speranza e di disperazio-ne. Ognuno di noi ha seguito con commozione e partecipazione l’avvicendarsi drammati-co dei fatti, unito con il pensiero al dolore di quei genitori e parenti in attesa. In quei mo-menti ciascuno di noi non ha potuto fare a meno di ripercorrere il proprio vissuto affettivo,di guardare dentro di sé, alla riscoperta di episodi di vita quotidiana a volte rimossi o di-menticati… E allora i ricordi sono riaffiorati alla memoria con nitida lucidità: sorrisi, voci,parole, piccoli gesti amorevoli, semplici concretezze, a volte banali e ripetitive, ma tutta-via importanti proprio per la naturalezza del loro scorrere nel tempo. La vita. Per le mamme e i papà di San Giuliano di Puglia la vita scorreva con un ritmo relativa-mente tranquillo, in quel piccolo paese di mille anime, pur nell’inevitabile fatica della rou-

Napoli 3 Novembre 2002

4 Festa dell’Unità Nazionale

La bandiera dei giunness

COME I BAMBINIL’HANNO VISSUTA

I bambini sono spessotaciti protagonisti dieventi a cui assistono conattenzione epartecipazione emotiva,ma è tuttavia difficile cheabbiano l’opportunità diesternare ufficialmente illoro vissuto e di essereascoltati a pieno dirittocome “persone”. Eppure èproprio la loro sincerità,la loro obiettività, scevradalle sovrastrutture degliadulti, ad offrire unapeculiare interpretazionedi fatti e avvenimenti.Ci hanno toccato vivamentele parole-testimonianzadei piccoli sopravvissuti alcrollo della scuola di SanGiuliano di Puglia. La lorovoce è stata più forte edincisiva di tanti commentigiornalistici. Ricordandoli,nel rispetto profondo dellaloro drammaticaesperienza, trasmettiamoaltre voci di altri bambini,quelli di Villacidro, cheriferiscono invece le loroimpressioni su unavvenimento che hannovissuto con gioia edentusiasmo.“La Festa del Tricolore mi èpiaciuta perché c’era tantaallegria, bei colori vivaci:un forte verde, un biancopulito e un rosso tenue,questi tre colorirappresentano la nostrabandiera”. (Alice M.)“Ero un po’ emozionato nelvedere la bandiera piùlunga del mondo e l’aereoche riprendeva tutta lamanifestazione; ero stanco,ma moltofelice”.(Marco Z.) �

Napoli 3 Novembre 2002

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“Quando il vento sialzava, la bandierasembrava volasse; labandiera era lunghissima,larga, insomma erastraordinariamente bella,per questo vorrei che laFesta del Tricolore ci fosseogni anno”. (Melania M.)“La cosa che mi è piaciutadi più è avere portato labandiera in alcune vie diVillacidro, è statoveramente un onore per meavere toccato la bandierapiù lunga del mondo. Cisiamo divertiti veramentetanto. Questamanifestazione deltricolore rimarrà persempre nel mio cuore dibambina”. (Stefania S.)“Ero molto felicenell’osservare quellameravigliosa bandiera cheattraversava le vie piùimportanti del mio paese,ma soprattutto la marea digente che osservava lostupendo spettacolo”.(Silvia O.)“Mio nonno ha portato labandiera dei combattentiperché era l’unico ad avereavuto la medaglia diguerra in argento, sonostata tanto felice anche perlui”. (Vanessa M.)“Ero molto felice,gioiosa perché oltre

5Festa dell’Unità Nazionale

tine quotidiana. Poi tutto si èfermato quando la terra hatremato e quella scuola, insie-me alle case, è venuta giù. Edecco l’urlo lacerante, unico,inconfondibile. E abbiamovisto quella nonna agitare lebraccia spalancate e correre,correre all’impazzata per an-nunciare a tutti (a tutti!) l’e-normità della tragedia. È sta-

to un momento alto, intenso, incommensurabile. E poi lo strazio corale, l’alternarsi dellevoci, il pianto, la trepidazione, l’attesa, il dubbio, la speranza, la certezza, la consapevolez-za. E intanto lì, sotto le macerie, mentre alcuni bambini tacevano per sempre, altri piccoliscolari continuavano a cantare, fiduciosi nella salvezza che sarebbe arrivata, se loro aves-sero cantato con più forza nella voce, come li esortava la loro maestra. E lei continuava achiamarli per nome, nel buio, per avere la certezza che rispondessero ancora… Si è sentitain colpa, lei, per essere stata tratta in salvo prima di loro… Il comportamento di questamaestra testimonia non solo l’alto senso di responsabilità e l’attaccamento al proprio lavo-ro, ma soprattutto l’amore con cui ha saputo sostenere i propri alunni e il rapporto di fidu-cia instaurato con loro. Sono questi gli episodi che ci fanno riflettere e sperare che ancorasiano vivi e profondi certi valori antichi, di sempre.In mezzo a tanto dolore, un dolore tuttavia discreto, sopportato con grande dignità e forzad’animo, anche noi rimaniamo in silenzio, incapaci di fare o di dire altro se non tacere. Lanostra bandiera dei guinness è rimasta chiusa. Avremmo voluto dispiegarla in un grandeabbraccio di comunione e solidarietà contutti quelli che in quel momento stavanosoffrendo. Ma tutto è precipitato in fretta,lasciandoci soli e disorientati di fronte aglieventi.In piazza del Plebiscito, insieme ad alcuniorganizzatori della manifestazione napole-tana, accogliamo un gruppo di Veterani ve-nuti in pullman da Monte Scaglioso, inprovincia di Matera, una delle sezioni piùantiche dell’ANRP. Sono accompagnatidai familiari e dagli amministratori locali,sempre disponibili a sostenere questi “al-fieri fedelissimi” della nostra bandiera.Nonostante l’età ormai avanzata, sono partiti dal loro Paese all’alba, per essere presentiad un avvenimento che avrebbe rafforzato ancora una volta quel vincolo che li accomu-na da sempre nel loro impegno morale e civile. Non avevamo fatto in tempo ad avvertir-li prima che partissero e loro, pur nell’incertezza dello svolgersi o meno della manifesta-zione, sono venuti ugualmente, sempre pronti a schierarsi tra le prime file, con quell’en-tusiasmo che li distingue. In quest’occasione, tuttavia, un senso di tristezza ha offuscatol’abituale piacere di stare insieme e ilgruppo di Monte Scaglioso, dopo una bre-ve sosta a Napoli, se ne è tornato a casacon l’animo commosso e pensieroso. Rin-graziamo questi uomini così tenaci e soli-dali; non tarderà l’occasione di ritrovarciinsieme. Nel 2003, infatti, un prossimo ap-puntamento con la bandiera più lunga delmondo sarà proprio a Monte Scaglioso,dove continuerà il lungo percorso di cele-brazione dell’Unità Nazionale attraverso ilTricolore.● (eneri)

• Napoli: Il gruppo di MonteScaglioso.

• Napoli: Castel Nuovo e il porto.

• La tendopoli di San Giuliano diPuglia.

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Ho ultimata la rilettura del tuo ultimo libro “…la scelta!” (ANRP 2002) e fi-nalmente so come si è svolto l’incontro finale, colpo di scena e clou del romanzod’amore balcanico e dei complessi di colpa di Alberto e Jelena che avevi enigma-ticamente sorvolato, con mia delusione di lettore, nel 1993 nel tuo romanzo-ve-rità “Tra svastica e stella rossa”.

Ho centellinato il tuo libro, di interesse attuale, avvincente e originale comenarrativa, come memoria storica da fonti (che so vere!) e fatti ignorati dai più ecome una lezione di storia sulla quale riflettere, reduci e giovani! Il libro racchiu-de, tra l’altro, la rara testimonianza della “seconda prigionia” sotto i titini, quasiignorata dalla memorialistica e addirittura protratta fino al marzo 1948.

Peccato che il libro sia distribuito fuori commercio, ma non aspirando adiritti di autore, importante non è arrivare nelle librerie, sul banco per pochigiorni o settimane, poi per qualche mese in uno scaffale, per finire negli inven-duti al macero, nei reminders o in qualche dimenticatoio casalingo. Importanteè invece distribuirlo alle principali biblioteche, archivi e istituti storici e ai ri-cercatori. Compito nostro, ultimi superstiti (oggi ridotti e ancora per poco a unquinto) è di testimoniare finché forze e memoria lo consentano. Poi, come os-serva la prof. Anna Maria Isastia, è compito dell’università recuperare, inter-pretare e tramandare la nostra memoria. Noi moriamo veramente quando piùnessuno si ricorda di noi e la nostra storia sarà ricostruita dal poco che abbia-mo scritto!

Ma vorrei esprimerti in tutta sincerità alcune riflessioni che mi frullano in te-sta dalla lettura del tuo romanzo-verità, ma pur sempre opinioni di una parte incausa.

Il tuo libro esemplifica tre modi diversi, ma particolari, dei militari italianidopo l’8 settembre “per onorare la Patria”: collaborazione con Hitler e Mussolini,“via del Lager” e lotta partigiana. Sono scelte emblematiche e rispettabili se sin-cere, anche se opinabili dai contrastanti punti di vista. Ma sono delle scelte nongeneralizzabili per un giudizio storico o una riflessione scolastica perché eludonola quarta scelta, preponderante negli “optanti”, fatta non per onorare una Patriama per opportunità meno nobili.

Da un’indagine sociologica di G. Caforio e M. Nuciari (cfr. “NO” Analisi diun rifiuto, 1994) e da mie rielaborazioni (in “rassegna” ANRP, luglio 1998 e in“NO!”, ANRP, 2002, p. 238), tra i nostri militari catturati dai tedeschi, il 14%avrebbe optato per Hitler e Mussolini ma solo un loro 10% (= 1,4% dei catturati,fra cui l’Alberto del “…la scelta!”) avrebbe optato per “onorare la Patria” (perideologia politica o fedeltà all’ex alleato) mentre la restante schiacciante maggio-ranza lo fece per sofferenza, paura, opportunismo. Ma anche nei “NO” nei Lager,un terzo non aveva motivazioni patriottiche, ideologie od etiche ma, terra a terra,dal “la va’ a pochi!” alla “stanchezza della guerra” e alla “dignità umana”. E lescelte, pro o contro, erano poi largamente condizionate dalle circostanze e dallasolidarietà di “gruppo”.

Non tutte le scelte furono quindi dettate dall’ “onorare la Patria” ed un rischiodel tuo libro, è che nei giovani e senza i chiarimenti degli insegnanti (di cui dubi-to), dia adito a semplicistiche e fuorvianti generalizzazioni!

La lettura del libro mi ha richiamato alla riflessione anche alcune banalità,però da non sottovalutare:

– Le guerre le dichiarano “quelli delle poltrone”, le combattono anche eroi-camente i “poveri cristi” e la storia poi la scrivono i vincitori, la revisionano iperdenti, la sa solo Dio e non la studiano nelle scuole!

Ad Aldo Colombaidi Claudio Sommaruga

6 Lettera aperta

ai meravigliosicolori vedevo l’aereosorvolare su Villacidro perfare le riprese. Quando siè messo su il vento labandiera si gonfiava eformava delle onde chefacevano diventare labandiera qualcosa difantasioso”. (Federica T.)“Mi ha colpito moltovedere tanta genteosservare la bandiera piùgrande del mondo, sentirei bambini che cantavanol’Inno di Mameli in mezzoad un mare di colori”.(Alberto D.)“Mi sarebbe piaciutotuffarmi nella bandiera piùlunga del mondo, farmidondolare come si fanell’amaca. (Jvonne Mais)A me questa esperienza hareso felice e non ladimenticherò mai. Non miè piaciuto ilcomportamento di queibambini che tiravano labandiera, perché in unafesta così importante nonsi dovevano comportare damaleducati in quanto ilTricolore va rispettato”.(Mauro M.)“Sabato 12 ottobre 2002:un giorno che io e tutti gliabitanti di Villacidro nondimenticheremomai. Io sprizzavo digioia. Camminammo

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per prendere posto.Ecco la bandierafinalmente! Fu presa dapiccole e grandi mani. Ibambini erano molto felici,tutta la gente era in festa.Eravamo stanchi, ma pienidi gioia nel cuore. Questaè stata una giornatameravigliosa”. (Andrea A.)“Mi sembrava di essere inuna favola” (Stefania)…Questa, è ancora unadelle espressionispontanee di una bambinadopo l’esperienza vissuta il12 ottobre a Villacidro inoccasione della “Festa delTricolore”. Manifestazioneche ha visto i riflettorinazionali puntati suVillacidro, finalmente, suun evento positivo, diparticolare interesse e digrande rilievo sociale eculturale. La voce deibambini è quella che fatesto perché forse piùdell’adulto sa cogliere gliaspetti essenziali dellecose e sa apprezzarne,libero da condizionamenti,l’autenticità e la verabellezza. È stato unmomento aggregante, difesta e di riscoperta divalori come la pace, lafratellanza e la gioia dellostare insieme.Agli adulti, a quelli che nonhanno saputo capire ledifficoltà di una cosìimponente organizzazione,le scuse più sincere perqualche cambio diprogramma non dipesodagli organizzatori. Infine,un grande, grandissimoringraziamento a quantihanno sostenuto l’iniziativae hanno collaborato in ognimodo alla riuscita di questagrande bella festa. ●

M. Rita Marras

7Lettera aperta

– Gli eroi per gli uni, sono poi tra-ditori per gli altri e viceversa e soloDio sa come giudicarli. Onore etradimento della Patria?– In ogni fazione ci sono buoni ecattivi in varie proporzioni: nei“ragazzi di Salò” e loro padri re-pubblichini c’erano opportunisti eaguzzini (cattivi), fanatici (irre-sponsabili, col cervello all’ammas-so), idealisti (rispettabili) e coscrit-ti di Graziani (magari ricattati enon colpevoli). Analogamente, nel-la Resistenza non tutti erano pa-trioti ma c’erano anche renitenti al-la “leva Graziani” per ragioni nonideologiche e i pragmatici (“la va’a pochi!”) e certamente qualchemariuolo, come tra i patrioti borbo-nici!Ma “…la scelta!”, col sottotitolo“Tre modi diversi per onorare la Pa-

tria” invita a un dibattito ricorrente, in questo momento attuale e ad una inchiesta,in corso fra i lettori, se «siamo al preludio per un riavvicinamento e riappacificazio-ne, dopo 50 anni, tra le allora opposte fazioni» che trae lo spunto da una frase delpresidente Ciampi pronunciata a Lizzano Belvedere il 14 ottobre 2001.

Ma l’idea di una riconciliazione dall’apparenza “bonista” (“volemose be-ne!”) mi lascia un tantino perplesso. Una pacificazione dovrebbe sottintendere unperdono, argomento cui mi sono già occupato in “rassegna” (aprile 2002).

Se per perdono si intende non odiare, non augurar male e non desiderare ven-dette, io sono d’accordo, avendo in tal senso già perdonato tutti da decenni, ancheil popolo tedesco dove conto amici, né provo rancore ma solo pietà per figli e ni-poti di nazifascisti, non portatori delle colpe dei padri degeneri, a meno che sianoneo-nazisti o neo-fascisti.

Se il perdono è inteso invece nella nostra tradizione culturale cristiana, alloraio riesco a perdonare, ma a titolo personale, solo i pentiti veri, ne più ne meno co-me il confessore che perdona nel nome di Dio, ma dà una penitenza. Ma purtrop-po tra gli ex nazisti e gli ex repubblichini conosco pochi pentiti sinceri e moltifinti, magari per opportunità politica o di scampo. Solo noi, ultime vittime viventidei Lager potremmo perdonare i nostri aguzzini – ma gli altri, figli e nipoti, chec’entrano? – e solo a titolo individuale non avendo alcun mandato dai morti (oggi4/5!) a perdonare a loro nome chicchessia, vivo o morto.

Solo i capi di stato democratici potrebbero riappacificare popoli, previe auto-critiche, pentimenti, perdoni. Ma gli IMI superstiti come potrebbero oggi perdo-nare una Germania, più che mai palesemente non pentita, di averli illegalmentedeportati e sfruttati in schiavitù, facendone morire barbaramente oltre 100.000,militari e civili, alla cattura e nei Lager? I morti fisicamente sono uguali, tutti de-gni di pietà, ma erano ben diversi da vivi e ciò che è storicamente accaduto è irre-versibile e non si cancella con una sanatoria!

Perciò, parlare di un possibile, auspicabile, tardivo riavvicinamento o riappa-cificazione, dopo 59 anni, mi pare un esercizio superfluo, se non ipocrita, di reto-rica politica a buon pro di alcuni.

Io pazienterei ancora un pochino: fra poco non ci saranno più protagonistiimbarazzanti vivi, del ’43, buoni o cattivi, di qua e di là: tutto rientrerà nella sto-ria mediata dai nipoti con le testimonianze vere, sbagliate e lacunose che avrannoereditato da noi. Allora “rien ne va plus” e gli antagonisti storici del ’43-’45 si ac-corderanno direttamente, nell’al di là! ●

Edizioni A.N.R.P.

Aldo Colombai

Balcania: settembre ’43

Tre modi diversi

per onorare la Patria

…la scelta!

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Coloro che, a nome della Nazione, hanno portato le armied hanno sofferto la mortificazione della prigionia, av-

vertono una particolare sofferenza nel constatare la continuaviolazione dei confini della nostra identità nazionale attra-verso l’irruzione nel costume e nel linguaggio di modi e diespressioni imposti da una subdola colonizzazione morale.Resta difficile prendere le distanze nei confronti del recentefesteggiamento di Halloween nel nostro Paese da quando

abbiamo appreso che pro-prio all’intendimento dipartecipare a quel festeg-giamento, si deve la sal-vezza di una classe di asi-lo, in occasione del recen-te terremoto di S. Giulia-no di Puglia. La maestraaveva condotto quei pic-coli a festeggiare in corti-le con qualche anticiposulla micidiale scossa tel-lurica che demolì la loroscuola. Dobbiamo conclu-dere che quei loro trave-stimenti: li hanno preser-vati dalla strage che hatravolto gli altri innocenti.Ancora una volta il gioco

delle circostanze al servizio della fatalità ha determinatoconseguenze dalla insondabile giustificazione, in questo ca-so tali da rallegrarci tutti. Tuttavia la pur felice, ma causale,coincidenza non può attribuire a quella festa un caratterespecificamente salvifico che la metta al riparo da qualsiasiriserva sul suo carattere e sulla sua origine.Invece non può non preoccupare la rapida penetrazione nel-le abitudini della nostra infanzia di una celebrazione dipretta marca forestiera, la cui sostanza e le cui caratteristi-che non solo risultano del tutto estranee al nostro costumetradizionale, ma – a pensarci bene – dovrebbero anche ri-sultare ripugnanti alla coscienza comune, imperniata sul ri-spetto della morte e sui sentimenti di solidarietà e di amoreverso le persone scomparse. La mentalità nostrana, profon-damente permeata dalla sensibilità cristiana, è fondata suradici remote che ci hanno abituato a concepire una solida-rietà fra gli uomini che dura anche attraverso la morte. Allenordiche fantasie di fantasmi e di misteriose entità maligneche si dipartono dal regno del mistero, potenzialmente ne-

miche degli uomini e spaventose per i bambini, si oppone ilnostro uso di infiorare ed illuminare le tombe, oltre che diattribuire ai defunti una sorte di angeli e di beati protettoridei viventi, culminante addirittura – in certe regioni del no-stro Mezzogiorno – nella consuetudine dei donativi di dol-ciumi e giocattoli che i morti, nella loro festività, recano aibambini.Ne scaturisce una serena considerazione della morte, unatranquilla concezione del rapporto con il mistero ultraterre-no che, pur sfuggendo alla nostra comprensione, non ci èpregiudizialmente avverso e non può ingenerare irrazionalifantasmi.Anche coloro che con faciloneria – maestre o mamme – ac-cedono ai riti propiziatori delle giornate di Halloween nonpensano certamente di trasgredire, o peggio ancora rinnega-re, quella mentalità. Aderiscono, senza troppo riflettere aquella che si presenta come una ennesima proposta di di-vertimento ad integrazione delle nostre consolidate tradi-zioni. Ne consegue – di fronte alla diffusione delle masche-re impaurenti, delle zucche trasudanti luci, degli scheletridanzanti – una riflessione sulla nostra tendenza eccessiva-mente facilona ad accettare esotiche usanze che, in effetti,sono il riflesso di mentalità a noi estranee, trasudanti dalleselve del nord e contrastanti con la serenità del costume la-tino-solare.Perché, allora, quella supina accettazione di un costumesenza agganci con le nostre consuetudini? Concediamo pu-re che una qualche spiegazione venga dalla smania festaio-la del contemporaneo consumismo, sempre propenso ad an-nettersi nuove occasioni di svaghi e di spese; ma non pos-siamo fare a meno di trovarne la più profonda radice nellasuperficialità delle nostre convinzioni, nella permeabilitàdelle nostre usanze da parte di estranee suggestioni che ciarrivano infiocchettate dai mass-media di osservanza fore-stiera, nella propensione ad omologare i costumi ed a glo-balizzare i comportamenti, abbassando le barriere confina-rie della nostra specificità nazionale.Sono tanti gli indizi di un progressivo asservimento del co-mune comportamento ad influssi forestieri. Passando, gior-ni addietro, per un rione popolarissimo di Roma, mi ha col-pito il richiamo ad una Jennifer ed a una Melissa da parte digente che dovrebbe aver più familiarità con le Antoniette ele Giuseppine. Del resto, le insegne dei negozi, anche piùmodesti, traboccano di richiami pubblicitari espressi in in-glese anche a rischio di risultare scarsamente comprensibilialla maggioranza del pubblico. Ciò dipende dalla soggezio-

8 Primo piano

FIEREZZA PER L’IDENTITÀ ITALIANAI NOSTRI CONFINI IDEALI

di Armando Ravaglioli

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ne dei pubblicitari nostrani alle iniziative più invasive pro-venienti dai Paesi dove il protagonismo pubblicitario è piùavanzato: così si confondono le parole con la sostanza dellecose, ritenendo che un pizzico di equivoco e di innovativogiovi all’affermazione degli oggetti proposti. Non si consi-dera che si potrebbe tranquillamente accedere ad offerte dinuove forme di abito, all’introduzione di nuove macchineper il comfort quotidiano o all’accettazione di proposte dinuovi divertimenti senza subirne passivamente i nomi eso-tici, ma facendo ricorso alla ricchezza terminologica dellanostra lingua, quasi sempre in grado di fornire vantaggiosisostitutivi a chi ben la conosca.Nessun bisogno di ricorrere a campagne pregiudiziali che,per dare il bando ad espressioni straniere, talora originali esenza equivalenti nostrani, si espongono al rischio del ridi-colo come successe all’epoca del purismo del regime. Allo-ra si volle propagandare “alcole” al posto di “alcool”; o“consociazione “ al posto di “club”. (Ma vennero propostianche vantaggiosi sostituti come “autista” in luogo di“chauffeur”!). Non è detto però che, per dimostrarsi aderen-ti alla modernità ed in grado di usare i mezzi delle conqui-ste strumentali attuali, si debba accogliere acriticamenteogni terminologia esotica o tecnica. In questo, purtroppo,alla cattiva scuola non è estranea la maggioranza dellastampa, a cominciare da quella quotidiana, che risulta or-mai fitta di terminologie straniere, anche quandoesistono le possibilità di una chiara ed equipollentetraduzione e nonostante che si rischi di risultare in-comprensibili alla massa dei lettori. Non vorrem-mo avanzare il sospetto di una troppo sommariaconoscenza della lingua italiana da parte di alcuniprofessionisti della stampa i quali, vuoi per vezzodi modernità o per scansare la monotonia delle ri-petizioni, sono troppo facili nel ricorrere all’uso dineologismi stranieri assolutamente non necessari.Purtroppo, anziché prenderne esempio, si suolesorridere dello scrupolo dei francesi nel cercaresempre una risposta di propri termini alle indica-zioni delle tecnologie estere e nella loro cautela neldare risonanza a mode straniere!Del resto l’esempio arriva dall’alto dove si è arri-vati ad introdurre espressioni straniere persino nel-l’intitolazione dei ministeri. Cosa ha voluto ag-giungere alle competenze del Ministero del lavoroe della previdenza sociale chi ha avuto la pensatadi attribuirgli il titolo di “Ministero del Welfare”?il ministro Maroni è convinto che i lavoratori ab-biano chiaro che cosa possa essere quel suo “Wel-fare”? Ma tant’è. Più che la chiara comprensioneeffettiva delle cose, importa a qualcuno che sidiffonda l’impressione di una grande innovazionee di una progressista internazionalità, anche sequesta è solamente il riflesso di un ritardo su con-cetti già affermati e digeriti all’Estero. E che diredelle “new entry” per riferirsi ai ministri di nuovanomina? Forse sarebbe bene un po’ più di rigorenell’accertare da parte degli aspiranti al professio-

nismo giornalistico la conoscenza delle risorse del vocabo-lario italiano in fatto di terminologia e di sinonimi! Unmondo giornalistico più corretto nell’uso della lingua fini-rebbe per mettere in soggezione anche i disinvolti innova-tori del linguaggio e delle immagini che si trovano nell’am-biente politico ed in quello pubblicitario.Lingua e costumanze rappresentano i più riconoscibili con-notati della concezione di vita di un popolo, dei suoi ideali,della sua visione del mondo. Perché barattarli contro unavana lustra di modernità o di assimilazione di un Paese lea-der del momento? I popoli si alternano nella visibilità allatesta delle civiltà; ma le loro realtà di fondo perdurano tantose sono alla guida, quanto se arrancano nel gruppo che se-gue, confidando sempre nella possibilità di un loro ulterioresviluppo e di futuri primati, magari parziali, nella contribu-zione al progresso comune. Importante è comunque sapersipreservare nella propria identità di fondo, senza camuffa-menti e senza confusioni. Nella compostezza degli atteg-giamenti come nel giusto rigore per la tutela delle propriecaratteristiche sta infatti il segreto della affermazione delleNazioni quali protagoniste consapevoli della scena delmondo, ugualmente ferme nel rispettare gli altri e nell’esi-gere il proprio rispetto da parte di tutti. Naturalmente a co-minciare da se stessi.●

9Primo piano

CONFEDERAZIONE ITALIANA

FRA LE ASSOCIAZIONE COMBATTENTISTICHE

IV NOVEMBRE

GIORNATA DELLE FORZE ARMATE

FESTA DELL’UNITÀ NAZIONALE

I Combattenti, Decorati al Valor Militare, congiunti dei Caduti, Mutilati ed Invalidi, Protagonisti della Guerra di Liberazione

e della Lotta Partigiana, reduci dalla Prigionia, ex Internati e Deportati,

CELEBRANO

Con l’impegno di sempre l’evento conclusivo del primo conflitto mon-diale che, realizzando i sogni degli artefici del Risorgimento, portò a

compimento l’unità d’Italia;

TRIBUTANO

Un reverente commosso omaggio a quanti, fedeli al Tricolore,sacrificarono la loro giovane esistenza agli ideali di amor di Patria,

di indipendenza, di libertà e di democrazia

CONFERMANO

La tenace volontà di operare affinché vengano definitivamente spentii focolai di tensione che rappresentano un costante pericolo

per l’affermazione della pace nel mondo.

Roma, 4 novembre 2002

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Era da aspettarselo! La partecipazione di unità della NA-TO, incluse quelle italiane, alle operazioni del manteni-

mento della pace e del suo rafforzamento (pace keeping e pacereinforzing), nei paesi a rischio di conflitti e di terrorismo, nonpoteva essere più rappresentata esclusivamente da un deterren-te armato, con il rischio di assumere più l’aspetto di una “poli-tica militare” che di sostegno al loro contesto civile.Essa dovrà finalmente fare un salto di qualità compenetrandosinella realtà del territorio, conoscendone gli aspetti più difficilie controversi, spesso estranei, se non opposti, a quelli dei mili-tari della NATO, che saranno pur sempre considerati degli“stranieri”, agli occhi della popolazione stanziale.Di qui l’esigenza di un addestramento particolare, sempre inambito NATO, condotto eventualmente da volontari “riservi-sti” che si prestino alla bisogna e che saranno chiamati ad af-fiancare le unità operative, nelle aree da sorvegliare.Fatta questa breve premessa, per mettere a fuoco un problemanuovo, che si sta presentando con carattere di sempre maggio-re urgenza, è bene dare la parola al Sottocapo di Stato Maggio-re, ten. gen. Roberto Speciale, il quale, in un interessante arti-colo sulla “ Rivista Militare”, ha posto in luce, forse per la pri-ma volta, in termini espliciti, la nuova esigenza civile-milita-re, che dovrà presto tradursi in realtà, con criteri uniformi, nel-l’ambito dei vari Eserciti della NATO e dei paesi aderenti alledirettive dell’ONU.Essa ha già un nome: “NATO CIMIC GROUP SOUTH”, ossia“Gruppo di cooperazione civile-militare nell’area meridionaled’Europa”: si tratterà di una unità specialistica, ad addestra-mento ed impiego multinazionale, la cui guida è stata, per ilmomento, affidata all’Italia, anche in virtù della maggiore ca-pacità dei nostri soldati di capire le varie realtà dei paesi ovesono chiamati ad operare e di accattivarsi la simpatia, oltre chela stima, della popolazione locale.

Sentiamo come si esprime, a proposito, il gen. Speciale:«Lo sviluppo di operazioni “fuori area” è contraddistinto dacondizioni ambientali ed operative estremamente diversificate,di qui la necessità di una revisione della struttura delle unitàdell’arma base e di supporto al combattimento.Appare, pertanto, indispensabile dotare tali unità di capacitàche permettano di estenderne l’impegno oltre che alle tradizio-nali competenze anche ad attività che riguardano le realtà po-litiche, sociali, economiche e culturali del Paese di interesse.In altri termini, è necessario prendere in considerazione anchespecifici assetti riguardanti le forme di comunicazione (PSYO-PS), le rinnovate connotazioni informative (RISTA) e la Coo-perazione Civile-Militare (CIMIC).La presa di coscienza di questa situazione, in particolare, haindotto la NATO a dotarsi ci una capacità CIMIC che dia lapossibilità, alle unità in operazioni, di meglio integrarsi con lapopolazione, le autorità civili e le Organizzazioni Internazio-nali, al fine di creare un ambiente favorevole all’assolvimentodella missione.In tale contesto l’Italia ha assunto l’impegno di sviluppare ilprogetto “CIMIC Group South” e di costituirsi, quale Nazione“quadro”, per la realizzazione di una unità CIMIC per il SudEuropa, secondo gli intendimenti espressi dall’Alleanza.In proposito è da rilevare che questo impegno costituisce unodegli obiettivi prioritari, non solo per superare le carenzeemerse nello specifico settore, ma anche per il ritorno d’imma-gine in ambito internazionale che ne potrà derivare.Si tratta senza dubbio di una sfida, perché la capacità daesprimere sarà riferita non solo alla componente di base del“CIMIC Group South” per il supporto ed il coordinamentodell’attività da svolgere, ma anche e soprattutto al reperimen-to del personale dotato di specifiche qualifiche funzionali – datrarre dalla Riserva Selezionata – che dovrà operare a contat-to diretto con il mondo civile nell’area d’interesse.L’addestramento di questi specialisti e la loro disponibilità perl’impiego, infatti, sono aspetti assolutamente innovativi e nelcontempo determinanti su cui si fondano gran parte delle pro-spettive CIMIC». ●

(*) L’Autore dell’articolo è stato recentemente insignito della Croced’Argento al Merito dell’Esercito, quale giusto riconoscimento per laproficua attività svolta durante la Sua operosa carriera e per il costanteinteresse dimostrato, dopo aver lasciato il servizio, con scritti ed inter-venti, sulla problematica dell’Esercito, ma soprattutto per aver risco-perto e degnamente valorizzare il contributo della Forza Armata nellalotta partigiana e nella guerra di liberazione attraverso la collana stori-ca di nove volumi, su la Resistenza dei nostri militari all’estero.

10 Primo piano

La cooperazione civile-militarenei territori del sud Europa

di Ilio Muraca*

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T rieste è sempre stata e lo è tuttora una città affascinanteper le sue bellezze naturali e per la sua storia di capitale

Mittel-Europea nonché per le drammatiche e a volte misteriosevicissitudini vissute durante i due conflitti mondiali del ‘900.Vi giunsi per la prima volta nell’agosto 1941 in occasione delmio trasferimento dal X° al II° artiglieria di stanza a Vrhnika apochi chilometri da Lubiana.Ne rimasi incantato e ci ritornai volentieri al termine della pre-scritta quarantena trascorsa nel “Grande Albergo Parco” di Si-stiana: provenienza Bocche di Cattaro, Montenegro, destinazio-ne in licenza a Napoli, mia città natia.Nel 1954, destinato a Latisana qualefunzionario statale, vi tornai più volte,essendo la città sede di Compartimento.Nell’ottobre di quell’anno, alle quat-tro del mattino di un giorno della se-conda decade del mese un sordo econtinuo rombo di motori, accompa-gnato da un incessante sferragliare dicingoli destò di soprassalto me e miamoglie.Nella strada, sotto casa, che univa al-lora Venezia a Trieste, v’era il pas-saggio ininterrotto di unità motoriz-zate del nostro Esercito che il PrimoMinistro dell’epoca, on. GiuseppePella, aveva deciso di inviare al confine slavo per contrastarele mire espansionistiche del Maresciallo Tito.Quel giorno recatomi a Trieste per doveri d’ufficio trovai lacittà in festa, in gran fermento per l’arrivo dei nostri bersaglieri.Ma l’odissea della città giuliana, allora governata dal GovernoAlleato Americano, non ebbe termine con la fine della guerra,l’8 maggio del ’45, e purtroppo altri anni peggiori si sussegui-rono con un’alternanza di speranze e delusioni.Solo la definizione del confine tra Italia e Jugoslavia pose ter-mine alla contesa per le due zone A e B e giustamente SilvioBenco scriveva: “mentre su tutto, il mondo rideva in quei gior-ni la pace, a Trieste regnavano terrore e dolore”. (da GianniOliva: “La resa dei conti”, Mondadori, 1999, cap.li V° e VI°,da pag. 135 a pag. 195).Ma ora sarà bene tornare a quel tragico 8 settembre del ’43 chetrasformò la Città e tutto il territorio in sede del Gauleiter del-l’Alto Adriatico sotto ferrea occupazione dell’esercito tedesco.Trieste divenne anche centro di smistamento per deportatiebrei destinati ad Auschwitz o ad altri K.Z. nonché sede dell’u-nico campo di sterminio in Italia: la risiera di San Sabba.Purtroppo la città, la provincia e tanta parte della Venezia Giu-lia conobbero giorni ancora più tragici: all’inizio del ’44 vi fu-rono i primi contrasti tra partigiani garibaldini e titini, ogni ri-fiuto agli ordini di questi ultimi comportava l’immediata fuci-lazione come avvenne per Darko Pezza comandante della for-mazione garibaldina.La convivenza tra partigiani comunisti delle due etnie (italiana eslava) diventò di giorno in giorno sempre più difficile e quellacon i partigiani di diverso segno politico addirittura impossibile.Calunnie, sospetti, odio portarono a vendette sanguinose, av-venne in tale clima l’eccidio delle malghe Porzus, ove 21 parti-

giani cattolici e giellini della Brigata Osoppo furono trucidati il7 febbraio del ’45 da militanti comunisti in un agguato apposi-tamente organizzato. Tra essi perirono il Comandante De Giorgi, il CommissarioValente e la presunta spia di radio Londra Elda Turchetti.Ma il peggio doveva ancora accadere, la corsa per l’occupazio-ne di Trieste tra anglo-americani e titini iniziò nel marzo-aprile’45 e il primo maggio la IV° Armata jugoslava raggiunse perprima la città.Incominciò allora un nuovo martirio: una vera e propria “pu-

lizia etnica e politica”, vi fu una car-neficina le cui vittime furono tuttiquelli che capitarono a tiro, fascisti eanche antifascisti; gli eccidi conti-nuarono per settimane con migliaiadi morti, assassinati e gettati nellenumerose foibe del Carso e dell’I-stria.Invero un primo infoibamento con al-cune centinaia di vittime vi fu nell’au-tunno del ’43 ad opera dei partigianislavi preceduto da processi farsa o daimprovvise aggressioni.La tragedia, come abbiamo visto, si ri-petette nella primavera del ’45 ed ebbetermine solo nel giugno dello stesso

anno con gli accordi intervenuti tra Tito e Alexander e con ladeterminazione della linea Morgan come confine definitivo del-le due zone A e B in cui fu suddiviso il territorio giuliano.Solo allora ebbe termine l’occupazione della Città ed il ritirodei titini nella zona B ad essi assegnata.E finalmente cessò la paura di essere trucidati senza apparentemotivo o di essere deportati nei campi di concentramento dellaJugoslavia considerati, a ragion veduta, più spietati dei terribililager nazisti, il che è tutto dire!Ma iniziò ben presto un’altra tragedia: l’esodo di centinaia dimigliaia di italiani dalla zona B, ad esempio, lasciata Pola da-gli americani, la gente del luogo prese con se le poche e poverecose e andò in esilio, in giro per il mondo – come ci narra Ful-vio Tomizza nel suo “Materada”.E così Caporetto, Tolmino, la stessa Gorizia divisa in due, e Pira-no, Capodistria, Buje, Parenzo, Rovigno e tanti altri centri minorisotto la spinta dell’Ozna (servizio segreto dei partigiani slavi) co-nobbero anch’essi la pulizia etnica, la deportazione e l’esilio.Tale massiccio esodo dall’Istria, da Fiume dalla Dalmazia fu lanaturale risposta che la popolazione italiana o di sentimenti ita-liani oppose all’insostenibile regime jugoslavo basato sui rivo-luzionari Comitati popolari di liberazione, organi supremi delpotere comunista: oltre 300 mila persone abbandonarono conimmenso dolore le loro case, i parenti ed altro in tutte quellezone ormai definitivamente occupate dai titini.Quindi Caporetto, già tristemente famoso nella prima guerramondiale del 1915-18, oggi slava e denominata Kobarid, hasubito dopo il conflitto del 1940-45 quel martirio purtroppocomune a tutte le zone di frontiera con popolazione mista esempre contese nel corso dei secoli tra l’uno e l’altro dei paesiconfinanti. ●

11Parliamone

Tragedietaciute e dimenticate

di Raimondo Finati

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Giuseppe Garibaldi fu un uomo d’armi, ma anche un uo-mo di pace. Nella sua vita la pace e la guerra non furono

mai alternative, ma al contrario, si intersecarono continuamen-te ed egli rimase sempre fedele agli ideali cosmopoliti ed uma-nitari che indirizzarono tutta la sua attività.Il suo internazionalismo si inserisce in un percorso coerenteche ha le sue radici nel pensiero rivolu-zionario europeo dell’età della restaura-zione, in particolare nel sansimonismo,così come è sansimoniano anche l’im-pegno morale di mettersi a servizio delprossimo oppresso.Possiamo ben affermare che Garibaldinacque internazionalista e morì interna-zionalista passando per l’intero ciclodel principio nazionale.Fu durante la seconda guerra d’indipen-denza, nel 1859, che Garibaldi comin-ciò a parlare di pace e ad auspicare chel’Europa potesse unirsi in una grandeconfederazione.Nell’ottobre 1860 mentre stava per con-cludere la vittoriosa Spedizione deiMille, egli inviò alle Potenze d’Europaun Memorandum di gradissimo interes-se storico:«Tutti parlano di civiltà e di progres-so… A me sembra invece che, eccettuandone il lusso, noi nondifferiamo molto dai tempi primitivi, quando gli uomini sisbranavano fra loro per strapparsi una preda. Noi passiamo lanostra vita a minacciarci continuamente e reciprocamente,mentre che in Europa la grande maggioranza, non solo delleintelligenze, ma degli uomini di buon senso, comprende perfet-tamente che potremmo pur passare la povera nostra vita senzaquesto perpetuo stato di minaccia e di ostilità degli uni controgli altri, e senza questa necessità, che sembra fatalmente im-posta ai popoli da qualche nemico segreto ed invisibile dell’u-manità, di ucciderci con tanta scienza e raffinatezza.Per esempio, supponiamo una cosa:Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato.Chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua? Chi mai si avvi-serebbe, io ve lo domando, turbare il riposo di questa sovranadel mondo?».L’America era lontana e nessuno poteva allora pensare che sta-va sorgendo una potenza che avrebbe fatto ombra alla vecchiaEuropa. Il progetto di Garibaldi era comunque affascinante. Nella primavera del 1867 il suo nome si mescolò a quello ditanti altri personaggi che si mobilitarono contro il pericolo diuna guerra europea. I rapporti tra la Francia e la Prussia erano

tesissimi e minacciavano di sfociare in una guerra per il con-trollo del confine sul fiume Reno. La stampa dell’epoca diederisalto ai suoi inviti ad imitare gli operai di Parigi e di Berlinoche avevano votato mozioni contro la guerra:«Sappiano una volta i popoli: che volendo concordi, essi pos-sono rovesciare nella polvere per sempre il sacerdozio dell’i-

gnoranza, ed il dispotismo che impedi-rono sin ora alle razze umane di affra-tellarsi».Il 24 maggio aggiunse: «È tempo che leNazioni si intendano senza bisogno disterminarsi. È tempo che il ferro ado-perato per terribili apparecchi di di-struzione lo sia d’ora innanzi per mac-chine ed utensili giovevoli al popoloche manca di pane. È tempo infine chele classi laboriose e sofferenti di tutti ipaesi, per mezzo di un concordato uni-versale, eretto in Costituente, annunzi-no all’oligarchia disordinata, tumul-tuosa e battagliera che il tempo è fini-to!… Compiamo ciò che essi non han-no giammai voluto: la fratellanza dellenazioni. E che il primo articolo del no-stro patto sia: La guerra è impossibiletra fratelli».A giugno diede la sua adesione al con-

gresso internazionale per la pace che si stava organizzando aGinevra, insieme ai più bei nomi della democrazia europeadall’economista Richard Cobden al letterato Victor Hugo. Il Comitato centrale del congresso volle dare a Garibaldi lapresidenza onoraria. La sua popolarità, le sue dichiarazioni infavore della pace, i suoi stretti legami con tutto l’associazioni-smo democratico europeo ne facevano il candidato ideale.Il comitato organizzatore scrisse: «Ce nom est à lui seul le plus net des programmes. Il veut direhéroisme et humanité, patriotisme, fraternité des peuples, paixet liberté».Garibaldi nella primavera estate del 1867 stava preparando laspedizione nell’Agro Romano, con la speranza di poter spazza-re via anche l’ultimo residuo di territorio pontificio. Si volevaliberare Roma per farne la capitale d’Italia e concludere il pro-cesso di unificazione nazionale, riprendendo il progetto fallitonel 1862 sull’Aspromonte.Ad agosto decise comunque di recarsi a Ginevra, spinto daquanti temevano le conseguenze del suo ultimo progetto mili-tare, ma soprattutto attirato dall’enorme clamore che circonda-va ormai il programma di questo incontro, anche per la suapresenza. In altre parole, la notizia che Garibaldi avrebbe par-

12 Parliamone

GIUSEPPE GARIBALDI PACIFISTAdi Anna Maria Isastia

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tecipato al congresso della pace aveva reso estremamente po-polare tra i democratici l’iniziativa degli organizzatori.Garibaldi ritenne anche che dal palcoscenico di Ginevra avreb-be potuto attaccare il papato, fare appello all’appoggio dellecoscienze liberali europee nella lotta che egli stava per iniziarecontro quella istituzione che egli considerava «nemica di tutti ipopoli, causa prima di tutte le guerre, il più potente alleato ditutti i dispotismi».Può sembrare un controsenso presiedere un congresso di paceper parlare di guerra, ma lo stretto collegamento con la demo-crazia portava ad approdi differenti. Come scrisse il democrati-co Giuseppe Ceneri si trattava di condannare le cause che im-pediscono il raggiungimento della pace. Non era la pace del-l’asservimento ad un potere dispotico quella che reclamavano idemocratici europei, ma una pace duratura basata sulla libertàe sulla giustizia.Garibaldi era sicuro di ottenere il massimo delle adesioni allasua guerra contro il papa Pio IX che nel 1864 aveva emanato ilSillabo, un documento che in ottanta proposizioni condannavasenza appello tutte le conquiste della rivoluzione francese edell’Ottocento liberale. Il papa aveva detto di no alla libertà distampa, di riunione e di associazione, al sistema rappresentati-vo e alla libertà delle coscienze. Bisognava abbattere il potereteocratico del papa, una «institution pestilentielle»per il gene-rale nizzardo.Agli inizi di settembre Garibaldi lasciò Firenze seguito dall’in-teresse di tutta la stampa europea che si interrogava sui motividi questo viaggio non preannunciato. L’8 settembre arrivò aGinevra accolto in trionfo.Il 9 settembre nella seduta di apertura dei lavori, Garibaldi sot-topose al giudizio del congresso una serie di proposizioni, in

parte politiche e in parte religiose. Alcune entusiasmarono laplatea, mentre altre sollevarono malumori e proteste.Ecco in sintesi il pensiero di Garibaldi:1 – Tutte le nazioni sono sorelle.2 – La guerra fra loro è impossibile.3 – Le eventuali controversie saranno giudicate dal congresso.4 – I membri del congresso saranno nominati dalle società

democratiche di ciascun popolo.5 – Ogni nazione avrà il diritto di voto al congresso, quale

che sia il numero dei suoi membri.6 – Il papato, come la più perniciosa delle sette, è dichiarato

decaduto.7 – La religione di Dio è adottata dal congresso e ciascuno dei

suoi membri si impegna di propagarla in tutto il mondo.L’attacco al papato era ovviamente funzionale al suo progettodi abbattere l’ultimo lembo di Stato Pontificio.Può sembrare singolare il fatto che Garibaldi celebri la pace eprovochi la guerra a distanza di pochi giorni, eppure la Spedi-zione dell’Agro Romano dell’ottobre 1867 si pose ai suoi oc-chi come la naturale conseguenza della conferenza della pacedi Ginevra. Mentana dunque non si spiega senza Ginevra ed è lo stesso Ga-ribaldi a scriverlo nelle sue “Memorie”. Il generale era andato aGinevra per ottenere consensi e spiegare la sua guerra all’opi-nione pubblica democratica. Gli schiavi non avevano il dirittodi muovere guerra ai tiranni? Ebbene gli schiavi erano i romani,i tiranni erano il papa e Napoleone III, imperatore dei francesi,ed era giusto muovere loro guerra in nome della libertà.Garibaldi continuò per tutto il resto della sua vita a parlare dipace tra i popoli e di auspicare la nascita di una Confederazio-ne europea. ●

13Parliamone

“Hanno portato con loro, in cielo, il ricordo degli amici.Continuano ad amarci come li amavamo…Non soltanto con l’amore tutto soprannaturaleche deriva dalla visione beatifica… ma anche dell’amore umano portato in altoe trasfigurato da questo amore soprannaturale”.

Con questo spirito, pubblichiamo il pensiero del grande filosofoMaritain che ci torna alla mente ricordando tutti gli amici che cihanno lasciato. Ogni qualvolta ci giunge notizia della scomparsa diuno di essi, noi vorremmo, da queste pagine, parlare di Loro. Maforse sarà più gradito, ad Essi, essere ricordati insieme, come insie-me hanno operato con tutti noi.

“E se c’è un terribile sipario fra il nostro mondo visibileed il mondo invisibile, l’amore ci fa passare dietro,

è lo stesso amore di carità che è in Essie in noi: attraverso il nostro amore li raggiungiamo

come Essi ci raggiungono ed anche attraverso la nostra preghiera”.

La giornata del 2 novembre è, pertradizione del mondo cristiano, dedicata

alla commemorazione dei Defunti.Anche noi dell’ANRP naturalmente la celebriamo e ricordiamo, con particolare,reverente commozione, i Caduti di tutte le guerre e coloro che, per le privazioni e i maltrattamenti subiti, cessarono divivere nei campi di concentramento.Come non ricordare, “in primis”, le vittimedei Lager nazisti?Ma, oltre a queste, ci sembra giusto,rivolgere il nostro grato pensiero ai Reduci,deceduti dopo il loro rientro, che moltosoffrirono per restare fedeli al lorogiuramento di fedeltà alla Patria.

IN MEMORIA

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A proposito del Programma di risarcimento agli ex lavoratori coattiitaliani nella Germania nazista: l’Italia indennizza quello che la Ger-mania ha ritrattato.

Interventi in favore dei cittadini italiani vittime delle persecuzioni naziste. C.2577 Olivieri, C.2586 Rivolta e C. 2646 Lucidi.

Il Comitato ristretto della Commissione Difesa della Camera dei Deputati, presie-duta dall’on. Luigi Ramponi, ha ascoltato mercoledì 6 Novembre 2002, i rappre-sentanti della ANRP – Associazione Nazionale Reduci della Prigionia, dall’Inter-namento e dalla Guerra di Liberazione – al fine di acquisire utili elementi alladefinizione del progetto di legge con il quale il Parlamento della Repubblica Ita-liana intende sanare, almeno dal punto di vista morale, il vulnus costituito dal ri-fiuto della Repubblica Federale Tedesca e della Repubblica Federale della Au-stria ad un equo indennizzo di quanto patito dai deportati e internati nei lager na-zisti, dopo i fatti dell’8 Settembre 1943.I rappresentanti della ANRP, dopo aver illustrato l’evoluzione della vicenda daldopoguerra ad oggi, hanno osservato che le richieste dei cittadini italiani (mili-tari e civili) scampati alla morte e provati per sempre dalla durezza della prigio-nia nazista, sono state sempre osteggiate ed eluse sia dalla Repubblica FederaleTedesca che da quella dell’Austria e, pur plaudendo all’iniziativa intrapresa dacomponenti della Commissione Difesa della Camera dei Deputati, hanno auspi-cato che il riconoscimento, seppur solamente morale, ai nostri connazionali,che il Parlamento della Repubblica Italiana si appresta a tributare, attraverso laproposta di legge N. 2586 d’iniziativa dei deputati Rivolta, Palmieri e Rampo-ni, la proposta di legge N. 2577 d’iniziativa dei deputati Olivieri e Detomas e laproposta di legge N. 2646 d’iniziativa dei deputati Lucidi, Violante ed altri, perle sofferenze subite e per l’eroismo nella sopportazione di cui hanno dato pro-va, segua un iter di approvazione sollecito perché non sia il tempo l’ultimoaguzzino che coroni beffardamente con la sua inesorabilità, una ingiustizia chesi perpetua ormai da quasi 60 anni. Infatti, dallo studio condotto lo scorso annodalla ANRP, congiuntamente alle altre organizzazioni riunite nel “Coordina-mento tra associazioni storiche, sindacati e patronati per il risarcimento dellevittime italiane del nazismo”, sulle richieste di risarcimento inviate all’OIM -Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, quasi certamente tutte impie-tosamente respinte, di quelle iniziali 850.000 vittime ne risultano in vita pocopiù di 100.000 e l’assottigliamento del gruppo segue ormai – ha affermato ilprofessor Orlanducci, Segretario Generale della ANRP – “un andamento alge-brico e non più aritmetico”.Il Comitato ristretto ha ascoltato i rappresentanti della ANRP e, in maniera bipar-tisan, maggioranza e opposizione hanno concordato nell’intenzione di recepire isuggerimenti formulati. In particolare, ha apprezzato, adottandola, la proposta dicomprendere nell’azione di indennizzo tutti i cittadini italiani internati nei lagernazisti, non solo dunque i militari, ma anche i civili deportati coi rastrellamentinazisti dopo l’8 Settembre del 1943, riconoscendo loro un diritto all’indennizzosenza alcun riferimento al tipo e alla quantità di lavoro cui erano stati coercitava-mente costretti. L’azione di indennizzo delle sofferenze patite deve rivolgersi, -come hanno affermato i rappresentanti della ANRP – al fatto stesso di aver subito

14 In Parlamentoa cura di Giorgio R. Fanara

In data 6 novembre 2002il Comitato ristretto,appositamente costituito,dalla IV CommissionePermanente Difesa dellaCamera dei Deputati,presieduta dall’on. LuigiRamponi, ha ascoltato irappresentanti dell’ANRP.Per non generare falsesperanze è opportunoprecisare che l’iter dellaproposta di legge è lungoe difficile.

1943/45 “schiavi di Hitler”

GLI INTERNATI

…al Parlamento LuigiRamponi

GiuseppeFallica

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15In Parlamento

la detenzione in quei campi, le cui regole erano fuori da tutte le Convenzioni al-l’epoca vigenti e frutto solo di cieca vendetta su incolpevoli.Inoltre il comitato ha accolto la proposta della ANRP di istituire una Albo d’ono-re affinché sia consegnata alla Storia della Repubblica Italiana la memoria di tutticoloro che eroicamente sopportarono la deportazione e l’internamento nei campinazisti. L’Albo conterrà i nomi di tutti i cittadini italiani e sarà custodito a curadel Ministero della Difesa per quanto riguarda gli internati militari e del Ministe-ro degli Interni per gli internati civili. Infine, il Comitato ha pure condiviso l’esigenza prospettata di consentire l’inoltrodella domanda di risarcimento anche a coloro che non l’avessero formulata neitempi previsti dalla procedura originariamente stabilita dall’ OIM per il31/12/2001. La legge, ha assicurato il Presidente, on. Luigi Ramponi Ramponi,prevederà un congruo periodo dopo l’approvazione per il recepimento delle do-mande e si attiveranno tutti i mezzi disponibili per una sua vasta e capillare diffu-sione. All’interno del Comitato maggio-ranza e opposizione si sono trova-te finalmente concordi nell’accet-tare le proposte avanzate.Dopo gli interventi dei commissarion. Roberto Lavagnini e on. Rober-ta Pinotti e dei proponenti on. DarioRivolta e on. Marcella Lucidi, an-che il Governo, rappresentato dalSottosegretario on. Filippo Bersell-li, ha espresso parere favorevole suicontenuti del progetto di legge.Il Comitato ha accolto all’unani-mità la proposta del PresidenteRamponi di adottare per il provve-dimento in esame la sede legislati-va anziché quella referente e hadato incarico al relatore, on. Giu-seppe Fallica, di formulare un te-sto unificato recependo tutti i sug-gerimenti presentati dai rappre-sentanti della ANRP. Ad esaminare le domande saràuna Commissione composta da unrappresentante per ognuno dei se-guenti organismi: Presidenza delConsiglio dei Ministri, Ministerodell’Interno, Ministero della Dife-sa, Organizzazione Internazionaleper le Migrazioni (OIM), Associa-zioni storiche dei reduci dalla pri-gionia, dalla deportazione e dal-l’internamento.

I componenti del Comitatoristretto, appositamentocostituito, per l’esame delleproposte di legge diiniziativa parlamentare – C.2577 Olivieri e Detomas,C.2586 Rivolta, Palmieri eRamponi, e C. 2646 Lucidi,Violante ed altri – in favoredei cittadini italiani vittimedelle persecuzioni naziste:

RAMPONI Luigi (AN) – PresidenteFALLICA Giuseppe (FI) – RelatoreBRINCOLO Federico (LNP)CONTE Giorgio (AN)COSSIGA Giuseppe (FI)COSSUTTA Armando (Misto.com)DEIANA Elettra (RC)GALVAGNO Giorgio (FI)LAVAGNINI Roberto (FI)LODDO Tonino (MARGH-U)MOLINARI Giuseppe (MARGH-U)PINOTTI Roberta (DS-U)PISA Silvana (DS-U)SERENA Antonio (AN)TUCCI Michele (UDC)

RobertoLavagnini

FilippoBerselli

RobertaPinotti

MarcellaLucidi

DarioRivolta

LuigiOlivieri

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1. Alla scadenza del termine (31 dicembre 2001) per la presentazione delle domande di ri-sarcimento nell’ambito del Programma tedesco di indennizzo per gli ex lavoratori forzatisotto il regime nazista, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazione (OIM) ha raccol-to oltre 120 mila richieste da parte di internati italiani.

2. Si ritiene che la maggior parte di questi richiedenti non avrà i requisiti necessari per ot-tenere l’indennizzo dal momento che le condizioni stabilite dal Governo tedesco non auto-rizzano la Fondazione tedesca “Memoria, Responsabilità e Futuro” ad approvare i paga-menti agli Internati Militari Italiani (IMI) in quanto tali. L’OIM, in qualità di organizza-zione partner della Fondazione, è vincolata alla suddetta decisione.

3. Nel momento in cui l’OIM diede avvio al Programma tedesco di indennizzo per gli exlavoratori forzati sotto il regime nazista, intraprendendo per tale ragione, una campagnainformativa a livello mondiale, la decisione sull’ammissibilità degli IMI presso il Governotedesco non era ancora stata definita.

4. Sino a tale risoluzione, l’OIM ha continuato a sostenere le istanze degli IMI, sia su pro-pria iniziativa sia delle associazioni italiane delle vittime ed di altri interlocutori, insisten-do affinché fosse fatta chiarezza nell’interesse delle vittime stesse. L’OIM si è fatta pro-motrice di azioni, anche attraverso memorie e scritti, del diritto degli IMI all’indennizzo,portando all’attenzione del Consiglio di Amministrazione della Fondazione la questione einsistendo affinché fosse presa una decisione in merito.

16 schiavi di Hitlera cura di Alessandro Marongiu

Pubblichiamo, qualeaggiornamento per inostri lettori, la nota, difianco riportata, fattacipervenire dall’OIMOrganizzazioneInternazionale per leMigrazioni, partner dellaFondazione tedesca“Memoria, Responsabilitàe Futuro”.

Programma tedesco di indennizzo per gliex lavoratori forzati sotto il regime nazista

Indubbiamente non tutte le mete si possono raggiungere, nè il discorso portato

avanti è sempre perfetto. Tutt’altro. Noi sappiamo che troppe volte iniziative a

tutela dei Veterani “vittime di guerra”, avviate con onestà d’intenti e chiarezza di

vedute dall’ANRP, si sono arenate per mancanza di sensibilità da parte di quegli

enti o persone che pure ci avevano assicurato aiuti morali e materiali.

Per l’ANRP, è penoso perfino continuare a sollecitare per gli internati italiani nei

lager nazisti – traditi, disprezzati, dimenticati e beffati più volte – un ripensamento

da parte del Governo tedesco, un riconoscimento dei misfatti perpetrati da un

regime che aveva pervaso la Germania con la sua negazione dell’umanità e della

libertà.

L’arbitraria privazione ai militari italiani dello status di “prigionieri di guerra”e

la conseguente eliminazione della possibilità di protezione della Croce Rossa

Internazionale, nonchè la deportazione dei civili, allo scopo di costringerli tutti a

prestare un lavoro schiavistico per la produzione bellica e nel riattamento delle

strutture – quasi sempre, sotto la sferza di aguzzini, rappresentanti di quella

infernale violenza, che con disprezzo, annientò la dignità umana – è una delle

pagine più buie del secondo conflitto mondiale.

L’ANRP non abdicherà mai al dovere di tutelare, in ogni sede, i propri associati e

la nota dell’OIM ci fa comprendere quanto è rimasto ancora da fare per

addivenire alla verità e quanto, più che mai, sia necessaria la mobilitazione di

tutti.

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17schiavi di Hitler

5. Nell’agosto 2001, quasi un anno dopo l’entrata in vigore della legge tedesca istitutivadella Fondazione, il Governo tedesco ha informato la Fondazione tedesca che gli IMI nonavrebbero avuto diritto all’indennizzo ai sensi di questa legge. La decisione scaturiva daun parere legale emesso da un esperto nominato dal Governo tedesco. Costui ha stabilitoche gli IMI, durante la Seconda Guerra Mondiale, avevano continuato a possedere lo sta-tus di prigionieri di guerra, nonostante la decisione di Hitler di modificare la loro condi-zione in lavoratori civili.

6. Un’eccezione a questa regola si applicherà a quegli IMI che furono detenuti in quei cam-pi di sterminio riconosciuti ai sensi della legge tedesca. Solo tali casi verranno consideratiindennizzabili. L’OIM stima che gli IMI ammessi all’indennizzo saranno poche centinaia.

7. L’OIM ha iniziato ad inviare le lettere di notifica ai richiedenti le cui domande hannodato esito negativo. Un primo gruppo di circa 45 mila IMI riceverà le suddette lettere entroil mese di Novembre.

8. I richiedenti in disaccordo con la decisione hanno il diritto di presentare ricorso. Va preci-sato però che anche l’Organo di Appello sarà vincolato alla decisione del Governo tedesco.Gli IMI che siano in grado di dimostrare la propria detenzione in un campo di sterminio ri-conosciuto ai sensi della legge tedesca, possono presentare il proprio ricorso entro 100 gior-ni [dal ricevimento della lettera]al seguente indirizzo: IOM Appeals Body (FL). CP 174,CH-1211 Geneva 19, Svizzera.

9. L’OIM desidera esprimere il proprio riconoscimento e rispetto per le sofferenze di tuttele vittime del regime nazista indipendentemente dalla loro ammissibilità all’indennizzo aisensi della legge tedesca. Le lettere di notifica, in nessun modo, intendono sminuire o sot-tovalutare le sofferenze patite dalle vittime.

10. In quanto una delle sette Organizzazioni partner della Fondazione tedesca, l’OIM è in-caricata di curare l’iter procedurale delle domande dei lavoratori in condizioni di schiavitùe lavoratori forzati in molte parti del mondo e di provvedere all’erogazione degli indenniz-zi per coloro che ne hanno diritto. Finora, l’OIM ha espresso parere positivo alla Fonda-zione per l’indennizzo di circa il 50% del totale degli aventi diritto, pari a 70.000 richie-denti. Circa 1.500 indennizzati, sinora, sono residenti in Italia.

L’AMBASCIATA D’AUSTRIA A ROMAINFORMA

Il Consiglio di Amministrazione del Fondo diRiconciliazione ha deciso, su raccomandazionedel suo Presidente, il Cancelliere FederaleDottor Schüssel, di prorogare il termine perla presentazione di richieste di pagamenti vo-lontari fino al 27 settembre 2003 invece chefino al 27 novembre 2002 come previsto all’o-rigine.

L’Ambasciata diffonde la suddetta informazio-ne poiché in Italia potrebbero essere presentipersone in possesso dei requisiti per ricevereun’assegnazione da parte del Fondo di Ricon-ciliazione e che non hanno ancora presentatorelativa richiesta.

Ulteriori informazioni possonoessere reperite sui siti internet

(inglese) www.conciliationfund.at

(tedesco) www.versoehnungsfonds.at

(italiano) www.anrp.it

Fondo di Riconciliazione: pagamenti volontari

della Repubblica d’Austria agli ex-schiavi e vittime

del lavoro forzato del regime nazista

“C’è chi vorrebbedimenticare,c’è chi vorrebbefalsificare”.Noi difendiamo la veritàe la memoria storica.

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Un memorabile incontro Fra gli avvenimenti succedutisi nelcorso dell’anno 2002 un particolarerilievo merita il Raduno Nazionaledegli Alpini, che ha avuto luogo aCatania nel mese di maggio.Ci ha scritto, al riguardo, il nostroaffezionato collaboratore SilvioAdrogna, vice-presidente della Se-zione A.N.A. di Vicenza e capofiladel gruppo ufficiali ex A.U.C. del62° Battaglione d’istruzione 1943,che ha partecipato compatto al pre-detto Raduno.Riferisce il nostro Amico che “lastorica Città siciliana ha accolto gliAlpini con viva simpatia; e con am-mirazione e scroscianti applausi li haseguiti mentre, con fiero portamen-to, marciavano lungo le sue ampiestrade pavesate di bandiere.”“La sfilata si è svolta senza interru-zioni dalle 8.30 del mattino alle 3del pomeriggio. Quanti fossero i Ca-tanesi assiepati lungo il percorso èdifficile dirlo. Due-centomila? Forse,anche un po’ dipiù, come ritienequalcuno. Ma ciòha una importanzarelativa. Importan-te l’abbraccio della

Città, l’accoglienza della popolazio-ne, il bagno d’italianità, di fratellan-za e di amicizia che questa adunataha saputo creare. Grazie Catania egrazie fratelli del sud.”La Città siciliana ha letteralmenteconquistato i pacifici “invasori”. Es-sa appariva stupenda ai loro occhi,per la bellezza del suo panorama –cui l’Etna fa da imponente sfondo –e del suo golfo sul Mare Jonio, ove,di fronte ad Aci Trezza, spuntano leIsole dei Ciclopi, di omerica memo-ria. Così, chi ha avuto il tempo di tratte-nersi sul posto ha potuto compiereinteressanti escursioni turistiche.Certamente ne valeva la pena; ed èstato anche questo un forte motivodi richiamo per gli invitati all’Adu-nata: i quali, per esservi presenti,hanno fatto ricorso ad ogni mezzo:chi andando in treno, chi viaggiandoin aereo, chi servendosi della mac-china e della moto. Vi sono stati al-cuni che, giunti a destinazione, si so-

no attendati o sistemati in roulot-tes o campers.“È propria degli Alpini – diceAdrogna – l’arte di arrangiarsi; equesto loro spirito di adattamen-to deriva dalla voglia di nonmancare a nessun appuntamentoche consenta di rivedere vecchi

“compagni di naja” e di assaporare ilclima delle grandi feste accanto alTricolore.”“La Sezione Alpini di Belluno (cosainsolita per quella gente, avvezza aconsiderare la montagna come il suoambiente naturale) ha noleggiatouna nave, con partenza da Venezia econ un programma di sette giorni:tutti occupati i 1.300 posti disponibi-li. E ho motivo di credere che alcunifra i più anziani, quando la nave si ètrovata al largo delle coste albanesi,abbiano rievocato con commozionela aspre battaglie in cui, loro malgra-do, furono impegnati contro i greciall’inizio degli anni ’40.”“Da parte sua, la Sezione di Vicenza,partecipante con tutti i suoi Gruppi e120 gagliardetti, ha prenotato un ap-posito convoglio ferroviario, con levetture del “Settebello”, che, nel-l’andata, ha fatto pure una deviazio-ne a Sapri nel salernitano, per rende-re omaggio, in accordo con le auto-rità locali, al Monumento a Carlo Pi-sacane, eroe del nostro Risorgimen-to, ed alla “Spigolatrice”.

Avviso agli esclusi dalla promozione onorificaRichiamandoci a quanto riferito pre-cedentemente in questa rubrica (cfr.fascicolo luglio-agosto 2002), con-fermiamo che è stato assegnato conurgenza alla Commissione Difesadel Senato, per il relativo esame, ildisegno di legge n. 1341 presentatoil 18 aprile c.a. dal sen. Tino Bedinal fine di rimediare alle lacune dellalegge n. 277/99, che hanno causatocome è noto, in concorso con una in-terpretazione riduttiva della leggestessa da parte del Ministero dellaDifesa, il mancato conferimento del-la promozione onorifica a sottote-nente a numerosi aventi diritto.Dobbiamo fare presente, al riguardo,che di parte degli esclusi ignoriamoancora i nomi. Sarà bene, pertanto,che tutti gli interessati ci segnalinosingolarmente il loro caso (come hagià fatto, con dovizia di particolari,l’Amico Antonio Vinaccia di Pi-stoia), onde consentirci di appoggia-re le rispettive istanze al momentoopportuno.

18 A.U.C. del ’43a cura di Alvaro Riccardi

Gruppo Ufficiali ex A.U.C. del ’43

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IN 33.000 ALAVORARE

Erano sì prigionieri, mala loro vita al di làdell’oceano scorrevarelativamente tranquilla:lavoro, alloggi e pastidignitosi, lezioni diinglese, coupon coloratiper le piccole spese. Ilproblema, per gli italianiimprigionati negli USA,dal Texas al Kentucky, fusemmai il ritorno a casa:molti di loro infatti nonriuscirono a rimetterepiede in Italia primadella fine del 1945.Inoltre essi ancoraattendono quella partedel loro salarioaccantonato dagliamericani in un un“Prisoner fund” chedoveva essere restituito

al loro rientro inItalia.

19POW in USA

Nel maggio 1943 dopo la resa in Africa Settentrionale, 500 mila soldati italiani ven-nero fatti prigionieri dagli anglo-americani. Negli Stati Uniti ne furono avviati 50 mi-la e in parte impiegati come forza-lavoro. I primi contingenti di prigionieri italiani ar-rivarono negli USA nella primavera del 1943 e vennero smistati in 62 campi.I campi di prigionia erano composti di un campo base da cui quasi sempre dipendeva-no dei sotto campi presso i quali venivano distaccati temporaneamente gruppi di pri-gionieri secondo le necessità locali di lavoro. Ogni campo era composto di tre o quat-tro recinti (compound) che erano separati tra loro da due fitte file di reticolato alte cir-ca tre metri. Dalle torrette di guardia erano manovrati pure potenti fari i cui fasci diluce sciabolavano, di notte, il campo in tutte le direzioni. I prigionieri di guerraerano alloggiati in baracche con le pareti di cartone catramato sostenuto dastrutture di legno. La baracca riservata ai soldati e ai sottufficiali internamenteera simile a una grande camerata con ai lati due file di letti. In ogni com-pound i prigionieri erano suddivisi in quattro compagnie, ciascuna di esse di-sponeva di una baracca servizi (lavatoio, docce e w.c.), di una baracca men-sa con annessa cucina e di una baracca comando-deposito. Inoltre nel com-pound vi erano alcune baracche libere che i prigionieri destinavano a salaconvegno, a cappella per la celebrazione della santa messa e a spacciodove si poteva acquistare quel poco che gli americani facevano arrivare.Si pagava in dollari, non quelli veri, ben inteso, ma in coupon colorati.Con 80 cents al giorno si retribuivano i soldati, che uscivano a lavora-re, e con uno stipendio “simbolico” di 20 coupon al mese si pagavanogli ufficiali.I 33 mila POW che all’epoca accettarono di lavorare con gli ameri-cani ancora attendono i loro salari. Ad oggi al Ministero della Dife-sa sono pervenute circa 6.000 istanze richiedenti il pagamento deicrediti di lavoro versati nel 1949 dagli Stati Uniti allo Stato italia-no e destinati agli ex POW collaboratori in USA. Al 31-12-2001la Commissione appositamente costituita dal Ministero dellaDifesa ne aveva esaminate 3128 [altri dati non sono stati for-niti, nonostante le reiterate richieste].Il Ministro della Difesa, pur appellandosi alla complessità del-la situazione venutasi a creare e della delicatezza della mate-ria, più volte dichiarava al Parlamento la disponibilità ad ad-divenire ad una soluzione soddisfacente.Il tutto faceva sperare al meglio, ma a tutt’oggi [a quasi dueanni dalle dichiarazioni]nulla appare all’orizzonte.Nessun cenno di ri-scontro alle sollecitazioni avanzate dall’ANRP e dai diretti interesssati, che non me-ritano questo indifferente “colpevole” silenzio, eccetto il ripetersi di una generica let-tera che dice tutto e il contrario di tutto.

a cura di Maristella Botta

GLI EX POW IN USA

Avranno mai giustizia dallo Stato italiano?

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Ètempo che l’ANRP esca dal suo riservato silenzio per rispetto alle altre associazioniconsorelle ed assuma, anche in questa vicenda, il compito di proporre in sede legisla-

tiva la semplificazione della normativa in atto per gli “schiavi di Hitler”. Cercherò di riassumere in breve l’evoluzione storica della normativa suddetta, rammentan-do che la controparte che tuttora giudica le istanze degli IMI, con gestione autonoma ri-spetto alla pensionistica di guerra, è la Presidenza del Consiglio dei Ministri “Commissio-ne per le provvidenze agli ex deportati nei campi di sterminio nazisti KZ” (ex art. 7 delDPR n.2043 del 6.10.1963), organo della Pubblica Amministrazione competente a delibe-rare autonomamente. Ed ecco l’iter legislativo:– Accordo italo tedesco sottoscritto a Bonn il 02.06.1961 (Gazzetta Ufficiale 93/1963) per i

cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste, introdotto “a durataindeterminata” con successiva legge 06.02.1963 n. 404. Importo anticipato nel 1961: 61milioni di DM parte del quale fu devoluto alle associazioni che figureranno nell’art. 3 subb) della successiva legge 791/1980 [l’ANRP non era tra quelle indicate all’art. 3];

– Legge 06.02.1963 n. 404 concernente gli indennizzi a cittadini italiani colpiti da misuredi persecuzione nazionalsocialiste;

– DPR n. 2043 del 06.10.1963 che tratta l’istituzione della Commissione KZ; i ricorsiamministrativi e la ripartizione della somma cui hanno diritto anche i militari italianiinternati e i lavoratori non volontari. Al riguardo si osserva che, nei ricorsi amministra-tivi contro la Commissione KZ, la controparte dovrebbe essere quest’ultima e non ilMinistero del Tesoro, stante la posizione di “terzietà ad esso devoluta fra la Commis-sione e il ricorrente. Occorre ribadire, come più volte fatto in sede di udienza alla Cortedei Conti, che, se l’accordo italo-tedesco del 02.06.1961 è “a durata indeterminata” an-che gli indennizzi lo sono e che anche lo stesso vitalizio di cui alla legge 791/1980 ri-sulterebbe tuttora a carico della Repubblica Federale di Germania;

– Gazzetta Ufficiale n. 130 del 22 maggio 1968 – Elenchi nominativi delle domande ac-colte per indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocia-liste di cui alla legge 06.02.1963, n. 404;

– Bundesgesetzblatt (Gazzetta Ufficiale tedesca) n. 64, del 24 settembre 1977, che recal’elenco dei campi di concentramento KZ, e dei relativi distaccamenti, riconosciuti dal-la Repubblica Federale di Germania, ai fini dell’applicazione dei risarcimenti ai depor-tati nei campi di sterminio nazisti;

– Legge 18.11.1980 n. 791 concernente l’istituzione di un assegno vitalizio a favore degliex deportati nei campi di sterminio nazisti KZ;

– Legge 06.10.1986 n. 543 il cui art. 10 fornisce l’interpretazione autentica sulla qualifi-cazione dei campi KZ sottoposti alla vigilanza e amministrazione della Gestapo e/odelle SS e destinati a fini di sterminio;

– legge 29.01.1994 n. 94 concernente la reversibilità dell’assegno vitalizio;– sentenza della Corte dei Conti a Sezioni riunite n. 6/98/QM del 14.01.1998 per la qualifi-

cazione di “campo di sterminio KZ” ai fini della concessione delle provvidenze di cui allalegge n. 791/1980 che impone ai ricorrenti di dimostrare e documentare quanto segue:a) la natura politica delle cause che ebbero a determinare la deportazione per ragio-ni di fede, ideologia o razza;b) la gestione della prigionia con i criteri politici, in quanto affidata alla polizia po-litica (Gestapo o SS) che operava con criteri particolarmente afflittivi.

Gli IMI nei campi di sterminio nazistiUna farraginosa normativa da semplificare

di Olindo Orlandi

20 Proposte

Le vittimedimenticate

TRINGOLI VIOLA

Nel 1933 la Comunitàreligiosa dei Testimonidi Geova che in Germaniacontava 25.000 anime fumessa al bando e circa lametà di loro proseguì“l’opera di predicazione”nella clandestinità.Furono perseguitatispietatamente e il 12giugno 1940 la polizia diStato ordina che tutti iTestimoni di Geova, nelterritorio del Reich,vengano arrestati (circa10.000) e le loroabitazioni perquisite.Fino alla fine dellaguerra ne verrannogiustiziati oltre 300, dicui 50 austriaci.Nel 1941/43 Hitlerconferma che iBibelforscher devonoessere “sterminati” esolo nel 1942 iltrattamento brutale deiTestimoni migliorerà,perché nel frattempo leSS hanno compreso ilvalore economico dellavoro degli internati.Dopo la liberazione diAuschwitz (27 gennaio1945), di Buchenwald (11aprile), di Bergen-Belsen(15 aprile), di

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Sachsenhausen (22aprile, di

Ravensbruck (28 aprile) eDachau (29 aprile) itestimoni di Geovatedeschi sopravvissutiiniziano la loro attivitàpostbellica con 7.000proclamatori.Anche tra i Testimoni diGeova italiani ci furonovittime di tanta spietatacrudeltà, basti ricordareNarcisio Riet nato inGermania da genitorifriulani conservò lanazionalità italiana edurante la secondaguerra mondialecollaborò per organizzaree coordinare l’operaclandestina dei Testimonidi Geova. Rifugiatosi inItalia nel 1943 fu poiscoperto e arrestato dallaGestapo e ricondotto inGermania, fu processatoper le sue attività in“violazione delle leggisulla sicurezza nazionale”e condannato a morte il23 novembre 1944 e davarie testimonianze nel1945 fu tra i prigionieritrasportati a Gardelegenper essere fucilato.Stessa sorte toccò aSalvatore Doria diCerignola che nel 1940 fucondannato a 11 anni direclusione dal TribunaleSpeciale fascista. Dalcarcere di Sulmona fudeportato in Germaniaprima a Dachau e poi nelcampo di Mauthausen dadove fu liberato nel 1945all’arrivo degliamericani, ma la suasalute gravementecompromessa dallaterribile esperienza neicampi lo portò alla mortenel 1951 a soli 43 anni.(rs) ●

21Proposte

La stessa Corte ha anche precisato nella suddetta sentenza che:– nell’accertamento della sussistenza dei requisiti il giudice di merito si potrà avvalere,

oltre che di documenti ufficiali, formati a seguito di accordi internazionali, anche diinequivoci e concordanti mezzi di prova che depongano per l’effettiva sussistenza deisuindicati requisiti per la qualificazione di un campo come KZ.

Come si può facilmente notare, con il trascorrere del tempo la normativa si è andata pro-gressivamente complicando imponendo ai sopravvissuti, ormai ultra ottantenni, ricerchesempre più complesse mentre i vari mezzi di prova (testimonianze, atti notori, accesso allesedi internazionali, ricorso ai distretti militari che nei fogli matricolari e negli stati di ser-vizio si limitano a recare: “partito per la Germania il” “rientrato dalla Germania il” e nul-l’altro di utile) sonoassai raramente repe-ribili.Ciò che maggiormen-te mortifica i pochiIMI sopravvissuti è ilfatto che ben 13.000cittadini italiani, redu-ci come loro da “mi-sure di persecuzionenazionalsocialiste”,furono beneficiati, findal 1968, con gli in-dennizzi contemplatidalla legge 6 febbraio1963 n. 404, su pre-sentazione di sempli-ce domanda, scarsa-mente o per nulla do-cumentata, mentre quel-li la cui domanda – a quel tempo – non fu accolta, dovettero faticosamente raccogliere l’o-nerosa documentazione riassunta dalla Corte dei Conti.Nel frattempo era sì entrata in vigore la legge 791/1980, ma:a) subito dopo l’entrata in vigore di quest’ultima legge, la quasi totalità delle domande

presentate alla Commissione KZ, fu respinta, spesso con deliberazioni, in stile stereoti-po, che eludevano la pur obbligatoria motivazione;

b) ad aggravare ulteriormente la situazione fu l’incredibile ritardo nella notifica delle deli-berazioni negative che, in 27 casi accertati, oscillò fra i 4 e i 9 anni, ritardando di altret-tanto tempo il successivo diretto ricorso a ben 11 Commissioni Giurisdizionali Regio-nali della Corte dei Conti, in quanto, nel frattempo, la Corte Costituzionale, con senten-za n. 154 del 19 marzo – 2 aprile 1992, aveva ammesso l’esperibilità immediata allaCorte dei Conti, anche senza il preventivo ricorso gerarchico al Ministero del Tesoro;

c) fu soprattutto questo ritardo della Commissione KZ che scoraggiò gran parte degli IMIa presentare la prescritta domanda ai sensi della nuova legge 791/1980;

d) così stando le cose la Corte dei Conti ha potuto rendere giustizia a ben pochi degli IMIricorrenti di quasi tutte le Regioni d’Italia, soltanto a partire dagli anni ‘90, quando gliinteressati erano ormai ultrasettantenni, se non già scomparsi. A tutt’oggi – dopo altri12 anni – assai spesso beneficiaria è la vedova – di regola più longeva – sempre che so-pravvissuta, che la legge 29.01.1994 n. 94 ha giustamente tutelato.

A coadiuvare l’iniziativa che dovrà essere assunta dall’ANRP potrà giovare la vasta moledi giurisprudenza rappresentata dalla raccolta delle poche sentenze accolte dalla Corte deiConti e relativa documentazione istruttoria e, ahimè, delle molte delibere negative dellaCommissione KZ e relativa documentazione istruttoria, agli atti del Ministero del Tesoro ilcui archivio accoglie molti fascicoli voluminosi per ben pochi beneficiari.Tutto ciò, beninteso, se dovesse servire al Legislatore della nuova legge semplificata. Percarità di patria meglio non dover ricorrere all’archivio del Ministero del Tesoro, se non acampione, per evitare ulteriori dolorosi ritardi. ●

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L a divisa con giubba e chepì in panno rosso dell’ufficiale garibaldino CarloVenchi, che partecipò nel 1860 alla spedizione dei Mille con l’eroe dei due

mondi Giuseppe Garibaldi, e la bandiera tricolore confezionata in clandestinitàda alcune donne di Gorizia nel 1916, durante la prima guerra mondiale, apronol’interessante e inedita mostra Sa vida pro sa Patria. Pagine di storia militaredella Sardegna. Ospitata nelle sale espositive del Monte Granatico, essa si inseri-sce nel quadro della “Festa del Tricolore – La Bandiera italiana più lunga delmondo”. Inaugurata dal Sottosegretario alla Difesa On. Salvatore Cicu e dal Pre-sidente della Provincia di Cagliari Sandro Balletto, è stata concepita e realizzatadalla Federazione della Provincia di Cagliari dell’Associazione Nazionale Reducidalla Prigionia, Internamento e Guerra di Liberazione (A.N.R.P.), dal Club Mo-dellismo Storico Cagliari, dal Centro Studi SEA di Villacidro, dall’Istituto di Stu-di Storico Militari della Sardegnae dal Museo Risorgimentale “Emanuele Fili-berto Duca d’Aosta”di Sanluri. L’allestimento propone una serie di pannellature didattiche e di cimeli storici re-lativi alla partecipazione dei combattenti sardi alle vicende belliche nazionali dalSettecento alla Seconda Guerra Mondiale. Nelle sale della settecentesca Bancadel Grano è possibile ammirare una collezione di rarissime uniformi dell’Esercitosabaudo, della “Brigata Sassari”, della Divisione “Sabauda”, dell’Arma dei Cara-

binieri, della Marina, e quella unica della formazionearmata della Repubblica Sociale Italiana, il Battaglio-ne Volontari di Sardegna “Giovanni Maria Angioy”.Di particolare interesse è la sezione dedicata alla“Grande Guerra” dei Sardi. «Inquadrati per lo più neiReggimenti delle due Brigate “Reggio” e “Sassari”,ma anche nella Brigata “Cremona”, nella “Bisagno”,nella “Lario”, nello “Squadrone Sardo”, erede dei fa-mosi “Cavalleggeri di Sardegna”, nella Marina, neiranghi di una pionieristica Aeronautica, nei Bersaglie-ri e persino negli Alpini, i soldati sardi, con il loro va-lore, seppero conquistarsi l’ammirazione della Nazio-ne». Le immagini sbiadite dal tempo, i documenti car-tacei e le riviste militari d’epoca testimoniano il sacri-ficio di migliaia di giovani sardi che varcarono il Me-diterraneo per andare a combattere sui campi di batta-glia dell’Isonzo, sulle impervie montagne dolomiti-che, sull’altipiano di Asiago.L’ultima sezione, totalmente inedita, è dedicata allatragedia dell’Armistizio dell’8 settembre 1943. Sonoqui esposti alcuni importanti cimeli appartenuti aiMartiri sardi delle Fosse Ardeatine: la Medaglia d’Oroal Valore Militare alla Memoria del Brigadiere dei Ca-rabinieri Gerardo Sergi di Portoscuso; la cravatta e ilportachiavi di un altro Brigadiere dei Carabinieri,Candido Manca di Dolianova, rinvenuti nell’estate del1944 durante l’esumazione della salma. Sono inoltreesposte le lettere e le cartoline del Sergente PasqualinoCocco di Sedilo, pilota della Regia Aeronautica; il

Sa vida pro sa Patriadi Martino Contu

22 Mostre

Inedita mostra: pagine di storia militaredella Sardegna presentate,in occasione della “Festa del Tricolore”,nelle sale espositive del Monte Granatico.

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23Mostre

berretto bianco e la sciarpa azzurra del Sottotenente di Vascello Agostino Napo-leone di Cagliari; un fazzoletto ed una ciocca di capelli del prof. Salvatore Cana-lis di Tula, docente di greco e latino presso la Scuola Militare di Roma, rinvenutidurante l’identificazione della salma; alcuni dischi a 78 giri, un quaderno di can-zoni inedite, un contratto con la Casa discografica “Il Grammofono” di Milanodel celebre tenore Gavino De Lunas di Padria. Tra i ritratti sono particolarmente suggestivi quelli del martire ardeatino SisinnioMocci di Villacidro, rivoluzionario comunista che combattè in Spagna nella XIIBrigata Internazionale “Garibaldi” con il grado di tenente, realizzati, rispettiva-mente, dal pittore Armando Severini di Roma e da Georges de Canino, artista ita-lo-francese della Comunità Ebraica dell’Urbe. Altro ritratto è quello del voltosanguinante del prof. Canalis, tela dipinta dalla figlia Giovanna. Di grande interesse artistico si rivelano alcune splendide silografie acquistatedal capo del Governo Benito Mussolini negli anni Trenta, tra cui il Parco LuigiRazzae l’Arce Capitolina, realizzate dallo silografo di fama internazionale LuigiCastellani di Roma, martire, insieme a Bruno Buozzi, segretario nazionale dellaCamera Generale del Lavoro, e ad altri dodici innocenti della strage nazistacompiuta in località La Storta il 4 giugno 1944, giorno della liberazione di Ro-ma dall’occupazione tedesca. Seguono un intenso ritratto di Giovanni Palatucci,il Questore di Fiume italiana che salvò circa 6.500 ebrei dallo sterminio nazista,opera dell’artista Georges de Canino, e alcuni rarissimi cimeli appartenuti all’uf-ficiale dei Granatieri di Sardegna, Generale Alberto Trionfi di Jesi, comandantedella Divisione “Cagliari” in Grecia, internato con altri 209 alti ufficiali italianinel campo polacco di Schokken, Oflag 64 Z, il cosiddetto lager dei generali edegli ammiragli. Chiude la mostra una splendida vetrina dove è custodita l’uniforme indossata daisoldati della Brigata “Sassari” che alla fine degli anni ’90 hanno operato a Saraje-vo in Bosnia, un paese lacerato per anni da una terribile guerra civile. Ancor oggi,infatti, i militari sardi si prodigano per assicurare giustizia e pace, sempre pronti,come ai tempi della “Grande Guerra”, ad intervenire …pro defendere sa PatriaItaliana. ●

COSA SI ASPETTAPER UNA RICERCASISTEMATICA SUGLIIMI?

Si stima che oltre 130.000IMI erano ancora viventinel 1997 e, procedendooltre, sarebbe suggestivoe utile, apprendere quantiIMI erano effettivamentein vita nel dicembre del2001, data ultima discadenza delle domandedi indennizzo presentateall’OIM OrganizzazioneInternazionale per leMigrazioni, incaricatadalla Fondazione tedesca“Memoria, Responsabilitàe Futuro”.Ufficialmente forse non losapremo mai. A chiinteressa una costosa edifficile ricercasistematica sugli IMI? Sindal loro rientro in Patria,dopo due anni trascorsinel Lager disseminatinelle terre del 3° Reich,lo Stato li ha guardati consospetto, perché… eranoin troppi. Questa la sola“motivazione” affermataanche da Rochat, che siriferiva ancor piùefficacemente al milione e350.000 prigionieri diguerra italiani rientratiin Patria da tutti icontinenti. ●

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U na definizione sunnita attesta : “IlCorano, o per antonomasia il Li-

bro, è la Parola di Dio altissimo, increa-ta, scritta nei nostri volumi, conservatanelle nostre memorie, letta dalle nostrelingue, udita dai nostri orecchi, ma inquesti non incarnata (o discesa nella suaessenza) cioè non incarnata nei volumi,non nei cuori, non nelle lingue, non nelleorecchie, poiché la Parola di Dio non èomogenea alle lettere ed ai suoni, tuttiaccidentali, mentre la parola di Dio è unattributo coeterno a Dio, significante ilcontrario del silenzio, sia nel senso diastensione dal parlare, mentre si avrebbela forza di farlo, sia nel senso di una di-sgrazia, che porti ad un’impotenza deglistrumenti: bensì essa è un significatopreesistente, inerente all’essenza di Dio,pronunciabile ed udibile, in costruzioniche lo indicano ed apprendibile a memo-ria in forma immaginativa, e scrivibile,in caratteri e forme rappresentanti le let-tere che lo indicano: così come si diceche il fuoco è una sostanza comburente,menzionabile in espressioni verbali escrivibile con la penna, senza che ne de-rivi una reale presenza del fuoco nel suo-no e nelle lettere.»1

Questa complessa definizione è tuttaviafondamentale al fine di comprenderel’intima natura del Corano, testo sacrodell’Isl…m. Il Corano è la Parola di Dio,rivelata a Muhammad in un periodocompreso tra il 610 ed il 632 d.C., ossiatra l’inizio delle prime rivelazioni e lamorte del Profeta. L’azione di Muham-mad fu puramente passiva e si caratte-rizzò per il ripetere esattamente quelloche Dio gli suggeriva, direttamente, oper tramite dell’arcangelo Gabriele2:[E questo Corano non poteva essere in-ventato da altri che Dio, anzi esso è con-ferma dei messaggi anteriori, e spiegazio-ne precisa della Scrittura che non v’hadubbio, viene dal Signore del creato.]Cor. X, 36-37Libro sacro, il Corano non è stato scrittoda Muhammad3; quanto egli disse, fuinizialmente affidato alla memoria dei

compagni e raccolto in materiale “di for-tuna”, foglie di pianta, pietre ed altri ma-teriali scrittori solitamente estemporanei. Solo successivamente alla morte diMuhammad, durante il periodo dei quat-tro califfi ben guidati4, con Ab™ Bakr,prima, e con Utm…n dopo, si giunse allaversione definitiva. In particolare, unaprima raccolta fu affidata da Ab™ Bakr aZayd Ibn Tabit, segretario di Muham-mad, e fratello del suo panegirista uffi-ciale:«Narrò Zayd figlio di Tabit – sia soddi-sfatto Iddio di lui –:Dopo la strage di al-Yam…mah, Ab™ Bakrmi mandò a chiamare; era con lui ‘Umar.Disse Ab™ Bakr – sia soddisfatto Iddio dilui –: “‘Umar è venuto a dirmi della batta-glia di al-Yam…mah vi è stata grande stra-ge di recitatori del Corano, ed io temofortemente che lo stesso avverrà in altreregioni e che buona parte del Corano an-drà perduta. Penso perciò che tu dia ordi-ne di riunire tutto il Corano”Io dissi ad ‘Umar:“Come faresti tu una cosa che l’inviatodi Dio – Iddio lo benedica e gli dia eter-na salute – non ha mai fatto?”.“Perdio, sarebbe bene farlo!” rispose, econtinuò a insistere con me finché Iddiomi aprì il petto e mi trovai d’accordo conlui.»Continuò Zayd: Ab™ Bakr mi disse: «Tusei giovane intelligente, insospettabile, ein passato scrivevi le rivelazioni che rice-veva l’inviato di Dio – Iddio lo benedicae gli dia eterna salute -. Ricerca dunqueassiduamente il Corano e riuniscilo».Perdio, se Ab™ Bakr mi avesse incaricatodi trasportare una montagna non sarebbestata per me cosa tanto pesante come ilsuo ordine di riunire il Corano. Lo ricer-cai, raccogliendolo dai sassi e dagli stelidi palma su cui era scritto e dalla memo-ria degli uomini, e finalmente trovai an-che gli ultimi due versetti della S™ra delpentimento...»5

Questa prima raccolta ebbe carattereesclusivamente privato, solamente conOtm…n, lo stesso Zayd ebbe il primo in-

carico ufficiale. Questa seconda redazio-ne, pronta nel 650, divenne la vulgatadell’Isl…m:«Narrò Anas figlio di M…lik: Utm…n or-dinò a Zayd figlio di T…bit, a Sa‘†d figliodi al-‘ƒ¡, a ‘Abd All…h figlio di al-Zu-bayr e a ‘Abd al-Rahm…n figlio di al-s…ritfiglio di His

§…m, di trascrivere il Corano

in volumi, e disse loro: “Se in qualchepunto del Corano non siete d’accordocon Zayd, scrivetelo nella lingua dei Co-reisciti, perché il Corano fu rivelato nellaloro lingua. E così fecero».6

Il Corano è stato, dunque, trasmesso neltempo, ma questo processo, non ne infir-ma in alcun modo la validità che è garan-tita da Dio stesso7, che lo preserva daqualsiasi alterazione o modificazione. Iltesto è suddiviso in 114 capitoli, che pren-dono il nome di s™re, ogni s™ra è compo-sta da versetti ed in tutto se ne contano6219. Di questi poi, all’incirca seicento8

hanno carattere giuridico e legislativo.9

Per il resto, si presenta come una raccolta,in prosa rimata, di precetti morali, figura-zioni sul giorno del Giudizio, racconti bi-blici, polemiche, minacce contro quanti siopponevano alla nuova fede.Il Corano è anche fonte principale dellateologia e del culto, spiega in cosa l’uo-mo deve credere e come, ed in tal sensoogni direttiva sul comportamento che ilfedele deve assumere nella vita sociale,non è altro che un modo di vivere nel ri-

24 Cultura

Il Corano …il LibroDi Germana Porcasi

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spetto più completo di Dio. Giacchéquanto esiste è Suo, l’uomo deve evitaredi offenderlo, così Dio, nella Sua im-mensa misericordia, ha evitato all’uomola difficoltà di comprendere da solo qua-le fosse la via da seguire, e “battendola”per primo, lo aiuta nel suo cammino sul-la terra, in attesa dell’ultimo giorno. Le s™re non sono disposte in ordine cro-nologico, tanto meno seguono una lineacontenutistica precisa, la loro disposi-zione dipende dalla lunghezza. Aprendoun Corano troveremo le s™re più lungheall’inizio e, progressivamente, quellesempre più brevi, partendo da un massi-mo di 286 versetti, nella seconda s™ra,per un minimo di sei nell’ultima. Fa ec-cezione, a questa progressione decre-scente, la prima s™ra, titolata “L’Apren-te” 10, proprio perché posta all’inizio deltesto sacro, per questo motivo, ossia peril fatto di dare cominciamento a tutto ilCorano, fu chiamata “Madre del Libro”.Questa s™ra ha una forte importanza sulpiano devozionale, perché è sempre re-citata dai Musulmani durante la preghie-ra canonica.Ogni s™ra è poi distinta in “meccana omedinese”, in relazione al luogo della ri-velazione: la Mecca o Medina. La distin-zione è fatta in base ad osservazioni con-

cernenti lo stile delle s™re ed il loro con-tenuto. A Medina Muhammad era già un capopolitico, le rivelazioni assistono, dunque,il Profeta durante il periodo di fondazio-ne della nuova comunità, stabilendone ledirettive religiose, politiche, di costumeecc. Lo stile sarà di conseguenza più so-brio e meno concitato, rendendo, così, difacile intesa i precetti.Inoltre, tutte le s™re cominciano conuna formula precisa, che prende il no-me di Basmala: “nel nome di Dio cle-mente e misericordioso” 11, eccetto las™ra IX, poiché si ritiene che originaria-mente fosse la parte finale della s™raVIII. L’origine della formula è rintrac-ciata nelle tradizioni ebraiche, ed è, inogni caso, confermato che l’uso di por-la come quale “ouverture” di tutte les™re, sia successivo alla predicazionedel Profeta. Inoltre, ben ventinove s™recominciano con delle sigle misteriose,cioè delle lettere dalle quali prendono ilnome. Tra queste ricordiamo la s™raXXXVI, o s™ra Y…-s†n, la sura XX os™ra T…-h… e la Q…f. Per altro le sigledelle s™re XXXVI e XX, sono diventatenomi propri di persona: T…h… e Y…s†n.Inoltre, inizialmente, il Corano vennetrascritto senza vocali e segni diacritici,

questi furono introdotti solo intorno alVII sec.12

Altra questione dibattuta è quella ches’interroga sulla natura ontologica delCorano, ossia se esso sia creato, oppurecoeterno a Dio. La posizione ortodossasi divide tra antropomorfisti, sostenitoridell’eternità del Corano e della sua coin-cidenza con un archetipo celeste, emu‘taziliti 13o “razionalisti” dell’Isl…m,che invece sono favorevoli alla non eter-nità del Corano. Sono, comunque, tutticoncordi sul fatto che il Corano sia unatto inimitabile, l’unico miracolo diMuhammad, e sia superiore a qualsiasiscritto, a qualsiasi discorso. L’inimitabi-lità del Corano sta, per altro, a fonda-mento della sua origine divina perché,altrimenti, sarebbe riproducibile da ma-no d’uomo. Immensamente fortunato esalvo è chi recita il Corano con fede, de-vozione, in una parola con una retta in-tenzione (niyya):«Chi recita il Corano è paragonabile alcedro, il quale ha un buon sapore e buonodore. Chi non lo recita è come il datte-ro, saporito, ma senza odore, e il traviatoche recita il Corano è simile al basilico,profumato ma amaro, mentre il traviatoche non lo recita è come la coloquinti-de14, amara ed inodore.»15 ●

1 Cfr. A. Bausani, Il Corano., p. XXXIX.2 Sempre il Corano ci informa sulle modalitàdella rivelazione: «E tu non muovere la lin-gua ad affrettarlo – che a Noi sta raccoglierloe recitarlo – e quando lo recitiamo, seguine larecitazione – poi a noi spetta spiegarlo!»(Cor., LXXV), oppure «E con la verità l’ab-biam fatto discendere sul mondo e con la ve-rità è disceso, e te inviammo soltanto comeannunziatore e monito; e il Corano lo divi-demmo in parti a che tu lo recitassi agli uomi-ni lentamente, lo rivelammo a brani» (Cor.XVII, 105-106)3 Il Corano è parola di Dio nel senso più lettera-le del termine e si potrebbe definire come unmonologo, il monologo di Dio, che ad intervallitemporali, decide di rivelarsi all’uomo per mez-zo di Mu|ammad. Dio parla in prima persona:ricorrente, infatti, nel testo sacro il pronome“Noi”, riferito a Dio e “tu”, riferito a Mu|am-mad. Inoltre, il Corano è anche la prima rivela-zione destinata al popolo arabo, in arabo.4 Dopo la morte del Profeta, la neonata comu-nità musulmana si trovò sola e spiazzata araccogliere un’eredità che non aveva previsto.Molti, per altro, erano quelli che vi appartene-vano solo in relazione ad un patto bilateraleche avevano stipulato direttamente con il Pro-feta, come persona e capo politico, ma non

perché rappresentante di una nuova religione.La morte del Profeta a chi più e a chi menoparve quasi come la fine di un sogno. Da quila necessità di fornire alla comunità una nuo-va guida, califfo (da halafa: guidare, dirigere).I primi quattro califfi in ordine furono Ab™Bakr, Omar, Utman ed ‘Ali. Tutti furono detti“I ben guidati”. La scelta dei primi due noncomportò molte difficoltà, nessuno era statodestinato a succedere al Profeta, ed Ab™ Bakrgli era stato fedele collaboratore, da semprevicino e padre di una delle sue mogli, la piùgiovane e si pensa anche la più bella, ‘Â’i…a.A prescindere da questi legami la scelta fu de-terminata dalle particolari doti di pietà ed in-tegrità che la comunità riconobbe nei califfi.Non bisogna, tuttavia, assimilare la natura diquesti ultimi con quella del Profeta: con lamorte di Muhammad, la rivelazione s’inter-rompeva definitivamente, i califfi non eranoprofeti, ma vicari.5 Cfr. Buh…ri, Detti e Fatti del Profeta del-l’Isl…m, UTET, Torino, 1982, pp. 483, 484.6 Ibidem7 «È un libro prezioso, la falsità non lo toccané davanti, né dietro, è rivelazione di un sa-piente degno di lode. A te vien detto né più némeno di quello che fu detto agli altri invia-ti...Il Corano per i credenti è guida e medici-

na; quelli che non credono sono duri di orec-chie e per loro il Corano è cecità, è come sevenissero chiamati da un punto troppo lonta-no.» (Cor. XLI, 41-44, Cfr., tr. di VirginiaVacca, in Antologia del Corano, Sansoni, Fi-renze, p. 7).8 Cfr. F. Castro, Corano, estratto dal Digesto,IV edizione, UTET 1989, p.6.9 Cfr. D.Santillana, Istituzioni di diritto mu-sulmano malikita con riguardo anche al siste-ma sciafita, Pubblicazioni dell’Istituto perl’Oriente, I-III, Roma, p. 310 [Nel nome di Dio, clemente e misericordio-so! Sia lode a Dio, il Signore del Creato, ilClemente , il Misericordioso, il Padrone deldì del Giudizio! Te noi adoriamo, Te invo-chiamo in aiuto: guidaci per la retta via, la viasui quali hai effuso la Tua grazia, la via di co-loro coi quali non sei adirato, la via di quelliche non vagolano nell’errore.] Cor. I, 1-7.11 “bismi all…hi ar-rahm…ni arrahi mi”12 Cfr. Hussam Behair, Il ruolo della lega de-gli stati arabi,. p. 913 Cfr. Alessandro Bausani, L’Islam, Garzanti1999, p. 107.14 Cfr. G. Devoto-G.C.Oli, Vocabolario illu-strato della lingua italiana, vol. I, p. 609, s.v.coloquintide.15 Cfr. Buh…ri, Detti e fatti, p. 487.

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U n problema – un grossissimo problema – sempre al-l’ordine del giorno tiene in ansia, come un terribile

incubo, l’intera umanità, che vede la pace in pericolo, per leviolenze senza nome che esso comporta e che seminanomorte e distruzioni; e non in una sola parte del mondo.Qui s’intende alludere, ovviamente, alla gravissima crisicausata dai luttuosi eventi che, per decenni, hanno funesta-to la piccola regione del Medio Oriente chiamata Palestina,o Israele, o Terrasanta, a seconda dei riferimenti storici pre-si in considerazione.Trattasi, come tutti sanno, di un territorio vasto poco piùdella nostra Sicilia (di cui il 40 per cento desertico), ove siassiepano otto milioni, e forse più, di persone, che vantano,per ragioni diverse fra loro, il diritto di abitarvi: da un latogli Israeliani , che ricordando i loro antenati costretti ad al-lontanarsi, in epoche più o meno remote, dalla propria ter-ra, a seguito delle ripetute invasioni e deportazioni subite, equelli che furono vittime innocenti della Shoah, hanno vo-luto ricostituire nell’antica patria il loro focolare nazionale;dall’altro i Palestinesi, i cui avi presero possesso di quellastessa terra, ove essi – i posteri – tuttora vivono, fin dalVII° secolo.È facile rendersi conto di come tale forzata coabitazionedovesse, prima o poi, essere causa di un aperto dissidio,che le differenze religiose, razziali, culturali ed economi-che hanno acuito, fino a tradurle in un conflitto armato,che ha avuto inizio nel 1967, con la temporanea partecipa-zione dei Paesi arabi confinanti: conflitto che, dopo una il-lusoria pausa, durante la quale erano state imbastite tratta-tive di pace, si è riacceso crudamente negli anni recenti edè ancora in atto.La logica ed il buon senso vorrebbero che, fra i due popoli– il primo, politicamente bene organizzato e sostenuto, sulpiano economico, da un rilevante flusso di capitali, in pre-valenza forniti dalla comunità ebraica statunitense, checonsente lo sviluppo generalizzato dell’attività produttiva;il secondo, ancora in attesa do potersi dare una strutturastatuale indipendente e a corto di risorse finanziarie, doveesiste una grande disponibilità di manodopera – si stabilis-sero stretti e proficui rapporti di collaborazione e si comin-ciasse a pensare, con spirito realistico, alla possibilità e op-portunità della futura instaurazione di un patto federativo,che oggi potrebbe sembrare utopico, ma che gli esperti di

geo-politica prevedono come cosa destinata necessaria-mente a realizzarsi.Purtroppo, la ragione tarda ad imporsi; e il clima conflit-tuale permane (anche se un timido segno di possibileapertura ad un ragionevole dialogo si comincia a intrave-dere, per effetto delle esortazioni rivolte ai contendenti inoccasione di appositi incontri internazionali e di cauti pas-si diplomatici).Gli osservatori più o meno qualificati, imitati dalla gentecomune, esprimono al riguardo i loro severi commenti, cer-cando di scoprire, quando si riaccendono le ostilità, i veriresponsabili. Si stanno, così, delineando, nei diversi Paesidel mondo, opposte correnti di opinione e prese di posizio-ne, che preludono al risorgere di una sorta di manicheismo,basato sull’errato concetto che soltanto da una parte vi sia-no i “giusti” e dall’altra i “malvagi”. E, per quanto concer-ne gli Israeliani, i loro detrattori hanno inalberato la cosid-detta “bandiera” dell’antisemitismo, ignorando e dimenti-cando che di origine semitica è pure, e più precisamente, ilpopolo arabo: per cui anche questo, paradossalmente, vienead essere coinvolto nella protesta di coloro che, al contra-rio, vorrebbero sostenerne la causa.Quanto procede pone in luce l’esigenza di un approfondi-mento delle nozioni finora acquisite dal pubblico medio inordine alla formazione ed evoluzione etnica di Israele: peril che è possibile attingere alle fonti bibliche e all’opera“Antichità giudaiche” di Giuseppe Flavio, eminente storicoebreo nato a Gerusalemme nel 37 o 38 d.C. e lungamentevissute a Roma, che fu accolto con grande onore presso lacorte dei Cesari.Ma, prima di passare a questa interessante disamina, è benesapere che “Israele” vuol dire “Colui che combatte conDio”, ovvero “il Suo alleato”: è il nuovo nome che, secon-do la Bibbia (“Genesi”, 35:10), Dio impose a Giacobbe, fi-glio di Isacco e nipote di Abramo; ed è ancora, il nome colquale si identificò il popolo da lui guidato; come pure:- il nome del regno, con capitale Samaria, delle 10 tribù

separatesi, dopo la morte di Salomone, dall’undicesima,andata a costituire il regno di Giuda, con capitale Geru-salemme, unitamente ad alcuni gruppi provenienti dalletribù di Beniamino e Simone;

– il nome ereditato dall’intera collettività degli ex profu-ghi tornati nella terra dei padri e dallo Stato che essihanno costituito;

– la simbolica testimonianza, infine, della volontà di rina-scita della Nazione ebraica e del suo attaccamento alletradizioni.

Tutto ciò rappresenta Israele: in sintesi, una realtà e, insie-me, un ideale. E, fra le sue memorie, gelosamente custodi-te, occupa un posto preminente – il primo, in ordine di tem-po – quella riguardante la straordinaria impresa del Patriar-ca Abramo.Il quale, intorno al 1700 a.C., condusse verso la “Terra pro-messa”, o “Terra di Canaan”, la sua gente: gli “Habiru”, co-me gli Egizi chiamavano quel popolo di pastori (meglio co-nosciuto nella storia sotto il nome di “Ebrei”), che non sa-rebbe stato propriamente di stirpe semitica.

26 Cultura

Antisemitismo: un termine usatoa sproposito

di Alvaro Riccardi

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Abramo proveniva, infatti, come narra la Bibbia (“Genesi”,11:3), “da Ur dei Caldei”, importante città sita sulla costadel Golfo Persico, presso la foce dei fiumi Eufrate e Tigri.Quella città era la capitale di uno dei piccoli regni dellaMesopotamia meridionale fondati dai Sumeri: la cui etnia,affine all’iranica pre-indoeuropea, era ben differente daquella dei Cananei.La discendenza da Cam era, per questi ultimi, fuori discus-sione (cfr. “Genesi”, 10:6), essendo chiaramente attestatadal loro stesso nome, che li apparentava agli Egizie ad altripopoli dell’Africa settentrionale, con i quali, inoltre, essiintrattenevano intensi rapporti commerciali. E, tuttavia, iCananei erano generalmente considerati come appartenentialla razza semitica, similmente agli Arabi, che in realtà ri-conoscevano Ismaele, figlio di Abramo e della serva egizia-na Agar, quale loro capostipite.Ma quel che più importa sottolineare è che gli Ebrei teneva-no decisamente a distinguersi da Cananei: e perché questi,con le loro ripetute invasioni, avessero contribuito a “semi-tizzare” il popolo di Ur, come forse non avrebbero volutoAbramo ed i suoi; ovvero perché questi, consideratisi ormai“semiti”, giudicassero i Cananei – insieme di gruppi tribalidi varia e incerta origine, divenuto tributario degli Egizi –un popolo inferiore.Questa seconda ipotesi, in effetti, potrebbe destare dubbi, inquanto Abramo aveva avuto, generando Ismaele, un figlio“di sangue misto”: cosa peraltro non disdicevole, perché –come gli storici insegnano – le grandi civiltà sono semprenate dai più frequenti accostamenti e commistioni fra gentidiverse, e non dall’isolamento; ma, nonostante ciò, egli vol-le per il secondo figlio, Isacco, datogli in età avanzata dallalegittima consorte Sara, una sposa (che fu Rebecca) appar-tenente alla sua medesima stirpe, onde evitare ogni possibi-le contaminazione.Nella “Terra promessa”, comunque, il Patriarca non avevapotuto evitare di convivere con i detestati Cananei; e li ave-va ritrovati nella regione dopo un temporaneo soggiorno inEgitto.Dopo di lui, la predetta regione divenne un vero “crocevia”di popoli. Fra gli altri, vi si installarono da dominatori (leepoche sotto indicate sono approssimative).– nel 1550 a.C., gli Egizi, che fecero del territorio occupa-

to una loro provincia;– nel 1480 a.C., i Mitanni, di stirpe indo-europea, prove-

nienti dall’Iran nord-occidentale;– nel 1360 a.C., gli Hittiti, anch’essi indo-europei, origi-

nari dell’Asia Minore.I “padroni” vecchi e nuovi furono, man man, assimilati da-gli Ebrei, ricondotti in patria da Mosè e Giosuè nel 1270a.C., dopo oltre 300 anni di schiavitù in Egitto.Intorno al 1120 a.C., fecero la loro comparsa i Phelesti (oFilistei), di etnia egea: i quali, partiti dall’isola di Creta eandati ad assalire l’Egitto insieme con i Libici, loro alleati,furono sconfitti da faraone Ramsete III° e confinati nellapianura oltre il Sinai, comprendente Gaza e numerose altrecittà, che da allora prese il nome di Palestina.Unitamente agli Ammoniti, essi furono debellati e sotto-

messi, circa un secolo dopo, da Davide (il fondatore del re-gno d’Israele, di cui egli stabilì la capitale a Gerusalemme,già “Salem” e “città della pace”, che i Gebusei, ai quali futolta, chiamavano “Sion”).Per completezza d’informazione – e pur non potendo affer-marlo con certezza – si dovrebbero considerare, fra i popoliindo-europei immigrati in Palestina durante il secondo mil-lennio a.C., anche i Celti – i cosiddetti “Uomini-cavallo” –la cui sede originaria pare si trovasse in una delle pianuresite nei pressi del Mar Caspio.Riferisce Jan Filip (cfr. “I Celti alle origini dell’Europa”)che i Romantici identificavano gli antenati di quel popolocon alcuni personaggi biblici; ricorda, inoltre, che alcuniscrittori antichi (fra i quali Erodoto, storico greco vissutonel V secolo a.C.) descrivevano i Celti come persone di altastatura, con occhi azzurri, capelli biondo-rossicci e carna-gione chiara, talvolta lentigginosa.Da parte, sua, Francesco Predari, autore del “Dizionariogeografico moderno” edito a Milano nel 1864, riteneva er-roneamente che i Celti, “oriundi dell’Asia”, fossero di stir-pe semitica.Tornando al tema di fondo del presente scritto, occorre ag-giungere che è tuttora controversa la questione relativa allacomposizione etnica degli Ebrei.Tutti gli studiosi di antropologia negano l’esistenza di unarazza ebraica vera e propria, che indichi, cioè la presenzanella stessa di caratteri somatici esclusivi degli Ebrei.D’altro canto, la larga diffusione di questi in tutti i Paesi delmondo ha causato, in varia misura, l’alterazione di tali ca-ratteri, per effetto di matrimoni o, comunque, di rapportisessuali, seguiti dalla nascita di figli, con persone di diversaetnia.Appare, comunque, pacifica l’affermazione di una “razzaebraica composita” costituita da elementi bruni di tipo ar-menoide, da altri più scuri di tipo semitico (ed anche affineal camitico) e, infine, di un terzo tipo, più chiaro, evidente-mente di provenienza nordica. Proprio a quest’ultimo, adesempio, apparteneva il re Davide, che nella Bibbia (Librodi Samuele, 16:12) è descritto come “ un giovane dal colo-rito roseo, con begli occhi e di bello aspetto”: presumibil-mente biondo, come taluni ritengono.Senza dubbio, alla formazione del “ventaglio etnico” so-pra descritto concorse in maniera determinante il fatto chel’assimilazione degli allogeni da parte della stirpe diAbramo e di Giacobbe fu sempre considerata cosa norma-lissima.Per consentire agli stranieri di entrare a far parte del “popo-lo eletto” si faceva un ampio ricorso all’istituto dell’ “ado-zione”, con la stretta osservanza della norma religiosa cheimponeva ai maschi, sia ebrei che stranieri, di sottoporsi al-la rituale pratica della “circoncisione”(cfr. “Genesi”, 9: ver-si da 9 a 14).Concludendo, si può sostenere, senza timore di esseresmentiti, che qualificare come “semiti” gli ebrei non ha al-cun senso. Pertanto, chi proprio volesse manifestare la suaavversione nei confronti di Israele dovrebbe professarsinon “anti-semita” ma “anti-sionista”. ●

27Cultura

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La sera dell’8 settembre 1943 fu divulgata la notizia della capitolazione incondizionatadell’Italia. Alla luce della grave crisi di politica interna e militare, l’alleanza fra monar-chia, Stato maggiore ed élites conservatrici che già il 25 luglio 1943 aveva dato il via al-la caduta di Mussolini vide il ritiro dal conflitto come l’unica via atta a garantire la con-tinuità nazionale e le proprie posizioni di potere. Coloro che avevano avviato il cambiodi schieramento non avevano preventivamente provveduto a rendere tale importantepasso familiare alle truppe presenti nei Balcani, in Grecia, nella Francia meridionale ein Italia. Per contro, la Wehrmacht si era preparata da mesi alla tregua italiana. Le unitàtedesche disarmarono i loro ex-alleati disorientati con metodi violenti e talvolta contrarial diritto internazionale. Ancora oggi questa catastrofe militare assume, nella coscienzanazionale italiana, la valenza di una dolorosa cesura. Essa si lasciò alle spalle un paesediviso: l’Italia centro-settentrionale restò nelle mani dalle truppe tedesche, mentre ilMezzogiorno fu occupato dalle forze alleate. Per l’economia bellica tedesca la catturadei militari italiani si rivelò di estrema importanza, giacché dal 1943 essa fu segnata dauna vistosa penuria di forza lavoro. Soldati e sottoufficiali italiani furono precipitosa-mente assegnati alle aziende attive nell’industria militare e pesante, nell’edilizia e nel-l’industria mineraria. Lo studio in questione si concentra sulle condizioni di vita e di la-voro di questi gruppi di prigionieri, i quali entro poche settimane vennero a trovarsi allabase di una scala gerarchica dominata da criteri di ordine politico, economico e razzisti-co. Solo in un primo tempo essi ebbero un trattamento di poco migliore rispetto a quelloriservato ai prigionieri di guerra sovietici e agli “Ostarbeiter”, i forzati provenienti dal-l’Europa orientale. Tale declassamento risultò in primo luogo dalla nuova definizioneapplicata ai prigionieri italiani, quella di Internati Militari Italiani (IMI): si trattò di unadecisione presa da Hitler solo sulla base di considerazioni legate alla politica delle al-leanze, in sintonia con il concetto di occupazione previsto per l’Italia centro-settentrio-nale. Al contempo, tale decisione escludeva ogni possibile aiuto della Croce Rossa In-ternazionale. La diffamazione dei prigionieri italiani derivava anche da un’intensa cam-pagna propagandistica che trovava terreno fertile in un rancore accumulato dalla popo-lazione tedesca nel corso di anni e decenni. L’agitazione includeva anche note program-matiche diffuse e decisive, alle quali poterono fare riferimento in seguito le istanze inca-ricate dell’impiego di forza lavoro. A ciò si aggiunse la contraddizione esistente a tutti ilivelli politici fra la volontà di punire senza pietà gli Italiani per l’armistizio visto comeun “tradimento” e l’intenzione di impiegarli nel modo più efficace possibile nell’econo-mia produttiva bellica. In un primo momento prevalse la tendenza per un trattamentodegli internati militari italiani nel segno della punizione esemplare per il “tradimento”.Conseguenza di ciò fu un repentino peggioramento delle condizioni di vita. Solo all’ini-zio dell’estate del 1944 iniziò ad imporsi un cambio di prospettiva nelle aziende e poianche nell’amministrazione del Reich. Si arrivò così, nei mesi di agosto e settembre del1944, ad un cambiamento verso rapporti di lavoro di tipo civile con gli internati militari.La nuova condizione introdusse tuttavia una distensione solo provvisoria, prima che larealtà sociale tornasse ad assumere caratteri tesi negli ultimi mesi di guerra.Al centro dell’interesse di questa ricerca stanno le condizioni di lavoro e di vita deisoldati e sottoufficiali. Negli ultimi anni di guerra si assiste ad uno spostamento deiprocessi decisionali, in merito alla politica di impiego di forza lavoro, verso le istanzemedie e locali. A ciò è collegata l’urgente necessità di confrontare su scala locale il li-

vello decisionale e quello esecutivo.Per questo motivo, sono stati messi a confronto gli atti delle autorità centra-

li del Reich e del governo italiano di Salò con il materiale delle istanzeamministrative medie e basse, ma anche con i documenti reperiti pressole aziende dei diversi indirizzi produttivi. Al contempo sono stati messiin luce importanti aspetti delle esperienze soggettive degli internati ri-

spetto alla situazione del loro lavoro e della loro vita. Ciò è stato possibilegrazie a una valutazione strutturata della letteratura delle memorie, delle in-

terviste, di diari non pubblicati, di raccolte di esperienze vissute ordinate se-condo criteri tematici, ma anche grazie al ricorso sistematico a due indagini scritte.

28 Libria cura di Manuel Orazi

719 pagine, lino, 104,00 Euro172,00 SFr. ISBN: 3-484-82099-3Max Niemeyer VerlagTübingen, 2002

INTRODUZIONEGabriele Hammermann“Le condizioni di lavoro edi vita degli internatimilitari italiani in Germania fra il 1943 e il 1945”.

Uno scrupoloso edocumentato studio, sullaterribile realtà del lavorocoatto degli italiani nei lagernazisti è stato recentementepubblicato in Germania.Si tratta di una importantericerca, condotta nell’ambitodell’Istituto Storico Tedesco aRoma, che integra esoprattutto aggiorna l’operadi Gerard Schreiber. Ne pubblichiamo (tradotti)l’introduzione e l’indice.L’ANRP si impegna affinchè,al più presto, il libro possaessere tradotto e pubblicato in Italia convinta del suoprezioso contributo aldibattito storiografico.

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29Libri

PrefazioneIntroduzioneI. Lo smembramento dell’Asse1. La caduta di Mussolini come passo di avvio per il ritiro del-

l’Italia dal conflitto2. Il disarmo dell’esercito italiano3. “Il nostro solo gran desiderio era di tornare a casa”: l’espe-

rienza delle truppe e degli ufficiali durante il disarmoII. La strumentazione dei prigionieri italiani rispetto alla

politica interna e a quella delle alleanze1. Gli effetti della politica di occupazione in Italia sulla situa-

zione dei prigionieriLa creazione dello Stato satellite fascista Il cambiamento di status nel settembre 1943 Propaganda piuttosto che umanità: “Servizio Assistenza In-ternati”

2. Determinanti di ordine politico, economico e razzistico inmerito al trattamento dei militari internati

III. La manovra delle autorità sul potenziale di forza lavorodei militari internati

1. Conflitti di interesse nell’amministrazione del lavoro e nel-l’organizzazione dell’impiego durante gli ultimi anni diguerraLa posizione di Hitler nella politica dell’impiego di mano-doperaOrgani deputati all’impiego di manodopera negli ultimi annidi guerra Effetti dei rapporti policratici nell’istanza intermedia

2. Misure contro la penuria di manodopera nell’anno 19433. Progetti divergenti e problemi all’inizio dell’impiego degli

internati militari 4. L’impiego degli internati militari fra il 1943 e il 1944IV. Le condizioni di lavoro degli internati militari 1. Condizioni generali del lavoro nella “guerra totale”

Orari di lavoro e misure per la difesa del lavoro“Sempre lo stesso tipo di vita: sei giornate lavorative da 12ore e la domenica rinchiuso come un criminale”: la dichia-razione delle condizioni di lavoro da parte dei testimoni ita-liani

2. Prestazioni e formazione degli internati militari 3. L’alimentazione degli internati militari

Determinanti politico-ideologiche nella cura dei lavoratoristranieri, prigionieri di guerra e internati militariFinzione e realtàIl sistema dei supplementi dipendenti dalle prestazioniL’alimentazione in base alle prestazioni: precursori nell’in-dustria e direttiva del Führer“Ristoro”, contorni e premi“Va male a coloro che non lavorano. Restano praticamentesenza cibo e sono costretti quindi a lavorare”: l’esperienzadella fame fra gli internati militari

4. Le conseguenze della paga dipendente dalle prestazioniIl compenso dei prigionieri di guerra e scala dei salariIl compenso dal punto di vista degli internati militari

5. Disciplina e controllo sul posto di lavoroConflitti di competenze fra partito, amministrazione di ar-mamenti ed esercitoDifferenze nell’azione disciplinare degli internati militarisul posto di lavoro Forme di resistenza e misure punitive aziendali

“Un uomo che non ha più forza non reagisce più”: l’espe-rienza delle repressioni sul posto di lavoro

6. “Il Tedesco fa il signore”: tedeschi e italiani sul posto di la-voro La contraddizione fra integrazione e esclusione dei lavora-tori stranieri“Anche i più umani avevano paura degli altri”: il rapportodegli internati militari con i lavoratori tedeschi“Delitto: divieto di avere rapporti con i prigionieri di guer-ra”: forme di contatto fra i tedeschi e prigionieri di guerra

V. Le condizioni di vita negli Stammlager1. Quotidianità e struttura sociale

Alloggi e condizioni di vita“La vita era fatta di lavoro, poco cibo e poco sonno”: isola-mento e spersonalizzazione come esperienza centrale degliinternati

2. Sistema delle pene e punizioni nel lagerAzioni delittuose e investigazione“Bastava che un camerata non raggiungesse la sua destina-zione di lavoro”: disciplina nei campi della Wehrmacht

3. Assistenza sanitaria degli internatiCure nei campi e rimpatrio dei malati gravi“Non volevano riconoscermi la malattia”: l’esperienza diun’assistenza sanitaria insufficiente

4. Le relazioni con i prigionieri di guerra e lavoratori di altrenazioniDivieto ufficiale di contatto e realtà“Francesi, Belgi e Serbi erano i signori del lager; i Russierano trattati ancora peggio di noi”: la percezione degli altriprigionieri del campo

VI. L’introduzione dello stato civile nell’autunno 19441. Le cause economiche del cambio di status2. Problemi organizzativi e conseguenze del cambio di status3. “Ma la vita cambiò e iniziò ad andare meglio”: gli effetti del

cambio di status nei ricordi degli IMIVII. Il destino degli Italiani nella fase finale della guerra e la

loro liberazione1. Radicalizzazione e terrore2. I primi che tornarono a casa all’inizio del 1945 e le reazioni

di autorità tedesche e italiane3. “Giorni bui, sembra che il mondo stia crollando”: le ultime

settimane di guerra nel ricordo degli ex-internati4. “La gioia e l’euforia erano indescrivibili”: la liberazione da

parte degli alleati 5. La situazione nei campi per i “Displaced Persons”6. “Gli Americani ci trattarono con molta comprensione, gli

Inglesi furono più severi”: il giudizio sul trattamento da par-te delle forze di occupazione

VIII. Rimpatrio e reintegrazione fallita1. Svolgimento e organizzazione del rimpatrio 2. “Non riesco a descrivere le scene di quando passammo il

Brennero”: ciò che percepirono gli IMI durante il rimpatrio 3. Disinteresse sociale e reintegrazione4. “Ma io naturalmente non avevo nessuno che mi aspettasse”:

il difficile inizio in Italia 5. Il sospetto di collaborazionismo e la questione ancor oggi

non risolta degli indennizziConclusioneAppendiceIndice analitico

INDICE

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DECISIONE SULLA DOMANDA PRESENTATAPER LAVORO IN CONDIZIONI DI SCHIAVITÙ O PER LAVORO FORZATO

Con la presente desideriamo informarLa che l’OIM ha completato l’esamedella Sua domanda di indennizzo per lavoro forzato o lavoro in condizioni dischiavitù nell’ambito della Legge tedesca che ha istituito la Fondazione “Memo-ria, Responsabilità e Futuro”. L’OIM ha rilevato che Lei, o la persona decedutaper cui Lei ha presentato domanda, è stato un Internato Militare Italiano (IMI)durante la Seconda Guerra Mondiale e che non è stato detenuto in un campo disterminio riconosciuto ai sensi della Legge tedesca istitutiva della Fondazione.

Il paragrafo 1l, comma 3, della suddetta Legge specifica che l’ammissibilitàall’indennizzo non può basarsi sullo status di Prigioniero di Guerra. Il Governotedesco e la Fondazione tedesca hanno stabilito che durante il periodo della Se-conda Guerra Mondiale, gli IMI avevano lo status di prigioniero di guerra. Fan-no eccezione a questa regola solamente gli IMI detenuti in un campo di stermi-nio. Di conseguenza, il Governo tedesco e la Fondazione tedesca hanno decisoche il personale militare italiano catturato durante la Seconda Guerra Mondialenon ha diritto all’indennizzo, a meno che non sia stato detenuto in un campo disterminio riconosciuto ai sensi della Legge tedesca istitutiva della Fondazione.Siamo pertanto spiacenti di informarLa che la Sua richiesta di indennizzo nonpuò essere accolta ai sensi della suddetta Legge. Nel notificarLe questa decisio-ne, I’OIM desidera comunque esprimere il proprio riconoscimento e rispetto perogni vittima del regime nazista, che abbia o meno diritto all’indennizzo ai sensidi questa Legge.

Qualora Lei ritenga (al di là di ogni ragione di principio) che tale decisionenon sia corretta, Lei ha il diritto di presentare un ricorso per iscritto all’Organo diAppello istituito presso I’OIM a Ginevra. La preghiamo di notare che non è pre-visto alcun rimborso per le spese sostenute al fine della presentazione del ricorso.La Sua eventuale domanda d’appello dovrà evidenziare il Suo numero di praticaOIM ed essere inviata per posta [entro il 100 giorni dal ricevimento della lettera]al seguente indirizzo:

IOM Appeals Body (FL)P.O. Box 174CH-1211 Geneva 19Svizzera

La preghiamo di notare che l’Organo di Appello OIM è vincolato dalla deci-sione del Governo tedesco e della Fondazione tedesca che gli IMI avevano lo sta-tus di Prigionieri di Guerra durante la Seconda Guerra Mondiale e non hanno ti-tolo ad indennizzo ai sensi della Legge tedesca istitutiva della Fondazione, a me-no che non siano stati detenuti in un campo di sterminio. Pertanto, è necessario,ai fini della presentazione dell’appello, fornire dettagliate spiegazioni o docu-mentazione che possa dimostrare che Lei, o la persona deceduta, sia stata detenu-ta in un campo di sterminio riconosciuto ai sensi della suddetta Legge.

Qualora Lei abbia inoltrato domanda anche per Danni alla Salute o Danni allaProprietà, la Sua domanda sarà esaminata separatamente in data successiva.

Distinti saluti

Organizzazione Internazionale per le MigrazioniProgramma tedesco di indennizzo per lavoro forzato

30 nuovo atto …schiavi di Hitler

A chiusura in redazionedi questo numero di“rassegna”: la Germania respinge larichiesta di indennizzodegli internati italiani.Riportiamo il testo dellalettera dell’OIM, inviatain questi giorni ai direttiinteressati.Dispiace dover osservareche, ad oltre mezzo secolodalle tragiche esperienzedi quell’immane tragediache fu provocata dalnazismo, la Germania dioggi, di fatto, si sottrae ariconoscere eindennizzare quel furto divita e di lavoro perpetratoai danni degli internatiitaliani.

Nonostante lacomplessità dellasituazione delineata,l’ANRP è più che maiintenzionata a tutelare, inogni sede, i propriassociati, assicurandoappoggio ad impugnarela risposta negativa, alfine di ripristinare laverità della memoriastorica e del diritto.

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31nuovo atto …schiavi di Hitler

Caro Socio,

circa un anno fa Lei ha presentato, in base alla leggetedesca, domanda di risarcimento per lavoro forzato pre-stato in Germania nel periodo 1943-45, insieme ad altremigliaia di connazionali che hanno vissuto la Sua amaraesperienza.

Per nostro tramite, la Sua domanda è stata inviata al-l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni(OIM), che ha il compito di attribuire gli indennizzi inItalia per conto della Fondazione tedesca “Memoria, Re-sponsabilità e Futuro”.

Dopo tanto tempo, l’OIM ha finalmente iniziato a ri-spondere alle domande, inviando direttamente agli inte-ressati, la decisione assunta.

Così il “Coordinamento traassociazioni storiche, sinda-cati e patronati per il risarci-mento delle vittime italianedel nazismo”, del quale l’ANRPfa parte, ha deciso di inviarLequesta comunicazione, oltreche per tenerLa informata,anche per assicurarLe il Suoappoggio ove ritenesse di do-ver impugnare una eventualerisposta negativa.

Infatti, nel mese di lugliodel 2001, il Governo FederaleTedesco ha deciso di esclude-re dal diritto al risarcimentogli Internati Militari Italiani(IMI), cioè tutti i militari chefurono catturati dalla Wehr-macht dopo l’8 settembre1943, in quanto sarebbero“prigionieri di guerra”, categoria esclusa dagli indenniz-zi secondo la legge che ha istituito detta Fondazione.Inoltre, anche per quanto riguarda i civili il Governo fe-derale ha dichiarato di voler respingere le domande ditutti coloro che non possano dimostrare di aver lavoratoin condizioni eccezionalmente dure e disumane.

Si è trattato di una decisione indegna, ottenuta graziead una “commissionata ed unica” perizia redatta da undocente di diritto internazionale dell’Università stataledi Berlino, con la quale il Governo tedesco ha acquisitouna artificiosa “copertura accademica”per l’esclusionedall’indennizzo degli IMI.

Il Coordinamento ha protestato contro questa gravedecisione e ha dimostrato la verità, con una controperi-zia effettuata da storici italiani e tedeschi, con conferen-

ze stampa, programmi di radio e Tv, articoli sui maggio-ri quotidiani italiani e tedeschi, con inserzioni a paga-mento e promuovendo l’invio di migliaia di cartoline diprotesta alla Fondazione tedesca. La verità è che gli In-ternati Militari Italiani non ebbero mai lo status di “pri-gionieri di guerra”: quindi, essi furono trattati senza lepur fragili garanzie offerte dalla Convenzione di Gine-vra e utilizzati nei lavori forzati come tutti gli altri civili.

Inoltre, rappresentanti del Coordinamento hanno in-contrato le autorità diplomatiche italiane a Berlino ehanno tenuto un appassionato intervento presso il Comi-tato direttivo della Fondazione l’11 ottobre 2001, chie-dendo che la Fondazione recedesse dalla sua ingiustaposizione e inserisse, fra i campi di prigionia consideratiammissibili all’indennizzo, anche i lager in cui eranorinchiusi i militari italiani.

Non ci si è fermati qui: ilCoordinamento ha rappresen-tato al nostro Presidente dellaRepubblica la grave situazio-ne di disagio patita dagli exinternati e, nel quadro di unavasta operazione di tutela insede giurisdizionale ha giàpresentato un ricorso legalealla Corte Costituzionale te-desca e una procedura ammi-nistrativa dinanzi al Tribunaledi Berlino.

Un primo frutto di tutto que-st’impegno è già maturato:pressoché tutte le forze politi-che italiane, sollecitate dallevibrate proteste del Coordina-mento, hanno presentato inParlamento progetti di leggeche – indipendentemente dal-

le azioni in atto con la Repubblica Federale di Germa-nia – prevedono un riconoscimento morale e materialedel lavoro forzato svolto dagli internati italiani militarie civili cui la Fondazione tedesca non riconoscerà l’in-dennizzo.

Le chiediamo perciò di contattarci, quando Le arri-verà la lettera dell’OIM; nel frattempo, faremo in mododi tenerLa ancora informata, – nei limiti del possibile –contando sulla Sua partecipazione a tutte le ulteriori ini-ziative che il Coordinamento potrebbe prendere ancorain merito.

Cordiali saluti.

Enzo OrlanducciSegretario Generale ANRP

traditidisprezzatidimenticati

194319452001

gli Internati Italianinei lager nazisti

Gli indennizzi tedeschi?Riposano in pace…

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“C’è chi vorrebbe dimenticare,

c’è chi vorrebbe falsificare.

Noi cerchiamo di conservare

la verità della memoria storica”

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