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Marc Augé. POTERI DI VITA, POTERI DI MORTE. Introduzione a un'antropologia della r epressione. Raffaello Cortina Editore, Milano. Prima edizione: 2003. Titolo orig inale: "Pouvoirs de vie, pouvoirs de mort. Introduction à une anthropol ogie de la  répression". Copyright © 1977, Flammarion, Paris. Pubblicato con il sostegno del mi nistero della Cultura francese. Traduzione di Annalisa D'Orsi. NOTA DI COPERTINA . «La nozione di repressione non ha alcuna consistenza antropologica se viene semp li cemente usata per caratterizzare un tratto essenziale della società occidentale  o anche un insieme di forme politiche di cui la società occidentale sarebbe la re ali zzazione compiuta.» Contro chi ha voluto vedere nelle cosiddette società primiti ve l a differenza assoluta, «la forma pura di una libertà perduta», «un'umanità più preoccup ata d ell'uguaglianza o più vicina a qualche fondamentale spontaneità», Marc Augé propon e una lettura attenta e fedele dei dati etnologici. Il mito del buon selvaggio, per qu anto espresso nel linguaggio del progressismo intellettuale e politico, è i n realtà portatore di una visione della storia di tipo evoluzionistico e imperiali stico. Tutte le società sono repressive, al di là delle specifiche istituzioni che l e carat terizzano. Attraverso l'esame delle società lignatiche e dell'attuale soci età dei co nsumi, si sviluppa la tesi fondamentale del saggio: «l'ideologia è sempre i deologia del potere». Distinguere tra ideologia dominante e ideologia dominata, so stiene Au gé, è pura speculazione intellettuale: l'ideologia dominante è quella di tut ti in ogni senso. Poiché all'interno di una stessa società l'affermazione individual e passa pe r l'emancipazione politica, «nessuno può esigere il senso senza respinger e il potere , cioè, in fin dei conti, senza rivendicarlo». Marc Augé è Directeur d'Études presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Pa rigi. Africanista di for mazione, da anni si occupa di antropologia delle società c omplesse. Tra i suoi la vori pubblicati in Italia ricordiamo "Un etnologo nel met rò" (Milano 1992), "Nonl uoghi" (Milano 1993), "Le forme dell'oblio" (Milano 2000), "Finzioni di fine sec olo" (Torino 2001). INDICE. Introduzione. 1. I vendicatori di Laio. "Natura uman a e differenze". - Repressioni. - Natura, cultura. - Ragione individuale, ragion e sociale. - L'anti-Edipo. - Etnologia-pretesto e antropologia storica. 2. I tot alitarismi senza Stato. "Ideologica e rapporti di potere". - Dominio, totalitari smo, simbolizzazione. - L'ideologica. - Ideologica, simbolismo e pratica sociale . - Le strutture dell'ideologica. - Contatto. - Senso e potere. 3. L'illusione i ndividuale. "Liberalismo e repressione".

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Marc Augé. POTERI DI VITA, POTERI DI MORTE. Introduzione a un'antropologia della repressione. Raffaello Cortina Editore, Milano. Prima edizione: 2003. Titolo originale: "Pouvoirs de vie, pouvoirs de mort. Introduction à une anthropol ogie de la répression". Copyright © 1977, Flammarion, Paris. Pubblicato con il sostegno del ministero della Cultura francese. Traduzione di Annalisa D'Orsi. NOTA DI COPERTINA. «La nozione di repressione non ha alcuna consistenza antropologica se viene sempli cemente usata per caratterizzare un tratto essenziale della società occidentale o anche un insieme di forme politiche di cui la società occidentale sarebbe la reali zzazione compiuta.» Contro chi ha voluto vedere nelle cosiddette società primitive l a differenza assoluta, «la forma pura di una libertà perduta», «un'umanità più preoccupata d ell'uguaglianza o più vicina a qualche fondamentale spontaneità», Marc Augé propone una lettura attenta e fedele dei dati etnologici. Il mito del buon selvaggio,per qu anto espresso nel linguaggio del progressismo intellettuale e politico, è in realtà portatore di una visione della storia di tipo evoluzionistico e imperialistico. Tutte le società sono repressive, al di là delle specifiche istituzioni che le carat terizzano. Attraverso l'esame delle società lignatiche e dell'attuale società dei co nsumi, si sviluppa la tesi fondamentale del saggio: «l'ideologia è sempre ideologia del potere». Distinguere tra ideologia dominante e ideologia dominata, sostiene Au gé, è pura speculazione intellettuale: l'ideologia dominante è quella di tutti in ogni senso. Poiché all'interno di una stessa società l'affermazione individuale passa pe r l'emancipazione politica, «nessuno può esigere il senso senza respingere il potere , cioè, in fin dei conti, senza rivendicarlo». Marc Augé è Directeur d'Étudespresso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Pa rigi. Africanista di formazione, da anni si occupa di antropologia delle società c omplesse. Tra i suoi la

vori pubblicati in Italia ricordiamo "Un etnologo nel met rò" (Milano 1992), "Nonluoghi" (Milano 1993), "Le forme dell'oblio" (Milano 2000), "Finzioni di fine secolo" (Torino 2001). INDICE. Introduzione. 1. I vendicatori di Laio. "Natura umana e differenze". - Repressioni. - Natura, cultura. - Ragione individuale, ragione sociale. - L'anti-Edipo. - Etnologia-pretesto e antropologia storica. 2. I totalitarismi senza Stato. "Ideologica e rapporti di potere". - Dominio, totalitarismo, simbolizzazione. - L'ideologica. - Ideologica, simbolismo e pratica sociale. - Le strutture dell'ideologica. - Contatto. - Senso e potere. 3. L'illusione individuale. "Liberalismo e repressione".

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L'individuo, l'istituzione. Istituzione, funzione, dominazione. L'uno, l'altro.Il singolare plurale. SAS o la perfezione per addizione. Logica lignatica e logica della società dei consumi.

Conclusione. Avvertenza: Tutte le note non seguite dalla sigla [N.d.A.] sono della traduttric e. *** INTRODUZIONE. I NOSTRI RITI E QUELLI DEGLI ALTRI. Viviamo in un'epoca di cui sarebbe insufficiente dire che è «organizzata»: la riflessi one comune e gli studi dotti concordano nell'identificare e a volte nel denuncia re, con gli stereotipi del tempo, le costrizioni dell'orario; i tempi morti dell a vita professionale - quelli dove la forza lavoro si ritempra e si rigenera - n on sono che un rifugio illusorio per la vita «privata» e «individuale»: la cultura pubbl ica- lo sport, la televisione, la canzone - li occupa, come si suol dire usando una parola dagli echi stranamente guerreschi e conquistatori. In modo più sottile , l'orario di ciascuno, persino nella sua parte non professionale, segue bene o male, tranne per qualche meandro, il corso del fiume comune: il gesto distratto con cui chi si sveglia, accendendo la radio, libera il flusso delle informazioni che gli sono state preparate, la familiarità quotidiana degli itinerari - la cono scenza intima e immediata del vagone migliore per la coincidenza, la moneta per il giornale, i pannelli pubblicitari che cambiano di tanto in tanto -, la gamma ridotta e la programmazione regolare delle distrazioni collettive (documentario, gelati, film; pre-partita, partita, intervallo, fine partita), in breve tutte l e possibilità offerte agli esperti della vita quotidiana, compongono un insieme de

finito di attività indefinitamente ritualizzate. Il cittadino medio, in questo senso cittadino modello, si applica, come padre di famiglia, lavoratore, giocatoredi "tiercé" (1), sportivo, automobilista - se vog liamo: come consumatore - a mettere in opera e a praticare il rito. Egli fa ciò ch e va fatto quando va fatto e si presenta all'ora stabilita in ufficio o in fabbr ica, alle urne, allo stadio, alle porte di Parigi e a Merlin-Plage (2). Paga, ma quale rito si è mai potuto celebrare gratuitamente? Non ha d'altronde alcuna scel ta, ma in quale società ci si è mai potuti affrancare impunemente dagli obblighi rit uali? Egli officia il rito:allaccia la cintura di sicurezza, attacca il bollo d i circolazione, limita la velocità, viaggia su due file, rispetta i sensi vietati; rappresenta: porta i capelli lunghi o corti, indossa o meno la cravatta (è una qu estione di generazione e ancor più di classe, e anche una questione di circostanze ); in breve, egli fa come gli altri, i quali fanno come lui, e nel compiere il r ito non si distingue per

nulla da coloro ai quali si oppone, quando crede di opp orsi. O altrimenti, come uno di quei fantocci che ogni società si trova a tollerar e, diventa un deviante che verrà rapidamente eliminato o assorbito, fuma nel metrò, gira senza casco, esprime come può il suo disagio e si addita da sé all'attenzione d elle forze dell'ordine, dato che non si limita alle attività strettamente marginal i di snobismo consentito, ai privilegi di casta. Tutt'al più gli è consentito sfuggire ai pericoli dell'isolamento, all'emarginazione che in tutte le società sanziona le trasgressioni illecite, unendosi alle folle u nanimi che, messa da parte ogni divisione, acclamano negli stadi i totem glorios i della festa sportiva. Verità propriamente totemica, come quella del gallo quando calpesta il cardo scozzese o si punzecchia con esso le piume (3), come quella d ei Verts (4) quando accedono alla finale di Coppa Europa. La liturgia del Parc d e Princes (5) (cori alternati di tifosi, distribuiti sugli spalti in modo armoni osamente contrastato, bandierine e berretti da

i colori adatti, slogan conosciuti

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e ripresi da tutti) avrebbe indubbiamente impressionato e imbarazzato Durkheim:una festa profana, una festa sacra? Sicuramente una sacralizzazione della società, della città, della nazione o di entrambe; sindaci, deputati e ministri d'ogni te ndenza lo sanno bene, qui come altrove: il calcio professionale è stata una delle prime conquiste delle nuove nazioni in via di sviluppo. Ora il paradosso dellaciviltà occidentale, che ha sempre avuto i suoi totem e i s uoi tabù, i suoi dei e i suoi riti, è che, in questo caso, essa ha sempre avuto anch e il culto delle differenze - di cui il suo imperialismo costituisce al tempo st esso il rovescio e il complemento. I selvaggi sono quelli che, per così dire, fann o tutto come noi ma lo fanno diversamente. L'ambiguità sta in questo «diversamente». V ecchia tradizionesociologica: per Durkheim, seguito e ripreso su questo punto d a Althusser, la religione è in certo qual modo la forma pura dell'ideologia, il mi nimo sacro necessario al funzionamento del profano. La sacralizzazione, nata dal la particolareatmosfera delle riunioni episodiche di tutta la società, mette o ri mette in motoil motore della società - come con un giro di manovella molto simile ai giochi diprestigio con cui la nostra tradizione filosofica prova a evitare il problema in cui inciampa regolarmente: quello dell'impulso iniziale. Ma se a questo riguardo i selvaggi sono esemplari, è perché essi sono anche molto diversi, p aradossalmente più socializzati di noi; a proposito dei popoli «primitivi», così scrive Durkheim nelle "Forme elementari della vita religiosa": «Il gruppo realizza in mod o regolare un'uniformità intellettuale e morale di cui troviamo soltanto rari esem pi nelle società più avanzate. Tutto è comune a tutti. I movimenti sono stereotipati: tutti eseguono i medesimi nelle medesime circostanze, e questo conformismo della condotta esprime il conformismo del pensiero. Dato che tutte le coscienze sono trasportate

dalle stesse correnti, il tipo individuale si confonde quasi con il tipo generico» (6). Sotto altre forme, in un linguaggio più sofisticato, i filosofi oggi alla moda rimangono alla moda di casa nostra ed evocano dei selvaggi meno i ndividualizzati, più collettivi e, per meglio dire, più coerenti di noi. Ma essi agg iungono alla descrizione di Durkheim una piccola dose di giudizio di valore che ne cambia profondamente il senso; per Durkheim, i selvaggi costituiscono un mode llo intellettuale: la forma semplice di rappresentazioni più complesse, l'essenza del rapporto sacro/profano; per i nostri filosofi, essi costituiscono quasi un m odellomorale: la forma pura di una libertà perduta, che non passava per l'illusio ne individuale e per la repressione edipica. Il punto debole è proprio qui. Senza per ora far commenti sulle diverse maniere co n cui gli autori descrivono e analizzano la differenza, possiamo notare che essi la collocano tutti esattamente nei punti oscuri della nostra sociologia e delle nostre società - il rapporto dell'individ

uo con se stesso, il rapporto della legg e sociale con l'individuo, il rapportodella legge dei dominanti con i dominati e la combinazione di questi tre rapporti costituiscono un problema evidentemente attuale: il rapporto del sé con se stesso non è mai stato tanto problematico come n el momento in cui la schizofrenia appare, secondo la formula di Deleuze, come il limite del capitalismo; la generalizzazione di sistemi statali forti, la concom itante moltiplicazione di forme di contestazione e di repressione, il rapido aff inarsi dei metodi di propaganda e di pubblicità definiscono in modo potenzialmente conflittuale il rapporto della legge con gli individui che essa opprime diversa mente ma che reprime in uguale misura; le conseguenze del colonialismo e il gene ralizzarsi delle situazioni di dominazione rivelano senza mezzi termini l'imperi alismo del pensiero che accompagna (talvolta dopo averlo anticipato e annunciato ) l'imperialismo "tout court", da cui i membri delle società dominate sono ben lon tani dal potersi sbarazzare per

ché esso li ha raggiunti nella loro capacità di fare e di dire: nella loro stessa capacità di vivere (7). Siamo quotidianamente messi a confronto, "hic et nunc", conl'evidenza e con il problema dell'efficacia dell'ideologia. E non si può dire chei nostri filosofi no n se ne siano mai occupati: essi riconoscono con Deleuze edopo Reich che il fas cismo può essere oggetto di desiderio, con Legendre l'astuzia del discorso canonic o che conduce all'amore del censore, con Baudrillard il sistema implicito dei di scorsi ufficiali della propaganda e della pubblicità, i quali delineano e costruis cono le costrizioni cui l'uomo della società dei consuminon può sottrarsi. Ma quand o si tratta di esplicitare la natura di queste «virtù» sociologiche (di queste astuzie

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e di questo desiderio), l'etnologia è chiamata alla riscossa. Durkheim trovava nella religione dei selvaggi la forma semplice del passaggio al sacro o, detto alt rimenti, il segreto al tempo stesso dell'alienazione e del funzionamento. I nost ri filosofi, invece, postulando la radicale differenza dei selvaggi, cercano pre sso di loro un esempio "a contrario": i simboli precedenti all'alienazione, i ra pporti aperti precedenti all'astrazione. Al limite, e per sbarazzarsi dellediff icoltà dell'ideologia, essi ne farebbero la perversione del simbolismo. Comese l' ideologia (e le gerarchie che essa suppone) non giocasse alcun ruolo nelle socie tà «diverse», come se il simbolismo non operasse nella società industriale. Spostando in questo modo il problema, esorcizzandolo come se altrove non esistesse, si evita solo di formularlo: ci si crea l'illusione di una risposta «esotica» a una domanda «s torica». Ma così facendo si cambia la domanda. Poiché ciò che si dà, da qualche parte fra l'intimità relativa delle storie individuali e le nuove costrizioni di unordine e conomico fondato in parte sulla definizione del valore-lavoro come equivalente g enerale, da qualche parte fra l'Edipo e il Capitale, non è forse precisamente ciò ch e si dà in ogni società: l'instaurazione e l'efficacia di un potere di cui il capita lismo non è che una delle forme possibili, la più oppressiva, forse, per molti, e la più costrittiva, ma che non può essere ritenuta la più alienante se non a costo di un disconoscimento forsennato delle altre forme storiche di repressione, e che non può essere posta alla fine del mondo (per ciò stesso come assoluto della repression e) se non privilegiando una visione retrospettiva e mutilante della storia? La nozione di repressione non ha alcuna consistenza antropologica se viene usata semplicemente per caratterizzare un tratto essenziale della società occidentale o anche un insieme di forme politiche di cui la società occidentale sarebb

e la real izzazione compiuta. A questo punto è importante situare più precisamente questo sagg io in rapporto alle riflessioni recentemente sviluppate sul tema della repressio ne. Di queste riflessioni l'etnologia non è direttamente responsabile, nel senso c he rari sono gli etnologi che hanno prodotto lavori su questo tema. Essa è respons abile nel modo abituale: serve da pretesto o da appoggio; è in effetti degno di no ta che questa disciplina, che cerca continuamente di prendere a prestito il rigo re, il linguaggio o le intuizioni delle discipline vicine (linguistica, filosofi a, psicoanalisi), alimenti allo stesso tempo ricerche che la derubano di quel pi zzico di esotismo che le è proprio e dei prestigi della distanza. Nel luogo d'inco ntro di questi due snobismi, si delinea una tentazione insidiosa e tanto più peric olosa dal momento che essa può esprimersi nel linguaggio del progressismo intellet tuale e politico: la tentazione di misurare le oppressionie i sistemi repressiv i moderni occidentali sul liberalismo o l'ugualitarismo pr

esunti degli altri, de ll'altro, nella sua differenza non più solamente rispettata ma magnificata, propri o perché essa è altra cosa rispetto all'Occidente statale erepressivo e perché, inolt re, resiste alle sue imprese dominatrici o soccombe aisuoi attacchi. Ma, con il pensare per opposizioni di termini, con il pensare leetnie contro l'Occidente, le campagne contro la città, le società contro lo Stato, il primitivismo contro l'E dipo, non si corre forse il rischio di sostituire all'analisi il gioco più o meno sottile, a seconda del talento degli autori, del valorizzare esageratamente qual cosa attraverso la negazione e il rifiuto di qualcos'altro? (8) I META-ANTROPOLOGI E L'ETNOLOGIA-PRETESTO. La definizione di una nuova soggettività è all'ordine del giorno per i meta-antropol ogi francesi (9). Per questi si tratta di denunciare l'«Io» e, più ancora, il «Super-io» c ome una creazione storicamente datata, creazione imputabile, grossomodo, allo sp irito occidentale cristiano e, nelle sue forme più attuali, al capitalismo di Stat o. Michel Foucault ha

recentemente riassunto questa posizione dichiarando: «[...] l'individuo non è il dato su cui il potere si esercita e si abbatte. Con le sue ca ratteristiche, la sua identità, nel suo impuntarsi su se stesso, l'individuo è il pr odotto di un rapporto di potere che si esercita su dei corpi, delle molteplicità, dei movimenti, dei desideri, delle forze» (10). Questo linguaggio potrebbe essere quello stesso di Deleuze, di Guattari o di Baudrillard. Ciò pone un problema. Esso implica infatti che in società diverse dalla nostra siano esistite forme di soggettività diverse da quelle dell'individuo «nel suo impuntarsi

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su se stesso». Così, Deleuze e Guattari, nel loro "Anti-Edipo" (11), contrappongonole società «moderne» alle società «primitive»: quelle consacrano la privatizzazione delle istituzioni, queste istituiscono organi collettivi come la maschera. Alle prime s petta il «Super-io», il complesso di Edipo, alle seconde i fantasmi di gruppo e l'in tersoggettività. Ora, se è evidente che la definizione e la formazione dell'identità d ipendono in larga misura dalle configurazioni politiche e sociali (la letteratur a consacrata alla nozione di persona è a questo riguardo molto ricca), può sembrare al tempo stesso legittimo supporre che questa formazione dell'identità sia precisa mente la peculiarità del potere (quale ne sia la forma) e il segreto della sua eff icacia; in tutte le forme del potere, la figura individuale si inscrive nella co nfigurazione complessiva che delimita la totalità del possibile e del pensabile; q uesto limite determina, propriamente, l'ideologia per effetto della quale ragion e individuale e ragione sociale tendono a identificarsi in tutte le società. Da qu esto punto di vista, ogni interrogativo circa l'universalità dell'Ediporesta seco ndo, se non secondario; una risposta negativa non invalida in nulla l'ipotesi pe r cui, in ogni società, repressione psichica e repressione sociale sidefiniscono vicendevolmente. Ma questo non è il postulato dei meta-antropologi. Ciòche essi res pingono, fra l'altro, nella nozione di natura umana è lo schema intellettuale univ ersalistico che le corrisponde e secondo il quale forme omologhe possono e debbo no trovarsi nelle diverse culture; l'evoluzionismo latente o esplicito che sotte nde i loro discorsi pretende che la storia dell'umanità vada dal più aperto (la soci età primitiva) al più repressivo (lo Stato); una lettura alla rovescia del senso del la storia permette loro, un po' contraddittoriamente, di faredel secondo l'osse ssione della prima, negandogli al tempo stesso un carattere d

i necessità storica. Le società primitive, in quanto società della soggettività esplosae in quanto società d el rifiuto (dello Stato), varrebbero come prova e contro lo «struttural-marxismo» e contro il «freudo-marxismo»: contro la natura umana, contro l'Edipo, contro lo Stato . I dati dell'etnologia dovrebbero costituire il perno di questa dimostrazione. E di fatto alcuni etnologi si sforzano di puntellarla con la realtà delle società che essi studiano. Alcuni «americanisti», in particolare, rivendicano con Robert Jaulin la differenza assoluta e con Pierre Clastres l'anarchismo radicale delle società p rimitive. Questa rivendicazione si riallaccia ad altre che più da vicino interessa no le nostre società industriali: il diritto alla differenza mette in discussione lo Stato-nazione, che viene denunciato come creazione dello spirito giudaico-cri stiano universalistico e negatore delle differenze; lo Stato appare parallelamen te come lo strumento repressivo per eccellenza, a prescindere dalle sue opzioni politiche. Queste denunce s'appoggiano su una lettura

attenta delle società primit ive o, al contrario, impongono tale lettura? Gli Indiani dell'Amazzonia sono for se i figli ingrati dello stalinismo? E' una domanda che ci si può porre nel vedere la moda attuale dell'etnologia-pretesto e nel notare, per esempio, come certe f emministe cerchino, a dispetto dell'evidenza, di trovare nella storia e nell'etn ologia alcune società dove il potere politico non fu sostanzialmente maschile, com e se fosse necessario aver un giorno perso il potere per poterlo rivendicare, co me se fosse necessario trovare altrove un supporto per l'esigenza attuale. Un on ore eccessivo per l'etnologia, posta come arbitro nei dibattiti attuali; un ecce ssivo disonore per gli etnologi, ai quali i meta-antropologi, con la loro lettur a facile e altezzosa, infliggono quella stessa sorte che essi rimproverano loro di infliggere a coloro che studiano: pensano al posto loro le loro pratiche e le loro produzioni - etnologi di secondo grado, insomma, e radicalmente imperialis ti, poiché pretendono di esprimere l'essenzia

le della visione primitiva, il colmo della differenza, il senso ultimo della parola e del rito. Se tuttavia quest'argomentazione ha successo, è perché essa poggia sulla scoperta, a l tempo stesso, dell'esigenza individuale e della costrizione politica (non foss e che per denunciare il carattere chiuso della figura individuale nella civiltà ed ipica, la potenziale identificazione fra repressione nel senso psicoanalitico e repressione nel senso politico); il suo carattere contraddittorio deriva dal fat to che, mentre fa dell'individuo il prodotto di una costruzione ideologica, di u na costruzione del potere il quale dà a se stesso l'individuo di cui ha bisogno pe r potersi esercitare, tale argomentazione, nel momento incui smette di consider

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anato dalle stirpi maggiori e dai fratelli primogeniti, tutti coloro che hanno s olo un accesso effimero e passivo - per testimoniare o per subire - allo spazio del potere. Nulla indica che le teorie lignatiche della consustanzialità parziale delle persone, della solidarietà economica, cerimoniale e culturale degli individu i o della circolarità dell'alleanza e dell'ereditarietà si riferiscano a un'umanitàpiù preoccupata dell'uguaglianza della nostra, o più vicina di quest'ultima a qualche fondamentale spontaneità. E' invece con rara minuzia e con notevole sofisticazione che esse creano sistemi di costrizione non ugualitari che producono, al di là del la differenza delle concezioni e delle definizioni, forme o piuttosto strutture ideologiche (mi riservo di precisare meglio questo termine) identiche a quelle d i qualsiasi altro tipo di società e di potere. Infine (e questa sarebbe la terza osservazione), non è affatto legittimo inferire meccanicamente il vissuto degli individui dalle definizioni della persona, le re altà dello psichismo e del sociale dalle rappresentazioni dell'ordine intellettual e o politico. Dedurre il vissuto individuale concreto dai miti d'origine, dalle cosmogonie, dalle forme rituali o dalle teorie antropologiche locali è certamente sacrificare a una concezionestrettamente esegetica del simbolismo. Quest'ordine intellettuale non è espresso,o all'occorrenza imposto all'individuo, se non come richiamo all'ordine, allorchél'evento impone la necessità di un'interpretazione; q uest'ultima tiene conto contemporaneamente della configurazione logica complessi va (la somma del possibilee del pensabile) e della posizione degli individui in causa rispetto a questa configurazione - al primo posto di questi si trova del resto il maestro dell'interpretazione, che sia divino o che sia il capo del lign aggio. Nella misura in cui è in fin dei conti l'evento a richiamare all'ordine (og ni disordine individuale,

per esempio la malattia, rinvierebbe a un disordine so ciale, per esempio l'adulterio), la personalità si costruisce proprio in funzione delle costrizioni del sistema e, per quanto possibile, in previsione o in preven zione dei suoi possibili rigori; tuttavia, sempre minacciata dall'essere identif icata con dei personaggi fissi, definiti e denunciabili (come lo «stregone»), essa h a il dovere di prevenire incessantemente la possibile diagnosi, di essere sempre in anticipo di un'essenza; essa s'identifica dunque meno con le definizioni di quanto non vi si sottragga: le resta aperto un campo di libertà e di reinterpretaz ione a condizione che non si lasci imprigionare dal discorso degli altri; è tuttav ia del tutto evidente che questo grado di apertura e di libertà e precisamente fun zione della posizione dell'individuo nella gerarchia del sistema; la libertà nel s istema si offre a coloro che ne hanno meno bisogno, poiché esso è costruito per loro , come un surplus di potere. Il rapporto con il sistema - il vissuto - varia da un caso all'altr

o e non è né in un caso né nell'altro la semplice ripetizione del sist ema; esso non vi si inscrive completamente attraverso la parola degli altri se n on nella necessità retrospettiva della diagnosi della morte - rapporto di senso ch e esprime soltanto il rapporto di forza dei viventi. LA MORTE BUONA DA PENSARE. In nessun luogo la morte è, in senso stretto, pensabile. Essa è l'impensabile per ec cellenza. Thomas (13) ricorda il paragone che stabiliscono i Bantù a questo propos ito. La morte è come la luna; chi ne ha mai visto il volto nascosto? Tuttavia, que sto impensabile è buono da pensare: la morte è buona da pensare come tutto ciò che ess a non è. Essa è buona da pensare innanzitutto in quanto evento. Se la morte, come la nascitao la malattia, è oggetto, nelle società lignatiche, di inchieste e di inter rogazioni tanto minuziose, è perché l'organizzazione della vita ne dipende, e più anco ra ne dipende il chiarimento dei rapporti di forza che letteralmente costituisco no ilrapporto sociale. La ricerca delle cause non è senza conseguenze, ed è a causa di qu

este che eventualmente si affrontano, allo stabilirsi di una diagnosi, lig naggi alleati, membri di uno stesso lignaggio o quartieri di uno stesso villaggi o. La sepoltura, i funerali sono preceduti da conciliaboli, da accuse, da spiega zioni, da regolamenti di conti che vengono eventualmente presentati come necessa ri alla tranquillità del defunto, ma che mirano innanzitutto al chiarimento dello squilibrio sociale (rottura di un divieto, adulterio, dissenso, aggressione medi ante stregoneria) che deve esser stato la causa della morte, a una ricomposizion

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e del passato che dia senso al presente. Nessun evento è contingente, la morte lo èancora meno di ogni altro. La morte è prima di tutto un richiamo all'ordine, ma al l'ordine dei viventi. Essa è buona da pensare anche in quanto limite - limite dell'individuo e limite de l potere. Indubbiamente questo limite può essere spostato, differito, aggirato; tu tte le teorie della metempsicosi parziale o totale corrispondono a questa possib ilità. Ma anche laddove queste teorie esistono, esse non si applicano ugualmente a tutti gli individui; sembra piuttosto che le linee della reincarnazione tendano a coincidere con le linee della forza sociale. In uncerto senso la morte fa as soluto l'individuo e l'individuo è il limite del potere. Se il potere vuole sottra rsi alla dimensione individuale (la sua relativizzazione attraverso la morte), p roporzionalmente al suo carattere «individuale» e «assoluto», esso deve gestire la morte (nel doppio senso del termine: amministrarla) e oltrepassarla, sempre al di qua o al di là della sua realtà. Le teorie dell'ereditarietà possono confortare questa vi sione delle cose, giacché fanno dell'individuo al potere una figura del potere eff imera sempre ricominciata, che il rito allo stesso tempo costituisce ed esprime. Dalla forma minimale del potere su alcuni alla forma assoluta del potere sugli altri, dall'iniziazione alla salita al trono, tutti i rituali mettono in scena u n passaggio attraverso la morte che appare comela condizione essenziale dell'ac cesso al potere. La letteratura antropologica abbonda di esempi spettacolari del la messa a morte simbolica degli adolescenti iniziati, dei responsabili religios i nominati, dei capi o dei sovrani saliti alpotere. La morte in quanto evento e la morte in quanto limite (limite il cui scongiuro t enderebbe a definire il potere come irraggiungibile dall'evento) sono pertanto i ncessantemente messe in scena e rappresentate, scomposte, ricomposte,

indagate. La morte, sotto questo aspetto, assume un carattere familiare, talvolta parodist ico: il morto è maneggiato, scosso, manipolato; la morte è mimata, recitata, provoca ta. Ma con questo non si vuole dire che tale aspetto familiare distingua irrimed iabilmente le società «altre» dalla nostra società. Certo, si può contrapporre, per esempi o, all'ostentazione funeraria delle società africane (o una volta delle nostre cam pagne) la discrezione consolidata delle nostre agenzie di onoranze funebri (14) («voi morite, al resto pensiamo noi»); l'essenziale non può essere qui, ma piuttosto n el doppio movimento, reperibile in ogni configurazione politica, che tende, da u na parte, a fare della morte il punto di partenza sociologico (e retrospettivame nte l'esito storico) di una concatenazione di cause (così oggi ci viene insegnato a «spiegare» il cancro, la cirrosi, gli incidenti della strada o le fluttuazioni del la speranza di vita in termini di responsabilità morale e di stile di vita) e, dal l'altra, a identificare l'impensabile della morte con l'impe

nsabile del potere ( a persuaderci così fortemente, per esempio, dell'eternità degli Stati che la morte d i un capo di Stato in carica ci stupisce ancora per il suo carattere scandaloso) . La morte non è la realtà biologica, istituzionale e metafisica in rapporto alla qual e certe società si rivelerebbero essenzialmente diversedalle altre. Essa è prima di tutto e dappertutto l'occasione e la provocazione, l'elemento primo e contraddi ttorio di un pensiero del potere che non può eliminarla se non al prezzo della sua realtà e della sua efficacia. Nessuna società ha mai potuto risparmiarsi una rifles sione sulla morte; questa riflessione, in cui s'incrociano senza confondersi la dimensione individuale e la dimensione politica, è essa stessa, per ogni potere, u na questione vitale. I MARXISTI E L'IDEOLOGIA DEGLI ALTRI. Qui si tratta, è chiaro, di denunciare l'utilizzo fatto dai meta-antropologi di ma teriali etnologici frammentari, falsi o discutibili per stabilire una radicale e irriducibile "differenza" tra, da un lato, le società «primitive», che sareb

bero esse nzialmente caratterizzate dall'assenza di repressione psichica e sociale e, dall 'altro, le società «statuali» che si definirebbero per la chiusura progressiva della f igura individuale su se stessa e il totalitarismo repressivo di un'istituzione p olitica irreversibilmente costituita come significante assoluto. Ma questa denun cia ha senso solo in funzione di un dibattito più generale centratosullo statuto

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teorico della nozione di ideologia - dibattito di cui si trova eco all'altra est remità della gamma teorica, presso coloro che non sono sedotti dall'«apatia teorica»d i Lyotard e non rinunciano né a teorizzare la pratica né a dirsi marxisti. Alcunipa ssaggi dell'opera di Jacques Rancière ("La leçon d'Althusser") (15) hanno avuto il m erito di chiarire i termini del dibattito; per Rancière non si tratta certo di ric ongiungere Deleuze e Nietzsche, la libido e il risentimento; il ricorso alla "Ge nealogia della morale" (16) è ai suoi occhi solo una procedura universitaria, un u lteriore abbandono alle delizie della speculazione pura, il segno di un'impotenz a a scongiurare i fantasmi della metafisica che molto assillano anche il pensier o marxista e in particolare il discorso «filosofico» di Althusser. Ora, seRancière ri mprovera ad Althusser di riprodurre un modello di analisi ereditato dal «discorso metafisico sulla società» e da una «sociologia borghese di tipo durkheimiano», è precisame nte perché rifiuta la concezione althusseriana di un'ideologia «in generale», che assi curerebbe, in tutte le formazioni sociali, la coesione dell'insiemea costo di u n effetto di opacità. Per Althusser, infatti, la diversità radicale delle società senz a classi e delle società di classe non toglie che né le une né le altrepotrebbero sus sistere senza «ideologie» concepite come «sistemi di rappresentazioni». La suddivisione in classi aggiungerebbe semplicemente al principio di deformazione ineluttabile proprio dell'ideologia in generale un secondo principio di deformazione specific o a questa divisione, sovradeterminando la funzione del primo emirando a stabil ire a vantaggio della classe dominante una rappresentazione mistificata e mistif icante del sistema sociale. Il problema delle differenze è dunque anche al cuore del dibattito marxista, ma co rrisponde in realtà a due questioni ben distinte: la prima concerne lo statuto del l'ideologia nelle società di class

e e nelle società senza classe; la seconda concern e direttamente le classi stesse e le particolari ideologie di cui sarebbero port atrici. Rancière rimprovera ad Althusser di definire il concetto di ideologia nell a sua generalità prima di definire quello di lotta di classe. Per lui la «struttura» d ella società sono «i "rapporti di produzione" che caratterizzano un modo dominante d i produzione», ossia «le formesociali di appropriazione dei mezzi di produzione che sono delle forme di appropriazione di classe». Detto altrimenti, per Rancière l'esp ressione «ideologie di classe» ha un solo senso, quella di «ideologia di società di clas se» ha un senso equivoco equella di ideologia della società in generale o di «ideolog ia in generale» non ne hanessuno, se non (ma questa è un'altra storia) il senso pol itico e strategico di una costruzione intellettuale tendente a consolidare l'aut orità del comitato centrale del Partito comunista francese. Althusser e Rancière si ritroverebbero però d'accordo con i meta-antropologi della l ibido nell'ammettere l'esistenza di una fra

ttura radicale (e reperibile a partir e dal dibattito sul concetto di ideologia) fra due diversi tipi di società: per il primo, l'ideologia delle società di classeaggiunge un effetto di mistificazione all'effetto di opacità prodotto dall'ideologia in generale, mistificazione present e solo nelle società di classe (la religione sarebbe, da questo punto di vista, «la prima forma generale dell'ideologia»); peril secondo, per definizione, non esiste ideologia nelle società senza classi. Rancière non precisa che cosa intenda per soc ietà senza classi, ma la sua analisi del feticismo permette di supporre che ne amm etta l'esistenza; la manifestazione-dissimulazione (il feticismo) dei rapporti d i produzione non significa per lui un'opacità della «struttura sociale in generale»: è p roprio «l'efficacia dell'opposizione di classe lavoratori/non-lavoratori che contr addistingue tutte le società di classe». Così, per Althusser, l'opacità ideologica delle società senza classi non rinvia a rapporti di potere ma a una sorta di minimo vit ale sociologico (la coesione social

e) e per Rancière le società senza classi sono vo tate alla trasparenza; estesa al di là delle società di classe, l'efficacia della st ruttura (cioè dei rapporti di produzione) «diventa un concetto perfettamente indeter minato - oppure determinato come il sostituto di una figura tradizionale della m etafisica: genio maligno o astuzia della ragione». Ecco dunque respinti, assegnati alla metafisica ed estromessidal campo della storia - per la più grande felicità o la più grande ironia degli esperti di primitività - qualche società, qualche continen te, qualche millennio. Non sidiscuterà qui del concetto di classe. Si ricorderà semplicemente che un antro pologo marxista come Pierre-Philippe Rey ha dovuto proporne una ridefinizione pe

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r poter render conto delle forme di sfruttamento e di controllo della riproduzio ne sociale che la sua analisi delle società lignatiche gli faceva scoprire. Quanto ci proponiamo è un po' diverso: anche se si ammette che a dargli troppa estension e s'indebolisce il valore euristico e operativo del concetto di classe, e se si preferisce riservarne l'impiego all'analisi delle società dove l'opposizione lavor atori/non-lavoratori è pertinente, si dovrà riconoscere che l'esistenza del potere ( sociale, economico, religioso, politico) è anteriore alla comparsa delle classi e, a dire il vero, completamente indipendente da quest'ultima. Da questo punto di vista, i rapporti di classe sarebbero solo una forma dei rapporti di potere. L'e sempio delle società lignatiche ci invita a definire l'ideologia non come il «cement o» delle società ma come la sistematica dei rapporti di potere e ad ammettereal tem po stesso che non esiste né società senza potere, né potere senza ideologia. Esso ci f ornisce forse così anche il mezzo per scoprire e analizzare la causa di un'efficac ia che nulla deve a un effetto illusorio. L'analisi delle società lignatiche autor izza a mettere in discussione tanto le teorie di spirito funzionalista, che anal izzano l'efficacia ideologica in termini di coesione sociale, di immaginario e d i mistificazione (come fa Althusser), quanto quelle che rifiutano l'ideologia e la sua efficacia ad alcuni tipi di società (come fanno, con spirito apparentemente diverso, la nuova antropologia nietzschiana da una parte e il contro-althusseri smo marxista dall'altra). Infine, e contemporaneamente, essa suggerisce che la d istinzione fra ideologia dominante e ideologia dominata è una mera speculazione in tellettuale, essendo proprio del potere imporre a quegli stessi che ne saranno s empre solo gli utenti l'ideologia che gli ha permesso di affermarsi e di riprodu rsi. Non si vuole dire con questo che le classi o i gruppi domi

nati non possano esprimersi all'interno dell'ideologia del potere e, in certi periodi storici, so vvertirla - cambiando contemporaneamente il rapporto di forzae il rapporto di s enso. Si proporrà, a partire dall'esempio dei lignaggi, una distinzione fra i conc etti di ideologica e di ideologia per introdurre l'ipotesi fondamentale di quest o saggio: l'ideologia è sempre ideologia del potere in qualsiasi tipo di società; es sa s'impone, si esprime e si riproduce attraverso strutture d'ordine sintattico che sono omologhe da una società all'altra e che spiegano, da una parte, come ogni individuo formuli e provi a risolvere i suoi problemi d'ogni genere nella logic a dell'ideologia del potere e, dall'altra, come i dominati vivano nell'ideologia dei dominanti, pur esprimendo, senza illusione né ambiguità, la loro protesta o, pe r lo meno, la loro situazione. Tutte le società sono repressive e impongono allo stesso tempo un ordine individua le e un ordine sociale.Tale è, almeno, l'ipotesi che sarà sostenuta in tre momenti successivi. Una prima pa

rte proverà a identificare il percorso e a distinguere gli a priori e le implicazioni della meta-antropologia di oggi; in una seconda part e si proverà a descrivere le figure principali dell'ideologica lignatica e, al di là di questo, a proporreun'analisi strutturale dell'ideologica «in generale»; infine, attraverso l'analisi dei discorsi ideologici dell'attuale società dei consumi, si suggerirà, più precisamente, che l'ideologia capitalista funziona a partire da un'i deologica che non è formalmente diversa da quella delle società lignatiche. Così dovre bbe delinearsi un'antropologia della repressione, un'antropologia del potere e d ei poteri che non sarebbe esclusivamente né «sociale», né «religiosa», né «politica», né «eco ancor meno una «sinti diversi «punti di vista», ma che, al contrario, muov erebbe da un'analisi differenziale delle logiche esplicite e implicite nelle pra tiche che possono essere attuate e nei discorsi che possono essere portati avant i nelle diverse società concrete. Capitolo 1. I VENDICATORI DI LAIO (1). Natura umana e differenze. REPRESSI

ONI. In senso lato, se seguiamo Laplanche e Pontalis, il termine «repressione» si applica a un'operazione psichica che tende a far scomparire dalla coscienza un contenut o spiacevole o inopportuno: un'idea, un affetto eccetera. In questo sensola rim

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ozione sarebbe una particolare forma di repressione. Nel senso più stretto, privil egiato da questi autori, il termine repressione designa solamente alcune operazi oni che corrispondono all'accezione del senso lato e si distinguono dalla «rimozio ne» in virtù del carattere conscio dell'operazione e per il fatto che il contenuto r epresso diventa semplicemente «preconscio» e non «inconscio» (2). Comunemente, impieghiamo il termine «repressione» anche per designare l'azione di un individuo su un secondo individuo, l'uno soggetto e l'altro oggetto della repre ssione. In questo senso, nel significato comune del termine, i genitori reprimon o certe velleità dei figli, li educano "contro" certe tendenze. Ancora in questo s enso, il potere politico reprime con la forza le manifestazioni sovversive, la p olizia reprime le infrazioni del codice stradale; da questo punto di vista la di stinzione tra prevenzione e repressione è un po' artificiale; la differenza è di gra do, non di natura; la prima ha senso solo in rapporto alla seconda; una perfetta riuscita della prima implicherebbe l'interiorizzazione generalizzata delle cost rizioni oppure un obbligo assoluto della seconda, in ogni caso il regno dell'ord ine. Il gendarme può piazzarsi prima della sommità di una salita o prima di una svol ta, giocare un ruolo «dissuasivo», oppure può appostarsi dopo l'una o l'altra, e gioca re un ruolo «repressivo»: in entrambi i casi la saggezza che si ritiene ispiri deriv a dal timore o, al di là di questo, dall'amore. La repressione si esercita sugli i ndividui presi uno per uno; è quel figlio o quell'allievo a venire punito e che si sa osi crede oggetto di un'attenzione esclusiva. Le condanne, quando c'è giudizi o, dosano individualmente la repressione, dalla sospensione della pena alla mort e. Ma la repressione non è mai fantasiosa, per lo meno non nel suo principio espli cito; il figlio ben educato e il figlio martire vengono educati e martirizzati i n

nome di una sistematica dell'educazione, meccanica o sregolata che sia. L'ogge tto della repressione nel senso comune è al tempo stesso individuale e collettivo nella misura in cui il giudizio da cui la repressione deriva non è mai una pura invenzione personale; per quanto vittima di una tirannia particolare, l'individuo èsempre vittima di un sistema. Sotto questo aspetto, la repressione nel senso comune non è diversa dalla repressi one in senso analitico. Quest'ultima, nel senso stretto citato sopra, corrispond e a un'esclusione fuori dal campo della coscienza presente e non al passaggio da un sistema (preconscio-conscio) a un altro (inconscio). Laplanche e Pontalis os servano a questo proposito che, dal punto di vista dinamico, «[...] le motivazioni morali svolgono nella repressione un ruolo predominante» (3). Le motivazioni mora li rimandano con ogni evidenza a un dato sociale. Fra la repressione in senso an alitico, l'autorepressione e la repressione nel senso comune non c'è dunque soluzi one di continuità: la repressione nel senso co

mune va oltre il suo oggetto occasio nale, l'individuo, poiché si esercita in nome di un sistema contro delle deviazion i; l'autorepressione si esercita in nome di un sistema che deborda e ispira lo p sichismo individuale; poiché essa prende di mira delle deviazioni in rapporto alle norme di un sistema interiorizzato, prende di mira virtualmente tutti i deviant i. E' il medesimo totalitarismo a ispirare la legge dei vincitori quando si applica ai vinti, la legge dei dominanti quando si applica ai dominati. La situazione d i dominazione è stabile solo nel momento in cui l'ideologia dei vincitori viene ac cettata dai vinti; il ricorso allaforza rimane, dal punto di vista dei vincitor i, sempre possibile e a volte necessario; ma esso è implicitamente presente nella stessa legge del vincitore, costitutivo, in qualche modo, della sua efficacia e del discorso sempre trattenuto, contenuto ma riconosciuto, che la garantisce. Il fatto è che la situazione di dominazione è nata tanto dall'aggressione quanto dalla repressione nel senso comune; le

forze di aggressione si trasformano rapidament e in forze dell'ordine; ma primadi tutto esse sono forze la cui evidenza e mate rialità non possono essere messe in dubbio. I militari usano belle parole per qual ificare le «azioni» «improvvise», «risolute», «brutali», «d'urto» che devono suscitare «sorpr entire lo «sfruttamento»; parole di semp almeno di più d'un secolo, nella nostra tr adizione guerresca; abbastanza vecchio da aver udito i professionisti dell'ultim a guerra coloniale, l'odierno lettore degli archivi coloniali, dei rapporti degl i amministratori e degli ufficiali può stupirsi nello scoprirvi, paradossalmente, come l'eco di discorsi più recenti. Una volta creato l'urto, una volta che il rapp

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orto delle forze viene incontestabilmente stabilito, il nuovo ordine vuole esist ere con tutta la forza dell'evidenza; più ancora dell'abitudine, di cui partecipa e con cui vorrebbe confondersi, esso tende a diventare una seconda natura, inevi tabile, necessaria e senza passato. Il nuovo ordine, con la sua sola esistenza, pone anche un problema intellettuale a coloro ai quali è imposto e vuole imporsi; pone un problema che implica l'ordin e antico, per il fatto stesso dell'efficacia della violenza da cui deriva; tende a fondare la realtà della sua vittoria come verità naturale. La cannoniera testimon ia una realtà di cui il missionario spiega la verità; per il colonizzatore (sempre p ronto a parlare della sua missione civilizzatrice), l'efficacia non sostituisce la legittimità, vi si identifica; e ognisforzo di «civilizzazione», sforzo tutto somm ato impari, tende a far accettare questa identità ai «non-civilizzati». Ma la prova di forza e la sua conclusione tendono da sole a imporre questa identità; poiché il con tatto culturale, per tornare al pudico linguaggio dell'antropologia, è un contatto impari e una violenza, il nuovo ordine s'impone come ordine morale e come ordin e intellettuale; l'etnocidio è sicuramente una delle figure repressive della domin azione; probabilmente, gli individui e le collettività dominate non potranno più sba razzarsi dell'ideologia dei dominanti; la risposta alle provocazioni della viole nza e dell'ideologia sarà con ogniprobabilità segnata essa stessa dal marchio della repressione: è una risposta dei vinti ed è la disfatta ciò che essa deve innanzitutto spiegare. Tutti i sincretismi sono illusioni: reinseriscono i problemi individu ali, moltiplicati e complicati dall'evidenza di nuove sventure, in una problemat ica sociale che attribuisce ainuovi arrivati e alla loro forza, anche per oppor visi, più di quanto spetti loroeffettivamente. Il missionario parla al tempo stes so dell'uomo e della società, c

ollegando la felicità del primo ai cambiamenti della seconda: combattendo le credenze nella stregoneria (e, per far prima, per essere meglio ascoltato, anche pertradizione professionale, combattendo gli stregoni stessi, come se questi esistessero ma avessero trovato il loro signore), egli ch iama in causa, insieme all'ordine sociale e alla ragione individuale che a esso si appoggia, la ragion d'essere dell'individuo e della società; il cristianesimo s i presenta come l'insieme delle istruzioni d'uso delle forze della dominazione, la Bibbia come il segreto del potere bianco. Molti di coloro che, all'invito dei nuovi signori, hanno volto lo sguardo alla fonte luminosa del nuovo potere, si sono rovinati la vista senza perdere la speranza e continuano a cercarsi altri s oli e nuovi dei. NATURA, CULTURA. Che si applichi allo psichismo individuale, a gruppi o a popoli, la repressione rinvia alle lotte degli uomini fra loro, alle ideologie che producono eche subi scono, a una storia che non è la storia naturale della specie. La storia

naturale conosce solamente lunghi periodi che scandiscono l'evoluzione delle specie o gli sconvolgimenti dell'universo terrestre. Con una sorta d'inversione paradossale, le imprese materialistiche che cercano di fare della storia umana un epifenomen o della storia naturale costringono se stesse a ridurre la prima a uno scontro d i entità, a un combattimento più o meno manicheo fra principi contraddittori e compl ementari; tutto accade come se la riduzione della cultura alla natura lasciasse libero il campo a uno spiritualismo mascherato ma forsennato che sostituisce ai misteri divini quelli della genetica, cercando alle frontiere dell'inesplicato i principi di spiegazione del sociale e del politico. Un'intera corrente dell'odi erna letteratura in scienze sociali sembra obbedire, a diverso titolo, a un dopp io orientamento: quello del neoevoluzionismo e quello del rifiutodella dicotomi a natura/cultura - doppio orientamento che corrisponde d'altronde al rigetto glo bale dello strutturalismo e del marxismo come principi di spiega

zione delle soci età. Seguiamo, nel suo discorso utilmente divulgatore, il cantore eloquente e sinteti co della moda antropologica, Edgar Morin (4). Il paradigmaperduto è quello che de clinava insieme natura e cultura, individuo e società. L'esempio delle società anima li, ci ricorda Morin, mostra abbastanza chiaramente comeil sociale non sia iden tificabile con l'umanità. Mentre le formiche, le api, le termiti sono a lungo appa

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rse, da una parte, come eccezioni e, dall'altra, come esempi di antisocietà, in qu anto mosse dalla forza del cieco istinto, sembra oggi, in particolare grazie al contributo dell'etologia, che esistano vere e proprie società animali dove si ritr overebbero le caratteristiche che venivano usate per definire le altre società uma ne: base territoriale, gerarchia (con i conflitti e i rapporti interindividuali di sottomissione/dominio che le corrispondono), solidarietà, cooperazione, ricchez za di comunicazioni (segni, simboli, riti). La società appare dunque come unadell e forme dell'«autoorganizzazione» dei sistemi viventi, autoorganizzazione il cui pri ncipio di funzionamento è legato alla coppia competizione/solidarietà. La sociologia appare al tempo stesso come una «scienza naturale». Morin reintroduce la coppia complementarità/antagonismo per qualificare il rapport o società/individuo nellasocietà degli antropoidi avanzati: da una parte è la diversi tà degli individui a nutrire la diversità dei ruoli e degli status ("caid" (5), serv itori, devianti, marginali); dall'altra, la società dispone di «modelli ["patterns"]» superindividuali (classe, ruolo) che permangono stabili nel tempo mentre gli ind ividui, con l'invecchiare, cambiano di ruolo. C'è dunque oscillazione fra sistemi a gerarchia morbida (che permettono un grande sviluppo dell'individualità) e siste mi a gerarchia forte (dove il pieno sviluppo individuale è più raro e più marcato - co me nel caso del "caid"). Così il rapporto individuo/società è colto come un «rapporto co mplesso di determinazione reciproca»: «[...] individuo e società diventano parte integ rante l'uno dell'altra in un rapporto di simbiosi» (6). Tutto ciò non accade senza i nsuccessi e senza perdite, senza «rumore», per riprendere un'espressione felice di M orin; ma, nell'insieme, tutta la storia dell'umanità o tutta l'evoluzione verso l' umanità può essere analizzata e descritta in termini di equilibri compromessi e ritr ovati. Morin

cita Hegel che si stupiva che un'astuzia della Ragione inducesse l' individuo acredere di operare per i suoi fini personali mentre obiettivamente l avorava per l'interesse collettivo; egli si accontenta di attribuire a questa as tuzia della Ragione un «indice di complessità» che non contraddice, in ultima analisi, il finalismo complessivo della procedura. A quest'altissimo livello di analisi, l'individuo e la società sono intesi, a disp etto delle loro reciproche determinazioni, come entità separate: l'individuo affro nta, all'occasione, altri individui; la gerarchia dei ruoli consente la competiz ione fra individui; la società nasce e si rafforza da questi scontri. Quest'analis i, in termini di equilibri instabili e di crescente complessità, si applica altret tanto bene alle società umane storiche (la citazione di Hegel ne è il segno); che ri entri nel campo dell'idealismo finalistao in quello della «socio-biogenesi» materia lista, essa fonda la definizione dell'individuo su quella della società, poiché l'in dividuo, forte o alienato che sia, è lo s

trumento di una storia che lo supera; l'i ndividuo forte (la forza è la forma cruda e il nome materialistico dell'integrazio ne) è libero di affermarsi in un ruoloche gli preesisteva; ma forte o debole che sia, comunque alienato (l'alienazione è la forma raffinata e il nome idealista del l'integrazione), gioca secondo le regole di una sceneggiatura a lunga scadenza. Alla filosofia spetterà dire se questa sceneggiatura è stata già scritta, se è il prodot to del caso (la sua continuità per noi dipenderebbe da un'illusione retrospettiva) o se è inscritta nelle necessità della materia o della vita. Uscito dall'ambito dei primati, Morin ci inizia in seguito ai meccanismi più sotti li della «protosocietà». A questo punto, ci fornisce gli elementi di un'analisi della repressione; tuttavia, in ragione della prospettiva esclusivamente evoluzionisti ca e della problematica posta in termini di entità antitetiche, egli si interessa agli aspetti repressivi solo in quanto gli mostrano ilmutuo complicarsi dell'ap parato sociale e dell'organizzazione individuale, in u

na prospettiva al tempo st esso finalistica e meccanicistica. Cosa sono infattiquesti aspetti? Il cambiame nto «bio-antropo-sociale» (la società interviene sempre di più nel processo della riprod uzione biologica); il mito biofamiliare (la «Sacra Famiglia» diventa il cemento comu nitario mitico della società reale); l'integrazionesocioculturale (la mitologia i ntegra «dal punto di vista noologico» la società e l'uomo nel mondo); il dominio della classe maschile per mezzo della religione (la classe maschile occupa «le posizion i chiave magico-religiose, monopolizzando il commercio con gli spiriti che terro rizzano le donne e i bambini») (7). Tutto sommato, e per ciascuno di questi aspett i, Morin s'interessa solamente dei rapporti fra "l"'individuo (8) e "la" società,

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del rapporto fra codice culturale e codice genetico: ogni ontogenesi individuale riceve stimoli e inibizioni da parte dell'eredità culturale, ogni cultura intervi ene per «coorganizzare» e per «controllare» l'insieme della personalità. Questa ossessione del complementarismo finalista spiega forse come l'analisi sci voli o svanisca al sopraggiungere dei tempi forti del ragionamento. Morin evoca la nascita delmito biofamiliare, ma non ci dice nulla della sua struttura né dell e sue condizioni di efficacia; Deleuze e Guattari si preoccuperanno precisamente della validitàgenerale del «papà-mamma» e della sua relazione con le forme sociali di repressione -relazione che Morin presenta molto velocemente come di riflesso, d i rimando; allo stesso modo si riferisce alla credibilità e alla forza di persuasi one del settore magico-religioso come alla virtù soporifera dell'oppio: «Qui come al trove, magia, mito e rito sono dotati di una tale credibilità, di una tale forza d i convinzione nei loro ordini o nei loro divieti, questi sono così profondamente i ntroiettati da rendere accessorie e talvolta anche inutili la repressione o la p unizione, e il sistema non adopera alcuna coercizione fisica, nessun imprigionam ento» (9). Complessivamente, il dominio degli adulti maschi sulle donne e sui bamb ini riposerebbe sulla forza fisica e su una manipolazione molto machiavellica de ll'«oppio religioso». Senza insistere sulla rapidità del ragionamento che sacralizza un «sociopolitico» di c ui ci piacerebbe sapere che cosa sia prima di essere sacro e che fa della credib ilità la spiegazione della credenza, noteremo che la descrizione dell'umanità come o scillante fra l'entità individuale e l'entità sociale ha per interesse e per scopo q uello di definire la «protosocietà» come quella formazione sociale dove la repressione sociale era al minimo: certo, essa era dominata gerarchicamente da una «classe ma schile», ma non subiva né «lo sfruttamento di una classe straniera» né «l

schiavitù parassit ria di un potere statuale poliziesco o burocratico» (10). L'armonia relativa, inso mma, in questa mira tautologica, è l'assenza della costrizione: una società è caratter izzata dalle sue mancanze; i cacciatori-raccoglitori non avevano lo Stato; le so cietà statali hanno perso il paradigma iniziale; felice assenza in un caso, irrime diabile perdita nell'altro, e dall'uno all'altro caso svolgimento della storia u niversale, poiché Morin passa direttamene dall'evocazione dei cacciatori-raccoglit ori a quella della città-Stato dove appaiono contemporaneamente (e, beninteso, all a fin fine complementarmente) la repressione, la storia e la coscienza individua le. Non si sa più, a questo punto, se invidiare o compiangere i gruppi etnici isol ati di cacciatori-raccoglitori ancora presenti su questa terra; soprattutto non si sa dove situare le società senza città e senza Stato che non si dedicano alla rac colta; non si sa che cosa rappresentino, nella terminologia dell'autore, né la «domi nazione» né la «classe» né la «protosocietà». A dir poco, l'

logia di Edgar Morin non è sociologia. Pascal laico, Morin conduce la sua riflessione di buon passo e non senza eloquen za verso l'evocazione ultima del mistero originario. («L'apertura, abisso sull'ins ondabile e il nulla, ferita originaria del nostro spirito e della nostra vita, è a nche la bocca assetata e affamata attraverso la quale il nostro spirito e la nos tra vita esprimono i desideri, respirano, si abbeverano, mangiano, baciano») (11). Ma per chi non intende cominciare dall'analisi dell'insondabile, questa rifless ione inconfutabile ha il merito essenziale di lasciar apparire sulla sua scia, i ncessantemente allargata, gli scogliche essa ha superbamente ignorato: il rappo rto individuo/società, che ci piacerebbe comprendere nella sua forma plurale e con creta di rapporto di gruppo e di classe; il rapporto dell'individuo e della soci età con l'ideologia che ordina il loro rapporto; il rapporto fra dominanti e domin ati così come si esprime e si svolge in particolare nell'ideologia che essi condiv idono. Il nostro problema, infat

ti, non è quello di situare in una luce metafisica il rapporto fra l'entità individuale e l'entità sociale, un rapporto di equilibrio antagonistico nella scala scelta da Morin, ma quello di discernere nel codice cu lturale delle società date tuttociò che determina anticipatamente l'individuo a non poter pensare la propria persona, comprendere la propria vita e governare il pr oprio destino se non ricorrendo alle categorie dell'ordine stabilito, che è sempre gerarchico. E' il già dato, ilgià presente, l'ideologico (che comprende anche il s ociopolitico) a costituire einformare l'adesione prima, quella che non viene ma i rimessa in causa. L'«astuzia della ragione» di cui bisogna rendere conto (e che è an

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che un'astuzia della ragione «primitiva») è quella che costringe l'individuo a non per cepirsi, a non comprendere le alee della sua vita e a non definire i suoi intere ssi se non nelle categorie che fondano e anche interpretano la realtà dell'ordine sociale in cui si inserisce. Il suo destino individuale non può esser compreso se non nei termini del suo destino sociale - della sua «ragione sociale». Si tratta di dire il luogo strategico che costituisce il corpo ideologico di una data società; l'«astuzia della ragione» non è che una metafora e la ragione sociale non è caduta dal cielo; corpo di rappresentazioni dove si coniugano tanto l'ordine po litico edeconomico quanto l'ordine individuale, l'ideologia è ideologica proprio in quantoformula in un medesimo discorso le leggi della riproduzione sociale e quelle del perpetuarsi degli individui; al tempo stesso verità di una gerarchia e verità per tutti, presentata come verità di tutti, l'ideologia è sempre l'ideologia de i dominanti, ma è anche il discorso, la pratica, il riferimento e la risorsa o il riflessodei dominati. Del tutto giustamente, Roland Barthes sottolinea nel "Pia cere del testo" il carattere contraddittorio dell'espressione «ideologia dominante»; non esiste, infatti, alcuna ideologia dominata: «Dalla parte dei 'dominati' non c 'è niente, nessuna ideologia, se non appunto - ed è l'ultimo grado dell'alienazione - l'ideologia che sono costretti (per simbolizzare, dunque per vivere) a riprend ere dalla classe che li domina...» (12). I dominanti hanno sempre ragione - ragion e sociale e individuale. RAGIONE INDIVIDUALE, RAGIONE SOCIALE. Possono essere presi in considerazione tre livelli di analisi. La relazione fra ordine familiare e ordine sociale in generale, l'inscrizione sistematica della v ita individuale - dalle origini alla morte - in un codice dal significato e dall e implicazioni sociali, la disuguaglianza sociale all'interno delle società posson o essere studiate,

da una parte, nei loro rapporti reciproci, dall'altra nel lor o rapporto con lediverse forme politiche. Sul primo punto, la letteratura consa crata alle societànon industriali è rara. Partiremmo volentieri da un'osservazione e da un commentoche tuttavia pretendono di essere l'espressione di un imperativ o sovversivo attuale e interno alla civiltà occidentale. Guattari scrive in "Una t omba per Edipo": «Siamo tutti dei gruppuscoli» (13); e Deleuze, nell'introduzione, c ommenta: «L'io fa parte piuttosto di quelle cose che bisogna dissolvere, sotto l'a ssalto congiunto delle forze politiche e analitiche. La frase di Guattari 'siamo tutti dei gruppuscoli' segna bene la ricerca di una nuova soggettività, soggettiv ità di gruppo, che non si lascia rinchiudere in un tutto forzatamente pronto a ric ostituire un Io, o peggio ancora un Super-io, ma che si estende su più gruppi nell o stesso tempo, divisibili, moltiplicabili, comunicanti e sempre revocabili» (14). Per coloro che hanno un poco di familiarità con le rappresentazioni caratteristic he delle

società lignatiche, tale ideale di soggettività libera ricorda più o meno que ste ultime: legame con i gruppi, addizione di componenti, combinazioni instabili , identità «gruppuscolare» da una parte, ma anche costrizioni correlate a queste defin izioni di un'identità per mezzo dell'alterità. I confini dell'etnologia e dell'analisi costituiscono una sorta di Capo Horn epi stemologico e bisogna essere grati a Deleuze e Guattari per aver affrontato cora ggiosamente, da navigatori solitari, queste regioni perturbate. Noi ci accontent eremo qui di segnalarne qualche punto degno di nota. Marcuse, in "Eros e civiltà", collega la comparsa del senso di colpaa una forma specifica (propria delle soc ietà industriali) di repressione; nella nostra società oliata, dove l'interlocutore ufficiale è sempre affabile e privo di responsabilità, l'aggressività gira a vuoto e s i ritorce contro colui che la sente eche non può esprimerla: «Colpevole non è la repr essione ma l'individuo represso» (15).Rovesciamento notevole, in effetti: ricorda quello che Nietzsche attribuisce al

prete della "Genealogia della morale" (16) dove quest'ultimo rinvia a se stessol'uomo del risentimento che cerca altrove p iuttosto che in sé la causa del male di cui soffre; si vedrà più avanti come questo ca povolgimento dello schema persecutorio possa anche caratterizzare il messaggio c ristiano nei confronti della logica dei sistemi di lignaggio africani; i giochi e le poste in gioco ideologici siritrovano forse, almeno nelle forme, in contes ti sociali e storici diversi.

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Marcuse sostiene, come del resto Freud, la tesi dell'esistenza di un Edipo repre ssivo per definizione in ogni formazione sociale; se si interessa all'origine de lla civiltà repressiva, egli si interessa anche all'origine della repressione pres so l'individuo (ontogenesi), e distingue la «repressione addizionale» («le restrizioni rese necessarie dal dominio sociale») (17) dalla repressione fondamentale, «cioè dall e 'modificazioni' degli istinti strettamente necessarie per il perpetuarsi della razza umana nella civiltà» (18); quale che sia la formazione sociale, c'è nell'indivi duo la presenza di un Super-io che lo obbliga a obbedire ai dettami della realtà; il pensiero di questa realtà ne è anche, notiamolo, in qualche misura il passato, po iché la «coscienza» nasce da una lunga dipendenza nei confronti delle influenzesocial i e culturali interiorizzate e integrate dal Super-io, mentre il senso di colpa nasce dalla trasgressione o dal desiderio di trasgredire, in particolarenella s ituazione edipica. Quest'analisi della repressione consiste essenzialmente in du e commenti che fa il suo autore: da una parte c'è un legame essenziale fra repress ione individuale e repressione sociale, entrambe dipendenti da uno stesso princi pio di realtà («[...] nel nostro tentativo di mettere in luce la portatae i limiti della repressività che domina nella civiltà contemporanea, dobbiamo descriverla nei termini dello specifico principio di realtà che ha retto le origini e lo sviluppo di questa civiltà. Gli abbiamo dato il nome di principio di prestazione per dare r ilievo al fatto che, sotto il suo dominio, la società si stratifica secondo le pre stazioni economiche competitive dei suoi membri...») (19); dall'altra parte, forme di organizzazione sociale diverse da quelle della nostra società e altri principi di realtà hanno potuto e possono permettere un migliore sviluppo degli individui, una repressione minore. («[...] per un lungo tratto, gli interessi d

el dominio e gli interessi dell'insieme coincidono; l'utilizzazione vantaggiosadell'apparato produttivo soddisfa pienamente i bisogni e le facoltà degli individui») (20). In Deleuze e Guattari (21) si assiste a un tentativo di radicalizzazione di ques ta distinzione. Essi rifiutano di fare dell'Edipo la repressione fondamentale. A ffermano, come il Nietzsche della cattiva coscienza, che questa pianta non cresc e sul terreno selvaggio. Edipo non è installato nella «macchina territoriale selvagg ia». Non lo è per natura, sembrerebbe, poiché le condizioni sociali dellariproduzione non permettono la comparsa di un «complesso familiare» come microcosmoespressivo. Deleuze e Guattari non negano che esista una repressione fondamentale legata all a comparsa del "socius" ma si sforzano, come Marcuse, di specificarla. Edipo è sem pre presente e sempre assente, un'ombra assente i cui spostamentisegnano tuttav ia le grandi tappe dell'umanità fino al giorno in cui, al termine del suo cammino, essa si rivela finalmente per quello che è: il segno e lo strument

o della repress ione assoluta; Edipo diventa Edipo il giorno in cui lo Stato diventa capitalista . Qual è il principio di questi spostamenti dell'Edipo? Deleuze e Guattari provano a rispondere alla domanda già posta da Reich («Perché gli uomini combattono per la lo ro servitù come se si trattasse della loro salvezza?») (22) e fondano il loro proget to di creare una psichiatria risolutamente materialistica sulla categoria di «prod uzione desiderante». La produzione sociale è la stessa produzione desiderante nelle condizioni determinate dal campo sociale che essa attraversa. Le «macchine sociali» costituiscono una metamorfosi della produzione desiderante,delle «macchine deside ranti» primordiali; la rappresentazione è sempre una rappresentazione-rimozione dell a produzione desiderante ma in modi diversi secondo i grandi tipi di formazione sociale considerati. E' a questo punto, d'altronde, che si manifesta l'evoluzion ismo degli autori e la stretta relazione che essi stabiliscono fra l'istituzione dell'Edipo e la forma sociale, fra il rapporto con il de

siderio e il rapporto c on il potere; secondo loro, esiste infatti un «coefficiente di affinità» più o meno gran de fra le macchine sociali e le macchine desideranti, a seconda che siano più o me no vicine le une alle altre e, se esistono veramente repressione e rimozione nel le società primitive, i loro «codici» canalizzano e controllano i flussi del desiderio attraverso un «sistema della crudeltà» che è più vicino alle macchine desideranti di quan to lo sia il capitalismo. Edipo è sempre innanzituttoil «rappresentato spostato» del desiderio. Ciò che deve esse re rimosso nel caso delle società «primitive» è «il complesso germinale», «la filiazione inte siva». Griaule dà a Niet l'impulso iniziale che permette alla macchina di Deleu ze di funzionare. Griaule o piuttosto il mito dogon. Poiché se "L'Anti-Edipo" ci r

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icorda con un'insistenza forse inutile che alleanza e discendenza devono esserecomprese insieme (dal momento che solo la prima permette alla seconda di estende rsi e di iscriversi sul «corpo pieno» della terra), esso trova nel mito l'evocazione di uno stato anteriore alla comparsa del "socius" e dell'alleanza. In principio , ci insegnano i Dogon tradotti da Griaule, tradotto a sua volta da due etnologi contemporanei (23), era la filiazione intensiva (e la produzione desiderante, a ggiungono Deleuze e Guattari). In principio era l'indifferenza, lo stato primord iale dove non potevano distinguersi né i sessi né le generazioni; era l'Uno, o piutt osto l'Uno-Due originario, "il" o "i" gemelli. Ogo, al termine della sua rivolta , parte con un pezzo di placenta nel quale cerca di trovare la sorella gemella i n formazione. Ma Amma trasforma in terra umida e sanguinante questa placenta che è essa stessa una metamorfosi della madre di Ogo. Il mito autorizza la distinzion e fra stirpe germinale, continua e intensiva, e stirpe somatica, discontinua ed estensiva. Il figlio è il fratello genetico o germinale della madre. Somaticamente , il figlio non è il fratello della madre; non può dunque sposarla; ciò che rimprovera allo zio materno è di non averla lui stesso sposata; non perché l'incestocon la so rella sia un sostituto dell'incesto con la madre, ma perché esso è «il modello intensi vo dell'incesto» (24). Lo zio non può sposare la sorella, non più di quanto il nipote possa sposare la madre: in ogni caso, è la filiazione germinale intensiva che deve essere rimossa. La proibizione dell'incesto non implica dunque alcuna «reiezione del nome del padr e»; Edipo è solo l'immagine trasfigurata e spostata diquanto è realmente proibito; la rimozione prolunga la repressione e le consente di «far presa sul desiderio». La fi gura edipica diventa il «rappresentato spostato» del flusso germinale che è il «rapprese ntante del desiderio». In effetti Edipo, ci dicono

gli autori dell'"Anti-Edipo", n on è ancora questo rappresentato spostato (e non lo sarà mai più, dal momento che, nel le due tappe successive, occuperà posizioni diverse). Quanto alla ragione della ri mozione della filiazione intensiva, deve essere trovata nel «terrore» che il «socius p rimitivo» prova nei confronti dei flussi non «codificabili». Il "socius" inizia con la differenza, la differenza nominata e i ruoli attribuiti, con la necessità dell'al leanza; il verbo (la memoria della parola che costituisce l'alleanza) non è al pri ncipio del mondo, ma al principio della società. Deleuze e Guattari possono pertanto ricostituire gli spostamenti dell'Edipoche corrispondono ad altrettanti cambiamenti nell'evoluzione politica dell'umanità, ma che hanno tutti in comune il fatto di essere segnati (sotto l'effetto di non si sa quale coscienza) dall'ossessione delle origini, la filiazione intensiva, e d al presentimento della fine, la decodificazione generalizzata, la schizofrenia l imite del capitalismo. Nella formazione imperiale l'incesto ha cessato di

essere il rappresentato spostato del desiderio per diventare la «rappresentazionerimuov ente» stessa (ruolo che svolgeva l'alleanza nella formazione primitiva). E' in rea ltà Luc de Heusch, con le sue analisi dell'incesto reale nei reami interlacustri d ell'Africa orientale, a fornire qui l'argomento: l'incesto, nelle sue forme conc rete (matrimonio con la sorella agnatizia) o simboliche (unione con donne del cl an della madre considerate come «piccole madri»), è il privilegio del re -interdetto agli altri, a tutti gli altri, è in qualche modo proposto loro come ilmodello del l'impensabile, l'assoluto della proibizione e dell'inversione (per quanto il re sia, per definizione, un modello di potenza sessuale e di fecondità, néle sorellast re né la madre devono mettere al mondo figli dopo la sua salita al potere). Con il capitalismo, la cellula edipica arriva al termine della sua migrazione e divent a il «rappresentante del desiderio» stesso. E' perché la famiglia vieneestromessa dal campo del sociale (poiché essa non ha più, come nella società primitiva

, la stessa es tensione di un campo politico ed economico di cui assicura direttamente la ripro duzione) che l'intero campo del sociale può esercitarsi, «ribaltarsi»su di essa e far ne un microcosmo espressivo; le persone private diventano le immagini delle pers one sociali, costituendo la famiglia un «sottoinsieme» su cui si esercita l'insieme del campo sociale: Edipo è «la nostra formazione coloniale intimache corrisponde al la forma della sovranità sociale» (25). L'insieme del percorso strabiliante compiuto dall'Edipo e da Deleuze è caratterizz ato da due elementi essenziali: il principio assoluto, l'inizio, quello dove tut to è flusso e materia, «desiderio» dice Deleuze, ma indubbiamente un desiderio più vicin

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o all'energia che alla vita, allo slancio che alla coscienza; il principio socia le, successivo, il quale implica il controllo del flusso, un minimo repressivod estinato a complicarsi e a ingrandirsi attraverso l'azione di una rimozione piùpr ofonda e di una repressione più arbitraria (lo Stato sostituirebbe la sua «assiomati ca» ai «codici» primitivi ). In un certo senso l'umanità va dal concreto (la codificazio ne dei flussi sul corpo pieno della terra è ancora una reale prossimità allo stato p rimordiale, il minimo repressivo necessario all'estensione della discendenza e a lla designazione dei ruoli, la lava canalizzata ma ancora ardente, l'unoancora attaccato all'altro e da esso definito) all'astratto (la macchina moderna decodi fica i flussi «sul corpo pieno del capitale denaro» (26); la proprietà privata, la ric chezza, la merce, le classi: tutte realtà astratte che consacrano il fallimento de i codici; alla confluenza dei due flussi - di produttori e di denaro - il capita lismo astratto manipola e riterritorializza a pieno ritmo, macchina impazzita ch e ritrova al termine del suo percorso l'ossessione delle origini - quella dell'a ssenza dei codici, dei tagli in tutti i sensi, dell'indifferenziazione - e che p roduce in serie, con una sorta di vertiginosa fuga in avanti, assiomi arbitrari che l'aiutano a differire il suo limite assoluto: quello della schizofrenia). Tr a questi due stadi, la macchina imperiale, che rimane il modelloe l'ideale di o gni forma statale, conserva le comunità territoriali ma le assembra, le surcodific a e si appropria del surplus di lavoro. Ciò che ci interessa in questa sede, indipendentemente dalle riletture intelligent i, dalle intuizioni spesso inquietanti e dall'estrema abilità di Deleuze e di Guat tari, sono i pochi frammenti etnologici che le sorreggono e l'ambigua antropolog ia che esse autorizzano. Poiché le società «primitive» (intendiamoci: quelle che gli etn ologi studiano anco

ra oggi, anche solo per impietosirsi a causa della loro pross ima scomparsa) esistono per farci toccare con mano i residui o le vestigia della macchina per codificare i flussi, della macchina ossessionata e segnata (come t estimoniano i miti che ne costituiscono la memoria) dalla filiazione intensiva. Ecco dunque l'etnologia (se non gli etnologi) investita di un compito sorprenden te: testimoniare per tutta l'evoluzione di tutta l'umanità; le origini erano ieri e ieri è ancora oggi, ma «accanto». Ancora così vicini (a qualche migliaio di chilometri ) alle nostre origini, siamo dunque (con lo Stato capitalistico che ci viene pre sentato come la fine dell'umanità e il senso ultimo e retrospettivo della storia) così vicini anche alla fine di tutto? L'etnologia esiste solo per testimoniare di una "chance" irrimediabilmente perduta, a portata di mano eppure intoccabile e i nvisibile? L'etnologo, novello Orfeo, non può volgersi verso ciò che ama se non a pr ezzo di farlo morire una seconda volta? Orfeo troppo preoccupato del suo desider io... L'etn

ologia di Deleuze e Guattari ci propone, con il suo eclettismo sottil e, una visione dell'altro che ci parla soprattutto di noi. Essi hanno indubbiame nte premura di seppellire l'altro, ma solo perché s'interessano soprattutto alla n ostra stessa fine; sono poco preoccupati di distinguere fra i diversi altri, ma perché civedono ugualmente asserviti all'arbitrio dello stesso Stato; hanno premu ra di farla finita con l'altro, insomma, dal momento che si tratta di celebrare la nostra propria fine... Deleuze e Guattari: la strana alleanza, nel capitolo «Se lvaggi, barbari, civilizzati», del pessimismo e della militanza. Con qualche infedeltà, essi ricavano nell'"Homme" e in poche altre opere, che hann o tutte in comune di non essere mai inintelligenti, la sagoma inquietante e vaga di un'antropologia che essi hanno suscitato da una parte, e sollecitato dall'al tra. Antropologia diuna società primitiva indifferenziata (anche se, per un istan te, una sorte particolare viene assegnata al cacciatore amazzonico, al «paranoico» d ella boscaglia) che

è definita dalla sua globalità, dalla sua omogeneità e che è analizz ata a partire dalle sue rappresentazioni: società soggetta a un discorso che la es prime e la riflette mascherando al tempo stesso la specificità delle sue forme rep ressive. Durante il viaggio che li conduce dai selvaggi ai civilizzati, Deleuze e Guattar i fissano qualche immagine apparentemente istantanea del paesaggio etnologico. C ome per qualsiasi appassionato di foto (e di viaggi), queste istantanee, moltepl icie diverse, acquisiranno senso e sapore solo a conclusione del viaggio; ma fo rse i loro autori ne erano consapevoli al momento stesso dello scatto e hanno as saporato in anticipo il futuro momento dello sguardo retrospettivo - ossessionat

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i essi stessi da questo futuro anteriore di cui fanno (o di cui si fa al loro se guito) l'ossessione e la delizia dei selvaggi. Sfogliamo l'album dell'"Anti-Edip o". L'ANTI-EDIPO. - Mitologie, maschere. La maschera è l'organo che non dipendedall'uno o dall'altro individuo, che non di pende da una persona individuale; è un organo istituito collettivamente. Le interd izioni, legate per esempio all'iniziazione (non vedere, non parlare), riguardano individui che, in una determinatacircostanza, non godono di un organo colletti vo. Così si contrappongono le società «primitive», più vicine alle macchine originarie, e per le quali «le unità non sono mai nelle persone», dove i fantasmi sono fantasmi «di gr uppo», e le nostre società «moderne», che consacrano la privatizzazione degli organi che corrisponde alla «decodificazionedei flussi» divenuti «astratti». La persona privata è u n centro individuale di organi:a ciascuno il proprio ano, tanto per cominciare (27). Questa analisi dev'esseremessa in rapporto con quella dell'autonomia apparente del «microcosmo espressivo», del «triangolo edipico» nelle nostre società. Sono la privati zzazione delle persone el'isolamento del triangolo che permetterebbero il ribal tarsi delle figure sociali sulla figura familiare e che farebbero delle persone private, alla fin fine,delle immagini delle persone sociali. Il riferimento a L each (28) non chiarisce granché la contrapposizione così stabilita fra due tipi di s ocietà. Se l'immagine di Papà, nel triangolo «moderno», è rivestita di immagini sociali, n on è affatto evidente che il ruolo sociale paterno non faciliti e non orienti tale investimento. L'immagine del padre nei "Thibault" (29) sarebbe stata impensabil e, letteralmente, aBoulogne-Billancourt (30) o in una fattoria bretone; l'inter ferenza fra ambiente familiare e ambiente sociale è molto ampia; l'ambiente famili are in senso lato, ancora estremamente presente e pregnante, almeno nelle società europee, contribui

sce ampiamente a questa interferenza; Ego sarà certamente meno t entato di scoprire un padre nel suo colonnello che di diventare ufficiale (o obi ettore di coscienza) perché suo padre era un militare - ribaltamento forse, ma nel l'altro senso,e parziale. Quanto a Leach, il quale sottolinea in effetti come l e persone nelle società non industriali siano a titoli diversi inscritte in gruppi , egli mettebene in evidenza la socializzazione "a priori" di ogni persona indi viduale: inuna società matrilineare, per esempio, mio padre è mio padre ma è anche il rappresentante di un lignaggio che è alleato al mio (quello di mia madre). In que sto caso la persona privata è a tal punto l'immagine di una persona sociale che il ruolo e la funzione del padre come «alleato» vengono ereditate nel suo lignaggio; d 'un colposolo il figlio eredita una sistemazione rispetto ai diversi gruppi soc iali di riferimento che deve e sempre dovrà meno all'età che alla posizione di parte nza, all'inscrizione, attraverso l'alleanza, nella gerarchia sociale. E' esattam ente pe

rché, come osservano Deleuze e Guattari, nella macchina territoriale «la ripr oduzione sociale o economica non è mai indipendente dalla riproduzione umana, dall a forma sociale di questa riproduzione»» (31) che l'assiomatica sociale si esercita con rigore sulle determinazioni familiari. Indubbiamente Deleuze e Guattari sono ansiosi di trovare innanzitutto «nella» società primitiva uno stato di società e di umanità dove la soggettività di gruppo possieda un a realtà, dove l'Io (e non solo il Super-io) non esista in quanto tale. Ma, indubb iamente, si può rimproverare loro di non trovare questa esplosione della soggettiv ità in società diverse dalla nostra se nona prezzo di un'interpretazione strettamen te esegetica delle loro rappresentazioni e dei loro simboli - un tipo di interpr etazione di cui essi, altrove, denunciano giustamente la ristrettezza. Non è infat ti sicuro che si possa dedurre dai tratti costitutivi della nozione di persona l a realtà vissuta dall'individuo, né dalle evocazioni del mito, sia pur "gurmancé", le realtà sociali o i fantasmi di gruppo

. Privilegiando tale metodo di analisi, ci si troverebbe fortemente a disagio adar valore a una favola di Esopo o alle evoca zioni nostalgiche dell'Aristofanedel "Banchetto".

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- La territorialità.

Questa nozione, precisano gli autori, non deve essere intesa come principio di r esidenza o di ripartizione geografica. Essi sanno, con Engels, che occorre la co mparsa dello Stato perché sia la terra, e non più il popolo, a essere suddiviso. La terra, nella macchina territoriale selvaggia, serve piuttosto come «superficie d'i scrizione»; essa stessa è «indivisibile» ma sopra di essa si iscrivono «le relazioni conne ttive, disgiuntive e congiuntive di ogni segmento con gli altri»; la macchinaterr itoriale «declina i lignaggi» sul «corpo pieno della terra» (32). Una tale descrizione, oltre a fare allusione a un tipo molto particolare di società (lignatico-segmentar ia), corrisponde solo molto relativamente alla verità dei fatti; in numerose socie tà segmentarie è difficile stabilire una corrispondenza regolare fra l'organizzazion e sociale, il ruolo dell'alleanza e della discendenza, e la loro iscrizione sull a terra. Ma la nozione di «territorialità» consente agli autori di introdurre un'anali si dei rapporti dell'alleanza e della discendenza che corrisponde al carattere l etteralmente meccanicistico del loro intento e al connesso evoluzionismo in tre tappe (alle tappe «Selvaggi», «Barbari», «Civilizzati» corrisponderanno in seguito tre «corpi pieni»: la terra, il despota, il capitale). - L'alleanza, la discendenza.

Anche in questo caso si fa riferimento a Leach. E' risaputo infatti che Leach ha criticato la nozione di discendenza o di filiazione complementare (33) proposta da Meyer Fortes (34). Ma Leach e gli autori dell'"Anti-Edipo" non parlano davve ro della stessa cosa. Leach, che si sforza di distinguere i tipi di relazione c

h e possono collegare un individuo rispettivamente al gruppo del padre e al gruppo della madre, fa proprio della trasmissione dei poteri «mistici» ("mystical") unaca ratteristica del legame di alleanza. Deleuze e Guattari, una volta riconosciuto il fatto evidente che la discendenza non può essere estesa se non attraverso l'all eanza (nel senso di alleanza matrimoniale tra gruppi), si sforzano soprattutto d i distinguere due tipi di capitale (capitale fisso dalla parte della discendenza , capitale circolante dalla parte dell'alleanza) e due memorie (memoria biofilia tiva da una parte, memoria di alleanza e di parola dall'altra). Ora, perLeach, ancora una volta, la relazione più «mistica» e allo stesso tempo più strutturale(involo ntaria e legata alla «natura delle cose») si trova dal lato dell'alleanza. Inoltre, l'incorporazione (dal lato della discendenza) è da lui presentata come possibilmen te «parziale»: il rapporto di discendenza e il rapporto di alleanza possono dunque i nvestire contemporaneamente una medesima relazione; il secondo non è mec

canicament e il mezzo di estensione del primo, ma è allo stesso titolo di questo un mezzo per comprendere e per qualificare la relazione. Le cose si complicano ulteriormente per il fatto che gli autori attingono a ling uaggi diversi e opposti. Vogliono infatti che le necessità dell'alleanza possano e ssere espresse in termini di debito e non di scambio, ma allo stesso tempo cerca no di comprendere i rapporti tra alleanza e discendenza in termini di determinaz ione e di dominio. Le evoluzioni della macchina nietzschiano-marxista così costitu ita ci vengono così descritte e tradotte: la produzione è «registrata nel reticolo del le disgiunzioni filiative sul "socius"» (35). Ma, affinché le «connessioni del lavoro» s iano registrate in questo reticolo, occorre un «legame di alleanza o un connubio d i persone compatibile con le disgiunzioni della filiazione» (36). Prima traduzione : la parentela è «dominante» ma «determinata a esserlo» da fattori «economici e politici» (37 ; quest'affermazione, indubbiamente attribuita un po' frettolosamente ai marxist i, i quali non

sanzionerebbero la determinazione per mezzo del politico, viene e splicitata in una nuova formula, che apparirà, mi pare, eretica o oscura al tempo stesso sia ai marxisti sia agli etnologi: la discendenza esprime ciò che è dominante , l'alleanza esprime ciò che è determinante o, meglio, «il ritorno del determinante ne l sistema determinato di dominanza» (38). In realtà, la sola determinazione per Deleuze e Guattari (e questa determinazione può render conto della diacronia, delle scivolate, dei riaggiustamenti, ma non del le transizioni né del cambiamento) è la macchina stessa o, meglio, i flussi del desi derio primordiale che i codici sociali, quali che siano, devono per obiettivo e

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per ragion d'essere canalizzare, governare, orientare. Qui si trova forse ancheil senso della critica che essi fanno dell'ideologia sc ambista di Lévi-Strauss, per lo meno quando parlano della circolazione delle donne come di un «sistema fisico», di un qualche cosa «che è dell'ordine di un flusso di ener gia» (39). Per il resto,e cercando delle argomentazioni in un'antropologia concet tualmente abbastanza povera a questo riguardo, essi affermano che un sistema di parentela non è una struttura ma una strategia (come se la seconda non avesse biso gno della prima) e tendono a identificare la chiusura dei sistemi complessi con la coscienza che di essa sviluppano o meno gli individui. Ciò non impedisce loro d i concludere che non vi sia ragione alcuna per pensare che lo scambio sia l'inco nscio del desiderio; nessuna ragione in effetti, ma non si vede con quale maggio r fondamento il debito sarebbe la coscienza di questo desiderio. Marcare il debi to, dare all'uomo una memoria, fosse pure con la violenza sadica della mano che marchia e dell'occhio che trae godimento, non è forse instaurare un sistema del pa ssaggio e dellatrasmissione la cui iscrizione non è formalmente diversa da quella dello scambio?Non è d'altronde quanto sembra indicare l'utilizzo dei segni (+) e (meno) di Lévi-Strauss, al quale Deleuze e Guattari rimproverano solo il caratter e «metaforico». Che non vi sia realmente alcuna «ideologia scambista» nei diversi tipi di società «primi tive» - nel senso che lo scambio sarebbe psicologicamente la verità e il fine delle pratiche matrimoniali -, che insomma lo scambio non abbia se non una verità statis tica e approssimativa, è più che probabile e tutte le strategie matrimoniali di accumulazione ne sono un segno abbastanza chiaro; le diverse forme del pegno nelle s ocietà africane mostrano abbastanza chiaramente come il debito sia molto consapevo lmente e molto esplicitamente la verità e il linguaggio della relazione fra grup

pi o fra individui. Ma né Deleuze e Guattari né gli etnologi che ne traggono ispirazio ne accetterebbero di considerare il debito come l'ideologia del cumulo e l'accum ulazione come la verità dei selvaggi. Per loro, il tema del debito è semplicemente p iù adatto di quello dello scambio a esprimere la concezione di una società in perpet uo slittamento, non controllando che per metà, e non correggendo che "in extremis" , il gioco impreciso dei suoi meccanismi approssimativamente complementari. Il d ebito serve curiosamente a meccanizzare e al tempo stesso a psicologizzare la ra ppresentazione del dinamismo sociale. - La storia.

Le società primitive hanno certo una loro storia, ma una storia molto meccanicisti ca, molto «meccanica». Per un'ironia che sembrerà amara agli antropologi «dinamisti», è a Lé -Strauss che Deleuze e Guattari attribuiscono il riconoscimento del fatto storic o nelle società primitive; questa storia non è del resto niente più che il «segno dell

'e vento», pura contingenza. La macchina deleuziana, che sotto questo aspetto nonpuò n on ricordare quella di Morin, con le sue complementarità antagonistiche e i suoi f allimenti, si adatta benissimo a questa storia che è, per così dire, una storia dell '"equilibrio malgrado tutto". Non stupisce allora che il modello segmentario la seduca. - La società segmentaria. Si fa riferimento, naturalmente, a Evans-Pritchard e ai Nuer. L'esistenza di un duplice apparato, tribale e di lignaggio (che oppone i segmenti in quanto «unità fil iative genealogiche» e i segmenti in quanto «unità territoriali tribali»), fornisce un e sempio ideale di macchina: il così e cosà è il motore della diacronia, giacché rende più c omplessi la circolazione e l'arresto dei flussi. L'essenziale è infatti il meccani smo di fusione/scissione; più esattamente, la descrizione di questo sistema meccan ico approssimativo mostra in questa approssimazione il segreto della sua perseve ranza, e l'analisi del suo doppio apparato (tribale e di lignaggio) consente di scoprirgli o di infondergli un'anima

; la fondamentale divisione del sistema è l'an ima della macchina materiale, che gli consente di funzionare "contro" l'oggetto delle sue ossessioni. Se il sistema segmentario viene presentato come rinascente dalle sue rovine, in effetti queste continue rinascite sono tanto sussulti cont

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ro una doppia minaccia quanto espressioni di una doppia ossessione. Prima ossess ione: quella del Barbaro Imperiale, o meglio, oppure ugualmente (poiché la minacci a è al tempo stesso interna ed esterna), quella del cambiamento di macchina (o di regime); gli organi dei capi sono mantenuti «in una relazione d'impotenza con il g ruppo», essendo tale mantenimento al tempo stesso l'espressione e lo strumentodel l'ossessione.» Deleuze e Guattari citano Jeanne Favret che scrive (in "L'Homme", a prile 1966) che il timore è il motore dell'insieme segmentario; ma è del timore dell a scissione che evidentemente parla Jeanne Favret! E' molto significativoche, s egnalando come «in questi sistemi» la funzione politica non si eserciti «se non denunc iando la propria impotenza» (41), gli autori facciano riferimento nella stessa not a a Favret e a un articolo di Clastres sulla "chefferie" indiana (42);sarebbe s tato necessario precisare che il riferimento alla prima valeva per lasegmentari età, mentre il riferimento al secondo valeva per il potere in una società che non ha nulla di segmentario. Resta che, indipendentemente dal fatto di sapere se press o i Nuer o presso gli Indiani dell'Amazzonia la funzione essenzialedello sdoppi amento del sistema in un caso, e della "chefferie" nell'altro, siaquella di den unciare l'impotenza del potere (cosa che io non credo), ci si può rammaricare che la macchina segmentaria venga presentata come il modello di ogni macchina selvag gia, e il modello nuer (con il suo sdoppiamento) come il modellodi ogni macchin a segmentaria. Seconda ossessione: quella dei flussi decodificati. Lo scambio, il commercio, l' industria non sono «ignorati» ma «scongiurati» affinché iflussi di scambio e di produzion e non vengano a spezzare i codici a vantaggio delle loro quantità «astratte o fittiz ie» (43). Ci sarebbe molto da dire su questa allusione fatta da Deleuze e Guattari al modo in cui la differenza è trattata da part

e delle società «primitive». Il mercante e il fabbro non si trovano sempre in una situazione «subordinata» e non sono i soli a essere trattati «diversamente». La macchina dilignaggio, per attingere un moment o a questo linguaggio, passa il suo tempo a marcare e a coniugare le differenze: tra sessi e tra generazioni, va da sé, ma anche tra stirpi e tra fratelli; essa p assa anche il suo tempo a trattare in modo sottile la differenza: integrando o f acendo schiavi, combinando tutte le forme di alleanza e tutte le forme di dipend enza concepibili, indebitando gli uni a vantaggio degli altri; la capacità delle s ocietà lignatiche di praticare il commercio senza rinunciare al loro sistema di co dificazione e, meglio, di servirsi del primo per rinforzare il secondo, è dimostra ta in modo quanto mai evidente dalle società africane, in particolare da quelle co stiere. Deleuze e Guattari, che dannoprova di una diabolica prontezza quando si tratta di anticipare le obiezioni e di trasformare le contraddizioni in parados si, evocano del resto tutto quanto ne

lle formazioni primitive «abbozza» già le formazi oni dispotiche. Si spingono fino adammettere che l'ossessione possa nascere da un ricordo: «Non è sempre facile saperese si tratta di una comunità primitiva che rep rime una tendenza endogena, o che si ritrova bene o male dopo una terribile avve ntura esogena» (44). Ci si vuole forse dire che alcune società sono meno «primitive» di altre, già in cammino verso (o di ritorno da) la «Barbarie»? E non avremmo forse vogli a di rispondere che vorremmo proprio sapere a che punto delle loro ossessioni so no precisamente tutte queste «società» e che vorremmo proprio sapere se Deleuze e Guat tari parlino metaforicamente omeno, e chi sono alla fine questi selvaggi i cui presentimenti assomigliano così tanto alle avversioni e alle disillusioni di chi l i descrive? L'ossessione dei flussi decodificati non è diversa dalla prima; si tratta di un'al tra figura del presentimento che sembra decisamente essere l'anima del materiali smo radicale. Non è certo il più piccolo paradosso dell'evoluzionismo di Deleuze e G uattari quello

di costruire una storia dell'ossessione su di una fisica del desi derio. Ora questo paradosso (che raddoppia l'esistenza della coppia antinomica o ssessione/contingenza) si regge su principi e comporta conseguenze che non sono privi di effetti sul modo di procedere antropologico: implica, da una parte, che le società non statali tendono all'uguaglianza, dall'altra che esse rifiutano la storia. Questa tendenza e questo rifiuto si esprimerebbero simultaneamente attra verso il rifiuto del potere. La nozione di «plusvalore di codice» (la «forma primitiva del plusvalore») che trae ispi razione da Mauss e dal suo «spirito della cosa donata» rafforza inoltre l'immagine d

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i una società primitiva dall'economia «fredda», «senza moneta e mercato, senza relazione mercantile scambista» (45); non che Deleuze e Guattari ignorino l'uso gerarchicoche si fa del plusvalore di codice, ma, attribuendone l'appannaggio alle società «pr imitive», essi situano queste ultime dalla parte «fredda» della disuguaglianza, comef anno per la storia e per l'economia. In effetti, tale freddezza caratterizza ugu almente queste società nei confronti della storia: o quest'ultima si apparentaall e disfunzioni interne che sono, alla fine, il segreto del funzionamento della ma cchina, oppure fa irruzione dall'esterno, ma sempre viene scongiurata e respinta (rifiuto del potere, del commercio e della tecnica). - Lo Stato. La minaccia endogena (quella che suscita l'ossessione) proviene in realtà dall'est erno (dalla conquista). L'ossessione e la contingenza, ovvero la coppia mostruos a dell'"Anti-Edipo": «[...] la morte del sistema primitivo viene sempre dal di fuo ri, la storia è storia di contingenze e di incontri. [...] Ma questa morte che vie ne dal di fuori, è quella stessa che saliva da dentro» (46). I biondi conquistatori di Nietzsche arrivano improvvisamente, eppure li si attendeva da sempre. Il prim itivo, come la Bella Addormentata nel Bosco nel suo castello, dorme con un occhi o solo. Con l'arrivo dei conquistatori è una cesura radicale che si instaura. Allo stesso modo, lo Stato moderno sarà radicalmente distinto dallo Stato barbarico. D eleuze e Guattari sfumano però queste contrapposizioni e ci spiegano al contempo i l carattere radicale delle cesure e la comparsa delle nuove ossessioni, le ossessioni-ricordo: la formazione selvaggia continua ad assillare la formazione barba rica e quest'ultima assilla a sua volta lo Stato moderno. Per evocare la primao ssessione-ricordo, si fa riferimento a Marx e al modo di produzione asiatico;lo Stato s'instaura sulla base delle comunità rurali primitive, ma si distingue da

q ueste per due punti essenziali: tutte le «filiazioni primitive» sono subordinateall a macchina dispotica, a causa della «residenza o territorialità dello Stato»; attraver so l'abolizione dei debiti, esso subordina a sé tutte le alleanze primitive;lo St ato è il creditore infinito che rende eterno il debito. Così i segni astrattisi sos tituiscono ai segni fisici primitivi: è la deterritorializzazione che, attraverso il gioco della «surcodificazione» (la discendenza del despota dal dio, l'alleanza de l popolo con il despota), crea la «pseudoterritorialità», poiché il corpo pienodel desp ota si sostituisce a quello della terra. Solo il capitalismo realizzerà la congiun zione del flusso dei produttori e del flusso di denaro, imponendo al tempo stess o «un'assiomatica dei flussi decodificati e una regolazione di questi flussi» (47) c he prendono il posto dei codici territoriali e della surcodificazione dispotica. La sostituzione dei codici da parte dell'assiomatica è la grande cesura storica; è anche il grande principio di analisi differenziale delle società, che

giustifica l 'esistenza dell'antropologia in quanto scienza specifica di società specifiche e r elativamente identiche a causa di questa specificità condivisa (l'utilizzo della c odificazione, l'ossessione dei flussi decodificati). Di fatto, non c'è mai stata c he questa cesura che già traduce nelle sue determinazioni trascendenti la formazio ne barbarica. Quest'ultima assilla a sua volta lo Stato moderno come il modello ineguagliabile: la formazione dispotica asiatica «[...] costituisce sul fondo il s olo taglio per tutta la Storia, poiché anche l'assiomatica sociale moderna non può f unzionare che resuscitandola come uno dei poli tra cui si esercita il suo propri o taglio» (48). Al termine della storia la medesima indifferenziazione di partenza ; non c'è che un solo Stato, come non c'era che una sola società primitiva; lo stato capitalista e lo stato socialista sono altrettanto «dilaniati fra il significante dispotico, che adorano, e la figura schizofrenica che li trascina», fra il «sovracc arico paranoico reazionario e la carica sotterranea, schiz

ofrenica e rivoluziona ria»: «Democrazia, fascismo o socialismo, quale di queste forme non è assillata dall'U rstaat come modello ineguagliabile? (49) Il terreno così circoscritto è al contempo un terreno che scotta e che inganna. Vi s i oppongono, in una maniera spesso implicita ma ogni giorno più manifesta, una vis ione manichea dell'evoluzione e un'interpretazione dialettica della storia. Si p ossono citare dei nomi, ovviamente, a proposito di ciascuna delle due tendenze, ma ciò non significa che ciascuna di esse sia veramente omogenea né che ogni individ

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uo si identifichi completamente con l'una o con l'altra. Il confronto è nondimenoreale e può essere individuato a partire da diverse linee di sfaldamento. Aggiungi amo che, in qualche modo (tanto storicamente quanto oggettivamente), il neoevolu zionismo dell'antropologia generale è responsabile del neoculturalismo in etnologi a, al prezzo di alcune contraddizioni intellettuali spesso presentate come parad ossi o come esempi della complessità del reale. ETNOLOGIA-PRETESTO E ANTROPOLOGIA STORICA. Deleuze e Guattari trovano nella riflessione antropologica un pretesto per sogna re la storia degli uomini, qualche rima e qualche ritmo per il loro grande poema della memoria e dell'ossessione. L'etnologia francese non ha sempre avuto il co raggio dei gemelli dogon e non si è mai completamente distaccata dalla discendenza griauliana intensiva; prendendo a prestito a loro volta il procedere tortuoso d ella spirale, Deleuze e Guattari si esponevano al rischio di fare del mito quell 'uso strettamente semiotico che condannano altrove; in questo modo, non parlano forse essi stessi il linguaggio dei miti? Cosa sono o chi sonoquesto desiderio e questo "socius", questo desiderio venuto da fuori e questo "socius" che non se mbra affiorare alla coscienza se non per reazione contro il desiderio che lo inv este, lo assilla e lo sovrasta? Il "De Rerum Natura" di Deleuze e Guattari è purtr oppo più vicino a Morin che a Lucrezio; non si accontenta della declinazione degli atomi e della casualità degli incontri: la visione macchinata del "socius" ci rip orta al funzionalismo slittante ma controllato delle complementarità antagoniste. Se nondimeno colpisce il contrasto fra il pessimismo soddisfatto di Deleuze - ch e in poche parole stabilisce la necessità di ciò che è - e l'ottimismo impaziente di M orin - che sarebbe stato d'accordo con Baudelaire per cercare del nuovo nel fond o dell'ignoto e che aderisce (avendola forse anticipata)

alla parola d'ordine d' inselvatichimento della vita proposta da Moscovici -, è indubbiamente perché Morin n on si rassegna così facilmente alla non esistenza dell'individualità; il rapporto in dividuo/società è al principio (e costituisce la fine) della sua riflessione. Nell'" Anti-Edipo" l'individuo scompare sin dal principio,come se venisse rifiutato da lla società «primitiva»; ma possono i suoi autori legittimamente dedurre dalla nozione di persona la realtà individuale e interindividuale, e dal mito la società? Il "soc ius", creatore dei miti che lo riflettono, cos'altro è, dunque, se non il soggetto di una storia che si riduce alle sue ossessioni e alla necessità della loro reali zzazione - a un gran spavento? L'etnologia-pretesto, a sua volta, si nutre del recupero di vitalità di Nietzsche; ciò che essa ha prestato (un racconto dogon, una zucca, qualche Indiano...) le vi ene reso cento volte. Essa può ripartire con il piede giusto; ha un antenato, una garanzia e un metodo: Nietzsche, Deleuze e la lettura retrospettiva. A questo pu nto non teme più i

grandi principi. Sostituisce alle contrapposizioni politiche (n el senso in cui si oppongono sistemi come il capitalismo e il socialismo) delle contrapposizioni tecniche (mondo industriale/mondo non industriale), le quali re lativizzano ocancellano le prime; e questa cancellazione è comoda: ben vista dall 'estrema sinistra, non rischia di essere riprovata dal tecnocraticismo ben pensa nte. Successivamente, essa reintroduce una contrapposizione di forma politica (S tato/assenza dello Stato) che elimina le opposizioni interne ai due tipi di soci età. Essa puòquindi abbandonarsi (più o meno, a seconda del temperamento degli autori ) alle delizie più sofisticate dello spiritualismo frivolo: l'evocazione dei parad isi perduti e l'esaltazione del presentimento. Naturalmente tutti sanno che la formazione selvaggia può essere crudele; ma questa stessa crudeltà, per l'etnologia-pretesto, è prossima all'indifferenziazione origin aria e serve a imporre l'uguaglianza. L'ombra dello Stato segue ovunque questa f ormazione selvaggia dal fascino incerto

e le serve da spalla. La formulazione es tetico-parigina contrapporrà così le società del marchio a quelle della scrittura. Il marchio, la tortura, le scarificazioni vogliono indicare a ognuno la sua uguagli anza rispetto agli altri: la formazione primitiva o la comunità delle uguaglianze imposte. Evidentemente si pone allora la questione di sapere se questo è veramente l'obiettivo del ricorso alla violenza e al marchio. Anche in Durkheim violenza e dolore segnano il passaggio dell'individuo alla dimensione sociale; più esattame

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nte, è l'accesso al sacro (attraverso l'educazione e il dolore) che impone la legg e sociale all'individuo e gliela fa accettare. Ma l'accesso al sacro non implica da solo alcuna uguaglianza: al contrario, impone e fa accettare la legge profan a, la quale non è affatto ugualitaria. Neppure la logica dell'inscrizione ha qualcosa di ugualitario, e questo è il motiv o per cui la conclusione dell'eccellente opera di Adler e Zempléni (50), "Le Bâton d e l'aveugle", non sembra procedere necessariamente dal complesso della loro anal isi. Per loro la «macchina divinatrice» è una «macchina per pensare»; la divinazione viene definita come un'«istituzione sociale destinata a orientare le scelte, tanto degl i individui quanto della collettività,un'istituzione per decretare ogni sorta di decisioni - in merito a un semplice viaggio oppure ai riti più solenni...». Le categ orie prese in considerazione per l'interrogazione si manifestano sul suolo sotto forma di tre o quattro archi di circonferenza progressivamente costituiti attra verso l'inscrizione di risposte parziali ottenute per sorteggio. Il divino munda ng fa dunque ricorso a un procedimento assolutamente statistico e aleatorio che gli impedisce di far intervenire nella sua diagnosi o nelle sue prescrizioni nul l'altro se non le sue personali intuizioni e la sua indiscutibile conoscenza deg li affari pubblici o privati. Ciòche conta è che la divinazione fa intervenire e in scrive sul suolo, in ogni occasione, per quanto limitata essa sia, un insieme di categorie perfettamente conosciute da tutti (le potenze legate alla terra, lo s pazio socioreligioso del villaggio, le componenti della persona, la rappresentaz ione del corpo, la stregoneria eccetera); così si manifestano, da una parte, la so lidarietà ontologica e storica dell'individuo e della società, dall'altra, il legame funzionale dell'insieme delle categorie la cui inscrizione è necessaria per produ rre un messaggio. Anche alt

re analisi delle società lignatiche manifestano questa solidarietà e questo legame.Turner, citato da Deleuze e Guattari, parla della divinazione come di u na forma di analisi sociale; si vedrà più avanti che l'esempio delle società lagunari proponea sua volta una logica delle rappresentazioni e una definizione sociale dell'individuo. Ma tale logica non implica alcuna uguaglianza di fatto o di diri tto, anzi. Per poter parlare di uguaglianza (almeno di uguaglianza potenziale) g li etnologi hanno bisogno del fantasma dello Stato e del mito del presentimento. Secondo Adler e Zempléni, la società mundang, tanto attraverso il ricorso al proced imento probabilistico quanto attraverso la selezione delle categorie (non tutte le categorie rituali rientrano nel codice divinatorio), avrebbe voluto limitare il campo d'esplorazione della divinazione e l'affinamento della tecnica divinato riaallo scopo di scongiurare la minaccia di un Sapere illimitato di cui una cla sse di sacerdoti e di sapienti avrebbe assunto il monopolio. Gli autori contrapp on

gono questa prudenza e questa ammirevole prescienza ai testi sacri della tradi zione giudaica, la quale, esprimendo il carattere assoluto della volontà divina, ha consentito lo sviluppo di un corpo di commentari rabbinici: essi, così, rivelano chiaramente la natura del sottile legame che unisce la filosofia materialistica del desiderio allo spiritualismo neoculturalista degli etnologi dell'etnocidio; formulano nei termini di Deleuze sia il tema della prescienza dei selvaggi, più v olte espresso da Clastres, sia il tema della tradizione giudaico-cristiana negat rice delle differenze, orchestrato da Jaulin. L'etnologia del presentimento deriva in effetti da una lettura retrospettiva del la storia: questa lettura è legittima se il capitalismo è al contempo la fine del mo ndo e della storia, il rovescio di tutte le forme sociali; ma nella misura in cu i questa definizione del capitalismo poggia sull'analisi delle società primitive, tale ragionamento nel suo complesso si avvicina molto alla tautologia. Di fatto, se i primitivi presentono è pe

rché l'etnologo sa; se vivono nel futuro anteriore è pe rché l'etnologo crede di conoscere il presente. Allo stesso modo la logica della m archiatura, la quale manifesterebbe sia l'ugualitarismo sia le ossessioni della società primitiva, pone forse molti problemi ai propri teorici: bisogna che la cod ificazione non sia esaustiva (prossima dunque all'assoluto statale); bisogna che non sia una scrittura (adatta a comporre delle leggi e un'assiomatica); bisogna che non sia discriminatoria (strumento, in questo caso, della disuguaglianza). Quanto all'antropologia economica influenzata dal marxismo, essa ha cercato le d ifferenze interne dal lato delle società un po' affrettatamente presentate come in

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differenziate; ma bisogna notare, da una parte, che l'attenzione da essa rivolta ai modi di produzione e alla loro articolazione (grossomodo, la sua problematic a althusseriana) l'ha indotta a trascurare il rapporto dell'individuo con la soc ietà e l'insieme della sfera delle rappresentazioni (trattate frettolosamente in u no stile molto funzionalista) e, dall'altra, che alcuni suoi riferimenti ai rapp orti di classe sono riutilizzabili nell'ottica apolitica modernista. Se non èstat o inutile porre il problema dei rapporti di classe nelle società lignatiche,ciò è dov uto al fatto che le differenziazioni interne in questo tipo di società non si ridu cono né all'opposizione anziani/giovani, in termini puramente cronologici,né all'op posizione uomini/donne. Il dibattito attualmente riprende, per quanto concerne s ia la struttura interna delle società lignatiche sia le rappresentazioni, l'ideolo gia e l'efficacia dei simboli; se rischia di superare il suo quadro iniziale (qu ello di queste società) e di assumere veramente valore antropologico, le domande p oste da Deleuze e da Guattari, bisogna riconoscerlo, saranno servite a qualche c osa. E tuttavia resta il fatto che, oggigiorno, si va delineando un'opposizione che r iproduce in qualche modo, pur cambiandone i termini, quella fra strutturalismo ( con i suoi rimandi alle relazioni interindividuali e allo spirito umano in gener ale) e funzionalismo d'ispirazione britannica (che rinviava alle relazioni di gr uppo, alla storia e alle conseguenze del contatto). La moda antropologica attual e ha ucciso il padre e rinnegato lo strutturalismo (è proprio per questo che gli r esta legata mediante una discendenza storica le cui tracce sono facilmente reper ibili). I suoi modelli sono tuttavia meno linguistici che biologici e psicoanali tici; essa parla in termini di specie, s'interessa airapporti individuo-società ( in quanto entità) e alle tappe di un'evoluzione - quest

o rapporto e queste tappe e ssendo concepiti in termini di equilibrio e disequilibrio. L'antropologia storic a mantiene la necessità dell'analisi in termini di classe (rifiutandosi di conside rare l'evoluzione e la specie come suo oggetto specifico), s'interessa ai rappor ti fra gruppi e a una storia concepita in termini di dominio e di rottura. La co ntrapposizione delle classi alla specie, della dialettica all'equilibrio, della dominazione alle trasformazioni non basta, forse, a costituire un'antropologia d ella repressione individuale e sociale. Ma essa costituisce un baluardo contro l e illusioni retrospettive e contro l'uso metaforico del linguaggio. L'etnologia-pretesto nutre la sua rappresentazione degli altri e del passato con lo spettacolo dell'attualità. Attribuire a questi «altri» un presentimento è legittimar e la retrospettiva come metodo; affermare la loro differenza è denunciare l'unifor mità industriale; evocare la loro autenticità (la loro vicinanza a uno stato di natu ra rinvigorito da Nietzsche) è sottolineare l'artificiosi

tà delle costruzioni della civiltà industriale. Tradotta in termini di programmi d'azione, questa visione del le cose invita alla reazione (a reagire per tornare ai mestieri artigianali, a d enunciare l'attività intellettuale in quanto tale), alparticolarismo (la localizz azione dell'autenticità, il conservatorio degli elementi antichi e tipici che devo no essere resuscitati) e alla natura (poiché rifiutare la distinzione natura/cultu ra porta a scindere la cultura e a opporre la buona cultura, quella autenticai c odici - alla cattiva, quella snaturata, astratta- l'assiomatica). Nella misura in cui queste tre parole d'ordine si combinano, esse danno vita a un discorso po litico inquietante che è di fatto presente nella vita intellettuale francese. Di f atto solo perché ciascuno degli intellettuali interessati lavora in un settore del imitato e si specializza, chi nel desiderio, chi nella differenza, chi nel prese ntimento; si tratta forse di una qualche forma di pigrizia intellettuale che ci preserva dalle sintesi terrificanti. Quanto a

lla carovana deleuziana, essa passa a gran velocità da un castello all'altro, tonitruante e fracassante, facendo vaci llare gli edifici invecchiati e fragili; seabbaio (tanto vale lo dica io stesso ) è perché essa rischia di lasciarsi dietro qualche bisognoso della scienza umana, q ualche "bricoleur" del desiderio il quale, rimasto senza più fiato per seguirla, s i accontenterà di attizzare le ceneri nei punti dove essa si è depositata, e di mane ggiare con molta imprudenza degli esplosivi abbandonati ma non disinnescati. Un "bricolage" inoffensivo forse, se non apportasse delle risposte così facili ai gua i della contemporaneità, e così in accordo, in fin dei conti, con l'esaltazione comu ne dell'altrove e del passato che costituisce il diversivo per eccellenza di ogn

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i genere di responsabili del presente. E' perché hanno in testa l'assiomatica statuale che Deleuze e Guattari possono con trapporvi la codificazione primitiva. Non è dunque inutile ritornare brevemente su questa codificazione e osservare perché,come e per chi funziona. La codificazion e, anche quando si inscrive nella piena carne o sulla piena terra, è forse solo un a modalità dell'assiomatica prodotta daogni costruzione sociale. Forse non è necess ario camminare a ritroso per analizzare le società non statuali, e neppure invocar e gli spiriti per ridare vita alle ipotesi materialistiche. Il desiderio, l'osse ssione, il giudeocristianesimo: dei misteri per quanto ignoriamo e dei nomi su q uesti misteri - l'oscurantismo? Capitolo 2. I TOTALITARISMI SENZA STATO. Ideologica e rapporti di potere. DOMINIO, TOTALITARISMO, SIMBOLIZZAZIONE. L'interpretazione teorica in antropologia si dà sempre un quadro di riferimento ne l quale essa cerca d'inscrivere le realtà di cui fa il suo oggetto, una totalità sig nificante alla quale rapporta le sue osservazioni e le sue descrizioni. L'interp retazione culturalista e l'interpretazione strutturalista hanno in comune che le loro totalità significanti sono, da un puntodi vista strettamente sociologico, r elativamente parziali: esse si applicano meno alle società che alle configurazioni intellettuali e mentali attraverso le quali le società esprimono, contemporaneame nte, la loro originalità e universalità. Sia che ricostruiscano «stili culturali» contra stanti, differenti e irriducibili gli uni agli altri in un caso, o la logica inc onscia del pensiero selvaggio, dei sistemi di parentela e dei miti nell'altro, e sse non si occupano né dei rapporti di efficacia all'interno di una data società né de lla spiegazione storica di una particolare configurazione. Altri due tipi di totalità servono di riferimento per la riflessione antropologica . La totalità funzionale, che ha orientato l'essenziale dell

a letteratura anglosas sone, permette di non escludere i problemi dell'efficacia; tutta una generazione di antropologi britannici ha potuto ironizzare sul gusto esclusivo dell'antropo logia francese ispirata a Griaule per l'osservazione dei sistemi di pensiero, de lle cosmogonie e cosmologie; lo studio più sistematico dell'ammezzato e dei piani intermedi, per riprendere un'immagine spiritosa di Mary Douglas, non sfugge nece ssariamente al gioco speculare della riflessione in cerchio - giacché l'analisi di ogni singolo «livello» rischia, da questo punto di vista, di esprimere soltanto, in un linguaggio specifico, le caratteristiche di qualsiasi altro livello; comples sivamente, tuttavia, l'ideologia è intesa nel discorsofunzionalista come operante a vantaggio dell'ordine sociale: viene ammesso un ordine di priorità, il quale ri nvia a uno schema interpretativo di tipo durkheimiano; il sacro rimane l'astuzia del profano e il sociale la totalità in cui si ordinano e si annullano definitiva mente gli scarti individuali e le aberrazioni socio

logiche. Si conoscono almeno due versioni di totalità riduzioniste, una economicistica e l' altra psicoanalitica. La totalità riduzionista che serviva da riferimento, a lungo molto contestato, al Freud di "Totem e tabù" invade da qualche tempo l'orizzonte epistemologico dell'antropologia francese. A questo proposito bisognerebbe parla re di «genetismo»; un evento primordiale - in Freud, l'assassinio del padre - permet te di pensare tutti gli altri eventi - ciò che alcuni chiamano storia- come altre ttante metamorfosi del primo. Tutta la storia è ridondante, espressiva, ripetizion e dell'atto originario; in rapporto a questa totalità di partenza (l'evento unico e fondatore), se ci può essere spiegazione storica, non potrebbe esserci un senso della storia - se non un senso a ritroso, un senso retrospettivo nato dalla decr ittazione dell'evento ridondante che ne viene a significare un altro. Così René Gira rd può parlare di «unità dei rituali», intendendo con questa espressione che tutti i rit uali studiati dall'etnologia costituiscono altrettante ripetizi

oni del sacrifici o primordiale attraverso il quale è stata istituita, in tutte le società, la società. Che cosa ne è oggi, nell'antropologia francese, del ricorso a queste differenti to talità? Innanzitutto le diverse tendenze teoriche hanno almenoun punto in comune:

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che esse scoprano nelle attuali figure repressive l'esito d'un infelice percorso dell'umanità giudaico-cristiana o che, ricorrendo alla teoria classica del feedb ack, si sforzino di comprendere meglio i modi di produzione non capitalistici pe r affinare la teoria dei modi di produzione e la comprensione della società indust riale, nostalgiche o progressiste che siano, esse si lanciano tutte "à la recherch e du temps perdu". Dalla parte di Nietzsche, stranamente alleato su tale questione tanto con Freud quanto con un surrogato edulcorato di Rousseau, l'etnologia-pretesto e la meta-a ntropologia pongono la riflessione sociologica sotto ilsegno della disillusione - dissolvimento delle illusioni del senso e della storia; divise tra l'individu alismo legato al rifiuto dello Stato e il biologismo legato a una teoria confusa del desiderio, esse instaurano bene o male una problematica della coscienza che tende a sfumare in una teoria della deriva. Con un'alchimia di cui detengono il segreto, l'etnologia-pretesto e la meta-antropologia trasformano la minaccia de l caos che ci promette Girard in speranza e la storiain "pas de deux" (1), osci llando con una grazia un po' aggressiva fra la nostalgia e la speranza apocalitt ica. Nostalgia di una società primitiva (come esse definiscono indifferentemente, lo abbiamo visto, gli Indiani dell'Amazzonia o le società segmentarie africane), n ella quale, ci viene assicurato, l'individuo in quanto tale non esiste, nella qu ale «le unità non sono mai delle persone» (Deleuze-Guattari). Speranza in un rovesciam ento delle concezioni della persona: «L'io fa piuttosto parte di quelle cose che b isogna dissolvere...» (Deleuze commentando Guattari). Fino a oggi ci si è sforzati d i mostrare ciò che, nella letteratura antropologica, serviva da giustificazione al la nostalgia che dà origine a una tale speranza: pezzi di miti, elementi di teoria sociale, la descrizione di alcune pratiche is

tituzionali riferite a un insieme supposto indifferenziato, il "socius" «primitivo», ulteriormente definito attraverso le rappresentazioni mitiche che si ritiene proponga di se stesso. Griaule, la f enice dell'etnologia francese, rinasce dallesue ceneri - meno rigoroso (poiché Gr iaule parlava di una società) e anche poco sociologico -, riducendo l'individuo al la persona e la società al suo discorso, come se la società in quanto tale parlasse, come se l'identificazione dei locutori, dei portavoce e degli ascoltatori fosse accessoria, come se la parola s'identificasse con il linguaggio e il linguaggio con un simbolismo strettamente esegetico.Dalla parte di Marx, l'influenza di Althusser, considerevole nella corrente antr opologica, oscilla fra il riduzionismo storicistico o economicistico e la totali tà funzionale: fra «determinazione» e «dominazione». Storia ed etnologia pongono al marxis mo il seguente problema: come conciliare la determinazione dell'economico con la molteplicità delle formazioni sociali e delle forme di dominio ideologico che

l'e sperienza ci rivela? La corrente althusseriana suggerisce una soluzione: definir e ogni formazione sociale come l'articolazione di diversi modi di produzione «in s enso lato». Il modo di produzione in senso stretto si definisce attraverso la comb inazione delle forze di produzione (oggetto di lavoro e mezzo di lavoro)e dei r apporti sociali di produzione; esso può essere individuato e osservato a condizion e di venire ritagliato dalle sovrastrutture che sono ritenute corrispondergli. Q uanto alla formazione sociale, essa costituisce la sola realtà sociale globale e c oncreta osservabile. Le differenti «istanze» sovrastrutturali della formazione socia le non sono pertanto la risultante meccanica dell'infrastruttura osservabile, be nsì la combinazione delle sovrastrutture deducibili rispettivamente da ciascuno de i modi di produzione in senso stretto. La totalità concreta della formazione socia le è puntellata dalla realtà strutturale e astratta dei modi di produzione in senso lato e dalla fantomatica articolazione delle loro sovrastrutture

virtuali. Diffidare delle apparenze: proprio questo sembra essere il presupposto che il ma rxismo condivide con lo strutturalismo allorché sia l'uno sia l'altro ne fanno la materia prima della loro analisi, chi per scoprirvi il gioco di una determinazio ne dell'economico, chi per decifrarvi la struttura inconscia di cuile apparenze non sarebbero che una realizzazione parziale. Come in quelle immagini dove l'in treccio dei rami e delle nuvole disegna e dissimula al tempo stesso la figura da scoprire (il lupo o il pastore, il gatto o il topo), la complessitàsociale, in d efinitiva, «in ultima analisi», non rivelerebbe sotto la sua fronzutaabbondanza che la traccia di un percorso o l'abbozzo di una struttura. E se l'apparenza, invec

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e, come la lettera rubata, non si desse che per quello che essa è, là dove si trova? Apparenza e verità, verità dell'apparenza - accecante, forse, a forza di essere ver a, ma non nascosta, né mascherata, né invertita? Povere astuzie, invero, come quelle dei sistemi in cui la minaccia di segmentazione non verrebbe scongiurata che da ll'uso più o meno machiavellico di credenze di cui gli stessi uomini sarebbero tan to le vittime quanto i manipolatori - così, per l'antropologia britannica, i giova ni, in rapporto alle credenze di stregoneria, sarebbero manipolatori quandosono lele (ma destinati a una vecchiaia più ingenua), sarebbero vittime quando sono ya o o cewa (ma destinati a una più lucida maturità). Eppure il marxismo si fermaqua e rimane funzionalista allorché fa della parentela un linguaggio o delle credenze n ella stregoneria un'inversione, sacrificando alla smania di far dire a ciò che si esprime altra cosa rispetto a ciò che è espresso. Non mancano tuttavia i segni che dovrebbero trattenere l'etnologo dal sacrificar e alla falsa sottigliezza dei rovesciamenti di prospettiva. Uno di essi, forse i l più evidente, è stato battezzato ancora prima di essere stato studiato, come se fo sse urgente dargli un nome per evitare che sia percepito; i riti di «inversione» o d i «ribellione», non appena vengono chiamati in questo modo, non possono più venir pres entati che per quello che devono essere se non devono significare nulla: l'inver so d'un diritto, una ridondanza appena paradossale, uno scherzo, una catarsi, un recupero; l'"imagerie" psicologista o politicista si sbarazza con qualche consi derazione selvaggia di una realtà che dovrebbe allertare il semplice buon senso. S ollevati e resi obbedienti gli schiavi del re per essersi visti accordare, alla sua morte, qualche giorno di allegrezza istituzionale? La tensione fra i sessi m essa in sordina, resa appena percepibile, mediante lo scambio rituale di qualche verità poco amena e

la parziale inversione del costume? Poiché qui è la stranezza: ne i riti d'inversione non si dice altro che la verità; la verità di coloro che, abitua lmente, la subiscono e che, dicendola, continuano a subirla: lo schiavo agni sa e dice che, in tempi normali, viene maltrattato, considerato un nulla; sa che mo rirà; ma sa anche(ed è il solo a dirlo) che il re morto è veramente morto. Così i giova ni e le donne,così i sudditi al momento della salita al trono d'un capo o d'un pr incipe: la marea degli insulti, degli avvertimenti, dei rimproveri non veicola a ltro che verità; nessuno è ingannato, nessuno s'illude né sul potere né sui potenti, né su gli altri, nésu di sé. Questi lampi di lucidità possono almeno illuminarci su un punt o: la dominazione non passa attraverso un gioco di illusioni. Gli uomini non viv ono alla rovescia il rapporto con le loro condizioni di esistenza. «Eppur si muove»: la societàfunziona (noi conosciamo e riconosciamo come tale questo truismo dopo Lévi-Strauss) e le persone vanno avanti; «Les braves gens!» (2) dice l'Imperatore che le guarda

e le manda a morire. E tuttavia essa «devia»: talvolta la società sfugge al potere che la incarnava. Come possono potere e lucidità coesistere all'interno del la dominazione ideologica, come possono sorgere la rivolta o la rivoluzione malg rado questa dominazione? Ma, innanzitutto, di quale dominazione si parla? Nella sua forma più elaborata (qu ella che Maurice Godelier le ha dato dopo qualche saggio e qualche rimorso), la nozione si applica a una «istanza» della società di cui ci viene detto che «funziona» al t empo stesso come infrastruttura e come sovrastruttura. La gerarchia dei «livelli» de ve essere interpretata come una gerarchia di funzioni, non come una gerarchia di istituzioni. Allo stesso tempo, per funzionare come infrastruttura, il «livello» do minante deve «occupare il posto» dei rapporti di produzione. Niente di strano quindi (ed è proprio il caso delle società primitive, ci dice Godelier) che i rapporti di parentela possano funzionare come infrastruttura e far parte integrante dei rapp orti di produzione. Nella logica di questa interpretazione

Godelier può rimprovera re a Lévi-Strauss di definire in modo troppo ristretto l'infrastruttura quando que sti parla del suo primato e rimproverare agli antropologi «althusseriani» di definir e in modo troppo istituzionale e troppo meccanico il sistema delle istanze. In sé non c'è niente di scandaloso nel voler conciliare gli inconciliabili; indubbia mente proprio questo è il solo tipo di volontà intellettuale intelligente che si pos sa concepire. Resta però il fatto che la costruzione di Godelier, la quale ispira una giusta consapevolezza delle difficoltà e una notevole intuizione del modo in c ui debbano risolversi, pecca per il suo carattere incompiuto. Godelier non è coere nte con se stesso quando conserva la metafora delle istanze verticali (3): qual è

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dunque il posto che occupano le relazioni di parentela quando si identificano co n i rapporti di produzione? Questo luogo dove «infrastruttura» e «sovrastruttura» si ide ntificano, non si definisce più evidentemente in termini di verticalità. Tanto vale ammettere, quindi, che il suo «dominio» è «orizzontale». Come dire altrimenti che non è la p arentela in quanto tale a esser dominante (ammesso che lo sia) ma discorsi opra tiche nei quali i riferimenti alla discendenza e all'alleanza hanno un ruolo sta tisticamente dominante? La dominazione così intesa non si identifica con un posto nella struttura della produzione: così i rapporti di produzione, nelle societàligna tiche o nelle bande dei cacciatori-raccoglitori, non si identificano con i rappo rti di parentela in enunciati o in pratiche che ammettono e implicano anche altr i riferimenti e la cui articolazione, d'ordine sintattico, costituisce la strutt ura di ogni dominazione. Qui si sceglierà di prendere le società alla lettera e si partirà da ciò che esse danno a vedere. Tuttavia, si eviterà di dare uno statuto particolare alla nozione di dom inazione; quest'ultima non potrebbe avere che un'esistenza per così dire statistic a all'interno di enunciati o di pratiche lacui esistenza costituisce ogni vero dominio e la cui articolazione o sintassi costituisce la particolare configurazi one ideologica di una data società. Che il potere domini è una tautologia che ci si esimerà dal formulare, una volta ammesso che, effettivamente, in società diverse, l' istituzione politica può, da una parte, controllare più o meno tipi diversi di attiv ità e, dall'altra, ritagliare più o meno istituzioni differenti. Dire che la politic a è dominante nella Grecia antica, la Chiesa nel Medioevo e la parentela nelle soc ietà africane equivale ad ammettere, in termini di istituzioni, un intreccio, in c iascuno dei casi considerati, dell'istituzione in questione con le altre e, in t ermini di funzione, il suo intervento

in attività che dipendono anche da un'altra istituzione. Quanto alle istituzioni, esse non sono mai completamente confuse e sarebbe una petizione di principio afarci definire l'istituzione del capo di li gnaggio come interamente derivante dalla logica della parentela. L'IDEOLOGICA. Quanto al potere, in nessun luogo esso si identifica con la sola istituzione pol itica: il potere non si comprende se non attraverso la logica complessiva che si tua le une in rapporto alle altre,in modo molteplice e differenziale, non solo le diverse varianti istituzionali di una società, ma anche quelle intellettuali, m orali e metafisiche. E' a questa logica complessiva che abbiamo proposto di dare il nome di ideologica o logica delle rappresentazioni. L'ideologica sarebbe per tanto al tempo stesso la somma del possibile e del pensabile per una data società, una somma che costituisce una totalità virtuale la quale non si attualizza mai se non in enunciati parziali per l'interpretazione, la descrizione o la giustifica zione di un dato evento. Che cos

a significano la possibilità e la realtà di enunciati di questo tipo? Esse in dicano innanzitutto il carattere ideologico dell'esistenza sociale. Se l'economi a, la parentela, la mitologia sono in ugual misura «simboliche», come dice Lévi-Straus s, ciò non è, dal nostro punto di vista, nel senso che esse sarebbero, ciascuna indi pendentemente dalle altre, l'oggetto di rappresentazioni di cui ci sforzeremmo d ipensare la logica intrinseca, anche a costo di definire ulteriormente l'ordine degli ordini, il sistema dei sistemi dove l'architettura dello spirito umano si rivelerebbe con quella delle sue produzioni, ma nel senso che, definite contemp oraneamente come organizzazione e come rappresentazione, promosse contemporaneamente all'esistenza intellettuale e a quella sociale, contemporaneamente teoriche e pratiche, esse devono venire intese, attraverso le catene sintattiche che learticolano "all'interno di una data società", come al tempo stesso rapporti di sen so, rapporti di efficacia e rapporti di potere. L'ordine ideologico non è un ordi

ne deduttivo meccanico. Se rimaniamo fedeli alla metafora marxista delle istanze, dobbiamo ammettere che all'interno stesso delle «forze di produzione», attraversola mediazione dei «mezzi di lavoro», penetra una part e di questa arbitrarietà relativa mediante la quale si definiscono le sovrastruttu re e la loro relativa autonomia. Questa constatazione è ancora più vera nel caso dei rapporti sociali di produzione, per cui non si tratta di suggerire che possano

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essere definiti indipendentemente dalle forze di produzione; tuttavia, non per q uesto si può dire che essi ne siano integralmente determinati nella forma. Se part iamo, al contrario, dalla considerazione delle sole condizioni materiali della p roduzione in un momento e in un luogo determinati - oppure, facendo astrazione d ai dati umani che segnano ogni ecologia, se partiamo da un punto zero puramente astratto e speculativo (l'infrastruttura secondo Lévi-Strauss) - constatiamo che l 'ideologica non può costituirsi (o, dal punto di vista del suo osservatore, essere compresa) se non a partire da due somme e da due arbitrarietà. La prima somma non riguarda che termini logicamente compatibili, e cioè intellettualmente e material mente coerenti. A partire da un dato ambiente naturale, alcune tecniche di produ zione, alcuni stili di residenza, alcune modalità di raggruppamento sociale sono c oncepibili e realizzabili, altri no. La compatibilità di cui si parla in questa se de è duplice: complessivamente si tratta di una compatibilità tecnica fra i dati nat urali e l'organizzazione umana; nei dettagli le compatibilità sono più sottili: da u na parte c'è una seconda esigenza di compatibilità fra organizzazione della produzio ne e organizzazione sociale, dall'altra, se ad alcune configurazioni economiche o sociali possono corrispondere delle rappresentazioni dello psichismo o dell'or ganizzazione somatica, non avrebbe alcun senso decidere "a priori"se queste ult ime sono compatibili o no con le condizioni naturali o materiali della produzion e; certo è, in compenso, che esse non costituiscono per questo la rappresentazione in un altro linguaggio delle configurazioni economiche o sociali. L'organizzazi one in patrilignaggi o matrilignaggi non pregiudica in nulla né la natura dei pote ri psichici attribuiti ad alcuni individui, né il senso della loro influenza, né in generale le grandi linee del sistema di rappresentazione dell'e

reditarietà; il ten tativo di Leach di fare di questo tipo di rappresentazione un'espressione strutt urale delle categorie dell'incorporazione e dell'alleanza, oltre a soffrire di u na certa mancanza di rigore concettuale, si scontra, su questo punto, con l'evid enza dei fatti. Bisogna ammettere, al contrario e all'inverso, che le teorie loc ali dell'ereditarietà e dell'influenza qualificano e condizionano differentemente, a seconda delle società, le relazioni della discendenza con l'alleanza e il senso della discendenza doppia (4). La somma delle compatibilitànon corrisponde né a un ordine di generazione né a un ordine speculare, ma all'assunzione, a partire dalla compatibilità essenziale - fra condizioni materiali e modelli tecnici di organizz azione del lavoro - della molteplicità non infinita dei possibili. La prima arbitrarietà costitutiva dell'ideologica è legata al fatto che, all'interno dei principali paradigmi di riferimento di una data società (componenti psichiche , poteri e influenze, componenti biologiche, modalità sociali di relazion

e, istitu zioni giuridico-economiche, relazioni economiche, attività economiche) non compaio no tutti gli elementi possibili (compatibili). In società con ambientinaturali e storici sostanzialmente equivalenti, anche geograficamente vicine, troviamo diff erenze considerevoli per ciò che riguarda la discendenza, le regole di alleanza, l 'organizzazione del lavoro, gli stili di residenza eccetera. Nel sudest della Co sta d'Avorio, nei secoli diciottesimo e diciannovesimo, gli Alladiani coltivavan o la manioca, fabbricavano il sale, pescavano in mare e commerciavano con gli eu ropei; gli Ebrié, stanziati nel nord della laguna, coltivavano lamanioca, pescava no in laguna, commerciavano un poco con le regioni dell'interno, solo indirettam ente con gli europei, e praticavano la guerra con maggior vigore rispetto ai lor o vicini stanziati sulla riva del mare. In parte, queste attività sono individuali o implicano solo una ridotta collaborazione (pesca in piroga, con la lenza o co n piccole reti, coltivazione della manioca); in parte necess

itano di un raggrupp amento di forze che nelle due società è palesemente avvenuto su basi diverse: presso gli Alladiani è la «corte» a riunire sotto l'autorità di uno stesso uomo la sua discend enza agnatizia e quella degli uomini del suo matrilignaggio e a costituire il qu adro normale di attività come la fabbricazione del sale e il commercio dell'olio d i palma. La regola di residenza vuole che un figlio viva presso il padre pur app artenendo al lignaggio dello zio paterno; tuttavia essa non vale se non per i ca pi di lignaggio: il successore viene a occupare la sedia del predecessore (lo zi o materno o il cugino uterino) nella corte di quest'ultimo; patrivirilocalità ["pa tri-virilocalité] e semiarmonia ["hémi-harmonie"] (o parziale disarmonia) definiscon o così una forma di potere e una forma di organizzazi

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one economica. Presso gli Ebr

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ié la disarmonia è totale e il nipote lavora per lo zio; quanto alle attività colletti ve, esse mettono in gioco l'organizzazione in classi di età per il grande luogo di pesca del villaggio, il lignaggio per i luoghi di pesca meno importanti. Nessun a determinante necessità tecnica può spiegare la particolare ragione di questo o que l modo di raggruppare le attività, di questo o quel modo di esercitare il potere. Gli Alladiani avrebbero potuto fabbricare il sale nel quadro del lignaggio egli Ebrié ripartirsi i loro grandi luoghi di pesca fra lignaggi o fra quartieri d'uno stesso villaggio. Si tratta, del resto, di possibilità che sono state realizzate in certe epoche e i n determinate circostanze: nel diciannovesimo secolo, con la crescita della doma nda di olio di palma, i commercianti alladiani hanno tendenzialmente costituito corti omogenee dal punto di vista del lignaggio; i matrimoni con donne dida patr ilineari portatrici di dote o con le schiave hanno permesso di aggirare la regol a di disarmonia rispettandone al tempo stesso il contenuto formale. In alcuni vi llaggi ebrié le diverse sezioni del grande luogo di pesca collettivo erano attribu ite ai quartieri di villaggio invece che alle classi di età. Queste diverse modali tà non impediscono che la dimensione lignatica s'imponga, presso tutti, nella defi nizione dei canali di distribuzione e di circolazione; ma anche in questo caso c ompaiono differenze che nessuna necessità economica o sociale ha imposto a priori: presso gli Alladiani, un «figlio» era tenuto per unlungo periodo della sua vita a consegnare il prodotto della propria pesca al «padre», il quale aveva a sua volta de gli obblighi di ridistribuzione nei confronti del rappresentante del proprio mat rilignaggio; il raggiungimento dell'età «adulta», della piena «cittadinanza», comportava u n riorientamento delle prestazioni; presso gli Ebrié, la prima fase era limitata a lla prima infanzia. Sotto questo aspetto altr

e soluzioni o una ripartizione inve rsa delle soluzioni adottate da ogni società sarebbero state ugualmente concepibil i. Stabilire la somma del pensabile e del possibile per una data società non signi fica dunque indicare in termini assoluti quanto non le è possibile sul piano intel lettuale o materiale. Ogni società sa che i suoi vicini pensano in modo diverso. Ma, a questo punto, arriviamo alla seconda somma e alla seconda arbitrarietà costi tutive di ogni ideologica. Si tratta, per una data società, della totalità dei legam i sintagmatici che essa stabilisce fra i diversi elementi paradigmatici accertat i al suo interno. Questa totalità si esprime in termini di necessità, e questa neces sità si presenta indifferentemente comeindividuale e sociale, biologica e psicolo gica, giuridica e metafisica. La somma dei sintagmi ammissibili - degli enunciat i formulabili o dei comportamenti praticabili - è indubbiamente impossibile da sta bilire in modo esaustivo, ma la sfera del possibile si delinea e s'impone con ma ggior fermezza per ciascun individ

uo proporzionalmente alla sua esperienza intel lettuale e sociale: le diagnosi,le indagini, i riti, le cerimonie, le incertezz e della vita individuale e collettiva, gli insegnamenti più o meno istituiti (a pa rtire dagli indovinelli, dai racconti, dalle iniziazioni) circoscrivono con un t ratto sempre più netto, in ognicaso, i limiti di quanto è enunciabile e possibile. Ciò che conta non è tanto conoscere la somma, per definizione astratta, di ciò che può e sser detto o fatto, quanto il non ignorare ciò che non può essere né detto né fatto. Prendiamo come esempi di enunciati parziali quelli che presso gli Alladiani rigu ardano le credenze nella stregoneria; un enunciato di questo tipo può far interven ire un numero rilevante di elementi paradigmatici (vedi la figura 1 - qui omessa ). In tutte le lingue della laguna, il concetto di «stregone» (nel senso di "witch", come contrapposto a "sorcier") viene espresso anteponendo alla parola che signi fica «uomo» il nome del potere di aggressione che si accompagna alla qualità di strego ne. Si dirà in alladiano: "aw

a wro", uomo d'"awa"; ci sono altri tipi di poteri ps ichici rispetto a quello attribuito allo stregone, e in particolare il "seke", f orza difensiva che si presenta di primo acchito come il suo inverso e che distin gue la persona dell'antistregone ("witch-doctor"); l'"awa" è ritenuto attaccare un a delle istanze psichiche della sua vittima, quella che è più prossima al principio vitale e del sangue, "ee"; esiste un'altra istanza psichica, il "wawi", che è rite nuta invece portare il potere di aggressione o di difesa, stabilire la relazione con gli altri; un enunciato sul potere di stregoneria farà spesso intervenire la nozione di sangue ("nkre"), una delle componenti biologiche della persona, essen do questo potere ritenuto capace di privare di sangue la sua vittima. Il potere

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non può esercitarsi senza distinzioni: la sua sfera d'azione è limitata al matrilign aggio dell'aggressore ("etyoko"), la vittima essendo necessariamente un membrod el matrilignaggio ("etyoko wi") dell'aggressore. Alcune regole secondarie spiega no in che modo uno stregone possa anche attaccare, con l'aiuto di un altro streg one (è il tema della società degli stregoni e del debito cannibalico), qualcunodi e straneo al proprio lignaggio. Ma l'enunciato più immediato non mette in gioco che la relazione "etyoko wi"; mentre ne esistono altri ("wï"; "ebiwï") che mettonoin gi oco altri partner e altri tipi di influenza. I casi di stregoneria sono spesso c onclamati per questioni di eredità ("adya") o di successione che mettono in gioco il possesso della sedia del lignaggio ("abu") e la gestione del tesoro del ligna ggio ("obii wakre"). Questi sono gli elementi fondamentali di ogni prediagnosi ( formulata o solo pensata) quando una morte o una malattia appaiono sospette - ch e è il caso, più o meno, di ogni morte e di ogni malattia. Un enunciato parallelo po trà chiamare in causa il potere difensivo ("seke") addetto alla protezione dell'"e e", trasmesso con lo sperma ("ake n'du": acqua dell'uomo) lungo la linea agnatiz ia diretta (nonno, padre, figlio) ed esercitato preferibilmente a beneficio di q uest'ultima. Un altro enunciato potrà chiamare in causa il potere di maledizione ( "aüeda") del «padre» sul figlio (nel senso del rappresentante del matrilignaggio del p adre - il padre stesso oppure, se è morto, il suo erede - sul bambino di un uomo d el matrilignaggio) e di conseguenza la relazione "ebiwï", il più delle volte in meri to a una questione di residenza (di «corte»: "dbü") o di ridistribuzione dei prodotti della pesca. Tutti questi esempi sono tanto più frammentari in quanto dovrebbero essere messi i n relazione con i tipi di malattia e di morte che gli corrispondono, dal momento che nell'eziologia locale questa corrispondenza

è precisa e sofisticata al tempo stesso. E' opportuno soprattutto notare che alcune correlazioni sono impossibili : l'awa non si trasmette di padre in figlio, non si esercita su un ebiwï; il poter e di maledizione non può essere evocato in merito a una relazione interna all'etyo ko eccetera. "A priori", tutte le diagnosi sono possibili ma, a partire da un el emento di interpretazione, non sono più possibili tutte le connessioni. Si compren de allora che ogni parola conta e che il peso del silenzio bilancia quello della parola. Ma si noterà anche come l'arbitrarietà delle correlazioni proprie di una da ta società sia al tempo stesso riconosciutacome contingente e vissuta come necess aria. Gli Alladiani sanno perfettamente che presso i Dida patrilineari il potere di st regoneria può venire esercitato dalpadre sul figlio; lo sanno tanto bene che spes so hanno sposato donne dida per ricreare a proprio vantaggio le condizioni di un potere residenziale più forte. Masanno anche, e meglio ancora, che in se stesso un potere vale l'altro: assegnare

una dote a una donna dida e sposarla significa eliminare i rischi di un potererivale (quello del lignaggio della donna); sign ifica al tempo stesso attribuire al potere del padre sui figli una maggior liber tà ed estensione, e cioè più anonimato: nessuno si prende il rischio di definire un po tere senza concorrenza. Che le parole si applichino a relazioni e che queste non definiscano rapporti di senso se non in quanto si applicano a rapporti di forza è cosa che gli Alladiani hannosempre saputo, i più ricchi e i più potenti fra loro e ssendosi sempre sforzati di creare le condizioni della sinonimia o dell'accumulo dei poteri, cioè quelle del massimo potere. Per quanto riguarda le formule, le me sse in relazione sintagmatica, queste possono piegarsi a tutti i rapporti di for za, definendo con rigidezza ma in modo vario chiavi d'interpretazione utilizzabi li da quei soli individuiche hanno il potere di imporne l'arbitrarietà, un'assiom atica il cui senso non deve esser cercato se non dalla parte di coloro che ne de tengono il controllo. No

n esiteremo dunque a usare l'espressione «totalitarismo di lignaggio» per indicare che nessun evento individuale può sfuggire all'interpretazione e che nessuna inte rpretazione esce dal quadro delimitato dal sistema legnatico. La legge sociale trattando dell'eredità, della residenza, dei doveri economici - è allo stesso tempo legge individuale, biologica e fisiologica. L'eziologia delle malattie rinvia a idivieti la cui trasgressione (sociale) viene sanzionata (biologicamente), all' ereditarietà dei poteri e degli attributi psicologici, essa stessa legata alle regole giuridiche della discendenza e dell'alleanza, ai rapporti di forza che la te

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entito e di essersi scontrato con difese legittime. Il rapporto di senso s'impon e così come un rapporto di forza (ma anche la forza è significante e significata);s e il rapporto di forze cambia, cambia pure il senso. Il senso è sempre retrospetti vo. Sotto questo aspetto, la simbolizzazione appare come l'attuazione dell'ideologic a. In numerose analisi del simbolismo l'attenzione si concentra più sul simbolo ch e sul processo di simbolizzazione; il tratto comune a queste diverse analisi, di conseguenza, è che esse vertono su figure fisse; questo immobilismo dipende talvo lta dalla realtà stessa dell'oggetto studiato, istituzionalizzato e ritualizzato ( gesti compiuti, parole pronunciate nel corso di una consacrazione, di un'iniziaz ione... ), ma, in ogni caso, lo sforzo intellettuale di simbolizzazione non può es sere compreso se non al termine della sua creazione, sotto forma di rapporti «simb olici» diretti (del tipo significante/significato: bianco = purificazione, nero = pericolo o lutto) e di rapporti intersimbolici (la giustapposizione di diverse c oppie significante/significato costituisce un insieme specifico,e si può parlare, con Luc de Heusch, di una struttura simbolica dell'incesto reale o, con Rodney Needham, di una struttura simbolica della sinistra e della destra). Le stesse os servazioni varrebbero per tentativi «analitici» come quelli di Beidelman a proposito del simbolismo nuer, che conducono a fare dell'ambiguità dei temi simbolici (la l ancia come pene socializzato, il bue come toro socializzato) un'espressione rido ndante dell'ambiguità delle relazioni sociali. Il simbolo, tuttavia, rimanda ad al tra cosa che a un'altra figura di se stesso; i Greci designavano con il nome di «s imbolo» le parti troncate di un braccialetto la cui riunione provava, all'occorren za, l'identità dei partner uniti da una relazione (simbolicao reale) di commercio . Allo stesso modo, mi sembra che l'interpretazione ideolo

gica debba essere comp resa in relazione a due totalità: quella della logica globale, che costituisce la somma di tutti i discorsi socialmente possibili (giacché ciascuno di questi discor si stabilisce una relazione sintattica fra differenti ordini di rappresentazioni , una serie di accordi nel senso grammaticale del termine); quella dell'interpre tazione definitiva, della totalità lineare, della diagnosi compiuta, della necessi tà retrospettiva che, conclusi gli scontri, le suggestioni e i silenzi, identifica il senso e la forza e non può essere compresa se non in occasione di eventi concr eti e specifici. Diciamo, riferendoci al linguaggioqui utilizzato, che i simbol i sono dalla parte degli elementi paradigmatici appartenenti all'ambito della pr ima arbitrarietà evocata sopra, mentre la simbolizzazione è uno dei processi di conc atenamento sintagmatico attraverso cui si definisce l'ideologica. Il nostro proposito risulterà forse più chiaro se lo mettiamo in relazione con le ip otesi di Leach in "Nuove vie dell'antropologia" (7). Secondo L

each, i figli di u na coppia possono essere assegnati al gruppo di ciascuno deigenitori sia tramit e incorporazione, permanente o parziale, sia tramite alleanza. Le relazioni d'in corporazione verrebbero simboleggiate ed espresse in termini di sostanza fisica (ossa, carne, sangue), mentre le relazioni di alleanza verrebbero simboleggiate ed espresse in termini sovrannaturali ("mystical") d'influenza e di potere. Qui si tratta di sostituire al modello metaforico di Leach, che riduce il simbol ismo a una figura (8), un rapporto d'ordine «sintattico». La descrizione del simboli smo elementare della società alladiana potrebbe presentarsi come una serie spezzet tata di rapporti duali speculari: sangue = discendenza agnatizia, forza difensiv a = discendenza agnatizia, stregoneria = matrilignaggio, potere di maledizione = matrilignaggio paterno, forza lavoro = figli degli uominidel matrilignaggio. S embra sia più interessante e maggiormente rivelativo del gioco ideologico ricostit uire la somma degli enunciati possibili, degli enunciati

impliciti e degli enunc iati sostenibili e plausibili. Questi enunciati, l'abbiamo visto, si formano a p artire da serie paradigmatiche che corrispondono ai diversi ordini di rappresent azioni concepibili ed esistenti (per esempio, i poteri psichici, le componenti c he costituiscono la persona, le relazioni sociali, le attività economiche). Qualsi asi elemento di ciascuna di queste serie può venir messo in rapporto con qualsiasi altro elemento di una serie diversa: del potere distregoneria (awa) si può dire che attacca una delle istanze psichiche (ee) di un uomo dello stesso matrilignag gio (etyoko) dell'aggressore in occasione di una questione di eredità (adya); del seke (potere di difesa) si può dire che si trasmettecon il sangue (nkre) lungo la

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linea agnatizia; della maledizione (aüeda) si può dire che si esercita sul figlio di un uomo del matrilignaggio (ebiwï) in relazione a questioni di residenza o di pr estazioni di lavoro eccetera. Ma questa teoria ideologica, che in qualche modostabilisce una somma di costriz ioni intellettuali, è riempita di silenzi che esprimono costrizioni sociali; più esa ttamente, l'ideologica è metonimica: non esprimela dipendenza dei giovani se non enunciando la legge degli anziani; parla in modo universale, parla a tutti come se parlasse di tutti; si rivolge a tutti, ma in particolare a coloro di cui non parla e a cui la parola è negata. Parla degli anziani, cioè di coloro che non sono n ecessariamente vecchi ma che molto probabilmente lo diventeranno (9): al limite, diventeranno vecchi perché sono anziani potenziali. La longevità si accompagna alla forza che viene ereditata tendenzialmente lungo la linea agnatizia dei primogen iti. Il primogenito possiede una posizione sociale che non lo condanna all'asten sione e al silenzio; è tenuto a essere prudente, ma sa vedere con chiarezza (la ch iaroveggenza è anche un attributo della forza). L'evento può rimettere in causa le p retese all'anzianità, ma alcuni individui sono inscritti nel disegno delle stirpi come anziani infinitamente più plausibili di altri. Coloro che sono troppo lontani dalla seniorità ["séniorité"] verticale (l'appartenenza a una stirpe maggiore) o oriz zontale (l'ordine delle nascite) non costituiscono, a prescindere dalla loro età e ffettiva, anziani veramente credibili. Eredità ed ereditarietà, leggi sociali e legg i biologiche si sovrappongono per costituire altrettante linee di forza. Le rego le della presa di parola sono inclusenelle regole sintattiche. Ogni parola comporta un rischio: colui che parla si scopre; questo è vero anche de lle azioni; ma i rischi non sono uguali; una posizione sociale forte consente al la parola e agli atti di esprimersi più liberamente. U

na buona conoscenza della pr opria posizione rispetto ai diversi mondi che compongono il proprio entourage in senso lato è necessaria all'individuo che, novello Ulisse, sa che la forza non es clude l'astuzia, che l'arte di convincere non si identifica con l'eloquenza e ch e l'arte del saper vivere si lega in larga misura alla capacità di lasciare che le cose maturino. Le costrizioni relative e continue che pesano sulla vita individ uale, sullo sfondo, non possono essere compresese non all'interno del sistema i nterpretativo in cui funzionano, ma esse non definiscono meccanicamente le condo tte da tenere. Nessuno ha da solo l'intero dominio, non fosse altro perché nessuno ne ha il completo controllo, della produzione dei segni (degli eventi, signific anti per definizione). Tutti sanno che atti ed eventi verranno interpretati seco ndo una logica costrittiva ma non meccanica, che lascia al tempo il suo ruolo (c 'è un tempo dell'evento, un tempo dell'interpretazione o delle interpretazioni, a volte un tempo della conferma, dell'invalid

azione o dell'aumento della complessi tà). L'atto accenna prima di esprimere. Il significato è al passato ma anche al plur ale: alla mercé del futuro, dell'evento e dunque, in parte, degli altri. L'ideolog ica corrisponde a una visione relativamente deterministica ma assolutamente esis tenzialista della vita. Di qui la necessità pratica di misurare i suoi segni: le sue parole, azioni, ricch ezze. Il gioco complesso e ponderato dell'ostentazione e della discrezione corri sponde a un obbligo di natura (si dà sempre a vedere) e a delle strategie pratiche (lasciar vedere, lasciar intendere). Nella festa ostentativa (la festa delle ri cchezze ebrié, per esempio), l'individuo ricco mette in mostra, più che la sua ricch ezza personale, quella dei suoi lignaggi di riferimento; in questo modo, egli pa rla discretamente della sua ricchezza e aggressivamente della sua influenza soci ale; il discorso (la diagnosi, il consiglio, l'accusa) usa giri di parole (litot i, metonimie, silenzi): queste pratiche sono tutti «tentativi» che traggono senso, r etrospe

ttivamente, dalle risposte che sollecitano. Su questo punto non si può che convenire con le osservazioni molto stimolanti che Pierre Bourdieu (10) consacra alle pratiche «che si definiscono per il fatto che la loro struttura temporale, o vveroil loro orientamento e il loro ritmo, è costitutiva del loro senso»; Bourdieu sottolinea giustamente come sia necessario, affinché il sistema funzioni, che gli agenti non ignorino gli «schemi» che organizzano i loro scambi, senza per questo ric onoscere completamente la logica esplicitata dal «modello» meccanico dell'antropolog o. Eppure, non si può forse ammettere che lo schema tenda a identificarsi con il m odello nello spirito del «virtuoso maestro della sua 'arte di vivere'», come dice an

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cora Bourdieu, il quale può servirsi di tutte le possibilità offerte dall'esistenzasimultanea di costrizioni logiche e di zone sociali d'indeterminazione, per poco che la sua posizione sia, quella sì, chiaramente determinata e adatta a favorirel'interesse per i suoi propositi e la credibilità delle sue azioni? In generale, la distinzione fra schema e modello non è del tutto compatibile con i l concetto di ideologica. L'osservatore non è più in grado dell'attore di stabilire la somma delpossibile e del pensabile. Può solo constatare, con l'attore stesso, la necessità delle verità retrospettive, delle totalità lineari compiute. Con lui può co mprendere la logica delle forze in gioco. L'antropologo può discernere, come fa l' attore, ilcarattere non meccanico dei modelli d'interpretazione di cui egli ste sso provaa interpretare la logica. E solo provando a formulare le leggi di comp osizionedel discorso o della pratica ideologica, le strutture (sintattiche) ele mentaridell'ideologica che supporrà essere all'opera in ogni ideologica che egli stabiliràun'ipotesi propriamente antropologica, generalizzata e applicabile a ogn i forma di società e di potere. Il paragone che Bourdieu tratteggia fra le moltepl ici possibilità della pratica sociale e l'infinita molteplicità delle corrispondenze suono-senso, determinate nel cervello, secondo Chomsky, dalla combinazione di u n sistema di strutture e di un sistema di regole, forse non è, da questo punto di vista, del tutto convincente: l'ordine e la teoria della pratica compongono inna nzitutto una teoria dell'ordine sociale; e i percorsi che portano dall'ordine so ciale all'ordine intellettuale e a quello individuale non sono illimitati: si può essere tentati di trovarne la traccia e il senso. Tali percorsi non costituiscon oper questo un «repertorio di soluzioni tipiche» cui chi agisce non avrebbe che da attingere, né «un programma predeterminato da un meccanismo semplice»; bisogna semplic e

mente riconoscere localmente lo stesso grado di libertà relativa al modello indigeno e al modello dell'osservatore (si tratta, di fatto, dello stesso modello) e, a un livello maggiore di riflessione, considerare che le forme del potere (iden tiche, in questo caso, alle sue pratiche), le forme di relazione che esso impone al pensiero della pratica e alla pratica del pensiero, esse stesse confuse, son o in numero limitato, indipendentemente dall'immensa varietà delle scelte paradigm atiche e dal carattere non meccanicistico delle combinazioni sintagmatiche. Se ci si attiene provvisoriamente alle analisi precedenti, si ricorderà, per lo meno come un primo elemento di conclusione, che la logica lignatica è una logica tot alitaria in un triplice senso: 1) Essa pensa insieme l'individuo e la società intermini tali che l'individuo è cos tretto a pensare il suo divenire in rapporto agli altri (altri selezionati e pri vilegiati). 2) Essa è costituita da diversi ordini di riferimento, i quali si declinano ciascu no per proprio conto (costituendo

dei «paradigmi») e si accordano o si coniugano gli uni con gli altri (costituendo dei «sintagmi»). La sintassi logica si confonde così c on la pratica sociale; le regole sintattiche costituiscono la teoria di tutti i discorsi e di tutte le pratichepossibili, non nel senso che il discorso rispett a la sintassi, ma nel senso che le combinazioni che esse autorizzano (e, implici tamente o esplicitamente, quelle che proibiscono) definiscono le leggi della pre sa di parola e, al tempo stesso, i limiti del diritto e del senso. 3) Essa costituisce ogni società come umanità. Ogni società lignatica riconosce e resp inge la diversità delle altre. Non se ne serve che per assoggettarla: lo schiavo c onsente ai potenti di moltiplicarne le possibilità di costrizione e di accumulo de l sistema. Il totalitarismo logico-sociale non toglie nulla alle difficoltà della pratica e a ll'angoscia del vivere. Latendenziale identificazione dell'ordine sociale, dell 'ordine individuale e dell'ordine intellettuale mette a confronto le pratiche co n i temibili rischi della

necessità retrospettiva e ineluttabile. Nessuno è al ripar o dal rischio, ma gli individui sono diversamente armati per fronteggiarlo e que sta disuguaglianza è, inultima analisi, sociale. LE STRUTTURE DELL'IDEOLOGICA. - Rapporti di forza e rapporti di potere.

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I reami dell'Africa orientale, nell'evocazione che ne fa Luc de Heusch, hanno af fascinato Deleuze; egli crede di scoprirvi l'essenza del despota e il senso dell a fondamentale rottura con la quale viene abolita l'esistenza della terra come c orpo pieno e come superficie d'iscrizione. Il corpo pieno del despota darebbe il cambio alla terra quando lo Stato si sostituisce al "socius" primitivo. Ma che cosa ci rivela invece l'antropologia africanista? Che tutti i tratti attraverso i quali si pretende di definire l'originalità del despota sono attestati in forme di potere estremamente diverse. Non alla maniera di presentimenti o di rimorsi m etafisici con i quali il potere esprimerebbe la sua impotenza, né come una «surcodif icazione» distinta da altre forme d'inscrizione, ma in quanto strutture elementari di ogni relazione politica e anche di ogni rapporto sociale (giacché nessuna form a sociale sfugge alla dimensione del potere che definisce e mette in attole sue gerarchie). Reami, "chefferies" e lignaggi dipendono comunque da queste struttu re elementari dell'ideologica di cui abbiamo cercato di mostrare fino a questo m omento il carattere sintattico, che ordinano in enunciati pensabili ed enunciabi li le condotte definite possibili; a questo livello di analisi non esiste più alcu na distinzione pertinente tra forma e contenuto, tra dire e fare, tragrammatica e diritto di parola, non più che tra i diversi sensi della parola struttura presi in considerazione rispettivamente dall'antropologia funzionalista e dall'antrop ologia strutturalista. Le strutture dell'ideologica si presentano infatti contemporaneamente come modi di dire e modi di fare. La teoria della stregoneria che definisce un senso privi legiato di esercizio e di trasmissione del potere di stregoneria non può essere co mpresa senza riferimento alla teoria delle istanze psichiche e dell'esercizio e della trasmissione degli altri tipi di influ

enze; le regole d'uso dei termini ch e corrispondono ai concetti di «stregoneria», «antistregoneria», «maledizione», «potere di di esa», sono quindi implicate dalla semplice caratterizzazione di questi poteri. Dir e il senso privilegiato (plausibile) della trasmissione, significa anche orienta re la pratica di coloro i quali, a seconda della loro posizione rispetto alle li nee di trasmissione (linee di forza e di senso, stirpi sociali), si trovano o me no nella situazione, eventualmente, diaccusare, protestare, sottintendere o tac ere. Comunque, una volta sopraggiuntol'evento (morte, malattia, sventura) che f a scattare pratiche istituzionali quali l'interrogazione del cadavere, la consul tazione di chiaroveggenti, la riunione di lignaggi alleati, l'indagine delle cla ssi di età, la sepoltura, i funerali... la griglia del rapporto di forze, il cui l egame con quella dei rapporti sociali è esplicito e manifesto, viene utilizzata co me strumento per decifrare il senso che questo evento sottintendeva; di qui, tut ta una serie di altre pratiche d

ipendenti eventualmente dalla totalità lineare ric ordata sopra, al termine dellequali tutte le condotte e tutte le pratiche tragg ono il loro senso retrospettivamente dalla loro inscrizione finale nella griglia d'interpretazione. Ogni gesto, ogni parola costituisce un rischio teorico; ogni riferimento alla teoria è già un'iniziativa pratica. Strutture del dire e del fare, le strutture dell'ideologicaesprimono il dominio di coloro che dominano ma informarlo il discorso e la pratica di tutti: esse co stituiscono al tempo stesso l'espressione e l'efficacia della dominazione. Si tr atta, a questo, punto, di non confondere due distinte questioni; la prima riguar da la ragione (storica) della dominazione di un gruppo odi una categoria dati i n una determinata circostanza; la seconda concerne l'efficacia della dominazione e della repressione, il fatto che i dominati subiscono, accettano e pure condiv idono il sistema ideologico che costituisce e rende eterna la loro situazione. L 'analisi di queste strutture ideologiche non è, a rigore

, interessata se non dalla seconda questione. La prima questione riguarda un altro tipo di analisi, almeno per alcuni dei suoi aspetti; questo non vuol dire che l'analisi ideologica non sia interessata dal cambiamento: definire l'ideologica di una data società non sig nifica descrivere un sistema chiuso di rappresentazioni da cui essa non potrebbe affrancarsi; tutto lascia pensare invece che la parola e la pratica dei dominat i si esprimano all'interno del sistema in cui essi devono inserirsi fino a quand o non lo sovvertono, e tale espressione è un segno da cui l'analisi del cambiament o non può fare astrazione; inoltre, in tutte le situazioni pudicamente caratterizz ate dall'antropologia come situazioni «di contatto»,la reazione ideologica delle po

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polazioni dominate - pratiche di resistenza, di ripiego, di collaborazione, tent ativi d'interpretazione della nuova situazione, di prese in prestito dallo stran iero invasore o dal passato mitico - deve essere analizzata come la pratica stes sa del cambiamento e non come la semplice rappresentazione che se ne farebbero c oloro che lo subiscono senza averne il controllo. Sicuramente l'analisi dell'ide ologica lignatica in crisi non può stabilire da sola la spiegazione storica dell'i mperialismo occidentale coloniale o neocoloniale da cui essa stessa dipende; ma sarebbe ugualmente insufficiente affermare che l'ideologica lignatica in crisi c i «parla» del colonialismo e dell'imperialismo - tale affermazione, che sembra a pri ma vista evidente, sottintende in modo insidioso che alcune pratiche non fanno c he «rappresentarne» delle altre, che laggiù non si suona che la stessa aria di qui, se mplicemente con un po' più di noncuranza, di fantasia o di note stonate. Al contra rio, essa è un luogo della storia e della pratica attuali: non «rappresenta» che se st essa, come tutte le ideologiche; la novità (ma questo non riguarda solo le società l ignatiche) è l'estendersi dell'orizzonte politico all'insieme del mondo; il fatto nuovo, trattandosi delle società lignatiche e di alcune altre, è che niente nel loro divenire implicava a così breve scadenza una tale estensione: per un periodo esse sono state dunque condannate alla reazione. Da qui a pensare la loro pratica in termini di riflessi e il loro avvenire in termini di sviluppo, non c'è che un pas so, passo compiuto allegramente da numerosi osservatori ed esperti presto stupit i, quindi scoraggiati, dalle forme aberranti o caricaturali che assume ai loro o cchi un'evoluzione ritenuta inevitabile (il che è un truismo) e concepita come lin eare (il che è una sciocchezza). Analizzare l'ideologica di una società significa dunque analizzare tutta questa so cietà o, più precisamente, l'organi

zzazione dei poteri che la costituiscono e dei po teri che essa istituisce, in tutti i loro aspetti, compresi quelli più problematic i. L'analisi ideologica non può specificarsi in un'antropologia politica, in un'an tropologia religiosa o in un'antropologia economica; per definizione, essa respi nge queste distinzioni; male analisi globali dell'economia e della storia, che la riguardano nella stessamisura in cui i fenomeni che queste studiano su grand e scala influenzano progressivamente i dati locali, evidentemente non si riducon o a essa. I territori dello storico, dell'economista e del sociologo si confondo no in luoghi determinati e circoscritti, ma i loro principi esplicativi restano distinti su più vasta scala. Si potrebbe senza dubbio assegnare alla storia e all' economia lo studio deirapporti di forza e all'antropologia quello dei rapporti di potere; se i secondi dipendono in modo quanto mai evidente dai primi, essi no n si inscrivono nellaloro stessa durata: il potere non è mai tanto repressivo com e alla vigilia del su

o crollo; non è mai tanto tentato di servirsi della forza com e quando la sua debolezza diventa palese, quando il mutamento dei rapporti di fo rza diventa a tutti evidente. Precisiamo ancora che i poteri non vanno tutti all o stesso passo del potere; dei sintagmi sono ancora o già formulabili, pensabili e messi in opera quando la rivoluzione delle istituzioni si è già o non si è ancora rea lizzata: l'istituzione non è che un elemento della sintagmatica del potere e indub biamente è più vulnerabile di altri, malgrado la sua resistenza, all'evoluzione dei rapporti di forza. Quanto all'analisi di queste forze, essa si riferisce alla lu nga durata e talvolta ai diversi spazi: l'evoluzione delle curve demografiche, l e trasformazioni dell'attività economica, l'ascesa di nuove classi, lo stato del m ercato internazionale non compaiono nella configurazione locale dei poteri e nel la coscienza degli attori sociali che al termine della loro azione «strutturante», q uesto termine avendo esso stesso la propria durata e non essendo mai immediato: la messa al

la prova dei poteri precede la crisi del potere; una contraddizione t otale frai poteri e il potere non è, letteralmente, pensabile, e l'effetto di riv oluzioneo di sovversione del potere è un effetto di rottura; ma la flessibilità sin tatticadell'ideologica le permette di «reggere» nell'attesa della rottura: sotto Lu igi Quattordicesimo il gentiluomo borghese è ricco ma ridicolo; lo snobismo dei "p arvenu" che non sono ancora arrivati è l'inversione permanente ma alla rovescia, i l plagio, la caricatura, il mimetismo, la debolezza e la forza relativi di color o che si trovano in posizione di forza ma non hanno né il potere né tutti i poteri; l'aspetto del rapporto di forza fuorvia, dato che si riflette nello specchio del potere: immaginare M. Jourdain (11) al potere è indubbiamente molto difficile, ma

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pur sempre meno difficile, agli occhi dei piccoli signori o degli aristocraticiin rovina che gli spillano denaro, che farne l'arbitro delle eleganze. Se nessuno presta attenzione alla propria prosa (gli viene così naturale!) è perché vuole fare dei versi. L'Occidente, oggi, non si stanca delle «eccentricità» dei suoi re-negri odei suoi emiri; queste rassicurano, inquietano, affascinano. L'antropologia ideologica tende a ricostituire la configurazione del potere e de i poteri in un luogo e in un momento determinati. Postula anche che configurazio ne e pratica dipendano da strutture omologhe in tutti i tipi di società; questa om ologia, d'ordine pratico e sintattico, è di per sé un oggetto distinto da quello del la storia e dell'economia, ma vi si integra e ne dipende. L'analisi ideologica p uò vertere indifferentemente, a differenza dell'analisi strutturalista, sulla real tà di una determinata società o sulla realtà comparativa di diverse società; essa deve r iguardare simultaneamente, a differenza dell'analisi storicistica o economistica , la realtà individuale e la realtà sociale. Infine, per essa, contatto e cambiament o sono oggetti di analisi antropologica. Il potere non è potere, riconosciuto ed e fficace,se non in quanto riesce ad apparire, più o meno approssimativamente, come la somma dei poteri. Non si può concepire in modo duraturo un potere istituito co ntro uno dei poteri che dovrebbero costituirlo. Questi poteri, di cui abbiamo ri cordato la diversità e la convergenza a proposito delle società lignatiche, concerno no tutti i rapporti di senso e d'interpretazione: del sé con il sé, del sé con l'altro , del sé con gli altri e degli uni con gli altri. Quale che sia il grado d'indipen denza o d'autonomia istituzionale di questi poteri, è la logica delle loro relazio niesplicite e implicite a costituire, in senso proprio, la logica del potere st esso. Questa ideologica sembra strutturarsi secondo tre modalità complementari, tr e

regole sintattiche pratiche. La prima di queste è la messa in relazione o sdoppiamento, attraverso la quale s'i mpone una dialettica dell'interno e dell'esternoe si esprime la vulnerabilità ape rta dell'individuo; la seconda la metonimia, attraverso la quale s'impone una di alettica del singolare e del plurale e si esprime il carattere naturale delle co strizioni gerarchiche; la terza è l'inversione,attraverso la quale s'impone una d ialettica del medesimo e dell'altro e si esprime il carattere non individuale de l potere. - Il doppio. L'identità, nelle società lignatiche africane, si definisce sempre in modo relativo: in relazione all'altro (padre, nonno, antenato) che interviene parzialmente nel la costituzione della persona biologica e psichica (in termini di eredità), in rel azione a coloro (parenti, alleati, membri della stessa classe d'età) la cui azione o reazione influisce non solo sul comportamento della persona ma sulle sue comp onenti (in termini d'entourage). Sotto questo aspetto, le credenze nella stregon eria rappresentan

o il complesso più spettacolare; la malattia e la morte vengono s pesso attribuite all'azione di un altro, il quale, secondo la teoria locale, può e ssere situato in termini sociali rispetto alla vittima. Abbiamo già insistito, qui e altrove, sulla costrizione sociale che impone questi tipi di credenza: presso gli abitanti delle lagune della Costa d'Avorio, il primo a essere sospettato (i l capo del matrilignaggio del morto) è anche il solo che può decidere se il cadavere sarà interrogato o no. Sono molti gli esempi che esprimono la necessità di distingu ere fra sospetto e accusa e che invitano a riconoscere i legami teorici e pratic i esistentinelle società locali fra poteri psichici ("mystical", dice Leach) e po tere politico. Le teorie dell'influenza e della forza psichica, dei poteri spiri tuali di aggressione di difesa non descrivono i margini del sistema o i marginal i del potere ma il sistema e il potere stesso. Così, il rapporto del sé con il sé è semp re già unrapporto del sé con l'altro e il rapporto con l'altro è sempre già un rapporto sociale

inscritto nella configurazione politica. Allo stesso modo, il biologico è sempregià parte anche dello psichico; la salute del corpo e dello spirito è alla m ercé d'un potere esterno; lo psichico fa parte ancora del Sociale, tanto che ogni disordine del primo rimanda a un disordine del secondo; i turbamenti somatici o psichici rinviano sempre a una perturbazione dell'ordine sociale dove normalment e si situano le relazioni padre/figli, zio/nipoti, sposo/sposa, le relazioni fra

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alleati, fra membri dello stesso lignaggio, co-residenti, membri d'una stessa generazione eccetera. L'identità è sempre minacciata non solo nel suo equilibrio o ne lla sua esistenza, ma nella sua stessa definizione: un "awa wro" (stregone) mort o, o più esattamente il suo "wawi" (questa parte dello psichismo che si sposta «in d oppio» su altri per attaccarli o difenderli), può imbattersi in una donna incinta e sostituirsi o integrarsi al bambino che essa porta in grembo; i segni scoperti a lla nascita di un bambino possono rivelare che egli incarna parzialmente unante nato scomparso - la stessa regola vale nel caso del figlio maggiore del figlio m aggiore di un morto; ma capita che il cambiamento d'identità avvenga durante la vi ta di un individuo il quale eredita lo "wawi" del fratello o del nonno prima del la loro morte. Come dire che la forza fisica e morale non è mai indipendente dal potere che l'esp rime o che, in ultima analisi, la vera forza è sempre legittima. Una posizione soc iale forte autorizza solo una rivendicazione d'influenza e d'autorità che, isolata , diventa sospetta e può essere messa in discussione e denunciata se non poggia su una realtà istituzionale: la dipendenza psicologica e la sottomissione sociale so no tanto più irreversibili dato che tendono a corrispondere agli stessi tipi di re lazione sociale. Poiché i sistemi che permettono di misurare forza, influenza e po tere sono essenzialmente schemi d'interpretazione dell'evento, l'individuo è costa ntemente invitato a rapportare le incognite dellasua esistenza, compresi i fatt i della sua vita biologica più intima, alla condizione della sua situazione e dell e sue relazioni sociali. Misura dell'altro e misurata sull'altro, l'identità non s i costituisce se non rischiando di perdersi; ma essa non si costruisce mai se no n in rapporto allo sguardo e alla posizione degli altri: nel loro sguardo si leg gono, s'indovinano o si apprendono l'interpre

tazione di comportamenti dal senso fondamentale e il verdetto che foggia retrospettivamente la verità della persona; quanto alla posizione degli altri, essa definisce di rimando le diverse situazio ni di cui l'individuo deve tener conto per definire, insieme alla sua posizione strutturale, la sua identità. Non senza rischi: il margine d'incertezza che separa la definizione meccanica dell'identità personale dalle ipotesi plausibili non si riduce che alla sperimentazione, in funzione delle lezioni dell'evento, degli at teggiamenti e delle reazioni dell'entourage; è significativo che, in numerose soci età africane, il termine che designa una delle presunte istanze dell'apparato psic hico connoti la nozione d'ombra aggettata: un elemento essenziale dell'identità pe rsonale non si manifesta così se non allaluce del giorno, nello sguardo degli alt ri; e se scompare, una volta sopraggiunta la notte, è per unirsi alla battaglia de lle ombre, alla vita notturna «in doppio»i cui risultati non si misurano, a lungo t ermine o d'improvviso, se non quando è

tornato il giorno. Nella congerie dei sogni , che la prudenza ordina di ricordare e interpretare, chi saprebbe distinguere a colpo sicuro la traccia delle aggressioni subìte da quella delle aggressioni comp iute o tentate? I fantasmi notturni aggiungono un dubbio a tutti quelli che l'in dividuo può avere sul proprio contoe che, in definitiva, solamente la coscienza e la pratica degli altri dissiperanno. L'ordalia e l'autopsia cercano di scoprire all'interno del corpo il marchio(il riflesso interiore o la traccia fisica) rivelatore di una natura e di un'identità; la letteratura africanistica è ricca di informazioni riguardanti poteri ("ker" pe r gli Alur, "tsav" e "swem" per i Tiv... ) simultaneamente fisici, psichici e po litici che possono ancorarsi alla carne stessa, nell'intimità viscerale deiloro d etentori, pur non essendo necessariamente acquisizioni di sempre o per sempre. P resso gli abitanti delle lagune ivoriane la capacità di rigettare facilmente, di v omitare il veleno della prova ordalica, dimostra meno l'innocenza che l

a forza, ma s'intende che quest'ultima, quand'anche costituisca l'essenziale del senso e dell'identità della persona, proviene da un altro luogo e va altrove, siintende a nche che la prestanza e la buona salute diurne e quotidiane sono indizio di una vittoria incessantemente riaffermata nel combattimento notturno dellevite in do ppio; la forza stessa si manifesta incessantemente, il che equivale a dire che s i manifesta attraverso il rapporto con gli altri e che tale manifestazione è quell a stessa del potere. L'individuo si sa e si sente sempre già sociale. - La metonimia.

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Ma dove si situa l'altrove in rapporto al quale l'individuo si definisce, si cos truisce e si cimenta nell'esistenza sociale? Questo altrove stesso è descritto, in dicato e orientato dalle linee di forza e di senso che tracciano le teorie local i dell'ereditarietà, dell'eredità e della successione. «Non si rompe il lignaggio», dice la teoria della laguna, giustificando così la trasmi ssione «orizzontale» dell'eredità e della successione (da primogenito di stirpe a prim ogenito di stirpe, con ritorno alla stirpe maggiore allorquando si è esaurita la l ista dei primogeniti di stirpe). Tuttavia, da una parte la stirpe maggiore resta preponderante e la segmentazione minaccia pertanto che l'allargamento della cat ena genealogica tendaa rendere inoperante la gerarchia delle stirpi, dall'altra parte la teoria passa sotto silenzio - appunto perché parla in termini di stirpi - tutti i non primogeniti la cui probabilità di accedere all'eredità e alla successi one diminuisce in proporzione diretta con l'allontanamento dalla stirpe maggiore , con l'allontanamento dal primogenito della propria stirpe e con l'ampiezza del la catena genealogica. Da ciò si traggono almeno due insegnamenti: la segmentazione lignatica è un principi o di ordine; lungi dall'intervenire necessariamente contro l'ordine esistente, e ssa è utile alla riaffermazione del principio di anzianità; in secondo luogo,le reg ole di successione e di eredità formulano in un linguaggio universalistico, al sin golare-plurale (come l'etnologo che parla di zio e di nipote, di padre e di figl io), principi che riguardano in modo diverso coloro di cui parlano e coloro a cu i si rivolgono. Per la maggior parte degli individui i problemi di eredità non con cernono che qualche bene particolare; l'accesso alla piena «cittadinanza», che si re alizza progressivamente sotto il controllo di un anziano (presso gli abitanti de lla laguna, il padre o l'erede del padre), è ben più significativa, gia

cché consacra i l raggiungimento dell'autonomia relativa, l'accesso diretto alla produzione e la possibilità, offerta con l'autorizzazione a sposarsi, di avere figli e di crearsi un ambito di produzione e di autorità relativamente indipendente; questo accesso assomiglia molto, per certi versi, a un'eredità: infatti, un individuo non acquisi sce il diritto di esercitare i suoi doveri paterni fin quando ilpadre non rinun cia ai propri; ma questa stessa rinuncia non interessa che le prestazioni ordina rie. L'«affrancamento» dei figli comporta per loro l'obbligo di versare prestazioni al proprio matrilignaggio, di modo che, per i capi di matrilignaggi potenti, la rinuncia ai diritti paterni produce come normale contropartitaun rafforzamento dei diritti avuncolari. La successione e l'eredità in linea materna non interessano che un numero molto li mitato di individui, sebbene la formulazione della regola possa lasciar intender e che tutti i rappresentanti di una stessa generazione debbano avervi accesso pr ima che i membri della generazione p

recedente possano avanzare pretese. Ma quest a indicazione ugualitaria della regola non corrisponde ad alcuna realtà; la vera d istinzione fra maggiori e cadettinon è una questione di generazione: essa si appl ica all'ordine delle nascite in uno stesso gruppo di fratelli, all'ordine delle stirpi all'interno di uno stessolignaggio. La sola conseguenza del linguaggio u niversalistico della regola è cheesso non esclude nessuno a priori; la regola ste ssa non deve essere considerata al di fuori del suo rapporto con le altre norme, in particolare quelle dell'ereditarietà; quando un giovane viene scelto a spese d i un altro più attempato, quando una stirpe viene favorita a spese di un'altra meg lio situata, non si tratta di un'eccezione rispetto a una regola definita in man iera esclusivamente giuridica; di fatto, si può dire indifferentemente che nessuna istituzione è assolutamente autonoma o che nessuna regola è strettamente esclusiva; la costrizione nasce dal rapporto intellettuale postulato fra diversi elementi; la posizione sociale è uno di

questi, ma non si manifesta pienamente se non in ra pporto alle altre caratteristiche (salute, fortuna, intelligenza...) dell'indivi duo che la occupa e di coloro che possono avanzare pretese su di essa; tutte que ste caratteristiche non vengono osservate, analizzate e interpretate se non in q uanto segni che rimandano agli altri elementi costitutivi dell'identità individual e, soprattutto le diverse forze ereditate per via agnatizia o per via uterina. I l vero potere è l'accumularsi in uno stesso individuo di tutti questi elementi; ma se i fatti manifestano un certo scarto fra collocazione ideale e la situazione

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reale degli individui (accade che un fratello minore si dimostri per esempio mol to più adatto del maggiore alla gestione del lignaggio), questo scarto potrà essere ridotto cambiando la posizione sociale degli individui interessati, non per mezz o di un colpo di forza giuridica ma attraverso la sottomissione all'ordine del p otere. E' evidente che questa logica delle cose lascia uno spazio alle strategie della pratica; ma questa evidenza non contraddice affatto quella della potenzia le identificazione fra ordine delle cose, ordine intellettuale e ordine sociale. Essa rammenta piuttosto l'istituzione della guerra tra fratelli nemici e l'indi fferenza mostrata dai reami dell'Africa orientale verso la persona del sovrano, per poco che sia riaffermata l'identità del potere. Se il discorso sull'eredità e sulla successione non parla che dei punti forti del sistema, quantomeno essosi applica a tutti; l'universalità del suo disegno, la no n esclusione sul piano teorico degli individui (la maggioranza) situati a lato d elle linee di forza sono ciò che determina la sua efficacia. Più precisamente, la pr atica di coloro che non ereditano nulla e che non succedono ad alcuno si definis ce nel silenzio del discorso che parla della gestione dei beni e delle persone; l'universalità teoricadel diritto all'eredità o alla successione afferma implicitam ente l'universalità del dovere di sottomissione; se la teoria del diritto prescriv e la pratica del dovere, è parlando solo dei luoghi (o degli individui) in cui for za e senso si concentrano e rispetto ai quali devono situarsi (o agire) tutti gl i altri. L'eredità, inoltre, non si legittima se non attraverso il suo rapporto fo ndamentale con l'ereditarietà, e tutte le teorie della trasmissione delle influenz e, buone o cattive che siano, parlano al singolare-plurale: il potere di difesa, si dirà, si trasmette di padre in figlio presso gli abitanti delle lagune, oppure di nonno in ni

pote; ma per essere più precisi occorre distinguere la linea così def inita relativizzando al tempo stesso il rigore della trasmissione: la linea di t rasmissione non passa che per gli anziani (padre, figlio primogenito del padre, figlio primogenito del primogenito del padre...) ma questo ordine di trasmission e non è che virtuale, preferenziale; l'evento, la constatazione di un'insufficienz a invitanoa reinterpretare una situazione di cui la teoria riuscirà sempre a rend er conto,poiché interpretare è la sua prima funzione e poiché le catene sintagmatiche dell'interpretazione correggono l'effetto paradossale di questo o quell'element o rispetto alla concatenazione inizialmente prevista, cambiando anche alcuni ele menti messi in relazione con esso. In termini di forza, tutti i rovesciamenti d' interpretazione sono possibili; e questo vale anche per le forze di aggressione (trasmesse per via uterina). Ma comunque sia, la linea di forza è sempre distinta. E' particolarmente degno di nota che presso gli Ashanti la pratica del matrimoni o con

la cugina incrociata patrilineare caratterizzi le famiglie principesche, l e quali cercano di riprodurre nella persona del nipote (primogenito) la formula psichica completa del nonno paterno, con tutti i poteri che gli sono associati e , più ancora, con tutta l'ambiguità che corrisponde a questo accumulo. La teoria del potere vuole che poteri distinti e qualificati (quelli della linea agnatizia e quelli della linea uterina) s'intersechino negli uomini che esercitano il potere -potere al contempo inqualificabile e indenunciabile. Parlare di poteri è parlar edel potere; praticare il matrimonio con la cugina incrociata patrilineare è crea re le condizioni della discendenza unica e cumulativa del potere; descrivere i percorsi rispettivi di ciascun principio spirituale è esprimere l'efficacia del lor o accumulo, il carattere inqualificabile del potere. Parlare dell'ereditarietà è par lare dell'eredità; parlare degli stregoni è parlare dei lignaggi; ma anche: produrre una diagnosi su una malattia è intervenire nella politica lignatica o di villag

gi o, particolarmente in materia di gestione di beni o di organizzazione del lavoro ; interrogare un cadavere è chiamare in causa l'organizzazione politica del lignag gio. L'ideologica descrive la semplicità lineare delle cause per indicare lacompl essità cumulativa degli effetti. E' il discorso sulle cause che invita a vivere l' evento come effetto; in questo senso l'ideologica è già metonimica e la metonimia in quanto affermazione della causa per parlare dell'effetto non è che l'equivalente quantitativo dello «sdoppiamento» o della concezione persecutoria del male testimoni ata dalla pratica di lignaggio: l'ambiguità e la forza del potere rimandano alle r ispettive singolarità dei diversi poteri. L'ideologica è «metonimica» in un altro senso, più ampio o più approssimativo, ma abbastan

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za strettamente solidale con il primo: è attraverso la descrizione della parte (le linee selezionate della trasmissione dei poteri) che essa traccia i contorni de l tutto (la totalità gerarchizzata dell'ordine sociale); descrizione e disegno cor rispondono ad altrettante pratiche nella misura in cui la condotta di ogni attor e sociale è informata dal suo rapporto con gli altri attori; la forza degli uni fa la legge di tutti, ma il margine d'incertezza proprio della relazione «in doppio» e il carattere «interpretativo» (e, in questo senso, metonimico) del sistema impongon o agli attori, con una posizione incerta rispetto alle linee di forza e di senso in rapporto alle quali si situano, una vera e propria pratica «sperimentale»; la ma ggior parte delle pratiche sociali consiste, è vero, in pratiche per le quali il t empo è costitutivo del senso, per riprendere l'espressione di Bourdieu; il caratte re problematico e «rischioso» di qualsiasi iniziativa sociale è abbastanza generalizza to: si tratta sempre, per gli attori, di affermarsi senza mostrarsi troppo, di e sistere senza provocare - cosicché l'evocazione delle sineddochi della teoria soci ale ci introduce abbastanza logicamente a quelle stesse pratiche descrivibili in termini retorici come la litote o l'inversione... Resta il fatto chela gerarchia sociale, nelle sue manifestazioni e nelle sue co strizioni più concrete, si esprime nel linguaggio dei poteri in termini di identità più o meno forte. Il vero potere è l'accumulo dei poteri; presso gli abitanti delle lagune ivoriane, la sola identità è quella della linea agnatizia che attraversa i ma trilignaggi nei suoi punti di forza, dove essa interseca le linee di forza della discendenza uterina: linea agnatizia in cui si riproducono con alternanza, come fossero la sostanza stessa del loro psichismo e della loro forza, i nomi dei pr imogeniti dellediverse generazioni. Le combinazioni possono variare ma la diver sità degli esempi

africani può essere espressa con un'unica constatazione: l'ideolog ica àncora la legittimità sociale nell'intimità fisiologica del corpo individuale. Più e sattamente, con un movimento doppio e complementare, fa del corpo individuale il significante della regola e dell'anomalia sociali, e al tempo stesso fa dell'or dine sociale il significante dell'ordine naturale inscritto nei corpi individual i. La logica dell'interpretazione sociale esprime dunque simultaneamente il cara ttere sociale delle incognite individuali e il carattere naturale della gerarchi a sociale. Queste due figure non descrivono esattamente né un'andata e ritorno né un cerchio, b ensì la convergenza asintotica delle dimensioni naturale e culturale dell'individu alità. Se l'esigenza di senso incontra così facilmente l'esigenza dell'ordine, se l' ordine intellettuale e l'ordine sociale tendono tanto facilmente a confondersi ( a questo proposito, si parla in antropologia di rapporti fra il potere e il sacr o), è perché l'esistenza individuale di per sé non ha alcun senso e perché il pri

mo rapp orto intellettuale è anche il primo rapporto sociale; esiste una complicitàiniziale ed essenziale fra l'esigenza individuale di questo rapporto fondamentale e l'au torità sociale che s'instaura e si riproduce tanto più facilmente dato chefonda com e verità naturale la realtà del potere sociale. Se il potere è sempre possibile è perché i l senso è sempre necessario. Questa necessità non determina il grado di costrizione e di disuguaglianza del sistema sociale, ma spiega come, malgrado ladiversità dei regimi politici e delle forme di repressione, il rapporto fra i poteri e il pot ere sia sempre postulato - al di là delle apparenze a volte immediate- come signi ficativo e costitutivo di ogni forma di costrizione. Il sistema africano delle classi d'età è a questo proposito molto eloquente. Mentre l'etnologia lo presenta talvolta come una compensazione degli effetti della gera rchia di lignaggio, esso sembra piuttosto rafforzarne gli effetti; l'istituzione delle classi d'età non è una realtà politica dissociabile dall'organizzazione in lign aggi: appart

iene allo stesso sistema; in Africa occidentale le classi d'età non so no mai tanto sviluppate, sofisticate e importanti nella vita politica come quand o si afferma anche la gerarchia intra- e interlignatica. Le variazioni della cos trizionee della gerarchia hanno per pendant un gioco (gioco di parole e gioco i stituzionale) sulla nozione di età. In società come quelle dida e alladiana (quest'u ltima più gerarchica della prima), anche in alcuni gruppi ebrié, le classi d'età raggr uppano veramente individui della stessa età, ciascuna classe comprendendo un inter vallo di tempo che va dai tre ai quattro anni; il potere di villaggio associa un capo villaggio (il capo di un lignaggio nel caso degli Alladiani, il più vecchio

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del villaggio negli altri casi) a un consiglio di anziani che rappresenta l'auto rità dei lignaggi; il campo d'intervento di questo potere interessa alcune deller elazioni al tempo stesso interne al villaggio e fra i lignaggi; l'autonomia dell 'istituzione politica è molto ridotta; l'organizzazione lignatica garantisce l'int era funzione politica senza l'intervento di un'istituzione specifica; è che tanto le relazioni di discendenza quanto quelle di alleanza definiscono l'essenziale d el campo sociale; le classi d'età intervengono in situazioni rituali determinate ( in particolare il matrimonio, la sepoltura, i funerali) al fianco di uno dei par tner coinvolti in termini di discendenza o di alleanza; l'individuo si inscrive progressivamente nel campo sociale e politico in funzione di dimensioni personal i di cui la sua educazione e il suo entourage lo invitano a decifrare le caratte ristiche e gli effetti sulle reazioni del suo corpo e sulle incertezzedella sua vita psichica e biologica. All'altro capo del mondo della laguna, presso gli Ebrié orientali e gli Atié, l'isti tuzione di classi d'età gioca un ruolo molto più importante. Tuttavia, nessun sistem a di trasformazioni che metta in rapporto di reciproco equilibrio l'organizzazio ne in classi d'età e l'organizzazione in lignaggi potrebbe render conto della «strut tura» di questa nuova configurazione: più la classe d'età esercita un ruolo politico i stituzionalizzato, più si accentua la gerarchia fra i lignaggi; il principio ligna tico e il principio delle «generazioni» non si bilanciano: si rinforzano a vicenda. Le classi d'età sono divise in sottoclassi. Nella configurazione politica atié il po tere politico appartiene effettivamente, per un certo periodo, a una data classe d'età e, più esattamente, a una sottoclasse maggiore, ma da una parte la "chefferie " stessa non può essere ricoperta che dal rappresentante del matrilignaggio dal ba stone d'oro con il quale essa si i

dentifica, dall'altra parte la gerarchia inter na alla classe d'età riguarda il primato delle linee agnatiche maggiori: è l'età socia le a servire da principio per il raggruppamento degli individui - età sociale o età relativa che situa, gli uni rispetto agli altri, tutti gli abitanti del villaggi o in termini di discendenza agnatizia e tutti i fratelli agnatizi in termini di età reale. I figli maggiori appartengono necessariamente alla classe d'età alterna r ispetto a quella del padre, ifratelli di uno stesso padre non potendo appartene re alla medesima sottoclassed'età, di modo che i figli minori si ripartiscono, al l'interno della stessa classe d'età, in sottoclassi diverse da quella del fratello maggiore e, all'occorrenza, nella classe d'età che non è più alterna rispetto a quell a del padre. Il capo di una classe d'età è necessariamente il capo della sottoclasse maggiore e il capo del villaggio è necessariamente il capo della classe d'età al po tere. Così, la persona del capo si colloca nel punto d'incontro di una linea agnat izia maggiore e della lin

ea uterina maggiore del lignaggio che detiene la "cheff erie". Tutte le regole di reclutamento delle classi d'età, tutte le regole di eser cizio del potere del villaggio, l'intera, minuziosa organizzazione dei sistemi l ineari (basati sull'etàreale) e ciclici (basati sull'età sociale) descritti in part icolare da Denise Paulme (12) possono essere ricondotti a un principio di organi zzazione sistematica dell'accumulo di poteri. Tutti passano per le classi d'età; c iascuno afferma lasua solidarietà con i suoi promotori; tutti conoscono le stesse prove e superano le stesse tappe. Ma questo linguaggio condiviso e queste prati che comuni assegnano a ciascuno il proprio posto e mantengono stabile il potere. - L'inversione. "Inversione, perversione". Mai i riti sembrano indicare qualcosa con tanta insistenza come quando danno l'i mpressione che i ruoli s'invertano; contro il susseguirsi dei giorni, al di là del la soglia che separa il profano dal sacro, i significati immediati, le pratiche ammesse, gli atteggiamenti appropriati di colpo s'in

vertono: lo scambio punto pe r punto dei segni fasti e nefasti, della destra e della sinistra, del maschile e del femminile, dell'autorità e della dipendenza pare costituire, al di là delle pra tiche, un modo di dire le cui modalità ci sorprendono e di cui ci sfugge l'oggetto . I funzionalisti hanno cercato di definire questo oggetto, gli strutturalisti d i comprendere queste modalità; e bisogna proprio ammettere che gli uni e gli altri ci lasciano insoddisfatti. Fra i primi, alcuniritengono che i riti di travesti

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mento esprimano la protesta o la resistenza delle donne alla dominazione maschil e; per altri, e anche per gli strutturalisti (si pensi in particolare a Lévi-Strau ss, soprattutto al corso tenuto al Collège de France nell'anno 1974-1975), non si tratta di fare delle figure d'inversione altrettante forme di resistenza: conGl uckman (13) fanno notare come l'esecuzione dei riti funzioni a vantaggio dell'or dine stabilito, con Norbeck (14) come il travestimento riguardi i due sessie av venga nei due sensi, con Lévi-Strauss come, attraverso il clawnismo rituale,gli u omini «si sforzino di assimilare la femminilità nella propria umanità». Restano ancora due domande, che riguardano l'una la pertinenza e l'estensione de l concetto d'inversione, l'altra il senso di pratiche di cui né i riduzionismi fun zionalisti né le costruzioni strutturaliste possono rendere conto completamente. I nnanzitutto, si può rigorosamente parlare d'inversione a proposito dei riti di tra vestimento sessuale e di «ribellione» politica? E inoltre, sono assimilabili o compa rabili questi due tipi di riti? Le analisi di Lévi-Strauss si limitano ai riti di travestimento, mentre il repertorio stabilito da Norbeck arriva ad abbracciare n on solo i riti d'inversione politica ma addirittura altre forme di conflitti rit ualizzati e di comportamenti paradossali rispetto alle norme quotidiane. Prima di stabilire quale rapporto di senso possa rappresentare il capovolgimento delle relazioni di genere e delle relazioni di potere, è bene sottolineare il car attere relativo - sul piano logico e sociologico - di questo capovolgimento. All o stesso modo, abbiamo proposto di considerare le relazioni caratterizzate dallo sdoppiamento (quelle che informano le credenze nella stregoneria) come incluse nel campo delle strutture sintagmatiche della logica e della pratica sociali: lo «stregone»non è che in parte l'inverso dell'uomo «normale»; le coppie d'opposizione nott e/giorn

o, ubiquità/località, cannibalismo/non-cannibalismo non esprimono che un aspe tto del «mondo» della stregoneria; quest'ultimo, sotto ben altri aspetti, rende cont o molto direttamente dei rapporti di forza sociali, diurni e quotidiani: la pote nza, la ricchezza, il potere si spiegano anche mediante il possesso delle forze cherendono lo stregone potente. L'ambiguità si rivela ambivalenza allorché a una in terpretazione esegetica si sostituisce, punto per punto, una logica dei discorsi articolabili e delle pratiche realizzabili, dei rapporti di senso e di forza. Checosa ne è, dunque, del concetto d'inversione quando si applica alle pratiche r itualizzate descritte dall'antropologia? Capita che il discorso locale renda con to direttamente di questa ambivalenza, che il concetto di «potere di aggressione» si scomponga da solo in significati puramente quantitativi, in pure e semplici val utazioni del rapporto di forza, del peso corrispettivo di ciascuno degli elementi messi in relazione. I Ge e gli Watchi del sudest del Togo non distinguono, com

e fanno gli abitanti della laguna ivoriani, fra un potere d'aggressione e un pot ere di difesa; è esplicitamente lo stesso potere ("aze") a servire allo stregone e a colui che deve proteggersi. Nella regione di Anfouin, il "vodu" Akpaso è detto essere un "vodu" d'"aze", ma con questo bisogna intendere che esso serve tanto a d attaccare quanto a difendersi; la potenza relativa di ogni rappresentazione di Akpaso può essere misurata con precisione, dato che ci sono sedici metamorfosi di Akpaso e ciascuna di esse costituisce un ricettacolo più o meno grande di poteri più o meno importanti: ogni metamorfosi differisce da quella precedente mediante l 'aggiunta d'un elemento supplementare. Akpaso è acquisito per eredità o per acquisto : in tutti i casi si trasmette di individuo in individuo; comprare un Akpaso, "a fortiori" un Akpaso che possieda la totalità dei suoi poteri, costa caro. Quanto ad Akpaso stesso o al potere che esso incarna, gli informatori possono dire che «n on rifiuta né il bene né il male». Quando Akpaso protegge un cortile (la colloca

zione del suo altare, non lontano dall'ingresso del cortile, rende questa protezione m olto evidente), gli stregoni che desiderano attaccare devono domandargliil perm esso di farlo - permesso che si ritiene ottengano più facilmente se possiedono ess i stessi un Akpaso e con molte più difficoltà se l'Akpaso che protegge colui che vog liono attaccare è più forte del loro. Ogni cosa è una questione di forza, di una forza che non si tratta di qualificare quanto di misurare. Altre distinzioni talvolta presenti nella letteratura antropologica vengono d'un sol colpo a cadere. L'"aze" rimane un potere psichico individualizzato, ma non viene distinto da quello posseduto dal "vodu" inteso come divinità e come rapprese ntazione materiale di questa. L'aze si eredita, ma il "vodu" che l'incarna può ess

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ere acquisito. La distinzione fra "witchcraft" e "sorcery" appare pertanto relat ivizzata agli occhi dell'antropologo, mentre agli occhi delle popolazioni locali le possibilità d'interpretazione dell'evento sono continuamente moltiplicate. Ogn i enunciato che fa intervenire il concetto d'"aze" riguarda più oggetti di quanti non ne designi espressamente: se, al limite, si può dire una cosa e il suo contrar io, è perché il linguaggio dell'"aze", linguaggio ideologico, è metonimico. Linguaggio cinico del rapporto di forza, linguaggio metonimico del rapporto ideologico, il linguaggio della stregoneria non è forse molto vicino, in definitiva, a quello de i rituali d'inversione? Tanto più le «astuzie» di Akpaso indurrebbero a sottolineare q uesta prossimità dato che rammentano con la loro apparente ingenuità - di fatto evid entemente provocatoria - i miseri trabocchetti posti in alcuni rituali d'inversi one e in altre pratiche simboliche al fine di distogliere i cattivi spiriti, gli stregoni o gli dei dall'azione. Per disarmare gli spiriti malintenzionati; colui che possiede un Akpaso gli offr e delle uova: dono dal duplice uso, giacché i possessori d'"aze" sono molto golosi di uova; se si presentano all'ingresso del cortile che vogliono attaccare, essi si attarderanno, si pensa, davanti all'altare presso il quale è esposta la loro l eccornia preferita: il tempo d'un pasto e il loro corruccio si placherà; Akpaso li disarmerà «con dolcezza», senza tradire nessuna delle solidarietà apparentemente contra ddittorie che lo legano ad avversaridevoti. La descrizione dello spirito di com promesso del dio, della golosità e dell'ingenuità degli stregoni nonché dell'astuzia d el devoto ad Akpaso fa sorridere isuoi stessi autori; tutto ciò, nella loro mente , non è che un modo di dire, un modo di dire senza proclamare verità straordinarie, un modo di esprimere qualcosa senza forzare con avvertimenti ultimi, secondo una pratica propriamente metonimica:

il dono al dio è destinato a coloro di cui deve scongiurare la minaccia; se si presta attenzione al fatto che uno stregone capac e è ritenuto essere a sua volta devoto di Akpaso, questo gioco di senso sulla caus a e sull'effetto costituisce dasolo un fenomeno molto vicino ai riti cosiddetti d'inversione: è insomma il ricettacolo di tutte le minacce a venir preso come pro tettore, a essere pregato e ringraziato. Allo stesso tempo, potenze conosciute c ome temibili e credute tali verrebbero giocate con trucchi elementari. Di un gioco in effetti si tratta, attestato in numerose pratiche sorprendenti ch e appaiono tutte come sovvertimenti dei rapporti di forza e dello spirito di ser ietà: in numerose società africane, allamorte d'un gemello, si sotterra anche un'im magine dell'altro gemello, lo si fain maniera esplicita e ufficiale affinché il m orto, tratto in inganno, non tornia cercare il sopravvissuto; si dona un figlio a un'altra famiglia al fine di preservarlo dagli attacchi di uno spirito malevo lo la cui potenza è stata comprovata

dalla morte di precedenti bambini; si offrono al dio protettore del vaiolo glialimenti che gli sono proibiti affinché si allon tani, deluso, e porti via con sé l'epidemia. Tutti comportamenti attraverso i qual i il simbolico tende a identificarsi con il parodistico, giacché ogni cosa accade come se, nei momenti limite, quelli in cui sono in gioco la vita e la morte dell 'individuo o dei gruppi, si dovessero manifestare in modo quasi ludico uno scher no e una qual perversione deirapporti abituali; con questo scherno e con questo sovvertimento gli attori sembrano rischiare il tutto per tutto in un atto estre mo che, dal loro punto di vista, non può suscitare che la complicità o lo scatenarsi di coloro che fanno finta d'ingannare. Nei riti detti d'inversione, in generale, ci si trova a confronto proprio con un sovvertimento dell'identificazione postulata abitualmente fra rapporto sociale e rapporto di senso piuttosto che a un'inversione di questi rapporti. L'«inversion e» sociale non è mai lo stretto equivalente dell'inversione logica (che

inverte l'or dine dei termini di una data proposizione e ne inverte al tempo stesso il senso) , né dell'inversione grammaticale (che scompiglia l'ordine analitico delle parole in una frase senza tuttavia mutarne il senso). La proposizione «tutti i matti sono cattivi» è l'inverso della proposizione «tutti i cattivi sono matti»; l'identità di senso fra due proposizioni inverse non può essere postulata o suggerita se non dall'app arato repressivo di un sistema almeno potenzialmente totalitario, quando questo tende a identificare deviazionismo politico e anormalità psichica e a suggerire, p er esempio, indifferentemente, che tutti gli oppositori sono violenti e che tutt e le violenze sono proprie dell'opposizione. Quanto allo snobismo dell'inversion

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e grammaticale, è ancora M. Jourdain a esserne, suo malgrado, l'eroe: «Bella marches a d'amore, i vostri occhi morir mi fanno». Notiamo che l'inversione grammaticalee sige uno sforzo di memoria da parte dell'ascoltatore (e del locutore), giacché la frase non si rivela come enunciato significativo se non quando l'ultima parola è s tata definita e pronunciata. L'inversione sociale, dal canto suo, sembra oscilla re da un'inversione all'altra - al tempo stesso pare ammettere che le verità sono paradossali e che possono invertirsi (in un certo senso il re è schiavo e, per un momento, lo schiavo può essere re) e suggerire che, in definitiva e retrospettivam ente, non viene mai significato, in tutti i sensi della parola, che l'ordine nor male delle cose: «Bella marchesa, i vostri occhi mi fanno morire d'amore». Soffermiamoci, tuttavia, sul carattere paradossale e retrospettivo delle verità ri tuali. Questo carattere vale tanto per i rituali detti d'inversione politica qua nto per i rituali detti d'inversione sessuale; di per sé pare dimostrare la loro profonda identità. Prenderemo come esempio uno dei rituali «politici» di un reame (il r eame agni dell'Indénié studiato da Claude-Hélène Perrot) (15) e un rituale di travestime nto sessuale di una società strutturata in "chefferie" che ho studiato personalmen te (la società mina del sud del Togo); le verità che l'uno e l'altro sembrano sugger ire e mettere in scena sono innanzitutto paradossi: esse si scontrano con l'opin ione comune e talvolta arrivano a invertirla. Alla morte del re agni, gli "aburua" prendono possesso della corte regale. Gli " aburua" sono i figli di padre e di madre schiavi, in contrapposizione agli indiv idui liberi di nascita, agli schiavi veri e propri ("kanga") e agli "auroba" (in dividui di cui solo la madre è schiava). Gli "aburua" o, piuttosto, un certo numer o di essi, conosciuti inanticipo (hanno per madri le schiave entrate più anticame nte nella corte regale),

ricostituiscono un'immagine e una parodia dell'apparato regale: viene designato un «re», che deve essere eloquente e capace di sostenere il suo ruolo con brio; locircondano e l'accompagnano una regina, dei servitori e dei portatori di bastone. Tuttavia i "kanga" cercano di sfuggire ai carnefici de l re, poiché un certo numero di essi deve essere messo a morte e sepolto insieme a l defunto. L'"aburua"s'identifica con il re, di cui prende il posto quanto ad a bbigliamento, mimicae condotta: indossa i gioielli del re, sottrae dal suo lett o di morte dei panni di cui si riveste, danza la danza regale il cui solo accenn o normalmente mette a repentaglio la vita di chiunque non sia il re; è portato sul catafalco del re e può costringere il giovane fratello del re defunto a portarlo; rispetta le interdizioni alimentari del re e, come lui, non può spostarsi da solo , né posare il piede nudo sul suolo. L'"aburuahene" (letteralmente, il re - "ehenne" - figlio di schiavi) e i suoi co ntrollano l'ingresso del cortile dei funerali; non contenti d'

identificarsi con il potere regale, essi lo spingono ai limiti, dando mostra diuna smisuratezza c he il potere legittimo non può permettersi: possono insultare,colpire e spogliare i principi. Il momento di smisuratezza è più ancora un momento di verità; i figli deg li schiavi denunciano il dispregio nel quale sono ordinariamente tenuti; pronunc iano minacce e rimproveri in confronto ai quali il loro abituale riserbo può passa re per dissimulazione dei rapporti reali; allo stesso tempo, sono i soli a procl amare la morte del re, della quale nessuno ha diritto diparlare. Uomo di una ve rità che assomiglia insieme alla caricatura e alla sfida,il falso re beve e si ri mpinza con i suoi compagni quando il resto della societàdigiuna e tace, provocand o la spoglia del re e invitandola a venire a condividere il suo pasto («Tu che non sei morto, alzati, vieni dunque a mangiare con noi, ora»), Don Giovanni di un fes tino dalla fine inevitabile: al termine dell'interregno, il falso re è messo a mor te. Un falso re in effetti, poiché altri hanno in mano

il controllo di un potere che è p iù messo da parte che veramente messo in discussione. A partire dalla fine della p rima parte dei funerali, viene nominato un sostituto (che può essere il presunto e rede) per sbrigare le faccende di ordinaria amministrazione; il grande intendent e convoca i notabili, inventaria davanti a loro i beni regali, chiude certe stan ze del palazzo in attesa di rendere i conti e fare un nuovo inventario al cospet to del nuovo re. Il re di parata non ha accesso né ai beni né agli affari: rappresen ta il potere, ma questa rappresentazione èanche un gioco della verità. Consideriamo direttamente i giochi d'inversione ai quali si consacrano, nel paes

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e mina, le donne di Avlekete, "Avlekete si"; la regione mina-ge, nel sudest delTogo, è tuttora il luogo di una organizzazione religiosa rigorosa e al contempo sp ettacolare. Benché, indubbiamente, non siano contemporanee né abbiano la stessa orig ine, l'organizzazione in patrilignaggi ("k[c]ta") (15 bis) e l'organizzazionein conventi si sovrappongono oggi - e senza dubbio da lunga data - in modo sistema tico. Molti lignaggi hanno un convento consacrato a uno o a più "vodu", un luogo d i culto e di formazione riservato, nel paese mina, all'educazione delle ragazze o per lo meno di alcune ragazze del lignaggio o di figlie di donne del lignaggio . Le sacerdotesse di Avlekete sono scelte in base alle stesse condizioni (una ma lattia è il segno della loro elezione e appartengono a un lignaggio particolare), ma il loro ruolo interessa l'insieme della comunità del villaggio. In confronto ag li altri "vodu", Avlekete è di per sé e per molti aspetti un "trickster", una divini tà paradossale; potente ma buffone, rappresenta innanzitutto, insieme alle istituz ioni che gli sono collegate, la presa in giro del culto, in un certo senso l'inv ersione dell'inversione. Tutti i conventi si presentano, materialmente, come alt rettante soglie al di là delle quali le pratiche si specificano, quando non s'inve rtono: i fedeli devono camminare a piedi nudi, a torso nudo; i gesti che normalm ente vengono compiuti con la mano destra sono compiuti con la sinistra; tutti i "vodu", insomma, hanno proprie esigenze e interdizioni. Con Avlekete è proibito pr oibire; il solo divieto che pesa sulle sacerdotesse di Avlekete è quella di rispet tare i divieti. Esse non hanno alcun divieto proprio. Tuttavia sono tenute a non rispettare gli usi degli altri, pena il rischio di ammalarsi, al pari di quelli che trasgredisc ono i loro divieti. Così, quando nella boscaglia,ai crocicchi, s'imbattono in un sacrificio offerto a qualche divinità, esse devono

appropriarsene, se può essere anc ora consumato, oppure disperderlo colpendolo sette volte con il piede se è stato o fferto da troppo tempo. Nella vita di tutti igiorni, esse assumono un comportam ento maschile, e più ancora che maschile, provocatorio; partecipano alle riunioni degli uomini, che allietano con le loro spiritosaggini e i loro interventi inopp ortuni; parlano a voce alta e forte. Possono, di diritto, intervenire in qualsia si cerimonia. Le loro danze sono all'insegna del travestimento sessuale: coperte di vestiti maschili, esse maneggiano con vigore, ritmo, insistenza e precisione evidenti simboli fallici. Un tempo (dato che su questo punto, come per buona parte del rituale agni, l'oss ervazione si riduce alla raccolta delle testimonianze orali), le donne di Avleke te - la cui azione è originale anche perché concerne l'intero villaggio - avevano du e attività principali: regolarmente (una volta ogni sette mesi lunari) esse si fac evano carico di ripulire e purificare il villaggio - "du me grado": riparare, ri pristinare

("grado) in ("me") il villaggio ("du"), oppure "du me pl[c]p[c]": spa zzare nelvillaggio -, una purificazione intesa simultaneamente in senso stretto e in senso figurato. In caso di epidemia, e in particolare in caso di vaiolo, e rano incaricate dai rappresentanti di tutti i conventi di portare offerte sacrif icali al "vodu" responsabile; ma queste offerte erano anche provocazioni: si tra ttava di offrire al dio del vaiolo gli alimenti che gli erano proibiti, di modo che questi, deluso, prendesse la fuga, portando con sé l'epidemia di cui era al co ntempo simbolo, ricettacolo e rimedio. Ancora una volta, identità dei contrari ed evocazione della causa per esprimere gli effetti definiscono un rituale apparent emente irrispettoso, un'astuzia simbolica, la cui sola spiegazione pare trovarsi nella situazione limite, la crisi della società e del potere. L'interregno e l'epidemia hanno infatti in comune che mettono in discussione dir ettamente il potere; il vuoto di potere è di per sé abbastanza temibile, per non par lare della morte del r

e; ma in diverse società questo divieto riguarda anche la mo rte del capo o di certi notabili, e per un certo periodo può persino corrispondere a una pura e semplice dissimulazione. I disordini simbolici che accompagnano qu este morti si associano talvolta a disordini reali; la guerra di successione può e ssere una vera e propria istituzione. Quanto all'epidemia, essa rappresenta una minaccia di estinzione demografica e costituisce da sola una negazione del poter e; una parte della società rischia di non poterle sfuggire se non attraverso la fu ga e la dispersione che consacrano il crollo o, almeno, il rovesciamento del pot ere istituito. Che cosa rappresenta lo scambio dei ruoli politici e sessuali di

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fronte a tali disordini? Il «re figlio di schiavi» (aburuahene) si afferma libero in contrapposizione alla su a condizione di figlio di schiavi; allo stesso tempo si afferma «re» rispetto alla c ondizione di uomo libero; e, sempre allo stesso tempo, parodistico, provocatore e, in qualche modo, senza misura rispetto alla condizione regale: dice crudament e la verità del potere regale, insulta il cadavere del re, abusa visibilmente dell a sua posizione privilegiata. Le donne di Avleketesi affermano «maschi» rispetto al la loro condizione di «femmine»; allo stesso tempo siaffermano «divine» rispetto alla c ondizione maschile: sfuggono ai divieti degli altri uomini, intrattengono con la divinità rapporti di familiarità e, nelle circostanze drammatiche, vengono inviate a contrastare la sciagura e la rovina, quale avanguardia della società. Tuttavia, esse sono paradossali ed eccessive tanto rispetto alla condizione maschile quant o rispetto alla condizione divina. Nelle assemblee degli uomini si comportano co me nessun uomo mai oserebbe e potrebbe fare; nei confronti degli dei, sono porta trici di un'eterna provocazione e s'arrischiano, eventualmente, a scacciarne uno dal villaggio. La struttura di quanto si chiama «inversione», nei due casi, sembra piuttosto poters i scomporre in una serie di rovesciamenti parziali che costituiscono altrettanti sovvertimenti del rapporto normale - sovvertimenti che confermano e rafforzano le risoluzioni prese, che chiamano in causa in un caso gli uomini liberi e il re , e nell'altro il potere maschile e il potere degli dei (vedi la figura 2). FIGURA 2. FIGLIO DI SCHIAVI ---> libero re "--- libero re ---> PROVOCATORE DEL RE DONNA ---> uomo prete "--- uomo prete ---> PROVOCATORE DEL DIO -------------------------------------------------Nessuno statuto è più definibile nell'interezza della sua esigenza intellettuale dal momento che si definisce anche per mezzo del suo contrario - il contrario che

l o rivela per ciò che anche è e che dissimula l'ordinamento della norma quotidiana. S oltanto questa messa a giorno o a nudo fa parte integrante dell'istituzionedel potere; di qui la tentazione, cara alla tradizione funzionalista, di presentarla come la valvola di sicurezza di questo potere, lo sfogo delle tensioni, ilcata lizzatore della violenza..., circoscrivendo in questo modo un altrove del potere che è la condizione stessa del suo esercizio e della sua continuità, la sua assicur azione contro ogni rischio e, in qualche modo, l'humus dell'ecosistema politico. Ma non esiste un altrove del potere; e nemmeno esiste veramente la sua inversion e. Semplicemente occorre, affinché il potere sia credibile, che esso non si riduca alla persona di chi lo esercita o che questa persona non sia affetta dalle vici ssitudini che fanno ordinario l'individuo. Doppia passività: il peso delpotere gr ava sulle spalle del capo o del responsabile in modo molto concreto; ha un'evide nza materiale e naturale che non può essere negata, non più di quella del

le rocce o dei grandi alberi, che si può solamente controbilanciare sorreggendo, trasportando il titolare della carica, in modo da evitargli ogni movimento, ognifatica supp lementare e fatale, ed eventualmente alleggerendolo di parte del carico delegand o alcuni dei suoi poteri. Il peso lordo del potere, la sua inerzia, ha per corol lario la passività del titolare, nominato suo malgrado, coperto di divieti e stran amente irresponsabile. Così, tutti i rituali d'inversione sembranoavere in comune un ruolo politico esse nziale, anche quando vertono in primo luogo sul rapporto fra generi: essi metton o in scena il potere. Così facendo, manifestano tre tratti che sono comuni a ogni potere - tratti complementari, il cui amalgamarsi dà l'illusione di un'inversione sistematica: la passività del potere, il cinismo dell'ideologia del potere e il ca rattere non individuale del potere. Questi tratti si combinano per costituire un a struttura ideologica, nel senso cheabbiamo conferito a questo termine, ma ess

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i non sono semplicemente «espressivi» e devono essere compresi mediante le praticheche mettono in atto e che li definiscono. Questa struttura potrebbe indubbiamente definirsi, in termini analitici, come st ruttura "perversa". Concorrono a questa definizione il ruolo della feticizzazion e (nei riti detti d'inversione, l'altro, che si imita o che si prende in giro, è r idotto a un oggetto simbolo: un vestito, un emblema fallico eccetera), l'ambival enza del tema della morte (respinta e riconosciuta), la deviazione del rapporto «n ormale» in un rapporto parossistico essenzialmente segnato dalla mutazione della f igura del potere (ridotta, da una parte, alla passività totale - il cadavere del r e bistrattato, l'altare del dio sbeffeggiato - e, dall'altra, alla caricatura da i comportamenti spettacolari di coloro che recitano il potere). Chi mette in opera questa struttura? Essa è istituzionale e viene messa in opera d al potere, ma il soggetto ne è apparentemente escluso: chi è il soggetto, colui che interpreta ora il potere (lo schiavo-re) orail sacrilegio (la donna-uomo che sp regia gli dei) o colui che sopporta, fino al ristabilirsi dell'ordine delle cose , l'aggressione sadica del suo doppio caricaturale? Questa scomparsa dell'Apro, che Deleuze, nella sua notevole postfazione al "Vendredi" di Michel Tournier, ri tiene essere la caratteristica della perversione, della «desoggettivizzazione perv ersa», non è forse essenziale all'autorappresentazione del potere nei suoi riti, dov e «né vittima né complice funzionano come degli altrui»? «Il mondo perverso - scrive Deleuze - è un mondo dove la categoria del necessario ha completamente sostituito quella del possibile.» Questo mondo non è forse esattament e quello del potere, quello dove esso si rifugia (sviluppando i temi della passi vità e della morte) e quello a partire dal quale s'impone, imponendo agli altri qu esto passaggio dalla categoria del possibile a quella del necessario

che l'event o (l'altrui assoluto, il possibile assoluto) può incessantemente rimettere in disc ussione? Di qui probabilmente l'importanza degli apparati di prevenzione e d'int erpretazione nell'organizzazione di ogni potere. "La passività delpotere". Se la passività, doppione logico della materialità del potere, è veramente costitutiva del potere dispotico, come ha osservato Deleuze, lo è anche di ogni potere dirett amente o indirettamente legato all'istituzione politica, qualsiasi essa sia. Il re agni è coperto di divieti che anche il falso re temporaneo a sua volta rispetta ; sotto questo aspetto, l'inversione è totale e rigorosamente logica (il re è schiav o, lo schiavo è re). Tuttavia si ritrova qualcosa di questa passività nell'obbligo d i provocazione delle donne di Avlekete, delega del potere nei punti caldi in cui l'ordine sociale si rivela strettamente sottomesso all'ordine naturale: esse no n hanno il diritto di non provocare, sono tanto libere quanto la calamita o il p arafulmine; questa provocazione obbligatoria è strutturalmente lega

ta alla passivi tà e alla pratica del potere (ci ritorneremo). Notiamo, tuttavia,che abbondano gl i esempi che permettono di collegare passività e provocazione diquesto genere a f orme diverse di potere politico o di poteri specifici. Il capo di guerra di una classe d'età ebrié è designato a sua insaputa dagli anziani; i membri della sua classe d'età, informati della scelta degli anziani, lo sorprend ono all'alba, lo afferrano e lo trascinano a forza alle cerimonie che consacrera nno la sua nuova posizione. Quest'ultima, a sua volta, corrisponde a una moltepl icitàdi divieti e alla moltiplicazione dei pericoli corsi; come se l'irresponsabi litàdell'individuo crescesse con il suo valore simbolico: portatore di tutte le i nsegne guerriere, il capo di guerra non combatte; per lo meno, è dietro i combatte nti, attorniato, protetto, portato; ma la sua morte o la sua cattura significa la disfatta: è dunque l'oggetto privilegiato degli attacchi nemici; la sua sola esi stenza, resa più solenne dagli emblemi che sfoggia (il cappello, la sciabola, la

c ollana eccetera), li provoca, li attira e li sfida. Il signore della pioggia ("l amutyiri"), presso i Samo dell'Alto-Volta, è generalmente designato sin da prima d ella nascita dal signore della terra ("tudana"), sette anni dopo la morte del pr ecedente titolare della carica. Viene sempre scelto nello stesso lignaggiodopo numerose consultazioni. Nel corso di questi sette anni, è un parente del defunto c he ha assunto la carica. Il nuovo lamutyiri non entra in carica se non sette ann i dopo la sua designazione; durante questo nuovo periodo di sette anni è il tudana

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ad assicurare l'interim del signore della pioggia. Così si afferma, insieme alla complementarità dei due poteri (che del resto in altri villaggi vengono assunti dalla stessa persona), la possibile permutazione delle persone. Il lamutyiri non è u n capo villaggio, non ha alcun mezzo di costrizione; l'autorità politica in senso stretto appartiene piuttosto all'insieme dei più vecchi del villaggio; resta però il fatto che il lamutyiri è un personaggio di avanguardia, il quale per funzione va incontro all'evento; la configurazione complessiva del potere associa nel consig lio di villaggio i decani dei lignaggi al lamutyiri, il quale consulta gli indov ini, identifica i mali, le colpe e i rimedi, organizza i grandi rituali e convoc a i consigli di villaggio. Quest'autorità indiretta, delegata e provocatrice lo po ne anche nella posizione di potenziale capro espiatorio (proprio come i redi Es iodo e di Omero studiati da Vernant); per funzione, egli si sottomette alla sanz ione dell'evento. Questo carattere aperto e rischioso dell'incarico spiega ed es ige la passività del personaggio; quanto alla sua ambiguità («Tyiri, sei tu il capo il mucchio di immondizie -, quello che raccoglie e prende tutto su di sé...»), essa deriva piuttosto dall'ambivalenza che caratterizza l'esistenza storica: come il capo politico, il signore della pioggia è condannato a vedersi confermato, sostenu to e riconosciuto dall'ordine naturale. Presso i Mossi dell'Alto-Volta, il canto d'investitura del Moro-Naba, effettivo sovrano di un vero e proprio reame, espr ime sotto la parvenza d'una stessa ambiguità, e in termini identici, una stessa "o uverture" sulla storia e una stessa dipendenza dall'evento: "Tu sei unescremento, tu sei un mucchio d'immondizia, tu vieni per ucciderci, tu vieni per salvarci" (16). Françoise Héritier, da cui prendiamo in prestito la descrizione e l'analisi del ruol o del lamutyiri (17), sottolinea tutti gli aspetti involontari

e passivi del suo incarico. Tali aspetti riguardano la nomina del titolare della funzione: «Il bamb ino viene immobilizzato, rivestito delle vesti-insegne dellasua carica, la sua testa viene rasata per la prima volta e i suoi capelli conservati (come lo saran no durante tutta la sua vita, per essere sepolti insieme a lui); di traverso sul le sue gambe viene distesa la bambina, appartenente al lignaggio del tudana e sc elta da quest'ultimo secondo le stesse modalità, che sarà la sua sposa legittima e c he condivide con lui la responsabilità della venuta della pioggia...». Ma tali aspet ti riguardano anche tutta l'esistenza del lamutyiri, ilquale non è mai «padrone dei propri movimenti», non può lasciare il suo villaggio, non ha diritto di correre e d eve persino camminare con precauzione; come il re agni, non può «percuotere il suolo o camminare a piedi nudi», non può danzare con i giovani suoi coetanei né mostrarsi a capo scoperto, non può lavarsi prima della notte o lasciarsi tagliare i capelli p iù di una volta all'anno. Il potere, nelle sue diverse m

odalità, è posto sotto il doppio segno, essenziale ed esistenziale, della vita e della morte. La morte è il suo diritto ultimo e anche c iò da cui protegge gli altri -con la sua azione sugli dei, sulla natura e sui nem ici. Essa è anche, in modo più sottile, una delle sue componenti: bisogna che il pot ere sia come morto, per lomeno che colui che lo incarna sia già passato attravers o la prova della morte, perché l'esercizio del potere non sia più toccato dalla mort alità dell'individuo. I rituali moltiplicano le varianti simboliche intorno al tem a della morte: dal punto di vista del potere, la persona è tanto «buona da pensare» qu anto lo sono i miti. Ma questi esercizi di stile e di pensiero non sono privi di effetti pratici: essistabiliscono al contempo la materialità e la trascendenza d el potere; lo fanno valere come si fanno valere l'evidenza e il peso delle cose, con tutta la brutalitàdel reale che non deve né spiegazioni né giustificazioni; allo stesso tempo, essi fanno di chi esercita il potere il simbolo di quest'ultimo, relativizzando fino al

limite estremo (quello, largamente attestato, della messa a morte del capo) l'importanza della sua identità personale. In questo senso, i t emi del cinismo ideologico, della passività del potere e del carattere non individ uale del potere personale sono strettamente correlati.

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"Il cinismo ideologico". L'insediamento di un capo Yao, così come viene descrittoe analizzato da Gluckman, manifesta vistosamente questa correlazione; il futurocapo è prima di tutto ogget to di un «insegnamento» intensivo da parte degli Anziani,insegnamento realista che gli espone i pericoli della funzione e le insidie della vita di villaggio. La cr uda realtà dei rapporti di forza viene espressa, insieme alla pesante passività del potere, dai riti che seguono questo primo insegnamento: il futuro capo viene pre so a pugni e gettato a terra dal capo di un villaggio vicino; muore ritualmente; lo si veste come un cadavere, lo si cosparge di farina e si attende il momento della sua «risurrezione». Quest'ultima è seguita da un periodo di reclusione in cui un nuovo insegnamento viene impartito al «pretendente». Alla fine, gli viene data da c onsumare della carne umana (la letteratura etnologica non si pronuncia sul carat tere simbolico o reale di questa carne): se la vomita, egli afferma il suo carat tere fausto e forte. Anche in questo caso il discorso ufficiale non nasconde nulla della realtà dei rap porti di forza; allo stesso tempo la pratica del potere, aggravata dal peso mort o e dal silenzio del capoo del re, sfida l'ordine delle cose con qualche parola e con qualche gesto singolari, con una serie di trasgressioni che, come quelle delle sacerdotesse di Avlekete, possono passare per specifiche del suo carattere transindividuale. La provocazione (la perversione) delle regole abituali è un alt ro aspetto della passivitàdel potere, strettamente legato alla persona stessa del re o del capo che è chiamata a relativizzare da sé il carattere assoluto delle cost rizioni che impone allavita sociale, come per esprimerne simultaneamente l'arbi trarietà e la necessità; la logica perversa del potere indica che i contrari non pos sono identificarsi che in se stessi, non per gli stessi: le differenze si trovan o sempre dalla parte

della cultura e più precisamente da quella del sociale; ma al lo stesso tempo esse devono avere l'evidenza del naturale, la pesantezza del rea le. Indubbiamente,questo è il senso delle situazioni limite in cui possono essere dette le altre verità, quelle verità-sfida che sono proprie del potere: il re è duro, odiato dai suoi sudditi, dai suoi alleati, gli uomini sfruttano le donne, il di o è la causa del male - sfide, ma non rivendicazioni, sfide all'iniziativa di un p otere che le assume, le proclama e le manipola con rude franchezza. Il potere no n reclama l'amore; perciò viene caratterizzato in alcuni rituali dai simboli usual i dell'obbrobrio, del disgusto e dell'impurità. Nelle monarchie dell'Africa orient ale, il re sipresenta come il trasgressore per eccellenza; René Girard ha perfett amente ragione quando dice che la pratica dell'incesto regale deve esser messa i n relazionecon le altre trasgressioni: consumo di cibi proibiti, atti di violen za, bagni di sangue, utilizzo di droghe malefiche (come nella cerimonia dell'Inc wala dello

Swaziland, dove il compimento dei riti di trasgressione-provocazione è ritenuto fortificare il "silwane" del re). Queste trasgressioni si ritrovano dap pertutto(bisogna ripetere che non caratterizzano solo il potere regale), ma non possonovenire interpretate né come puro gioco simbolico né come segno d'impotenza. Esse non sono un puro gioco simbolico; la concezione del gioco simbolico corrisp onderebbe al punto di vista di René Girard, secondo cui la dualità dei ruoli assunti dal re africano può essere ricondotta alla coppia di opposti sacrificato/sacrific atore. Nell'Incwala il re apparirebbe in definitiva come il maestro di un gioco che consiste essenzialmente nel ripetere il sacrificio originario: quello che ha instaurato l'ordine sociale e posto l'esistenza delle differenze. L'ordine è deri vatooriginariamente dalla violenza, e le trasgressioni del re sarebbero tutti p retesti simbolici per aggredirlo simbolicamente allo scopo, in definitiva, di sa crificarlo e sostituirlo - giacché l'ordine riappare con la metamorfosi del sacrif ic

ato in sacrificatore: «Ogni re africano è un nuovo Edipo, che deve rappresentare d i nuovo il suo stesso mito dall'inizio alla fine, perché il pensiero rituale vede in questa rappresentazione il modo di perpetuare e rinnovare un ordine culturalesempre minacciato dalla disgregazione» (18). Dal re si esigerebbe insomma che compisse ritualmente quanto ha miticamente compiuto una prima volta. Il tema dell'i ncesto regale, analizzato da Luc de Heusch, non giocherebbe da questo punto div ista che un ruolo secondario, atto semplicemente a rafforzare l'efficacia delsa crificio - anche se, in alcuni contesti di naufragio rituale, l'incesto ha potut o sopravvivere mentre s'inabissava, insieme al sacrificio, il ricordo dell'event

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o primordiale. Per René Girard il padre è meno importante dell'assassinio. Tuttavia, egli si attiene troppo facilmente a una concezione riduttiva del rituale e a un a visione genetica della storia; il rito non viene compiuto in un momento qualsi asi; non tratta qualsiasi materia; si cura prima di tutto dell'efficacia; e la s ua efficacia non può essere puramente simbolica: il rito deve affrontare la sanzio ne del reale e, più esattamente, quella dell'evento; che miri a evitare quest'ulti mo oppure a suscitarlo, vi si confronta, e insieme a esso vi si confrontano tutt i coloro che vi partecipano. La realtà che lo concerne non è semplicemente quella de l passato lontano (del mito) oppure prossimo (quello delle tensioni da disinnesc are, quello dell'escalation della violenza), ma quella del futuro immediato: del l'epidemia, della guerra, della presa del potere. Le trasgressioni legate all'es ercizio del potere si inscrivono nella totalità lineare menzionata sopra e sono so ttoposte alla sanzione dell'evento e dell'interpretazione retrospettiva. "Il carattere non individuale del potere: l'alleanza, la morte". Esse non indicano con questo l'impotenza del potere, ma ne sottolineano il carat tere non individuale. Il re, il capo del villaggio, il capo di una classe d'età, i l signore della pioggia suggeriscono che il potere che essi rilevano viene da più lontano di loro stessi e che questa lontananza dà precisamente la misura della lor o potenza straordinaria. Come le trasgressioni o le «inversioni» dicono il vero, così gli scopi proclamati dal potere sono i suoi veri scopi: il mantenimento dell'ord ine sociale, in particolare nei periodi di "interim" e di guerra, la regolazione dell'ordine meteorologico, la lotta contro lo scatenamento delle epidemie sono, per il potere, imperativi assoluti e smisurati in rapporto alla dimensione fini ta e al destino effimero dell'individuo. Perciò, la passività e i pesi del potere si prese

ntano come un altro aspetto della sua transindividualità; da questo punto di vista, le pratiche matrimoniali straordinarie e i riti che circondano la morte degliindividui che incarnano il potere affrontano più da vicino delle altre «invers ioni» e trasgressioni i rapporti fra istituzione e persona. Più esattamente, alcune pratiche matrimoniali e alcune pratiche di messa a morte simbolica o reale sugge riscono che l'individuo incaricato del potere non è un individuo come tutti gli al tri - cosa che conduce, in termini esegetici, a interpretazioni sofisticate del potere personale, dell'eredità, della successione e, in termini pratici, a una dif esa dell'istituzione, alla riaffermazione di una relativa non responsabilità del r esponsabile, in parole chiare: alla costituzione di una capacità di difesa e di reazione dell'istituzione del potere di fronte alle smentite dell'evento. Occorre, insomma, che colui che esercita un potere o il potere sia sempre legittimato (a ll'occorrenza condannato) a esercitarlo e che con questo le insufficienze dell'

i ndividuo non danneggino il potere più di quanto le incertezze dell'evento danneggi no i suoi agenti. Qua non si tratta di funzionalismo, ma della logica del potere: logica simultane a dei suoi discorsi e delle sue pratiche. Difficilmente l'individuo finito può ide ntificarsi con l'assoluto del potere e far pesare le suecostrizioni. Questa fin itezza, perciò, viene rifiutata alle persone che hanno l'onere del potere: esse no n nascono e non muoiono come gli altri. Il carattere eccezionale della loro nasc ita è legato a pratiche matrimoniali particolari e l'incesto reale ne è l'esempio più spettacolare; queste pratiche, se in parte sfuggono alle regole imposte ai comun i mortali, si affidano agli stessi elementi, agli stessi paradigmi, e si costrui scono secondo gli stessi tipi di regole sintagmatiche che definiscono e compongo no l'insieme delle logiche sociali. Per il potere,ricondurre l'alleanza alla filiazione è stabilire simultaneamente l 'eternità dellepersone e relativizzare l'identità degli individui. E' già stato fatto notare che le

teorie più elaborate dell'ereditarietà, nelle società lignatiche, rigua rdano di preferenza i primogeniti e contribuiscono così a costituire linee dominan ti e punti forti di discendenza: è il caso delle società lagunari e delle società akan (matrilineari); un legame privilegiato unisce il nonno al figlio primogenito de l proprio primogenito, il quale è ritenuto riprodurre in parte, per mezzo della tr asmissione agnatizia, la formula biopsichica del nonno (da cui del resto prende il nome).La pratica matrimoniale può rendere sistematica questa definizione e rid urre al minimo il ruolo dell'alleanza nella costituzione dell'identità personale.

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Presso gli abitanti delle lagune della Costa d'Avorio, quando un padre dà al figli o una schiava o una straniera patrilineare portatrice di dote, egli assicura in teoria la trasmissione simultanea dei principi agnatizi e uterini di cui è il dete ntore alla persona del proprio nipote agnatizio; ottiene questo risultato (che i n una società disarmonica corrisponde a vantaggi cumulativi dal punto di vistadel l'organizzazione della produzione e dell'eredità) per mezzo di una specie d'incest o simbolico: suo nipote è in un certo senso anche il nipote uterino (la schiava o la straniera non avendo più un'identità lignatica) e il figlio (dato che ha acquista to o dotato egli stesso la madre, la quale chiama pertanto il suo acquirente «padr e»). Questi, del resto, può ancora eliminare una mediazione e sposare lui stesso la schiava o la straniera acquistata (vedi la figura 3 - qui omessa). Le origini del figlio di una schiava sono però connotate in modo peggiorativo nei matrilignaggi, per i quali, se le donne non servono che a situare gli uni in rap porto agli altri gli uomini e i loro status, delle virtù specifiche si legano nond imeno alla trasmissione uterina «pura». Molti conflitti d'interpretazione sono così so rti dalle possibilità offerte ai trafficanti della costa attraverso l'estensione d el commercio con l'Europa. Un risultato praticamente identico e teoricamente menoattaccabile è ottenuto attr averso il matrimonio preferenziale con la cugina incrociata patrilineare nella m isura in cui esso permette di restringere lo scambiomatrimoniale a due lignaggi e di concentrare completamente sulla persona del nipote agnatizio le virtù e i pr incipi trasmessi dal nonno lungo due linee (vedi lafigura 4 - qui omessa). Ques to matrimonio, che tende alla costituzione di una linea di discendenza forte e «in tensa», è significativamente prescrittivo ma limitatoalle famiglie principesche nel la società ashanti. Troviamo una rottura ancora più r

adicale nei reami dell'Est africano: si sa che il principe che accede al poteredeve sposare la sorella agnatizia (una delle figl ie di una delle concubine delpadre), ma non deve darle figli. La regina-madre e la regina-sorella-sposa si trovano così, per il tempo di un regno, integrate nell a configurazione del potere;ma nessun vincolo d'alleanza si costituisce e neppu re si profila. La madre e la sorella-sposa del re defunto scompaiono con lui. La perennità della discendenza agnatizia va di pari passo con una relativa indiffere nza nei confronti dell'identità del re: la guerra dei fratelli nemici, alla morte del re regnante, se tende ad assimilare il potere alla forza (sottomettendolo de liberatamente alla sanzione dell'evento), definisce anche i limiti della legitti mità, che non sono quelli degli individui ma quelli della discendenza agnatizia. G li uomini che prendono il potere non sono mai i figli della sposa del padre; cia scuno condanna alla castità e alla sterilità la madre e la sua sorella-sposa. La sol a stirpe a riprodursi

e a poter essere identificata è quella degli uomini: lo scon tro dei fratelli nemici non mette tanto in risalto il valore degli individui, qu anto il primato dell'identità filiativa legata alla discendenza senza alleanza (ve di la figura 5 - qui omessa). Il problema dell'incesto simbolico o reale non ci interessa in questa sede se no n per il posto che occupa nella teoria e nella pratica del potere, sotto forme d iverse che hanno in comune di relativizzare la nozione di identità individuale qua ndo essa deve essere applicata alla persona del capo. Colui che comanda gli uomi ni o che interviene in modo decisivo negli eventi che essi affrontano si protegg e in qualche modo dall'immensità dei suoi compiti fondando la suaidentità su quella di un'entità più ampia rispetto all'individuo. Come l'Uomo-Dio deicristiani, egli tende, al limite, a riprodurre la persona del suo creatore. Nonnasce veramente. E' già nato da sempre. Similmente, egli non muore. Ed è indubbiamente questa l'origine della tendenza a r ammentarci che è già morto da sempre. La nomi

na, l'intronizzazione, l'iniziazione pa ssano attraverso un'immagine della morte che esprime meno la nascita a un nuovo stato, meno un rinnovamento e una risurrezione di quanto non costituisca una pro va il cui esito non viene scoperto chenelle sorti della vita futura. Al di qua della nascita (alcuni riti, per esempio quelli d'iniziazione senufo, mettono in scena un nuovo parto) o, è lo stesso, aldi là della morte, colui che avanza provoca e si espone. Il colmo della provocazione è raggiunto con la morte volontaria del Maestro dell'Arpione presso i Dinka (19). Il rituale agni ci propone due temi in

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trecciati: quello del potere subìto e della morte negata (rituale del re), quellodel potere recitato e della morte provocata (rituale del figlio di schiavi); mai due rituali sono inseparabili e il rituale del re è esso stesso una provocazione ; ognuno sa, malgrado il silenzio ufficiale, che il re è morto come ogni altro uom o e che il tema della morte negata non è, al di là della particolare sorte degli ind ividui, che la risposta estrema o l'estrema provocazione del potere: la morte, i n se stessa, è una sfida incessante alla credibilità del potere e all'efficaciadel rito. Allo stesso modo, la morte volontaria dei Maestri dell'Arpione provoca più i l futuro di quanto non neghi la morte - giacché tale provocazione non caratterizza più il solo individuo, ma anche la stessa istituzione: «Le loro morti devono essere o devono apparire intenzionali, e devono rappresentare l'occasione per una form a di solennità pubblica. [...] La morte decisa liberamente, benché riconosciuta come morte, li dispensa in questo caso dall'ammettere la morte involontaria che tocc a agli uomini comuni e alle bestie» (20). Mary Douglas, che cita queste righe di L ienhardt (21), indica a giusto titolo che l'analisi del rito sfocia nelproblema della sua efficacia. Sennonché, decisamente influenzata da Durkheim, essa distingue tra l'efficacia mat eriale del rito (la sanzione mediante l'evento) e l'efficacia propriamente simbo lica (legata all'atto rituale stesso e alla presa di coscienza che l'intera soci età realizzerebbe da sé in questa occasione). Si ritrova in questa distinzione una t endenza ricorrente in antropologia: pensare il rito e l'istituzione, da una part e, per quanto esprimono e, dall'altra, per quanto realizzano; a volte accade che questa distinzione, operante all'interno diuno stesso «campo», lo suddivida e si a pplichi allo stesso tempo alle «funzioni» che le suddivisioni adempiono agli occhi d egli osservati e all'interesse che esse pre

sentano per l'osservatore; così la reli gione viene talvolta contrapposta alla magia come l'espressione all'efficacia, e questo in un duplice senso: attraverso la religione le società locali si rapprese nterebbero l'ordinamento del mondo e della società, attraverso la magia i membri d i queste società riterrebbero di poter agire gli uni sugli altri e anche sulla nat ura. Dal punto di vista dell'osservatore, la religione consentirebbe una buona c onoscenza delle strutture empiriche della società, mentre la magia consentirebbe d i comprendere le sue tensioni interne, i suoi conflitti, le sue zone d'ombra. In Mary Douglas la distinzione assume una venatura di giudizio in parte morale e i n parte estetica; per lei la preoccupazione utilitaristica ha qualche cosa di vo lgare e di interessato a cui non si può ridurre il senso del rito; il vecchio Maes tro dell'Arpione che dà il segnale per essere ucciso «non ha nulla dell'esuberanza d i un san Francesco d'Assisi che si avvoltola tutto nudo nella sporcizia e fa buo na accoglienza a sorella Morte.

Ma entrambi sfiorano gli stessi misteri. [...] S e taluni sono tentati di considerare il rituale come una lampada magica che bast a strofinare per ottenere beni e un potere illimitato, il rituale mostra loro l' altro lato della medaglia. Se la gerarchia dei valori era bassamente materialist ica, eccola scalzata, in maniera drammatica, dal paradosso e dalla contraddizion e» (22). E' evidente che, inqueste righe, Mary Douglas costruisce da sola l'opini one che poi si diverte a demolire; l'aspettativa che nasce dal rito non ha nient e di basso; quanto alla gerarchia dei valori, non c'è più senso a chiamarla «materiali stica» di quanto ce ne sarebbe a decretarla «spiritualistica»; questo linguaggio un po ' banale significa semplicemente che i riti dinka e il prete dinka sono altretta nto degni d'interessee di stima dei "nostri" riti e dei "nostri" mistici. E ne siamo profondamente convinti. Ma la dignità del rito non è in nulla inficiata dalla sua finalità prospettiva. - Il rito come scommessa. C'è di più: questa finalità prospettiva è inseparabile dai t

emi trattati dal rito, insep arabile anche dalla sua struttura cerimoniale. Cheinverta o che provochi, che s fidi o che supplichi, il rito fa una scommessa fondamentale, impegna celebrante e celebrato nella logica irreversibile dell'evento il cui esito non conosce al m assimo che un'alternativa: la vita o la morte. Poiché ha il controllo della sua mo rte, il Maestro dell'Arpione insegna ai Dinka qualche cosa sul suo potere (deve trattenere l'ultimo respiro affinché il suo spirito si trasmetta intatto al succes

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sore), qualche cosa sulla loro comunità (sono tutti radunati attorno a lui; Girard insiste sull'importanza dell'unanimità che presiede a ogni sacrificio rituale diquesto tipo), qualche cosa, insomma, "sul" potere (che supera di gran lunga tutt e le provocazioni e tutte le "mises" concepibili). Ma questo «significato» è interamen te rivolto al futuro che lo avvererà: l'aspettativa che il rituale instaura è rivolt a alla persona del successore, alla fortuna della comunità e, per dirla tutta,all 'efficacia del rito. Di più: il tempo del rito è sottoposto alla logica della totali tà lineare; ogni tappa del tempo cerimoniale costituisce in quanto tale un giudizi o retrospettivo sulle tappe precedenti. La carica di Ayiwe (23), presso gli Ibo di Asaba, era una carica essenziale; i suoi diversi altari assicuravano la prote zione dei cittadini di Asaba (all'occorrenza la loro sopravvivenza quando veniva no feriti), allontanavano le minacce della guerra o, eventualmente, garantivano la vittoria. Se il detentore dell'ufficio moriva mentre era in carica, si suppon eva che avesse infranto uno dei numerosi divieti associati a quest'ultima: la su a spoglia veniva allora gettata nel «bosco dell'abominio», e l'infamia che si legava al suo nome ricadeva sulla sua famiglia per diverse generazioni. In questo modo è il rito stesso a recare incessantemente la prova della sua fondatezza e della q ualità del suo responsabile. La logica dell'evento è inscritta nel rituale stesso. I riti in generale, e in particolare i riti detti d'inversione, sono dunque a lo ro volta costituiti nel tempo; non possono essere colti e compresi se non attrav erso questa apertura sul futuro, questa attesa della risposta e della verità retro spettiva che caratterizzano le pratiche ideologiche. La litote, l'allusione, il sottinteso, l'insieme delle astuzie simboliche, la cui ingenuità perversa può di pri mo acchito sorprendere, si accumulano nelle pratiche d'inversione

che costituisc ono, in qualche modo, un caso limite. Non c'è soluzione di continuità fra pratiche t anto diverse e poste tanto differenziate come non piangere la morte di un gemell o, affidare il proprio bambino a una famiglia estranea, o darea un "vodu" i cib i che gli sono proibiti. Tutte queste pratiche sono al contempo una risposta all 'evento e, letteralmente, una provocazione nei confronti delfuturo; insieme all 'importanza della posta cresce il ruolo dell'ostentazione rituale; il potere min acciato dall'epidemia o dalla morte ritualizza «spalle al muro», lascia dire (e in q ualche modo proclama esso stesso) l'arbitrarietà del poteredivino e del potere po litico: nel rito d'inversione si manifesta l'altra verità dei rapporti sociali, il volto nascosto del potere s'illumina e tuttavia questa rivelazione non è che un i nvito alla smentita dell'evento. Nel momento stesso in cui il potere esprime la sua passività ed eventualmente la mette in scena, nel momento stesso in cui il tit olare della carica esprime la sua non responsabilità (rif

iutando il titolo che lo opprime), quando la sua stessa individualità si nascondedietro le magie della dis cendenza, tutto il sistema del potere si appella contro questa modestia e si sot topone alla sanzione di un evento che ha talvolta anche la speranza di controlla re o di creare, e il mezzo per farlo: la morte del falso re agni sanziona logica mente l'intronizzazione del vero re - e, di qui, l'immortalità del re. L'ideologica, nel complesso, tende all'interpretazione o allaprevenzione di div erse categorie di eventi. Le strutture ideologiche che abbiamo appena elencato e analizzato prescrivono l'attuazione intellettuale e socialedi queste pratiche; esse si combinano in differenti pratiche istituzionalizzateche dipendono tutte da una sintassi comune, per quanto poi il carattere degli eventi che rispettiva mente controllano conferisca loro forme, ritmi e modalità di funzionamento diversi . Nella figura 6 (qui omessa) sono rappresentate schematicamente le diverse cate gorie di eventi che individui, gruppi o la società nel suo i

nsieme potrebbero dove r interpretare, prevenire o modificare. L'evento in questione può essere unico o r icorrente, imprevedibile o prevedibile. Ma le combinazioni consentite da questa duplice distinzione si complicano per il fatto che un medesimo evento può venire c onsiderato come unico o ricorrente a seconda che lo siconsideri dal punto di vi sta di un individuo o di un gruppo determinati oppuredal punto di vista dell'in sieme della società. Va da sé che una tappa iniziatica ouna malattia ben precisa, che costituiscono un evento unico per un gruppo e perun individuo, sono dal punto di vista della so cietà eventi ricorrenti; prova di questa ricorrenza sono le costanti del rituale e l'esistenza di una eziologia specifica. Va da sé che, se la morte di ogni individ

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uo è unica, la morte è un evento quasi quotidiano; la morte in quanto fenomeno ricor rente è sottoposta a un rituale stabilito, ma ogni morte mette in gioco, a partire da questo rituale, un tentativo d'interpretazione specifico che è condizionato al contempo dall'indagine retrospettiva e dall'attesa prospettiva. Inversamente,g li eventi regolarmente ricorrenti e totalmente ritualizzati e formalizzati, come le cerimonie di purificazione legate a un determinato periodo del calendarioag ricolo, possono dar luogo in determinate circostanze a interpretazioni particola ri: le condizioni meteorologiche del momento, la personalità del celebrante, gli e venti dell'anno trascorso influiscono sul senso di un rituale, il quale deriva c ontemporaneamente dal passato e dal futuro. A parte tutte queste riserve o tutto questo relativizzare, si potrà, dal punto di vista di un Ego indifferenziato, distinguere fra quattro tipi di pratiche ideolo giche più o meno formalizzate corrispondenti a diverse categorie di eventi. La mor te in quanto evento unico eimprevedibile (a) dà luogo a indagini, talvolta a inte rrogazioni del cadavere, eventualmente ad accuse (in particolare di stregoneria) che danno adito, se nessuna persona influente vi si oppone, al corso relativame nte libero della totalità lineare e della logica retrospettiva. La malattia e la m orte in quanto eventi ricorrenti e imprevedibili (b) hanno dato luogo a procedur e simboliche molto formalizzate - l'organizzazione metodica della divinazione o dei funerali. Presso gli Alladiani della Costa d'Avorio, la sepoltura, insieme a tutte le inda gini chela precedono e che la seguono, sarebbe da classificare nella prima cate goria, mentre i funerali che mettono in scena la diagnosi compiuta apparterrebbe ro alla seconda. Eventi unici e imprevedibili (c) come le iniziazioni, l'avanzam ento delle classi d'età, la designazione dei capi delle classi di età possono essere consi

derati prevedibili e ricorrenti dal punto di vista dell'istituzione (d); n ondimeno si distinguono in quest'ultima categoria pratiche come i rituali agrari stagionali (perfettamente ricorrenti e regolari) e i rituali d'intronizzazione legati a problemi di successione che vengono completamente istituzionalizzati pe r alcuni loro aspetti, ma che in ogni caso chiamano in causa individualità irripet ibili e mettono in gioco eventi incomparabili. Da questo punto di vista, il colm odel paradosso o del bizzarro è raggiunto mediante l'istituzionalizzazione della guerra di successione - la guerra dei fratelli nemici - nei reami dell'Africa or ientale. Questa guerra, insomma, rappresenta il più compiuto sforzo simbolico formale per conciliare l'eternità dell'istituzione (e la formalizzazione del rituale)con la logica dell'evento (e lo stabilirsi di una verità retrospettiva). La mortevolontaria del Maestro dell'Arpione rappresenterebbe inversamente, da questo pun to di vista, il più compiuto sforzo simbolico formale per integrare l'evento part

i colare nella categoria del prevedibile e ridurre la vicenda individuale all'eter nità dell'istituzione. In un caso come nell'altro, per eccesso o per difetto, è la n ozione di individualità che viene meno. Lo schema che abbiamo abbozzato e commentato non vuole stabilire una tipologia d egli eventi e delle pratiche rituali. Al contrario, essa intende sottolineare la continuità strutturale che unisce queste pratiche e la complementarità dei punti di vista (individualizzante o generalizzante) che qualificano questi eventi. La pe culiarità dei rituali propriamente politici è forse appunto che essi impongono la fu sione dei punti di vista: poiché il titolare della carica non è un individuo come tu tti gli altri, allo stesso titolodegli altri (un tema che rimanda a quelli dell a passività e dell'«inversione»), l'evento che lo riguarda è, più d'ogni altro, unico e ri corrente al tempo stesso; è vero allora che il rito ripete il rito (da cui la tent azione, per il filosofo, di pensare che esso ripeta il mito o l'evento originari o); è anche vero che la persona

ripete la discendenza e che i vanti plebei dell'al leanza vengono meno nella trasmissione da uomo a uomo delle cariche e degli embl emi; ma è anche vero che la dipendenza dall'evento, dal futuro prossimo o lontano, segna il potere (che se nesmarca per quanto gli è possibile - individualmente e proprio attraverso la disindividualizzazione dei personaggi che lo incarnano e c he lo esercitano - ma che al tempo stesso gli rinnova in ogni istante, in quanto essenzialmente necessario, il suo appello e la sua fiducia). Questo evento può es sere l'esterno assoluto (l'aggressione) o l'esterno che ogni società racchiude in sé (l'epidemia, l'azione delle fazioni rivali); può anche essere (forse favorito dag

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li sconvolgimenti demografici o da altri sconvolgimenti indotti dall'esterno ass oluto e dall'esterno relativo) il passaggio all'azione dei dominati, la cui luci da parola e le cui pazienti derisioni aspettano d'invadere un giorno il rituale che le accoglie e, nel duplice senso del termine, le contiene. CONTATTO. - Sincretismi e messianismi. Il problema del contatto costituisce in qualche modo una pietra di paragone per la definizione delle strutture dell'ideologica. Abbiamoindicato sopra che l'ana lisi ideologica era interessata dal cambiamento per due ragioni di fatto: la par ola e la pratica dei dominati o dei marginali si esprimono e si inscrivono nella struttura d'inversione dell'ideologica; le popolazioni aggredite dalla forza ma teriale e dall'imperialismo spirituale del colonizzatore rispondono per quanto p ossono in maniera logica. L'ordine pensato (ordine intellettuale) e l'ordine vis suto (ordine sociale) sono effettivamente inseparabili: l'immaginario individual e e il simbolismo sociale derivano da essi. I cambiamenti subiti dall'ideologica lignatica al contatto con il colonizzatore e, più in generale, con la società indus triale, non sono il riflesso, il contraccolpo o l'espressione ideologica di camb iamenti realmente avvenuti altrove, a un altro «livello» (per riprendere la metafora verticale) della realtà sociale: sono il prodotto attivo di due lotte, di due ten tativi. Da una parte, il colonizzatore arriva con le sue istruzioni d'uso; detto altrime nti, combatte direttamente le rappresentazioni della società colonizzata; questo è v ero dell'azione missionaria cristiana, che nega la verità, la fondatezza di tali r appresentazioni e sostituisce i propri miracoli, quelli veri, ai miracoli locali , quelli falsi. Ma le affermazionidei missionari non avrebbero alcuna possibili tà d'essere recepite se, parallelamente, la prova di forza non volgesse sistematic amente a favore del colonizzatore

. Quest'ultimo prova in modo quanto mai evident e la sua forza; l'azione brutale, il dispiego della forza non comportano semplic emente la sottomissione, ma anche la convinzione che, in effetti, il colonizzato re bianco possieda i segreti della potenza. La cannoniera, nella bassa Costa d'A vorio, è la prova chiara dell'esistenza del Dio della Bibbia. Con abilità, i mission ari più intelligenti e, significativamente, i profeti locali non contestano l'esis tenza, la realtà dei geni locali o degli «stregoni» ("witches"); contestano la loro fo rza, come se essa non fosse che un accenno o un'approssimazione della vera forza : il potere bianco. Dall'altra parte, le popolazioni locali non si accontentano di subire e di regis trare la forza altrui, il potere venuto da un altro luogo: cercano di comprender la. Comprendere per controllare (per prevenire, per attenuare, per piegare) era già la ragion d'essere dell'ideologica tradizionale. Per gli straordinari mutament iapportati all'entourage dell'individuo essa si trova messa a confronto con pro b

lemi nuovi. L'ideologica inserisce l'ordine individuale in un ordine sociale. Abbiamo visto come essa sia unica (ricorso e riferimento dei dominanti e dei domi nati, tale da assicurare al tempo stesso la dominazione dei primi sui secondi)e «sovradeterminata», per quanto, funzionando colpo su colpo, essa prescriva, più di qu anto non esprima, la pratica degli uni e degli altri, la vita dei gruppi e quell a degli individui. Per questa stessa ragione, a causa delle sue debolezze e dell e sue lacune, improvvise o graduali che siano, a causa della sua incapacità di spi egare gli sconvolgimenti delle gerarchie e dei rapporti di forza, essa si rivela vulnerabile al cambiamento (e, in questo senso, rivelatrice del cambiamento). T uttavia, reagisce al cambiamento nella misura in cui è, per definizione, esigenza di controllo intellettuale. A proposito dei movimenti millenaristici della Melan esia, Peter M. Worsley ha perfettamente mostrato come essi non costituiscano aff atto delle fughe irrazionali fuori dalla realtà, secondo l'espressione di

Lintos, quanto piuttosto un tentativo sistematico e talvolta disperato di comprendere il nuovo ambiente. E' forse in questa prospettiva che conviene studiare isincretismi e i messianis mi nati nel periodo coloniale e le loro metamorfosi attuali. Infatti (ed è questo

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il fatto degno di nota), numerosi movimenti sincretici sono sopravvissuti alle c ondizioni che li hanno visti nascere: è così che altrove sono stato indotto a evocar e il ruolo e l'organizzazione attuali dello harrismo apparso in Costa d'Avorio n el 1913. Questo esempio e le precedenti riflessioni consentono forse di relativi zzare l'opposizione stabilita da Sundkler ("Bantu Prophets in South Africa", 194 8) fra chiese di tipo «etiope» e chiese di tipo «sionista». Le prime corrisponderebbero a una dominazione principalmente culturale ed esprimerebbero di rimando un'oppos izione di tipo culturale; le seconde avrebbero cause ed espressioni più sociali. L e prime, fortemente segnate dall'apporto cristiano, verrebbero sostenuteda una certa élite della società dominata; le seconde, più sincretiche, avrebbero unabase più popolare. E' basandosi più o meno su questa distinzione che ricercatori francesi c ome Claudine Vidal, Gérard Althabe e Jean-Pierre Dozon contrappongono, nello Zaire , movimenti religiosi come il kimbanghismo e il kitawala. Il primo, distile «etio pe», è normalmente sfociato nella costituzione di una chiesa di Stato; ilsecondo è sc omparso nella bufera che ha provocato la scomparsa di Lumumba. Jean-Pierre Dozon (24) svolge, da questo punto di vista, una critica interessant e diun articolo di Bastide («Messianisme et développement économique et social», CIS, 1 961), il quale, pur sottolineando che la via religiosa è la sola via di protesta p raticabile per i popoli colonizzati, evoca il paradosso per cui un movimento mes sianico, efficace durante il periodo coloniale, deve, dopo l'indipendenza politi ca, integrarsi nella società globale, e dunque identificarsi con l'ordine stabilito, a costo di diventare reazionario. Al contrario, Dozon suggerisce che l'indipe ndenza non è un limite, ma un elemento rivelatore: il divenire dei movimenti relig iosi dopo l'indipendenza che essi sembravano invocare ci informa oggi sul loro

p recedente contenuto ideologico, politico e sociologico. E' così possibile una lett ura retrospettiva. Ma una cosa è ammettere che i movimenti sincretico-messianici sono, come tutte le manifestazioni simboliche, produzione, reazione e creazione, che sono prima di t utto pratiche e in quanto tali possono essere oggetto di studio, altra cosa è fare della loro ultimissima metamorfosi l'espressione del loro senso e della loro ve rità. La chiesa harrista in Costa d'Avorio è oggigiorno estremamente difficile da qu alificare e si possono concepire molti scopi per i profetismi odierni; un person aggio come l'attuale profeta Atcho non è privo di ambiguità né di ambivalenze. Ma, qua lsiasi cosa avvenga in seguito, sono proprio le ambivalenze a essere oggi signif icative e in qualche modo efficaci. Esse, del resto, sono essenziali per il «profe tismo», che non s'identifica totalmente né con la visione religiosa né con la visione politica della società. Il profeta africano si sforza di comprendere, di restituir e un ordine logico a situazioni parziali, e in pa

rticolare individuali, colpite da una situazione globale perturbata. Il profetanon è né un uomo politico, né un miss ionario. E perché parla all'individuo della sua sventura individuale, del suo diso rdine interiore, che gli parla anche dell'ordine sociale - fedele, in questo, al lo spirito dell'ideologica tradizionale. Henri Desroches parla dello scacco a cu i sono condannati tutti i messianismi; il fatto è che, comunque, la promessa del m essianismo è, per ciascuno, personale: essa si misura sulla scala della vita umana individuale, e muore molte volte con ciascuno dei suoi adepti. Una visione stre ttamente politica delle cose non è mai veramente messianica, dato che sacrifica la dimensione individuale: le sue scadenze non si trovano necessariamente a portat a dell'individuo. Non a tutti i militantiviene promessa la rivoluzione e questa lacuna cronologica può, in qualche modo, costituire il limite di credibilità o di e fficacia delle dottrine rivoluzionarie; il riformismo segue il rivoluzionario co me la sua ombra, è al margine di ogni prog

etto radicale, la sua coscienza temporal e, la sua cattiva coscienza e la sua esigenza «laica», se è vero che l'esigenza indivi duale è legittima e che la vita individuale è un assoluto. I sincretismi nati dalla dominazione e le loro promesse rispondono anche e innan zitutto all'oppressione vissuta da ogni individuo, al bisognodi comprendere pro vato da ciascun individuo. Il reame evocato dalla visione religiosa non è di quest o mondo. Ma il messianismo africano ha i piedi per terra; si cura meno di rivela re un altro mondo che di comprendere il nuovo mondo: di reinserire l'ordine indi viduale nell'ordine sociale e quest'ultimo nell'ordine del mondo. Annuncia la pr ossima realizzazione, su questa terra, dell'ordine nuovo; costituisce la società a

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ttuale come futuro significante di una rivoluzione già significata; tale annunciovale per tutti gli individui viventi. Nel 1914 Harris annuncia ai Neri della Bas sa-Costa che sette anni più tardi sarebbero stati «come i Bianchi». «Wait and see»: è la leg ge pragmatica del profetismo. Che le disillusioni siano ineluttabili, che la spe ranza riscaturisca nel corso di una stessa vita (gli harristi rinvieranno lapri ma scadenza di fronte all'evidenza dei fatti) o che sia riaffermata da una nuova generazione indifferente alle disillusioni di quella precedente, non toglie nul la all'identificazione della vita con l'attesa e della salvezza individuale con il cambiamento sociale. Per concludere su questo punto in modo concreto, evocheremo, sull'esempio della bassa Costa d'Avorio, gli aspetti ideologici dellaviolenza coloniale, del sovve rtimento cristiano e della strategia di sviluppo e di integrazione politica attu ale. - L'esempio dello harrismo. Nel diciannovesimo secolo le popolazioni lagunari - principalmente gli Alladiani del litorale situato a ovest dell'odierna Abidjan, gli Avikam della regione di Bandama (all'estremo ovest della civiltà di tipo akan e matrilineare in ambito pat rilineare), gli Ebrié e gli Abouré situati a est dell'odierna Abidjan e alla foce de lla Comoé - praticavano il commercio con l'Europa. Traendo vantaggio dalla loro po sizione di intermediarie, le popolazioni costiere si arricchirono malgrado fosse ro le popolazioni dell'interno a fornire la maggior parte del prodotto di esport azione: l'olio di palma. Sennonché, alla fine del secolo la politica francese mutò; le impresecommerciali europee si insediarono localmente, imponendo direttamente il loro prezzo d'acquisto ai produttori e assicurando esse stesse lo smercio de i prodotti lavorati. Presenza amministrativa e presenza militare coincidono con questo insediamento. I francesi passarono dallo sfruttamento economico indiretto , che li

accomunava agli inglesi e al quale gli abitanti della costa erano assoc iati, allo sfruttamento diretto, insieme a quanto esigeva violenza per assicurar e sottomissione e rendimento. In principio, l'aggressione ideologica (il cristianesimo) parve non avere seguit o, i missionari non trovarono eco. Ma l'evidenza della forza bianca s'impose rap idamente. Dal 1880 al 1910 la repressione fu severa inCosta d'Avorio e coloro c he non ne furono le vittime principali (per esempio gli Alladiani) ne furono i t estimoni, giacché il colonizzatore reclutava forze ausiliarie presso i capi conver titi alla sua causa. Occorreva sia pensare sia comprendere la disfatta degli uni e la vittoria schiacciante degli altri: un'ideologica che, sotto diversi aspett i, è una logica delle forze non può che fallire nel rendere conto del proprio scacco e dell'impotenza che esso manifesta. E' una storia che perdura: contemporaneame nte, vengono meno il quadro in cui si inscrivono i fatti da spiegare e i princip i esplicativi. I profeti, e Harris per primo, pre

ndono atto innanzitutto dello scacco nero. Har ris viene dalla Liberia, andrà fino in Ghana, ma è in bassa Costa d'Avorio che conos cerà il successo. In Liberia ha fatto l'esperienza della forza bianca inglese e, l ungi dall'opporvisi, vuole metterla a servizio degli africani. La forza di cui s i tratta, allora, non è semplicemente la forza militare, la quale non è altro che un aspetto di una forza più fondamentale il cui segreto si trova nella Bibbia. In og ni villaggio avikam o alladiano Harris sfida geni e stregoni ad attaccarlo. Non mette in discussione la lororealtà, ma la loro forza. Imprigionato dai francesi a Grand-Bassam, lascia credere in una sua evasione miracolosa, ma le sue stesse e vasioni, come i suoi miracoli, ricalcano quelli della tradizione cristiana. L'Af rica è il nuovo inizio del mondo ma un nuovo inizio accelerato, e un mondo cristia no; Harris annuncia che in sette anni i Neri saranno come i Bianchi: i segni del la ritrovata potenza nera saranno bianchi. Non insisterò qui sul personaggio di Harris e sui dettagli della

storia dello harr ismo (25). Dopo la sua espulsione dalla Costa d'Avorio (1914), lo harrismo conos ce alterne fortune; parecchi aspiranti profeti, dal destinopiù o meno effimero, s i raccomandano a Harris. Persino i pastori protestanti; unfrancese, il pastore Benoît, si reca in Liberia per strappare un messaggio a Harris (che è forse un falso

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) nel quale questi consiglia agli ivoriani di aderire alla chiesa metodista wesl eyana; tuttavia, nel 1928 Salomon Dagri e Jona Ahui, l'attuale «papa» dello harrismo ortodosso, ottengono da Harris risposte che negano validità alle dichiarazioni de l pastore Benoît. L'atteggiamento delle autorità amministrative francesi è stato tanto incerto e ambiguo nei confronti dello harrismo quanto lo era stato nei confront i del suo fondatore. Harris era stato considerato al tempo stesso pericolosoe u tile. Pericoloso, perché si circondava di cattivi spiriti anglofoni, impiegati di imprese commerciali giunti da territori assoggettati all'altra potenza coloniale . Utile, nella misura in cui faceva bruciare i feticci, istintivamente e sottilm ente percepiti dai colonizzatori come i loro nemici più tenaci, utile anchenella misura in cui, rimandando i suoi fedeli indifferentemente all'una o all'altra de lle chiese cristiane, identificava l'adesione alla liberazione e prendeva atto d ella fine della prova di forza. Dopo aver differito le scadenze, la chiesa harrista, con l'indipendenza, dovette riconoscere che i tempi erano maturi. Essa celebra oggi con entusiasmo la polit ica di sviluppo del presidente HouphouëtBoigny. In un certo senso, avrebbe potuto costituire una specie di kimbanghismoivoriano. All'inizio ha fatto reclute fra i piccoli "lettrés" (26), per riprendere un'espressione locale; è stata molto vicin a allo R.D.A. (27); inoltre i suoi rapporti con il cristianesimo sono, come si è v isto, molto stretti. Ma, su questo terreno, essa ha subìto la concorrenza degli st essi protestanti, malgrado il cattolicesimo apparisse progressivamente nella pol itica della Costa d'Avorio come lareligione del potere. Di modo che, oggigiorno , lo harrismo, diffuso nella metà meridionale del paese, è soprattutto la religione degli emarginati e dei poveri. Diconseguenza, pare esserci talvolta un contrasto e quasi una contraddizione fr a

la richiesta degli adepti dello harrismo o di coloro che, pur non essendo harr isti, si rivolgono ai suoi profeti, e il messaggio ufficiale della chiesa. La chiesa harrista non è una sola; oggigiorno parecchi profeti pretendono di essere i l egittimi rappresentanti dello harrismo. Tutti hanno in comune (con il più importan te fra loro, Atcho, autorità laica dello harrismo ortodosso rappresentato da Jona Ahui) di glorificare l'azione governativa e di non profetizzare che il presente. I discorsi ufficiali, le circolari, i sermoni riprendono temi di attualità (losv iluppo, le «lottizzazioni», la felicità dell'uomo ivoriano e la profonda saggezza del capo di Stato). Lo stile è spesso parodistico, le formule stereotipate. Le rivendi cazioni immediate (la creazione di una strada, il riconoscimento ufficiale delle doti terapeutiche del profeta) sono espresse nella lingua ufficiale, il frances e, e nei termini che sembrano adatti: quegli stessi che il Potere utilizzaper p romettere. Quanto al Potere, esso esita a rispondere favorevolmente alle r

ichieste dei rapp resentanti della religione locale. Certo, il ministro senza portafoglio assiste alla festa annuale del profeta-guaritore Atcho, a Bregbo; il profeta è insignito d ell'Ordine nazionale; certo, in principio, si è convenuto che una cattedrale harri sta dovrebbe figurare a Abidjan a fianco dei nuovi edifici religiosi cattolici e protestanti. Tuttavia, questa cattedrale non è mai stata realizzata (nemmeno le a ltre, del resto), e Bregbo non è mai stata riconosciuta comecomplemento ufficiale dell'ospedale psichiatrico di Bingerville. Lo harrismo ufficiale celebra l'avve nto di tempi nuovi, ma gli individui che si rivolgono ai profeti e ai guaritori vogliono comprendere questi tempi nuovi e conoscere la causa delle sventure che li opprimono: sventure di sempre (malattia, sfortuna, morte) e sventure moderne (disoccupazione, insuccessi scolastici, rivalità professionali). Agli occhi dei no n-harristi, gli harristi rimangono i detentori delle forze antiche. Lo schema pe rsecutorio (che invita l'individuo a cercare sempre altr

ove da sé la causa delle p roprie eventuali sventure) è all'opera nella richiesta rivolta al profeta Atcho, p roprio come era ed è ancora all'opera nell'interrogazione del cadavere o nell'accu sa di stregoneria. Il profeta proclama la virtù dell'attuale felicità, ma quelli che fanno ricorso a lui gli chiedono di spiegare le nuove sventure (le quali, del r esto, non comportano la scomparsa delle altre). Così,c'è sempre dalla parte dello h arrismo, delle sue istituzioni e dei suoi personaggi una potenzialità sovversiva i ndipendente dalle sue posizioni ufficiali e legata alla situazione di coloro che ricorrono a esso.

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Albert Atcho, profeta-guaritore di Bregbo, un piccolo villaggio ebrié a est di Abi djan, riassume queste ambiguità e queste contraddizioni. E' in certo qual modo il garante laico e terapeutico della chiesa harrista. Per quanto non sia collegato alla gerarchia della chiesa in senso stretto, Atcho ne è la figura più prestigiosa. Deve la sua fama alle sue guarigioni - e anche, bisogna dirlo, ai suoi testimoni esterni, i quali confermano, agli occhi dei fedeli e dei malati, la sua credibi lità: le autorità politiche, che non possono non essergli grate del fatto di vedere nell'avvento del nuovo potere la realizzazione delle promesse divine, gli etnolo gi, per curiosità professionale, e qualche curioso, dato che questa etnologia non è né lontana né di difficile accesso, conferiscono il suo stile alla predicazione di A tcho, esplicitamente edificata sul linguaggio e sullo sguardo degli altri. Atcho è stato e resta in primo luogo un guaritore. Ma la guarigione mette in giocol'intera concezione della persona; il guaritore africano è innanzitutto un indovino che scopre la ragione sociale della malattia e non guarisce l'individuo se no n indirettamente, per quanto riesce a distinguere e ridurre il disordine sociale che è all'origine di tale malattia; la prova migliore di questo è che la morte è ogge tto delle stesse indagini compiute per le malattie. Essenzialmente, agli occhi d i molti di coloro che sono ricorsi a lui, Atcho è un "witch-doctor". Tuttavia,sot to la doppia pressione dell'influenza cristiana e della situazione politicaattu ale, tende a modificare lo schema rappresentazionale della malattia e della mort e, dell'individuo e della società, che corrispondeva all'ideologica tradizionale e che ancora ispira la maggior parte delle richieste che gli sono rivolte e dei c asi che gli vengono sottoposti. Tale lieve trasformazione si traduce in diversi modi. Innanzitutto il ricorso al la confessione si generalizza. La confes

sione tradizionale verteva su punti molt o specifici (adulterio, rottura di un particolare divieto). Oggi essa tende a di ventare il rimedio dei malati e lo strumento della loro guarigione. Gli Alladian i, indubbiamente perché, data la loro quasi insularità, hanno un'organizzazione soci ale e spaziale rimasta a lungo intatta, conducono sempre al cospetto di Atcho in dividui sospettati di aver causatoad altri malattie o di averli fatti morire. M a nel paese ebrié, dove l'organizzazione di villaggio e lignatica è stata molto più co lpita dalla conquista, dall'espansione di Abidjan e dall'espansione delle cultur e industriali, sono i malati che, di loro iniziativa oppure incoraggiati dai gen itori, vengono a confessarsi, come se il loro male non provenisse che da loro st essi. Questo atteggiamento corrisponde all'insegnamento di Atcho e dei suoi rapp resentanti: il male e la malattia continuano a rimanere una sola e medesima cosa , ma questa cosa è opera del malato stesso; se confessa le sue menzogne, il malato espellerà al tempo stesso la

sua malattia. Si afferma così un capovolgimento delle concezioni della persona (tradizionalmente concepita come composta da istanze psichiche collegate ma relativamente autonom e, vulnerabili agli attacchi esterni ed eventualmente mobili) che è anche la rappr esentazione di un cambiamento della società e della logica sociale. Mettere in dis cussione le rappresentazioni tradizionali della stregoneria (uno stregone è ritenu to esercitare il suo potere all'interno del suo matrilignaggio) significa infatt i mettere in discussione la concezione stessa del lignaggio e dei rapporti inter e intralignaggi. Tutta una parte dell'ideologica tradizionale cade quando l'insc rizione del destino individuale nella società non viene più concepita in primo luogo come inscrizione all'interno di un lignaggio - con le definizioni e le costrizi oni che vi corrispondono. Atcho vuole creare un individuoche non sia più definito dal suo entourage e dalle sue eredità, che sia separato dalle sue inscrizioni tradizionali e che stabilisca soltanto in rapporto a se stess

o la sua relazione con il mondo esterno e con le incertezze della vita. Bene che vada, se non si riesce a inculcare il senso del peccato, si stabilirà l'evidenzadello scacco: si dirà al malato che lui stesso ha attaccato un'altra persona ma che questa era troppo forte per lui. Come «profeta», Atcho prende atto del disfacimento degli universi antichi, nel quale vede il segno - differito da Harris - dell'avvento di una nuova era - la bianch ezza per i Neri, così come l'incarnano il presidente, i suoi ministri e il profeta , egli stesso imprenditore, uomo d'affari la cui riuscita «moderna» funge da prova e da testimonianza. Come terapeuta, Atcho dà l'ultimo tocco, con le sue diagnosi, a

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questa disgregazione: invece di essere l'entourage tradizionale a manifestarsi nella malattia dell'individuo, è la mediocrità dell'individuo stesso, già nuovo (causadi se stesso) ma ancora vecchio ("witch" svalutato, nel nuovo linguaggio: diavolo), a manifestarsi nelle difficoltà del rapporto con l'entourage. Questa rotturadella relazione è rappresentata simbolicamente nell'immaginario di Bregbo dai «guerr ieri di Dio», che tagliano la strada dello stregone aggressore, ma tutto il rovesc iamento si trova nella diagnosi che fa della vittima un colpevole. Se lo stregon e viene vinto, ciò significa che l'entourage in quanto tale non esiste più. L'indivi duo le cui sventure manifestavano la struttura è invitato a sentirsi manifestato d alla destrutturazione. Se non ha più una relazione efficace con l'entourage,quest a carenza rimanda a un'altra relazione, quella dell'individuo con se stesso e co n il mondo nuovo che lo circonda. L'individuo è solo al mondo. Chiede spiegazione al profeta delle nuove sciagure. S e non vuole mettere in discussione lasocietà, il profeta è tenuto a non rimandare l 'individuo se non a se stesso. Ma lasua figura può essere sopraffatta dalla richi esta che gli viene rivolta, segnatadall'evidenza di altre sciagure dopo la parz iale cancellazione del mondo antico. Ciò nonostante, la logica delle rappresentazi oni cambia senza arrivare a ordinarsi in una figura stabile e coerente. SENSO E POTERE. - Il senso e il tempo. Tutte le osservazioni fatte fino a questo punto, siano esse destinate a una riev ocazione critica dei temi antropologici di moda o a una ripresa rapida delle nos tre analisi del sistema lignatico, sollevano il problema del tempo e delle concezioni del tempo, più esattamente quello della memoria e dell'oblio. Il concetto di memoria riunisce in un certo qual modo i concetti di repressione individuale edi repressione sociale; memoria individuale e memoria sociale si alimentano l'un

l'altra e spesso sono entrambe arbitrariamente selettive. La memoria è l'espressi one più immediata della costrizione; ogni promemoria è un richiamo all'ordine, richi amo di un evento, di una promessa, più generalmente: di un'origine. «Chi t'ha fatto re?» L'individuo si sa, si crede o si teme «segnato» dal suo passato, a meno che l'ass enza di qualsiasi evento «che lasci un segno» nella sua esistenza tolga a quest'ulti ma ogni senso. L'origine servile si traduce nel nome o s'inscrive nella carne. I l ricordare si coniuga volentieri all'imperativo: ricordati di fare questao que st'altra cosa (cioè di ricordarti il passato come costrizione); smetti di rivendic are e di esaurire tutto il senso dell'esistenza ("memento mori"). I messianismi e i profetismi coniugano la costrizione al futuro anteriore, differendo la compa rsa dei segni che esprimeranno, giunto il momento, una necessità ancoratanel pass ato. L'antropologia, essendo "ricerca del senso (quantunque si tratti del senso che g li altri danno alla loro esistenza), non può non essere una rifless

ione sulle orig ini (quantunque si tratti delle origini che gli altri si riconoscono o che si in ventano). Mettiamo insieme tutti i temi e ritroviamo le loro costanti: Morin evo ca i rapporti complementari del codice culturale e del codicegenetico, la stimo lazione dell'ontogenesi da parte dell'eredità culturale. Marcuse fa risalire la st oria umana a due origini: l'origine della repressione individuale e l'origine de lla civiltà repressiva (che conduce alla «repressione addizionale»). Il «Super-io», dove s i accumulano gli effetti dell'ontogenesi e della cultura,obbliga l'individuo a obbedire ai dettami della realtà: la realtà pensata che s'identifica con la realtà pas sata. Adamo, Prometeo, Ogo: tutte le origini sono simbolizzate da passati di riv olta e di rottura - passati tuttavia incessantemente riattualizzati (mitizzati, ritualizzati, celebrati) come se il limite della rivolta fosse quello stesso del senso legato alla costrizione, come se il bisogno di comprendere e di giustific are esigesse che il passato abolito non venisse per que

sto dimenticato. La prima rottura, la rottura iniziale è, evidentemente, la nascita stessa; di qui, indubbi amente, il fatto che il senso dell'esistenza sia tanto spesso cercato indietro, prima della nascita; nel mito di Er e nei suoi omologhi africani, l'oblio delle scelte che precedono la nascita non è mai totale: occorre un minimo di memoria e d

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i responsabilità per mantenere il senso dell'esistenza sociale. Poiché è di senso e di società che si tratta; al limite estremo di questa tentazione logica, e necessari o che la nascita sia un errore affinché l'esistenza abbia un senso; il peccato ori ginale è un'esigenza di senso; tutti i Prometeo sono al contempo eroi logici eder oi sociali - o, come si è detto, dei civilizzatori. Logica storica e logica mitica si confondono nella misura in cui l'ordinamento v igente deve essere pensato. Che la storia abbia un senso è l'esigenza di ogni soci età odierna. Tutte le società hanno bisogno di una storia e di «fare una memoria» per co loro che le costituiscono; l'ordinamento sociale ha bisogno, per essere logico ( per imporsi), dell'ordine cronologico; la storia forse non è se non la storia dell a creazione del sensoe delle sue costrizioni (anche se questo senso e queste co strizioni rimandano a costrizioni più fondamentali). Immaginare (o credere di scop rire) una società primitiva senza costrizione è come definirla senza memoria e senza storia; sarebbe anche come definirla alogica, priva di senso dal suo stesso pun to di vista - un limite intollerabile e impensabile. Perciò l'antropologo che vuol e cancellare il passato per sopprimere la costrizione e tuttavia conservare il t empo per salvareil senso si rifugia nel mito del presentimento. Il senso che no n può nutrirsi dipassato deve essere nutrito con il futuro: la pratica primitiva trae il suo senso dal futuro che essa rifiuta; nulla ha di anteriore se non il s uo futuro; «[...] è contro la legge di Stato che si pone la legge primitiva», scrive C lastres. Ma questo è un mito di etnologo o un'etnologia mitizzata, un mito di chi, facendo dello Stato un'origine assoluta, lo concepisce come peccato capitale e costringe se stesso a risalire la storia controcorrente per illudersi di compren derla e affermare che altri l'hanno rifiutata. Le società (e parimenti gli individui) intratten

gono con il loro passato rapporti diversi, ma sempre necessari, di eredità o di rifiuto: di pensiero. La rivoluzione è la sola storia al presente: con essa la storia cronachistica acquista un senso; esistono giornate rivoluzionarie. Indubbiamente, il passato può spiegare o autori zzare la rivoluzione, ma essa ne scaturisce con tanta forza da conferire senso, di rimando, al passato: retrospettivamente necessaria, fra le sue possibilità la r ivoluzione è quella che si è realizzata, e con questo anche la più «vera», quella meglio a utenticata - almeno per colui che abbraccia con lo sguardo tutto un periodo stor ico. Questa riorganizzazione del passato costituisce del resto una minaccia per la rivoluzione: dal momento in cui ridà senso al passato, essa si costituisce come riferimento per il futuro, come passato virtuale, certo costrittivo e, in qualc he modo, buono da pensare, ma solo fin tanto che non verrà assoggettato a una nuov a necessità retrospettiva. Allo stesso modo, per l'individuo, il «buon tempo» è esattame nte il tempo morto, il passato lontano

della giovinezza perduta e delle rivolte fallite, delle guerre, delle sofferenze sordide e delle avversioni quotidiane tr asformate in celebrazioni folclorichee ciarliere - o ancora la pace geometrica, pettinata e rastrellata, dei cimiteri militari, che suscita e intrattiene, con il silenzio del rispetto, il flusso dell'emozione. E' il passato superato e, per così dire, "dé-pensé" (28); non rimane più nulla da fare o da comprendere - passato buo no per pensare tutto, come ci sono delle domestiche tuttofare. Forse la rivoluzi one riesce a evitare di essere recuperata solo controllando questa produzione in cessante del passato, pensandola incessantemente: questa potrebbe essere la gius tificazione di un attivismo dell'intelligenza e della pratica che porrebbe tutto il senso nel presente e che costituirebbe la rivoluzione permanente. La lotta per il senso è una lotta sociale ed è una lotta con la storia. Non si può ris crivere la storia ma la si può reinterpretare: il senso della storia non è arbitrari o ma è relativo all'attualità che tuttavia ne

deriva; si può sapere a colpo sicuro che il movimento kimbanghista poteva diventare una chiesa di Stato dal momento che è quanto è successo; con questo, non è detto che esso non fosse, ai suoi tempi, suscet tibile di altre analisi o di altre ipotesi; la sua verità storica è oggi consolidata ma un cambiamento storico (per esempio la scomparsa di questa chiesa o una sua maggiore integrazione nell'apparato dello Stato) potrebbe sfumare questa verità. L 'attitudine politica o filosofica che consiste nel riprendere in considerazione, facendosene carico, gli elementi passati, nel ripensare la storia, non è dunque t otalmente arbitraria, anche quando mitizza o inventa questa storia, poiché con la sua sola esistenza essa le attribuisceuna possibilità supplementare. Va da sé, tutt

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avia, che la storia non potrebbe interamente dipendere dall'attualità e che esiste un confine fra le metamorfosi storiche di un'istituzione, le quali rivelano pro gressivamente la sua complessità e le sue potenzialità, e le ricostruzioni arbitrari e che modellano il passato sulle esigenze del presente. In ogni caso, l'esigenza del senso passa attraverso un pensiero del passato. All'estremo limite dittator iale di questa esigenza è la macchina di Orwell, che cancella o ricompone il passa to secondo la richiesta del potere. La chiesa non ignora nulla circa la necessità di riscritture. Passato il tempo del la conquista, dei feticci bruciati e dei battesimi di massa, arriva il tempo del la riflessione, del recupero ideologico, dell'elaborazione della storia. In tutt a la letteratura religiosa consacrata all'etnologia si trovano due affermazioni complementari: innanzitutto, le credenze indigene sono interessanti; esse non so no né assurde né irragionevoli; i pagani credono in Dio; il politeismo è solo un'appar enza. Con maggiore o minore abilità e fortuna, si arriva a scoprire nel dio degli altri tratti che non lo discostanotroppo dal dio cristiano; la letteratura prot estante inglese dedicata agli Ashanti condisce il "kra" (una delle istanze psich iche dell'individuo) in tutte lesalse, traducendolo con «anima» o con «angelo custode». Seconda affermazione, che è complementare alla precedente e ne relativizza la por tata: a un certo punto, il pensiero indigeno ha subìto una deviazione che lo ha po rtato al feticismo, una speciedi peccato originale supplementare; occorre dunqu e separare il grano dal loglio, astrarre dal guazzabuglio indigeno gli elementi compatibili con l'idea di un Dio unico e immateriale, e imporre ai nuovi catecum eni un'altra storia. La Bibbia, che sia letta o meno, è il simbolo del nuovo inizio. Bisogna ripartire da zero, anche a costo di bruciare le tappe. In materia di religione, ontogenesi e filog

enesi s'identificano. La sorte dell'umanità e quella di ciascun individuo sono legate. Ogni conversione implica, dovrebbe implicare, un cambiamento di sto ria. Si tratta proprio, anche in questo caso, di rifare una memoria, che elimini quella vecchia. L'imposizione di un nuovo passato si esprime nel costituirsi di una nuova territorialità, di uno spazio (la chiesa o il tempio, la diocesi, Roma) e di un tempo (il calendario, le festività comuni, un percorso individuale - il b attesimo, la comunione). La chiesa è, da questo punto di vista, rivoluzionaria piu ttosto che evoluzionista; essa crea in modo rivoluzionario le condizioni di una nuova memoria che, una volta compiuta la rivoluzione (cadute in un giorno le pot enze che incutevano timore), torna a essere tradizione e costrizione, verità di og nieternità. Occorre sempre un passato di ricambio per fare il cambiamento. Ci son osempre vecchi conti da regolare, persino con Confucio. L'esempio ivoriano ci propone delle società lignatiche inscritte nello spazio (ter ritorio tribale, terreno

del villaggio, terra del lignaggio) e nel tempo (catene genealogiche dove si leggono, insieme al gioco delle alleanze, la trasmissione delle eredità, la circolazione delle forze ereditarie, il senso delle reincarnazio ni); esso ci propone al tempo stesso una visione senza sfumature dell'aggression e occidentale e della «deterritorializzazione» legata all'apparato dello Stato: fisi camente, territorio e terreno si cancellano per lasciar posto alle grandi tenute necessarie all'estensione delle culture industriali; le sigle misteriose dietro alle quali si profilano, senza veramente nascondersi, il potere statale e i cap itali stranieri segnano il nuovo spazio che non viene più misurato con il metro de lle frontiere etniche o di villaggio. Parallelamente, e ormai in atto da molto t empo, aumenta l'erosione delle strutture lignatiche, delle rappresentazioni che vi corrispondono e delle logiche individuali che da esse traevano la loro ragion d'essere. Colpito fisicamente, il lignaggio si sfilaccia, non s'aggrappa più alla terra che gli vie

ne sottratta, non coniuga più tanto facilmente, tanto logicament e, l'alleanza con gli altri lignaggi; il potere amministrativo e il potere relig ioso (comprese le forme sincretiche che non possono svilupparsi lontano dal pote re politico) pesano nello stesso senso delle costrizioni materiali (esodo in cit tà, disoccupazione, scolarità irregolare) e tendono a creare un individuo solitario affrancato dai vincoli di solidarietà del lignaggio: vietare l'interrogazione del cadavere, denunciare o trasformare le credenze nella stregoneria, dimenticare o far dimenticare le costrizioni dell'inscrizione genealogica non significa passar e al setaccio l'intatta profondità del sistema, è distruggerne, con un solo gesto, l

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a logica e la natura. I tempi nuovi sono giunti, proclama lo harrismo; siamo com partecipi del peccato originale, ricorda la Bibbia. L'uomo ivoriano, che sia pro letario o imprenditore, è un uomo solo, suggeriscono i messaggi ufficiali, i regol amenti dei concorsi di reclutamento, il catasto, i procacciatori d'impiego ela violenza anonima degli edifici di Abidjan. L'ivoriano è senza passato. Evocando questi cambiamenti di tempo, constatiamo la cancellatura delle «inscrizio ni» e ilgioco apparentemente disordinato delle «riterritorializzazioni». Non per ques to cisiamo avvicinati alle analisi dell'"Anti-Edipo". A dire il vero, ce ne dif ferenziamo su tre punti che conviene, per concludere, riprendere e approfondire. In primo luogo, l'assiomatica non è il privilegio della società statuale e si può, pe r esempio, parlare con rigore di assiomatica di lignaggio. L'opposizione codice/ assiomatica non è pertinente. In secondo luogo, la struttura simbolica - e la sua efficacia repressiva - è identica in tutti i tipi di società. Insomma, la filiazione intensiva può rientrare nel campo di un'analisi diversa da quella dell'"Anti-Edip o": lungi dall'essere l'ossessione scongiurata dagli spostamenti dell'Edipo, ess a può apparire come l'espressione e la pratica del potere, e non (oppure non solamente) come l'evoluzione dell'indifferenziazione originaria ma come l'esigenza li mite di un potere che per farsi accettare e comprendere (per comprendersi essos tesso) deve imporsi come naturale, al limite (e al di là) del senso comune e del s enso "tout court". - Al di là del senso: la necessità. Le ingiunzioni delle società lignatiche sono arbitrarie. A qualche chilometro di d istanza, nel mosaico lagunare, esse cambiano senso, senza che nessuno ne tragga motivo di stupore. Un Alladiano matrilineare e attento alle minacce del suo matr ilignaggio sa che un Dida, invece, può temere tutto dal proprio patrilignaggio. Le strategie matrimoniali

e i calcoli economici tengono conto delle molteplici pos sibilità offerte dalla combinazione dei diversi assiomi. Sposare una donna dida al fine di trattare suo figlio come un nipote senza permettergli di dimenticare i suoi doveri filiali, dare al proprio figlio una sposa schiava al fine di attribu irsi a un tempo i diritti dello zio e quelli del nonno sulla sua progenie, combi nare, coniugare, manipolare: questo virtuosismo non è possibile se non a partire d a dati discordi, opposti e molteplici. Indipendentemente da queste combinazioni, la logica lignatica di una determinata società propone una quantità considerevole ( ma niente affatto illimitata) di assiomi che combinano a loro volta gli elementi paradigmatici forniti dalle rappresentazioni della persona, della malattia, del la stregoneria, dell'ordine sociale eccetera. Ritroviamo a questo punto la nozio ne di ideologicacome logica sintagmatica. Ciò che conta è che la natura di un event o e la posizione di colui che prende la parola possono invalidare o modificare u na diagnosi o u

n'affermazione che erano state in un primo tempo accettate, e che la riserva diproposizioni formulabili (non tutte lo sono) è abbastanza ricca e v ariegata da consentire tutte le inversioni di formulazione. La posizione di Ego in una costellazione lignatica gli impone costrizioni e definizioni, ma nessuna costrizione è meccanica, nessuna definizione automatica. Nulla è sicuro, tutto è possi bile (giacché il limite di questa «libertà» consiste, come nel capitalismo, nella costri zione complessiva del sistema e nella sua gerarchia globale). Gli assiomi hanno sempre un soggetto e un oggetto universali; l'assiomatica di l ignaggio, come tutte le ideologie, parla al singolare/plurale. L'etnologo che si accontenta di raccogliere quanto gli informatori gli dicono sulle regole di all eanza, di eredità e di successione rischia seriamente di comporre un quadro abbast anza distante dalla realtà, ma il discorso che raccoglie non è necessariamente ingan natore; per lo meno, non è necessariamente destinato a suo uso esclusivo e non lo inganna più di quanto non in

ganni gli altri, coloro ai quali è più specificamente dest inato. L'individuo si concepisce come uomo e concepisce la sua società come umanità: le regole della sua società si presentano come analitiche o come normative; parla no dell'ereditarietà o dell'eredità, del corpo individuale o del corpo sociale (la d istinzione fra descrizione e norma sarebbe estremamente relativa, dal momento ch e quest'ultima traduce esigenze che sono le stesse dell'essere e dell'esistenza) ; in questo stesso modo esse l'aiutano, lo spingono a non definirsi se non come

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illustrazione particolare di verità universali; si tratta dell'astuzia, l'abbiamovisto, dell'ideologica, che parla a tutti come se parlasse di ciascuno, mentre i nvece i suoi silenzi riguardano la gran massa di coloro ai quali essa si applica senza parlarne. La parola del potere sa che il linguaggio di cui si serve è fatto anche di silenzi, inversioni, litoti e allusioni. Essa non è mai tanto efficacec ome quando si fa quasi silenzio; allo stesso modo, la pretesa di potere non è mai tanto arrogante come quando mostra tutto ciò che, da parte del pretendente, riguar da gli altri, spetterà agli altri. Nelle società lignatiche come nelle altre, l'univ ersalizzazione dei soggetti maschera la personalizzazione del potere e la gerarc hizzazione degli individui. Della successione nei lignaggi lagunari ci viene ric ordato che passa di stirpe in stirpe, orizzontalmente, per cui queste stirpi non sono troppo numerose - un numero eccessivo provocherebbe normalmente la segment azione; ma l'uguaglianza relativa delle stirpi significa la subordinazione dei c adetti a cui il potere, nella sua peregrinazione orizzontale, non arriverà mai. No n siamo così lontani dall'uguaglianza dei cittadini nelle società liberali. Non è sicuro, tuttavia, che le parole «maschera» e «inganno» non siano in questo caso impr oprie e metaforiche. All'eterno «complotto» del potere occorrono ragioni fondamental i: se l'esistenza individuale dell'uomo è problematica, la sua esistenza sociale p one un diverso e medesimo problema. L'uno non è meno metafisico dell'altro. Le for me sociali più oppressive sono anche una risposta (per quanto perversa) a un'esige nza di senso. Si sa che l'istituzione politica corrisponde in linea di principio a rapporti di forza ancorati nel controllo della produzione; dal controllo all' istituzione, però, sono concepibili parecchie mediazioni, e di fatto si scoprono n elle società esistenti; ma quale che sia il gioco tra la realtà economica e

l'istitu zione politica, il potere, indubbiamente perché si rivolge agli individui concreti e si esercita attraverso individui concreti, ha bisogno di imporsi logicamente; l'evidenza logica, da questo punto di vista, è per esso più necessaria della giusti ficazione morale; e più ancora dell'evidenza logica, è necessaria l'evidenza dell'es istenza e dell'essere. Il fatto che il potere si eserciti attraversoindividui m ortali è di per sé contraddittorio - agli occhi di coloro che lo esercitano come agl i occhi di coloro che lo subiscono; il carattere assoluto del potere (le costriz ioni di un potere non dispotico sono, ciascuna per conto proprio,assolute) e il carattere mortale della vita umana non sono pensabili insieme. Quanto alla filiazione intensiva, essa è la stirpe germinale dove l'indistinzione dei corpi corrisponde all'inesistenza della morte. Se mettiamo da parte per un i stante la sistematica simbolica di Deleuze e Guattari, che cosa constatiamo? Più l'apparato politico si rafforza e diventa autonomo, più esso si esprime in forme pr

ossime alla filiazione intensiva. Per evitare che ogni potere risulti scandaloso e intellettualmente insopportabile, occorre che il capo sia immortale, semprel o stesso (il re è morto, viva il re), oppure che il potere esista indipendentement e da coloro che lo esercitano (la presenza reale di Dio costituisce il potere de lla Chiesa). O il despota è sempre lo stesso e fa, costituisce il potere, o il pot ere è sempre lo stesso e può incarnarsi in diverse figure effimere. La secondasoluz ione è al contempo più religiosa, più feticistica (ci possono essere ricettacoli del p otere) e meno stabile della prima (può esserci competizione per il potere); del re sto, può benissimo arricchirsi dei suoi vantaggi. La seconda soluzione corrisponde a un trattamento simbolico della morte; è necessario relativizzare l'individuo pe r salvare il carattere assoluto del potere: per relativizzarlo è necessario ammett ere che si reincarni o, per lo meno, che alcune delle sue componenti ritornino, che la figura individuale non sia altro che la combinazione effimera (

ma non cas uale) di elementi di uno stesso ceppo, destinati ad andate e ritorniinfiniti. L 'affermazione dell'eternità e il trattamento della morte suppongono una teoria del l'alleanza; pertanto vediamo quest'ultima affinarsi, complicarsi, strutturarsi c on l'ordine politico. La teoria dell'alleanza è più sofisticata nellesocietà lignatic he che nelle bande di cacciatori-raccoglitori; con la teoria dell'ereditarietà, es sa assicura da una parte la permanenza dello stock genetico dellignaggio, dall' altra la trasmissione, il ritorno regolare degli elementi che definiscono il san gue, la forza, l'identità e il potere; occorre notare che è proprio nei sistemi poli tici forti che la pratica matrimoniale si sistematizza in relazione a ciò; nei lig naggi lagunari si ammette che la forza del nonno, così come il

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suo nome, si trasme

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ttano di preferenza al primogenito del figlio primogenito; nelle famiglie princi pesche ashanti, ci ricorda Rattray, il matrimonio di un principe con la cuginai ncrociata patrilineare ha esplicitamente lo scopo di riprodurre nella personade l nipote la formula biopsichica del nonno, la quale è caratterizzata da due princi pi, trasmessi uno per via agnatizia, l'altro per via uterina. Al limite, l'inces to come negazione della morte (cioè dell'individuo), esigenza di senso e verità del potere. Il limite viene raggiunto con il sistema dispotico. L'incesto reale si presenta proprio per quello che è: il rifiuto di individualizzare la figura del potere. Nei reami interlacustri, il re sposa la sorella agnatizia, un'unione reale che rima ne parzialmente simbolica: la sorella non darà figli al fratello. Troviamo un'unio ne ancora più reale nell'antico Egitto: il Faraone sposa la sorella e nascono dei figli. L'incesto con la sorella è certo un privilegio del re, ma svolge la funzion e di rimuovere l'immagine dell'intensità originaria? Non sarà piuttosto che la ribad isce come privilegio e definizione del potere? Il "ka", il doppio che sopravvive alla morte del corpo, è prima di tutto un privilegio del re; ed èanche un attribut o divino. L'intensità e l'incesto non vengono negati, scongiurati, ma rifiutati, c ome l'immortalità, a coloro che dipendono dal potere (29). L'intensità pertanto è Dio, compreso nel mito dogon; il potere regale dialoga con gli dei e tratta simbolic amente la morte. Niente di meno individuale né di più sacro delpotere personale! O altrimenti Dio a fianco del governo, il potere a fianco deipotenti, il potere da prendere, da afferrare, per chi osa e può. Ma, anche quandoil potere è da prend ere, legittimo e legittimante, occorre della forza a chi se ne impadronisce - la spiegazione della forza rimanda al trattamento del destino e del caso, dell'ere ditarietà e della morte. Meglio ancora (surlegittimazione, sur

esplicazione) che il potere sia di colui che lo prende e che tuttavia siano sempre gli stessi a esse re adatti e autorizzati a prenderlo. La guerra dei fratelli nemici, la guerra di successione nei reami interlacustri indica con sufficiente chiarezza che l'iden tità individuale del despota importa poco, a condizione chevenga affermata la sua permanenza, la sua identità essenziale. Una ridondanza sociologico-politica vorrà i noltre che lo stesso simbolo del potere ne sia il ricettacolo - come il tamburo degli Ankole il cui possesso legittima il possessore. L'indifferenziazione delle generazioni, la negazione della morte, la negazione d ell'assoluto individuale (solo la morte fa l'individuo) sono necessari alla veri tàe alla realtà del potere; la sua divinizzazione, il suo carattere sacro, non è che uno degli aspetti di questa necessità. Lo Stato moderno non sfugge a questa esigenza logica, ma deve superare due scogli comparsi nella storia dell'umanità: la mort e di Dio e la mortalità dell'uomo; affinché il potere sia possibile, credibile, occ

o rre che, anche se Dio è morto, non tutto sia consentito; se la misura dell'individ uo dà la misura dell'uomo, e la morte quella dell'individuo, ogni potere diventa t anto più improbabile e difficile quanto più la morte di Dio rende la sua sacralizzaz ione artificiale. L'ordine laico si vede attribuire il compito assurdo ed eroico di coniugare ateismo e potere. E' proprio dal lato del potere, tuttavia, che, u na volta reso l'individuo alla sua pienezza assoluta, bisogna trovare il senso e la legittimità della società. Pertanto, il trattamento della morte, che costituisce il tema centrale delle ideologie lignatiche e di quelle dispotiche, cedeil pos to al trattamento della storia che sottende e anima le grandi ideologie contempo ranee. Da qualche parte nella "Condizione umana" (30), un eroe di Malraux si chi ede per quale motivo i comunisti debbano adoperarsi per la realizzazione di una rivoluzione presentata come ineluttabile; la risposta è già nella domanda:la necess ità della rivoluzione offre precisamente all'azione tutto il senso che l

a rende po ssibile. Il colmo della filiazione intensiva non verrà trovato dal lato dei balbet tamenti dinastici dello Stato moderno, per quanto molto significativi (la moglie di Perón, il clan Kennedy, Gandhi figlio, il delfino di Franco, l'amicizia concla mata dei grandi di questo mondo, che forse un giorno finiranno perdiventare cug ini), ma dal lato di questa eternità anonima del Potere inqualificato che porta il governo francese a riconoscere gli «Stati», e non i «regimi». L'individuo, la persona, l'entità: questa progressione è quella stessa dell'aumento della complessità della pol itica. Crescente astrazione, certo, ma anche, dal punto di vistapolitico, maggi ore intensità e disindividualizzazione.

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Oggi, come sempre, per i governanti, ma anche per i governati, si tratta di salv are la coppia senso/società; è forse significativo, da questo punto di vista, che la filosofia, riflessione sull'essenza dell'uomo, faccia posto o assegni un posto alle scienze umane, riflessione sulla società. Comunemente si ritiene l'idea di in dividuo una creazione occidentale (come se le teorie della persona in quanto con divisione e in quanto eredità nelle società non occidentali comportassero l'assenza di un vissuto individuale, di interessi e di strategie individuali); ma quest'id ea non è mai stata tanto elaborata quanto nel diciottesimo secolo, al momentodell a rinascita della filosofia politica, della riaffermazione dell'idea nazionale e del corpo sociale. E' che si tratta di relativizzare questo concetto nel moment o stesso in cui lo si riafferma; come se esso non fosse stato utilizzato se non per ricavarne i principi (libertà, uguaglianza) che, in fin dei conti, conferiscon o senso al "socius" che lo limita. L'aspetto più puro dell'individualità è dallato de lla felicità e della fusione con la natura: a esso il diciottesimo secolodà forma e promette il suo paradiso perduto, la sua isola solitaria; l'individuo politico è il cittadino, colui che deve ammettere la necessità logica di un contratto sociale e l'esistenza di un potere statale che né le rivoluzioni o le restaurazioni, né i c olpi di Stato o le destituzioni metteranno in discussione. L'individuo, una crea zione dell'Occidente? Mai nella storia folle tanto docili e immense avranno subìto la legge dell'uniforme e del massacro con tanta rassegnazione o entusiasmo come dal giorno in cui venne diffusa la parola d'ordine di libertà individuale. Parola d'ordine, in effetti. Poiché è ateo, poiché trae il suo senso dalla storia, lo Stato moderno, intensità assoluta del potere impersonale, gioca con un virtuosismo ampli ficato il gioco dell'illusione individuale, del singolare-plurale nel

quale hann o sempre dato ottima prova i poteri politici, fossero anche quelli di lignaggio. Non sorprende che i vendicatori di Laio vogliano, con la morte di Edipo, quella dell'Io e del Super-io. Nessun potere troverà da ridire. L'individuoe il potere r imangono antinomici. Non si può dar senso all'uno senza toglierlo all'altro. Oppur e bisogna destreggiarsi, distribuire, dosare, come fanno gli indovini, i chiarov eggenti, i capi di lignaggio o come fanno, altrettanto bene, qui e ora, i teoric i liberali dell'illusione individuale. Capitolo 3. L'ILLUSIONEINDIVIDUALE. Liberalismo e repressione. Per ogni sistema sociale, il pericolo è l'individuo, la radicalità della rivendicazi one individuale, l'originalità irriducibile. La stessa ideologia contrattuale amme tte, al limite del suo sforzo teoricodi accomodamento con l'esigenza individual e, che la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella degli altri; punto cont rattuale che non definisce confini,punto di confine che non impone costrizioni. L'INDIVIDUO, L'ISTITUZIONE. L'istit

uzione vive di ruoli e di status, di personaggi di cui l'abito definisce in larga misura il valore e quasi l'identità; essa impone a coloro che ne fanno pa rte costrizioni formali più forti e più numerose di quelle subite dagli altri membri della società. Queste costrizioni valgono come definizioni e l'opinione comune se ne fa qualche idea in modo caricaturale, rappresentandosi il carattere e persin o ilfisico del colonnello, del maresciallo, del gesuita e del seminarista. L'es ercito, la chiesa: al loro interno, l'individuo rappresenta l'antagonista irridu cibile e necessario. Essi non possono impedire all'individuo di esistere (non po ssono impedirsi di esistere) ma possono giocare sulle modalità e sulle definizioni della sua esistenza; questi alti luoghi istituzionali sono per eccellenza i luo ghi in cui l'esistenza precede l'essenza: datemi dei bambini, ne farò dei soldati.La «vocazione», la chiamata proveniente da un altro luogo, significa anche questo superamento dell'individuo nella sua realizzazione istituzionale; è l'ideale di ogn

i corporativismo (l'«ordine» dei medici, da noi, difficilmente si rassegna a vederlo indebolirsi senza poter trovare un rimedio) respingere l'individuale in un'orig ine che è già e anche un altrove (la vocazione) al fine di realizzarlo in un ruolo (

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una missione). Questo superamento dell'individuo attraverso il suo ruolo e, al d i là di questo, attraverso l'istituzione, è tipico dell'esercizio del potere: il pot ere non può venire esercitato integralmente da individui (interamente mortali),no n fosse altro perché è esso stesso potere di vita e di morte. Potere "tout court" co me quello dell'esercito e della chiesa (che l'abbiano esercitato o che lo eserci tino ufficiosamente o ufficialmente) e che perciò nega l'assoluto individuale: da una parte il costume e la gerarchia esteriorizzata, il superindividuo che si con sola della sua mortalità amministrando ed eventualmente realizzando quella degli a ltri, dall'altra il sottoindividuo, a cui viene sottratta la sua unica identità quella della sua morte biologica, inscritta nella sua carne forse, virtualmente presente, ma solo nella «sua ora» - e a cui viene rifiutata la libertà di scelta, ovve ro, ancora una volta, non la libertà ma l'identità, la scelta della morte: ilsuicid io è un peccato «mortale». Ammiriamo per un istante il cinismo del linguaggio,la fran chezza sempre troppo evidente del potere: il potere di dare la morte è certamente anche un potere di vita, non già quello di lasciare la vita - non sto usando un pl eonasmo - ma quello di ordinarla, di conferirle senso e realtà, di rifiutarle l'as soluto individuale; quanto al peccato mortale, esso non fa morire, tutt'altro; s e esistono peccati mortali, è appunto per evitare che l'individuo possa cavarsela con la morte, sia egli destinato a un nuovo inizio del ciclo oppure a una second a vita senza altra individualità che la traccia uniforme e indelebiledel peccato della prima vita; la Chiesa può anche rinunciare all'Inferno senza che cambi il su o sistema repressivo; tutti i suoi peccati sono originali: il peccato mortale, c ome il peccato originale, è quello dell'individuo. Il divieto è preesistente alla co lpa; è Adamo che ha scelto la propria mortalità; essa è colpa e non san

zione. Ogni potere è potere di morte. Il potere sulla morte, capace di negarla (potere de l prete) o di differirla (potere del medico) è, come il potere di morte (quello de l militare, del magistrato, del politico, con cui, del resto, può essereidentific ata la figura del prete o del militare), un potere sulla vita. Il potere in ques to senso è l'assoluto dell'ideologia; tutti gli uomini sono mortali, quindi Socrat e è un uomo... Al fondo del sillogismo la solitudine attenta di ciascuno, mai così p rossima alla sorte comune, alla sorte degli altri, mai così «universale»e pronta a re cepire il discorso al singolare/plurale a partire da questa insormontabile preoc cupazione, da questa interrogazione su una fine di cui il poterepuò avvicinare o differire la scadenza e alla quale può anche conferire o rifiutareil senso. La mi a morte, la morte: l'assoluto contro la statistica; il non senso contro il senso della storia e del presente: del potere. Quale altra risorsa per il potere, al limite, se non condannare a morte? Risorsa che sarebbe irrisoria

se, appunto, no n decidesse del senso e della scadenza. La morte è la sanzione piùgrave del crimine, e il crimine più grave è quello dell'indiv idualità; non solo quello del «fuori legge» di piccolo calibro, ma anche quello dei gr andi attori: coloro che traggono dal loro ruolo più di una personalità, come una nuo va e irrecuperabileindividualità, trascendente la legge. Ora, la gerarchia non co nferisce autorità senon in quanto impone la disciplina. L'esercito e la Chiesa ha nno due ossessioni: l'eroe e il santo. Non è forse l'eroe un fellone o un ribelle in potenza (quanti generali, quanti capitani...)? Non sfiora forse il santo in o gni istante l'eresia? De Gaulle e Giovanna d'Arco sono due aspetti diversi dell' ambiguità del potere: entrambi condannati dal potere da cui dipendono, uno lo recu pera, l'altro viene recuperato. Parole piene di sollecitudine, cariche d'affetto , qualificanole varianti minori dell'eroismo e della santità: il cattivo soggetto e l'inquieto. Il fatto è che bisogna adattarsi; nei casi eccezionali la tenerezza recupera ben

più della forza; preso nel modo giusto, compreso, il «testone» può essere un combattente «magnifico»; è solo necessario riprenderne il controllo periodicamente. Quanto alla Chiesa, essa ha per gli afflitti al limite dell'eresia un'incessant e sollecitudine, più vigile e suscettibile, tuttavia, quando investe i membri dell 'apparato: la gerarchia può richiamarli all'ordine, se essi sbagliano, o escluderl i dall'ordine, se perseverano nell'errore. Per l'istituzione, l'individuo, interlocutore obbligato, diviene un valido inter locutore se può essere colpevolizzato. La colpa è la sola modalità tollerabile dell'es istenza individuale, la colpa con il suo corollario - versione sociale dell'indi vidualità disprezzata: l'isolamento. Insieme alla colpa compaiono i diversi marchi

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dell'individualità colpevole, le sue modalità gerarchizzate, la progressione della sanzione. L'immagine del destino nell'«al di là» - quella che oggi la Chiesa tende a cancellare, almeno nelle sue realizzazioni più intellettuali, ma con la quale essaha a lungo regnato - è quella di un'individualizzazione mediante la colpa, inverso della colpevolizzazione dell'individuo; una volta messi da parte gli estremi de l male e della santità (che possono essersi confusi in principio: Lucifero - il pr imo individuo? - era un angelo amato da Dio), il purgatorio è assegnato agli uni e agli altri in ragione dei loro errori: a ciascuno secondo le sue colpe; ciascun o non è che le sue colpe. Di qui l'occasione insperata che rappresentano per le istituzioni repressive le grandi sciagure, quelle che, come la morte, colpiscono tutti e ciascuno, materia le bell'e pronto per l'elaborazione ideologica - dono di Dio, flagello di Dio. E ' così che, per il potere politico, ciò che si perde all'esterno si recupera all'int erno. Rendere la Comune responsabile delle disfatte dell'Impero e l'ateismo dell e debolezze dell'Esercito equivale a far «interiorizzare» la disfatta, a farne l'aff are di ciascuno, a farne una questione di conversione. In Francia, «terra di missi one» (colonia interna), la Chiesa non ha bisognodi profeti indigeni, di un Harris o di un Atcho; essa si fa carico della totalitàdel messaggio; per lo meno questo era il caso ancora negli anni Quaranta, quando cantavamo - in processioni che d iscendevano verso una delle croci di missioneche punteggiano e delimitano la Br etagna a partire dal diciassettesimo secolo: «Dio di clemenza, o Dio vincitore / S alva, salva la Francia in nome del Sacro Cuore» (1). Non si trattava di salvare la Francia dalla disfatta (la disfatta era già un fatto reale, come nel 1870), bensì d alle cause della disfatta; l'ateismo e il socialismo (o la pigrizia spirituale c he ne permette la comparsa e lo sviluppo)

sono il peccato di ciascuno: inversame nte, la salvezza dell'individuo s'identifica con la salvezza nazionale, con l'or dine ritrovato. E' l'evento che crea lacolpa che consente al Potere di avere a che fare con individui colpevoli; non rimane al Potere che creare questo evento per chiudere il cerchio della repressione. Più diventa teso il rapporto potere/ind ividuo (laddove il punto estremo di questa tensione è il sistema carcerario), più l' individuo deve essere colpevolizzato (i cattivi trattamenti avviliscono, il pate rnalismo ospedaliero rende infantili); questo punto estremo è anche un punto di ro ttura: la colpevolizzazione passa attraverso la dominazione ideologica, ma quand o questa si risolve in violenza, essa viene vissuta come oppressione. Ciò non equi vale a dire che la differenza frarepressione e oppressione passa per la presa d i coscienza di coloro che ne sono l'oggetto. Da una parte, la repressione non è ne cessariamente vissuta in maniera incosciente; l'efficacia simbolica non implica l'incoscienza, ma corrisponde a

una coscienza parziale, parcellizzata, a impasse logiche e a rapporti di forza e di senso che non sono immediatamente superabili . Dall'altra parte, l'oppressione violenta testimonia l'esistenza di un rapporto di forza che esige di essere interpretato e non solo concepito; la controviolen za reattiva può condurre a impasse tanto dal punto di vista del rapporto di forza quanto dal punto di vista delrapporto di senso. L'istituzione si spinge fino a sfidare l'individualità, fino asfidarla (colmo del cinismo teso al recupero) a sopportare quelle prove al termine delle quali l'or dine individuale sarà salvato e tuttavia in linea con l'ordine istituzionale. Qui si trova il principio di tutte le iniziazioni, applicabile ai ribelli più convinti , quelli di cui non bisogna assolutamente lasciar perdere il valore. Il rapprese ntante dell'istituzione abbozza un movimento propriamentereligioso, e più precisa mente pascaliano: quello dei gradi di verità; l'istituzione è divina: un po' di rifl essione ce ne allontana, un po' più di riflessione ci fa r

iavvicinare; tale è il pun to d'arrivo e il segreto di tutte le iniziazioni. L'ufficiale del "commando" pre ferisce un rivoltoso, un «comunista», a un pappamolla: nella speranza di canalizzare la sua energia, certo, e di innalzarla a un altro grado d'individualità, che è anch e il buon grado dell'istituzione; questo personaggio èben descritto in "RAS" (2), ma molti uomini di una certa generazione ne hanno conosciuti di simili. La cosc ienza che può essere coinvolta nel gioco che essi giocano (senza che questo termin e metta in causa totalmente la loro «coscienza» e la loro «buona fede») non limita assol utamente l'efficacia della loro prestazione: affare di «malafede» sartriana alla con fluenza di due individualità (definite, in una situazione concreta, dalla reciproc

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ità antagonistica di ostentazioni fisiche e morali) dove s'annida precisamente, pe r un periodo, la ragione istituzionale. Allo stesso modo lo sceriffo o l'eroe de l western, nelle opere classiche che celebrano l'epopea eroica e conformista,si offre e poi si impone allo sguardo degli altri (la folla sbiadita e passiva dei fattori, dei bottegai, del barbiere e del carpentiere), da cui ricava tutta la sua forza; ma non si fa riconoscere come individuo se non nel momento in cui s'i mpone come personaggio, come rappresentante dell'ordine nuovo o ristabilito:fin e dei disordini nelle campagne o nei saloon, dei furti di bestiame o della giust izia sommaria. Improvvisamente, l'individualità degli elementi anonimi dellafolla ignava sale di un grado (il vile dalla coscienza sporca la perde e guadagna una stella), mentre crollano nella polvere gli avventurieri di un tempo, presi nell a trappola della sfida individuale, sconcertati dallo sguardo di quell'uomo che gli assomiglia, venuto per ucciderli o morire, e per morire. Infatti, li ritrovi amo più tardi questi giustizieri o questi criminali, a volte riconoscibilinella b izzarra figura di un solitario dal passato pesante, la cui morale «personale» aggiun ge alcuni conformismi contraddittori e disarmonici: attraverso queste fessure (l a nostalgia, l'amicizia, la fatica...) s'insinua il disincanto e si riversa la m orte; i tempi sono cambiati, la «giustizia» non ha più bisogno di giustizieri, né l'avve ntura di colt d'oro; è cambiato anche il tempo dei registi, sono cambiate le prese di coscienza, e le crisi di coscienza che dominano le riprese: sulgrande scher mo del western decadente l'eroe «smitizzato» (ovvero semplicemente disistituzionaliz zato) si sente come perso, si stupisce di aver fatto così bene, di aver creato l'o rdine che credeva di difendere, e che lo esclude - mezzo sorpassato di una fine sempre superata, come i ribelli di cui l'Esercito si serve in tem

po di guerra (i l buon tempo). Esiste, in termini sociali, una problematica dell'individuo che raddoppia la pro blematica della repressione. L'individuo isolato può essere ricondotto alla massa - la quale gli conferisce il minimo vitale e ilmassimo auspicabile di senso, di simbolismo; l'individuale e il gregario sono le due figure estreme del sociale, il quale esige che esse non siano se non l'inverso e il diritto di una medesima realtà. Ciò che non è tollerabile, dal punto di vista sociale, è l'associazione delle i ndividualità senza ritorno alla massa - cosa cheben avvertono le istituzioni repr essive dal momento in cui si forma una «coalizione»; ogni tentativo di sindacalizzaz ione nell'Esercito o nella Chiesa comporta il rischio di fazione, di ribellione o di eresia. Se il gruppuscolo, quale che sia, irrita e inquieta, è perché cumula vu lnerabilità e spirito critico, Davide sociologico, irrispettoso, libero, irrespons abile. Da questo punto di vista, notevole è l'interesse dei gruppi femministi nella socie tà contemporanea. Se effettivamente e

siste una condizione femminile in rapporto a una «normalità» maschile, essa consiste nel fatto che ogni donna, in quanto donna e, d iciamo pure, per definizione, vive la repressione individuale essenziale; ciò che appunto le viene rifiutato è la condizione individuale: in quanto donna, essa è già de stinata dalla nascita a un ruolosociale minimo, definito in termini molto più ris tretti e rigidi rispetto a quello dell'uomo, ed evidentemente legato alla sua qu alità di riproduttrice. Lo status della donna sterile, nelle società lignatiche afri cane, mostra abbastanza chiaramente come questa repressione fondamentale non sia una prerogativa dell'Occidente cristiano o capitalista. E' a questa fondamental e repressione che risponde l'aggregarsi di alcune donne in quanto donne su basi che non sono immediatamente «politiche». Tale aggregazione costituisce la protesta i ndividuale essenziale e si rivolge indifferentemente a tutte le società esistenti. Aggiungiamo che né la storiané l'etnologia forniscono esempi di società in cui la «nor malità» giuridica e ideologica

non sia stata maschile, e che questo non ha nulla di sbalorditivo: tutti i poteri (e non c'è società senza potere) limitano l'affermazion e individuale assoluta; equesta limitazione si applica con maggior rigore alle donne, che sono lo strumento necessario della riproduzione sociale. Se la donna è, in termini ideologici, un essere sociale per natura, essa non può rifiutare la su a qualità naturale di riproduttrice sociale, la sua qualità sociale di riproduttrice naturale, ovvero la suadefinizione in termini di ruolo, se non perdendo ogni i dentità individuale tollerabile: sarà ridicola (zitella), pericolosa (strega) o verrà eliminata (in convento). La società esige che l'essenza (sociale) della donna prec

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eda la sua esistenza; l'ordine inverso non può essere che maschile; non stupisce c he la protesta più radicale sia, di rimando, una protesta sessista: la repressione individuale è ancorata al rapporto dei sessi. Ancora più evidente è che l'esigenza di una concezione libera è un'esigenza profondamente individuale. Ciò non significa ch e i problemi delle donne non siano anche problemi politici, né che tutte le donne abbiano gli stessi problemi; ma i problemi di tutte le donne derivano senza ecce zione dal fatto che a esse non è dato di essere individui allo stesso titolo degli uomini. Nessuna protesta di gruppi era mai stata tanto appropriata al proprio o ggetto quanto quella dell'M.L.F. (3); è in quanto tale e, paradossalmente, per i s uoi aspetti più sessisti, che essa supera l'esigenza femminista radicalizzando la rivendicazione individuale. Indubbiamente, si potrebbe dire altrettanto - senza per questo esaurire il fenomeno - delle rivendicazioni autonomiste. Un'altra questione è sapere se il gruppo, da solo, non ricominci la società - perden do quindi una parte della sua «individualità» critica a vantaggio del suo totalitarism o. Un regime un po' rigido gli conviene più di un regime troppo liberale: ingrandi rsisarebbe la sua tentazione peggiore, la sua peggior debolezza, ed è indubbiamen tel'istinto di sopravvivenza politica - ovvero, più giustamente, l'esigenza di ri flessione critica - che lo spinge a un'incessante segmentazione. Un partito di p ortata «nazionale» mal si adatta al gioco delle tendenze, ma libera di tanto in tanto piccoli raggruppamenti che entrano nel gioco indefinito delle fissioni, dellescissioni e delle ricomposizioni. Il carattere negativo della critica, l'assenza di proposte, sono questioni comun emente sollevate dai sostenitori dell'ordinequando parlano a coloro che lo cont estano o, piuttosto, di coloro che lo contestano. Il linguaggio della responsabi lità, in compenso - quello dei partiti o dei

sindacati -, parlerà di volontà di dialog o o almeno di confronto, di proposte o almeno di controproposte. Questo linguagg io si rivolge al contempo al Potere, all'interlocutore in rapporto al quale occo rre situarsi, e alla massa (o «alle masse»:questa messa al plurale di un termine ge nerale ha paradossalmente l'effetto disfumarlo, di individualizzarlo e di nobil itarlo, come se rivolgersi alle massepopolari fosse rivolgersi a ciascuno di co loro che costituiscono la massa). Nella misura in cui questo linguaggio è suscetti bile di essere recepito e accolto dalla massa, esso stabilisce con l'interlocuto re ufficiale, il Potere, una sortadi connivenza, un altro dialogo (quello vero) al di qua e al di là del linguaggio. Beninteso, ciò che dico conta soprattutto per quel che viene inteso dal nostro pubblico comune. I grandi dialoghi politici (co mpresi i grandi scontri) contano per i loro sottintesi - sottintesi che non pogg iano sul tenore del discorso, masul suo pubblico. Un ministro degli Interni non farebbe proprio l'anticomunismo «p

rimario e logoro» in una conversazione privata, m a in una conversazione di questo tipo egli ammetterebbe forse che conta innanzit utto l'interesse della questione esposta pubblicamente. Perciò, è su questo piano ch e gli verrà risposto; anche i dirigenti del P.C. parlano di anticomunismo primario , quasi riconoscessero la possibilità di un comunismo secondario o superiore. Sapp iamo bene che non lo ammettono - lo si vede chiaramente in occasione di altri di battiti - ma il discorso esplicito deve sempre essere rivolto al terzo termine, a quella maggioranza che è sempre silenziosa in queste occasioni, a cui bisogna fa r percepire, sperare di far percepire, la non credibilità del discorso dell'avvers ario rispetto ai propri criteri di credibilità: come discutere seriamente con un P otere tanto incoerente?A quali miserie si è ridotto! Eccetera. Questo scarto fra il linguaggio politico e il linguaggio pubblico è abbastanza riv elatore. Fra tendenze politiche la discussione è argomentata (sarà facile per la pro paganda avversaria presentarla come spec

iosa, sofisticata, distante dalle «realtà»); n el dibattito pubblico le differenze vengono meno: le coalizioni maggioritarie al potere concordano nel dirsi unanimi; quando rivelano un punto di disaccordo è per ché il loro dibattito interno è già molto avanzato. La sinistra usa a sua volta, quand o occorre, questo linguaggio unanimista, e non fa eccezione per l'estrema sinist ra che, in tempo di elezioni, parlaindifferentemente con la voce di Krivine o d i Laguillier (4), prima di ritornare ai suoi veri dibattiti. L'individuo - la te ndenza - è riconosciuto nel dibattito professionale, tecnico, specialistico. Ma co n la massa (le masse non organizzate) si viene rinviati all'individuo gregario. Questo sarebbe il momento per introdurre la questione se la vera distinzione fra

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destra e sinistra non passi per una diversa definizione del ruolo del partito, del programma e dell'educazione. Certo è che l'indifferenziazione viscerale e gregaria serve il Potere, quale che sia, e tutte le sue forme istituzionali. Ma è anch e certo che essa serve in primo luogo il capitalismo. Oggi è di buon gusto non evo care le differenze fra le democrazie popolari dell'Est e le società liberali dell' Ovest se non in termini tecnici: capitalismo di Stato in un caso, capitalismo pr ivato nell'altro, dove la relatività della distinzione dipende dalla forte presenz a nel mercato mondiale e da un espansionismo certo nel primo caso, dal ruolo dir igenziale e spesso dirigistico dello Stato nel secondo. Non sacrificheremo qui c he il tempo di una parentesi al punto di vista di Sirius, alla tentazione di una scorciatoia storico-sociologica (che consente ad alcuni di mettere sullo stesso piano capitalismo europeo e capitalismo americano, socialismo e capitalismo, o ancora bande di cacciatori-raccoglitori indiane e lignaggi africani): dal punto di vista della libertà individuale, e in nome del primato delle libertà reali sulle libertà formali, il potere di sinistra in quanto tale tende indubbiamente a una su reducazione, a un'integrazione ragionata, iperragionata, in un sistema di costri zione logica, di verità storica (e in questo senso totalitario); in nomedel prima to delle libertà formali, il potere di destra tende a una sottoeducazione, all'int egrazione con dolcezza, che va da sé, in un sistema di necessità evidenti e naturali ; il socialismo, indubbiamente, differisce la scadenza rivoluzionaria totale e l a riconciliazione delle libertà; ma è il capitalismo che riafferma incessantemente e suggerisce indefinitamente che tutto va già per il meglio nel migliore dei mondi possibili, identificando il necessario e il possibile, il minimo eil massimo, i l desiderio e la legge; in questo senso, oggi come ieri, la natura

è a destra. ISITTUZIONE, FUNZIONE, DOMINAZIONE. Ritroviamo a questo punto l'oggetto di questo saggio, che è di analisi sociologica e non di proposizione politica - per quanto questa distinzione sia possibile e sostenibile: suggerire che l'efficacia ideologica e le strutture di repressione simbolica (nella misura in cui questo termine connota simultaneamente quelli d'i ntegrazione individuale e d'integrazione sociale) siano omologhe in tutte le for me sociali è, in parte, ritornare a Durkheim, analizzare l'ideologia come una cost rizione strutturale indifferenziata, non farne né il prodotto né la posta della lott a di classe, grossomodo cadere sotto il colpo delle critiche che Rancière rivolge ad Althusser (5); è anche opporsi ad alcune analisi dell'attuale antropologia gene rale (molto generale!) le quali, rimproverando al marxismo, da una parte, di cre dere al senso della storia, dall'altra di proiettare sulle società «primitive» le cate gorie che gli servono peranalizzare la nostra società capitalistica, non sono poi da meno nel fare di quest

e società (che si guardano bene dal descrivere e dal loc alizzare) l'immagine invertita della nostra, il ricettacolo privilegiato di un a rmamentario simbolico suscettibile di aiutarle a «scongiurare la comparsa della le gge» (Baudrillard) (6). Ritorneremo in seguito all'allegrezza teorica che permette di coniugare il simbolo e l'ossessione per rifiutare il senso alla storia. Rest a il fatto che, per quanto le produzioni della meta-antropologia contemporanea s iano rigorose e documentate in modo disuguale, esse hanno in comune (7), in nome della differenza irriducibile, la tendenza a contrapporre un tipo di società a un altro, e più esattamente una categoria ideologica a un'altra, il codice all'assio matica (Deleuze) o il simbolo al segno (Baudrillard). Noi cerchiamo qui di rifiu tare tutte le contrapposizioni che sono appena state ricordate; se la logica ide ologica è sistematica, le costruzioni (comprese le costruzioni nel senso grammatic ale del termine)ideologiche possono al contempo dipendere da strutture omologhe e costituire del

le pratiche antagoniste, essere al contempo «strutturate» e «struttur anti»; possono anche essere passibili dello stesso tipo di analisi, quali che sian o le forme di società, dal momento che costituiscono queste forme e che hanno in c omune, attraverso la molteplicità delle loro differenti realizzazioni formali, il fatto di dire, imporre e istituire l'integrazione differenziale degli individui nel corpo sociale - il che implica anche un modo di dire e di istituire l'indivi duo. Non si tratta allora di analizzare le "funzioni" dell'ideologia (funzioni d 'integrazione eccetera); non c'è l'ideologia "e" le sue funzioni, la società "e" l'i

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deologia, l'individuo "e" la società; niente esiste prima di niente, né storicamente né logicamente; si tratta di estrinsecare le regole di concordanza che autorizzan o, in una data società, la costituzione di tutti i discorsi sostenibili e, anche, di tutte le possibili condotte; si tratta anche, con ciò stesso, di estrinsecarel a logica «naturale», ammessa, implicita, delle differenze interne quando queste non costituiscono l'oggetto di categorizzazioni esplicite. Il concetto di causalitàstrutturale, sul quale Baudrillard ironizza pesantemente in "Lo specchio della produzione", cerca di rendere conto dei cambiamenti di eff icacia ideologica. Baudrillard, lui, si accontenta di nominare quanto avrebbe di fficoltà a designare: la «rottura» dello scambio simbolico mediante il quale caratteri zza la società primitiva, o ancora la «frattura» del cristianesimo. Deleuze e Guattari si vantano di non avere mai incontrato uno schizofrenico; Baudrillard, lui, ha incontrato due primitivi, Mauss e Bataille; forte della loro conoscenza può decret are che i primitivi non hanno inconscio, né economia, né lavoro, né potere. Lo scambio simbolico punto ebasta, che si tratti del rapporto con gli dei, del rapporto c on lo schiavo o del rapporto con la sopravvivenza biologica («Mangiare, bere, vive re sono per i primitivi innanzitutto atti che si scambiano; se non possono scamb iarsi, non hanno luogo») (8). Lasciamo questo: Baudrillard approda nondimeno a un punto interessante quando denuncia il mantenimento, da parte di Godelier (per il quale «i rapporti di parentela funzionano a un tempo come elementi dell'infrastru ttura e come sovrastruttura») (9), del linguaggio delle istanze. Egli rimprovera i nsomma all'antropologo che riconosce la diversità primitiva il linguaggio del marx ista che mantiene il termine «rapporti di produzione» pur ammettendo che nelle socie tà primitive essi non appaiono come «separati dai rapporti sociali, politici, religi osi» (10). A

partire da "Antropologia e marxismo", Godelier (11) si è spinto un po' più lontano,parlando del modo di produzione come di una gerarchia non già di istitu zioni ma di funzioni. Non si vede più, di fatto, quale sia pertanto l'interesse de l linguaggio delle istanze. Se tutto è funzione, tanto vale fare a meno delle stru tture edella loro gerarchia amovibile e trasformabile. La nozione di «dominazione» forse non necessita di questa pesante meccanica; quando Godelier scrive che, per esser dominante, un'«istanza» deve al tempo stesso essere «plurifunzionale» e occupare il posto dei rapporti di produzione o funzionare come rapporto di produzione, eg li designa una coniugazione di «funzioni» che costituisce semplicemente la funzione politica in senso lato - coniugazione di cui forse è possibile render conto in alt ri termini. Abbiamo definito i poteri di morte come poteri sulla vita. L'ideologia liberale predica la separazione dei poteri e ufficialmente allontana dal potere alcune is tituzioni (l'Esercito, la Chiesa); è noto che questa separazione e questa d

istinzi one sono relative e a volte formali; questo non autorizza a considerarle puro tr avestimento: esse delimitano un luogo dove si gioca una vera e propriabattaglia politica; la repressione liberale non si confonde con l'oppressione fascista. M a la separazione istituzionale dei poteri non è di per sé il contrario del totalitar ismo; non solo perché esiste realmente o ufficialmente comunicazione fra i poteri (un ministro degli Interni esprime la sua opinione su una questione «trasmessa» alla giustizia e, comunque, questa trasmissione è legale ed esprime il collegamento de lle componenti dell'ordine), ma anche perché la logica stessa dell'ordine può metter e in relazione aspetti molto contrastati della vita individuale (la malattia, la vita sessuale, la religione, i rapporti giuridici) anche a costo di assegnare c iascuno di questi aspetti a giurisdizioni o a istanze differenti.Il totalitaris mo può essere policefalo. Il dibattito sul «problema» dell'aborto mostra bene, per ese mpio, dove si situa il potere medico e in che cosa esso ha potut

o e può ancora ess ere assimilato a un potere definito in modo più ampio; non è solo l'aborto a essere in causa: il medico può trovarsi nella difficile situazione della scelta («Salvate i l bambino!»); il «rispetto della vita» è allora sottinteso in modo quanto mai evidente d a una definizione molto costrittiva, molto parziale e molto istituzionale sia de lla vita sia del rispetto; questa definizione dipende dal potere del cristianesi mo, più esattamente dell'istituzione ecclesiastica cattolica, potere la cui effica cia ancestrale non è più assolutamente né immediatamente legataalle «credenze» professate da coloro che lo subiscono. Parecchie malattie continuano a essere vissute come peccato e i successivi passaggi dell'istanza religiosa (che perdona), dell'ista

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nza medica (che ha potuto praticare il raschiamento senza anestesia) e dell'ista nza giuridica (che condanna) chiudono, al limite, il cerchio di un totalitarismo senza debolezze. E' l'individuo che dà (e non sempre prende) la misura del totalitarismo. L'individ uo sa, impara a sapere, quello che può dire e quello che non può dire, quello che può fare e quello che non può fare (cioè, anche, il confessabile e l'inconfessabile, il proferibile e il non proferibile). Parafrasando Lacan: il potere è strutturato com e un linguaggio. La trappola del potere si apre con le parole e si richiude sull a frase. Ogni linguaggio chiama del resto il potere, dal momento che non esprime e non impone a ciascuno se non il «senso comune», lasciando all'individualità il rico rso e la risorsa rara dello stile e della poesia. Più le catene sintagmatiche nell e quali si esprimono questo sapere e questo potere integrano dei paradigmi, più il sistema complessivo tende verso il totalitarismo, e viceversa. A un estremo, gl i enunciati che impongono la connessione di tutti gli ordini paradigmatici (ordi ne biologico, ordine psichico, ordine economico, ordine sociofamiliare, ordine s ociale, ordine giuridico, ordine politico, ordine religioso...), inscrivendo l'i ndividuo in una totalità irriducibile a una delle suecomponenti. All'altro estrem o, soltanto il grido dell'individuo solo, urlo di piacere o di sofferenza, di es istenza. Sotto questo aspetto, e per ragioni già ricordate, molte società non industriali (e, in modo esemplare, le nostre società lignatiche) sono totalitarie; tutte le socie tà o più esattamente tutti gli ordini politici in senso lato tendono al totalitarism o; ma la «detotalitarizzazione» corrisponde a un accorciamento dei sintagmi, a una r eale frattura fra gli ordini paradigmatici, all'eliminazione di certe colonne pa radigmatiche dal concatenamento necessario dei sintagmi possibili; quando l'ordi ne sociale si libera dell'ordine nat

urale, l'ordine individuale ha maggiori prob abilità di liberarsi dell'ordine sociale - senza che scompaiano con ciò stesso i ris chi e le ragioni dell'oppressione: il potere ha sempre bisogno di affermare se s tesso come naturale e l'autorità laica è tentata di reinventare le astuzie di Dio. S i può così concepire la «dominazione» come statisticamente corrispondente all'ordine par adigmatico più frequentemente attestato negli enunciati sintagmatici possibili, ma questa nozione non è forse così significativa come si potrebbe credere, dal momento che è l'articolazione di quest'ordine con gli altri che conta ed è il numero di con catenamenti possibili che dà lamisura relativa della dipendenza o dell'autonomia individuale. Se c'è un senso della storia, esso si trova al contempo nel maggior c ontrollo dell'uomo sulla Natura (controllo affermato in ogni forma sociale e che appare, allo stesso modo della costrizione sugli individui, come il minimo soci ale necessario) e nel maggior controllo dell'individuo sulla Società; questo secon do movimento, contrario al

precedente, è dialetticamente legato a esso; tale contr addizione si esprime nelle contraddizioni del potere laico, il quale può tendere v erso l'assolutismo in proporzione alla sua laicità e assumere la forma mostruosa d elle dittature moderne.Quanto alla determinazione «in ultima analisi», non c'è bisogno di sofismi o di casist ica per comprendere ciò che essa designa nella problematica marxista («Né il Medio Evo poteva vivere di cattolicesimo né l'Antichità di politica») (12); quando Baudrillard sostiene che, se è vero che nessuna società può vivere senza economia, «molte cose potre bbero, allo stesso titolo, ricoprire il ruolo di istanza determinante: il lingua ggio per esempio» (13), si sbaglia. A partire da un dato linguaggio sono astrattam ente concepibili (14) numerose forme sociali, cosa che non è vera per l'ecologia e per le condizioni materiali della produzione. Ed è ancora meno vera per quanto ri guarda le forze di produzione, le quali corrispondono al tempo stesso allecondi zioni naturali e alle condizioni demografiche e sociali del loro sfruttame

nto, d efinendo insomma simultaneamente questa soglia minima di controllo (della natura ) e di costrizione (sugli individui) che definisce il "socius". Senza dubbio, occorre nondimeno ricordare che la determinazione da parte dell'in frastruttura nel senso stretto del termine (il senso di Lévi-Strauss) è una determin azione negativa; quanto all'infrastruttura in senso marxista, essa comporta già, l o si èvisto, elementi di relativa arbitrarietà, i quali sono collegati agli altri e lementi da una logica (ideologica) che non si riduce alla costrizione economica, giacché lo stesso ordine economico è piuttosto uno di questi elementi. Determinazio

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ne negativa degli elementi compatibili da parte delle condizioni naturali dellaproduzione (nel senso in cui determinate condizioni ecologiche rendono impossibi li certe attività economiche) e compatibilità reciproca dei diversi elementi determi nati come compatibili: tale è al tempo stesso la doppia relazione e la doppia rela tività che conferiscono senso e limiti alla determinazione da parte dell'economico . La relazione di compatibilità reciproca fra gli elementi negativamente determina ti come compatibili con l'infrastruttura in senso stretto non ha nulla di meccan ico, ma non acquista senso e non può avere origine se non a partire dalla presa in considerazione e dalla messa in opera delle condizioni materiali della produzio ne: è nel controllo tecnico della natura che cominciano, si esprimono e siidentif icano simultaneamente l'ordine storico, l'ordine intellettuale e l'ordine social e. In una società storica concreta queste condizioni materiali possono costituire esse stesse il prodotto di una storia e, in quanto tali, gravare in termini non esclusivamente economici sulla logica delle pratiche e dei discorsi. Resta il fatto che la formula di Godelier («I rapporti di produzione [...] non app aiono come separati dai rapporti sociali, politici, religiosi, di parentela») è insufficiente: a questa stregua i rapporti sociali, politici eccetera non appaiono p iù separati dai rapporti di produzione. Al tempo stesso, cade l'obiezione di Baudr illard (secondo cui non ci sono più rapporti di produzione, poiché essi sono indefin ibili in quanto tali): i rapporti di produzione esistono veramente nelle società p rimitive (così come i rapporti sociali, politici eccetera.); non si confondono con altri rapporti, per esempio, con quelli di parentela; ritagliano "dei" rapporti di parentela, e anche "dei" rapporti religiosi e politici, così come i rapporti d i parentela ritagliano "dei" rapporti economici, "dei" rapporti religiosi e

ccete ra, senza che, con questo, alcuni di essi si confondano completamente congli al tri. Non c'è dunque dominazione della parentela, ma un collegamento sistematico e totalizzante dei diversi ordini paradigmatici corrispondenti simultaneamente all a rappresentazione e al controllo della natura e degli uomini. L'UNO, L'ALTRO. IL SINGOLARE PLURALE. Da noi, anche da noi, il potere liberal-capitalista ha bisogno di natura e di ev idenza. La destra rimanda i suoi lettori, i suoi consumatori (noi tutti) a un mo ndo mitico di personaggi infraindividuali o sovraindividuali: il suo eroe ha una famiglia come noi (e lo vediamo nell'intimità conla sua signora, a casa sua, dav anti alla t.v., in "Paris-Match" o in "Jours deFrance", questi settimanali che sfogliamo per lo meno nella sala d'attesa del dottore, per rilassarci); meglio a ncora, ha un carattere, un lato teatrale, un profilo, un accessorio simbolico: i l cappello di Pinay o il freddo humour di Jobert. Questo vale per la classe poli tica, che si cerca di rendere bonaria, inoffe

nsiva e persino, come fosse un atto re o un cantante, affascinante (dopo tutto,tutto questo non è che politica) quand o non si ha bisogno di distruggerla; è il carisma di Mitterrand o le sfuriate di M archais, per i quali sono già pronti dei sostituti, dei passati su misura da utili zzare con cautela (poiché, insomma, alcunestelle della Quinta Repubblica brillava no già sotto la Quarta e non tutti gli uomini del potere sono stati eroi di guerra ). L'essenziale è che sul volto dei personaggi si fondano e si confondano le figur e contraddittorie dell'immediatezza edella distanza; che, al tempo stesso famil iari e irraggiungibili, le individualità del potere, in proporzione alla conoscenz a intima che ci viene rivelata, nonsiano individui come gli altri. Quanto ai su perpersonaggi, ai miti viventi, neabbiamo conosciuti in Francia (Pétain, de Gaull e) che raggiungevano prima della morte le grandi figure in costume (Luigi Quatto rdicesimo, Napoleone) dei libri di storia delle classi primarie, nei quali è molto scarso il senso dei cambiamenti

di regime. L'individuo solo (con questo termine non si intende l'uomo o la donna senza fami glia o senza amici ma colui o colei che, senza alcuna relazione istituzionale, a nche antagonistica, con il potere, si definisce al contempo come maggioritario e silenzioso) è nato per la repressione. Gli si propone il modello bonario del gran de uomo politico, che ha, come quello degli eroi dei film, un lato molto realist ico. Il tal dei tali sembra molto vero, molto «naturale», alla t.v.;d'altronde si a pplica, migliorando la sua dizione fino a lasciare cadere, con una calma compost

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a, solo parole levigate e regolari, bolle arrotondate, lavorate, soffiate dall'a rco della bocca, cristallo il cui suono puro non inganna. Nel cielo delle ideee nelle paludi della politica non coglie che evidenze. Al tempo stesso, irraggiun gibile ineguagliabile e, per così dire, impensabile a furia di essere presente,di essere "tout court", tanto mitico quanto il principe Malko (15) o Hubert Bonnis seur de la Bath (16). Potete anche denunciare la sua politica (o la politica), l a sua persona (o i politici) ed essere scombussolati se per caso - queste cose a ccadono: ci si mostra, si inaugura, si cena in città - l'incarnazione del Potere v i incrocia e vi porge la mano. Potete, voi studenti contestatori, irrigidirvi e rifiutare la mano, navigare in pieno simbolismo a vele spiegate, ma vi sentirete pur sempre a disagio davanti a questo individuo in carne e ossa il cui stupore stanco vi riduce tutto d'un tratto alla mediocrità, alla presunzione, alla scorret tezza cattiva, al vuoto astio. Non più simbolo, ma concretezza, una così modesta con cretezza: la stessa differenza che c'è fra la morte e un cadavere, fra larivoluzi one e uno sparo. Sennonché, in fin dei conti, nella vita comune (quella che passa veloce e in cui n on rimane senza fiato che l'individuo) non s'incontra tutti i giorni il presiden te della Repubblica; ai livelli inferiori della gerarchia, i capi si curano meno di essere «umani», concreti, unici (molto spesso si conoscono fin troppo bene le lo ro miserie, i loro tic e le loro cravatte) che di guadagnare in potenza simbolic a («Rispettate almeno la veste che porto», ripete meccanicamente il vescovo Louis Jo uvet in "Drôle de drame", e questo non è buffo se non per il fatto che l'ha scambiat a con una gonna scozzese. «Non rispettate la veste che non porto», dice il president e in maglione, volendo indubbiamente suggerireche l'abito non fa il presidente. A partire da questa affermazione dovrebbero po

tersi studiare i rituali d'invers ione). L'evidenza quotidiana dei passaggi di potere è più dura e meno "coquette"; il presidente-direttore generale viene poco a contatto con la folla (non ci sarebb e folla) e il caposervizio non è al vostro servizio, benché egli possa operare anche nell'inversione e nei jeans sbiaditi a partire dal preciso momento in cui si co nvince della realtà del suo potere - sia pureparodistico e, per esempio, accademi co. L'illusione di un vero dialogo con il Potere non si ritrova che nella solitudine , davanti alla radio, alla televisione - gli animatori fingono di resuscitarla a ogni istante; oppure, ancora, nella folla solitaria, nel treno, nel metrò, attrav erso ciò che rivela del machiavellismodella politica internazionale il cinismo af fascinante delle spie da romanzo. La letteratura di massa, come si suol dire, pr esenta individui eccezionali (di una perfezione per addizione sulla quale ritorn eremo) ai quali si rivelano, allafine delle loro avventure planetarie, i retros cena, le regole segrete del grand

e gioco politico. SAS è al tempo stesso Machiavel li, Nixon e Tarzan, poiché il colmo della beffa (essendo la regola del genere che le preoccupazioni strettamente umanitarie o morali appaiano come ingenue) è anche il colmo della serietà: il cinismo ha ragione, ma le sue ragioni, come quelle del cuore, non devono essere conosciute. Tra «Miromesnil» e «Chaussée d'Antin», quante Yalta a ccettate, quanti omicidi compiuti, quanto disgusto sublimato. Le otto di sera. L'ora di ristorare le forze, diriprodurre la forza lavoro. L'o ra delle notizie, anche. A volte, l'ora del discorso. Il presidente o l'aspirant e alla presidenza appare sullo schermo, semplice e distinto. Dice: «Buona sera sig nora, buona sera signore.» Questo singolare universale, questo universale al singo lare è in effetti ben strano (17); se ne riconosce l'intenzione, o piuttosto la si intuisce; essa disturba; da sola, costituisce un prodigioso bricolage metafisic o, la trinità moltiplicata all'infinito, ma ad altezza umana; signore (o signora), sono io: l'ascoltatore (o l'ascoltatrice, s

alutata per prima, prima di «lui», all'i nverso delle formule stereotipate del genere «Signori e Signore»); sono io, io che s eguo e tutti gli altri: io, è evidente (mi si interpella, dunque sono), e tutti gl i altri, poiché so bene che anche loro sono all'ascolto. La formula abbozza il lim ite impossibile dello spossessamento e dell'eccedenza individuali, che dipende d alla mistica essenziale, essenzialista(«Ama il prossimo tuo come te stesso»). Il pr esidente o l'aspirante alla presidenza parla ancora, cerca il mio sguardo, e pre cisa in una frase le dimensioni della metonimia: «Ho voluto guardare la Francia di ritto negli occhi»; ed è me che guarda!Lui è lo Stato, la Francia sono io. La Francia

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la si conosce: ogni francese ha imparato a riconoscersi nelle sue qualità fondamentali e nei suoi difetti recuperabili. Forza Francia! Madre delle arti, delle ar mi e delle leggi, alchimista dai sottili talenti che tramuta le disfatte in vitt orie, i disordini in ordine; Francia, paese dell'ordine che vive sulla reputazio ne del 1789 - a questo punto una parentesi, una precisazione: che non si veda in queste parole alcuna particolare ironia; la Francia qui non è che esemplare. De G aulle prima dei cinesi e prima di SAS ha ridotto gli scontri ideologici all'urto di «egoismi» nazionali; non rimane che pensare a cosa possa essere un egoismo «nazion ale». L'equazione Francia = io, simbolo di tutte le banalità (li si è vinti, li si vin cerà ancora), è nondimeno una formula mirabile; che ciascun individuo porti in sé e pr enda su di sé, esprima e assuma gli errori e le sventure della collettività,ecco, p roprio il rovesciamento metafisico essenziale: quello del cristianesimo, della p ubblicità, della propaganda e del potere. Il vero politico sa, come hanno sempre saputo i politici delle società lignatiche, che fondamento del potere sulla società è il potere su ciascuno degli uomini presi individualmente nella loro realtà sociale, mentale e biologica. Il Potere esige ch e Ego sia responsabile e risponda di tutto quanto accade alla sua società, nella s ua società. Inversamente, ma in modo complementare, tutto ciò che accade a Ego rigua rda la società. C'è inflazione ed Ego spreca (se ha una coscienza - coscienza, termi ne dalle connotazioni contemporaneamente intellettuali e morali -, egli tradurrà: io spreco, dunque c'è inflazione). Forse resisterà a questa semplificazione; l'infla zione non lo tocca semprenell'intimo. La sua resistenza sarà minore quando lo si colpirà nel corpo: Ego ha mal di pancia, se ne occuperà l'ospedale, malgrado il defi cit della previdenza sociale - il concetto di deficit applicato a servizi pubbli ci ha obiettivi ed effet

ti che superano di gran lunga il calcolo economico; esso fa dell'utente un consumatore scorretto (se non consumasse troppe medicine...) e dello Stato un'entità estranea a coloro la cui aggregazione presumibilmente lo c ostituisce, un'entità nondimeno benevola, che tappa i buchi creati dagli individui nel bilancio, che riversa dall'esterno una inestinguibile manna per porre rimed io agli abusi di un consumo individuale eccessivo. Esteriorizzato e moralizzator e, esso coinvolgerà ciascuno di noi nel tentativo di colpevolizzazione: duecento m orti sulle strade evoi non mettete la cintura di sicurezza! - anche lo speaker guarda la Francia diritto negli occhi. Degli incidenti sul lavoro, altrettanto m ortali (18), non parlerà così spesso (19), poiché, essendo di genere diverso, sono anc he più difficili damettere al singolare/plurale. La dattilografa o il capo contab ile non si sentono facilmente responsabili di un'esplosione di grisou o del crol lo di un ponteggio. Inoltre, l'evidenza degli errori e delle insufficienze tecni che trasforma s

pesso gli accenni di colpevolizzazione in protesta, in contestazi one: l'incidente sul lavoro è vissuto raramente in solitudine, in quanto produce u na solidarietàprofessionale immediata, a caldo. Al limite fra lavoro e consumo, i l camionista, molto spesso coperto d'insulti perché è anche un "utente" della strada come gli altri, esemplare, anonimo, individualizzato dai suoi errori. Lui avreb be dovuto rallentare, loro avrebbero potuto segnalare la svolta. Non conosciamo il primo piùdi questi altri misteriosi. Da questo singolare a questo plurale la transizione èd'altronde facile: i camioni sti sono sorprendenti, i camionisti vanno troppo veloce, il camionista ha preso male la curva. La logica dell'ideologia capitalistica è binaria: essa procede allo stesso tempo p er prescrizione e per proscrizione. Tutto accade come se occorresse al contempo che il cittadino consumasse e si sentisse colpevole per questo. La macchina, pri ma dell'ultima crisi, era l'oggetto di una pubblicità sistematica di cui certi tem i vengono oggi attenuati a vantag

gio di altri: si parla meno di velocità, un po' p iù di economia, sempre di nervosismo, di comfort, di libertà; l'automobile è inoltre u n'industria nazionale, un simbolo di riuscita nazionale. Parallelamente, si è svil uppata in fretta la tematica della prevenzione stradale: luci puntate sugli inci denti, sui morti e sui feriti, sui pirati della strada, certo, ma ancora di più su lle intime debolezze di ciascuno: visione incerta di sera, sensazione illusoria di guida facile dopo una bevanda alcolica, gusto della velocità, voglia di dormire . La loro evocazione a proposito degli incidenti altrui tende a sottolineare la potenziale colpevolezza ditutti e di ciascuno. «Gli incidenti succedono solo agli

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altri», si ritiene pensino gli imprevidenti a cui viene ricordato come, al contrario, siano parti in causa negli incidenti degli altri. Questa colpevolizzazioneintensa ed estesa, le «moralità» parziali e vigorose che tali debolezze suscitano in m olti (i quali denunciano le imprudenze o l'incapacità degli altri e li giudicanoi n base alla loro «condotta») (20) non interessano al Potere fino al momento in cui, come dicono quelli che ne hanno diverse, «ciascuno ha la sua macchina». Poiché la macc hina, questo sogno di evasione individuale, di libertà individuale, si «generalizza», essa deve essere luogo e materia di repressione; nulla di quanto è individualepuò e ssere estraneo al Potere, e la condotta automobilistica è un'espressione dell'inti mità individuale; essa tradisce il nervosismo o traduce il sangue freddo, sifa me no sicura di sé con l'età; prolungamento del corpo (maschile, il più delle volte), la guida è uno stato d'animo. Facile è quindi immergerla nei simboli repressivi;la mac china simbolica della prevenzione-repressione stradale coi suoi segni imperativi si rivolge a tutti e interpella ciascuno. Gli agenti in moto che Cocteau aveva trasformato in angeli della morte spuntano d'un tratto nei retrovisori; il fluss o delle macchine rallenta, si dispone in file, si mette in ordine; ognuno, quind i, teme di essere quello che un gesto imperativo sta per sottrarre dalflusso e che sa (malgrado, a volte, i dinieghi, le spiegazioni, le proteste educate) di a vere torto, che sa come una mancanza recente e già quasi dimenticata, messa da par te, lo incalzi da dietro, lo sorpassi e lo blocchi nella sua individualità una vol ta tanto riconosciuta, ma riconosciuta colpevole. Fermato, può liberarsi per un mo mento della cintura che lo fissa al suo posto e nel suo ruolo (sicurezza obbliga toria, tant'è vero che né la sua salute né la sua vita gli appartengono: esse ci costa no abbastanza care), ma non se ne libera che per soffiare in un p

alloncino, per esprimere con un sospiro il suo grado di alcolizzazione e di colpa. Respiro e sp irito ancora confusi sono l'oggetto di un giudizio di Dio, da cui l'individuo us cirà discolpato solo se i rivelatori che gli insegnano a conoscersi non cambiano c olore. Tutte le sostanze che penetrano nel corpo si prestano al trattamento ideologico - tutto ciò che si ingoia o si fuma, s'insinua, si mescola al sangue e al respiro o rode i polmoni, il fegato, le viscere: le analisi degli escrementi e delle sec rezioni, le analisi del sangue e le radiografie rivelano strane presenze interne , e il male cresce nel corpo come il frutto di una mostruosa fecondazione. Masch ile o femminile che sia, il corpo si lascia penetrare e invadere. Che una nota d i biasimo si leghi al consumo di certe sostanze (ele conseguenze supposte nefas te della loro assunzione bastano alla formulazione di questo biasimo): l'evidenz a della sofferenza farà il resto - il resto, cioè l'identificazione del male fisico e del male morale. Tuttavia (per quanto riguarda,

per esempio, l'alcol e il taba cco), da una parte questa sofferenza può essere quella degli altri, dall'altra gli inviti al consumo sono molteplici. Per colui che beve senza danno, l'apprension e sostituisce la sofferenza (mantenuta a voltedalla fitta fuggevole in un punto a sinistra, a destra, un po' più in basso, o dalla palpazione disincantata di un dottore che ne ha viste ben altre) e la commiserazione sostituisce la colpa (for te del sostegno di una pubblicità che invita "anche" a bere: chi beve, beve con ra gionevolezza e in ogni caso meno di un altroche, invece, è un incosciente). Così si delinea lo spazio angusto in cui prova a infilarsi con un po' di vergogna l'ind ividuo stretto fra prescrizione e proscrizione, malato di desiderio - malato di un desiderio di cui gli viene detto a sufficienza che non ne conosce se non le m etamorfosi estreme (beve per dimenticare),un desiderio che non riesce a definir e e rifiuta di qualificare, come sempre. E' così che si sviluppano le provocazioni-repressioni della società liberale; gli sn

obismi non nascono se non con lo snobismo inverso e contrario; la crescita dello snobismo gastronomico si accompagna all'ossessione della linea. Il vecchio cogn ac è un simbolo di virilità, ma solo la purezza delle acque minerali garantisce ques ta proprietà interna il cui pensiero apparenta Evian a Lourdes e la cui ossessione conforta le grandi equazioni nosologico-repressive: pulizia = purezza, malattia = male. Il cuore dell'uomo è pieno di immondizia, scrive Pascal. Vittel, Contrex, Perrier rincarano la dose: tutto il corpo dell'uomo è pieno di immondizia, di tos sine che lo invadono, lo appesantiscono, lo bloccano. La pubblicità per le acque m inerali accosta, in disegni approssimativi o fotografie ritoccate, l'uomo che fa

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bene pipì, con un getto la cui parabola esprime un'arrogante virilità, a colui che nulla può e il cui volto esprime con sufficiente chiarezza come sia roso dalla stizza e dall'angoscia. Queste immagini toccano abbastanza da vicino l'intimità biolo gica ed evocano malattie abbastanza frequenti e dolorosamente reali, mortali, af finché la loro subdola efficacia sia fuori di dubbio: su parecchi tavoli di bevito ri di vino, una bottiglia d'acqua minerale non iniziata, o appena iniziata, scon giura l'angoscia, simbolo feticcio di una società dei consumi contrari. Consumi al plurale, dato che l'opposizione non è fra consumo e astensione bensì fra consumo vo lgare e consumo di lusso: consumare meno è consumare meglio o più caro. L'acqua mine rale è più cara del vino «da tavola», il pane dietetico più caro della "baguette", i prodo tti scremati più cari degli altri, le sigarette senza nicotina più care delle Gauloi ses. Queste differenze non sono prive di effetti. E' chiaro che il binomio prescrizione/proscrizione, il "double bind" (21) di cui parlano i sociologi,non nasce dal complotto deliberato di qualche volontà sogget tiva: il monopolio Renault, il ministro degli Interni, il monopolio dei tabacchi , Gault et Millau eccetera. Ma questi nomi sono anche il simbolo di un sistema d i segni e di costrizioni; designano altrettanti portavoce di un'ideologia di fun zionamento (individuale e sociale) le cui configurazioni contano tanto quanto i temi; i temi hanno in comune il fatto di toccare l'intimità biologica dell'uomo e dunque di concernere specificamente ogni singolo individuo, giacché trattano del c onsumatore in generale, del consumatore al singolare/plurale; le configurazioni hanno in comune la loro polarità. Nella nostra società senza obbligo religioso le co ntraddizioni individuali, che sono tutte delle figure del rapporto con gli altri (l'un-l'altro,interno-esterno, piacere-sofferenza, vita-morte, desiderio-altro desiderio), son

o sufficienti, come nelle società lignatiche, all'elaborazione e a ll'efficacia della costrizione sociale. SAS O LA PERFEZIONE PER ADDIZIONE. L'eroe della letteratura di massa, cioè dei romanzi di spionaggio, ha la caratteri stica di cancellare le contraddizioni. Superindividuo, raggiunge la perfezione p er addizione. Prodotto del consumo eccessivo (SAS, OSS 117 fanno tirature record e ravvicinate, eogni copia è letta da molti), il superuomo del consumo è l'eroe di tutti i consumi,uomo dell'accumulo, non della contraddizione. SAS viene sempre dipinto in modo realistico; è principe e agente segreto ma non per questo è meno uo mo: le sue armi,le sue bibite, i suoi itinerari e le sue attività sessuali costit uiscono l'oggetto di descrizioni tecniche e minuziose; nessun dettaglio delle su e avventure è inverosimile; l'inverosimiglianza, non immediatamente percepibile, n on nasce che dall'accumulo incessante di performance incompatibili o contradditt orie; nell'immediato questo accumulo si presenta come il culmine della virilità, d el coraggio,

dell'intelligenza. SAS è un essere naturale; la sua spigliatezza non è acquisita, lui è di razza; tuttavia la sua naturalezza deriva anche da un accumulo di saperi;padroneggia tutte le tecniche; la sua cultura non si limita alla con oscenza della sua panoplia professionale; spara con il fucile, con la pistola, c on il bazooka, guida macchine, aerei, elicotteri, ma parla anche diverse lingue, conosce il cuore dell'uomo e conosce i retroscena della politica mondiale. In l ui sovrannaturale e sovraculturale si confondono. Sfugge alle costrizioni fisiol ogiche;certo non è privo di debolezze - bisogna che rimanga umano; gli capita di farsi intrappolare, di perdere una battaglia, di soffrire, di farsele «suonare» e fa rsi «rovinare»; ma «recupera» all'istante e ritrova, con il suo dinamismo, la sua presta nza intatta e senza macchia. Fa l'amore per umanità, all'occasione, e non senza co ndiscendenza, non avendo mai incontrato donna che non anneghi subito nei rifless i dorati del suo sguardo chiaro; non si può negare che abbia solo l'imbarazzo dell a s

celta; non conosce affatto l'imbarazzo e non sceglie che il suo momento; sedu ce tutte le donne - per tenerezza, per sadismo, per caso - ma generalmente padro ne del suo desiderio si sa anche astenere, a costo di far soffrire quelle che sognano di essere appagate da lui, che si offrono a volte per spiarlo o per tradir lo ma il cui piacere, certo, non inganna. Almeno in via generale, da qualche tem po SAS è diventato forse più passivo e al tempo stesso più sensibile alle grazie femmi nili, anche esotiche; nei suoi ultimi romanzi subisce più con sorpresa che concon

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senso libertà che qualche anno fa non avrebbe tollerato. Ne subisce più di quante no n se ne prenda. Ma ciò non va visto come un effetto dell'età: SAS è immortale e non in vecchia; egli segue l'attualità, da Cuba al Libano, dallo Zaire al Cile, ma sono g ià più di dieci anni che si mantiene all'apice della maturità conquistatrice (quarant' anni...). Semplicemente, segue la moda così come l'attualità; è diventato, anche lui, un consumatore di erotismo, un "amateur" di esibizionismo, di colpi di frusta e fellazioni. Anche in questo campo è tenuto a essere esemplare e a non vivere di im maginazione. Tutti questi episodi gli passano sopra senza lasciargli un segno. S enza memoria né fatica, egli si ritrova nuovo al principio di ogni capitolo. Distribuisce la morte come l'amore: senza piacere né compiacimento, ma generosamen te. Esplode in ogni istante (pioggia di sperma, di pallottole, di colpi) ma è al r iparo dalle conseguenze. Non uccide se non costretto. In queste occasioni prova un profondo disgusto per ciò che fa, che è piuttosto un disgusto per coloro che ucci de. La morte degli altri deriva da una necessità che a volte favorisce senza per q uesto confondersi con essa, ma i morti stessi - vili, delatori, traditori,sadic i - sono ignobili e brutti: l'orrore dei cadaveri esprime il fetore delleanime; e quei morti, spesso, sono di colore o, peggio ancora, meticci - meticci, sangu e misti immischiati in ciò che non li riguarda e che vogliono, tuttavia, credersi parte in causa. SAS è razzista, di un razzismo che trasuda a ogni pagina ma non è ma i oggetto di teorizzazione, che sembra scaturire in modo naturale dallatriste c onstatazione delle evidenze; diciamo che SAS è meno razzista del suo autore, Nettu no di questo oceano di sesso e di sangue dove naviga la fragile barchetta della libertà che minaccia a ogni momento di finire nelle mani viscide di libanesi libid inosi, di neri bestiali, di asiatici viziosi, di uomini panciuti dal

sorriso cru dele, sensuale e scaltro, ma trasudante angoscia quando la paura fastralunare i l loro sguardo sfuggente, quando, precedendo di una frazione di secondo la pallo ttola precisa della sua pistola ultrapiatta, li trapassa lo sguardo d'acciaio di Sua Altezza Serenissima. Allietano questa fauna, riposo del guerriero, fantasma del lettore, esca eterna della spia, a momenti tanto cieca quanto Guignol davan ti al gendarme, delle donne, tutte le donne, ammirevoli creature, sensuali per d efinizione, animali per natura, sopraffatte dagli eventi, dominate da un corpo ( corpo splendido, sodo, provocante) con cui credono di poter giocare fino al mome nto in cui restano vittime delle sue esigenze (corpo insaziabile, affamato, bruc iante) o dei colpi a volte mortali, sempre gravi, della forza maschile (corpo an sante, slogato, abbattuto, deformato-ripugnante). L'umanità esotica non è che il sottoprodotto dell'umanità; la femminilità non è che il sot toprodotto della mascolinità. Fascismi esotici e comunismi esotici hanno in comune la loro

essenziale mancanza di serietà: essi abbozzano in politica una pretesa di efficacia occidentale tanto ridicola quanto la pretesa più fondamentale della sot to-umanità esotica di umanità "tout court" e di bellezza, in confronto allo splendor e senza pari del grande sogno biondo nordico. Alcuni abbozzi più riusciti (SAS ha sempreil «suo» cubano, il «suo» libanese e anche il «suo» negro) non attenuano in nulla il manicheismo complessivo; allo stesso modo, alcune donne raggiungono talvolta la grandezza virile. In questa giungla vischiosa, che gli ispira necessariamente più disgusto e indifferenza che odio, SAS, temibile felino, s'aggira silenzioso e at tento, senza curarsi delle erbe che calpesta, dello spavento che sparge, della p redache abbatte. Cerca la sua vera preda, la quale può farsi cacciatore. Angelo s terminatore, Ponzio Pilato del grilletto, san Michele Karateka, uccide senza spo rcarsi le mani, senza mettere altra attenzione che quella tecnica, fino al giorn oin cui si scontra con altri grandi rappresentanti della lotta dei valori che, pu

re loro, hanno seguito la pista. Certamente la lotta è politica; SAS è un agente d ella CIA, ma i grandi agenti segreti dell'Est e dell'Ovest hanno in comune la loro calma autorità, la forza fredda e la determinazione. Si conoscono e si stimano, individuano e apprezzano da conoscitori le tracce delle loro rispettive imprese . Neppure la spia sovietica uccide volentieri, essa possiede la stessa eleganza felina e raffinata che fa il fascino di SAS - l'eleganza prodotto di cultura, ma che esprime una superiorità di natura, quell'eleganza che dà la stirpe: fra di loro si stabilisce, se non una simpatia, almeno la complicità delle grandi fiere. Diquesto mondo senza Dio, questi eroi sono i santi laici e senza fede; il solo dio a essere evocato (il Vecchio, il Padrone a capo dell'organizzazione) è colleri

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co e cinico come un dio omerico; il solo vero dio è la necessità, l'ineluttabile iro nia che impone la vita agli uomini, la società all'individuo e l'Occidente al mond o. Ma la ragione di queste insensatezze non si discute. SAS non offre ai suoile ttori lo spettacolo debilitante della minima crisi di coscienza; se gli succede di preferire i suoi avversari ai suoi alleati, fa in modo di aiutare i primisen za tradire i secondi. Le sue occasionali qualità - un'ombra subito fugata di stanc hezza, un pizzico di scetticismo, la sensibilità alla bellezza d'un viso, alfasci no d'un bambino, alla crudeltà della vita - lo distinguono sottilmente dai suoi om ologhi e rivali, più meccanicamente duri, più rigidamente convinti della bontàdella l oro causa, più settari e meno morali. Così, la causa senza ragione per la quale si b atte appare progressivamente giustificata: ha l'evidenza di fatto di una realtà na turale e l'esistenza di diritto del male minore; ha per se stessa questa parvenz a di distanza e di humour che mostra il suo agente speciale, il quale ne relativ izza la fondatezza ma al tempo stesso la addobba con le grazie insidiose dell'in telligenza. Mai tanto brutale quanto potrebbero far credere le suefunzioni, mai tanto debole come potrebbero far credere le situazioni d'impotenza in cui a vol te si trova, SAS è un seduttore; non è mai quello che si crede; quando la sua masche ra cade, lui non rivela che un'altra maschera; come i dottori, sa che è meglio nas condere la verità a coloro che non la possono sopportare e mente parecchio a color o che ama un poco; ma nulla, nel suo gioco, assomiglia allo scrupolo o all'indec isione. Nemmeno le incertezze della pratica lo sottopongono alla prova della con traddizione. Beve e fa a pugni, fuma e corre, mangia e nuota; il suo corpo glori oso è a immagine del suo spirito, che non conosce né la fede né il dubbio. Come non de siderare questa invulnerabilità? Ma come immaginarla? Immagin

e deludente di una pe rfezione irraggiungibile, Malko, Coplan, Bonnisseur de laBath ignorano in modo così provocatorio le leggi della gravità biologica e sociale,disprezzano in modo co sì superbo il binomio prescrizione/proscrizione (obbediscono sempre ma si concedon o tutto) che ne ricordano e ne esprimono in ogni istante la necessità per tutti gl i altri. I loro autori, del resto, aspirano a loro volta allo humour e invitano a sognare allegramente i fantasmi che essi destano. LOGICA LIGNATICA E LOGICA DELLA SOCIETA' DEI CONSUMI. Questo uno-due repressivo, che scongiura e conforta l'eroe della letteratura a u so popolare, Baudrillard l'ha descritto nella "Società dei consumi", dove, gettand o le premesse della sua critica dell'economia politica del segno, analizza alcun i temi del codice repressivo liberale. Ma già la lettura della "Società dei consumi" ispirava un senso misto di piacere, di interesse e di fastidio di cui la letter atura meta-antropologicadoveva, di lì a poco, aiutare a precisare le ragioni. Bau drillard evoca, per esem

pio, il tema dell'automobile e della circolazione, e deg li imperativi contraddittori a esso attribuiti («[...] promozione senza limiti del consumo individuale, appelli disperati alla responsabilità collettiva e alla mora lità sociale, obblighi sempre più pesanti...») (22). Egli collega questo contrasto al fatto che il consumatore è già, poiché consuma, all'apice della responsabilità sociale: non gli si può chiedereun'altra forma di responsabilità senza creare una contraddiz ione. Questa contraddizione verrebbe d'altronde percepita in quanto tale dal con sumatore, almeno inmodo confuso: «I milioni di consumatori, in virtù di una qualche parte del loro subcosciente sociale, hanno una specie di intuizione pratica di questo nuovo stato del lavoratore alienato, essi quindi traducono spontaneamente come mistificazione l'appello alla solidarietà pubblica, e la loro tenace resiste nza su questo piano non fa che tradurre un riflesso di difesa "politica"» (23). L' automobile è, in effetti, uno di quei settori «autonomi», parcellizzati, dove la repre ssione può funziona

re per il Potere con tanta più efficacia da presentarsi immediata mente come apolitica. La contestazione del consumatore (e per esempio i segnali che si fanno gli automobilisti con i fari, come tante strizzatine d'occhio compl ici, per avvisare della presenza della polizia lungo la strada) si disperde, si smorza e perdevigore, per quanto lui accetti la separazione di generi che gli v iene imposta:io sono un oppositore, ma vado troppo veloce. E se è vero che l'ecce sso di velocità non deriva da una guida rivoluzionaria, è anche vero che la repressi one poliziesca sulla strada rappresenta, prolunga o precede una repressione più pr

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ofonda. E un po' ciò che sottolinea Baudrillard quando nota: «Non è sommergendo gli individui sotto il comfort, la soddisfazione, lo standing che il consumo smorza la virulen za sociale (ciò è legato alla teoria ingenua dei bisogni e non può rinviare che all'as surda speranza di rendere le persone più misere per vederle ribellarsi), è piuttosto "addestrandoli alla disciplina inconscia di un codice" [...]» (24). Maquesto cod ice, non è forse esattamente quello di ogni sistema sociale, il codicedel potere, del sapere e della parola, l'ideologia? Baudrillard stesso stabilisce il parall elo fra «i rituali gerarchici o religiosi delle società primitive» e il consumo che può «s ostituirsi da solo a tutte le ideologie e, alla lunga, assumere dasolo l'integr azione di tutta una società» (25). Questo parallelo, affrettato e frequente nella "S ocietà dei consumi", deve metterci in allerta. E' degno di nota che i paragoni con le società primitive vengano così spontanei a un autore che intendeevocare i carat teri specifici della società dei consumi, salvo non menzionare l'economia delle so cietà primitive, come alcuni meta-antropologi contemporanei, se non a partire dall 'unico articolo di Marshall Sahlins scritto in francese, dovequest'ultimo si az zardava a qualificare i cacciatori-raccoglitori, condannati dal loro stile di vi ta al consumo immediato, come «prima società dell'abbondanza» (26). Non si possono pre ndere le società primitive come esempio di una cosa e al tempo stesso del suo cont rario, postulare contemporaneamente a loro riguardo la funzione integrativa dei riti e la trasparenza dei rapporti sociali: affermare cheil consumo è una forma i deologica specifica non equivale ad affermare che esso costituisce un'ideologia del potere strutturalmente e funzionalmente diversa dalle altre: anzi, è il contra rio. Del resto, l'«individualità di sintesi», il cui sviluppo, per non dire la genesi, vien e legato da Baudrillard all'azione della pubblicità,

non può non evocare qualcosa di già noto, di già incontrato. L'astuzia della pubblicità, ci dice Baudrillard, consist e nel fatto che essa non si rivolge mai all'uomosolo, ma all'uomo «nella sua rela zione differenziale»: «[...] essa convoca sempre i vicini, il gruppo, l'intera socie tà gerarchizzata nel processo di lettura e di interpretazione, nel processo di sfr uttamento da essa instaurato» (27). Ma arrivarea ognuno in funzione degli altri, identificare assimilando, non è forse il processo stesso di ogni ideologia? Baudri llard commenta una formula pubblicitaria «superriflessa»: «Personalizzate voi stessi i l vostro appartenere a voi stessi!» (28): perlui, la «persona», in quanto mito della tradizione occidentale, è appena stata «spazzata via dal nostro universo funzionale» ( 29). Si prova a ricostituire questo essere, perduto a causa della forza dei segn i, con la logica delle differenze molteplici ma non infinite degli oggetti di co nsumo: si personalizza la macchina, il colore o il taglio dei capelli eccetera; ricostituendo a partire da questi diversi

elementi un'individualità sintetica e ar tificiale. Ma non è forse normale che la pubblicità ci presenti come dato il risulta to a cui mirano tutte le ideologie? Individui che sono così simili da dover rivend icare la loro identità (anche se sono così diversi da credere alla loro somiglianza) . Anche il membro del lignaggio si definisce mediante la somma delle costrizioni poste dall'entourage. Bisogna allora pensare che l'ideologia del consumo agisca in senso contrario al cristianesimoquando esso erode le articolazioni della so cietà lignatica? Il cristianesimo cancella le differenze legate all'inscrizione de ll'individuo nel tempo e nello spazio; «deterritorializza». Ma queste stesse differe nze si trovano in relazione sistematica: l'una si definisce per mezzo dell'altra ; il registro delle differenze non è illimitato e le strategie sociali contribuisc ono a creare situazioni: se l'individuo del lignaggio è quello che è, è perché è "dov'è", al l'incrocio delle linee di sangue e di forza, dell'alleanza e della discendenza, dell'ereditarietà e dell'eredità. L

'ideologia lignatica intrattiene con «l'individuo» un rapporto paragonabile a quello che l'ideologia del consumo intrattiene con l'in dividualità di sintesi; il "bricolage" sintetico è parte del suo discorso esplicito. Inoltre, né l'anonimato del consumatore né quello del «soggetto» (30) di lignaggio (così come lo ritraggono le teorie generali e "a priori", indifferenziate, dell'eredit arietà, della malattia o dellamorte) stanno a significare l'indifferenziazione de lle situazioni. Da nessuna parte le teorie della persona parlano degli individui reali più di quanto parlino dei rapporti di forza sociali di cui esse sono un ele mento.

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In ciò consiste l'insufficienza di una teoria della repressione binaria del tipo p rescrizione/proscrizione. Non tutti sono integrati allo stesso titolo in questo sistema binario - e le modalità d'integrazione fanno a loro volta parte del sistem a: è proprio qui la difficoltà circolare di ogni sistema, quella che Bourdieu affron ta quando si rifà a Weber per sottolineare il ruolo delle classi strutturanti o qu ando rammenta i virtuosi del sistema. Per Baudrillard, così come il Medio Evosi e quilibrava su Dio e sul Diavolo, il consumo è inseparabile dalla sua denuncia, che egli finemente qualifica come «residenza secondaria dell'intellettuale» (31).Baudr illard ha certamente ragione quando traccia questo parallelo Dio/Diavolo,Consum o/Denuncia, e ricorda, citando Stuart Mill, che ai nostri giorni «il semplice fatt o di dare esempio di anticonformismo, il semplice rifiuto di piegare leginocchi a davanti agli usi è in se stesso un servizio» (32), ma nel farlo tocca unaspetto i mportante del problema fondamentale della struttura e dell'efficacia ideologiche (quello dell'inversione, ritualizzata o meno) che non è specifico della società dei consumi. Con il consumo e la sua denuncia, come con Dio e il Diavolo, ci trovia mo già al di là della bipolarità prescrizione/proscrizione, nell'astuzia del discorso chiuso in cui il negativo non è mai l'inverso. Denunciare il consumo è consumare lus suosamente; parlare del Diavolo è parlare di Dio; parlare degli stregoni è parlare d ei lignaggi, non nei termini di un inverso che riflette un diritto, bensì di uno d egli elementi di un concatenamento sintattico. Se il linguaggio delle istanze ci condanna a una descrizione meccanica dell'efficacia ideologica, l'opposizione d ell'inverso e del diritto o quella del pro e del contro ci condanna a definizion i tautologicamente funzionalistiche dell'inversione. La letteratura etnologica a bbonda di tautologie di questo tipo che giustificano le credenz

e con le loro fun zioni e spiegano le funzioni con le credenze. L'inversione pone problemi in primo luogo perché non è mai veramente inversione. Gli snobismi forniscono la prova che le inversioni non sono mai totali e che forman o un sistema con il resto. Le società lignatiche ci forniscono a questo proposito tanti esempi quanti la società dei consumi: per alcuni è bene lasciar intendere che sono forse stregoni; la loro posizione li mette al riparo da ogni accusa, non tr aggono dalle voci che il prestigio che vi è associato: passano dalle voci alla fam a. Ma il vecchio miserabile o l'ultimogenito di un ramo cadetto non avanzano di queste pretese se non per rovinarsi. Da noi il grande politico può mettersi un mag lione, l'uomo ricco o influente può fare allusioni colte alla sua natura modesta, passando discretamente e alternativamente da una parte all'altra della barriera con un movimento, propriamente, di seduzione (no, no, io non sono colui che cred ete... né cosìsemplice, né così complicato) (33); ma l'uomo senza mezzi (senza mezzi pe r pagare o

farsi intendere - mezzi: parola mirabile) non deve manifestare la sua natura ambiziosa (i suoi discorsi e la sua condotta sarebbero fuori luogo, se n on addirittura inquietanti) né vantare la sua modestia (i suoi discorsi sarebbero in certoqual modo ridondanti, pleonastici, oppure ugualmente inquietanti: sospe tti d'inversione). All'uomo «modesto» (anche in questo caso si ammirerà con un termine d'uso comune la confusione delle connotazioni finanziaria e morale) la parola è r ifiutata: gli rimane solo la parodia, che non è ancora l'inversione quanto piuttos to laforma elementare dell'individualità di sintesi. Applicata allo studio delle societàin via di «sviluppo» nell'area d'influenza occidentale, l'analisi dei comporta menti parodistici consentirebbe forse di eliminare lo sviluppo delle illusioni s ovraculturali, delle illusioni etnocentriche e dei razzismi latenti. Nella società lignatica come nella società dei consumi il sistema prescrizione/prosc rizione non prescrive né proscrive a ciascuno allo stesso modo; l'uomo davvero ric co può verament

e esprimere la sua ricchezza e indifferentemente cenare con un'insa lata di pomodori o con i piatti più costosi in un tre stelle parigino; la sua disc rezione è sempre relativa; rapportata alla sua posizione, essa è piuttosto una forma di ostentazione indiretta: un modo di dire. Similmente, il ricco della laguna c he esponela sua fortuna agli occhi degli altri, consacrando il suo status di ad ulto e di anziano potente, espone allo stesso tempo quella del suo entourage, pr endendoa prestito per l'occasione stoffe e oro dal tesoro del suo lignaggio, da quellodel padre, eventualmente anche da quello della moglie; attraverso una sp ecie di metonimia sociologica, egli esprime, più che la sua fortuna, la sua influe nza sociale; guadagna in potere quanto tace in possesso; ma l'uno è sempre il gara

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nte o il segno dell'altro. Quanto è vero dell'ostentazione economica è vero dell'ost entazione oratoria o più semplicemente del diritto di parola. Jean-Louis Bory può pa rlare per sé, ma più difficilmente per gli altri; invano Jean-Paul Sartre prova afa rsi incolpare: se, fino a un certo punto, la loro parola gira a vuoto, è perché una delle loro individualità viene loro sottilmente rifiutata, rimandata alla totalità d el personaggio che significa altra cosa (più e meno) nella società ufficiale; non si rifiuta al primo la sua qualifica di omosessuale, né al secondo quella di "gauchi ste", ma viene loro rifiutato il sintagma complessivo al quale essi vorrebbero i ntegrare questo elemento della loro personalità. E' «normale» che uno scrittoreo un a rtista abbia comportamenti ritenuti originali: è un'opinione comune, alimentata, c ondivisa del resto da molti scrittori o artisti. Si può indifferentementefare la somma delle tesi ammissibili e ammesse riguardanti le «deviazioni» delle professioni «marginali» o fare il conto di coloro che possono, senza veramente urtare,affermar e tesi e ostentare condotte «inverse» rispetto a quelle «normalmente» ammesse:si ritrov erà, si ridefinirà sempre la logica di una sintassi che designa anche l'identità diffe renziale dei locutori. Se l'espressione "savoir-vivre", a proposito delle società lignatiche, può applicars i altrettanto bene al codice delle buone maniere e, letteralmente, all'arte dell a sopravvivenza, è perché il diritto alla parola, all'ostentazione, alla potenza e a l potere non viene riconosciuto a tutti; alla morte di un Alladiano, il cadavere può essere interrogato; le sue risposte affermative o negative (si ritiene che fa ccia avanzare o indietreggiare coloro chelo portano e che, in qualche modo, son o i suoi portavoce silenziosi) possono condurre all'accusa di un individuo - gen eralmente, secondo la teoria, di un individuo del suo lignaggio. Ma il capo di l ignaggio, che è uno dei sospettati più plau

sibili - giacché il potere d'aggressione si trasmette di preferenza dallo zio materno al figlio primogenito della sorella p rimogenita -, è anche colui che accordao rifiuta il diritto di interrogare il cad avere. Se rifiuta, ciò può essere una specie di mezza confessione, ma una confession e in guisa di atto di forza: nessuno, a meno che non abbia qualche precisa ragio ne per credere alla debolezza del capo e alla propria posizione di forza, si arr ischierà ad accusarlo, tanto più che,sempre secondo la teoria, colui che si ritiene erediti il potere nefasto di aggressione è anche ritenuto ereditare di preferenza (per via agnatizia, questa volta) il potere di difesa: al limite il potere è inqu alificabile, o addirittura ineffabile. Non si accusa impunemente un uomo forte ( di una forza costituita al tempo stesso da potenza psichica e potere sociale) e un'accusa si volge facilmente contro colui che la pronuncia. Così, esiste una sort a di snobismo della forza che induce alcuni anziani del lignaggio a lasciare int endere di possedere un potere

sulla natura intorno al quale è meglio non porsi dom ande; questo tipo di suggerimento è attestato abbastanza spesso nell'etnologia afr icanista. Coloro che, troppo sensibili al prestigio della potenza, lasciano inte ndere senza essere nella posizione di farsi ascoltare finiscono per essere compr esi fin troppo bene e percostituire degli accusati ideali. Per un «quadro superiore» (34), SAS può essere divertente, eccitante, stupido o odioso , ma non è, a dire il vero, affascinante; questo lettore ha un'esperienza diretta di paesaggi esotici, di jet, di hostess, di grandi alberghi di lusso internazion ali, perfino di erotismo; il potere del libro è limitato, o mutato, dalla conoscen za del lettore che ne fa una lettura, comesi suol dire, di secondo grado. Quest a distanza diminuisce evidentemente con lo status sociale del lettore. Ciò è vero di ogni consumo e Baudrillard lo dice moltobene: «Il consumo, al pari della scuola, è un'istituzione di classe: non solo c'è di fronte agli oggetti una disuguaglianza in senso economico [...] ma più profondament

e c'è una discriminazione radicale nel s enso in cui solo certi accedono a una logica autonoma, razionale, degli elementi dell'ambiente [...] Allo stesso modo ilsapere e la cultura non sono, per color o che non ne hanno la chiave, vale a dire il codice che ne permette l'uso legitt imo, razionale ed efficace, che l'occasione di una segregazione culturale più acut a e più sottile, poiché il sapere e la cultura non appaiono allora, ai loro occhi e nell'uso che essi ne fanno, che come un marra supplementare, come una riserva di potere magico, invece di essere l'opposto: un tirocinio e una formazione oggett iva» (35). Tutto questo è senz'altro vero, ma vale anche per le società lignatiche. An che nella società lignatica (e noi sosterremmo volentieri che ciò vale anche per ogn

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i tipo di società) la posizione all'interno del sistema e la conoscenza del sistem a sono legati; il potere deriva dalla percezione della logica delle differenzee la percezione è funzione della posizione. Il potere, in questo senso, è una questio ne di punti di vista. Non bisognerebbe tuttavia dedurne che una minoranza di spiriti forti detiene il potere e gioca cinicamente possibilità di un sistema cui non aderisce. I virtuosi sono per un verso i più convinti della verità naturale del sistema, per lo meno degl i aspetti del sistema che rafforzano la loro qualità di virtuosi. I credenti sono i primi a farsi beffe della superstizione. Le distanzeprese rispetto alla lette ralità della fede (in qualunque campo) sono altrettantigradi di approfondimento d i questa fede. A una certa distanza, le verità parziali appaiono più manifestamente legate le une alle altre, in questo senso meno assolute, ma questa visione, lung i dall'impedire l'adesione al quadro complessivo, la rafforza e la rende più compl essa. Il virtuoso non prende le distanze che all'interno del sistema che consacr a il suo virtuosismo - il quale non è altro che la presa di coscienza del caratter e sistematico del sistema. C'è dunque una distinzione da fare, da una parte fra i diversi tipi di insiemi ideologici dove può esercitarsi il virtuosismo, dall'altra fra i diversi totalitarismi che prendono posto all'interno di ciascuno di quest i insiemi. Certo è così che i sintagmi formulabili in una società lignatica e in una s ocietà come la società capitalista liberale francese hanno contenuti diversi; la soc ietà lignatica stabilisce relazioni precise ed esplicite fra campi che la nostra s ocietà generalmente tiene separati (economia, biologia, religione); ma pure nella nostra società le relazioni stabilite fra questi diversi campi differiscono a seco nda delle posizioni socioculturali degli individui. Questa diversità si misura sul la lunghezza delle catene sintagmatiche tol

lerate dalla norma; nelle società ligna tiche questa lunghezza è quasi illimitata; in questo senso, e perché in esse la logi ca persecutoria ribalta l'ordine individuale sull'ordine sociale e questo sull'o rdine del mondo, tali società sono più totalitarie della nostra. Ma in entrambi i ca si bisogna parlare anche di totalitarismo differenziale: per alcuni le catene so no più corte, più frammentarie che per altri e, se è vero che il diventare autonomo di un qualsiasi settore di attività o di rappresentazione può portare a una sorta di f eticizzazione eminentemente repressiva (il linguaggio comune evoca del resto con forza le persone che non vivono cheper il loro mestiere, lo sport, i loro bamb ini...), è ancora più vero che la frattura delle relazioni fra diversi settori di ra ppresentazione comporta una relativa liberazione dell'individuo. Si ha così come u n doppio movimento. Il codice delle società industriali perde rubriche o le separa , almeno agli occhi di coloro che pensano di dominarlo: il virtuosismo si eserci ta in una sfera più ristretta risp

etto a quella dell'ideologica lignatica; allo st esso tempo, coloro che non hanno la chiave del codice adoperano sintagmi più lungh i, più pesanti, e mischiano ancora Dio, la loro famiglia e i loro peccati con i lo ro problemi materiali o con i loro voti. L'autonomizzazione del politico in rapp orto alla religione può benissimo non rappresentare un ostacolo alla dittatura, ma è dialetticamente legata alla liberazione ideologica, e cioè alla riaffermazione in dividuale. Questa constatazione non è assolutamente estranea al problema del rapporto fra sci enza e ideologia. Non lo si evocherà in questa sede se non in quanto esso tocca il problema della repressione in senso lato. La scienza tende a totalizzare le div erse logiche che scopre. Che la logica di una scienza non sia estranea a quella di un'altra scienza, e quanto postula ogni scienza, per quanto essa sia poi inca pace di controllare il passaggio da una logica all'altra - da un certo ordine de l mondo, per esempio quello della materia, a un altro, per esempio quello dell'e nergia. Di

questa mancanza si è potuto fare virtù, e Durkheim, quando affermava che la causa determinante di un fatto sociale dovrebbe essere ricercata esclusivamen te nei fatti sociali antecedenti, giustificava il suo rifiuto della psicologia d ichiarandola tanto inutile per la spiegazione etnografica quanto lo erano la fis ica o la chimica per la spiegazione dei fatti organici. Da allora abbiamo assist ito a una compenetrazione delle diverse discipline, per esempio alla comparsa di una chimica organica la cui esistenza dovrebbe rendere gli osservatori più ottimi sti riguardo al futuro delle reciproche relazioni fra le scienze umane. Le nuove configurazioni, i nuovi oggetti di scienza o di sapere costituiscono da soli un

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progresso della scienza: la scoperta di una logica più profonda e più sottile, o più precisamente un approfondimento delle logiche esistenti. Ma la scienza resta totalizzante mentre l'ideologia si vuole totalitaria. Tali s ono le loro rispettivedefinizioni e in questo consiste la loro fondamentale dif ferenza. La scienza non potrebbe realizzarsi come sapere totale se non dominando contemporaneamente l'infinito dell'universo e l'assoluto della coscienza nel mo mento strettamente impensabile e, si potrebbe dire, «divino» della fine o del nuovo inizio del mondo. L'ideologia, al contrario, poiché urta direttamente con l'eviden za della coscienza,da cui essa stessa deriva, è tenuta a far saltare il proprio l imite e ad affermarsi come verità totale, modellando, come si suol dire, gli «animi» o le «coscienze». Le scienze umane, e in ogni caso l'antropologia, hanno per oggetto essenziale e, oserei dire, unico lo studio di questo cortocircuito. Esse non son o scienze (ma allora nel pieno senso del termine) che in proporzione al loro sce tticismo. Esse devono restare morali nel doppio senso del termine. Altrimenti po ssono perfettamente fare da intermediario a un superamento della scienza da part e dell'ideologia - che realizza a perfezione il suo totalitarismo quando dà alla s cienza dell'eretica, della borghese o della proletaria. E' proprio perché l'ideologia è sempre ideologia del potere, perché non esiste potere senza assoluto più di quanto non esistasocietà senza potere e perché i rapporti di cl asse non sono che una modalità dei rapporti di potere che non c'è alcun bisogno di c ontrapporre su questo punto Marx a Durkheim: l'ideologia lignatica, l'ideologia cristiana o l'ideologia del consumosi vogliono tutte totalitarie; tutte hanno v oluto sottomettere la figura individuale alla figura sociale, parlare al singola re/plurale, giocare d'astuzia conil nome proprio in nome del senso comune; esis te dunque davvero una struttura i

deologica in ogni formazione sociale; ma le cos trizioni che si esprimono nell'ideologia e per il suo tramite differiscono da un a società all'altra e all'interno di una stessa società. All'interno di una stessa s ocietà non c'è posto per una controideologia in senso stretto, ma per spostamenti id eologici che manifestano al contempo la pressione dei repressi e i nuovi accenni di repressione; gli snobismi e le condotte d'inversione non sono trucchi meccan ici del potere, ma figure provvisorie e difensive della dominazione, nelle quali può leggersi anche la contestazione dei dominati. L'ideologia dominante è quella di tutti in ogni senso; così, la disuguale sistematizzazione delle costrizioni testi monia al tempo stesso una disuguale inserzione nell'insieme e la possibilità di un a lotta per la presa di coscienza, la presa di parola e la presa del potere. Non c'è opposizione fra lotta di classe e affermazione individuale: la prima è la condi zione della seconda e laseconda il senso della prima. Nessuno può contestare ad a lcuno l'esigenza immedia

ta e assoluta di senso e di esistenza: la storia e la lo tta di classe muoiono con l'individuo; ma la libertà passa attraverso l'uguaglianz a; nessuno può esigere il senso senza respingere il potere, cioè, in fin dei conti ( e qualsiasi cosa ne dicano i ricchi beneficiari dell'insularità individuale), senz a rivendicarlo. CONCLUSIONE. E, per finire, esorcizzare colui che, per primo, ha declinato insieme individuo, natura e società: di Rousseau scacciare il rousseauismo. Rousseau conosce il piac ere fisico dell'immersione nella natura - al ritmo regolare dell'acqua del lago di Bienne, ferma l'attenzione sulle sue sole sensazioni, fino a dissolversi in e sse, corpo anonimo e conduttore come vorrebbe Lyotard, e non essere ben presto p iù che pulsare del sangue nelle arterie, rumore mescolato d'acqua e di sangue, fus ione, intensità -annichilimento. E' l'ultimo respiro dell'uomo solo.Questi non ritorna a se stesso che per trova re gli altri. La costrizione altrui, che gli è tanto pesata, gli occorre pensarla per ammetterla. Se il "Discorso sul

l'origine e i fondamenti della disuguaglianza " (1) fa della disuguaglianza unadelle molle della storia, il "Contratto social e" (2) sovrappone a questo pessimismo una seconda lettura del fenomeno sociale: l'affermazione di un contratto sociale si applica alle implicazioni logiche (e i deologiche) di ogni regime esistente, di ogni società concepibile. In questa oscillazione si percepiscono i limiti dell'immaginazione politica come

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della realtà sociologica, nonché quelli della più pura libertà individuale: ciascuno può scomparire; questa cancellazione non è né un'analisi né un programma. Rousseau, lui, qualsiasi cosa si dica, si è guardato dal proiettare sui «selvaggi» (ch e egli non identifica con il primo stato di natura) il suo desiderio di fuga, il suo rifiuto del presente, i suoi sogni di fusione e di effusione. Le società che gli etnologi studiano non offrono l'esempio di una individualità spezzettata o con divisa, di unamaggior prossimità a qualche intensità prima. Che siano diverse, è evid ente. Che siano altre, è una menzogna. Ogni individuo vive la sua storia con quella degli altrie muore solo. Il Potere per sopravvivere a questa contraddizione cerca di farnela sua materia. La stor ia di questi tentativi, di queste logiche, è la storia del Potere: la storia. NOTE. INTRODUZIONE. Nota 1. "Tiercé": gioco pubblico di scommesse settimanali basato sul pronostico de i primi tre classificati in una corsa.Nota 2. Merlin-Plage: luogo di villeggiatura in Vandea, sulla costa atlantica. Nota 3. Il gallo e il cardo sono, rispettivamente, emblemi della Francia e dellaScozia, e in questo senso sono stati utilizzati nel mondo sportivo. Nota 4. Verts: squadra di calcio del Paris Saint-Germain. Nota 5. Parc de Princes: stadio di Parigi. Nota 6. E. Durkheim, "Forme elementari della vita religiosa", trad. it. Edizioni di Comunità, Milano 1963, p. 7. Nota 7. «[...] dans leur savoir-faire et dans leur savoir-dire, au sens fort du te rme: dans leur savoir-vivre.» Nota 8. «Jeudu repoussoir et du faire-valoir»: letteralmente, «gioco del respingere e del valorizzare». Nota 9. Con questa espressione s'intendono quei filosofi la cui riflessione si c ostruisce in parte a partire dai materiali forniti dall'antropologia sociale; pr esso alcuni etnologi questa riflessione filosofica sembra dominare la descrizion e stessa delle società studiate: all'occasione, chiamerò l'etnologia che ne

risulta «e tnologia-pretesto». La meta-antropologia e l'etnologia-pretesto sono complici (ogg ettivamente e soggettivamente): possiamo dire indifferentemente che la prima pog gia sulla seconda o che la seconda è scritta sotto dettatura della prima. [N.d.A.] Nota 10. In "Hérodote", I, primo semestre 1976, passim. [N.d.A.] Nota 11. G. Deleuze, E. Guattari, "L'anti-Edipo: capitalismo e schizofrenia", tr ad. it. Einaudi, Torino 1975. Nota 12. J. Baudrillard, "Lo specchio della produzione", trad. it. Multhipla, Mi lano 1979. Nota 13. L. V. Thomas, R. Luneau, "La terre africaine et sa religion", Larousse, Paris 1975, passim. [N.d.A.] Nota 14. "Thanatopraticiens": letteralmente, gli «esperti della morte». Nota 15. J. Rancière, "La leçon d'Althusser", Gallimard, Paris 1974, passim. Nota 16. E Nietzsche, "Genealogia della morale", trad. it. Adelphi, Milano 1988. CAPITOLO 1. Nota 1. Laio: nella mitologia greca, re di Tebe e padre di Edipo. Edipo uccise i l padre e sposò la madre ignorando chi fossero veramente. Nota 2. J. Laplanche, J.-B. Pontalis, "E

nciclopedia della psicoanalisi", trad. i t. Laterza, Roma-Bari 1973, p. 537. [N.d.A.] Nota 3. Ibidem, p. 538. Nota 4. E. Morin, "Il paradigma perduto: che cos'è la natura umana?", trad. it. Fe ltrinelli, Milano 2001. [N.d.A.] Nota 5. "Caid":in Nord Africa, funzionario musulmano che riunisce gli attributi di giudice, amministratore e capo della polizia. Nota 6. E. Morin, op. cit., p. 41. Nota 7. Ibidem, p. 165.

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Nota 8. Maschile. [N.d.A.] Nota 9. E. Morin, op. cit., p. 165. Nota 10. Ibidem,p. 170. Nota 11. Ibidem, p. 210. Nota 12. R. Barthes, "Il piacere del testo", trad. it. Einaudi, Torino 1975, p. 32. [N.d.A.] Nota 13. E Guattari, "Una tomba per Edipo. Psicoanalisi e metodo politico", trad . it. Giorgio Bertani Editore, Verona 1974, p. 329. [N.d.A.] Nota 14. Ibidem, p. 11. Nota 15. H. Marcuse, "Eros e civiltà", trad. it. Einaudi, Torino 1964, p. 89 [N.d. A.] Nota 16. E Nietzsche, "Genealogia della morale", trad. it. Adelphi, Milano 1988. Nota 17. H. Marcuse, op. cit., p. 65. Nota 18. Ibidem. Nota 19. Ibidem, p. 73. Nota 20. Ibidem, p. 74. Nota 21. G. Deleuze, E Guattari, "L'anti-Edipo: capitalismo e schizofrenia", tra d. it. Einaudi, Torino 1975. [N.d.A.] Nota 22. Ibidem, p. 32. Nota 23. A. Adler, M. Cartry, «La transgression et sa dérision», in "L'Homme", luglio 1971. [N.d.A.] Nota 24. G. Deleuze, F. Guattari, op. cit., p. 177. Nota 25. Ibidem, p. 302. Nota 26. Ibidem, p. 298. Nota 27. Ibidem, p. 158. Nota 28. E. R. Leach, "Nuove vie dell'antropologia", trad.it. il Saggiatore, Mil ano 1973. [N.d.A.] Nota 29. R. M. Du Gard, "I Thibault", trad. it. C.D.E., Milano 1965. Nota 30. Boulogne-Billancourt: cittadina situata alla periferia di Parigi. Nota 31. G. Deleuze, F. Guattari, op. cit., p. 299. Nota 32. Ibidem, p. 161. Nota 33. Filiazione complementare: «Nozione elaborata da Fortes per mettere in luc e che ogni individuo appartenente a un gruppo di discendenza unilineare gode di ampie reti di relazioni interpersonali con la linea di discendenza alla quale eg li non appartiene» (in U. Fabietti, F. Remotti, "Dizionario di antropologia", Zani chelli, Bologna 1997, p. 306). Nota 34. E.R. Leach, op. cit., capitoli 1 e 5. Nota 35. G. Deleuze, E Guattari, op. cit., p. 163. Nota 36. Ibidem. Nota 37. Ibidem. Nota 38. Ibidem. Nota 39. Ibidem, p. 175. Nota 40. Ibidem, p. 170. Nota 41. Ibidem, p. 168. Nota 42. "Cheff

erie": in Africa, unità territoriale sulla quale si esercita l'auto rità di un capotradizionale. Corrisponde all'inglese "chiefdom"; in italiano potr emmo tradurre con «potentato». Nota 43. G. Deleuze, F. Guattari, op. cit., p. 170. Nota 44. Ibidem, p. 220. Nota 45. Ibidem, p.p. 166-167. Nota 46. Ibidem, p. 219. Nota 47. Ibidem, p. 298. Nota 48. Ibidem, p. 297. Nota 49. Ibidem. Nota 50. A. Adler, A. Zempléni, "Le bâton de l'aveugle", Hermann, Paris 1972. [N.d.A .] CAPITOLO 2. Nota 1. "Pas de deux": passo a due, balletto.

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Nota 2. «Les braves gens», usava dire Napoleone. Potremmo tradurre: «Avanti!», «All'attacc o, miei prodi!». Nota 3. Quest'osservazione si riferisce ai testi pubblicati fino a "Antropologia e marxismo", trad. it. Editori Riuniti, Roma 1977. [N.d.A.] Nota 4. Discendenza doppia (o bilineare): «[...] s'intende un sistema di parentela fondato sia su gruppi di discendenza matrilineare sia su quelli di discendenza patrilineare: ogni individuo appartiene ai due gruppi di discendenza unilineari, materno e paterno, simultaneamente, benché persegua scopi differenti relativament eai diversi ruoli esplicati dai due gruppi» (in U. Fabietti, F. Remotti, "Diziona rio di antropologia", Zanichelli, Bologna 1997, p. 240). Nota 5. Per maggiori dettagli su questo punto, vedi M. Augé, "Théorie des pouvoirs e t idéologie", Hermann, Paris 1975. [N.d.A.] Nota 6. M. Mauss, "Sociologie et anthropologie", Presses universitaires de Franc e, Paris 1968. Nota 7. E. R. Leach, "Nuove vie dell'antropologia", trad. it. il Saggiatore, Mil ano 1973. Nota 8. Per una critica del simbolismo così concepito vedi D. Sperber, "Per una te oria del simbolismo", trad. it. Einaudi, Torino 1981. [N.d.A.] Nota 9. «Le nozioni di giovane e anziano si riferiscono a 'età sociali', senza rifer imento stretto all'età biologica degli individui» (in U. Fabietti, "Storia dell'antr opologia", Zanichelli, Bologna 2001, p. 222). Nota 10. P. Bourdieu, "Per una teoria della pratica", trad. it. Raffaello Cortin a, Milano 2003. [N.d.A.]. Nota 11. M. Jourdain è il protagonista della commedia diMolière "Le Bourgeois Genti lhomme". Rappresenta il classico "parvenu" con aspirazioni nobiliari. Nota 12. D. Paulme, "Classes et associations d'âge en Afrique de l'Ouest", Plon, P aris 1972. [N.d.A.] Nota 13. M. Gluckman, "Custom and Conflictin Africa", Blackwell, Oxford 1955; I d., "Order and Rebellion in Tribal Africa", Free Press, New York 1963. [N.d.A.] Nota 14. E. Norbeck, «African rituals of con

flict», in "American Anthropologist", 65 , 1963, p.p. 1254-1279. [N.d.A.] Nota 15. C.-H. Perrot, «Be di Murua: un rituel d'inversion sociale dans le royaume agni de l'Indénié», in "Cahiers d'Etudes Africaines", 7, 27, 1967. [N.d.A.] [Nota 15. Nella versione originale la [c] è una "c" rovesciata] Nota 16. Citato da R. Girard in "La violenza e al sacro" (trad. it. Adelphi, Mil ano 1980, p. 154) e tratto dal film di J. Rouch e D. Zahan, "Moro-Naba"; citato anche da L. Makarius, «Du roi magique au roi divin», in "Annales", 1970, p. 685. [N. d.A.] Nota 17. F. Héritier, «La paixet la pluie», in "L'Homme", 13, 3, 1973. [N.d.A.] Nota 18. R. Girard, op. cit., p. 153. [N.d.A.] Nota 19. I Maestri dell'Arpione sono un clan sacerdotale ereditario dinka. Nota 20. M. Douglas, "Purezza e pericolo", trad. it. il Mulino, Bologna 1993, p. 119. [N.d.A.] Nota 21. R.G. Lienhardt, "Divinity and Experience", Clarendon Press, Oxford 1961 . [N.d.A.] Nota 22. M. Douglas, op. cit., p. 270. Nota 23. Vedi M.-F. Obi, tesi di dottorato, Université de Paris Sorbonne, 1976. [N .d.

A.] Nota 24. J.-P, Dozon, «Les mouvements politico-religieux. Syncrétismes, messianismes , néo-traditionalismes», in M. Augé (a cura di), "La Construction du monde", Maspero, Paris 1974. [N.d.A.] Nota 25. Sullo harrismo e sul personaggio di Atcho, vedi l'opera collettiva C. P iault (a cura di), "Prophétisme et thérapeutique", Hermann, Paris 1975. [N.d.A.] Nota 26. "Lettrés": letterati. Nota 27. R.D.A.: Rassemblement Démocratique Africain, partito africano fondato nel 1947. Nota 28. "Dé-pensé": gioco di parole. "Depensé" significa «speso», ma il termine francese è composto dal prefisso "de" e da "pensé", che significa «pensato». Nota 29. « Il divieto universale dell'incesto precisa, di norma, che le persone co nsiderate come genitori e figli o fratelli e sorelle, anche solo nominalmente, n

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on possano avere rapporti sessuali e ancora meno sposarsi. In alcuni casi moltonoti, quali l'antico Egitto, il Perú precolombiano, e anche diversi reami dell'Afr ica, del sudest asiatico e della Polinesia, l'incesto veniva definito molto meno rigorosamente che altrove. Tuttavia, anche in questi casi, il divieto esisteva, poiché l'incesto consentito era limitato a una minoranza, la classe dirigente (ec cetto, forse, nell'antico Egitto, dove potrebbe essere stato più diffuso); d'altra parte, non si poteva sposare una qualsiasi parente stretta, ma solo la sorellas tra, oppure, in caso di matrimonio consentito con una vera sorella, solo la magg iore, giacché quello con la minore era ritenuto incestuoso» (C. Lévi-Strauss, «La famill e», in "Annales de l'Université d'Abidjan", serie F, tomo 3, 1971). [N.d.A.] Nota 30. A. Malraux, "La condizione umana", trad. it. Bompiani, Milano 1997. CAPITOLO 3. Nota 1. Ma cantavamo: «Cattolico e bretone sempre» al posto dell'abituale «e francese sempre». Questo ufficialmente, per iniziativa della gerarchia; indubbiamente essa sperava più nel popolo bretone che nell'altro, poiché più puro, meno misto, più prossimo alle inscrizioni originarie, esso rivelava più facilmente il luogo e la molla del la seconda deviazione - come i Bantù di padre Tempels. [N.d.A.] Nota 2. Yves Boisset, 1973 [N.d.A.]. Si tratta di uno dei primi film francesi ad aver affrontato il tema della guerra d'Algeria. E' la storia di tre giovani sol dati di leva che finiscono in un battaglione disciplinare. Sono ribelli, e il lo ro comandante deve addestrarli per formare un'unità scelta. Presi nell'ingranaggio della guerra, della tortura e delle morti, questi refrattari diventeranno, loro malgrado, degli assassini. Nota 3. M.L.F. è la sigla del Mouvement de libération des femmes. Nota 4. Krivine e Laguillier sono i due leader trotzkisti della lista di estrema sinistra francese. Nota 5. J. Rancière, "La leçon d'Althusser", Gallimard, Paris

1974. [N.d.A.] Nota 6. J. Baudrillard, "Lo specchio della produzione", trad. it. Multhipla, Mil ano 1979, p. 58. [N.d.A.] Nota 7. Con l'eccezione (se ne chiameràfuori lui stesso) di J.-F. Lyotard, la cui constatazione serena («Non ci sono società primitive») dovrebbe mettere a disagio i n eoculturalisti. Vedi J.-F. Lyotard, "Economia libidinale", trad. it. Colportage, Firenze 1978. [N.d.A.] Nota 8. J. Baudrillard, op. cit., p. 72. Nota 9. Ibidem, p. 66. Nota 10. Ibidem, p. 67. Nota11. M. Godelier, "Antropologia e marxismo", trad. it. Editori Riuniti, Roma 1977. [N.d.A.] Nota 12. J. Baudrillard, op. cit., p. 67. Nota 13. Ibidem, p. 68. Nota 14. Indubbiamente non è vero il contrario. [N.d.A.] Nota 15. Si tratta del protagonista della serie di romanzi di spionaggio scritti da Gerard de Villiers. Il principe austriaco Malko Linge, in codice SAS (Sua Al tezza Serenissima), è un agente segreto della CIA che accetta pericolose missioni internazionali per potersipermettere la ristrutturazione dell'antico castello d i famiglia. Nota 16. E' il

protagonista di un'altra serie di romanzi di spionaggio, scritti da Jean Bruce. D'origine francese e nobiliare, Hubert Bonnisseur de la Bath, in codice O.S.S.117, è un agente segreto dell'Office of Strategic Service, e success ivamente della CIA. Nota 17. E' il linguaggio degli oroscopi e di Madame Soleil. Ogni mattina le sta zioni periferiche (che sono al centro dell'informazione) chiariscono, per un gio rno, i misteri e le promesse dei segni zodiacali. Ma in questa predizione segno dopo segno tutto si svolge come se gli altri, la maggioranza, tutti coloro che c ondizionano la storia del portatore del segno, non avessero segno. Lametonimia corrisponde così simultaneamente a una negazione e a una promozione dell'altro - s emplice entourage o strumento del destino. [N.d.A.] Nota 18. Meno morti, più invalidi. [N.d.A.]

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Nota 19. Recentemente, grazie ad alcune iniziative individuali, sono stati maggi ormente pubblicizzati. Le risposte ideologiche, che verranno, saranno interessan ti da interpretare. [N.d.A.] Nota 20. Gioco di parole. "Conduite" significa al tempo stesso «condotta» e «guida». Nota 21. "Double bind": «doppio vincolo», indica un dilemma. Nota 22. J. Baudrillard, "La società dei consumi: i suoi miti e le sue strutture", trad. it. il Mulino, Bologna 1976, p. 108. [N.d.A.] Nota 23. Ibidem, p. 108. Nota 24. Ibidem, p.p. 124-125. Nota 25. Ibidem, p. 125. Nota 26. Dopo di allora è apparsa, presso Gallimard ("Age de pierre, âge d'abondance ", 1976), la traduzione di "Stone Age Economics", la cui prefazione «meta-antropol ogica» (di Pierre Clastres) è un modello di voracità recuperatrice [N.d.A.]. Vedi M. S ahlins, "L'economia dell'età della pietra: scarsità e abbondanza nelle società primiti ve", trad. it. Bompiani, Milano 1980. Nota 27. J. Baudrillard, "La società dei consumi: i suoi miti e le sue strutture", cit., p. 78. Nota 28. Ibidem, p. 114. Nota 29. Ibidem, p.115. Nota 30. Gioco di parole. "Sujet" significa al tempo stesso «suddito» e «soggetto». Nota 31. J. Baudrillard, "La società dei consumi: i suoi miti e le sue strutture", cit., p. 292. Nota 32. Ibidem, p. 268. Nota 33. Il gioco delle vesti a cui sidedicano gli ecclesiastici da qualche ann o costituisce a questo proposito un notevole esempio di inversione-seduzione. [N .d.A.] Nota 34. "Cadre supérieur": gioco di parole. Augé parla di un alto dirigente ma allu de allo stesso tempo a un punto di vista diverso, più elevato. Nota 35. Non è significativo che Baudrillard abbia bisogno della nozione di "mana" per descrivere la logica del consumo? [N.d.A.]. J. Baudrillard, "La società dei c onsumi: i suoi miti e le sue strutture", cit.,p.p. 70-71. Nota 1. J.-J. Rousseau, "Discorso sull'origine e i fondamenti delladisuguaglian za", trad. it. Laterza, Roma-Bari 1997. Nota 2. J.-J. Rousseau, "Il

contratto sociale", trad. it. Laterza, Roma-Bari 199 7.

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