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1 2010-2011 Nino Rota “la leggerezza dell’ascolto” In collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini Direttore Giuseppe Grazioli 10 concerti dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi per il centenario dalla nascita del compositore AUDITORIUM DI MILANO FONDAZIONE CARIPLO

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2010-2011

Nino Rota“la leggerezza dell’ascolto”

In collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini

Direttore Giuseppe Grazioli

10 concertidell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi

per il centenario dalla nascita del compositore

A U D I T O R I U M D I M I L A N O F O N D A Z I O N E C A R I P L OA U D I T O R I U M D I M I L A N O F O N D A Z I O N E C A R I P L O

Nino Rota“la leggerezza dell’ascolto”

Fondazione Giorgio Cini

Giuseppe Grazioli

10 concertiOrchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi

per il centenario dalla nascita del compositore

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

LA FONDAZIONE GIORGIO CINILa Fondazione Giorgio Cini è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale che ha lo scopo di promuovere la conservazione, tutela e valorizzazione del complesso monumentale dell’Isola di San Giorgio Maggiore e di favorire la costituzione e lo sviluppo di istituzioni educative, sociali, culturali e artistiche, in collaborazione con quelle cittadine già esistenti. La Fondazione si propone altresì di promuovere nel mondo attività culturali collegate, direttamente o indirettamente, a Venezia, alla sua storia e alle sue tradizioni di punto di incontro di diverse civiltà. Internazionalmente nota soprattutto come una fucina di studi umanistici, nel corso degli anni la Fondazione si è caratterizzata, allo stesso tempo, come un centro di studi e un luogo di incontri politici e di dibattito sui temi dell’attualità politica e sociale.

IL CENTRO “VITTORE BRANCA”

Il ruolo culturale e istituzionale della Fondazione Giorgio Cini trova una declinazione inedita nel Centro Internazionale di Studi della Civiltà Italiana “Vittore Branca”, destinato a valorizzare il patrimonio artistico e documentale presente sull’Isola, creando legami nuovi tra Istituti e Centri della Fondazione, giovani studiosi e personalità della cultura internazionale. Il Centro si propone come luogo, allo stesso tempo, di studio e di incontro per giovani ricercatori e studiosi affermati, interessati allo studio della civiltà italiana (e in special modo veneta), con un orientamento interdisciplinare, in una delle sue principali manifestazioni: le arti, la storia, la letteratura, la musica, il teatro.

Isola di San Giorgio Maggiore, Veneziawww.cini.it – [email protected]

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NINO ROTA –“la leggerezza dell’ascolto”10 concerti dell’Orchestra Verdi - direttore Giuseppe Grazioli

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Introduzione alla rassegna

1. domenica 24 ottobre 2010Prova d’orchestra, Rabelaisiana, Le Molière imaginaire

2. domenica 21 novembre 2010Concerto per archi, Concerto per violoncello, Le notti di Cabiria, La dolce vita

3. domenica 12 dicembre 2010Rocco e i suoi fratelli, Concerto per arpa e orchestra, Allegro concertante, Guerra e Pace

4. domenica 2 gennaio 2011Amarcord, Piccolo mondo antico, Concerto festivo per orchestra

5. domenica 16 gennaio 2011Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi, Concerto per trombone e orchestra, La scuola di guida, Otto e ½, Suite dal fi lm

6.domenica 20 febbraio 2011Il Gattopardo, Concerto soirée per pianoforte e orchestra

7. domenica 20 marzo 2011Il cappello di paglia di Firenze, Concerto n. 2 per violoncello e orchestra, La strada

8. domenica 10 aprile 2011Roma, Il giornalino di Gian Burrasca, Tre canzoni, Concerto per fagotto e orchestra, Sinfonia n. 3

9. domenica 22 maggio 2011Sonata per orchestra da camera, Concerto per corno e orchestra K. 412 di Wolfgang Amadeus Mozart completato da Nino Rota, II. tempo per il IV. Concerto di Mozart per corno e orchestra, Fantasia sopra 12 note del ‘Don Giovanni’ di W. A. Mozart, Romeo e Giulietta, Suite dal fi lm

10. domenica 5 giugno 2011La Fiera di Bari, Ouverture ,Castel del Monte Ballata per corno e orchestra, Variazioni sopra un tema gioviale Il Padrino, Il Padrino II, Suite dai fi lm

Biografi a di Nino Rota

Bibliografi a

Discografi a

Biografi e solisti

Biografi a di Giuseppe Grazioli

Organico orchestra

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SOMMARIO

NINO ROTA –“la leggerezza dell’ascolto”10 concerti dell’Orchestra Verdi - direttore Giuseppe Grazioli

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“Quando sento le temerarie dichiarazioni di musicisti da piano bar che vogliono essere considerati “classici” o di cantanti lirici che pretendono di avere lo “swing” per cantare Cole Porter, mi torna in mente una frase di Nino Rota, pronunciata in risposta alle continue provocazioni sulla sua doppia veste di compositore per il cinema e per le sale da concerto: “Non credo a differenze di ceti e di livelli nella musica: Il termine ‘musica leggera’ si riferisce solo alla leggerezza di chi l’ascolta, non di chi l’ha scritta”. Questo è il pensiero di fondo che ha accompagnato per tutta la vita un compositore che con lo stesso entusiasmo, lo stesso impegno e la stessa maestria scriveva la colonna sonora di “Totò al Giro

d’Italia” oppure un concerto per Benedetti Michelangeli, passando per un opera lirica tratta da Victor Hugo.

A cento anni dalla nascita, come potevamo ricordare, senza tradirlo e senza cucirgli addosso ancora una volta l’etichetta di ‘cinematografaro’ (come lo chiamavano all’epoca i colleghi ‘seri’) uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del ‘900 tout court?

La nostra risposta è questa rassegna di dieci concerti in cui cercheremo di comunicare al pubblico il bisogno, tipico di Rota, di varcare i confi ni dei generi musicali per dimostrare come una fuga e una canzonetta accompagnata da una fi sarmonica, debbano godere di uguale rispetto se scritte entrambe con onestà. È questa logica che ci ha spinto ad accostare ogni volta nello stesso concerto musica per il cinema, per la televisione, per il teatro, balletti, concerti strumentali e musica sinfonica. Un disordine apparente che riproduce in realtà, con molta coerenza, il suo modo di comporre fatto di idee abbandonate e riprese molti anni dopo, di temi che passano da una colonna sonora ad una sinfonia e viceversa, di incisi di poche note che tornano ossessivamente generando brani diversissimi…

In un’epoca come la nostra dove il mondo della musica classica sembra dirigersi sempre più verso il “crossover”, Nino Rota appare come una straordinaria fi gura profetica che ci indica la strada da percorrere perché la musica, attraverso le contaminazioni, non perda mai il suo valore e la sua dignità.”

Giuseppe Grazioli

NINO ROTA (Milano, 3 dicembre 1911- Roma, 10 aprile 1979)

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NINO ROTA“la leggerezza dell’ascolto”

10 concerti

dell’Orchestra Verdi

per il centenario della nascita

del compositore

(Milano, 3 dicembre 1911 – Roma, 10 aprile 1979)

Direttore

Giuseppe Grazioli

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Prova d’orchestra, suite dalla colonna sonora del fi lm (1979)I. Risatine maliziose (malinconiche) II. I gemelli allo specchio III. Valzerino n. 72 IV. Attesa V. Galop VI. Risatine maliziose (Finale)

Rabelaisiana, tre canti per soprano e orchestra (1977)I. L’inscription II. L’oracle de la bouteille III. Io Pean

Le Molière imaginaire, suite dalle musiche per il balletto di Maurice Béjart (1978)I. Ouverture II. Molière III. Danse des comédiens IV. Armande V. Danse du Roi VI. La nature VII. Pont Neuf - Le Roi

Cominciare dalla fi ne con Nino Rota è senz’altro un buon inizio. Fra i musicisti del secolo scorso è uno di quelli che ha coltivato con maggiore costanza e serenità la propria inattualità e perenne discrasia col suo tempo. Con ciò non si vuole dire che Rota vivesse estraneo al mondo contemporaneo, anzi attese con solerzia alla maggiore committenza del suo tempo, il cinema, si applicò diligentemente e con criteri ‘moderni’ alla direzione di una scuola di musica, il Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, fu sempre informato ed attento osservatore di quello che i suoi colleghi andavano facendo. L’ultima collaborazione di Rota con Fellini, Prova

d’orchestra (1979) fu, inconsapevolmente, un vero e proprio passo di addio di questa coppia artistica che è stata fra le più longeve della storia del cinema. Conosciutisi negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, cominciarono a collaborare nel 1952 per Lo sceicco bianco, il primo lungometraggio del regista romagnolo, per arrivare a questo apologo/manifesto di sapore antropologico, concluso pochi mesi prima della scomparsa di Rota. La prova di un’orchestra ribelle e disorientata, mette in campo i delicati rapporti fra un collettivo dotato di specifi che e individuali nozioni tecniche ed un ruolo di guida e comando carismatico. Il direttore che dovrebbe mettere ordine nel lavoro/sforzo collettivo ed estrarre il meglio da una creazione

domenica 24 ottobre 2010

Soprano Valentina Corradetti

Appunti di Rota per Prova d’orchestra

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muta ed astratta, quale è la partitura musicale fi no al suo compiersi.I 5 brani composti da Rota per questa colonna sonora sono: Risatine maliziose, I gemelli allo specchio, Valzerino n. 72, Attesa, Galop. Si tratta di 5 aiuole musicali dove l’orchestra può esprimere i differenti passi del dramma al quale è chiamata a partecipare sullo schermo. La suite comincia con il ritmo ternario e sbarazzino di Risatine maliziose che ricorda quelle musiche così azzeccate e scritte apposta per mettere in evidenza i singoli strumenti dell’orchestra composte

da Sergei Prokof’ev per accompagnare la favola Pierino e il lupo. I gemelli allo specchio introducono un elemento di malinconia, sottolineato da una cadenza conclusiva del primo violino solo. Il Valzerino n. 72 zoppicante, acciaccato, con armonie stridenti e strumenti – la tromba – che sembrano prendere una tangente tutta loro, come in certo Šostakovič, per poi, alla fi ne, aprirsi come un fi ore, i cui petali hanno un colore con al fondo un tono inquietante. Attesa è, fra tutti, quello che sembra parlare di un mondo incantato e irrimediabilmente perduto, cui l’orchestra tende invano i propri strumenti. E’ nel Galop che la musica è chiamata a segnare la catarsi fi nale, una corsa affannata dove per accumulo orchestrale di armonie e strumenti, l’arca dell’orchestra si avvia in una folle corsa verso l’inevitabile schianto. Sul rimbombo del cataclisma sonoro nel fi nale del Galop, come una memoria ancora possibile, un nuovo inizio forse, la melodia saltellante delle Risatine maliziose ci riconduce a casa. E’ di nuovo una tromba, questa volta disciplinata e armoniosa, a introdurre il tema poi ripreso da tutti gli strumenti dell’orchestra.La Rabelaisiana fu composta nel 1977 su sollecitazione della cantante Lella Cuberli che era stata in quegli anni acclamata interprete de Il cappello di paglia di Firenze, il titolo teatrale più famoso del catalogo rotiano. Rota, nella costrizione di una commissione ristretta in tempi impossibili, compone una musica impervia, poco compiacente dei mezzi vocali della Cuberli, ma molto ispirata ed aderente al testo poetico, tre liriche tratte dal Gargantua di François Rabelais (1494?-1553), un autore molto amato e sentito dal Maestro. Si tratta, io credo, di uno dei brani più interessanti del catalogo di musica concertistica che, forse a causa dell’impervia tessitura vocale e della non facile pronuncia dei versi, non ha ancora trovato lo spazio che meriterebbe. Ci porta alla soglia di questo excursus nel mondo poetico di Rabelais per il tramite di una iscrizione posta sulla porta della città fantastica di Tèleme. Una invettiva nella quale il poeta elenca una immaginifi ca lista di persone che in questa città, recinto della propria arte, non devono entrare. Alla fantasia verbale il maestro risponde con una zoppia ritmica reiterata in tutto il brano attraverso successive variazioni, che passano dal grottesco al quasi valzer. Il secondo, L’oracle de la bouteille, consegue alla scrematura di tutti coloro i quali avrebbero potuto infrangere quel recinto di verità. Qui è necessario entrare nei misteri nascosti nella bottiglia, tramite il cui liquido è possibile pervenire ad uno stato di coscienza e verità superiori. Musicalmente parlando si affi da ad una cellula melodica di poche note ripetuta per tutto il brano senza che l’armonia risolva mai il discorso. L’atmosfera, così sospesa, assume i toni di un ingresso in un territorio alieno, rimarcata dall’intervento straniante della tromba nel fi nale, che sembra perdersi in un universo sonoro inconoscibile. Il terzo, Io Pean, è un inno bacchico. Come tale esorta alla perdita dei propri sensi per ritrovare quella coscienza pura, unico strumento in grado di fare luce. La melanconicissima melodia iniziale ci introduce in questo procedimento di perdita, accompagnata dalle parole che esaltano Bacco e la magica bottiglia. Il successivo crescendo musicale si incarica di mettere in guardia tutti coloro i quali pensano questa sia una strada di miracoli a buon mercato, o una scorciatoia nell’accidentato percorso della nostra vita terrena.

Orchestrali in piedi-da Prova d’orchestra

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La collaborazione intrapresa a metà degli anni ’70 con Maurice Béjart segnò una svolta che travalicò l’ambito delle due opere realizzate: Le Molière imaginaire (1976) e Dichterliebe (1978). Fu per Rota l’ultimo grande sodalizio artistico: dopo Fellini, Visconti, De Filippo, Soldati, tanto per citare i più importanti, aveva trovato nel coreografo francese un compagno di strada in grado di stabilire con lui un rapporto di straordinaria profondità che diede subito esiti altissimi con il Ballett comédie composto per il tricentenario della nascita di Molière. Questa suite, composta da sette numeri, allinea una ristretta, ma signifi cativa, scelta di brani fra quelli composti per Maurice Béjart. La partitura fu commissionata dall’Orchestra Scarlatti di Napoli che aveva una sezione limitata di ottoni (priva di tromboni e tuba) e, quindi, il Maestro dovette

completamente riorchestrare i brani per aderire a questa particolare formazione orchestrale. Si incomincia, con passo svelto, dall’Ouverture del II Atto. Dopo l’esposizione di uno dei temi principali, quello destinato a ritrarre Molière, gli archi celebrano una gioiosa apertura di sipario e allineano con solennità altri temi del balletto. Il secondo brano della suite che, per l’appunto, si intitola Molière, riprende il tema di apertura dell’Ouverture. Dopo un’esposizione meditativa, il brano cambia passo con un intermezzo gioioso, per poi ritornare sul tema di Molière e svilupparlo sin fonicamente; la chiusa è affi data di nuovo al saltarello gioioso. Un tempo stretto apre la Danse des comédiens, che allinea divisioni ritmiche diverse nello spazio di poche battute, traendone effetti come di giostre meccaniche per chiudere, poi, secca, accelerando sempre di più la reiterata esposizione del tema, come una trottola impazzita. È un’apertura poetica e sognante quella del numero di Armande, che ben contrasta con il precedente, si tratta di un valzer che si snoda attraverso diverse variazioni del tema iniziale per chiudere in sospensione ed introdurre così la Danse du Roi. Questo, come altri numeri della suite, è costituito da una danza bipartita, dove due temi e due ritmi si alternano senza soluzione di continuità, creando un movimento che tende alla circolarità dentro un sistema di pieni e vuoti orchestrali di grande fascino e di sapore barocco. La nature è il brano centrale della partitura dal punto di vista dell’equilibrio generale dell’opera. Si tratta di un tema ampio e cantabile che si dispiega nel brano con incisi sempre tesi ad ampliare armonicamente l’idea iniziale, chiudendo in pompa magna su una cadenza perfetta. Il fi nale è costituito da due titoli: Pont Neuf e Le Roi. Il primo è forse quello dal sapore più cinematografi co con un ritmo di Galop sostenuto e le voci alte e stridenti degli ottoni, è un invito a partecipare alla frenetica vita del teatro di strada, qui e là fanfare echeggiano musiche felliniane pur senza tradire, invece, uno spirito che solo a questo balletto e alla poetica rotiana in senso lato appartiene. Le Roi è, come si conviene, solenne anche se animato da un passo svelto che scioglie la tensione accumulata nel brano precedente. Ai fi ati in generale è affi dato il compito di innalzare rapidi castelli sonori che gli archi con movimenti più ampi e variegati si occupano di ampliare, dando al tutto un magnifi co effetto di maestosità barocca, ottenuto però con strumentazione e orchestra che più novecentesche non si potrebbe.

Copertina del disco Le Molière imaginaire. Da

sinistra, Rota, Molière, Bèjart

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Cy n’entrez pas, hypocrites, bigots,Vieux matagotz, marmiteux, boursoufl és,Tordcoulx, badaux, plus que n’estoient les Gots,Ny Ostrogots, précurseurs des magots:Haires, cagots, caffars empantoufl és,Gueux mitoufl és, frapars escornifl és,Beffl és, enfl és, fagoteurs de tabus;Tirez ailleurs pour vendre vos abusVos abus meschantsRempliroient mes champsDe meschanceté;Et par faulsetéTroubleroient mes chantsVous abus meschans.

Cy n’entrez pas, vous, usuriers chichars,Briffaulx, leschars, qui toujours amassez,Grippeminaulx, avalleurs de frimars,Courbés, camars, qui en vos coquemarsDe mille marcs jà n’auriez assez.Poinct es gassés n’estes, quand cabassezEt entassez, poiltrons à chiche face:La male mort en ce pas vous déface.Face non humaineDetels gens, qu’on maineRaire ailleurs: céansNe seroit séans.Vuidez ce dommaine,Face non humaine.

Cy n’entrez pas, vous rassotés mastins,Soirs ny matins, vieux chagrins, et jaloux;Ny vous aussi, séditieux mutins,Larves, lutins, de Dangier palatins,Grecs ou Latins, plus à craindre que loups;Ny vous galous, verollés jusqu’à l’ous;Portez vos loups ailleurs paistre en bonheur,Croustelevés, remplis de déshonneur.

La parolle saincteJà ne soit extaincteEn ce lieu très sainct;Chascun en soit ceinct;Chascune ayt enceincte.La parolle saincte.

Cy entrez, vous, dames de hault paraige!En franc couraige entrez y en bonheur,Fleurs de beaulté, à céleste visaige,A droit corsaige, à maintien prude et saige.En ce passaige est le séjour d’honneur.

Qui non entrate voi, ipocriti, bigotti,Vecchie bertucce, sguatteri gonfi oni,Torcicolli, sciocchi da disgradarne i GotiE gli Ostrogoti, precursori dei macachi:Accattoni, Iebbrosi, mangiamoccoli impantofolati,Straccioni imbacuccati, porcaccioni scornacchiati,Beffati, tumefatti, attaccabrighe:Tirate via a vendere altrove i vostri imbrogli.I vostri mali imbrogli Invaderebbero i miei campiDi cattiveria: E per loro falsitàTurberebbero i miei cantiI vostri mali imbrogli.

Qui non entrate voi, usurai spilorci,Ghiottoni leccapiatti, che sempre ammassate,Acchiappagatti, ingoiatori di nebbia,Curvi, camusi, che nelle vostre pentoleNon avete mai abbastanza migliaia di marchi.Non fate smorfi e quando incassateE accumulate, poltroni dall’avara faccia:Che mala morte d’un colpo vi disfaccia.La faccia non umanaDi tal gente si portiA ridere altrove: qui dentroNon sarebbe decente;Via da questo territorioFacce non umane.

Qui non entrate voi, o deliranti mastiniNé a sera né a mattino, vecchi malinconici e gelosi,Né voi faziosi e rivoltosi,Fantasmi, folletti, spioni dei mariti,Greci e Latini più pericolosi dei lupi;Né voi rognosi impestati fi no all’osso;Andate altrove a far mostra d’ulceri,Infrantiosati carichi di disonore.

La parola santaNon sia mai estintaIn questo luogo santissimo.Ciascun ne sia cinto,Ciascuno incinto siaDalla parola santa.

Qui entrate voi, dame d’alta stirpe!Con franco cuore e lietamente entrate,Fiori di bellezza dal viso celeste,Dal corpo snello, dal fare onesto e saggio,In questo luogo ha sede l’onore.

RABELAISIANA (dal Gargantua di Rabelais)

INSCRIPTION (mise sur la grande porte de Theleme)

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Le hault seigneur, qui du lieu fut donneurEt guerdonneur, pour vous l’a ordonné,Et pour frayer à tout prou or donné.

II. L’ORACLE DE LA BOUTEILLEO Bouteille Pleine toute de mystéres:D’une oreille Je t’écouteNe diffèresEt le mot profères Auquel pend mon coeur;En la tant divine liqueur Bacchus qui fut d’Inde vainqueurTient toute vérité enclose.Vin tant divin loing de toi est forclose Toute mensonge et toute tromperieEnjoye soit l’Ame de Noé close lequel de toy nous fait la tempérie, Sonne le bon mot, je t’enprieQui me doibt oster de misère: ainsi ne se perde une goutte de toy, soit blanche ou soit vermeille.O Bouteille Pleine toute De mystères.

III. IO PEANTrinquons de par le bon Bacchus,Trinquons Bouteille trismégissteIo Pean!Croyez o croyez que c’est la fureur la fureur poétique du bon Bacchus ce bon vin ecliptique Ainsi ses sens et le fait cantiquerCar, sans mesprisA ses espritsDu tout espritPar sa liqueurDe cris en ris,De ris en prisEn ce pourpris, Faict son gent cueurRéthoriqueurRoy et vainqueur de nos sourisTrinquons de par le bon Bacchus Trinquons Bouteille trismégisteIo Pean!O Dieu, père paterne, qui muas l’eau en vin Fais de mon coeur lanternePour luire à mon voisin o Dieu o DieuTrinquons de par le bon Bacchus.

L’alto signore donatore del luogoE compensatore per voi l’ha ordinatoE per ogni spesa ha molto or donato.

II. L’ORACOLO DELLA BOTTIGLIAO BottigliaTutta pienaDi misteri,Io t’ascoltoD’un orecchio;Non tardareLa parola a pronunziareDalla qual pende il mio cuore.Nel divino tuo liquoreChiuso dentro il ventre tuoBacco, d’India vincitore,Tutta ha messo Verità.Vino tanto divino, lungi da te è cacciataOgni menzogna ed ogni impostura.Con gioia sia chiusa l’arca di Noè, ll quale ci fe’di te composizione. Suona il bel motto, te ne prego,Che deve tormi da miseria.Così niuna goccia di te si perdaSia bianca o sia vermiglia.O BottigliaTutta PienaDi misteri.

III. IO PEANTrinchiamo in nome del buon Bacco!Trinchiamo, Bottiglia trimegista!Io Pean!Del buon Bacco è il Poetico furore,Credetemi; così gli ecclissa i sensiQuesto buon vinoche lo fa cantareSì, senza falloSono i suoi spiritiIn tutto presiDal buon liquore.Dai gridi al riso,Dal riso all’estro.In questo vinoIl suo bel cuoreFatto è fecondoE superiore a chi sorrideTrinchiamo ecc. ecc.Trinchiamo, Bottiglia trimegista!Io Pean!O virtù di Dio Paterna,Che mutasti I’acqua in vino,Il mio cuor muta in lanternaPer far lume al mio vicino’o Dio o DioTrinchiamo ecc. ecc.

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Concerto per archi (1964-65) rev. (1977)I. Preludio: Allegro ben moderato e cantabile II. Scherzo: Allegretto comodo III. Aria: Andante quasi adagio – Un poco più animato – Tempo I. IV. Finale: Allegrissimo

Concerto per violoncello (1925) [prima esecuzione assoluta]Allegro Moderato

Le notti di Cabiria (1957), Suite dal fi lm

La dolce vita (1959-60), Suite dal fi lm

La prima opera in programma, il Concerto per archi (1964-65), appartiene alla stagione della piena maturità creativa di Rota. Considerato nel campo cinematografi co il più importante compositore italiano - Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti; La dolce vita (1959-60) e Otto e mezzo (1963) di Federico Fellini tanto per citare qualche titolo - il Maestro, dopo anni di ‘galera’ cinematografi ca, decise che era venuto il momento di dedicare più tempo alle sue cose e accettò di buon grado la commissione del gruppo ‘I Musici’, una delle orchestre cameristiche più titolate dell’epoca. Dovette però aspettare quasi due anni per vedere fi nalmente eseguito il suo lavoro (Napoli, Orchestra Scarlatti, 5 gennaio 1967), che evidentemente non doveva aver convinto coloro i quali lo avevano commissionato. Certamente saranno rimasti disorientati dall’incredibile successo commerciale delle musiche composte da Rota per lo sceneggiato televisivo Il giornalino di Gianburrasca, con quella canzonetta

Viva la pappa col pomodoro che era diventata un vero e proprio tormentone nazionale. Il

domenica 21 novembre 2010

VioloncelloMario Shirai Grigolato

Partitura autografa di Rota per il Concerto per violoncello

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nostro paese, si sa, perdona molte cose, ma il successo, la popolarità è una di quelle che l’animo italiano digerisce peggio. Così, un musicista che fa canticchiare allegramente un intero paese non può pensare di passarla liscia, quando pretende poi, pur avendone tutti i titoli, di proporre nuove composizioni destinate ad austere sale da concerto. Tant’è, oggi a tanti anni dal debutto il Concerto per archi è uno dei lavori più eseguiti e incisi del catalogo rotiano. La partitura è suddivisa in quattro movimenti con un impianto rispettoso della tradizione del concerto strumentale non solistico.

Il Preludio (Allegro ben moderato e cantabile) ci introduce con grazia e leggerezza nello spirito del Concerto, dove tutta la famiglia degli strumenti ad arco è chiamata ad esprimere le proprie doti melodiche. Il cuore della composizione è costituito dal secondo e dal terzo movimento: Scherzo (Allegretto comodo) e Aria (Andante quasi adagio – Un poco più animato – Tempo I.). Con lo Scherzo svolto su un tempo ternario in 3/8, veniamo introdotti in una atmosfera sospesa fra la danza e la descrizione di una festa onirica; la musica si snoda infatti fra valzer e minuetti,

inframmezzati da stacchi tesi e vibrati. L’Aria con la sua tripartizione di tempi è una sorta di concerto nel concerto. Un inizio estremamente dolce e cantabile, dove le singole sezioni si passano il testimone del tema, lascia quasi subito il posto ad un crescendo sempre più teso e drammatico, sostenuto soprattutto dalle viole e dai violoncelli. La conclusione ci riporta al clima iniziale con la ripresa (un’ottava sotto) del I tema, sostenuto dal suono grave e rassicurante dei contrabbassi. Il Finale (Allegrissimo) è una galoppata piena di brio in cui sono chiamate a mostrarsi le doti virtuosistiche degli esecutori, quasi una corona spumeggiante per una composizione di solido impianto che, pur affondando le sue radici nel neoclassicismo novecentesco, mostra chiaramente quanto l’unicità dello stile rotiano risieda nella capacità di sintetizzare una enorme quantità di spunti ed infl uenze senza perdere la propria personale cifra.

Agli opposti confi ni del catalogo extra cinematografi co troviamo in prima esecuzione assoluta il Concerto per violoncello e orchestra (1925). Pur ritenendo doveroso precisare che alcuni anni orsono a Bolzano fu messa in atto una esecuzione parziale di questo lavoro, basata su un’unica fonte largamente incompleta ed ottenuta fraudolentemente. Questa, dell’Orchestra Verdi, è da ritenersi a tutti gli effetti come la prima ‘vera’ esecuzione. Il Concerto per violoncello e orchestra ci introduce al fenomeno Rota, il prodigio di un ragazzino che passa le vacanze estive del 1925, quando ancora doveva compiere i quattordici anni alle prese con una partitura musicale di proporzioni e ambizioni apparentemente fuori dalla sua taglia. Il concerto si svolge in una sola arcata, piuttosto breve, per la durata complessiva di circa dieci minuti. Una melodia brillante da prima esposta dagli archi poi contrappuntata dai legni, introduce lo strumento solista che comincia la sua parte accompagnato dall’arpa e dagli archi con una melodia dal sapore pastorale. Il violoncello viene poi lasciato in evidenza ad esporre un tema terzinato vivace al quale rispondono legni e ottoni. Successivamente il solista espone compiutamente il tema principale del concerto -ampiamente cantabile - sostenuto da un accompagnamento dei legni, di violini e viole. A questo punto risponde l’intera orchestra con una ripresa generale del tema, raggiunta ad un certo punto dal solista che affronta

Nino Rota nel 1925, anno della composizione del Concerto per violoncello

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una parte virtuosistica. E’ di nuovo un inciso degli archi, che riprende l’apertura iniziale del brano, ad introdurre il breve e intenso solo del violoncello che durante il successivo sviluppo viene contrappuntato dalle diverse famiglie strumentali dell’orchestra. Il successivo intervento solistico prelude ad un clima di maggiore tensione e drammaticità che si scioglie in una più lunga sezione concertata volta a creare una atmosfera di una certa solennità che ci porta alla chiusa fi nale.

Senza Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1959-60) uno dei grandi capolavori del cinema italiano, forse il più grande in assoluto, non sarebbe potuto nascere. E senza le musiche di Nino Rota per entrambi i fi lm, forse, quella grandezza e quell’universalità della potenza espressiva felliniana non sarebbero stati così come ormai, a cinquant’anni di distanza, la storia comincia a segnalarci.

Nella vicenda drammatica della candida prostituta, Fellini mette in campo tutte le discrasie della società italiana del dopoguerra, utilizzando come protagonista una fi gura drammatica in grado di navigare fra i quadri che si giustappongono nel corso del fi lm. Non c’è più l’unitarietà drammaturgica de La strada e non siamo ancora all’affresco-mosaico de La dolce vita. Ma molti elementi del successivo capolavoro fanno qui capolino: Via Veneto e la sua vita notturna, la processione religiosa. Così la musica, da una parte prelude a quei ‘ritmi moderni’ che successivamente riappariranno ne La dolce vita ma non manca di offrire anche canzoni più tradizionali che cercano di sintetizzare in modo unitario i diversi paesaggi nei quali si muove Cabiria. Non mancano, infi ne, quelle melodie intrise di un patetismo mai corrivo e sempre teso a sottolineare lo slancio umano dei personaggi che, piccoli piccoli si avventurano fra gli abissi della drammaturgia felliniana. Da segnalare, fra le gemme di questa colonna sonora, la canzone napoletana Lla Ri’ Lli Ra’.

La potenza trasversale de La dolce vita ha fatto sì che, ancora oggi, il titolo del fi lm rappresenti un elemento metalinguistico di gran lunga più popolare dell’opera cinematografi ca. La dolce vita è un ‘Brand’, un Marchio, buono, ancora oggi, per una gelateria, una griffe di moda, un locale notturno. Lo possiamo trovare ai quattro angoli del pianeta, anche in luoghi dove il fi lm non è mai arrivato.

La colonna sonora nacque come un work in progress, sull’input iniziale di Fellini che questa volta voleva utilizzare quasi esclusivamente brani di repertorio in grado di sollecitare quell’immaginario contemporaneo alla vicenda, che è uno dei pilastri sui quali si regge l’affresco tratteggiato dal regista. Strada facendo molti di questi titoli si sono dispersi per vari motivi e il certosino lavoro di cucitura e adattamento dei diversi mondi musicali effettuato da Rota ha portato all’introduzione di molta musica originale, anzi originalissima, perché composta su un territorio liminare, molto sottile, di ‘mio non mio ma alla fi ne assolutamente mio’ che, oltre ad essere una cifra stilistica precisa del comporre rotiano, è qui ascrivibile ad una intuizione post-modernista messa in atto dal complesso dell’opera fi lmica. Assieme a queste operazioni acrobatico/fachiresche, troviamo poi la sontuosa musica dei titoli di testa, con quegli orientalismi che ci introducono in una Roma al quadrato, bellissima e miserabile al tempo stesso; il dolente valzer Parlami di me e l’assolo di tromba del clown Polydor. Come il fi lm insomma, pur nella frammentarietà delle costrizioni dei tempi cinematografi ci, questa colonna sonora è un mosaico-patchwork con gli slanci di un grande affresco che segnò un’epoca e che oggi esiste e vive anche oltre l’opera cinematografi ca che l’ha generata.

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Rocco e i suoi fratelli (1960) Suite dal fi lm

Concerto per arpa e orchestra (1947-50)I. Allegro moderato II. Andante III. Allegro

Allegro concertante per orchestra (1954) [prima esecuzione a Milano]Allegro moderato pomposo

Guerra e pace (1956), Suite dal fi lm

Le musiche composte da Nino Rota per il fi lm Rocco e i suoi fratelli, nella loro parsimoniosa esiguità, sono l’esempio più lampante di come questa committenza, la più consistente di tutto il novecento, richiedesse al musicista gradi di umiltà tali da sconfi nare, a volte, nel masochismo e al tempo stesso una sapienza artigianale di prima categoria. La suite qui allinea i 2 elementi sinfonici di apertura e chiusura che circoscrivono 3 quadretti d’ambiente, 3 numeri di pura musica cinematografi ca. Il primo di questi si apre con una dolente melodia intonata da oboe e clarinetti accompagnati dalla chitarra e ci riporta alla nostalgia, al senso luttuoso della perdita della terra d’origine. Il secondo, quasi didascalicamente, contrappone

un ritmo jazz sostenuto dall’organo elettronico a rappresentare l’energia e la velocità della metropoli nella quale la famiglia di Rocco si è trasferita. A chiudere il trittico, un allegro valzer di sapore campestre che questa volta declina il tema delle origini in senso positivo. Un bagaglio, una memoria che comunque ci si porta appresso, fa parte della nostra storia e della nostra identità. Ad aprire la Suite è, invece, un brevissimo ed effi cace pezzo sinfonico che introduce la cifra drammatica della vicenda fi lmica. In chiusura, infi ne, il Tema di Nadia, uno dei temi principali della pellicola, romantico e drammatico allo stesso tempo. Si tratta

domenica 12 dicembre 2010

ArpaElena Piva

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in fondo di interventi musicali circoscritti, distribuiti con parsimonia nel corso della vicenda fi mica: la musica, quando non è presente direttamente in scena, ha vera e propria funzione incidentale. Il Concerto per arpa e orchestra (1947-50), eseguito per la prima volta a Torino il 9 marzo 1951 dall’Orchestra della RAI sotto la direzione di Carlo Maria Giulini, è dedicato alla grande arpista Clelia Gatti Aldrovandi che lo portò al debutto. Questo concerto è il primo, dopo l’adolescenziale esperimento con il violoncello, di una nutrita schiera di composizioni per strumento solista e orchestra che andranno ad innervare il nutrito catalogo delle opere extracinematografi che negli anni della maturità. Il I movimento, dopo l’esposizione del tema da parte del solista, si apre con un dialogo serrato fra l’arpa e i fl auti ai quali si aggiungono via via gli altri strumenti dell’orchestra. Lo sviluppo del movimento è giocato in un botta e risposta fra il solista e le diverse sezioni dell’orchestra che porta ad un certo punto quest’ultima a dare uno sviluppo solenne al tema per introdurre poi una lunga cadenza dell’arpa che ci porta a ridosso del fi nale. Anche il II Movimento si apre con un dialogo fra l’arpa e i fl auti, per poi svilupparsi in un gioco di rimandi nei quali, in modo intimo e discreto, vengono chiamate ad intervenire le diverse sezioni dell’orchestra. La tromba solista segna il cambio di passo, da una atmosfera dialogante ad una sorta di meditazione musicale, nella quale sono soprattutto gli ottoni e l’arpa a creare un campo sonoro tanto rarefatto, quanto affascinante. L’Allegro del III movimento si apre con il tema esposto a piena orchestra, cui risponde con un effi cace staccato l’arpa solista. Il movimento si contrappone al precedente con una struttura serrata, costituita da brevi blocchi che si susseguono senza pause, piccole esplosioni orchestrali fanno da trampolino di lancio a velocissimi arpeggi, cui segue un effi cace dialogo fra i due interlocutori privilegiati di tutto il brano e cioè il fl auto, o meglio, i fl auti e l’arpa. La cadenza dell’Arpa, come si conviene, è costituita da una serie di variazioni virtuosistiche sul tema principale del concerto esposto all’inizio del movimento cui risponde l’orchestra con gli archi per andare a chiudere l’intero concerto sulle voci di fl auto, ottavino e arpa.

L’Allegro concertante per orchestra fa parte di quella sezione di lavori rotiani nati parallelamente all’attività didattica presso il Conservatorio N. Piccinni di Bari, del quale è stato direttore ininterrottamente dal 1950 al 1977. Pur non avendo, allo stato degli atti, una data certa di prima esecuzione, la presenza presso l’Archivio Rota alla Fondazione Cini di Venezia delle parti d’orchestra annotate dagli strumentisti e l’indicazione del mese di aprile accanto all’anno di composizione, ci fanno ritenere che il brano fosse stato appositamente composto per uno dei saggi fi nali dell’anno scolastico 1952-

53. Questa, dell’Orchestra Verdi, è la prima esecuzione in una stagione regolare di concerti. La partitura prevede un fi nale che, pur lasciando la composizione inalterata, contempla l’alternativa fra l’utilizzazione di un coro misto o dall’organo, come in questo caso, per consentire una più agevole esecuzione del brano in una normale stagione concertistica. Il coro fi nale era stato previsto per dare la possibilità a tutte le classi della scuola di poter partecipare a questa festa musicale che, data la diffi coltà di alcuni degli interventi solistici, avrà certamente richiesto la partecipazione in orchestra anche di alcuni insegnanti. Un modo questo di fare scuola, di insegnare e vivere la musica, che il Maestro doveva aver bene appreso durante i suoi anni di studio a Philadelphia, al Curtis Institute of Music. Anni che lui stesso defi nì come decisivi per la propria formazione. La composizione è una sorta di inno alla gioia del fare musica insieme. In Rota l’ispirazione, anche quando è così esplicitamente legata ad una idea, a una committenza

Partitura autografa di Allegro concertante

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precisa, non è mai didascalica e la musica fl uisce fi n dall’inizio su di un tema di grande presa che nel corso della partitura viene sviluppato e variato per consentire ai singoli strumenti di sviluppare una propria parte solistica e giungere infi ne alla chiusa ‘corale’ che la inscrive nella forma di un inno. Il fi lm di King Vidor Guerra e pace del 1956 è un capitolo signifi cativo di quella sezione della storia del cinema nella quale lo sforzo congiunto di più produttori forniva un capitale economico enorme, in grado di allestire quelli che sono passati alla storia come i Kolossal. Questo sforzo rispondeva ad un mercato globale di vaste dimensioni. Il gigantismo era quindi un modo di tenere il mercato nelle mani dei più ricchi e, quindi, principalmente di Hollywood. Solo sporadicamente l’Europa poteva dire la sua, come con questa pellicola, dove uno dei nostri maggiori produttori, Dino De Laurentis, alleandosi con gli americani riuscì a realizzare questa epica impresa. Kolossal signifi cava principalmente grandi masse artistiche, poderosi effetti speciali (di quei tempi, che a noi ora paiono trucchetti da Luna Park), poderose

orchestre sinfoniche e, soprattutto, cast stellari. A Guerra e pace non manca nessuno di questi elementi ma, come accade a volte in cucina, con i souffl é per esempio, la presenza di tutti gli ingredienti della ricetta non basta a garantirne la riuscita. Così oggi, a rivederlo, il fi lm appare sostanzialmente ridicolo e il suo gigantismo non fa che accentuare la mancanza di una chiave di lettura, di una strategia coerente per la trasposizione del grande romanzo di Tolstoj sullo schermo. Rota si dedicò con grande impegno e passione alla composizione della (moltissima) musica necessaria alla pellicola della durata di oltre 3 ore. Ma, come ebbe a dire più volte, nessuna musica, per quanto riuscita, può sostenere un fi lm che non funziona. D’altro canto, per la sua modestia congenita, non volle mai dire e lo sottolineiamo invece noi qui, che a volte la musica di un fi lm non completamente riuscito può diventare per la sua intrinseca qualità, fuori dalla pellicola, un successo, un grande successo. I primi due e più evidenti esempi di questo possibile esito nel catalogo rotiano sono proprio due Kolossal: La leggenda della montagna di cristallo e, appunto, Guerra e pace. Per molti anni, Il valzer di Natasha e La rosa di Novgorod, due dei temi principali di questa colonna sonora, fecero parte del repertorio di orchestre e cantanti ai quattro angoli del globo.

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Amarcord (1974), Suite dal fi lm

Piccolo mondo antico, Concerto in mi per pianoforte e orchestra (1978)I. Allegro tranquillo II. Andante III. Allegro

Concerto festivo per orchestra(1958-62) [prima esecuzione a Milano]I. Ouverture: Allegro II. Aria: Andante sostenuto e cantabile III.Cabaletta: Andante con moto e scherzando IV. Elegia: Andante sostenuto V. Finale: Allegro

Di tutta la fi lmografi a felliniana, Amarcord è il titolo più personale e intimo del regista romagnolo. Il fi lm mette in scena forti elementi autobiografi ci come, per esempio, il ritratto omaggio a Titta Benzi, amico di infanzia e di una vita intera, per arrivare poi a costruire, frammento dopo frammento, una sorta di autoritratto della propria poetica attraverso il ricordo. In questa pellicola l’ultra trentennale sodalizio fra regista e compositore si cimenta nella costruzione di una serie di pastelli sonori che, accanto alla consueta prassi di missare musiche tipicamente rotiane con le melodie di cui il regista si è servito per anni sul set per accompagnare gli attori, tratta e riprocessa una serie di altri elementi tipici della poetica Fellini-Rota fi no a farli diventare esercizi memonici, fi lastrocche musicali. Memorabilia insomma, soprattutto infantili, come per esempio la banda de La fogaraccia che, alla fi ne, ci lascia in testa quei frullini musicali ripetuti-ripetibili fi no all’infi nito. Un effetto insomma, se ci pensiamo, che era un po’ anche il nostro retrogusto musicale dopo il passaggio della banda, di qualsiasi banda, ci sia capitato di assistere nella nostra infanzia. Ma quello che più stupisce è, alla fi ne, la

grazia, la leggerezza e la fl uidità di tutte queste ‘musichette’ che sono invece frutto di un sapientissimo e complicato lavoro compositivo. E’ un materiale musicale questo che ancora oggi ispira musicisti e compositori in tutto il mondo. Come i ricordi dotati di sostanza poetica, è una musica sospesa nel tempo i cui riferimenti storici sono secondari rispetto alla sostanza

domenica 2 gennaio 2011

PianoforteSimone Pedroni

Davide Minghini, Federico Fellini e Marcello Bonini Olas in uniforme fascista, 1973-Rimini, Biblioteca

civica Gambalunga, Fondo Minghini

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dell’emozione che evocano.Sarà forse un caso, ma sembra quasi provocatorio il fatto che, quattro anni dopo Amarcord, nelle frange estreme della propria vita, Nino Rota abbia voluto sottotitolare il suo ultimo concerto per piano e orchestra ‘Piccolo mondo antico’. Sin dalla introduzione, affi data al piano solo, il tema del commiato da una memoria, da un incarnato musicale sembra emergere con una certa evidenza. Eppure ci accorgiamo subito che l’intento, come sempre in Rota, non è mai didascalico né esplicativo ma, semplicemente, funzionale alla costruzione di un clima dove elementi, che pochi avrebbero avuto il coraggio o l’incoscienza di utilizzare in quell’epoca, servono alla costruzione di un brano di grandi proporzioni che suona così antico da parere del tutto disgiunto dal dato

anagrafi co. Il I movimento, che prende quasi la metà del Concerto, è costruito per blocchi e accumuli di materiali sonori. Dopo l’apertura affi data al solista, l’orchestra si prende tutta la scena con grande vigore, inanellando una serie di blocchi accordali fi no a lasciare rientrare il piano con una serie di rapidi arpeggi e staccati e, solo a questo punto, viene instaurato un dialogo inizialmente circoscritto ai legni e al solista. Il successivo concertato coinvolge mano a mano tutte le voci dell’orchestra, per sfociare infi ne in un dialogo sempre più serrato e di grande virtuosismo per la parte del solista. Una esposizione del tema da parte dell’oboe prima, e poi del piano con un successivo sviluppo fugato e una serie di variazioni sul tema medesimo ci porta alla Cadenza, particolarmente lunga e impegnativa. Il movimento si chiude con la ripetuta esposizione del tema principale da parte di tutta la compagine, un inciso staccato del piano e l’accordo fi nale affi dato agli archi, secco. La parte centrale del Concerto si carica, con il II Movimento, di toni drammatici ed elegiaci, quasi ad evocare, attraverso il sottotitolo, quel Piccolo mondo antico di Fogazzaro a cui il Maestro sembra essersi ispirato anche solamente attraverso l’immagine di Villa Fogazzaro che si specchia nelle acque del Lago di Lugano. L’apertura tesa e drammatica degli archi viene subito ripresa dal solista in forma più meditativa, per continuare poi in un dialogo nel quale l’orchestra aggiunge via via tinte più cupe, seguite da aperture, quasi come schiarite dopo un temporale, più elegiache ma sempre animate da una tensione, come di qualche cosa che si muova dentro di noi ma al di fuori del nostro controllo razionale. Una musica che invita al tempo stesso all’abbandono e alla rifl essione. Una sottile e tremolante luce di speranza sembra intravedersi nella chiusa del movimento dove, comunque, gli archi giocano su tinte gravi e cupe. L’attacco del III Movimento stacca un tempo medio veloce e, per rimanere nel campo delle fi gurazioni meteorologiche, sembra sancire il predominio della schiarita dopo la cupa atmosfera del movimento precedente. Anche il dialogo fra solista e orchestra si dilata e assume un respiro che, seppur sempre ricco di pathos, assume caratteri via via giocosi, virtuosistici e decisamente più solari, in un gioco di rimandi nei quali il pianoforte è chiamato a sostenere con tutta la sua potenza sonora l’impatto con l’orchestra impegnata in ogni sua sezione. Quando orchestra e solista sono ormai avvitati in un botta e risposta che pare una trottola luminescente, dalla quale vengono proiettati in forma caleidoscopica tutti gli elementi che hanno contribuito alla costruzione del Concerto, arriva una chiusa secca, abbastanza tipica dello stile Rota. Verrebbe facile dire che, data la collocazione temporale del brano e le precarie condizioni di salute del Maestro all’epoca della sua composizione, il Concerto in mi per pianoforte e orchestra suoni come un passo di addio ma, personalmente, credo non sia così. Non c’è nel catalogo del Maestro alcun elemento ‘evolutivo’ o di ‘storica progressione’, nel 90% dei casi le sue composizioni nascono

L’arrivo del Rex ,da Amarcord.

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da commissioni determinate e ogni capitolo, ogni lavoro, nasce e cresce per attendere a quella singola commissione. Così è stato anche per questo Concerto, i forti contrasti emotivi che lo animano e la sapiente costruzione di un brano di così ampio respiro con un materiale tematico così ridotto, sono semplicemente un richiamo a quelle doti di altissimo artigianato e di rispetto verso gli strumenti della tradizione compositiva, considerata all’epoca defi nitivamente fuori dal corso della storia. Elementi ai quali

invece Rota ha sempre manifestato il proprio attaccamento senza alcun intento polemico. Il Concerto festivo per Orchestra (1958-61) è un esempio tipico dell’infi nito work in progress che animava la prassi compositiva del Maestro. Nato originariamente per un concorso di composizione e sviluppatosi nel corso degli anni secondo una sequela di revisioni, parziali riscritture e sostituzioni di singoli brani, fu presentato per la prima volta a Roma nel novembre del 1962, presso l’Accademia di S. Cecilia. La forma del concerto, che ha una struttura più libera della sinfonia, è costruita in questo caso come una sorta di conchiglia musicale nella quale l’Ouverture e il Finale svolgono la funzione di valve e ne costituiscono quindi il solido guscio attraverso cui l’orchestra presenta e conclude la propria esibizione. All’interno della conchiglia troviamo poi tre oggetti, manufatti sonori - a seguire questa immagine li potremmo chiamare perle - che sono costituiti dall’Aria, dalla Cabaletta e dall’Elegia. Si tratta di tre immagini dove Rota, in un esercizio di sintesi estrema, crea delle poderose miniature musicali. E’ un lavoro di cesello, fatto in punta di penna, dove a risaltare non è tanto una visione complessiva della forma, quanto una piccola serie di ‘Quadri da un’esposizione’ dai quali emerge una capacità di trattare l’orchestra veramente notevole. Idee melodiche, la cui elementarità è quasi provocatoria, acquistano così spessore e solennità in un gioco mai fi ne a se stesso, perfettamente integrato all’idea di offrire all’orchestra un’occasione per mostrare le proprie doti virtuosistiche. L’Aria, come si trattasse di un brano operistico di carattere lirico-drammatico su un tempo medio, si sviluppa in un clima armonico ambiguo che ne dà un colore opalescente. Nello sviluppo gli archi ricordano, ad un certo punto, le dissonanze e le tensioni create da Bernhard Hermann nelle sue colonne sonore per Alfred Hitchcock. Di tutta altra pasta è la Cabaletta, dove l’atmosfera è inizialmente giocosa e costruita sul dialogo fra fl auti, oboi, clarinetti e fagotti che, con l’ingresso della tromba, assume una certa tensione armonica poi sostenuta da tutti gli archi. La chiusa, contrariamente al resto del brano, è affi data ai toni gravi degli archi e degli ottoni. Il terzo elemento, l’Elegia, è quello che assume la tonalità sonora più scura e solenne. Archi e ottoni su un tema ben scandito creano un paesaggio ampio e severo con un effetto nel fi nale che richiama il cinema, come uno zoom all’indietro per svelare un panorama più ampio e preparare l’ingresso del Finale. Come l’Ouverture, il Finale stacca un tempo veloce sui suoni squillanti degli ottoni. Si compone di due temi che si incrociano e custodisce/conclude con un vero e proprio muro sonoro le tre perle dei quadri centrali. Il Concerto festivo per orchestra, pur essendo stato composto mezzo secolo fa, è in prima esecuzione a Milano. Il brano ebbe recensioni poco lusinghiere nel nostro paese e rimase inedito. Solo negli ultimi anni ha ricominciato a circolare, soprattutto nel Nord Europa, grazie a una incisione discografi ca dell’etichetta discografi ca svedese BIS e alla pubblicazione da parte dell’editore tedesco Schott.

Villa Fogazzaro, Oria di Valsolda – Lago di Lugano

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Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi (1923)

[prima esecuzione assoluta]

Concerto per trombone e orchestra (1966)I. Allegro giusto II. Lento ben ritmato III. Allegro moderato

La scuola di guida, Idillio di Mario Soldati (1959)[prima esecuzione a Milano]

Personaggi: Lui T, Lei S - Orchestrazione di Bruno Moretti

Otto e ½ (1963), Suite dal fi lm

«Nei salotti ogni tanto ci si incontrava perché eravamo due piccoli mostri, anzi in un certo senso Nino era più mostruoso come enfant prodige perché era tecnicamente molto più avanti di me. A 11 anni aveva fatto L’Infanzia di San Giovanni Battista (Oratorio per soli coro e orchestra ndr). Ma la nostra amicizia era un po’ turbata dalle nostre madri che fi ngevano di essere molto amiche ma in fondo c’era una specie di sorda guerra fra loro due perché ognuna di loro trovava che il loro bimbo era il vero genio»Giancarlo Menotti (1911-2007) mi raccontò così, in una intervista per la radio di tanti anni fa, il suo antico sodalizio con Rota e la loro condizione ‘mostruosa’ di piccoli geni musicali, novelli emuli di Mozart nella Milano degli anni ‘20. Ed è un po’ con questo spirito credo che bisogna avvicinarsi all’ascolto della Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi composta da un ‘quasi dodicenne’ che al ritorno da scuola, invece di mettersi a giocare si buttava a carponi a scrivere musica vicino al

pianoforte di casa. Pare che, in quegli anni, avesse riempito due bauli di spartiti musicali

domenica 16 gennaio 2011

OrganoDaniele Sacchi

TromboneGiuliano Rizzotto

Partitura autografa della Fuga.

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in gran parte andati perduti durante la guerra. Ma, insieme a L’Infanzia di San Giovanni Battista che ebbe l’onore di una pubblica esecuzione nell’aprile del 1923 all’Istituto dei Ciechi di Milano e, poi, nella cittadina francese di Tourcöing, è arrivata a noi anche questa Fuga che funziona a puntino e, nella sua brevità, dà certo la vertigine per la padronanza tecnica dell’imberbe compositore. Rota prova anche ad inserire qualche tocco originale nell’approccio alla partitura: sarebbe però ingeneroso e parziale attribuire più di questo alla piccola partitura che il Maestro lasciò riposare nel cassetto per tutta la vita.

Il Concerto per trombone e orchestra del 1966 è, fra le opere per strumento solista e orchestra, quello più felicemente riuscito dal punto di vista dell’equilibrio formale. Suddiviso nei classici tre movimenti, il concerto si snoda come una sorta di percorso di destrezza per uno strumento che parrebbe poco adatto ad indossare i panni dell’agile acrobata delle note. Fin dal I movimento è il trombone a condurre il gioco con una predilezione per la parte medio alta della propria estensione ed una notevole preponderanza delle note staccate e delle sincopi ritmiche. L’orchestra, trattata in modo molto leggero con pizzicati degli archi ed entrate a piena voce rapide quanto brevi per non togliere spessore alla fi gura del solista, contribuisce a creare il tessuto ideale sul quale il trombone esercita la propria leadership. Il

movimento centrale, come si conviene, è un tempo lento nel quale i toni meditativi più gravi aprono le porte a un dialogo fra il solista e diversi strumenti dell’orchestra per aprirsi poi in una specie di valzer tipicamente rotiano, di quelli un po’ zoppi alla Shostakovich, dove il solista si lancia in un tema lirico sorretto e stimolato da un orchestra decisamente più presente che nel I Movimento. A conferma della particolare riuscita di questa partitura arriva il III Movimento. Il trombone solista assume qui una tonalità più grave nel registro, mantenendo però un notevole dinamismo grazie a brevi staccati e rapidi incisi melodici; l’orchestra utilizza principalmente gli archi che insistono sul registro medio accompagnando e sostenendo il solista nelle sue evoluzioni che tanto evocano un’immagine campestre dove, un non meglio precisato insettone volante (il trombone), si aggira fra una natura rigogliosa e verdeggiante. Nella musica di Rota appaiono sovente aperture e temi delicati che rasserenano una tinta di fondo generalmente intrisa di malinconia: ecco, il Concerto per trombone e orchestra è probabilmente uno dei brani nei quali questa trasmutazione, questo viraggio di colori, trova la sua misura più esatta.. E’ una musica senza tempo, di una levità senza pari.

Nino Rota compose, tra il 1945 e il ‘60, le colonne sonore per nove pellicole e due inchieste televisive di Mario Soldati. La loro fu una collaborazione nata da un antico e saldo rapporto di amicizia. Questo rapporto era alimentato da frequentazioni estranee al mondo del cinema come, per esempio, il cenacolo del Premio letterario Bagutta di Milano. Una frequentazione sempre stimolata dall’onnivora curiosità culturale di Soldati, che trovava in Rota il tramite ideale per esplorare il mondo della musica. La serena incoscienza con la quale i due affrontarono l’estemporanea e vaga commissione di Giancarlo Menotti che chiese per il ‘Festival dei due mondi’ del 1959, all’ultimo istante e nell’accavallarsi degli impegni di entrambi, un ex tempore, da inserire nello spettacolo Fogli d’album che allineava

Saggio di musica moderna presso il Conservatorio di musica Giuseppe

Verdi Milano del 6 maggio 1969: tra i brani eseguiti, il Concerto per

trombone e orchestra di Rota in prima esecuzione assoluta.

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diversi brevi titoli di teatro musicale sotto la mano registica di Franco Zeffi relli. Detto e fatto! La scuola di guida: due soli personaggi, unità di tempo e di luogo e poco più di dieci minuti per lo svolgimento. Su quell’automobile Soldati fa incontrare due perdenti, un lui e una lei, che hanno ottime ragioni per trasformare il naufragio della lezione di guida e di conserva della loro esistenza in un porto sicuro degli affetti. Ne escono due caratteri tipici della poetica del regista cinematografi co, da Le miserie del signor Travet in avanti, dove una rassegnata e discreta autoironia di stampo sabaudo stempera le amarezze della vita. Tutto questo declinato in una cornice di decoro borghese e/o piccolo borghese, che rende accettabili e - perché no - credibili, anche passioni fuori tempo massimo, come quella sbocciata fra i due protagonisti. La partitura musicale, scoppiettante e spudorata nel sottolineare le vicende dei due, provocò l’entusiasmo di un incontentabile melomane quale Alberto Arbasino: «(…) questa musica di una volgarità e di una facilità oltraggiose (e stupende) (…) oltre ad avere un carattere

ben preciso e ambizioni deliberatamente circoscritte, riporta con una puntualità pungente a un tempo che è patetico rivalutare: i primi anni della guerra, la moda del ‘40 (…)» preso l’abbrivio, sull’onda dell’entusiasmo, Arbasino si infi la nel ginepraio delle citazioni:«(…) oltre ad un po’ di Puccini e di operetta con Guido Riccioli e Nanda Primavera, mi piaceva sentirci dentro continuamente le canzonette della radio di quando facevo il ginnasio, “La canzone del boscaiolo”, “Il maestro improvvisa”, “Pippo non lo sa”… »1. E dove fi nisce Arbasino, potremmo continuare noi, fi no al completo stordimento, perché con Rota riesce più semplice dire ciò che manca di quello che, volta a volta, anche nel volgere di pochissime battute, sbuca fuori. Alla fi ne, però, succede che lo riconosci sempre, perché in questo gioco era così bravo che tutto quel materiale diventava semplicemente suo, privo di qualunque virgolettatura o atteggiamento citazionista, semplicemente funzionale allo scopo. L’orchestrazione di Bruno Moretti, un rotiano di provata fede, rende e sottolinea come si conviene tutto questo senza mai farsi prendere la mano da un testo musicale che per una sua intrinseca vitalità porterebbe a strafare sull’onda delle suggestioni e delle evocazioni che sgorgano da ogni singola battuta.

Nel rarefatto olimpo del cinema, fra quei fi lm che tutti i registi che aspirano ad entrarvi o che reputino di farne parte, Otto e mezzo di Federico Fellini è probabilmente uno dei più citati. E, all’interno di questa pellicola, la scena più citata è quella della passerella fi nale. Uno dei feticci musicali di Fellini, che lo ha accompagnato per tutta la vita sul set, era L’entrata dei Gladiatori di Julius Fucik, una marcia militare composta alla fi ne dell’800, divenuta popolare nel XX secolo per il suo massivo utilizzo negli spettacoli circensi. Per il fi nale, la surreale passerella di tutti i personaggi che avevano animato il fi lm mai nato, pareva inesorabile trasferire nella colonna defi nitiva questa musichetta suonata sul set per dare ritmo e movimento agli attori. Al momento del lavoro in moviola però, quando Rota suonava su un pianofortino scassato tutte le musiche per verifi care i tempi esatti di sincrono, una sua variazione composta come riserva a Fucik convinse il regista alla sostituzione. Sarebbe

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erroneo però considerare questo chiassoso divertimento bandistico come una copia di scuola del modello originale. Nino Rota diceva, citando una defi nizione che di lui aveva dato il fratello, che “la musica era il suo vizio, non una passione, un mestiere, ma un vizio esclusivo e totalizzante”. Questa totale dipendenza, lo aveva portato fra le altre cose ad accumulare una cultura musicale spaventosa. Non c’era partitura di nuova pubblicazione a cui il Maestro non avesse dato almeno un’occhiata ed una prodigiosa memoria gli consentiva di padroneggiare uno sterminato repertorio, sul quale spesso le sue idee appoggiavano uno spunto che poi trasformava e piegava alle esigenze della

committenza. Così, quel motivetto bandistico tanto somigliante al modello originale ma poi sviluppato in tutt’altra direzione, non è una marcia militare. Una memoria, piuttosto, di una, anzi di due strane marce. Infatti, sotto la prima, ce n’è un’altra che, invece di giustapporsi come in una ‘vera’ marcia, si incastra sotto, con alcune regole del buon comporre trasgredite alla grande. Ecco, quella fanfara de La passerella fi nale ha un qualcosa di Mahleriano, di quelle fanfare lontane che echeggiano in alcune sue sinfonie. Anche nel suo dipanarsi fuori dalle regole, come per seguire la parabola di una crisi legata all’inadeguatezza della prassi artistica, del ruolo dell’artista nel mondo a lui contemporaneo. Detto questo, l’oggetto sonoro è godibilissimo, frastornante nelle sue esplosioni sonore, commovente nel diminuendo fi nale del fl auto che si spegne su un orizzonte incerto.

1 Alberto Arbasino “Un Festival in famiglia” SETTIMO GIORNO 25/6/1959.

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LuiInfi li la chiavetta nel cruscotto.

LeiQual è il cruscotto?

LuiQuesto, questo qui.Adesso metta in moto.

LeiCome faccio?

LuiAlzi la leva: tiri, tiri

LeiForte?

LuiCosì.

LeiMa però non mi guardi così,Non son capace.

LuiDevo bene guardareQuel che fa. Dunque, vediamo se ricorda.I pedali sono tre. A sinistra?

LeiLa frizione.

LuiNel centro?

LeiIl freno.

Lui A destra?

Lei Il gas.

LuiStia attenta a non confondereIl freno con il gas.

LeiNon dubiti, ingegnere: questo è il frenoE questo è il gas.LuiProvi, adesso, provi!

LeiMa lei mi fa il piedino!

LuiSi fi guriSe io faccio queste cose.Avanti,,. metta in moto. Tiri, tiri!

LeiForte?

LuiCosì. Adesso metta a folle.

LeiFolle, folle, folle:Sono folle, sempre folle!

LuiLei ha la testa altrove.Ora schiacci la frizione e parta in prima.

Sbalzi in avanti. Gridi di lei. La macchina si ferma.

LeiMa perché fa così?

LuiCalma, calma: lasci andare il pedale,

LA SCUOLA DI GUIDAIdillio

Parole di Mario Soldati - Musica di Nino Rota

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

La frizione dolcementeE contemporaneamenteDia gas: dolcemente.

LeiMa come: dolcemente?!

LuiDolcemente.(Lui riavvia il motore, lei mette in prima. La macchina riparte).Proviamo a mettere in seconda.(Sbalzi come prima, fi nché la macchina…si ferma).Le avevo dettoChe la seconda è in là!

LeiAh, mi son stufata!È troppo complicato!

LuiMa lei non ama la macchina, e allora,Perché diamine vuole imparareA guidare?

LeiEh, sapesse perché! Non glielo posso dire.

LuiGuidare è una cosa seria!

LeiVedevo una macchinaCome portata dal vento:Da un vento improvviso,Passarmi d’innanzi, volare.Sentivo il cuore in gola; sognavoD’essere rapitaDall’uomo della mia vita!

LuiGuidare è una cosa molto seria…

LeiAllora ho domandatoMi sono informata,E m’hanno detto: quella è la macchinaDella Scuola di Guida Bertholtot!Era lei nella macchina?

Forse sì! Forse no!Va sempre tanto rapido:Non saprei riconoscerla. MaDa quel momento ho capito perchéVoglio guidare anch’io!

LuiGuardi: passa l’ora, signorina.Siamo ancora indietro: coraggio.Adesso metta in moto: prima.(Lei rimette in prima. La macchina riparte.Adesso in seconda.(Mette in seconda).Attenta alla frizione: dolcemente.Stia attenta a non confondereIl freno con il gas.

LeiNon dubiti, ingegnere:questo è il freno e questo è il gas.

LuiAttenta adesso. Inteso?(La macchina si ferma e fa un tremendo sbalzo…va indietro).Ma no, ma no!(La macchina si ferma).Questa è la marcia indietro!(Risata)

LeiNon riuscirò mai, mai!

LuiChe esagerata! Eppure è così semplice.Però ci vuol controllo,Ci vuol concentrazione;I nervi a posto, autodisciplina:Guardi me. Lei non lo crederebbe?Eppure Son romantico Anch’io. Ho fatto il Politecnico a ZurigoE ho imparato a controllareI miei nervi. QuandoPer qualunque ragione, o anchePer nessuna ragione,Mi sento malinconico,Quando c’è qualche zonaChe non funziona,

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

Quando mi trovo in serie contrariaPrendo la macchina, faccio l’autostrada:Trecento chilometri, o giù di lì,E i nervi si distendono,e riacquistoLa serenità. La Scuola di GuidaÈ una scuola di vita.Coraggio, rimettiamo in moto: prima!(La macchina riparte in prima).Seconda!(Passa in seconda).Attenta alla frizione! Dolcemente.Terza.(Passa in terza).Ora in presa diretta.

LeiCome dice? Presa diretta?Dov’è la presa diretta?

LuiÈ qui.

LeiPrenda, la prenda lei.

LuiFrizione.

LeiPresa diretta! Frizione!Che bella confusione!

LuiAffatto. È tutto molto logico: dia gas,Dia gas senza paura.Curvi a sinistra: attentaAll’ippocastano…

LeiQuell’albero tutto in fi ore?

LuiÈ un ippocastano; attenta, attenta!Freni! No, l’altro pedale:quello è il gas! Freni, freni!

Un cozzo, uno schianto: il cofano si è schiacciato contro l’albero.Lui si trova nell’urto abbracciato a lei,

con una mano mette il freno, e intanto con lieve apprensione si accerta se lei sia ferita.

LuiÈ ferita, signorina?

LeiNo! E lei!

LuiTutto bene. Gliel’avevo detto:Non confondere il freno con il gas.

LeiMi scusi.

LuiNon correre.(La bacia a lungo).

Lei(Alfi ne sciogliendosi, tutta commossa)Mi rincresce, ingegnere,Per il guasto della macchina!

LuiNon si preoccupi: C’è l’Assicurazione: pagherà.

LeiEssere rapitaDall’uomo della mia vita!!

LuiPagherà.

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rivista ufficiale dell'

Impianto La Verdi ottobre 2010:Layout 1 13/10/2010 18.49 Pagina 1

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Il Gattopardo (1962), Ballabili per il fi lmI. Valzer brillante (G. Verdi)II. Mazurka III. ControdanzaIV. Polka V. Quadriglia VI. Galop VII. Valzer del commiato

Concerto soirée per pianoforte e orchestra (1961-62)I. Valzer fantasia: Tempo di valzer tranquilloII. Ballo fi gurato: Allegro calmo, con spiritoIII. Romanza: Andante malinconicoIV. Quadriglia: Allegro con spiritoV. Can can: Animatissimo

Il Gattopardo (1962), Suite sinfonica dal fi lmI. Titoli II. Viaggio a Donnafugata III. Angelica e Tancredi IV. Angelica e Tancredi (b)V. I sogni del Principe VI. Partenza di TancrediVII. Amore e ambizioneVIII. Quasi in porto IX. Finale

Il Gattopardo di Luchino Visconti è, probabilmente, l’unico vero kolossal del cinema italiano. Un fi lm che non solo ha segnato un’epoca, ma ha realizzato nel nostro paese una produzione che, senza i capitali e la potenza commerciale delle Major di Hollywood, sembrava irrealizzabile. Grandi attori, grandi ricostruzioni storiche in esterni, poderose masse per le scene corali, una colonna sonora affi data al più famoso musicista dell’epoca, senza limite alcuno per gli organici orchestrali e le necessità produttive. Quello che

Luchino Visconti aveva in mente era trarre, per il tramite del romanzo di Giuseppe Tomasi

domenica 20 febbraio 2011

PianoforteSimone Pedroni

Partitura autografa del Valzer di Verdi.

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di Lampedusa, un poderoso affresco dell’Italia al suo sorgere. Per sostenere un’impresa del genere era necessario che la musica diventasse un pilastro portante di tutto il fi lm, sia quando in forma diegetica completasse la scena, come nella lunghissima sequenza fi nale della festa danzante a Palermo, sia quando, in forma extradiegetica, fosse chiamata a sostenere le spettacolari inquadrature del viaggio a Donnafugata, del sorgere dell’amore fra Angelica e Tancredi. Per arredare con oggetti sonori acconci la poderosa scena del ballo erano necessarie musiche in stile (la seconda metà dell’800) ed in quantità copiosa. Queste musiche furono composte e registrate prima delle

riprese, in modo da poter essere utilizzate sul set per un maggior realismo nella messa in scena. Lo spunto fu dato da un valzer inedito di Verdi che era stato regalato a Visconti da un suo collaboratore. Rota orchestrò quello e compose altri sei ballabili per un organico ridotto, in modo da ottenere una sonorità coerente al numero di comparse che avrebbe interpretato sul set l’orchestrina da ballo. Successivamente, furono approntate delle orchestrazioni più corpose per la colonna sonora defi nitiva, ma il regista ritenne opportuno mantenere quella prima incisione un po’ stracca e difettosa perché più realistica e, aggiungiamo noi oggi, perché quelle orchestrazioni scarne sono un piccolo capolavoro di equilibrio e gusto su un materiale musicale che forse avrebbe, Verdi compreso, mal sopportato trattamenti più pesanti. Risolta la lunga sequenza del ballo, Visconti chiese a Rota di adattare, tagliare e ricomporre, secondo le esigenze della vicenda cinematografi ca, una sinfonia romantica. Il Maestro aveva già fatto qualcosa di simile per un altro fi lm di Visconti, Senso (1954). Allora era toccato alla Settima Sinfonia di Anton Bruckner che venne ‘manomessa’ in vari modi da Rota per poter fungere da commento ad una parte del fi lm. I due iniziarono così una lunga ricerca nel repertorio classico e romantico che si protrasse, senza successo, fi no a quando il Maestro non accennò al piano un frammento di una sua sinfonia giovanile appena abbozzata. Questa musica convinse immediatamente Visconti, prima ancora di aver saputo che l’autore della sinfonia in questione fosse proprio Rota. Lo stesso materiale, appartenente a quella che sarebbe diventata la Sinfonia sopra una canzone d’amore, completata solo nel 1972, aveva già partecipato alla formazione di motivi per diverse colonne sonore come La donna della montagna (1943) e La montagna di cristallo (1948). In questo caso però il lavoro si presentava di ben altro respiro e diffi coltà. Infatti per Il Gattopardo Rota utilizzò quasi per intero il III e IV Movimento, provvedendo ad una orchestrazione molto variegata (legni e ottoni al gran completo più pianoforte, arpa e celesta oltre a una nutrita sezione di archi) per poter adeguatamente sostenere le numerose ripetizioni dei temi in diversi contesti e con diverse durate secondo le esigenze dettate dal visivo. Questa partitura divenne alla fi ne un elemento realmente portante del fi lm. Le lunghe sequenze con dialoghi ridotti al minimo girate da Visconti, si trovarono a godere di un sostegno e di un respiro fornito proprio dalla sinfonia ri-composta per diventare musica cinematografi ca.Il Concerto soirée (1961-62) nasce su una commissione del Prix Italia RAI del 1962. Per questo concerto, offerto ai delegati dei paesi partecipanti, furono scelti tre autori che avevano vinto il Premio nelle edizioni precedenti. Marius Constant presentò Chants de Maldoror, ispirata all’omonima opera di Lautréamont, Niccolò Castiglioni la composizione ‘informale’ intitolata Décors e, per chiudere, questo Concerto per pianoforte e orchestra che, nelle intenzioni dell’autore, nacque come rievocazione fonica di una serata musicale in un salotto di fi ne ottocento. Nonostante lo stridente contrasto estetico generato dal confronto con due autori quali Constant e Castiglioni, Rota volle sottolineare, in sede di presentazione, che in queste

Appunti autografi di Rota per la colonna sonora del Gattopardo.

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sue pagine non c’era alcun intento polemico o tantomeno ironico e come pure non avesse affatto pensato di aver scritto un’opera anacronistica. Il concerto è diviso in cinque parti o quadri ognuno intitolato ad un momento di questa fantomatica serata musicale del secolo scorso. Apre il Valzer fantasia con il pianoforte che si avvia un po’ ciabattando ad un ballo decisamente pieno di strane cose: l’orchestra è un sottofondo lontano e la malinconica melodia ha una tale quantità di alterazioni cromatiche da sembrare proveniente da uno strumento di accordatura incerta. A un certo punto si apre all’interno di questo valzer un episodio di sapore ancora

più allucinatorio; l’indicazione di tempo - Poco più brillante ma tranquillo - non inganni perché dà il via ad una breve ma intensa cavalcata su un tema utilizzato anche nella colonna sonora di Otto & 1/2 e che nel fi lm si contrapponeva al celeberrimo motivo wagneriano de La cavalcata delle Walchirie. Il brano si conclude con un ritorno all’ambiente e ai temi iniziali avendo però creato a questo punto una atmosfera decisamente enigmatica.Il secondo quadro, Ballo fi gurato, offre una pausa di riconciliazione, una sorta di visione più aggraziata e meno inquietante del nostro salotto nel quale, nonostante alcuni appoggi leggermente sinistri del piano, l’orchestra trova un suo equilibrio nel dialogo con il solista.La Romanza con il suo tema malinconicissimo esposto inizialmente da cello e viola solisti ridà modo ai fantasmi del passato di risvegliarsi, trascinando il pianoforte nella zona alta della sua estensione. Qui gli accentuati cromatismi della scrittura, applicati alla sonorità pianistica, creano una sorta di polarizzazione del suono, come una fotografi a in bianco e nero nella quale le tonalità chiare e scure tendano a scambiarsi di posto, moltiplicando così le ambiguità del segno sonoro.La Quadriglia comincia in realtà con una marcetta tipicamente rotiana, qualcuno direbbe

felliniana, quasi subito interrotta però dal piano che riporta verso un tema malinconico. Dopo un aggraziato botta e risposta fra orchestra e solista, quest’ultimo si getta a capofi tto in una folle e solitaria danza nella quale, ad un certo punto, raggiunto dall’orchestra, ingaggia con questa una battaglia fonica che porta sempre più in alto la tensione, per chiudere poi bruscamente il pezzo ed introdurre il Can Can fi nale. Questo quinto e ultimo quadro è una sorta di sintesi fi nale dove vengono rievocati tutti gli elementi apparsi in precedenza. Comincia infatti con una discesa nei luoghi più o meno scuri della memoria di forte stampo felliniano, per innescare successivamente una reazione, uno scatto in avanti come per scappare, liberare il campo da ogni reminescenza, da tutti quei fantasmi che hanno tenuto la scena fi no a quel momento. Ma sono ancora tutti lì, anche quando si è spenta l’ultima eco del fi nale, ci guardano e noi li sentiamo vicini perché sono parte della nostra memoria. Non si possono toccare, quello che oggi rappresentano è differente da quello

che sono stati, soprattutto non hanno più quell’estenuato carico dell’improrogabile fi ne di un mondo, perché quel mondo è ormai fi nito da un pezzo. Sono fantasmi, appunto, non li puoi toccare ma puoi ancora sentirli.

Arrivo a Donnafugata

Nino Rota a Palermo.

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Il cappello di paglia di Firenze, Ouverture della farsa musicale in 4 atti di Ernesta Rota Rinaldi e Nino Rota (1945/46)

Concerto n. 2 per violoncello e orchestra (1973) [prima esecuzione a Milano]I. Allegro moderato II. Andantino cantabile, con grazia III. Finale: Allegro vivo

La strada, Suite dal balletto (1966)I. Nozze in campagna / E’ arrivato Zampanò II. I tre suonatori e il matto sul fi lo III. Il circo (Il numero di Zampanò / I giocolieri / Il violino del matto) IV. La rabbia di ZampanòIV. Zampanò uccide il matto V. L’ultimo spettacolo sulla neve / Addio Gelsomina VII. Solitudine e pianto di Zampanò

L’opera Il cappello di paglia di Firenze, tratta dalla celebre farsa di Eugène Labiche e Marc Michel su libretto di Ernesta Rota Rinaldi (madre del Maestro) e dello stesso compositore, è il titolo più popolare del catalogo teatrale rotiano. Eseguita per la prima volta nel 1955 a Palermo, ha avuto da allora numerosissime rappresentazioni in Italia e nel resto del mondo, fra le quali ci piace qui ricordare il bellissimo allestimento che ne fece Giorgio Strehler alla Piccola Scala nella stagione 1957-58. Se volessimo riconoscere un unico merito a quest’opera, possiamo dire che non tradisce neanche per un istante il capolavoro teatrale da cui è tratta, cioè una delle commedie più divertenti e meglio riuscite, scritte nel XIX secolo. Una macchina teatrale perfetta, dai ritmi vertiginosi che la musica di Rota veste con la medesima capacità ritmica e mimetica.

Sì, perché dentro Il cappello ci potete trovare di tutto: l’opera è costruita infatti con i migliori materiali del teatro musicale italiano – Verdi e Rossini sopra tutti - senza alcun intento citazionista e/o ironico critico, ma con la capacità di assemblare elementi funzionali allo

domenica 20 marzo 2011

VioloncelloMario Shirai Grigolato

Nino Rota con la madre Ernesta Rinaldi

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scopo, rivestendoli di una grazia leggera e scoppiettante che permettono alla rutilante e caotica vicenda teatrale di correre via veloce come un fi lm. L’Ouverture, come si conviene, ne è, allo stesso tempo, il riassunto e l’introduzione.

Dei tre Concerti per violoncello e orchestra composti da Rota, il N. 2 che in realtà è il terzo, non avendo il primo del 1925 alcuna numerazione, è forse il più felice. Strutturato nei classici 3 movimenti, mostra fi n dalle prima battute una misura ed un equilibrio perfetti. La partitura evidenzia una parte solistica molto ben scritta, che richiede all’esecutore virtuosismo e musicalità in pari grado, associata a un’orchestrazione perfettamente funzionale al progetto solistico, in questo caso direi con una predominanza della funzione dialogante su quella di accompagnamento. Il violoncello si presenta da subito come una agile voce della famiglia degli archi convenuta insieme a loro e a tutta l’orchestra per raccontarci una storia. Ed è proprio la famiglia degli archi ad introdurre la vicenda, con una melodia à la Prokof’ev sulla quale poi viene costruita una sorta di trampolino, dal quale il solista si lancia con una vertiginosa scala discendente per poi riprendere il tema iniziale sostenuto e accompagnato dagli altri. Inizia quindi un botta e risposta molto intenso fra tutti i protagonisti, dove viene ripetuta la fi gurazione iniziale in diverse tonalità, inframmezzata da altre linee melodiche che ci portano fi no alla conclusione. Il II Movimento si apre con il Violoncello che espone un lungo tema, subito ripreso dall’orchestra cui il solista fa da controcanto con un equilibrio di ruoli particolarmente azzeccato e felice. Un intermezzo introdotto dai legni apre una lunga fi nestra di dialogo fra questa sezione e il solista che utilizza anche il pizzicato in funzione di accompagnamento degli altri strumenti. La situazione poi si apre di nuovo a tutta l’orchestra per introdurre la Cadenza. Si tratta di una sezione di inusitata lunghezza nella quale l’orchestra mantiene una funzione concertante per arrivare a sciogliere la Cadenza su un nuovo tema melodico di grande fascino che ci porta alla chiusa del movimento con il violoncello sostenuto dai legni.

Il III movimento attacca brusco, con i clarinetti che danno lo spunto al solista per esporre la sua melodia e proseguire in dialogo, parlottando con l’orchestra che, a sua volta, ripropone

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

lo spunto melodico sul quale il solista imposta via via una serie di variazioni per arrivare con leggerezza, quasi inaspettati, alla conclusione. Il cello sembra scapparsene via per una ripida scaletta e l’orchestra chiude, di scatto, la porta.

A proposito del Balletto La strada (1966), composto da Nino Rota sulle coreografi e di Mario Pistoni e basato sul soggetto del celeberrimo fi lm felliniano del 1954, Mario Soldati scrisse:«La strada di Nino Rota è un capolavoro. Il fi lm di Fellini è, forse, soltanto il libretto di quel capolavoro. E il libretto, come è naturale e come accade normalmente, è stato composto prima della musica.» Senza voler essere così estremisti come Soldati, ci preme qui sottolineare che la partitura per il balletto va molto al di là delle musiche composte per il fi lm. Nelle musiche per il palcoscenico troviamo infatti molte altre suggestioni cinematografi che che coinvolgono soprattutto l’immaginario musicale felliniano fi no alla metà degli anni ’60. La Suite del Balletto, poi, non è da considerarsi come una semplice operazione di montaggio, ma è un ulteriore sviluppo di quel materiale che aveva così felicemente arredato le opere precedenti. La Suite è infatti frutto di una lavoro di composizione ex novo che, prendendo in sequenza i numeri più signifi cativi del balletto, crea un’opera da concerto che ha come modello le celebri suite delle opere coreografi che di Igor Stravinskij come pure quelle di Leonard Bernstein per i suoi lavori teatrali più famosi. Questo lavoro di ricomposizione ha consentito, infi ne, di mettere in essere una precisa sequenza armonica che dà a tutta la partitura una forte sostanza drammatica. La Suite, articolata in sette numeri, si può dividere sostanzialmente in due parti. La prima arriva fi no al terzo numero con l’assolo del violino del matto e conclude la sezione più didascalica illustrativa del brano (I. Nozze in campagna / E’ arrivato Zampanò • II. I tre suonatori e il matto su fi lo • III. Il circo (Il numero di Zampanò / I giocolieri / Il violino del matto). La seconda parte (IV. La rabbia di Zampanò V. Zampanò uccide il matto • VI. L’ultimo spettacolo sulla neve / Addio Gelsomina • VII. Solitudine e pianto di Zampanò) sottende un unico arco drammaturgico con un crescendo di atmosfere e di veri e propri inviluppi armonici, che porta, verso la fi ne, al celebre tema di Gelsomina esposto dalla tromba sola e ripreso, in chiusura, da un violino estenuato, accompagnato da un’orchestra che si va spegnendo piano piano. Particolarmente felice in questa seconda parte è la concordanza fra gli effetti di una strumentazione molto ampia, che mette in campo tutte le suggestioni, imparate in lunghi anni di lavoro cinematografi co, e uno sviluppo del discorso armonico unitario, di grande impatto nel suo caricare una situazione di chiusura claustrofobica, come quella dell’inevitabilità del tragico destino di Gelsomina e Zampanò.

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Roma (1972), Suite dal fi lm

Il giornalino di Gian Burrasca (1964), Tre canzoni

Concerto per fagotto e orchestra (1974-77)I. Toccata: Allegro vivace II. Recitativo: Lento III. Andantino con variazioni

Sinfonia n. 3 (1956-57) [prima esecuzione a Milano]I. Allegro II. Adagio con moto III. Scherzo: Allegro mosso IV. Vivace con spirito

Uno degli artifi ci narrativi talvolta usati da Federico Fellini nei suoi fi lm è stato quello della fi nta inchiesta giornalistica. Interpretando spesso da sé medesimo la parte del giornalista, magari come voce fuori campo, provocava gli ‘interpreti della realtà’, gli attori, per costruire quella forma di narrazione cinematografi ca fatta di rapidi fl ash pararealistici che introducono elementi più tipici e onirici del linguaggio felliniano. Questa forma di narrazione venne utilizzata anche in Roma, credo una delle pellicole più sottovalutate del regista. Sottovalutata probabilmente anche dallo stesso Fellini che diceva di avere avuto la sensazione, alla fi ne, di non essere riuscito neanche ad entrare in argomento, di non aver saputo svelare la natura di questo luogo da lui amatissimo e che nel suo libro Fare un fi lm introduce così:«’Che cos’è Roma?’ Tutt’al più posso tentare di dire cosa penso quando sento la parola ‘Roma’. Me lo sono spesso domandato. E più o meno lo so. Penso a un faccione rossastro che assomiglia a Sordi, Fabrizi, la Magnani. Un’espressione resa pesante e pensierosa da esigenze gastrosessuali. Penso a un terreno bruno e melmoso: a un cielo ampio, sfasciato, da fondale dell’opera, con colori viola, bagliori giallastri, neri, argento; colori funerei. Ma tutto sommato è un volto confortante. Confortante perché Roma ti permette ogni tipo di speculazione verticale. Roma è una città orizzontale di acqua e di terra, sdraiata, ed è quindi la piattaforma ideale per dei voli fantastici». Un discorso similare vale per il musicista suo fedele compagno di avventura, pure lui adottivo della capitale, anche se diviso fra questa e la città di Bari dove

domenica 10 aprile 2011

Coro di Voci Bianche de la Verdi

Maestro del CoroMaria Teresa Tramontin

FagottoAlarico Lenti

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dirigeva il locale Conservatorio. Rota fu sempre un grande estimatore della Città Eterna, tanto da dedicarle, proprio negli stessi anni del fi lm, una composizione da concerto, una Cantata profana per voce solista, coro e orchestra intitolata Roma capomunni (1970-71). La colonna sonora del fi lm di Fellini direi che ha almeno un paio di momenti memorabili: il melanconicissimo tema-melopea che fa da motivo conduttore e sembra evocare i mille colori, le mille sfumature/stratifi cazioni della città; la musica di accompagnamento al Defi lé degli ecclesiastici, dissacratoria e ironica al tempo stesso nel rappresentare l’indissolubile e, a volte, troppo mondano rapporto della città con Santa Romana Chiesa.Negli anni del boom economico italiano, l’industria discografi ca ebbe una parte importante nella trasformazione del costume. A partire dalla fi ne degli anni ’50, vi furono crescite esponenziali nella vendita di dischi, soprattutto del formato a 45 giri che poteva essere riprodotto su apparecchi portatili. La trasposizione televisiva del celebre libro di Vamba, Il giornalino di Gianburrasca (1964),

interpretato en travesti dalla cantante Rita Pavone, allora idolo dei giovanissimi, creò quello che oggi viene defi nito un fenomeno mediatico in grado di coinvolgere tutto il paese. Questo fenomeno aveva un inno, Viva la pappa col pomodoro, che raggiunse le vette della Hit Parade e fu canticchiato, suonato nei mangiadischi e alla radio fi no alla completa saturazione. Ma Rota come fi nì in mezzo a queste canzonette, gettando scompiglio fra i suoi paludati colleghi? Beh, il colto compositore di Opere Liriche, di Sinfonie, Oratori oltre che il musicista di alcuni dei più grandi registi del tempo, la raccontò così al critico musicale Leonardo Pinzauti:« - Ma quando lei scrive una canzone per Rita Pavone si diverte? E il suo atteggiamento mentale in che modo cambia rispetto ai suoi impegni, diciamo, ‘seri’?.«- La mia attività obbedisce senza dubbio a due propositi diversi:ci sono le mie cose personali, che io stesso mi propongo di realizzare; e ci sono quelle che mi vengono proposte dagli altri. Il cinema e Rita Pavone mi sono state imposte da altri, con problemi che però mi interessano; anche perché - questa è la verità - ogni problema mi interessa, essendo curioso di veder come può esser risolto, indipen dentemente dal giudizio di valore che potrei dare sulle cose. Per questo le canzoni della Pavone non nacquero da sé: ci fui per così dire costretto da una mia carissima amica, mentre altri miei amici si preoccupavano per me [le deve fare queste canzonette, o non le deve fare? si domandavano]. E tentai: con materiale vecchio e nuovo, andando a cercare fra altre cose mie, misi insieme una cinquantina di canzoni per il fi lm televisivo su Gian Burrasca. La trentesima, per dire una delle tante, fu La pappa col pomodoro (…) Quando mi decisi, quanta gente c’era da contentare! La Pavone, la casa discografi ca, la televisione … ma siccome tutti avevano da chiedermi qualcosa, cominciai ad orientarmi, e il fatto di riuscirci, sia pure un po’ alla volta, accresceva il mio divertimento. Finché cominciai a divertirmi davvero; così, un giorno dopo l’altro». Domenico Lo Savio, prima allievo al Conservatorio di Bari e poi docente alla sezione staccata di Foggia, oltre che brillante esecutore attivo nel campo della musica cameristica, sollecitò un giorno il suo Direttore a comporre qualcosa per il suo strumento. Nacque così l’ispirazione, la

Fellini, “Roma”: La prostituta, 1972 - Inchiostro nero su carta - 22 x 14 - Rimini, Fondazione

Federico Fellini (Fondo A. Geteng)

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commissione, per la Toccata per fagotto e pianoforte (1974) da cui gemmerà successivamente il Concerto per fagotto e orchestra. Dopo la Toccata iniziale nella quale l’orchestra, trattata con una tessitura brillante e trasparente al tempo stesso, mette in risalto le particolari caratteristiche timbriche del solista, segue un breve e lirico Recitativo che serve da introduzione all’Andantino con variazioni che costituisce il fi nale e il cuore stesso di tutto il Concerto. Si tratta di 6 Variazioni (Valzer • Polka • Siciliana • Scherzo • Sarabanda • Galop) che si susseguono senza soluzione di continuità. Ad ognuna di queste è assegnato il compito di mettere in risalto caratteristiche e peculiarità del fagotto, facendolo dialogare ogni volta con differenti sezioni dell’orchestra. Questa prassi delle variazioni, molto diffusa nei canoni classici della musica concertistica, venne affi nata da Rota nell’uso diuturno e sovrabbondante necessario alla musica cinematografi ca, per la quale è sovente necessario riproporre più volte un unico

tema che faccia da fi lo rosso alla intera vicenda nei contesti più disparati.La Sinfonia n. 3 (1956-57) ha praticamente un solo punto in comune con le due precedenti, composte fra il 1937 e il ’41, e cioè il rispetto nella ripartizione in 4 movimenti. Nella defi nizione dello stile, invece, la maturazione e l’esperienza hanno portato Rota ad assumere una capacità di sintesi e asciuttezza che rendono le sue composizioni quasi monolitiche nella loro essenzialità. Una sintesi che consentì al compositore di utilizzare, con assoluta libertà e proprietà di mezzi, gli stessi materiali nel campo della musica applicata - le colonne sonore cinematografi che - come in quello sinfonico- orchestrale per le sale da concerto. Paradossalmente però, questa Sinfonia, pur nascendo nel periodo più intenso dell’attività di Rota per il cinema, è proprio la meno ‘cinematografi ca’ delle tre. Se vogliamo cercare un riferimento esterno a quest’opera, ci viene alla mente la Sinfonia Classica (1917) di Serghei Prokofi ev. I 40 anni che separano la genesi di questi due lavori, con la Rivoluzione d’Ottobre e la successione di 2 Guerre Mondiali, appaiono più che suffi cienti a far suonare il paragone con la Sinfonia giovanile di Prokofi ev come una sentenza di defi nitivo esilio di Rota dal mondo a lui contemporaneo. Ma se invece provaste ad ascoltare accostate queste due opere, l’originalità e attualità dell’estetica rotiana risulterebbe lampante e potreste contare tutti gli anni che le separano. Nella Sinfonia n. 3 la cifra neoclassica è chiarissima, ma è altrettanto evidente che, seppure perfettamente funzionante, il giocattolo è irrimediabilmente rotto e proietta intorno a sé ombre tutt’altro che rassicuranti. Vi troviamo un’inquietudine che, sotto l’involucro di una struttura formale perfettamente compiuta, muove un meccanismo nel quale, insieme ad arditi equilibrismi armonici sostenuti da una ritmica incalzante, si alternano struggenti ed evanescenti melodie. Nell’opera di Rota non ci si richiama al passato per rivendicare tout court una continuità con la tradizione o per ironizzare, rivisitare criticamente quelle antiche convenzioni. Il suo sembra essere piuttosto un estremo appello alla nostra memoria storica, al ricordo di una musica e di una tradizione culturale che, al di là del loro esaurimento ‘naturale’, dopo il cumulo di catastrofi ed orrori che hanno segnato il XX secolo, non potranno mai più essere anche solo recepite come prima. E, d’altra parte, non esistendo per Rota la tabula rasa, la condizione per la quale sia possibile inventare una nuova musica cancellando il passato e le proprie origini, sembra essere questo appello alla memoria, alla tradizione, l’unico sentiero percorribile. Allora, anche se nella Sinfonia n. 3 la musica di Rota suona, a volte, molto, troppo, familiare, dopo un primo ascolto ci si accorge che nei risultati fi nali l’identità e l’originalità dell’autore non vengono meno ed anzi, in questa “candida e cosciente” adesione ai modelli classici, è insita la chiave di un processo compositivo che, molto prima del postmoderno, ne prefi gura gli esiti estetici.

Parole da censurare per Il giornalino di Gianburrasca.

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Sonata per orchestra da camera (1937-39)I. Allegro molto moderato II. Andante sostenuto III. Allegro Festoso

Concerto per corno e orchestra KV. 412 di Wolfgang Amadeus Mozart completato da Nino Rota – II tempo per il IV Concerto di Mozart per corno e orchestra [1958-59] (prima esecuzione a Milano)I. Allegro II. Andante sostenuto III. Allegro

Fantasia sopra 12 note del Don Giovanni di W. A. Mozart per pianoforte e orchestraDon Giovanni atto II.: «...non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste...»Lentissimo • Adagetto

Romeo e Giulietta (1967), Suite dal fi lm

La Sonata per orchestra da camera è fi glia della Sonata per fl auto e arpa del 1937, uno dei titoli più felici del repertorio cameristico rotiano. Senza dubbio la qualità dell’invenzione melodica e la possibilità di una fruizione più ampia, furono le molle principali di questo lavoro di ri-composizione. Parlo di ri-composizione e non di semplice orchestrazione perché, pur essendo assolutamente fedele nello sviluppo

al brano originale, la scelta e il ruolo affi dato agli strumenti dell’orchestra sono qui parte fondamentale nel ridefi nirne l’identità. A riprova di questo va il titolo primigenio dell’opera, Sonata per 14 istrumenti, che assegnava a una molteplicità di solisti la nuova veste sonora. Fu, successivamente, rinominata Sonata per orchestra da camera per aderire alle esigenze di sale più grandi e quindi alla necessità di un sostanziale irrobustimento della sezione degli archi che può, da sola, raggiungere i venti elementi. La partitura di Rota prevede infatti i 4 strumenti della famiglia dei legni (fl auto oboe, clarinetto e fagotto), due corni, l’arpa e, appunto, gli archi suddivisi in due parti reali (I e II) anche per le viole e i violoncelli oltre che, come d’uso, per i violini. Siamo di fronte al Rota affascinato dal Neoclassicismo del suo maestro Alfredo Casella, ma sicuramente anche preso dalle suggestioni di un altro grande musicista italiano

domenica 22 maggio 2011

CornoSandro Ceccarelli

PianoforteSimone Pedroni

Fantasia su un frammento del Don Giovanni di Mozart.

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quale Gian Francesco Malipiero. Quello che ne esce è un brano di singolare eleganza che, a fronte di uno sviluppo melodico particolarmente lineare e sciolto, contrappone una struttura e una orchestrazione di grande complessità e rigore. La melodia estremamente cantabile proposta dal fl auto dentro a questa fi ttissima rete, viene bilanciata e arricchita da una grande gamma di colori ottenuta tramite questa particolare orchestrazione che vuole esplicitamente ricollegarsi alle sonorità e alle suggestioni delle antiche tradizioni musicali italiane. Quando, nell’ormai lontano 1980, con il Maestro Gino Marinuzzi jr1 prendemmo a esaminare quello strano oggetto uscito dalle carte rotiane, rimanemmo prima sbalorditi e poi sinceramente ammirati. Quale fosse il motivo per cui Nino Rota, compositore attivo nel secolo ventesimo, avesse deciso di aiutare Mozart a fi nire una sua opera incompiuta era, allo stato degli atti, un mistero, ma per Marinuzzi, che in quei primi mesi di esplorazione e riordino delle carte rotiane fu un generoso e appassionato consigliere, quel Rota era assolutamente indistinguibile dall’autore degli altri due tempi. Ci vorranno poi molti anni per stabilire che quella piccola follia era destinata a completare il saggio di Sebastiano Panebianco, un giovane e promettente allievo del Conservatorio di Bari. Lo stesso Panebianco in una recente lettera indirizzata all’Archivio Rota rievoca così la vicenda:«Rivedere questa partitura dopo quasi 50 anni è stato commovente. E’ quasi incredibile che a quella età io abbia avuto la capacità di eseguirla. L’intuizione del Maestro evidentemente non aveva limiti. Ricordo con viva commozione quando il Maestro entrava in classe per ascoltare i miei progressi tecnici e quando sentii concordare tra il Maestro Rota e il mio insegnante Maestro Filippo Pugliese: “Perché il primo concerto di Mozart ha soltanto due tempi? scrivo io un Andante per questo ragazzino”.»Detto e fatto! Non so quanti direttori di Conservatorio si siano cimentati in attività del genere, ma certo questo è uno dei tanti aneddoti che popola la mitografi a di Rota nell’abbondante quarto di secolo passato al Piccinni di Bari. Non so neanche dire poi, se un musicologo, di fronte a un falso calligrafi co di Mozart, possa essere in grado di dire che questo II tempo per il Concerto K. 412 per corno e orchestra non sia proprio del grande musicista salisburghese. Fu il compositore francese Darius Milhaud (1892-1974) a scovare dentro il capolavoro mozartiano del Don Giovanni un frammento contenente una sequenza completa delle dodici note, o per dire più correttamente dei dodici suoni, che costituiscono la base del sistema seriale dodecafonico. Ad un intelligente e curioso direttore artistico milanese venne in mente di commissionare a tre diversi musicisti un brano sopra questo frammento, tratto dal drammatico fi nale dell’opera e accompagnato dalle eloquenti parole di Lorenzo Da Ponte «. . . non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste». Non credo abbia sfi orato neanche per un istante la mente di Rota l’idea di applicare pedissequamente una tecnica compositiva che contrastasse quello che è stato il suo personale itinerario, fuori da tutte le scuole e ortodossie. Quindi nella partitura non troviamo serialismi, formule matematiche, prassi di composizione aleatoria, rotture insomma con l’estetica, lo stile di Rota. E però, il tema dato è quella melodia che mette in campo i dodici suoni che troviamo così ben presenti e reiterati, per diritto e per rovescio, ma, all’interno di questo obbligo posto dalla committenza, c’è un problema compositivo risolto per dirla alla maniera di Rota, un po’ come se mettessimo su una pietanza conosciuta una salsa esotica con un gusto molto deciso. Magari all’inizio si rimane disorientati ma, mano a mano che procediamo nella degustazione, escono da quell’esotico sapore – la sequenza dei dodici suoni - tutti quegli elementi che ne svelano l’identità. Il pianoforte assume nella composizione un carattere spigoloso e, a volte, di vera e propria provocazione nei confronti di un’orchestra molto attenta al dosaggio e al colore dei propri timbri. Troviamo anche, in buona evidenza, alcune esasperazioni dinamiche che aggiungono sostanza alla tensione drammatica del tema sul quale la Fantasia è stata costruita. L’accentuato cromatismo del linguaggio rotiano aiuta qui il compositore non solo a districarsi brillantemente nella serie del tema di Mozart, ma anche ad aprire degli spazi nei quali si viene gradatamente a formare una melodia melanconica che sembra voler rappresentare una sorta di sguardo pietoso verso il terribile solco tracciato dalle parole di Da Ponte. Un solco, una distanza per vedere, intravedere, sempre più piccino là, sullo sfondo, Don Giovanni che si incammina verso il suo destino.Londra, ottobre 1960

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«Cara Titina2 (…) Sono a Londra! Per alcune musichette di Romeo e Giulietta all’Old Vic (la mia passione! chi avrebbe mai detto che ci sarei venuto non come ‘habitué’ † in questo vetusto, simpaticissimo teatro, ma come collaboratore?) Il regista è Zeffi relli – che mi sembra stia mettendo su uno spettacolo molto bello - tutti giovani bravissimi, agili ed entusiasti – il testo di Shakespeare va un po’ in seconda linea… ma pazienza: si può sempre rileggerlo, e ci si guadagna sempre! (…)Ti abbraccio molto Nino»Sette anni dopo, quelle ‘musichette’ costituiranno l’ossatura della colonna sonora del fi lm che lo stesso Zeffi relli realizzò sulla celebre tragedia di Shakespeare. Il carattere giovanile, colto da Rota per l’allestimento teatrale, venne ulteriormente accentuato nel fi lm, che fu probabilmente il maggior successo cinematografi co del regista. Sembra quasi che questa lettura, così attenta al carattere dei protagonisti, piena di energia e di dinamismo, saldamente ancorata al tempo e luogo shakespeariano (Verona, XVI secolo), volesse essere una risposta alla

trasposizione nella New York del XX secolo creata da Leonard Bernstein con West Side Story (1961). La musica che Rota compone per questo fi lm è lontana dalla muscolarità di Bernstein. Si porta dietro una dimensione teatrale più intima, ha accenti commossi e delicati nel ritrarre i due giovanissimi protagonisti. Accenti e suggestioni che ‘esplodono’ poi nel celeberrimo tema d’amore, attestato ormai storicamente come uno degli evergreen rotiani.

1 Gino Marinuzzi Jr. (1920-96) compositore e direttore d’orchestra, attivo nel campo della musica per il cinema e da concerto.

2 Titina Rota (1899-1978), costumista scenografa e pittrice. Cugina del Maestro a lui molto legata per tutta la vita da un rapporto di consuetudine e confi denza.

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La Fiera di Bari, Ouverture (1963)[prima esecuzione a Milano]Allegro con spirito

Castel del Monte, ballata per corno e orchestra (1974)Andante sostenuto sognante

Variazioni sopra un tema gioviale (1953)Proposta: Allegro moderato, con spirito I. Lo stesso tempo II. Tranquillo scherzando III. Allegro deciso IV. Andante cantabile V. Allegro non troppo VI. Lo stesso tempo VII. Alla marcia, allegramente VIII. AdagioFinale: Allegro con fuoco, Vivacissimo

Il Padrino (1971), Il Padrino II (1974), Suite dai fi lmI. Sicilian pastorale II. The immigrant III. The pickup IV. Kay V. Love theme VI. A new carpetVII. Godfather’s waltzVIII. End title

Nino Rota si trasferì a Taranto nel 1937, per andare ad insegnare nel locale liceo musicale. Aveva 26 anni ed era considerato da molti una solida promessa della musica italiana. Quella scelta, decisamente controcorrente, cambiò per sempre la sua vita. Si pose, a quel punto, anche geografi camente, fuor dal movimento. Alla Puglia rimase poi legato tutta la vita. La Fiera di Bari nasce probabilmente su commissione della locale ‘Fiera del Levante’ ed è un unicum nel catalogo delle opere da concerto del Maestro. Si tratta infatti di una Ouverture per orchestra che assume su di sé i caratteri evocativo - descrittivi di un brano cinematografi co o di teatro musicale stile Broadway. L’organico prevede una robusta sezione di sassofoni e l’intera composizione assume un passo sincopato che ricorda molto certi brani di Leonard Bernstein come, per esempio, Times square 1944 dalla commedia musicale On the Town ma, anche e soprattutto, George Gershwin, specie quello della Rhapsody in Blue. A questa sezione ritmicamente aggressiva, se ne alterna una più melodica, dove i solisti dell’orchestra sviluppano un tema melanconico di stampo decisamente più rotiano.Castel del Monte è una delle immagini iconiche dell’intera Puglia. Il grande e misterioso castello

domenica 5 giugno 2011

CornoGiuseppe Amatulli

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voluto da Federico II, più che una fortifi cazione militare o una dimostrazione di potenza e opulenza del sovrano, appare come un simbolo, piantato sulla terra in un luogo particolarmente signifi cativo e centrale, di qualche mappa che a noi oggi non è dato decifrare.Sulle fonti autografe a nostra disposizione, non vi è mai l’indicazione diretta del castello federiciano, anzi in una di queste compare la titolazione Ballata del cavaliere errante, ma fi n dalla prima esecuzione avvenuta al Festival di Lanciano del 1977, scomparso l’errante cavaliere viene stabilita defi nitivamente l’intitolazione/dedica a Castel del Monte. Il brano si apre subito con il tema principale, esposto dal corno accompagnato dalla sola arpa che viene poi

ripreso e variato dall’oboe accompagnato dall’orchestra. Dopo una risposta più decisa del corno, si innesta una sorta di cavalcata del solista che effettivamente sembra attraversare vari paesaggi e, in certi momenti, pare evocare il clima di una battuta di caccia seguita da una danza dal sapore vagamente rituale. Questa è la sezione più lunga della composizione e ci porta direttamente al fi nale, dove il tema principale viene prima ripreso di nuovo dall’oboe, poi raggiunto dal corno solista e, infi ne, dagli archi.L’attuale e un po’ negletto destino delle Variazioni sopra un tema gioviale fu probabilmente segnato dalla accoglienza a dir poco ostile della maggior parte della critica italiana al tempo del suo debutto. Per esempio Guido Pannain su ‘Il Tempo’ del 25-1-1954 a proposito di un concerto che evidentemente lo aveva indispettito in ogni suo aspetto si espresse così:«(…) A dare il tracollo sono venute le Variazioni sopra un tema gioviale di Nino Rota. Una specie di esibizionismo impudico, messo in mostra con aria sfrontata e provocante. In un motivo di vecchio conio, d’una piacevolezza grassoccia, sono improvvisati atteggiamenti vari, d’una trivialità ricercata o ostentata. Come uno che ti accolga con uno schioccante sberleffo e godendo della sua volgarità, ti guardi malizioso, negli occhi per vedere se ci fai scrupolo: e ti spifferi luoghi comuni d’una lepida stupidezza, per darsi arie di giocondità e disinvoltura sfoderi barzellette lubriche, di quelle che con tanta fi nezza e distinzione, ricorrono negli spirituali conversari di moda. E lui è il primo a riderne e i gonzi che lo ascoltano gli tengono bordone. Così le Variazioni del Rota sono state vivamente applaudite». A dir la verità ‘triviale’ ricorre anche in una critica di segno opposto, ma è in inglese dove questo aggettivo, trivial, signifi ca più che altro frivolo, banale magari. Ecco, a contrastare il giudizio condizionante e pregiudizievole del Pannain, mi piace mettere in campo Malcom Sargent, uno dei decani della critica musicale statunitense negli anni ’50, il quale, dopo aver precisato che lo scopo del brano è certo di intrattenere con leggerezza il pubblico, aggiunge:« Ma quello che mi ha impressionato del pezzo è stato la padronanza tecnica del Signor Rota con l’orchestra e con i complessi elementi armonici che usa con un virtuosismo che rimanda a Richard Strauss. Questi ingredienti, non sono solo più piacevoli da ascoltare ma sono anche infi nitamente più inafferrabili degli oggetti arbitrari usati dagli atonali e, nelle mani del Signor Rota, sono altrettanto ricchi dal punto di vista del signifi cato musicale degli altri (…)». Detto questo, noi ci limiteremo all’essenziale. Innanzitutto va precisato che il temine gioviale era inteso dal Maestro nel senso letterale del termine cioè, come recita lo Zingarelli. «aggettivo di Giove, pianeta da cui piovono infl ussi di serenità contenta». Poi, che questo tema così leggerino, all’apparenza privo di grandi possibilità di sviluppo, durante le otto variazioni dimostri, nelle mani del Maestro, capacità funamboliche tali da lasciare al termine anche l’ascoltatore più smaliziato lievemente disorientato.Francis Ford Coppola, pur di avere le musiche di Rota per il suo fi lm, affrontò plurimi viaggi transatlantici a Roma e a Bari, in quanto l’accettazione dell’incarico era stata subordinata dal Maestro alla condizione di non muoversi dall’Italia. Tutta la vicenda produttiva de Il Padrino è una sorta di odissea, dove Ulisse è interpretato dall’allora giovane regista, impegnato contro il fato e i dispettosi ‘dei’ di Hollywood. Probabilmente parte di questa mitologia aneddotica

Castel del Monte

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venne alimentata dallo stesso Coppola e contribuì non poco a costruire quel clima di leggenda che fece del fi lm uno dei titoli che occupano stabilmente un posto nella top ten di tutti i tempi. La leggenda, per quanto riguarda l’aspetto musicale, fu ulteriormente accresciuta dal fatto che, dopo le anteprime, i produttori imposero a Coppola di far rifare completamente la colonna sonora, perché giudicata non abbastanza commerciale. I manager della Paramount giudicarono la musica sensibile ed evocativa creata da quello che allora era considerato unanimemente uno dei grandi compositori di musica per il cinema,

non riuscisse a esaltare il dramma messo in scena dal fi lm. La nuova musica fu affi data ad un americano e risultò così disastrosa da venir immediatamente ripristinata quella di Rota. Il successo commerciale del fi lm e delle musiche fu assolutamente clamoroso e venne bissato con il secondo capitolo. Rota però dovette subire una quantità di guai ed amarezze tali da rendere il successo ottenuto un boccone con un retrogusto amarognolo. Innanzitutto fu costretto a cofi rmare l’opera con il padre di Coppola, che aveva suonato il violoncello professionalmente, ma era un compositore dilettante senza alcuna esperienza nella musica per il cinema. Di fatto, delle musiche composte da Coppola, poche e di contorno, non rimase traccia, ma il nome di Rota quale autore delle musiche, delle vere musiche di commento al fi lm fu certamente sminuito. Poi, un produttore italiano lo denunciò anonimamente all’Academy Awards quando ormai era stato stabilito di assegnargli l’Oscar, contestando il fatto che uno dei temi era stato usato in un fi lm di molti anni prima e trascinandolo in tribunale per questo. Il tema effettivamente aveva avuto, come spessissimo è accaduto nella vicenda artistica del Maestro, molte vite, ma la causa in tribunale il produttore la perse perché non avendolo mai pagato né contrattualizzato non poteva accampare alcun diritto. L’Oscar, sempre in condominio con Carmine Coppola, arrivò comunque per Il Padrino Parte II ma Rota, mantenendo fede al suo proposito di non viaggiare fi no in America, non si presentò a ritirarlo e se lo fece spedire via nave a Bari. Detto questo, se fi schiettate la melodia del tema d’amore, anche nel più remoto angolo del pianeta, ancora oggi, a più di 30 anni di distanza, è facile che la risposta giunga immediata: ‘… questa è la musica de Il Padrino!’. Ma la musica de Il Padrino e de Il Padrino Parte II, ulteriormente riutilizzata per la terza parte della saga nel 1990, non è solo il celeberrimo tema d’amore. È una partitura complessa e di grandissima levatura, una successione di felici idee musicali, assemblate e orchestrate con una mano tale, da rendere possibile costituire una suite da concerto usando esclusivamente le partiture originali composte per il fi lm. È la summa di un’arte, affi nata in 30 anni di lavoro per lo schermo, senza rinunciare mai all’idea che, anche nella costrizione di una musica d’uso quale quella cinematografi ca, vi fosse spazio per scrivere qualcosa in grado di reggere il tempo e degno della sala da concerto.

Il Padrino parte seconda, fotogramma dal fi lm.

Il giovane Nino Rota

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Giovanni (Nino) Rota nacque in Via Volta 20 a Milano, domenica 3 dicembre 1911 alle 7.30 del mattino da Ernesta Rinaldi ed Ercole Rota. Quel giorno il ‘Corriere Della Sera’ dedicò l’intera prima pagina alla guerra che l’Italia stava combattendo contro la Turchia per il possesso della Libia e del Dodecaneso. Il titolo: «Una Nuova avanzata nell’oasi dinanzi al forte di Messri» subito sotto sempre a pagina piena: «Jean Carrère pugnalato a tradimento da un emissario dei ‘Giovani Turchi’». Gli articoli si dilungavano nella descrizione delle azioni di guerra e fornivano particolari truculenti sull’aggressione ai danni dell’inviato de ‘Il Tempo’ Jean Carrère. Nino era il primogenito di Ercole ed Ernesta ed avrebbe avuto da lì a due anni un fratello, Luigi. Al momento della nascita vantava già tre cugini anzi – doppi cugini - Silvio, Maria e Titina fi gli di Giovanni Rota, fratello di Ercole e Margherita Rinaldi, sorella di Ernesta.Le sorelle Rinaldi, entrambe musiciste, erano fi glie del pianista e compositore emiliano Giovanni Rinaldi e della pianista piemontese Gioconda Anfossi1. I due Rota, di

origini romagnole, pur avendo avuto in famiglia artisti come scenografi e pittori, erano invece parte di quella borghesia attiva nell’industria dei primi anni del ‘900. La famiglia Rota aveva a Milano una palazzina in Via San Michele del Carso al n. 17, ancora oggi facilmente riconoscibile in quanto è l’unico edifi cio della strada a soli due piani. Questa casa, nota anche con il nomignolo di ‘Roteria’, fu un salotto musicale piuttosto importante nella Milano del primo novecento. Naturalmente, se pure con esiti diversi, tutti i piccoli furono avviati in casa allo studio della musica. Maria Rota, fi glia di Giovanni e Margherita, divenne un’ apprezzata cantante attiva nel settore liederistico, sua sorella Titina violinista, anche se successivamente si indirizzò verso la pittura e il teatro. Dei due maschi, fi gli di Ernesta ed Ercole, il più piccolo – Gigi - si dimostrò suffi cientemente refrattario alla cosa, forse anche intimidito dal fratello che invece, a quattro anni, metteva già le mani sul piano con estrema naturalezza e a otto, appena imparati i rudimenti della notazione musicale, si era messo a scrivere, a comporre musica come fosse la cosa più naturale del mondo. I genitori, coscienti della fragilità di un fenomeno di precocità così accentuata e non troppo convinti che la musica potesse essere uno sbocco sicuro, cercarono di tenere la cosa dentro i binari di una attività extrascolastica, un gioco. L’attitudine musicale del bambino era però così forte che, al termine della scuola elementare, fu deciso di sospendere la regolare frequenza a scuola per consentire a Nino di frequentare, come uditore, il corso di composizione di Giacomo Orefi ce al Conservatorio di Milano. Alla fi ne di quello strano anno scolastico (1920-21), dove i compagni di classe avevano almeno il doppio della sua età, Rota aveva acquisito tutte le nozioni che gli servivano a

Nino con il fratello Gigi

Nino con la cugina Titina (destra) - 1915

NINO ROTA (1911-1979) Una biografi a

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comporre e orchestrare un pezzo. Di quel periodo furono anche le prime esperienze teatrali, in particolare riuscì a convincere i genitori a portarlo a vedere alla Scala, nel gennaio del 1922, il Parsifal di Wagner che era uno dei musicisti che lo affascinavano maggiormente: « (…) dall’emozione stetti in piedi per tutto il primo atto; ma il terzo atto non me lo fecero vedere, e mi portarono a casa»2. Nell’estate dello stesso anno, Ercole Rota morì improvvisamente, lasciando Ernesta Rota Rinaldi con i due fi gli ancora piccoli, Nino 11 e Gigi 9 anni. Proprio in quell’estate Silvio Pagani, un amico di famiglia, aveva fatto dono al compositore in erba di un libretto per un Oratorio dedicato all’Infanzia di San Giovanni Battista. Nella casa di campagna della sorella, dove si erano rifugiati nel mezzo di quel luttuoso periodo, nacque L’Infanzia di San Giovanni Battista, un gioco al quale tutta la famiglia partecipò con critiche e suggerimenti ma che, alla fi ne, riportò a Milano uno spartito completo dell’Opera. Il suo primissimo Maestro, Perlasca, quello che con un ingegnoso metodo da lui inventato, aveva insegnato la notazione musicale al ragazzino, volle dare un’occhiata a quella composizione e rimase così impressionato da promettergli una esecuzione in piena

regola. Il 22 aprile del 1923, all’Istituto dei Ciechi di Milano in Via Vivaio si tenne la prima rappresentazione dell’Oratorio per soli coro e orchestra L’Infanzia di San Giovanni Battista. Il successo fu notevole e l’opera venne replicata anche la settimana successiva. Piovvero sulla madre richieste un po’ da tutto il mondo e, alla fi ne, venne accettata la proposta di un industriale di Tourcoing per una esecuzione con i cori di quella cittadina del nord della Francia. La spedizione fu allargata anche alla cugina Maria, che accettò questa volta di interpretare la parte della Madre di San Giovanni. Il successo clamoroso e l’eco della stampa internazionale resero l’evento memorabile, ma posero Ernesta Rota Rinaldi di fronte alla questione non secondaria, a questo punto, di proteggere il fi glio da quella che poteva essere defi nita una fi oritura precoce, che lo avrebbe quasi di certo bruciato, relegandolo a vivere di memorie prima ancora di essere diventato un uomo. Bisognava trovare un insegnante all’altezza del compito, in grado di frenare slanci precoci e far crescere gradualmente il ragazzo. Approfi ttando del lungo soggiorno parigino successivo all’esecuzione, fu fatto un primo tentativo al Conservatorio della capitale francese, ma senza esiti. Ildebrando Pizzetti, uno dei compositori italiani più ammirati del tempo, accettò invece l’incarico. Pizzetti impose i suoi esercizi, la sua rigida disciplina e il giovane Rota eseguì, pur mantenendo uno spirito da bastian contrario che era poi un modo di misurare e misurarsi nel mondo degli adulti dove era stato catapultato dalla sua precocità. Pizzetti aveva posto sopra a tutte una condizione draconiana, Nino doveva limitarsi ai compiti assegnati e smettere di comporre per conto suo. Era come chiedere a un bambino che aveva appena imparato ad andare in bicicletta di limitarsi alla cyclette ed attendere la patente per poter andare in giro. Così questo comandamento fu ampiamente disatteso e nel febbraio del 1926 uscì sulla rivista ‘Cronache Musicali’,

Locandina dell’Infanzia di San Giovanni Battista

Istituto dei Ciechi - MilanoArchivio: Istituto dei Ciechi

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un lungo articolo/intervista dedicato al compositore quattordicenne e all’opera lirica che aveva appena fi nito di comporre, Il Principe porcaro, tratta da una fi aba di Andersen. Il fenomeno Rota veniva analizzato per diritto e per rovescio da Silvino Mezza che ne fece un lusinghiero ritratto e diede una valutazione circostanziata della musica che aveva avuto modo di leggere e di ascoltare: «(…) il piccolo Nino è davvero un creatore di musica e non già un maldestro raffazzonatore di note, frutto di assimilazione indigesta di cose lette o udite qua e là. Egli scrive musica perché, dentro di sé, sente l’inconsapevole istinto che lo urge e lo piega sulla carta pentagrammata. E la cosa straordinaria comincia proprio là dove fi nisce la sua fatica di compositore, perché leggendo la sua musica - senza sapere che è primizia di un estro giovinetto - vien fatto di scoprire un maestro che ha qualche cosa nuova da dire e che questa cosa vale la pena di ascoltare. In altri termini se un prodigio c’è, esso si palesa nella perfezione formale della musica che il piccolo Nino scrive e che ci commuove per la sua intrinseca bellezza, prescindendo dal fatto che è l’opera inattesa e miracolosa d’un quattordicenne.»Pizzetti, probabilmente indispettito sia dal tono

particolarmente elogiativo dell’articolo, che dal fatto fosse stata disattesa in modo così clamoroso la sua disciplina, convocò la madre per comunicarle la sua irrevocabile rinuncia ad occuparsi della formazione del fi glio. Tornò allora in campo l’ipotesi francese e fu interpellato per un consiglio Alfredo Casella, allora appena rientrato da Parigi. Il Maestro, senza esitazione alcuna, decise che il caso Rota era affar suo. Nino avrebbe studiato con lui a Roma dove aveva preso residenza. Questo cambio di direzione, anche geografi ca, avrebbe avuto parecchie conseguenze nella vita futura del giovane artista. Ernesta, coi due fi gli si trasferì nella capitale dove fu accolta dal locale ambiente artistico e intellettuale con generosità ed apertura. In special modo casa Cecchi e il cenacolo di intellettuali che lì si dava convegno divenne presto un punto di riferimento sostitutivo della roteria milanese. Il pragmatismo e la capacità di apertura e comprensione di Casella furono fondamentali per dare al ragazzo la spinta giusta fi no al Diploma di Composizione presso il Conservatorio di S. Cecilia (1929). Contemporaneamente Nino si mise a studiare per prendere la maturità classica presso un collegio religioso, dove incontrò un altro Maestro, Antonio Cianciulli.Nato a Montella nel 1895 e morto a Roma nel 1965, avvocato e professore di lettere, fu una fi gura centrale nella vicenda umana e artistica di Nino Rota, come lo stesso compositore ebbe modo di accennare in una intervista poco prima della scomparsa:«Subito dopo [N.d.R.: il diploma di Composizione a Santa Cecilia] decisi di tentare anche la Maturità. Mi preparava un professore che divenne, poi, l’amico di tutta la mia giovinezza. Si chiamava Michele Cianciulli: era molto più vecchio di me, severissimo. Stavo ad ascoltarlo ed imparavo. Ero portato alle materie classi che. Cianciulli insegnava in un collegio retto dai preti, quello dove studiava mio fratello. Era stato buttato fuori dalla scuola pubblica, perché antifascista. E un giorno se ne andò anche dall’Istituto privato. In piena campagna razzista, i preti gli chiesero il certifi cato di battesimo e lui fece fagotto, sbattendo la porta.» A questo Maestro Nino rimase effettivamente legato tutta la vita, fu Cianciulli ad introdurlo a quegli studi esoterici che divennero parte decisiva nella sua maturazione personale e artistica. Lo stesso Cianciulli ebbe un ruolo di un certo peso nel rapporto con Fellini. Rota, infatti, glielo aveva presentato agli albori della loro amicizia, prima ancora che cominciasse la collaborazione artistica. Un’altra fi gura di peso negli anni di formazione fu quella di Arturo Toscanini. La madre di Rota e la signora Carla, moglie del grande direttore d’orchestra, si conoscevano piuttosto bene e Toscanini fu sempre curioso e sollecito delle sorti del giovane

Nino Rota a New York

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Rota al quale, quando poteva, dedicava scampoli del suo preziosissimo tempo. Così, al termine del corso di studi con Casella, Toscanini si diede da fare per far ottenere a Nino una borsa di studio per accedere al prestigioso Curtis Institute di Philadelphia. Fu, credo, una scelta lungimirante, sia dal punto di vista della formazione personale che da quella artistica. Portare il ragazzo fuori dall’Italia fascista e fargli respirare un’altra aria, non poteva avere che effetti benefi ci. Inoltre, il fortissimo legame con la madre rischiava di diventare soffocante, un periodo di separazione avrebbe aiutato entrambi. Prima della partenza per gli USA, Nino andò a trovare Rosario Scalero, il suo nuovo Maestro di Composizione, che durante l’estate teneva dei seminari in Italia portandosi dietro i suoi allievi di Philadelphia. Lì, oltre al vecchio amico Giancarlo Menotti, incontrò Samuel Barber che in una lettera ai genitori fece questo illuminante ritratto del suo nuovo compagno di studi: «Nino è alla mano anche se precoce. Conosce molte lingue (l’inglese così, così), ha appena fi nito un’Opera, suona il piano molto bene… Un po’ presuntuoso, non molto grande per la sua età, viziato, venire in America penso sarà la cosa migliore per lui… Odia Brahms, e la sua opera che ci ha suonato questa mattina, è molto

pucciniana».Come previsto e prevedibile, l’America innescò una profonda crisi di crescita. Anche se la frequenza al Curtis sarà limitata, per problemi legati alla concessione del visto di espatrio, a solo due dei tre anni previsti per il conseguimento del Diploma (comunque assegnato in absentia nel ’33), quando Rota fece defi nitivamente ritorno a Milano era, fi nalmente, un ragazzo quasi come tutti gli altri. Con più esperienze, molto intelligente e sensibile, sempre mostruosamente bravo con la musica ma, un normale ragazzo di 21 anni. Il lungo soggiorno negli Stati Uniti lontano dalla madre e da tutta la roteria, il rapporto contrastatissimo con il suo – ennesimo – insegnante di composizione, quello felice con Fritz Reiner per la direzione d’orchestra, i frequenti contatti con Toscanini che andava a trovare regolarmente, l’innamoramento per la propria insegnante di pianoforte, avevano seppellito defi nitivamente il bambino prodigio, il fenomeno che un giorno chissà cosa avrebbe fatto, visto che già sapeva tutto quando gli altri dovevano ancora cominciare. Al ritorno, anche la madre dovette prendere atto della mutazione e, pur mantenendo i due un rapporto strettissimo, Nino a questo punto doveva decidere da sé cosa fare da grande. Per prima cosa si iscrisse all’Università, a Lettere, per avere un mestiere di riserva. Con la composizione invece era subentrata una vera crisi d’identità. Di quegli anni il catalogo delle opere riporta pochissimi titoli: una esperienza di musica per il cinema, con un fi lmetto di regime Treno popolare (1933), le Invenzioni per quartetto d’archi (1932) molto tormentate, lontane dalle sue cose precedenti, qualche lirica per canto e pianoforte. Alla fi ne del ’35 però, con l’avvicinarsi della laurea, la situazione sembrò sbloccarsi. Il Quintetto per fl auto, oboe, viola, violoncello e arpa ripristinò un contatto diretto fra Rota e la sua musica, di conserva sancì il

Da sinistra: Nino Rota, Mario Castelnuovo - Tedesco,

Virgilio Mortari

Cartolina del trasloco

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distacco defi nitivo con il mainstream dell’avanguardia musicale contemporanea. Fuor dal movimento Nino si pose defi nitivamente andando a insegnare, dopo regolare concorso, al Liceo Musicale di Taranto nel 1937. La scuola, l’insegnamento come testimonianza di impegno civile e culturale, mezzo di sostentamento per poter continuare a scrivere in liberà la propria musica. Nel 1939 ottenne il trasferimento a Bari, qualche chilometro più a nord e pur sempre capitale delle Puglie. In quegli anni compose le prime due Sinfonie, la Sonata per fl auto ed arpa e la Sonata per orchestra da camera. Il teatro d’opera che aveva frequentato precocemente nella prima adolescenza, tornò al centro dei suoi interessi. Nel giro di 5 anni (1938-43) compose Ariodante e Torquemada entrambe su libretto di Ernesto Trucchi, la prima tratta da Orlando furioso, la seconda dall’omonima tragedia di Victor Hugo. Questa volta parve che Nino più che fuor dal movimento fosse andato proprio fuori di testa. La struttura delle opere e la loro

tematica guardano dritto in faccia al XIX secolo e paiono ignorare tutto quello che è successo dopo. Ariodante, rappresentata a Parma nel ’42, ebbe con un buon riscontro di pubblico ma lasciò Gianandrea Gavazzeni direttore e concertatore dell’opera a dir poco interdetto, e lo stesso fu anche per Fedele d’Amico, un giovane musicologo salito apposta da Roma per ascoltare l’Opera di quel suo amico che aveva conosciuto come il più brillante allievo di Casella. In una lettera alla madre, scritta proprio nel 1943, durante la composizione di Torquemada, Rota chiarì il suo scandaloso punto di vista e le diffi coltà incontrate nell’applicarlo:«Mi ha turbato un po’ ricevere da Trucchi (il librettista) il terzo atto che non andava bene, perché così fatto mostrava chiare le pecche del “genere”. Ma quando le parole sono ben fatte e rispondenti allo scopo, il “genere” per me è perfettamente giustifi cabile. Perché, o si fa un’opera verista, con parole piane piane e con le cose di tutti i giorni e si va nella Bohème, nella Butterfl y, nella Cavalleria e mi sembra cosa passata quante altre mai. O si fa un’opera non verista e allora ci sono due mezzi:1- quello di dire le cose con parafrasi e mezzi termini (ti capisco e non ti capisco) come nel Pelleas oppure infarcirle di fronzoli e fare lunghe tirate contorte per dire una cosa semplicissima come “ti amo” “vai a morire ammazzato” ecc. ecc..2- quello di dire le cose, che non sono le veristiche cose di tutti i giorni, ma atti e sentimenti fuori dalla normalità, in modo chiaro e diretto: e questo ormai al contorto orecchio letterario di oggi suona ridicolo, melodrammatico, vecchio. Ma non è. Lo sarebbe nel caso che alla parola non facessero sostegno la forza e la coerenza della situazione scenica: ma quando questa c’è, e solida, ogni circonlocuzione e complicazione di parola non farebbero che raffreddare il compito della musica. Col risultato ormai abituale di farla diventare quella tiritera uniforme e grigia, se pur bella, che è la morte piena di dignità di tutte le opere di oggi: ho detto».Fu l’evolversi della guerra a dare, da una parte un brusco richiamo alla realtà quotidiana, dall’altra un totale rimescolamento delle carte. La solida situazione economica della famiglia, basata soprattutto su investimenti fi nanziari, declinò rapidamente. Nino riuscì in qualche modo a evitare il fronte e prestò un servizio di leva abbreviato. La madre e il fratello tennero casa a Milano. Lui appena assolti gli obblighi militari riprese servizio a Bari, trovando alloggio a Torre a Mare, un borgo di pescatori a sud della città. Al momento dell’armistizio e dell’invasione tedesca la famiglia rimase spezzata in due. Il fratello al Nord, Nino e la madre fra la Puglia e Roma. A quel punto la situazione economica si era fatta decisamente pesante. Lo stipendio del Conservatorio non veniva corrisposto e, comunque, non era assolutamente suffi ciente a coprire il fabbisogno. Così, quando nel 1942 Raffaello Matarazzo, per cui Rota dieci anni prima aveva musicato il primo fi lm, decise di richiamarlo per un nuovo progetto, sembrò essere una delle poche opportunità offerte a un compositore di guadagnare qualche soldo con il proprio mestiere. Dal 1942 al 1945 Rota fi rmò le colonne sonore di 7 pellicole e fu anche grazie a quei

Rota con Toscanini

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lavori che riuscì a tirare avanti con la madre a carico, vivendo avventurosamente e, quindi, in modo molto dispendioso, fra Roma e Bari. Il cinema, insomma, uscito dalla fi nestra di una episodica esperienza, diventò a quel punto il principale committente di Rota, la cui facilità, rapidità e adattabilità gli valsero il soprannome di ‘coniglio musicale’. Finita la guerra la famiglia si riunì, almeno parzialmente a Roma, il fratello trovò infatti lavoro anche lui nel cinema e Nino continuò a fare il pendolare con la Puglia, dove oltre agli impegni con il liceo musicale, aveva ormai stabilito solide amicizie e dove pure la madre, che lo seguiva spesso, era ormai di casa. Il peggio era passato, in questo clima di speranza e in mezzo alle diffi coltà quotidiane che tutto il paese doveva affrontare, nacque Il cappello di paglia di Firenze (1945-46), una farsa musicale in quattro atti tratta dalla celeberrima commedia di Eugène Labiche e Marc Michel, su libretto dello stesso Rota e della madre Ernesta. Qui, per tornare alla lettera citata sopra, la situazione scenica c’è ed è solidissima e la musica la serve alla perfezione, ma dovranno passare 10 anni prima che il palcoscenico – Palermo, Teatro Massimo, 21 aprile 1955 – ne fornisse la prova. Nonostante i dubbi e le preoccupazioni di amici e conoscenti, che temevano che il lavoro per il cinema potesse togliere tempo al Maestro per le cose sue e lo ponesse fuori dalla cerchia dei compositori di musica d’arte, la guerra aveva lasciato i Rota in una situazione economica tale per cui questa committenza era la via più praticabile per sanare i debiti contratti. Furono anni di lavoro intensissimo, nel quinquennio 1946-50 Rota compose 34 colonne sonore. Nel 1948 Joseph Janni, un suo ex compagno di Università trasferitosi a Londra, si lanciò nella produzione di un fi lm molto ambizioso e gli chiese di comporre le musiche. La pellicola metteva in scena il tormentato triangolo amoroso di un compositore inglese che aveva fatto la guerra in Italia e si intitolava The Glass Mountain.

«(…) Dopo un paio di giorni a Venezia andammo su a Cortina in automobile e alloggiammo all’Hotel Argentina a Pocol, una piccola località presso il paese. Lì incontrammo i nostri colleghi attori italiani, il grande Tito Gobbi, e la bella e enigmatica Valentina Cortese. L’entourage di Valentina era composto dalla nonna, Victor de Sabata, una baronessa-segretaria austriaca e un giovane uomo di nome Walter che continuava a minacciare d’andare in

Africa per dimenticarla. A volte cambiava d’abito ad ogni piatto della cena; era a prima vista, una strana scelta per la parte di una semplice ragazza di montagna (…) Con Tito stringemmo una durevole amicizia. Questo quando Tito non era ancora una star mondiale dell’opera quale di lì a poco divenne; infatti ironicamente fu The glass mountain che lo fece conoscere al grande pubblico in Inghilterra e che giocò in suo favore nel renderlo una delle maggiori attrazioni al Covent Garden. Tito affrontò il suo ruolo nel fi lm con l’entusiasmo proprio del suo carattere; fu particolarmente affascinante guardarlo lavorare con il compositore Nino Rota, mentre adattavano la musica dell’opera di dieci minuti a miglior vantaggio della sua magnifi ca voce. (…) Quando raggiungemmo Venezia, dove la maggior parte delle scene del fi lm vennero girate in quel meraviglioso teatro lirico, il Teatro La Fenice, e dove il mio ruolo mi richiedeva di dirigere un’orchestra per l’unica volta nella mia vita, Tito ci chiese una sera di andare con lui al Casinò. (…) Tito chiese anche a Nino Rota di unirsi al gruppo. Nino un mite piccolo uomo dalle orecchie appuntite e dai grandi occhi – Tito lo aveva battezzato Bambi - era direttore dell’Accademia di musica di Bari ed era, lo venimmo a sapere nel grande mondo per la prima volta. Era nervoso per la sua prima esperienza al Casinò, ma prese Tito a modello e decise di rischiare. Al Casinò ci separammo. Dulcie ed io presto perdemmo i trenta scellini che era tutto quello ce potevamo permetterci; dopo una mezz’ora Tito nello stesso modo ne ebbe abbastanza. Bambi non si trovava.

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‘Andiamo a casa – disse Tito – penso che Bambi sia già là’. C’era la luna piena sul Canal Grande e come incominciammo il nostro viaggio di ritorno in Gondola, Tito, che è veneziano d’origine, iniziò a cantare con la sua nobile voce le semplici romantiche canzoni dei gondolieri. Le imposte cominciarono ad aprirsi lungo entrambe le rive del canale e ad ogni fi nestra apparvero delle facce. Presto sembrò che l’intera città lo stesse ascoltando incantata insieme a noi. Il percorso fi no all’Hotel fu troppo breve. Nessun segno di Bambi. Piuttosto ansiosi noi tre prendemmo un caffè e ci preparammo a stare alzati. Alla fi ne il prodigo arrivò, apparentemente senza averne risentito. ‘Bambi! – esclamò eccitata Dulcie – Hai vinto?’ ‘No – rispose con soddisfazione – Ma ho perso molto lentamente.’»Michael Denison Ouverture & Beginners. The story of Dulcie Gray and Michael Denison London, 1973, pp 221-222

La complessità della parte musicale, che prevedeva anche la partecipazione di una stella del bel canto quale Tito Gobbi, e le differenti locations portarono il Maestro a viaggiare spesso fra Venezia, Cortina e Londra, dove rimase a lungo per la registrazione della colonna sonora. Durante i suoi soggiorni nella capitale inglese, Rota ebbe una relazione con una pianista italiana, Magda Longari, dalla quale nacque la sua unica fi glia, Marina. Le musiche composte per il fi lm ebbero un grande successo, soprattutto nel Regno Unito, dove il tema principale del fi lm divenne uno standard per le orchestre di intrattenimento, ebbe svariate incisioni discografi che e la BBC ne fece addirittura una sigla per i suoi programmi radiofonici. Se pure decisamente ridotte per numero, le opere extracinematografi che di questi anni sono particolarmente signifi cative. Accanto a Il cappello di paglia di Firenze troviamo il Concerto per arpa e orchestra (1947-50), la Fantasia per pianoforte in sol (1948), due testimonianze di una maturazione stilistica in grado di dispiegare sempre più precisamente una voce personale. Nel 1950 morì improvvisamente il fratello minore Gigi al quale il Maestro era molto legato. La nomina a Direttore del Liceo Musicale Piccinni ravvivò il rapporto con Bari e la Puglia, in un momento nel quale questa occupazione, oltre al cronico defi cit di tempo provocato dal pendolarismo con Roma, pareva non avere più giustifi cazioni di ordine economico. Nino, rimasto solo con la madre, intensifi cò i propri impegni con il cinema – 77 colonne sonore nel decennio 1951-60 – ma, al di là del dato quantitativo questi furono gli anni nei quali si avviarono le collaborazioni importanti e decisive nel defi nire il complesso dell’opera rotiana. C’era per esempio quel riminese, conosciuto negli ultimi anni di guerra, erano diventati amici e si incontravano spesso negli uffi ci delle case di produzione. Finalmente, dopo anni di collaborazioni come sceneggiatore, gli avevano affi dato un fi lm da dirigere e aveva chiesto a Nino di scrivere la musica. Il Diario della madre di Nino ce lo racconta così:«Roma, 13/3/1952(…). Ieri, a mezzanotte, si è fi nito con questa incisione dello Sceicco bianco della malora. Da tre giorni ci tiene in ballo e Nino ci fa su le nottate (…). Ieri Nino è stato dentro la Fonoroma senza respiro dalle due a mezzanotte passata, prodigandosi senza spreco, perché Previtali, quando soltanto chitarra e mandolino sono rimasti in gioco, se ne è andato e Nino ha assunto lui la direzione, coadiuvato da Fellini, che dietro stava in ascolto e suggeriva modifi che. (…) Fellini, a festeggiare la conclusione del fi lm, ci ha portati da ‘Ernesto’, in Via S. Apostoli. Pollo alla diavola, insalatina, arancio pelato e ben presentato. C’era la Magnani, a un tavolo poco discosto, tipo di selvaggia molto interessante. Conclusione, tornammo a casa alle due, portati dal nostro simpatico anfi trione, dal quale mi sono accomiatata con baci e abbracci».Da Lo sceicco bianco fi no a Prova d’orchestra (1979), Nino Rota e Federico Fellini non si lasceranno più, costituendo una delle coppie artistiche più longeve e signifi cative nella storia del cinema. La strada, La dolce vita, Otto e mezzo, solo per limitarci a tre titoli, non sarebbero stati quelli che ancora oggi sono, dei capolavori, senza quelle musiche che paiono le uniche in grado di arredarli seguendo la particolare, sensibilissima e umanissima poetica

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del grande regista romagnolo.Nel 1954 morì Ernesta Rota Rinaldi, Nino rimase solo, la madre era stata un punto di riferimento inalienabile per tutta la vita. Chi l’ha conosciuta la descrive come una donna dal carattere fortissimo, anticonformista, di grande sensibilità e con una cultura ampia ed eterogenea. Ma, la sua, fu un’affollatissima solitudine. Al Piccinni a Bari dove, come si usava al tempo, i direttori avevano un appartamento all’interno dell’edifi cio scolastico, ebbe una intera scuola come famiglia. A Roma, un rifugio sicuro fu sempre casa Cecchi d’Amico. Lì cinema e musica si incontravano materialmente, la sceneggiatrice Suso Cecchi, fi glia di Emilio e sua amica fi n dall’adolescenza, aveva infatti sposato il musicologo Fedele d’Amico. Infi ne,

la cugina Titina (1899-1978), pittrice e scenografa che fu quasi una sorella e con la quale mantenne una fi ttissima corrispondenza per tutta la vita. Gli anni ’50 segnarono anche l’inizio della collaborazione con Luchino Visconti, i due si conoscevano fi n dagli anni milanesi, ma fu proprio per il tramite di Suso Cecchi che si concretizzò questo sodalizio con le musiche per il fi lm Le notti bianche (1957) e quelle per lo spettacolo teatrale L’Impresario delle Smirne (1957). Di quegli anni particolarmente signifi cativi furono, nell’ambito della musica sinfonica, le Variazioni sopra un tema gioviale (1953) e la Sinfonia N. 3 (1956-57). Accanto a questi, vale qui la pena di ricordare il Trio per fl auto violino e pianoforte (1958), che è fra i suoi lavori cameristici più felici e un singolare trittico teatrale, interamente ascrivibile al 1959. L’Idillio La scuola di guida di Mario Soldati, la Favola Lirica di Eduardo De Filippo Lo scoiattolo in gamba e il dramma buffo di Riccardo Bacchelli La notte di un nevrastenico, con il quale vinse il prestigioso Prix Italia. Il Maestro, nonostante gli impegni cinematografi ci e quelli scolastici, nel giro di un anno riuscì a scrivere tre opere, per le dimensioni meglio dire operine, con tre nomi di primo piano delle lettere e del teatro italiano. Nel 1959-60 venne composto anche il Concerto per pianoforte e orchestra in do dedicato ad Arturo Benedetti Michelangeli, amico di lunga data e suo grande estimatore. Da allora i due ebbero incontri quasi annuali per limare, provare e riprovare questo concerto che il grandissimo pianista aveva promesso di portare al debutto. Di rinvio in rinvio non se ne fece niente e, quando Rota morì, il generoso tentativo di Michelangeli di registrare il Concerto, si infranse sull’opposizione della sua casa discografi ca che non ritenne Rota degno di tale onore. L’ultra trentennale amicizia con Michelangeli mette qui in campo la lunga lista di celebrità frequentate dal Maestro e mai ostentate, per un tratto di modestia e discrezione che fu parte predominante del suo carattere. Oltre al già citato Toscanini, vale qui almeno la pena di citare uno dei maggiori, se non il maggiore compositore del XX secolo, Igor Stravinskij. Fu Alfredo Casella a presentarli alla fi ne degli anni ’20. Se, al principio, per ammissione dello stesso Rota, il loro rapporto fu basato sulla enorme stima e ammirazione che il giovanissimo italiano aveva di Stravinskij e della sua musica, con il passare degli anni si trasformò in una amicizia consolidata dal fatto che il nostro non chiese mai al musicista russo pareri, raccomandazioni sulle proprie composizioni e in più, masticando qualche parola di russo, aveva reso le loro conversazioni più intime, facendo breccia nel cuore dell’esule. La decade degli anni ’60 fu caratterizzata dalla defi nitiva consacrazione del Maestro nel campo della musica cinematografi ca e da una produzione di opere da concerto decisamente più signifi cativa e copiosa. Rota era fi nalmente nella posizione

Rota con Fellini

Dedica di Stravinskij a Rota

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di scegliere solo i lavori cinematografi ci che giudicava più interessanti e questo signifi cò un notevole risparmio di tempo e di energie da riservare alle sue cose. I successi si susseguirono con frequenza ed ampiezza sempre maggiori provocando, in anni nei quali la distinzione fra musica seria e di intrattenimento era ancora particolarmente marcata, una sempre maggiore dicotomia nella valutazione critica della sua opera. Già il solo fatto di essere l’autore mettiamo dello struggente tema d’amore di Romeo e Giulietta piuttosto che della canzonetta tormentone W la pappa col pomodoro, lo rendeva indigesto a critici e musicologi. Il perseverare poi nello scrivere musica così come aveva sempre fatto, cioè a dire sempre più lontana da quelle che erano giudicate le specifi che istanze dell’avanguardia, lo rendeva quasi un provocatore che, per di più, otteneva dal pubblico, anch’esso da educare secondo i maître- à - penser dell’epoca, riconoscimenti e applausi assolutamente immeritati. Il musicista di Fellini, Visconti, Zeffi relli e De Filippo per mettere sul piatto un poker di nomi che segnò la storia del cinema e del teatro nella seconda metà del novecento, proseguì imperterrito a dirigere il Piccinni a Bari, fi nalmente promosso al rango di Conservatorio nel 1959, dove la sera trovava la calma necessaria per dedicarsi alle sue creazioni e dove, qualche anno prima, era passato un ragazzino a dare, come privatista, l’esame di quinto anno di pianoforte. Rota, che cercava di essere sempre presente agli esami, chiese alla commissione di assegnare tutti 10 a quel ragazzo non per come aveva suonato – comunque bene – ma per come avrebbe potuto suonare. Gli chiese poi se fosse possibile avere un colloquio con i suoi genitori, i Signori Muti, perché riteneva che dovesse proseguire gli studi musicali. Riccardo Muti racconta ancora volentieri quell’incontro fatale per il suo destino e l’amicizia che lo legò a Rota, che non smise mai di seguire i suoi progressi negli studi e, poi, nella carriera artistica. Questa decade segna anche un ritorno del Maestro alle composizioni di ispirazione religiosa sia nel campo della tradizione liturgica – in catalogo troviamo 3 Messe, numerosi mottetti e inni – che in senso più lato nel cercare di comporre un’opera che potesse esprimere quella religiosità ecumenica, più vicina alla propria natura e formazione. Con la cantata sacra per soli coro e orchestra Mysterium (1962), Rota trovò, sia dal punto di vista della scelta dei testi sia nel trattamento musicale, una felice sintesi di questo suo percorso spirituale. In campo teatrale, non si può omettere il grandissimo successo riscosso con il balletto La strada (1966) e ben due opere liriche: Aladino e la lampada magica (1963-65) tratta da Le mille e una notte e La visita meravigliosa (1965-69) dall’omonimo racconto di H. G. Wells. In questi anni si intensifi cò la collaborazione con Vinci Verginelli, amico e sodale di studi ermetici, che lo aiutò nella scelta dei testi per il Mysterium, scrisse il libretto de L’Aladino e fu il consulente per le liriche di due altre opere: l’oratorio per soli coro e orchestra La vita di Maria (1968-70) e la cantata profana Roma Capomunni (1970-71). Rota, anche negli ultimi anni, rimase fedele a uno stile di vita faticosissimo, il pendolarismo fra Roma e Bari continuava a svolgersi in treno poiché l’aereo, se poteva, evitava di prenderlo. Così, anche le continue richieste di presenziare a manifestazioni in suo onore, a dirigere personalmente le proprie musiche, erano selezionate ferocemente dalla cronica mancanza di tempo. Questo non gli impedì comunque di effettuare una tournée in Giappone, un viaggio nell’Unione Sovietica e, all’estremo dei suoi giorni nel 1978, a tornare negli Stati Uniti, a quasi 50 anni dall’esperienza di studio al Curtis Institute di Philadelphia. Rimangono da menzionare ancora due incontri importanti che caratterizzarono l’ultima stagione creativa del Maestro, quello con Francis Ford Coppola, per il quale musicò la saga cinematografi ca de Il Padrino vincendo, primo italiano per la musica, un Premio Oscar nel 1974, e quello con Maurice Béjart, il grande coreografo francese. Béjart, grande ammiratore di Fellini e della sua opera cinematografi ca, aveva individuato il contributo determinante delle musiche rotiane in questi fi lm e decise, per uno dei suoi progetti più ambiziosi, il Ballet comédie omaggio a Molière, di chiedere al compositore milanese la partitura musicale. Nacque così Le Molière Imaginaire (1976), un capolavoro che purtroppo la frenetica attività e creatività di Béjart misero rapidamente in archivio. I due rimasero in contatto e riuscirono ad allestire insieme un altro spettacolo, Dichterliebe –Amor di Poeta (1978). La morte di Rota purtroppo troncò un rapporto che pareva destinato a generare molti altri progetti. Nel 1976, dopo più di 25 anni di direzione di quell’Istituzione a cui aveva dedicato tanta energia e passione, andò in pensione e lasciò il Conservatorio. Nel 1977 andò in scena la sua ultima opera lirica, Napoli

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Milionaria! di Eduardo De Filippo, basata sull’omonimo dramma del grande attore e commediografo napoletano. L’opera fu prodotta dal Festival dei Due Mondi di Spoleto, geniale invenzione di Giancarlo Menotti, antico rivale di Nino nell’agone degli enfants prodiges nella Milano degli anni ’20. Questa volta la critica fu più unanime del solito nello stroncare l’opera. Rota reagì come era uso fare, senza polemica né astio, si limitò a far notare che al pubblico era piaciuta e si apprestò a una revisione completa del lavoro in vista di nuovi allestimenti. Un concerto per pianoforte e orchestra, Concerto in mi ‘Piccolo mondo antico’(1978), le musiche di scena per La dodicesima notte… o quel che volete! di Shakespeare (1978-79), furono gli ultimi due lavori di un catalogo che, comprendendo anche le colonne sonore cinematografi che, assomma a 347 numeri, concreta testimonianza di una vita operosissima. Morì a Roma il 10 aprile del 1979, mentre stava lasciando la clinica dove era stato per effettuare alcuni esami. Soffriva da tempo di una insuffi cienza cardiaca che non aveva mai voluto trattare chirurgicamente.

I - « (…) Per me Nino era uno dei tre o quattro musici sti contemporanei. Era un musicista totale. Ho letto su di lui delle critiche riduttive, ridicole. Viveva nella musica con la libertà e la felicità di una creatura che viva in una dimensione che le è spontaneamente congeniale. La no stra intesa era tale che abbiamo rischiato i tempi più stretti, le date di scadenza più draconiane, ma tutto poi si concludeva nella più gioio sa sicurezza. La sicurezza che tutto sarebbe fi nito per il meglio con lui non ci ab bandonava mai. Ricordo di lui un’immagine indimenti cabile. Stavamo incidendo. In un grande salone,

dietro una vetrata, c’erano gli or chestrali; presso gli orche strali c’era il direttore; tutt’intorno microfoni, spie, congegni meccanici. Tutt’a un tratto Nino, in punta di piedi, come un fantasma, si portò presso un oboe e con una matita aggiunse delle note alla partitura. Erano questi i ‘miracoli’ di Nino. (…) ».3 II - « (…) Oppure un certo scatto degli occhi ve lo dichiarava improvvisamente partito per altre regioni. Eppure recuperava poi sempre, per vie note a lui soltanto, ed evidentemente indolori ad ogni disguido: fragile ma invulnerabile, le frizioni fra i suoi itinerari segreti e il ‘mondo’ producevano poi, miracolosamente, energia; e ordine esatto e partiture magistrali, e doni delicatissimamente opportuni. Così, se nessuno ebbe mai modo di sorprenderlo nel minimo moto d’ira, non perciò le sue reazioni erano fi acche, ma piuttosto lapidarie. A un autorevole studioso che gli dogmatizzò: “Il Doktor Faust di Busoni è la più bella opera del secolo” pacatissimamente rispose: “Lei è un maleducato”. (…) ».4

III - « (…) Dissi altre volte che il musicista non partecipa della comune specie umana, ma che egli è in mezzo a noi terrestri come un animale acquatico o come un animale dell’aria. Il suo elemento non è di quelli in mezzo ai quali viviamo noi, ma la musica, la quale di per sè stessa non é un’arte, come siamo usati di dire, ma un elemento vero e proprio: il più lontano da noi, il più estraneo. E il musicista pertanto compie uno sforzo continuo uno sforzo “doloroso” a vivere in mezzo a noi, come un pesce esiliato dal mare e condannato a respirare la nostra medesima aria, faticando le branchie e ansimando. A queste cose io ripensavo guardando Nino Rota al piano. Egli è il più “musicale” dei musici che io conosca. Voglio dire che egli vive “soltanto” in musica e là solo è felice; la sol... Sparisce allora ogni fatica di vita, ogni fatica

Da destra: Rota, Suso Cecchi d’Amico, Fanco Zeffi relli

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materiale; e poiché anche il sonare è un’azione meccanica e dunque una fatica, Nino Rota suona come per conto di un altro. Di chi? Della musica.».5

1 Giovanni Rinaldi (1840-95) scrisse più di 100 titoli per solo pianoforte in gran parte pubblicati da Ricordi, visse con la moglie a Genova dove entrambi insegnavano musica. La loro casa fu meta obbligata di tutti i musicisti di passaggio in città, frequentò Verdi e conobbe Garibaldi.

2 Leonardo Pinzauti MUSICISTI D’OGGI - Venti colloqui - Torino, 1978. Successivamente in Fra musica e cinema: il caso Nino Rota a cura di Francesco Lombardi, Firenze 2000.

3 Federico Fellini, L’amico magico, ‘Il Messaggero’ 13/4/1979.

4 Fedele d’Amico, La farfalla sul pianoforte, ‘L’Espresso’ n. 17, 29/4/1979.

5 Alberto Savinio, Scatola sonora – Il musicista, ‘Voci’ n. 14, 28/10/1944.

Testi di Francesco LombardiConservatore archivio Nino Rota Fondazione Giorgio Cini

Le immagini provengono dall’Archivio Rota-Fondazione Giorgio Cini di Veneziaper gentile concessione

Da destra: Nino e il fratello Gigi

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

- G. Gavazzeni, Brevi capitoli su Nino Rota, Musicisti d’Europa, Milano 1954

- M.Mila, Il vaudeville di Nino Rota, in Cronache Musicali 1954-59. Torino 1959

- G. Vigolo, Le sorprese del novecento, in Ricordiana, Milano 1959

- P. M. De Santi, La musica di Nino Rota, Bari 1987

- D. Fabris, Nino Rota compositore del nostro tempo, Bari 1987

- F. Borin (a cura di), La fi lmografi a di Nino Rota, Firenze 1999

- F. Lombardi (a cura di), Fra cinema e musica del novecento: il caso Nino Rota, Firenze 2000

- J. Simon, The other Rota, in The New Criterion vol. 19 n. 1, New York 2000

- G. Morelli (a cura di), Storia del candore, Firenze 2001

- V. Rizzardi (a cura di), L’undicesima musa Nino Rota e i suoi media, Roma 2001

- F. Lombardi, Pirati? Sirene? Una lettera di Federico Fellini, in AAM • TAC 4-2007, Pisa-Roma

- R. Calabretto, La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il Gattopardo, in AAA • TAC 5-2008, Pisa-Roma

- F. Lombardi (a cura di), Nino Rota Catalogo critico delle composizioni da concerto, da camera e delle musiche per il teatro, Firenze 2009

- E. Sala, «Qualcosa di arcaico e modernissimo al tempo stesso» Primi appunti sulle musiche di Nino Rota per il Fellini-Satyricon, in Fellini-Satyricon l’immaginario dell’antico, Milano 2009

NINO ROTA Bibliografi a

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

A - Cross over miscellanee omaggiAmarcord Nino Rota - HANNIBAL Amarcord, La Fogaraccia, 8 ½, Lo Struscio, Giulietta degli spiriti, Gary Cooper, Satyricon, Ti Ricordi Di “Siboney”?, Medley: Lo sceicco bianco/I Vitelloni/ II Bidone/Le notti di Cabiria /Tutti a Vedere Il Rex

Nino Rota por Solistas Brasileiros - KUARUP Amarcord, La dolce vita, Tema d’amore da The Godfather, Bevete piu latte, 8 ½, La strada, La fogaraccia, La gradisca si sposa e se ne va, Trastaverina, A time for us, Roma, Terra lontana, Amarcord

Nino Rota L’amico magico - SUGAR MUSICAvion TravelParlami di me, Pelle bianca,The immigrant, Brucia la terra, Ai giochi addio, Canzone arrabbiata, Amacord , Lla rì lli rà, Gelsomina, Bevete più latte, Quello che non si dice (new carpet), Lo struscio, La passarella di 8 e 1/2

B - Musica da concerto

Chamber Music – BISKREMERata MUSICAGidon KremerPiccola Offerta Musicale for wind quintet, Sarabanda e Toccata per Arpa, Trio per Flauto, Violino e Pianoforte , Ippolito gioca per Pianoforte, Il Presepio per soprano e quartetto d’archi, Cantilena da Sette pezzi per bambini per Pianoforte solo, Intermezzo per Viola e Pianoforte, Puccettino nella giungla da Sette pezzi per bambini per pianoforte solo, Nonetto

Rota - Sinfonie n. 1 e 2 - BIS Norrköping Symphony Orchestra - Ole Kristian RuudSinfonia n. 1 in Sol maggiore, Sinfonia n. 2 in Fa maggiore, Tarantina, Anni di pellegrinaggio

Rota – Sinfonia n 3 - BIS Norrköping Symphony Orchestra, Ole Kristian Ruud, Hannu KoivulaSinfonia n. 3 in Do maggiore, Concerto festivo per orchestra, Le Molière imaginaire – Suite dal balletto

Nino Rota- SONYOrchestra Filarmonica della Scala, Riccardo MutiLa strada, Ballet suite, Concerto per archi, Danze da Il Gattopardo

Nino Rota- Music for fi lm – SONY Orchestra Filarmonica della Scala, Riccardo MutiThe Godfather, 8 e ½, La dolce vita, Prova d’orchestra, Rocco e i suoi fratelli, Il Gattopardo

Nino Rota- Piano music – BRILLIANTMichelangelo Carbonara Ippolito Gioca, Fantasia in Sol: Andante , Ballo della Villanotta in erba, Allegretto rustico, Suite dal Casanova di Fellini, Bagatella: Andante espressivo, 15 Preludi, Waltz: Valse lento molto cantabile, un poco liberamente

NINO ROTA Discografi a

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Nino Rota- La Strada- ATMAOrchestre Metropolitain du Grand Montreal, Yannuck NézetLa strada – Ballet suite, Concerto per arpa e orchestra, Concerto per trombone e orchestra

La visita meravigliosa - LA BOTTEGA DISCANTICAOpera in due atti e nove scene (dal romanzo di H.G. Wells) - Libretto e musica di Nino Rota Orchestra e Coro del Teatro Sociale di Rovigo

Lo Scoiattolo in gamba -LA BOTTEGA DISCANTICAFavola lirica in un atto di E. De Filippo Cristallo di Rocca Musica per lo sceneggiato radiofonico tratto dal racconto di Adalbert Stifter,adattamento di Quirino Principe - Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, Direttore Giuseppe Grazioli

Mysterium -LA BOTTEGA DISCANTICA Oratorio per Soli, Coro, Coro voci bianche e Orchestra in 7 parti Cori e Orchestra della Pro Civitate Christiana di Assisi

Ex Novo Ensemble- ASV Quntetto per fl auto, oboe, viola, violoncello e arpa

Enrico Bronzi – I Musici di Parma - MUSIC MEDIA CDConcerto per violoncello n. 2

La notte di un nevrastenico – LA BOTTEGA DISCANTICADramma buffo in un atto. Libretto di R. Bacchelli; Nonetto per 9 strumenti; Gruppo Strumentale Ricercare-

I due timidi - Twilight TWI CDI due timidi, opera radiofonica in un atto – Sonata per viola e piano Orchestra della RAI di Roma, Franco Ferrara-

Rota - NAIVEL’oeuvre pour piano, Concerto Soirée, Fantasia Don Giovanni, Sonata per orchestra da cameraOrchestra della Città di Ferrara, Giuseppe Grazioli, Danielle Laval

C- Colonne sonore originali

Nino Rota - Amarcord- cam Nino Rota - Giulietta degli spiriti - cam Nino Rota - Prova d’orchestra - cam Nino Rota - Il casanova di federico fellini - cam Nino Rota - La dolce vita - cam Nino Rota - Otto e 1/2- cam

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Mario Shirai Grigolato VIOLONCELLO

Mario Shirai Grigolato ha iniziato gli studi di violoncello con il maestro Franco Zecchino ed ha continuato con Antonio Sanarica, conseguendo il diploma di violoncello presso il Conservatorio Statale di Lecce “Tito Schipa” con il massimo dei voti. Si è poi prodigato nello studio del violoncello, seguito da Christian Bellisario, docente del Conservatorio Statale di Riva del Garda, e attualmente studia con Marco Scano, docente del Conservatorio “G. Verdi” di Milano.

Ha fatto parte, come violoncellista, del quartetto “Herbert”, del gruppo barocco “Musica Antiqua” e del gruppo “Astor Piazzolla” con i quali si è esibito in Puglia, Basilicata e Calabria. Ha collaborato con l’Orchestra Lirico Sinfonica Salentina di Lecce e l’Associazione “Eur Pesaro” nel ruolo di primo violoncello. Si è esibito nelle alle stagioni liriche del Teatro Verdi di Sassari e del Teatro Coccia di Novara in questa occasione nel ruolo di secondo violoncello.

Valentina Corradetti SOPRANO

Nata ad Ascoli Piceno. Intraprende lo studio del canto lirico sotto la guida del soprano Rossella Marcantoni con la quale si diploma nel 2007 con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio “U.Giordano” di Rodi Graganico, sez.staccata di Foggia. È attualmente allieva del mezzosoprano Paola Pittaluga presso la Scuola dell’Opera Italiana di Bologna, dove ha potuto perfezionarsi con Fiorenza Cedolins, Josè Cura, Ileana Cotrubas, Dolora Zajick, Alfonso Antoniozzi, Vittorio Terranova, Francisco Araiza, Luis Alva, Sonia Ganassi, Carlo Colombara, Dunja Vejzovic, Tiziana Fabbricini,

con i Direttori d’Orchestra Bruno Bartoletti, John Axelrod, Eythan Pessen, Riccardo Frizza e con i registi Davide Livermore e Damiano Michieletto Nell’ottobre 2008 debutta in La Traviata (Annina), al Teatro Sociale di Rovigo, sotto la direzione di Tiziano Severini e la regia di Denis Krief. Nel novembre 2008 Aida (Gran Sacerdotessa), al Teatro G.Verdi di Padova diretta da Omer Wellber e regia di Hugo De Ana. Nel giugno 2009 debutta la Voix Humaine di F.Poulenc al Teatro Guardassoni di Bologna, diretta da Salvarore Percacciolo. Nell’ottobre 2009 debutta in La Bohème nel ruolo di Mimì al Teatro Comunale di Bologna, diretta da Massimiliano Caldi con la regia di Lorenzo Mariani. Sempre al Comunale di Bologna a Febbraio del 2010 interpreta Elettra nell’ Idomeneo di W.A.Mozart diretto da Michele Mariotti con la regia di Davide Livermore. Nel maggio 2010 si è esibita in diretta radiofonica con l’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino per il concerto “Festival delle voci nuove” diretto da Pietro Mianiti. Nell’estate 2010 interpreta il ruolo di Maria Rosaria in Napoli Milionaria di Nino Rota, opera di apertura del 36°Festival della Valle d’Itria di Martina Franca (TA) diretta dal M°Giuseppe Grazioli con la regia di Arturo Cirillo; e diretta dal M°Matteo Pais canta in Egmont (op.84) musica di scena composta da L.van Beethoven.Numerosi i concerti di musica sacra: Gloria RV 589 di A.Vivaldi, Stabat Mater di G.B.Pergolesi, Laudate pueri di G.B.Pergolesi, Stabat Mater di L.Boccherini, Stabat Mater D.Scarlatti, Oratoire de Noel di C.Saint-Saens, Requiem Op.48 di G.Faurè, Lauda per la natività del Signore di O.Respighi.Prima fra tutti nel novembre 2009 la Krönungsmesse K 317 di W.A.Mozart diretta dal M°Roberto Abbado all’Auditorim Manzoni di Bologna. Sempre diretta da Roberto Abbado nel dicembre 2009 canta Die Burger als Edelmann op.60 musiche di scena per attore voci e orchestra di R.Strauss. Ha al suo attivo concerti in Italia e all’estero per importanti associazioni musicali: Milano, Roma, Palermo, Trier, Koburgh Bad Rodach, Vienna, Salisburgo, Cracovia, Cestocova, Budapest, Lione, Lourdes, Tunisi, Zurigo, Londra, Berlino, Praga, Lipsia, Montreal, Francoforte, Bruxelles, Ulm, Lussemburgo.

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Nel 1996 ha superato le audizioni del corso di formazione dell’Orchestra Giovanile Italiana di Fiesole e dell’Orchestra Laboratorio Urbano di Bari. Nel 1997 ha partecipato alla tournée svoltasi ad Altenburger (Lipsia, Germania) con l’orchestra “Est-West Internationale Musik-Akademie & V.” Nel 1998 ha superato le audizioni di “Spoleto Festival” e dell’“Accademia Filarmonica della Scala”, seguendo regolarmente i corsi di perfezionamento indetti da quest’ultima e superando l’esame fi nale con il massimo dei voti. Dal 1999 suona nell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi.

Elena Piva ARPA

Elena Piva è nata a Rovigo nel 1972. Inizia gli studi presso il Conservatorio della sua città ma si diploma in Arpa al Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze nel 1992 con il massimo dei voti e la lode. Sin da subito è evidente il suo talento esecutivo e artistico: dunque la strada è tracciata per iniziare una carriera artistica. Il suo perfezionamento è stato seguito da docenti quali J. Borot, F. Pierre, J. Liber e U. Holliger. Diversi i premi vinti sin dai primi anni di carriera, in Concorsi Nazionali e Internazionali, come solista e in formazioni cameristiche. Nel 1994 arriva il primo incarico uffi ciale in orchestra, infatti, dal 1994 al 1997 è Prima Arpa dell’Orchestra Giovanile Italiana.

Nel 2000 ottiene il posto di Prima Arpa presso l’ Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, ruolo che occupa tutt’oggi. In qualità di prima arpa ha avuto il piacere di suonare diretta da R. Chailly, R. Barshai, G. Prêtre, R. Muti, V. Gergiev, G. Noseda, Y. Sado, V. Jurowski, L. Berio, e tanti altri, e con solisti di fama mondiale quali A. Toradze, E. Dindo, Swingle Singers, ecc. Con la stessa Orchestra ha inciso diversi cd con case discografi che leader nel settore quali Deutsche Grammophon (solista Placido Domingo), BMG e Decca.Numerosissime le tournée in qualità di prima e seconda arpa in Europa, USA, Isole Canarie, Giappone, Cina, Corea, Italia e Svizzera, con diverse orchestre fra le quali la Verdi, quella del Teatro alla Scala di Milano, e altre. L’intransigenza verso sè stessa nella ricerca della qualità e la costanza nello studio e nell’impegno l’hanno resa presto un punto di riferimento per molte orchestre italiane e straniere, sempre più numerose sono infatti le collaborazioni con enti fra i quali l’ Orchestra Filarmonica della Scala (con la quale ha partecipato alla tournée negli Stati Uniti con il Riccardo Chailly e a quella in Asia con Myung-Whun Chung), Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestra dell’Ente Lirico di Cagliari, Orchestra del Teatro “V. Bellini” di Catania, Orchestra del Teatro Regio di Parma, Orchestra Sinfonica di Roma, Orchestra Filarmonica Veneta “G.F. Malipiero”, Orchestra “G. Cantelli” di Milano, Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, Orchestra delle Settimane musicali di Stresa, Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, Orchestra de “I Pomeriggi Musicali” di Milano.Il suo impegno orchestrale ha da sempre rappresentato uno stimolo per ampliare il proprio repertorio solistico e da camera: ad oggi vanta quasi l’intera gamma di concerti solistici per arpa e tutti i brani scritti nei diversi secoli dagli autori più rappresentativi nella musica per questo strumento. Negli ultimi mesi ha eseguito come solista, in diverse occasioni, il Concerto di Mozart per arpa, fl auto e orchestra con formazioni quali “I Solisti Veneti” e l’Orchestra di Stato della Romania. La musica da camera, altra sua grande passione, di anno in anno si arricchisce di nuove formazioni da lei esplorate; fra gli ensemble che tengono concerti in Italia e all’Estero ricordiamo quelli per arpa e fl auto, arpa e violino, arpa e viola, arpa e clarinetto, arpa e violoncello, arpa e corno, trio fl auto, viola e arpa, trio chitarra, mandolino e arpa, quartetto fl auto, violino, violoncello e arpa, quintetto e settimino. Eterna innamorata del proprio strumento ha esplorato il repertorio in ogni formazione possibile. Duo, trio, quartetto e sestetto di arpe eseguendo anche brani in “prima” assoluta.

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Simone Pedroni PIANOFORTE

Simone Pedroni, novarese di nascita, si è diplomato nel 1990 col massimo dei voti, la lode e la menzione speciale al Conservatorio “G. Verdi” di Milano, sotto la guida del M° Piero Rattalino. Ha studiato inoltre con Lazar Berman e Franco Scala all’Accademia pianistica “Incontri col Maestro” di Imola, dove nel 1995 ha conseguito il “Master Degree”. Dopo aver ottenuto nel 1992 il Secondo premio al Concorso Arthur Rubinstein di Tel-Aviv e il Primo premio al Concorso Queen Sonja di Oslo, nel 1993, a 24 anni, vince il Primo Premio (Gold Medal) e il

Premio di musica da camera alla nona edizione del Concorso Van Cliburn in Texas. È stato solista con la Royal Philharmonic Orchestra diretta da Sir Yehudi Menuhin, I Virtuosi di Mosca diretti da Vladimir Spivakov, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Zubin Mehta, l’Orchestra Nazionale della RAI a Torino diretta da Eliahu Inbal, l’Orchestra Filarmonica di Oslo diretta da Pinchas Steinberg, l’Orchestra Giovanile Italiana diretta da Roberto Abbado (tournée in Sud America col Concerto n.1 di Brahms), l’Orchestra Sinfonica de I Pomeriggi Musicali diretta da Aldo Ceccato, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra da Camera di Praga (con cui ha realizzato una tournée di 29 concerti negli Stati Uniti), I Musici di Montreal diretti da Yuli Turovsky, la National Polish Radio Symphony Orchestra a Katowice diretta dal leggendario M° Stanislav Skrowaczewski (Concerto di Schumann), la Filarmonica di Mosca, l’Orchestra Nazionale del Belgio, la Israel Chamber Orchestra, la Wiener Kammerorchester, la Dallas Symphony Orchestra, l’Orchestra da Camera di Losanna, l’Orquesta de Valencia, l’Orquesta Nacional de España, .È pianista “in residence” all’Orchestra Sinfonica di Milano “G. Verdi” con la quale ha eseguito il Concerto n. 2 di Brahms con Leonard Slatkin, la Fantasia op. 80 Beethoven e il raro Concerto in Re minore di Martucci con Riccardo Chailly (anche in tournée in Spagna e nell’ambito del Festival de Música de Canarias), i 5 Concerti di Beethoven con Gianandrea Noseda, il Concerto n. 1 di Tchaikovsky con Louis Langrée, il Concerto di Schumann con Lu Jia e alcuni programmi di musica da camera. Tra i recital si ricordano quelli al Teatro alla Scala di Milano, Carnegie Hall di New York, Herkulessaal di Monaco, Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma, Quirinale in Roma, Filharmonia Narodowa a Varsavia, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Carlo Felice di Genova, Festival Pianistico di Brescia e Bergamo, le Settimane Musicali di Stresa, la Società del Quartetto di Milano, Serate Musicali di Milano, Salle Gaveau di Parigi, Festival della Primavera di Praga, Festival de Menton, Montecarlo, Lisbona, Bonn, Berlino, Hannover, Atene, Istanbul, oltre a numerosi concerti solistici negli Stati Uniti d’America e in Giappone. Nell’estate 2005 debutta in Olanda nell’ambito del Festival di musica da camera di Delft ed è invitato per l’anno successivo. In occasione del 250° anniversario della morte di Bach ha eseguito con grande successo le Variazioni Goldberg di Bach al teatro della Maestranza di Siviglia e all’Auditorium di Milano. Tra gli ultimi impegni il debutto a Pechino (Recital e Masterclasse), il ritorno in Giappone con le Variazioni Goldberg di Bach, il Concerto di Martucci con l’Orchestra della Radio della Svizzera Italiana a Lugano con James Gaffi gan ed in tournée in Spagna con l’Orchestra Sinfonica di Milano diretta da Oleg Caetani, il Concerto n. 2 di Rachmaninov in Norvegia (Trondheim) e il Concerto n.1 di Brahms a Milano con Aldo Ceccato.Nel giugno 2009 ha debuttato con grande successo al Parco della Musica di Roma con l’Orchestra ed il Coro di Santa Cecilia, diretta da Vladimir Ashkenazy.Nel Marzo 2010 con l’Orchestra Verdi di Milano, direttore Juanjo Mena ha ottenuto un successo personale nel Turangalila di Messiaen.Per Philips-Classics ha inciso, dal vivo, un Cd con opere di Mussorgski, Rachmaninoff ed Hindemith, per U.I.O.G.D. “Simone Pedroni Live in Concert”, per La Bottega Discantica le Variazioni Goldberg di Bach, e per LOL-Records i Quadri di una esposizione di Mussorgsky e opere di Arvo Pärt. Per la stessa etichetta sono in commercio due CD: uno interamente dedicato a Schubert (Sonata D. 960 e sei Lieder trascritti da Liszt) e l’altro a Liszt.Riconfermato dall’Orchestra della Radio della Svizzera Italiana di Lugano per il 2010 eseguirà il Concerto in La minore di Respighi del quale verrà realizzato un CD con la stessa Orchestra.

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Giuliano Rizzotto TROMBONE

Giuliano Rizzotto è I trombone solista dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi dal 1995. Diplomatosi nel 1992 si perfeziona già dal 1990 presso la Scuola di Musica di Fiesole e l’Orchestra Giovanile Italiana con i maestri Vinko Globokar e Roger Bobo.Collabora dal 1997 al 2001 in qualità di I trombone associato con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.Dal 1996 si perfeziona periodicamente con il M° Joseph Alessi (principal trombone New York Philharmonic).Con le orchestre di Milano e Roma suona nelle migliori sale da concerto del mondo con tournée in Giappone, Europa, Sud America, Cina, Corea, Canarie e incide regolarmente per case discografi che quali la Decca, EMI, Deutsch Grammophon e BMG Ricordi. Parallelamente a queste orchestre collabora anche con altre compagini orchestrali quali l’Orchestra Filarmonica

e del Teatro alla Scala, l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, l’Orchestra del Teatro C. Felice di Genova e l’Orchestra del Festival Internazionale di Stresa. Il 1989 e il 1992 lo vedono vincitore di concorsi da solista come il “Concorso per fi ati Città di Genova” e il “Concorso Internazionale Città di Stresa - sezione Musica d’Avanguardia”. Dal 2002 è docente in diversi master organizzati da vari conservatori ed è impegnato anche in attività solistica con vari gruppi da camera, orchestre di fi ati e orchestre da camera. In duo con sua moglie Viviana Mologni alle percussioni hanno registrato nel 2001 il CD Bone Zone per l’etichetta discografi ca L’Eubage con brani originali per questa formazione; il disco ha ricevuto critiche positive dalle più importanti riviste specializzate nel settore ed è stato presentato anche in un concerto all’Auditorium di Milano trasmesso da Radio 3 e Radio Classica. Nel 2008 viene presentato il loro secondo cd registrato in Austria dalla RCR Prokultura.All’interno di Vib’Bone News, questo il titolo, è stato registrato anche un brano che il M° Lindberg ha scritto e dedicato al duo. Lo stesso è stato eseguito in prima assoluta al 45°Festival Internazionale di Stresa nel 2005. Nell’ottobre del 2008 esegue in prima italiana il concerto per trombone e orchestra di Nathaniel Shilkret accompagnato dalla Verdi. Dall’anno accademico 2008-2009 insegna presso l’Istituto Musicale Pareggiato di Aosta per il biennio superiore. Dal 2006 organizza, insieme al Quartetto di tromboni di Aosta, master, concerti e concorsi di livello internazionale con docenti di fama mondiale quali C. Lindberg.Suona con imboccature personalizzate Romera Brass (Spagna).

Daniele Sacchi ORGANO

È nato a Milano nel 1980. Si è diplomato in organo e composizione organistica con il massimo dei voti nella classe di Giancarlo Parodi presso il conservatorio di musica “G.Verdi” di Milano dopo aver studiato anche con Luigi Benedetti e Maria Claudia Fossati. Ha successivamente frequentato corsi sull’interpretazione della musica romantica francese con Ben Van Oosten. E’risultato vincitore ai concorsi organistici “Monserrato” di Vallelonga e “G.Giarda” di Roma. Dal 1997 al 2001 è stato organista della chiesa di Sant’Ildefonso di Milano. Dal 2002 è organista della chiesa di Sant’Angelo in Milano dove ha curato i lavori di restauro del grande organo e collabora

all’organizzazione di rassegne concertistiche su base annuale.Ha collaborato con l’associazione “Nuova Polifonica Ambrosiana” di Milano in qualità di organista solista e accompagnatore del coro. Tiene diversi concerti in Italia e all’estero

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Maria Teresa Tramontin MAESTRO DEL CORO DI VOCI BIANCHEMaria Teresa Tramontin, mezzosoprano del Coro Sinfonico Giuseppe Verdi di Milano da oltre 10 anni sotto la guida del Maestro Romano Gandolfi , fi no alla sua scomparsa, è stata diretta da grandi Maestri quali Chailly, Ceccato, Caetani, Flor, Barshai, Jurowskj, Slatkin, Fedoseyev, Morricone, Veronesi, King, Abbado, Sir Marriner, Zhang , Rilling, Marshall; con alcuni di loro ha partecipato a numerose tournée nei più grandi teatri del mondo. Si è esibita in concerti tenuti in Vaticano alla presenza del Presidente della Repubblica e del Sommo Pontefi ce. In occasione del 25 aprile del 2010 ha partecipato al concerto di Luigi Nono in Auditorium sempre alla presenza del

Presidente della Repubblica. Ha collaborato con numerose orchestre tra cui Pomeriggi Musicali, Orchestra della Rai di Torino, Orchestra Stabile di Lecco, Orchestra Toscanini e del Teatro Coccia di Novara, Leipzig Gewandhaus Orchestra; ha inciso cd con Placido Domingo, Andrea Bocelli, Flores, Alberti e altri ancora. Ha intrapreso il percorso musicale dapprima studiando pianoforte, teoria e solfeggio e successivamente canto lirico e vocalità con il M.ro Angelo Conti e le proff.sse Sonia Sigurtà e Claudia D’Antoni. In qualità di corista e solista fi n dall’età di 14 anni, ha un repertorio che spazia dalla musica rinascimentale a quella contemporanea con predilezione per il periodo cinque-seicentesco. Insegna musica in qualità di esperto e dirige cori di voci bianche nelle scuole dove tiene anche corsi di impostazione vocale ai docenti; insegna canto e vocalità presso numerosi corali; dirige da cinque anni il Coro dei detenuti del reparto dei tossicodipendenti “La nave” nel carcere San Vittore di Milano nel quale tiene concerti e accompagna la Messa del giorno di Natale; è Maestro del Coro delle Voci bianche della Fondazione Orchestra e Coro Sinfonico Giuseppe Verdi di Milano da 3 anni. Si sta specializzando in Musicoterapia presso La Scuola di Artiterapie di Lecco.

dedicandosi all’approfondimento del repertorio organistico romantico e moderno.Si è laureato in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo presso l’università degli studi di Torino e in seguito ha conseguito la laurea specialistica in Musicologia presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sulle sei sinfonie per organo di Louis Vierne.Nel 2001 ha inciso sull’organo di Sant’Angelo per l’etichetta de “La Bottega Discantica” di Milano un disco dedicato al repertorio italiano del periodo tardo-romantico. In qualità di compositore è autore di numerose pagine organistiche e curatore di diversi arrangiamenti orchestrali di canti natalizi e della tradizione popolare, alcuni dei quali sono stati eseguiti di recente dall’orchestra sinfonica “G.Verdi” di Milano.Sempre con la Verdi di Milano collabora in qualità di organista e ha lavorato con direttori di chiara fama tra i quali Oleg Caetani e Xian Zhang. È responsabile dell’archivio musicale della medesima orchestra presso il quale si occupa di ricerca a livello editoriale, trascrizioni e adattamenti di musica orchestrale.

Alarico Lenti FAGOTTO

Alarico Lenti , nato a Cuneo nel 1974 , si diploma in fagotto nel 1995 con il massimo dei voti presso il Conservatorio “ G.Verdi” di Torino – sezione staccata di Cuneo.I suoi studi musicali proseguono con la partecipazione ai corsi di perfezionamento presso la Scuola Superiore di Aosta con il M° Daniele Damiano e Fausto Pedretti, la Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Bobbio con il M° Sergio Azzolini , ai corsi di Badia Prataglia con il M° Roberto Giaccaglia e a Parma con il M° Luca Reverberi. Ha fatto parte di numerose formazioni da camera tra cui il Sestetto

La Suite e il Quintetto a fi ato Cittanova con le quali a vinto numerosi concorsi Nazionali e

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Internazionali. Ha conseguito l’ idoneità presso l’Orchestra da camera di Savona, l’Orchestra del Teatro di Sassari, l’Ente Lirico Arena di Verona , il Teatro la Fenice di Venezia, il Teatro Carlo Felice di Genova . Ha collaborato, inoltre, con l’ Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, l’Orchestra Filarmonica di Torino, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, la Filarmonica Novecento del Teatro Regio di Torino, l’Orchestra A.Toscanini di Parma, l’Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova e l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma .Nel 2002 viene scelto dal M° Riccardo Chailly per ricoprire il ruolo di I fagotto dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi prendendo così parte alle registrazioni e alle Tournee in Giappone ,Europa, Sud America. Ha suonato con solisti di fama Internazionale come M.Argerich, N.Freire, E.Dindo, R.Vlatkovic,V.Repin , S.AccardoCon l’Orchestra G.Verdi ha eseguito, in veste di solista, la Sinfonia Concertante di Franz Joseph Haydn sotto la direzione dei Maestri K.P.Flor, C. Hogwood, il Concerto per Fagotto K 191 di W.A.Mozart diretto dal M° R.Jais e nella stagione 2008/2009 il Duetto - Concertino per clarinetto, fagotto e orchestra d’archi con il M° Wayne Marshall. Nel marzo 2010 ha prestato servizio in qualità di docente di Fagotto presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino

Giuseppe Amatulli CORNO

Giuseppe Amatulli si diploma al Conservatorio di Musica “N. Piccinni” di Bari nel 1992 con il Maestro G. Selvaggio. Intraprende il perfezionamento dello studio del corno secondo i princípi della Scuola di Chicago, quindi comincia gli studi con il M° Guido Corti, per poi proseguire con il M° Luca Benucci e, infi ne, con il caposcuola M.° Dale Clavenger. Nel 1993 entra a far parte della Scuola di Musica di Fiesole (FI), sotto la guida dei Maestri R. Bobo, V. Globokar e A. Faja, e dell’Orchestra Giovanile Italiana; si esibisce in qualità di I corno e partecipa ai masterclass organizzati dalla Scuola con i Maestri Ifor James e Radovan Vlatkovic. Nello stesso anno è selezionato tra i migliori

allievi delle scuole di musica mondiali per far parte dell’orchestra “East-West International Symphony Orchestra”. Si è perfezionato, inoltre, con il M.° D. Johnson al Conservatorio di Lugano. Contemporaneamente alla partecipazione ai vari corsi di perfezionamento, risulta idoneo in diversi concorsi orchestrali tra i quali quelli dell’Orchestra Sinfonica Haydn di Bolzano e Trento, Orchestra Regionale del Lazio, Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova, Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, Orchestra Sinfonica della provincia di Bari e altri. Ha collaborato con diverse orchestre italiane ed estere sotto la guida di illustri direttori quali Carlo Maria Giulini, Riccardo Chailly, Riccardo Muti, Daniel Harding, Aldo Ceccato.Dal 2004 ricopre il ruolo di primo corno nell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi.

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Giuseppe Grazioli DIRETTORE

Si é diplomato in pianoforte con Paolo Bordoni, in composizione con Niccolò Castiglioni e ha studiato direzione d’orchestra con Gianluigi Gelmetti, Leopold Hager, Franco Ferrara, Peter Maag e Leonard Bernstein. Ha diretto le principali orchestre italiane fra le quali Accademia di Santa Cecilia di Roma, Orchestra RAI di Roma e Napoli, Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, Orchestra Sinfonica Siciliana, Orchestra Toscanini di Parma, Orchestra del Teatro Comunale di Trieste, Orchestra dell’Ente

Arena di Verona, Orchestra del Carlo Felice di Genova, Orchestra Haydn di Bolzano, Pomeriggi Musicali e Orchestra Verdi di Milano. Dal 1995, anno in cui ha debuttato a St.Etienne con Madama Butterfl y, svolge una intensa attività in Francia dove ha diretto Rigoletto, Petrouchka, Uccello di fuoco, El Retablo de Maese Pedro, Le Roi d’Ys, Don Carlo, L’Italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, Le Comte Ory, Jackie O, Cyrano, Bohème, Le Villi e Cavalleria rusticana a Metz, La traviata, L’heure Espagnole, Les mamelles de Tirésias, Don Giovanni, Don Pasquale, L’Etoile, La voix humaine, Un ballo in maschera, Candide, Veronique, Idomeneo a Rennes, La vedova allegra, Pelléas et Mélisande, Le nozze di Figaro, Cenerentola, Il Flauto Magico, Il Ratto del Serraglio a St.Etienne, Lucia di Lammermoor a Avignone, Don Pasquale a Lille e a Lione, Candide a Rouen, Requiem di Mozart a Marsiglia, Madama Butterfl y e Cenerentola a Bordeaux, Roméo et Juliette a Tours, Le Comte Ory a Nantes e Angers. È stato inoltre invitato al prestigioso Festival Massenet per Le carillon e ha diretto l’Orchestra Lamoureux al Théâtre des Champs Elysées. Molto apprezzata per la particolarità delle proposte é anche la sua produzione discografi ca. Dopo una serie di 3 CD con il gruppo Harmonia Ensemble dedicati a rarità del ‘900 (De Falla, Auric, Martinu, Casella, Malipiero, Rieti, Lambert, Bax, Bartok) ha registrato diverse composizioni di Nino Rota: l’opera La visita meravigliosa, entusiasticamente accolta e premiata dalla critica di tutto il mondo, un CD dedicato alla musica per orchestra (Choc du Monde de la Musique) e infi ne alcuni lavori per il teatro (Lo scoiattolo in gamba, Cristallo di rocca) con l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi. Ha registrato per l’etichetta CPO la prima registrazione assoluta del brano Quadri di Segantini di Zandonai, realizzata con l’Orchestra Haydn di Bolzano. Il 31 dicembre 2001 ha diretto alla Scala il concerto sinfonico che ha chiuso le attività in Teatro prima dei lavori di restauro. Nel giugno 2002 ha diretto, al Teatro Châtelet di Parigi, il concerto fi nale del concorso di canto Operalia in seguito al quale Placido Domingo lo ha invitato a dirigere Lucia di Lammermoor all’Opera di Washington. Nel maggio 2003 ha diretto per il Teatro alla Scala la prima mondiale di Vita di Marco Tutino. È stato presente nel cartellone del Teatro Regio di Torino (Orfeo agli Inferi, La Tempesta di Purcell/Galante e Le nozze di Figaro), del Carlo Felice di Genova (Candide), del Teatro Comunale di Bologna (The Beggar’s Opera), dell’Opera di Roma (Il Gatto con gli Stivali), del Teatro Rendano di Cosenza (L’elisir d’amore), all’Università di Yale (Il Trittico e A Midsummer Night’s Dream di Britten) ed ha diretto numerosi concerti sinfonici con le Orchestre del Carlo Felice di Genova, del Teatro de La Maestranza di Siviglia e con l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano. Nel mese di ottobre 2008 è stato nuovamente invitato da Placido Domingo all’Opera di Washington per I pescatori di perle di Bizet.Nel 2010 ha diretto un Concerto Pucciniano a Rennes, Idomeneo (Versione R.Strauss) a St. Etienne, Il Barbiere di Siviglia a Nantes e Angers, Lucia di Lammermoor e Falstaff in Canada, Don Giovanni alla Yale University. Ha inaugurato il festival di Martina Franca con Napoli milionaria di Rota. In febbraio dirigerà l’Orchestra Verdi in Wonderful Town.

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

Violini PrimiLuca Santaniello*Danilo Giust**Giulio MignoneMarco FerrettiMarta TostiEdlira RrapajGianfranco RicciAdriana GinocchiNa LìNicolai von DellingshausenFabio RodellaAbramo Raule

Violini SecondiLycia Viganò*Donatella Rosato**Keler AlizotiSandra OpacicGiorgia RighettiSimone De PasqualeRoberta PerozziMicaela Chiri

VioleGabriele Mugnai*Cono Cusmà Piccione**Kirill VichniakovMarco AudanoEnrico De AngelisMikhail KlyachkoLuca TroleseAltin Thanasi

VioloncelliMario Grigolato*Giovanni Marziliano**Francesco RamoliniGabriele D’AgostinoNadia BianchiAlessandro Peiretti

ContrabbassiMichele Sciandra*Kastriot Mersini*Toni Del CocoAngelo TommasoJoachim MassaUmberto ReMarco Gori

Flauti e OttaviniMassimiliano Crepaldi*Valeria Perretti

ClarinettiRaffaella Ciapponi*Fausto Ghiazza*Fabio ValerioAlessandro RuggeriJader Bignamini

Oboi e Corno ingleseEmiliano Greci*

Fagotti e ControfagottiAlarico Lenti*Andrea Magnani*Luigi Muscio

CorniSandro Ceccarelli*Giuseppe Amatulli*Fabio CardoneAlceo ZampaStefano Buldrini

TrombeAlessandro Caruana*Edy Vallet

Trombone BassoAndrea Arrigoni

TromboniGiuliano Rizzotto*Giacomo Ceresani*Massimiliano Squadrito

TimpaniViviana Mologni*

PercussioniIvan Fossati

Ispettore d’orchestraAmedeo Scodeggio

ORGANICO DELL’ORCHESTRA

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Nino RotaNino RotaNino RotaNino Rota2010-2011

SopraniEdoardo BarchiesiSibilla BoesiNicolò De BigontinaJone DiamantiniClelia Fazzo CusanChiara GalettaPietro GusellaSofi a LealiMaria Sofi a LiberatiSofi a Andrea Lopez PalacioMaria Emilia LucaCharlotte MaraccaniCamilla MondiniVittoria PavoneArianna PedoneBenedetta PissarelloElena Sofi a RicciMicol RizziAlessandra RottinoMelissa RuiNoah SinigagliaAlice StracquadainiMatteo TestaSofi a VaccaroGiulia ViscontiMartino Zanetti

MezzosopranoLorenzo ArminioCamilla BartoliAgata CavigioliCamilla CireneiAlessia CollaCostanza FerrèYuri Alexander LoayzaMyriam MasseniFrancesca MeazzaClaudia Sofi a MorbidiniMarta SabbadiniGiulia Sanfi lippoAzzurra TropeaGreta Tropea

ContraltiCristina AbbiatiAlice AltieriOlga Diana BarbacettoMartino CabassiGiovanni CalcagnoBeatrice CannettaGabriela Clelia CunaMattia De BigontinaAlice Di GennaroFrancesco DotiMarco FrigoAlice GalloDario GuevarraEdoardo MavigliaMichele PastaMathilde PergherGiaele RonchiDavide RossiFrancesca SaviAleksandra Stetsenko

ORGANICO DEL CORO DI VOCI BIANCHE

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