Atti della giornata seminariale «Urbanistica e sicurezza

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16 ASSESSORATO ALLA POLIZIA LOCALE E SICUREZZA Atti della giornata seminariale URBANISTICA E SICUREZZA Villa Gualino, Torino 26 marzo 2009

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ASSESSORATO ALLA POLIZIA LOCALE E SICUREZZA

Atti della giornata seminariale

URBANISTICA E SICUREZZA

Villa Gualino, Torino26 marzo 2009

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Collana a cura diStefano BELLEZZADirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Raccolta atti e pubblicazione a cura di:Raffaele MADARODirigente della Direzione Affari Istituzionali e Avvocatura della Regione Piemonte

Elaborazione grafica:Elisa MADARO

© Regione Piemonte, 2009

È vietata la riproduzione parziale o totale del presente volume senza la pre-ventiva autorizzazione dell’amministrazione regionale. Vietata la vendita.Le opinioni espresse in questa pubblicazione sono personali degli autori enon riflettono necessariamente le posizioni sui vari argomenti della RegionePiemonte.

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Presentazione

Con la legge regionale 10 dicembre 2007, n. 23 “Disposizioni relative alle politiche regionali in materia di sicurezza integrata”, la Regione Piemonte ha aggiornato i suoi strumenti normativi relativi al tema della sicurezza. I contenuti innovativi del provvedimento sono evidenti nello stesso titolo della legge, laddove si specifica il concetto di sicurezza associandolo al termine “integrata”. Con ciò si è inteso sottolineare in primo luogo la necessità di coniugare e coordinare risorse e azioni della pluralità di soggetti pubblici e privati che, a diverso titolo, esercitano delle competenze in materia. Allo stesso tempo si è voluto porre l’accento sulla molteplicità di approcci culturali ed operativi mediante i quali affrontare la materia, ben al di là quindi della semplice attività repressiva della criminalità (di competenza dello Stato) o delle azioni di sostegno alle vittime dei reati, per investire la sfera della prevenzione sociale e della prevenzione ambientale-urbanistica (di competenza delle autonomie locali). Quello della prevenzione ambientale-urbanistica rappresenta un filone relativamente recente – almeno nel nostro contesto nazionale - che ha messo in luce il rapporto tra sicurezza ed organizzazione dello spazio urbano. La riflessione teorica e le esperienze sviluppate in altri paesi hanno condotto il Comitato Europeo di Standardizzazione (CEN), su sollecitazione del Consiglio d’Europa, a produrre alcuni Technical Reports (manuali di buone pratiche) adottati dallo stesso CEN nel 2007, finalizzati alla prevenzione del crimine attraverso la pianificazione urbana e la progettazione degli edifici. Tali norme hanno avuto una recentissima “trasposizione” in Italia ad opera di un gruppo di lavoro coordinato dal Laboratorio Qualità Urbana e Sicurezza del Politecnico di Milano. La giornata seminariale, organizzata a Villa Gualino il 26 marzo scorso, ha avuto quindi innanzitutto lo scopo di presentare ad un pubblico qualificato il Manuale “Pianificazione, Disegno urbano, Gestione degli spazi per la sicurezza” - prodotto in collaborazione tra il Politecnico di Milano, l’Institut d’Amènagement et d’Urbanisme de la région Ile-de-France e la Regione Emilia Romagna – al fine di divulgare la conoscenza di possibili approcci tecnici al tema della sicurezza urbana. L’occasione è stata opportuna per illustrare, a titolo esemplificativo, alcune esperienze urbanistiche (ovviamente nel loro nesso con le questioni della sicurezza) realizzate negli ultimi anni sia in contesti urbani dell’Italia settentrionale sia nell’ambito della realtà regionale. Infine è stata offerta una sintetica panoramica su alcune attività avviate dalla Regione Piemonte, utilizzando le nuove potenzialità messe a disposizione dallo sviluppo tecnologico e riconducibili all’approccio della sicurezza integrata. L’elevato livello delle relazioni e dei contributi raccolti, ma anche le costruttive finalità raggiunte dal confronto, ci fanno ritenere utile la pubblicazione degli atti della giornata seminariale.

Maggio 2009

Luigi Sergio Ricca Assessore alla Polizia Locale e Sicurezza

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Luigi Sergio RiccaAssessore al Commercio e Fiere, Polizia Locale, Promozione della Sicurezza, Pro-tezione civile della Regione Piemonte.Saluto e apertura dei lavori

Raffaele MadaroDirigente della Direzione Affari Generali e Avvocatura della Regione PiemonteIntervento introduttivo

Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione PiemonteIntervento di coordinamento

Clara CardiaResponsabile Laboratorio Qualità Urbana e Sicurezza del Politecnico di MilanoPresentazione del Manuale ed uso del Manuale per valutare i progetti

Gian Guido NobiliResponsabile area Ricerca e progettazione del Servizio Politiche per la sicurezzae polizia locale della Regione Emilia RomagnaDiffusione e prime esperienze di utilizzo del Manuale “Pianificazione, dise-gno urbano e gestione degli spazi urbani per la sicurezza”

Carlo BottigelliEsperto Laboratorio Qualità Urbana e Sicurezza del Politecnico di MilanoPresentazione di due casi di studio in Italia

Riccardo BedronePresidente dell’Ordine degli Architetti di TorinoIl Manuale e le esperienze: finalmente si riparla di sicurezza in città

Andrea BoccoRicercatore 1^ Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino – Direttore Agenziadi Sviluppo Locale San Salvario, TorinoContributi di esperienze nella realtà torinese: il quartiere San Salvario

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Indice

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Valter CavallaroDirigente del Settore Arredo Urbano-Urbanistica Commerciale della Città di TorinoContributi di esperienze nella realtà torinese: l’attività del Comune di Torino

Giovanni PaludiDirigente del Settore Pianificazione Territoriale e Paesaggistica della Regione Pie-monteConclusioni

Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione PiemonteIntervento di coordinamento

Gian Guido NobiliResponsabile area Ricerca e progettazione del Servizio Politiche per la sicurezzae polizia locale della Regione Emilia RomagnaLa videosorveglianza nella prevenzione della criminalità

Roberto MoriondoDirigente del Settore Sistemi Informativi e Tecnologie dell’Informazione della Re-gione PiemonteEsperienze della Regione PiemonteLa rete WI-PIE per la sicurezza di persone, cose e patrimonio naturale

Sergio Di GiacomoDirigente del Settore Programmazione Socio-Assistenziale, integrazione socio-sa-nitaria e rapporti con gli enti gestori istituzionali della Regione PiemonteSicurezza domestica di soggetti fragili

Dario MiloneFunzionario del Settore Programmazione e Attuazione Interventi di Edilizia Socialedella Regione PiemonteL’esperienza piemontese nella riqualificazione urbana sostenibile

Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione PiemonteIntervento di chiusura dei lavori

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Luigi Sergio RiccaAssessore al Commercio e Fiere, Polizia Locale, Promozione della Sicurezza, Pro-tezione civile della Regione Piemonte.

Saluto e apertura dei lavori

Io vi saluto, porto il saluto mio naturalmente con la Presidente Bresso, do ilbenvenuto a questo convegno, ringrazio innanzitutto i qualificati relatori chehanno aderito al nostro invito e con loro tutti voi, che ci onorate della vostrapresenza a questa giornata, dedicata al tema “Urbanistica e sicurezza”, or-ganizzata dall’Assessorato alla Sicurezza e Polizia Locale, ma che vedeanche la importante partecipazione dell’Assessorato alle politiche territorialicon l’assessore, il collega Sergio Conti, che peraltro non potrà essere quiquesta mattina perché è stato trattenuto a Roma per continuare la discussionee il confronto con il governo sul Piano-casa: una riscrittura ampia è assolu-tamente necessaria, che le Regioni hanno chiesto, forse sarebbe megliodire imposto al Governo; ci ha pregato naturalmente di scusarlo per la suaassenza e sarà sostituito da uno dei suoi dirigenti. E con la collaborazionedell’Assessorato alle Politiche territoriali c’è anche il contributo di altre Dire-zioni della Regione Piemonte, come quella della “Innovazione Ricerca edUniversità” e delle “Politiche Sociali”, facenti capo a diversi assessorati.Io credo che questo coinvolgimento, che denota una concreta collabora-zione all’interno dell’Ente Regione, ma anche con i numerosi soggetti oggiqui presenti, sia degno di essere sottolineato in quanto costituisce già unobiettivo raggiunto. Che è quello di affrontare le complesse questioni dellasicurezza in modo “integrato”, come viene definito, ma si può ben dire pre-scritto, nella nostra legge regionale di riferimento della materia. Ovvero po-nendo in atto politiche trasversali, fondate sul metodo della collaborazioneistituzionale, della cooperazione tra enti e ovviamente all’interno degli enti,in cui alle politiche penali e criminali, proprie dello Stato, si affiancano lepolitiche sociali, del lavoro, e come vediamo meglio oggi dell’urbanistica,

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ecc., proprie delle autonomie locali. Ma su questi concetti ritornerò piùavanti.Voglio prima citare, seppure in modo incidentale, le attività e le iniziativeche nell’ottica appena evidenziata la nostra amministrazione regionale e ilmio assessorato stanno realizzando. E lo dico anche a titolo di promemo-ria per gli amministratori locali che sono qui presenti. Sulla base di linee-guida approvate dalla Giunta regionale nel novembre scorso, sono statetrasferite alle Province le risorse, pari a circa 4 milioni di euro per l’anno2008, per la realizzazione di progetti locali di sicurezza con caratteristicheinnovative, di azioni pilota.Proprio in queste settimane stanno arrivando a scadenza i termini per lapresentazione dei progetti, il 15 aprile prossimo. Contestualmente si stasvolgendo la raccolta delle candidature, sempre nell’ambito di ciascunaProvincia, per i Patti Locali per la Sicurezza Integrata, che possono essereproposti dagli Enti locali ma cui possono partecipare soggetti pubblici eprivati. Le Province consegneranno alla Regione le proposte di candidaturaper la successiva procedura di selezione e assegnazione dei fondi per il2009, che ammontano a circa 5 milioni di euro a diretta gestione regio-nale.Quindi noterete tutti che, nel corso di quest’anno, la Regione Piemonte operaun investimento diretto sulla sicurezza integrata pari a ben 9 milioni di euro,interamente a beneficio del territorio. Per cui ci aspettiamo anche dagli Entilocali uno sforzo ed un impegno altrettanto significativo.Chiusa questa parentesi, le premesse di questa giornata di studio e di con-fronto sono da ricondurre innanzitutto alla discussione avvenuta ed agli im-pegni assunti nell’ambito della “1^ Conferenza regionale sulla sicurezzaintegrata”, svoltasi a Torino nel luglio scorso. In quella occasione ci fu pe-raltro un apprezzato intervento della professoressa Cardia, proprio sul tema“progettazione urbanistica e prevenzione dei fenomeni criminali”.Ma ancor prima che nella Conferenza, troviamo le premesse di questa ini-ziativa nella legge regionale n. 23 del 10 dicembre 2007 “Disposizioni re-

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lative alle politiche regionali in materia di sicurezza integrata”. E’ forse ilcaso di ribadire che con i termini sicurezza integrata noi intendiamo leazioni volte ad integrare le politiche locali per la sicurezza con le politiche- di competenza statale - di contrasto della criminalità e di ordine pubblico.Sicurezza integrata significa in primo luogo capacità di coniugare e coor-dinare risorse ed azioni della pluralità di soggetti pubblici e privati che, adiverso titolo, esercitano competenze in materia. Allo stesso tempo, sicu-rezza integrata rimanda anche alla molteplicità di approcci culturali ed ope-rativi mediante i quali occorre affrontare la materia, al di là della purfondamentale attività repressiva della criminalità. Entrano in gioco in questomodo le attività di prevenzione sociale ma anche di prevenzione ambien-tale-urbanistica, che vedono coinvolte direttamente le competenze delle au-tonomie locali.Quest’ultimo approccio, della prevenzione ambientale-urbanistica, rappre-senta un filone relativamente recente, che ha messo in luce la relazione trasicurezza ed organizzazione dello spazio urbano. Può essere illuminante aquesto proposito citare alcune osservazioni formulate già nel 1961 dalla stu-diosa americana Jane Jacobs, da tutti considerata la caposcuola dell’ap-proccio di cui stiamo parlando.“La pace della città, delle strade e dei marciapiedi, non è garantita prin-cipalmente dalla polizia, anche se la polizia è necessaria. E’ garantita daun’intricata quasi inconscia rete di controllo volontario esercitato dalla po-polazione stessa sui propri quartieri. Il controllo spontaneo dello spazio daparte degli abitanti può avvenire solo in una città vitale, vivace, le cui stradesono usate di giorno e di notte, il cui ambiente non degradato ispira fidu-cia e senso di appartenenza, una città fatta di quartieri che il cittadinoama, con cui si identifica”.Naturalmente negli ultimi decenni molta strada si è fatta nella conoscenzadei fenomeni legati al compiersi di atti criminosi, nella individuazione dipossibili cause ed effetti, nella definizione di rimedi e di soluzioni. Si è pe-raltro acquisita la consapevolezza che non c’è un nesso meccanicamente

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proporzionale tra andamento o incidenza della criminalità ed effettiva per-cezione collettiva di insicurezza. Essendo oggi il senso di insicurezza nellecittà un vero e proprio problema sociale, alcuni studiosi hanno parados-salmente affermato che la paura del crimine e l’insicurezza percepita sonoun problema a volte più grave del crimine stesso.In considerazione di ciò, il tema della sicurezza nell’ambiente urbano si èimposto nell’ultimo decennio, in Europa come in Italia, come tema centralenel dibattito sulla qualità della vita. Non è qui il caso di addentrarsi natu-ralmente nell’analisi di come questo dibattito si è sviluppato o di quali con-clusioni si possano considerare oggi raggiunte. La riflessione, la ricerca ele sperimentazioni continuano. Appare del tutto evidente che alcune espe-rienze hanno già dimostrato i loro limiti. E ci sembra opportuno citare comesicuramente non desiderabili in sé e anche come strategicamente inefficacile risposte date sia in termini meramente repressivi, di cosiddetta tolleranzazero o di militarizzazione del territorio, sia in termini di prevenzione situa-zionale, che si preoccupa di rimuovere contingenti elementi e motivi di di-sagio ma di fatto non interviene sulle cause dei problemi e ottiene quindi ilsolo risultato di spostarli fisicamente da qualche altra parte, sia in termini dipuro controllo tecnologico, qual è il caso dell’uso spesso indiscriminato dellavideosorveglianza.Faccio qui una breve considerazione. Pur con la consapevolezza che l’oc-chio meccanico esercita su molti cittadini una suggestione rassicurante erappresenta per molti enti locali la risposta più facile e più immediata allerichieste di sicurezza da parte dei cittadini stessi, credo sia da valutare concautela l’acritico proliferare degli strumenti di videosorveglianza. Il ricorsoalle telecamere da parte dei Comuni in Italia è un fenomeno che negli ul-timi anni ha registrato una crescita esponenziale che non sembra arrestarsi.Anche nella nostra regione si assiste ad una forte tendenza ad attivare o po-tenziare sistemi di videosorveglianza in modo crescente e diffuso. Ad oggi,non esiste un censimento di tali strumentazioni che consenta di analizzarel’entità e la qualità dei mezzi posti in campo e i risultati eventualmente rag-

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giunti. Per questo motivo, proprio in queste settimane, il nostro Assessorato,in collaborazione con l’Assessorato all’Innovazione e Ricerca, ha avviato uncensimento di tutte le telecamere, di proprietà degli Enti Locali, iniziando daiComuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, sul territorio regio-nale.Deve essere ben chiaro che non c’è in tale operazione alcun pregiudizionegativo nei confronti delle tecnologie. Lo dimostra il fatto che nella ap-pendice pomeridiana di questa giornata abbiamo voluto aprire una finestrasu ciò che in particolare sia le nuove tecnologie dell’informazione e dellacomunicazione, sia le potenzialità che derivano dalla copertura con la retedella quasi totalità del territorio regionale, consentono non solo di ipotiz-zare, ma anche in qualche misura già di realizzare, a sostegno di persone,beni e luoghi, anche nell’ottica, che a noi preme, della sicurezza.E quindi ritengo che gli interventi di oggi pomeriggio - da parte del dottorGian Guido Nobili della Regione Emilia Romagna proprio sul tema dellavideosorveglianza, e da parte dei nostri dirigenti e funzionari regionali Ro-berto Moriondo, Sergio Di Giacomo e Dario Milone, che portano le loroconcrete recenti esperienze su temi che fondono assieme uso di nuove tec-nologie e politiche di sicurezza - siano senz’altro di grande interesse. Toc-cherà al Direttore Marco Cavaletto tirare le conclusioni di questopomeriggio.Ma vorrei tornare al tema principale che trattiamo questa mattina. Io ho giàricordato l’intervento della professoressa Clara Cardia nella 1^ Conferenzaregionale dello scorso luglio. Ripartiremo da qui, dopo una breve introdu-zione da parte dell’architetto Raffaele Madaro, che ha curato l’organizza-zione di questa giornata, assieme al dottor Stefano Bellezza, che modererài lavori odierni. La professoressa Cardia ci illustrerà il Manuale “Pianifica-zione, disegno urbano e gestione degli spazi urbani per la sicurezza”, chenoi riteniamo uno strumento prezioso per orientare al meglio le politichedella sicurezza in senso territoriale. Dopo di lei interverranno il dottor GianGuido Nobili, che ci parlerà delle prime applicazioni del Manuale e l’in-

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gegner Carlo Bottigelli che ci illustrerà due casi-studio sulla sicurezza ur-bana in Italia.Ci saranno poi gli interventi dell’architetto Andrea Bocco sulla esperienzadel quartiere San Salvario a Torino e dell’architetto Valter Cavallaro su al-cuni interventi di riqualificazione urbana da parte del Comune di Torino. Inseguito ascolteremo il commento dell’architetto Riccardo Bedrone, che rap-presenterà il punto di vista dei professionisti - urbanisti e architetti - sul temain questione. Naturalmente mancherà per le previste conclusioni l’assessoreSergio Conti, che come ho detto sarà sostituito da un suo dirigente, l’ar-chitetto Giovanni Paludi.Immagino che nessuno pretenderà di proporre o di trovare oggi soluzionidefinitive e ricette preconfezionate a problemi complessi qual è quello dellasicurezza urbana. Io qui vorrei fare soltanto una battuta, pensando ancheall’assenza dell’assessore Conti. Stiamo affrontando il problema della crisieconomica. Parliamo oggi di sicurezza, che è un altro dei grandi problemidel nostro Paese. Credo che queste questioni non debbano essere affron-tate con superficialità, come a volta avviene o come a volte sentiamo, la-sciatemelo dire, dalle risposte del governo nazionale. Risposte che nondevono stare soltanto – mi viene la battuta – nella “calce e randello”, nellacementificazione e nelle ronde per la sicurezza. Senza naturalmente sotto-valutare né gli aspetti che la questione delle ronde portano con sé, né gliaspetti del ruolo che un volano nell’edilizia possa portare all’economia. E’certo che dobbiamo affrontare questi aspetti in modo molto meno sempli-cistico.E, in materia di sicurezza in particolare, nella ricerca di indicazioni utili adare risposte anche alla insicurezza percepita, è per noi oggi comunque ungrande risultato mettere insieme le capacità e le energie per indicare edavviare un percorso, di cui l’iniziativa odierna rappresenta soltanto unatappa.Buon lavoro e grazie ancora di essere qui.

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Raffaele MadaroDirigente della Direzione Affari Generali e Avvocatura della Regione Piemonte

Intervento introduttivo

Buongiorno a tutti.Dopo l’apertura dei lavori da parte dell’assessore, il mio compito è oraquello di dare l’avvio agli interventi. Con una breve premessa, anche per-ché – lo dico subito per farmi perdonare eventuali lacune – ho iniziato adinteressarmi ed appassionarmi a questi argomenti solo da alcuni mesi.Oggetto di questa giornata è il tema urbanistica e sicurezza. Si tratta di unbinomio relativamente recente, affermatosi da alcuni decenni nell’Americadel Nord e poi in Europa, le cui implicazioni sono ancora poco conosciutee poco praticate, dal punto di vista delle concrete attuazioni, nel nostroPaese.Il termine sicurezza, come tutti noi sappiamo dalla nostra quotidiana espe-rienza, può essere declinato sotto molteplici profili. La considerazione puòapparire banale o superflua ma mette in evidenza che nel linguaggio e nelsentire comune quando si parla di sicurezza si pensa innanzitutto a moltealtre cose. Per esempio alla sicurezza ambientale, a quella alimentare, op-pure a quella stradale o alla sicurezza sul lavoro o del lavoro. L’associazionedel concetto di sicurezza agli ambiti elencati non è senza motivo. Infatti, percitare alcuni dati, negli ultimi anni in Italia si contano in media 16 morti algiorno per incidenti automobilistici e 3 morti al giorno per incidenti sul la-voro. Non parliamo poi delle centinaia di migliaia di persone che perdonoil lavoro o non trovano un posto di lavoro. Qualche preoccupazione è dun-que fondata.In questo caso parliamo invece di un’altra sicurezza, che solo in tempi re-centi sembra essere diventata un argomento dominante, almeno per lastampa, per i telegiornali e per l’agenda dei partiti. Si tratta della sicurezzache – con una forte semplificazione, perché la questione è molto più ampia

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e complessa – si occupa dei fenomeni sociali causati dalla criminalità.Stiamo parlando di atti statisticamente meno rilevanti rispetto alle sicurezzeche citavo poco fa. Cionondimeno il tema viene posto al centro della scenamediatica.Il modo con il quale sia i mezzi di informazione sia le forze politiche af-frontano tale questione, enfatizzando l’impressione conseguente agli epi-sodi criminosi, è purtroppo molto spesso causa di ulteriori ansie ed allarmesociale. A tale allarme le politiche pubbliche hanno offerto risposte finoraprevalentemente di tipo emergenziale e talora di contingente speculazionepolitica, per indirizzare il disagio sociale contro gli immigrati, o i rom, o gliislamici. Un vero e proprio governo delle paure. Ne abbiamo avuto re-centemente una ulteriore riprova, con i decreti che hanno dato via libera allecosiddette “ronde” e ad un ennesimo inasprimento delle pene, mentre leForze di Polizia lamentano di non avere le risorse per svolgere il loro presi-dio sul territorio e la Magistratura trova nuovi ostacoli per l’espletamentodelle sue funzioni.Ciò precisato, più specificamente, per sicurezza (o sicurezza integrata, inRegione Piemonte normata con la legge 23 del 10 dicembre 2007) noi in-tendiamo da un lato l’azione di contrasto al crimine - compito dello Stato,delle Forze dell’Ordine, della Magistratura -, e dall’altro le attività di pre-venzione sociale - attraverso l’inclusione dei soggetti deboli, l’integrazionesociale, la mediazione dei conflitti, la educazione alla civiltà e alla legalità-, nonché le attività di prevenzione ambientale - attraverso il mantenimentodel decoro e della qualità degli spazi della città, la equilibrata organizza-zione e gestione del territorio -. Un insieme di competenze quindi, che inlarga misura coinvolge la responsabilità delle autonomie locali: Comuni,Province, Regioni. E un insieme di domande che provengono da larghi stratidi cittadinanza.In questa pluralità di approcci, quello che approfondiremo in questa gior-nata riguarda la prevenzione ambientale del crimine per mezzo della pia-nificazione e della progettazione urbanistica. Studi ed esperienze

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consolidate negli ultimi decenni hanno cercato di dimostrare come le con-dizioni del contesto fisico urbano possano influenzare il compiersi di atti cri-minali e di microcriminalità o il manifestarsi di comportamenti di inciviltà.Risulta ormai largamente condivisa la consapevolezza che la monofunzio-nalità dei quartieri, la presenza di “enclave” di emarginazione sociale, lascarsa accessibilità, il degrado urbano sono fattori che da un lato propi-ziano fenomeni di devianza e dall’altro generano un senso di insicurezzanei cittadini. Addirittura, anche questo risulta sostanzialmente provato, talesenso di insicurezza prescinde dalle dinamiche dei fatti criminosi effettiva-mente accaduti.Ecco quindi la necessità di affrontare a livello territoriale le politiche di si-curezza. E’ utile sottolineare che stiamo parlando di una competenza pro-pria delle autonomie locali. Come sappiamo, lo accenno solo di sfuggita,la nostra legislazione attuale attribuisce alla Regione ed alle Province i com-piti di tutela e controllo del territorio attraverso i rispettivi piani territoriali,mentre ai Comuni singoli o associati spetta la gestione dei propri territori at-traverso i Piani Regolatori.Questo è il terreno su cui, anche in linea col principio della sussidiarietà, glienti locali possono operare con maggiore incisività.Per esprimere con uno slogan questa sollecitazione: più cura della città (edin generale più attenzione al buon governo del territorio), meno ronde (ov-vero meno propensione alle scorciatoie demagogiche), che talora invadonole competenze più propriamente dello Stato.Non si parte ovviamente da zero. Negli ultimi anni molto si è fatto e tuttorasi sta facendo, sul piano urbanistico, in diverse città anche italiane. Neverrà data testimonianza nel corso di questa giornata dai relatori che inter-verranno. Occorre dire che le iniziative, in molte realtà urbane, stanno giàcimentandosi verso ulteriori orizzonti. Anche alla scala di piccole dimen-sioni, a livello delle soluzioni edilizie o di design e arredo urbano. Nella no-stra realtà regionale, registriamo un fiorire di attività a tale scala, alcunedelle quali sono state illustrate in convegni organizzati o cui partecipava il

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nostro Assessorato. Mi limito a citare a titolo esemplificativo la recentissimapubblicazione “La Città si*cura” promossa dall’Assessore Regionale allePari Opportunità e prodotta dal Laboratorio Melting Lab.Ma di questo aspetto speriamo di parlare in una futura specifica iniziativa,che abbiamo già immaginato di intitolare “Architettura versus crimine”.Permettetemi qui di fare una piccola digressione. Per dire quanto antico siaquesto tema. Pensate che già Michelangelo Buonarroti, in una lettera del1547 inviata al suo amico Bartolomeo (presumibilmente Bartolomeo Am-mannati), criticava le modifiche apportate da Antonio da Sangallo il Gio-vane al progetto di Bramante per la Basilica di San Pietro. Sapete perché?Perché “lui - ovvero Antonio da Sangallo -…la prima cosa toglie tucti i lumia la pianta di Bramante; e non solo questo, ma per sé non ha ancora lumenessuno; e tanti nascondigli fra di sopra e di sotto, scuri, che fanno como-dità grande a ‘nfinite ribalderie: come tener segretamente sbanditi, far mo-nete false, impregniar monache e altre ribalderie, in modo che la sera,quando decta chiesa si serrassi, bisognerebbe venti cinque uomini a cer-care chi vi restassi nascosto dentro…” ecc. ecc.Chissà se vorrà dire qualcosa il fatto che a distanza di quasi cinquecent’annii problemi di tale natura non siano ancora stati risolti.Torniamo all’approccio territoriale-urbanistico. Da intendere in senso lato:ovvero ricomprendendo nella definizione non solo l’organizzazione deglispazi fisici, ma anche l’organizzazione dei tempi e delle funzioni della città.Anche qui forse alcune soluzioni del passato possono apparire più razionalidi quelle che la contemporaneità ha saputo produrre. Penso al mix funzionalee di stratificazione sociale verticale degli edifici torinesi già del settecento. Ilprimo piano, detto piano nobile, ospitava l’aristocrazia, mentre il piano su-periore era abitato dalle famiglie borghesi; al di sopra ancora abitavano laservitù ed i lavoratori delle botteghe e delle prime forme di industria.Ma questi concetti li spiegherà sicuramente meglio la professoressa Car-dia, sulla base della sua lunga e appassionata esperienza sul campo.Lo farà illustrandoci il Manuale “Pianificazione, Disegno Urbano, Gestione

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degli Spazi per la Sicurezza” realizzato dal Politecnico di Milano in colla-borazione con l’Istituto di Progettazione e Pianificazione dell’Ile-de-France econ la Regione Emilia Romagna.E’ un Manuale di grande interesse, che colma un significativo vuoto cultu-rale e disciplinare in Italia, e che discende dal lavoro adottato nel 2007 dalComitato Europeo di Standardizzazione (CEN) e redatto in forma di Te-chnical Report, ovvero come raccolta di “buone pratiche”.Questa è la logica con cui è strutturato il Manuale, per proporre attenzioni,suggerimenti, procedure, processi. Certamente non un apparato di nuoveregole preconfezionate, cui dare applicazione in qualsiasi piano o progettoper sottoporlo all’ennesimo controllo burocratico.Ciò chiarito, si pone però un interrogativo: come fare in modo che il Ma-nuale non rimanga nel cassetto? Come fare in modo che l’approccio di-dascalicamente mostrato dal Manuale - ovvero l’indicazione che le politichedi sicurezza possano essere affrontate in termini di politiche territoriali - nonsia affidato alla sensibilità occasionale del committente, del progettista, odel decisore pubblico? Allo stato attuale questa è la situazione in Italia,nelle regioni italiane. Un esempio diverso ci viene dalla Francia, che hastabilito, con decreto dell’agosto 2007, di assoggettare allo studio di si-curezza pubblica determinate tipologie di intervento urbanistico.Qui, in Regione Piemonte, abbiamo la “fortuna” di avere una nuova leggedi governo del territorio in corso d’esame in Consiglio regionale. E’ un’oc-casione da cogliere al volo. C’è la possibilità di integrare la norma, affin-chè - negli strumenti di attuazione dei piani urbanistici - gli elaboratiprogettuali tengano conto e siano finalizzati alla prevenzione ambientale delcrimine ed alla sicurezza urbana. Avanziamo oggi questa proposta, allapresenza di molti dirigenti e funzionari di diverse Direzioni regionali, ma ri-volgendoci innanzitutto a chi rappresenta oggi l’assessore alle Politiche Ter-ritoriali, cui compete la nuova legge di governo del territorio. Definire nelmodo migliore i contenuti di tale norma è argomento che confidiamo troviuna risposta al termine della discussione odierna.

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie architetto Madaro, adesso possiamo entrare nel merito dei nostri la-vori, anche se è indubbio che gli amanti delle colonne - rifacendomi al suoesempio - dopo cinquecento anni, sono ancora in giro per l’Italia e per To-rino. Basta vedere i risultati della Spina 3, dove sicuramente problemi di si-curezza emergeranno nei prossimi anni; ma si vede che le banlieus pariginenon hanno insegnato niente a nessuno.Questi convegni hanno anche un’aspirazione e un obiettivo: quello di creareuna cultura della progettazione. In Italia il tema sull’approccio ambientale,è già stato ricordato, con un’ottica accentrata alla pianificazione urbana èstato affrontato per primo dal Laboratorio di ricerca qualità urbana e sicu-rezza del Politecnico di Milano, fondato e coordinato dalla ProfessoressaClara Cardia.Ricordo, solo per sommi capi, a che cosa hanno portato le ricerche svoltedalla Professoressa. Hanno definito quattro livelli sui quali una politica di si-curezza a livello urbanistico deve puntare: in primis, la riqualificazione dellospazio fisico; il sostegno all’abitabilità urbana; la mobilitazione della co-munità; la collaborazione con le forze dell’ordine. Quest’ultimo credo siauno degli altri aspetti che lega l’urbanistica alla sicurezza.Ora, è stato ricordato che queste esperienze, ed altre che non sono statemenzionate, sono rientrate nello studio del CEN, il Comitato Europeo diNormalizzazione, che verrà qui appunto presentato dalla Professoressa.Esso, con la sua standardizzazione, ha un pregio che è quello di facilitarela comunicazione tra diversi attori coinvolti e può essere - come ricordavaprima l’architetto Madaro - adottato su base volontaria.Credo che questo dovrebbe essere un invito, più che fermarsi alla sola basevolontaria, perché questo documento fornisce dei requisiti che favoriscono

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la prevenzione del crimine nelle aree residenziali esistenti e di progetto,con l’obiettivo di assicurare la sicurezza e minimizzare la paura della vio-lenza, che credo sia un altro degli obiettivi che ci dobbiamo porre. Ricordosolo un fatto: lo stupro di giugno dell’anno scorso a Roma poteva forse es-sere evitato se ci fosse stata un’illuminazione maggiore in quella determinatastrada. Non è un problema solo di polizia.Ora lascerei la parola alla Professoressa Cardia.

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Clara CardiaResponsabile Laboratorio Qualità Urbana e Sicurezza del Politecnico di Milano

Presentazione del Manuale ed uso del Manuale per valutare i progetti

Vorrei innanzitutto ringraziare la Regione Piemonte per questa splendida ini-ziativa. Le relazioni che mi hanno preceduta sono state chiare e puntuali,raramente ci si trova di fronte ad una preparazione mirata da parte di unEnte rispetto ad un problema così nuovo e sono veramente grata di questocontesto che ci permette di lavorare seriamente su questi problemi.Nodo centrale della questione è che bisogna creare una cultura in questosenso; come è stato più volte sottolineato, non si tratta di dettare regole enorme, ma di costruire il giusto contesto di sostegno per una cultura diversadel progettare la città.Procederò alla presentazione del Manuale per poi pormi le stesse domandeche sono state esposte in precedenza: come andremo avanti dopo il Ma-nuale?Il Manuale è stato elaborato dal Politecnico di Milano in collaborazionecon la Mission Etudes Securité dell’Ile-de-France (la regione parigina) e il Ser-vizio Politiche per la Sicurezza e Polizia Locale della Regione Emilia Ro-magna.Non tratterò gli aspetti teorici, che sono stati esposti in modo chiaro nellerelazioni che mi hanno preceduta. Mi limiterò a ricordare che da quasi qua-rant’anni studi e ricerche si occupano, soprattutto nel mondo anglo-ameri-cano, di prevenzione del crimine attraverso la progettazione el’organizzazione dello spazio urbano, e a sottolineare che l’avvio delle at-tività in questo settore non ha avuto luogo solo nel mondo della ricerca, mache un contributo determinante è venuto dal campo legislativo.Nel 1968, a quasi dieci anni dalla pubblicazione del libro di Jane Ja-cobs,viene emanato l’“Omnibus Crime Control and Safe Street Act” unalegge importante che, di fatto, dà inizio a nuove politiche di prevenzione

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che, anche se a scala molto ridotta, includono l’urbanistica.Oggi abbiamo quindi quarant’anni di esperienza alle spalle, quarant’annicon alti e bassi che hanno anche visto l’idea della prevenzione attraversol’urbanistica perdere completamente rilievo per poi riacquisire importanzanegli ultimi decenni. Io stessa mi sono formata negli Stati Uniti negli anni deiprimi fermenti, lavorando con Oscar Newman alla Columbia University,dove è nato uno dei fulcri teorici di questo approccio che allora sembravaassolutamente visionario.Tutto quello di cui parliamo oggi parte dal presupposto che l’organizza-zione degli spazi urbani influisce sul loro livello di sicurezza, può renderlipiù sicuri, ma può anche concorrere a farli diventare pericolosi. È perciò im-portante che la sicurezza diventi uno degli obiettivi della progettazione edè per questo che è stato creato il Manuale. È necessario sensibilizzare iprogettisti e i decisori pubblici e dare gli strumenti tecnici adeguati ai pro-gettisti se vogliamo, appunto, che la sicurezza diventi un elemento essen-ziale, integrato nella progettazione e non un successivo controllosupplementare.Il primo passo in questo senso è stato fatto con l’emanazione da parte diCEN (Comitato Europeo di Normalizzazione) del Technical Report 14383-2, frutto di dieci anni di impegno congiunto da parte di un gruppo di lavoroeuropeo.Il Technical Report approvato nel 2007, esiste in tedesco, francese e in-glese, e si spera verrà pubblicato presto anche nella versione italiana chedovrà essere approvata dall’UNI, l’Ente Nazionale di Unificazione.Lo scopo di questo Report, che non si configura come una norma, ma comeun documento di buone pratiche, è di supportare la progettazione dellospazio urbano, la riqualificazione degli spazi esistenti e la valutazione deiprogetti.Come già esposto con molta chiarezza dall’Assessore, la prevenzione dellacriminalità attraverso la pianificazione e la progettazione è un processocomplesso, che coinvolge molti saperi, molti attori, molti decisori. Le disci-

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pline interessate vanno dall’architettura, all’urbanistica, alle scienze sociali,alle scienze giuridiche, a quelle del management. Numerosi sono anche isettori dell’amministrazione pubblica coinvolti: la polizia, gli uffici tecnicicomunali, gli uffici del sociale, i servizi dell’educazione. Così come sononumerosi anche i decisori chiamati in causa: l’Ente pubblico, gli operatoriprivati, i portatori di interesse ecc. Chiunque abbia esperienza di lavorocon l’Ente Pubblico sa quanto sia difficile realizzare una collaborazione in-tersettoriale. Il Technical Report si pone l’obiettivo di dare una struttura sem-plice - o in qualche modo semplificata - di questo processo complesso, incui i diversi saperi, i diversi settori operativi e i diversi attori devono colla-borare.Il Manuale che vi presentiamo oggi è lo strumento applicativo di questo Te-chnical Report e in particolare del famoso Allegato D, che ne è la parte piùoperativa.Lo scopo del Manuale, lo ripetiamo, è di dare supporto tecnico ai profes-sionisti, e non solo a loro, ma anche ai decisori pubblici e ai committenti: itre attori di una politica integrata di sicurezza che consideri lo spazio ur-bano. Il Manuale dà criteri di pianificazione urbana, di disegno urbano, edi gestione dello spazio; e qui vale forse la pena di soffermarsi un istante.Esistono molti manuali (attraverso una semplice ricerca ne abbiamo trovatiuna quarantina) sulla sicurezza nell’edilizia; molti paesi, dal Canada, cheè uno stato leader in questo settore, agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, al-l’Australia, alla Svizzera, hanno prodotto dei manuali che cercano il modoper integrare concetti di sicurezza nella progettazione edilizia. È una que-stione molto importante, la sollevava già Oscar Newman quarant’anni fa,ma noi oggi pensiamo che sia importante ragionare anche a livello di scalaurbana. Quindi, la novità della norma CEN e del Manuale è di affrontarela questione su scala urbana, finora decisamente poco trattata. Le decisioni,anche di urbanistica a grande scala, hanno un’incidenza sulla sicurezzaforse maggiore di quella delle decisioni, seppur importanti, prese su pic-cola scala. Non è facile cogliere questo nesso, in effetti la redazione della

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parte del Manuale sulla pianificazione urbana è stata la più difficile, per-ché è un settore molto nuovo in cui poco è stato sperimentato. L’altro aspettoinnovativo del Manuale, e su questo è stato fondamentale il contributo delPartner Francese, è la gestione degli spazi. Si è capito che senza unabuona gestione dello spazio urbano non ha alcun senso fare una politicadi sicurezza. In questo campo i Francesi sono i più avanzati in Europa.Tre concetti chiave permeano il Manuale, li riepilogherò rapidamente per-ché sono già stati espressi dall’Assessore con molta chiarezza: il primo èquello di “sorveglianza spontanea”, cioè quella sorveglianza esercitata sulterritorio da cittadini, abitanti, city users, esercenti e gestori delle attività ecc.(questo concetto traspare perfettamente dagli episodi che si verificano nellospazio urbano e dagli estratti di vita quotidiana che Jane Jacobs descrivecon tanta chiarezza; a chi di voi non l’ ha ancora letto, consiglio questo bel-lissimo libro perché è piacevole e scorrevole come un romanzo - anche i no-stri studenti lo amano molto - e descrive molto bene come, di fatto, ilcittadino sia il primo tutore dell’ordine della città, senza, con questo, smi-nuire l’importante ruolo della polizia).Il secondo concetto, che viene sempre da Jane Jacobs, è l’identificazionecon il territorio - molto usata nelle politiche per i quartieri difficili – ovvero ilprincipio secondo il quale la gente rispetta e difende il territorio che senteproprio. Se le persone riescono in qualche modo a sentire un luogo comeproprio ne avranno una cura particolare, quasi alla stregua di quella riser-vata alla propria casa; quest’estensione del concetto di territorio privato alterritorio pubblico inteso come bene comune è stato ampiamente trattato daOscar Newman.Il terzo concetto è che un luogo ben gestito trasmette un messaggio di si-curezza, è un deterrente al crimine e rassicura gli utilizzatori.Colgo l’occasione di aver focalizzato l’attenzione su questi tre concetti perdare qualche scorcio su come è stato discusso il contenuto del Manuale du-rante la sua costruzione: il Partner Francese, che ha una visione più orien-tata sugli aspetti gestionali rispetto a noi, sosteneva che stessimo incentrando

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il lavoro troppo sulla sorveglianza naturale e riteneva che, al di là dell’im-portanza di questi tre concetti chiave, anche la sorveglianza organizzata,in tutte le sue forme, andasse rivalorizzata e riportata più vicina al cittadino.Abbiamo cercato di assimilare questi punti di vista diversi dai nostri e ab-biamo ricercato un approccio che andasse di là della sola sorveglianzanaturale, e che riunisse questo nostro concetto base con i nuovi concetti - adesempio quelli di polizia locale portati avanti da molti paesi - di “sorve-glianza organizzata in modo soft”, come parte integrante della vita della co-munità.Veniamo adesso all’applicazione del Manuale che è una questione un po’delicata su cui abbiamo discusso molto sia nel gruppo CEN che nel gruppoche ha elaborato il Manuale stesso. Il rischio di un Manuale è che vengaapplicato in modo meccanico; per questo all’inizio ho sottolineato comesia importante creare una cultura diversa e non fornire solo indicazioni daapplicare semplicisticamente. La normativa, in fondo, nasce dall’industria,ovvero un settore in cui ingegneri e tecnici sono abituati a quantificare i fe-nomeni, a normalizzarli, a dire come deve essere costruita una macchina,come deve essere dimensionata una trave ecc. Noi ci muoviamo in unmondo diverso, in un mondo qualitativo, pertanto molto si è discusso e di-battuto: come si fa ad adattare una norma ad un contesto qualitativo? Aquesto scopo, al CEN TR 14383-2 è stata attribuita la valenza di RapportoTecnico, ovvero non una norma vera e propria ma una guida di buone pra-tiche. Proprio per adattare una “norma“ ad un processo qualitativo comequello della progettazione della città, il CEN TR 14383-2 si propone comeuno strumento a sostegno di una progettazione che sia consapevole diquanto e come l’organizzazione dello spazio influisce sulla sicurezza: lo fafornendo una check-list di domande chiave da rivolgersi sul progetto, e unaserie di principi guida di riferimento. In questo modo viene fornita una strut-tura di riferimento e supporto e viene lasciato a chi legge la facoltà di in-trecciare i principi guida e le domande chiave in rapporto al contestospecifico. Il Manuale segue questa stessa prassi e riprende, una per una,

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le domande del Technical Report, è pertanto possibile seguire il Manuale inparallelo all’Allegato D.Quindi, il messaggio che vorrei dare è che non si tratta di un processoquantitativo, non vogliamo normare, vogliamo solo creare uno strumento dipresa di coscienza per porsi le domande giuste, come: “qual è l’influenzasulla sicurezza del progetto che sto facendo?”Il Manuale è suddiviso in tre capitoli principali: pianificazione, disegno ur-bano, gestione degli spazi. Prendo ad esempio il capitolo “Disegno ur-bano” che, come potete leggere, si articola in una serie di sottotemi di cuivi propongo di vedere brevemente insieme “Distribuzione delle attività”. Es-sendo tutti voi in possesso del Manuale, potete seguire agevolmente quantopreso ad esempio e quindi lo vedremo molto velocemente: anche qui, comeper ogni tema riportato nel Manuale, viene prima affrontato il problema ge-nerale, proprio per offrire uno strumento e consentire un ragionamento cheeviti la sola applicazione di regole. Nel caso delle attività, che stiamousando come esempio, la voce “il problema” essenzialmente spiega comele attività aggiungano vitalità alle strade e agli spazi pubblici e come, ga-rantendo un efficace occhio sulla strada, siano uno degli strumenti più utiliper creare il controllo spontaneo o naturale del territorio. È quindi molto im-portante che gli urbanisti e i progettisti considerino le attività un elemento es-senziale della progettazione. Oggi, come sappiamo, la progettazione èfortemente orientata sulla parte tecnica e fisica dello spazio urbano e pocosulle attività. Esistono ancora pochi strumenti urbanistici che ci aiutano inquesto senso, però tutta l’Europa si sta muovendo verso una nuova stru-mentazione urbanistica che prende nella giusta considerazione le attività.Questo non riguarda solo gli urbanisti e i progettisti, ma anche i proprietari,i costruttori (l’ing. Bottigelli presenterà oggi proprio il caso di un costruttoreche si è interessato a questi problemi), i decisori pubblici e chi ha potere de-cisionale in merito alle scuole, alle attrezzature sportive ecc. Tutte queste fi-gure chiave devono pensare anche in un’ottica di sicurezza perché le attivitàsono un controllo spontaneo dello spazio pubblico. Come vanno localizzate

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le attività? Il Manuale dà una serie di criteri per localizzare le attività inmodo da fornire una migliore sorveglianza spontanea. Si ricordano poi al-cuni punti chiave: è meglio creare una certa distribuzione, anziché una con-centrazione in un punto unico, perché questo incrementa la vitalità in unaparte più ampia di territorio; le attrezzature pubbliche hanno un granderuolo nel rendere lo spazio pubblico più sorvegliato ed è importante chesiano visibili, perché danno segno della presenza del pubblico nello spa-zio urbano. Il punto successivo riguarda i negozi; questi vanno localizzatiin posti chiave perché, da molti studi, sappiamo che un bar o un negozioben posizionati (ad esempio ad un incrocio) possono dare un occhio sullastrada e una sensazione di vitalità ad un ampio spazio. Quindi portiamosulla strada il maggior numero possibile di attività e soprattutto localizzia-mole in posizione chiave. Un importante suggerimento, che ci viene dal-l’esperienza dei paesi nordici è di prevedere, in fase progettuale, che ilpiano terra possa essere reversibile tra commerciale e residenziale. Questopermette di adattare le situazioni ai cambiamenti del contesto; ad esempio,ci sono quartieri in cui il commercio non sopravvive e i negozi chiudono; perevitare l’effetto dequalificante sulla strada e la forte sensazione di insicu-rezza che inevitabilmente ne conseguirebbe, si può pensare che questi ne-gozi vengano trasformati in residenza. Oppure, al contrario, costruendo unnuovo quartiere, si può prevedere residenza al piano terra, in attesa che lavita dell’area prenda piede e ci siano quindi i presupposti perché alcune viediventino strade commerciali. L’esperienza svedese ci dimostra che questareversibilità è utile e possibile, requisito fondamentale è che l’altezza dei lo-cali sia compatibile. Per esempio i famosi pilotis che le norme italiane con-sentono - irrecuperabili in questo senso, perché privi dell’altezza necessariaper diventare negozi o luoghi dedicati ad altre attività - si presentano peri-colosi e problematici per i nostri quartieri in quanto teatro di degrado, di attiincivili ecc.Su tutti questi elementi il Manuale prende posizione; raccomanda che ipiani terra siano il più trasparente possibile e che vi si portino le attività che

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spesso sono ai piani alti.Si è già pensato, nel caso di Modena, di fare dei regolamenti che impe-dissero di collocare attività ai piani alti nel caso esistessero piani terra vuoti.Si proponeva pertanto di portare al piano terra, attività come la scuola didanza, e locali quali depositi per le biciclette, lavanderie, spazi per gli an-ziani ecc...; tutte queste attività inserite al piano terra e fornite della ade-guata trasparenza permettono alla vita presente dentro l’edificio dicontribuire alla vitalità della strada.In conclusione vorrei nuovamente sottolineare che è molto importante che leindicazioni fornite vengano adattate allo specifico contesto. Ripeto quelloche ha già detto l’architetto Madaro: quali sono le condizioni necessarieperché le buone pratiche diventino realtà operative? L’esempio francese cheè stato citato è molto importante, sicuramente il più chiaro in Europa; quindiè opportuno che ci sia una normativa capace di dare la più ampia diffu-sione possibile a queste buone pratiche. In questo la situazione italiana èin mano alle Regioni più sensibili a questo tipo di problemi.

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie alla professoressa Cardia.Credo essere sotto gli occhi di tutti che queste brevi considerazioni, chesono state fatte, non è che siano applicate moltissimo nel nostro Paese.Quindi, se andiamo a rivedere le costruzioni più nuove, credo che ci sianotutti quegli errori. Basterebbe anche pensare ai centri commerciali - il nostroassessore è anche assessore al Commercio - basterebbe pensare solo allegallerie commerciali che vanno esattamente dalla direzione opposta, cioèa fare un nucleo distaccato dal quartiere, dall’abitazione, dove la gentedeve entrare, certo, recentemente con la normativa regionale ciò è statocorretto, però in questi anni si sono costruiti in questa maniera tutti i centricommerciali.Darei adesso la parola al dottor Nobili, della Regione Emilia-Romagna, per-ché ci faccia un breve quadro, anche nel tempo, delle esperienze che sisono fatte di utilizzo del Manuale, quindi per sottolineare che questo Ma-nuale è applicabile. Verranno riportate alcune esperienze della RegioneEmilia, ma non solo della Regione Emilia.

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Gian Guido NobiliResponsabile area Ricerca e progettazione del Servizio Politiche per la si-curezza e polizia locale della Regione Emilia Romagna

Diffusione e prime esperienze di utilizzo del Manuale “Pianificazione, di-segno urbano e gestione degli spazi urbani per la sicurezza”

Buongiorno a tutti,ringrazio naturalmente gli amici della Regione Piemonte per il gradito in-vito, che mi permette di riportarvi la nostra esperienza non solo di diffusionedel Manuale "Pianificazione, disegno urbano e gestione degli spazi urbaniper la sicurezza", ma anche come siamo arrivati ad esso in un lungo per-corso di parternariato con il Laboratorio del Politecnico di Milano direttodalla professoressa Cardia.Il Manuale che vi viene presentato rientra infatti in una scelta strategica re-gionale: elaborare politiche coerenti con i problemi che si devono affron-tare e basate su dati di conoscenza affidabili, fornendo strumenti utili dilavoro per chi opera nel campo della sicurezza.Il Manuale rappresenta un'ulteriore tappa di un impegno sui problemi dellasicurezza e del degrado urbano che la Regione Emilia-Romagna sta por-tando avanti non da oggi.Si tratta di un lavoro lungo, quotidiano, spesso faticoso, che non sempre ri-chiama l’attenzione dei media perché non ha nulla di clamoroso e non pro-pone alcuna ricetta miracolosa, ma che ha prodotto risultati significativi nelterritorio.Il tipo di interventi che abbiamo sostenuto ormai da oltre un decennio nellecittà è molto vario e segue la logica chiave delle politiche regionali, quelladella integrazione delle misure. Si va dal potenziamento e qualificazione delcontrollo sul territorio, alla riqualificazione urbana, a interventi a sostegnodell’emarginazione e del disagio sociale, a servizi per l’integrazione mul-tietnica, ad azioni di animazione dello spazio pubblico.

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Per quanto qui più ci interessa, l’attenzione alla riqualificazione urbanacome strategia determinante di prevenzione si è concretizzata, dal 2000fino ad oggi, in alcuni cosiddetti “progetti-pilota”. Si tratta di interventi rea-lizzati in collaborazione con il Servizio Riqualificazione Urbana che hannoavuto l’obiettivo di riqualificare, nell’ottica della sicurezza, importanti areedelle città emiliano romagnole. Tre sono state le aree privilegiate di inter-vento: le stazioni ferroviarie di alcune grandi e medie città e le aree circo-stanti; le aree liberate dalla dismissione di attività obsolete e i grandiinsediamenti problematici. Faccio riferimento in quest’ultimo caso ad esem-pio ai grandi interventi di riqualificazione che stanno interessando tuttal’area del residence Bologna Due di Calderara di Reno, o agli interventi delquartiere Braida di Sassuolo, di cui più tardi l’ing. Bottigelli vi presenterà idettagli.Recentemente la Regione, in attuazione della Legge regionale 24 del2003, ha stipulato intese e accordi di collaborazione con alcuni Comunigià interessati dai progetti pilota o con altre realtà comunali, per interveniresu aree particolarmente problematiche, o su problemi di rilevanza regio-nale.Questo filone di interventi rappresenta in qualche modo il proseguimento deiprogetti pilota, pur non essendo limitato ad interventi solo urbanistici.Anche nella nostra regione siamo partiti da una constatazione ormai notain altri paesi europei e oltre oceano: la struttura e l'organizzazione dellospazio sono di fondamentale importanza per la sicurezza e la percezionedi sicurezza dei cittadini.Partendo quindi dalla analisi dell’impatto, positivo o negativo, che le scelteurbanistiche possono generare sulla sicurezza, grazie anche al fondamen-tale aiuto degli amici del Politecnico, abbiamo sostenuto gli interventi di ri-qualificazione nelle città proponendo nel contempo una serie di criteriempirici per la pianificazione, la progettazione e la gestione degli spazi ur-bani, con particolare riguardo agli interventi di trasformazione e riqualifi-cazione.

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Molti di quei criteri elaborati allora, sono contenuti ora nel Manuale.Per rendere efficaci tali criteri, si è suggerita una procedura di attuazione perl’ente locale che parta dall’individuazione di un gruppo di lavoro multidi-sciplinare per la sicurezza in grado di garantire l’analisi delle azioni da in-traprendere, il controllo delle diverse fasi di progettazione e la valutazionedei risultati.Insisto molto sull’approccio multidisciplinare perché per noi è stato fonda-mentale, a partire dall’integrazione del mio servizio regionale sulla sicu-rezza urbana con quello della riqualificazione. È un processo semplice soloa parole, e chi lavora nelle pubbliche amministrazioni sa quanto sia lontanodalla pratica quotidiana.In diversi casi, i progetti pilota si configurano come interventi di qualifica-zione, in termini di sicurezza, di altrettanti programmi di riqualificazione ur-bana, con i quali sono quindi inscindibilmente legati.Si tratta di un’opportunità, se i tempi di realizzazione dei due processi pro-cedono, come ipotizzato, parallelamente, ma anche di un rischio, perchéla complessità dei processi di riqualificazione urbana può portare, nei fatti,ad una diluizione dei tempi di realizzazione dei singoli interventi, incom-patibile con l’unitarietà e quindi con l’efficacia degli interventi sulla sicu-rezza.Una preoccupazione, questa, che ha portato ulteriori argomenti alla ne-cessità di progettare e sperimentare, in maniera realmente integrata tra i di-versi servizi a partire da quelli regionali fino a quelli del Comune attuatoredell’intervento.Per quanto appena detto, emblematica è l’esperienza per la sicurezza av-viata nel quartiere Braida a Sassuolo. Dei dettagli tecnici non parlerò, vistoche saranno oggetto dell’intervento successivo dall’ingegner Carlo Botti-gelli. Qui mi interessa sottolineare la complessità degli attori e delle azioniproposte.Il progetto di riqualificazione urbana nel quartiere è iniziato nel 2004 conun finanziamento regionale che ha consentito l’acquisto di tre appartamenti

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di uno stabile altamente problematico in via S. Pietro 6. Successivamentenel giugno 2005 è stato realizzato lo sgombero del condominio S. Matteo,con un contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e la ri-collocazione di 25 nuclei familiari.È stato poi affidato l’incarico al Laboratorio di Sicurezza Urbana del Poli-tecnico di Milano per l’elaborazione di uno studio sulla sicurezza urbanadel quartiere.In seguito si è proceduto su strade parallele: da una parte la firma dell’ac-cordo di programma tra il Comune e la Regione nell’aprile 2006 che pre-vedeva, tra l’altro, l’organizzazione e la riqualificazione del corpo di PoliziaMunicipale, l’adeguamento delle strutture e delle sue attrezzature tra le qualil’istituzione di una postazione per il fotosegnalamento, e l’avvio del proce-dimento di esproprio dell’immobile di via S. Pietro 6 finalizzato al suo ab-battimento. Per darvi un’idea dei costi solo l’esproprio è costato due milionidi euro.Dall’altra l’istituzione di un Comitato tecnico scientifico interdisciplinare confunzioni di consulenza scientifica e metodologica.Scegliendo un approccio interdisciplinare al problema della riqualificazionedel quartiere Braida, attivando la collaborazione con la Regione e con l’isti-tuzione di un comitato tecnico scientifico, l’esperienza del Comune di Sas-suolo ha sostanzialmente anticipato le linee guida del Manuale e può abuon diritto essere considerato un caso pilota in questo settore.Analogamente votato ad un approccio integrato è l’intervento di preven-zione realizzato nell’area della stazione di Ferrara e di cui vedete alcunefoto.In questo caso per garantire il successo degli interventi, che qui piuttostosono incentrati sugli aspetti di corretta gestione degli spazi – non a caso ilcapitolo conclusivo del Manuale, debitore in buona parte della più avan-zata esperienza dei nostri partner di progetto francesi – si è fatto leva su unaforte integrazione inter-istituzionale fra assessorati alla Sicurezza, ai Servizisociali, la Polizia Municipale e le forze dell'ordine, in questo caso in parti-

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colare la Guardia di Finanza.La scelta della Regione per il futuro sarà certamente di investire sempre piùsulla riqualificazione degli spazi urbani, sia per contenere il consumo dinuovo territorio, sia per correggere le tante situazioni di crisi che esistononelle nostre città, e che non di rado nascono da errori urbanistici del pas-sato.Non aggiungo altro, per non togliere spazio alle presentazioni dei casi daparte dell’ing. Bottigelli, come avevo solennemente promesso alla profes-soressa Cardia.Grazie ancora per l’attenzione.

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Carlo BottigelliEsperto Laboratorio Qualità Urbana e Sicurezza del Politecnico di Milano

Presentazione di due casi di studio in Italia

Buongiorno, vi illustrerò ora due casi studio sui quali abbiamo lavoratoprima dell’elaborazione del Manuale, nel senso che eravamo già parte-cipi, la professoressa Cardia e io, della Commissione internazionale che haelaborato le norme CEN; quindi eravamo già al corrente di quelli che co-munque erano i criteri condivisi dagli altri esperti europei che lavoravano sul-l’elaborazione del Technical Report CEN.I due casi studio sono uno a Ferrara, e riguarda un complesso di tipo pre-valentemente commerciale e terziario, e l’altro a Sassuolo e riguarda unazona molto degradata.Avrei scelto come primo caso quello di Ferrara perché, potrebbe sembrarestrano, è applicato a un intervento di iniziativa privata. Nel caso specifico,la società immobiliare che stava realizzando questo grande complesso conattività sostanzialmente private (sebbene alcune - come la residenza per stu-denti - con finalità pubblica), ci ha chiamato, perché l’area era molto vi-cina alla stazione ferroviaria di Ferrara. La vicinanza a questa zonaproblematica (di cui ha accennato il dottor Nobili nel suo intervento - areadella quale ci eravamo occupati in precedenza quando si collaborava conla Regione Emilia-Romagna proprio per i progetti pilota) aveva fatto capireche tutta l’area attorno alla stazione oramai soffriva di questi problemi chepiano piano si erano diffusi nel tessuto urbano.L’operatore immobiliare, titolare del progetto in avanzato stato di realizza-zione, avendo seguito il dibattito sui problemi che la stazione e la presenzadi un alto numero di persone immigrate (e non solo) stavano diffondendo sulterritorio, ha ritenuto opportuno procedere a una specie di “audit” del pro-getto in termini di sicurezza, per capire se si potessero individuare degli in-terventi migliorativi per migliorare la situazione. Vediamo di analizzare

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l’area: questo è il sedime dell’area di progetto e questa è la stazione conla linea ferroviaria; la distanza dalla stazione è circa 500 m. Parliamo diun progetto di circa quattro anni fa, quindi precedente al Manuale, ma con-temporaneo all’elaborazione della norma CEN. Un’idea della situazione alcontorno: là si vede l’edificio in costruzione; questa è l’area di intervento pre-cedente alla demolizione, era un’area industriale dismessa. Da notare lapresenza del canale, il Canale del Po di Volano, presenza storica per lacittà di Ferrara, che pone una barriera a tutta una zona molto indefinita ealtrettanto problematica che sta dall’altra parte del canale. Queste sono al-cune foto del cantiere al momento in cui sostanzialmente siamo intervenuti.Questo vorrei sottolinearlo, perché di solito queste analisi si fanno, quandoè possibile preventivamente, in fase di progetto: anche la stessa norma CENraccomanda di farla in fase di progettazione. In questo caso il complessoera sostanzialmente già progettato; parliamo di un complesso urbano ab-bastanza consistente: più di 70.000 mq di superficie lorda divisa, in terminidi funzioni, tra una residenza studentesca, una piastra commerciale, unatorre per uffici, un grande cinema multisala con dodici sale, un’altra piastra

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commerciale con residenza soprastante, spazi pubblici e sotto, quasi dap-pertutto, due livelli di parcheggi.Ecco, questa immagine dà l’idea del momento in cui siamo intervenuti. LaCommittenza ci aveva messo a disposizione tutti i disegni progettuali, malo stato di avanzamento dei lavori, come vedete, era abbastanza avan-zato. Voglio sottolineare questo perché, in realtà, noi possiamo condurreun’analisi dell’edificato per capire come è possibile intervenire; ma biso-gna anche rendersi conto che mentre alcuni sono interventi fattibili, altri in-vece diventano abbastanza complessi da realizzare quando gli edifici sonogià quasi terminati. Aspetto altrettanto importante da sottolineare è quelloche è difficile andare in cantiere dove è già realizzato metà dell’edificio eriuscire a comprendere come sarà una volta completato. Ovviamente siamopersone che lavorano in questo settore da anni, però è sempre difficile im-maginare la situazione nel momento in cui sarà operativa. Quindi, come sidiceva negli interventi precedenti, non è un problema legato solamente alle

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caratteristiche costruttive, ma alle attività che vi si svolgeranno, che ritmi diuso avranno, che orari, che tipo di persone partecipano. Tutte queste cosefanno parte dell’analisi che abbiamo condotto a Ferrara.Nel momento in cui siamo intervenuti, la multisala era l’unica attività che sisarebbe inaugurata nel giro di qualche settimana. L’altro problema grossoera capire quali potevano essere i problemi di sicurezza in fase intermediaperché, al di la dei problemi da affrontare per la fase definitiva, c’era unproblema aggiuntivo di mettere in sicurezza i frequentatori del primo lottodegli interventi, quando questo sarebbe entrato in funzione.Questa invece è una foto aerea della situazione attuale; ormai è in corsodi realizzazione solo la parte residenziale, tutto il resto è praticamente com-pletato. Questa è una foto del 2007; il nostro lavoro era stato fatto nel2004. Queste sono sempre le foto fatte nel 2007. Questa è la planimetria

1- Banchina del Po di Volano a ridosso del ponte di S. Giacomo2- Zona carico/scarico merci supermercato3- Parcheggio pubblico sopra il supermercato4- Accesso ciclo-pedonale al ponte di S. Giacomo5- Percorso ciclo-pedonale alla fine del ponte di S. Giacomo6- Uscita cinema multisala a nord Camera di Commercio7- Passaggio tra l’edificio Camera di Commercio e Palazzina Darsena City8- Piazzetta pedonale di accesso al cinema multisala

9- Passaggio tra Darsena City Gallery e nuova parte10- Affacci vetrati nuova galleria su piazza pubblica

11- Piazza tra i due complessi residenziali12- Affacci vetrati della nuova galleria verso il lungo fiume

13- Affaccio di Darsena City Gallery sul lungo fiume14- Terrazza al primo piano cinema multisala

15- Tratti di banchina a ridosso della terrazza sul fiume

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di tutto il complesso, vediamo le funzioni: questo è il commerciale con soprala residenza studentesca; altra piastra commerciale con sopra residenza, lamultisala che ha un ingresso a galleria ma le uscite (come tutte le strutturecinematografiche) laterali; e ancora della residenza in questo punto. Qui ve-diamo i fattori da prendere in considerazione quando si procede con que-sto tipo di analisi: c’è un discorso di affacci su strada, che danno unasorveglianza agli spazi pubblici: un affaccio diretto vuol dire avere delle fi-nestre o avere delle vetrine. Un altro fattore che incide negativamente è lapresenza di muri ciechi. Sono muri che avevamo preannunciato che inquelle situazioni sarebbero rapidamente diventati graffitati e infatti lo sonodiventati (anche se in alcuni casi sono riusciti a intervenire per sopperire inparte a questi muri ciechi o parapetti ciechi). Vedremo la differenza tra pa-rapetti trasparenti, che quindi consentono di vedere e anche di essere visti,e parapetti ciechi - che oggi sono molto di moda - parapetti che invececreano degli ostacoli visivi. Parapetti trasparenti, recinzioni (dove erano giàesistenti), scarso affaccio, siepi (dove erano previste), affaccio trasparente(perché come vedremo incide molto sulla visibilità dall’interno degli spaziesterni), presenza di portici, fronti commerciali, ingressi pedonali, carrabilie le uscite del cinema multisala perché le uscite ovviamente sono molto di-verse dalle entrate.Abbiamo condotto l’analisi su tutto il lavoro e abbiamo individuato una seriedi problemi (non sto ad elencarli tutti); per esempio, sopra la piastra com-merciale era previsto un parcheggio per integrare i parcheggi interrati e

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anche per dare accesso rapido alla piastra commerciale. Uno dei problemiera che il parcheggio era privo di cancelli, nel senso che questo spazioera accessibile a tutti anche nelle ore notturne e serali, quindi anticipo su-bito quello che è stato uno degli interventi: la raccomandazione che fosseroprevisti, sulle rampe di ingresso e uscita, almeno dei cancelli in modo che,a una certa ora, quando veniva chiusa l’attività commerciale, venisse chiusoanche il parcheggio, veramente terra di nessuno. Un altro problema, peresempio: non era stato delimitata, in modo che potesse essere chiusa, lazona di carico e scarico per tutta la piastra commerciale. Voi sapete cosadiventano queste aree con involucri, cassoni eccetera che rimangono inquesti spazi. Era poi prevista una sorta di nuova banchina lungo il canale;la banchina aveva un problema: finiva in un elemento terminale invisibiledalla strada sovrastante perché lì c’è un ponte che passa sopra. Quella po-teva diventare, in una zona vicino la stazione dove sapevamo da altre in-formazioni che c’erano problemi di spaccio di droga, una situazione idealeper potere andare avanti a fare questo tipo di attività illecite. Un altro pro-blema: vicino a questo edificio per uffici c’era un percorso pedonale (unmarciapiede) sopraelevato rispetto alla strada con -era previsto allora- un pa-rapetto non trasparente, come quelli di cui dicevo prima, quindi non c’erapraticamente nessuna possibilità di sorveglianza da parte del traffico (checomunque è un deterrente rispetto alle aggressioni) che si svolgeva nellastrada sottostante. Un’altra raccomandazione, in questa situazione perifericarispetto alle attività centrali del complesso, decentrata quanto meno, è stataquella che il piano terra di questo edificio per uffici rimanesse con le luci ac-cese tutta la sera, in modo da aumentare la percezione di sicurezza e lapossibilità di essere visti per chi deve transitare a piedi in questa zona. Ve-diamo i problemi rilevati in altre zone: le uscite di questo cinema multisalasfociavano su un percorso molto stretto e angusto che, in termini di agibilità,per quanto riguarda i requisiti dei vigili del fuoco andava bene, ma asso-lutamente inaccettabile sotto l’aspetto della sicurezza; in questa zona, cheera difficilmente sorvegliabile perché dietro a un muro cieco (questa è un'en-

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clave preesistente: la Camera di Commercio), una raccomandazione è statache questo percorso, dove sfociavano tutte le uscite di sicurezza, dovesseessere chiuso da cancelli (ovviamente apribili dall’interno) nei punti in cui sfo-ciava sullo spazio pubblico. Un altro problema: su questo altro percorsomolto stretto sfociava una delle uscite della multisala e questo era veramentein un punto in cui si sarebbe creato quello che noi chiamiamo un “trap”(una trappola) nei momenti in cui non ci fossero grandi movimenti o sorve-glianza da parte del pubblico in uscita: un problema molto pericoloso. I mul-tisala, come sapete, hanno degli orari cadenzati, secondo i quali si passadai dieci minuti, il quarto d’ora dove c’è molto movimento a dei periodisenza alcun movimento, durante la proiezione del film. Questi sono i mo-menti più pericolosi.La parte commerciale aveva degli affacci trasparenti, e in quel momentol’operatore immobiliare stava definendo come aggregare le funzioni apiano terra, come si fa sempre per tutti questi centri commerciali. A seguitodell’analisi fatta, sono state modificate in parte le previsioni di localizza-zione dei diversi esercizi.Questa invece è una zona di riposo, parco pubblico, a piano terra tra laparte commerciale e la parte residenziale. Era molto importante che questazona potesse essere sorvegliata, vista dagli affacci di queste attività com-merciali.Un altro aspetto problematico era tutto il fronte canale; si configurava difatto come un retro rispetto alla strada di accesso principale di questo com-plesso e quindi c’era l’esigenza che su questo “retro” ci potessero esseredelle attività con orari prolungati che si affacciassero, per poter creare mo-vimento anche in questa zona che altrimenti, la sera soprattutto, sarebbe ri-masta esclusa dalla sorveglianza spontanea.Abbiamo analizzato il complesso sotto l’aspetto fisico; ma una parte im-portante del lavoro, vorrei sottolinearlo, è stata anche l’analisi dei ritmi diattività. Sono stati dapprima individuati tutti i tipi di “popolazioni” (cioègruppi di persone) che avrebbero usato il complesso, ossia residenti, av-

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ventori del commercio, avventori delle attività del multisala, ma anche lepersone che a diverso titolo avrebbero operato in questo contesto. Sola-mente analizzando le caratteristiche e i tempi che hanno le diverse “popo-lazioni” (a che ora arrivano, a che ora finiscono il loro turno), analizzandocioè i loro ritmi d’uso del complesso si riesce ad analizzare, a vedere, qualisiano i momenti in cui non c’è sufficiente attività. Per esempio, uno dei mo-menti critici di questo complesso, avevamo notato, sarebbe stato la dome-nica mattina; purtroppo la domenica mattina il complesso sarebbe statosguarnito di quasi tutte le attività, salvo la residenza una volta completata.Non solo la domenica mattina però: analizzando nel dettaglio il complesso,avevamo visto che c’erano anche alcune ore senza attività, ad esempiomolto tardi la sera, e questi sono i momenti critici. L’analisi va fatta non nelmomento in cui tutto è in funzione (in attività) e quindi è abbastanza difficileche succedano dei fatti criminosi che impauriscano le persone, ma nei mo-menti critici quando può succedere di tutto.Questi sono alcuni degli esempi di problemi e conseguenti interventi di cuivi dicevo; in parte, in seguito al nostro lavoro, sono state modificate alcunescelte; in parte invece alcuni problemi sono rimasti perché era troppo tardiper intervenire (o troppo costoso), e poi ne vedremo le conseguenze. Que-sta immagine per esempio illustra un percorso con parapetto cieco che to-glie la visibilità; questa è una rampa di uscita e quindi sarebbe potuta esseremigliorata; in questo caso non lo si è voluto fare. Questo è il percorso di cuisi diceva prima, dove le uscite della multisala si affacciano su questo per-corso e qui, dove è presa la foto, è dove sono stati aggiunti dei cancelli af-finché nessuno dall’esterno potesse intrufolarsi in questa zona. Quell’uscitasfociava in quel punto angusto, tra l’altro incassata in una nicchia: capiteche in questo punto in un momento di calma sarebbe potuto succedere qual-siasi cosa.Una volta individuati i problemi, sulla base di sopralluoghi ripetuti, sempreutilizzando i criteri che sapevamo la norma europea stava per codificare (cri-teri che poi il Manuale ha articolato), abbiamo individuato tutta una serie

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di proposte. Elenco alcune tra le proposte che sono state messe in atto. Peresempio c’era il fatto di spostare sia in questo che in quest’altro punto delleattività “strategiche”; in considerazione per esempio che questo era un puntod’angolo, lì è stato localizzato un bar-caffè, che prima era ubicato in unaposizione meno importante ai fini della sicurezza. La proprietà del com-plesso ha capito queste esigenze e, siccome era ancora in tempo a farlo,ha rapidamente ubicato diversamente le cose. È stato inoltre proibito di ac-cecare le superfici trasparenti delle vetrine. Come spesso succede, le su-perfici commerciali nascono con delle vetrine - vetrate verso l’esterno - chepoi per esigenze di distribuzione interna vengono accecate con degli ele-menti di arredo. Questo ai fini della sicurezza è molto negativo.Altro esempio: avevamo indicato che lungo questo percorso sarebbe statonecessario, su questi terrapieni, portar fuori delle attività o dei dehors di baro gelaterie o insediare altre attività che avevamo elencato. Questa cosa al-l’inizio è stata sottovalutata e immediatamente abbiamo potuto vedere leconseguenze. Altra cosa: in questa zona ci sono due uscite del parcheggiosotterraneo; il parapetto era previsto alto e cieco come quell’altro che ave-

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vamo mostrato pochi minuti fa; lì si era in tempo a modificarlo perché nonera stato ancora realizzato; infatti è stato realizzato trasparente e questoconsente di vedere ed essere visti anche da lontano.Un’altra cosa che ha poco a che fare con la sicurezza spicciola, ma ha piùa che fare con il senso d’appartenenza degli abitanti al luogo. Qui origi-nariamente c’era un viale, tipico elemento urbano a Ferrara; il progetto, dacome erano configurate le rampe di accesso-uscita ai parcheggi, eliminavatutto il filare di alberi che era una presenza storica. È stato reintrodotto que-sto filare d’alberi (che il progetto manteneva solo in piccolissima parte) equesto fa sì che si riesca a collegare molto di più questo quartiere (che pe-raltro ha un impatto abbastanza forte sullo skyline di Ferrara) con la realtàurbana circostante che è fatta di molti viali. Anche in questa parte del pro-getto, lungo il canale, è stato introdotto un filare di alberi. Questo è uno deiterrapieni dove avevamo indicato che, non essendoci possibilità di alcunasorveglianza, sarebbe stato importante insediare delle funzioni attive, inmodo tale che potesse esserci della sorveglianza spontanea per un periodoil più esteso possibile. Pochi mesi dopo l’inaugurazione del centro, questaera la situazione fotografata. Ecco, per esempio, questo è il famoso par-cheggio sovrastante dove sono stati messi dei cancelli; questi sono i graf-fiti, questa è la zona dove si diceva che sarebbe stato meglio (e infatti poil’hanno eliminato) eliminare il transito lungo la banchina perché era un dead-end, un percorso pedonale a fondo cieco; ci sono state anche delle ag-gressioni e a questo punto sono intervenuti per migliorare la situazione.

Il caso di Sassuolo è molto diverso; la metodologia applicata al caso ter-ziario-privato di Ferrara in realtà la troviamo quasi identica nel caso di Sas-suolo. Qui abbiamo lavorato due anni dopo il caso di Ferrara, quando lenorme CEN erano praticamente già elaborate ma non erano ancora stateapprovate dal comitato CEN. Eravamo comunque consapevoli che questicriteri erano ormai condivisi. Questa è la situazione nella città di Sassuolo:la zona di cui ci è stato chiesto di occuparci è il quartiere Braida (a Sas-

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suolo evoca brutte cose); bisogna considerare che tutta quest’area una voltaera periferia e completamente staccata dalla città; poco alla volta si è sal-data. Passiamola rapidamente in rassegna: questo è il tipo di edilizia inquesta zona; coesistono edilizia precedente e nuova. C’è una tangenziale,che chiamano Circonvallazione, che, di fatto, fraziona la struttura urbana;la Circonvallazione e un grande parco hanno fatto in modo che questazona sia stata praticamente tagliata fuori dai flussi di traffico della città.Questo per esempio è il retro di un palazzo che tra l’altro ospita anche laPolizia, ma proprio al piano terra è totalmente cieco: quindi è una situazionedove, pur avendo la possibilità di ottima sorveglianza dall’interno, questaè esclusa. Questa invece è edilizia recente, addirittura non finita, che per-severa negli stessi errori: parchi interclusi senza strade che li lambissero perpoter dare sorveglianza.Passiamo alla metodologia di analisi: questa è una tavola che individual’uso degli edifici (residenziale, commerciale, terziario, industriale). Questaè una tavola che identifica i fattori che influiscono sulla sicurezza: le attivitàpresenti e i vari tipi di recinzione, muri ciechi e tutto quello che abbiamovisto nel caso di Ferrara. In questo caso è più esteso territorialmente, nelcaso di Ferrara, era più concentrato.A seguito dei sopralluoghi fatti in maniera sistematica col metodo che ormaiabbiamo messo a punto, sono stati individuati tutta una serie di problemi siadiffusi su tutta l’area che puntuali dove, ad ogni numero, coincide un pro-blema; questo ci serve poi, -individuate le strategie- per fare una check listper controllare che a tutti i problemi individuati si sia riusciti a dare una ri-sposta.Una volta individuati i problemi abbiamo tentato un’analisi interpretativa.Un contesto territoriale in rapida trasformazione è stato quello che ha creatoquesta situazione molto frammentata. Vediamo il secondo punto dell’analisiinterpretativa ossia “segni di un processo degenerativo, la nascita di unquartiere difficile”. Abbiamo cercato di capire come, di tutta Sassuolo, sifosse creata proprio lì questa situazione veramente inaccettabile. Sassuolo

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è una delle città più ricche dell’Emilia Romagna e d’Italia. Ciò nonostanteaveva una situazione per cui noi, pur avendo visto diverse situazioni pro-blema in tutta l’Italia settentrionale e anche all’estero, una situazione comequella che abbiamo trovato al quartiere Braida penso che in Italia non l’ave-vamo ancora vista. Cos’era successo? C’era una situazione abbastanzaperiferica dove, per tutta una serie di motivi, erano state messe sul mercatounità residenziali non appetibili, di micro-alloggi che quindi il mercato localesassuolese rifiutava. Una situazione di forte immigrazione, richiesta dall’in-dustria di Sassuolo, ha fatto sì che si insediassero in questi edifici, peraltronon degradati (si tratta di edifici degli anni settanta), inizialmente alcuni im-migrati in cerca di un alloggio; il territorio sassuolese non rispondeva conaltra offerta a questo tipo di esigenza e quindi si sono insediati lì. Questoha fatto sì che anche alcune attività commerciali (oggi le chiamiamo etniche)a loro servizio si concentrassero li, con la conseguenza che alcuni degliabitanti sassuolesi vendessero o abbandonassero la loro casa, lasciando ul-teriori appartamenti vuoti e creando le condizioni affinchè questo fenomenopotesse acuirsi e autofertilizzarsi: nuovo arrivo di residenti stranieri regolarie non. Ovviamente quando c’è immigrazione clandestina nascono attivitàclandestine e illegali per motivi di puro sostentamento e questo ha fatto sìche la situazione precipitasse. Ci hanno chiamato per questo motivo; eraimportante capire come mai si era innescato questo fenomeno, per cercaredi capire quali erano i problemi: le forti criticità dell’impianto urbano locale.Una delle azioni generali era quella di rendere il quartiere più attraente per-ché, siccome stava diventando una concentrazione di soli immigrati, si do-veva invertire questo fenomeno, quindi migliorare l’immagine della zonanon solo con interventi fisici, ma anche con interventi sui media ecc. In re-altà, il Comune di Sassuolo si è attivato per creare una struttura ad hoc perpoter affrontare il fenomeno, e la sta utilizzando bene. Il discorso era inter-venire in maniera continuativa affinché tutte le attività illegali, che eranoormai in atto, potessero essere contrastate; non da ultimo il contrasto al sub-affitto speculativo che è quello che, di fatto, aveva attivato il problema. L’al-

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tra cosa: promuovere delle attività, delle manifestazioni, ecc. per far sì chela gente dell’intero distretto di Sassuolo (quattro o cinque comuni consor-ziati) conoscesse Braida, non solo per gli aspetti negativi di cui sentiva par-lare dai giornali tutti i giorni, ma anche per gli aspetti positivi. Quindicomprendere che non fosse un’enclave lontana dal resto della città.Le azioni sul tessuto urbano e sugli edifici: quello che avevamo individuatodall’indagine urbanistica era che quella era una “enclave”. La norma CENe il Manuale fatto dal Politecnico per l’Unione Europea enfatizza questo:ogni volta che si crea una situazione di enclave, immancabilmente nasconodei problemi; quindi la prima cosa da fare è cercare di capire se ci sonodelle barriere. In questo caso c’era la barriera della Circonvallazione da unlato, dall’altro si era creato questo grande parco che una volta non esi-steva; c’erano quindi le condizioni ideali per la creazione di questa en-clave, l’elemento che ha favorito questa situazione. Quindi eliminare labarriera della Circonvallazione; come? La strada serve tutto il distretto, peròsi può farla diventare (perché le caratteristiche lo consentono) non solamenteun’arteria ad alto traffico, quindi una barriera non attraversabile, ma in qual-che modo darle anche un ruolo di tipo commerciale, in modo che potessediventare un viale urbano, quindi a tutti gli effetti uno spazio pubblico, e nonsolamente un’arteria di traffico pericolosa.Interventi di riqualificazione sullo spazio pubblico: siamo andati ad indivi-duare interventi che potessero essere portati avanti anche da privati. Eranoin corso alcune operazioni; vista la situazione bisognava far sì che queste

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non contribuissero alla situazione negativa.Il caso di Sassuolo mi è servito per illustrare come, sia che cambi la scalao che cambi la composizione edilizia ed urbanistica, sia importante appli-care con sistematicità i metodi di analisi che la norma CEN e il Manuale il-lustrano e individuare prima i problemi, poi le strategie e gli interventi e farsì che si possa impostare un programma di intervento organico, non spot,ma che possa influire fortemente per l’eliminazione delle cause che hannocreato la situazione negativa.

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie all’ingegner Bottigelli.Abbiamo visto due esempi. Adesso facciamo una breve pausa, e poi ve-diamo altri due esempi di Torino: uno nel quartiere San Salvario e l’altro piùin generale di Torino.Credo che ci siano degli elementi su cui si possa ragionare. Si spera ancheche, come ricordava prima l’Assessore Ricca, che nei Patti Locali per la si-curezza qualcuno inserisca uno di questi progetti, perché sarebbe anche in-teressante cominciare a misurarsi su queste cose, oltreché fare dellacreatività limitata; ecco, forse questa è una cosa non di emergenza, ma diampio raggio anche per i risultati.Facciamo solo una piccola inversione di relazioni. Do ora la parola all’ar-chitetto Riccardo Bedrone, Presidente dell’Ordine degli architetti di Torino.Prego.

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Riccardo BedronePresidente dell’Ordine degli Architetti di Torino

Il Manuale e le esperienze: finalmente si riparla di sicurezza in città

Vedo Clara Cardia per la prima volta di persona, ma in qualche modo laconosco da tanti anni, per il tramite di un bel libro che – lei certamente ri-corderà – scrisse una ventina di anni or sono, per mettere criticamente a con-fronto le new towns inglesi e le villes nouvelles francesi. In fondo inquell’interessante saggio erano già anticipati i temi che l’hanno maggior-mente interessata in questi ultimi anni perché, descrivendo queste due espe-rienze di città nuove, ne illustrava brillantemente i criteri che avevanopresieduto alla loro progettazione e realizzazione e, quindi, ai difetti chesi rivelarono a cose fatte. Ricordo anzi che, da quella lettura, ricavai pro-prio una personale spinta ad occuparmene meglio e cominciai a studiaresoprattutto l’esperienza francese, non legata soltanto a questo imponentesforzo di progettazione e costruzione di insediamenti satelliti collegati allegrandi aree metropolitane, ma anche a ciò che venne fatto poco dopo pertentare di porre rimedio a uno dei problemi sociali storici della Francia con-temporanea, la formazione delle banlieues e il malessere che ne nacque edi lì si diffuse.La Francia è un esempio ottimo per descrivere esperienze e trarne inse-gnamenti coerenti con quanto oggi ci è stato illustrato; mi pare anzi che siastato uno dei primi paesi europei ad affrontare il problema della insicu-rezza, soprattutto quella generata da errori progettuali, urbanistici ed edi-lizi. Le banlieus francesi, molti lo sapranno, vennero realizzate negli annisessanta per fare fronte a una forte ondata migratoria proveniente dalle excolonie francesi: in fretta e furia e, credo, contravvenendo a tutte le regoleche oggi sono illustrate nel Manuale. Insediamenti enormi, periferici, ano-nimi, senza collegamenti con le città, nati proprio per isolare anziché perintegrare, divennero ben presto luoghi di assoluta emarginazione e di di-

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sperazione, in cui ci viveva soltanto chi non poteva farne a meno.La Francia ha avuto il coraggio – non so se avremmo avuto la stessa de-terminazione – di cominciare a studiare senza indugi il fenomeno del na-scente malessere urbano. I francesi hanno costituito a livello nazionale, giàtrent’anni orsono, le loro missions, che si sono occupate del disagio socialee dei “timori del cittadino”, a partire dai problemi urbanistici per arrivare poia quelli di carattere prettamente sociale ed economico. Una delle conse-guenze che trassero i gruppi di lavoro, nel riferirne ai Ministeri competenti,fu di non ripetere mai più simili errori. Al punto di suggerire anche di ab-batterli finché ce ne fosse stata la possibilità. Non so quanto si sia effetti-vamente demolito, ma ricordo che all’epoca – soprattutto negli anni ottanta– molto venne fatto.Da noi tendenzialmente questo intervento riparatore di demolizione, al con-trario, non si fa ed è sbagliato, perché si riproducono e si radicalizzano lestesse difficile condizioni di vita che in Francia hanno dato origine in pas-sato – e alimentano ancora oggi, una generazione dopo – a fenomeni sem-pre più diffusi nelle banlieues, di violenza urbana, di microcriminalità, didevianza sociale.Una constatazione: da quello che appresi allora, da quello che ho vistodopo, probabilmente non c’è solo la scelta localizzativa sbagliata, che noifortunatamente abbiamo riproposto in un raggio extraurbano e su scala di-mensionale molto più ridotti, ma anche una scelta tipologica – i grands en-sembles – alienante. Di qui la domanda che mi pongo: nell’urbanisticacontemporanea, in generale, i quartieri nuovi sia di edilizia sociale, sia diedilizia privata tendono a modificare brutalmente la trama del tessuto edi-ficato tradizionale e quindi a interrompere, in primo luogo, la continuitàdelle strade. Mi sembra che questo Manuale lo citi come uno degli erroridi progettazione che più attenta al senso di sicurezza offerto dalla continuitàvisiva e ritengo, di conseguenza, che le nostre istituzioni, a partire dalla Re-gione, potrebbero cominciare a diventare autorevoli suggeritori di un “ri-torno al passato”.

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Mi rendo conto che probabilmente faccio ragionamenti che mi faranno con-siderare un profondo conservatore, ma sono convinto che certe tipologie mi-crourbane tradizionali in qualche modo vadano rivalorizzate. A questoproposito, un secondo esempio che vorrei fare è quello della bellezza, iotrovo, e del senso di sicurezza che assicuravano, da noi come altrove, gliisolati chiusi con i cortili interni. Erano luoghi protetti dove le mamme, ditanto in tanto, senza ansia, guardavano i bambini giocare. Io sono nato eho vissuto lungo tempo in un condominio d’anteguerra dove potevo libera-mente scorrazzare nel cortile: all’ora di pranzo mia madre mi chiamava dalbalcone e per rientrare in casa non dovevo neppure uscire in strada. E que-sto senso di protezione lo ricordo bene.Da noi si è persa questa idea di ambiente protetto, si realizzano quartieriinteri con isolati a torre, senza alcuna continuità, con enormi spazi apertiche ne rendono più percepibile l’isolamento; credo che si tratti – purtroppobisognerà ammetterlo – di una cattiva trasposizione operativa della lezionefunzionalista, che ha da tempo rivelato i suoi limiti. Ma se è così, e spessolo si sente ripetere, non capisco per quale motivo si continui a insistere suquesto schema insediativo. Tutta la nuova edilizia, a partire dalla sempre ne-gativamente citata “Spina 3” a Torino, si rifà a questo modello: casuali po-sizionamenti dei fabbricati, nessun senso di orientamento, percorsi che sisnodano senza alcun significato, esitazione – proprio per le insicurezze chesi generano – nell’allontanarsi da quel poco di riservatezza che possono as-sicurare i portici, laddove ancora vengono realizzati.Probabilmente, bisognerebbe ripensare e riassimilare un’altra lezione chenon ci arriva soltanto dall’ottocento, ma è stata riproposta anche dal nove-cento. Penso, per esempio, a quanto sono belle le höfe viennesi, che hannodilatato l’ingombro dell’isolato chiuso a quadrilatero, al punto tale da poterorganizzare al proprio interno quei servizi sociali che sono un altro degli ele-menti compositivi che assicurano sicurezza (dalla lavanderia, all’asilo nido,alla piccola biblioteca). E mi pare che siano sempre più numerosi gli espertie gli operatori sociali dello stesso parere.

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Un terzo esempio lo voglio portare da un paese che eccelle, per convinci-mento culturale e per applicazione scientifica (basti pensare a quanti sonogli studi compiuti sul tema), nel progettare quartieri “a misura d’uomo”. È laSvezia. Ricordo che quando me ne occupai, dal punto di vista dell’ordina-mento urbanistico (facendovi alcuni gradevolissimi viaggi di studio, all’ini-zio degli anni novanta), gli urbanisti e gli amministratori che incontraistavano ripensando profondamente alla loro idea – più volte realizzata nelsecondo dopoguerra – di centro abitativo autonomo, peraltro molto diversodalle banlieues francesi. Eppure si trattava di villaggi extraurbani autonomicostruiti con molta cura e soprattutto facendo in modo che fossero precedutidalla realizzazione di linee e stazioni di metropolitana, quindi integrati dallanascita al centro principale.A loro dire, lo sbaglio commesso consisteva nell’avere abbandonato il con-cetto di strada-corridoio, e l’hanno voluta recuperare, convinti che, forse, perrassicurare maggiormente gli abitanti, bisognava rimettere sulle vie di co-municazione interne, ciò che era stato respinto: i negozi, i marciapiedi rial-zati, la gente che ci passeggia, trova occasioni per incontrarsi e per parlaree, guarda caso, anche le automobili e i mezzi pubblici su strada. Perché,ci spiegarono, certamente sono elemento di disturbo, possono provocare in-gorghi, generano inquinamento, ma alla fine le automobili sono elementodi sicurezza, quantomeno supposta. E ciò vale per tutte quelle località in cuisi tende a separare, anzi ad allontanare, il traffico automobilistico da quellopedonale: i loro pregi – la quiete, l’ambiente più sano, l’assenza di rumore– non compensano la perdita di una rassicurante presenza di viaggiatori-testimoni di ciò che accade in strada.Altra tipologia assolutamente sconsigliabile – anche in questo caso sembradifficile persuadere i progettisti da un lato, gli amministratori dall’altro, chebisognerebbe abbandonarla, se si vuole ridare sicurezza e socialità ai quar-tieri – è quella dei mall americani. Da noi il nuovo modello insediativo lo ri-copia: un centro di acquisti e di divertimento esterno alla città, in cui siraccolgono luoghi per l’acquisto, luoghi per il tempo libero, luoghi per lo

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svago e che diventano, al termine degli orari di apertura, da una certa orain avanti, delle autentiche cattedrali sbarrate, spazzate dal vento, popolatesolo da sbandati e malintenzionati. Oltretutto, uno spreco anche in terminidi risorse impiegate per realizzarli e gestirli: grandi estensioni di terreno sot-tratto al suo uso naturale per l’enorme quantità di parcheggi richiesta, chevengono utilizzati mezza giornata e poi restano completamente deserti.Mi pare che anche da noi ormai si sia fatta strada questa idea: che il mallamericano è il nuovo tempio del consumismo e dello scambio e come talecondiziona addirittura la pianificazione delle città, un tempo realizzate infunzione delle esigenze delle attività produttive, e oggi rivolte a soddisfarequelle di carattere commerciale di grande livello, che chiedono colloca-zioni esterne, specializzazione funzionale e grandi strutture di comunica-zione lungo le quali attestarsi. Forse anche in questo caso, ancora una voltapotendo essere accusato di passatismo, ritengo sarebbe meglio farle rien-trare all’interno del tessuto urbano, perché l’attività commerciale è una diquelle componenti che danno maggior senso di appartenenza e di inte-grazione alle comunità.E vorrei ancora citare alcuni casi stranieri particolari su cui mi sono soffer-mato, per la curiosità che ne desta l’uso. Uno potrebbe far rabbrividire, maper l’esperienza diretta che ho avuto, in realtà, altrove diventa un luogo dirasserenamento, di accettazione consapevole del corso della nostra vita:parlo dei cimiteri. Perché li richiamo? Mi rifaccio ancora alla Svezia, dovei cimiteri – amplissimi spazi in tutto il mondo, ove spesso ci si perde e in cuici si può essere vittime di aggressione – sono parchi di rasserenante bel-lezza (basti citare quello progettato da Asplund a Stoccolma), dove si fannoi pic-nic, si organizzano passeggiate, si gira a piedi e in bicicletta, si gioca,si legge, senza che per questo la memoria dei defunti venga in qualchemodo offesa o, al contrario, provochi inquietudine. La stessa cosa l’ho tro-vata riproposta, in termini ancora più ludici, se vogliamo, in un paese lon-tanissimo dal punto di vista culturale e religioso dalla Svezia e cioè inTurchia. Qui si frequenta il cimitero non solo per il culto dei defunti ma anche

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per andare al bar – dentro i cimiteri sono appunto ospitati i pubblici eser-cizi – e si fuma il narghilè, si beve una bibita, si guarda la televisione, siparla di calcio.Ora, mi rendo conto che questa inconsueta forma di godimento di un’at-trezzatura pubblica considerata lugubremente “la città dei morti” può es-sere un po’ provocatorio rispetto alla nostra cultura, però entrambi i paesicitati, pur così distanti per cultura e fede tra loro, li propongono come duediversi ma analoghi modelli di integrazione di attività che tendenzialmenteda noi vengono tenute costantemente separate.Non vorrei aggiungere altro a queste poche idee sul tema sicurezza in città,che mi sono nate osservando l’Europa e che mi hanno fatto nascere la con-vinzione che un ritorno a modelli insediativi del passato faciliterebbe unavita di relazione più serena. E quindi mi rivolgo una domanda, coscienteche, nel bene e nel male, una pura e semplice riproposizione della tramaurbana storica, con strade ad angolo retto che non siano interrotte dalleanomale configurazioni dei nuovi quartieri, che ripresentino il quadrilaterotipico dell’isolato tradizionale chiuso, sarà difficile da far accettare adun’utenza troppo condizionata dai modelli di consumo abitativo oggi do-minanti. Cosa potrebbe diventare il nostro pianeta, se la tendenza all’ac-crescimento della popolazione, che è sempre più rapido, ci impedirà dimantenere questa misura, questo rapporto equilibrato tra popolazione e di-mensione degli insediamenti e ci spingerà sempre più verso tipologie alte?In Italia non abbiamo ancora molte esperienze da analizzare, ma è un temadi cui si dibatte perché ormai sembra che si stia avviando la corsa intantoai presunti “edifici simbolo”, i grattacieli a destinazione terziario-commer-ciale, e poi chissà, poco per volta, l’innalzamento oltre lo skyline tradizio-nale investirà anche gli edifici esclusivamente residenziali. Non so cosa nepensino gli autorevoli autori del Manuale, ma ritengo che oltre a indubbiedifficoltà di giustificarne la costruzione, legate alla provata insostenibilitàdei costi e della gestione degli edifici molto alti, c’è l’esempio, assoluta-mente negativo, che ci giunge da tutte le parti del mondo sulla vita nei co-

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siddetti “grattacieli orizzontali”. Laddove si addossano e si snodano senzafine edifici di carattere prevalentemente residenziale che ospitano migliaia,se non decine di migliaia di persone, ci si trova inevitabilmente di fronte,dopo poco, a conflitti e situazioni di tensione incontrollabili. Dunque, è inu-tile raddrizzare semplicemente questi edifici, per poi ritrovarsi nelle stesse cir-costanze di emergenza: paura, violenza, interruzione dei rapporti sociali,autoemarginazione. Prima che sia troppo tardi, un ragionamento serio sulladimensione ottimale dell’edificio andrà fatta.Per ultimo, anche se può essere per molti un atto di accusa ingiustificato, bi-sogna pur dire che ormai la rigida separazione delle funzioni urbane pro-posta dagli strumenti di piano, nonostante le diverse stagioni trascorse dallanostra urbanistica, va considerata inaccettabile. Credo che la storia del do-poguerra, in Italia come altrove, abbia dimostrato che il funzionalismo spintoall’eccesso (le idee di Le Corbusier, se vogliamo, seppure impoverite e ri-dotte semplicemente a un modello da ripetere senza alcuna riflessione sul-l’ambiente in cui si interviene) non serve più. Forse è proprio il caso diritornare a una città in cui possano sopravvivere senza timore di espulsione– di gentrification – tante attività che hanno dimostrato, a dispetto della teo-ria, di star vicino piuttosto bene, se non di provare, addirittura, ad acco-starne altre ancora senza ricorrere a compartimentazioni, ad esperimenti dizoning minutissimi che, ormai, la nostra esperienza più recente ha dimo-strato che provocano semmai “disfunzioni”.

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie all’architetto Bedrone che ha allargato un po’ l’orizzonte della di-scussione, anche se è indubbio che questa sia una battaglia culturale; giàoggi con questa iniziativa stiamo facendo una battaglia culturale, perché sepensiamo agli inviti che abbiamo mandato per questo convegno, la batta-glia culturale l’abbiamo già persa, perché abbiamo invitato tutti gli ufficitecnici dei Comuni del Piemonte e non mi pare di vederne moltissimi. Ab-biamo chiesto agli ordini professionali anche di intervenire e non mi pareche, tolto il relatore, la cosa ci sia stata. La battaglia è indubbiamente cul-turale e d’altra parte fa parte un po’ della nostra storia. Oggi si va all’uni-versità, ci si laurea studiando con un professore che si è laureato trenta,quarant’anni prima, che ha studiato su dei libri di trenta quarant’anni primaancora; il risultato è che uno appena laureato totalizza meno ottant’anni distoria. Quindi, questo è già indubbiamente un fatto. D’altra parte, abbiamovisto costruire ospedali dove ci si era dimenticati delle uscite di sicurezza esoprattutto pensare che dall’uscita di sicurezza di un ospedale si debbafare un evacuamento anche delle barelle, per cui le barelle non giravanonelle scale di sicurezza. Non è che siamo tanto distanti da qui; siamo a 10-12 km da qui. Credo che da questo punto di vista si debba aprire un ra-gionamento e una battaglia. Rimarco il fatto che noi ci occupiamo disicurezza, ma abbiamo coniato e stiamo portando avanti un ragionamentodi sicurezza integrata; questo è sicuramente un aspetto di sicurezza inte-grata. Quindi, da questo punto di vista riuscire a mettere in rete tutta unaserie di altre tematiche, che non siano solo quelle del controllo militare delterritorio, sia un’esigenza che in questi anni si sta sviluppando. D’altra parte,qualche errore magari si corregge anche strada facendo; ad esempio i cen-tri commerciali, sulla base della nuova legge regionale, non dovrebbero

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più essere costruiti all’esterno, come zona a sé. Non dovrebbero, poichéabbiamo ancora questo problema che, tra l’approvazione della legge epoi un periodo di decantazione, nel frattempo si costruisce qualche altrocentro commerciale che aveva già le autorizzazioni. Purtroppo questa è lanostra tempistica su queste problematiche. Un ragionamento deve esserefatto e si deve ritornare a pensare a come si progettano le città e cosa si fanelle città, nei paesi e via dicendo. Poi ci saranno anche delle integrazioniin base alle nuove sensibilità e anche alle nuove integrazioni, basti pen-sare a ieri sera la notizia che in Gran Bretagna un signore indù chiede diessere cremato con i riti della religione indù e quindi celebrare sulla pira dilegna in pubblico. Credo che, se andiamo a fare un ragionamento di que-sto tipo, diventa poi tutto difficile. Adesso lascerei immediatamente la pa-rola all’architetto Bocco che ci racconta un po’ dell’esperienza del quartiereSan Salvario, in quanto lui è direttore dell’Agenzia di sviluppo locale ecredo che possa portarci qualche altro esempio di come poter fare in me-glio alcune cose. È indubbio però che, anche qui, integrazione, come di-cevo prima, è un concetto che deve essere sviluppato; se è vero che si devegiocare nei cortili, su cui sono d’accordo, poi basterebbe non pensare chearrivi un assessore che fa un regolamento che vieta di giocare nei cortili, per-ché succede anche questo, è successo. Quindi, da questo punto di vista,forse il riappropriarsi del territorio e di tutte le sue varie sfaccettature deveessere un obiettivo.

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Andrea BoccoRicercatore 1^ Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino – DirettoreAgenzia di Sviluppo Locale San Salvario, Torino

Contributi di esperienze nella realtà torinese: il quartiere San Salvario

Buongiorno a tutti. Le suggestioni sono davvero moltissime e io non ho pre-parato una presentazione multimediale; conto, spero, di riuscire a tenervisvegli semplicemente parlando. Ho segnato diverse cose degli ultimi inter-venti; mi piacerebbe poter reagire a quanto ha detto Riccardo Bedrone, manon so, provo a infilare un po’ tutto, anche questa cosa dei cortili: a Torinoper fortuna si è vietato di vietare di giocare nei cortili, quindi almeno su que-sto punto siamo più avanti.Comunque, l’Agenzia che cos’è? È un soggetto privato, che si può classifi-care come associazione di secondo livello; ne fanno parte, al momento at-tuale, venti associazioni della società civile di un quartiere di Torino che sichiama San Salvario, che è abbastanza famoso per essere stato all’onoredelle cronache, alla metà degli anni novanta, per questioni legate alla sicu-rezza e all’immigrazione, termini allora pressoché sinonimi, e direi da quelloche è stato detto stamattina ancora ampiamente percepiti come tali. Allora,c’è stato un momento di particolare visibilità di questo quartiere, tale per cuila città di Torino pensò a un intervento speciale; che poco dopo si decise difare a Porta Palazzo. A San Salvario non ci fu mai l’occasione di realizzareun programma integrato di quelli che il ministero, o l’Europa, mettono a di-sposizione, e quindi non ci fu mai il soldone per fare l’interventone come unContratto di Quartiere, un PRU ecc. Questo, per certi versi, visto a distanzadi tempo, devo dire che è stato un gran bene, perché ha lasciato che tuttauna serie di dinamiche si sviluppassero secondo tempi loro propri, abba-stanza lenti. Fino al momento in cui, nel 2003 – la nostra attività di accom-pagnamento si avviò nel 1999 – a San Salvario si è costituito questosoggetto di secondo livello composto da organizzazioni della società civile.

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Ovviamente, il fatto che questo sia un soggetto unicamente privato non si-gnifica che non abbia goduto fin dal principio sia del sostegno economico,ma soprattutto della cornice istituzionale delle politiche cittadine, attraversoquello che si chiamava Progetto Speciale Periferie, poi Settore RigenerazioneUrbana. Ne parlerà subito dopo di me Valter Cavallaro.L’Agenzia nasce, quindi, sulla base di una protesta che era diventata piuttostoevidente e visibile; questa tensione sociale aveva molto a vedere con la si-curezza come tema legato all’immigrazione. Nulla da stupirsi che nello sta-tuto dell’Agenzia, tra le finalità, la sicurezza venga indicata come uno deitemi di cui ci si occupa. Ma ecco che subito do la sponda al dottor Bel-lezza perché è ovvio che questo soggetto, che è un soggetto non pubblico,che non è investito di nessuna delega particolare, nessuna competenza, sioccupa di sicurezza in termini quantomeno traslati, cioè proprio in quei ter-mini integrati di cui si diceva prima. L’Agenzia si occupa di un territorio es-senzialmente, del benessere delle persone all’interno di quel territorio, sevolete utilizzare questo modo oggi abbastanza consolidato di dire: “la qua-lità della vita” di quel posto lì, che significa occuparsi della qualità degli edi-fici, della qualità dell’ambiente, della sicurezza, della salute, delle attivitàeconomiche ecc.Se andiamo ad elencare come in un programma di attività le cose di cui noici occupiamo, c’è anche uno sportello denominato info-sicurezza, che fa unlavoro di prossimità con la polizia municipale, che si occupa dell’ambienteurbano direttamente percepibile dalle persone (la buca nella strada, il pro-blema del gruppo di persone che si incontra in un certo angolo dando fa-stidio, facendo rumore, pisciando sui cassonetti), tutta una serie di questioniche stanno tra la bega di condominio spostata sullo spazio pubblico e la ma-nutenzione, l’intervento di accompagnamento sociale, su cui abbiamo otte-nuto, devo dire, molti risultati, ma potete capire molto piccoli in termini disingola entità degli interventi. Si tratta di cose molto piccole che hanno dueeffetti: primo, mostrare che almeno a questo livello è possibile gestire i pro-blemi e dare risposte concrete; secondo, in termini di processo mi sembra an-

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cora più interessante, il fatto che dell’Agenzia fanno parte, come dicevoprima, anche quei comitati spontanei che a metà degli anni novanta si eranodistinti nelle cronache per essere quelli più visibili nella protesta. Oggi èmolto più raro che sui giornali voi troviate questo tipo di soggetti protestare;sembra anzi più probabile che ci sia una certa nostalgia da parte di alcunigiornalisti, che conosciamo da molto tempo (i nomi sono quei quattro o cin-que), che, ricordando i bei tempi in cui si poteva dir male di questo quartiere,di tanto in tanto trovano un appiglio e ripropongono uno dei loro cavalli dibattaglia. Ma non sono più quei soggetti aggregati di cittadini, quei comi-tati o altro, gruppi di commercianti per esempio, che si fanno portatori dellavisibilità della protesta; anzi, questi soggetti sono proprio quelli che lavoranoall’interno dell’Agenzia gestendo questo sportello di prossimità; cioè lavo-rano insieme con i vigili, insieme con il personale tecnico dell’Agenzia, ecc.per cercare di dare delle risposte a questi micro-problemi.Però, se io limitassi l’attività che l’Agenzia svolge, nell’ambito della sicurezza,a questo, dimenticherei tutti quegli altri aspetti di politiche integrate che misembrano più interessanti. Allora faccio qualche passo indietro per dire che,per chi non lo sapesse, il quartiere di San Salvario è un quartiere della se-conda metà dell’Ottocento e quindi è di quelli che piacciono all’architetto Be-drone; ha i cortili, ha le strade di una volta con i negozi; mi associo alconservatorismo in questo senso. Cosa abbiamo scritto come slogan all’ini-zio, quando siamo partiti? Che l’Agenzia si sarebbe occupata della con-servazione dell’esistente migliorato. Perché a San Salvario non c’è un bucolibero, non ci sono posti dove costruire, non si saprebbe dove mettere unacosa nuova, è tutto densissimo e molto connotato anche dal punto di vistadell’identità della popolazione che lo compone, delle attività che vi si svol-gono, della sua natura sociale e culturale, e questo è un aspetto. L’altra que-stione è: d’accordo, non mettiamo paraocchi, non facciamo finta che iproblemi non ci siano. A metà degli anni novanta, così come negli anni se-guenti, problemi di criminalità a San Salvario ce ne sono stati e ce ne sonotuttora. Però, ci sono anche molte cose che in questo quartiere sono fighis-

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sime, e quindi cerchiamo di fare conoscere questi aspetti: le questioni chel’ingegnere Bottigelli ricordava per quello che riguarda la riqualificazionedell’immagine di una zona. Quindi, molta parte del nostro lavoro, all’inizio,è stata di animazione anche culturale, di svolgimento di eventi che potesseroportare l’attenzione delle persone e dei media su questo luogo, anche (allorasi doveva dire anche, oggi diciamo soprattutto) come luogo di qualità, luogodi positività. La conservazione dell’esistente migliorato, quindi, è anche inqualche modo, se volete, una dichiarazione di orgoglio, è un affermare: quici sono molte cose buone e che meritano di essere conservate per quello chesono; hanno però bisogno, soprattutto in alcuni settori, di interventi.Se noi passassimo a un livello di lettura dell’ambiente costruito secondo i cri-teri dichiarati negli studi della prof. Cardia e della norma recentemente ela-borata a livello di CEN, troveremmo che molti dei criteri sono intrinsecamenterispettati. E com’è che fino a prima di Le Corbusier (perché poi è tutta colpasua se dopo non si è più fatto così), queste cose le si sapeva, in maniera ma-gari un po’ inconscia e poi a un certo punto no? Beh, su questo poi ho unamia battuta finale. Intanto possiamo dire che lì molte cose erano già fattebene, ma qualche cosa no. Per esempio, qual è la via più sfigata di tutta SanSalvario? Via sant’Anselmo, e sapete perché? Perché, benché si trovi sul pro-seguimento di una delle vie del centro (che si chiama via Bogino, via Pombaa seconda dei tratti), non comunica: quella via sbatte contro un palazzo cheè sempre rimasto lì e non attraversa il corso Vittorio Emanuele che è la bar-riera amministrativa e psicologica che divide il centro dal quartiere di SanSalvario. Poi questa strada ricomincia, col nome di via sant’Anselmo, per fi-nire all’altra estremità contro uno dei palazzi della FIAT in corso Marconi. Èl’unica via del quartiere ad essere chiusa all’inizio e chiusa alla fine. Io nonsono un determinista ambientale, ma prendo atto che in quella via c’era iltasso massimo di chiusura di negozi, perché lì non funzionavano le attivitàeconomiche. Mentre le vie di San Salvario che continuano assi importanti delcentro sono anche quelle più forti dal punto di vista commerciale, del tran-sito di persone a piedi, e così via. San Salvario poi avrebbe un difettuccio

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dal punto di vista della lettura a grande scala e cioè che è un’enclave, nelsenso che ha dei confini molto evidenti: una strada a nord che si chiamacorso Vittorio Emanuele che sì, ha un sacco di attraversamenti, ma è unabarriera; a sud ne ce n’è un’altra decisamente meno forte come confine, maaltrettanto netta dal punto di vista urbanistico, che è corso Marconi; ma so-prattutto, a est e a ovest, sta tra due barriere invalicabili, un parco con unfiume (qualche scellerato ha proposto recentemente di costruire un nuovoponte pedonale all’altezza del Castello del Valentino) e dall’altra parte c’èla ferrovia – che in verità aveva un attraversamento sotto il piano del ferro cheera molto frequentato e per decenni aveva funzionato serenamente, e che dauna ventina d’anni è chiuso per evidenti ragioni. Oggi come oggi nessunapersona sana di mente proporrebbe un sottopasso largo 3-4 m e lungo di-verse decine, credo oltre 150 m, per arrivare dall’altra parte della stazione.Eppure era molto frequentato, ricordo benissimo di averlo utilizzato da ra-gazzo per andare a prendere un certo tram che passava dall’altra parte; sifaceva.Quindi, d’accordo, niente rapporto causa-effetto tra certe magagne di pro-gettazione e certi effetti di criminalità, ma diciamo che la lettura di alcuni luo-ghi lo conferma. Poi, con il tempo, ne abbiamo aggiunti degli altri; è statorealizzato un parcheggio sotterraneo – che peraltro è vivibilissimo e usatis-simo; però sappiamo che genere di paure sono legate a questi luoghi. Un’al-tra cosa che sta accadendo è un cantiere della metropolitana che in questomomento sta creando grossi problemi; ci sono angusti passaggi ciechi chebloccano certi luoghi e che veramente si ha paura ad attraversare.Da quello che avete sentito, avrete capito che questo è il quartiere della sta-zione; è il quartiere, che in tutte le città del mondo è in qualche modo legatoalla marginalità sociale. Però bisogna prendere atto del fatto che San Sal-vario è da un lato della stazione, dall’altra parte c’è un quartiere gemellonato pochi anni dopo che si chiama San Secondo (è fatto nello stesso modo,le stesse vie, gli stessi portici, ecc.): eppure da un lato le cose sono sempreandate in un certo modo e dall’altro in un altro.

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Siccome fino ad ora ho fatto finta di spiegare delle cose attraverso la letturaambientale, vi dirò invece che credo che questa basti a spiegare i fenomeni;è più determinante il comportamento delle persone e, a monte di ciò, moltopiù determinanti le scelte dei proprietari degli immobili. Le case di San Sal-vario sono state costruite, allora si diceva, “da reddito”, che oggi si può tra-durre in molti modi tra cui quello della speculazione sulle spalle degliimmigrati che non hanno alternative possibili: in particolare, ma non esclu-sivamente, degli immigrati non regolari. A San Salvario il degrado sociale,l’insicurezza, ecc. in larga misura derivano dal degrado edilizio: degradoedilizio voluto, perché più redditizio. Queste sono le questioni su cui la cittàsta tentando di intervenire attraverso una politica faticosa, l’applicazione diun certo art. della legge 457 del 1978, cioè i Piani di Recupero. QuestiPiani di Recupero, approvati ormai da anni, e non attuati per iniziativa spon-tanea dei proprietari, se non in minima parte, sono ora oggetto di una poli-tica di incentivazione che l’Agenzia segue in maniera diretta, ovviamente suincarico della città, per favorire la riqualificazione edilizia di questi immobili.Io devo dire che a me, che una casa sia un po’ délabrée, non importa nulla,anzi in genere mi piace di più, non per snobismo, ma perché so che unavolta che la casa è tutta messa a posto, l’intervento ha dei costi che vannocontro quel principio di conservazione dell’esistente migliorato di cui dicevoprima. Se conservazione dell’esistente migliorato significa restauro il mineraleper espellere il biologico, cioè per espellere i poveri, quelli che non pos-sono più pagare, allora io mi tengo la casa malconcia. A San Salvario bi-sogna sì per certi versi riqualificare e rivitalizzare, ma il più possibile di quelliche ci abitano devono rimanere. Questo è il lavoro molto delicato di ac-compagnamento sociale che noi cerchiamo di fare, perché l’esecuzione deiPiani di Recupero, di per sé, sarebbe: verificare che gli interventi edilizi sianoconformi con quanto previsto dal progetto stilato da ATC-Projet.to e, nella mi-sura in cui questi siano conformi, assegnare i soldi che la Città ha stanziato.Un’ultima nota personale: io non so se il progetto urbanistico o architetto-nico possa contribuire alla sicurezza. Però credo che possa contribuire, se

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non determinare, in alcuni casi, l’insicurezza. Il passare questi principi attra-verso una norma mi sembra molto appropriato da questo punto di vista: cioèsi esplicita l’esistenza di un requisito come tanti altri requisiti che esistono nelcampo edilizio, come per esempio l’assenza di barriere architettoniche. Ame non piace un edificio in cui si vedano le rampe per, scusate la violenzadell’espressione, persone “diverse” che devono passare di lì; a me piace unedificio in cui non mi accorgo di nulla, perché non c’è niente di cui accor-gersi, se non ci sono barriere architettoniche io non ci penso; è quando vedola barriera che mi accorgo. Questo intendo quando dico che mi sembramolto più interessante la pars destruens della norma, cioè la sua capacità dievitare l’errore progettuale, piuttosto che il tentare l’impossibile affermazione– ma sono certo che questo non è nelle vostre espressioni, non ve l’attribui-sco – che una volta che tutto sia stato fatto secondo la norma allora la sicu-rezza è garantita.Per concludere, una battuta nei confronti dell’amico Riccardo Bedrone. Mascusa, guardiamoci negli occhi, davvero non sai chi vuole gli edifici alti echi vuole i mall? Perché, da come ti sei espresso prima, sembra che tu nonlo sappia. Fintanto che la città è fatta dalla somma di piccoli atti, di piccoliatti determinati da interessi di persone che volevano soldi, noi siamo in unacostruzione artigianale della città, se volete; nel momento in cui, invece, ar-riva la costruzione industriale della città, l’urbanistica prova a dare un minimodi regole, ma gli enti pubblici sono molto deboli ormai, e di fatto vanno die-tro alle spinte dei grossi investitori. Ci può essere un mall che va meno peg-gio di altri, ma l’effetto del mall è che prima o poi i negozi piccoli chiudono.Le tipologie residenziali alte non dipendono dalla crescita demografica; ladimensione ottimale dell’edificio, a parer mio, sta in una scala, ripeto il con-cetto, artigianale; e poi alla scala artigianale, guardate, se c’è il cortile die-tro, davanti, dentro o fuori le cose funzionano comunque; è quando c’èl’impilata di venti cassetti uno sull’altro, che come progettisti abbiamo datoforfait.

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Valter CavallaroDirigente del Settore Arredo Urbano – Urbanistica Commerciale della Cittàdi Torino

Contributi di esperienze nella realtà torinese: l’attività del Comune di To-rino

Buongiorno, intanto ho ricevuto un po’ di sollecitazioni, anche perchéadesso sto dirigendo il Settore arredo urbano, ma in realtà prima dirigevo,e continuo a dirigere, il Settore dell’urbanistica commerciale e quindiquando sento parlare di mall mi sento subito chiamato in causa. Sappiamobenissimo, come diceva prima l’architetto Andrea Bocco, chi vuole il malle quella tipologia; devo anche dire però che comunque forse in Italia siamoun po’ in ritardo perché, se guardiamo a qualche esperienza estera, queltipo di struttura in qualche maniera comincia ad essere un po’ vecchia; in-fatti, probabilmente, soprattutto in Inghilterra, in Francia si comincia a muo-versi verso tipologie un po’ diverse. Noi un anno fa abbiamo approvato unadelibera in cui ci sono i criteri per l’insediamento delle attività commercialiche sta dando il via a quella che sarà la variante urbanistica, in cui usiamoil concetto di edificio estroverso; cioè chiediamo che i nuovi contenitori com-merciali abbiano una struttura estroversa contrapponendola all’introversa.Non è un problema di pianificazione; sappiamo bene che la nuova nor-mativa regionale cerca di portare questi centri commerciali più vicino al tes-suto consolidato, ma comunque abbiamo ancora un problema di caratteretipologico, come diceva prima l’architetto Bedrone, che va affrontato pro-babilmente anche nei nostri regolamenti edilizi. Cioè dobbiamo chiederein qualche maniera che l’edificio sia estroverso, magari non anticipando iparcheggi; se noi percorriamo corso Giulio Cesare, arriviamo di fronte Au-chan e ci accorgiamo che l’edificio commerciale è arretrato rispetto a que-sta immensa distesa di automobili che in qualche maniera dà già questofiltro e sicuramente con una forte percezione di insicurezza. Il recupero dei

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fili fabbrica, ne parlavamo prima con l’architetto Bocco, è una cosa im-portante. Anche la questione dei cortili mi trova molto d’accordo; io poinon credo che sia un atteggiamento conservatore, anzi probabilmente inquesto momento, visto che ormai sono anni che un certo tipo di funzionali-smo ha avuto successo, probabilmente invece è sovvertitore di alcuni ele-menti. Anche ricordare che comunque, anche nelle parti del tessutoconsolidato (prima abbiamo parlato di San Salvario, parlerò poi di Van-chiglia e di barriera di Milano che sono invece quartieri con emergenza,adesso) dove abbiamo una struttura ad isolati con il cortile, molte volte il cor-tile non è più disponibile ai bambini per giocare, ma non tanto perché c’èl’assessore che lo vieta o perché c’è il regolamento di condominio, ma per-ché ci sono le automobili; molte volte i cortili sono diventati i luoghi doveospitiamo superfetazioni, bassi fabbricati che sono i box e i condomini vo-tano di occupare quel cortile con le automobili, dimenticandosi poi che in-vece potrebbero essere degli elementi più forti di sicurezza (poi si lamentanoche i bambini non sanno dove andare a giocare e vanno a giocare ai giar-dini, devono attraversare la strada, ai giardini ci sono i cani e così via).Ho visto il titolo sotto il mio nome dice “le attività del comune di Torino”; nonparlerò delle attività del comune di Torino, nel senso che ne conosco unaparte molto piccola; l’attività del comune di Torino in termini di sicurezza èmolto ampia, ci sono i vigili urbani, c’è la viabilità, altri settori e devo direche molte volte all’interno di un’organizzazione così grande così complessacome la città di Torino, le posizioni non sempre sono concordi. Faccio unesempio che riguarda un po’ San Salvario e cito la discussione che, perquanto mi riguarda, mi ha visto prendere una posizione abbastanza nettacirca un tema che ha avuto eco anche sui giornali relativo alla cancellatadel parco del Valentino, che in qualche maniera riguarda poi anche la fa-coltà di architettura, dove nell’ipotesi delle opere (che non si sa se si fa-ranno perché bisogna capire quali sono i fondi che effettivamentearriveranno per il 150° di Torino Capitale), c’è anche il progetto di unacancellata del Valentino. Ecco, in questo caso la cancellata, che è prevista

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di 1,20 m -1,60 m, secondo me, è un elemento di forte insicurezza, per-ché, o la pensiamo di 2,20 m (ma poi dopo vediamo che cosa significacomunque avere politiche di esclusione, perché così le chiamerei), oppurela cancellata di 1,20-1,60 m fa sì che non possa essere scavalcata non dalcriminale, non dallo spacciatore che magari è atletico e abituato a San Sal-vario a saltare sulle automobili quando scappa (abbiamo visto tutti scene diquesto tipo), ma invece dalla persona che avrebbe bisogno di uscire im-mediatamente, perché magari c’è il rischio di essere scippati, oppure dalpoliziotto che un po’ imbolsito sta cercando di correre dietro al criminale ilquale salta e lui invece si deve fermare di fronte alla cancellata. Questoper dire che le posizioni sono varie, sono diverse, complesse, per fortunac’è un ampio confronto. La situazione che mi vede in questo ruolo, è unasituazione abbastanza fortunata, nel senso che io lavoro con l’assessorealla rigenerazione urbana Ilda Curti che, nelle sue deleghe, e questo èmolto interessante dal punto di vista organizzativo, raccoglie tutta una seriedi settori. Uno è la rigenerazione urbana che, in qualche modo, è il vecchioprogetto speciale periferie che si è trasformato, che sta avendo un modo unpo’ diverso di operare, anche perché, molte volte, sulle periferie siamo giàintervenuti (abbiamo i contratti di quartiere, i PRU), mentre probabilmentel’emergenza adesso è su un tessuto un po’ diverso, che è quello della cittàconsolidata; prima era San Salvario, ma ci siamo accorti in questi giorni cheinvece su Barriera di Milano c’è la necessità di intervenire. Oltre al vecchioprogetto periferie, quindi settore rigenerazione urbana, ha all’interno dellesue deleghe quella all’arredo urbano, quella dell’integrazione, quindi le po-litiche all’integrazione, e l’occupazione di suolo pubblico. Diciamo che inquesto modo riusciamo davvero ad affrontare i temi della sicurezza conun’ottica che definirei integrata. Parlerò adesso di un’esperienza molto pic-cola: l’intervento su quelli che si chiamano spazi residuali che, come ab-biamo visto nel Manuale, diceva di evitare gli spazi residuali e in qualchemaniera nella descrizione dell’intervento a Ferrara abbiamo visto essere ele-mento di forte insicurezza. Gli spazi residuali non li abbiamo solo nella

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nuova edificazione, ma molte volte li abbiamo anche nel tessuto consoli-dato: sono punti di intersezione tra assi di traffico per cui magari abbiamouna grandissima aiuola che funge da spartitraffico, che poi viene connotatadalla presenza di una panchina o di un albero, oppure il mancato com-pletamento di un isolato; sono elementi di forte degrado urbano che in qual-che maniera, attraverso anche il meccanismo della finestra rotta, aumentanoil senso della percezione di insicurezza. Detto questo vorrei premettere al-cuni elementi un po’ più generali per comprendere qual è l’atteggiamentocon cui approcciamo al lavoro che stiamo facendo. Adesso non ripeto checos’è la sicurezza, ma introduco un concetto nuovo: molte volte la perce-zione dell’insicurezza è data anche dalla presenza di usi diversi nello stessospazio, e lo spazio urbano, lo spazio pubblico è l’arena del confronto trai diversi usi, che sono usi leciti; lavorando sugli spazi residuali e intervi-stando le persone che abitano questi spazi che vivono, molte volte ci ac-corgiamo che le mamme dei bambini più piccoli vivono come una fortissimasensazione di insicurezza la presenza, ad esempio, degli adolescenti opreadolescenti che giocano a pallone (al bambino piccolo arriva la pallae si fa male). Questo è un problema, come lo trattiamo? Giocare al palloneper un adolescente è lecito, quindi il rischio molte volte è far diventare degliusi leciti usi illeciti (è il ragionamento che si faceva prima, dell’assessoreche in qualche modo vieta l’utilizzo del cortile); oppure chi lavora sul giar-dino pubblico dice: bene i ragazzi qui non possono giocare a calcio. Que-sto innesca tutta una serie di meccanismi da parte dell’adolescente a cuiviene vietato di giocare a calcio, quasi come dire di vendetta: io quellospazio non posso utilizzarlo, non è mio, mi hanno espulso in qualche ma-niera e quindi tendo a vandalizzarlo. Ecco che molte volte capita che ilvandalismo fatto dai ragazzi di 12-13 anni, sui giochi dei bambini più pic-coli, è dovuto a questo motivo. Oltre all’approccio sicurezza: prevenzionesociale, prevenzione ambientale io aggiungerei un’ulteriore distinzione. Inqualche maniera è stato detto, possiamo avere una prevenzione che tendead essere esclusiva, la cancellata del Valentino. Ricordo un’altra cancellata

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importante a Torino: la cancellata del Regio; allora Mollino aveva pensatoquello spazio come spazio urbano, in maniera molto dichiarata ed era abi-tato dagli skaters, andavano sotto perché sul marmo si scivola benissimo.Che cosa è stato fatto? È stata realizzata una bellissima cancellata, da Ma-stroianni, che ha chiuso quello spazio; loro hanno preso e si sono spostatisul monumento al duca d’Aosta. Pochi giorni fa c’era una discussione al-l’interno del comune: cosa facciamo? Recintiamo Palazzo Madama? Ecco,andrei a ripetere quel meccanismo di esclusione e quindi di spostamento delproblema. Ho usato questi assi per dire attenzione perché oltre alla repres-sione e prevenzione dobbiamo anche dividere, abbiamo un’altra dimen-sione che è quella dell’atteggiamento esclusivo o dell’atteggiamentoinclusivo (Fig.1), dove appunto vedo come atteggiamento preventivo, ma ditipo escludente, la video sorveglianza di cui si è detto, mentre probabil-mente è interessante, importante avere delle azioni di prevenzione ma che

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tendano, invece, ad includere. Ho citato un caso, che è quello di Penalo-len a Santiago del Cile dove, esperienza interessantissima, un sindaco diuna comunità di Santiago del Cile ha avuto direi un atteggiamento moltointeressante nel momento in cui si è confrontato con questa favela, la chia-merei così, connotata dalla presenza di tantissimi rifiuti che occupavano lospazio pubblico dicendo: io non so cosa fare; non ho la forza economica(cosa che in questo momento contraddistingue anche le nostre municipa-lità, abbiamo pochissimi soldi) però vi do le pale, vi mando un camion,raccogliete l’immondizia e poi in qualche maniera riusciremo a pensareallo spazio in termini progettuali facendolo diventare una piazza. Trovo chequella piazza, che c i ha visti lo scorso anno partecipi, era un punto di fortesicurezza, cioè avevamo una comunità che attorno a quella piazza si tro-vava; è questo è un esempio che in qualche maniera ha indirizzato il pen-siero con cui noi stiamo intervenendo in quelle che chiamerò aree residuali.Ecco allora che con un altro schema che mi interessava riportare su due di-mensioni, le situazioni che molte volte riesco a riconoscere se lavoro sullereti sociali di cui parlavo, cioè l’atteggiamento di tipo preventivo-inclusivonon può essere solo ambientale o solo sociale (l’ha descritto molto beneprima Andrea Bocco) deve in maniera integrata occuparsi sia della rete so-ciale che non degli aspetti fisici. Nel riconoscere quelle che sono le reti pre-senti posso trovarmi in situazioni di reti molto forti oppure reti molto deboli;le reti forti sono caratteristiche del conflitto, cioè se c’è un conflitto c’è un’in-terazione forte, altrimenti mi trovo in altri tipi di condizioni, e probabilmentemolte volte è una situazione comunque interessante (Fig.2). A San Salvarioavevamo una forte situazione di conflitto, i comitati spontanei, su cui si è inqualche maniera lavorato e ci ha permesso di passare da quello che era ilsecondo quadrante al primo probabilmente; adesso abbiamo delle formedi collaborazione. Non che i problemi non ci siano più, ma in qualche ma-niera abbiamo un modo diverso di affrontarli e quindi credo abbiamo fattoil percorso della spirale che ho chiamato “territorializzazione inclusiva”, uti-lizzando un termine, quello di territorializzazione che non mi piace tanto,

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ma che comunque è mutuato da quello usato da Raffestein. Il tentativo chein qualche maniera contraddistingue molte volte le attività che il nostro as-sessorato sta facendo è proprio quello di spostarsi dal terzo al secondo epoi al primo quadrante, seguendo chiaramente la spirale, che reputo esserequella maggiormente interessante, della territorializzazione inclusiva. Dicevoprima che evito il racconto su cosa fa il settore della rigenerazione urbana,in particolare quelli che sono gli interventi nelle aree più periferiche (poi èstato citato il caso dei piani di recupero che stiamo sperimentando a SanSalvario che peraltro abbiamo già sperimentato a Porta Palazzo e che stadando dei risultati abbastanza interessanti, anche perché non è solo un ele-mento di recupero, perché se no ha ragione Andrea Bocco, se diventaespulsione non funziona di nuovo più, ma è un modo poi per costruire anchedelle reti sociali), cercando invece di porre un po’ di più l’attenzione su untema molto importante della città; l’emergenza probabilmente ora è un po’

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meno nelle periferie storiche, costruite e caratterizzate dalla presenza diedilizia residenziale pubblica, ma comincia ad essere abbastanza evidente.San Salvario è stato forse uno dei primi esempi, ma adesso cominciamo in-vece a dover lavorare su Barriera di Milano, su Vanchiglia, su borgo SanPaolo dove probabilmente, anche dal punto di vista sociale, il tessuto è unpo’ più debole per la presenza forte di popolazione anziana, situazioni piùdifficili da affrontare, da aggredire, perché in una situazione di edilizia re-sidenziale pubblica, comunque, l’edilizia è di proprietà; qui abbiamo unaforte parcellizzazione e quindi lavorare con i proprietari privati, lo sappiamosiamo in Italia, diventa molto più difficile. Il ragionamento che facevo primasui cortili, se io penso di recuperare i cortili dicendo abbattiamo i bassi fab-bricati, togliamo le automobili, sicuramente mi porta ad avere tutti i pro-prietari privati contro. Stiamo lavorando su queste parti di città dove moltevolte, appunto, troviamo quelli che abbiamo chiamato spazi residuali chedicevo prima essere in qualche maniera spazi di degrado.Per ora abbiamo affrontato solo Barriera di Milano, Vanchiglia e borgo SanPaolo, quindi dicevo essere quartieri con difficoltà; per Borgo San Paolo al-l’interno del progetto “più Spazio più Tempo”; per barriera di Milano, nelprogramma più importante che vede firmato un protocollo d’intesa tra Re-gione Piemonte e Comune di Torino la scorsa settimana, che riguarda ap-punto i fondi strutturali, per cui dovrebbero arrivare a Barriera di Milanocirca 25 milioni di euro su cui lavorare con una metodologia simile a quellacon cui si è lavorato a Mirafiori Sud per Urban 2, quindi noi impropria-mente lo chiamiamo Urban 3, per capirci, anche se non si deve più direcosì perché non è un progetto Urban, soprattutto nel canale di finanzia-mento è diverso, passa dalla Regione non arriva direttamente dall’UnioneEuropea. Queste sono le aree che abbiamo analizzato. Su Barriera di Mi-lano gli spazi che in qualche modo abbiamo individuato sono questi, spazimarginali dove, come vediamo, nel tessuto consolidato abbiamo questispazi, molto piccoli (sono pochi mq) molte volte caratterizzati dalla pre-senza di elementi di arredo urbano: è stata posizionata una panchina, un

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alberello, un cestino, un fronte cieco come vediamo in quel caso, abbiamouna parte cieca di un condominio graffitata naturalmente. Su questo poi…il graffito è borderline: è lecito o non è lecito? Lo faccio diventare illecito?Sappiamo che c’è stato un dibattito a livello governativo, un po’ di tempofa, in cui si diceva prendiamo la carta d’identità di chi viene a comprare lebombolette. A Torino stiamo lavorando con il progetto Murarte per cui ilgraffito diventa invece elemento di qualità se in qualche maniera lo go-verno. Qui abbiamo per esempio all’incrocio tra corso Giulio Cesare e viaMartorelli (Fig.3), di nuovo questi spazi, un elemento pubblicitario, capiamoche sono elementi di degrado, in realtà. Ecco questo è un esempio di Mu-rarte (Fig.4) per cui su una parete cieca si è intervenuto con qualità, ma conla presenza di quello spazio verde che viene utilizzato per nasconderel’eroina, per fare la pipì è un elemento di degrado e così via. Questo ècorso Vercelli (Fig.5) dove abbiamo una tipologia quasi barcellonese, alla

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Cerdà; quell’isolato ha l’angolosmussato, quel triangolino mi-nimo viene occupato dalle autoin sosta vietata, si sposta il bi-done dell’immondizia perchédevo cercare parcheggio un po’più in la; ecco sono spazi pic-coli che invece danno un’imma-gine di forte degradodell’ambiente urbano. Adesso

racconterò come stiamo affrontando il tema su un pezzo di via, che è unpezzo di via pedonalizzato di fronte a una scuola, via Balbo (Fig.6), doveabbiamo qui una scuola elementare, qui un asilo nido, qui abbiamo unmercato. Questa era una via passante che è stata chiusa, ad un certo punto,

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è stata pedonalizzata in questa parte per ragioni di sicurezza, nel sensoche, avendo le due scuole che uscivano, probabilmente si è pensato allapedonalizzazione. Questo ha fatto sì che lo spazio fosse uno spazio vissutomoltissimo nel momento in cui i bambini entrano ed escono da scuola, mainvece completamente abbandonato in tutto il resto della giornata, con unasituazione di degrado che portava ad averne usi diversi, non dico leciti oilleciti, ma usi diversi, in particolare la presenza di adolescenti che passa-vano col motorino, lo usavano per “sgommare”, saltavano sull’aiuola o sulcordolino dell’albero e così via. L’intervento è partito su iniziativa del Labo-ratorio della Città Sostenibile, in particolare con un lavoro fatto per il cor-tile della scuola (questa è un’altra esperienza che la città di Torino, inparticolare il Settore Servizi Educativi sta portando avanti), ma dove i bam-

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bini in maniera molto interessante hanno detto: attenzione perché non c’èsolo il nostro cortile, anche questo spazio è uno spazio che in qualche ma-niera potrebbe essere di nostro interesse. Si tratta di circa 80 m per 12 m,quindi siamo a mille mq. Queste sono mappe che noi chiamiamo “di flusso”(Fig.7) cioè abbiamo cercato di capire quali sono gli utilizzi che ne vengonofatti durante il giorno per cui abbiamo qui le diverse età, il sesso, la prove-nienza, se italiano o stranieri, e l’abbiamo fatto nelle diverse ore; questo cipermette di riconoscere i conflitti che in qualche maniera posso essere evi-denti su quell’area, oppure invece i momenti su cui si deve intervenire. Inquesta situazione abbiamo la presenza anche di alcuni attori organizzatimolto interessanti: il Teatro della Caduta, è un teatro che ha sede lì vicino,sta facendo una politica interessante di quartiere; abbiamo il centro socialeAskatasuna che gestisce questo cortile in maniera coordinata con l’asilo

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nido che c’è li; cioè questo cortile viene utilizzato sabato per fare la me-renda ai bambini del quartiere e viene utilizzato durante la settimana daibambini dell’asilo nido; quindi abbiamo la presenza di un centro sociale,che è un elemento di insicurezza a volte, abbiamo l’associazione dei ge-nitori che in qualche maniera col centro sociale gestisce il giardino, ab-biamo il nido, abbiamo l’associazione dei commercianti, abbiamo ilparroco di una parrocchia molto importante che è la parrocchia di SantaGiulia. C’è poi il soggetto promotore che è la Scuola Fontana che è statain qualche modo il motore. Qui ci sono gli elementi condivisi di percezionedell’insicurezza tra i diversi soggetti, molto interessante perché molte volteabbiamo trovato una sovrapposizione, cioè non è che abbiamo descrizionicosì diverse dagli uni e dagli altri e anche negli elementi di forza di nuovoposso trovare la stessa condivisione. Il progetto, questo è quello che na-sceva dai bambini, cioè non abbiamo fatto un unico progetto, ma abbiamofatto diversi progetti a seconda dei diversi soggetti e poi abbiamo costruitoun nuovo progetto che è la matrice dei vincoli, cioè che cosa, dal confrontocon i tre diversi progetti, veniva fuori. E alla fine siamo arrivati al progettoche in qualche maniera, non sto a descriverlo nella sua completezza, maè un progetto minimo; abbiamo fatto un primo computo costerà circa70.000 €, quindi non tantissimo, però giocato – e qui ci metterò la facciaio come dirigente del settore arredo urbano – su alcuni elementi che defi-nirei provocatori, cioè molto complessi; ad esempio qui vedete queste fasce(Fig.8), uno degli elementi che tutti i soggetti in qualche maniera lamenta-vano era il problema dell’ombreggiatura. Bene abbiamo pensato di avere,mutuando l’esperienza di Siviglia con i teli bianchi che coprono le vie, unacopertura fatta di maglie fissa in questo modo, oppure – a me piace moltodi più – con la possibilità di spostare e quindi giocare con il sole mandandoquesta copertura da un lato o dall’altro con il meccanismo semplicissimo concui a Napoli o a Venezia si stendono i panni. Dico che ci metto la facciaperché questo tema della copertura è un tema che richiede una manuten-zione elevatissima; allora il rischio è grosso, perché se non viene manute-

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nuto sarà un elemento di forte degrado. Abbiamo un teatro e qui abbiamoun palco che deve essere montato e smontato, qui abbiamo una pareteverde verticale. Nell’appalto di fornitura chiederemo che chi fornisce que-sta parete verticale faccia delle lezioni di formazione agli insegnati dellascuola che in qualche maniera possano trasmettere poi ai bambini le infor-mazioni perché siano loro a farne la manutenzione. Questo è stato detto aisoggetti: il palco al teatro della Caduta, le tende alla scuola, il giardino al-l’associazione dei giardini, il verde ai bambini; è importante che se questoprogetto è un progetto che deve funzionare ci sia un micro patto locale-ter-ritoriale che si occupa della manutenzione, perché se non c’è questo micropatto quel progetto li sarà un progetto di forte degrado. Lo si utilizza in ma-niera provocatoria: attenzione perché noi facciamo questo progetto, mavoi dovrete occuparvi della manutenzione, quindi dovete in qualche ma-niera far sì che quello spazio diventi uno spazio dei cittadini. Si è detto al-

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l’inizio dell’intervento della professoressa Cardia che lo spazio è uno spa-zio rispettato se lo si sente come uno spazio proprio, cioè se c’è da partedel cittadino una certa identità; mi trovo assolutamente d’accordo e mi per-metto di fare una puntualizzazione che non dobbiamo usare il singolare,cioè non è un problema del cittadino, ma è un problema dei cittadini, sonotanti, molte volte portatori di interessi diversi e quindi con la necessità di ar-rivare alla costruzione di patti; perché altrimenti, invece, nel momento in cuipenso al cittadino unico vado verso quelle politiche di esclusione per cui lospazio è mio e dei bambini piccoli che in qualche modo devono espelleregli adolescenti, altrimenti succede che il pallone arriva in faccia.

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie all’architetto Cavallaro.Soprattutto questi ultimi esempi credo mostrino come è possibile, fattibile lapresentazione di piani locali di sicurezza, di patti locali di sicurezza, pre-visti anche dalla nostra legge 23 sulla sicurezza integrata.Ricordo che solo ieri un abbattimento di una casa a Calliano, Comune del-l’astigiano, ha tolto 200, diciamo così, passaggi difficoltosi al giorno, dopodecenni che il problema era enunciato. Quindi a volte forse mettendoci unpo’ di controllo del territorio si riescono a dare delle risposte di un certotipo. Erano quarant’anni che tutti i camion non riuscivano a girare in quellacurva. Quindi, forse con piccole cose si riesce a migliorare.Allora, adesso le conclusioni sono affidate - per l’assenza giustificata del-l’Assessore Conti - all’architetto Giovanni Paludi che è dirigente responsa-bile del Settore Pianificazione.Ricordo solo la proposta, che in apertura l’architetto Madaro ha fatto di in-serire, almeno tecnicamente, nella legge di pianificazione urbanistica que-sti principi. Non si chiede la luna. Pensate che in Olanda, nellaprogettazione di grandi sistemi, c’è un visto di Polizia. La stessa cosa si fain Gran Bretagna. Non si chiede questo. Chiediamo semplicemente che siinserisca qualche cosa che vada nella direzione di una maggiore integra-zione …

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Giovanni PaludiDirigente del Settore Pianificazione Territoriale e Paesaggistica della Re-gione Piemonte

Conclusioni

Buongiorno a tutti, porto i saluti dell’Assessore Conti che purtroppo per unimpegno istituzionale non può essere oggi presente. Rispetto a questo miointervento di chiusura di questa prima sessione del Seminario ho provato aprendere alcuni appunti sui principali aspetti emersi nelle presentazioni dellamattinata, rispetto a un argomento che è sicuramente interessantissimo e sulquale è necessario continuare le attività intraprese, per mettere in evidenzale principali tematiche su cui riflettere.In primo luogo ritengo fondamentale, condividendo quanto proposto que-sta mattina, l’approccio integrato al tema, perché parlare di sicurezza si-gnifica agire su vari campi, sui vari aspetti disciplinari e rispetto a diversechiavi di lettura all’interno della stessa disciplina.Pensando alle problematiche della sicurezza, il primo approccio che vienein mente è quello di trattarla come un problema riguardante le politiche so-ciali, ovvero, le politiche economiche che possono intervenire a livello ur-bano (ad es. nei quartieri) per modificare determinati assetti che si sonocostituiti; solo successivamente si pensa all’importanza delle politiche urba-nistiche o delle politiche territoriali che possano in qualche modo porre inatto azioni finalizzate ad aumentare il livello di sicurezza.Gli interventi della mattinata hanno messo in evidenza proprio la necessitàdi affrontare il tema della sicurezza anche rispetto alla disciplina della pia-nificazione.Nelle presentazioni discusse sono emerse, sia in generale che rispetto adaspetti particolari, posizioni correlate alla necessità di affrontare il temadella sicurezza sotto il profilo tecnico e scientifico. In questo senso appareestremamente apprezzabile l’approccio proposto con il Manuale che co-

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stituirà, molto probabilmente, lo spunto fondamentale per promuovere ulte-riori lavori e collaborazioni all’interno delle strutture regionali.Parlando delle connessioni della disciplina urbanistica rispetto al tema dellasicurezza si possono individuare due livelli di approfondimento, quello dellapianificazione e quello della progettazione: abbiamo visto esempi che ri-guardano la pianificazione urbanistica, in termini di piani generali, edesempi di scala più minuta riguardanti la progettazione urbanistica, ossia,la definizione nel dettaglio di ipotesi di distribuzione di volumi e di funzioniin ambiti circoscritti.Sicuramente le regole, o meglio i consigli, e le domande contenute nel Ma-nuale presentato dalla professoressa Cardia, si rivolgono come indirizzoper il livello della progettazione urbanistica.Gli esempi specifici esposti dall’ingegner Bottigelli, relativi a situazioni con-crete, ci hanno fatto capire come si deve intervenire per sanare delle situa-zioni già in fieri o comunque in via di definizione.Il discorso che si deve affrontare è quello della prevenzione perché se l’ur-banistica può fornire un contributo, lo può fare principalmente in termini diprevenzione, cioè agendo prioritariamente sulla città che si trasforma e nonsolo su quella consolidata.In che modo? Raccolgo alcune delle osservazioni formulate dall’architettoBedrone inerenti la volontà di cercare di ritornare a ripensare a un progettodi città. Si è assistito spesso negli anni successivi al dopoguerra alla crescitadella città, intesa come addizione di pezzi monotoni, uniformi e monofun-zionali; il problema della zonizzazione, che poneva l’architetto Bedrone, èun tema centrale, bisogna superare il concetto di “zoning puro”, in quantoè proprio questa monofunzionalità connessa alla suddivisione spaziale delleattività, che non consente l’affermarsi delle politiche per la sicurezza che,sia l’ingegner Bottigelli che la professoressa Cardia, hanno posto in evi-denza.Una città funziona se è organizzata mediante spazi multifunzionali e inte-grati; una città, infatti, deve essere occupata e deve lavorare durante tutto

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l’arco della giornata e non solamente in alcuni orari connessi allo svolgi-mento delle attività produttive, piuttosto che di quelle commerciali o esclu-sivamente residenziali. Questo rappresenta un aspetto fortemente connessoal livello della pianificazione urbanistica generale.Il mondo sta mutando, anche la pianificazione urbanistica sta cambiando,si è passati dall’esigenza di pensare solo alla pianificazione delle espan-sioni, alla necessità di costruire nella città costruita mediante operazioni dirigenerazione urbana.Abbiamo tuttavia constatato, con l’esempio presentato dall’ingegner Botti-gelli che, però, anche le azioni connesse a progetti di riqualificazione ur-bana possono presentare problematicità in termini di sicurezza.Da queste riflessioni discende l’opportunità di approcciare al tema affron-tando i due livelli di cui prima si parlava: la pianificazione urbanistica puòessere di ausilio a pensare un nuovo modo di rivedere e interpretare il ter-ritorio e la città, la progettazione urbanistica può fornire gli strumenti per ga-rantire l’integrazione funzionale e deve essere in grado di costruire una città“policentrica”. Quest’ultimo aspetto costituisce uno dei temi da affrontarenell’ambito della disciplina urbanistica, in quanto le esperienze degli ultimidecenni hanno dimostrato la difficoltà di riuscire a costruire nuovi pezzi dicittà, in quanto, in molti casi, i risultati delle trasformazioni si sono tradottinel proporre il prolungamento della città esistente attraverso l’utilizzo di as-sialità già esistenti, senza pervenire alla formazione di nuove polarità d’in-teresse e di attrazione.Ne è dimostrazione, per certi versi, il fatto che in una città si va spessoesclusivamente a visitare il centro, ma in realtà una città può essere fatta dimolti centri, o meglio, di molte polarità e l’esempio può valere anche perle grandi città che ovviamente sono policentriche, ma non totalmente, per-ché comunque le periferie sono spesso spersonalizzate.Questo forse è il tema sul quale bisogna maggiormente lavorare, anche inrelazione alle politiche che la Regione sta promovendo. La riforma della le-gislazione urbanistica regionale, attualmente all’esame della II Commissione

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del Consiglio regionale, introduce, a livello piemontese, il concetto di go-verno del territorio, ampliando la sfera d’azione della disciplina urbanisticaper comprendere al proprio interno altri temi connessi alle trasformazioniterritoriali, tra i quali anche quelli collegati alle problematiche della sicu-rezza.In questo processo rientra anche la formazione di un nuovo Piano territorialeregionale che ovviamente non può avere un’influenza diretta rispetto alla tra-sformazione della città, ma fornisce indirizzi e direttive per la pianificazionedi livello urbanistico comunale. I principi e gli obiettivi in esso contenuti pro-muovono politiche di riqualificazione della città esistente, demandando ilcome e il dove agli strumenti di livello locale. In tale prospettiva trova spa-zio anche la necessità di sostenere azioni per contenere il consumo delsuolo connesso ai fenomeni della dispersione urbana che, se rappresen-tano una criticità sotto il profilo territoriale-urbanistico, costituiscono un pro-blema anche in termini di aumento dell’insicurezza: la presenza diinsediamenti isolati ha costituito, soprattutto nel nord Italia, elemento di pre-occupazione sotto il profilo della crescita di fenomeni di criminalità. Il pro-liferare della città diffusa genera, infatti, problemi di sicurezza, nonfacilmente gestibili.Nell’ambito delle attività di pianificazione della Regione, a questo tipo divisone finalizzata a orientare lo sviluppo verso politiche di riqualificazionein linea con i modelli che stamattina sono stati proposti, si affianca anchela formazione del primo Piano paesaggistico esteso all’intero territorio re-gionale. Al di là dei contenuti specifici di cui si occupa il piano, mi pare in-teressante evidenziare che alcune delle analisi compiute affrontano il temadelle forme urbane. Anche la forma urbana, infatti, costituisce un altro ele-mento che è fondamentale, come affermava l’architetto Bedrone, per rico-minciare a ricostruire quartieri vivibili, a misura d’uomo, mi riferisco ancheall’esempio prima presentato dall’architetto Bocco.I due nuovi strumenti di pianificazione regionale rientrano nel disegno com-plessivo della nuova legge per il governo del territorio che, oltre al livello

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della pianificazione provinciale, prevede tre livelli di pianificazione comu-nale, dove è previsto un piano strutturale che definisce le grandi scelte e leinvarianti del territorio, e due strumenti di attuazione: il piano operativo, chesviluppa per le aree oggetto di trasformazione le ipotesi formulate a livellostrutturale e il piano urbanistico di dettaglio, che raggruppa l’insieme degliattuali strumenti urbanistici esecutivi.Sono questi due ultimi livelli, cioè il piano operativo e il piano urbanisticoesecutivo, che possono essere direttamente connessi al tema di cui si parlastamattina.Il piano operativo, infatti, interessa le aree oggetto di trasformazione, su-perando la logica della pura zonizzazione, definendo le condizioni da ri-spettare per la progettazione e l’attuazione degli interventi in termini diregole generali, parametri da rispettare, funzioni da insediare a livello di“ambito”; il piano esecutivo, costituisce il piano della progettazione urba-nistica di dettaglio, che prevede, tra le altre cose, anche il disegno dellaforma urbana.A quest’ultimo livello, in base al dibattito e delle iniziative promosse dai col-leghi, è stata inserita, all’interno del nuovo testo di legge sul governo del ter-ritorio attualmente in discussione, un’attenzione specifica per prevedereall’interno degli elaborati del piano esecutivo uno studio che riguardi la si-curezza, cioè la progettazione della sicurezza dell’insediamento, e questocredo che sia un primo risultato di questa iniziativa che è stata posta a li-vello regionale. La norma richiede di condurre una verifica delle condizionidi sicurezza degli insediamenti sulla base di linee guida di cui viene de-mandata la formulazione alla Giunta regionale.Per favorire l’attuazione di questa previsione e, più in generale, in relazioneal tema e al dibattito oggi intrapreso, appare opportuno promuovere la for-mazione di un gruppo di lavoro con le altre strutture della Regione, che co-minci ad affrontare questi temi a partire dagli studi e dalle esperienze finoramaturate.Grazie.

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Riprendiamo i lavori, anche se siamo in un ambiente molto familiare, comenumero di partecipanti. Stamattina abbiamo cominciato a ragionare un po’sul legame tra pianificazione urbana, progettazione architettonica e sicu-rezza. Abbiamo provato a vedere qualche risposta su come la pianifica-zione, la progettazione possano incidere sulle condizioni di sicurezza di unterritorio. Questa è una delle grandi domande. Si è definita la questione,che ormai è abbastanza consolidata, che tre sono gli approcci per la si-curezza urbana: agire sulla legislazione, sul sistema giudiziario, sull’appa-rato di controllo per il rispetto delle leggi.Agire sulla comunità e sulle persone per ridurre o prevenire i fattori che pos-sono influenzare i comportamenti devianti, e ciò a maggior ragione, oggiche andiamo, con la crisi economica, incontro a un aumento della disoc-cupazione, all’emarginazione, alla povertà.Il terzo punto è la creazione di un ambiente fisico positivo che debba ga-rantire la qualità della vita. In genere l’approccio nel nostro paese è sulprimo punto; si agisce sulle leggi, più a livello di slogan, che di sostanza esul resto si fa poco o niente. Ma la qualità della vita è uno dei fenomeni im-portanti da gestire, da sistemare, è stato qui richiamato che già alla finedegli anni sessanta con gli studi dell’antropologa americana Jane Jacobs siè cominciato a pensare a che tipo di soluzione dare; ed era uscita ap-punto, come si ricordava, che la sicurezza di un territorio è legata alla vi-talità dei quartieri, la sicurezza urbana dipende molto dal grado diidentificazione dei cittadini con il territorio, il sentimento di appartenenza al-l’ambiente di vita incentiva comportamenti che lo proteggono.Abbiamo visto stamattina, proprio nell’ultima relazione dell’architetto Ca-vallaro, alcuni esempi, quando i cittadini gestiscono in prima persona certi

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spazi del territorio, credo che sia una cosa anche questa importante.Quindi, in sostanza, la partecipazione dei cittadini dovrebbe essere legataa quello che si dice “l’occhio sulla strada” che non sono le ronde (perchépoi a volte si fa un po’ di confusione su questa iniziativa), perché un con-trollo sociale di quello che succede sul territorio credo sia una cosa ben ac-cetta, non è quello che invece oggi si vorrebbe far passare che è uncontrollo militare del territorio, fatto da forze che non sono militari e che nonhanno le capacità e neanche le qualifiche giuridiche. Oggi, appunto, si ètracciata una strada e credo che le relazioni che sono state svolte abbianoin parte risposto ad alcuni quesiti, non c’era la pretesa né di dare degli in-segnamenti, né di risolvere totalmente il problema. Abbiamo cercato di farvedere che questo problema può essere risolto sfruttando altre risorse.Certo che ci vanno tempi più lunghi, una progettazione più lunga anchedelle cose che si fanno. Oggi pomeriggio, proviamo a vedere alcuniesempi di cose fatte dalla Regione Piemonte e sono anche cose che damesi, da anni vanno avanti; è più facile magari dire rinforziamo una pattu-glia sul territorio che andare a risolvere un problema che una volta risoltofa sì che questo non si riproponga più.Ma cominciamo i lavori a partire con l’unico intervento ancora esterno al-l’Amministrazione regionale che è quello del dottor Nobili della RegioneEmilia, sulla video sorveglianza nella prevenzione della criminalità. Credoche questo sia uno degli elementi, anche, un po’ clou, perché tutti i nostriamministratori cercano sempre di dare risposte alla sicurezza con le tele-camere, che da un punto di vista tecnico portano a ben pochi risultati, per-ché non credo che ci siano mai state delle risoluzioni di situazioni solotramite le telecamere, anche quelle che ci hanno venduto come fatto per letelecamere. Credo sia significativo il ricordare uno dei casi che viene sem-pre rappresentato a riprova di ciò, a quel caso nella metropolitana di Roma,dove quella ragazza fu uccisa da un’altra ragazza, che gli aveva infilatoin un occhio l’ombrello. È stato evidenziato che questa è stata identificataper l’azione della telecamera. Però siccome quella ragazza è stata arre-

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stata ad Ancona, appare chiaro che se non aveva una ricca “soffiata”, lapolizia con le registrazioni di quella telecamera non risolveva assolutamentenulla. Credo che da questo punto di vista le telecamere sono solo un ele-mento in più per l’indagine, ma siccome ormai nel nostro paese siamo di-ventati tutti degli esperti, perché il RIS fa scuola e credono che tutto si risolvain questa maniera, abbiamo visto anche l’altro caso del dna sui Rumeni, poinon combaciava bene e lo abbiamo fatto andare bene lo stesso, aggiu-stando la catena molecolare, ma non è proprio andata così, tant’è che siè detto che i presunti colpevoli restavano in galera, perché tanto ne avevanofatto un altro, di stupro. Cioè quel cittadino era condannato, solo perchéaveva una brutta faccia. Allora se cominciamo a ragionare così siamo finiti.Da questo punto di vista credo che bisogni affrontare il concetto della tec-nologia, l’ha già ricordato stamattina l’Assessore, in una maniera abba-stanza laica; la tecnologia è un mezzo che ci permette di garantire certesicurezze.

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Gian Guido NobiliResponsabile area Ricerca e progettazione del Servizio Politiche per la si-curezza e polizia locale della Regione Emilia Romagna

La videosorveglianza nella prevenzione della criminalità

Di nuovo buon pomeriggio a tutti. Permettetemi di ringraziare ancora per l’in-vito gli organizzatori, davvero non per leziosità, ma perché questo incon-tro mi permette di continuare una lunga interlocuzione, già avviata da diversianni con la Regione Piemonte e con gli amici di Amapola, sul tema dellenuove tecnologie, e in particolare della videosorveglianza. Da questa ormailunga collaborazione è nata tra l’altro la pubblicazione “L’occhio sulla città”che è tra i materiali oggi in distribuzione per il pubblico.Questa pubblicazione, che cerca di analizzare la videosorveglianza comestrumento delle politiche locali per la sicurezza, partiva dall’esigenza di pro-muovere un utilizzo “ragionato” delle nuove tecnologie da parte degli ope-ratori locali. Nell’incontro che avemmo a Torino circa un anno fa si valutavainfatti, non senza preoccupazione, il fatto che quasi il 60% delle risorsedella Regione Piemonte destinate alla sicurezza urbana venisse utilizzatoper promuovere sistemi di videosorveglianza nei comuni.Ora, è ormai coralmente condiviso che la videosorveglianza può essere diaiuto in alcuni casi, ma non in altri.Per fare un parallelo con il Manuale presentato questa mattina, ricordo chea gennaio scorso quando la Professoressa Cardia ne esponeva i contenutiad un convegno a Ferrara, il refrain del suo intervento, rispetto alla siste-matica applicazione delle linee guida era invariabilmente: dipende! Vannoevitate le barriere fisiche nei parchi? Dipende! Dipende dal contesto am-bientale, dalla popolazione che lo fruisce, ecc.È la stessa risposta che mi sento di dare agli amministratori che in RegioneEmilia-Romagna mi chiedono spesso se la videosorveglianza è utile o meno.Non è possibile dare una risposta univoca: dipende dallo spazio che si

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vuole sottoporre a videocontrollo, dal tipo di delittuosità che si vuole con-trastare. Certamente è uno strumento preventivo che va accompagnato daaltre misure.Attualmente esiste una forte promozione da parte delle aziende produttrici,che tendono a presentare la videosorveglianza come la killer applicationcontro la criminalità.O, come direbbero gli inglesi, la silver bullet, la pallottola d’argento checentra invariabilmente il bersaglio.Ora, come giustamente ricordava il dottor Bellezza, bisogna distingueredue piani onde evitare di fare confusione in termini di efficacia della misura.Comunemente si tende a confondere i concetti di funzione di deterrente edi detection esercitati dalla videosorveglianza. La prima attiene alla capa-cità dello strumento di prevenire il reato, la seconda attiene alla capacitàdello strumento di identificare l’autore del reato, una volta che questo è statocommesso. La prima assolve una funzione tipicamente propria delle politi-che di sicurezza locali, la seconda, quella di detection, una funzione tipi-camente propria invece delle politiche nazionali di sicurezza.La prima è dunque la funzione di deterrenza delle telecamere, ossia quelladi “guardiano efficace” che, secondo un approccio tra i più noti della cri-minologia attuale, la teoria delle attività di routine, eviterebbe di mettere incontatto l’aggressore motivato con la sua vittima o il suo bersaglio. Altra cosa è la funzione, che potremmo chiamare di “testimone affidabile”,ossia la capacità delle telecamere di fornire un utile supporto, post evento,alle indagini per individuare i responsabili.Per sostenere il ricorso alla videosorveglianza, vengono poi - per esperienza- riportati dalle amministrazioni locali alcuni assunti teorici apparentementeplausibili.Si dice che la videosorveglianza può avere una funzione rassicurante, ossiapuò convincere le persone che, se quello spazio è sottoposto al videocon-trollo, allora significa che è sicuro e di conseguenza attrae una maggiorefrequentazione.

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Altrimenti detto, la videosorveglianza sarebbe in grado di stimolare indiret-tamente quel concetto più volte richiamato nel Manuale presentato questamattina: il controllo sociale informale, favorito da una accresciuta sorve-glianza naturale.Ancora, si dice che il controllo a distanza del territorio può offrire un signi-ficativo contributo alla razionalizzazione degli operatori di sorveglianza.Se ho la possibilità di controllare, da postazione remota, gli spazi pubblici,potrò indirizzare, in maniera più mirata, gli agenti di sorveglianza e cali-brarne la presenza a seconda dell’effettiva esigenza.Si insiste poi un su effetto allertante che dovrebbe essere indotto dalla pre-senza delle telecamere: queste ci richiamerebbero a comportamenti più pru-denti. Eppure tutti questi meccanismi, assolutamente plausibili, sia nell’esperienzaconcreta che da quanto ci insegna la letteratura internazionale non funzio-nano o non funzionano così come dovrebbero.Ad esempio, ci siamo accorti che difficilmente la presenza delle telecamereprovoca dei cambiamenti nei comportamenti delle persone. Anche se si at-traversa un’area videosorvegliata, non si assiste, se non in maniera resi-duale al risveglio della memoria, a comportamenti più prudenti.Penso poi a quanto detto questa mattina: che senso può avere utilizzare letelecamere per contrastare forme di disordine urbano non riconducibili allasfera della penalità?Penso anche a città di grandi dimensioni nella nostra regione, dove è statapromossa la video sorveglianza per tentare - inutilmente sia detto - di rego-lare conflitti che nascono da stili di vita diversi, di per sé legittimi, ma in-compatibili se agiti negli stessi spazi pubblici.Purtroppo non ci è stata di grande aiuto, per promuovere quell’uso ragio-nato della videosorveglianza di cui parlavo all’inizio del mio intervento, labassa qualità delle valutazioni svolte. Nel caso italiano, dovrei anzi parlaredella quasi totale assenza di ricerche di valutazione. Ma lo stesso si po-trebbe dire della Francia, così come di molti altri paesi europei, ad ecce-

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zione del Regno Unito.Più in generale, la letteratura scientifica anglossassone di migliore qualità ciha insegnato molte cose utili sulla videosorveglianza.Posso citare ad esempio una ricerca sistematica condotta da due studiosi,Welsh e Farrington, che nel 2002 hanno preso in considerazione quelliche allora potevano essere considerati i ventidue studi di valutazioni sullavideosorveglianza più accurati.Tre sono gli ambiti analizzati: centri cittadini insieme a quartieri popolari; tra-sporti pubblici e i parcheggi.Come vi dicevo, sono stati presi in considerazione solo quegli studi cheadottavano una metodologia c.d. quasi sperimentale di caso-controllo.In questo modo era possibile tentare di analizzare il controfrattuale, ossiastimare la situazione che si sarebbe data qualora non si fosse realizzato l’in-tervento di videosorveglianza.Quali sono state le conclusioni? Sia nei centri cittadini che sui mezzi di tra-sporto pubblico gli effetti variano a seconda della tipologia di reato che sivuole prevenire o contrastare, tuttavia i risultati sono tendenzialmente mo-desti. Complessivamente si assiste ad un calo contenuto della criminalità,statisticamente poco significativo.Solo nei parcheggi si riscontra un drastico calo della criminalità, statistica-mente significativo e stimabile in una contrazione di oltre quaranta puntipercentuali dei furti di e su autoveicoli. Si noti non della delittuosità in ge-nerale, ma di questi particolari tipi di crimini.In generale comunque emerge che la videosorveglianza sembra essere piùefficace nel contenere i crimini contro la proprietà. In questo senso i reati ditipo strumentale, come furti o rapine, che derivano da motivazioni oppor-tunistiche, risultano essere maggiormente influenzati dalla presenza delle te-lecamere, mentre nei reati di tipo espressivo, che nascono da azioniimpulsive fini a se stesse, i benefici appaiono più contenuti.Questi risultati sono stati confermati da quella che è oggi unanimementeconsiderata la migliore ricerca condotta a livello mondiale sulla videosor-

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veglianza, tanto da essere stata premiata negli USA proprio quest’anno.Sto parlando dell’indagine commissionata dal Ministero dell’Interno inglesee condotta nel 2005 da ricercatori del Perpetuity Research & ConsultancyInternational di Leicester coordinati dal Prof. Martin Gill.Sono stati presi in considerazioni tredici progetti di videosorveglianza sui352 progetti complessivamente finanziati dal Ministero dell’Interno inglesecon un programma chiamato Crime Reduction Programme, con oltre 250milioni di sterline di finanziamento.Anche in questo caso, i risultati sono in chiaro-scuro.In sette casi, addirittura la criminalità aumentava dopo l’installazione delletelecamere, in sei casi si riscontravano degli effetti positivi, ma solo in unodi questi casi, Hawkeye, si poteva indubitabilmente attribuire all’introdu-zione della videosorveglianza e non ad altri fattori di confondimento, la ca-pacità di avere effettivamente ridotto l’incidenza della criminalità.E anche in questo caso si tratta di parcheggi.Ancora una volta i risultati migliori si hanno in spazi circoscritti, chiaramenteperimetrati.In questo senso già in anni precedenti era stato condotto un interessantissimostudio sugli effetti della videosorveglianza nella metropolitana di Londra.Webb e Laycock avevano già allora messo in evidenza come la stessa ti-pologia di tecnologia producesse risultati addirittura opposti a seconda delcontesto in cui era installata. Gli effetti erano cioè molto positivi in quelle fer-mate della metropolitana caratterizzate da un numero di entrate e uscite ri-dotte e facilmente controllabili. Laddove queste condizioni non si davano,l’efficacia della videosorveglianza veniva meno.Concludendo possiamo certamente affermare che l’efficacia della video-sorveglianza varia, e non poco, a seconda delle condizioni di applica-zione.Le telecamere paiono funzionare meglio in spazi ristretti, caratterizzati da unnumero ridotto di accessi e vie di fuga.La visibilità e l’illuminazione ambientale dell’area videosorvegliata devono

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essere valutate con estrema cura per evitare di inquadrare zone occultateda ostacoli, troppo buie o, al contrario, eccessivamente abbagliate.La densità delle telecamere, qualora sia funzionale ad una migliore coper-tura dell’area videosorvegliata, tende a produrre migliori benefici.Ancora, la videosorveglianza determina risultati più proficui se utilizzata peroperazioni mirate da parte di personale di sorveglianza motivato e oppor-tunamente formato.Insisto poi su un altro aspetto, a mio avviso determinante: le probabilità disuccesso aumentano se la videosorveglianza viene integrata da altre mi-sure di prevenzione, ad esempio di sorveglianza di vicinato.Occorre infine ricordare che un’organica campagna di comunicazioneverso i residenti, i cui costi vanno presi in considerazione, è condizione in-dispensabile per garantire sostenibilità a questa misura di prevenzione.Mi si permetta allora di chiudere richiamandomi ad uno dei principi fon-damentali della norma CEN fissati nel Manuale che abbiamo concorso arealizzare con il Politecnico di Milano.La videsorveglianza non può essere intesa come una risorsa, peraltro spessomolto costosa, da spendere in maniera indiscriminata in risposta ad unaprogettazione inadeguata. È una misura utile solo quando è parte integrantedi un piano di sicurezza generale capace di prendere in considerazione tuttigli elementi del contesto ambientale.Grazie ancora per l’attenzione, che pur non è mancata nonostante la tra-dizionale difficoltà di riprendere i lavori dopo la pausa pranzo.

Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie, proviamo adesso a vedere alcune esperienze maturate all’internodella Regione Piemonte; il dottor Moriondo ci illustra il sistema wi-fi regionale.

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Roberto MoriondoDirigente del Settore Sistemi Informativi e Tecnologie dell’Informazione dellaRegione Piemonte

Esperienze della Regione PiemonteLa rete WI-PIE per la sicurezza di persone, cose e patrimonio naturale

Ringrazio gli organizzatori per avermi invitato a parlare di internet. Vi par-lerò di internet e di banda larga; cercherò di dimostrarvi che internet e labanda larga c’entrano con queste cose. Mi trovo d’accordo con l’afferma-zione che non mi ricordo se ha fatto il collega piemontese o il collega emi-liano: le tecnologie sono uno strumento, non sono il fine, ma sono il mezzo.Io mi occupo di tecnologia da tanto tempo, ma non sono un tecnologo,sono un economista, per cui continuo a pensare che sia assolutamente vie-tato innamorarsi delle tecnologie, bisognerebbe usarle come strumento. Aun certo punto la Regione Piemonte ha deciso di investire in qualcosa cheera legato alla diffusione della banda larga, perché ha assistito a quello cheera un fallimento di mercato, ovvero la privatizzazione del mercato di in-ternet, della banda larga, prodotto dal fatto che internet era disponibile inalcune aree, in alcune porzioni del territorio, in maniera anche buona (buonicontratti commerciali, concorrenza tra gli operatori), mentre tutto questo nonera disponibile sul resto del territorio piemontese. Per darvi un’idea: quandoabbiamo iniziato ad occuparci di questa cosa come pubblica amministra-zione, in circa 900 dei 1206 comuni piemontesi, non era disponibile laconnessione a banda larga, in nessuna delle sue declinazioni tecnologi-camente possibili. Il che vuol dire che due terzi del territorio piemontese nonavevano questa possibilità tecnologica, questo strumento; un terzo delleaziende, della popolazione piemontese non poteva accedere ai servizi cheinternet forniva. Perché c’è stato un fallimento di mercato? Perché in ma-niera stravagante rispetto al resto del mondo, in Italia qualcuno ha decisoche sia la rete, cioè l’infrastruttura, sia i servizi venivano privatizzati e messi

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in mano agli operatori che hanno come unico punto di vista il ritorno degliinvestimenti, per cui io investo ponendo infrastruttura soltanto dove mi aspettoun ritorno economico, anche perché come operatore economico non possoragionare in maniera diversa. Il tempo di definizione dei piani di businessdiventava sempre più corto, di conseguenza Telecom decise che su tuttauna parte del territorio piemontese non conveniva, non aveva valore inve-stire. E questo ha creato quello che, a livello europeo, viene definita unadelle peggiori situazioni possibili e cioè il fenomeno del digital divide, doveterritori diversi hanno delle opportunità che sono completamente differenti.Noi ci siamo impegnati a dare una copertura al territorio piemontese entrola fine del 2008 e così è stato puntualmente fatto, dimostrando di essereuna pubblica amministrazione seria che è in grado di pianificare, di portarea casa degli interventi, avendo cura di non fare delle cose che si chiamanocreazioni di posizioni di dominanza sul mercato, di non distorcere le logi-che di mercato, di non andare a intrometterci in quella che era la logica dimercato ed essere tecnologicamente neutri; cioè, guardare tutte le diversetecnologie in maniera che queste potessero svilupparsi armonicamente enon scegliere una soluzione a discapito dell’altra. In origine il problemadella mancata diffusione di internet legato al ritorno degli investimenti daparte degli operatori, è dovuto al fatto che la popolazione piemontese inparticolare, la popolazione italiana in generale, ha dei comportamenti chesono difformi da quella che è la media europea e nordamericana. Ovvero,le persone in Italia usano meno internet di quanto accade all’estero. Le per-sone in Piemonte usavano internet ancora di meno di quanto succedesse inItalia; due le spiegazioni: perché la popolazione piemontese è mediamenteanziana e di conseguenza l’interazione di una persona con un browser, conun pc tutto sommato non era nelle abitudini delle persone, più abituate aguardare la televisione, usare il cellulare, leggere il giornale, ascoltare laradio. La seconda è che il livello di scolarizzazione italiano e piemontesenon è dei più elevati e qui di conseguenza, di nuovo, popolazione an-ziana, basso livello di scolarizzazione ha determinato un uso di internet

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basso che nel 2005 vedeva una media di penetrazione del servizio nel-l’Europa dei 25 del 48% delle famiglie, nell’Europa dei 15 del 53% dellefamiglie, con accesso alla banda larga rispettivamente del 23 e del 25%;quella italiana era del 39%, quella piemontese del 47%. Gli investimenti chesono stati fatti dalla pubblica amministrazione, ripeto, in maniera assoluta-mente neutrale sul piano tecnologico e sul piano economico, sono stati fattisu due direttrici diverse. La prima è tornare ad investire sulle infrastrutture, ren-dendole disponibili agli operatori per il loro uso, come dire: facciamo lestrade, facciamo gli acquedotti, facciamo le ferrovie e lasciamo poi che glioperatori di mercato, in concorrenza tra di loro, offrano servizio. La se-conda cosa è stata qualcosa di particolare che è stato particolarmente pre-miato dalla commissione europea, ovvero invogliamo gli operatori dimercato a investire perché aumentiamo la domanda, cioè promettiamo cheinternet sarà usato di più. Abbiamo provato con delle alchimie a ringiova-nire la popolazione piemontese, ma non ci siamo riusciti, allora abbiamoprovato a ragionare su un campo diverso. Internet deve per forza essere uti-lizzato in un rapporto intermediato da un pc e da un browser? No. Internetè una rete e può essere utilizzato anche per far parlare tra di loro delle mac-chine, degli oggetti, dei device, dei sensori, ecc. Questa è stata l’idea cheabbiamo avuto, che ha portato a questo risultato e cioè che il mercato ha,insieme a noi, investito, per cui c’è stato un investimento pubblico nel fare900 km di fibra ottica, investire in dorsali provinciali che portassero la fibranei punti più vicini dove poi questa potesse generare l’erogazione di un ser-vizio, investire in servizi in maniera tale che gli operatori tornassero ad in-vestire sul nostro territorio. Il risultato è che in questo momento in Piemontesono soltanto 68 i comuni che non hanno le soluzioni più tradizionali e piùperformanti (il rame e il wireless); 68 comuni in cui c’è soltanto la soluzionesatellitare; 68 comuni che significa 17.000 abitanti, vuol dire 3.000-4.000imprese. Visto che parliamo di quattro milioni abbondanti di cittadini e di500.000 imprese, voi capite che il risultato comunque è ottimo. Su questiterritori non raggiunti è stato fatto un accordo che permette l’utilizzo di

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banda satellitare che è meno comoda da usare, che prevede un piccolo in-vestimento iniziale da parte dell’utilizzatore nella parabola e nel decoderche vuol dire 500 euro circa; si sta cercando di provare con i distributoriad ammortizzare questa cifra, a spalmarla come per esempio avviene conla televisione satellitare sul contratto ecc; è un gap rispetto all’adsl, ai ser-vizi wireless, però in questo momento possiamo dire che possiamo contaresu 1020 comuni serviti dall’adsl con un servizio fornito da Telecom comeda altri operatori. Possiamo contare anche su 960 altri comuni su cui qualisono presenti operatori wireless in concorrenza tra di loro, avendo rag-giunto il risultato di avere una penetrazione della banda larga presso le fa-miglie nel 2007 ancora al di sotto della media europea, ma al di sopradella media italiana, per cui avendo avuto 16-17 punti percentuali di in-cremento e con la maggiore penetrazione di banda larga presso le impresein Piemonte, rispetto alla media europea. Quali sono le cose sulle quali ab-biamo investito sui servizi? Noi abbiamo pensato innanzitutto ad avviare deiprogetti che riguardassero quelle che sono le funzioni istituzionali dell’am-ministrazione regionale, per cui non ci siamo inventati aggressioni sul mer-cato su cose che non erano istituzionalmente per noi rilevanti; abbiamopensato anche all’avvio di quei servizi che di nuovo stentavano ad avviarsiperché non c’erano dei dimostratori tecnologici, ma soprattutto dei dimo-stratori di business che fossero così solidi da attrarre gli investimenti privati.I primi tre progetti su cui ci siamo cimentati sono stati il servizio di monito-raggio telematico dei soggetti fragili, di cui parlerà il mio collega subitodopo; un sistema di sicurezza integrato che non vede l’uso delle teleca-mere, ma vede l’uso della sensoristica presso delle sedi di pubblica ammi-nistrazione: sensoristica che va a rilevare un tentativo di furto, una fuga digas piuttosto che l’interruzione del servizio elettrico, generando un segnalead una control room che può inviare sul posto delle persone o può fare unmonitoraggio di cosa sta accadendo. Un sistema locale all’interno dell’areadel Verbano di telemedicina su specialità di tipo diverso che vanno dai pro-blemi cardiorespiratori fino a problemi di diabete, consente di monitorare

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una persona che normalmente subisce una serie di ricoveri in pronto soc-corso quando i propri parametri variano improvvisamente, piuttosto chequando ha degli stati di ansietà, di preoccupazione, un sistema che con-sente un monitoraggio a casa, non necessariamente assistito, dipende dallecondizioni del paziente perché io ho visto situazioni dove di fianco allapersona che viene monitorata a casa c’è un’infermiera o comunque ci sonodei parenti, rispetto al fatto di una persona che abbia un diabete partico-larmente aggressivo che faccia dei controlli a casa la mattina prima diuscire, durante la pausa pranzo se torna a casa o la sera quando torna. Sela sera i parametri non sono ritenuti quelli che vengono ritenuti, in un certorange di confidenza, sicuri, immediatamente si mette in contatto con il me-dico, gli vengono prescritti una variazione dei medicinali, del dosaggiopiuttosto che viene inviato un medico a casa per fare dei controlli. Questodovrebbe determinare nelle nostre aspettative una diminuzione dei costi digestione del pronto soccorso per quelli che sono dei ricoveri che spessosono soltanto dovuti a un'emergenza non reale, ma percepita dalla per-sona, piuttosto che un miglioramento della qualità della vita di una personache frequenta di meno il pronto soccorso e rimane più tempo possibile acasa. Sino a delle piccole sperimentazioni che in questo momento hannouna valenza tecnologica ma anche industriale potenzialmente, come quellafatta al parco regionale della Mandria dove abbiamo installato, in un’areadel parco, dei sensori che rilevano il fumo o l’aumento di temperatura o unpossibile incendio, sensori che sono degli oggettini che possono connet-tersi a un oggetto vicino così hanno una rete mesh, per cui io ho un ogget-tino che rileva su un albero per cui se succede qualcosa, se rileva qualcosache non va, questo oggettino comunica con l’oggettino più vicino e da og-gettino a oggettino questa cosa si propaga fino a un gateway che mandaun allarme ai vigili del fuoco, piuttosto che ai responsabili del parco. La tec-nologia ci sta venendo incontro perché fino all’anno scorso, in realtà, lacreazione di reti mesh era l’unica soluzione possibile, per cui diffondere ca-pillarmente questi oggetti che tra di loro parlano, da qualche mese sono di-

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sponibili per esempio dei sensori che non solo ricevono dei sensori dal sa-tellite, ma possono inviare dei segnali al satellite per cui, l’ombrello di co-pertura che il satellite normalmente faceva in maniera broadcast, cioèmando un segnale tipo quello televisivo a delle antenne, a delle parabole,si sta rapidamente invertendo, andando a ridurre molto la dimensione deglioggetti che una volta dovevano essere molto grandi per trasmettere; gli og-getti stanno diventando oggetti piccoli che posso mettere su un’automobile,che posso mettere su un albero, che mi posso portare nella tasca di unagiacca se voglio essere io a trasmettere qualcosa. Per esempio c’è questoesempio della telemedicina marittima per cui, su una grande nave da cro-ciera, la sala operatoria è in collegamento con un ospedale che è molto piùattrezzato; per cui su una nave da crociera ci sono migliaia di persone,persone che possono essere anziane o malate, in realtà io non posso averesulla nave da crociera tutte le specialità possibili, posso avere una sala ope-ratoria, posso avere una sala di emergenza, comunque tecnologicamentedotata, se ho bisogno del teleconsulto, se ho bisogno di venire a contattocon altre specialità che non sono presenti, lo posso fare grazie alla tecno-logia satellitare, anche con una qualità della trasmissione delle immaginimolto alta, perché posso fare vedere fisicamente cosa ho trovato dentro unpaziente a un chirurgo più esperto che mi consiglia come proseguire nel-l’intervento. Fino a monitoraggi per esempio di un’area vulcanica, per cuidisseminare sensoristica su un’area vulcanica per potere inviare in conti-nuazione dati e potere allarmare la popolazione molto prima di quandopossa verificarsi un evento in qualche modo pericoloso. Tutta l’area che se-condo me è di grande interesse e di grande sviluppo è quella che generi-camente viene definita del Green It; c’è anche un aspetto economico moltoimportante, siamo in un periodo di crisi economica non indifferente e que-sti nuovi servizi generano non soltanto la necessità di qualcuno che crei ilservizio, ma anche una produzione industriale di sensori; questi sensori sistanno riducendo come dimensione e come costi e di conseguenza è moltoprobabile che possa nascere un’industria altamente tecnologica, magari in

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Europa, inizialmente anche di produzione, poi soltanto di progettazioneperché poi la produzione tenderà a migrare verso paesi dove il costo dellavoro è più basso, dove le condizioni di lavoro sono diverse dalle nostre,però si tratta di oggetti che hanno un forte carattere innovativo dove la com-ponente di studio, di prototipazione ecc. è molto importante. Dicevo, tuttala parte del Green It, a mio avviso, è una parte che avrà un grossissimo svi-luppo sulle sue diverse declinazioni; qualcuno parla di Green It soltantocome controlliamo qual è il consumo e qual è l’impatto sull’ambiente di uncalcolatore, di un pc, di un server ecc. per cui quanto impatta sull’ambienteil fatto di costruire un pc, quali sono i materiali utilizzati, qual è il ciclo diproduzione, quanto consuma e quanto impatta nella sua vita, cioè quantaenergia elettrica consuma ecc, e poi lo smaltimento dell’oggetto quanto im-patterà in futuro. A me piace l’idea un pochettino più larga, cioè questi og-getti consumano e producono anche loro un impatto sull’ambiente, peròpossono essere invece utilizzati per avere la consapevolezza di quanto siconsuma, cioè io posso mettere un sistema di sensore in un ambiente peravere consapevolezza di quanto sto consumando. Una volta che ho capitoquanto sto consumando posso iniziare a progettare un sistema che mi con-sumi di meno, cioè monitorare: è proprio necessario accendere l’aria con-dizionata alle sette del mattino in una banca in centro a Torino, quando lanotte c’è stato un temporale che ha portato la temperatura a 17 gradi? Pro-babilmente avendo un controllo remoto su questa cosa con della sensoristicae con un sistema di gestione automatico io magari riesco a decidere chequella mattina l’aria condizionata non la utilizzo; stessa cosa per il caldo,stessa cosa per la luce, i tre fattori che in questo momento impattano mag-giormente. E questo è l’aspetto che può essere business per l’impresa, cioèmiglioro il mio consumo energetico, etico per la pubblica amministrazioneche comincia a dire consumo di meno, gestisco meglio l’energia e di con-seguenza ho un impatto migliore per l’ambiente. Poi c’è tutta l’area del con-trollo dell’ambiente. In questo momento penso che a Torino ci siano 5-6-7centraline che rilevano gli agenti inquinanti; sono centraline molto costose

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e sono probabilmente localizzate in punti che mi danno informazioni dia-metralmente diverse. Io lavoro in corso Regina, Rondò della forca, se unomette una centralina lì probabilmente risulta che Torino è la città più inqui-nata del mondo, perché quel rondò è un ingorgo continuo. Se metto lastessa centralina al Valentino, piuttosto che al castello di Rivoli probabil-mente viene fuori che Torino è un paradiso. L’idea è quella di distribuiredegli oggetti che hanno una precisione molto minore, un costo industrialebassissimo, che possono connettersi in continuazione con delle reti wire-less, piuttosto che con una rete cellulare che mi danno una mappatura com-pleta di quella che è la rilevazione delle emissioni. Da questo punto di vistala statistica ci può venire incontro perché, è vero che hanno una tolleranza,un errore molto maggiore, ma statisticamente alla fine ho lo stesso risultato,avendo una valutazione di quella che è l’emissione, la presenza di agentiinquinanti su un territorio vasto. Banalizzo: si potrebbero dare degli oggettidal costo di dieci euro a tutti gli studenti piemontesi, una volta gli studentivanno in giro con un gadget, con un marchio Regione Piemonte, piuttostoche istruzione ecc. questi oggetti potrebbero darci mediamente delle rile-vazioni sullo stato dell’ambiente. Queste cose non le sto dicendo io, ci sonocentri di ricerca che stanno lavorando su questo per miniaturizzare gli og-getti, per renderli compatibili dal punto di vista economico, per renderli con-nettibili usando le diverse reti a disposizione quella satellitare, quella dellatelefonia mobile, quella wireless ecc. Cosa stiamo facendo per incentivarequeste cose? Per esempio, una misura sulla quale abbiamo operato è la mi-sura 1.3.1 sez. a e b e 1.3.2 del FESR. Misure rivolte alle PMI piemontesi;abbiamo chiesto che venissero presentati progetti di Green It, progetti chevanno in questa direzione e siamo in fase di valutazione e devo dire che leimprese piemontesi hanno dato una risposta che va ben al di là di quelleche erano le nostre possibili ottimistiche previsioni; le PMI piemontesi hannoin pancia ottimi progetti, hanno in pancia ottime idee, non è vero che sof-frono di un gap rispetto all’Europa o rispetto agli Stati Uniti, avevano pro-babilmente bisogno solo di un cofinanziamento pubblico per poter

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trasformare quelle che sono buone idee in qualcosa che possa rapidamenteessere disponibile sul mercato.Come promesso non ho parlato di telecamere, non ho parlato di video sor-veglianza perché ci sono persone molto più esperte di me in questo settore.Grazie.

Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie al dottor Moriondo.Allora, sentiamo la parte assistenziale, con la relazione del dottor Di Giacomo.

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Sergio Di GiacomoDirigente del Settore Programmazione Socio-Assistenziale, integrazionesocio-sanitaria e rapporti con gli enti gestori istituzionali della Regione Pie-monte

Sicurezza domestica di soggetti fragili

Buonasera a tutti, anche io mi associo ai ringraziamenti agli organizzatoridel convegno. Mi inserisco nel discorso del collega Moriondo che ha deli-neato il quadro del servizio regionale in generale nel quale si innesta que-sto progetto di monitoraggio telematico di soggetti fragili. Come detto, ilprogetto rientra nella strategia di riduzione del divario digitale e si proponel’obiettivo di mitigare gli effetti della dispersione territoriale e geografica e dimigliorare la fruibilità dei servizi per i cittadini. Non mi soffermo, perché diquesto ha già parlato il dottor Moriondo.In particolare, il servizio si propone di sperimentare, in collaborazione congli enti gestori dei servizi socio assistenziali, e stiamo parlando in generaledi consorzi di comuni che in Piemonte sono i gestori dei servizi socio assi-stenziali, nuove tecnologie a supporto dei servizi sociali per i soggetti fragili.La cosa su cui mi interessa porre l’attenzione è la collaborazione istituzio-nale che si è creata su questa iniziativa. Ci siamo infatti mossi in un campoche non è del tutto vergine, in cui all’interno dei servizi socio assistenzialiesistono e si sono sviluppate altre forme di telesoccorso e di monitoraggio;molti enti, nella propria autonomia, sono ricorsi a società che fornisconoquesto servizio. E in questo senso va sottolineato come la collaborazionecon questi enti sia stata particolarmente proficua; infatti pur avendo, comedetto, già attuato interventi e iniziative simili, questi enti si sono resi dispo-nibili a sperimentare questo servizio che potrebbe, in una fase successiva,affiancarsi o addirittura subentrare, in un progetto di rete generale sul terri-torio regionale, ai servizi già esistenti.Va notata un’altra particolarità positiva del servizio; la Regione ha anch’essa

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già sviluppato altri due progetti di monitoraggio e telesoccorso digitale, unoa favore della popolazione non vedente o ipovedente e l’altro a favoredella popolazione ultrasessantacinquenne, servizi che si svolgono attraversoi telefonini e quindi a richiesta dell’utente. Nel primo caso si può attivare,attraverso la sim-card del telefonino, un servizio di accompagnamento del-l’ipovedente: se la persona ipovedente o addirittura non vedente si trova insituazioni di disagio o di imbarazzo perché non sa di preciso dove si trovafisicamente o non sa come raggiungere la propria meta, cliccando sul te-lefonino può essere informato della sua posizione e può essere aiutato sultragitto. Nel secondo caso gli anziani non autosufficienti ultasessantacin-quenni possono richiedere direttamente soccorso. Però questi sono progettia richiesta dell’utente. Nel progetto che presentiamo credo che la novità,l’innovazione, sia quella che si offre un servizio generale e comune a tuttala popolazione piemontese attraverso un sistema a rete più complessivo enon a domanda. Quindi questo progetto si propone di garantire una mag-giore diffusione dei servizi sul territorio, valutare l’utilità, la fruibilità, la so-stenibilità economica di un modello a rete con infrastrutture centrali, di cuivedremo l’architettura, ed esercitare una governance in termini di coordi-namento e supervisione da parte dell’amministrazione regionale. Gli attoricoinvolti in questo progetto sono quindi la Regione Piemonte come finan-ziatore e interlocutore istituzionale degli altri enti istituzionali, gli enti gestoriche come detto sono perlopiù consorzi di comuni, beneficiari di questa at-tività e ne sono i partner, il fornitore del servizio che è un raggruppamentotemporaneo di imprese, di cui fa parte Telecom, Consoft Sistemi S.p.A.,Prima Electronics S.p.A., e il CSI Piemonte che è stato il responsabile cheha sottoscritto il contratto con questo raggruppamento temporaneo di im-prese e fornitore del servizio.Il servizio di monitoraggio comprende quindi per ogni utente, e poi vedremocome sono stati individuati, un’attività, una funzionalità di telesoccorso, ditelemonitoraggio e di audio video assistenza. Il servizio prevede tutte e trequeste funzionalità, ma potrebbero esserne attivate soltanto alcune a ri-

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chiesta dell’utente o dell’ente gestore. Per telesoccorso noi intendiamo un si-stema che gestisce le richieste di aiuto inviate dai soggetti utilizzatori del ser-vizio, ad esempio utenti anziani, la verifica immediata del tipo di allarmee il relativo inoltro della richiesta ai referenti indicati nella mappa di soc-corso, la tracciatura e il monitoraggio dell’intervento, la registrazione del-l’esito degli interventi attivati ed effettuati nel sistema di gestione dei servizi.Si vede, nello schema allegato, come materialmente si sviluppa questo te-lesoccorso. Per telemonitoraggio si intende invece un sistema che garanti-sce il controllo diretto dell’utente all’interno della propria abitazione, con larilevazione di alcuni parametri fisici e l’invio conseguente di una segnala-zione di allarme, ad esempio a seguito di caduta dell’utente ove si rilevassemancanza di movimenti da parte dell’utente.All’utente viene applicato un orologio tarato con parametri che verificano ilmodificarsi delle condizioni ambientali. Il servizio di audio-video assistenzasarà un sistema in grado di garantire comunicazioni audio-video tra gli ope-ratori del centro servizi e gli utenti finali, per le attività che dovranno essereconcordate tra i consorzi socio-assistenziali e il fornitore del servizio, perconsentire una comunicazione audio-video tra gli operatori e gli assistiti,per verificare il bisogno di contatto, di compagnia, per attivare colloqui ealtri servizi di differente natura a seconda delle necessità riscontrate (Fig.1).L’architettura del sistema risulta strutturata su tre diversi livelli: livello dome-stico, cioè quello che tutti i dispositivi vengono installati direttamente a casadell’utente. Il livello di trasporto: cioè i segnali che dal livello domestico ven-gono trasmessi al centro dei servizi e il livello di gestione rappresentatodalla struttura dedicata all’assistenza e al soccorso dei soggetti fragili, cioècoloro che dovranno poi sviluppare gli interventi a seguito della segnala-zione di un’anomalia, ovvero di una necessità. Questo è a grandi linee ilservizio; quindi avremo una stazione base collegata, in genere, tramiteadsl, in casa dell’utente che riceve i segnali o dell’orologio digitale oppureviene collegato ad altri sensori magari per l’allarme del gas o via dicendo;il sistema di audio-video assistenza elabora i dati e li trasmette al centro dei

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servizi. In casa dell’utente avremo questo dispositivo indossabile integratodenominato care watch, che è una sorta di orologio, che rileva una molte-plicità di parametri e l’attivazione volontaria di allarmi. Uno dei problemi af-frontato e già risolto in questa fase sperimentale è la taratura di questiparametri, la definizione cioè del livello di finezza del parametro per evi-tare che dia segnalazioni di allarme eccessive oppure inadeguate. Ab-biamo poi una stazione base che dialoga con l’orologio che si installasempre nell’abitazione dell’utente e la terminazione adsl per poterli colle-gare. Il care watch si presenta come un normale orologio analogico con untasto di allarme di colore rosso, messo a sinistra, con un led bicolore per for-nire segnalazioni sullo stato di allarme, un pescaluce che rileva la lumino-sità dell’ambiente, due placche metalliche per il prelievo del segnaledell’ecocardiogramma e la corona per la regolazione dell’ora. Disponequindi di un segnalatore acustico per fornire indicazioni sul completamentodi un’azione richiesta o spontanea, di un sensore di slacciamento da polsoper rilevare se l’orologio è indossato o meno. La stazione base riceve i pa-rametri rilevati dall’orologio, li registra, effettua l’elaborazione per indivi-duare possibili situazioni di allarme e trasmette al centro dei servizi gli

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allarmi volontari, perché l’utente può direttamente, cliccando sul tastinorosso, attivare i servizi, o automatici all’insorgere di differenze sui parame-tri che sono stati prestabiliti. Al proprio interno ha sensori di temperatura, umi-dità, luminosità, integra un sistema di ascolto ambientale vivavoce per lagestione vocale delle emergenze, il sistema audio-video per poter comuni-care direttamente con l’utente ed un ulteriore pulsante di emergenza, panicbutton, per attivare direttamente dalla stazione base una chiamata di emer-genza. Questo è il modello organizzativo che prevede il progetto; l’utente,assistito tramite i parametri o direttamente cliccando sull’orologio, attiva ilcentro servizi, il quale a seconda della decodificazione della chiamata edei parametri che sono stati inseriti, verifica qual è l’intervento che può es-sere attivato, quindi la chiamata al 118 o ad altri servizi, comunica la stessaemergenza all’ente gestore per gli interventi di propria competenza; gesti-sce direttamente poi un’attività di dataweb con l’ente gestore per la ge-stione dei dati storici su tutti gli utenti per potere elaborare i dati sudeterminati parametri e, in parallelo col servizio web, il numero verde conl’ente gestore per la conoscenza dei parametri immediati dell’utente (FIG.2). Il centro servizi è quello che, come abbiamo visto prima, in qualchemodo distribuisce le chiamate; è basato su una centrale operativa dislocatapresso l’ospedale San Raffaele di Milano che è presidiata in modalità 24ore su 24 per tutto l’anno da personale specializzato e dedicato esclusiva-mente alla gestione del servizio di telesoccorso. Il software di gestione con-sente automaticamente, alla ricezione della chiamata d’allarme, ladecodifica dei dati dell’allarme ricevuto, quindi di verificare il tipo di al-larme, la validazione dei dati con la registrazione di eventuali anomalie diricezione, il salvataggio delle informazioni, la notifica delle attribuzioni dicompetenze d’allarme, il modulo operativo che per ogni utente è stato sta-bilito e la localizzazione della gestione dell’allarme. Come vi dicevo, oltrealla trasmissione diretta per l’assistenza, abbiamo previsto un’interfacciaweb tra il centro dei servizi e gli enti gestori per l’accesso alle informazionie, parallelamente, un numero verde che rende accessibile all’ente gestore

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tutte le informazioni relative all’erogazione del singolo servizio.Come funziona il telesoccorso o il telemonitoraggio? A seguito della pres-sione del panic button o di un rilevamento invece di caduta di mobilità o diguasto sui parametri che sono stati predeterminati sul care watch, viene in-viato al centro dei servizi un allarme corredato da tutte le informazioni attead identificare la tipologia di fenomeno e la presunta gravità; il software ap-plicativo decodifica l’utente, quindi lo individua tramite il codice che gliverrà assegnato, visualizza immediatamente sul video dell’operatore il co-dice, il nome, il cognome dell’utente, il dispositivo e la tipologia di allarme;viene attivata una comunicazione con l’assistito tramite il vivavoce per veri-ficare direttamente qual è il livello di urgenza e direttamente la centrale ope-rativa dà il via allo specifico protocollo operativo che è stato definitodall’ente gestore per ogni singolo utente, perché chiaramente non tutti gliutenti hanno le stesse necessità e quindi viene prestabilito un protocollo ope-rativo specifico per singolo utente. Se per caso non ci fosse la linea tradi-zionale attiva, si attiva una rete mobile con il GSM.Questo è il quadro finale sull’architettura del servizio, quindi la pressione sulsegnale acustico, sul panic button, sull’orologio, parte la chiamata auto-

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matica alla centrale operativa la quale riconosce l’utente, lo contatta diret-tamente in vivavoce, dall’analisi del problema si può verificare che è unproblema non rilevante, magari una crisi di panico o un errore, ovvero si ve-rifica se il problema è lieve ed è sufficiente attivare la rete parentale, ovverose il problema è grave ed occorre attivare tutti i mezzi di soccorso stabilitidal protocollo per quel tipo di utente. Si può poi andare sulla verifica del-l’attuazione dell’intervento con una successiva telefonata, con un successivomonitoraggio e poi si chiude l’intervento (Fig.3). Vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro un buon proseguimento dei lavori.

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di coordinamento

Grazie al dottor Di Giacomo. Ci resta l’ultimo intervento, quello del collegaMilone. Però credo che siano importanti le cose che si sono dette fin qui,perché - come mi stava ricordando lo stesso Milone - tutto quanto qui illu-strato, compreso quello di cui parlerà lui, costa alla Regione Piemonte 700milioni di euro. Quindi non stiamo parlando di noccioline. Il problema ditutta la vicenda è che queste cose non sono conosciute; per certi versi nonsono conosciute all’interno dell’amministrazione regionale e tanto meno al-l’esterno.Però su questa cosa dovrebbe essere fatta un po’ di chiarezza. Ricordo aicolleghi, e ricordo ai pochi astanti ancora presenti, che sul nostro sito In-ternet, dove è riportata la banca-dati degli investimenti fatti dalla RegionePiemonte in termini di sicurezza, ma riconducibili solo alla tematica della si-curezza delle persone, quindi, ad esempio non la sicurezza alimentare,non la sicurezza del lavoro, con un lavoro certosino il collega dottor Ma-landrino sta cercando di fare una mappatura. La mappatura ha già portatoa un bel po’ di individuazione di dati, perché magari i vari assessorati fannodegli interventi sul settore della sicurezza che nessuno conosce, che nes-suno sa. Coglierei l’occasione intanto per dire ai colleghi: passateci i dati;credo che sia un elemento di utilità per tutti, quindi se ci convinciamo almenoi pochi presenti, i cinque lettori manzoniani, forse almeno teniamo in piediquesta banca-dati. Perché vorrei dire: non tanto tempo fa, in Consiglio Re-gionale, è scoppiato un caso tra i consiglieri regionali che, quando hannoletto i dati da noi elaborati, che sulla sicurezza erano stati investiti 22 mi-lioni di euro, non realizzavano assolutamente come ciò fosse possibile. Do-podiché, quando gli è stato spiegato che cosa voleva dire, si sono ricreduti.Se i dati non vengono raccolti e scorporati sembrerebbe che gli investimenti

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in termini di sicurezza della Regione Piemonte siano stati solo i quattro mi-lioni della L.R. 23/2007 e i cinque milioni sulla legge 6 del 2004. La re-altà non è così; dai dati che è riuscito a recuperare il dottor Malandrino,abbiamo visto che la somma ammonta mediamente sui venti milioni al-l’anno. Allora è una cifra importante.Il collega Dario Milone ci racconta questo aspetto della domotica che èormai diffusa, 250.000 persone sono collegate ed è un’iniziativa che rien-tra nella banca-dati.

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Dario MiloneFunzionario del Settore Programmazione e Attuazione Interventi di EdiliziaSociale della Regione Piemonte

L’esperienza piemontese nella riqualificazione urbana sostenibile

Vi voglio parlare dell’esperienza denominata “Contratti di quartiere II”; sitratta di 19 programmi di riqualificazione urbana sostenibile presenti nellemaggiori città piemontesi. Questi programmi stanno attivando (siamo al40% dello stato di avanzamento dei lavori), circa 694 milioni di euro, in 19programmi, distribuiti per il 49% sulla “residenza”, 11% “terziario”, 9% “ser-vizi”, 13% “urbanizzazioni primarie” e 18% “urbanizzazioni secondarie”.I finanziamenti regionali sono di circa 41 milioni di euro, 76 milioni sonostatali e 115 milioni di € sono l’apporto dei 17 comuni partecipanti. Ben375 milioni di € (circa il 55%), provengono da “risorse private”.Quali sono le dorsali sulle quali si muovono questi programmi? (su questevi invito a insinuare le vostre curiosità sulla base di quanto oggi si è dettoin materia di sicurezza). La caratteristica di fondo di questi programmi è laSOSTENIBILITA’, ambientale, economica e sociale, finanziata attraverso unmeccanismo concorrenziale; noi misuriamo la “sostenibilità” di ogni pro-gramma e ne proponiamo il finanziamento in rapporto alla performanceambientale, sociale ed economica che questo esprime. In questo modo met-tiamo in concorrenza tutti gli studi professionali, pubblici e privati, i quali sicontendono l’intercettazione di maggiori risorse in termini di “sostenibilità”.Questo meccanismo è stato anche applicato sotto l’aspetto “sostenibilitàeconomica”, nel senso che, quanto più il Comune apportava nel pro-gramma risorse proprie o private (operatori privati partecipanti al progettounitario di recupero dell’ambito territoriale) tanto più finanziamento regionaleintercettava.Relativamente all’aspetto della “sostenibilità sociale”, noi abbiamo speri-mentato in precedenti programmi che i tempi di analisi del territorio erano

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spesso “incompatibili” con i tempi di realizzazione delle opere individuate;spesso le amministrazioni arrivavano a concludere l’opera (cinque, setteanni dopo la localizzazione del finanziamento), per scoprire che il pro-blema/criticità era nel frattempo stato superato. A questo punto abbiamoprovato ad invertire il meccanismo; raccogliendo i suggerimenti provenientidal mondo accademico, dalle esperienze precedentemente maturate edalla letteratura in materia, siamo andati a stabilire a monte quali fosserole “criticità sociali” prevalenti nei territori urbani caratterizzati dalla presenzadi case popolari, individuando quindi “punteggi di valutazione”.Quanto più erano marcate le criticità sul territorio tanto più venivano finan-ziati i programmi.Alle amministrazioni comunali abbiamo chiesto altresì di assecondare que-ste criticità con opere di urbanizzazione che rispondessero direttamente algrado delle criticità stesse.Quindi, non più rispondere al fabbisogno sociale prendendo a riferimentounicamente gli indirizzi del Piano Regolatore, ma (come nel caso del pro-gramma di recupero del quartiere di via Ghedini in Torino, ad esempio,dove dall’analisi del territorio è emerso che le donne maltrattate erano in mi-sura considerevole), finanziando una specifica opera, ovvero un centro perle donne maltrattate.Questo anche per attenerci allo spirito del Titolo V della Costituzione, ilquale, nella parte relativa alla “sussidiarietà orizzontale”, ci induce, iocredo, alla “progettazione partecipata”, ovvero a far sì che i residenti in-tervengano e siano protagonisti dell’individuazione dei problemi d’ambitoed indichino le risposte appropriate ai loro bisogni.Da questa analisi del territorio emergono ovviamente tutti quegli aspetti dicui questa mattina si è parlato: la mancanza di negozi, le attività econo-miche espulse (che poi fanno morire, in parte, un quartiere), gli improvvisimutamenti logistici di servizi (dalla fermata del tram… all’autorizzazione perun centro commerciale), con conseguenti e significative variazioni del bari-centro economico del quartiere. Questi improvvisi e repentini mutamenti di

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flussi talvolta gettano nel degrado alcune aree e ne fanno emergere altre,non sempre nel modo ordinato che auspichiamo.Sotto il profilo delle criticità sociali e quindi della SICUREZZA, tutto ciòemerge; la gente lo denuncia… e noi con questi programmi di riqualifica-zione abbiamo previsto ed indirizzato l’attuazione degli interventi verso ri-sposte coerenti.Per quanto riguarda la “Sostenibilità Ambientale” (e SICUREZZA), abbiamoapplicato quello che è conosciuto come “Protocollo ITACA”. Il protocolloITACA è un sistema di valutazione della sostenibilità ambientale di un edi-ficio, derivato dal Green Building Challenge (Il GBC è un network mon-diale di 24 nazioni a cui la Regione ha partecipato con Environment ParkS.P.A.. Il GBC/ISBE ha creato un sofisticato modello di valutazione - dal-l’energia necessaria per costruire un mattone fino alla banale dispersione diun serramento). La Regione Piemonte ha concorso, nell’ambito di ITACA(Gruppo Interregionale), alla semplificazione della procedura portandola adodici macrosistemi (16 con la “domotica”) e sperimentandola su una largascala; ogni rigo del foglio Excel individua un sottosistema dell’edificio, ov-vero “sistema energia”, “sistema acque”, “sistema emissioni CO2”, “sistemariciclaggio materiali”, “sistema raccolta rifiuti”, etc. (sistema ambientale e fe-nomeni energivori) (Fig.1).In fondo alla scheda è inserita l’area di valutazione “Elementi di domotica”,che ha lo scopo di favorire il cablaggio degli edifici, quale condizione fon-damentale per la fornitura di eventuali servizi all’utenza; c’è l’aspetto dellavideo sorveglianza, dell’antintrusione e infine della integrazione dei sistemi.Il professionista si attribuisce per ogni “rigo” (celle gialle) un punteggio, dauno a cinque, che esprime una “performance del sistema”, il cui valore è ri-scontrabile nel protocollo (zero è la norma di legge o “pratica corrente”. Es.l’acqua: non è la norma che ci fissa un consumo minimo ma è stata indivi-duata una quantità di consumo/persona come “pratica corrente”); più altaè la performance, più alto è il finanziamento pubblico assegnato.La concorrenza, in termini di “ecosostenibilità” nella realizzazione degli edi-

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fici assistiti da contributo pubblico ha fatto sì che i progetti “definitivi”, risa-lenti ormai al 2006, abbiano in molti casi espresso performance ambien-tali superiori a quelle stabilite dalle più stringenti norme entrate in vigore nel2007-2008.Nell’area “elementi di domotica”, rientra (principalmente) la gestione degliimpianti da remoto; questo, secondo diversi accademici, può esprimerefino a un +15% di risparmio energetico. Gli impianti gestibili “da remoto”di massima sono gli impianti “termici”, “ascensori”, “elettrici” e “idrici”.Ma noi abbiamo inteso, attraverso la promozione di tale gestione da remotodegli impianti, non solo rispondere al problema ambientale bensì anche aun (non trascurabile) problema sociale, in quanto le maggiori tensioni tra gliutenti, che riscontriamo in tutti i quartieri di edilizia residenziale pubblica, de-rivano prevalentemente da questi aspetti gestionali.Quindi, pro-quota, proponiamo anche “sicurezza”. Fughe di gas, perdite diacqua, fenomeni elettrici, insomma… tutto quello che è gestibile da remoto;eventualmente da parte di un “call center o struttura di servizio” che, perquanto ci riguarda, nell’edilizia residenziale pubblica “sovvenzionata”, po-trebbero essere le A.T.C (Agenzie Territoriali per la Casa, ex Istituti case po-polari. - In Piemonte l’inquilinato ATC è di circa 250.000 inquilini; solol’ATC di Torino gestisce circa 35.000 alloggi con un numero di inquilini dioltre tre volte i residenti della città di Asti. - Per rendere l’idea).Per quanto riguarda la video sorveglianza e sua percezione (e sottolineo suapercezione, che a volte è l’aspetto più importante), abbiamo previsto unpunteggio premiale (per default deve essere previsto il videocitofono); es.,un punto se si monitorizza l’androne, due se è monitorizzato anche l’ac-cesso carraio, tre se si monitorizza l’accesso box, cantine etc.. Abbiamoconstatato che nell’economia complessiva di un organismo abitativo laspesa è relativamente bassa e favorisce una percezione migliore della “si-curezza”. La scheda introduce inoltre il sistema della “antintrusione”, edeventualmente i badge, utilizzabili per il passaggio nella parti comuni, inmodo da lasciare traccia e quindi prevenire i costi di manutenzione che

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abitualmente i Comuni/gli operatori hanno nella gestione del patrimoniopubblico per le manomissioni e quant’altro.Ultimo aspetto è la Integrazione dei Sistemi (sistemi domotici e di comuni-cazione) e questo è un problema molto serio; voi sapete che esistono pro-blemi di privative industriali, che sono un ostacolo (su venti condomini dicase popolari abbiamo riscontrato, in un caso, diciassette protocolli diversi);qualsiasi società che posizioni l’impianto termico in un edificio, ovviamenteinstalla (se richiesto) il proprio hardware ed il proprio software e quandol’amministrazione pubblica (es. ATC Torino), si trova a dover monitorare35.000 alloggi da remoto, capite che l’operazione diventa difficile. Sistanno affermando, e noi appoggiamo queste iniziative, sistemi interfac-ciabili, ovvero tra di loro compatibili. Il nostro obiettivo sarebbe quello di fa-vorire il superamento della tradizionale portineria attraverso l’inserimento di“call center o società di servizi” (di cui parlavano i colleghi precedente-mente), che ricevendo tutti gli input dagli edifici del quartiere, dalle unità abi-tative, distribuiscano le “segnalazioni”; se serve l’infermiere, se serve ilcarabiniere, il pompiere o l’assistente sociale etc, in modo da favorire il ser-vizio richiesto razionalizzando il sistema nel suo complesso, non solo da unpunto di vista ambientale ma anche dal punto di vista sociale. Con questaprocedura (scadono i termini del nuovo bando il 14 Aprile 2009), preve-diamo l’attivazione di altri 50-60 milioni di euro di opere (Regione 7 ML €,Stato 24 ML €, Comuni 14% Stato/Regione). Le opere avranno questagrande valenza, un edificio fondamentalmente cablato, tecnicamente “strut-turato al piano”, (il doppino al pianerottolo), in modo che ogni familiare, cheabbia l’anziano, il disabile o in generale “la categoria debole” presentenelle case popolari, attraverso il posizionamento di sensori all’interno del-l’alloggio, possa all’occorrenza essere in grado di comandare da remoto,ad esempio, l’accensione della lavatrice, la chiusura dell’acqua, abbas-sare le tapparelle, spegnere la luce ecc.Vorremmo arrivare al “macrocomando”, dove con il banale uso della reteSkype, piuttosto che Yahoo o altri, le nostre categorie deboli possano con-

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dividere, a distanza, il salotto con i propri familiari e ricevere assistenza.Voi provate ad immaginare, nel nostro patrimonio di circa 250.000 inqui-lini, con le criticità che tutti conosciamo, se con un “macrocomando” sul te-levisore o sul PC questi riuscissero a condividere il proprio ambiente conaltri.Non ultimo risponderemmo alla “rete” in termini di domanda (quindi di bu-siness), andando a colmare questa incresciosa debolezza che il Piemonteha nel settore “Internet”.Si condizionerebbe quindi positivamente la convivenza, anche in termini disicurezza, favorendo, infine, costumi di vita innovativi.Vi ringrazio.

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Urbanistica e sicurezza Torino, 26 marzo 2009Atti del convegno

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Stefano BellezzaDirigente del Settore Polizia Locale e Sicurezza della Regione Piemonte

Intervento di chiusura dei lavori

Grazie al collega Milone.La giornata è stata lunga e credo fruttuosa per gli interventi, che sono statitutti molto preziosi ed apprezzati.Questo è un primo passo che noi abbiamo compiuto come Assessorato allaSicurezza. Continueremo su questi ragionamenti.Stamattina abbiamo avuto la conferma che quanto abbiamo chiesto – di farentrare nella proposta di legge di pianificazione territoriale – ci verrà con-cesso. Il passaggio successivo che noi faremo, anche alla luce di quello cheraccontava qui il collega Milone, sulla premialità del rispondere alle lineeguida verrà anche lì richiesta e quindi nel momento in cui da un lato riusci-remo ad avere le cartelle dell’UNI tradotte in italiano finalmente, se ab-biamo questa certificazione unificata e se riusciamo a introdurre anche unsistema di premialità su chi pur volontariamente aderisca a quel tipo di Ma-nuale, credo che questa sia già una risposta positiva che noi riusciamo adare sul territorio. Perché questo è uno degli elementi. L’altro elemento èquello che magari come Regione riuscissimo a lavorare di più a sistemaforse ci guadagniamo tutti e magari costerà anche meno. Però questo fa unpo’ parte delle abitudini, tanti anni fa c’era Jannacci che cantava la can-zone “quelli che lavorano in equipe” e che dopo un po’ non sanno nean-che più per quale ditta lavorano. Mi sembra la stessa cosa da noi.Detto questo chiudiamo qui l’incontro, ringrazio per la partecipazione le si-gnore e signori che non sono dipendenti regionali e ringrazio i colleghi re-gionali per averci aiutato a far riuscire la giornata.

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Organizzazione del convegno:Arch. Raffaele Madaro - Direzione Affari Istituzionali e AvvocaturaDott. Stefano Bellezza - Direzione Commercio, Sicurezza e Polizia LocaleDott. Alberto Malandrino - Direzione Commercio, Sicurezza e Polizia Locale

Segreteria organizzativa:Dott.ssa Myriam Berchialla - Assessorato alla Polizia Locale e Sicurezza

Collaborazione di: FISU - Forum Italiano Sicurezza UrbanaOrdine degli Architetti della Provincia di Torino