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Discernere l’oggi di Dio Ufficio Nazionale per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese Atti della 2 a Settimana nazionale di spiritualità e formazione missionaria Una Chiesa per il mondo Assisi, La Cittadella 25-30 agosto 2003

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Discernere

l’oggi di Dio

Ufficio Nazionaleper la CooperazioneMissionaria tra le Chiese

Atti della 2a Settimana nazionaledi spiritualità

e formazione missionaria

Una Chiesaper il mondo

Assisi, La Cittadella25-30 agosto 2003

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3 INDICE

IndiceNotiziario - Ufficio Nazionale Cooperazione Missionaria tra le Chiesen. 29 - Marzo 2004

Atti della IIa settimana nazionaledi spiritualità e formazione missionaria

DISCERNERE L’OGGI DI DIOUna Chiesa per il mondo

Assisi, La Cittadella, 25-30 agosto 2003

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5

Programma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7

SalutoMons. Luigi Bressan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 10

SalutoMons. Giuseppe Andreozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 12

Lectio DivinaDon Bruno Maggioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15

Itinerario spirituale in AssisiPadre Giancarlo Rosati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45

RELAZIONI

Il discernimento comunitarioper l’edificazione della comunità ecclesialeS. Ecc. Mons. Lorenzo Chiarinelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 56

La Chiesa. Casa e Scuola di ComunioneS. Ecc. Mons. Agostino Superbo . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 70

Essere Chiesa in un contesto di minorità:AsiaPadre Giancarlo Politi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 86

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La Chiesa in Medio OrientePadre Elia Kurzum. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 96

Potenzialità e rischi che si incontranonell’annuncio del VangeloProf. Luca Dioatallevi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 102

La Chiesa per la Pace.A quarant’anni dalla Pacem in TerrisSuor Marcella Farina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119

Per una Chiesa tutta ministerialePadre Giampietro Brunet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 170

Una Chiesa senza confiniDon Gianni Colzani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 182

TAVOLA ROTONDA

Quando irruppe il futuro:il Concilio Vaticano II ci interpellaS. E. Mons. Luigi Bettazzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 206Don Lenzo Lenzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 210

TESTIMONIANZA

Il mio impegno per la pacePadre Alex Zanotelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 224

4 INDICE

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5 PRESENTAZIONE

Presentazione

Una delle preoccupazioni più costanti nel lavoro pastorale diquesti anni è ripetutamente segnalata in quella che potremo chia-mare “sfida formativa”.

Gli orientamenti pastorali del decennio in corso sono esplicitinell’avvertire che: “La condizione storica nella quale ci troviamo rac-comanda, anzi esige, una rigorosa scelta formativa dei cristiani” (CEI,Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Appendice, n. 3).

La pastorale missionaria, al pari di tutte le altre non solo nonintende sottrarsi a questo compito ma vuole contribuirvi con solle-citazioni proprie.

Non è infrequente che quella missionaria resti qualificata ne-gli stretti margini di una pastorale specializzata, finalizzata al so-stegno e alla diffusione di particolari celebrazioni ed iniziative.

Non sfugge invece agli operatori pastorali più attenti quantol’orizzonte del mondo si stia rivelando il più idoneo per riconosceree rispettare valori e proporzioni di problemi particolari.

La dimensione dell’universalità sta così perdendo il suo ca-rattere di astrazione e si caratterizza come luogo concreto di con-fronto e approfondimento della fede, contribuendo ad arricchire ilcammino delle nostre comunità con indicazioni di vita spirituale,pastorale e culturale.

L’Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra leChiese, pubblicando gli Atti della “Seconda settimana nazionale diformazione e spiritualità missionaria”, (Assisi, 25-30 agosto 2003)non solo intende mettere a disposizione di un pubblico più vastoquegli originali contributi di riflessione che emersero durante i la-vori della settimana ma si augura che, in un fecondo movimento acascata, quegli stessi contenuti possano ora servire a promuovereiniziative analoghe a livello regionale e diocesano.

Un cammino provvidenziale per la “conversione pastorale”attesa nelle comunità ecclesiali in Italia ma anche in preparazionedel prossimo Convegno Missionario Nazionale che, sotto il titolo“Comunione e corresponsabilità per la missione” si terrà a Monte-silvano di Pescara dal 27 al 30 settembre 2004.

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7 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

ProgrammaLUNEDÌ 25 AGOSTO

17.00 Preghiera inizialeS. E. Mons. LUIGI BRESSAN, della Commissione Episcopaleper l’Evangelizzazione dei Popoli e della Cooperazione tra leChiese

17.30 Relazione:IL DISCERNIMENTO COMUNITARIOPER L’EDIFICAZIONE DELLA COMUNITÀ ECCLESIALES. E. Mons. LORENZO CHIARINELLI, vescovo di ViterboDISCUSSIONE

21.00 Serata insieme

GIOVEDÌ 28 AGOSTO

08.30 LODI E LECTIO DIVINAMons. BRUNO MAGGIORINI, Biblista

09.30 ITINERARIO DI SPIRITUALITÀ IN ASSISIPadre GIANCARLO ROSATI, ofm

12.00 Celebrazione eucaristica (Basilica S. Francesco)

16.00 RelazioneLA CHIESA PER LA PACE:A 40 ANNI DALLA PACEM IN TERRISSr MARCELLA FARINA, fma, TeologaDIBATTITO

18.30 Vespro

21.30 TestimonianzaIL MIO IMPEGNO PER LA PACEPadre ALEX ZANOTELLI, Missionario Comboniano

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8 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

MARTEDÌ 26 AGOSTO

08.30 LODI E LECTIO DIVINAMons. BRUNO MAGGIORINI, Biblista

09.30 RelazioneLA CHIESA CASA E SCUOLA DI COMUNICAZIONES. E. Mons. AGOSTINO SUPERBO, Arcivescovo di Potenza,Muro Lucano - Marsico NuovoDIBATTITO

12.00 Celebrazione eucaristica (Chiesa di S. Pietro)S. E. Mons. LUIGI BRESSAN

16.00 Tavola RotondaQUANDO IRRUPPE IL FUTURO!IL CONCILIO VATICANO II CI INTERPELLAS. E. Mons. LUIGI BETTAZZI, Vescovo emerito di IvreaDon LENZO LENZI, docente di Storia Ecclesiastica

19.00 Vespri

21.30 Veglia

VENERDÌ 29 AGOSTO

08.30 LODI E LECTIO DIVINAMons. BRUNO MAGGIONI, Biblista

09.30 RelazionePER UNA CHIESA TUTTA MINISTERIALEPadre GIAMPIERO BRUNET, Segretario della CommissionePresbiteriale Italiana

11.00 Inizio laboratori

16.00 Laboratori

18.00 Celebrazione eucaristica (Basilica di Santa Chiara)S. E. Mons. ROBERTO FLAVIO CARRARO, Presidente dellaCommissione Episcopale per l’Evangelizzazione dei Popoli ela Cooperazione tra le Chiese

21.00 Serata in amicizia

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9 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

MERCOLEDÌ 27 AGOSTO

08.30 LODI E LECTIO DIVINAMons. BRUNO MAGGIONI, Biblista

09.30 Relazione/testimonianzaESSERE CHIESA IN CONTESTO DI MINORITÀ(particolare riferimento all’Asia)Padre GIANCARLO POLITI, Missionario del PIMEPadre ELIA KURZUM, Betharramita di NazarethDIBATTITO

11.30 RelazionePOTENZIALITÀ E RISCHI CHE SI INCONTRANONELL’ANNUNCIO DEL VANGELODott. LUCA DIOTALLEVI, sociologo

17.30 Gruppi di studio

18.30 Celebrazione eucaristica (Cattedrale S. Rufino)S. E. Mons. SERGIO GORETTI, Vescovo di Assisi - NoceraUmbra - Gualdo Tadino

21.00 Serata libera

SABATO 30 AGOSTO

08.00 Celebrazione eucaristica

09.00 RelazioneUNA CHIESA SENZA CONFINIDon GIANNI COLZANI, Teologo

11.00 Relazione dei laboratoriConclusioni della Settimana

12.30 Termine dei lavori

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Saluto

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Mons. LUIGI BRESSANarcivescovo di Trento e membro della Commissione Episcopaleper l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

Il mio più cordiale saluto e augurio, a nome anche della Com-missione Episcopale.

All’inizio del nostro convegno, ci lasciamo guidare dalle paro-le dell’apostolo Pietro che ci esorta a non lasciarci turbare dalle op-posizioni esistenti o prevedibili, ma a cercare la pace senza lasciar-ci vincere dalla violenza. E va ben oltre invitandoci a non lasciarcideterminare secondo l’agire degli altri; la nostra vita non può esse-re impostata come una reazione, passiva o attiva, ma dobbiamoavere un piano positivo, elevato da realizzare. Siamo chiamati cioèa portare una novità costantemente nel mondo, vivendo certo laparticolarità della nostra esperienza.

Gesù stesso l’aveva detto: “vi perseguiteranno credendo diservire il nome mio” (cfr. Lc 21,17). La logica pare ovvia, ma larealtà della vita è diversa. Ed è, questa, un’esperienza non soltantoper il nostro tempo, ne accenna appunto san Pietro in questo trattodi lettera, parlando della possibilità di soffrire proprio a causa dellagiustizia (cfr. 1Pt 3,14). Pensiamo anche, se vogliamo, all’esperien-za di Elia che abbandona il campo e vuole ritirarsi desiderando sol-tanto di morire. Egli dice infatti: «Ora basta, Signore! Prendi la miavita, perché io non sono migliore dei miei padri» (1Re 19,4). È anchel’esperienza di Geremia: «Me infelice madre mia, che mi hai partori-to oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese! Non ho preso pre-stiti, non ho prestato a nessuno eppure tutti mi maledicono» (Ger15,10). Abramo stesso lascia una condizione di benessere pur nonvedendo ancora l’apertura verso quella stabilità e quella discenden-za che pure gli erano state promesse (cfr. Gen 15,5). Perché avevalasciato tutto questo? Certamente il dubbio era nel suo cuore.Potremmo citare anche tanti altri esempi dalla storia sacra e anchedalla nostra storia personale. Non si tratta dunque di avere una vi-sione fuori della realtà, né di vivere in un ‘buonismo’ extraterrestrené nell’illusione che la lotta per il regno di Dio sia facile. Il Signoreci ha ricordato che possiamo essere insultati a causa sua, ma diceanche: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi èil regno dei cieli» (Mt 5,10).

Il papa proprio il 17 agosto, dieci giorni fa, diceva che il con-tinente europeo che da due millenni ascolta il Vangelo del regnoinaugurato da Cristo non può non lasciarsi interpellare da questanovità. Non si può negare che in questi tempi l’Europa attraversiuna crisi di valori ed è importante che recuperi la sua vera identità.

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Nella recente esortazione apostolica Ecclesia in Europa il papa an-cora affermava: «Il Vangelo della speranza, consegnato alla Chiesa eda lei assimilato, chiede di essere ogni giorno annunciato e testimo-niato» (n. 45). E ancora: «La sfida per la Chiesa nell’Europa di oggiconsiste nell’aiutare l’uomo contemporaneo a sperimentare l’amore diDio Padre e di Cristo nello Spirito Santo... Dio ci ha amati perprimo...» (n. 84). Prosegue il papa: «alla Chiesa intera è chiesto di ri-dare speranza ai poveri» (n. 86), «immettere nelle pieghe di tantidrammi umani la luce della Parola di Dio» (n. 93). «L’Europa nonpuò ripiegarsi su se stessa» (n. 111); «le Chiese di altri continentiguardano ancora le Chiese in Europa e attendono che esse continuinoad adempiere alla loro vocazione missionaria. I cristiani in Europanon possono venir meno alla loro storia» (n. 64).

Ma non possiamo avere paura, ci dice san Pietro. È Cristo,che è passato attraverso la morte, ma è risorto ed è vivo, la fontedella nostra speranza. Crediamo, come dice san Pietro, che «gliocchi del Signore sono sopra i giusti» (1Pt 3,12), su coloro che cer-cano dunque di partecipare al suo amore e di far partecipi gli altri.

Con queste parole di Pietro iniziamo il nostro convegno, at-tenti a cogliere nella Chiesa e nel mondo i segni di speranza e dipace.

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Saluto

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Mons. GIUSEPPE ANDREOZZI - Direttore Nazionale

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

Eccellenze reverendissime,Carissimi fratelli e sorelle,

l’Ufficio nazionale per la cooperazione missionaria tra leChiese ha riproposto con fiducia questa seconda edizione dellaSettimana Nazionale di formazione e spiritualità missionaria dopoche la felice esperienza dello scorso anno, e la ripetuta richiesta dimolti che ebbero a parteciparvi, hanno ampiamente confermato unatra le sue motivazioni più fondamentali: ripensare la formazionemissionaria come spazio di forte e qualificata dimensione culturale,sul piano teologico, antropologico e storico sociale.

Con vera riconoscenza porgo dunque a ciascuno di voi il piùcordiale benvenuto. La vostra presenza, numerosa ma anche signi-ficativa per la vasta rappresentanza di quasi tutte le regioni d’Italia,dice quanto sia ancora opportuno l’invito formulato negliOrientamenti pastorali dei vescovi italiani per il decennio in corso,e prima ancora dalla Novo Millennio Ineunte, ad incentivare nellecomunità ecclesiali l’impegno di formazione.

Il rinnovamento del tessuto pastorale delle nostre comunità,lungamente invocato e sempre più universalmente atteso, tanto piùmostrerà segni di concreta attuazione quanto maggiormente tutti glioperatori pastorali sapranno qualificarsi dal punto di vista missio-nario. Esperienze come quella che sta per iniziare richiamano allenostre comunità questa urgenza e non manca la fiducia che possa-no facilitarne la realizzazione, soprattutto se ciascuno di voi potràcontribuire, nei modi che gli saranno possibili, alla ricaduta localedei tanti contenuti che emergeranno dalle relazioni, dai dibattiti edalle testimonianze di questi giorni – insieme al significativo itine-rario di fede che potremo vivere sui luoghi di san Francesco e SantaChiara!

Nel preparare il programma della Settimana quest’anno si èvoluto mettere in risalto quel richiamo al “mondo che cambia” sulcui sfondo i vescovi hanno sollecitato le nostre Chiese a riscoprire illoro più fondamentale compito, quello di annunciare il Vangelo. Eperò se in questi primi anni di attuazione degli orientamenti decen-nali si è sentita giustamente ribadire più spesso l’urgenza di“Comunicare il Vangelo”, sembra che quella del “mondo che cam-bia” rimanga una dimensione in secondo piano, quando quasi nondimenticata.

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Se la percezione è vera, se ne possono comprendere facil-mente le possibili cause, legate soprattutto alle difficoltà a capire glielementi più determinanti dei cambiamenti in atto all’estrema acce-lerazione con cui questi stessi cambiamenti si susseguono. D’altraparte, in un tempo in cui la comunità ecclesiale sperimenta ineditedifficoltà in ordine alla propria missionarietà, il forte richiamo a“comunicare il Vangelo” può facilmente apparire esaustivo.

Il tema di questa Settimana invece ha voluto intenzionalmen-te insistere sulla necessità di prestare la giusta attenzione alle tantenovità del nostro tempo, ponendoci in ascolto dei cambiamenti inatto invitandoci a “Discernere l’oggi di Dio” e riscoprendoci “Chiesaper il mondo”, come recitano titolo e sottotitolo di questo nostro in-contro.

Come vi sarete resi conto dal programma che vi è stato invia-to, per discernere l’oggi di Dio al centro del nostro lavoro abbiamoposto l’attualità di quell’evento dello Spirito che fu e continua ad es-sere il Concilio Vaticano II, “Quando irruppe il futuro!”, come ci èpiaciuto esprimerci. Allo stesso modo ci è parso opportuno valoriz-zare i 40 anni dalla “Pacem in Terris”, in momenti in cui l’univer-sale aspirazione alla pace appare una delle più significative espe-rienze di aggregazione tra popoli e persone diverse, ma quotidiana-mente mortificata da violenze gratuite ed inimmaginabili. Di certouna frontiera ineludibile, quella della pace, per chi vuole annuncia-re il perdono e la riconciliazione di Cristo.

I lavori di questi giorni però saranno scanditi anche dalla ri-proposta di quei punti fermi che in questi anni ha maturato il cam-mino delle nostre comunità: il discernimento comunitario per l’edi-ficazione della comunità ecclesiale, la Chiesa casa e scuola di co-munione, una Chiesa tutta ministeriale.

Il contributo specifico dell’esperienza missionaria ad gentessui temi richiamati sarà riproposto con alcune testimonianze chedaranno risalto all’“Essere Chiesa in contesto di minorità”, con par-ticolare riferimento quest’anno alla situazione della comunità eccle-siale in Asia, e alle “Potenzialità e rischi che si incontrano nell’an-nunciare il Vangelo”. Accanto a queste testimonianze saremo peròanche tutti noi a portare uno contributo più personale attraversospecifici Laboratori. La relazione teologica dell’ultimo giorno “UnaChiesa senza confini” farà da sintesi a tanti fecondi suggerimenti epotrà essere punto di rilancio di una rinnovata coscienza che quel-la missionaria non è un’attività in più da aggiungere alle tante fati-che delle nostre comunità, ma una risorsa che attende solo di esse-re maggiormente attinta e valorizzata.

So che tutti voi avete da tempo dedicato non poche delle vo-stre fatiche alla realizzazione di questi obiettivi. Se a volte avesse

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preso sopravvento la delusione o, peggio, avessimo incontrato inat-tese difficoltà, ricordiamoci del Vangelo di ieri, quando di fronte aquelle che diversi discepoli consideravano parole troppo dure,Pietro non poté non professare la propria fede di fronte a Gesù chechiedeva conto delle proprie scelte: “Signore da chi andremo, tusolo hai parole di vita eterna!”.

Una fiducia, quella di Pietro e di tutta la Chiesa, che ben co-nosce ogni missionario. Il Padre Mario Mantovani, missionariocomboniano nel Nord Est dell’Uganda dal 1957, considerando lecrescenti difficoltà e i rischi che la situazione concreta di quella re-gione comportava a lui come alla gente e alla Chiesa di cui si eraposto al servizio, tre mesi prima di venire assassinato lo scorso 14agosto alla venerabile età di 84 anni, scriveva: “Ho bandito la pa-rola pessimismo dal mio vocabolario!”. È con questo sereno abban-dono in Dio che è andato ad aggiungersi a tanti altri che hanno datola vita per il Vangelo, perché gli uomini ritrovassero in Cristo la lorodignità di figli di Dio.

È per questo che ogni mattina darà motivo e contenuto di pre-ghiera e di fede alle nostre giornate la lectio divina, mettendoci aconfronto con quella Parola che, a differenza delle tante che ascol-tiamo e purtroppo spesso anche diciamo, non lascia dietro di sé ilvuoto ma suscita desiderio di “Vita eterna”.

Siamo nella città di Francesco e di Chiara: in questi giorniavremo modo seguire anche un itinerario nella città di Assisi che cicondurrà alla riscoperta del richiamo di spiritualità di luoghi che vi-dero nascere e diffondersi quella radicalità evangelica che ancoraoggi suscita occasioni di incontro, dialogo, riconciliazione e pace.

Se a tutto questo sapremo aggiungere la ricchezza dell’atten-zione reciproca e del rapporto umano che in tanti momenti, ancheinformali, del nostro stare insieme ci chiedono di saper stare gli uniaccanto agli altri, arricchendoci della nostra reciprocità, tornando-cene alla nostra vita più ordinaria ci ricorderemo di questaSettimana non solo per l’intensità dei lavori, i ricchi contenuti dellerelazioni, il singolare itinerario spirituale, l’amichevole e gradevoleospitalità che questo centro della Pro Civitate Cristiana riserva, eneppure per l’attesa che possa finalmente smorzarsi la cappa dicaldo di questa estate iniziata troppo presto e tarda a smorzarsi.

Con noi porteremo piuttosto la gioiosa esperienza di un Dioche una volta di più abbiamo trovato vicino e che rinnova e ringio-vanisce la nostra vita sulla via della missione.

Buona Settimana!

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15 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

ectio DivinaDon BRUNO MAGGIONI - Biblista

1Cor 1,17-19.22-25.28-2,5

«Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare ilVangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resavana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza perquelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi,è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sa-pienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti.Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore diquesto mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza diquesto mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo,con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio disalvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre iGiudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predi-chiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i paga-ni; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predi-chiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che èstoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza diDio è più forte degli uomini.Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voimolti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili.Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sa-pienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere iforti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciòche è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomopossa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in CristoGesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giusti-zia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi sivanta si vanti nel Signore».

Ho scelto queste righe del capitolo primo della Prima Letteraai Corinzi di Paolo per la prima lectio che facciamo in questi giorni,e anche per le altre ho cercato di scegliere dei tratti in qualche modoautobiografici di Paolo. Se mi chiedete perché Paolo vi rispondo chenon lo so, dovevo pur scegliere qualcosa. Comunque la mia simpa-tia, in questi ultimi tempi, va all’apostolo Paolo, grande missiona-rio!

Devo anche dire che non è che faccia questo discorso così se-renamente; un po’ di turbamento ce l’ho anch’io, non tanto perchési tratta di un incontro di spiritualità missionaria; di quel ‘missio-naria’, dopo tanti anni qualche cosa mi pare di aver capito. E anchedi Paolo qualcosa mi pare di aver capito.

I.

L

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Ciò che mi turba è la parola ‘spiritualità’, di cui io sincera-mente non sono pratico. Oggi se ne parla sempre... e allora, moltosemplicemente, ho detto: ‘ma per spiritualità missionaria si dovràintendere il centro’; la spiritualità... si va al centro, credo. Il centrodelle cose, qualcosa che ci fa capire qual è il centro della questione.

Qui, in modo chiarissimo, il centro della questione secondoPaolo è la croce di Cristo o meglio, il Crocifisso; lo dice ripetuta-mente.

In qualche modo, anzi, si ritiene fortunato, perché nel pianodi Dio la sua missione non si è svolta soprattutto battezzando (habattezzato poche persone), ma nell’annuncio del Vangelo. E ilVangelo è il Cristo crocifisso.

Il guaio è che Paolo è convinto che questo centro del Vangelopossa diventare scialbo o, peggio ancora, perdere senso.

Io a questo credo, non perché non parliamo del Crocifisso onon mettiamo nelle nostre sale il crocifisso, ma perché ciò di cuiparliamo e ciò di cui ci vantiamo ha perso il vero sapore delCrocifisso. Il vero sapore – vorrei che si riuscisse in qualche modo,che Dio ci desse la grazia di intuire anche in questa lectio – non èsoltanto o tanto la durezza del Crocifisso, perché alle volte ci sisente rimproverare che nel cristianesimo è andata perduta la durez-za, la severità.

Non è questo che intende Paolo; c’è anche durezza, c’è ancheseverità, ma è la bellezza del Crocifisso, la sapienza, l’intelligenza...è tutto diverso. Se non si capisce questo io credo che casca tutto.Infatti la chiama sapienza. Per alcuni è stoltezza, certo, scandalo,per altri sapienza.

Nella Lettera ai Romani Paolo ha una frase che mi piacemolto, quando dice «non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16). Ci sipuò anche vergognare del Vangelo e ci si può vergognare in chemodo, perché? Il testo che vi ho letto lascia un po’ aperta questaquestione, ma credo che qualcosa riusciamo anche a dire.

Cos’è che rende vana la croce? Invece di dirla nella sua sa-pienza la diciamo male, cercando di correggere tutto ciò che è cor-reggibile, perché ne abbiamo vergogna. A me – pensando alle ten-denze di alcuni missionari di origine giudaica, convertiti si intende,e che contrastavano il Vangelo di Paolo e si vergognavano della suapredicazione – verrebbe da pensare che le ragioni che svuotano lacroce potevano essere: primo, l’incapacità di accettare fino in fondola gratuità dell’amore di Dio, della sua salvezza. Sulla croce c’è ilFiglio di Dio che muore per te, non sei tu che muori per Lui, è Luiche muore per te! Questo è il capovolgimento.

Invece chiunque immagina un Dio in qualche modo esoso, ocome di solito si dice giusto, che vuole essere ripagato, pagato, per-

16 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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ché possiamo godere del suo amore... ecco, questo svuota la croce.Un’esaltazione eccessiva del merito, un’eccessiva esaltazione

anche della nostra santità... io mi vergognerei se dovessi essere co-stretto, ma non c’è pericolo, di essere un missionario che va in giroa testimoniare la propria santità. Che vergogna! Ma vai sotto il ta-volo! Capiscono tutti che non c’è o che è uguale a quella degli altri!

Troppe testimonianze oggi esaltano la nostra santità e anchequella della nostra comunità... non esageriamo troppo!

Invece, la bellezza è che tu esalti la gratuità dell’amore di Dioche poi è la vera sapienza dell’amore.

Un bambino, perché è amato dai genitori? Perché lo merita?Perché è il loro bambino! Il bambino sentirà il dovere, proprio per-ché è amato gratuitamente, di ringraziare; ma lo farà proprio perchéè amato gratuitamente, non perché deve ripagare o meritare.

Del resto ciascuno di noi ha fatto qualcosa per essere almondo? Niente, una pura gratuità. Nel nostro DNA troviamo sologratuità. Lo dico per me: chissà perché sono al mondo io e non altri.Allora trovi sempre uno che ti dice: “Ah, perché nel disegno di Diotu avresti fatto il prete!”. Ma anche altri potevano farlo al mio posto,o no? Nel disegno di Dio altri potevano fare quello che ho fatto io.

Quindi sono al mondo gratuitamente. Potevo non esserci, noncambiava niente. Però sono contento di esserci e non devo meritar-mi niente per esserci, ci sono.

Cerchiamo di corrispondere a questo dono e di goderlo e digioire e di capire che l’amore è gratuito. La croce che sembra chissàche cosa è la verità dell’amore.

Se «Dio è amore» (1Gv 4,7.16) non posso credere in un Dioche dice: ‘se tu muori per me io amo te’. No, quello lo dicono anchei pagani.

Forse c’era anche dell’altro. Questi missionari giudei si vergo-gnavano, specialmente all’interno del loro mondo, di parlare comefaceva Paolo, di universalità di questo amore: non c’è più il greco oil giudeo. La croce è un’icona dell’universalità, perché Cristo sullacroce è morto per tutti; è morto anche per coloro che lo crocifigge-vano. È morto anche per coloro che non si convertono.

Lui li ama; loro può darsi che non si convertono, ma lui liama. È la novità cristiana. Se la teniamo nascosta ed esigiamo la co-siddetta reciprocità ‘io amo loro se loro amano me’, la croce è sva-nita, non c’è più l’originalità cristiana.

Non c’è più questo Dio che è sapiente. Se Dio c’è non può cheamare tutti gli uomini e tutte le creature, le ha create lui.

Dal punto di vista dell’uomo greco, l’altra cultura, la croce, ilCrocifisso era scandalo, stoltezza; più che scandalo stupidaggine,stoltezza... un Dio che va sulla croce! Ma Dio è la vittoria, Dio è la

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forza, Dio si vede nel miracolo grandioso e più è grandioso e più sivede. Dio si vede nelle persone eccezionali, nello splendore delgenio e anche nella vittoria sportiva, il campione!

E invece questa “debolezza” di Dio che va sulla croce e muoreper te prendendosi sulle spalle come se fosse il tuo parente, che su-bentra a risolvere il tuo problema, prende sulle spalle il tuo pecca-to e condivide la sorte dei peccatori, che sono destinati a morire emorire anche con tremore, con una certa angoscia: «Dio mio, Diomio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22[21],2).

Per l’uomo greco, ma anche per il giudeo, se Dio è Dio devemostrare la sua grandezza; grandezza secondo gli uomini che è unabrutta grandezza.

Vi confesso che più invecchio e più non mi piace la grandez-za degli uomini, i quali credono sempre che, per essere grandi, bi-sogna salire in alto... un trono altissimo. Quando dico che a me itroni piacciono poco, non sono belli, ci vogliono, perché se l’auto-rità deve farsi vedere deve mettersi anche sul trono, ma che sianobelli no. Mi hanno detto ‘no!, e dico: ‘se in paradiso devo star lì aguardare per l’eternità il trono di Dio deve essere una noia morta-le!’.

E mi dicono: ‘no, ma quello di Dio non è come quello degliuomini, è infinitamente alto’. ‘Peggio, se una cosa di cinque gradiniè brutta, infinitamente alto deve essere un orrore!’.

Ma no, Dio è amore, Dio è servizio; Dio ci meraviglierà, per-ché noi andiamo incontro a Dio, ma Lui è più svelto e viene incon-tro a noi ed è Lui che serve noi e non noi che anzitutto serviamo Lui.Ma questa non è una cosa bella? Questa è la carta vincente.

Allora cosa andiamo a predicare? Cosa andiamo a dire? A mepare che Paolo mi aiuti a dire così e a me piace. Anche perché èmolto più facile parlare dell’amore di Dio che della mia santità. Hosufficiente intelligenza per non parlarne e sufficiente pudore pernon dirlo; ma siamo matti!

Però guardate anche quell’altra frase; quindi si può renderevana la croce in fretta, la si mette da parte; secondo me si rendevana la croce anche parlando solo della resurrezione: ‘Sì, fu croci-fisso, però è risorto’. Appena dici crocifisso, subito si aggiunge cheperò è risorto. ‘Eh ma allora sta’ cinque minuti sul Crocifisso! Poipenserai al Risorto. Non vedi la bellezza del Crocifisso?!’. ‘Sì però èrisorto’. E così anche su fatti morali.

Ho un collega che una volta mi rimproverava, perché io hodetto: ‘senti, io non riesco a immaginare san Paolo ai Corinti; nellacittà di Corinto che, come primo annuncio, girava per le strade adire ‘venite da noi e troverete il matrimonio indissolubile’. Quello lo

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devo dire, ma il secondo giorno; il primo giorno: ‘venite da noi e tro-verete Gesù Cristo!’.

Sempre le battaglie sulle conseguenze, dimenticando il centroche è l’unico che illumina le conseguenze.

Poi la frase che ho sottolineato è: “i giudei cercano i miraco-li, i greci la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso”; questa èl’originalità cristiana.

I greci la sapienza, la ragione, la loro scoperta di Dio, che fi-nisce sempre con l’essere un Dio immaginato da noi. È una bella ri-cerca di Dio anche questa, intendiamoci; una ricerca fatta da noi,un percorso, va bene.

I giudei sono più religiosi dei greci, sanno che è Dio che devesvelarsi, ma Dio si svela nel miracolo, in gesti grandiosi, le meravi-glie.

E noi? Ecco questo è ciò che ci distingue. Predichiamo, an-nunciamo... io ci tengo anche a sottolineare questo ‘annunciamo’, loso che sono le opere che contano, e non le parole, cioè lo so, ma nonci credo. Secondo me contano anche le parole (anche perché nonfaccio altro che parlare, devo pur giustificarmi!); devo pure artico-lare il discorso, devo pure convincere anche con le parole.

Noi predichiamo la parola, anche la parola-fatto, la parola-te-stimonianza, quello che volete. Noi predichiamo Cristo crocifisso;guardate a quel Crocifisso. Lo so che è risorto, ma noi predichiamoancora il Crocifisso.

Anzitutto qui c’è un verbo al “perfetto” che, se non ricordomale, che vuol proprio dire Crocifisso allora, ha ancora l’identità delCrocifisso.

Non che Gesù sia in croce, è risorto, ma anche nel suo voltodi Risorto ha ancora l’identità del Crocifisso; se tu guardi ilCrocifisso vedi un Figlio di Dio che ama. Se guardi il Risorto vedi lostesso Figlio di Dio che ama. La sua carta di identità non cambia; ècambiata la modalità: prima Crocifisso e adesso Risorto; ma è sem-pre quel volto, con la misericordia, con la condivisione, con la soli-darietà con i suoi fratelli uomini.

Potenza di Dio e sapienza di Dio; anche potenza di Dio, in-telligenza, bellezza: credo di aver tentato di dirlo; ma anche poten-za, forza, anche di questo sono convinto.

Se parliamo del Cristo crocifisso è come potenza; la genteascolta e qualcuno ci crede.

Parliamo di un Cristo trionfatore, ma che trionfa secondo lenostre modalità umane, diciamo delle cose ovvie; qualcuno puòdarsi che ci creda, ma poveretto, non trova il midollo. Del resto, dice

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Paolo, intanto se avete davanti la croce è così, ma anche se l’avetedavanti alla nostra comunità. Come mai siamo stati scelti noi?Come mai? Io da ieri sera e anche questa mattina ho cercato diguardare in volto tutti i presenti. Non mi sono guardato io, perchémi conosco già e ho detto ‘siamo i migliori d’Italia. Siamo i miglio-ri di che cosa? Di niente! Grandi celebrità. No, normali, che belloessere normali, la gioia di essere normali’.

Dio sceglie ciò che è debole, ma noi siamo deboli; quale po-tere abbiamo? Noi non abbiamo in mano le chiavi del mondo perfare alto e basso, figurarsi! Eppure siamo i portatori di una notizia;debole anche quella, deboli noi, debole la notizia secondo il mondoe tuttavia una notizia, l’unica che davvero sa sconvolgere le cose.

E in questa debolezza la forza, non dimentichiamolo, non ca-diamo in tranelli. Perché allora non siamo più dei veri missionari diGesù Cristo. Un po’ di tremore, un po’ di timore fa anche bene. Chisi vanta si vanti nel Signore; questa frase l’ha ripetuta due volte evuol essere anche la conclusione di questa lectio.

Anche qui, io non so bene come si fanno le lectio. Io non fac-cio né la ruminatio, la collatio, la meditatio e neanche il proposito...arrangiatevi voi; però nessuno si glori se non nel Signore. Gloriarsivuol dire fidarsi, vantarsi, parlare. Trovare il coraggio di parlare delSignore, non di noi; chi si vanta si vanti nel Signore. Un vanto lopossiamo avere ed è il Signore Gesù.

1 Corinzi, passi dai capitoli 8, 9 e 10.

Potremo intitolare questa Lectio come La coscienza di un veromissionario, che poi vuol dire La coscienza di un vero cristiano.

Capitolo 8: «Quanto poi alle carni immolate agli idoli, sappia-mo di averne tutti scienza. Ma la scienza gonfia, mentre la carità edi-fica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora impara-to come bisogna sapere» (vv 1-2).

Già questa frase è molto importante e ci offre una essenzialeriflessione. Il problema che Paolo sta un po’ risolvendo sembra nontoccarci, quello delle carni immolate agli idoli: possiamo mangiarle,possiamo non mangiarle. Al tempo di Paolo il problema era signifi-cativo, non era irrilevante, perché le carni immolate agli idoli chepoi al tempio venivano vendute anche alla gente, costavano meno.Ma poi immaginate cristiani in minoranza, in estrema minoranza,in una città come Corinto, cristiani con parenti, famiglie pagane; aun compleanno si andava al tempio, si sacrificava al tempio, simangiavano le carni immolate al tempio.

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II.

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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Un cristiano può partecipare, non può partecipare? Cosa devefare? Quindi, problemi reali, concreti.

La cosa interessante è vedere come Paolo, anche su problemiestremamente concreti, fa un discernimento molto ampio, profondo,attualissimo, che vale anche per situazioni di oggi, tale e quale.

Paolo afferma che noi abbiamo la conoscenza, sappiamo chegli idoli non ci sono. Quindi la carne immolata agli idoli è esatta-mente uguale a un’altra carne; si può mangiare, certo. In linea diprincipio non ci sono dubbi. Gli idoli sono nulla.

Però aggiunge subito: «ma la scienza gonfia, mentre la caritàedifica».

Per la coscienza cristiana non basta la conoscenza: questacosa è vera, questa cosa è falsa, di questa cosa ho diritto, di que-st’altra no. Per la coscienza cristiana c’è un altro criterio, la carità,cioè l’attenzione agli altri. Ed è la carità che costruisce.

«Se alcuno crede di sapere qualche cosa, (ma non ha la ca-rità) non ha ancora imparato come bisogna sapere».

Naturalmente qui Paolo sta parlando dei rapporti con le per-sone.

Per la strada tutti i giorni a Milano incontro persone cheneanche vedo; sono ombre, come se non esistessero. Ma se incon-tri una persona verso la quale hai simpatia, quella persona esistedavanti a te. Se incontri una persona malvestita, un poveraccio, tra-sandato, lo guardi e te ne vai. Ma se quella persona è un tuo amico,un tuo parente ti fermi. Cosa ti è successo?. Quella persona esistedavanti a te, gli altri non esistono, sono ombre. È la carità che fa esi-stere.

Quando si tratta di questi rapporti la conoscenza è possibi-le solo se hai la carità, solo se l’altro per te è un fratello, è impor-tante.

Senza amore non si conosce. Qualcuno forse ci ha insegnatoche, per essere oggettivo, bisogna essere imparziale, non amare,non simpatia... tutte storie queste qua!

Per conoscere devi amare; anzi prima la simpatia e poi la co-noscenza. Allora ti accorgi.

Questo è un principio ermeneutico, di conoscenza. Se non haila carità, se non hai dentro di te la capacità di accorgerti del prossi-mo, tu non conosci il prossimo. E poi farai tante questioni per sa-pere chi è il prossimo che devi aiutare (cfr. Lc 10,29), ma non co-nosci.

Questo è un po’ un principio che comincia subito; d’accordola scienza, d’accordo la conoscenza, d’accordo la teologia, ma è an-cora qualcosa di informe se non c’è la simpatia, la carità.

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Poi va avanti e dice che sì il diritto di mangiare le carni agliidoli c’è, però comincia anche a fare un altro pensiero: mangiare unpezzo di carne o non mangiarlo non è che cambia il mondo, noncambia la tua coscienza, sei sempre quello. E allora? Lascia per unattimo di riflettere sul tuo diritto. Intanto ad una cosa che è tuo di-ritto puoi anche rinunciarci e devi vedere un’altra dimensione, ciòche io posso fare in teoria o ho diritto, perché questa cosa l’ho esa-minata, è così... ha qualche ripercussione sull’altro? Perché un cri-terio di coscienza per un cristiano non è solo la verità di una cosa,di un’azione in sé che è buona, ma la ripercussione che questa azio-ne ha sul fratello, che magari non ha la tua conoscenza, non è an-cora maturato come tu credi di essere maturo.

Ebbene, la ripercussione sull’altro è un criterio di coscienza;avrei il diritto, ma siccome l’altro non capisce, siccome l’altro neresta scandalizzato, rinuncio al mio diritto (cfr. 1Cor 8,7ss.). Chebella coscienza questa qua! Ed è la coscienza di uno che si interes-sa del fratello per il quale Cristo è morto. Certe cose che ci siano,che non ci siano tu resti tale e quale. «Badate però che questo vostrodiritto (qui è tradotto con libertà), non divenga occasione di cadutaper i deboli» (v. 9).

Qui lasciatemi aprire una parentesi un po’ ironica, ma che èvera, profondamente vera: in realtà noi rinunciamo ai nostri dirittiper non turbare i potenti e invece se li turbassimo sarebbe ancheun’opera buona. No, i deboli; è vero, i deboli, tanto sono vecchi...Se anche faccio questa riforma pastorale e non ho il tempo di spie-garla ai vecchietti, tanto sono vecchi! Come tanto sono vecchi? Oh,sono vecchio anch’io! Il futuro è dei giovani... retorica! Dio ama gliuomini, vecchi e giovani! Queste cose le ho imparate da vecchio...Devi badare ai deboli, sì proprio a loro, e se non hanno capito, devispiegare.

Perché noi siamo capacissimi di impiegare un anno a formu-lare un’idea, a meditarla, e poi in tre minuti vogliamo che gli altri laaccolgano. Ma sei matto?, hai impiegato un anno tu, concedi unanno e mezzo anche agli altri. Noi siamo dei fanfaroni certe volte!

«Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in untempio di idoli, la coscienza di quest’uomo debole non sarà forse spin-ta a mangiare le carni immolate agli idoli?. Ed ecco, per la tua scien-za, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto!» (vv.10-11).

Certo lo dovrai aiutare a liberarsi da una coscienza che anco-ra non si è del tutto liberata da certe abitudini; però sta’ attento aideboli.

«Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza de-bole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il

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mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo almio fratello» (vv. 12-13).

Bellissimo! Criterio della coscienza cristiana non è solo la tuacoscienza, ma le ripercussioni sulla coscienza dell’altro.

Vedete come è importante l’altro per la coscienza. Anche l’al-tro che magari è ancora avviluppato in superstizioni, in abitudiniche dovranno anche essere superate.

Ho sempre portato ai miei alunni un esempio che credo profon-damente vero; per cui, per avere questa libertà di coscienza che badaall’altro, ai deboli e non ai forti, bisogna anche essere liberi, liberi dacerte cose. Non so, se io devo costruire un campanile, sono un par-roco e uno del paese, ricco, mi ha promesso che mi sovvenziona ilcampanile, hai un bel dire che sono libero di fronte a lui, sono libe-ro un corno! Per cui, essendo capitato un fatto nel paese dove lui ver-rebbe un po’ toccato, io credo che preparerei due prediche quella do-menica, una per le 8 di mattina dove viene la gente e lui non viene,un’altra per le 11 dove viene lui, o no? Ma il guaio è che quella do-menica alle 8 arriva lui e io pensavo che arrivasse alle 11. Ma, sic-come sono abituato a parlare sui due piedi, cambio la predica, capi-te? È una barzelletta, ma io credo che ci comportiamo molto così.

Invece semmai è la povera gente a cui devi stare attento, o no?

Ma non è mica finito; immediatamente subentra un altro cri-terio.

Capitolo 9: «Non sono forse libero io? Non sono un apostolo?Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nelSignore?» (v. 1). Qui, ogni tanto, apre le parentesi; Paolo è anche unpo’ noioso. Io dico sempre che – se ci sono frasi che non si capi-scono – nessun allarme.

Andate avanti, ne troverete una che si capisce, e che magaridopo vi fa capire anche quella che non si capiva. Dopo ci sono ese-geti che fanno il contrario; ci sono frasi chiare e le interpretano allaluce di quelle oscure; quindi diventano oscure anche quelle chiare.È un’inversione di tendenza veramente!

«Anche se per altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono»(v. 2). «Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e di bere? Nonabbiamo il diritto di portare con noi una donna credente come fannogli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Ovvero solo io eBarnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta se-vizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarneil frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del greg-ge? Io non dico questo da un punto di vista umano; è la legge che dicecosì. Sta scritto infatti nella legge di Mosè: Non metterai la museruo-la al bue che trebbia. Forse Dio si dà pensiero dei buoi? Oppure lo diceproprio per noi? Certamente fu scritto per noi» (vv. 2-10a).

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E poi va avanti ancora e dice: lo dice anche il Vangelo, ilSignore: «Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunzia-no il Vangelo vivano del Vangelo. Ma io non mi sono avvalso di nes-suno di questi diritti, né ve ne scrivo perché ci si regoli in tal modo conme; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto! Nonè infatti per me un vanto predicare il Vangelo» (vv. 14-16).

Vedete qui è un altro passo; qui non è più scandalizzare glialtri, che è già una regola, ma la regola di Paolo è il vantaggio delVangelo.

Se predico il Vangelo e faccio come gli altri che mi faccio man-tenere dalla comunità e ne ho diritto, lo dice la legge, lo dice ancheGesù che puoi farlo, ma se mi accorgo che facendomi manteneredalla comunità per il mio servizio apostolico il Vangelo ne discapi-ta..., magari vieni confuso con tanti predicatori, filosofi, ciarlataniche giravano in tutte le piazze del mondo greco e si facevano man-tenere per il lavoro che facevano, se invece il Vangelo ne è avvan-taggiato nella sua credibilità, se io predico e lavoro con le mie mani;lui, che avrebbe il diritto di farsi mantenere, rinuncia al suo dirittoe il criterio qual è? Il vantaggio del Vangelo. Non ditemi che è brut-ta questa roba qua! Per cui il criterio non è buona o cattiva un’a-zione, è buonissima, hai diritto, ma rinuncia se questa rinuncia è avantaggio del Vangelo.

Quindi per Paolo il criterio era il vantaggio del Vangelo.

La sua domanda era: ‘questa scelta che io faccio avvantaggiao non avvantaggia il Vangelo?’. ‘Ma ne hai diritto! Sì ne hai diritto’.

«Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo ditutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo coni Giudei, [...] con coloro che sono sotto la legge sono diventato comeuno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo e insi-ste: mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; misono fatto tutto a tutto per salvare ad ogni costo qualcuno» (vv.19-22).

Questa è una frase che per me è incantevole. Guardate la to-talità: tutto, senza risparmio; a tutti, non ad alcuni sì e ad altri no,a tutti, però accontentandosi di guadagnarne anche solo uno. Chebello! Questo è un vero missionario, un vero cristiano!

«Tutto a tutti», ma mi accontento anche solo di qualcuno.

Poi c’è il paragone dell’atleta: «Non sapete che nelle corse allostadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anchevoi in modo da conquistarlo. Però ogni atleta è temperante in tutto;essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una in-corruttibile» (vv. 24-26).

Dunque il paragone è quello di un atleta che è un bel parago-ne, che corre allo stadio.

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In qualche commento di esegeti ho trovato anche che ci sichiedeva se sarà andato qualche volta allo stadio Paolo, cosa di un‘enorme’ interesse! A me pare che, per sapere che si corre nello sta-dio e che uno vince e gli altri no, non è mica necessario andare allostadio. Io non ci sono mai andato, ma lo so.

Però l’immagine è bella. Tu sei come un atleta, mettiti nellospirito di un atleta; il quale, per vincere, perché il suo scopo è vin-cere – e il tuo scopo è di rendere credibile il Vangelo – intanto mi dàl’idea che deve correre concentrato e non invece come quel pugileche batte l’aria, tira i pugni di qua e di là e non vede l’avversarioche è davanti. Devi concentrarti. Una sola cosa in testa, una.

Non lo so se mi date ragione o torto, ma io ho davvero l’im-pressione che oggi troppi cristiani, troppe comunità hanno in mentetroppe cose; una, ne basta una!

Tu sei tutto preso da un ideale, da alcune cose grosse e inve-ce ci sperdiamo in tantissimi problemi, tantissimi discorsi.

Ho incontrato una persona che si meravigliava, perché alla le-zione biblica arrivavano in tanti, ma quando hanno organizzatodelle conferenze sulla sussidiarietà c’erano quattro gatti; che diffe-renza! Ho parlato del Vangelo, parlano della sussidiarietà, accon-tentati di quattro specialisti. Figurati che uno viene da casa aMilano alla sera alle nove per andare a sentire la sussidiarietà! Mava’!

Poche cose, però da cui deriva tutto il resto che forma una co-scienza.

Di’ queste cose che stiamo dicendo adesso, perché questa è lacoscienza cristiana.

E ancora una volta l’immagine dell’atleta ti dice che devi ri-nunciare anche a cose di cui avresti diritto e che comunque sonobuone, per cui il criterio non è ‘questa cosa è buona o cattiva...; ‘av-vantaggio il Vangelo o no? Mi fa vincere o mi fa perdere?’.

L’atleta è temperato in tutto. Poveri atleti ti fanno compassio-ne; corrono al mattino presto, che fatica! Devono stare attenti amangiare, certe cose sì, certe cose no; devono andare a letto la serapresto, perché la mattina devono correre. A quante cose rinunciano,quando potrebbero..., sono cose buone, ma rinunciano per vincere,per essere adatti alla gara: questo è il cristiano, perlomeno un apo-stolo.

Di solito aggiungo, quando commento questa cosa, che Paolopoteva anche mettere una riga in più volendo; gliel’avrei suggerita ecioè che un atleta vince se è un po’ leggero. Se tu corri con unozaino e due borse non vinci più niente. Noi non è che siamo troppoappesantiti?!, dico noi Chiesa! Mamma mia, come fai a correre, cor-rere dove? Appesantito come sei, col fiatone... leggeri. Di qua, di là,

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di su e di giù. Quando si è leggeri si salta su un treno, si cambia iltreno; con tante valige è un disastro!

Noi abbiamo troppe valige, da tutte le parti, anche in missio-ne. Troppe valige, troppi bagagli. Abbiamo bisogno di TIR. Chebello! Lo dico sempre e morire se mi credono. Cioè dicono che èbello, però nessuno lo fa!

Adesso sto applicando al mio genere, ai preti che dovrebberoavere quale casa? Beh, la parrocchia deve avere una casa; però c’èl’essenziale, la tieni com’è; perché arriva uno chissà perché... ilprimo aveva messo lo studio a pianterreno e quest’altro qui dice èmeglio metterlo al piano di sopra. Butta giù, tira su, ma la paghi tu?No la parrocchia. Invece la tieni com’è; cerchi i mobili su misura,fatti bene, però la casa non è tua, è della parrocchia. Anche unabella biblioteca; se fossi vescovo chiederei una biblioteca in tutte leparrocchie per il parroco, in modo che spenda anche bene, unocompra i libri, ce l’hai già lì... i libri fondamentali.

Così, quando il parroco viene spostato in un’altra parrocchia,non è come adesso che deve aspettare che l’altro esca e a sua voltaper uscire deve mettere a posto la casa di là. Insomma è un giro in-finito e tutti stanno fermi; e vanno via con il camion col rimorchio;una valigia, due paia di mutande, tre calze, il breviario che è giàrotto, un libro cui sei affezionato e via, che bello! Dai è bello, manon lo fa nessuno...

Bisogna imbiancare la casa, è questione di igiene. No, no que-ste cose qui non vanno, non rendono credibile il Vangelo; ancheperché fanno il paragone...

Prima cosa mettere a posto la casa parrocchiale; ma va’!Quindi leggeri e non appesantiti.

Andiamo avanti ancora e guardate che Paolo spende tre capi-toli per i discorsi che stiamo facendo noi.

Capitolo 10: «“Tutto è lecito!”. Ma non tutto è utile» (v. 23a);utile al Vangelo; cose lecite, ma non sono utili al Vangelo. «“Tutto èlecito!”. Ma non tutto edifica» (v. 23b), costruisce. «Nessuno cerchil’utile proprio, ma quello altrui. Tutto che è in vendita sul mercatomangiatelo pure...» (vv. 24-25), però se qualcuno ti invita a pranzoe dice: ‘non ti ho avvertito, questa è carne immolata agli idoli’ vuoldire che ha un problema. O glielo spieghi prima di mangiare che ilproblema è superato, che Cristo ci ha liberato, gli fai lì un bel di-scorso o altrimenti, se hai capito che l’altro ha uno scrupolo di co-scienza, cerca di avvertirlo.

Vi confesso che una volta in treno avevo anche fame ed eravenerdì, ma io non mi ricordavo più che era venerdì. Ho comperatoun panino col prosciutto e una donna lì vicino salta fuori con un sa-lame e dice: ‘ah reverendo è venerdì!’. ‘Ma cavoli, non ho più potu-to mangiarlo!’. Poteva stare zitta! D’altra parte, piuttosto che fare la

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predica in treno: ‘in questi casi si può, perché non ho mangiato ierisera’; metti via il panino e buonanotte!

«Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qual-siasi altra cosa» (v. 31): è bella questa frase, perché vuol dire loroche si può mangiare, si può bere; la meditazione che stiamo facen-do non è una meditazione ascetica... Sta’ attento alla coscienza del-l’altro per far penitenza tu, no, no; se l’altro ha capito mangiamo in-sieme, beviamo insieme. Non è ascetismo, non c’entra, è l’attenzio-ne all’altro, la coscienza dell’altro.

«Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciatequalsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio». Solo che il pro-blema è cosa vuol dire per la gloria di Dio. Ad maiorem Dei gloriam;un campanile altissimo, ad maiorem Dei gloriam! I musulmanihanno fatto un minareto, noi quattro metri più alto: ad maiorem Deigloriam. Questa è la gloria di Dio? No. Ho citato degli esempi pernon citarne altri.

«Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né allaChiesa di Dio» (v. 32): questa è la gloria di Dio: non scandalizzarenessuno, non creare difficoltà alla fede, ma favorirla... «così come iomi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio, ma quel-lo di molti» (v. 33). Questa è la gloria di Dio: edifica o no la comu-nità? Divento più credibile nel mondo, riesco ad essere una traspa-renza di Vangelo oppure invece nascondo, diventando una traspa-renza di potenza che è il criterio che ha tutto il mondo, anche per ipropri dèi?

27 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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Galati 5,1-4.13.16-23.26

«Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi enon lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, ioPaolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. Edichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è ob-bligato a osservare tutta quanta la legge. Non avete più nulla a chefare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge. Siete de-caduti dalla grazia» (Gal 5,1-4).«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa li-bertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma me-diante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13).«Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portatia soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri con-trari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; [...]. Mase vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Delresto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, li-bertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dis-sensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere”Queste sono le opere della carne. Il frutto dello Spirito (non dice leopere, ma i frutti...) è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’èlegge» (Gal 5,16-23).«Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli unigli altri» (Gal 5,26).

Bellissimo testo, che descrive il passaggio dalla carne alloSpirito, dalla schiavitù alla libertà; diciamo che descrive l’uomonuovo che è il cristiano nel mondo, che è la comunità cristiana nelmondo; un punto che rischiara il mondo. È bello che, per descrive-re questa novità, Paolo abbia scelto la categoria della libertà, che èun concetto affascinante, oggi di moda.

Ma quale libertà? “Per la libertà Cristo ci ha liberati”. Questoè l’inizio. Il verbo al passato dice che il fatto è già accaduto: Cristocon la sua croce!

Questo evento può essere capito attraverso la categoria dellalibertà.

Notate che per la libertà ci ha liberati. Liberati per essere li-beri. La libertà non è un qualcosa che si ha in vista di qualcosa d’al-tro. È il fine, è la situazione permanente. La libertà è per la libertà.La condizione del cristiano è la libertà.

Certamente una libertà che è frutto non di una nostra ricerca,neppure di una nostra conquista o delle nostre opere, ma è fonda-mentalmente un dono di Dio, è frutto di Cristo.

Oggi il cristiano, nel mondo, deve essere un annunciatoredella libertà. Ma quale libertà? La libertà è un dono, c’è, ci è data,però è anche un imperativo: “state dunque saldi e non lasciatevi im-porre di nuovo il giogo della schiavitù”.

28 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

III.

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Paolo si accorge immediatamente che la libertà è una cosa de-licata, ha dentro di sé anche la possibilità del rovesciamento.

L’uomo aspira alla libertà, cerca la libertà, ma appena ce l’hafra le mani ha qualcosa che quasi lo induce a ricadere nella schia-vitù, come una cellula cancerogena che devi subito riconoscere esulla quale vigilare.

Occorre saldezza, perché la schiavitù è in agguato. Credo chesia l’esperienza della storia umana e non solo. Quando si è oppres-si si desidera la libertà, si lotta per la libertà, si va d’accordo anchecon idee diverse per la libertà. Insieme in prigione atei, comunisti,ortodossi, cattolici: tutti insieme per la libertà. Poi, appena c’è la li-bertà, c’è divisione gli uni contro gli altri e si ricade nella schiavitù!

L’uomo sogna la libertà, ma appena ce l’ha fra le mani la de-lega al primo passante, come sentivamo ieri anche dal sociologo,perché la libertà è responsabilità.

Israele nel deserto sognava la schiavitù: “almeno avevamo damangiare, almeno ci davano da mangiare, almeno avevamo il lavo-ro sicuro” (cfr. Es 16,3).

Invece la libertà è: e il domani come sarà? E dopodomanicome sarà?

Paolo qui indica due tentazioni di schiavitù, che anche il cri-stiano si porta dentro, proprio perché è chiamato alla libertà. Se ilcristiano fosse chiamato ad una schiavitù davanti a Dio non avreb-be questa tentazione.

Invece è chiamato alla libertà, alla parresia; sapete la bellez-za di questa parola parresia, che vuol dire disinvoltura, coraggio.

Nella democrazia greca il cittadino aveva diritto di parola,anche diritto di avere un’opinione diversa dal capo e aveva il dirit-to di dirla, parresia. Però si è capito subito che, se dici una paroladiversa dal capo, la paghi cara.

La parresia, oltre che significare libertà di parola significa co-raggio di dirla, a un prezzo! Il Nuovo Testamento è talmente affa-scinante che ti dice che la parresia ci deve essere anche fra i cri-stiani. Anzi anche davanti a Dio puoi parlare chiaro, che bello!Essere libero davanti a Dio, non ti ferma più nessuno!

La prima di queste schiavitù di cui subisci la tentazione tu chesei incamminato faticosamente verso la libertà, è di ricadere nellaschiavitù della legge. Anziché sapere che la legge è Gesù Cristo.

Che cosa ha fatto nella sua vita, che logica ha vissuto?Certo ha incontrato casi di vita diversi dai nostri, ma la logi-

ca a cui è ricorso per sapere come comportarsi qual era? Era quelladell’amore, della carità, la logica di ritenere qualcuno importantecome te e più di te, che si direbbe il contrario della libertà.

29 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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La libertà cristiana si vive in un’appartenenza, in un legame,che sarà la verità, che sarà Dio, la carità e l’amore. E invece prefe-riamo la legge! ‘In questo caso fai così, in quest’altro fai così’, tuttocodificato. E se nell’elenco il mio caso non c’è, allora sono libero difare ciò che voglio! E invece no! Distingui tu, applica la logica diCristo al caso che non ha previsto l’elenco burocratico, di cui nonne hai bisogno.

Qui ci sono battute di Paolo, non so se le avete avvertite: ‘vo-lete scegliere la regola della legge? Il rapporto con Dio deve esserescandito dalla legge, dalle opere che devi fare? Hai scelto quello?Allora fai tutte le opere! Ci riesci?’. ‘No...’, ‘e allora avevo ragione ioa dirti che le opere non portano salvezza’. È come dire: ‘volete lalegge? Osservatela tutta’.

Chi è capace di osservarla? E se non la osservi, allora rifiutil’amore gratuito di Dio; ‘deve essere pagato?’. ‘Pagalo!’. ‘Riesci?’.‘No’. E allora? Concludi che la logica è diversa.

A questi uomini giusti, severi, per lo opere buone che fanno oche credono di fare e che si vantano, diciamo: ‘va bene, guarda chese vuoi essere degno di Dio devi farne altre dieci!’.

Facciamoli tremare un pochino. E ce la fai? No, e allora?Comunque “svuotate la croce di Cristo” (cfr. 1Cor 1,17). In Cristo,che è la vera novità, ci viene rivelato un Dio direi proprio capovol-to, come dicevo in gioventù, perché un Dio diritto sarebbe che que-sto Dio dovrebbe dire all’uomo: ‘tu, per il tuo peccato devi morireper me’. Invece viene un Dio che muore lui per me. Ma è roba dapazzi! È rovesciato.

Ma ci sono duemila anni di cristianesimo dove i cristiani cer-cano di raddrizzare sempre, secondo la loro giustizia. E svuoti lacroce; se ti salvi con le tue opere la croce a che serve?

Non è Lui che salva te, ma allora ti rifiuterai anche tu di sal-vare gli altri gratuitamente.

Prima schiavitù possibile è quella di ricadere e Paolo dice: “viho predicato un Vangelo diverso, correvate, eravate contenti, sonoarrivati altri missionari” la Chiesa primitiva è stupenda. ArrivaPaolo missionario, ne arrivavano subito altri a predicare un Vangelodiverso, a dire: ‘Paolo sbaglia, Paolo non dice tutto il Vangelo e, peressere accolto dai pagani, dice che basta la grazia’. E Paolo, poveroPaolo, ogni tanto dice: “purché Cristo sia annunciato!” (cfr. Fil1,18). Però nella stessa lettera ai Filippesi, a un certo punto, dice:“questi cani” (cfr. Fil 3,2), un po’ di rabbia ci vuole!

Ma c’è un’altra tentazione; questa non è più dei giudaizzan-ti che esaltano la legge e le opere. In un dibattito con un ebreo

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sulla vita cristiana e sulla vita ebraica, il pubblico ha avuto lanetta idea che l’ebreo era molto più cattolico di me: ‘bisogna farquesto, bisogna far questo, pregare, bisogna far silenzio prima,prepararsi...’.

Io che parlavo invece della grazia che ha rovesciato un po’tutto, sono sembrato l’eretico del momento! Evidentemente abbia-mo alle spalle una certa formazione così.

Però c’è subito un’altra tentazione: “siete stati chiamati a li-bertà, purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere se-condo la carne” (Gal 5,13).

La rovina della libertà è che, siccome sono libero, faccio ciòche voglio, ciò che mi interessa, ciò che mi piace al momento, ciòche è vantaggioso per me... la carne. La carne non è la carne, è l’e-goismo, il vantaggio tuo. Ma, “mediante la carità siate al servizio gliuni degli altri” (v. 13). Pensate che gioco di parole. Sta parlando dilibertà e dice che, per essere libero, devi essere schiavo, che si di-rebbe il contrario della libertà; proprio la parola schiavitù; schiavigli uni degli altri. La libertà si vive nell’appartenenza, nel legame gliuni gli altri, nella carità.

Questa è la novità della libertà cristiana.La libertà cristiana, anche oggi, non è la libertà di fare ciò che

vuoi e di mettere al centro quindi te stesso. Non è neanche la libertàdel filosofo, dell’uomo serio, rispettabile, che si prende in pugno,domina i propri istinti; la libertà è il dono di sé, è essere schiavodella carità. È appartenere a Dio, appartenere alla Chiesa, apparte-nere ai fratelli, gli uni gli altri, questa è la libertà. Quindi la libertàè dentro l’amore.

Parlo spesso ai giovani, porto un esempio e dico: “vedete c’èun tizio che è uno spavaldo, parla contro il matrimonio, il matrimo-nio è una schiavitù, e poi vede gli amici che si sposano: ‘ecco anchetu sei caduto...’ e alla sera va davanti alla finestra: ‘ehi vieni a gio-care a biliardo’; ‘no, c’è qui la moglie non posso’. ‘Ah sei schiavo!”.E un giorno incontra per strada, chissà come qualcuno, una donna,che gli fa cadere tutte le difese.

Una volta, in un’assemblea molto grande di giovani, ho rac-contato che due (li ho appena visti, li sposerò sabato), sono arri-vati al matrimonio; che questi due non si conoscevano, non eranovicini di paese, e avendoli incontrati e ho chiesto come mai sierano conosciuti. C’era la donna che voleva parlare un po’ più:‘Dio nella sua provvidenza...’, sapete la storia della mezza melache incontra l’altra mezza mela! C’è una retorica molto ampia suquesto. Due mezze mele sparse negli spazi siderali per caso sisono incontrati. E quella mezza mela lì è l’unica che va bene perl’altra mezza mela capite?

31 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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Che è un disastro, perché dopo un mese di matrimonio losposo che va in treno ha sempre seduta una ragazza, dice: oddio se-condo me poteva essere una mezza mela anche questa che andavabene per me. E allora ti crolla tutto. Comunque lei stava per dirmicosì, e lui invece dice: ‘no, una domenica pomeriggio non sapevoche cosa fare, brontolavo, è andato male un incontro con gli amicie il papà mi ha detto di andare al consorzio agrario, dove aveva unabotteguccia..., ci sono dei formaggi locali... di andare a vendere for-maggi locali, e c’era quella ragazza lì, al consorzio agrario, per caso,una domenica pomeriggio, senza volerlo!’. Si sono incontrati e sa-bato li sposo, che bello!

Eppure la cosa bella è che lui e lei hanno perso la loro li-bertà, ma in realtà hanno trovato la libertà! La libertà è adessoche sono in due, che si vogliono bene. E se nasce un bambino,perché anche questo è capitato, che magari dicono: ‘no, il bambi-no aspettiamo qualche anno, perché prima devo pagare ilmutuo!’; questo è normale nei matrimoni credo, o no? dopo ilmutuo si può avere un bambino. Ma se arriva prima... ‘non socome faremo, come non faremo’; ma una volta nato sono lì chemuoiono per quel bambino. Sì o no?! Se gli portate via il bambi-no vi sparano. Hanno perso la libertà, perché hanno un bambino,hanno trovato a libertà.

La libertà della solidarietà, la libertà dell’appartenenza, la li-bertà nell’amare qualcuno più di noi. Questa è la libertà.

Per concludere il discorso, Paolo esce un momento dalla ca-tegoria della libertà e gli è venuto in mente di usare la categoriadello Spirito e della carne. Quella l’aveva già usata anche per la li-bertà. Spirito e carne; lo Spirito è la libertà, la carne invece è quel-la che è la schiavitù. E vuol far capire bene di che si tratta.

Quali sono le opere della carne? Osservate che qui Paoloparla di ‘opere’, cioè di cose che facciamo noi, le nostre costruzioni.E mette giù una serie di parole che credo le abbia messe anche unpo’ a caso, un certo elenco; sta di fatto però che costituiscono il pa-norama e che potremmo ordinare in questo modo. Alcune cose sonodei vizi, carne, egoismi, che stravolgono il rapporto con le cose, conil mondo; non so, quando dice “orge, ubriachezze”. Questo è unmodo sbagliato di porti davanti alle cose. Non ne hai mai abba-stanza; due case, tre case, tanti soldi. È l’ingordo; l’immagine cheporto sempre con me è quella dell’ingordo. Avete visto un ingordomangiare? Che brutto! Mette nel piatto più di quanto è necessario.Mangia in qualche modo, e secondo me non gusta niente e non da-tegli mai il vino buono, perché è sciupato! Dategli quello del super-mercato che non vale niente; tanto lui trangugia. È l’ingordo, maicontento delle cose!

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Che cosa ne fai di tutti quei soldi? Che cosa ne fai di tutto quelpotere che vuoi? Cosa ne fai? È ingordo, rovina il rapporto tra l’uo-mo e le cose! Non gode la vita l’ingordo, no!

Dopo questa rovina fra l’uomo e le cose ci può essere allevolte anche prima un rapporto sbagliato con Dio. Si parla di idola-tria, stregonerie.

Sì, invece di mettere Dio al primo posto e le cose che riguar-dano Dio – la verità, la carità – metti il tuo interesse. È tutto spo-stato e tutto si ritorce contro di te. Perché se metti il tuo interesse ola tua vanità non ti fermi più.

Una malalingua che io conosco, davanti a un certo fatto, mi hadetto: ‘vedi?’. Qui parlo da clero, ma tanto siete in mezzo ai pretianche voi laici! Non esagerate però nello stare in mezzo ai preti, queltanto che basta. Una volta il mio vescovo è venuto nella parrocchiet-ta dove non sono parroco, ma lì facevo quasi il parroco; l’ho presen-tato come amico, qua e là. Poi ho presentato il paese e ho detto: ‘sonocredenti, religiosi qual tanto che basta! (ed è proprio così), però sonosani, forse anche per questo’. E allora mi diceva questa malalingua:‘vedi è diventato vescovo; credi che sia contento?’ ‘No; perché lui hadel desiderio. E allora vorrà diventare cardinale, ce la metterà tutta’.‘Diventato cardinale sarà contento?’. ‘Ma no! L’uomo desidera sem-pre di più!’. ‘E allora vorrà diventare papa’. ‘Contento?’. ‘No! gli re-sterà sempre l’amarezza di non essere Gesù Cristo!’.

Se è così poteva fermarsi al primo livello, tanto è lo stesso!Vai avanti, vai avanti non sei mai contento; fermati prima!L’idolatria di se stessi è la cosa peggiore che può succedere.

E se si è idolatri è sempre se stesso che è messo al centro.

Ma avete notato che qui il maggior numero di difetti di operecarnali sono relazioni sbagliate fra noi.

Guardate quante parole... per dire l’idolatria, una parola; maquante parole per dire “inimicizia, discordia, gelosia, dissensi, divi-sioni, fazioni, invidie”, tutte rotture di relazioni fra noi o no?!Queste sono le opere della carne. Qui non c’è libertà.

Anzi, come assenza di libertà l’ultima frase che vi ho letto è diuna chiarezza straordinaria: “non cerchiamo la vanagloria provo-candoci invidiandoci gli uni gli altri” (Gal 5,26).

Se volete sapere se una comunità vive la libertà o le operedella carne, se litiga lì non c’è libertà, c’è l’opera della carne. Siesalta qualcosa contro l’altro, lo si fa diventare più importante del-l’altro.

Paolo è un grande!

Il segno dello Spirito: il segno che siamo liberi, che abbiamoil diritto di considerarci nel mondo con un significato che è salvez-

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za per il mondo e che può essere un esempio. Intanto non dice ‘leopere dello Spirito’, non usa queste parole. Ma dice: “il frutto delloSpirito”, come se fosse una cosa sola, il frutto. Le invenzioni degliuomini sono tante, tutte idolatre; ma la Spirito ha un frutto solo epoi frutto, non opera. Opera è una cosa che costruiamo noi, di cuici vantiamo: “L’ho fatta io”.

Il frutto non lo facciamo noi; il frutto è l’albero che lo offre. Edè ancora l’albero che decide se è maturo o no.

È bellissimo questo cambiamento di vocabolo; “frutto delloSpirito” e qual è? “Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, ma pensate! Qui le parolesono tutte in relazione fra loro. Credo che questo sia davvero ungrande insegnamento, molto concreto.

Certo la comunità cristiana deve essere con le finestre apertee anche le porte. Ma chi passa sulla strada e non è obbligato a en-trare, guarda dalla finestra e vede persone contente, contente comesi può essere contenti. Perché ci sono anche quelli che sorridonotutti i momenti e danno anche un po’ fastidio! Contenti come si puòessere contenti, realisticamente, si aiutano, si vogliono bene. E mo-strano che si può essere anche in pace, magari anche con qualcheidea diversa.

Il passante guarda dentro e dirà: ‘oh, che bei cristiani! Chebella gente! Saranno i soliti cristiani?’. Qualcuno dice: ‘oh, che sce-menze, che scemi, qui non guadagnano niente, che pochi soldi, siaccontentano di poco, giocano al girotondo... sono i soliti stupidicristiani!’. Ma qualcosa devono dire o no?

Invece passano ‘vi accorgete che sono cristiani?’. ‘No!’. Hoqui una statistica che hanno fatto a Milano, una ricerca dell’univer-sità, dove hanno chiesto alla gente comune: ‘quando ti accorgi seuno è cristiano o no?’. Il 90-95% di risposte è stato: ‘se lo vedo an-dare a messa’. Che delusione! Sul treno, non capisci se uno è cri-stiano? Macché! Al lavoro, neanche a morire. A casa? Boh! Dal tipodi casa? No... Se va a messa. Questo è il fallimento di ogni missio-narietà!

Questa mattina, martirio di Giovanni Battista, la lectio hacome sfondo il martirio e, in primo piano, il martire per eccellen-za, l’icona, che è Gesù Cristo che dobbiamo annunciare e che è ilpunto di riferimento del discernimento di cui abbiamo parlato tantoin questi giorni.

Devo dire candidamente che, intanto per quanto riguarda me,ma anche guardandomi in giro, vedendo come altri, come molti scel-

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IV.

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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gono, mi pare che non sia neanche per loro il vero punto di riferi-mento!

E allora casca tutto. Quale volto di Dio annunciare e che cosacostituisce il punto ultimo del riferimento, che è ricchissimo di con-seguenze... e quando le conseguenze sono tante, troppe, anche gros-se, vien da dire: ‘io non posso farci nulla, preghiamo, perché Dio ac-celeri i tempi in cui arriverà Lui; farà suonare la tromba del grandecambiamento’.

Così mi viene in mente che le stesse cose si dicevano nel ‘68:‘è inutile che tu cambi questa cosa o quest’altra. Perché è il sistemache va cambiato’. E allora bisogna aspettare il tempo fatidico dellarivoluzione che non è arrivato. Se aspettiamo la totalità della rivo-luzione noi viviamo da borghesi, senza cambiare nulla.

Allora qualcosa bisogna cambiare; lo so che le conseguenzesono tante: ‘tutto e come faccio? Molte non dipendono da me, moltenon ho il coraggio, cosa faccio? Almeno una la troverò che possofare...’. Una, ma nella direzione giusta. E se la direzione è di uncerto tipo... non so devo trattare le persone diversamente, devo sce-gliere una cosa piccola che va in quella direzione.

Non dire: ‘dico un rosario in più al giorno!’. Fai un’altra cosa,cambia la testa, che altrimenti questi nostri convegni... se venite acasa mia trovate un museo di cartelle e restano lì.

Questa vorrebbe essere una lectio divina che stimola ancheognuno a fare una sua scelta, anche piccola, ma nella direzione giusta.

Cominciamo dal martirio, poi ho dei testi da leggere su GesùCristo.

Il martirio alla fine, se guardi bene, anche quello di GesùCristo, ha alla radice una scelta, non quella del martirio, una sceltadel modo di vivere.

Il martire ha scelto liberamente una vita che ha dentro un ri-schio, è una vita a rischio.

Se tu scegli di dire la verità comunque, se tu scegli di difen-dere coloro che non hanno voce, se tu scegli di esemplificare certecose, scegli un tipo di vita che può darsi che ti lasci vivere fino a no-vant’anni, ma hai dentro il rischio che qualcuno ti metterà a tacere.

Hai scelto una vita a rischio, non hai scelto di morire, non haiscelto di andare davanti ai nemici disarmato: ‘uccidetemi, voglio es-sere martire’. Quello non va in paradiso per deficienza mentale... Tuhai scelto una vita che ha dentro un rischio, che è l’amore, il donodi te. Quando questo rischio si evidenzia tu dici: ‘io devo andareavanti, non devo smettere perché c’è un rischio’.

‘Devo’ è la coerenza. I vangeli vi dicono che Gesù diceva: ‘ilfiglio dell’uomo deve’ (cfr., per esempio, Lc 9,22): perché deve?

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Perché ha scelto una vita a rischio e deve andare fino in fondo. Il‘devo’ della coerenza... e non invece fermarti a metà.

È chiaro che il martirio di Gesù, come del resto quello deglialtri, ha dentro anche – oltre alla coerenza tua che hai scelto unavita e la porti fino in fondo, cascasse il mondo – l’obbedienza a Dio.Quel ‘devo’, io devo obbedire al Padre.

Perché obbedire al Padre? Perché il Padre contempla una vitaa rischio e contempla anche la croce, la morte?

Perché il Padre ha scelto di salvare il mondo. O meglio di ri-velare se stesso al mondo, rivelare se stesso come l’alleato che con-divide, il parente che prende a cuore le cose degli uomini. C’è forsequalcosa di più chiaro come solidarietà, come amore, come paren-tela, alleanza, che quello di condividere, di provare la situazionedell’altro?

Perché l’atteggiamento di chi dice: ‘io sono ricco e divento an-cora più ricco per avere mezzi per aiutare i poveri, ma io sono ilricco e lui è il povero’ questa non è condivisione e non è rivelazio-ne del vero Dio.

Il nostro Dio è venuto nel mondo e pare che non l’abbia cam-biato in niente, però ha condiviso tutto, compresa la morte, com-preso il fatto che se dici la verità sei emarginato. L’ha condiviso,compreso il fatto che se dici la verità ti mettono in croce e pare ad-dirittura che la verità sia perdente; questa esperienza, che ci pren-de allo stomaco e diciamo che non è giusta, è che è lo scandalo dellanostra storia, l’ha condivisa, l’ha fatta sua, è morto sulla croce, sì ono? E risorgendo ha dimostrato che è la strada giusta, che è l’unicavittoria.

Se qualche teologo, io non sono un teologo, mi dicesse: ‘macome mai Dio ha agito così, non poteva avere un altro piano?!’.

Ma come faccio a fare i conti delle possibilità del PadreEterno! Però se è vero che «Dio è amore» (1Gv 4,8.16) a me parecosì intelligente questa scelta che ha fatto il Padre: di venire a con-dividere, non solo risolvere, a condividere, a patire con quelli chepatiscono e – patendo con quelli che patiscono – ha detto che è pro-prio così che il mondo cambia e che comunque sei nella verità edentri nella vita... la risurrezione.

Adesso a me sarebbe piaciuto, intendiamoci, che fosse venu-to un Figlio di Dio con un’altra logica, a dire: ‘sono il Figlio di Dio,posso tutto... Avete la morte? Vi tolgo la morte. Avete le malattie? Vitolgo le malattie!. Magari dovete pagare questo e questo, ma co-munque va bene!. I deboli perdono, li faccio vincere...’. Abbassa gliarroganti e innalza gli umili, cantiamo al Magnificat (cfr. Lc 1,52),

36 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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ma io non l’ho mai visto, sogno ancora di vedere i re che scendononella polvere, neanche uno!

Sì, poteva scegliere quello è vero, però vi confesso che da unpo’ di anni io sono contento che non l’abbia scelto e che... anzichéscegliere questo trionfo che assomigliava a qualcuno: ‘io vi risolvotutti i problemi, ci penso io!’... Comodo, ma che brutto Dio!Assomigliava a qualcuno! E invece è venuto a condividere le miepaura, le mie ansie, le mie debolezze.

Dico che è meglio così e ho capito chi è Dio, ho capito findove arriva la sua Alleanza. Tanto poi, alla fine del mondo, cam-bierà il mondo! Quindi aspettare mille anni più, mille anni meno!Intanto ho visto qual è il suo cuore! L’avesse risolto subito non lovedevo. Meno male che Gesù Cristo è morto sulla croce! Se scende-va dalla croce per far vedere che, sì, certo devi servire, però quandovedi che va male devi ricorrere ad un’altra logica e sulla croce fossesceso, perché qui adesso devo prendere in mano il timone... Sescendeva mi rovinava tutto, proprio tutto!

Questo è il martirio. E Gesù Cristo, questo volto di Dio, que-sto Uomo-Dio che è la nostra fierezza...

Intanto possiamo dire che almeno un martire ce l’abbiamo, edè Lui; ma poi ne abbiano tanti. Non è vero che duemila anni di cri-stianesimo non hanno combinato niente. Hanno creato eroismi dicondivisione, di preoccupazione per gli altri, enormi. Un bagaglio diamore incredibile, ed è questo bagaglio di amore che ci merita di ri-sorgere, di avere una vita diversa, che ci fa essere contenti anche diessere uomini.

Chi dobbiamo annunciare? Con quale volto, con quali moda-lità?

Il trucco, secondo me, è di dire che adesso il Cristo è risorto,dunque dobbiamo annunciare il Glorioso.

E siccome non sappiamo bene qual è la gloria di Dio, ce la in-ventiamo noi. Per noi la gloria è comandare... Dio comanderà; pernoi la gloria è travolgere ogni ostacolo... Dio travolgerà ogni ostaco-lo. Poi lo preghiamo per guarirci da una malattia e non si sa se lofa. E se lo fa qualche volta lo fa all’altro e non a me... ‘Ho pregatotanto!’. Siamo in cento poveretti a pregare e ne guarisce uno e glialtri novantanove! E se anche quell’uno è guarito dopo qualcheanno deve morire ancora! Ha rimandato gli esami...

Allora quale Cristo devo annunciare? Quello che è vissuto. Eho scelto dei momenti in cui si vede bene com’è questo volto delFiglio di Dio, quello reale, esistito, vissuto, di cui dobbiamo fare me-moria e se possibile rifare l’immagine.

37 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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Ed ecco allora la prima immagine... Il processo di Gesù davanti al Sinedrio nel Vangelo di Marco

si conclude con una battuta: «Allora alcuni cominciarono a sputargliaddosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli: “Indovina”. Iservi intanto lo percuotevano» (14,65). Righe straordinarie!

Il Figlio di Dio sputacchiato e Marco se la cava con due righe.Dopo lo so che ci sono certi padri della Chiesa, certi santi e

certe sante, che fanno dei poemi su queste cose... sentimenti a de-stra e sinistra. Qui sono due righe, senza aggettivi, e sono un capo-lavoro.

Però guardiamo queste due righe; c’è una contraddizione enoi scivoliamo via quando leggiamo queste cose.

C’è una contraddizione: ha detto di essere il Figlio di Dio;qualcuno dice: ‘se è Figlio di Dio, la prima cosa che deve fare è diindovinare, altrimenti che Figlio di Dio è?! Se non indovina abbia-mo ragione noi, è uno che sta vantandosi’.

E non ha indovinato! Cominciarono a sputargli addosso, a co-prirgli il volto, a schiaffeggiarlo, a dirgli “indovina e i servi lo per-cuotevano”; non dice ‘e indovinò’!

Secondo il sentire comune, secondo l’idea comune sul merca-to di Dio, un Dio a questo punto deve rivelarsi per edificare i fede-li, deve rivelarsi.

E quindi avrebbe dovuto indovinare e Marco avrebbe dovutoscrivere, fortuna che il Vangelo lo ha scritto Marco e non qualchealtro di mia conoscenza: ‘allora cominciarono a sputargli addosso,a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo, a dirgli indovina ed egli subitoindovinò!’. Altrimenti che Dio è, come faccio a credere?!

Anzi avrebbe dovuto aggiungere Marco: ‘allora alcuni comin-ciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo, adirgli indovina ed egli subito indovinò e castigò coloro che lo ave-vano percosso!’.

Quel Dio lì non c’è, ma è il Dio che noi sogniamo! Oh sonocose grosse queste! Quindi queste guardie, o chi per esse, avrannodetto che quello non è Dio, non hanno creduto perché è rimastozitto. Spero di avere la vostra solidarietà: io ci credo, perché è ri-masto zitto.

Avessi letto ‘e subito indovinò e castigò’, non so se ci avreicreduto e comunque era un brutto Dio; assomigliava agli dèi di tuttoil mondo, che tutti gli uomini inventano.

E a gloria di Dio cercano di imitarlo... Questo è il Dio che dob-biamo annunciare, mi dispiace, ma è così. La prima conversione èsull’idea di Dio, altrimenti siamo perdenti su tutta la linea. Non homica finito!

38 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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Per dire che non sono cose periferiche, qui siamo al centrodella questione. Andiamo al Vangelo di Giovanni prima della crocee la lavanda dei piedi, questa povera lavanda dei piedi che si fa ilgiovedì santo. È un po’ goffa quella del giovedì santo! Sufficiente aricordarci che Gesù ha lavato i piedi, ma sufficiente anche a farci ca-pire che Gesù era ben altro dai piedi! Uno ti tira giù la mitra, quel-l’altro ti dà l’asciugamano, quell’altro alza il piede già lavato trevolte, quell’altro lo asciuga al tuo posto. Meglio di niente, però èanche utile... pur amando la tua Chiesa, anzi, perché la ami, accor-gerti ogni momento che Cristo è più grande della Chiesa che ami.

C’è anche un po’ di distanza; meno male anche qua! «Gesùsapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venutoda Dio e che a Dio ritornava, si alzò da tavola» (Gv 13,3-4). La con-sapevolezza della sua grandezza è affermata chiaramente e sarà af-fermata anche dopo a conclusione.

«Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono»(Gv 13,13), ma dentro questa cornice, dove riconosce la sua gran-dezza, Gesù si alza e lava i piedi. E il quadro è proprio questa lavan-da dei piedi. Guardate come è detta dall’autore, com’è detta lenta-mente, gesto per gesto. È il centro del quadro, questa è la cosa chedevi vedere: «si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio,se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciòa lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui siera cinto» (Gv 13,4-5). Non gliel’hanno legato gli altri, se l’è cinto lui.

«Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore tulavi i piedi a me?”» (Gv 13,6). Dunque, lentamente è descritto ilgesto di Gesù che lava i piedi. Si alza, si mette il grembiule, versal’acqua nel catino, prende il catino, lava i piedi.

Quando i racconti rallentano in questo modo vuol dire chel’autore vuole che tu contempli, che devi contemplare alla moviolaper vederla bene.

Come interpretarla questa scena? Come metterla d’accordocon l’affermazione iniziale della grandezza di Gesù e quella finaleche ripete la grandezza?

Il modo più banale, che rovina tutta la cristologia, è di direche Gesù ha voluto darci un esempio di umiltà; e quindi per cinqueminuti, il tempo di lavare i piedi, ha nascosto la sua divinità, ha na-scosto la sua grandezza. Rovini tutto.

Invece in quei cinque minuti che ha lavato i piedi non ha na-scosto la sua grandezza, ma l’ha rivelata, ha rivelato il volto dellasua grandezza.

Per noi uomini, fanfaroni, la grandezza è salire in alto, farsilavare i piedi, farsi aprire la porta della macchina, avere uno col ber-retto davanti che guida...

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Questa è la grandezza stupida di noi uomini. La grandezza diDio è servire, è lavare i piedi!

Non è bella, forse non vi piace questa cosa, peggio per voi, pre-gate Dio che vi illumini. Che altrimenti in paradiso avrete delle de-lusioni terribili. E la delusione quale sarà? Che vorreste aprire voi lamacchina per scendere subito incontro a Cristo, e arriva Cristo chevi apre la porta. ‘O Dio! Sta servendo anche qua’, bella sorpresa!

Noi roviniamo tutto moralisticamente; anziché dire che è ungesto di rivelazione, è un gesto di umiltà. Per cui tu fai il fanfaronenella vita, però ogni tanto scendi giù o batti la spalla di qualchehandicappato... ‘eh poveretto!’.

Ma non è finito! Perché, se fosse solo un esempio o due, midirebbero: ‘eh, è una frase!’.

Io non lo so, c’è solo una frase un po’ ridicola anche, doveGesù che è al tempio ha fatto delle cordicelle... (cfr. Gv 2,13 ss.): ‘sì,ha fatto fuggire qualche animale, però i soldi li ha lasciati lì tutti!’.C’è quella frase lì: ecco Gesù è stato violento. Lì basta mezza frase.Qui hai un sacco di testimonianze in senso contrario, chissà perché,non servono.

Passiamo adesso al processo davanti a Pilato, altro testo ca-polavoro, dove Gesù è proclamato re; anche noi diciamo che è re.Pilato insomma dice: “sei re sì o no?” (cfr. Gv 18,33) ed ecco questodialogo che credo che oggi vada commentato bene, perché stiamoun po’ a rischio su questo punto.

Gesù dice: «io sono re» (Gv 18,37), ma ci tiene subito a direche è un re diverso da come sono i re normali, un re diverso dacome Pilato pensa. «Pilato... fece chiamare Gesù e gli disse: “Tu sei ilre dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’han-no detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tuagente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa haifatto?”» (Gv 18,33-35). Ho dimenticato di dire che spesso il martireè consegnato dalla propria gente!

«Rispose Gesù: “Il mio regno non è da questo mondo; se il mioregno fosse da questo mondo, i miei servitori avrebbero combattutoperché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quag-giù» (Gv 18,36). Tradotto bene è «da questo mondo» e non «di que-sto mondo», cioè ha un’altra origine.

Questa differenza: il suo regno non è del mondo o meglio dalmondo, vuol dire allora che regnerà in un altro mondo? Nel mondofuturo? Non in questo, ma in quello futuro? Oppure vuol dire cheregna sì anche in questo mondo, ma in campo spirituale, sulleanime, ma non sui corpi, sull’interiorità? Ma chi l’ha detto? Qui si

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dice semplicemente che il regno di Cristo è in questo mondo, operain questo mondo, è mondano, ma ha una logica diversa, non è daquesto mondo. Non mutua il criterio del discernimento (visto chestiamo parlando di discernimento) dalla ragion di stato. Perché ilcriterio ultimo del discernimento del regno mondano è la grandezzadel proprio regno, la salvezza del proprio regno, l’espansione delproprio regno.

Oggi si dice anche la salvezza della propria identità! E a dirlosono dei fanfaroni che di identità non ne hanno neanche un bricio-lo, se non il prezzo esoso della giacca che portano, inutilmente...tanto hanno la pancia!

È un’altra logica; e la esemplifica: “se il mio regno fosse mon-dano, avrei tanti di quei soldati per combattere e per usare una vio-lenza che non ha bisogno della vostra”. Ma Gesù non si serve dellasua potenza divina per salvare se stesso. Dio non usa la sua poten-za divina per salvarsi il regno.

Nessun cristiano può dire neanche una mezza bugia per fartrionfare il regno di Dio. Me lo insegnavano in seminario. Non sipuò dire una mezza bugia neanche per salvare il mondo! Che beitempi! Adesso si dicono bugie per salvare il mondo.

Poi va avanti e spiega ancora: «Allora Pilato gli disse:“Dunque tu sei re?”. (Pilato non capisce niente, Pilato ha in menteun’altra regalità). Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questosono nato e per questo sono venuto nel mondo: (cioè per fare il re...Ma quale re?) per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37).Questo: un re che mette al primo posto la verità, non il trono, nonla permanenza di questo regno, non..., non..., ma la verità, che è laverità di Dio. Che poi la verità in san Giovanni, ma un po’ in tuttala Bibbia, è come Dio guarda l’uomo.

Ora Dio come guarda l’uomo? Qui i testi sono abbondantis-simi.

Dio ama ogni uomo; e allora? Noi dobbiamo annunciare que-sto Dio. Quelle suore che un giorno mi hanno detto: “facciamo fati-ca a tornare in Italia, qualche anno fa, perché siamo in una zona, cidicono, dove non si converte nessuno, e allora veniamo qua e tuttici chiedono perché stiamo là che non si converte nessuno... e ci di-cono di andare altrove dove invece ci sono aperte delle nuove pos-sibilità”. Quando si ragiona così a me pare che siamo dei venditoridi scarpe, o no? Si sono chiusi i mercati di qui, si sono aperti i mer-cati là, tutti a vendere scarpe là! Sarà anche giusto, e chiedevano ame il parere... e sono anche persone autorevoli, ci dicono di nonstare più lì che tanto è inutile.

Ho chiesto come ragionava la loro madre generale: “Ma, nonci dice niente, però non manda giù più nessuno”. Erano già vecchie,

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le lasciava giù a consumazione, giusto, povere vecchie. Poi io mali-gnamente ho detto: “ma avete qualche vocazione?”. “Oh, le voca-zioni!”. Poi ho detto: “sentite, se potete state giù, pregate il PadreEterno, vi aiuterò anch’io a pregare, perché vi dia una longevità chespiazzi tutti. State lì, state lì, perché il cristiano deve testimoniareche crede in un Dio che ama tutti, anche quelli che non si conver-tono”.

Ho sbagliato? Spero di no, comunque anche se ho sbagliato,mi tengo il mio sbaglio con orgoglio!

Perché altrimenti che differenza c’è fra il mio Dio e queglialtri? Cosa vado ad annunciare, chi? Ma mica ho finito.Concedetemi ancora due cose.

L’ultima riguarda la crocifissione. E la scena anche qui deglioltraggi e siamo al cuore della crocifissione. Anche qui una scenadove i verbi sono all’imperfetto, sono lenti da contemplare.Possiamo scegliere qualsiasi evangelista, ma scelgo Marco che è piùsemplice, quando si dice che «I passanti lo insultavano e, scuotendoil capo, esclamavano: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi intre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!”. Ugualmente anchei sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: “Hasalvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re di Israele, scen-da ora dalla croce, perché vediamo e crediamo. E anche quelli cheerano stati crocifissi con lui lo insultavano» (Mc 15,29-32).

Si riproduce la stessa scena. E ciò che turba e scandalizzaquesti uomini ai piedi della croce, chiunque essi siano, è il contra-sto che a loro sembra irrecuperabile. Da una parte si dice che Gesùha fatto miracoli e adesso non è capace di scendere. Si dice cheGesù ha detto che è capace di distruggere il tempio e non è capacedi scendere dalla croce; si dice che è venuto a salvare e non salvase stesso.

Preteso essere Messia e Figlio di Dio e, se non scende, dallacroce è il contrario.

Quindi diciamo la pretesa e l’evidenza. Certo questi uomini,per credere che quel Crocifisso è il Figlio di Dio, hanno dovuto cam-biare idea di Dio.

Se hai in testa l’idea di prima non ci sta. È la grande conver-sione questa. Il Crocifisso è la grande conversione del volto di Dio.Ancora una volta un Dio che mostra fino in fondo, sulla croce, que-st’idea di libertà, che lascia la libertà. Anche qui, alle volte, sembrache siano cose strane a dire che un Dio permette la libertà, nonforza nessuno a riconoscerlo.

Sembra di dire stramberie, ma Dio ha segreti che possonocambiare il cuore di tutti. Non lo so, secondo me Dio ha una sua de-

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bolezza, che è però forza: quella di rispettare la libertà dell’uomoche ha creato libero. E se ci penso bene, è una cosa degna di Dio,intelligente. Sarebbe indegna di Dio l’altra cosa. Se Dio è amore nonpuò che fare così. È vero o no che se io amo qualcuno non posso ob-bligarlo ad accettare il mio amore? Se lo obbligo il mio non è piùamore. Né mi sento amato se l’altro mi ama obbligato.

Dio ha fatto così e noi storciamo il naso... ‘ma Dio dovrebbetrionfare su tutto, scuotere il cuore di ciascuno’. Non lo so, ma in-vece se è amore è ragionevole questo Dio.

È lì dove voglio arrivare. Se c’è un Dio ragionevole è questovolto di Dio strano; è il più bello, è ragionevole. Perché quel Dio dicui alle volte si parla non c’è. Avrebbe già dovuto cambiare la sto-ria e non l’ha cambiata. E pare che non abbia neanche sempre vo-glia di fare in fretta a cambiarla. Questo è l’annuncio! O si annun-cia secondo me questo Cristo, questo Dio o siamo fuori strada. Peressere missionari bisogna annunciare la Persona giusta e dobbiamotrarne le conseguenze. Le conseguenze sono immense e uno le av-verte.

Noi in televisione lo facciamo vedere questo volto di Dio?Mai! ‘Non è televisivo’, ti dicono. Chi l’ha detto che non è televisi-vo? Comunque non che un criterio di credibilità sia la televisisibi-lità. Ma non roviniamolo, tutti i crocifissi in giro sono rovinati.

Però adesso devo dire una parola consolante, ma questa èconsolante sicuramente! Ed è quando, sempre secondo Marco,visto che oramai è il prediletto, manda i discepoli in missione:«Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimpro-verò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevanocreduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. Gesù disse loro:“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”»(Mc 16,14-15).

Questa è la mia grande consolazione.

Ancora una volta è tutto alla rovescia di quello che ci aspet-teremmo. Sono duri di cuore... ‘rimanete qui, santificatevi!... Limetto alla prova, poi semmai li manderò’.

Se pretendeva che questi prima di partire fossero santi, era làancora a prepararli! E se noi pretendiamo di annunciare GesùCristo solo quando siamo degni di Dio, santi e coerenti, beh certomoriremo prima di annunciarlo. Annunciamolo come siamo, pecca-tori! Con i nostri difetti, con i nostri limiti. Però parliamo di Lui, nondi noi.

Se vai a dire: ‘io sono il testimone’, fai acqua da tutte le parti,fai un po’ ridere. Tu racconta la storia di Gesù Cristo, fai vedere neltuo piccolo ciò in cui credi.

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Riconosci per primo il tuo peccato e dici con fierezza a chi tiaccusa ‘sei un peccatore’, ‘appunto sono venuto ad annunciarti unDio che perdona i peccatori’.

Questa è la mia consolazione. In seminario hanno tentato intutti i modi, quando ero piccolo, per farmi cambiare questa idea.Avevo il nonno che mi difendeva. ‘Non basta studiare don Bruno; ilcurato d’Ars non aveva studiato e convertiva’. E io, suggerito dalnonno, pensavo: ‘va beh, per convertire allora devo diventare comeil curato d’Ars’; ma ero già sicuro che non sarei diventato e allorastudiavo un po’!

Il curato d’Ars poteva anche non studiare, ma nessuno di noiè il curato d’Ars... leggiamo il Vangelo! Altrimenti è comodo! Gesùper trent’anni è rimasto in silenzio e solo per poco tempo ha predi-cato. Eh va bene, io ho cominciato prima.

Quanta retorica in circolazione! Solo i santi possono parlaredi Gesù Cristo... ‘ma va’, sgonfione, tanto non sei santo neanche tu,perché parli?!’. Però bisogna parlare di Lui. Non si dice: ‘vieni a ve-dere la mia comunità com’è bella, vieni a vedere com’è santa’ Nondiciamolo, se è bella si accorgono loro. Quando uno dice: ‘questescarpe sono buone, sono le migliori’, lo scarpista ti sta imbroglian-do; devo capirlo io che sono morbide.

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Itinerario spirituale in AssisiPadre GIANCARLO ROSATI - ofm

Nel nostro cammino spirituale ci soffermeremo in particolarea meditare e visitare la basilica di S. Chiara e poi quella di S.Francesco. Soprattutto perché quest’anno sono settecento cin-quant’anni dalla morte di santa Chiara. È morta nel 1253, l’11 ago-sto. Iniziamo questo pellegrinaggio, questo itinerario spirituale daS. Chiara a S. Francesco, camminando attraverso la città, che è statapercorsa tante volte sia da Chiara che da Francesco. AddiritturaFrancesco qualche volta faceva la predica in silenzio, camminandoper la città solamente con il cappuccio in testa ele mani in manica,Una volta frate Rufino, uno dei più simpatici e primi compagni, ap-punto gli propose: andiamo a predicare. Si mise le mani in manicaa testa bassa, fece un giro per la città e tornò alla Porziuncola. ‘E lapredica?’. ‘Abbiamo già fatto la predica’ rispose.

Questa mattina potremmo anche noi andare un po’ così, ma-gari in silenzio, non come turisti, ma come pellegrini. È quello cheio vi propongo umilmente. Prendo come spunti di riflessione dueicone: il crocifisso di S. Damiano che si trova nella basilica di S.Chiara e l’altra – che non vediamo questa mattina perché si trovanella Porziuncola – il retablo, la tavola che è dietro l’altare e cherappresenta i quadri dell’Indulgenza, del Perdono, che nella lorosuccessione si configurano come una indicazione di itinerario diconversione, itinerario spirituale.

L’ultimo documento pastorale dei nostri vescovi è propriosugli itinerari di conversione e di fede – la terza nota pastorale sul-l’iniziazione cristiana – per coloro che o non hanno completato l’i-niziazione oppure si sono allontanati per tanti anni dalla Chiesa evogliono ritornare. Penso che in un futuro non molto lontano dellanostra pastorale parrocchiale, si deve proprio pensare agli itinerari,accompagnando le persone a diventare cristiani. Mi ha fatto im-pressione la citazione di una frase di Tertulliano, dentro questo do-cumento: “cristiani non si nasce, ma si diventa”. Penso che dobbia-mo impararlo anche noi in Europa. Un tratto forte della spiritualitàdi Francesco e di Chiara, che Chiara riprende nella sua Regola, ciaiuta a ripensare al cammino di fede che tutti dobbiamo fare. NellaRegola di Francesco, al capitolo X c’è un’espressione che dice:«Coloro che non sanno di lettere – parla ai frati – non si preoccupinodi apprenderle» (RegB X,8: FF 104) Attenti bene, non è che sia con-tro lo studio, ma contro un tipo di studio. Di fatto poi nella secon-da generazione francescana troviamo i frati nelle università più pre-stigiose d’Europa; pensate Duns Scoto, Alessandro Dial, sanBonaventura alla Sorbona di Parigi. Ma Francesco voleva che i suoi

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frati avessero un rapporto diretto, immediato, senza troppe media-zioni con il Signore: «coloro che non sanno di lettere non si preoccu-pino di apprenderle, ma facciano attenzione che ciò che devono desi-derare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santaoperazione; di pregare sempre con cuore puro e di avere umiltà, pa-zienza nella persecuzione e nelle infermità e di amare coloro che ciperseguitano e ci riprendono e ci calunniano» (RegB X,8-10: FF 104).

Desiderare di avere lo Spirito del Signore; è lo Spirito Santo dachiedere; è lo Spirito Santo che crea però, in chi lo riceve, lo Spiritodi Gesù, potremmo dire lo stile di Gesù. Avere lo stile di Gesù, i sen-timenti di Gesù, gli stessi atteggiamenti, il modo di relazionarsi diGesù. È questo un nucleo centrale di Francesco e di Chiara, perchéè superfluo dirlo, ma questo santi – senza Gesù Cristo – non sononulla. Francesco e Chiara sono nulla sganciati dalla figura delSignore Gesù. Ed è stato veramente Gesù, Dio-uomo, il centro dellaloro spiritualità e della conformità a Gesù. La Chiesa proclamòChiara santa dopo soli due anni dalla morte. Aveva passato ben qua-rantadue anni corporalmente rinchiusa a S. Damiano. Molti di que-sti quarantadue anni segnati dalla malattia; forse ventinove anni ma-lata. Non potendo avere da subito una Regola di vita propria – la re-gola è stata approvata due giorni prima della sua morte da papaInnocenzo IV che la approvò facendo un’eccezione ai canoni delConcilio Lateranense IV che aveva proibito l’approvazione di nuoveregole – Chiara visse per tutta la vita la Regola benedettina. Tuttaviaha lottato tutta la sua vita per avere la sua Regola.

Conosciamo tutti la sua vita: iniziò nel 1211 scappando dacasa. La sua casa sembra essere a fianco della facciata della catte-drale di Assisi, S. Rufino. Chiara scappò di casa e con un’amicafuggì alla Porziuncola dove Francesco l’attendeva e le tagliò i capel-li, la rivestì del saio e la consacrò davanti all’altare della VergineMaria. Poi la portò, dopo qualche giorno, siamo nella Domenicadelle Palme, al monastero delle Benedettine, che era a Bastia. Nellachiesa Chiara difese la sua vocazione. I parenti, appena saputo cheera fuggita e stava con Francesco si precipitarono al monastero delleBenedettine per riportarla a casa. Lei si scoprì il capo rasato e af-ferrò la tovaglia dell’altare per chiedere protezione alla Chiesa e ladovettero lasciare (cfr. LeggSCh 9: FF 3173). Ma la spiritualità be-nedettina non era la sua. Per questo, dopo pochi giorni, Francescoe altri frati la portarono in un altro luogo che è sopra Assisi, chia-mato S. Angelo di Panzo; c’è rimasta una piccola chiesa riedificata,dove c’era un nucleo di donne penitenti che vivevano nella pre-ghiera e nelle opere di carità. Era una forma di vita religiosa che sistava diffondendo al tempo di Chiara, ma nemmeno questa era lasua vita, la sua spiritualità. Lei stessa nel Testamento dice: “final-mente giungemmo a S. Damiano, per volontà di Dio e del suo servoFrancesco” (cfr. TestiSCh 30: FF 2834). Qui a S. Damiano esplose la

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vocazione di tante ragazze. Ormai Assisi non si difendeva più.Lasciava che i suoi figli oramai, alcuni con Francesco e altri conChiara, riempissero i luoghi e ingrossassero queste nuove famigliereligiose.

Proprio a S. Damiano c’è questa icona, il crocifisso di S.Damiano che credo oramai tutti conoscano. È di stile bizantino, di-pinto qualche decennio prima da un monaco siriano, e rappresentail Cristo vivo: ha gli occhi aperti, è in piedi, è ritto, come morto, di-rebbe san Giovanni nell’Apocalisse. Quindi è già glorificato. Ha isegni della morte, ha la piaga del costato; eppure è vivo, è risorto.Vi dicevo che Chiara, pur non potendo avere una sua Regola, nel1216 chiese ed ottenne, da papa Innocenzo III, un privilegio insoli-to, pensate un po’: Il privilegio della povertà, il privilegio di nonavere privilegi. Non solo la povertà personale, come era per i mo-nasteri in quel tempo, ma anche comunitaria. Quando, nel 1228papa Gregorio IX, il cardinale Ugolino, amico di Francesco, tentò inogni modo di mitigare la povertà di S. Damiano, volendo concedereal monastero di Chiara qualche proprietà e i redditi relativi, la santarispose: «Santo Padre a nessun patto e mai, in eterno, desidero esse-re dispensata dalla sequela di Cristo!» (LeggSCh 14: FF 3178). CosìGregorio IX il 17 settembre del 1228 confermò il Privilegio della po-vertà che Chiara aveva già ottenuto da Innocenzo III.

Chiara non aveva affatto la personalità di chi subisce le cose;la sua strenua lotta per la povertà e il fatto che sia la prima donnanella storia della Chiesa a scrivere una Regola per le donne lo dimo-stra ampiamente. Avrebbe potuto scegliere la forma di consacrazio-ne già esistente, benedettina o delle penitenti di S. Angelo di Panzo.La novità di vita di Chiara affonda le radici nella novità del carismaevangelico di Francesco. Anche la clausura perciò è vissuta da lei al-l’interno di questa radicalità evangelica. Per lei la clausura è il modocontemplativo del Signore Gesù povero e crocifisso; in manierasenz’altro complementare a quello itinerante di Francesco e dei suoifrati. Questo desiderio è ben espresso dal cardinale Rainaldo nellalettera di approvazione della Regola da lei scritta e dice così: «se-guendo le orme dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avetescelto di abitare corporalmente rinchiuse e di dedicarvi al Signore inpovertà somma per potere con animo libero, servire a Lui» (Bolla dipapa Innocenzo IV: FF 2748). La complementarietà dell’itineranza diFrancesco e della contemplazione di Chiara mi sembra sia beneespressa dall’icona del Crocifisso di S. Damiano che ora, visitando labasilica, potremo vedere. Le clarisse infatti, trasferendosi all’internodelle mura di Assisi, portarono con loro il Crocifisso nel 1260.Francesco aveva pregato davanti al Cristo vivo di S. Damiano neimomenti bui e decisivi della sua ricerca vocazionale e dalle labbradel Crocifisso era uscita questa risposta; si vede che era un po’ la do-manda che per un certo tempo Francesco portò con sé.

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Noi Francescani spesso, mettiamo in risalto i frutti, le opere,le conseguenze della sua scelta. È un po’ contraffatta la figura di sanFrancesco, quasi un ecologista ante litteram... gli animali, la natura.D’accordo, però forse non teniamo troppo in conto le radici dellasua spiritualità. Pensate, lui ha passato tre o quattro anni pratica-mente da solo, espulso dalla città, non tenuto in conto, quasi comefosse pazzo. Era ritenuto così da tutti; ma sono gli anni fecondissi-mi della sua spiritualità, gli anni della sua conversione, della suaesperienza di Dio. Poi quando sarà maturo, sarà il Signore stessoche lo metterà sul candeliere in modo che altri potessero convertir-si sul suo esempio. Sono importanti questi tre-quattro anni di vitadurante i quali successero molti episodi. Ve ne racconto uno. Lui de-siderava diventare cavaliere. Era un po’ il desiderio dei giovani deltempo. Attraverso questo titolo si diventava nobili; da borghesi oplebei si diventava nobili. Si era imbarcato per questo in un’avven-tura per andare al Sud dell’Italia, nelle Puglie e già nella primatappa, a Spoleto, Francesco si pentì e tornò indietro. Ci volle del co-raggio! Ma nel gruppo dei suoi amici chissà quali discorsi si agita-vano; le ricchezze, vivere agiatamente. Chissà quante cose che tur-barono fortemente l’animo sensibile di Francesco. E di notte fece unsogno a Spoleto. ‘Francesco – gli dice una voce – dove guadagni dipiù, seguendo il servo o servendo un gran signore?. ‘Beh, servendoun gran signore! E perché lasci allora il Signore e segui il servo?Francesco ha capito subito. Cosa devo fare? Torna ad Assisi e ti saràdetto (cfr. 2Cel II,6: FF 586-587).

Per cui il tempo, dopo questa esperienza, sarà dedicato a dareuna risposta a questo interrogativo: ‘cosa devo fare?’. «Cosa vuoiche io faccia o Signore?». È il tema della sua preghiera e pregando aS. Damiano, davanti al Crocifisso dagli occhi aperti, crocifisso vivo,glorificato, Francesco riceve una prima risposta di restaurare la suaChiesa. Comincia a fare il muratore; ha capito qual è la chiesa, fa ilmuratore, cioè restaura le pietre, non per un’errata interpretazionedel comando divino, ma per abitudine di concretezza. Era moltoconcreto. Non pensa di restaurare la Chiesa universale, la Chiesa diRoma, il papato, i vescovi; erano infatti tempi di crociate, non solocontro i Mori, ma anche contro gli eretici, contro i cristiani, controgli albigesi. Ma inizia da se stesso, da lì dove ha i piedi potremmodire, cioè si lascia coinvolgere in prima persona, fa i calli alle suemani, sperimenta la fatica e il sudore e tuttavia guarda lontanomentre restaura S. Damiano. Restaurò poi altre due chiese: S. Pie-tro, una chiesina nella campagna, e finalmente la Porziuncola. Maguarda lontano! e ne è testimone privilegiata Chiara che, non senzauna punta di orgoglio, ricorderà nel suo Testamento: «Mentre infat-ti, lo stesso Santo, che non aveva ancora né frati né compagni, quasisubito dopo la sua conversione, era intento a riparare a chiesa di SanDamiano, dove, ricevendo quella visita del Signore nella quale fu ine-

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briato di celeste consolazione, sentì la spinta decisiva ad abbandona-re del tutto il mondo, in un trasporto di grande letizia e illuminatodallo Spirito Santo, profetò a nostro riguardo» (TestSCh 9-11: FF2826). ‘Prima ancora che ai frati ha pensato a noi’, dice Chiara:«profetò a nostro riguardo ciò che in seguito il Signore ha realizzato».Chiara è la prima pietra preziosa della Chiesa restaurata dal Signoread opera di Francesco e del suo movimento.

Se Francesco è inviato per il mondo a testimoniare e ad an-nunciare il Vangelo – «va’ Francesco» (cfr, per esempio, LeggMaggII,1: FF 1038) – restaurando così la Chiesa, si può dire che la voca-zione di Chiara invece è quella di rimanere. È come se il Cristo leavesse detto: ‘Chiara tu rimani qui, davanti a me e restaura da quila mia Chiesa’. La clausura infatti non la taglia fuori e non la isolané dalle vicende di Francesco né dalla situazione della Chiesa.Addirittura Chiara vorrebbe partire per il Marocco con i frati, doveFrancesco già aveva inviato i suoi frati (cfr. ProcCan VI,6: FF 3029).La prima spedizione del Marocco è finita con il martirio dei primicinque frati. Quando Francesco seppe dei cinque esclamò allaPorziuncola: ‘ora posso dire di avere cinque veri frati minori’.L’esempio di questi cinque conquistò l’animo di un giovane, già dot-tore in teologia, agostiniano, che si chiama Antonio di Lisbona.Quando venne la successiva ondata di missionari, che passò perCoimbra, Antonio non resistette e volle essere uno di loro, a condi-zione che lo portassero in Marocco. Francesco nel suo tempo ha ria-perto la strada della missione. Credo che è stato proprio lui a darenuova spinta missionaria alla Chiesa. Francesco mandò missionariin Francia, in Spagna, in Marocco, in Siria, in Terra Santa, inGermania, in Inghilterra (1224). Un compagno di Francesco è ilprimo che si recò dai Mongoli, come legato pontificio di InnocenzaIV, prima ancora di Marco Polo: fra’ Giovanni da Pian del Carpine,il quale poi scriverà la Historia mongalorum. Chiara vorrebbe se-guire questa spinta, vorrebbe andare anche lei in Marocco, vorreb-be dare la sua vita a testimonianza per Cristo. Ma da S. Damiano sifa consigliera dei frati, specie dopo la morte di Francesco. È lei ilcentro del movimento francescano fino alla sua morte. Si fa consi-gliera anche di tanti pellegrini che salgono fino a S. Damiano.Chiara si sente, con la sua contemplazione, con la sua comunità disorelle, «sostegno delle membra vacillanti della Chiesa» (LettIIIAg 8:FF 2886).

Ecco allora l’icona del crocifisso. Chiara è rimasta in preghie-ra davanti al crocifisso di S. Damiano, mentre Francesco è per ilmondo ad annunciare il Vangelo. Questa è una costante dellaChiesa. La Chiesa ha proclamato patrono delle missioni sanFrancesco Saverio, ma patrona delle missioni è pure Teresina delBambin Gesù che è vissuta sette anni in monastero e non è maiuscita. Il Crocifisso di S. Damiano rappresenta in sé la doppia di-

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mensione del Cristo, se volete la doppia natura, attraverso due cita-zioni bibliche, il Sal 45[44],3: «tu sei il più bello tra i figli degli uo-mini» e attraverso la citazione di Is 53,3: «disprezzato, il più viledegli uomini». Due citazioni che Chiara unisce in una sua letterascritta ad Agnese di Praga, quasi mandandole questa icona in scrit-to. Manda l’immagine del Crocifisso di S. Damiano ad Agnese diPraga attraverso una lettera: «Vedi che Egli per te si è fatto oggettodi disprezzo, e segui il suo esempio rendendoti, per amor suo, sprege-vole in questo mondo. Mira, o nobilissima regina – Agnese di Pragaera figlia del re di Boemia – lo Sposo tuo, il più bello tra i figli degliuomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprez-zato, percosso» (LettIIAg 19-20: FF 2879).

Queste due citazioni, in tantissimi Padri e anche dopo, sonocitate insieme perché rivelano la doppia natura di Gesù: quella di-vina, il più bello tra i figli degli uomini, e quella umana, percosso ilpiù vile degli uomini. L’icona del crocifisso di S. Damiano è dipintain modo tale che contiene in sé questa doppia dimensione, perchécontiene lo splendore, contiene la vittoria della risurrezione, contie-ne i colori della vita, contiene la fermezza in piedi il Cristo vittorio-so sulla morte, ma contiene anche i segni della passione, quindi isegni della morte: «... disprezzato, percosso e in tutto il corpo ripetu-tamente flagellato e morente perfino tra i più struggenti dolori sullacroce. Medita e contempla e brama di imitarlo» (LettIIAg 20: FF2879).

Poi ancora aggiunge Chiara, perché non è solamente la con-templazione fine a se stessa, ma la contemplazione per la confor-mità a Cristo: «Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui pian-gerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai sulla croce dellatribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore deisanti, e il tuo nome sarà scritto nel Libro della vita e diverrà famosotra gli uomini» (LettIIA 21-22: FF 2880). Quindi l’invito, andandoalla basilica, è proprio di sostare in preghiera. Poi reciteremo insie-me la preghiera che Francesco faceva davanti a questo Crocifisso.Sostare e divenire un po’ anche noi come Chiara, assumere lo sguar-do contemplativo di Chiara sul Crocifisso.

Vi presento brevemente anche l’altra icona della Porziuncola,l’icona dell’indulgenza del perdono che il pittore, prete Ilario daViterbo, nel 1393 dipinse in quella tavola che si può contemplarenella Porziuncola. Ci sono cinque quadri fondamentali, che rivela-no in qualche modo un itinerario spirituale di Francesco. Ho vistopoi che anche il documento che vi ho citato, la terza nota pastora-le, presenta cinque tappe del cammino spirituale e mi sono accortoche ci può essere anche una concordanza con questa esperienza diFrancesco.

Al centro del retablo campeggia la scena dell’annunciazione:Maria che ascolta l’annuncio dell’angelo e crede. Concepisce nel

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suo seno il Verbo di Dio per opera dello Spirito Santo per poi do-narlo al mondo. Ascolta, crede, concepisce e dona al mondo. CosìFrancesco e ogni cristiano, ascoltando e credendo la Parola di Dio,vengono rigenerati e conformati a Cristo per opera dello Spirito.Così rigenerati ciascuno può divenire, come Maria e come l’angelo,annunciante che porta e annuncia il Verbo e la grazia agli uomini.Le altre scene poi sono: la scena del perdono, il cammino peniten-ziale dell’ascolto fiducioso e obbediente di Francesco; la visione diGesù che concede la grazia del perdono per intercessione di Maria;l’annuncio-richiesta dell’indulgenza al papa; il dono-annuncio aipellegrini della grazia della Porziuncola. Analizziamole brevemente.

Primo quadro: Francesco nudo di fronte alle spine, non solomateriali, ma che simboleggiano anche i limiti della vita. Uno dei li-miti più grandi era l’affrontare il lebbroso; è stato un momentomolto importante, tanto che è l’unico che Francesco ricordi nel suoTestamento di quei tre-quattro anni di conversione propria (cfr. Test2: FF 110), e Francesco l’ha affrontato con coraggio. Nel dipintoFrancesco si spoglia, è nudo, si getta tra le spine per vincere la ten-tazione diabolica. Il racconto dice che le spine si mutarono in rosebianche e rosse. Francesco aveva compiuto un gesto analogo quan-do si era trovato davanti al volto sfigurato dei lebbrosi. Aveva supe-rato l’orrore e l’amarezza baciandoli e ciò che era amaro gli si tra-sformò in dolcezza (cfr. Test 3: FF 110). Il principio del cammino diconversione consiste sempre nel mettersi a nudo come Adamo edEva dopo il peccato (cfr. Gen 3,11) come ciascuno di noi nel giornodel battesimo. È necessario rientrare in se stessi, arrivare al fondodella propria anima, fare una volta per tutte verità su di sé senza piùmaschere e difese.

È Dio stesso che ci fa sperimentare la nostra condizione di li-mite, la morte, la paura della morte o una grave malattia, un falli-mento affettivo, la vecchiaia che avanza. Così si esprimel’Apocalisse: «Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisognodi nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero,cieco e nudo» (3,17). Chi si ostina a rifiutare i propri limiti, il propriovero io, non vedrà mai fiorire le rose, proprio là dove le spine piùpungono. Se Dio nasce in noi allora tutto diventa nuovo. Le spine in-cominciano a portare rose, la roccia diviene sorgente di acqua chescorre, il deserto fiorirà e la nostra oscurità diverrà luminosa.

Secondo quadro: Francesco rivestito e pieno di gioia è ac-compagnato da due angeli verso la chiesina della Porziuncola. La si-curezza del cammino spirituale e di ogni sorta di discernimento civiene dalle guide giuste. Francesco, fin dagli inizi della sua conver-sione, si preoccupò di consultare il sacerdote di S. Damiano, il sa-cerdote della Porziuncola, il vescovo di Assisi, il papa InnocenzoIII. L’incontro con Innocenzo III all’inizio fu un po’ difficile. C’è unafonte francescana che ricorda l’episodio. Francesco si presentò con

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i primi dodici compagni con una Regola, con un proposito di vita,che era fatta di citazioni, di versetti di Vangelo e forse con alcunenote sul digiuno e sulla preghiera, chiedendo al papa l’approvazio-ne. Innocenzo al vederseli davanti, immaginate come erano vestitiquesti primi compagni e come erano entusiasti, gioiosi, quasi inge-nui, sembra abbia risposto in modo molto duro: vuoi che io ti ap-provi una Regola? Ma vai a leggerla ai porci la tua regola. Rivoltolaticon loro nel fango e poi vedremo (cfr. FF 2285). È stata una provamolto dura per Francesco. Ma Francesco, che non aveva più ag-gressività dentro (il papa stava a S. Giovanni in Laterano, quindiquasi in periferia di Roma) si mise a cercare i porci e trovatili si ri-voltolò con loro nel fango e tutto sporco e puzzolente si presentò dinuovo al Papa: ‘ho fatto quanto tu mi hai detto, però approvami laRegola’. Sembra che il papa sia rimasto sconvolto dalla mitezza eobbedienza di un uomo. ‘Vai a lavarti e poi vedremo’. Approvò oral-mente la regola; Va’ e se il Signore vi fa crescere in numero tornate,perché vi darò altre benedizioni, disse il papa (cfr. 1Cel 33: FF 375).

Quanto Francesco ama la Chiesa di Cristo! E non si ferma,nemmeno di fronte a questo affronto quasi durissimo da parte delpapa. Possiamo quindi dire che Gesù stesso si fa guida di chi simette nel suo cammino.

Terzo quadro: al centro del retablo della Porziuncola c’è laVergine Maria, il Cristo nella mandorla della trascendenza e Fran-cesco inginocchiato davanti, che davanti all’altare della Porziun-cola, vide Cristo Signore e la Vergine Maria sua madre alla sua de-stra, con grande moltitudine di angeli. Francesco ormai senza piùdifese, spoglio del proprio io egoista può entrare nel mistero di Dioe stare faccia a faccia con lui. Era divenuto capace di fare le do-mande giuste a Dio, di chiedere ciò che era conveniente domanda-re! Nel silenzio della Porziuncola, nudo di interessi personali, comeGesù sulla croce, non chiese nulla per sé, ma grazia e perdono peri peccatori. L’esperienza di Dio, nella totale dimenticanza di sé, è ilpunto di arrivo del cammino personale di conversione. Accettare sestessi, fare un cammino dietro una guida, obbedire, mettersi in ob-bedienza quindi, e poi entrare in modo immediato nel mistero diDio. Forse questo intendeva Francesco quando dice: “dobbiamo de-siderare sopra ogni cosa di avere lo Spirito del Signore”... andare aDio direttamente.

Il punto di arrivo del cammino personale di conversione è fareesperienza di Dio nella totale dimenticanza di sé,. Anche perchéquesta sarà la condizione finale di chi è destinato alla salvezza.Dice von Balthasar in uno scritto, Cordula: “nella Chiesa nulla è maidivenuto fecondo che non sia giunto alla luce della comunità dallaoscurità di una lunga solitudine”.

Quarto quadro: Francesco, ottenuta l’indulgenza dallo stessoGesù, si affretta ad annunciarla alla santa Chiesa nella persona del

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papa Onorio III, chiedendone approvazione e conferma, consape-vole di fare una richiesta abnorme e inusuale a quel tempo.Fiducioso si presentò al papa, che era a Perugia in quel momento,come un bambino ricorre a suo padre, sicuro che non gli può nega-re nulla. Francesco aveva imparato ad amare la Chiesa quando ilcrocifisso a S. Damiano si era rivolto a lui dicendogli appunto: «va’Francesco e ripara la mia Chiesa». Ma l’amava anche nei lebbrosisfigurati, nei sacerdoti poverelli, nel suo vescovo Guido.

Francesco una volta, andò in un paese, dove c’era un eretico,che lo affrontò e gli disse: ‘guarda che c’è il nostro parroco, il nostroprete, che è concubino. Tu che sei Francesco, così famoso, lo deviriprendere’. L’eretico si aspettava chissà quale romanzina facesseFrancesco al parroco. Invece quando fu davanti a lui si inginocchiòe baciò le mani di questo sacerdote ‘perché le sue mani consacranoil corpo e il sangue del Signore’. Così diceva ai frati: «io non vogliopredicare nelle parrocchie di sacerdoti poverelli contro la loro vo-lontà, perché loro sono miei signori» (cfr. Test 8: FF 112).

Francesco ama la Chiesa in tutte le persone. Negli Atti degliApostoli la Chiesa è detta “la via” (cfr. 9,2), cioè il cammino di con-versione e di fede. Essa è la madre premurosa di tutti, è la sposabella di Cristo, è la certezza del cammino di Francesco e dei suoifrati, sempre sudditi alla Chiesa romana, diceva Francesco (cfr.RegBoll XII5: FF 108). È il punto di riferimento che dà concretezzaai doni che Dio fa a ciascuno. Quindi l’esperienza di Francesco èsaldamente ancorata alla Chiesa.

Quinto quadro: Francesco su un pulpito insieme ai vescovidell’Umbria, scesi da Perugia ad Assisi per consacrare la chiesinadella Porziuncola. Francesco annuncia alla folla accorsa il grandedono dell’indulgenza esordendo con le parole: “fratelli voglio man-darvi tutti in paradiso” (dal Diploma di Teobaldo, FF 3397, editiominor). Questa parole fanno eco a quelle rivolte da Gesù nudo sullacroce al ladrone pentito: «oggi sarai con me nel paradiso» (Lc23,43). Anche Francesco, nudo di se stesso come Gesù, ha ormai as-sunto la stessa ansia di salvezza per il mondo. La gratuità del per-dono dato al ladrone pentito è la stessa grazia del perdono dellaPorziuncola, che Francesco annunciò il 2 agosto 1216.

Solo facendo come Francesco un cammino di conversione e difede nella nudità di se stesso, nell’esperienza contemplativa all’in-terno della Chiesa come guida e cammino, si è abilitati alla evange-lizzazione della grazia e della Parola, proprio come Maria nel mi-stero del sì, iniziato nell’annunciazione fino al Calvario e al Cena-colo, a sostegno della Chiesa che muove i primi passi. Non a caso,nel 1200, Francesco apparve nell’immaginario di molti come unaltro Cristo e Chiara come colei che ha rinnovato la Vergine Marianella Chiesa.

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Relazioni

• Il discernimento comunitarioper l’edificazione della comunità ecclesiale

• La Chiesa. Casa e Scuola di Comunione

• Essere Chiesa in un contesto di minorità: Asia

• La Chiesa in Medio Oriente

• Potenzialità e rischi che si incontrano nell’annuncio del Vangelo

• La Chiesa per la Pace. A quarant’anni dalla Pacem in Terris

• Per una Chiesa tutta ministeriale

• Una Chiesa senza confini

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Il discernimento comunitarioper l’edificazionedella comunità ecclesiale

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S. Ecc. Mons. LORENZO CHIARINELLI - vescovo di Viterbo

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

Prendo volentieri la parola, anche se con trepidazione. Miviene in mente una pagina a voi nota, e credo a tutti noi cara, disanta Teresa di Gesù Bambino, laddove – volendo fare tutto – dice:‘non è possibile, ma qualcosa posso identificarla’ e parla del voleressere il cuore della Chiesa, perché così riesce a dar parola ai pre-dicatori, il coraggio ai testimoni, la fedeltà alle realtà che ci accom-pagnano. Così voi, lo dico con convinzione, costituite questo cuoree allora è bene che ci sentiamo, ci vediamo e camminiamo, anche sedobbiamo sperimentare fatiche. Mi è stato chiesto di svolgere unarelazione molto impegnativa. Ci vorrebbe una settimana per potersvolgere questo tema in maniera adeguata! Non intendo portarenella coscienza, oltre le mie responsabilità, anche quella di atter-rarvi con una relazione poderosa e quindi la renderò veloce, mi au-guro anche chiara e soprattutto utile, perché voi possiate ulterior-mente svilupparla. Trattandosi però di una settimana di formazionemi conforto, perché – poter impegnare sul piano della conoscenza –è un fatto che voi già avete previsto. D’altra parte quando il Signoreci dice che dobbiamo amarlo ci dà anche diverse dimensioni: “amar-lo con tutta la mente, amarlo con tutto il cuore, amarlo con tutte leforze” (cfr. Mc 12,33). Non sono settori separati e disgiunti. Questasera facciamo anche un po’ di sforzo con la mente, anche perché neidoni dello Spirito che abbiamo invocato l’ultimo è quello di sapien-za e non a caso abbiamo detto questo: ‘ti invoco, aiutami a scorge-re nel mondo intero i segni della presenza di Dio’. Potremmo rias-sumere con questa espressione la parola discernimento. Aiutarsi adiscernere, a riconoscere o come noi abbiamo pregato, a scorgere isegni della presenza di Dio in questo nostro tempo. Giovanni PaoloII, nella Novo millennio ineunte, ci dice: «andiamo avanti con spe-ranza» (n. 58). Carissimi fratelli e sorelle: avere occhi penetranti pervedere l’opera che Dio sta compiendo e vuole compiere nella storia:questo è ciò che vogliamo proporci.

I vescovi italiani ci hanno ampiamente sollecitato a questocompito. Nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo checambia, al n. 34 è scritto così: «Partiremo dunque interrogandocisull’oggi di Dio, sulle opportunità e sui problemi posti alla missione

1.Introduzione

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della Chiesa dal tempo in cui viviamo e dai mutamenti che lo ca-ratterizzano». E continua dicendo che “Questa attenzione all’oggi diDio ha due fronti”. Il primo: ascolto della cultura del nostro mondo;e questo è un tema molto impegnativo che richiede uno sforzoanche intellettuale. Il secondo, al n. 35: cercare di sperimentare latrascendenza del Vangelo, che entra nella storia degli uomini, nelleculture degli uomini. Ma il Vangelo non si identifica con nessunacultura, le supera, le trascende. Voi che siete impegnati soprattuttonell’opera missionaria ben lo sapete.

Vorrei richiamare brevemente che quest’opera di discerni-mento non è recente, anche se appare molto nei documenti delVaticano II, in particolare la Gaudium et spes, e nella lettura deiswgni dei tempi di cui parlava Giovanni XXIII. Questo discernere ècosa antica. Tre brevissimi flash per dire quanto antica sia questasollecitazione.

– Gesù, nel Vangelo di Matteo, cap. 16, v. 1-3: «I farisei e isadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero unsegno dal cielo. Ma egli rispose: Quando si fa sera, voi dite: Beltempo, perché il cielo rosseggia: e al mattino: oggi burrasca, perchéil cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cieloe non sapete distinguere i segni dei tempi?». La domanda la poneGesù, quasi a dire: ‘questo è compito vostro! Conoscete i segni dellanatura, sappiate scoprire anche i segni di Dio!’.

– Un altro esempio, dagli Atti degli Apostoli. Voi tutti, proprioperché impegnati nella missione, ricorderete la conversione di Cor-nelio, il centurione, il primo pagano che si converte. È Pietro cheviene chiamato nella città di Giaffa ha una visione, per cui si decidea battezzare Cornelio, un pagano, e la sua famiglia. Perché? Perchévede scendere su di loro lo Spirito Santo (cfr. At 10,44). Questo scon-volgeva le categorie culturali non solo del giudaismo, ma anche dellaincipiente comunità cristiana e Pietro viene quasi chiamato a rappor-to a Gerusalemme, dalla comunità, ‘perché hai fatto questo? Comemai hai battezzato e prima ancora sei entrato in una casa di un pa-gano e hai mangiato dai pagani?’. E Pietro come risponde? ‘Io mi ri-cordai della Parola del Signore che diceva: Giovanni battezzò conacqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo. Se dunque Dio(ecco, questa espressione scriviamola nei nostri cuori!) ha dato a lorolo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chiero io per porre impedimento a Dio? (cfr. At 11,1-18). Ecco il discer-nimento: Pietro lì ha colto il segno di Dio e lui, il primo degli aposto-li, quello a cui Gesù aveva detto: “ciò che legherai sarà legato, ciò chescioglierai sarà sciolto” (cfr. Mt 16,19), quello che aveva ricevuto daGesù il comando: “pasci il mio gregge” (cfr. Gv 21,15.16.17) dice: “chiero io per porre impedimento a Dio?” (At 11,17).

– Guardiamo ora a Paolo. Leggete i capitoli 12–14 della PrimaLettera ai Corinzi. La Chiesa di Corinto è una Chiesa difficile, ma

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anche una Chiesa bella, piena di carismi, di gente entusiasta chevuole vivere in maniera generosa la propria fede. Ma quando i cari-smi sono tanti non è sempre facile metterli d’accordo. E allora?Paolo dice: ‘i carismi sono doni di Dio, la profezia, il parlare le lin-gue, tutto quello che voi volete, ma ce n’è uno, che è la via miglio-re: l’amore. Perché se non ho l’amore a nulla serve la fede, se nonho l’amore a nulla vale il martirio, bruciare il proprio corpo, se nonho la fede a nulla vale la profezia (cfr. 13,1ss). E allora questo è ilcarisma vero. Ma la carità è nome facile ed esperienza difficile.Allora Paolo, nel capitolo 14, dice: ‘mettiamoci insieme e ricordateche ogni carisma deve servire per edificare la comunità cristiana,per il bene comune (cfr. v. 14). Se non edifica è un carisma, è undono di Dio, ma tenetelo per voi! Difatti porta l’esempio del parla-re altre lingue: ‘c’è qualcuno che parla una lingua strana? Bene, chipuò interpretarla? Se non la interpreta nessuno, dice, stai zitto...perché? Perché è un carisma, ma non serve per edificare la comu-nità. Ecco il discernimento.

Discernere nella Bibbia, insieme ad altri termini, vuol direesaminare, valutare, provare. E discernere, voi lo sapete, è opera diDio, il quale scruta la profondità del nostro io. Però in Cristo è statodato a noi lo Spirito Santo che è Spirito di verità il quale è memo-ria. Dice Gesù: «vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).È profezia: «vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13). E abilitaa riconoscere i segni di Dio; anzi addirittura dice Paolo: «lui che co-nosce i segreti di Dio» (cfr. 1Cor 2,11) ci fa leggere nella storia comeDio agisce e come Dio opera. Voi subito comprendete che discerne-re è rendersi sensibili all’azione dello Spirito nella comunità degliuomini per favorire quelle realtà e quei processi che appaiono mossidallo Spirito di Dio, per smascherare e contrastare i dinamismi per-versi e per far fiorire i germi di verità, di giustizia, di amore, di paceche Dio semina nella storia degli uomini.

Il discernimento non è un processo sociologico; è un’operadello Spirito, perché, lo Spirito che ci è comunicato, ci deve abilita-re a leggere, a riconoscere i segni che Dio mette nella nostra storia.Si tratta dunque di due elementi: il primo è l’essere in sintonia conDio, a livello di singoli, ma anche delle nostre Chiese; se non siamoin sintonia con Dio, noi non faremo mai opera di discernimento,perché è Lui che ci dice il colore, il sapore, il gusto della sua pre-senza; il secondo è essere dentro la storia, perché è lì che Dio se-mina la sua realtà di salvezza ed è lì che realizza il suo progetto. Ungrande teologo protestante Karl Bart diceva che il cristiano ha duemani, perché in una deve avere la Bibbia e nell’altra il giornale,quasi a dire: con la Bibbia siamo in sintonia con Dio, che ci svela il

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2.Che cos’è il

discernimento?

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suo progetto, e il giornale, la storia degli uomini, le realtà di ognigiorno, i meccanismi del nostro cammino, perché dobbiamo vederese in essi c’è la perversità di ciò che impedisce il realizzarsi del pro-getto o se in essi ci sono quelli che i padri della Chiesa chiamavanoi germi del Verbo.

Dio è colui che salva, e in ogni angolo del mondo e in ognicuore di qualsiasi lingua, razza, popolo e nazione Egli mette i germiche sono quelli di una fioritura che oggi vediamo provvisoria, mache un giorno diventerà la messe abbondante del regno di Dio.Perché il regno è già venuto, ma proprio il Concilio, come abbiamoletto nella lettura patristica dell’Ufficio delle Letture dell’altro ieri,regnum Dei presens in misterio. Il regno di Dio è presente, ma sa-cramentalmente, nel mistero e non è ancora realizzato nella suapienezza. Non possiamo fare di ogni erba un fascio. In questomondo, c’è il grano e c’è la zizzania. Non si può dire tutto grano,no... non si può dire tutta zizzania e questo è importante che noi loavvertiamo.

Il discernimento poi richiede la pazienza; perché? Ricordate:nella stessa parabola è Gesù che lo dice, quando – rivolto a coloroche volevano sradicare la zizzania – afferma: no, abbiate pazienza,perché se sradicate la zizzania togliete anche il grano buono.Aspettate, verrà il giorno e il giorno non è il nostro... quell’oggi dellosradicamento non è il tempo in cui noi viviamo, verrà ed è opera diDio (cfr. Mt 13,24ss.). Discernere è atto faticoso.

Per poter fare il discernimento innanzitutto dobbiamo assu-mere alcune categorie teologiche nei confronti del mondo. Gesù ci hadetto: “voi siete nel mondo, ma non siete del mondo” (cfr. Gv 15,19).Qual è dunque il tipo di rapporto fra noi, comunità cristiana, e ilmondo in cui viviamo? Ci sono alcuni tipi di rapporto sbagliati, ina-deguati, insufficienti, devianti. Li indico con alcuni avverbi.

– Una posizione la chiamerei il ‘modello del contro’. È l’at-teggiamento polemico, concorrenziale, alternativo ad ogni realtàdella storia. Coloro che, per psicologia o per scelta, sono semprecontro a tutto e a tutti.

– Secondo, il ‘modello del sequestro’; voi sapete che cosa vuoldire il sequestro! Prendere una realtà, una persona e chiuderla den-tro una gabbia. Noi corriamo questo rischio di essere sequestrati;sequestrati da una cultura, da un’economia, da un contesto sociale.E la Chiesa non può essere sequestrata, né sequestrare!

– C’è un altro atteggiamento inadeguato: ‘essere fuori’, cioè ilpensare che il mondo va per la sua strada e noi ci facciamo un pic-colo spazio, una zona privilegiata, se volete uno spazio di riserva,così mentre la gente vive quello che è il cammino ordinario noi vi-

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3.Che cosa richiedeil discernimento?

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viamo una realtà che è altra. Dio non ci ha messo nel mondo per-ché fossimo un altro mondo, ma ci ha messo nel mondo perché fos-simo un mondo altro, cioè presenti, ma in maniera diversa.

Questi modelli non ci consentiranno mai di fare discernimen-to, perché l’uno è contro, l’altro è sequestrato, l’altro è fuori.

Non dobbiamo dividere ciò che Dio ha unito (cfr. Mc 19,6).C’è una grande tentazione, che esprimo con una parola difficile, ten-tazione dicotomica, cioè delle due realtà, aut, aut direbbe il titolo diun libro di Kierkegaard. No, noi crediamo in Gesù Cristo che non èo Dio o uomo. No! Gesù Cristo è Dio e uomo. Allora ci ha insegna-to l’et, et. Oggi è facile anche per noi cristiani dire: o Dio o l’uomo,o il tempo o l’eternità, o il corpo o l’anima. Non è vero, perché ilSignore ci ha insegnato il corpo e l’anima, il tempo e l’eternità, Dioe l’uomo. Questo è un atteggiamento, è una mentalità che non dob-biamo dimenticare. Perché il Dio in cui noi crediamo – e qui ancheil dialogo con le altre religioni, trova il suo nodo portante – è il Diodi Gesù Cristo, ed è Gesù Cristo, il quale per sempre si è legato al-l’esperienza umana, è Dio e uomo, per sempre, in una persona.

C’è anche un’altra tentazione, quella che io chiamerei ridutti-va, quella che mette la fede dentro certi schemi, di carattere socio-culturale o di carattere economico o di carattere politico o comun-que di carattere mondano. La fede si incarna nella vita; la riduzio-ne invece significa che io voglio risolvere la fede nei meccanismidella storia e questo non è vero; perché? Perché la fede li trascende,quello che i vescovi ricordano nel documento al numero 35 degliOrientamenti e perché la fede è sempre oltre.

Per poter fare discernimento occorre una metodologia corret-ta; permettete che sottolinei questa parola, una metodologia, dob-biamo impararla. Cosa chiede questa metodologia? Non posso quidilungarmi molto. Vi rimando a tre documenti: la Mater et Magistrae la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, la Gaudium et Spes del con-cilio, oltre a molti altri, in particolare alle encicliche sociali di Gio-vanni Paolo. Presento alcune indicazioni per una metodologia cor-retta.

– Attenzione alla storia. Quando dico questo voglio dire ilcondividere la condizione umana per il mistero della creazione edell’incarnazione, l’essere solidali con l’uomo che cammina neltempo. La Gaudium et Spes, lo dice in maniera stupenda: “Le gioiee le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei po-veri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e lesperanze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (n 1).Quando sentiamo qualche slogan: ‘ogni uomo è mio fratello’... nonè uno slogan, è una verità di fede. È come dire: Dio è Dio e Dio è il

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4.Metodologia

del discernimento

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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nostro Dio, perché? Perché il cristiano è solidale con l’uomo e conla sua storia, quindi bisogna condividere. Capite perché non si puòfare discernimento se non sono dentro; cosa riesco a discernere senon condivido e non partecipo?!

– Essere consapevoli della ambivalenza delle situazioni. Cosavuol dire ambivalenza delle situazioni? Noi viviamo nel tempo ecamminiamo verso l’eternità. Un grande teologo luterano, che èmorto impiccato in campo di concentramento, Bonhoefer diceva:‘noi viviamo nelle cose penultime, ma crediamo nelle ultime’. Le si-tuazioni umane sono sempre relative e noi corriamo il rischio discambiare il regno di Dio con il dominio dell’uomo. Qui si possonoprendere i grandi abbagli della storia per cui scambiamo il regno diDio con le realizzazioni che si vanno facendo. C’è una situazione disuccesso, di benessere?: ‘questo è il regno di Dio’. Attenti! Anche ildemonio a Gesù disse: “di’ che queste pietre diventino pane” (cfr.Lc 4,3); “ti darò tutto se tu prostri dinanzi a me” (cfr. Lc 4,7); “io tidarò successo se mi adorerai” (cfr. Mt 4,7). Anche Gesù, a Pietroche gli diceva: “queste cose non ti accadranno” (cfr. Mt 16,22), ebbea dire: “vattene, Satana!” (cfr. Mt 16,23). È facile scambiare il regnodi Dio con le parziali realizzazioni della storia umana.

– Fede viva e vivificante del mistero pasquale. Quello pa-squale è il mistero di Cristo che muore e risorge ed è il cuore dellastoria, perché nella storia noi troviamo morte e risurrezione diCristo ogni giorno. Come si fa ad operare discernimento senza vive-re nella propria vita e nell’esperienza comunitaria il mistero dellaPasqua?

– Realizzare un’esperienza di fede in una comunità ecclesialecome luogo privilegiato della presenza del Signore, perché il sogget-to del discernimento è la comunità. Noi vescovi, in un documentoche parlava anche delle missioni qualche anno fa, abbiamo dettoche il cristiano non è un navigatore solitario. Questo vale per tutti:per i vescovi, per i presbiteri, per i missionari, per le suore, per i re-ligiosi, per tutti! Non siamo navigatori solitari, facciamo parte diuna comunità, la Chiesa e la Chiesa è ekklesia, cioè luogo dove, chirisponde ad una chiamata, si trova a formare la santa convocazionedi Dio, come ieri abbiamo sentito nel libro di Giosuè che rinnova aSichem l’alleanza fra Dio e il suo popolo (cfr. Giosuè 24). Discerni-mento per costruire una comunità.

Se questo è vero, allora voi capite che, per fare discernimen-to, occorre una preghiera comunitaria condivisa; dobbiamo impara-re a pregare per conoscere l’oggi di Dio: ‘Signore che cosa vuoi chenoi facciamo? Perché chi opera sei tu’. Dobbiamo scambiarci, inuna riflessione di fede, le nostre esperienze su situazioni, su realtàche viviamo e favorire la valutazione comune, perché ciascuno dinoi possa offrire il suo contributo. Dobbiamo imparare a pensare se-condo Dio! Ricordate il rimprovero, che ho già citato, di Gesù a

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Pietro, quando Gesù comincia a dire che il figlio dell’uomo andrà aGerusalemme, sarà preso, condannato, messo a morte...: “Signore,questo non ti accadrà mai! Gesù gli dice (noi traduciamo vatteneSatana; alla lettera si deve tradurre) vai dietro a me tentatore”; die-tro a me, cioè non mi passare davanti, non tracciare tu la strada, lastrada la traccio io, tu vieni dietro! Poi gli dice: “perché tu pensi se-condo gli uomini e non secondo Dio” (cfr. Mt 16,23). Per discerne-re dobbiamo imparare a pensare secondo Dio, come ricordavaPaolo ai cristiani di Tessalonica: «esaminate ogni cosa, tenete ciòche è buono» (1Ts 5,21).

Voi direte: ‘va bene, questo è un metodo’, ma come appli-carlo?

Guardandoci oggi intorno sul piano socio-culturale notiamoalcuni grandi fenomeni che nessuno di noi, anche se non è uno stu-dioso di filosofia o un ricercatore di scienze sociali può ignorare. Citroviamo di fronte ad un grande passaggio culturale; è un’epocanuova quella che si è aperta con il terzo millennio. Pensate, citosolo qualche cifra: lo sviluppo scientifico, l’esplosione della civiltàtecnologica, l’organizzazione della società, l’allargarsi dell’orizzon-te su tutti i fronti. Da filosofo, uno qui potrebbe dire: ‘assistiamo aduna grande parabola’. Nell’800 abbiamo avuto il trionfo della ra-gione con l’idea di illuminare tutto; in quel periodo c’era l’illumini-smo, che diceva: ‘noi conosciamo o possiamo conoscere tutto ilreale’. Una formula di Hegel diceva: ‘il reale è razionale, il raziona-le è reale, cioè l’uomo, la sua ragione illumina tutto’. L’assolutodella ragione ha prodotto gli assolutismi nel secolo XX, il grande se-colo degli assolutismi: il comunismo, il fascismo, il social nazismo;sono gli assolutismi e la grande luce si è spenta. Il crollo delle ideo-logie ha generato che cosa? Quello che noi oggi andiamo esaminan-do, con una frase del profeta Isaia: «quanto resta della notte?»(21,11): dalla luce al buio. Ed ecco che allora c’è lo svuotamento deisignificati: da tutto è luce, tutto è buio! Allora le domande: ma chesenso ha la storia? Ma che senso ha la vita? Ma esiste la verità?Ecco questo nomadismo delle interpretazioni, come a me piacechiamarlo.

Tutto questo si è tradotto anche nel piano religioso. Pensate ilsoggettivismo della fede o chiamatelo pure relativismo. Oggi quasitutti si dicono credenti, ma ognuno ha una sua fede. Perché? Perchéla fa a propria immagine. Il soggettivismo del credere, non noi cheusciamo dal nostro io e andiamo verso Dio, no... ma il prendere Dioe portarlo alla propria statura. L’appartenenza alla comunità eccle-siale: certo, ma un’appartenenza parziale. ‘Tu sei cristiano?’. ‘Cer-to’. ‘Ma i sacramenti li conosci?’. ‘Sì, ma invece di sette a me ne ba-

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5.Esemplificazioni

nell’oggi

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stano cinque!’. ‘Tu i comandamenti li vivi?’. ‘Sì è vero, ma invece didieci, quattro sono già troppi!’. Ecco l’appartenenza parziale; nonsolo, ma il consumismo religioso. Tutti entrano in chiesa o perlo-meno tanti, ma le modalità sono diverse. Uno vi entra perché trovao vuol trovare una comunità, uno vi entra perché vuole elevare lospirito a Dio, uno vi entra perché vuole accendere una candela, unaltro vi entra perché cerca una raccomandazione... Che cos’è l’a-spetto religioso o l’esperienza religiosa? Un mercato, un supermer-cato, dove ognuno entra e prende quello che vuole e quello che gliserve: ‘questo, ma no! questo non mi serve, prendo quest’altro!’.

È un appiattimento e uno svuotamento del vero che viene ac-cantonato, per cui c’è una religione oggi senza verità, anche se noicrediamo in uno che ha detto: «io sono la verità» (Gv 14,6), in unoche ha detto: «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Oggi la domanda:«Che cos’è la verità?» (Gv 18,38), quella che Pilato fece a Gesù,continua a risuonare. Basterebbe leggere le opere di alcuni filosofidella nostra stagione italiana, senza andare oltre le Alpi, per direcome questo è il tema dominante, la verità e il nulla. Sono le duecifre per leggere culturalmente il nostro tempo. Questo crea certa-mente una realtà difficile, di grande difficoltà anche per noi per an-nunciare il Vangelo. Per cui si impoverisce l’annuncio di un Vangeloche invece è una notizia, ed è una notizia buona, ed è una notiziadi uno che è una Persona e che dice: “io sono la verità”... non è unpacchetto di nozioni o un trattato di filosofia, è una persona. E sichiama Gesù Cristo!

Qualcuno può pensare che questi discorsi sono da approfon-dire, cercando di vedere come per esempio non è solo dei libri di fi-losofia, ma è della vita e della filosofia della gente di ogni giorno.Perché dentro la casa, davanti ai fornelli o dentro una scuola o den-tro un’officina o per la strada la gente vive di questo clima ancorchénon riesce a teorizzarlo o a tradurlo in formulazione filosofica. È ilclima della nostra cultura. Direte voi: ‘ma questa è negatività!’.Certo, e quando Gesù ci dice: ‘non sapete voi leggere i segni deitempi’, ci dice ‘ma guardatevi attorno’. E quando i vescovi ci dico-no: ‘sappiate leggere il nostro oggi’ e il Concilio ‘conoscete i segnidei tempi’... a questo ci invitano, a saper conoscere qual è la stradasu cui stiamo camminando. Dio semina nella nostra storia la luce,il bene, il bello, la bellezza. Siamo in terra francescana. Nel Canticodi Francesco due volte viene ripetuto: “Tu sei verità, tu sei bellez-za”. È la visione che ha di Dio Agostino: “bellezza tanto antica etanto nuova!”. Il mondo bisogna imparare a vederlo così. Francescod’Assisi era diventato cieco, aveva un cappuccio, perché non pote-va soffrire la luce né di giorno né di notte e, proprio in quella occa-sione, che cosa fa? Compone il Cantico delle creature: “Altissimo,onnipotente e bon Signore”, e le caratteristiche più significative so-no quelle in cui ripete bello: bello è il sole, belle sono le stelle, bello

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è il fuoco... E non vedeva nulla! Ecco il saper leggere anche nel buiodella storia i segni di questa verità, giustizia, amore, pace che Diomette dentro la storia.

Come cogliere queste sfide che Dio ci dà? Le enuncio così, contre avverbi.

– OLTRE, l’andare oltre. Noi stiamo in cammino. Don ArturoPaoli dice in un libretto di alcuni anni fa: ‘il presente non basta anessuno’, che è vero e se il presente non basta a nessuno, carissi-mi, i primi a cui il presente non può bastare sono i credenti, i di-scepoli di Gesù. Abbiamo pregato anche poco fa il Padre nostrochiedeendo “venga il tuo regno” (Mt 6,10). Cioè il regno è davanti.I pagani guardavano dietro e avevano la nostalgia, perché l’età del-l’oro stava all’inizio. Per noi è alla fine: «venga il tuo regno». Quin-di il cristiano è uno che cammina. Come allora dentro il tessutodella storia umana non essere noi i seminatori del futuro, i co-struttori di ciò che deve venire, coloro che spingono, perché?Perché quella che i teologi chiamano la riserva escatologica, cioèquesto tesoro infinito che ci sta davanti, continua ad ispirare i no-stri passi e quel grido dell’ultimo capitolo dell’Apocalisse: «vieni.Lo Spirito e la sposa dicono vieni» (22,20.17). Questa è l’espe-rienza cristiana dentro la storia. Si può essere allora pessimisti dacristiani? Mai, altrimenti il senso di questo futuro, di questo donoescatologico, di questo avvento continuo di Dio nella nostra storiae nella nostra vita, dove va a finire? E oggi la sensibilità culturalediffusa guarda al futuro. Ma ringraziamo Dio e cerchiamo di far lie-vitare questa massa di farina con il lievito dell’oltre che Dio hamesso nelle nostre mani.

– ALTRO. Il nostro tempo è una delle stagioni in cui cresce lacoscienza della solidarietà. L’avete visto anche recentemente nel fe-nomeno della pace; è il desiderio, il bisogno di un mondo più fra-terno. Certo le ambiguità non finiscono, lo abbiamo detto all’inizio,ma questo crescere di solidarietà, questo bisogno di consenso su al-cune evidenze comuni, mi pare che sia un grande segno di Dio. Uncaro maestro, Italo Mancini, ha lasciato un libretto che io conside-ro il suo testamento. È intitolato: Tornino i volti. In un mondo diemarginazioni, di solitudini, di discriminazioni bisogna far ritorna-re il volto. Molte riflessioni sono state fatte su questo, sulla filosofiacontemporanea. Tornino i volti... a noi lo ha insegnato Gesù. La ri-chiesta grande di Mosè a Dio qual è stata?: “fammi vedere il tuovolto” (cfr. Es 33,18). E nei salmi noi che cosa diciamo? «Il tuo voltoSignore io cerco» (Sal 27,8). Allora l’altro chi è? È un volto, perchévolto significa identità; perché ha occhi per vedere e orecchio perudire e sono queste le coordinate della persona umana, il vedere e

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6.Per essere attenti

alle sfide di Dio

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il sentire. «Ascolta, Israele» (Dt 6,4), “guarda bene”, dice tutto illibro dell’Apocalisse.

Come in questa riscoperta degli altri, non sentire che c’èanche, perdonate il titolo di un libro noto, la Nostalgia del total-mente Altro, cioè la nostalgia di Dio? Perché gli altri portano al-l’Altro. Anche questa è una sfida da raccogliere. Ma non collimaquesto col nostro messaggio cristiano? Questa è l’anima della nostraesperienza. La rivoluzione francese ha dato tre ideali: libertà, ugua-glianza e fraternità. La terza è rimasta vuota. Per la libertà si è fattauna rivoluzione; per l’uguaglianza una e tante altre e per la frater-nità? Carissimi la fraternità non si realizza se non riscoprendo ilvolto di un Padre comune e questo lo può fare e lo fa solo il cre-dente, colui che guarda a Cristo, si lega a Lui e invoca il Padre. È lachance nostra, è il nostro compito.

– DI PIÙ. Che cosa vuol dire questo di più? Oggi io chiamo ilnostro tempo la stagione delle marmellate. Cioè si prende di tuttoculturalmente, anche religiosamente, e si fa un frullato, tutto insie-me e viene fuori una marmellata. No, ricordate, cito solo il capitolo5 del Vangelo di Matteo, quando Gesù dice: «se amate quelli che viamano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli che cosa fate di straor-dinario? Non fanno così anche i pagani?» (vv. 46-47). Qui Gesù civuol dire: ‘attenti; voi siete miei discepoli e cosa fate di più?’. Diamoda mangiare agli altri; questo lo fanno tutti. Vogliamo camminareper costruire un mondo di giustizia... certo e gli altri che fanno? Dipiù cosa fate? Qual è il vostro specifico contributo? Quello scrittoche è un gioiello del II secolo, la Lettera a Diogneto dice che i cri-stiani stanno nel mondo, ma hanno, dice nel testo greco, una para-doxos politeia, una politeia, una vita sociale come tutti, ma para-dossale. È quello che Gesù diceva: cosa fate di più? Cosa fate distraordinario? Il cristiano nel mondo è un paradosso. Se annacquala sua fede, se omologa il proprio comportamento, come fa a dirsidiscepolo di Colui che è la novità assoluta? Capite che qui cambia-no o dovrebbero cambiare tante cose e dovrebbe cambiare anche lanostra pastorale.

Una, chiamiamola così, è una comunità istituzionale; quelladi Gerusalemme e l’altra la chiamerei una comunità carismatica: èquella di Antiochia. Non metto in confronto tanto meno in opposi-zione istituzione e carisma, ma faccio una sottolineatura per direche il discernimento deve avere uno spazio comunitario, anche sediversamente articolato.

Cosa succede a Gerusalemme? Voi sapete che nasce la con-troversia se un pagano che si converte deve prima passare attraver-

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7.Conclusione: due

comunità che fannodiscernimento

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so l’ebraismo, il giudaismo – e quindi circoncidersi e vivere dellepratiche della legge – e diventare poi cristiano. Oppure, come dice-va Paolo, Cristo supera tutto ciò che è venuto prima e fa dei due,giudei e pagani, una sola realtà (cfr. Ef 2,14). Questo crea conflittonella prima comunità. Dice il testo degli Atti, al capitolo 15,2:«Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discuteva-no animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba ealcuni di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli an-ziani per tale questione».

Pertanto una delegazione parte e va a Gerusalemme, dovevengono accolti ed espongono le loro diverse posizioni. Dice il testo:«Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questoproblema» (v. 6). E dopo lunga discussione Pietro e Giacomo fannoil loro discorso (cfr. v. 7-21). Quando ebbero finito di parlare gli apo-stoli e gli anziani e tutta la Chiesa, dissero: è parso bene a noi e alloSpirito Santo... e danno le indicazioni. Poi elessero alcuni di loro eli inviarono ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba perché riferis-sero che cosa era avvenuto (cfr. v. 22).

È una Chiesa che fa discernimento. C’è un problema, eccouna delegazione che va a Gerusalemme per esporre il caso; gli apo-stoli e gli anziani pregano e riflettono, l’assemblea discute, la deci-sione e poi la lettura della decisione e l’invio alle altre comunità.Questo è fare discernimento. Come comportarsi in situazioni del ge-nere? La Chiesa di Gerusalemme ce lo ricorda.

Ma c’è anche un’altra Chiesa più piccola, quella di Antio-chia. Sono tre versetti che vi leggo, anche perché per me sono sem-pre un punto di riferimento suggestivo e commovente. «C’eranonella comunità di Antiochia profeti e dottori:», quindi una comu-nità carismatica, e il testo ricorda cinque nomi: «Barnaba, Sime-one soprannominato Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno diinfanzia di Erode il tetrarca, e Saulo» (At 13,1). E pensate: profe-ti e dottori, quindi ognuno esercita un ministero. Nella Chiesa nonci sono gli sfaticati o quelli che non hanno niente da fare, primacosa! Secondo, sono cinque, ma cinque universi diversi: Barnabaera di Cipro; Simeone, soprannominato Niger, è soprannominatonero quindi non era bianco è ovvio, perché lo chiamavano nero;Lucio di Cirene era dell’Africa del Nord; Manaen era compagno diinfanzia di Erode, quindi non era una persona popolare, era dialto rango, compagno del tetrarca; e Saulo, il quale era di Tarsonella Cilicia. Ma questa è la Chiesa, una varietà culturale, una va-rietà razziale, una varietà di contesti. Che cosa succede? «Mentreessi stavano celebrando il culto del Signore – il testo greco dice lei-turgounton, facevano la liturgia – e digiunando, lo Spirito Santodisse: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale liho chiamati”» (At 13,2). Non facciamoci illusioni, che lo SpiritoSanto abbia telefonato o abbia parlato per altoparlante; lo Spirito

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Santo parla nella vita di questa comunità. Discutono, si interroga-no e questa è la conclusione. Saulo e Barnaba devono andare inmissione. E questo avviene mentre si prega e mentre si digiuna.Quando questa scelta è stata fatta cosa succede? Prima pregavanoe digiunavano; dopo la scelta: allora, dopo aver digiunato e pre-gato, imposero loro le mani e li accomiatarono. Ed essi, spintidallo Spirito, «discesero a Selèucia e di qui salparono verso Ci-pro» (At 13,4). E inizia il primo viaggio missionario della storia.Nasce da un discernimento. Una comunità varia, una comunitàperò ‘comunità’, in cui ciascuno ha un suo ruolo, un suo spazio,una comunità che prega, una comunità che digiuna per indicareche è disponibile allo Spirito e lo Spirito è presente, e lo Spiritoprende l’iniziativa e lo Spirito apre alla missione e questi partono.

Carissimi, quel viaggio dura ancora; sono venti secoli! Sauloe Barnaba partirono per il primo viaggio. Anche tra di voi ce nesono. Quanti viaggi ancora! Mi auguro che i viaggi continuino, mapure che non manchino queste comunità che sanno discernere, chesanno pregare e digiunare, accogliere la voce dello Spirito e annun-ciare ancora la buona notizia in questo oggi.

Allora la parola discernimento non rimarrà forse un enigma,ma diventerà un’esperienza felice, costruttiva per il nostro oggicome lo è stata a cominciare dalla Chiesa di Antiochia e di Geru-salemme e come dovrebbe essere per tutte le Chiese.

• Come è possibile oggi realizzare nelle nostre Chiese il di-scernimento comunitario, visto che non sempre esiste la comunità?

È necessario lavorare per edificare autentiche comunità; è lacondizione indispensabile perché si possa attrae il discernimento.Noi dobbiamo ritornare ad una capacità non solo di fede autentica,ma di condivisione e comunicazione nella fede. Quando Paolo scri-ve ai Romani e dice “sono contento di venirvi a trovare” aggiunge:“per confortarci reciprocamente in quella fede che abbiamo in co-mune io e voi” (cfr. 1,12). È un’espressione per me illuminante; cioèio ho la mia fede, voi avete la fede... è la nostra fede, mettiamola incomune. Noi oggi questo discorso non lo sappiamo fare e siccomealtre realtà, quelle economiche, quelle sociali, quelle politiche, cicreano difficoltà, noi non comunichiamo affatto. Perché non c’è unaforza di coesione più forte. Quando Paolo, per fare un’analogia, diceche “in Cristo non c’è più né giudeo né greco, né barbaro né sciita,né uomo né donna” (cfr. Gal 3,28), dice che queste sono le realtàche accompagnano il nostro vivere, ma c’è una realtà più profondache non annulla queste, ma che costituisce un nuovo modo di esse-

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Dagli interventie ripresa

del relatore

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re, quello dell’essere in Cristo, perché «se uno è in Cristo è una crea-tura nuova» (2Cor 5,17), dice la stessa cosa.

• In questa società, in cui tutti abbiamo paura dell’altro, deldiverso, il discernimento potrebbe portarci ad una emarginazione.Notiamo la paura nei confronti di quelli che vengono dall’islam o daaltre culture religiose. E li emarginiamo, perché abbiamo paura diessere conquistati.

Come noi, come comunità cristiane, possiamo superare lapaura per edificare, attraverso la Parola?

Il corso di quest’anno alla Pro Civitate Christiana, aveva pertema Dio nel grembo delle nostre paure e il sottotitolo Non sia tur-bato il vostro cuore. Certo, le paure ci sono, ma qui bisogna fare ungrande sforzo. E qual è lo sforzo? Quando noi vogliamo discerneree ci mettiamo a comunicare insieme e a ricercare, non dobbiamoavere la precomprensione dei problemi. Se noi vogliamo discernerepartendo ciascuno dalla nostra ottica, che certamente è soggettiva,e conservare questa, ogni dialogo, non solo ogni discernimento, di-venta impossibile! Il discernimento richiede – dice il documento diLoreto – l’umile disponibilità a lasciarsi interpellare dagli avveni-menti del nostro tempo in quanto in essi si manifesta, pur nelladrammaticità e nell’ambiguità del peccato, la presenza e l’azionedello Spirito e perché, attraverso essi, Dio chiama la sua Chiesa alrinnovamento. Una costante capacità profetica di interpretare lastoria e gli avvenimenti in atteggiamenti di ascolto e di riflessioneper avvertire il disegno di Dio che viene a salvarci. Un rinnovato im-pulso rivoluzionario che spinge la Chiesa a proclamare il Vangelodella misericordia e ravviva la speranza della salvezza definitiva giàpresente tra le pieghe dell’esistenza umana e la volontà di servizioall’uomo e alla comunità.

• Nella Chiesa incontriamo spesso persone che sono stabil-mente in contrasto, che non condividono molte scelte. Come discer-nere?

Rispondo con due esempi. Il primo è Francesco d’Assisi. Do-po aver letto parecchi scritti mi sono messo a cercare se in Fran-cesco trovavo qualcosa che fosse contro la Chiesa del suo tempo. Ionon ho trovato una parola! Non credo che la Chiesa del 1300 fossemigliore di quella di oggi. Francesco non dice una parola contro ilpapa, i vescovi, i preti, la realtà della Chiesa. È impressionante que-sto fatto! Cioè pone un’esperienza, realizza un ideale, un progetto epoi? E poi cammina; non è detto che io non posso camminare se l’al-tro si ferma. Il progetto di Dio lo accolgo e lo realizzo. L’altro loprendo da un incontro fatto parecchi anni fa a Camaldoli, dove Don

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Bruno Maggioni commentava il capitolo 18 del Vangelo di Matteo,il cosiddetto ‘discorso ecclesiale’, quello che parla della correzionefraterna. Di tutto quel discorso io una cosa non dimenticherò mai.Quando ha detto: ‘attenti, il presupposto se tu possa correggere iltuo fratello da solo o con gli altri, è quella parola ‘fratello’. Se nonricostruiamo la fraternità, ogni tipo di relazione non solo non cisarà, ma sarà conflittuale. Se nelle nostre comunità non ristabilia-mo la realtà della fraternità per cui l’altro è mio fratello, l’altra è miasorella, ogni tipo di comunicazione vera, di comunicazione nellafede, scompare!

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La ChiesaCasa e Scuola di Comunione

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S. Ecc. Mons. AGOSTINO SUPERBOArcivescovo di Potenza, Muro Lucano, Marsico Nuovo

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

L’argomento di questo incontro è suggerito da due brani re-centi del magistero del Papa: la Novo millennio ineunte n. 43 e poiil documento della CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cam-bia. Di lì è presa l’espressione, ma soprattutto credo che sia statacolta l’insistenza con cui si fa riferimento alla Chiesa come casa escuola di comunione. Non è detto esplicitamente, ma se ne capiscel’importanza quando si legge che la dimensione della comunionedovrebbe ispirare le iniziative concrete delle nostre comunità. Ilpapa dice che senza un cammino spirituale di fede e di comunione,“a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione; di-venterebbero apparati senz’anima, maschere senza vita, più cheespressione di crescita” (NMI 43).

Come brano introduttivo vi leggo un racconto di Madre Tere-sa. Una ragazza viene in India per unirsi alle Missionarie dellaCarità; da noi c’è la regola che le nuove arrivate vadano alla casadei morenti. Allora io dissi a quella ragazza: hai visto, durante lamessa, con quanto amore e rispetto il sacerdote toccava Gesù nel-l’ostia? Fa’ così anche tu quando sarai alla casa dei morenti. Perchénei corpi distrutti dei nostri poveri c’è proprio quello stesso Gesù.Andarono. Dopo tre giorni la nuova venuta ritornò e mi disse conun sorriso (non ha mai visto un sorriso simile): “Madre, ho toccatoil corpo di Cristo per tre ore di seguito”. Le chiesi: “Come?”, e lei mirispose: “quando siamo arrivate là, avevano appena portato unuomo che era caduto in una fogna e c’era rimasto per un bel po’ ditempo. Era coperto di ferite, di sporcizia e di vermi e io l’ho pulito.E sapevo che stavo toccando il corpo di Cristo”. È stata una cosabellissima!.

Cosa voglio dirvi leggendo questo brano? Che quando parlia-mo della Chiesa, come quando parliamo dell’umanità, non possia-mo fare a meno di parlare di Cristo, del suo mistero, della sua opera.Chiesa e Cristo sono una sola cosa. “Cristo è la luce delle genti equesto sacro Concilio adunato nello Spirito Santo ardentemente de-sidera che la luce di Cristo riflesso sul volto della Chiesa illuminitutti gli uomini, annunciando il Vangelo ad ogni creatura” (LG 1).

Introduzione

1.All’origine

il mistero di Cristo

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Con queste parole si apre la ‘Costituzione dogmatica sulla Chiesa’.La Chiesa non ha altra luce che quella di Cristo. Secondo un’imma-gine cara ai padri essa è simile alla luna, la cui luce è tutta un ri-flesso del sole. La Chiesa, come casa e scuola di comunione, è operadi Gesù Cristo. Il Signore non è soltanto il fondatore storico, ma è“la pietra angolare” (1Pt 2,7), è la vite da cui i tralci ricevono la vita(cfr. Gv 15,1ss.), “il capo” (Ef 1,18) che dona unità e forza a tutte lemembra. Perciò quando parliamo di comunione, non possiamo farea meno di parlare di Gesù Cristo e del suo mistero. Cristo è il co-struttore della nuova umanità secondo Dio.

“Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delleprecedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoisanti apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioèsono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, aformare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa permezzo del Vangelo” (Ef 3,5-6). Cristo appare come grande costrut-tore dell’umanità secondo Dio. Questa umanità si dispiega tutta in-tera nel nuovo spazio della storia aperto da Cristo sulla croce; unpercorso di grazia che tocca tutti gli uomini ed ha come meta l’e-ternità. La vita del credente si configura come rottura dell’isola-mento e come rapporto con l’altro. L’altro è Gesù Cristo. Ed è Luiche è morto per tutti, perché “tutti quelli che vivono non vivano piùper se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2Cor5,15). Il Cristo è la sorgente inesauribile dell’esistenza cristiana. InLui si compie e si perfeziona il rapporto tra Dio e l’umanità. GesùCristo ci riconcilia con Dio e con gli uomini. È nuovo punto di in-contro tra Dio e l’umanità finalmente riconciliata con Lui. È «l’uo-mo nuovo», totalmente radicato nel mistero di Dio secondo la ve-rità che è in Gesù, è “creato secondo Dio nella giustizia e nella san-tità vera” (Ef 4,24).

L’opera del Signore realizza un cambiamento così profondonelle persone e nella storia da poter assumere giustamente il nomedi ‘nuova creazione’.

Qual è la caratteristica fondamentale della nuova umanità? Èla solidarietà con Gesù Cristo; una comunione con Lui che non am-mette mezze misure, tanto da poter essere descritta come vita diCristo nel credente. È Cristo che vive nel credente. “Sono stato cro-cifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, chemi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Tutto questoavviene però nella reciprocità. Come Cristo vive nel credente, così ilcredente è chiamato ad una vita di comunione con Lui tanto dapoter essere denominata ‘vita in Cristo’. Il cristiano vive per Coluiche è morto per lui e per lui è risorto, non però in una relazione dasolo a solo, in Cristo trova sempre il Padre che lo ha inviato nelmondo e insieme a Lui tutti i figli di Dio.

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Ma non bisogna dimenticare che il punto di partenza è una si-tuazione universale di divisione irreversibile fra gli uomini, quelladescritta al capitolo 11,1-9 della Genesi nel racconto della torre diBabele. Perciò possiamo parlare di nuova creazione con grande ve-rità. È la comunione dei figli di Dio, tutti radunati nel Cristo comefigli nel Figlio. Tutti sono salvi, perché sono in pace con Lui. Di que-sta comunione con il Cristo l’autore è lo Spirito Santo di Dio. La vitain Cristo è resa possibile dallo Spirito Santo. Essere in Cristo ed es-sere nello Spirito sono inseparabili, come due facce nella salvezzadell’uomo operata da Dio. È lo Spirito che ci suggerisce, ci spinge achiamare Dio col nome di Padre come ricorda l’apostolo Paolo nellalettera ai Romani (cfr. 8,15). L’opera dello Spirito Santo riunisce inun solo corpo tutti coloro che accolgono il Vangelo di Dio. La lorovita non è più lontano da Dio, ma vicino a Dio come ricorda la let-tera agli Efesini (cfr. 2,13). Sono uomini e donne riconciliati. Essisono raccolti nel Cristo attraverso i grandi passaggi, dalla morte allavita, dalla dispersione all’unità.

È come la pasqua di ogni cristiano. Vivere nel peccato, infat-ti, non è una semplice imperfezione morale, un difetto da corregge-re. È essere morti. Questa condizione accomuna, secondo l’aposto-lo Paolo, pagani ed ebrei. I primi infatti non hanno conosciuto lapromessa e si sono comportati in conformità con la logica di questomondo. Gli altri, gli ebrei, pur conoscendo la promessa di Dio, sisono lasciati attrarre dai desideri della carne e sono vissuti comefigli ribelli. Tutti vivevano come dominati dalla morte, una mortereale, non in senso traslato. Di essa, di questa morte, la morte cor-porale è soltanto una labile figura, perché la vita e la libertà effetti-va dell’uomo dipendono esclusivamente dal suo rapporto con Dio equesto rapporto era troncato. Nel tempo del peccato la morte si eracome impadronita degli uomini e li teneva in suo potere. Non erapossibile per nessuno escogitare la via della speranza per l’umanità.Tutti eravamo, dice Paolo, “per natura, meritevoli d’ira” (cfr. Ef 2,3).Sotto questo aspetto la vita dei credenti in Cristo è una Pasqua, unarisurrezione, è il passaggio dalla morte alla vita.

L’uomo è stato tratto fuori dal tunnel oscuro della morte e delpeccato. È stato reso forte contro l’assalto delle potenze del mondoche inducono al peccato. È stato salvato nei cieli in Cristo Gesù,come ricorda sempre la lettera agli Efesini (cfr. 2,6). Che cosa c’è dipiù grande che essere risuscitati dalla morte e dai peccati? Certa-mente nulla!

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Ma l’opera del Signore riveste anche un altro aspetto diestrema importanza. Quest’ultimo aspetto vede in primo piano ipopoli pagani, ma riguarda tutta l’umanità. Si tratta del passaggio,ancora una pasqua, dalla dispersione all’unità. Si tratta della de-molizione del muro di inimicizia che separava gli uomini. Si trat-ta della pacificazione di tutti gli uomini in Cristo «nostra pace»(Ef, 2,14). Il peccato e la sottomissione al potere della morte crea-no distanze e inimicizie inguaribili. La più consistente e significa-tiva, ai tempi del Signore, era la divisione tra ebrei e pagani. Iprimi erano vicini a Cristo, misteriosamente presente nelle pro-messe fatte ad Abramo; gli altri, è sempre la lettera agli Efesini,erano separati da Cristo, lontani dalla comunità d’Israele, stranie-ri alle disposizioni delle promesse, senza speranza e senza Dio inquesto mondo (cfr. Ef 2,12).

Questa divisione, simbolo dei tanti conflitti, anche sanguino-si presenti nella storia, aveva costruito un impenetrabile muro diinimicizia. Gesù Cristo crea un unico uomo nuovo, attraverso ununico annuncio di pace raduna tutti intorno a sé, lontani e vicini;l’inimicizia viene uccisa in Cristo Gesù, il muro viene abbattuto.Tutti sono riconciliati con Dio tanto da formare un solo corpo. Tuttoquesto è opera del sangue di Gesù Cristo, cioè del dono della suavita per noi. Così viene costituito un ordine nuovo in Cristo, nostrapace. La riconciliazione con Dio mediante la croce dell’uno e del-l’altro popolo, gentili ed ebrei, avviene facendo di tutti un solocorpo, creando cioè unità dove prima c’era ostilità e divisione.Infatti, Gesù Cristo riconcilia gli uomini creando per loro un nuovoaccesso al Padre nell’unico Spirito, chiamandoli cioè a diventare fa-miliari di Dio, membri della sua casa, parte della sua famiglia.Attraverso Gesù Cristo è Dio stesso che comunica a noi la sua stes-sa vita. Perciò il nuovo popolo riconciliato avrà le stesse caratteri-stiche della vita trinitaria.

La santa Chiesa si presenta perciò come «un popolo raduna-to dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»: è una cita-zione di san Cipriano nel numero 4 della Lumen Gentium. In que-sta citazione di san Cipriano l’espressione ‘dall’unità’ non va inter-pretata in senso nominalistico, vuoto, ma nella prospettiva esisten-ziale. È la Santissima Trinità la sorgente da cui lo Spirito Santo at-tinge per radunare la Chiesa e la comunione trinitaria è la forza cheviene comunicata agli uomini perché possano stare insieme. Tuttala Chiesa porta perciò, in se stessa, il sigillo dell’unità trinitaria, sianella sua composizione interna sia nel suo sguardo verso la storiadegli uomini.

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2.Dalla comunione

con Cristoalla comunione

ecclesiale

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La dottrina de Vaticano II ci invita a guardare a tutta l’uma-nità come destinataria dell’opera di Gesù Cristo e quindi a conside-rare la Chiesa come segno e strumento dell’unità di tutto il genereumano (cfr. LG 1). Come avviene ciò? Il segno dice visibilità, capa-cità di farsi percepire. Lo strumento dice attitudine ad operare, adintervenire con efficacia sul tessuto malato delle relazioni umane.L’opera dello Spirito Santo, la comunione in Cristo, cioè, crea unastruttura comunitaria che ha la compattezza, l’organicità e la vita diun corpo. In tal modo la Chiesa diventa segno e strumento per tuttal’umanità della riconciliazione con Dio e dell’unità fra gli uomini.

La vita della Chiesa, fin dal suo atto di nascita nella Pente-coste, appare nel racconto degli Atti, come anche nell’interpreta-zione dei padri e d’alcuni studiosi più recenti, il luogo in cui perl’opera dell’unico Spirito viene annientato l’orgoglio dell’uomo conle confusioni che ne derivano e viene creata un’umanità fondatasull’unità e sull’amore. La Pentecoste viene presentata come l’anti-babele. I compendi di vita ecclesiale presenti negli Atti mostranopoi gli effetti concreti dell’opera dello Spirito Santo, li conosciamotutti. La vita della prima comunità cristiana, totalmente diversa daquella del mondo che la circonda, è possibile, perché Gesù Cristoè “il capo del corpo, cioè della chiesa” (Col 1,18). In questa comu-nità si manifesta l’amore, si manifesta l’azione del Cristo risorto inpienezza.

Ricevere da Dio la salvezza significa quindi essere inseriti inun corpo animato dallo Spirito Santo, il corpo di Cristo che è laChiesa. Questa constatazione, che troviamo nell’apostolo Paolo, im-plica che la riconciliazione con Dio è inseparabile dall’ingresso nel-l’unità fraterna del corpo del Signore. L’appartenenza all’unità delcorpo ecclesiale è essenziale alla nuova situazione creata dalla sal-vezza. Chiunque vive nel Cristo e nello Spirito non si trova mai inuna relazione di solitudine con Dio. La vita in Cristo non implicasoltanto la relazione con l’altro che è Gesù Cristo, ma anche con glialtri membri del corpo di Cristo. Ad essi, precisa san Paolo, il cri-stiano non è soltanto aggiunto come un guanto alla mano, ma asso-ciato, come la mano a tutto il corpo, come le membra più deboli aquelle più forti, tanto che, “se un membro soffre tutti soffrono conlui” (cfr. 1Cor 12,26). La vita riconciliata con Dio è necessariamen-te vita con gli altri e ciò non è un accessorio, ma appartiene allastessa natura dell’essere salvati dal Signore.

La vita di comunione, quindi, non è soltanto un modo di vi-vere che caratterizza in maniera accessoria chi appartiene allaChiesa, ciò è vero anche, ma è la comunione e la vita stessa dellaChiesa. La vita del corpo si esprime innanzitutto in solidarietà fra-terna. Questa solidarietà non è superficiale ma profonda, non par-ziale ma totale, come quella che caratterizza la relazione tra Cristoe la Chiesa (cfr. Ef 5,29). La solidarietà fraterna si articola e vive nei

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3.La Chiesa segno

e strumentodell’unità

del genere umano

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gesti quotidiani, crea un tessuto vivo e costante, ricco di sfumaturee capace di tradurre in concreto l’insegnamento del Vangelo. Essanon solo costruisce la pace tra gli uomini, ma rende gloria alSignore. “E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conce-da di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, ad esempio diCristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate glo-ria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm 15,5-6).

L’uomo riconciliato a Dio è chiamato ad imitare Dio. “Fatevidunque imitatori di Dio, quali figli carissimi (a imitare Dio nella ca-rità) e camminate nella carità nel modo che anche Cristo vi haamato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio disoave odore” (Ef 5,1-2). Si tratta infatti di costruire il corpo diCristo, di collaborare al progetto di Dio, di attuare le linee di com-portamento dell’uomo nuovo, la cui fedeltà è legata al Cristo, ilnuovo Adamo, mai centrato sulla propria persona, ma totalmente einseparabilmente orientato su Dio e su coloro, come Lui stesso dicenel Vangelo di Giovanni, che Dio gli ha affidato (cfr. 17,24). L’ana-logia del corpo, presente nelle lettere di Paolo, è accompagnata edarricchita dall’allegoria della vite e dei tralci di Giovanni (cfr. Gv15). Si tratta di una figura largamente usata nell’Antico Testamentoe custodita con cura nella memoria del popolo di Dio. Essa richia-ma il profondo attaccamento di Yahvè al suo popolo e la forte vita-lità che doveva risultare nel popolo, come frutto dell’opera di Dioper la vera vigna. Il Vangelo di Giovanni identifica questa vite conGesù. Essa è attentamente coltivata dal Padre, che è l’agricoltore, edè costituita di tralci che prendono la linfa dalle radici e dal ceppoper portare frutto. I discepoli sono i tralci dice il Signore. Vite e tral-ci sono un’unica realtà vivente. La vite, per i tralci, è condizione diunità e di esistenza.

Dal rimanere in Cristo dipende l’unità dei discepoli nutritidella stessa linfa e portatori dello stesso frutto. Il distaccarsi dallavite comporta disunione e sterilità. Che significa rimanere in Cristo,dimorare nell’amore? Lo spiega lo stesso apostolo Giovanni quandoscrive: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la suavita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli.Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratelloin necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amoredi Dio? Figliuoli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fattie nella verità” (1Gv 3,16). Non è possibile pensare alla vita dei re-denti dal Signore come a sorta di privilegio solitario. Non vi è vitadi grazia nell’isolamento. Soltanto nell’unità essa può essere frut-tuosa e dare gloria a Dio. I credenti, incorporati a Cristo, sono per-ciò stesso incorporati nella sua Chiesa. Essi non vivono più per sestessi, ma per il Signore e per il prossimo. Per questo l’apostoloPietro esorta i cristiani a vivere da santificati amandosi sincera-mente. Li esorta a mettere da parte «ogni malizia e ogni frode e ipo-

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crisia, le gelosie e ogni maldicenza» (1Pt 2,1) e a praticare la caritàsotto tutti gli aspetti.

Dall’apostolo Pietro la vita della Chiesa è rappresentata comela costruzione di una casa, la casa spirituale, la casa della comunitàsacerdotale. “Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uominima scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati comepietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacer-dozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo diGesù Cristo” (1Pt 2,4-5). Si sviluppa, secondo l’apostolo, un movi-mento, un dinamismo dei credenti, pietre vive verso Cristo, pietraviva, pietra fondamentale, pietra preziosa per Dio. Un movimentomisterioso, perché non deriva dalle forze umane, ma dall’essere im-piegati dal Padre per la costruzione della casa spirituale. I cristianinon sono soltanto le pietre di questa casa, ma anche la comunità sa-cerdotale che la abita per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio.Ogni credente diventa pietra vivente della casa convergendo versoCristo, pietra angolare.

Abbiamo visto che cosa significa chiamare la Chiesa casa dicomunione. La comunione è la sua stessa natura, non è soltanto unabitante di questa casa, uno dei tanti. La comunione è il tessutoconnettivo delle sue pietre; quel tessuto per cui le stesse pietrehanno un senso. La comunione è l’essenza stessa della comunità sa-cerdotale che offre sacrifici spirituali e che in essa vive ed opera.

Abbiamo contemplato il volto della Chiesa, casa di comunio-ne, ma adesso vogliamo sapere come si fonda e come si sviluppa lavita del corpo del Signore. Quali sono i destinatari dei frutti dellavite? Il sacerdozio regale nella casa spirituale come si esercita?

La prima e fondamentale ricerca certamente va nella direzio-ne della ricerca del principio di crescita della Chiesa. Dove si ali-menta, dove si fonda? Il Concilio Vaticano II, ripreso recentementenell’enciclica sull’eucaristia da Giovanni Paolo II, ci riporta conchiarezza alla santa eucaristia. È il principio fondante e il principiovitale. “E il pane che noi spezziamo non è forse comunione colcorpo di Cristo?” (1Cor 10,16). È il pane di cui il Signore dice: «que-sto è il mio corpo» (Mc 14,22). Il pane e il vino, corpo e sangue delSignore operano il passaggio dal corpo personale di Cristo al corpoecclesiale, misteriosamente costituito nello Spirito dai credenti, sal-dati insieme ed incorporati a Cristo; sempre dall’opera dello SpiritoSanto diventano – da persone divise – membra di un solo corpo.

Dall’eucaristia nasce l’esigenza forte della carità. Essa è lasorgente della Chiesa ed anche la sorgente della comunione, ma nonqualunque modo di celebrare l’eucaristia è partecipazione al corpodel Signore. Esiste il rischio di partecipare al pasto eucaristico senza

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4.L’Eucaristia fontedella comunione

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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discernere, ricorda Paolo, il corpo del Signore. Ciò avviene quandosi partecipa all’assemblea ecclesiale senza lo Spirito di comunionee invece dell’assemblea ecclesiale si realizza una somma di pastipersonali (cfr. 1Cor 11,17ss.). «Non avete le vostre case per man-giare e bere?» (1Cor 11,22) ricorda con forza san Paolo. Si viene al-l’assemblea eucaristica in comunione fraterna per mangiare l’unicopasto del Signore. Non possiamo riconoscere il corpo del Signoresenza riconoscere contemporaneamente il grado di comunione fra-terna che esso genera nel nostro cuore.

Il cristiano poi che mangia il corpo del Signore, luogo di ri-conciliazione di tutta l’umanità, non può vivere un’esistenza solita-ria. Chi beve il sangue del Signore non può vivere soltanto per sestesso; membra del corpo, tralci della vite, pietre viventi della casasacerdotale, membri della comunità sacerdotale esistiamo ormaisoltanto per Dio, in comunione fraterna. Il momento della più gran-de intimità con il Signore è anche il momento in cui cresce e si svi-luppa la più grande solidarietà fraterna. Il riconoscere il corpo eu-caristico del Signore va di pari passo con il riconoscersi incorporatiin Lui, insieme ai fratelli battezzati e nutriti dello stesso pane. Nonè possibile fare a meno di alcuno dei due riconoscimenti. Il corpodel Cristo presente nel pane e il sangue presente nel vino è la pro-pria incorporazione a Cristo insieme con tutti i credenti.

È splendida a questo proposito la testimonianza di sant’Agosti-no. A più riprese il santo dottore spiega un assioma da lui stesso crea-to: ‘voi siete ciò che ricevete, per la grazia con la quale siete stati re-denti. Ciò che ricevete voi lo siete per la grazia per la quale voi sietestati riscattati. Voi confermate questa verità, cioè siete ciò che riceve-te quando dite ‘amen’.

Ciò che voi vedete è il sacramento dell’unità. L’eucaristia èmistero di comunione sotto tutti gli aspetti. È la comunione al corpoe al sangue del Signore che instaura in Cristo e nello Spirito una co-munione del tutto nuova tra i fratelli. Le esigenze della carità sonoperciò essenziali ed ineludibili. Esse ispirano il modo di pregare equello di agire. Sant’Ignazio di Antiochia, fedele testimone delle tra-dizioni apostoliche, esorta a trasmettere lo spirito della comunionesoprattutto nelle preghiere, a pregare potremmo dire come un solocorpo. Diceva: ‘non cercate di far passare per buono ciò che fate inprivato e per conto vostro, ma preferite la forma comunitaria. Unasola sia la preghiera, una l’invocazione, uno lo Spirito, una la spe-ranza nella carità, nella gioia santa che è Cristo di cui nulla c’è dipiù prezioso’ (Lettera ai cristiani di Magnesia, cap. 6).

Né bisogna dimenticare questa grande verità della comunio-ne in Cristo di tutti gli uomini nei rapporti con gli altri. Scrive sanGregorio Nazianzeno: “A tutti i poveri dobbiamo aprire il cuore eanche a tutti gli infelici, quali che siano le loro sofferenze. Questo èl’intimo significato del comandamento che ci impone di rallegrarci

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con quelli che sono nella gioia e di piangere con coloro che piango-no”. E aggiungeva: “Cristo è morto per tutti; è morto per i piccoli eper i poveri. Cristo è morto anche per essi, Colui che toglie i pecca-ti del mondo... Essi partecipano all’eredità celeste. Essi che furonoprivati di molti beni quaggiù sono i compagni delle sofferenze diCristo. Lo saranno anche compagni della sua gloria” (L’amore per ipoveri, p. 4-6).

La Chiesa che nasce dall’eucaristia porta in se stessa i segnicaratteristici della sorgente che la genera, che la alimenta. E questaè una condizione che accompagna la Chiesa fin dai primi secoli. Ènota la preghiera eucaristica riportata nella Didachè: “Ti ringrazia-mo o Padre nostro per la vita e la conoscenza che ci hai fatto svela-re da Gesù Cristo tuo servo. A te gloria nei secoli. Amen! Come que-sto pane spezzato era sparso sui colli, e raccolto è diventato unasola cosa, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra neltuo regno, perché tua è la gloria e la potenza per mezzo di GesùCristo nei secoli. Amen!” (14,9-10). La storia dell’eucaristia e la sto-ria della Chiesa coincidono. Grani sparsi, uomini divisi; grappoli di-versi, uomini separati. Poi diventano un’unica realtà, un unicocorpo nel Signore. Nei primi secoli del cristianesimo il legame tra ilbattesimo e l’eucaristia permetteva di descrivere le varie tappe del-l’itinerario che portano i credenti a diventare corpo del Signore.‘Comprendete e godete, diceva sant’Agostino, unità, verità, pietà,carità. Pur molti, un solo corpo. Riflettete che il pane non si fa conun grano solo, ma con molti. Quando riceveste l’esorcismo battesi-male veniste come macinati; quando veniste battezzati veniste comeintrisi; quando riceveste il fuoco dello Spirito veniste come cotti. Eaggiunge quella frase che ho già letto: ‘siate quello che vedete e ri-cevete quello che voi siete’.

Il cuore stesso dell’esistenza ecclesiale si trova totalmente im-merso nell’eucaristia, nel sacramento del corpo del Signore. Il sa-crificio eucaristico è il sacrificio di Cristo capo e di Cristo presentenelle membra, che si uniscono al suo sacrificio offerto una volta pertutte. Vero sacrificio è partecipazione al corpo del Signore, ma èanche ogni opera che contribuisce ad unirci a Dio ed ai fratelli ri-nunciando a tutto ciò che da Dio e dai fratelli ci separa. Come ilpane eucaristico è il corpo del Signore dato per tutti, come il vino èil sangue del Signore è sparso per tutti così la santa Chiesa affrontale persecuzioni di questo mondo, ma è sempre Cristo che affrontaancora la prova, non nella sua carne glorificata, ma nella carne dicoloro che ancora soffrono sulla terra. Per questo a Saulo il Cristoglorificato dice: «Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 9,5). La Chiesadiventa così luogo della presenza di Dio, dell’agape di Dio, della suacarità. La carità di Dio riceve il suo compimento in una comunionecosì forte, tra Cristo e le sue membra, da non poter pensare l’unosenza le altre.

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In tal senso la Chiesa è cattolica. La cattolicità infatti nonconsiste nella sola espansione territoriale, ma nel portare la forzaredentrice della Pasqua in tutte le situazioni umane. Il pane distri-buito nella santa eucaristia diventa, nella vita di ogni giorno, ri-spetto per la vita e prossimità agli uomini, senza alcuna eccezione,come dice la Gaudium et spes al numero 27. Il pane distribuito nel-l’eucaristia diventi sensibilità nuova e capacità di avvertire e soc-correre le povertà più bisognose di ogni tempo. La Chiesa così trovala sua pienezza grazie al mistero eucaristico. Lì dove c’è l’eucaristia,lì c’è la Chiesa. Ogni comunità eucaristica radunata dall’eucaristiaè in tal modo la Chiesa.

Ma poiché il corpo eucaristico è veramente il corpo delSignore che aggrega a sé la totalità dei credenti, ciascuna celebra-zione eucaristica mette in comunione con la Chiesa intera ed è que-sta l’unità infrangibile della Chiesa di Dio, inseparabile nella suacattolicità, fondata sugli apostoli, portatrice della santità di Dio nelmondo degli uomini. La comunione che scaturisce nell’eucaristia,sotto l’opera dello Spirito Santo, è perciò gerarchica, cioè legata alministero di Pietro e del collegio degli apostoli, posti come fonda-mento del popolo di Dio.

Inoltre la Chiesa, celebrando il mistero eucaristico annunciala morte del Signore finché egli venga dentro le vicende di un mondoche lo Spirito della Pentecoste vuole rinnovare, tutta lanciata versola mèta, verso la patria celeste.

La Chiesa si lega all’unico ministero del Signore ed alla suatestimonianza suprema sulla croce; una vita donata affinché si rea-lizzasse il disegno del Padre.

La Chiesa, in comunione con il Signore, fa risuonare la sua te-stimonianza nel mondo; è la testimonianza di Pietro, degli apostoli,dei loro successori, di tutta la comunità, radunata intorno alla mensadel Signore. Essa attraversa tutta la storia fino a quando, come dicePaolo, «egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto alnulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (1Cor 15,24). Nell’at-tività missionaria della Chiesa è presente la potenza dello stessoSignore, quella dello Spirito del Risorto, destinata a trasformare ilmondo per mezzo della Chiesa. Il Signore della gloria attualizza ilsuo potere di riconciliazione e di redenzione mediante il propriocorpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,18). In questa prospettiva è impos-sibile separare la Chiesa dal suo Signore, il corpo dal suo Capo, lacomunione ecclesiale dalla missione e dall’impegno per il mondo.

Non può esserci Chiesa senza missione, né missione senzal’unione con Cristo, né Chiesa missionaria staccata da tutto il corpo

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5.Comunione

nell’unica missione

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mistico del Signore. Comunione dei credenti in Cristo per forza delloSpirito, la Chiesa è anche comunione di Chiese locali nell’unicaChiesa di Cristo, radicata nel mistero di Dio derivante dall’unità tri-nitaria, totalmente orientata verso l’opera della salvezza secondo ildisegno del Padre realizzato da Cristo con la forza dello Spirito.Essa riceve dal corpo del Signore l’alimento per la sua vita e la forzaper raccogliere nell’unità il mondo intero. Ecco perché la Chiesa,oltre ad essere casa della comunione, è anche scuola della comu-nione, scuola per i credenti e scuola per tutto il mondo.

Se questo è il mistero della Chiesa, qual è la sua storia inmezzo agli uomini? Come avviene, nella concretezza delle situazio-ni quotidiane, la costruzione della comunione ecclesiale e la suacrescita? Il numero 4 della Lumen gentium ci parla dell’azione delloSpirito Santo nella costruzione della Chiesa. È Lui il primo educa-tore nella Chiesa. La sua azione si sviluppa lungo tre direttive es-senziali alla vita della comunità ecclesiale: la martyria (testimo-nianza), la koinonia (comunione), la diakonia (servizio). Lo SpiritoSanto rende testimonianza ai credenti dell’opera del Salvatore edalimenta in loro la comunione che si esprime concretamente nelladiakonia, nel servizio. Inoltre arricchisce di doni la sua Chiesa, larinnova e la ringiovanisce, la unisce al suo Sposo in maniera per-fetta e le dona la forza della speranza nell’attesa della sua venuta.L’azione dello Spirito è meravigliosa e costante. Essa è necessariaalla vita della Chiesa.

Alla sua scuola la Chiesa stessa diventa ‘madre e maestra’.Infatti, i doni dello Spirito Santo sono dati alla comunità, ma affi-dati alla responsabilità dei singoli credenti, come ricorda l’aposto-lo Paolo (cfr. 1Cor 12,77). Il credente vive l’esistenza riconciliatacon Dio e incorporata a Cristo nello Spirito nel pieno della sua li-bertà personale. Egli non scompare in una totalità, diventando unessere senza nome; rimane invece l’oggetto di un amore personaledi Dio. Il Signore Gesù riversa sulla sua persona, sui suoi bisogni,sulle sue povertà, la forza della risurrezione. Paolo può scrivere:«mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20), come abbia-mo già ascoltato.

Pascal commenterà da par suo il pensiero di Paolo con unafrase che ha ridato coraggio e speranza a moltissimi cristiani: ‘io hoversato per te quella goccia di sangue’. Nel silenzio della preghierae nell’intimità profonda della sua interiorità, ogni cristiano è invita-to ad allacciare con Dio relazioni personali di comunione, in rispo-sta al suo amore misericordioso ed infinito. Pur radicandosi nelle ri-sposte personali la vita di Cristo però non può essere relegata in unintimismo senza legami. Non è mai soltanto un bene individuale,anche quando si tratta della preghiera più personale nella solitudi-ne con Dio. Il corpo mistico di Cristo non è mai soltanto la sommadi membra autonome; il cristiano, unito a Dio, è sempre membro del

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corpo di Cristo, ma il grande bene della comunione è affidato allasua responsabilità, alle sue mani, alle mani dei singoli credenti. Persuscitare la conoscenza dei doni di Dio, la gratitudine del cuore e ladecisione di aderire fortemente a Lui, è necessaria l’opera delloSpirito Santo, il pedagogo divino.

La Chiesa, che opera nello Spirito, diventa anch’essa madre emaestra di comunione. La Chiesa diventa scuola di comunione. Lacomunione, dono dello Spirito e forza di vita, diventa principio edu-cativo nella Chiesa come richiama il documento della CEI al nume-ro 65 dicendo che la frontiera della comunione e della divisione,come la frontiera del bene e del male, passa attraverso la vita deicristiani. Per questo motivo la Chiesa deve essere essa stessa scuo-la di comunione per assecondare l’opera dello Spirito che ringiova-nisce e rinnova continuamente la sposa di Cristo.

L’uomo nuovo è creato al momento del battesimo; la graziadel Signore ci dona una nuova capacità di relazione, la vera libertàdei figli di Dio. Incorporati a Cristo possiamo andare al di là dei no-stri egoismi e porci nel mondo in modo nuovo. Il battesimo trasfor-ma la solitudine e la separatezza in comunione, nella storia però.L’esperienza rende evidente che la Chiesa è soltanto imperfetta-mente comunione di persone, lo sappiamo anche dalla nostra storiapersonale. Infatti, le persone, i cristiani sono continuamente sotto-posti ad un conflitto, tra le urgenze derivanti da un’ esistenza rac-chiusa in se stessa «secondo la carne» dice Paolo (cfr. Rm 8,1-13) ele nuove prospettive di esistenza dettate dallo Spirito Santo. Vi èuna lotta costante, un’ascesi continua per vivere come Gesù Cristo,in una condizione in cui la stessa corporeità, ad imitazione delcorpo di Cristo, è strumento di vera comunione, sopprimendo l’in-dividualismo e la tendenza a fare delle esigenze corporali, cioè egoi-stiche, strumento di esclusione.

Si tratta di un’ascesi il cui contesto più proprio è l’eucaristiadel Signore e la vita stessa della comunità ecclesiale. Il passaggiodalla morte alla vita, dalla dispersione all’unità, sono doni delloSpirito, ma anche lenta assimilazione degli impulsi della grazia, unapprendimento che dura tutta l’esistenza e che dona alla vita eccle-siale l’atmosfera di una scuola di vita in Cristo e nello Spirito. Gliaspetti fondamentali di questo particolare insegnamento sono, nonpuò essere diversamente, gli stessi posti in luce dall’opera delloSpirito Santo: la testimonianza della nuova condizione di figli diDio, la pienezza della verità rivelata in Cristo, la comunione, il ser-vizio e l’attesa della perfetta unione col Signore. Le guide del popo-lo di Dio sono i maestri, il papa, i vescovi, i sacerdoti, i genitorinella Chiesa domestica... tuttavia la Chiesa è quella scuola in cui

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6.La Chiesa madre

e maestradi comunione

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tutti sono chiamati ad essere maestri gli uni degli altri, come ricor-da san Giovanni Crisostomo nell’Omelia sulla Lettera agli Ebrei alnumero 30: ‘voi potete essere, se lo volete, maestri gli uni degli altri,potete esserlo meglio di me, perché voi passate più tempo insieme,conoscete meglio di noi le vostre relazioni reciproche. Non vi sononascoste le vostre mancanze vicendevoli, avete più franchezza, piùamore, più consuetudine reciproca. Sì, voi potete essere maestri gliuni degli altri’.

Proprio perché è scuola di comunione la Chiesa è sempre incammino verso la comunione perfetta. È realizzazione storica par-ziale, ma non cessa mai di essere il segno e lo strumento della chia-mata alla comunione di tutti gli uomini con Dio e fra di loro. In que-sto senso Giovanni XXIII chiamava la Chiesa ‘madre e maestra’delle genti. L’attesa dei “cieli nuovi e terre nuove” (cfr. 2Pt 3,13) nonè passiva accettazione degli eventi, ma attiva costruzione di queibeni «quali la dignità dell’uomo, la comunione fraterna e la libertàe cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità» GS39). Gli stessi beni, costruiti pazientemente sulla terra, dopo che liavremo diffusi – noi cristiani, nello Spirito del Signore e secondo ilsuo precetto – il Cristo li rimetterà al Padre, ma purificati da ognimacchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà alPadre il regno eterno ed universale che è regno di verità, di giusti-zia e di pace, di santità e di grazia.

Le strutture di molte società e la conformazione di alcune si-tuazioni stabilizzate nel tempo non riconoscono, opprimono, inibi-scono la dignità della persona. Giovanni Paolo II parla, per questomotivo, di strutture di peccato che impediscono la piena realizza-zione di quanti sono soggetti alla loro forza di oppressione. LaChiesa propone al mondo un modello di umanità in cui ogni uomoviene amato e rispettato, per cui ogni uomo viene chiamato adamare e a rispettare la grandezza di ogni persona. In questo è mae-stra. A partire dal modo di vivere della Chiesa, sempre ispirato al-l’esempio del Signore, il magistero universale del papa e quello deivescovi, le grandi e piccole opere di carità, l’esercito di persone,laici, religiosi, sacerdoti impegnati nell’evangelizzazione o nel soc-corso alle povertà più dimenticate – insieme alla competenza ed al-l’impegno politico di quanti operano nel servizio delle comunità na-zionali e nelle organizzazioni internazionali con lo stile della gra-tuità e del servizio – fanno della Chiesa una vera scuola di comu-nione per tutta l’umanità.

– Una prima tentazione da vincere: pensare di vivere nellaChiesa, e di essere anche attivi in essa, senza lasciarsi coinvolgere,interpellare e mettere in discussione. Si tratta di una tentazione

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Conclusione

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forte nei Paesi come i nostri di antica cristianità, dove un’apparte-nenza sociologica o culturale non suscita più la meraviglia dell’es-sere redenti e salvati dal Signore. Essa riguarda sia i singoli che leChiese locali e i gruppi ecclesiali. Cedere a questa tentazione signi-fica vivere all’esterno della Chiesa, anche se ufficialmente si è den-tro. Si è all’esterno, perché le nostre idee ed i nostri comportamen-ti non sono mai posti di fronte a Dio, a Cristo e alla santa Chiesa.La Chiesa è scuola, ma non di concetti astratti; è scuola di vita e nonpossiamo essere discepoli buoni senza mettere la nostra vita sottola luce del suo discernimento.

– Vi è anche una seconda tentazione: separare Cristo dallaChiesa e separare la Chiesa dall’umanità.

Il mistero di Cristo e l’esistenza della Chiesa vanno sempre in-sieme; la tentazione di separare l’uno dall’altra non è meno fre-quente della prima. La ricerca di una salvezza individuale e la stan-chezza, talvolta anche troppo manifesta nelle nostre Chiese partico-lari, sembrano giustificare l’adesione a Cristo escludendo la Chiesa,con la motivazione di una maggiore purezza e perfezione di costu-mi. Sappiamo che tutto ciò è impossibile, perché non corrispondeall’opera di Dio, ma al modo di pensare degli uomini. Come è im-possibile pensare a Cristo senza la Chiesa così è impossibile pensa-re alla Chiesa senza l’umanità intera. Cristo infatti è Salvatore delmondo e porta tutti con sé.

– La famiglia prima casa e scuola di comunione. Nella Chiesala famiglia è la prima casa e scuola di comunione. Essa rappresen-ta, in modo meraviglioso, l’amore di Cristo per la Chiesa ed è un ri-flesso dell’amore trinitario. I coniugi sono cooperatori della grazia(sono citazioni del Concilio); la loro vita, alla luce dell’amore diCristo, si apre alla povertà, alle varie povertà e le soccorre.

– La parrocchia casa e scuola di comunione sul territorio. Ilregno dei cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze persuo figlio (cfr. Mt 22,1-14) ...ho pensato che la parrocchia è proprioquel gruppo di servi che prima è inviato a invitare coloro che uffi-cialmente dovevano partecipare al pranzo. E successivamente, dopoil loro rifiuto, vista l’indifferenza di questi, è inviata come oggi aicrocicchi delle strade per invitare tutti al convito del re. La parroc-chia è caratterizzata dalla capacità di essere presente accanto adogni uomo in nome di Cristo. Per questo ci sono le parrocchie, al-trimenti basterebbe la cattedrale e soprattutto la parrocchia deve es-sere esperta conoscitrice dei crocicchi, dei luoghi di incontro dellepovertà. In quei crocicchi deve avere la forza di stare sempre lì, sullefrontiere della storia, per piantarvi la croce che illumina e salva eper chiamare tutti al banchetto del re.

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– Quale pastorale per la comunione? Dentro le mura o porta-tori di doni? La parola comunione, in base alla sua origine lessica-le, può portarci a due rappresentazioni figurative. In latino com-munio rimanda, in primo luogo, alla radice mun, che significa bar-riera, vallo, muro. Le persone che stanno in comunione, secondoquesta accezione, si trovano insieme dietro una barriera, ben dife-se e tenute ben strette da un ambito comune ben delimitato. Sonogli interessi e visuali comuni, il modo stesso di pensare, di agire edi volere.

In un’altra interpretazione etimologica la radice mun rimandaal latino munus che significa compito, ma anche soprattutto dono.In questo secondo significato la comunione è il frutto di un dono ri-cevuto da tutti; noi sappiamo che questo dono è il corpo delSignore, dato nelle nostre mani. In forza di questo dono siamo unitigli uni agli altri nel comune compito di trasmetterlo a tutti. Nellacommunio sono aboliti tutti i confini; il dono è per tutti, esiste sol-tanto la dedizione che diventa la via della più grande realizzazionedella persona. In questo secondo senso la Chiesa vive la comunio-ne per il dono ricevuto e per il dono da portare a tutti. Le dodiciceste della moltiplicazione dei pani da portare via (cfr. Mc 6,43).

– La scuola è dove c’è il maestro. La scuola non è l’edificiodi pietra. Ciò che rende scuola qualunque luogo è la presenza diun maestro. La Chiesa è scuola di comunione soltanto se è il luogoin cui il Maestro parla ed è ascoltato. Un’immagine bella dellaChiesa mi sembra quella della casa in cui Gesù guarisce il parali-tico (cfr. Mc 2,1-12). È la casa di Pietro a Cafarnao; Gesù è al cen-tro e insegna la parola di Dio. Tutti stanno ad ascoltarlo, porte efinestre aperte sono piene di gente. Quattro persone di fede sfon-dano il tetto per portare un paralitico davanti a Gesù. Gesù per-dona e guarisce. La gente loda Dio dicendo: «Non abbiamo maivisto nulla di simile» (v. 12).

Questa è la Chiesa; ancora oggi il Signore parla nella casa delsuccessore di Pietro, ma la casa deve essere aperta a tutti e il tettosfondato. La Chiesa deve avere tanta fede da portare ai piedi di Ge-sù tutte le paralisi degli uomini, quelle dello spirito, insieme a quel-le del corpo.

– La casa è dove c’è la madre, Maria. La madre ha un talesenso di accoglienza e di disponibilità che da sola è la casa, anchesenza mura. La Chiesa sarà il luogo della comunione se in essa cisarà la madre. La devozione alla Madonna, ce lo ricorda il papa nel-l’enciclica sul rosario, è garanzia e segno di maternità della Chiesa.La Chiesa stessa, sull’esempio di Maria, sarà madre se saprà comu-nicare la tenerezza di Dio, la sua attenzione ad ogni persona; la suaillimitata capacità di misericordia e di accoglienza, la sua capacità

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di prendersi cura di quanti il Signore le avrà affidato, cioè di tuttal’umanità, con i denari forniti da lui, il buon samaritano, in attesadel suo ritorno (cfr. Lc 10,35).

Avere misericordia è prendersi cura, nella locanda del buonsamaritano... il luogo che tutti accoglie fanno risaltare la maternitàdella Chiesa. Sarà la maternità della Chiesa a far crescere e diffon-dere la fraternità e la comunione tra i cristiani e nel mondo.

Il sogno di una Chiesa attraente come quella degli Atti (cfr. At2,47-48), capace di suscitare simpatie sante... è quello che coltivia-mo nel nostro cuore e che poniamo al primo posto nella preghieraquando diciamo: «venga il tuo regno» (Mt 6,10). Quando la Chiesasarà veramente madre in tutti i suoi figli, le genti accorreranno a lei,come dice il profeta (cfr. Is 55,5), per imparare l’amore e per colti-vare la speranza.

Concludo, con un racconto di madre Teresa. La casa è dov’èla mamma. ‘Una volta raccolsi un bimbo e lo portai alla nostra casaper bambini. Gli feci un bagno, gli diedi dei vestiti puliti e tutto ilnecessario, ma dopo un giorno quel bimbo fuggì. Fu ritrovato daqualcun altro, ma fuggì ancora. Allora dissi alle sorelle: per piacereseguite quel bambino, una di voi resti accanto a lui per vedere doveva quando scappa. E il bambino scappò per la terza volta e là sottouna pianta c’era sua madre, che aveva messo due pietre sotto un re-cipiente di terra e stava cocendo qualcosa che aveva raccolto in unapattumiera. La sorella chiede al bimbo: “Perché sei scappato dallacasa?”. E lui rispose: “ma la mia casa è questa, perché qui c’è la miamamma”. La mamma era lì, dunque quella era la sua casa. Che ilcibo fosse stato in una pattumiera gli stava bene, purché fosse suamadre a cuocerlo.

Era la madre che accarezzava il bambino, la madre che vole-va il bambino. E il bambino aveva la sua casa e la sua mamma.

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Essere Chiesain un contesto di minorità:Asia

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Padre GIANCARLO POLITI - missionario del PIME

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a. Prima di arrivare in Cina, la strada è un po’ lunga, sonocirca dodicimila chilometri da qui, vorrei raccogliere un po’ sullastrada e presentarvi alcune realtà del continente asiatico che diven-tano il contesto cinese. La Cina infatti è parte di un grosso conti-nente che noi abbiamo definito Asia. Ma che cos’è l’Asia? È un’ac-cozzaglia di enormi culture, popoli, tradizioni, lingue. In Asia in-nanzitutto troviamo metà della popolazione mondiale: sono tre mi-liardi e mezzo circa. Quindi stiamo parlando di una fetta rilevantedi donne e di uomini che compongono l’intero continente. Gli Statinon sono tantissimi, settantadue per l’esattezza, però ovviamentecon alcune realtà ed estensioni enormi. Ci sono migliaia di gruppilinguistici ed etnici. La lingua più parlata è il cinese, evidentemen-te. Ma anche nella lingua cinese ci sono inflessioni talmente grandida non potersi capire. Io parlo la lingua del Sud che è il cantonese,assolutamente incomprensibile non solo al Nord, ma anche alCentro. Pensate che Mao Tse-Tung non ha mai fatto un discorsopubblico, perché non veniva capito da nessuno, neanche alla pro-clamazione della repubblica popolare il 1 ottobre del ‘49 quando luiha detto: ‘la Cina si è alzata ed è libera’. Il discorso l’ha pronuncia-to il suo segretario, perché Mao parlava un dialetto incomprensibi-le da molti.

b. Dentro a questo viaggio c’è una cosa in comune, la pretesadei governi, delle organizzazioni politiche di essere democratiche.Un concetto trasmesso dall’Occidente, dove c’è stato tutto un cam-mino e un travaglio, e non sempre capito e conosciuto in Asia.Questo spiega, l’imposizione delle democrazie, spiega gran parte deitravagli e delle lotte politiche di oggi. Come anche quella dei confi-ni, che oggi sono diventati confini politici invalicabili ma non sonomai stati così in Asia. Pensate a tutte le popolazioni che vivono suimonti (i monti compongono gran parte dell’Asia) e non hanno maisaputo che esistessero i confini invalicabili ed oggi si trovano difronte, portando le loro greggi al pascolo di non poter più andare suquella montagna... Evidentemente sono cose avvenute negli ultimicinquant’anni, ma che hanno segnato profondamente tutta la vitadella gente.

1.Il contesto asiatico

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c. È anche la patria dove sono nate tutte le grandi religioni,compresa la nostra. Anche il cristianesimo è nato qui proprio all’i-nizio di questo grande viaggio che ci porta ad Est dove sorge il sole.

I credenti in Cristo sono certamente una minoranza, assolu-tamente quasi irrilevante. Su tre miliardi e mezzo di persone, noipossiamo contare i battezzati, non i credenti. I battezzati sarannoun settimo della popolazione con disparità enormi. Nelle Filippine,dove la maggioranza è battezzata, ma è un caso abbastanza unico.C’è anche Timor Est con un 30% di cattolici; ma sono le uniche duerealtà che compongono un quadro abbastanza uniforme di presen-za cristiana.

L’area più grande è chiaramente quella musulmana con ilpaese musulmano più grande del mondo che è l’Indonesia con due-centodieci milioni di abitanti; se togliamo dieci milioni che appar-tengono ad altre religioni, il resto sono tutti musulmani; l’area indù:l’India con un miliardo di persone, Bali, piccola parte dell’arcipela-go indonesiano e il Nepal.

Poi c’è la grande fascia buddista che parte dallo Sri Lanka, lagrande isola al Sud dell’India, corre sui monti dell’Himalaya e sisposta come si è spostata tanti secoli fa verso Est, verso Nord-Est,prendendo la Mongolia e scendendo in Cina dove era diventata lareligione prevalente (era diventata, oggi non lo è più con certezza).

d. C’è poi tutta un’altra area che possiamo definire alla ricer-ca di una propria identità perduta; è quella che, nell’ultimo secoloappena concluso, ha fatto l’esperienza dell’ateismo, l’esperienza co-munista che continua ancora oggi. Pensate all’Asia centrale che eraprima parte dell’Unione Sovietica e che è forse quella che ha paga-to il minor prezzo della rivoluzione e della presenza comunista chesi è spostata invece nella Cina, nel Vietnam, nella Cambogia, nelLaos e nella Corea del Nord. Un’enorme area che ha coinvolto oltreun miliardo di persone, che ha cambiato i connotati. Ad esempio inMongolia, settant’anni di comunismo hanno fatto dimenticare addi-rittura la scrittura. Molti sono oggi incapaci di leggere i documentiche parlavano della loro storia, delle loro radici religiose. E cosìanche in Cina dove, non avendo il buddismo un’autorità centrale,non ha salvato quasi niente della identità buddista.

Oggi si è alla ricerca; chi vuole ritornare alle radici della pro-pria umanità religiosa sta alla ricerca di questo che non appartie-ne più a nessuno. Ricordo anni fa, appena caduto il muro di Ber-lino sono andato in Mongolia, a Ulan-Bator, per visitare un mo-nastero buddista. Ho cercato di capire, chiedendo ai monaci qual-cosa sul buddismo. Un monaco che aveva in mano la corona delrosario buddista mi ha detto: “ecco tu dici questo e diventi buddi-sta”. È un po’ poco, ma è tutto quello che lui aveva salvato dallatradizione.

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Contesti sociali comuni

Un aspetto impressionante è vedere la convivenza continuatra povertà estrema e miseria e la ricchezza più sfrenata. La si trovadovunque. In genere la ricchezza veramente grande è per una pic-cola riserva di uomini e di donne connessi con il regime politico eprevale in una certa area. Questa convivenza è incomprensibile.Provate ad immaginare, una provincia che ha fatto un enorme pro-gresso negli ultimi vent’anni, la provincia di Pechino, dove si trovaanche la capitale Pechino. Si passa dalla città di Pechino che è statatrasformata totalmente, sullo stile delle città occidentali, alla cam-pagna dove non c’è ancora l’energia elettrica. Mi sono sempre chie-sto come può un contadino dalla campagna entrare in città e nonprendere uno zaino e riempirlo di pietre per rompere le vetrine! Ilnumero dei poveri è enorme. La Cina ammette, nelle sue statisticheufficiali dell’anno scorso, che settanta milioni di persone vivonosotto il livello della povertà, che è meno di un dollaro al giorno. Macertamente sono molti, molti di più.

Il potere politico e militare, in Asia, ha avuto come modello lateoria di Mao Tse-tung. A Yan’an, sui monti al confine con la exUnione Sovietica a Ovest della Cina, si trova la base comunistadove erano stati enunciati due principi semplicissimi: “il potere po-litico va conquistato assoluto, con ogni mezzo e a qualsiasi prezzoe va conservato assoluto, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi prezzo”.E hanno funzionato... con il costo per la Repubblica PopolareCinese di cento-centocinquanta milioni di morti. Ma ora c’è una mi-naccia che sta entrando in Cina ed è quella dello sviluppo econo-mico, impazzito, che ha fatto gente ricchissima anche all’internodella realtà comunista. Ma come concordare l’ideologia comunistacon i soldi a palate che mi provvede il comunismo? Ecco allora lateorizzazione che ‘il partito deve controllare anche lo sviluppo eco-nomico e il potere economico’.

Immaginate, per trent’anni tutti coloro che possedevano qual-che cosa erano considerati nemici del popolo. Ora diventano unaclasse utile, una classe che si può accogliere; possono diventare mem-bri del partito comunista. Non solo! ancora qualche anno fa si dicevache il grande nemico degli anni ‘50, oltre i proprietari terrieri, era lareligione. Tutti i credenti, non solo i cattolici, qualsiasi. L’anno scorsoinvece al Comitato centrale si è riconosciuto che anche la religione hauna utilità sociale. Non si è riconosciuta in modo assoluto, non illu-diamoci, che ognuno ha il diritto di credere in ciò che vuole, ma chela religione, trasformata debitamente e opportunamente in religionecivile, può diventare qualcosa di utile allo sviluppo dello Stato.

Questi due principi credo che siano da ritrovarsi un po’ ovun-que. Li ritrovate in Corea del Nord, nel Laos, nella Cambogia, in

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Vietnam e in qualche maniera in Thailandia, e sotto altre formeanche nella grande India. Il potere politico va conquistato, non im-porta a quale prezzo e con quali mezzi.

Un grande nemico sta entrando ora, un po’ dappertutto, ed èla mentalità consumistica. In qualunque parte dell’Asia, anche inmezzo alla foresta, vi trovate il satellitare, l’antenna parabolica vi-cino alla capanna. E la televisione parla e fa vedere immagini belle,attraenti anche a chi non ha poi la possibilità di ottenerle e nean-che ha la chiave per interpretarle. E sta cambiando la mentalità ditutta la gente, perché tutti vogliono queste cose!

Lavorando con i giovani in questi ultimi anni, io sono statoventicinque anni in Asia, ma ora lavoro qui, ho visto quanto la te-levisione incide sulla mentalità delle persone. Abbiamo dei preti,dei seminaristi che vengono in Italia per studiare. Vengono con l’i-dea che da noi c’è tutto e che si può ottenere tutto, senza fatica esenza la capacità di interpretazione della realtà. La mentalità con-sumistica è ormai parte di tutto questo; parte della vita in modo taleche non diventa più importante andare alla moschea, andare inchiesa alla domenica o andare al tempio, o anche ci si sente liberidalle tante restrizioni morali dell’ambiente in cui si vive. Lo svilup-po umano è assolutamente importante; ma occorre conquistarlo,non con la violenza, ma con una crescita personale che faccia capi-re che il diritto mio si ferma dinanzi al diritto degli altri.

Il cristianesimo che è nato in Asia è ritornato in Asia da stra-niero; perché è ritornato che parlava latino, con una liturgia tutta la-tina, con una teologia totalmente latina all’interno della stessa cul-tura latina! Ha fatto sì dei santi, ma non è riuscito a raggiungere ilcuore di molte persone, perché tornando negli ultimi sette o otto se-coli in Asia, è tornato da straniero. Per cui l’ingresso del cristiane-simo è stato estremamente marginale e non ha raggiunto la culturadel continente asiatico.

Mi sono venute in mente subito due immagini che esprimonoche cosa significa essere cristiani. Non ho mai concepito che il mis-sionario debba verificare la sua missionarietà dal numero di batte-simi che celebra; perché non si è missionari perché si fanno batte-simi e si scrive tutti nei registri parrocchiali, ma per altre cose.

1. Andiamo indietro di trentadue anni, nel 1971 a HongKong. Ero appena arrivato in parrocchia e andavo ancora a scuoladi lingua. Un lunedì mattina ero in ufficio parrocchiale da solo, tuttigli altri erano usciti. Arriva un giovane, avrà avuto 32/33 anni, conla faccia sfigurata e mi dice: ‘sono arrivato a nuoto’. A quei tempi

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2.Essere Chiesa oggi

in Asia e inparticolare in Cina

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scappavano a nuoto dalla Cina ed entravano in Hong Kong. Glichiedo chi è, ma ero un po’ terrorizzato, perché era una delle primevolte in cui venivo a contatto con una persona che veniva dall’altraparte della cortina di bambù. Io sprovveduto, anche perché avevouna conoscenza scolastica della lingua, gli chiedo un po’ di infor-mazioni su di lui e mi dice: ‘senti, facciamola corta, sei un prete?.‘Sì sono un prete’. ‘Allora mi devi aiutare’. ‘Va bene se posso tiaiuto. In che maniera?’. ‘Sono appena scappato, arrivato in HongKong; mia madre mi ha detto che appena sarei arrivato in HongKong avrei dovuto cercare un prete e fargli una domanda’. ‘E alloradimmi’. ‘Io sono cattolico, mi devi dire in che cosa io credo’. Questadomanda mi lascia sconvolto. Si era nel pieno della rivoluzione cul-turale e lui era studente di medicina in una città di tredici milioni diabitanti al centro della Cina. Tra le tante cose che erano successeverso l’anno ’67-’68 una era quella di cercare i nemici del popolo trai credenti. Lui era stato individuato e lo avevano invitato a lasciarela sua religione. Lui sapeva solo di essere cattolico e non conosce-va niente altro della religione, ma rispose di no! Per ucciderlo glibuttarono della benzina addosso ... e tutto sfigurato mi viene a chie-dere: ‘in che cosa io credo?’. Quella è stata una doccia fredda, unochoc per me che dicevo: ‘probabilmente siamo qui come testimonidi qualcosa che accade senza di noi, le cose più belle e le più gran-di accadono senza che noi ce ne accorgiamo’. Questi aveva rischia-to la morte sapendo una cosa vaga... ‘sono cattolico’.

2. Un secondo fatto. Ogni tanto noi preti andavamo a fare ungiro in ospedale ed ero andato a dare l’olio santo ad una persona.Dall’altra parte della stanza c’era una coppia giovane con la lorobambina che stava per morire. Mi guardano, allora mi faccio pre-sente e dinanzi al dolore di due persone dico: ‘Posso dirvi una pre-ghiera?’. ‘Noi non siamo cattolici, però se ci dici una preghiera, noisiamo contenti; ma Dio può ascoltare anche noi?’. ‘Ma certo’, e hopregato. I cinesi non si abbracciano mai, ma la donna, al momentodel saluto, mi ha abbracciato.

Cosa vuol dire essere presenti in una minoranza, essere pre-senti e credenti? Vuol dire dare speranza, dire a quelle due persone:‘guardate che Dio accoglierà anche la vostra bambina’. Ed è questala pace che si dona. Sarà forse il problema di costruire anche ami-cizie senza esaurirsi lì, ma di permettere alle persone di guardarenella nostra vita e di vedere se ci sono ragioni per vivere. Sì io devoconquistare le mie ragioni per vivere e per seguire il Signore, madevo permettere anche agli altri di poterle toccare con mano, di po-terle capire. A me pare che questo sia estremamente importante,forse un pochino difficile, permettere all’altro che io incontro diguardare dentro la mia vita, perché scopra e apprezzi se ci sono leragioni per vivere. È un rendersi visibili all’interno della società, mavisibili non con strutture che costituiscono una sfida, perché se

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sono minoranza resto minoranza. Non voglio diventare il primodella classe. Essere dentro e rimanere visibile, ma nella mia funzio-ne di gregario.

Qui una premessa è essenziale. La Chiesa non è soltanto mi-noritaria e assolutamente irrilevante; su tre miliardi e mezzo i cre-denti che noi diciamo nostri fratelli e sorelle, i cattolici, sono nonpiù di dieci-dodici milioni. È più difficile calcolare quanti siano iprotestanti, perché c’è una varietà di appartenenza. Una cosa poiimportante da tener presente entrando, varcando il confine cinese,è questa: sovrano non è lo Stato, ma il partito. È il partito che dicecome deve essere gestito lo Stato e non viceversa. La carica più im-portante non è il presidente della Repubblica o il primo ministro,ma il segretario generale del partito comunista. Questo va capito su-bito.

La Chiesa – e ci fermiamo al discorso Chiesa cattolica – è pas-sata attraverso tre stadi fondamentali nella sua storia recente, negliultimi cinquant’anni, non di prima.

• I primi trent’anni, dal ’49 al ’79-’80 sono stati di persecu-zione violenta. È stato il tentativo di eliminare la religione. All’iniziodella rivoluzione la religione viene dichiarata nemica e poi final-mente, il 1 agosto del ’66 Mao dichiara che non c’è più religione inCina e il giorno dopo fa fucilare due vescovi per celebrare la finedella religione. La persecuzione è stata violentissima e ha riguarda-to tutti coloro che avessero un minimo di credenza religiosa. In queiprimi trent’anni è stato imposto a tutti di lasciare ogni appartenen-za e di abiurare in modo esplicito. Si sono riempite le carceri e igulag cinesi di preti, di vescovi; credo che non ci sia una famigliache non sia stata toccata dalla persecuzione nei primi trent’anni.Tutte le proprietà della Chiesa furono requisite. Già nel ’54 tutte lechiese erano state chiuse con l’eccezione di sette-otto nelle più gran-di città. Ma poi nel ’58 tutte vengono chiuse. Sarà nel ’71 che verràriaperta una chiesa in Pechino per intervento dell’allora ministroVittorino Colombo. Era per il corpo diplomatico.

• Il secondo stadio inizia negli anni ’80. A cavallo delle festedi Natale del ’79 avviene una riunione del Polit bureau che decidela politica di apertura e di riforma, perché la Cina era ormai arriva-ta al collasso totale. Ricordo il primo viaggio un po’ lungo che hofatto nell’estate dell’80, siamo andati in due, in una delle provincecentrali e non c’era nulla assolutamente da comprare, perché l’eco-nomia era collassata in modo totale. Temendo la rivolta della gentesi comincia la politica di apertura e di riforma. Molto timidamente,in concomitanza con questa prima apertura, avviene un tentativo diconvivenza tra il potere politico e la Chiesa. Prima con molte spe-

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3.L’esperienzadella Chiesa

nella Repubblicapopolare cinese

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ranze, ma – sto parlando soprattutto dal punto di vista di chi vi eradentro – senza credere molto che questa sarebbe stata la condizio-ne definitiva. Ricordo un piccolo foglietto scritto da un vescovo a unaltro dove gli diceva: ‘sta’ attento che questa cosa non dura molto,quindi ordiniamo dei vescovi’, perché erano convinti di essere sololoro due sopravvissuti. Il tentativo di convivenza, il cercare unmodus vivendi; è possibile che i cristiani possono convivere con ilpartito comunista?

• Il terzo stadio inizia nell’89. Vi ricordate tutti cosa è suc-cesso in piazza Tienanmen il 4 giugno dell’89? Quell’avvenimento hachiuso un capitolo e lentamente ha portato alla politica che oggi è invigore, di riprendere il controllo assoluto su tutti i credenti, ma inuna maniera molto più furba e molto più sottile. Tutti i credenti, nonsolo i cattolici, hanno pagato un prezzo altissimo di sofferenze, diumiliazioni in cinquant’anni di storia e mai è stato chiesto scusa aloro. Guardate che chiedere scusa non è per il gusto di chiederescusa, ma perché i rapporti non possono essere ricostruiti se non c’èla consapevolezza che c’è stato qualcosa di sbagliato all’inizio. Nonè stata fatta l’autocritica del periodo sulla rivoluzione culturale.Perché? Perché i dirigenti di oggi, che sono eredi dei dirigenti cadu-ti in disgrazia negli anni della rivoluzione culturale, sono i rappre-sentanti di quei primi dieci-quindici anni. Sono di quella linea e nonhanno mai chiesto scusa, mai detto ‘abbiamo sbagliato’. Per cui c’ègià lì un punto che non permette alcun accordo, alcun avanzamento.

Oggi cosa troviamo in Cina? Troviamo, una domanda impressionante di accompagnamen-

to religioso. Siamo in una domanda veramente ampia di accompa-gnamento alla fede, ma a fronte di una popolazione di un miliardoe trecento milioni, sono ancora pochissimi quelli interessati!

Ma cosa succede? Che la Chiesa di oggi in Cina, non sa darlo.Tenete presente che mancano trent’anni di ordinazioni sacerdotali odi dedizione totale alla religione. Dagli anni ’50 agli anni ’80 non cisono state espressioni religiose. Manca un’intera generazione. Ar-rivano qui e a Roma parecchie suore, seminaristi e preti. Perchévengono? Vengono per vedere se nelle nostre Chiese riescono a tro-vare alcuni elementi che aiutano a vivere bene la loro vita e a darerisposte alla loro giovane fede.

Un’altra realtà che è presente nella Chiesa di Cina oggi è ilnumero troppo grande di preti e di suore: strano. I seminari sonostrapieni, così anche la richiesta di donne che vogliono dedicarsinella vita religiosa. C’è qualcosa di anomalo, perché una comunitàdi duecento persone o duecento famiglie non può dare cinquanta trapreti e suore. C’è qualcosa che non funziona...Vuol dire che c’èun’attrattiva di una comprensione della religione, della fede, manon compensata da una conoscenza di sé e da una capacità poi ditenere all’interno di un regime che è sempre nemico.

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Negli anni ’80 ci si chiedeva se in Cina esistesse ancora laChiesa. Magari anche voi vi chiederete se esiste ancora la Chiesa ese la Chiesa che esiste eventualmente è ancora fedele, è ancora laChiesa cattolica. Da vent’anni e più credo che siamo assolutamen-te certi, la Chiesa esiste. Sulla carta sono centoquarantatre le dio-cesi; di fatto, che funzionano, ce ne saranno centodieci-centoventi;ma la Chiesa esiste, è ritornata e c’è una Chiesa che opera all’inter-no di un regime. È ‘la libertà al guinzaglio’. Ogni tanto si legge suigiornali che esiste anche una Chiesa patriottica. Non esiste assolu-tamente! In cinese lo stesso carattere viene usato per indicare laChiesa e la associazione patriottica, associazione governativa per ilcontrollo dell’attività religiosa. In Cina non esistono due Chiese, mane esiste una; una Chiesa che vive una difficile situazione, perché –per poter operare – deve dire alcuni sì e altri no, che vengono tra-dotti in ‘ni’ e ‘so’. Il problema non è il papa, il problema è il con-trollo assoluto su tutto, cui il partito non può permettersi di rinun-ciare.

Oggi comunque è chiaro che esiste una Chiesa unica in Cina,va detto con molta chiarezza, che vive al suo interno un problemagrosso, un problema di unità che è stata compromessa dalla pre-senza incuneata, dentro ad ogni realtà ecclesiale, di una associa-zione che si chiama ‘Associazione patriottica dei cattolici cinesi’. Inalcune diocesi c’è tensione tra la Chiesa e l’associazione, in altremeno. Ricordo un’incontro avuto con un vescovo; mi diceva: ‘noil’abbiamo superato benissimo. Io sono il presidente dell’associazio-ne patriottica, il mio coadiutore è il vice; una bravissima donna è lasegretaria e il tesoriere un ex seminarista di cui ci si può fidare com-pletamente’. Avevano trovato un modus vivendi, precario quanto vo-lete, ma ci vuole la forte personalità magari di qualcuno che riescea gestire questa cosa. In altri l’associazione patriottica prende il so-pravvento e bisogna aspettare che cambino le persone.

Qual è la più grande sfida oggi della Chiesa in Cina? La piùgrande sfida che sta vivendo in questi anni e che continuerà a vive-re risiede nelle persone dei vescovi. Perché? Su centoventi vescoviviventi oggi, mettendo insieme quelli un po’ del regime e quelli clan-destini, la bellezza di ottantacinque ha superato l’età canonica degliottant’anni. Ce ne sono parecchi che hanno superato anche i no-vanta. Non sono più in grado di fare nulla e vanno sostituiti. Ma conchi? È questo il problema. Manca tutta una generazione e i pretioggi hanno pochi anni e soprattutto poca esperienza pastorale! Epoca furbizia per convivere con un regime che invade tutti gli ango-li dell’esistenza.

Direi che esiste anche un mito. Sfido voi a trovare un artico-lo della nostra stampa che, parlando della Cina e della Chiesa inCina, non menziona le relazioni diplomatiche tra Santa Sede ePechino, come se la Chiesa, l’esistenza della Chiesa, dipendesse

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4.Alcuni interrogativi

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dalle relazioni diplomatiche. Chi di voi sa chi è il nunzio in Italia?Questo significa che probabilmente l’essere Chiesa non dipende dalconoscere o dall’avere un nunzio in un posto o in un altro! Così l’e-sistenza della Chiesa in Cina non dipende assolutamente dalle rela-zioni diplomatiche. Dipende invece da tante altre circostanze che laChiesa possa esprimersi in modo buono... e oggi non sono ancoramaturi i tempi. Nel partito comunista esiste un’ala oltranzista che èancora ancorata agli anni ‘50, a quelle concezioni, che non vuolemai rinunciare al controllo assoluto su tutte le espressioni che nonsono del partito.

Prima avevo detto che sovrano in Cina è il partito e non loStato. Cosa significa questo? Che la pretesa a voler governare laCina, un miliardo e trecento milioni di persone, non viene da un’e-lezione libera, ma da un fatto accaduto cinquant’anni fa che vienechiamato ‘rivoluzione’ e che aveva promesso tante cose in granparte non mantenute. La conseguenza è che nessuno – all’internodel gruppo dirigente – potrà permettersi il lusso di allentare il con-trollo, nessuno. È per questo che il partito non potrà mai permette-re la libertà. Di fatto, la libertà in campo religioso è chiamata così:‘politica di libertà di fede religiosa’. C’è tutto un documento enormedell’81 che parla di questo; politica vuol dire che non è il riconosci-mento di un diritto nativo, ma è una politica che io faccio, quindioggi te lo concedo e, se domani ritengo di non dovertelo concedere,non ce l’hai più. È una politica, come quella sulla sanità o sulle car-ceri o sulle pensioni. È una politica di libertà di fede religiosa, nondi espressione religiosa. Ben diverso! La fede è nel tuo cuore; nelmomento in cui tu vai in chiesa, diventa religione e allora tu faicome dico io.

La Chiesa in Cina è vivacissima e Dio sta operando all’inter-no della Cina. Ci sono molte realtà che non vanno, che non funzio-nano, ma queste non sorpassano e non sono oltre alle cose belle cheinvece accadono. E la realtà più bella è la fede della gente che siesprime con molta semplicità. Era il 1990, io ero nella provinciadello Xan-xi e la domenica alcuni seminaristi mi hanno condotto suun monte non lontano, dove i vecchi missionari francescani aveva-no costruito il sacro convento, una piccola Assisi, portandosi le pie-tre sulle spalle. Negli anni ‘80 questo convento era stato ricostruitoe lo chiamavano ‘la Porziuncola’. Eravamo quasi arrivati e i semi-naristi dicono: ‘vieni qui, vicino alla statua della Madonna e guar-da’. Esattamente all’altezza degli occhi della Madonna si poteva ve-dere tutta l’intera vallata con i paesini cattolici con il campanile. Lavista completa si poteva avere solo da quel punto. E mi dicono:‘Maria ci ha protetto in tutti questi anni, ha protetto la nostra fede

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Conclusione

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e vogliamo che continui a proteggerla’. L’unico punto dal quale sipoteva vedere tutta questa fila di campanili che erano sotto nellagrande vallata. La speranza quindi è in Dio, non è tanto in noi.

• Quanto detto dal relatore ha lasciato tutti un po’ sorpresiperchè, da quanto riferisce la stampa o da esperienze di viaggi, sicrede che in Cina ci siano due Chiese parallele e che sia impossibi-le anche oggi professare la fede cattolica.

– Mi rendo conto che è molto difficile riuscire a capire una si-tuazione assolutamente unica come è quella della Chiesa in Cina.Non possiamo mettere insieme tutti i cinquant’anni; le situazionidei primi trent’anni non sono quelle di oggi. Parlare della Chiesache è in Cina oggi, che non ha le difficoltà che aveva nei primitrent’anni, non vuol dire negare tutto quello che sta capitando. Lasituazione della Chiesa, come ho detto e ripetuto, è una situazioneassai unica. Ovviamente il provocatore della situazione strana è ilregime, che ha in mente soltanto di controllare tutto. Come ho dettonel ’57 il partito ha creato l’Associazione patriottica dei cattolici ci-nesi. Un organismo parallelo lo si trova in tutte quelle organizza-zioni che non sono partito comunista. All’associazione patriotticaappartengono i cattolici e anche qualche dipendente governativopiù intraprendente!

Ora dinanzi a questa invadenza del governo ci sono almenodue o tre risposte fondamentali. Se uno non ha il coraggio non se lopuò dare. Non sto scusandolo, dico che è una delle risposte possi-bili. Quindi uno fa quello che gli dicono di fare. Un’atra risposta èdi chi non scende a nessun compromesso. C’è chi invece, pur dicampare, davanti dice una cosa e poi fa il contrario dicendo: ‘la li-bertà me l’ha data Cristo! E anche se ti dico si, per sopravvivere,non la pensa poi così. Quasi tutti i vescovi, ne mancano solo unaquindicina, hanno trovato la maniera di raggiungere il papa, tutti!

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Dagli interventie ripresa

del relatore

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La Chiesain Medio Oriente

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Padre ELIA KURZUM - Betharramita di Nazareth

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Sembra strano parlare di Gerusalemme, parlare della Chiesamadre come Chiesa di minorità. È strano perché, come dice il sal-mista, lì, a Gerusalemme tutti sono nati (cfr. Sal 86,6). E noi tuttiabbiamo qualche cosa, una relazione con Gerusalemme; con essa cisentiamo legati, collegati. Tutto è partito da Gerusalemme ma ora laChiesa in Gerusalemme è minorità.

1. Non mi soffermo a spiegare perché è diventata minorità,ma vi presento la situazione di oggi. Non solo la Chiesa di Geru-salemme è una Chiesa di minorità, ma è una Chiesa con differentiChiese, con differenti tradizioni e differenti paesi. Comprende quat-tro paesi: la Giordania, la Palestina, Israele e Cipro. Ci sono quasiundici e mezzo, dodici milioni di abitanti e i cristiani sono trecen-tocinquantamila, quasi 2,5-3%. Di questi dodici milioni ci sono cin-que milioni e mezzo di ebrei e il resto sono arabi. È chiaro dunqueche i trecentocinquantamila cristiani sono arabi cristiani. Questi cri-stiani poi sono divisi in differenti Chiese: un po’ meno della metà diquesti cristiani sono nella Chiesa greco-ortodossa con un patriarcagreco che risiede a Gerusalemme. Ci sono anche altre Chiese orto-dosse, come la armena, la siriaca, la copta e quella etiope. Se avetevisitato il Santo Sepolcro vi sarete accorti della presenza di tuttequeste Chiese con i loro differenti riti. Circa 1/3 di cristiani sono cat-tolici di rito orientale: 60.000 sono i greco-cattolici, quasi tutti sononel Nord, cioè nella Galilea. Poi ci sono i maroniti, una piccola co-munità di siriani cattolici, e in Giordania alcuni caldei, fuggitidall’Iraq. Abbiamo poi la Chiesa di rito latino con il patriarca aGerusalemme, Michael Sabbah che conta ca. sessantacinquemilafedeli. Ci sono anche piccole comunità protestanti come gli anglica-ni, i luterani e i battisti. Ecco la situazione: una piccola Chiesa giàin minoranza e divisa in molte Chiese e tradizioni.

Una prima domanda viene spontanea: qual’è la relazionedella Chiesa cattolica con i differenti riti?. Da un po’ di anni esistel’Unione degli ordinari cattolici in Terra Santa, formata dal patriar-ca latino di Gerusalemme e dagli altri vicari patriarcali dei greco cat-tolici, dei siriani cattolici, degli armeni cattolici e dei maroniti. Tuttisi incontrano due volte all’anno e fanno un cammino insieme per laChiesa cattolica in Terra Santa. Qualcosa di importante che è usci-to da questi incontri è il sinodo diocesano, iniziato ancora prima

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dell’anno 2000, a livello di tutti i riti cattolici, con i laici di differentiriti e si è arrivati a fare un piano pastorale che, nel 2000, durante lavisita del Santo Padre, è stato offerto a tutte le Chiese. Quest’annoè l’anno della parrocchia, dove si cerca, alla luce di questo docu-mento, di vedere cosa vuol dire essere comunità all’interno dellaparrocchia.

Annualmente poi, all’inizio di luglio, con tutti i sacerdoti deidifferenti riti si fa un ritiro annuale, presenti anche i vescovi. Anchedal punto di vista amministrativo, si cerca di lavorare insieme; peresempio nel tribunale ecclesiastico.

Una seconda domanda: qual è la relazione con le Chiese noncattoliche?’. È chiaro che lì è ancora un po’ più difficile, per il fattoche non siamo nella totale comunione. Ogni due mesi c’è un incon-tro a Gerusalemme di capi delle tredici Chiese riconosciute aGerusalemme, sia dalla parte ortodossa che da quella cattolica; sianalizzano assieme molti problemi; per esempio alcuni anni si èfatta insieme la lettera di Pasqua o di Natale per tutti i fedeli. Piccolipassi, ma utilissimi per un cammino comune.

Terza domanda: cosa pensano i fedeli di tutto questo? Lagente cosa ne pensa? La gente non fa differenze. Prima di tutto di-cono: ‘noi siamo cristiani’! Ci sono molti matrimoni tra ortodossi,cattolici e di altri riti. Anzi, molti spingono perché si arrivi realmen-te all’unità, soprattutto per le feste di Natale e Pasqua. Voi sapeteche gli ortodossi seguono ancora il calendario Giuliano, con tredicigiorni di differenza dal nostro. Questo significa che tutte le festesono in date differenti! In Giordania, per esempio, hanno presoquesta decisione: gli ortodossi festeggiano il Natale con i cattolici ei cattolici festeggiano la Pasqua con gli ortodossi. È un passo che sipuò fare in Giordania, ma è un po’ più difficile in Terra Santa, cioèin Palestina o nei luoghi santi, a causa dei numerosi pellegrini chevengono da altre parti del mondo.

Non abbiate paura della molteplicità dei riti! è molto bello co-noscere tutti questi riti, anzi è una ricchezza della Chiesa. Oggi siparla molto dell’inculturazione nella Chiesa; ma l’inculturazione èavvenuta secoli fa, quando i bizantini avevano messo la loro cultu-ra con la loro fede; quando i copti in Egitto hanno messo la loro cul-tura nella loro fede; quando i siriani e i caldei hanno messo la lorocultura nella loro fede. Sono dei riti molto, molto antichi e sono unaricchezza per tutti.

2. È una Chiesa di minorità, ma è una Chiesa araba, meglioa maggioranza araba. È opportuna una precisazione: non tutti gliarabi sono musulmani, come non tutti i musulmani sono arabi.L’Indonesia per esempio, non è un paese arabo, ma ha il maggiornumero di musulmani del mondo. Gli arabi erano presenti all’ini-zio della comunità cristiana. Nel racconto della Pentecoste, il libro

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degli Atti menziona i popoli presenti (cfr. 2); tra questi c’è anche ilnome degli arabi (cfr. At 2,11). Abbiamo poi altre testimonianze diquesta presenza nella letteratura arabo-cristiana delle origini deisec. VI-VII.

Interessante soffermarci un po’ sulla relazione tra arabi mus-sulmani e cristiani. È ovvio che il fanatismo lo sentiamo un po’ dap-pertutto nel mondo, non è una cosa nuova, però possiamo dire cheil fanatismo di oggi non è un fanatismo di massa ma di alcuni grup-pi particolari. Essere fanatico è anche una mentalità; certe volte dacome uno parla si vede che, magari senza far niente, ha un modo dipensare da fanatico. Con alcuni gruppi si può ancora ragionare, sipuò ancora discutere assieme. Ci sono stati dei dialoghi tra cristia-ni e musulmani in Palestina a livello anche di diocesi. A livello unpo’ più ampio ci sono anche della relazioni tra la Santa Sede e qual-che stato o gruppo.Comunque devo anche dire che certe volte noisiamo in difficoltà a dialogare con i mussulmani proprio per l’atteg-giamento che l’occidente – non dico voi cristiani – ma i governiprendono di fronte ad alcune problematiche. Mi riferisco in partico-lare alla guerra nel Golfo e in Iraq. Però devo anche accennare amomenti belli di relazioni e di dialogo. Per esempio, durante l’ulti-ma intifada, soprattutto dopo l’assedio di Betlemme. Vi ricordate laPasqua dell’anno scorso, quando c’è stato l’assedio della basilica.Non si faceva distinzione tra cristiani o musulmani.

Ci sta aiutando molto nel dialogo anche la posizione delVaticano, soprattutto del Santo Padre nell’ultima guerra del golfo.Quello che ha detto il papa, che era completamente differente ditutte quante le radio e i mass media, è stato molto importante pernoi. Se un musulmano si azzardava a dire che era una guerra ‘cro-ciata’, molti altri musulmani prendevano le difese del Papa!.

Ma non tutti i cristiani di questa terra sono arabi; ci sonoanche non arabi. Sono degli stranieri che lavorano. C’è una presen-za molto forte di filippini, di africani e anche dalla Romania. In que-sta comunità non araba ricordiamo anche la comunità d’espressio-ne ebraica. Forse avete sentito qualche giorno fa che la Santa Sedenominato un vescovo per la comunità di espressione ebraica, checonta trecento-quattrocento persone. Questa comunità è compostada stranieri che sono venuti a lavorare in Israele e vivono in un am-biente ebraico, e la loro lingua è l’ebraico. Altri sono matrimonimisti tra ebrei e cristiani e altri anche degli ebrei che sono diventa-ti dei cristiani. Hanno la messa in ebraico, ad Haifa, a Tel Aviv, aGerusalemme e a Be’er Sheva.

È bene ricordare anche un fenomeno nuovo, che non fa partedella Chiesa, ed è quello degli ebrei messianici. Si parla di qualchemigliaio, non si sa esattamente. Sono ebrei che ritengono che inCristo si realizzano le promesse messianiche! Non hanno ancoraaderito alla Chiesa cattolica; ma è un fenomeno importante e noi,

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come Chiesa, dobbiamo anche stare vicino, vedere un po’ comequesto si svilupperà. Tra di loro ci sono tre gruppi; nel primo vedo-no in Gesù un profeta, altri vanno un po’ più lontano, vedono in Luiil Messia e altri vanno ancora più lontano e vedono in lui il Figliodi Dio. E adesso quello che verrà dopo, come si svilupperà tutto èda vedere. Sono molto vicine alle Chiese protestanti, battisti, ecc.C’è anche chi conosce la Chiesa cattolica e diventa cristiano.

3. Questa maggioranza araba, non dimentichiamolo, è pale-stinese. Non posso non accennare al problema politico sorto dopo il1948, con la proclamazione unilaterale dello stato di Israele. Primadel ’48 il numero dei cristiani in certe parrocchie era maggiore aquello di oggi, perché i cristiani, come i palestinesi, sono stati ob-bligati a lasciare il loro paese e andare in Libano, in Giordania, o al-trove. Certe parrocchie poi, oggi non esistono più. C’erano nel 1948delle parrocchie, che funzionavano anche con delle scuole, ma ogginon ci sono più. Ad esempio Tiro, Tiberiade ed altre. A Tiberiadeesisteva una bella parrocchia latina con una scuola fino alla sestaelementare, di arabi cristiani. Nel ‘48 il terreno è stato confiscato eoggi non c’è nessun arabo cristiano.

E qui richiamo il problema più difficile che stiamo vivendo: ilnumero dei cristiani diminuisce sempre di più e molti, spinti dallescelte politiche, sono costretti a lasciare il paese perché non ci sonopiù prospettive di vita! Noi, come Chiesa, cosa possiamo offrire? Èchiaro che è difficile in questa situazione proporre qualcosa. Stiamoanche costruendo della case per impedire questo esodo! Un po’ dianni fa il patriarcato latino e i greci cattolici hanno costruito dellecase per i cristiani, per poter avere a prezzo basso delle case e abi-tarci; cercare di fare dei progetti di sviluppo per poter dare del la-voro, per tenere i cristiani. Si è aperta anche un’università, quelladi Betlemme che è diretta dai Fratelli delle scuole cristiane. Sonostate fatte tante cose, però adesso, così com’è la situazione, è diffi-cile dire ai giovani, dire alla gente di rimanere e non andare via, per-ché non si vede un’uscita e c’è un numero elevato di giovani chenon hanno lavoro.

4. È difficile anche per noi ‘discernere l’oggi di Dio’. È diffici-le per tanti motivi; uno di questi è che quando un palestinese leggel’Antico Testamento dice: ‘io come palestinese dove mi metto?.Insomma l’Antico Testamento legittimizza questo fatto di dare il ter-reno agli ebrei. ‘Allora io, come palestinese cristiano, come devo leg-gere la Bibbia, come devo leggere l’Antico Testamento?’. Giusta-mente il patriarca Michael Sabbah aveva fatto una lettera pastorale‘Come leggere la Bibbia nella terra della Bibbia’.

Come discernere l’oggi di Dio in questa situazione di intifada?Nella prima intifada, quando andavo a Ramallah ad aiutare in par-

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rocchia, i giovani cristiani mi chiedevano: ‘è permesso buttare isassi sui militari israeliani?’. È una risposta difficili da dare. Checosa vuole Dio da noi. È difficile discernere, dare delle risposte adella gente che sta soffrendo l’occupazione, sta soffrendo nell’esse-re senza lavoro e non avere niente davanti agli occhi.

5. Un aspetto positivo della Chiesa di Terra Santa, è la pre-senza numerosa e vivace di religiosi e religiose, in particolare difrancescani! È chiaro che si devono ricordare i padri francescani peril lavoro immenso che hanno fatto durante questi secoli in TerraSanta sia per i luoghi santi, ma anche per la loro presenza nelle par-rocchie, nelle scuole e in tante opere caritative e culturali. Moltealtre congregazioni di religiosi e di religiose sono presenti con scuo-le, ospedali, parrocchie. A Nazareth, per 65.000 abitanti, ci sono treospedali cristiani.

È importante questa presenza, perché – anche se siamo unaminoranza – siamo presenti nella vita non soltanto dei cristiani, maanche dei non cristiani. Pensate che in Israele abbiamo diciottomi-la alunni nelle scuole cristiane; la scuola dove insegno io è del pa-triarcato latino che ha novecentoottantacinque alunni dalla scuolamaterna fino alla maturità. Abbiamo il 25% di musulmani dai vil-laggi vicini. Tutte queste opere sono una presenza importante.

• Come aiutare concretamente la Chiesa di Terra Santa? Cosafare per aiutare i cristiani a non lasciare la Terra Santa?

– Anche se non è facile, vi dico, riprendete i pellegrinaggi inTerra Santa. Noi ci siamo, viviamo lì e il pellegrinaggio di cristianidi altre parti del mondo, per noi, è una testimonianza di solidarietà.Gli amici si vedono anche nelle difficoltà e non soltanto quando ètutto facile. L’esperienza del venire in Terra Santa di alcuni giovaniitaliani in questi due anni, durante la settimana santa, è stato moltosignificativa e ha dimostrato che i pellegrinaggi sono sicuri.

Un altro modo di aiuto è sostenere i progetti della Chiesa diTerra Santa per le scuole. Anche la CEI sta sostenendo molto questiprogetti. Solo il patriarcato latino per le scuole ha un deficit di unmilione di dollari all’anno, perché i genitori non hanno da lavorarea causa dei coprifuoco, soprattutto in Palestina. Coprifuoco vuoldire che non si può uscire per ventiquattro ore al giorno e poi anchele ventiquattro che seguono. Concedono solo due o tre ore per faredelle compere e poi tutti chiusi in casa. Non si può nemmeno an-dare da una città all’altra della Palestina. Se voglio andare daRamallah a Betlemme, non posso farlo, perché tutti i passaggi sonobloccati.

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Dalla discussionee ripresa

del relatore

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– Qualcuno mi chiedeva se c’è una volontà politica di arriva-re ad una pace vera. Anche la Chiesa cerca di fare qualcosa e il pa-triarca Michael Sabbah, insieme con gli altri vescovi ordinari, spes-so fa sentire la sua voce! È importante per i fedeli, per la gente.Penso che voi missionari soprattutto, che siete nelle zone più caldedel mondo, sapete che la gente aspetta che la Chiesa dica qualchecosa, che non stia in silenzio davanti alle ingiustizie, alle povertà, atutto quello che succede. È importante che si dica qualche cosa, ma-gari non si può cambiare tanto, però almeno dire e far sentire lavoce del più debole. È quello che sta facendo la Chiesa di TerraSanta e la gente vede nel patriarca anche la sua voce che grida e chedenuncia almeno queste ingiustizie. È chiaro che, agli occhi di certagente qui e anche all’estero, il patriarca sembra immischiarsi nellapolitica. Non è vero; il patriarca sta con la sua gente e non può di-staccarsi dalla sua gente. Mi ricordo una lettera molto bella per laPasqua quando ha detto: ‘distruggete le nostre chiese, ma non lecase della gente’. Non credo che questa sia una posizione politica,ma è una posizione verso la giustizia e verso il più debole. Per ades-so il più debole è quello che soffre di ingiustizia, ed è il popolo pa-lestinese.

Per quanto riguarda la politica – è il mio parere personale –vedo che non c’è nessuna volontà per arrivare alla pace. I negozia-ti sono arrivati ad un punti chiuso. Prima di tutto c’è il problema deiprofughi; gli israeliani, e anche gli americani, non vogliono accetta-re il diritto del ritorno dei palestinesi, e questo è un tradire tuttaquesta gente che vive in esilio dal ’48 e desidera ritornare nelle pro-prie case. Questi profughi hanno il diritto di ritornare, di rientrare ono? Se hanno il diritto troviamo una soluzione. E poi c’è il proble-ma degli insediamenti: migliaia di coloni che vivono all’interno delterritorio palestinese. C’è poi anche il problema del muro che gliebrei stanno costruendo. Questo ‘confine’ passa all’interno dei vil-laggi, dividendoli e soffocando quel minimo di sopravvivenza, per-ché spesso un villaggio viene lasciato senza terreni agricoli da colti-vare.

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Potenzialità e rischiche si incontranonell’annuncio del Vangelo

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Prof. Luca Diotallevi - sociologo

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

Il compito che mi è stato dato è il seguente: Potenzialità e ri-schi che si incontrano nell’annuncio del Vangelo; sottotitolo impor-tantissimo: Riflessioni sociologiche sul capitolo 2 degli orientamentidella CEI: Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. La rifles-sione che faccio è di provare ad osservare le dimensioni sociali im-plicite nella riflessione che i vescovi italiani svolgono in questa se-zione di un documento che, tra gli altri suoi obiettivi, ha quello dirilanciare la coscienza e l’iniziativa missionaria in loco e non in locodella Chiesa italiana.

Mi concentrerò su degli elementi che – essendo tutti quanticredenti – non faremo difficoltà a percepire come elementi limitatidell’attività missionaria, perché certamente l’esperienza cristiana,essendo esperienza di sequela di un Dio che si è incarnato, ha di-mensioni esistenziali e sociali, anche se certamente non si riducesolo a queste. Per cui, se noi riflettiamo sulla dimensione sociologi-ca del comunicare il Vangelo, riflettiamo su qualcosa di necessario,ma tutt’altro che sufficiente. Facciamo un esempio con la liturgia. Laliturgia è senz’altro un fatto sociale; ha delle regole, alcune scritte,altre addirittura non scritte che però tutti quanti rispettiamo. Possosenz’altro fare una sociologia dell’azione liturgica. Certamente ciònon implica che l’azione liturgica si riduca ad un fenomeno esclusi-vamente sociale; quando spiego, in termini sociologici, la paratadelle forze armate del 2 giugno, spiego di quell’evento il 60-70%.Quando faccio un’analisi sociologica, pur ben fatta, dell’azione li-turgica, di quell’azione liturgica spiegherò il 10-15%.

Potremmo rispecificare così il titolo: Potenzialità e rischi che ilcontesto sociale offre alla comunicazione del senso e dei significati del-l’esperienza cristiana, intendendo la comunicazione come fenomenosociale. Quindi vedete che ‘sociale’ rientra due volte. Le riflessionisociologiche non sono circoscritte al contesto, riguardano anchel’attore e la comunicazione, quindi non sono limitate come ambito:‘io ti descrivo la società e poi tu ti regoli come vuoi’. No, io possoanche fare una riflessione sociologica su quanto del contesto socia-le o come il contesto sociale influenza l’attività missionaria, evan-gelizzatrice in generale. L’importante è che sappia che lo Spirito

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Santo, che è all’opera nel contesto, e le verità della fede con il lorosignificato salvifico che sono il contenuto dell’evangelizzazione, cer-tamente sfuggono all’analisi sociologica. Questo è chiaro? Perchécosì abbassiamo le pretese e mettiamo a fuoco il soggetto.

L’obiettivo di questa mia riflessione è cercare di mostrare inche senso in un’azione sociale, in una prassi sociale – come èanche quella dell’evangelizzazione in quanto prassi sociale – inuna prassi sociale vera, matura, ci deve essere sempre una con-nessione tra novità e rinnovamento. In fondo, se voi ci pensatebene un attimo, il Concilio Vaticano II è questo. È la percezione diuna novità nella storia, che implica un rinnovamento. Non signifi-ca inventare altro, ma ricomprendere la propria tradizione, la pro-pria esperienza in modo tale che, per essere più fedeli, ci si rinno-va. Alcuni cardinali, terrorizzati dall’attività secondo loro distrut-trice di Giovanni XXIII, a un certo punto gli dissero (fatto storicoraccontato da monsignor Capovilla): ‘Santità, lei cambia ilVangelo!’ Giovanni XXIII, al sentirsi dire ‘lei cambia il Vangelo’ ri-spose con una profondità teoretica incredibile che magari sfuggedietro parole semplici: ‘io non cambio il Vangelo, siamo noi chesiamo cambiati e noi, cambiati, possiamo comprendere meglio ilVangelo, o comprenderlo semplicemente in modo nuovo, più ade-guato all’oggi’.

Il punto che noi dovremmo capire riflettendo su Potenzialità erischi che si incontrano nell’annuncio del Vangelo oggi è che, nel-l’annuncio del Vangelo, se mi incontro con una novità probabil-mente questa implica un rinnovamento. Chiaro qual è il meccani-smo?

Sono gli orientamenti che la Conferenza Episcopale Italianaha elaborato e offerto alle comunità ecclesiali del nostro Paese perquesto primo decennio degli anni 2000. Il documento ha una strut-tura molto interessante e soprattutto non può essere letto da solo,perché è una sorta di biglietto di accompagnamento della Novo mil-lennio ineunte, cioè della lettera enciclica di Giovanni Paolo II scrit-ta a conclusione, a rimeditazione dell’esperienza del GrandeGiubileo del 2000. Quindi, la Tertio millennio adveniente, l’espe-rienza del giubileo, e la Novo millennio ineunte rappresentano unasintesi, un insieme, un’esperienza, una riflessione sull’esperienzadella Chiesa che questo testo dei vescovi italiani, come altri testianaloghi di altre conferenze episcopali, accompagnano nell’arrivo aifedeli e alle comunità e alle Chiese particolari.

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Obiettivo

Comunicareil Vangelo

in un mondoche cambia

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Questo testo ha una struttura particolare che non possiamoindagare, ma che è estremamente interessante e ci fa vedere comegli effetti del grande rinnovamento del Concilio stanno ancora infase di gioiosa e feconda esplosione, come anche appare nellaNovo millennio ineunte. Nel capitolo secondo, La Chiesa a serviziodella missione di Cristo, c’è qualcosa che interessa il sociologo,proprio perché prende sul serio i cambiamenti sociali. Dal punto37 al punto 43 sono elencate una serie di fenomenologie socialidi grande rilievo che diventano l’oggetto, e noi vedremo non ca-suale, di quel discernimento attraverso il quale la Chiesa si do-manda: ‘oggi per me che significa essere fedele alla missione diCristo?’.

Si dice che, nelle persone, cresce il desiderio di autenticità edi prossimità, c’è una forte ricerca di senso, c’è un enorme sviluppodella tecnica, cresce la minaccia che la società, che il vivere socialeporta alla natura, al creato, al contesto naturale in cui ci muoviamo,ma nello stesso tempo cresce la coscienza di questo rischio. Siamoesposti ad un volume di comunicazioni via media, via mezzi di co-municazione assolutamente più elevato che non in passato. Cresce,ma forse qui i vescovi esagerano un po’ perché i numeri non ci di-cono questo, una quota di persone che esplicitamente rifiutano, ne-gano la dimensione religiosa della loro vita e della vita collettiva,mentre qui, anche empiricamente, possiamo condividere il giudizioche i vescovi danno, cresce l’analfabetismo religioso, cioè la fortesfida che all’esperienza religiosa, le trasformazioni sociali oggi por-tano. Non è una negazione dell’esperienza religiosa, come sembra-vano portare gli ’60 e ’70, ma una sua destrutturazione, una suasentimentalizzazione, una sua superficializzazione. Sì io qualcosasento, ma non so come dirlo; sì io qualcosa sento, ma poi non so inpratica cosa questo significhi per il mio agire. Di conseguenza ab-biamo un assottigliamento nelle istituzioni sociali, nella scuola,nella famiglia, nella politica, nell’economia, di quei tratti che le le-gavano ad un universo religioso.

E ancora parlano di eclissi del senso morale, difficoltà nellatrasmissione della memoria storica, rischio di idolatria, che – se voivedete – è l’altra faccia dell’analfabetismo religioso, perché c’è tantareligione e soprattutto c’è religione di tutto. Quasi di qualsiasi cosaposso fare l’idolo della mia personale religione. Questo è il quadroche ci viene presentato. La lista è questa, potremmo dire: ‘sono d’ac-cordo, manca qualcosa, c’è qualcosa di troppo’.

Il contributo che può venire dal sociologo, contributo asso-lutamente parziale, è quello di aiutare a trovare una chiave sin-tetica per comprendere questi dodici fenomeni, per cercare di ca-pire un processo che, se non li genera tutti, certamente può esse-re annoverato tra quei processi sociali che producono questi tipidi effetto.

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Innanzitutto proviamo a raggruppare le esperienze, i fenome-ni che i vescovi ci pongono davanti in due gruppi. In un caso met-tiamo a fuoco soprattutto le persone, nell’altro caso metteremo afuoco soprattutto la dimensione sociale. Partiamo dalla dimensionesociale che è la cosa più facile.

Che cosa si percepisce? Che aumentano gli automatismi, checioè noi vediamo funzionare la scienza, la politica, l’economia, avolte anche la religione, non come strumenti di cui percepisco l’uti-lizzatore e lo scopo, ma come meccanismi che funzionano da soli,di cui faccio fatica a capire il perché. Pensiamo all’inflazione; chiriesce a spiegare il perché di questo fenomeno? Ma a volte anche leguerre le vediamo generarsi quasi contro la volontà di ciascuno.Questi fatti ci dicono che le dinamiche sociali, economiche, le sco-perte scientifiche rendono possibili delle cose che tutti temiamo.Aumentano gli automatismi sociali. Vi porto un esempio. Se voi vo-lete vendere la vostra macchina cosa sperate? Di trovare una perso-na che la valuti abbastanza; per il solo fatto che voi prendete la de-cisione di venderla, il prezzo della vostra macchina cala, perché cre-sce l’offerta a parità della domanda. Se voi cercate di comprare unamacchina, che sperate? Di trovarne una a basso costo; per il solofatto invece che voi vi mettete idealmente sul mercato dell’automo-bile, il costo delle auto sale, perché aumenta la domanda a paritàdell’offerta. Insomma questa società chi la governa?

Non solo aumentano gli automatismi, ma aumentano anche lerelazioni. Questo, per voi che girate il mondo, credo che è un capi-tolo che possiamo menzionare senza aggiungere esempi. Se ci met-tiamo da un punto di vista personale, cioè se cambiamo il fuoco delnostro obiettivo, che cosa osserviamo? Che è sempre più difficilesentirsi a casa propria in una società con forti automatismi e concontinui flussi di informazione. La persona si sente spaesata, av-verte una maggiore difficoltà di vivere, ha ancora nelle orecchie ilracconto della società contadina in cui ciascuno stava al suo posto,sapeva cosa doveva fare, cosa non doveva fare, qual era il suoruolo.

Proviamo pertanto a sintetizzare questi fenomeni che ci sonostati proposti vedendo queste due sfere in movimento: automatismisociali e persone spaesate. Possiamo dare un nome di sintesi a que-sto fenomeno? Questo fenomeno – sociologicamente parlando – sichiama ‘differenziazione’; sia differenziazione sociale sia differen-ziazione tra sociale e personale. Differenziazione sociale significache la politica può sempre meno influire sull’economia, l’economiasempre meno sulla politica; la religione sempre meno sulla politicae sull’economia; l’economia e la politica sempre meno sulla religio-ne e così via. Cioè le diverse funzioni sociali cominciano a lavorarein modi loro specifici. Quando io sono consumatore non faccio ra-gionamenti teologici; faccio, giustamente, ragionamenti sul rappor-

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Interpretazionedei fenomeni

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to qualità/prezzo. Quando io faccio una riflessione religiosa non micomporto da consumatore, faccio una riflessione sull’oggetto stesso.Cioè queste dinamiche sociali diventano autonome.

Vi faccio un esempio che magari può risultare un po’ scioc-cante, ma così capiamo meglio. Pensate la differenza fra la vita e lamorte, il momento della morte. Se io chiamo un teologo, un medico,un biologo, un giurista, un assicuratore e dico: ‘dove sta la differen-za fra la vita e la morte?’, questi cinque specialisti di cinque fun-zioni sociali diverse mi indicano punti diversi. Attenzione: questofatto non è frutto di un errore, cioè quattro sbagliano ed uno ci az-zecca. È semplicemente frutto del fatto che i meccanismi sociali fun-zionano tenendo presente problemi diversi. Questo fatto non è mo-ralmente scandaloso, perché poi, quando io devo prendere la deci-sione, ho cinque informazioni e, o individualmente o collettivamen-te, mi domando: ‘insomma, io quale assumo come riferimento?’.Questo fatto, dal punto di vista morale, è positivo, perché fa sì chela tua scelta non abbia più lo schermo della conoscenza. Tu dici:‘guarda, la situazione è difficile, queste sono le ipotesi, scegli’. E unmodo concreto per vivere l’esempio paolino, che è più facile avereun animo da schiavi che un animo da liberi (cfr., per esempio, Gal5,1). Le cose stanno così, tu comportati di conseguenza. Oggi nes-suno può più dirci: ‘le cose stanno così’. Noi siamo chiamati, sullabase dei sistemi prodotti dai sistemi sociali che funzionano in modoautonomo, e ci troviamo di fronte a diversi punti di vista: l’assicu-ratore, il teologo, il medico, il biologo. Che assumiamo? Le ragionidel teologo o quelle dell’assicuratore?

Porto un altro esempio dal punto di vista della differenziazio-ne non delle funzioni sociali, ma tra la società e la persona.Pensiamo alla condizione della donna. Centocinquant’anni fa, in unposto come Assisi, nasceva un individuo della specie umana, disesso femminile; a seconda della collocazione sociale della famigliain cui nasceva, a seconda della posizione nel numero dei figli (laprima, l’ultima, la mezzana), noi potevamo, con notevole approssi-mazione, prevedere la sua vita. Più o meno aveva queste possibilità.Questa persona stessa crescendo sapeva, con buona approssima-zione, che cosa la sua comunità si aspettava da lei e poteva farlo onon farlo, e normalmente lo faceva. Oggi non è più così. Pensiamoai grandi traumi legati, nella vita privata e in quella pubblica, al-l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, oppure al fatto che aduna persona vengono chieste delle cose incompatibili: lavoro, fami-glia, vita spirituale, amicizie. Il modo in cui il lavoro è organizzatonon è sincronizzato con le esigenze della famiglia. Il modo in cui latua salute, il tuo fisico è organizzato, non è sincronizzato con le esi-genze del tuo lavoro.

Quindi noi facciamo l’esperienza dell’inadeguatezza, perchéci vengono chieste più cose di quelle che possiamo fare. Ma atten-

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zione, questa esperienza nella forma del dolore, cosa rivela? Checiascuno di noi, ciascuna di noi, è più grande di ciascuno dei ruoliche gli sono attribuiti. Cioè noi sperimentiamo, in un modo asso-lutamente parziale, perché è solo sociale, la trascendenza della per-sona, cioè che una persona è più di ciascuna delle cose che fa ed èpiù anche della somma delle cose che fa. E, nella forma del dolore,cioè del suo non poter essere adeguato a nessuna delle sue aspet-tative, sperimenta di essere più delle cose che la società si attendeda lei.

La differenziazione sociale è possibilità, per ciascuno, di gio-care su tanti tavoli, dovendo però scegliere su quali giocare, sen-tendo che sono possibili più cose di quelle che lei o lui può fare. Ladifferenziazione sociale, che porta anche ad una differenziazionetra la vita personale e quella collettiva,è un fenomeno che ha gran-di costi, ma comporta anche grandi opportunità, perché ci chiedetante cose alle quali noi, con fatica, possiamo opporci, ma nellostesso tempo ci rivela che non siamo ingranaggi di una macchinasociale che non esiste più. Perché la società è fatta di tante macchi-ne, ciascuna delle quali funziona in modo relativamente autonomo;noi, come persone, eccediamo tutte queste macchine. Ovviamentequesto eccedere ci chiama a prendere continuamente delle decisio-ni. E questo, come noi sappiamo, è costoso, perché la libertà è co-stosa.

Che rapporto ha questo fenomeno con la vita religiosa? Noioggi capiamo meglio questo processo più di quanto lo capivano ipadri del Concilio. I cap. 5 e 6 della Gaudium et Spes presentano so-stanzialmente gli stessi problemi, ma con una spiegazione diversada quella che noi oggi siamo in grado di dare, semplicemente per-ché la scienza della società in questi quarant’anni è evoluta. Checosa significa questo processo per l’esperienza religiosa, per laChiesa o per quello che i sociologi chiamano il sistema religioso? Almanifestarsi di questi fenomeni l’impatto, lo choc forte dell’autono-mizzarsi delle varie sfere sociali, ciascuna dalle altre e quindi cia-scuna anche dalla religione, fu sintetizzato in un concetto che pro-babilmente tutti noi, se non altro, abbiamo sentito nominare ed èquello di secolarizzazione, il quale suppone che a un ordine socia-le fondato sulla religione, si sostituisca un ordine sociale fondatosulla ragione.

E invece che cosa è capitato? Che, e bisognerebbe dire con leparole del profeta dell’Apocalisse “grazie a Dio”, non si è instaura-to nessun ordine sociale; cioè non c’è nessuna ragione e nessunaistituzione e nessun potere che siano in grado di sostituire, al vec-chio presunto ordine, un nuovo ordine. Infatti l’aumentare di auto-

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Differenziazionesociale

e vita religiosa

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matismi sociali tra loro sconnessi ha fatto sì che nella nostra societàè molto più difficile far passare qualche idolo per Dio; è molto piùdifficile far passare qualche imperatore per colui che governa innome di Dio; semplicemente perché questa società così complessa èingovernabile. Questo, se non altro, è un’ottima condizione che tu-tela ciascuno di noi dall’instaurarsi di un regime sacralizzabile.

Con la secolarizzazione, pensavamo: ‘si afferma l’era della ra-gione, scompare l’era della religione e non se ne parla più, l’uomo di-venta adulto...’. In realtà abbiamo constatato che quello veramenteideologico era il concetto di ragione. Era una pretesa assolutamenteinsoddisfatta che esistesse una razionalità in grado di dare ordine aun mondo così complesso, così diverso, così contingente. Ciò che noioggi meglio capiamo, e che i vescovi in qualche modo intuiscono inquesto testo, è che la secolarizzazione è un fenomeno complesso cheha almeno due dimensioni: la prima è una dimensione necessaria edambigua, la seconda è non necessaria e non ambigua.

Cosa significa questo? Qual è l’impatto necessario della seco-larizzazione, cioè di questa trasformazione sociale sulla religione?Che il grosso delle sfere sociali – la politica, l’economia, la famiglia,la scienza – si autonomizzano dalla religione. Noi non avremo più,per quello che possiamo capire, un regime politico cristiano, un re-gime economico cristiano, una scienza cristiana. Questo è un fattoche a oggi ci pare irreversibile. Ma questo fenomeno perché è am-biguo? Perché ha un aspetto negativo, ma ne ha anche uno positivoe cioè che, in questo contesto, è più facile percepire allo stato purol’esperienza religiosa. Perché quando nei nostri paesini dell’Italia,anche degli anni ’40, il parroco contava a volte anche più del sin-daco, l’appartenenza religiosa era un’appartenenza convinta o nonera altro che la proiezione religiosa di un’appartenenza sociale?

Noi oggi lo vediamo quando osserviamo le forme di religiositàpopolare: la gente che vive da anni nella grande città, per la festadel patrono torna. In quell’affezione al proprio campanile quantoc’è di religioso e quanto c’è di non religioso? Semplicemente non losappiamo, è un misto. Noi oggi, quando incontriamo per strada unprete o un religioso o vediamo un’associazione religiosa, compren-diamo la specificità della dimensione religiosa della vita molto piùdi quando – vedendo un’associazione religiosa, ci domandavamo:‘ma quello è un pezzo di democrazia cristiana o è un pezzo diChiesa?’. Ovviamente qui non c’è da dare delle valutazioni, ma sem-plicemente da capire che il processo di secolarizzazione, inteso noncome affermarsi di una nuova ragione, che grazie a Dio non c’è, macome differenziazione sociale, è necessario e ambiguo. Oggi è piùdifficile ridurre la religione ad un’appendice della politica, dellascienza, dell’economia o viceversa. Questa è la prima dimensionedella secolarizzazione necessaria, inevitabile, ma ambigua, cioè unpo’ positiva, un po’ negativa.

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Vi è poi anche un’altra dimensione della secolarizzazione,non necessaria e non ambigua. In questo nuovo contesto io,come attore religioso, posso adeguarmi o posso non adeguarmi,cioè posso fare delle iniziative pastorali efficaci o posso fare delleiniziative pastorali inefficaci, non in astratto, in pratica.Facciamo l’esempio più banale di tutti. In una società nella qualeciascuno di noi non è solo i suoi ruoli, ma è innanzitutto se stes-so con la propria originalità, il tasso di interiorità che un’espe-rienza religiosa richiede, il tasso di cultura teologica che unaesperienza religiosa richiede, è molto più alta. Ieri bastava che cel’avessero i religiosi e i preti. Questi erano il cardine di una so-cietà in cui tu eri incastonato in un punto e questo punto si muo-veva secondo alcuni valori e non era importante che tu capissi.Se tu oggi vuoi essere cristiano in un mondo che è fatto di tantiambiti con regole proprie non necessariamente negative, ma pro-prie, tu devi sapere continuamente rideclinare la stessa fede inun modo diverso.

Il bisogno di coscienza dell’esperienza religiosa è enorme-mente più elevato. Se una Chiesa, in questo contesto, fa poca o cat-tiva catechesi è chiaro che l’impatto con la secolarizzazione è nega-tivo. Ma non tanto in virtù di una specifica malignità del processodi secolarizzazione quanto in virtù del fatto che io non ho capito ilcontesto in cui sono e quindi sbaglio la risposta alla sfida che il con-testo mi pone. La storia della Chiesa non ha mai conosciuto conte-sti buoni, ma sempre contesti un po’ buoni e un po’ cattivi. Il pro-blema è quando io li capisco. Questa è sempre la storia dei postConcili; un Concilio comprende la novità, in decenni la Chiesa cam-bia le sue prassi sulla base delle novità sociali che ha compreso, no-vità sociali che noi per fede sappiamo non essere santificabili, manon aver neppure luogo senza che lo Spirito Santo, in qualche modomisterioso, sia partecipe a questi eventi che si svolgono nella storiadi cui noi siamo parte.

Se la prima dimensione della secolarizzazione era necessariama ambigua, la seconda dimensione della secolarizzazione, quelladella crisi della religione, è una dimensione non necessaria maanche non ambigua, nel senso che è un fenomeno negativo. Il fattoche alla sfida della secolarizzazione corrisponda una crisi quantita-tiva e qualitativa dell’esperienza religiosa, questo non è un destino,è un effetto del combinarsi del rapporto tra sfida del contesto e ri-sposta da parte dell’attore religioso.

Se si analizzano i fenomeni religiosi nel nostro Paese, si vedeche non vi è alcuna connessione tra livello di modernizzazione so-ciale e crisi della religione. Noi abbiamo ottimi contesti religiosi inrealtà molto sviluppati, ottimi contesti religiosi in realtà poco ricchee viceversa. Semplicemente il punto è capire dove stai, aprire le fi-nestre e far entrare un po’ di aria fresca, riuscire a fare mediazione,

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cogliere i segni dei tempi, non immaginarsi situazioni reali, ma farediscernimento.

La potenzialità che il contesto nel quale noi siamo offre allacomunicazione religiosa è una spinta a non separare, ma a distin-guere sempre molto bene le forme sociali dell’esperienza religiosa eil Vangelo. Noi non possiamo comunicare la fede senza la religione,intendendo per religione il modo concreto in cui noi viviamo la no-stra fede e il Vangelo come il suo motivo di fondo. Però siamo messiin condizione di discernere sempre meglio le incarnazioni e le ispi-razioni. Questa è una grande potenzialità; nessun ambito sociale èsottratto al giudizio religioso. Ovviamente nulla garantisce più ilgiudizio religioso ovvero nulla, nessuno, può assicurargli il suo di-ventare reale, efficace, istituzionalizzato. Questa è una straordina-ria potenzialità.

In contesti sociali più semplici, all’autorità religiosa venivanoriconosciuti certi ambiti, ma fuori da questi non si poteva andare.Oggi invece, come diceva Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi, la fedepuò arrivare a tutti i livelli dell’umanità, a tutti gli strati dell’uma-nità. Non c’è ambito che per principio sia socialmente sottratto al-l’illuminazione del Vangelo, anche se non disponiamo più di nessu-na ricetta che ci dica esattamente questo come si fa. E soprattuttonon disponiamo più di nessuna cortina, di nessun muro, di nessunvisto, che protegga il nostro vivere ecclesiale da una critica mossada un altro punto di vista. Siamo in mare aperto; questo non signi-fica che dobbiamo andare a fondo. Anzi significa che possiamo ar-rivare in qualsiasi direzione, e non in una direzione sola. Questa èuna grande potenzialità, a mio avviso, ed è presente nell’analisi chei vescovi ci offrono.

In questo modo siamo definitivamente smascherati nella no-stra ipocrisia, in particolare in quella che a volte, nelle nostre ri-flessioni pastorali, fa dipendere i risultati dalle quantità. Avretetante volte sentito parlare, con orgoglio pastorale, quasi con unasorta di religious pride, dei grandi numeri, anche se all’inizio del giu-bileo il papa, nella Novo millennio ineunte, ci invitava a evitare ogniforma di trionfalismo. Le grandi quantità non garantiscono nulla,ma c’è anche l’inverso: le piccole quantità, che a volte vengono mi-tizzate ‘pochi, ma buoni’, sono altrettanto degli alibi. Il punto non ènecessariamente, innanzitutto, la quantità, ma è la nostra capacitàdi illuminare ciascuna delle infinite condizioni di vita diverse che,in questa società differenziata, si generano. Ci si deve chiederequanto della mia esperienza di fede, del Vangelo che io comunico,diventa percepibile come orientamento, come sostegno, come giudi-zio anche nella singola contingenza sociale. Chi ci dice che i grandinumeri della beatificazione e della canonizzazione di padre Pio odel giubileo producano prassi di sequela cristiana e semplicementechi lo può escludere? Ma non è questo il punto da cui partire. Sono

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fenomeni positivi, certo meglio che se fossero andati deserti. Ma ilproblema è comprendere qual è la sfida alla quale l’esperienza reli-giosa è esposta: quella di saper continuamente declinare se stessain relazione ad eventi unici.

La potenzialità è di avere una esperienza religiosa più pura;ovviamente questa potenzialità ha un costo elevato, cioè una capa-cità di mediazione e di coscienza che non è certamente riducibile aivecchi regimi di ripetizione, di tradizione, di uguaglianza ai qualinoi eravamo abituati.

La novità di una società molto differenziata – quale quella checi viene presentata all’interno del capitolo 2 di Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia – ci richiede un rinnovamento, so-ciologicamente parlando, e che i vescovi in questo documento chia-mano ‘passaggio a un regime di discernimento’. Molti di noi siamostati educati alla triade: vedere, giudicare e agire. Abituiamoci all’i-dea che questo non funziona più. Perché? Perché nel vedere, giudi-care, agire noi supponiamo che le cose sono quelle che sono e chegli schemi che noi adottiamo per leggerle, dopo averne scartati tanti,sono giusti e che i principi con i quali noi affrontiamo sono immu-tabili.

Ci si basava, in gran parte, sul positivismo che aveva funzio-nato come base per la teoria della secolarizzazione che escludeva lareligione dal novero della civiltà e che fortunatamente è declinatanegli ultimi vent’anni, almeno all’interno della comunità scientifica.Le cose cambiano, non solo, ma le cose quando io le capisco, le mo-difico. Perché molti hanno paura di comunicare i sondaggi elettora-li poco prima del voto? Perché il sondaggio elettorale, che è unasemplice fotografia della realtà, influenza la realtà. La realtà è unprocesso; quindi le realtà si muovono. Qual è la verità di una per-sona? È la cosa verso cui quella persona sta camminando. Quandosant’Ignazio dice: ‘stai in una situazione difficile, comincia dal pec-cato più semplice...’ non vuol certo dirti che gli altri non sono pec-cati! Cerca di rimetterti in moto.

Il vedere, giudicare e agire è di una società che mutava conminore velocità. In fondo il principio è giusto, ma siamo di fronte aduna realtà che è cambiata! Un’altra cosa che è cambiata è che con-tinuamente noi siamo messi di fronte ad una grande offerta di sche-mi interpretativi, e dobbiamo saper mutare a seconda delle situa-zioni.

Aggiungiamo, a questo, anche l’idea che la nostra percezionedella fede cristiana è soggetta a mutamento. Giovanni Paolo II nellaVeritatis splendor dice che la fede cristiana non è identificabile nonsolo con una filosofia, ma neppure con una teologia. E nella Fides et

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Mutamentirichiesti

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ratio ci invita a studiate filosofia e teologia. Abbiamo bisogno infattidi dare formulazione razionale per quanto parziale alla fede, ben sa-pendo che c’è una continua tensione tra la fede che vivo e il modo incui la esprimo. Rispetto a Leone XIII, che nella Aeterni Patris, dice-va che senza una buona filosofia non si fa la teologia, noi abbiamosemplicemente, e questo è uno degli altri grandi doni del ConcilioVaticano II con la Dei Verbum, una percezione più dinamica del rap-porto tra storia della rivelazione e comprensione della rivelazione.

In una società, non solo cambiata, ma che cambia, in cui cioèil cambiamento acquisisce una forte velocità, è necessario esseremolto attenti per poter percepire il cambiamento e per capire anchel’individuo all’interno di tale cambiamento. Noi viviamo in una so-cietà che cambia, non viviamo in una società cambiata. Questo ri-chiede discernimento. Anche questa è una potenzialità e un rischio,perché non ho più ricette da applicare, ma posso comprendere lamia vocazione, la mia chiamata nell’oggi in un modo più adeguato,più specifico di quando pensavo che la vocazione, una volta pertutte, fosse la scelta all’interno di schemi predeterminati. Il che restavero, ma posso viverla con una pienezza e una concretezza assaipiù mature di quanto non mi fosse possibile prima.

Il capitolo 2 comincia parlando delle trasformazioni sociali epoi parla della parrocchia. Perché? Perché la parrocchia oggi può of-frire grandi potenzialità di evangelizzazione e di discernimento.Una domanda è necessaria: quale forma deve avere la comunità ec-clesiale perché aiuti, abiliti all’esercizio di quel discernimento chesembra essere un regime, un’ottica, una mentalità dentro la qualeentrare per essere cristiani oggi?. La risposta risiede in una riflesso-ne sulla parrocchia, anche se dobbiamo capire perché questa rifles-sione è così attuale oggi. Che cosa è successo, diciamo al cattolice-simo italiano in questi ultimi venti-trent’anni? Che, di fronte allasfida della secolarizzazione si è risposto attraverso un processo cheil sociologo chiama di diversificazione dell’offerta religiosa interna.Significa che oggi, nella Chiesa cattolica italiana, posso sempre piùandarmi a trovare il modo in cui essere cattolico, che più è confa-cente ai miei gusti. È il fenomeno dei movimenti religiosi.

Questo meccanismo cumulativamente produce delle grandiquantità, ma individualmente produce degli individui, delle perso-ne, la cui esperienza religiosa è simile, per struttura, all’esperienzareligiosa della società statica, dove il credente trovato un modo dicredere, lo ripeteva eroicamente, infinitamente, finché non succe-desse qualche altra cosa. Ci troviamo di fronte ad una risposta chesi basa molto sulla quantità e poco sulla trasmissione di una capa-cità di discernimento.

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Le trasformazionidella parrocchia

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Nella parrocchia invece ci ritroviamo di fronte ad una isti-tuzione, anche se di carattere storico e non teologico, particolar-mente propizia allo sviluppo di una fede capace di vivere nel regi-me del discernimento. Cito brevemente alcune caratteristiche.

– Il primo tratto è dato dalla territorialità della parrocchia. Èun aspetto straordinario; se io appartengo per ragioni di territorioad un’esperienza ecclesiale e non per ragioni di scelta, questo si-gnifica che non pretendo di scegliermi i compagni e le compagnecon cui vivo il mio cammino di fede, ma li ricevo dalla condizionenella quale vivo. Ma cosa c’entra col discernimento? C’entra nellamisura in cui, attraverso l’esperienza di un vicino di banco allamessa della domenica, sperimento che l’esperienza di fede è qual-cosa di più di ciò che può essere ridotto al mio stile di comporta-mento. Mi faccio interrogare dal suo e percepisco praticamenteche nella nostra fede c’è qualcosa che supera il modo concreto incui la vivo e ciò mi chiama continuamente alla conversione, per-ché ho vicino a me persone che camminano verso qualcosa chenon posseggono.

– Un’altra caratteristica della parrocchia è il carattere ‘buro-cratico’ della sua autorità religiosa. Il parroco non te lo scegli, telo dà il vescovo. Burocratico in termini sociologici non è una pa-rolaccia, significa il contrario di settario o elitario. Attraverso la fi-gura del parroco che qualcuno mi ha dato e che io non mi sonoscelto, sperimento il fatto di stare dentro una tradizione che non èa mia completa disposizione, che io non posso cambiare, amputa-re, correggere, selezionare in modo da renderla potabile ai mieigusti religiosi. Sono interrogato da qualcosa che mi supera.

– Terza caratteristica è la necessità di una fede pensata,cioè una fede che comprende che l’esperienza religiosa è un’e-sperienza non immediata, bensì mediata; un’esperienza che fac-ciamo con, in e sotto la nostra abituale esperienza. Questo, dettoin termini sociologici, significa che il cristianesimo è una religio-ne che non ha per oggetto il sacro, ma il santo, cioè la capacità dipercepire e di corrispondere che con, in e sotto ogni possibileesperienza, il dormire, il mangiare, l’andare a votare, il comprareuna macchina, il guardare la televisione, c’è qualcosa che inter-roga la mia esperienza di fede. L’esperienza religiosa in questosenso non può che essere riflessiva. Non è mai immediata perché,se fosse immediata, staremmo nel regime del sacro; se è riflessi-va possiamo accedere al regime del santo, cioè alla capacità cheha un diversissimo, ‘santo, santo, santo’ di entrare in relazionecon ogni qualsiasi cosa, in particolare con ogni persona che po-poli questa terra. Questo è quello che Martini diceva quando af-fermava che il credente è un sottogruppo del pensante. Se tu seipensante puoi anche essere credente, ma se tu non sei pensantenon puoi essere credente, almeno nel Dio di Gesù Cristo, perché

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puoi essere superstizioso, puoi essere religioso, ma non puoi es-sere credente.

Se non si sviluppa questa capacità riflessiva si scambia ilVangelo per un idolo. Che poi un idolo abbia forme analoghe ad al-cune simbologie cattoliche questo non cambia il fatto che sia unidolo. Ecco la necessità di questa esperienza e ritorniamo alle po-tenzialità di una società che cambia molto, che non propone mai lastessa situazione e che chiede a noi che siamo al servizio della co-municazione del Vangelo, ma che innanzitutto destinatari, di esse-re capace di fare queste continue declinazioni, rideclinazioni. Noisiamo continuamente chiamati – attraverso l’obbedienza allaChiesa, alla Parola di Dio – a comprendere le dimensioni che inter-rogano il nostro essere nella fede, il nostro camminare dietro Gesùogni momento.

Dal punto di vista sociologico noi percepiamo che, nella tra-dizione cristiana, diversamente da quanto avviene in altre tradizio-ni religiose, l’esperienza religiosa è percepita come esperienza me-diata e non immediata. Se noi perdiamo questo può anche rimane-re l’etichetta ‘cattolico’, però noi abbiamo perso un tratto caratteri-stico dell’esperienza cristiana in senso proprio. Se guardiamo oggialla situazione religiosa del nostro Paese sappiamo che per i pros-simi venti-trent’anni il problema della religione in Italia non saràquello della quantità dei cattolici; il cattolicesimo resterà sempre,per quel poco che possiamo prevedere l’esperienza religiosa domi-nante. Il problema è un altro: se manterrà ancora i caratteri eccle-siali, se manterrà ancora i caratteri cristiani. Cioè se sarà un’espe-rienza popolare o settaria, un’esperienza in cui io mi scelgo il miomodo di credere o appartengo a tutta la Chiesa; se sarà un’espe-rienza religiosa solo o un’esperienza anche interiore, cioè capace diquesta riflessività. Questo è il problema del cattolicesimo oggi inItalia: cogliere o non cogliere queste possibilità, soccombere o nonsoccombere a questi rischi.

Qual è la potenzialità? La potenzialità è quella di un’espe-rienza religiosa più pura. Qual è il rischio? Quello di una rispostainnanzitutto ed esclusivamente quantitativa e non qualitativa allasfida che questa potenzialità ci rivolge. Questo significa capacità dipassare ad una fede pensata, ricostruire un carattere ecclesiale del-l’appartenenza religiosa e non settario. Noi possiamo avere tantesette cattoliche che insieme fanno un grande numero oppure pos-siamo avere una esperienza ecclesiale. Non è la stessa cosa.

Questa novità ci impone un rinnovamento, un passaggio al re-gime del discernimento, che a me piace rimanesse nell’esperienza enella memoria di tutti di noi, con le parole di von Balthasar, tratte

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Potenzialità e rischidel comunicareil Vangelo oggi

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da Abbattere i bastioni: “La verità della vita cristiana è in questosenso come la manna del deserto; non la si può mettere da parte econservare. Oggi è fresca, domani puzza”. Credo che il rischio cuisiamo esposti o la potenzialità che ci è offerta è di entrare in un’e-sperienza di fede di questa qualità. “La distanza di millenni ci per-mette di attingere più direttamente alla sorgente, cioè alla rivelazio-ne di Cristo. Le esperienze della storia non sono superflue per que-sto salto nel Vangelo”. Noi possiamo entrare in un’ottica della fedeche ci aiuta a capire che quello che succede, quello che viviamo,quello che sentiamo, non è un filtro, ma è un invito alla compren-sione di ciò che il Signore oggi ci chiede.

Ecco quel tanto di rinnovamento, di passaggio ad un regimedel discernimento che, le novità, le potenzialità, ovviamente ancherischiose, delle trasformazioni sociali, oggi ci pongono. In fondoquesto significa scelta religiosa, che è la grande novità del postConcilio. Non da capirsi concentrandosi sull’aggettivo religiosa, suche cosa è religione e su che cosa non lo è, ma sul termine ‘scelta’.Cioè capire che la vita religiosa passa definitivamente in una societàcosì complessa, dal regime della ripetizione a quello della scelta.Questo è molto costoso, ma è anche molto più bello.

• Molte domande vertevano sul discernimento, in particolarestimolante quella su che fine fa il Vangelo nel discernimento.Vorreileggere alcune righe che in parte ho anche citato indirettamente, cheho trovato più efficaci nella presentazione del discernimento e nelradicamento di questa categoria nel linguaggio e nel messaggio bi-blico. Tra l’altro è interessante comprendere la sede da cui sono trat-te queste parole: l’omelia per il secondo anniversario dell’uccisionedi Vittorio Bachelet, il presidente dell’Azione Cattolica della sceltareligiosa, che fece monsignor Martini commentando il brano diPaolo che parla della lunghezza, larghezza, altezza e profonditàdella vita cristiana (cfr. Fil 1,9).

A un certo punto dice che quando noi vogliamo capire lascelta religiosa, cioè quando noi vogliamo capire lo specifico, il te-soro del post Concilio italiano, la parte migliore di questa fedeltàal Concilio che è maturata in Italia, non dobbiamo mettere tantol’accento su cosa sia religioso e su cosa non sia, ma su scelta. Ecita questo brano: «prego perché la vostra carità si arricchisca sem-pre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento». La caritàdunque si arricchisce, commenta Martini, e opera sempre megliomano a mano che diventa conoscitiva della realtà che discerne.Quindi la carità si alimenta e matura conoscendo l’oggetto cui sirivolge; non è solo intenzione, è anche familiarità. E continua:«Perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e ir-

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Dalla discussionee ripresa

del relatore

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reprensibili per il giorno di Cristo» (Fil 1,9). Commenta Martini di-cendo che la categoria della scelta o del discernimento è fonda-mentale per la figura spirituale del laico ed esprime meglio di altrecategorie affini il senso di positività e di attenzione al disegno diDio nel mondo, perchè non è un giudizio immediato e definitivosulle realtà che spetta a Dio solo, ma è un discernimento attentoe paziente di come l’opera dello Spirito vivifica e costruisce laChiesa nel mondo.

Ecco cos’è il discernimento: è la percezione del Vangelo e diGesù, non come di un principio, che ci è stato dato, una teoria, madi qualcosa che in un certo senso sempre si rivela e che cerco diseguire e di completare aggiungendo ciò che gli manca nelle vi-cende storiche nelle quali mi si manifesta. Quindi il discernimen-to non è un modo di fare sconti sui principi, ma è un modo di se-guire il Signore che mi chiama oggi anche attraverso la comples-sità delle condizioni in cui si impastano bene e male, in cui sonochiamato a vivere, discernimento che io posso operare solo fortedella grazia, del patrimonio della tradizione della Chiesa e dellescritture canoniche. Questi tesori mi aiutano a cogliere cosa ilSignore mi sta chiedendo in questo momento e, sulla base dell’e-sperienza che io faccio, per meglio comprendere questo patrimo-nio che mi è stato dato. E questa operazione può solo essere ec-clesiale, perché altrimenti è fatalmente destinata a deragliare inun’opera ermeneutica.

• In un mondo dove ogni settore dell’attività umana ha isuoi meccanismi, politica, economia... l’uomo rischia di rimanereimpotente, portandosi dietro l’angoscia del limite e della trascen-denza e riducendo la religiosità a qualcosa che consola la tua an-goscia, ti dà una speranza per l’aldilà, senza dire qualcosa allarealtà concreta di oggi.

Mi emoziona particolarmente questa domanda. In questosenso l’esperienza della trascendenza, nella parzialità che il so-ciologo osserva, è un’esperienza esclusivamente mondana. Perchél’esperienza del rapporto tra il finito e l’infinito è la proiezione, èl’alienazione, è il sogno, è una patologia. Quindi se non altro, aquesto primo piano dell’analisi sociologica, il cristianesimo puòsperimentare la trascendenza del proprio messaggio solo scopren-do come non indifferenti ciascuno degli ambiti in cui è inserito.Una non indifferenza che non diventa però giudizio o proposizio-ne di un modello.

Che cosa dice il cristiano all’economia? In una riflessione re-lativa al rapporto tra Gesù e le istituzioni politiche, Oscar Cullmannusa il concetto biblico di exousía. Per dire qual è il rapporto traGesù e le istituzioni politiche del suo tempo e in generale il rappor-

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to tra cristianesimo e politica negli scritti neotestamentari, usa que-sta espressione che secondo me è efficacissima e come sociologo lacapisco e la trovo utile: “né anarchici, né zeloti”, cioè il cristianocomprende che una società senza istituzioni non esiste e la societàè un valore.

Il cristiano comprende che non esistono istituzioni cristiane,ma che servono istituzioni e che non vanno sacralizzate. Porto unesempio. In questi giorni c’è un gran parlare sull’invocazione delleradici cristiane nel Prologo della Costituzione Europea. Se voi vitrovaste di fronte lo statuto di un condominio, vi porreste il proble-ma delle radici cristiane? No. Ma perché? Perché voi direste: “beh!è un condominio”. Il punto drammatico, il carattere paradossaledella richiesta della menzione delle radici cristiane nel Prologo deltesto della Costituzione, è che noi guardiamo al sistema politico ealle sue regole come se fosse lo scheletro della società e non comese fosse lo statuto del condominio. Noi ci siamo creati un concettodi Stato come forma della società, ovvero di sovraordinamento dellapolitica alla società, e non della politica come una delle tante fun-zioni, come è molto ben spiegato nel documento della Congre-gazione Cattolici e vita politica. La società è fatta di tante cose, unaè la politica.

Il problema è che cosa il cristianesimo ha da dire all’econo-mia, alla politica, alla scienza. Perché può dire molto in termini dicontenuto e può dire molto anche in termini di limite. Il NuovoTestamento ci dice: “pregate per le autorità” (cfr. 1Tm 2,1-2), manello stesso tempo: attenti a che non esorbitino! In questo senso uncontesto poliarchico e non monarchico – cioè un contesto socialecon tante exusiai, con tante istituzioni – è migliore di un contestomonarchico, cioè organizzato da un solo sistema.

• Riprendo qualche riflessione sui meccanismi della par-rocchia. Io, da persona credente, penso che i vescovi abbiano ra-gione. Casomai penso che questo discorso sulla parrocchia lo fac-ciano troppo in ritardo, potrebbe essere tardi. Non hanno avutoil coraggio di farlo negli anni ’80-’90, lo fanno adesso, speriamoche non sia tardi. Penso che sia effettivamente la forma principa-le che noi conosciamo per rendere l’appartenenza ecclesiale di-retta. Cioè io non appartengo alla Chiesa perché appartengo a ungruppo il cui leader è amico del papa, ma appartengo alla Chiesa,perché faccio un’esperienza religiosa in forma ecclesiale, cioènon una sorta di cattolicesimo in franchising per cui io metto l’e-tichetta cattolica.

Il problema della parrocchia è un problema serio, che non si-gnifica escludere la diversità delle spiritualità, supposto che si trat-ti di spiritualità, ma capire che non si una Chiesa su una spiritua-lità. La Chiesa è il luogo dove le persone si possono incontrare. Qui

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Sta la differenza tra associazioni e movimenti, tra l’Azione Cattolicae i movimenti. Un’associazione permette che due battezzati o millebattezzati, dentro la comunità, si aiutino ad essere quello che sono,senza produrre una nuova identità. Un gruppo invece, identifican-dosi come Chiesa, produce una identità, ovviamente suppletivadella debolezza dell’identità originaria. Quindi non è che i movi-menti siano un fenomeno negativo inspiegabile, ma suppliscono –in un modo discutibile – ad una carenza obiettiva. E sono sempreesistiti nella storia della Chiesa!

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L

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Preparare la presente relazione non è stato affatto facile. Farela rassegna di quanto è stato detto e scritto in questo anno sul temaLa Chiesa per la pace: a quarant’anni dalla Pacem in terris è abba-stanza ardito. Esiste un materiale prezioso abbondante di riflessio-ni e di indicazioni operative che fanno risultare pressoché inutili lemie considerazioni1. Ad un certo punto mi è venuto il pensiero di so-stituire la relazione con un Dossier nel quale raccogliere i testi piùinteressanti e autorevoli, offrirli ai partecipanti per un confronto ditipo operativo.

Di fatto, prima ancora che Giovanni Paolo II proponesse dicommemorare la Pacem in terris, già al tempo della guerra del Golfodel ’91 e ancor più in rapporto all’11 settembre del 2001, si eraaperto un dibattito considerevole sulla insensatezza del terrorismo,della guerra e delle varie forme di violenza, sull’assurdità di volerlegiustificare con motivi religiosi o di civiltà o di democrazia, sulla ef-ficacia della via della non violenza per superare i conflitti e doman-dare giustizia, soprattutto sulla necessità di operare tutti, a diversilivelli ma in modo convergente, alla costruzione di una società piùumana e umanizzante lavorando per dare cittadinanza alla pace.

Questo orientamento sempre più condiviso a livello mondialenon sorge nel vuoto: la pace è un’aspirazione profonda del cuoreumano, quindi è la vocazione di ogni persona perché fatta ad im-magine divina, chiamata a formare l’unica famiglia dei figli di Dio.

La pace è, così, al centro del Vangelo perché esso non è un so-prabito dell’essere umano, ma rivelazione della sua identità piùprofonda.

Gesù è la Pace (Ef 2,14), annuncia e dona la pace (Ef 2,17s;Gv 14,27; 16,33), perché riconcilia ogni creatura, in particolare l’u-manità divisa e alienata (Ef 2,11s). Chiama i suoi a portare la pacedivenendone annunciatori e operatori (Lc 10,5; Mt 5,9; 10,13; At10,36; 2Tm 2,22; Eb 12,14). La pace risulta, così, la sintesi dei de-

a Chiesa per la Pace.A quarant’annidalla Pacem in TerrisSuor MARCELLA FARINA - fma

Una prospettiva

1 Solo dall’internet si possono rintracciare 18309 riferimenti nel complesso di 1831pagine, mentre sul tema del 40° anniversario della Pacem in terris vi sono 1110 ri-correnze per un complesso di 111 pagine.

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sideri e dell’attesa umana, il bene messianico per eccellenza, perchéqualifica il Messia, Principe della pace (Is 9,6; 11,1-9; Lc 2,14).

Per questo è possibile documentare, nel cammino della co-munità cristiana, come i credenti in Cristo, nella dialettica della sto-ria e in mezzo alle persecuzioni, hanno accolto e donato la pace.

Si può pure individuare in tal senso un filo rosso nel magi-stero ecclesiale, in particolare nella dottrina sociale della Chiesa,che si è fatto sempre più consistente dopo i due conflitti mondiali,specie dopo il messaggio profetico di Giovanni XXIII, espresso nellaPacem in Terris, e dopo i gesti profetici posti da Giovanni Paolo IIdopo l’11 settembre 2001.

Celebrare il 40° anniversario della Pacem in Terris non è unatto formale. Essa non è solo un’enciclica che suscitò universaleconsenso e aprì i cuori alla speranza, ma fu una illuminazione per ipotenti e i semplici, influì nelle relazioni tra i popoli, rese possibilipassi concreti nella soluzione pacifica di conflitti, ispirò movimentiche richiamano l’attenzione sulla necessità di fondare la conviven-za umana sulla concordia, sulla solidarietà, sul riconoscimento e ilrispetto effettivo della dignità della persona umana. È una preziosaeredità anche per il nostro tempo.

La Pacem in Terris ebbe immediata risonanza nei lavori con-ciliari, quindi nell’episcopato mondiale. Lo attesta la costituzionepastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la Gaudium etSpes, non solo nel cap. V dedicato appunto alla pace, ma in tutto ilsuo impianto centrato sulla persona umana, considerata nelle suecoordinate teologiche, socio-culturali, economico-politiche, cosmo-logiche.

Così, la Chiesa universale nelle sue varie espressioni e nei di-versi membri si è sentita interpellata ad essere, nella riflessione enell’azione, costruttrice di pace.

La Chiesa italiana, così come il nostro Paese, non è stata dameno, nell’intraprendere con maggior consapevolezza la via dellapace, sebbene non siano mancate all’interno di essa ambiguità econtraddizioni, come attesta la problematica esplosa per la guerranel Golfo.

Questi pochi accenni giustificano perché la proposta diGiovanni Paolo II di celebrare fattivamente il 40° anniversario dellaPacem in terris abbia avuto una risonanza mondiale e abbia inte-ressato credenti e non.

Numerose sono state le iniziative di riflessione e di azione.Sono stati coinvolti Mass Media, Università e Centri di Studio,Diocesi e parrocchie, Associazioni e movimenti.

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Tra le numerose iniziative si pone la scelta dell’UfficioNazionale per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese. Questascelta si pone nella prospettiva globale del discernimento dell’oggidi Dio, tipica della via della pace, e vuole offrire uno spazio di spi-ritualità e di formazione missionaria.

Dal programma emerge l’intenzionalità operativa, quindi ilbisogno di condividere un pensare operoso secondo la natura dellalectio evangelica: “Beati coloro che ascoltano e mettono in pratica”(Lc 11,28); “Non chi dice ‘Signore, Signore’, ma chi fa” (Mt 7,21). Imissionari non hanno bisogno di essere richiamati né incoraggiatiin questo senso, perché sono presi dalla passione del Regno, ma,come afferma Neuwman, l’assenso nozionale non si identifica conl’assenso reale. Quest’ultimo si attua in un cammino che dura tuttala vita.

Dopo aver preso visione del cumulo di materiale esistente sulnostro tema, consapevole che l’analisi, per diventare operativa – se-condo le finalità di questa settimana -, deve individuare alcune pisteconcrete di riflessione, ho cercato un percorso che includa una regi-strazione del “già” e lasci intravedere un “non ancora”.

La società odierna, caratterizzata dalla complessità addensa-ta ove i problemi più che essere risolti si accumulano, corre il ri-schio della paralisi del pensiero e dell’azione. Le molteplici possibi-lità e opportunità di informazione e di scelta stanno generando nellepersone, specie nelle nuove generazioni, un disordine e una confu-sione esistenziali che rendono difficile l’orientamento e, quindi, lescelte fondamentali. Infatti l’opzionalità dall’ambito dei mezzi si èdilatata nell’ambito dei fini provocando l’indecisione e l’instabilitànel proprio progetto di vita.

Ovviamente anche in questo caso porto acqua al mare: chialimenta l’ardore missionario non ha bisogno di essere richiamatosulla sintesi esistenziale dei valori evangelici. Ma anche qui vale lalogica della moltiplicazione dei pani: il Signore opera il miracolocon cinque pani e due pesci che non appartengono ai discepoli, maa un ragazzo, quindi è possibile che anche da me possa venire qual-che briciola.

Il principio di sintesi è Gesù Cristo, presente in maniera emi-nente nel Memoriale Eucaristico. Con Gesù è presente Maria, laMadre della Nuova Umanità, la Regina della Pace. È il Signore ac-colto come centro della propria vita e della storia nella fedeltà di-namica agli appelli della coscienza. Così il criterio operativo fonda-mentale è questa fedeltà resa possibile dall’accoglienza della fedeltàdi Dio.

È la prospettiva degli Orientamenti Pastorali della CEI Comu-nicare il Vangelo in un mondo che cambia, quindi della Lettera

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Apostolica di Giovanni Paolo II Novo Millennio Ineunte e dell’Esor-tazione Post-sinodale Ecclesia in Europa. Gesù Cristo, vivente nellasua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa.

In questi testi la dimensione missionaria è evidente.

Il tema della pace dentro questo orizzonte non è un opportu-nismo, è annuncio esplicito della fede, è urgenza profetica, pertan-to ha bisogno di discernimento per evitare i surrogati religiosi e pa-cifisti, le propagandistiche difese dei diritti umani attraverso la vio-lenza o guerra preventiva, la passività o, come direbbe Paolo VI, laviltà fatta passare come non violenza.

Ho pensato di svolgere la riflessione in due momenti, uno ditipo storico, uno più operativo che porti ad individuare possibilipercorsi per dare cittadinanza alla pace.

Hannah Arendt rileva che non è l’origine di una storia che sirende presente e si rinnova con la tradizione, non è la tradizione checi riporta alle nostre origini. Piuttosto sono le esperienze presenti cherichiedono modelli e precedenti e permettono che il presente si rico-nosca nel passato2. I grandi modelli, i grandi precedenti sorgono lìdove gesti singolari illuminano un tempo storico e dove le azioniumane si svincolano dalla legge della necessità, dall’automatismo3.

Le affermazioni della Arendt vanno ad hoc per le nostre cele-brazioni: la Pacem in terris illumina il tempo storico e lo fa usciredalla ripetitività, dal procedere meccanico, e attesta che è possibilesperare, è possibile essere liberi dalla legge della necessità.

L’enciclica di Giovanni XXIII fu ed è riconosciuta profetica,perché carica di significati, di futuro, per il contenuto, quindi per ilmessaggio, per lo stile, la visione delle cose, la capacità di entrarein dialogo nella storia, di osare la pace contro il fatalismo che vedela sua sconfitta.

Per questo la proposta del 40° ha registrato un’attenzione esensibilità mondiali, soprattutto nelle persone di buona volontà cat-toliche e no. Del resto con la Pacem in terris per la prima volta ilPapa si rivolge a tutti gli uomini, poiché tutto il suo argomentare èfondato sulla dignità della persona umana. E il suo messaggio sca-valca i tempi perché, come dice Tonino Bello, «Sul terreno dellapace non ci sarà mai un fischio finale che chiuda la partita: biso-gnerà sempre giocare ulteriori tempi supplementari».

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1.La celebrazionedi una memoria

profetica

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2 Cf. ARENDT H., Sulla rivoluzione, trad. it. di MAGRINI M., Milano, ediz. di Comunità1983, 207.3 Cf ID., Vita Activa. La condizione umana, trad it. di FINZI S., Milano, Bompiani 1988,31.

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La celebrazione in alcune iniziativeÈ difficile selezionare tra il nutrito calendario di iniziative al-

cune celebrazioni più significative, perché molte sono quelle inte-ressanti ed opportune, in quanto la proposta del Papa di riprende-re la Pacem in terris ha avuto larga accoglienza, anche se per ragio-ni diverse, con vari generi letterari e mezzi di comunicazione.

Occasioni favorevoli per tali celebrazioni sono state la Gior-nata mondiale per la pace, la Giornata delle comunicazioni sociali,soprattutto in prossimità dell’11 aprile, giorno della ricorrenza del40° anniversario della Pacem in terris.

Così, scorrendo i giornali, le riviste, i siti internet; ascoltandola radio e vedendo la TV; cercando tra i libri le ultime pubblicazio-ni, si può constatare l’interesse che questa ricorrenza ha riscosso, aldi là delle appartenenze culturali e confessionali, socio-politiche,professionali, anche al di là delle età della vita.

Non sono mancate iniziative di campi scuola, esercizi spiri-tuali, seminari di studio, convegni e tavole rotonde ove sono inter-venute personalità autorevoli del mondo ecclesiale e laico, interes-sate a prendere i motivi ispiratori della Pacem in terris e a diffonde-re le ragioni della cultura della pace. Non sono mancati neppure in-terventi in ambito politico e della pubblica amministrazione.

Richiamo solo alcune celebrazioni.I giornali di varie sponde hanno dato all’enciclica un partico-

lare rilievo, soprattutto in rapporto a qualche affermazione del Papao della CEI4.

Le riviste, da quelle divulgative a quelle di ricerca legate a isti-tuzioni accademiche o a centri di studio, tutte hanno proposto al-meno un editoriale; molte nell’annata le hanno dedicato un nume-ro o almeno un saggio consistente. La Rivista di Scienze dell’Edu-cazione della Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, daquando è stata istituita la giornata mondiale della pace, dedica altema il primo numero dell’anno, pubblicando anche il messaggio delPapa con un breve commento. Oltre a questo elemento costante, do-po l’11 settembre, seguendo le esortazioni del Sommo Pontefice aintraprendere iniziative di pace, l’Auxilium ha organizzato la pasto-rale universitaria in questa direzione accogliendo l’appello di edu-care alla pace soprattutto le nuove generazioni5. Per il prossimo

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4 Si possono scorrere un po’ tutti i quotidiani, dall’Osservatore Romano e Avvenire, alCorriere della sera, al Mattino, alla Repubblica, alla Stampa.5 Cf. PAPISCA A., Globalizzazione, valori universali e diritti umani, in Rivista di Scienzedell’Educazione 50 (2002) 14-27; FARINA M., Le sfide della globalizzazione all’umane-simo cristiano, in ivi 28-49; ID., Una cittadinanza per la pace. La via evangelica perl’umanizzazione del mondo, in ivi 311-328 ove sono riportati alcuni contributi del se-minario di studio svolto all’Auxilium il 2 marzo 2002. L’ultimo bollettino dall’Auxi-lium porta il titolo Non vogliamo rumori di guerra, ma accordi di pace (n. 1 anno2002-2003).

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anno accademico sono previsti laboratori di studio con docenti estudenti sulla Pacem in terris con testimonianze di personalità pro-venienti da vari ambiti socio-culturali e professionali per indicarecome la pace debba prendere dimora nel quotidiano.

Il 12 febbraio 2003 nasce il conflitto in Iraq: Famiglia Cri-stiana invita i parlamentari ad esprimere la loro posizione. Già la ri-vista Jesus aveva dedicato alcuni studi sui conflitti e sull’urgenza dicostruire la pace con il contributo del dialogo tra le religioni.L’iniziativa si è intensificata a partire dall’11 settembre 20016.

Anche la rivista Il Regno – Attualità ha dedicato alla pace ilnumero 20 del 2001.

Una parola sui Convegni.L’Auxilium in maniera esplicita, dopo l’11 settembre 2001, in

risposta all’appello del Papa, ha promosso il seminario del 2 marzo2002 sul tema Una cittadinanza per la pace. La via evangelica perl’umanizzazione del mondo. Successivamente sono state realizzatetavole rotonde e testimonianze di fratelli e sorelle provenienti dal-l’Iraq e da Gerusalemme (rispettivamente il 26 febbraio, 12 marzo,9 aprile 2002). Ricordo in particolare la testimonianza autorevole diElisa Springer, autrice di Il Silenzio dei vivi.

Il 27 febbraio 2003 l’Istituto Toniolo ha organizzato un Se-minario di studio: Contributo della Chiesa alla causa della pace coninterventi di Mons. Renato Raffaele Martino, Presidente del Ponti-ficio Consiglio della Giustizia e della Pace che ha svolto una inte-ressantissima relazione su L’azione pacificatrice della chiesa attra-verso le istituzioni internazionali. È intervenuto pure Mons PeroSudar, vescovo ausiliare di Sarajevo, che ha svolto la relazioneEssere chiesa in tempi di guerra7.

Il 16 marzo la diocesi di Milano ha organizzato un convegnoprestigioso: “A quarant’anni dalla Pacem in terris”. È intervenutoancora Mons. Renato Raffaele Martino, con una interessantissima edocumentata relazione alla quale sono seguiti un dibattito e un in-tervento conclusivo del cardinale di Milano, S. E. Dionigi Tetta-manzi, il quale ha inviato pure un messaggio a tutte le parrocchiedella diocesi8.

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6 Nel numero di novembre del 2001 la rivista ha proposto degli articoli interessanti.Prisciandaro Vittoria fa uno studio, Al cuore del Quran e presenta il braccio violentodell’Islam con l’indicazione dei luoghi in cui è presente il fondamentalismo islamicoe con la segnalazione dei punti qualificanti di tale religione (p. 45-51). Sempre inquesto numero sono pubblicate la lettera aperta del Cardinal Carlo M. MARTINI daltitolo Il coraggio di pensare e quella di Ferruccio Parazzoli Poveri noi occidentali spa-ventati, a caccia di un’anima ormai perduta.7 Ho preso i testi dal sito www.azionecattolica.it/iniziative_2003/pace.8 Ho preso i testi nel sito www.giovaniemissione.it/andtesti.

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Da questo convegno sono emerse anche illuminate proposteoperative individuate nel sì alla pace e alle sue condizioni persona-li e comunitarie, e un no alla violenza nelle sue molteplici e insi-diose forme, da quelle nascoste a quelle pubbliche. Inoltre è statoevidenziato il ruolo chiave che svolge il diritto internazionale nellacostruzione di un ordine mondiale che permetta di evitare la guerranella soluzione e mantenimento degli equilibri planetari.

Il 28 marzo la Facoltà di Scienze Sociali della PontificiaUniversità S. Tommaso (Angelicum) ha celebrato il 50° di fondazio-ne istituendo la Cattedra cardinal Pavan per l’Etica Sociale. Il cardi-nal Pavan (1904-1994) fu uno stretto collaboratore di Papa Gio-vanni per i problemi sociali ed ebbe un influsso sostanziale sulle en-cicliche Mater et Magistra e Pacem in terris. Ha celebrato questa ri-correnza collegandola a quella della Pacem in terris con interventidel Rettore dell’Università Prof. F. Compagnoni, Mons. GianpaoloCrepaldi, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e dellaPace, e don Paolo Tarchi, Direttore dell’Ufficio per i problemi socialie il lavoro presso la CEI9.

Il Centro Ecumenico Europeo per la Pace, a Milano, insiemeall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione inItalia, ha promosso un convegno di studio in occasione dei 40 annidella Pacem in terris dal 9 al 10 aprile, sul tema Chiesa e guerra.Dalla benedizione delle armi alla Pacem in terris.

A quarant’anni dalla Pacem in terris. I nuovi segni dei tempi:seminario di studio svolto a Roma dal 10 all’11 aprile, promossodalla Pontificia Università Lateranense, Facoltà di diritto civile, dalPontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Fondazione G. Toniolo edalla rivista La società. È stato articolato in varie sessioni e si è con-cluso con un solenne atto pubblico commemorativo. Ecco le sessio-ni: sessione antropologico-filosofica con attenzione alle neuroscien-ze; sessione giuridica con l’attenzione sulla democrazia e le istitu-zioni; la sessione internazionalista con l’attenzione sulla comunitàinternazionale e la pace. L’11 aprile, giorno di commemorazionedell’enciclica, vi è stato il solenne atto pubblico nel quale sono in-tervenuti il cardinale Angelo Sodano, il senatore Giulio Andreotti,Mons Renato Raffaele Martino, il dottr Savino Pezzotta, gli Ono-revoli Pierferdinando Casini e Giorgio Napolitano.

Dagli interventi è emerso che l’impegno per la pace non èsenza speranza; è possibile ed è efficace a livello personale e comu-nitario fino a giungere ad una governance globale10.

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9 Cf\www.pust.edu/ethies.10 www.pul.it/pacem.

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Il 10 aprile 2003, alla Pontificia Università Urbaniana, si è te-nuta una tavola rotonda dedicata a La pace nel mondo oggi con osenza la religione? È stato un incontro interreligioso che, prendendospunto dall’enciclica di Giovanni XXIII, si è arricchito dei contribu-ti di noti studiosi appartenenti a diverse aree culturali e a varie con-fessioni religiose: il Prof. Amos Luzzatto, Presidente dell’Unionedelle Comunità Israelitiche Italiane, Gabriele Mandel – Confrater-nita dei Sufi Jerrahi-Halveti in Italia, il Prof. Franco Restaino,dell’Università di Roma Tor Vergata; il Prof. Cataldo Zuccaro dellaPontificia Università Urbaniana.

«Oggi si parla molto della pace, ma la vera pace sembra piùlontana che mai, mentre l’enciclica Pacem in Terris del Beato PapaGiovanni XXIII traccia la strada da seguire per la costruzione di unapace vera e duratura. Potrebbe tuttavia sorgere la domanda: comepossono oggi le grandi religioni essere guide affidabili per la costru-zione della pace nel mondo? L’Università Urbaniana, fedele alla suaindole missionaria e come segno della sua perenne apertura al dia-logo interreligioso e interculturale, ha accolto l’invito del SantoPadre relativo al 40° dell’enciclica, scegliendo di celebrare l’anni-versario della Pacem in Terris con una riflessione sobria, profonda edi carattere interreligioso» (Mons. Ambrogio Spreafico).

Il coordinamento dei centri culturali cattolici di Milano, il 10maggio, ha svolto un seminario di studio su A 40 anni dalla Pacem interris: profezia continuità attualità, con la presenza non solo di stu-diosi ma anche di personalità e rappresentanti del mondo religioso.

Il 14 maggio all’Università “Roma Tre”, Centro di ricerca sul-l’educazione interculturale e sulla formazione allo sviluppo, si è te-nuto un incontro dibattito sul libro La Pacem in terris. La fatica dellapace, dell’editrice Dehoniane 2003.

Il 1° Giugno, giornata delle comunicazioni sociali, sul tema Imezzi di comunicazione sociale a servizio di un’autentica pace allaluce della Pacem in terris, è stato ripreso il messaggio di GiovanniPaolo II del 24 gennaio, in cui richiama coloro che operano nellacomunicazione sociale alla propria responsabilità sottolineando cheessi possono promuovere la pace dicendo la verità, così come pos-sono favorire i conflitti assoggettandosi ai poteri tradendo la verità.

Pure a Bologna, dal 1 al 3 giugno, si è svolto un convegno distudio su Giovanni XXIII nel quale non poteva non essere presa inconsiderazione l’enciclica.

Non sono mancati incontri di tipo politico e anche politico-re-ligioso nei quali non solo si è preso spunto dalla Pacem in terris, maispirazione e illuminazione per osare la pace.

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L’8 aprile tutti i gruppi presenti nel Consiglio comunale diRavenna hanno votato all’unanimità una proposta fatta dai demo-cratici di sinistra in occasione del 40° della Pacem in terris: impe-gnarsi a valorizzare il concetto della pace come forma unica di giu-stizia sociale.

Nel sacro convento di Assisi, il 3 giugno, si è svolto un in-contro dibattito per politici durante il quale è stato presentato undocumento Umbria terra di Pace. Emblematico il luogo santificatoda Francesco e Chiara, ma anche per gli eventi che Giovanni PaoloII ha voluto celebrarvi. Così si sono confrontati autorità ecclesiasti-ca, esponenti religiosi, amministrazione pubblica. Un rilievo parti-colare va dato agli interventi di Mons Vincenzo Paglia e a Mons.Renato Raffaele Martino.

Non è il luogo per riportare le numerose iniziative per dire sìalla pace e no alla guerra in occasione dell’esplosione del conflittoin Afganistan e in Iraq, come pure nelle fasi alterne della regionemediorientale: seminari, tavole rotonde, convegni di studio e persi-no campi scuola e giornate di spiritualità.

Via internet sono giunte lettere da sottoscrivere, documenta-zioni sui percorsi del petrolio, ecc. che hanno favorito un consensosempre più ampio sul no alla guerra.

Siamo rimandati così all’attività svolta da internet. Vi è un sito dedicato proprio alla Pacem in terris: www.pace-

minterris.comDai siti internet si possono trovare menzionate le iniziative

già ricordate, ma vi sono anche siti che hanno dedicato uno spazioalla ricorrenza, presentando le iniziative per la pace, messe in attoper prevenire la guerra in Iraq e, con l’esplosione del conflitto, peresprimere il dissenso.

Il sito www.giovaniemissione.it raccoglie tante riflessionisulla non violenza, sulla pace e persino proposte e schede di studioper favorire la formazione dei giovani alla pace, secondo una indi-cazione che emerge dalla Pacem in terris e percorre tutto il magiste-ro successivo, richiamando la necessità e l’urgenza dell’educazionealla pace.

In particolare sono proposti tre nuclei tematici:1. Una voce grida nel deserto per dire che la pace potrebbe ri-

suonare come voce nel deserto non solo in alcuni contesti extraec-clesiali, ma anche nella Chiesa; si parla di pace non da archeologi,ma da progettisti per sottolineare che queste schede sono propostecome un cammino di scoperta del grido della pace che viene dallaChiesa nel deserto sociale, e spinge ad assumersi le responsabilitàdi costruzione della giustizia e della pace non come emergenza macome frutto della fede nella persona di Cristo, quindi scopritori del

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messaggio sociale della chiesa per diventare progettisti di un mondopiù umano, giusto, fraterno. Si prende in considerazione l’ordinedell’universo e la grandezza dell’uomo PT 1.

2. Una lettura antropologica PT2: considera la tematica an-tropologica, che è quella fondativa del discorso di pace. Si trattadella grandezza della persona umana fatta a immagine e somi-glianza di Dio, quindi l’antropologia che si svela pienamente nelmistero dell’incarnazione, rimanda all’ordine della creazione ealla signoria dell’uomo sull’universo, l’uomo non come singolosemplicemente, ma come chiamato alla fraternità universale. Mo-tiva la partenza da una lettura di antropologia teologica e non so-ciologica.

3. Testimonianze: Desmond Tutu, premio nobel per la pacenel 1984, parla della pace in Sudafrica con il perdono e riconcilia-zione, grazie a Klerk e Nelson Mandela. Quest’ultimo dopo 26 annidi prigione non si vendica, ma parla di perdono.

Vi sono pure iniziative nei siti di volontariato, quali il VIS cheil 20 marzo in maniera propositiva parla di vie di sviluppo menzio-nando le guerre in atto, anche quelle dimenticate, con situazioni difame e di analfabetismo, e il VIDES con i programmi di sviluppo ri-volti alle donne, puntando sull’educazione.

Il sito www.donbosconews.it riporta varie iniziative per lapace, in particolare l’impegno “Siamo il popolo della Pacem in ter-ris”; ove si dice a quali condizioni è possibile, soprattutto nel quo-tidiano, nell’educazione alla pace nel promuovere una cultura dipace.

Interessante è pure il sito www.giovaniericonciliazione.orgche propone il convegno a Loreto dal 21 al 23 marzo 2003.

www.azionecattolica.it presenta le iniziative soprattutto for-mative organizzate dall’Azione cattolica in tutti i settori, prendendoin considerazione la proposta del Papa sull’educazione alla pace.Nel sito sono offerte pubblicazioni, riviste, sussidi. Le proposte sonodiversificate dai fanciulli agli adulti, proporzionando le riflessioni.

In internet si trova l’Appello della comunità S. Egidio: Pace intutte le terre – Pacem in terris 1 gennaio 2003 con l’e-mail a sotto-scrivere l’Appello di pace.

Molte associazioni e movimenti cattolici, insieme ad altre per-sone di buona volontà, hanno avanzato la proposta I popoli europeivogliono la pace petizione delle Sentinelle del Mattino. La petizione èstata inviata ai responsabili politici europei, al governo italiano, aiparlamentari di ogni schieramento, soprattutto dopo l’esplosionedel conflitto con un richiamo a Bush, Blair, Aznar.

Si può ricordare pure l’iniziativa Briciole di pace, promossadalla Caritas di Milano con l’offerta di 1 E per una micro-realizza-zione di pace.

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Tra le publicazioniOltre al famoso Dizionario di teologia della pace, Bologna,

Dehoniane 1997, ricordo il volume Pace. Voci a confronto, editodalle Paoline, ove scrivono autorevoli esponenti del mondo religio-so, cattolici e non, che riflettono sull’enciclica Pacem in terris, evi-denziandone gli aspetti più attuali. Il volume, pubblica integral-mente l’enciclica e propone le considerazioni di Luigi Bettazzi, EnzoBianchi, Mahmoud Salem Elsheikh, Giuliana Martirani, PaoloRicca, Andrea Riccardi, Lea Sestieri e Alex Zanotelli e soprattutto imessaggi di Giovanni Paolo II per il 1 e il 24 gennaio. Il libro sot-tolinea che la lettera è destinata a imprimere una nuova accelera-zione alla riflessione sull’urgenza di una cultura della pace per ga-rantire un autentico progresso e la convivenza dei popoli.

Intercultura, pace e cinema a cura di M. Contadini, G. Bevi-lacqua, D. Pela, pubblicato dalla Elle Di Ci, che dedica la terza se-zione a guerre pace pacifismo.

Segni di pace: il quindicinale Segno nel mondo, interpellandointellettuali, giornalisti, monaci, teologi, scrittori, storici ha propo-sto uno studio che nasce dal desiderio di dire no alla guerra.

Una ricerca sui Conflitti dimenticati è stata condotta dallaCaritas italiana in collaborazione con Famiglia Cristiana e Il Regno.

Ricordo alcuni studi di Giuliana Martirani Il paese dei fuochi,Roma, USMI 2002 (in italiano e inglese) ove documenta i motivieconomici dei conflitti. Dello stesso anno è pure Il drago e l’agnello,Milano, Paoline.

La lista potrebbe continuare. Le citazioni sono sufficienti perevidenziare l’attenzione data alla Pacem in terris.

Nelle iniziative sovente sono riportati gli esempi di personeche hanno lavorato con determinazione e coraggio per la pace: oltrea Gandhi si fa memoria di Lorenzo Milani, Primo Mazzolari, Gior-gio la Pira, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Madre Teresa, esoprattutto di Mons. Tonino Bello.

Da tutto questo movimento di idee e di iniziative emergecome con il Messaggio di inizio d’anno Giovanni Paolo II abbiaposto un nuovo gesto “politico” di portata universale secondo lecoordinate della cattolicità della fede in Gesù Cristo, il Principedella Pace. Il Papa ha posto un gesto politico non solo perché dàvoce a un sentire collettivo che si è fatto sempre più consistente daltempo della Pacem in terris a oggi, ma anche perché incoraggia l’a-spirazione alla pace dei singoli e dei popoli, dandole fondamento,proponendo piste di approfondimento operative per il bene dell’u-manità. Egli ha portato l’attenzione anche dei non cattolici sul temae sul suo sviluppo, e con una strategia ispirata al Vangelo, dopo l’11

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settembre, non si è fatto imprigionare in ideologiche difese dellafede cristiana contrapposta a quella islamica, ma ha fatto gesti co-raggiosi di comunione con le religioni.

Così la celebrazione del 40° anniversario della Pacem in terrisrisulta un’occasione quanto mai opportuna per fare tesoro dell’in-segnamento profetico di Giovanni XXIII. L’attualità è negli scenariche si hanno davanti, sia negativi (conflitti in corso, guerre ricorda-te e dimenticate, squilibri economici, ingiustizie... terrorismo) siapositivi (l’attenzione alla persona e ai suoi diritti, il ricorso agli or-ganismi internazionali, i rilievi coraggiosi alle disfunzioni presentiin essi, la denuncia di nuovi disordini sociali).

Giovanni Paolo II richiama coloro che hanno a cuore il benedell’umanità a riprendere, approfondire e praticare gli insegnamen-ti di Giovanni XXIII arricchiti da quarant’anni di riflessione e diazione per la pace.

In questa direzione mi sembra utile individuare alcune lineemaestre che emergono dal magistero

Il filo rosso del Magistero sulla civiltà della pace

Non è fuori luogo richiamare le coordinate fondamentali dellaPacem in Terris il cui messaggio profetico è stato accolto da tutticon stima e gratitudine. Molti oggi condividono l’enciclica e la ri-tengono non solo attuale, ma anticipatrice.

Giovanni XXIII la rese pubblica l’11 aprile, giovedì santo,collegando la pace al mistero pasquale del quale l’Eucaristia è il me-moriale permanente.

Fin dall’introduzione evidenzia il fondamento teoantropologi-co della pace, valorizzando la svolta antropologica moderna e rac-cordandola non estrinsecamente, ma con profonda coerenza, conl’antropologia cristiana che si radica sull’incarnazione, consideratanon semplicemente come il momento in cui il Figlio di Dio si è fattouomo, ma come la sua condizione permanente, quindi come inclu-siva di tutta la sua vicenda. Il Papa non riduce antropologicamenteil messaggio evangelico, mostra piuttosto l’originalità della rivela-zione biblico-cristiana la quale afferma che Dio è alla ricerca del-l’uomo. Giovanni Paolo II annota «Grazie al Verbo, il mondo dellecreature si presenta come “cosmo”, cioè come universo ordinato;[...] il Verbo, incarnandosi, rinnova l’ordine cosmico della creazio-ne»11.

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11 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Tertio millennio adveniente 3.

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Interessante è l’architettura del testo in cinque sezioni chescaturiscono dalla prospettiva della rivelazione coniugata dentro lastoria: 1) l’ordine fra gli esseri umani, 2) rapporti tra gli esseriumani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politi-che, 3) rapporti fra le comunità politiche, 4) rapporti degli esseriumani e delle comunità politiche con la comunità mondiale, 5) ri-chiami pastorali.

Ogni sezione conclude con il richiamo di alcuni segni deitempi, e ciò mostra la particolare cura di Giovanni XXIII nello scor-gere i semi di bene presenti nel mondo, nelle persone e nei popoli.

L’Introduzione (n. 1-4) sottolinea l’ordine nell’universo e negliesseri umani perché creati da Dio secondo una legge che è quelladella concordia e della pace. Pertanto la Pace in terra è anelitoprofondo degli esseri umani di tutti i tempi e può venire instaurata econsolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio. I pro-gressi delle scienze e le invenzioni della tecnica attestano come negliesseri e nelle forze che compongono l’universo, regni un ordine stu-pendo; attestano in particolare la grandezza dell’uomo, che scopretale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi delle forze delcosmo per volgerle a suo servizio (1). I progressi scientifici e le in-venzioni tecniche manifestano innanzitutto la grandezza infinita diDio che ha creato l’universo e l’uomo. Ha creato l’universo, profon-dendo in esso tesori di sapienza e di bontà e ha creato l’uomo intel-ligente e libero, a sua immagine e somiglianza, costituendolo signo-re del creato (2). Esiste quindi l’ordine negli esseri umani (3-4).

Nella prima sezione (n. 5-25) il Papa insiste sull’ordine tragli esseri umani. L’ordine si regge sulla reciprocità di diritti doveri. Ilcentro tematico è: Ogni essere umano è persona, soggetto di diritti edi doveri. I diritti sono universali, inviolabili, inalienabili (5).Articola la riflessione sui diritti considerando il diritto all’esistenza ead un tenore di vita dignitoso (6), i diritti riguardanti i valori moralie culturali (7), il diritto di onorare Dio secondo il dettame della rettacoscienza (8), il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato (9), idiritti attinenti il mondo economico (10), il diritto di riunione e di as-sociazione (11), il diritto di emigrazione e di immigrazione (12), i di-ritti relativi a contenuto politico (13). Accanto ai diritti pone in ma-niera esplicita i doveri senza i quali i diritti sono svuotati. Quindi,dopo aver sottolineato l’indissolubile rapporto fra diritti e doverinella stessa persona (14), considera la reciprocità di diritti e di dove-ri fra persone diverse (15), nella mutua collaborazione (16), in atti-tudine di responsabilità (17). Afferma che la convivenza fra le perso-ne è possibile solo nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella li-bertà (18s), nel riferimento esplicito dell’ordine morale al fondamen-to oggettivo che è il vero Dio, fonte della verità (20)

131 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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In questa prima sezione parla di tre fenomeni che caratteriz-zano l’epoca moderna.

Anzitutto considera l’ascesa economico-sociale delle classi la-voratrici (21). In secondo luogo evidenzia l’ingresso della donnanella vita pubblica e la sua nuova consapevolezza, segno più espli-cito nei popoli di civiltà cristiana (22). Infine segnala le trasforma-zioni avvenute nella famiglia umana: tutti i popoli si sono costituitio si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti (23).

Alla radice di questi segni il Papa scorge con particolare otti-mismo la convinzione largamente diffusa che tutti gli uomini sonouguali per dignità naturale, quindi le discriminazioni razziali nonhanno più alcuna giustificazione, almeno sul piano della ragione edella dottrina. Questa acquisizione rappresenta una pietra miliarenella edificazione di una convivenza umana. Infatti, nella coscien-za dei diritti non può non sorgere la consapevolezza dei rispettividoveri, in particolare il dovere di far valere i diritti come esigenzaed espressione della dignità umana, il dovere di riconoscere tali di-ritti e di rispettarli (24). Quando i rapporti della convivenza si pon-gono in termini di diritti e di doveri, gli esseri umani si aprono sulmondo dei valori spirituali e comprendono che cosa sia la verità, lagiustizia, l’amore, la libertà, e diventano consapevoli di appartene-re a quel mondo. Su questa strada si aprono pure a conoscere me-glio il vero Dio, trascendente e personale, e ad assumere il rappor-to fra se stessi e Dio a solido fondamento e a criterio supremo dellaloro vita, di quella che vivono nell’intimità di se stessi e di quellache vivono in relazione con gli altri (25).

Nella seconda sezione considera i rapporti tra gli esseriumani e i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche.Mette in luce la necessità dell’autorità nella convivenza umana e lasua origine divina. Precisa che proprio perché di origine divina, vaesercitata secondo l’ordine del Creatore. Non è quindi un’autoritàincontrollata, ma secondo ragione; non è fondata sulla minaccia, manella realizzazione del bene comune. Proprio perché viene dallaProvvidenza può obbligare moralmente solo in quanto è da Dio e ri-spetta questa origine, quindi solo rispettando e favorendo la dignitàdella persona, non per la sudditanza; altrimenti è iniqua (26-31);l’attuazione del bene comune è ragione d’essere dei poteri pubblici, mail bene comune ha attinenza con la natura umana e non solo conelementi etnici, quindi è un bene a cui tutti hanno diritto con giu-stizia ed equità, va attuato a favore di tutto l’uomo secondo una ge-rarchia di valori (32). In questa direzione esplicita alcuni aspettifondamentali del bene comune (33-35); i relativi compiti dei poteripubblici e i diritti e doveri della persona (36); l’armonica composizio-ne ed efficace tutela dei diritti e doveri della persona (37); il dovere dipromuovere i diritti della persona (38s); l’equilibrio fra le due forme

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di intervento dei poteri pubblici (40); la struttura e il funzionamentodei poteri pubblici (41s); l’ordinamento giuridico e la coscienza mo-rale (43); la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica (44).

Tra i Segni dei tempi richiama la carta dei diritti fondamentalidegli esseri umani; il tentativo di fissare in termini giuridici, attra-verso le costituzioni, le vie attraverso le quali si formano i poteripubblici, i loro reciproci rapporti, le sfere di loro competenza, i modio metodi secondo cui sono tenuti a operare. Si stabiliscono, quindi,in termini di diritti e di doveri i rapporti tra i cittadini e i poteri pub-blici; e si ascrive ai poteri pubblici il compito preminente di ricono-scere, rispettare, comporre armonicamente, tutelare e promuovere idiritti e i doveri dei cittadini (45). Gli esseri umani hanno acquista-to una coscienza più viva della propria dignità, coscienza che, men-tre li sospinge a prendere parte attiva alla vita pubblica, esige pureche i diritti della persona – diritti inalienabili e inviolabili – sianoriaffermati negli ordinamenti giuridici positivi; ed esige inoltre che ipoteri pubblici siano formati con procedimenti stabiliti da norme co-stituzionali, ed esercitino le loro specifiche funzioni nell’ambito diquadri giuridici (46).

Nella terza sessione parla dei rapporti fra le comunità politi-che segnalando i soggetti di diritti e di doveri (47s), che si fondanonella verità (49s), secondo giustizia (51). In questa luce sono consi-derate le minoranze che vanno accolte secondo dignità (52s), nellasolidarietà operante (54s). Non può esistere diritto e pace se non viè equilibrio tra popolazione, terra e capitali (56). Affronta quindi ilproblema dei profughi politici con il sentimento di universale pater-nità che il Signore ha acceso nel suo animo, per cui sente profondaamarezza nel considerare il fenomeno dei profughi politici, un fe-nomeno di proporzioni ampie che nasconde innumerevoli e acutis-sime sofferenze (57s). Propone la via del disarmo perché gli arma-menti, oltre che assorbire ingenti energie spirituali e risorse econo-miche, genera sfiducia nei rapporti tra persone e popoli. Tuttavianon basta il bando alle armi (59s), bisogna disarmare gli spiritidalla psicosi bellica e sostituire al criterio dell’equilibrio degli ar-mamenti il criterio della vicendevole fiducia su cui si edifica la verapace (61). È un appello alla ragione per evitare il pericolo dellaguerra (62), un appello che, come vicario di Cristo, lancia facendo-si interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana(63). I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella libertà(64). Guarda con fiducia l’ascesa delle comunità politiche in fase disviluppo economico (65).

Tra i Segni dei tempi segnala la persuasione sempre più condi-visa che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere ri-solte con il ricorso alle armi; ma attraverso il negoziato. Questo so-prattutto in considerazione del potere distruttivo delle armi moderne

133 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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che possono provocare distruzioni immani e dolori immensi. Riescequasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa esse-re utilizzata come strumento di giustizia. Il Papa annota come tra ipopoli spesso regni ancora la legge del timore che li sospinge a speseingenti in armamenti. Mette in luce come gli uomini, incontrandosie negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano inquanto membri della comune umanità, che una fra le più profondeesigenze è che regni non il timore, ma l’amore, tradotto nella colla-borazione leale e multiforme, apportatrice di molti beni (67).

La quarta sezione considera i rapporti degli esseri umani edelle comunità politiche con la comunità mondiale. Sottolinea l’in-terdipendenza tra le comunità politiche e l’insufficienza dell’attualeorganizzazione dell’autorità pubblica nei confronti del bene uni-versale (68-70). Esso può essere realizzato fondandosi sull’ordinemorale rapportando contenuti storici del bene comune, struttura efunzionamento dei poteri pubblici (71). I poteri pubblici vanno isti-tuiti di comune accordo, non possono essere imposti con la forza(72). Il bene comune universale è tale perché si radica nella naturaumana e quindi rispetta i diritti della persona (73). Nella modula-zione dei rapporti, di cui parla nella sessione, propone il principiodi sussidiarietà: «Come i rapporti tra individui, famiglie, corpi in-termedi, e i poteri pubblici delle rispettive comunità politiche, nel-l’interno delle medesime, vanno regolati secondo il principio disussidiarietà, così nella luce dello stesso principio vanno regolatipure i rapporti fra i poteri pubblici delle singole comunità politichee i poteri pubblici della comunità mondiale. Ciò significa che i po-teri pubblici della comunità mondiale devono affrontare e risolve-re i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturaleche pone il bene comune universale; problemi però che per la loroampiezza, complessità e urgenza i poteri pubblici delle singole co-munità politiche non sono in grado di affrontare con prospettiva disoluzioni positive» (74).

Tra i segni dei tempi menziona l’emergere di organismi inter-nazionali finalizzati a risolvere i conflitti con gli accordi e a custo-dire e promuovere la pace. Il riferimento particolare è al 26 giugno1945, data di fondazione dell’Organizzazione delle Nazione Unite,alla quale si collegarono gli istituti intergovernativi con vasti com-piti internazionali in campo economico, sociale, culturale, educati-vo, sanitario. L’ONU è stata costituita proprio con la finalità essen-ziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppandofra essi le amichevoli relazioni, fondate sui principi della ugua-glianza, del vicendevole rispetto, della multiforme cooperazione intutti i settori della convivenza. La Dichiarazione universale dei di-ritti dell’uomo, approvata in Assemblea Generale il 10 dicembre1948, è uno dei suoi atti più importanti e carichi di speranza. Infatti

134 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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nel preambolo la Dichiarazione proclama come ideale da perseguir-si da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento erispetto di quei diritti e delle rispettive libertà. Essa, sebbene inqualche punto particolare possa sollevare obiezioni e fondate riser-ve, segna un passo importante nel cammino verso l’organizzazionegiuridico-politica della comunità mondiale, perché riconosce, nellaforma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; diconseguenza proclama il fondamentale diritto per ogni persona dimuoversi liberamente nella ricerca del vero, nell’attuazione delbene morale e della giustizia; il diritto a una vita dignitosa; ricono-sce gli altri diritti connessi con questi. Il Papa si auspica che l’ONU– nelle strutture e nei mezzi – possa rispondere sempre più alla va-stità e nobiltà dei suoi compiti; e che un giorno i singoli esseriumani possano trovare in essa una tutela efficace in ordine ai dirit-ti che scaturiscono immediatamente dalla loro dignità di persone,diritti universali, inviolabili, inalienabili. Un altro aspetto impor-tante è che i singoli esseri umani, mentre partecipano sempre più at-tivamente alla vita pubblica delle proprie comunità politiche, mo-strano un crescente interessamento alle vicende di tutti i popoli, eavvertono con maggiore consapevolezza di essere membra vive diuna comunità mondiale (75).

Nella quinta sezione, il Papa insiste sul dovere dei cristiani dipartecipare alla vita pubblica, li esorta ad «adoprarsi nella luce dellafede e con la forza dell’amore, perché le istituzioni a finalità econo-miche, sociali, culturali e politiche, siano tali da non creare ostaco-li, ma piuttosto facilitare o rendere meno arduo alle persone il loroperfezionamento: tanto nell’ordine naturale che in quello sopranna-turale» (76); li incoraggia ad acquisire la corrispettiva competenzascientifica, capacità tecnica, esperienza professionale (77). Sottolineache tali conoscenze sono necessarie, ma non sufficienti per ricom-porre i rapporti all’interno della famiglia umana il cui fondamento èla verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore,metodo di attuazione la libertà. Esorta, così a operare una sintesi dielementi scientifico-tecnico professionali e di valori spirituali (78), e aricomporre in una sintesi unità fede religiosa e attività a contenutotemporale, una ricomposizione difficile per la frattura che si è ope-rata soprattutto in alcuni contesti fra credenza religiosa e azione acontenuto temporale, mentre la fede è faro che illumina e la caritàforza che vivifica (79). Richiama lo sviluppo integrale degli esseriumani in formazione “l’accennata frattura nei credenti fra credenzareligiosa e operare a contenuto temporale, è il risultato, in granparte se non del tutto, di un difetto di solida formazione cristiana.Capita infatti, troppo spesso e in molti ambienti, che non vi sia pro-porzione fra istruzione scientifica e istruzione religiosa: l’istruzionescientifica continua ad estendersi fino ad attingere gradi superiori,

135 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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mentre l’istruzione religiosa rimane di grado elementare. È perciòindispensabile che negli esseri umani in formazione, l’educazionesia integrale e ininterrotta; e cioè che in essi il culto dei valori reli-giosi e l’affinamento della coscienza morale procedano di pari passocon la continua sempre più ricca assimilazione di elementi scienti-fico-tecnici; ed è pure indispensabile che siano educati circa il me-todo idoneo secondo cui svolgere in concreto i loro compiti” (80).Sottolinea che la pace è impegno costante (81), incoraggia a svol-gerlo intessendo rapporti fra cattolici e non cattolici in campo econo-mico-sociale-politico proprio perché gran parte del campo di azioneè relativa alle esigenze insite nella natura umana, quindi fannoparte del diritto naturale (82). Così si può collaborare anche con chinon crede in Gesù Cristo, distinguendo errore da errante (83); inol-tre le dottrine non sono i movimenti, le prime sono formulate e fisse,i secondi evolvono (84). «Pertanto, può verificarsi che un avvicina-mento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportunoo non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani.Decidere se tale momento è arrivato, come pure stabilire i modi e igradi dell’eventuale consonanza di attività al raggiungimento discopi economici, sociali, culturali, politici, onesti e utili al vero benedella comunità, sono problemi che si possono risolvere soltanto conla virtù della prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vitamorale, sia individuale che sociale. Perciò, da parte dei cattolici taledecisione spetta in primo luogo a coloro che vivono od operano neisettori specifici della convivenza, in cui quei problemi si pongono,sempre tuttavia in accordo con i principi del diritto naturale, con ladottrina sociale della Chiesa e con le direttive della autorità eccle-siastica. Non si deve, infatti, dimenticare che compete alla Chiesa ildiritto e il dovere non solo di tutelare i principi dell’ordine etico ereligioso, ma anche di intervenire autoritativamente presso i suoifigli nella sfera dell’ordine temporale, quando si tratta di giudicaredell’applicazione di quei principi ai casi concreti» (85). Propone ilmetodo della gradualità che è la legge della vita in tutte le sueespressioni: non nella rivoluzione, ma nell’evoluzione concordatasta la salvezza e la giustizia. La violenza abbatte, non affratella(86). Siamo di fronte ad un compito immenso che possiamo adem-piere solo con la forza soprannaturale (87s). Di qui la preghiera alPrincipe della pace (89s). È questa un’impresa tanto nobile ed altache le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona vo-lontà, non possono da sole portare ad effetto. È dono!

Giovanni XXIII con l’enciclica ha richiamato l’attenzione delmondo sulla pace come ideale superiore alle divisioni dei blocchiideologici e delle contrapposizioni politiche, indicandola come lasintesi dei valori fondamentali per la realizzazione dell’umanità.L’autorevolezza e l’efficacia di tale messaggio non hanno bisogno di

136 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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essere documentate. Basti pensare che nella primavera del 1963 fuinsignito del Premio “Balzan” per la pace a testimonianza del suoimpegno a favore della pace con la pubblicazione delle EnciclicheMater et Magistra (1961) e Pacem in terris (1963) e del suo decisi-vo intervento in occasione della grave crisi di Cuba nell’autunno del1962.

Che dire poi delle ultime settimane della sua vita, quandotutto il mondo si trovò spiritualmente presente trepidante attorno alsuo capezzale ed accolse con profondo dolore la notizia della suascomparsa la sera del 3 giugno 1963?

Profezia di pace è stata la sua vita stessa. Unanimemente l’u-manità glielo riconosce.

Egli ha visto semi di bene, ha seminato e coltivato i semi dibene e li ha visti presenti anche in persone ritenute fuori e contro lachiesa

In occasione della sua beatificazione Giovanni Paolo II la do-menica, 3 Settembre 2000, partendo dall’antifona d’ingresso: “Tusei buono e pronto al perdono” ha delineato così i tratti caratteri-stici di Papa Giovanni: «Giovanni XXIII, il Papa che colpì il mondoper l’affabilità del tratto, da cui traspariva la singolare bontà dell’a-nimo [...]. Di Papa Giovanni rimane nel ricordo di tutti l’immaginedi un volto sorridente e di due braccia spalancate in un abbraccio almondo intero. Quante persone sono restate conquistate dalla sem-plicità del suo animo, congiunta ad un’ampia esperienza di uominie di cose! La ventata di novità da lui portata non riguardava certa-mente la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla; nuovo era lo stilenel parlare e nell’agire, nuova la carica di simpatia con cui egli av-vicinava le persone comuni e i potenti della terra. Fu con questo spi-rito che egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II, col quale aprìuna nuova pagina nella storia della Chiesa: i cristiani si sentironochiamati ad annunciare il Vangelo con rinnovato coraggio e con piùvigile attenzione ai “segni” dei tempi. Il Concilio fu davvero un’in-tuizione profetica di questo anziano Pontefice che inaugurò, pur tranon poche difficoltà, una stagione di speranza per i cristiani e perl’umanità.

Negli ultimi momenti della sua esistenza terrena, egli affidòalla Chiesa il suo testamento: “Ciò che più vale nella vita è GesùCristo benedetto, la sua Santa Chiesa, il suo Vangelo, la verità e labontà”. Questo testamento vogliamo raccogliere oggi anche noi,mentre rendiamo gloria a Dio per avercelo donato come Pastore».

La lettera non è solo una riflessione teologica ma una illumi-nazione politica ai potenti del pianeta; influì positivamente sul pro-cesso di distensione internazionale. La sua eco positiva e propositi-va ha avuto i suoi effetti in particolare nella chiesa, soprattutto nelConcilio, ed ha avviato un modo di giudicare innovativo.

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Il cap V della Gaudium et Spes ne fa fede e resta ancora at-tualissimo in molti suoi aspetti, come pure la dichiarazioneDignitatis Humanae, richiamata sovente da Giovanni Paolo II.

Rileggendo questi due testi si prova una profonda commozio-ne nel constatare che sono stati scritti negli anni ’60, non nel 2003.

Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: un filo rosso di rifles-sione e di azione per la pace mai spezzato. È sintomatico che ilnome “Giovanni Paolo” è stato introdotto da Papa Luciani per sot-tolineare la volontà di accogliere l’eredità dei suoi due predecessoriGiovanni XXIII e Paolo VI. Papa Karol Wojtyla riprende il nomecomposto perché vuole seguire la stessa via. Giovanni XXIII, PaoloVI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II sono uniti nella stessa te-stimonianza richiamando le ragioni teologiche e antropologiche dellapace.

Giovanni XXIII ha spinto a superare lo scetticismo sulla pos-sibilità della pace, Paolo VI continua nell’incoraggiare a percorreresentieri di pace, richiamando le coscienze a prendere in seria con-siderazione le radici teologiche che la rendono possibile; l’attualePontefice interpella le coscienze sulle stesse ragioni, insistendo sul-la dignità della persona, coniugando coscienza umana e valorievangelici, evitando strumentalizzazioni e ambigui atteggiamentipacifisti.

Dai messaggi di Paolo VI

Paolo VI si fa interprete dell’eredità del suo predecessore intutto il suo ministero, come emerge dal suo programma pastoraledelineato e pubblicato nel 1964, l’enciclica Ecclesiam Suam: perquali vie la chiesa cattolica debba oggi adempiere il suo mandato (cfn. 16s.21.110, ma tutto il testo va nel senso della pace).

Nel 1966 ebbe la felice intuizione di istituire la Giornata mon-diale per la pace e l’8 dicembre 1967 inviò il primo Messaggio nelquale offriva questa proposta al mondo intero. La risonanza inter-nazionale fu altamente positiva. Le lettere di capi di Stato e di Isti-tuzioni internazionali, di credenti e non credenti, come singoli edassociati, giunte alla Santa Sede, ne sono una confortante testimo-nianza. Il segretario Generale dell’ONU, U. Tant, rispose «Santità,sono assai grato alla Santità Vostra per avermi inviato il testo delsuo Messaggio nel quale si invita all’osservanza di una Giornatadella pace nel primo giorno dell’anno 1968, e poi ogni anno suc-cessivo. La profonda ispirazione spirituale di questo Messaggio nonpuò non imporre il più grande rispetto e la più devota attenzione[...]. Condivido la sua profonda cura per quanto concerne la realiz-zazione della pace in questo turbato periodo» (I Papi per la pace.Venticinque messaggi di Paolo VI e Giovanni Paolo II per la celebra-

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zione della Giornata Mondiale della Pace, Libreria Editrice Vaticana1992, 13).

Paolo VI datò il primo Messaggio l’8 dicembre, perché vollemettere sotto la protezione dell’Immacolata Concezione, Reginadella Pace, la sua proposta. Fissò la celebrazione al 1 gennaio, al-l’inizio dell’anno, come un auspicio e come un appello-compito per-ché ogni giorno del nuovo anno sia nell’orizzonte della Pace.

Rileggendo gli undici suoi Messaggi si resta stupiti nel consi-derare l’ampiezza e la profondità dell’argomentazione, lo stile inter-rogante, la radicale e trasparente umiltà del suo mettersi a serviziodell’umanità nel nome del Signore, la sua luminosa testimonianza,la sua instancabile presenza con spirito di iniziativa per favorireprocessi e percorsi di pace tra i gruppi, i popoli, le nazioni, tra le co-munità cattoliche, tra le confessioni cristiane, tra i membri dellevarie religioni12.

Che dire poi dei contenuti?Spesso ritorna sui temi fondamentali della Pacem in terris

concretizzando nella nuove condizioni storiche le istanze e le pro-spettive ivi proposte, sempre vigile sugli snodi delle tensioni e deiconflitti internazionali e sulle loro cause, sempre fiducioso nellabontà del cuore umano, sempre affidato alla grazia del Principedella Pace, sempre attento e rispettoso nei confronti delle svoltedella storia, sempre aperto ad imparare e ad offrire un suo apportoper la comprensione dei mutamenti, sempre positivo e propositivonell’incoraggiare a percorrere i sentieri del bene. Nell’affrontare lecomplesse problematiche nelle quali l’umanità si trovava, era sem-pre spinto dalla luce della fede, luce divina nell’intelletto umano,dalla Rivelazione che non toglie nulla alla ricerca umana.

Sovente offre delle precisazioni di saggezza evangelica, perevitare strumentalizzazioni indebite della sua proposta. Così distin-gue la ricerca della pace e la costruzione della pace dal pacifismo,dalla passività, dalla paura del rischio; distingue la sua missionespirituale dai compiti e responsabilità dei politici e delle istituzioniinternazionali, ma non vede la sua missione disincarnata perché,proprio secondo la logica dell’incarnazione, ad ogni credente sta acuore tutto ciò che è umano, ogni creatura, perché tutti fratelli e so-relle nella stessa famiglia di Dio. Egli si considera l’ultimo, il servo,il fratello di ogni persona umana.

139 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

12 Per dare il panorama di questo ampio spazio di riflessione segnalo i titoli: La gior-nata per la Pace (uso questo titolo, non avendolo nel discorso), La promozione dei di-ritti dell’uomo, via verso la Pace (1969), È nostra missione insegnare agli uomini ... ariconciliarsi (1970), Ogni uomo è mio fratello (1971), Se vuoi la Pace lavora per la giu-stizia (1972), La Pace è possibile e doverosa (1973), La Pace dipende anche da te(1974), La riconciliazione via alla Pace (1975), Le vere armi della Pace al servizio del-l’umanità nuova (1976), Se vuoi la Pace difendi la vita (1977), No alla violenza, sì allaPace (1978). Ho preso i messaggi sia di Paolo VI che di Giovanni Paolo II dal sitowww.vaticano.va.

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L’8 dicembre 1967 propone a tutti, dai rappresentanti delleistituzioni internazionali ai singoli soggetti della famiglia umana, Lagiornata per la Pace. In tale messaggio mette in rilievo che i perico-li della pace non sono solo le armi, sono soprattutto gli egoismi, leviolenze provocate dalla disperazione, la pericolosità delle armi at-tuali che colpiscono anche soggetti inermi; il pericolo che le que-stioni non si possano risolvere con la via della ragione ma dellearmi.

La pace, invece, si fonda su uno spirito nuovo, sul cuore, suuna nuova mentalità dei singoli e dei popoli.

Quindi occorre l’educazione e la cultura della pace e della fra-tellanza, fondate sull’appartenenza all’unica famiglia umana.

La promozione dei diritti dell’uomo, via verso la Pace (1969):la pace vera e giusta si fonda nel riconoscimento sincero dei dirittidi ogni persona e della indipendenza delle nazioni. Non li fondiamonoi, ma si fondano sulla dignità della persona umana fatta a imma-gine di Dio, quindi hanno radici teologali. Pace non è pacifismo,viltà, pigrizia, ma proclamazione dei valori alti e universali dellavita, della verità, della giustizia, della libertà. La pace è nel geniodella religione cristiana perché Cristo è principe della pace. Egli cela offre grazie alla sua morte, sulla sua croce ha vinto l’inimicizia.Egli chiama ogni cristiano a essere costruttore di pace. Occorre edu-care il mondo alla pace, a costruirla e difenderla contro le insidiedella violenza, della viltà, del pacifismo tattico che narcotizza l’al-tro. Amare la pace deve essere compito di tutti, deve essere nell’a-nima di tutti. Diritto e pace sono reciprocamente causa ed effetto.Pace non è equilibrio esteriore, ma relazione soprannaturale.

È nostra missione insegnare agli uomini ... a riconciliarsi(1970): educare alla pace è missione tipica del Papa.. La pace nonsi gode, si crea. Bisogna aspirarvi sempre a un livello superiore.Educare i giovani, educare gli uomini a riconciliarsi, a perdonare se-condo l’indicazione di Gesù nel Pater, è sua missione ed è respon-sabilità di ogni cristiano. Perdonare è superiore alla giustizia; biso-gna imparare a perdonare alla scuola superiore della misericordiadel Padre.

Ogni uomo è mio fratello (1971): tutti gli uomini nascono li-beri, figli di Dio, l’inimicizia è disordine. Per questo la pace è spec-chio di vera umanità fondata sulla paternità e amore trascendentedi Dio.

Se vuoi la Pace lavora per la giustizia (1972): la pace affondale radici nella giustizia.

La Pace è possibile e doverosa (1973): la pace è tranquillitàdell’ordine sempre da costruire nella storia, perché meta escatologi-ca; è dono e compito; è condizione spirituale. Occorre la pedagogiadella pace. La pace è possibile e doverosa e i cristiani sono inter-pellati dalla fede a costruirla. Occorre avere il coraggio della pace.

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La Pace dipende anche da te (1974) contro ogni pacifismo,complicità e debolezza. L’idea di pace è vittoriosa. I cristiani hannoforza soprannaturale per costruirla.

La riconciliazione via alla Pace (1975) è la prospettiva del-l’anno santo, perché la pace è valore interiore, spirituale; si fondasulla bontà della persona e dei popoli. È possibile perché Dio ci ri-concilia.

Le vere armi della Pace al servizio dell’umanità nuova (1976).Tra le armi vi è l’osservanza dei patti, il disarmo di tutti, l’ordinenella libertà e dovere di coscienza. Il Papa esprime l’ammirazioneper Gandhi e la non violenza; indica la non violenza evangelica. Fariferimento al messaggio di Giovanni XXIII.

Se vuoi la Pace difendi la vita (1977) richiama Papa Roncallisottolineando che pace e vita sono tautologia, che occorre sottoli-neare il primato della vita. Tre imperativi: difendere, risanare, pro-muovere la vita, specie la vita nascente. Di fronte alle molteplici vio-lenze alla vita, annunciare l’evangelo della vita.

No alla violenza, sì alla Pace (1978): sì alla pace, sì alla vitacontro il terrorismo e le violenze che generano terrore.

Il messaggio di Giovanni Paolo II

L’attuale Pontefice si pone sulla lunghezza d’onda di Paolo VIe continua con efficacia la tradizione del messaggio della pace. Hadonato al mondo già 25 Messaggi13. Basta scorrere i titoli per ren-dersi conto dell’ampiezza della riflessione e della concretezza delleproposte operative. Richiama sovente tali tematiche nelle udienzegenerali e speciali, negli incontri con i diversi gruppi, soprattuttocon i giovani nelle giornate mondiali della gioventù. Così da 36 annila Chiesa cattolica nella persona più autorevole che la rappresenta,il Papa, invia al mondo intero un Messaggio di pace in occasione

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13 Per giungere alla Pace educare alla Pace (1979), La verità, forza della Pace (1980),Per servire la Pace, rispetta la libertà (1981), La Pace dono di Dio affidato agli uomi-ni (1982), Il dialogo per la Pace una sfida per il nostro tempo (1983), La Pace nasceda un cuore nuovo (1984), La Pace e i giovani camminano insieme (1985), La Pace èvalore senza frontiere Nord-Sud, Est-Ovest: una sola Pace (1986), Sviluppo e solida-rietà: due chiavi per la Pace (1987), La libertà religiosa condizione per la pacifica con-vivenza (1988), Per costruire la Pace, rispettare le minoranze (1989), Pace con DioCreatore, Pace con tutto il creato (1990), Se vuoi la Pace, rispetta la coscienza di ogniuomo (1991), I credenti uniti nella costruzione della Pace (1992), Se cerchi la Pace, vaincontro ai poveri (1993), Dalla famiglia nasce la Pace della famiglia umana (1994),La donna educatrice di Pace (1995), Diamo ai bambini un futuro di Pace (1996), Offriil perdono, ricevi la Pace (1997), Dalla giustizia di ciascuno nasce la Pace per tutti(1998), Nel rispetto dei diritti umani il segreto della Pace vera (1999), Pace in terraagli uomini che Dio ama (2000), Dialogo fra le culture per una civiltà dell’amore e dellaPace (2001), Non c’è Pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono, Pacem interris: un impegno permanente (2003).

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del 1 gennaio, offrendo una possibilità di riflessione sulle dimen-sioni fondamentali e soprattutto sulla sorgente della pace.

Non è retorica. Infatti le tematiche colgono l’esigenza inter-nazionale emergente, sovente in sintonia con le proposte ONU ocon avvenimenti mondiali significativi. Quindi è una riflessione incontesto, un contesto illuminato dall’orizzonte della fede.

Nei suoi messaggi si possono individuare dei filoni che ri-prendono e approfondiscono la Pacem in Terris. Sempre concludecon la prospettiva evangelica e con l’invito alla preghiera per otte-nere il dono della pace.

Per giungere alla Pace educare alla Pace: è il messaggio del1979. L’educazione è compito faticoso. Per svolgerlo bisogna porsidalla parte della pace, alimentare la convinzione che essa è possi-bile, aprire gli occhi a visioni di pace, rileggere così la storia, irra-diare esempi di pace, parlare linguaggio di pace, portare la pacenella vita quotidiana, nella famiglia, nella politica. La fede dà unsingolare contributo alla pace: Cristo è la pace. Esiste una dinami-ca della pace ove si raccordano la pace come dono da impetrare conla preghiera e la pace come impegno.

La verità, forza della Pace (1980): la non verità genera guerre,la verità illumina le vie della pace, rafforza i mezzi di pace. I cri-stiani hanno un ruolo particolare nella costruzione della pace ope-rando per l’unità, per la forza del Vangelo che proclama beati glioperatori di pace.

Per servire la Pace, rispetta la libertà (1981): il Papa esaminai condizionamenti che impediscono la pace. Insiste sul fatto che ve-rità, giustizia, amore, libertà sono i pilastri della pace. Sottolinea lalibertà personale e dei popoli, il clima di fiducia e rispetto, per con-cludere con il dono della libertà dei figli di Dio.

La Pace dono di Dio affidato agli uomini (1982): è dono e com-pito da svolgere in un mondo lacerato. Le informazioni possonocontribuire alla pace, così come gli studi. Bisogna educare alla pace;le istituzioni dovrebbero promuoverla. Parlando della giustizia edella pace tra le nazioni, della dinamica cristiana delle beatitudini,ricorda in particolare Giovanni XXIII. Vede la pace come una sfidapermanente che esige il cuore nuovo, compassionevole.

Il dialogo per la Pace una sfida per il nostro tempo (1983): ildialogo presuppone delle virtù, non è tattica o menzogna. Occorreintessere il dialogo tra le nazioni. I cristiani dovrebbero darne testi-monianza, coltivandolo in particolare tra loro.

La Pace nasce da un cuore nuovo (1984): la guerra nasce dallospirito umano disordinato. Dio ci dona un cuore nuovo.

La Pace e i giovani camminano insieme (1985). Il Papa inco-raggia: “giovani non abbiate paura della vostra giovinezza” (3), ri-chiama loro i fondamenti della pace interrogandoli sulla loro idea di

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uomo, su chi è il loro Dio, quali valori sono alla base delle loro scel-te, quale orientamento danno alla vita, indicando il valore della giu-stizia e partecipazione, da perseguire sempre perché la vita è un pel-legrinaggio.

La Pace è valore senza frontiere Nord-Sud, Est-Ovest: una solaPace (1986). Essa è universale perché nasce dal cuore umano,nuove relazioni basate sulla solidarietà. Questo anno è dichiaratodall’ONU anno della pace.

Sviluppo e solidarietà: due chiavi per la Pace (1987): a 20 annidalla Populorum progressio. È dichiarato dall’ONU l’anno dell’al-loggio per i senza tetto, il Papa insiste sul dovere morale di tutti dipromuovere la solidarietà e lo sviluppo degni della persona umana.

La libertà religiosa condizione per la pacifica convivenza (1988):sottolinea che la dignità e la libertà, patrimonio della comunitàumana, sono alla base della pace. Cita la dichiarazione del ConcilioDignitatis Humanae e la sua lettera enciclica Redemptor Hominis.

Per costruire la Pace, rispettare le minoranze (1989): riprendele considerazioni della Pacem in terris, tenendo presenti le nuovecondizioni socio-politiche.

Pace con Dio Creatore, Pace con tutto il creato (1990): pone iltema dell’antropologia e della cosmologia bibliche, concludendo chela custodia del cosmo è responsabilità di tutti.

Se vuoi la Pace, rispetta la coscienza di ogni uomo (1991): è iltema della coscienza e dell’educazione della coscienza. La verità as-soluta si trova solo in Dio. L’intolleranza minaccia la pace (cfDignitatis Humanae); la libertà religiosa è una forza di pace. Emergela necessità di un giusto ordine legale in un mondo pluralista. La co-scienza interpella in particolare il cristiano a vivere il monito paoli-no: “fare la verità nella carità” (Ef 4,15).

I credenti uniti nella costruzione della Pace (1992): a 25 annidall’istituzione della giornata mondiale per la pace, il Papa sottoli-nea la natura morale e religiosa della pace, da perseguire rivivendolo spirito di Assisi, con la forza della preghiera, intessendo rapportifra credenti a livello interreligioso, consapevoli che il dialogo è lastrada della mutua conoscenza che ci pone insieme sulla via dellapace, dono del Dio della pace (1Cor 14,33) che ci comanda di amareil prossimo.

Se cerchi la Pace, va incontro ai poveri (1993): la scelta disu-mana della guerra è fonte di povertà, come la povertà è fonte di con-flitti. Lo spirito di povertà è spirito di pace.

Dalla famiglia nasce la Pace della famiglia umana (1994): ri-chiama il tema della famiglia, nell’anno che l’ONU dedica a questarealtà particolarmente in crisi nella modernità. Nell’impegno a co-struire relazioni pacifiche nella famiglia si pongono le premesse perquello spirito di pace che rende possibile la pace nella famigliaumana, nel mondo.

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La donna educatrice di Pace (1995): è l’anno della IV confe-renza mondiale sulla donna, svoltasi a Pechino. Il Papa sottolineala dignità della donna, il suo compito storico, la sua missione, com-piuta spesso in situazioni di grande difficoltà, il suo genio nel co-struire relazioni di pace in famiglia e nella società. In particolaresottolinea la sua missione educatrice. Tra i documenti che cita visono la Pacem in terris, Populorum progressio e Mulieris Dignitatem.In particolare riporta l’espressione: “Dio affida l’uomo alla donna”.Richiama il problema grave, soprattutto in certe regioni, dell’educa-zione delle bambine. Conclude con l’invocazione a Maria, reginadella pace.

Diamo ai bambini un futuro di Pace (1996): è l’anno chel’ONU dedica ai bambini. Il Papa, dopo aver richiamato le situa-zioni di difficoltà in cui essi si trovano, sottolinea la responsabilitàmondiale per la loro educazione, per il futuro dell’umanità. Ritornasovente il tema del rispetto della vita.

Offri il perdono, ricevi la Pace (1997): a tre anni dal giubileo ilPapa indica lo spirito penitenziale che può sanare le ferite dell’odioe dell’inimicizia. La verità e la giustizia sono i presupposti del per-dono. Ma questo è possibile per un dono dall’alto: Cristo ci riconci-lia. È anche l’anno della seconda assemblea ecclesiale di Europa aGraz proprio su Riconciliazione dono di Dio fonte di vita nuova.

Dalla giustizia di ciascuno nasce la Pace per tutti (1998): ri-prende la tematica della persona che per natura è dotata di dirittiuniversali, inviolabili, inalienabili, in occasione del 50° della pro-mulgazione della carta dei diritti dell’uomo. Richiama le gravi con-seguenze che ha il debito estero sui popoli, insiste sull’urgenza dipromuovere una cultura della legalità, di denunciare le forme gravidi ingiustizie. In occasione del giubileo propone il condono del de-bito ai Paesi poveri e la condivisione come via alla pace.

Nel rispetto dei diritti umani il segreto della Pace vera (1999):il Papa ripropone il tema dei diritti, segreto della pace. Tra i dirittisottolinea quelli della libertà religiosa e della partecipazione.Nell’avviarsi al terzo millennio l’umanità è interpellata a fare sceltedi futuro. È un tempo di speranza14.

Pace in terra agli uomini che Dio ama (2000): l’evento dell’in-carnazione è la sorgente della pace, svela il valore fondamentaledella persona umana. Con la guerra l’umanità perde, perché la suavocazione è formare una sola famiglia. Denuncia i crimini control’umanità ed esorta a costruire la pace nella solidarietà, a ripensarel’economia e i modelli di sviluppo. Incoraggia soprattutto i giovaniad impegnarsi per la pace.

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14 Cf. FILIBECK G., I diritti dell’uomo nell’insegnamento della Chiesa. Da Giovanni XXIIIa Giovanni Paolo II, LEV 200.

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Dialogo fra le culture per una civiltà dell’amore e della Pace(2001): le società pluraliste esigono la capacità di dialogo andandoai valori fondamentali. Il Papa, ricordando la bella esperienza dellaGiornata Mondiale della Gioventù, durante il giubileo, fa appello aigiovani perché siano costruttori di pace.

Non c’è Pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono(2002): la pace è opera di giustizia e di amore. Il terrorismo non haalcuna giustificazione, anzi va sottolineato che non si uccide innome di Dio. La situazione creatasi dopo l’11 settembre richiama lanecessità del perdono, strada maestra della pace. Il Papa incoraggiatutte le iniziative finalizzate alla comprensione e alla cooperazioneinterreligiosa e invita alla preghiera per la pace il 24 gennaio. Cosìil Messaggio non poteva essere più indicato, non solo per i conte-nuti proposti, ma soprattutto per il contesto e per i gesti che l’han-no preceduto e accompagnato, in particolare la giornata di digiunodel 14 dicembre 2001 e l’incontro dei capi religiosi con le loro dele-gazioni ad Assisi, il 24 gennaio 2002, per la preghiera universaleper la pace nel mondo. In questa circostanza è stato solennementesancito un impegno comune per la pace, formulando e sottoscriven-do un decalogo. Il Papa aveva menzionato l’incontro nell’Angelusdel 20 gennaio, sottolineando che dopo i tragici fatti dell’11 settem-bre bisognava intensificare la preghiera comune per la pace.

Sottolineare che le religioni sono per la Pace significa mette-re in luce l’unità della famiglia umana che si fonda sull’unicoCreatore.

Significa pure, dopo l’11 settembre, mettere la chiesa cattoli-ca al riparo da ogni strumentalizzazione di interventisti e pacifisti.

Già nel 1986, il 27 ottobre, Giovanni Paolo II aveva convo-cato i Capi religiosi con le loro delegazioni per una preghiera uni-versale ad Assisi per la pace nel mondo. Assisi è scelta per indicarela volontà di mettersi alla scuola del Poverello e di operare nel suospirito. Il Papa ha posto e pone, così, gesti profetici che indicano levie della pace.

Pacem in terris: un impegno permanente (2003) è il messaggiodi quest’anno. Il Papa richiama il contesto pasquale dell’enciclica diGiovanni XXIII è ne evidenzia la dimensione profetica, quindi lasua attualità. È possibile parlare e operare per la pace in un mondodiviso. È stato possibile nel ’63 e lo è oggi. Gli scenari mondialisono analoghi. Richiama i quattro pilastri della pace: verità, giusti-zia, libertà, amore, riportando alcune espressioni della Pacem in ter-ris e commentandole. Sottolinea l’emergere di una nuova coscienzadella dignità degli uomini e dei loro diritti inalienabili, il senso delbene comune universale, la necessità di un nuovo ordine interna-zionale, il legame tra pace e verità. Individua la premessa di unapace universale durevole nell’impegno per la pace e nel rispetto perla verità. Occorre elaborare una cultura di pace e per la pace. Le re-

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ligioni possiedono i germi di pace, quindi sono interpellate diretta-mente, in quanto fanno riferimento all’unico Creatore e all’unica fa-miglia umana. Esorta ad accogliere l’eredità della dottrina e della te-stimonianza di Giovanni XXIII, il Papa che non temeva il futuro,perché uomo di fede, abbandonato alla provvidenza.

Se il 24 gennaio 2002 nella preghiera di Assisi GiovanniPaolo II, insieme agli altri capi religiosi, ha detto con forza “no” alterrorismo, alla violenza, alla guerra, e, in nome di Dio, ha invoca-to sulla terra giustizia e pace, perdono, vita e amore, non poteva es-sere più eloquente dedicare il 2003 a riflettere sulla Pacem in terrise ad impegnarsi per tradurla in pratica nella vita quotidiana, comenei grandi avvenimenti della storia15.

La sintonia con il Papa buono l’ha espressa in varie occasio-ni, seguendo la via tracciata da Papa Giovanni e Paolo VI.

È stato detto che il Papa non è un pacifista, ma un pacifica-tore16. E lo è non solo con i suoi messaggi, ma con la sua vita. Comedel resto hanno dimostrato gli altri Pontefici. Basta pensare ai viag-gi, sovente in regioni difficili. Lo spirito missionario che li contrad-distingue è evidente ad ogni persona che li considera disinteressa-tamente, senza filtri ideologici. I viaggi dell’attuale Pontefice sonoeloquenti, soprattutto quelli realizzati nei momenti di maggiori ten-sioni internazionali, proprio nei Paesi coinvolti17. Si pensi a quelliin Ucraina e Kazakhstan, in Croazia (5-9 giugno 2003), in Bosnia eErzegovina (22 giugno 2003). Nei viaggi dopo l’11 settembre haprogrammato di incontrare i responsabili religiosi, specie mussul-mani, e ha sottolineato in tutti i modi che la fede non entra nellaguerra, perché la guerra ha altre cause.

Il Papa dà l’esempio con passi coraggiosi. Che dire poi della diplomazia vaticana che ha cercato in tutti

i modi di scongiurare la guerra richiamando le parti a negoziare. Sipensi agli incontri del Santo Padre con i capi di Stato, l’azione di-plomatica del cardinal Angelo Sodano presso Bush e del cardinalEtchegaray in Iraq a Bagdad. Che dire dei continui appelli a risol-vere la questione mediorientale? Quanta preghiera e quanta offerta!Ricordo il recente messaggio “Pace su Gerusalemme”, del 20 agosto2003.

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15 La Lettera Rosarium Virginia Mariae del 16 ottobre 2002 con la quale invita i cre-denti a pregare la Regina della pace per la pace nel mondo. Anche con questo testoriporta al cuore della carità e della pace: a Cristo.16 Cf. GALLO DELLA LOGGIA E., La pace ha due volti anche per la Chiesa, in Corriere dellasera 13 gennaio 2003.17 Cf. MATTEI G., Se la parola non ha convertito, sarà il sangue a convertire, in Rivistadi Scienze dell’Educazione 50 (2002) 149-163.

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La Chiesa italiana nella costruzione della pace

La Chiesa in Italia con i suoi vescovi e gran parte di fedeli nonpoteva non incamminarsi per questa strada. Non è questo il luogodi segnalare quanto è stato realizzato e quanto è in programma. Milimito a indicare il filo rosso del magistero espresso dalla Confe-renza Episcopale Italiana.

Sono significative le sue riflessioni e proposte, perché si rap-portano agli interventi papali e sono convergenti nell’aderire agli in-viti ed esortazioni del vescovo di Roma e alle necessità del Paese edel mondo.

La vicinanza alla Sede di Pietro la pone in una condizione pri-vilegiata nel recepire gli orientamenti pontifici e nel lasciarsi inter-pellare da essi.

La CEI ha dedicato un’attenzione particolare alla celebrazionedel 40° anniversario della Pacem in terris non solo nei comunicati enelle assemblee, ma in varie iniziative nazionali per venire poi aquelle delle diocesi e parrocchie, alle associazioni e movimenti, alleistituzioni culturali e Università, valorizzando i vari strumenti di co-municazione, dalla stampa alla radio e televisione, ai convegni, gior-nate di studio, tavole rotonde e persino alle proposte di eserciziSpirituali, al progetto culturale. Per non parlare poi delle tante azio-ni di solidarietà e di cooperazione in Italia e all’estero per neutraliz-zare uno dei motivi della conflittualità: la disperazione e la povertà.

La Pacem in terris celebra il 40°, la CEI celebra il 50°.La sua storia risale alla fine del 19° secolo (1889) quando la

Congregazione del Concilio istituì le conferenze episcopali regiona-li. D’allora gruppi di vescovi cominciarono a riunirsi per un con-fronto su questioni comuni. Il Decreto della Congregazione Con-cistoriale del 15 febbraio 1919 stabiliva che le conferenze episcopaliregionali si svolgessero ogni anno.

Con l’evoluzione culturale e le trasformazioni socio-economi-che, politiche e religiose del nostro Paese, i vescovi avvertono, consempre maggior forza, il bisogno di agire con orientamenti pastora-li comuni.

Così comincia a consolidarsi l’idea di una conferenza episco-pale che, anche se non costituita da tutti i vescovi, sia costituita al-meno dai presidenti delle conferenze regionali per favorire lo scam-bio di idee e di esperienze.

Nel 1946 nella commissione episcopale nominata dalla S.Sede per preparare i nuovi statuti dell’AC viene formulato per laprima volta esplicitamente tale progetto.

Nel ’52 si pongono le premesse più prossime della istituzioneufficiale della CEI; nello stesso anno dall’8 al 10 gennaio si svolge

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il primo incontro informale dei vescovi presidenti delle regioni con-ciliari italiane. Nell’assemblea del 14-15 settembre del ’53 incomin-cia a delinearsi con più chiarezza la convinzione dell’opportunità ditali incontri.

Una tappa importante è rappresentata dall’assemblea svoltasia Pompei dal 6 al 7 novembre del ’53 perché convocata direttamen-te dalla S. Sede, preparata da un’ampia consultazione, presiedutadal card. Giovanni Piazza. Si conclude con la decisione di scrivere laprima lettera collettiva ai cristiani italiani, la quale sarà pubblicata il2 febbraio del ’54 dopo l’approvazione della S. Sede18. In essa si se-gnalano i problemi di fede e di morale, i problemi sociali e agricoli esi afferma che la carità sta alla base della stabilità sociale, alla basedella vera giustizia e della pace sociale (ECEI 1,1 n 56-59).

Nel ’54 viene promulgato il primo statuto. Dopo esperienze eriflessioni, nel 1959, si pubblica un nuovo statuto; il card. GiuseppeSiri, arcivescovo di Genova, è il presidente dal 12 ottobre 1959 al1964.

Il periodo 1954-1964 è definito dall’Enchiridion CEI decennio“prima maniera” perché serve al suo consolidamento e si interessadei problemi legati alla vita cristiana, al costume, alla morale, all’u-nità politica dei cattolici. Il primo incontro plenario del 14 aprile ’64è convocato da Paolo VI che tiene il discorso di apertura.

Il documento più importante di questo periodo è la lettera col-lettiva al clero sul Laicismo (15 marzo 1960).

Ripercorrendo i volumi dell’ECEI, si nota il costante richiamoai contenuti del messaggio delle giornate della pace, anche se neiprimi anni della sua istituzione non viene fatto un comunicato e unmessaggio espliciti. Questi incominciano ad essere pubblicati dal1974 (se non erro nella mia ricerca).

I richiami sono ai diversi inviti del Papa alla preghiera e al di-giuno per la pace, soprattutto in quelle regioni in cui sono presenticonflitti.

L’insistenza dei vescovi è sulle tematiche della vita e del ri-spetto alla vita come condizione preliminare per la pace, sulla soli-darietà in e fuori Italia, sul rispetto dei diritti attuato in un clima difiducia, stima, che evita le dialettiche fine a se stesse, pertanto di-struttive. Nelle Assemblee Generali, come nei Consigli di Presiden-za, i comunicati o lettere spesso rinnovano l’invito al Paese ad af-frontare le dialettiche sociali e politiche, evitando lacerazioni, divi-sioni, litigi e pensando al bene comune delle persone, delle famigliee della società.

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18 Cf. Enchiridion CEI vol 1,1, Bologna, Dehoniane 1985. Abbrevio ECEI. Molti do-cumenti si possono prendere dal sito internet www.chiesacattolica.it.

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Credo possa essere utile ripercorrendo l’ECEI secondo la suc-cessione cronologica per raccogliere alcune istanze relative al nostrotema.

Parto con il Comunicato dell’episcopato italiano sul grave ob-bligo del voto del 12 marzo 1963. I vescovi «chiedono che siano vivinelle coscienze e nel costume e francamente difesi e affermati i va-lori morali senza i quali ogni progresso è incompiuto ed instabile ela stessa libertà e la vera democrazia non possono essere né garan-tite né promosse; che si tengano presenti i diritti inalienabili dellapersona umana con particolare riguardo a quanti aspirano a unagiusta e doverosa elevazione; i diritti della famiglia, i diritti dellascuola e dell’educazione cristiana, e quelli che discendono dal rap-porto dell’uomo con Dio: quindi la fraternità di tutti gli uomini checompongono una sola grande famiglia e l’esigenza fondamentaledella pace e della collaborazione tra i popoli» (ECEI I,368)

Nella dichiarazione su I cristiani e la vita pubblica, del 16gennaio 1968, i vescovi si richiamano spesso alla costituzione pa-storale Gaudium et Spes ed esortano i cristiani a collaborare all’at-tuazione della pace e a cooperare all’edificazione dell’ordine inter-nazionale nel rispetto della legittima libertà e amichevole fraternità(ivi 1540)

Il Piano pastorale per gli anni ’70 Evangelizzazione e sacra-menti (pubblicato il 12 luglio 1973) caratterizza il decennio19.Parallelamente la chiesa in Italia offre il suo peculiare contributo aisinodi mondiali, considerando le svolte culturali che hanno spintoad approfondire la tematica dell’evangelizzazione e sacramenti inrapporto alla promozione umana.

Nel Comunicato della Presidenza del 30 dicembre 1972, inadesione all’invito del Papa a pregare per la pace si richiama la con-dizione conflittuale internazionale, in particolare quella delVietnam. Nel Comunicato del 18 dicembre si invita alla preghieraper la pace e in difesa della vita e si menziona il messaggio di PaoloVI (ivi 2600). Ugualmente nel Comunicato del 18 ottobre 1973, Noalla guerra, vi è la preoccupazione per il diffuso clima di odio (ECEIII,620-628): non basta denunciare bisogna costruire la pace con lafatica, la perseveranza, nella giustizia e nell’amore. Il 15 settembre,allo scoppio della guerra del Kippur tra Arabi e Israeliani con lagrave crisi energetica, la CEI richiama alla pace.

Va ricordato che nella prima metà degli anni ’70 si lavorasulla riconciliazione, quindi una riflessione e una pratica molto le-gata alla pace, sia per il sinodo mondiale sia per l’anno santo.

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19 Nel ’70 si rivede lo Statuto tenendo presenti i caratteri comuni delle altre confe-renze episcopali.

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Nel 1973 inizia la preparazione all’anno santo che si cele-brerà a Roma nel 1975.

Il 12 maggio in Italia si fa il referendum sul divorzio e provo-ca una lacerazione sociale anche tra i cristiani. Il richiamo d’obbli-go è alla chiara scelta etica e alla costruzione della pace nelle rela-zioni interpersonali e tra i gruppi.

Nel documento sull’anno santo del 13 novembre 1973 si ri-prende il tema della giornata della pace “la pace dipende anche date” (ECEI II,923). Ugualmente accade per le altre giornate, come adesempio nel 76 “se vuoi la pace difendi la vita”. Questo tema ben sicolloca negli impegni presi nel convegno nazionale su Evangeliz-zazione e promozione umana (Roma 30 ottobre - 4 novembre 1976).Si insiste sulla cultura della vita, un’insistenza che ho notato un po’ovunque anche in rapporto alle politiche divorziste e abortiste chesi dibattono nel Paese.

Il 6 giugno del 1978 entra in vigore la legge che prevede la le-galizzazione dell’aborto. Il documento ecclesiale La comunità cri-stiana e l’accoglienza della vita umana nascente (8 dicembre 1978),precisa la posizione della chiesa in coerenza con la legge morale econ la novità evangelica.

La chiesa italiana e le prospettive del Paese congiunge le lineepastorali degli anni 70 con quelle degli anni ’80 (è pubblicato il 23ottobre ’81). Il documento è percorso dal richiamo alla riconcilia-zione e alla solidarietà da vivere nel tessuto sociale dell’Italia, conparticolare riguardo alla cultura della vita.

La CEI nel messaggio del 26 gennaio 1980 riprende il temadella giornata della pace (ECEI III,12).

Nella Dichiarazione del 28 settembre 1980 su Responsabilitàdei cristiani di fronte all’Europa di oggi e di domani ricorre il tema ri-conciliazione e pace in Europa (ivi 469s).

Nella XVIII Assemblea Generale (18-22 maggio) si riflette suComunione e comunità e si pubblica il documento il 1 ottobre 1981

Nel Messaggio della XX Assemblea Generale del 5 maggio1982 su Impegno della chiesa in Italia per la pace (ivi 1050s) si ri-chiama il compito di costruzione della pace delle chiese che sono inItalia perché si ravvivi la speranza; si esprime l’ammirazione per ilPapa che va pellegrino a Fatima, il 13 maggio, un anno dopo l’at-tentato, offrendo il perdono e invitando alla pace.

Nel Messaggio del 16 aprile 1983 della XXI Assemblea Gene-rale su Eucaristia comunione e rinnovamento della vita ecclesiale(pubblicato il 22 maggio) si parla di riaffermare la cultura della pace(ivi 1227) e si dedica un paragrafo all’Eucaristia e il coraggio dellapace.

Ugualmente è presente l’invito a costruire la pace nella Di-chiarazione della Commissione degli episcopati della comunità euro-pea. Un’Europa degli uomini e dei popoli del 13 aprile 1984.

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Assemblea Generale XXIII nel Messaggio del 12 maggio 1984richiama le tematiche: Pace e lavoro contro la fame e la droga e simette in luce che giustizia, verità, libertà e amore sono i suoi pilastri(ivi 1648s)

In preparazione del secondo convegno ecclesiale, la segrete-ria del comitato nazionale il 22 febbraio 1985 pubblicò il SussidioInsieme per un cammino di riconciliazione nel quale vi è un para-grafo sulla cooperazione internazionale e la pace (ivi 2258 n 83).

Il Convegno ecclesiale si celebrò a Loreto dal 9 al 13 aprile1985.

Ugualmente nella Nota pastorale del 9 giugno 1985: La chie-sa in Italia dopo Loreto si parla di pace e cooperazione internazio-nale (ivi 2685 n 41.83). La nota viene discussa nella XXV Assem-blea Generale del 27-31 maggio ’85.

Con il Comunicato del 15 aprile e del 13 giugno si invita allaGiornata di preghiera e di digiuno per la pace in Sud Africa, indet-ta per il 16 giugno del 1986 dalla santa Sede (ECEI IV,236).

Nel Documento pastorale Comunione e comunità missionaria,discusso nella XXVII Assemblea Generale e pubblicata il 29 giugno1986, si parla della Pace come sintesi dei beni del Regno (ivi n. 29n 265). Così pure nella Dichiarazione della Presidenza, del 23 set-tembre 1986 per la Giornata di preghiera per la pace, si parla dimentalità di pace, con un particolare accento sull’educazione allapace (ivi 335-340).

Il Comunicato della Presidenza, del 22 ottobre 1986, esorta acelebrare fattivamente la giornata di preghiera per la pace, il 27 ot-tobre ad Assisi (ivi 363s).

Quale pace se non salviamo ogni vita? è il messaggio dellaCommissione Episcopale per il laicato e la famiglia, proposto l’11novembre 1986 (ivi 368-370) e ripreso il 19 gennaio del 1987 dalConsiglio Permanente nel messaggio del 19 gennaio 1987 (ivi 596-600).

La Lettera dei Presidenti delle conferenze episcopali d’EuropaAi fedeli cattolici, a tutti i cristiani e agli uomini di buona volontà ditutta l’Europa, 8 marzo 1987, propone le seguenti tematiche: Vange-lo della pace (ivi 654), riconciliazione tra i cristiani (ivi 655), l’Europauna storia di guerre e riconciliazioni (ivi 856), il grande compito fon-dare la fiducia (ivi 657s), costruzione della pace con la forza della ve-rità (ivi 659s), la chiesa e la costruzione della pace (ivi 662s).

In concreto evidenzia il ruolo dell’Europa nell’edificazionedella pace e preghiera per la pace (ivi 652-664). Nell’educazione allapace si parla di ricuperare i valori morali, il senso dei diritti e dellalegalità, la cultura della riconciliazione (ivi 339). La pace è frutto diconversione secondo lo spirito di Assisi.

L’11 marzo ‘87 si pubblica l’Istruzione Donum vitae sul ri-spetto della vita nascente e la dignità della procreazione.

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Nella Giornata mondiale per la pace la Commissione eccle-siale Giustizia e pace invia un messaggio il 30 dicembre 1987: Pacee libertà religiosa (ivi 969-672).

Il documento Comunità cristiana e formazione all’impegno so-ciale e politico del 1988 contiene indicazioni molto interessanti sullapace e la sua costruzione nella società20. Un analogo discorso vafatto per il documento La formazione all’impegno sociale e politicodel 1 maggio 1989.

Dal 15 al 21 maggio del 1989 a Basilea si svolge la conferen-za delle Chiese d’Europa su Giustizia e pace ove il richiamo all’im-pegno nel costruire la pace si concretizza nella realizzazione dellagiustizia21.

Il 18 ottobre 1989 la CEI pubblica il documento Sviluppo e so-lidarietà. La Chiesa italiana e Mezzogiorno nel quale si affrontano lecondizioni antropologiche e sociali della pace attraverso la solida-rietà e lo sviluppo.

L’8 dicembre si pubblica Evangelizzazione e cultura della vita.I vescovi italiani evidenziano il rapporto tra cultura della pace e cul-tura della vita.

Il Bilancio degli anni 80 fatto sul documento pastorale Co-munione comunità con tutti i suoi sviluppi ha nel sottofondo comecostante il tema della pace.

Il 25 marzo ’90 la Commissione episcopale Giustizia e pacepubblica Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà nelquale si può notare il rapporto con il messaggio della pace.

L’8 dicembre dello stesso anno escono gli orientamenti pasto-rali per gli anni ’90: Evangelizzazione e testimonianza della carità.Parlano dell’orizzonte planetario della solidarietà, della pace e dellasalvaguardia del creato (ivi n 42,2769s)

Il Vol V dell’ECEI inizia con un Comunicato del ConsiglioPermanente, del 21 gennaio 1991, in cui si invoca la pace in MedioOriente e si parla pure della guerra nel Golfo (ECEI V,2). NelComunicato del 18 marzo 1991 a Dieburg si considera ancora la si-tuazione del Golfo Persico, del Medio Oriente e l’impegno dei ve-scovi per la pace in quelle terre (ivi 47-49). Nel Comunicato dellaPresidenza, in occasione della guerra serbo croata, 6 settembre1991, su indicazione del Papa, i vescovi invitano a pregare per lapace nella ex Jugoslavia la domenica 8 settembre (ivi 434).

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20 Il 20 novembre del 1988 la CEI ripristina e rinnova le settimane sociali durante lequali possono emergere vie di pace.21 In linea con le precedenti Dichiarazioni comuni dei Presidenti delle ConferenzeEpiscopali d’Europa, Le responsabilità dei cristiani di fronte all’Europa di oggi e di do-mani (28 settembre 1980); La costruzione della pace attraverso la fiducia e la verità(8 marzo 1987).

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Il 4 ottobre 1991 viene pubblicata la nota pastorale Educarealla legalità: per una cultura della legalità nel nostro Paese nella qualela tematica della pace è molto presente, perché senza rispetto dellalegge non c’è pace, non c’è giustizia, non c’è sicurezza e fiducia.

Dal 28 novembre al 14 dicembre del 1991 vi è il sinodo deivescovi d’Europa, un appuntamento che si collega ad altre iniziati-ve ecclesiali europee ove i vescovi si fanno promotori di unità e pacee invitano i fedeli a tessere rapporti di solidarietà.

Nel Comunicato del Consiglio Permanente del 27 settembre1993 si fanno auspici per la Pace in Palestina per i segnali di ac-cordi che emergono, e anche ci si augura la pace nei Balcani (1952).

Di particolare rilievo il documento della Commissione eccle-siale per le migrazioni del 4 ottobre 1993: Orientamenti pastorali perl’immigrazione Ero forestiero e mi avete ospitato (n 1962-2037) del 6novembre 1993.

Il 6 gennaio del 1994 Giovanni Paolo II invia un messaggioai vescovi italiani La responsabilità dei cattolici di fronte alla sfidadell’attuale momento storico.

Sempre il Consiglio Permanente, il 31 gennaio 1994, fa unComunicato ove richiama l’invito del Papa a digiunare e pregare perla pace in Bosnia e Erzegovina, mentre invita alla concordia anchele forze del nostro Paese, specie quelle politiche e culturali (ivi 2132in particolare al n 2)

Del 94 è il documento Democrazia, economia, sviluppo, benecomune che affronta tematiche intimamente collegate alla pace.

Intanto si prepara il convegno nazionale di Palermo che sisvolgerà dal 20 al 24 novembre ’9522. La scelta di Palermo è inten-zionale: vuol sottolineare la presenza della Chiesa nei luoghi di dif-ficoltà, di conflitto, per portare l’evangelo della carità, la speranza.È il senso del riferimento all’Apocalisse. Tutto il documento è per-corso dalla volontà di pace e riconciliazione.

La celebrazione del convegno è attraversato dal tema e dallarealtà della pace da edificare quotidianamente con il coinvolgimen-to di tutte le forze ecclesiali. Basti pensare alla presenza di tutte lecomponenti ecclesiali, alla presenza, come invitati, di cristiani noncattolici, di ebrei, musulmani e anche di persone che si dichiaranolaiche. Di particolare rilievo i messaggi del Papa e quello delCardinal Ruini, come pure il Comunicato finale e la Lettera succes-siva Con il dono della carità dentro la storia. La chiesa in Italia dopoil convegno di Palermo, del 26 maggio 1996. Rimando in particola-re ai n 26-29: Al centro della cultura la verità dell’uomo, e 30-33: Unrinnovato impegno per la città dell’uomo.

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22 Cf. Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia. Traccia di riflessione inpreparazione del convegno ecclesiale di Palermo 1995 19 dicembre 1994: “Ecco io fac-cio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).

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Dopo il convegno si sono iniziate esperienze culturali tra lequali il progetto culturale che sta approfondendo sistematicamentetematiche antropologiche con una singolare attenzione alle questio-ni sociali, quindi ai dinamismi che possono favorire o ostacolare lapace.

Gli ultimi anni sono caratterizzati dalla preparazione delGiubileo che ha visto le forze cristiane all’opera nell’accoglienza esolidarietà, ma anche nel chiedere e dare il perdono, grazie alSignore che ci riconcilia.

La celebrazione del giubileo ha visto esplodere una gara di ca-rità che ha preso concretezza in tante iniziative nelle quali hannooperato persone di diversa estrazione sociale e di diversa età, divarie regioni e appartenenti a vari gruppi ecclesiali.

Ricordo, per esemplificare, la presenza premurosa e intelli-gente delle volontarie e dei volontari che tuttora continuano a offri-re il loro servizio nelle basiliche e nei santuari, meta di numerosipellegrini. Tra queste vi è la città del perdono: Assisi.

Ricordo pure la giornata mondiale della gioventù nella qualei giovani hanno testimoniato praticamente di voler essere il “popo-lo della pace” che accoglie e dona la pace del Signore.

Al termine delle celebrazioni giubilari il Papa ci ha fatto donodella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte con la quale inco-raggia la comunità cristiana e tutti gli uomini di buona volontà a co-struire una società nuova, secondo il progetto del Creatore rivelatoin Cristo, quindi riporta alle sorgenti della pace: Cristo pace. Tuttoil testo ha una consistente e costante dimensione cristocentrica che,in un certo senso, dà come compimento al filo rosso del magisterodel Papa e porta su questa lunghezza d’onda le comunità credentisparse nel mondo, a partire dai loro pastori.

La CEI ha elaborato gli Orientamenti pastorali per il primodecennio del 2000, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia,nei quali, mentre riprende le tematiche di Novo Millennio Ineunte,segnala le sfide odierne emergenti soprattutto nel nostro Paese enell’Europa e propone alle comunità e alle singole persone credentiun cammino di alto profilo spirituale evangelico. Nel testo, ovvia-mente, è presente il filo rosso della costruzione di una umanitànuova, quindi di una umanità pacificata e fraterna. Esistono, anzi,richiami espliciti sulla pace e le condizioni per darle cittadinanza (n49-50; 51-52).

Il riferimento alla Pacem in terris nel magistero CEI di questoanno è frequente, ricorre sia nei Consigli di Presidenza che nell’As-semblea CEI. Menziono in particolare due dati: il Comunicato fina-

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le del Consiglio Permanente CEI del 20-22 gennaio 2003 e il Co-municato finale della 51a Assemblea Generale del 19-23 maggio. Ilprimo prende in considerazione il messaggio del Papa per la gior-nata della pace e richiama la comunità cristiana a rispondere adesso con gesti di pace, con la cultura di pace, l’educazione ordina-ria alla pace attraverso itinerari pedagogici. Parla della questionemeridionale, della disoccupazione, della povertà, dell’impegno deicattolici nella politica e del ruolo del cristianesimo nell’Europa, tuttetematiche che contribuiscono a creare quel clima di accoglienza esolidarietà che può considerarsi l’humus in cui può essere semina-to il seme della pace23.

Di fronte allo sradicamento della fede dal tessuto quotidianoe con l’attenzione alla riflessione del Papa sul silenzio di Dio, i ve-scovi, nella stessa Assemblea, hanno convenuto di celebrare il con-vegno ecclesiale del 2006 a Verona puntando sull’iniziazione cri-stiana, per un’autentica conversione pastorale che riparte dall’ini-ziazione. Hanno ripreso le tematiche discusse nel Consiglio Per-manente e definito il tema: Testimoni di Gesù risorto speranza delmondo; hanno considerato il messaggio del santo Padre sulla pace,la realtà della Chiesa che nasce e si alimenta dell’Eucaristia e hannoprevisto di configurare un modello di iniziazione cristiana.

L’insistenza sulla centralità di Cristo, sorgente e principiodella pace, è presente non solo nella Chiesa Italiana, ma nelle varieRegioni del mondo, come emerge dai sinodi regionali, celebrati inoccasione del Giubileo. Per l’Europa lo attesta l’esortazione aposto-lica post-sinodale Ecclesia in Europa: Gesù Cristo, vivente nella suaChiesa, sorgente e speranza per l’Europa.

Sarebbe interessante presentare anche le iniziative e i docu-menti proposti dai vari Uffici e Commissioni della CEI, una pista diriflessione che lascio per motivi ovvi di tempo e di opportunità inquesto contesto.

Accenno all’iniziativa di riprendere i pellegrinaggi in Terrasanta non solo per devozione, ma per solidarietà, per dare un se-gnale di speranza e di pace.

Ricordo le proposte e l’attività pacificatrice della Chiesa in oc-casione del G8 di Genova e alla distinzione operata dai movimentisoprattutto cattolici sui Noglobal con i Newglobal; alle marce per lapace, alle giornate di preghiera e di digiuno per invocarla come

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23 I documenti CEI si caratterizzano per l’attenzione alle proposte del Papa e della S.Sede coniugate con le problematiche del territorio, per l’attenzione alla situazioneItaliana esortando all’unità. Non raramente il cardinale Camillo Ruini comePresidente della CEI, oltre che a titolo personale, richiama i politici a moderare ladialettica e a operare per il bene con spirito di concordia pur esprimendo la disparitàdi vedute e di orientamenti.

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dono dal Cielo e, di conseguenza, per aprire le braccia per acco-glierla e donarla.

La ricchezza dei contenuti e delle proposte va mediata dentrouna situazione che globalmente possiamo dire come la situazioneitaliana complessa e mutevole, ma l’hic et nunc è molto più spiccio-lo ed implica il discernimento secondo l’ardore dello spirito missio-nario. Tale prospettiva va intesa sempre in senso rinnovato, maicome un pacchetto da trasportare.

Dal cammino percorso, per accogliere con cuore grato l’ere-dità offertaci dal Magistero in questi 40 anni, possiamo individuarealcuni elementi che ci interpellano nell’intraprendere vie di pace.

Ne segnalo qualcuno.

Nello stile del discernimento dei segni dei tempi

Dall’analisi dei documenti ci siamo resi conto che la Chiesaha creduto nella possibilità della pace e ha operato in tal sensoanche in tempi in cui si pensava fosse assurdo, al massimo si ipo-tizzava di neutralizzare la guerra con la corsa agli armamenti. IlPapa buono il giovedì santo del 1963, l’11 aprile, due mesi primadella sua morte, offriva al mondo il gioiello della Pacem in terris,una lettera profetica, geniale, un’eredità per la Chiesa e il mondo. Inessa indicava al Concilio come affrontare i problemi del mondo con-temporaneo, come rispettare la tradizione e restare aperti all’azionedello Spirito Santo nell’oggi della storia.

Gli scenari mondiali del 1963 non erano affatto incoraggian-ti: sei mesi prima della pubblicazione dell’enciclica si era giunti sul-l’orlo della guerra nucleare a causa della crisi dei missili a Cuba,due anni prima era stato eretto il muro di Berlino, si respirava unclima di diffidenza e di paura nel rapporto tra i popoli e le nazioni.Poteva sembrare temerario parlare di pace.

Il Papa, quale Padre dell’umanità che per i suoi figli dà lavita, si è impegnato attivamente per il disgelo delle tensioni nelle re-lazioni internazionali, per instaurare relazioni pacifiche tra i popo-li, per incoraggiare a risolvere i conflitti attraverso intese e dialoghi.Su questa strada ha condotto la comunità cristiana e ha posto ungerme che è maturato progressivamente nella coscienza orientandosempre più chiaramente e operativamente nel dire “no” alla guerra.

Nella sua Lettera distingueva i movimenti dalle dottrine e in-coraggiava i credenti a collaborare con tutti coloro che operano peril bene, anche se appartenente a movimenti nati fuori e persino in

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2.Per dare

cittadinanzaalla pace

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opposizione alla Chiesa. Le persone e i movimenti evolvono, posso-no mutare e apportare elementi propositivi a vantaggio dell’umanità.

Egli, così, indicava la via del discernimento.Su questa via ha richiamato pure il magistero pontificio suc-

cessivo. Su questa strada si è incamminata la Chiesa italiana so-prattutto a partire dal convegno nazionale di Palermo. Certo il per-corso è lungo.

Il discernimento non è una parola, né una pratica tra le altre,è uno stile di vita personale e comunitario. Stile dice habitus, abi-lità che va acquisita con l’esercizio accogliendo l’opera di Dio, per-ché è di natura teologale. Non è semplicemente sforzo ascetico, maè accoglienza del giudizio salvifico di Dio sulla propria vita e sulmondo; è, quindi, disporsi a lasciarsi agire dallo Spirito di Dio daveri figli suoi (Rm 8,14).

Come opera lo Spirito?Secondo l’evangelista Giovanni lo Spirito svolge la duplice

funzione di magistero e di testimonianza (Gv 14,15-18.25s; 15,26s;16,7-11.12-15).

Il magistero è ricordo e profezia, quindi lo Spirito spinge adoltrepassare il “già”, senza svuotarlo, oltrepassarlo in tutte le dire-zioni: in alto, in basso, a destra e a sinistra, in avanti e indietro. Cilibera dalla tentazione di vivere per ovvietà, in modo ripetitivo, edalla tentazione di voler conoscere in una sola volta tutto il bene etutto il male; ci libera, cioè, dal complesso orgoglioso dell’onni-scienza; ci rende consapevoli della nostra creaturalità.

Ci trasforma in testimoni spingendoci ad andare oltre il gusciodella realtà, oltre le apparenze: ci insegna la sapienza del Vangelo.Vi è un “non ancora” che si svela nella testimonianza. Oggi, perdare cittadinanza alla novità evangelica, va inventato il genere let-terario della testimonianza24.

La testimonianza di cui ha bisogno il nostro tempo è quelladella speranza: la speranza teologale.

La Bibbia termina con l’invocazione “Vieni!” che lo Spirito ela Sposa, pellegrina nel mondo, rivolgono allo Sposo (Ap 22,17).Termina con il proclama della speranza, annunciando che la libera-zione è imminente, vicina.

La salvezza è qui, ora!Dentro questa storia lo Spirito ci chiama a costruire il futuro

ricordando-testimoniando le grandi opere di Dio.La prima via, una via profetica, è appunto l’attenzione a scor-

gere e valorizzare i segni dei tempi, l’oggi di Dio in cui si costruisceil futuro.

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24 Cf. la Lectio di Mons. Bruno Maggioni.

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Il tema dei segni dei tempi percorre tutta l’enciclica di Gio-vanni XXIII, un’indicazione di grande attualità, anzi è la prima viaoperativa che ci viene proposta come eredità.

I segni dei tempi richiamano il discernimento. La pace infattisi costruisce coniugando la logica della carità nella grammaticadella storia, a partire dalla vita quotidiana. Implica, pertanto, la ca-pacità di scorgere i semi di bene.

Il profeta Amos ci offre alcune parole chiavi, per individuareun possibile cammino finalizzato ad acquisire l’habitus del discer-nimento:

la data (1,1): il discernimento si attua nel tempo, nell’hic etnunc, aperto al futuro di Dio;

il dono (2,11): la luce per leggere la storia non ci è dovuta, èdono di Dio, quindi comporta uno spirito grato e accogliente;

la chiamata (7,15): il discernimento non è ginnastica menta-le, si nutre di interpersonalità, in un rapporto di confidenza, di ab-bandono incondizionato all’opera amorosa di Dio;

la vita nuova (7,14): il rapporto con Dio immette in noi un po-tenziale esplosivo di libertà, ci trasforma in creature nuove, ci donail cuore nuovo, riconciliato;

la parola-visione (7,1.4.7.12): la missione è il luogo dell’azio-ne rivelatrice e salvatrice di Dio; noi siamo una piccola matita nellesue mani:

la denuncia (5,21-23): la parola di Dio libera dalla complicità,ci rende semplici, sine plix, nella proclamazione della verità nellacarità; è la trasparenza, la verginità della vita a cui il Signore con-duce chi, nella libertà, accoglie la sua azione;

la solidarietà (6,1): nella fede si fa esperienza dell’unico co-mandamento che ha il suo risvolto concreto di vita teologale nellaprossimità;

il giudizio (4,12): Dio giudica, visita il suo popolo; la venutadel profeta è segno della visita di Dio (Lc 7,16) che vuole salvaretutti.

A nessuno è dato giudicare, solo al Figlio dell’uomo. Per tuttivale il monito di Gesù: prima togliere la trave dal nostro occhio, poila pagliuzza da quello del fratello (Mt 7,2-5).

La Chiesa ha ricevuto e riceve continuamente dal suo Signorelo spirito di profezia che la porta ad abbracciare il mondo.

Giovanni Paolo II nella beatificazione di Giovanni XXIII cipresenta il pontefice proprio nell’atto di abbracciare il mondo.

Lo Spirito ci abilita al discernimento dei segni dei tempi. Il di-scernimento è un giudizio nello Spirito per l’utilità comune, si dà inun contesto, fa conoscere nella situazione concreta la volontà di Diosulla nostra vita.

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Chi discerne personalmente è chiamato a farlo in comunione,con docilità, discrezione e umiltà.

Non si discerne con l’atteggiamento imperialista di chi hasempre ragione, come un certo “spirito” che sulla base di 1Cor 2,15afferma che l’uomo spirituale non è giudicato da nessuno e giudicatutti.

I criteri sono: verità, serietà, discrezione, misura, coraggio,umiltà e lungimiranza.

Quando lo Spirito apre strade inattese, bisogna lasciarsi gui-dare da Lui. Il criterio supremo è indicato in Gal 5,18-22 con i frut-ti dello Spirito25.

Vi sono criteri per individuare i segni dei tempi anche neisemi di Vangelo presenti fuori della Chiesa. Giovanni XXIII ne hadato l’esempio.

Discernere i segni dei tempi implica una visione dinamicadella Chiesa e dell’umanità. Vi sono segni già identificati ed altriemergenti oggi. Vi sono segni positivi, ma anche negativi, perchéanche nelle contraddizioni si aprono vie per il bene. Giovanni XXIIIè stato maestro anche in questo.

Lo Spirito anima in due direzioni: dall’esterno, come irruzio-ne su alcuni personaggi; dall’interno, creando il cuore nuovo, lanuova creazione, conformandoci a Cristo.

La Chiesa nel terzo millennio dovrebbe porre segni nuovi didiscernimento.

All’interno con la riconciliazione cogliendo la nostalgia del-l’essere uno come cristiani. All’esterno favorendo i rapporti di giu-stizia tra i popoli dentro un’epoca di globalizzazione.

L’appello più profondo è quello di perdonare i peccati e per-donarsi, quindi la riconciliazione nella comunità, tra le comunità,con la famiglia umana e con tutto il creato. Questo corrisponde aldisegno di Dio e testimonia la chiesa sacramento della nuova uma-nità.

Quali vie profetiche inaugura lo Spirito attraverso la Chiesa inItalia?

Quale profezia possiamo offrire? Quali implicanze nel discer-nimento?

Vorrei portare l’attenzione su tre percorsi: uno sguardo posi-tivo sulla storia o teologia della storia, l’umanesimo cristiano ossiauna scelta antropologica, la via dell’educazione.

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25 Cf. Lectio su Gal 5 di Mons. Bruno Maggioni.

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Uno sguardo positivo o teologia della storia

Una prima via per dare cittadinanza alla pace è portare losguardo amoroso di Dio sulla storia, su ciascuna creatura: Dio civede e ci ama! Dio vuole la salvezza di tutti, ama tutte le sue crea-ture. Non esistono figli di un dio minore.

L’accoglienza dello sguardo amoroso di Dio comporta in cia-scuno l’abbandono di ogni spirito di “contra”, come insegna il Santodi Assisi; significa guardare il mondo come lo guarda Dio. SimoneWeil direbbe che bisogna lasciare che Dio guardi il mondo attraver-so i nostri occhi. Egli guarda con gli occhi del Crocifisso che suppli-ca “Padre perdona loro, non sanno quello che fanno”. Paolo in Ef2,11-22 afferma che nella croce di Gesù è distrutta l’inimicizia, è di-strutto il muro di divisione; in Lui i due popoli nemici formano unsolo popolo nuovo, un solo corpo, tutti sono costituiti familiari diDio. È la logica pasquale che attingiamo all’Eucaristia.

L’Eucaristia è il Dio con noi, sempre, fino alla fine dei tempi.La storia non affonda nel non senso. Non si parla della storia

come astrazione, né come riduzione alla nostra vicenda individua-listica; è la storia anticipata e ricapitolata nel Cristo secondo l’ordi-ne dell’amore.

Di qui parte l’annuncio di speranza di fronte ai segni di morte,perché su ogni vita umana non è scritto “catastrofe”, ma “amore”;in tutti ci sono possibili porte accessibili al bene. La salvezza non èopera nostra. Il Buon Pastore conduce la nostra storia. Siamo affi-dati in maniera radicale e totale al Signore. Crediamo in Dio, nel suoamore che vivifica l’universo, che ci coinvolge nel suo progetto di sal-vezza quali piccole matite nelle sue mani. Essere testimoni del suoamore significa lasciarci conformare dallo Spirito a immaginedell’Unigenito. Matura, così, il senso della creaturalità e della tra-scendenza di Dio. Dio può fare tutto da solo, ma vuole servirsi di noi.La nostra povertà non è impotenza e delusione, ma possibilità pertestimoniare la vittoria della fede e secondo la fede.

In questa prospettiva la pace emerge come dono, anticipo diDio, e come compito, cioè come disponibilità nostra a dare al donocittadinanza nel mondo con la nostra vita.

Ripensando il messaggio magisteriale da Giovanni XXIII aGiovanni Paolo II e quello emergente dal percorso della CEI neisuoi 50 anni di esistenza, questa via di pace è costantemente ri-chiamata non come una via dei tempi eccezionali, dei tempi festivio di catastrofi, ma come via quotidiana sulla quale camminare esulla quale condurre le nuove generazioni.

Guardando il mondo come Gesù, Giovanni XXIII ha avutouno sguardo positivo e propositivo sulla realtà, uno sguardo profe-tico, quindi prudente, capace di prevedere e provvedere. Ha messo

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in luce e ha fatto vedere i semi di bontà, quindi di futuro, presentinella storia, e ha invitato tutti, piccoli e grandi, alla pazienza perfarli crescere. Non per nulla ha richiamato il criterio della gradua-lità.

Così propone anche alla nostra generazione di avere unosguardo lungimirante, un cuore grato e umile, responsabile e acco-gliente, secondo il dinamismo della carità paziente.

Il Cardinal Martini parlerebbe di triplice confessio: iniziandocon la confessio laudis, attraverso la confessio vitae, giungere allaconfessio fidei.

Il discernimento così è in mezzo: la confessio vitae, la letturacostruttiva del contesto personale e mondiale, è possibile nello spi-rito della confessio laudis, del riconoscimento delle grandi opere cheDio compie continuamente per salvare i suoi figli, e nello spiritodella confessio fidei, di un impegno che si fonda non sulle nostreforze, ma sull’anticipo di fiducia che il Signore costantemente cidona.

La Pacem in terris ebbe un’accoglienza singolare in tutto ilmondo. Sembrava che l’umanità fosse in attesa di simile messaggio.

Impressionò soprattutto per l’ottimismo e la fiducia. Comu-nicò la convinzione che la pace è possibile, andando contro corren-te: contro un pessimismo laico che al massimo pensava alla guerrafredda o alla corsa agli armamenti come soluzione dei conflitti tra ipopoli, contro un pessimismo latente nel mondo religioso che vede-va scorrere la storia sulla via di Caino e di Lamech e insisteva sullacorruzione del genere umano.

Papa Giovanni, attingendo alle sorgenti del Vangelo, mise inforte rilievo che nel cuore dei singoli uomini e dei popoli vi è unaprofonda aspirazione alla pace, vi sono semi di bontà. Ogni essereumano, infatti, porta impresso il segno di appartenenza all’unicoDio, quindi all’unica famiglia umana.

Partendo da questo presupposto, insistette sulla possibilitàdella persona umana, per la sua natura razionale, di cercare la pacee perseguirla attraverso l’intesa, il dialogo, l’osservanza dei patti, inuna logica di diritti fondamentali universali che richiamano la reci-procità dei doveri.

In questo modo Giovanni XXIII propose una teologia dellastoria a livello dottrinale ed esistenziale.

La teologia della storia comporta un dialogo non retorico, mavitale tra fede e storia. Implica una precomprensione che vede l’u-niverso affidato alla Provvidenza, quindi con un destino che loporta oltre il caos verso il telos. Suppone un ordine, non convenzio-nale, ma trascendente, teologale, che rimanda al Principio.

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La parola ordine ricorre con frequenza nella Pacem in terris erimanda a una teologia della creazione ispirata alla tradizione bi-blica, quindi condivisa dalle tre religioni che sono nate nel bacinodel Mediterraneo.

Dio libera dal caos e fa esistere; fa esistere secondo una rego-la che dice armonia e bellezza.

È il richiamo alla settimana della creazione con la sua logica:una creatura è legata all’altra secondo una interdipendenza che illegame della vita e dell’amore. Della settimana della creazione l’es-sere umano è il vertice. La rottura dell’ordine non è fatalità e de-stino invincibili; è un atto di libertà e provoca un disastro nell’uni-verso.

La letteratura sapienziale sottolinea la logica della creazione:Dio ha fatto tutto nella sua sapienza; tutto ha una logica, un senso,una finalità, un ordine. Questa letteratura, specie nella sua fase tar-diva, incrocia l’ellenismo, intessendo un fecondo reciproco arricchi-mento.

Il cristianesimo, in fedeltà alla coscienza di Gesù storico, evi-denzia che Egli è la Sapienza e il Logos; è l’Ordine dell’universo;tutto è ricapitolato in Lui perché tutto è creato in Lui.

Allora l’ordine è amore; amore non come puro sentimento, macome forza creatrice salvifica che viene rivelata soprattutto nel suomistero pasquale, del quale l’Eucaristia è il Memoriale permanente.

Dalla teologia della storia siamo portati, quindi, ad annun-ciare la Verità sulle cose, la verità del loro essere, non semplice-mente del loro funzionamento, del loro utilizzo, la verità del senso,della finalità.

Seguendo il percorso della CEI nelle sue proposte pastorali,siamo rimotivati a percorrere questa via. Gli Orientamenti Pastoraliper il primo decennio del 2000 ci portano al Principio, alla sorgen-te della Pace, a Cristo, chiamando per nome la carità: Gesù è la ca-rità.

La teologia della storia, quindi, non è generica, è cristocentri-ca, una cristologia che va annunciata anche teoreticamente, cultu-ralmente.

L’esempio dei Padri della chiesa, soprattutto dei primi conci-li, è di grande rilievo.

In un processo lento, ma costante, hanno annunciato il Cristoe con la logica evangelica hanno trasformato la cultura, anche lacultura “alta”26.

162 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

26 Rileggendo Tertio Millennio Adveniente e Novo Millennio Ineunte, mi sono detta:ogni riga apre ad un pensare e agire che possono inondare di gioia il mondo.Rimando alla lettura di questi testi.

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La chiesa deve tornare ad elaborare e proporre una teologiadella storia, una teologia della creazione, che porti oltre il caos, nel-l’ordine, e oltre la divinizzazione della natura. Deve costruire uncomplesso di concetti strutturali che esprimano il senso genuinodelle cose, per oltrepassare la logica del mondo virtuale, artefatto,che nasconde la bellezza della creazione.

I credenti dovrebbero ritrovarsi in questi elementi. DirebbeGiovanni Paolo II che le religioni hanno una risorsa in più in quan-to si riferiscono all’unico Creatore.

La scelta antropologica

Non ci sarebbe una teologia della storia senza l’attenzionealla persona umana. La pace, nella sua realizzazione storica, ri-chiama le relazioni positive e propositive tra le persone.

L’antropologia è la coordinata fondamentale che percorre laPacem in terris. L’antropologia richiamata da Giovanni XXIII non èquella nichilista, né quella del super uomo, ma quella elaborata neisecoli e sedimentata in acquisizioni fondamentali che la tradizionerazionalista occidentale riassumerà nel concetto della comune na-tura umana. Il soggetto dei diritti non è un individuo privilegiato pernatali, per condizione sociale ed economica, per cultura, per reli-gione, ma è proprio il soggetto umano, ogni persona umana in quan-to appartenente alla comune natura umana.

Quest’antropologia ha una forte ispirazione biblico-cristiana.Assume le coordinate anticotestamentarie che Gesù porta a compi-mento nella sua persona e nel suo messaggio, secondo la logica del-l’incarnazione.

La centralità data alla persona umana non è riduzione antro-pologica del cristianesimo, è piuttosto accoglienza della peculiaritàdel messaggio evangelico. L’originalità della fede cristiana, affermaGiovanni Paolo II in TMA, sta nel fatto che non è prima di tuttol’uomo che cerca Dio, ma Dio che cerca l’uomo e lo cerca attraver-so il Figlio Incarnato. Per questo la via della chiesa è la personaumana, anzi la chiesa è incontro delle due vie, dichiara nell’encicli-ca Redemptor Hominis (cfr. n. 14)

L’antropologia biblico-cristiana richiama l’ordine, come sotto-linea la Pacem in terris: il rapporto con Dio fonda il rapporto tra isingoli esseri umani, fonda la prima costitutiva relazione umana,quella tra uomo e donna. L’ordine non è qualcosa di sovrappostoalla creatura umana, come una prigione, né è ad essa estrinseco, mastruttura la sua dignità e la sua identità.

Il rapporto con il Creatore fonda gli altri. Messo in crisi que-sto, non è possibile la relazione tra soggetti umani e tra questi e l’u-niverso.

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Gn 1-3 mette in evidenza questa struttura. La rottura della re-lazione con il Signore ha come conseguenza immediata la crisi dellarelazione umanistica (rapporto uomo-donna), poi quella cosmologi-ca e quella tecnologica.

Oggi, rispetto al tempo della Pacem in terris andrebbe esplici-tato e sviluppato teoreticamente, tradotto nel vissuto personale ecollettivo, il rapporto uomo-donna secondo l’ordine della creazioneportato a compimento da Gesù il Cristo.

Attualmente si registra una certa regressione dell’antropologiadi genere. È un fatto che deve interrogarci e farci rimboccare le ma-niche.

Deve interrogarci sul percorso fatto a livello mondiale e na-zionale dopo Pechino, per individuare le ragioni di questo retroce-dere. Personalmente vedo nell’antropologia centrata sull’individuouno dei fattori di questo fenomeno.

L’antropologia dell’individuo, dell’ente indivisibile, non si ad-dice alla donna perché ella è divisibile nell’esperienza della mater-nità, ossia nella tensione a farsi carico della vita, decentrandosi.Imboccando la via del diritto individuale, percepito ed espressonella logica dell’onnipotenza del desiderio (nel carrierismo, nel fi-glio\figlia ad ogni costo, dell’edonismo, ecc.), sembra naturale l’esi-to della regressione.

Va richiamato l’ethos dell’amore sul quale ha tanto insistitoGiovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem.

Bisogna “rimboccarsi le maniche”, perché, insistendo sullapersona come soggetto, senza evidenziare che da sempre Dio ha vo-luto l’uomo\umano come maschio e femmina, non si dà ragionedella “naturalità” della famiglia e del matrimonio fondato sull’unio-ne dell’uomo e della donna. Inoltre, cancellando, o semplicementemettendo tra parentesi la differenza di genere, a catena si cancella-no le altre differenze e si torna alla logica dell’uno che gerarchizzae inferiorizza gli altri sia come singoli che come popoli.

Le guerre servono all’economia all’industria delle armi alle ri-sorse strategiche alla ricostruzione

La CEI con il Progetto culturale sta mettendo a tema, in modoarticolato, l’antropologia. Il cammino va proseguito nella direzioneinterdisciplinare e interculturale, per individuare le coordinate co-stitutive dell’essere uomo e donna.

La Pacem in terris, ed è una via per noi, insiste sulla radicetrascendente della persona, da cui viene il suo valore assoluto,come dice Gaudium et Spes, il suo essere creata per se stessa, nonin funzione di altre creature, secondo la logica dell’incarnazione(n. 22).

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Gesù, il Figlio di Dio, il Logos, la Sapienza, non nasce adul-to, è concepito, cresce, impara, vive la vita degli altri uomini, den-tro le dialettiche e le conflittualità della storia, facendosi carico del-l’odio, del peccato, dell’inimicizia ed eliminandoli sul legno dellasua Croce.

In Lui abbiamo la massima valorizzazione della vita umana,fin dal suo concepimento, del suo sviluppo, del suo inserimento nelcontesto socio-culturale e religioso, della sua struttura di dono ac-colto e offerto.

Gesù nella sua vicenda terrestre si è rapportato alla natura. Ilsuo rapporto con il creato illumina e aiuta a discernere anche il no-stro rapporto con le cose di questo mondo. Non basta dire giustouso delle cose, bisogna affermare teoreticamente e praticamente ilgiusto, retto rapporto con esse. Non siamo noi che diamo senso allecose. Le cose consistono, noi siamo i garanti della loro consistenzae del loro ordine.

Anche qui la cultura odierna richiede uno sforzo in più di sag-gezza e di responsabilità. Se non vigiliamo sui processi culturali ri-schiamo di enfatizzare il rapporto uomo-natura (animali e piante)mettendo tra parentesi la relazione costitutiva tra la creatura umanae il Creatore. Gesù ci dice “voi valete di più!”. Vi è una sotterraneatentazione di divinizzazione della natura e di assoggettamento dellapersona umana ad essa.

L’ecologia andrebbe riproporzionata con la teologia dellacreazione.

Sulla dimensione teologica dell’essere umano è possibile giu-stificare radicalmente i diritti. Senza il legame al Trascendenteanche i diritti fondamentali rischiano di essere percepiti come inte-se convenzionali che possono essere rivisti secondo logiche di pote-ri e prepotenze.

La radice dei diritti, il loro senso e gerarchia richiamano la di-gnità della persona e questa richiama la sua trascendenza e il ri-mando al Dio27.

I diritti, quindi, non sono concessi benevolmente da qualcu-no, ma sono strutturali alla persona e abbracciano tutta la personae ogni persona. Essi, pertanto, sono inalienabili, indivisibili, uni-versali; sono gerarchici, al centro vi sono quelli spirituali che ri-chiamano i valori morali e religiosi. Da questo ordine trascendenteoriginante prendono forma e senso anche l’ordine e gli ordinamenti.

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27 Nei secoli XVII-XVIII, nel clima cosmopolita del razionalismo e illuminismo, si ela-borarono principi e regole giuridiche dello stare insieme. Il primo Progetto per ren-dere la pace perpetua in Europa è di Claude de Saint-Pierre del 1713; E. Kant, nel1797, scriverà Per la pace perpetua.

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Dal comandamento principale si va ai precetti; dall’unico comanda-mento alle conseguenze di esso nella vita quotidiana dei singoli, deigruppi, delle famiglie, dei popoli. Le relazioni tra i singoli e tra i po-poli hanno una sapienza, non sono prima di tutto convenzioni. Leconvenzioni per essere valide e durature devono fondarsi sullarealtà, sulla verità.

Si dovrebbe dire che la coscienza dei diritti oggi è abbastan-za condivisa.

Attenzione.Stanno emergendo ideologie e mentalità che, partendo dal

pluralismo, parlano di diritti regionali.Di qui il compito di maturare e condividere una intercultura-

lità che vada oltre il riferimento etnico e socio-culturale, per cerca-re i valori comuni che si fondano sulla comune natura umana, va-lorizzando e aggiornando le acquisizioni della filosofia razionalista.

Le istituzioni dovrebbero salvaguardare diritti e giustizia evi-tando interessi particolaristici.

I movimenti per i diritti umani hanno svolto e svolgono unaruolo fondamentale nel far maturare la coscienza dei diritti. Il ma-gistero richiama la reciprocità di diritti e doveri. Forse questi movi-menti dovrebbero fare qualcosa in più per la coscienza dei doveri,perché la difesa dei diritti individuali senza il correttivo dei doveririschia di alimentare una società narcisistica che è un suicidio so-ciale.

La coscienza è chiamata a discernere, a riconoscere secondoverità i valori e ad aderirvi. Nel discernimento incarna nella storia ivalori, quindi dà consistenza e cittadinanza alla pace.

La dignità della coscienza ci pone di fronte ai suoi imperativie ai suoi diversi livelli di obbligatorietà, superando il relativismoche si traduce in qualunquismo antropologico.

Di qui la necessità dell’educazione della coscienza, favoren-done il progressivo passaggio dalla certezza alla verità.

La via dell’educazione alla pace

L’educazione, come urgenza e necessità, è richiamata con fre-quenza in tutto il messaggio magisteriale. La CEI è ritornata soven-te su questa realtà28. Negli interventi si mette in rilievo che la paceesige una cultura di pace, un pensare di pace, studi di pace, gesti di

166 DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

28 Cf Educare alla legalità. Per una cultura della legalità nel nostro Paese (1991); Statosociale ed educazione alla socialità (1995); Educare alla pace (1998).

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pace, soprattutto un’educazione continua alla pace secondo la gra-dualità della vita. La pace infatti non si gode, ma si costruisce quo-tidianamente disarmando prima di tutto i cuori dagli odi e dagliegoismi. Si costruisce comunicando la verità, quindi con informa-zioni che insegnano a cercare la verità e a darsi ragione delle cose,a promuovere la conoscenza dei singoli e dei popoli, liberandoli daipregiudizi e dai rancori accumulati nei secoli.

Si costruisce nelle relazioni familiari, per cui dalla pace nellafamiglia si costruisce la pace nella famiglia umana. Si edifica conl’apporto di tutti, specie delle persone religiose che fanno riferimen-to ai valori trascendenti.

In particolare la pace nasce e matura coltivando in sé e co-municando agli altri stili di vita ispirati a nobili aspirazioni, a prin-cipi morali, coltivando la verità e il bene.

L’intelligenza non è a servizio di qualunque idea, ma della ve-rità. Come singoli e come comunità dobbiamo dirci ciò che è vero eciò che è falso, rompendola con l’ideologia della tolleranza del qua-lunquismo. Una società che si proibisce di proclamare come collet-tività ciò che è vero e distinguerlo da ciò che è falso, non ha futuroe non ha alcun antivirus contro la prepotenza e la dittatura.

Se qualunque cosa è possibile dire, perché qualunque cosapuò avere cittadinanza come verità, vuol dire che la verità non esi-ste. Ma questo è grave per la persona e per i popoli, perché laceraogni possibile rapporto, ogni fiducia, ogni costruzione di futuro;tutto diventa assurdo.

La libertà è in funzione del bene, non dell’arbitrio e del com-plesso di orgoglio di onnipotenza. Dirci ciò che è bene oltre l’ideo-logia, che vuole accusare di fondamentalismo ogni annuncio diprincipi etici, significa offrire all’organizzazione sociale una struttu-ra di stabilità non convenzionale. Significa proclamare la dignitàdella coscienza, intesa non semplicemente in senso psicologico, mamorale. La cultura odierna non favorisce questo pensare delle fina-lità, questo essere diretti verso il telos. In un certo senso vorrebbeprecludersi la possibilità di distingue telos da scopos. Ma senza or-dine legato alle finalità che attingono alla dignità della persona unasocietà non si regge, perché non progetta nella giusta direzione, maorganizza e opera “a spizzico”, in modo occasionale frammentario.In questa direzione non può parlare di bene comune universale, madi beni comuni che prima o poi rischiano di trasformarsi in luoghidi predominio dei potenti, secondo l’onnipotenza dei loro desideri.

Dovremmo, dunque, dirci: “facciamo ordine”.Una iniziativa a scuola, qualche anno fa, partiva proprio da

questa esigenza: Ragazzi facciamo ordine.

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Nella nostra confusione, provocata dalla complessità adden-sata, siamo interpellati ad andare con determinazione e coraggioalla Verità e al Bene. Noi credenti siamo interpellati a dare nomepersonale al Bene e al Vero dell’universo e della persona: Gesù, ilCristo, il Signore.

La persona, come l’universo, non è aperta a qualunque fina-lità. Il suo destino è formare l’unica famiglia dei Figli di Dio inCristo.

Il dibattito cristologico non a caso, contro il monofisismo, si èconcentrato sul senso dell’intelligenza e della libertà sottolineandoi valori della verità e della libertà che rimandano al Vero e al Bene,non come concetti astratti, rimandano al Salvatore e al suo coman-do fondamentale, rimandano alla catena dell’amore che lega tra lorotutti gli esseri dell’universo. Gesù è la Via, la Verità, la Vita.

Le concretizzazioni storiche di questo percorso educativovanno individuate secondo la dinamica del discernimento, secondoil criterio della gradualità, direbbe Papa Giovanni, adattandosi airitmi delle persone, direbbe Giovanni Paolo II in NMI 31. Vanno co-niugate nelle coordinate della convivenza umana, edificando così lapace nella storia e tendendo verso la Pace come dono escatologico.

Tra le coordinate ricordiamo:la convivenza umana è vera e stabile se fondata sui valori spiritua-li, non solo su quelli etnici ed economici;gli organismi e le istituzioni nazionali e mondiali dovrebbero favo-rire tale fondamento, segnalandolo non con spirito imperialistico,ma con l’autorevolezza dell’alto profilo morale, dando credibilitàcon la trasparenza etica delle persone e delle procedure;la convivenza pacifica si costruisce sui diritti, quindi sul bene co-mune, oltrepassando le ambigue concezioni di beni comuni;la persone religiose hanno una marcia in più e devono disporsi a of-frire un servizio più competente e qualificato a livello di valori spi-rituali;i cattolici sono spinti a impegnarsi nella costruzione della pace concompetenza e professionalità, testimoniando la propria fede chenon oscura i valori umani, ma dà loro limpidezza;la cittadinanza alla pace comporta il coinvolgimento di donne e uo-mini dal cuore rinnovato, colmo di perdono e di misericordia, perchésolo a queste condizioni la giustizia non è vendetta e risentimento;i giovani e la pace sono reciproci, dice Giovanni Paolo II, ma non èautomatico.Nel loro orientamento a sentimenti, pensieri e gesti di pace, hannobisogno di guide, ma hanno bisogno anche di mettere in moto laloro responsabilità e creatività;

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nessuno dei quattro pilastri della pace può essere rimosso, altri-menti la pace rischia di traballare;la pace va invocata come dono, ma ogni dono di Dio è un compito.Un compito piccolissimo che Egli giudica straordinario!Non si smentisce nella sua infinità misericordia!29

La sua presenza salvifica rende possibile il nostro impegno umile eardito che si fa preghiera:Signore, sono giunto alla sera della mia giornata,la mia fede non ha smosso le montagne,la mia iniziativa non ha risolto tutti i problemi,ho solo cucinato per i miei figli,non per gli affamati dell’Etiopia e del Terzo mondo;ho solo studiato la mia lezione,non ho scoperto il sistema per far fiorire il deserto;ho solo fatto il catechismo ad un gruppo di bambini,non ho annunciato il Vangelo in tutto il mondo;ho solo fatto otto ore di lavoro in fabbrica,non ho potuto pensare di risolvere i grandi problemi mondiali....Signore, sono un servo inutile,ho solo fatto il mio dovere.Grazie perché non mi hai chiesto di salvare il mondo,Grazie perché il mondo l’hai salvato e lo salvi tu.

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29 Rimando alle piste offerte da Tonino Bello nel libretto Alla finestra della speranza.Lettere di un vescovo, Cinisello Balsamo (MI) ed Paoline 1988; come pure alle rela-zioni di S. E. Mons. Renato Raffaele Martino e del cardinale Dionigi Tettamanzi pro-poste nel convegno di Milano del 16 marzo.

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Per una Chiesatutta ministeriale

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Padre GIAMPIETRO BRUNETSegretario della Commissione Presbiteriale Italiana

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

Anzitutto un cordiale saluto a voi tutti. Quando sono stato in-vitato a questo incontro ho subito accettato, anche perché la rifles-sione su un tema come questo è molto importante, urgente e decisi-va. E lo è in ordine ad un cambiamento di mentalità ecclesiale ne-cessario, per un servizio vero alla missione della Chiesa, oggi tantopiù, in vista di quel salto di qualità che ci viene chiesto: passare dauna chiesa clericocentrica, ad una chiesa che si sviluppa e crescenella molteplicità dei suoi carismi e ministeri.

E qui si situa anche il titolo suggerito, ma che chiede subitodi sgombrare il campo da possibili equivoci, in particolare, dal ge-nericismo che potrebbe nascondersi sotto l’espressione “tutta mini-steriale”. Se invece, e correttamente, tale espressione s’intendecome necessità di un coinvolgimento di tutti i battezzati, allora il di-scorso può essere affrontato con maggiore completezza e obiettività,sia in funzione di crescita interna alla comunità cristiana, sia nel co-stitutivo dovere di “Comunicare il Vangelo”, di evangelizzare, di unesistere della stessa chiesa per la missione e il regno.

Penso sia opportuno anzitutto un collegamento con il temagenerale: «Discernere l’oggi di Dio. Una chiesa per il mondo». Lachiesa esiste per il mondo, orientata al Regno di Dio; è un dono almondo. E quest’ultimo non è solo l’ambito in cui essa opera, ma“luogo” del kairòs di Dio. Don Bruno Maggioni poco fa insistevasull’importanza di rivedere/rifare l’immagine di Cristo che abbiamoe che annunciamo; in questo intervento si potrebbe dire che l’ur-genza è quella di rifare l’immagine della chiesa che abbiamo e incui viviamo come soggetti attivi.

E allora mi pare sia fondamentale un passaggio: dal miste-rium al ministerium. In altre parole, dal mistero di comunione cheè la chiesa al suo servizio/ministerium “per il mondo”.

Quand’ero studente di teologia mi appassionava vedere comele questioni del presente abbiano avuto delle origini molto lontane,risalenti addirittura al tempo in cui il modello della chiesa delle ori-gini stava ancora prendendo corpo. È noto a tutti come nelle stessecomunità paoline non sia stato facile il riuscire a comporre la vitalitàcarismatica di molti (cf. gli “illuminati” di Corinto), o la pretesa di es-sere i “migliori” (e s. Paolo dice chiaro: “voi potreste avere anchemolti pedagoghi e maestri, ma non certo molti padri: io vi ho gene-

Premesse

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rato...”), con il servizio dell’autorità. È la questione decisiva che siincontra continuamente nel vissuto delle chiese cristiane (carismi,ministeri) e nel reciproco rapportarsi delle Chiese (ecumenismo).Tutto questo ha un riferimento obbligato al mistero trinitario: mas-simo di unità (comunione) nel massimo di diversità e articolazione(ministerialità) in una pluriformità di soggetti da promuovere, valo-rizzare e aiutare a comporsi nella “Chiesa mistero di comunione”.

La composizione tra unità e pluriformità è argomento antico esempre nuovo anche oggi, sia nelle cristianità di antica tradizione,sia nelle giovani chiese – dove, per la verità è più immediato e strut-turalmente necessario fare tesoro di tutti gli apporti.

Parto da una costatazione. Usciamo da generazioni di mono-litismo, dal cosiddetto regime di cristianità e ci troviamo a metà delguado perché quel modello di chiesa (societas perfecta, per inten-derci) è definitivamente tramontato, ma non è ancora nato e cre-sciuto a sufficienza quel nuovo modello di chiesa che il ConcilioVaticano II ci ha consegnato: Chiesa mistero di comunione/Chiesasoggetto evangelizzatore-missionario.

Può sembrare lapalissiano, ma dire che ministero è posizione“in vista” è un conto; riscoprire che ministerium è dedizione, servi-zio, dono di sé è tutt’altro. Spesso tutta la problematica relativa allaministerialità rischia di partire col piede sbagliato se non si mette inprimo piano la logica del dono e del servizio, della responsabilità edella corresponsabilità di tutti per “edificare la chiesa” e “annuncia-re il Vangelo”.

Partiamo dall’Eucaristia. Negli stessi racconti evangelici sicoglie una sfumatura se si confrontano i Sinottici con il Vangelo diGiovanni: in quest’ultimo la scena dell’Ultima cena c’è come neiSinottici, ma il quadro centrale viene sostituito... a dire che anchele cose più sacre possono scadere a ritualità, abitudinarietà, o ad-dirittura – e lo ricorda s. Paolo – ad un puro e semplice riportarenella Cena del Signore logiche tutt’altro che oblative, o espressionedel totale dono di sé, per rincorrere tout court il clima mondano e,in sostanza, una logica del chi vale di più. (La risposta l’ha già datacon decisione il Signore Gesù: “Chi vuol essere il più grande, sial’ultimo e il servo di tutti...”).

Nel NT quel “Fate questo in memoria di me” si trova nell’unae nelle altre versioni evangeliche. Con l’evangelista san Giovanniabbiamo in più una messa in guardia che ci viene fin dalle comu-nità cristiane dei primissimi tempi: l’Eucaristia – Corpo donato eSangue versato – fonda il donarsi, la dedizione in qualsiasi tipo di mi-nistero. Non può diventare o farsi altro rispetto a questo modellocristologico vincolante!

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1.Ministeri,

cioè servizio

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

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C’è indubbiamente un compito unico e insostituibile del mi-nistero presbiterale, ma attorno c’è una comunità con volti, storie,nomi, pure chiamata coralmente a “servire”.

E siamo alla radice battesimale di ogni ministero, per cui sipuò parlare anche di chiesa tutta ministeriale, esattamente comela comunità cristiana è battesimale. Ma detta la radice, non è an-cora chiarito e composto organicamente il quadro della pianta o diquel corpo organico di cui parla s. Paolo e dove ognuno deve fare lasua parte a servizio della crescita e dell’utilità comune.

Qui sta il problema che viviamo in questo momento e parti-colarmente nelle comunità di antica tradizione cristiana. Il rischiodi confondere il ministero – che per definizione è spogliamento e do-nazione – con una questione di potere, contare, essere di più. Ed èun pericolo reale anche nell’affrontare il tema dei ministeri: comenon vedere che in qualche caso un tipo di laicato abbastanza pococonsiderato, tenda a uscire verso posizioni di presunta maggiore va-lorizzazione tentando la “scalata dei ministeri”? Per dirla sintetica-mente, nelle nostre chiese d’antica tradizione si rischia realmente dipartire col piede sbagliato parlando di ministeri, quasi che per con-tare di più in una chiesa abbastanza clericocentrica sia necessarioindossare un qualche abito diverso rispetto a quello della propriaspecificità ministeriale a radice battesimale. Un principio chiave inquest’ambito è il ritenere che ad ogni vocazione e/o sacramento ri-cevuti corrisponde uno specifico modo di dedizione – qui nasce unaministerialità adulta, non un surrogato-scappatoia di qualcosa chenon si ottiene diversamente. In sostanza, ministerialità dice diver-sificazione e specificità a partire dal battesimo.

Se però la chiesa ministeriale si configura e si innesta auten-ticamente nella dinamica battesimale, da un lato, ed eucaristica,dall’altro, allora c’è davvero posto per tutti. Si veda la Christifideleslaici, con il commento di Gv 15 preso come leit-motiv, e l’appello ri-volto proprio a tutti: “Andate anche voi a lavorare nella mia vigna”.

Una riflessione sulla chiesa ministeriale deve partire di qui,altrimenti si resta ingabbiati in logiche d’altro genere, che sanno an-cora molto di emancipazione da una chiesa clericale. Ma il proble-ma non sta qui: sta piuttosto nell’attrezzarsi ad essere veramentechiesa, con tutti i ministeri e servizi di cui ha bisogno per essere al-l’altezza del suo compito, cioè attrezzarsi a portare il Vangelo adogni creatura, a Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia e ...fino agli estremi confini della terra (missione).

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Ministeri, come il diaconato permanente, sono riemersi dal-l’oblìo solo dopo il Concilio e in attuazione coerente della sua ri-scoperta del battesimo e dell’importanza di tutti gli apporti che sudi esso si innestano, per costruire davvero un’immagine completa dichiesa comunione per la missione. Il tema dei ministeri si radicasostanzialmente nella ministerialità della chiesa, essa che è il primosacramento dell’intima unità di tutto il genere umano in Cristo (LG).

Quando non c’è una radicata tradizione alle spalle, si tratta diricrearla e, per molti versi, anche di inventarla. Lo stesso documen-to CEI Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia si premura disuggerire come i ministeri siano da riscoprire e, per molti versi, oc-corra anche inventarne di nuovi, esattamente come la Chiesa hasempre fatto nel corso della sua storia per rispondere ad esigenze ourgenze nuove.

Dicevo prima della fatica a uscire da un modello piramidale-societario di chiesa per entrare pienamente in un modello di chie-sa comunionale. È in questo substrato che si colloca l’impervietàdel nostro tema, tanto più in questa fase ecclesiale di diminuzionedi forze disponibili. Ma non è per questo che si parla di “ministeri”,visto che il prete non riesce ad arrivare dappertutto: è per comple-tezza teologico-spirituale, per fedeltà a come Cristo ha pensato laChiesa che parliamo di ministeri; ma oggi occorre pure recuperareun notevole tempo perduto.... Credo di poter dire che tante difficoltào impasses attuali siano dovute sostanzialmente alla gestazione ditale chiesa rinnovata: più responsabile perché vive la soggettività delbattesimo; più corresponsabile purché finalmente si smetta di divi-dere in protagonisti (gerarchia) e utenti (il popolo di Dio), per co-struire piuttosto una comunione articolata, viva e vitale, vera e au-tentica.

Come rileva mons. L. Manganini di Milano, occorre oggi su-perare il pericolo di laici clericalizzati e impegnarsi nella formazio-ne di operatori pastorali a tutto tondo; in proposito cita “(laici) pri-gionieri di una visione devozionalistica e larvatamente settaria dellavita cristiana” (cf. Quale immagine di chiesa?, ed. Centro Ambrosia-no, MI 1998, p. 134). Gli esempi si potrebbero moltiplicare e ognu-no può trarre dalla propria esperienza elementi che confermano ladifficoltà di questa transizione.

L’inizio di una messa a tema dei ministeri parte certamentedai documenti del Concilio Vaticano II, passa per il ripristino delDiaconato permanente e il suo effettivo inizio nelle chiese locali, macon tutte le difficoltà e aporìe dovute a un passaggio di modello. Inparticolare nella Chiesa italiana un momento interessante inizia aprofilarsi tra gli anni 70-80, quando dopo Evangelizzazione e sa-

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2.Una riscoperta

recente

3.Una transizione

non facile,ma ineludibile

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cramenti si inizia a lavorare sul tema degli anni 80, dedicato aComunione e comunità. È soprattutto in quegli anni che si inizia aparlare diffusamente di ministerialità, pur con i limiti comprensibi-li per un tema abbastanza nuovo, cioè il rischio anche di una certaretorica (“Chiesa tutta ministeriale”, dove un generico “tutti” po-trebbe lasciare pressoché tutto come prima).

Una Chiesa ministeriale affonda le proprie radici nell’eccle-siologia comunionale-missionaria del Concilio Vaticano II, “che haricordato a tutti i battezzati il dovere di cooperare concordemente,nella propria misura, alla missione della Sposa di Cristo, perchéessa coinvolge la responsabilità di tutti i suoi membri e di ciascu-no...” (cf. Dizionario di pastorale della comunità cristiana, Cittadella,Assisi 1980, p. 352). A questo – soprattutto agli inizi – si univaanche una generalizzata istanza partecipativa che oggi è notevol-mente in crisi, sostituita da un più generale meccanismo di delega.

In Europa si assisteva ancora ad un clero “sufficiente”, percui la riflessione sui ministeri ha potuto anche passare in secondopiano, ma è questione che oggi si fa sempre più cruciale e decisiva.Nelle giovani chiese, d’altro canto, si aveva a che fare con una cro-nica sproporzione fra territori e relativi bisogni pastorali e il nume-ro dei preti o degli altri operatori pastorali: lì la necessità è diventa-ta “virtù” e si è iniziato già da molto tempo a sperimentare forme diministerialità diffuse e molto precise: dall’animatore di comunità, alresponsabile della catechesi e della preghiera, a chi cura la prepa-razione dei sacramenti, il catecumenato...Da noi, al contrario, si èassistito in prevalenza a una rivisitazione degli “ordini minori” invista del sacerdozio ministeriale, riletti e adattati all’insieme del po-polo di Dio. Fatto sta che spesso è rimasta un’operazione che avevain ogni caso nel presbitero il suo modello e punto di convergenza.Questo non ha certamente giovato ad un discorso-sperimentazionecirca i ministeri che fosse anche esaltazione di uno specifico (ma-trimonio, consacrazione religiosa, ruolo della donna nella chiesa)che si accoglie e si configura in modo da poter rispondere in modonuovo a istanze nuove... e farlo come esplicitazione battesimale, piùche a pressoché unica configurazione “in piccolo” rispetto al mini-stero del prete.

Se il Sinodo del 1971 aveva parlato di sacerdozio ministerialee ad esso erano seguiti – dopo il ripristino del Diaconato permanen-te nel 1967 – Ministeria quaedam e Ad pascendum (entrambi del1972) è con il Sinodo del 1974 che inizia a farsi sentire la voce dellenuove chiese. Paolo VI non lascia senza ascolto questa voce. Cosìnella Evangelii Nuntiandi menziona, accanto ai ministeri ordinati “ilruolo di ministeri non ordinati, ma adatti ad assicurare speciali ser-vizi alla Chiesa” e indica due fonti ispiratrici “per ricercare con sag-gezza e valorizzare i ministeri di cui la Chiesa ha bisogno” (EN 73).Sono: il cristianesimo primitivo e i bisogni dell’umanità di oggi. A

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partire da tali sollecitazioni si hanno il convegno di Hong Kong pro-mosso dalla FABC nel 1977 e l’assemblea di Puebla del 1979 (que-st’ultima imposta tutto il piano della futura evangelizzazione delcontinente latinoamericano secondo prospettive di “comunione epartecipazione”, assegnando grande importanza ai ministeri laicali).

In Italia la sensibilizzazione inizia fin dalla X Assemblea ge-nerale della CEI (1973) quando con Evangelizzazione e sacramentisi intende puntare alla formazione di un cristianesimo di convin-zione; la scelta di fondo è nell’ottica della perenne funzione che lacomunità cristiana ha di proclamare la Parola di Dio, celebrarla neisacramenti e testimoniarla nella vita al servizio del mondo, secon-do la comunione articolata di tutti i suoi membri e nella concorde va-rietà dei suoi ministeri, antichi e nuovi. Un po’ alla volta l’attenzio-ne si sposta da un ad intra verso un ad extra che ha bisogno di tantenuove forze e risorse da spendere appunto nel servizio al mondo. Lostesso convegno Evangelizzazione e promozione umana inizia a faraprire davanti alla chiesa un “orizzonte mondo”, pur con tutti gli en-tusiasmi e i limiti di quel periodo...E qui la riflessione sulla comuneradice battesimale dei diversi compiti e servizi inizia a farsi più con-creta e in qualche caso anche interessante sperimentazione eccle-siale, alla ricerca di una ministerialità diversificata, discorso tuttoraaperto e da sviluppare.

«Uno sguardo alle origini della Chiesa è molto illuminante –scriveva già Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi – e permette di usu-fruire di un’antica esperienza, tanto più valida in quanto ha per-messo alla Chiesa di consolidarsi, di crescere, e di espandersi. Maquesta attenzione alle fonti dev’essere completata da quella dovutaalle necessità presenti dell’umanità e della Chiesa. Dissetarsi a que-ste sorgenti sempre ispiratrici, nulla sacrificare di questi valori e sa-persi adattare alle esigenze e ai bisogni attuali: queste sono le lineemaestre che permetteranno di ricercare con saggezza e di valorizza-re i ministeri, di cui la Chiesa ha bisogno e che molti suoi membrisaranno lieti di abbracciare per la maggiore vitalità della comunitàecclesiale. Questi ministeri avranno un autentico valore pastoralenella misura in cui si stabiliranno nell’assoluto rispetto dell’unità,attenendosi all’orientamento dato dai Pastori, che sono appunto iresponsabili e gli artefici dell’unità della Chiesa».

E proseguiva lo stesso numero: «Tali ministeri, nuovi in ap-parenza ma molto legati ad esperienze vissute dalla Chiesa nelcorso della sua esistenza – per esempio quelli di catechista, di ani-matori della preghiera e del canto, di cristiani dedicati al serviziodella Parola di Dio o all’assistenza dei fratelli bisognosi, quelli infi-ne dei capi di piccole comunità, dei responsabili di movimenti apo-

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4.Indicazioni attuali

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stolici, o di altri responsabili – sono preziosi per la “plantatio”, lavita e la crescita della Chiesa e per una capacità di irradiazione in-torno a se stessa e verso coloro che sono lontani. Noi dobbiamoanche la nostra particolare stima a tutti i laici che accettano di con-sacrare una parte del loro tempo, delle loro energie, e talvolta la lorovita intera, al servizio delle missioni. Per tutti gli operai dell’evan-gelizzazione è necessaria una seria preparazione. Lo è ancor piùper coloro che si dedicano al ministero della Parola. Animati dallaconvinzione continuamente approfondita della grandezza e dellaricchezza della Parola di Dio, quelli che hanno il compito di tra-smetterla devono manifestare la più grande attenzione alla dignità,alla precisione, all’adattamento del loro linguaggio. Tutti sanno chel’arte di parlare ha oggi una grandissima importanza. Come potreb-bero trascurarla i predicatori e i catechisti? Noi auspichiamo viva-mente che, in ciascuna Chiesa particolare, i Vescovi vigilino alla for-mazione adeguata di tutti i ministri della Parola. Questa seria pre-parazione accrescerà in questi la sicurezza indispensabile ma anchel’entusiasmo per annunziare Gesù Cristo oggi» (EN 73).

A partire da queste indicazioni del grande Papa del Concilioe unendole con quelle altrettanto preziose della Christifideles laicisi ha la netta percezione che il tema dei ministeri è cruciale perl’autenticità di una visione non parziale o monca di tutta la radi-cale novità che ha rappresentato e tuttora rappresenta il messaggioconciliare. In sostanza il nodo di una chiesa ministeriale non vavisto in ottica funzionale – così sbaglieremmo tutta l’impostazione– ma in ottica comunionale-missionaria, cioè per una piena fedeltàdella chiesa alla sua identità e missione. Prima ancora di una ca-talogazione dei ministeri ordinati, di fatto, esistenti o possibili, vafatta una previa operazione di sensibilizzazione a partire dalla ra-dice battesimale per andare verso una destinazione di animazionemissionario-evangelizzatrice (i ministeri non sono per la pura sus-sistenza/sopravvivenza della chiesa ma in vista della sua missione)e, non ultimo, per “servire” il Regno di Dio già presente come inpiccolo germe e destinato a manifestarsi pienamente. Questa mipare una traiettoria obbligata, un sostrato necessario su cui im-piantare una revisione mentale e pastorale, e anche un ascolto diciò che lo Spirito va dicendo alle Chiese in questo particolare mo-mento storico.

Ogni “dono” e “servizio” (si legga pure: carismi e ministeri) èsuscitato dallo Spirito per l’utilità comune, cioè sia ad intra dellachiesa, sia ad extra per la sua missionarietà. Se si parte prevalente-mente dal discorso “carenza” si limita di molto la risposta ai biso-gni e le modalità concrete con cui farvi fronte, pur in un contesto di“operai che sono pochi”. Ma c’è pur sempre il “Padrone della mes-se” a cui riferirsi, che non abbandona certo la sua Chiesa nemmenooggi e nemmeno nei nostri contesti di antica tradizione e oggi lar-

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gamente secolarizzati. Non è che a forza di preoccuparci di avere“aiutanti” rispetto ad un modello largamente diffuso e collaudato, cipriviamo della possibilità vera di inventare anche qualcosa dinuovo e soprattutto di meno introverso?

La Chiesa italiana da tempo sta proponendo la via della co-munione, della evangelizzazione e della missionarietà, da assume-re da parte di tutto il popolo di Dio, ma nonostante questo l’im-pressione è che si fatica moltissimo a far decollare qualcosa. La sog-gettività dei laici come la si coniuga nel concreto delle comunità ec-clesiali? Il ruolo e il valore di “ministerialità” di singoli, o anche as-sociative (si veda la recente Lettera dell’episcopato italiano all’Azio-ne Cattolica) come la si lascia sviluppare nel vivo delle chiese par-ticolari e dell’insieme della nostra Chiesa?

Probabilmente c’è una sorta di “effetto trascinamento” d’unatradizione clericocentrica che condiziona l’attecchire effettivo dellaministerialità. Una risposta coerente con i documenti del Magisteroesige indubbiamente una seria verifica, sia a proposito di ministeriistituiti e/o di fatto, sia in merito a tanti orizzonti ministeriali cheemergono.

Ancora una volta il confronto con le “giovani chiese” è d’ob-bligo. Risaltava anche quando si iniziava a parlare della prospetti-va delle unità pastorali: non surrogato d’emergenza rispetto allacrescente carenza di forze pastorali, ma volàno per riorientare lapastorale in chiave comunionale, missionaria, a destinazione mon-do. In ambienti sia missionari (ad es. il Mozambico del periodo dif-ficile in cui molte comunità erano abbandonate a se stesse per l’im-possibilità dei missionari di raggiungerle), sia in ambienti affini alnostro (cf. Treviri - Germania) una costatazione stupita era quelladi vedere che anche dove mancava il presbitero – ma dove c’erastata un’assunzione di responsabilità ministeriale e una buona co-scientizzazione alla chiesa comunione per la missione – la vita cri-stiana non si fermava... anzi, a volte, era davvero vivace. Un datocome questo mi richiama da vicino quello stupore che troviamonegli Atti, quando gli apostoli, che pure sono fondamentali, si tro-vavano a scoprire che “lo Spirito li aveva preceduti”. Oggi è questostupore creativo, questa fantasia dello Spirito che più ci manca,preoccupati come siamo di fare un po’ tutto da noi, e, a volte, soloda noi...

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5....per arrivare

alle emergenzedi oggi

e verso il futuro

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Come dunque sbloccare una situazione di affanno da un latoe di delusione dall’altro? Mi pare sia decisivo il saper assumere unosguardo disincantato e insieme sapiente sulla realtà. Imparare an-zitutto da tante sperimentazioni che sono in atto.

Come non accorgersi che tanta parte della ministerialità “fe-riale” delle nostre chiese è fatta da donne... e noi lì a discutere sulproprio del “genio femminile”, oppure su una malcelata preoccupa-zione che non prendano eccessivo piede. Il problema non è lì: è nelbattesimo, da cui fioriscono ministeri di accompagnamento, di ac-coglienza, di cura delle relazioni (amo ritradurre così il classico“cura animarum”). Certo che spetta al pastore conoscere, amare,guidare, evangelizzare, dare i sacramenti... ma che ci siano altri –molti altri – che preparano il terreno o lo tengono fertile “dopo i sa-cramenti” è tutto di guadagnato per l’intera chiesa e per l’efficacesvolgimento della sua missione.

Come non cogliere che oggi i laici o si valorizzano davvero,oppure giustamente dicono – un po’ delusi o scoraggiati – “tengo fa-miglia”? E ancora: perché non prendere sul serio tanti – singoli ogruppi di persone – che avvertono l’urgenza di una chiesa più estro-versa: qui si colloca l’ampio discorso della ministerialità laicale, daconiugare anzitutto nello spazio specifico di azione del laico: fa-miglia, professione, cultura, lavoro, economia ecc. Non serve – ed èun gravissimo errore – clericalizzare i laici: abbiamo bisogno di laiciveramente tali, non tanto di mezzi preti un po’ frustrati o di sagre-stia.

Infine, un nodo che sta scoppiando: iniziazione – catecume-nato – cura del dopo sacramenti. Quanti nuovi orizzonti per l’espli-cazione di una ministerialità nuova, non appiattita sull’attuale im-magine di prete e capace invece di evangelizzare con la vita e poicon la parola che ne rende ragione...

Non intendo certo descrivere al completo l’ampio spettro pos-sibile della coniugazione dei ministeri. Basta prendere sul serio laradice battesimale e uscire fuori dal perverso cortocircuito che –come scrivevano i vescovi italiani negli anni 80 – potrebbe far rite-nere che il prete abbia la sintesi dei carismi (e ministeri) e non piut-tosto il carisma della sintesi! La cima della piramide tanto più oggiche la base si allarga a dismisura – è l’ampiezza dell’orizzonte mis-sionario – non regge più. Occorre ridescrivere il tutto come una paridignità che a tutti deriva dal battesimo e su cui si sviluppa una va-rietà di inflorescenze e di capacità di portare frutto: questi sono legemme possibili di una nuova fioritura ministeriale. Dopo tutto lachiesa stessa non esiste se non per essere serva, ministra: di an-nuncio del Vangelo e di riconciliazione del mondo in Cristo.

Occorre dire con chiarezza che i ministeri sono più nell’ordi-ne del sentirsi servi inviati (e “semplicemente servi”, più che “serviinutili”!) che non nel puro e semplice fare servizio. È chiaro però

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6.Imparare da tante

esperienze,favorirne di nuove

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che il servire dev’essere non tanto un fare molte cose, quanto piut-tosto un fare che è sorretto, motivato, costituito dal donarsi. È lavera radice dei ministeri in una chiesa serva.

Ogni ministero, inoltre, esiste “per l’utilità comune”: cosa si-gnifica oggi nel contesto di un mondo globalizzato? Cosa vuol direin una chiesa “estroversa”? Qui evidentemente occorre discernerequesta “utilità comune” sia sul versante interno alla chiesa cheverso il mondo. C’è da cogliere, discernere e anche purificare e mi-gliorare sia il buono che c’è che il limitato. Qui entra in gioco anchequel discernimento comunitario di cui i vescovi italiani parlano apartire dal convegno di Palermo del 1995: si tratta di ascoltare in-sieme, confrontarsi e insieme andare al mondo. È la chiesa mini-steriale che dovremmo costruire: una chiesa serva e missionaria,che ha il suo vettore in direzione del mondo. Ma qui è necessarioanche prendere molto sul serio l’invito degli Orientamenti CEI pergli anni 2000, in cui si dice che dobbiamo imparare da come Cristosi è fatto missionario del Padre la nostra missione oggi.

E concludo con quello che potrebbe essere ritenuto il mani-festo di una Chiesa tutta ministeriale: «Vi esorto... a comportar-vi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogniumiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda conamore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo delvincolo della pace. Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola èla speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vo-cazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un soloDio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo ditutti...» (Ef 4,1-6).

Auguro a noi tutti che siamo sempre più in grado di non la-sciarci tarpare le ali da un glorioso quanto impacciante passato, perascoltare in profondità ciò che lo Spirito ci dice oggi. L’augurio è chesiamo in grado di scoprirle, coltivarle, destinarle a “generare” ancheoggi una chiesa completa e varia in tutti i suoi ministeri. E tale saràsolo se tutta serva (il “tutta ministeriale” del titolo), tutta serva eserva del mondo, a cui è inviata per portare la perenne novità delVangelo. Insieme diverremo un equipaggio ben scompaginato, conla fantasia di alzare insieme la vela... e scoprire con gioia che labarca procede ancora...Sospinta dal soffio dello Spirito e aiutata dalcoinvolgimento di tutti i battezzati!

• L’attenzione più forte è data alle unità pastorali. Sarebbemolto bello se la Chiesa italiana facesse questa scelta. Tale sceltaperò porta a un ripensamento delle varie ministerialità all’internodella comunità cristiana e in particolare al ruolo del prete dentro laparrocchia.

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Dagli interventie riprese

del relatore

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– Qui sta il vero problema. Tutti i vari protagonisti devono cre-dere al loro servizio suscitando corresponsabilità. Nei momenti dicambiamento (e questo che viviamo è uno di questi, il mondo checambia, ma non solo, le nostre comunità, le esigenze, ecc.), è moltopiù importante ‘perdere’ del tempo per chiarirsi le idee che non ten-tare alla rinfusa qualsiasi tipo di esperienza. Secondo me questa èuna regola di saggezza che aiuta a non bruciare troppo presto anchedelle proposte buone. Ad esempio, quando si propone una determi-nata iniziativa o di evangelizzazione o di catechesi o altro, la primacosa che dobbiamo cercare di avere ben presente è che oggi nonpossiamo permetterci di bruciare delle proposte. A volte la fretta èuna pessima consigliera, perché si procede un po’ alla rinfusa e poiun’iniziativa si succede all’altra. Questo lo vedo molto spesso anchenelle parrocchie, ma penso anche in altri ambienti. Bisogna che im-pariamo a programmare. Quando si dice che è importante pensareil modo di fare pastorale, di fare missione, di fare formazione, nonè che sia un pallino degli intellettuali, ma è, secondo me, un accor-gimento molto pratico per evitare di bruciare occasioni buone, so-prattutto evitare di scoraggiare persone.

Faccio un esempio molto concreto. Ricordate che c’è stato,alla fine del decennio Evangelizzazione e testimonianza della caritàquesta pregevole iniziativa, promossa dalla CEI, di fare una verifi-ca. Era la prima volta che succedeva. Il risultato... sapete perchénon è stato pubblicato nulla di quella cosa? Perché l’unica cosa chesi poteva dire è che non sappiamo fare verifiche.

Anche l’altra sottolineatura delle proposte concrete di un mu-tamento. Direi che dobbiamo imparare a procedere anche un po’ conordine. Dobbiamo utilizzare tutte le risorse che ci vengono date avolte anche dalle scienze umane. Per esempio le scienze umane ci ri-cordano che – lo sentivo dire dal professor De Rita ormai oltre unadecina di anni fa – in un momento in cui stanno cadendo tutte le cer-tezze, sta crollando il senso di appartenenza delle persone, la Chiesacattolica ha una risorsa di cui forse non è nemmeno consapevole: lacapillarità della presenza. Lui lo diceva a proposito delle parrocchie.Ma pensiamo anche alla capillarità della presenza ad esempio intanti ambiti educativi, sanitari, socio-assistenziali o altro. Noi ab-biamo una capillarità di presenza che però, se rimane scollegata, nonarriva al famoso principio della ‘unione che fa la forza’.

Anche guardando alla globalizzazione: noi abbiamo una ca-pillarità di presenza su tutti i fronti drammatici della storia di oggi,pensiamo alla presenza dei missionari in ogni popolo, cultura, ecc.Perché tutto questo non arriva mai? Forse perché anche gli istitutimissionari giocano un po’ troppo al loro interno. Invece dovremmocominciare ad imparare che condividere è la condizione indispen-sabile perché nostro Signore faccia i miracoli. Nel famoso raccontodella moltiplicazione dei pani (cfr. Gv 6), se ci fate caso, il miracolo

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scatta solo dopo che si è condiviso a partire dalla propria povertà.E ne avanza anche, perché quando Dio interviene non finisce maidi stupire! Il problema è che noi ci fermiamo sempre, un po’ a volerfare tutto noi, un po’ al procedere ognuno nel proprio orticello equesto rende tutto molto più difficoltoso.

• Come mai noi, che abbiamo una ricchezza di possibilitàmolto grandi, una ricchezza di Vangelo, di idee, di gioia, non riu-sciamo non solo ad esprimerle, ma neanche a comunicarle e a testi-moniarle con la vita? Come vivere la corresponsabilità missionaria?

– La questione del portare il Vangelo, del ripartire dalVangelo, della ricchezza che abbiamo già scritta ovunque, della mis-sione che caratterizza chi è qui e chi è nei territori missionari.

Faccio solo un esempio. Quando nel piccolo paesino si cele-bra l’eucaristia in quel momento si ha davanti l’orizzonte ampio ditutto il mondo che Dio ama e per cui Cristo dona la vita. Se noisiamo convocati e siamo un piccolo numero, in quel momento noisiamo comunque espressione, rappresentanti dell’intera umanitàconvocata ad ascoltare la Parola e in prospettiva anche ad arrivarea questo banchetto. I profeti già lo intravedevano, il banchetto ditutti i popoli dove c’è la convivialità nelle differenze. Cominciamo arafforzare questo sentirci cattolicità, cioè legati ai problemi di tuttoil mondo e smettiamola di pregare solo perché si risolva il mio pro-blema o perché nostro Signore ci risolva il problema della fame, chespetta a noi risolverlo.

Facciamo delle preghiere un po’ più autentiche e diciamo peresempio: ‘Signore, dacci una spinta, perché ci convertiamo, uscia-mo fuori da questi cortocircuiti in cui l’idolatria del presente ci habuttati’. Questa sarebbe già una preghiera molto più sana.

Facciamo tanta enfasi sulla missione e poi non parte nessu-no. Perché? Perché siamo come quella classica comitiva che va aprendere il pullman che parte alla tal ora da Assisi per chissà dove...e abbiamo tanti bagagli da controllare che non riusciamo mai a sa-lire su quella corriera e, finalmente, a partire. Il problema è che giànostro Signore ci ha detto che, per andare in missione bisogna ri-scoprire l’essenzialità (cfr. Lc 10,1ss.); per restare qui e fare forseuna delle missioni, che è una delle più difficili in questo momento,perché tra l’altro qui non ci sono gratificazioni... in missione alme-no qualche gratificazione c’è. C’è grande povertà, c’è tutto il resto,ma almeno si sente la festa di popolo, si sente la gioia di vivere.Quindi bisogna che mettiamo insieme queste due modalità dell’es-sere missione e soprattutto che smettiamo di considerare la Chiesacome un della Chiesa è che essa esiste per il regno di Dio e per ilmondo. qualcosa di chiuso in se stesso. La verità della Chiesa è cheessa esiste per il regno di Dio e per il mondo.

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Una Chiesasenza confini

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Don GIANNI COLZANI - teologo

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

«Il concilio Vaticano II è stato germinalmente, in un modoche ancora cerca a tastoni se stesso, la prima autoattuazione uffi-ciale della Chiesa in quanto mondiale”1. Questa affermazione diRahner coglie e dà senso preciso ad una impressione che tutti ab-biamo: quella di attraversare un profondo cambiamento nel modo divivere la chiesa e la sua missione. Sotto i nostri occhi va nascendouna chiesa mondiale, una chiesa che interagisce con una storia glo-bale e, per questo, dialoga con le culture e le religioni ed è alle presecon i drammi della guerra e della fame, della mancanza di giustiziae di democrazia, con il dissesto ecologico e il vilipendio dei dirittiumani.

Circa un decennio fa, Giovanni Paolo II, dopo aver richiama-to che la missione – una e unica – non è mai conchiusa, invitava aportare la propria attenzione sull’intreccio di aspetti territoriali, fe-nomeni sociali e problematiche culturali2; ne ricavava la centralitàdelle città con il loro mondo di giovani e di emarginati, il bisogno diuna maggiore attenzione al mondo delle migrazioni e alle occasioniche possono rappresentare di contatto e scambi, l’importanza dellacomunicazione non riducibile al rischio di un appiattimento omo-geneizzante, il valore del cammino dei popoli con i conseguentiproblemi delle minoranze e dei diritti umani e la decisività delle re-lazioni internazionali e dei loro temi dello sviluppo e della pace.Una Chiesa alle prese con questi problemi è una chiesa dalle pro-blematiche mondiali.

Vorrei spendere una parola anche sul titolo: una chiesa dagliinteressi mondiali, una chiesa realmente cattolica è una chiesasenza confini? Una chiesa senza confini è ancora una chiesa chevive secondo la logica della incarnazione, secondo la logica di quelGesù che si è fatto uno di noi diventando ebreo, entrando in una so-cietà e in una cultura determinata? I confini da una parte rappre-sentano positivamente la custodia di una identità, dall’altra vannotrascesi per fare spazio ad un incontro con l’altro, ad uno scambio,ad un mutuo arricchimento. I confini appartengono alla limitatezza

1 RAHNER K., «Interpretazione teologica fondamentale del concilio Vaticano II», in ID.,Nuovi Saggi. VIII: Sollecitudine per la Chiesa, Paoline, Roma 1982, 344. Lo stesso giu-dizio ritorna in «Il significato permanente del concilio Vaticano II», ivi, 362-380. 2 Redemptoris Missio 37.

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storica che, per un cristiano, è anche limitatezza creaturale; mentredelineano una condizione di vita, i confini danno senso e forza albisogno di comunione, all’esigenza di vivere insieme in uno scam-bio vicendevole: solo nel rapporto con gli altri, la nostra vita puògiungere a reale pienezza. In altre parole, i confini ci sono e sonoindispensabili ma ci sono per essere superati.

Per una vita che è partecipazione al movimento trinitario diamore, l’incontrare e il donarsi sono il ritmo stesso dell’essere, ilcuore di ogni vera ontologia; per questo superare i propri confini èl’unico modo per acquisire una identità che, nel nostro caso, è sem-pre una identità dinamica che cresce per continuo incremento. Lacomprensione della rivelazione di Dio come evento storico com-prende necessariamente la rivelazione della dimensione fondamen-tale dell’umano; ora, se la vita trinitaria rimanda a delle relationessubsistentes e la cristologia alla inaugurazione di una umanitànuova, anticipata nel Primogenito, possiamo riconoscere che l’aper-tura all’altro non è solo una componente umana ma ne è il cuore. Èquanto appare in Gesù; la sua apertura all’uomo è, insieme, la cha-ris e la krisis della storia umana. Per quanto solo accennate, questelinee sono importanti per uno sguardo missionario sulla storia.

Applicando queste prospettive, il magistero recente ha rico-nosciuto e insegnato l’universalità dell’agire salvifico di Dio, ha pro-clamato una misteriosa ma reale relazione di Dio con l’intera uma-nità. Da una parte ha ricordato che lo Spirito del Signore «riempietutta la terra»3, «rinnova la faccia della terra ed è presente a questaevoluzione»4 e che sollecita «incessantemente»5 il cuore dell’uomoperché non resti indifferente a Dio; dall’altra ha sostenuto che, se«Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effetti-vamente una sola, quella divina, dobbiamo ritenere che lo SpiritoSanto dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dioconosce, col mistero pasquale»6.

Sviluppando l’insegnamento conciliare di una presenza di«elementi di verità e di santità» anche al di fuori della Chiesa,Redemptoris Missio 20 ha ricordato che «la realtà incipiente delregno può trovarsi anche al di là dei confini della chiesa nell’uma-nità intera, in quanto questa viva i “valori evangelici” e si apra al-

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1.Universalità

della salvezza:nella Chiesae nel mondo

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3 Presbyterorum Ordinis 22; Gaudium et Spes 11.4 Gaudium et Spes 26.5 Gaudium et Spes 41.6 Gaudium et Spes 22. L’affermazione è ribadita in Ad Gentes 7: «benché quindi Dio,attraverso vie a lui note, possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano ilVangelo alla fede, senza la quale è impossibile piacergli, è tuttavia compito impre-scindibile della chiesa e insieme sacro diritto evangelizzare».

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l’azione dello Spirito che spira dove vuole e come vuole (cf. Gv3,8)» anche se si è sentito subito in dovere di aggiungere che “taledimensione temporale del regno è incompleta, se non è coordinatacol regno di Cristo, presente nella chiesa e proteso alla pienezzaescatologica». Nella stessa direzione Dialogo e Annuncio ricono-scerà questa presenza del regno “nei cuori dei seguaci di altre tra-dizioni religiose, nella misura in cui vivono valori evangelici e ri-mangono aperti all’azione dello Spirito»7.

Queste prospettive richiamano correttamente l’atteggiamentodi fondo che il credente deve avere nei confronti della storia; mar-cata dall’opera salvifica del Risorto, la storia umana non è un va-cuum, un vuoto o una pura attesa, ma è il luogo del servizio a quelSignore che parla ed agisce nella nostra stessa speranza. Quandopoi questa concezione viene saldata con quella di uno Spirito che«operava nel mondo già prima che Cristo fosse glorificato»8, allorasi pone l’esigenza di una teologia che vada oltre l’impostazione tra-dizionale9; potenza vittoriosa sulla menzogna e sul male, lo Spiritodel Risorto non si esaurisce nella vita della comunità cristiana enella sua santificazione ma, mentre ne mette in noi la speranza, cifa avanzare verso l’avvenire ultimo della storia.

Con Berkhof, dobbiamo parlare della priorità della missionerispetto ai soggetti cristiani, cioè rispetto alla chiesa ed al credente;rigorosamente parlando, è la missione a edificare la Chiesa e non laChiesa a compiere la missione. La missione è l’«azione creativa mis-sionaria dello Spirito»10; è l’opera dello Spirito e lo Spirito è il pro-tagonista della missione. Una lettura teologica di questo fatto deveconvenire che, se la Chiesa è a disposizione dello Spirito, alloraessa è una realizzazione parziale e provvisoria del movimento mis-sionario dello Spirito, un movimento che va ben oltre la chiesa.Come ho già ricordato, anche il magistero riconosce questa azionedello Spirito al di là dei confini visibili della Chiesa ma, centratosulla questione della salvezza, non rimarca a sufficienza che loSpirito è per prima cosa la potenza del compimento: «la sfera pro-pria dello Spirito è il mondo che deve venire; da lì egli proietta sestesso nel presente e diventa una profezia di se stesso nella sua

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7 «La realtà incoativa di questo Regno si può trovare anche oltre i confini della chie-sa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni religiose, nella misura in cuivivono valori evangelici e rimangono aperti all’azione dello Spirito. Si deve tuttaviarammentare che questa realtà è in verità allo stato incoativo; essa troverà il suo com-pletamento nell’essere ordinata al Regno di Cristo già presente nella chiesa ma chesi realizzerà pienamente solo nel mondo che verrà» (Dialogo e Annuncio 35).8 Ad Gentes 4.9 «Se siamo nel giusto dicendo che Cristo e lo Spirito sono identici e che lo Spirito èCristo in azione, andiamo molto oltre la connessione tradizionale fra Cristo e loSpirito» (BERKHOF H., Lo Spirito Santo e la Chiesa: la dottrina dello Spirito santo[1964], Jaca Book, Milano 1971, 29).10 BERKHOF H., Lo Spirito Santo, 37.

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opera escatologica»11. Le stesse nozioni bibliche di aparché e ar-rabón, di primizia e di caparra, lasciano intuire che il futuro si ac-corderà e sarà della stessa natura della novità di vita che sperimen-tiamo già adesso ad opera dello Spirito.

Nella ricerca di un criterio che assuma la missione comepunto di vista significativo per la comprensione della storia e la te-stimonianza della fede non possiamo prescindere da queste osser-vazioni. Senza pretendere di cogliervi una organica pneumatologia,mi pare importante richiamare che è lo Spirito a realizzare e porta-re a compimento la missione di Gesù; là dove questo venga intesoin senso trinitario, bisognerà dire che Gesù è l’amore salvifico delPadre che si espone verso l’umanità e che lo Spirito mantiene atti-vo questa esposizione al di là di ogni confine di tempo e di luogo.Diventa così decisivo il compito ecclesiale dello Spirito così comequello storico ed escatologico: «come la natura umana assuntaserve al Verbo divino come vivo organo di salvezza indissolubil-mente unito a lui, in modo non dissimile l’organismo sociale dellachiesa serve allo Spirito»12. Il ruolo della chiesa è allora ben chiaro:«l’organismo sociale della chiesa serve allo Spirito vivificante diCristo come mezzo per far crescere il corpo»13; nello stesso tempo ilruolo della chiesa non è esaustivo.

Provando a concretizzare questo patrimonio di idee in unacategoria teologica, ricorrerei alla nozione di «vita». Già nel 197214

Pannenberg aveva raccolto la concezione cristiana del futuro attor-no a questa nozione; partendo dai testi di Paolo dove il Risorto –confrontato con il primo Adamo – è reso “spirito vivificante” cheporta a compimento la creazione16 e valorizzando a fondo il dettatodella definizione della divinità dello Spirito del 381, che riconoscelo Spirito come Signore e come “vivificante”17, Pannenberg rifiuteràdi limitare la “vita” alla sola vita di fede e di grazia del credente.Rifacendosi alla concezione evoluzionistica di Teilhard de Chardin

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11 BERKHOF H., Lo Spirito Santo, 124.12 Lumen Gentium 8.13 Lumen Gentium 8.14 PANNENBERG W., The Doctrine of the Spirit and the Task of a Theology of Nature,«Theology» 75 (1972), 8-20; ristampato come «Der Geist des Lebens», in ID., Glaubeund Wirklichkeit, Kaiser, München 1975, 31-56.15 1Cor 15,45.16 L’opera dello Spirito nell’uomo è attestata da Gen 2,7, nel mondo dal Sal 104,29-30.17 La traduzione dal testo greco riportato dal Denzinger-Hünermann parla di «SpiritoSanto, che è Signore e dà vita, che procede dal Padre, che insieme al Padre e al Figliodeve essere adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti»; la traduzio-ne dal latino presenta “lo Spirito Santo, Signore e vivificante, che procede dal Padree dal Figlio, che con il Padre e il Figlio è assieme adorato e conglorificato, che parlaattraverso i profeti” (Denzinger-Hünermann 150). Per l’aspetto che ci interessa, quel-lo della vita, non vi sono differenze reali.

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ed alla antropologia autotrascendente di P. Tillich18, Pannenbergmetterà la vita al centro dell’opera dello Spirito e criticherà ogniconcezione che interpreti la vita umana e cosmica come chiusa in sestessa: il mondo è aperto a Dio ed all’opera del suo Spirito.

Altri autori, tra cui Taylor19 e Moltmann20, lo seguiranno e par-leranno dello Spiritus creator come della forza che permette al futu-ro di Dio di entrare ed operare nel nostro mondo. Indicando loSpirito come la potenza che non conosce barriere e che opera nel-l’uomo Gesù21, Taylor farà di questa missione dello Spirito il conte-nuto del Vangelo e, coerentemente, andrà in cerca dei seminaSpiritus”, presenti nella vita delle persone. Moltmann invece de-nuncia la gnosi come radice di un equivoco che sostituirà la conce-zione apocalittica, alternativa ad un mondo di violenza e di morte,con la dottrina di una redenzione che distingue antropologicamen-te tra corpo e anima, tra carne e spirito. Il suo suggerimento saràquindi quello di una teologia della vita che si opponga alla morte.

Senza entrare sui problemi epistemologici, in realtà qui deci-sivi, vorrei solo osservare che questa centralità della vita23 va pen-sata non solo come aperta a Dio ma anche come correlata a quellastoria di Gesù che, come «via, verità e vita»24, ne diventa esplicita-zione e testimonianza. «Venuto perché abbiano la vita e l’abbianoin abbondanza»25, il Cristo la riassume nella esperienza dell’abbá,nel servizio del regno e nella dedizione incondizionata al disegno di

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18 La dimensione vitale dello Spirito porta Tillich ad integrare la vita trinitaria con lariflessione sulle esperienze proprie della vita umana; in termini di contenuto e di me-todo, ne viene un cambiamento di prospettiva che affianca o, forse, sostituisce la ri-velazione con l’analisi della vita.19 TAYLOR J.V., Lo Spirito Mediatore. Lo Spirito Santo e la missione cristiana [1972],Queriniana, Brescia 1975. Il titolo inglese non utilizza la nozione cristologica di “me-diatore” ma quella di “intermediario” e, parlando dello Spirito come Go-Between God,ha modo di sviluppare ampiamente le dinamiche esistenziali. 20 MOLTMANN J., Lo Spirito della vita. Per una pneumatologia integrale [1991],Queriniana, Brescia 1994. Ricorderei anche MOLTMANN J., La chiesa nella forza delloSpirito. Contributo per una ecclesiologia messianica [1975], Queriniana, Brescia1979; ID., Trinità e regno di Dio. La dottrina su Dio [1980], Queriniana, Brescia 198321 «A convincere gli Apostoli che Gesù, oltre ad essere il Messia, era anche Figlio diDio non fu solo la resurrezione di Gesù ma anche il suo possesso continuo e totaleda parte dello Spirito. Ed essi erano no meno convinti che la sua unità col Padre –unica nel suo genere – era data e al tempo stesso attestata dalla sua relazione con loSpirito Santo» (TAYLOR V., Lo Spirito Mediatore, cit., 114). E, poco oltre, aggiunge: «loSpirito che non conosce confini indica continuamente l’uomo Gesù e ne dimostral’importanza senza pari. [...] Ciò che ha valore decisivo ed eterno non è l’aver cre-duto molto, ma l’aver creduto e seguito Lui, anche senza molto capire. È qui che lamissione dello Spirito diventa Vangelo» (TAYLOR V., Lo Spirito Mediatore, 137).22 MOLTMANN J., Lo Spirito della vita, 102-119. 23 Passando in rassegna F. NIETZSCHE, H. BERGSON, D. BONHOEFFER e P. TILLICH,MOLTMANN tocca molte questioni per concludere, alla fine, che la vita va consideratateologicamente sia come finalità creaturale che come mezzo per conseguire il regnodi Dio ma, al di là di queste affermazioni, le questioni di fondo restano intatte.24 Gv 14,6.25 Gv 10,10.

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Dio fino alla croce; questa missione continua con l’opera delloSpirito che la salda a fondo con le esperienze che lo Spirito di vita,lo Spirito creatore è andato suscitando nel mondo. Questo comples-so di idee permette di ripensare e discernere il nostro tempo.

Da tempo la teologia ha indicato nella globalizzazione, nelpost-moderno e nel pluralismo religioso le sfide principali che il no-stro tempo deve affrontare. In un ambiente missionario, che di que-ste cose ha una ampia esperienza, mi limito a ricordare che quellapiù attinente alla universalità della salvezza è la globalizzazione, daintendersi come proiezione e universalizzazione di un determinatomodello di sviluppo, di una determinata maniera di interpretare lapersona umana, quella propria dell’homo faber o forse meglio del-l’homo oeconomicus.

Così impostata, la globalizzazione è insufficiente a rendereragione allo Spirito di vita; anzi ha spesso come effetto una disu-manizzazione della persona ed un travisamento della stessa realtàreligiosa. In questa concezione anche i beni religiosi, spirituali edetici, sono globalizzati ed ognuno è legittimato a ricorrevi prenden-do, come da un supermarket, a secondo delle sue necessità. Nasceuna sorta di bricolage religioso che raccoglie a piacimento e accostaliberamente i beni religiosi più diversi. In questa concezioni, le re-ligioni hanno un compito funzionale alla impostazione generale delsistema: quello di rappresentare una riserva di valori etici e spiri-tuali a cui sia sempre possibile ricorrere per rendere sopportabile evivibile un vita altrimenti troppo pesante. Altrove26 Moltmann hastigmatizzato questo uso sociale falsato di una fede piegata a temipropri dell’individualismo liberale; contro di esso, dovremo semprericordare che «l’invio missionario non significa soltanto diffusionedella fede e della speranza ma anche trasformazione storica dellavita»27.

In questa luce, presumibilmente, ripensare la religione dellavita in una storia globalizzata vorrà dire andare nella direzione op-posta alle linee di questo stesso processo. La coscienza della vastitàdi questo processo ci farà sentire fino in fondo la nostra inadegua-tezza e ci riporterà alla memoria le parole di Mosé: «Chi sono io perandare da Faraone e per fare uscire dall’Egitto gli Israeliti?»28. Al ri-

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2.Le sfide attuali

alla missionee allo Spirito di vita

26 MOLTMANN J., Teologia della speranza. Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni diuna escatologia cristiana [1964], Queriniana, Brescia 1970, 320-338; in questo la-voro descrive l’uso falsato della religione come culto della soggettività, della fratel-lanza e della istituzione.27 MOLTMANN J., Teologia della speranza, 338.28 Es 3,11.

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guardo, dovremo ricordare che le parole di Dio – io sarò con te –«non dicono all’uomo chi egli sia o chi sia stato ma chi egli sarà echi egli possa essere in quella storia e in quel futuro in cui la mis-sione lo conduce»29.

È stato scritto che sono tre le opzioni che stanno davanti allafede: sfruttare la globalizzazione per avvantaggiarsi e guadagnarepotere, approfittando di una insicurezza diffusa per imporre il pro-prio credo ed il proprio codice di vita, oppure adattarsi a un ruolosubordinato e funzionale al buon andamento del sistema, come ab-biamo spiegato sopra o, infine, sfidare la globalizzazione e i suoipresupposti. A mio parere, è quest’ultima cosa che dovremmo fare.Non si tratta di riportare in auge espressioni definitivamente passa-te ma di creare alternative, capaci di dare alla vita un significato mi-gliore. Orbene, se le religioni hanno una visione globale, distinta ediversa da quella della globalizzazione, esse hanno per questo stes-so la possibilità di sfidare le sue impostazioni di pensiero e le suedinamiche operative. Hanno la possibilità di operare per una diver-sa costruzione della famiglia umana come comunità universale.

Uso appositamente l’aggettivo “universale” per non lasciarel’impressione che globale sia uguale ad universale. Mentre la glo-balizzazione è l’universalità del capitale e del mercato, qui parlia-mo di universalità della persona e delle sue concrete maniere diesprimere la vita. La fede cristiana propone una unità ed una uni-versalità della famiglia umana che valorizzi le diversità e che nonabbia con esse un approccio strumentale; si tratta di valorizzarle enon di disintegrarle in una omogeneizzazione pianificata. In unaparola la fede è chiamata a ridefinire il suo rapporto con i meccani-smi sociali in termini nuovi.

Spetta alla missione rendere la confessione di fede la base persostenere e animare la vita dei popoli. Il punto difficile sta nel fattoche, non raramente, rinforzare una identità culturale e religiosa hacome effetto anche il chiuderla a relazioni più ampie; là dove si fa-vorisse una identità confessionale chiusa, difensiva e aggressiva, làl’ambiguità della fede sarebbe evidente e la scelta del credere di-venterebbe sorgente di divisioni e di violenze. Invece di rinforzare iparticolarismi, si tratta di vivere la propria concreta e limitata iden-tità in un quadro di apertura e di interazione, aprendo e trascen-dendo ciò che ci appartiene e ci definisce. Ritroviamo così i proble-mi del significato sociale della fede, della inculturazione e della li-berazione.

Senza sviluppare questi temi che suppongo noti, vorrei indi-care due ambiti in cui la sfida ai presupposti della globalizzazionee del post-moderno diventa – a mio parere – decisiva. Il primo è latrasformazione della conoscenza da strumento di potere a forza di

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29 MOLTMANN J., Teologia della speranza, 292.

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comprensione vicendevole e di emancipazione. Per la globalizza-zione, la conoscenza è informazione e circolazione abbondante dinozioni, studi, elaborazioni, prodotti mentali ma questa circolazio-ne – importante – non è sufficiente. Di fronte alle manipolazionidella tecnica, l’umanità ha il dovere bisogno di porre alcune basila-ri questioni sul ruolo e sul significato della conoscenza che, oggi, stapassando da parola di libertà a parola di potere.

Dopo che la globalizzazione ha radicalizzato il pragmatismoinerente al progetto della modernità, spetta alle religioni riprenderein mano la conoscenza umana e riorientarla a favore della persona,soprattutto a favore delle vittime del nostro mondo. Smarrito il le-game con la persona e la libertà, il sistema della conoscenza si è le-gata al potere diventandone strumento e giungendo così, non dirado, ad un esito disumanizzante; spetta all’educazione instillarenell’individuo il senso di responsabilità, l’orientamento all’etica edal servizio dell’altro, abbandonando la strada della distruzione e deldominio. Un potere scientifico-tecnologico riorientato sarebbe unaforza enorme e le tradizioni religiose, che connettono la conoscenzaalla verità e la vedono guidata dalla benevolenza divina, possonogiocare al riguardo un ruolo importante. Lo possono e lo saprannogiocare nella misura in cui sapranno mostrare che la conoscenza diDio, parametro di ogni conoscenza umana, non si esaurisce in unfatto concettuale ma, nel suo includere la libertà e l’etica, sa farsiserva della vita.

Allo stesso modo – è il secondo ambito – occorre far passareil governare la cosa pubblica da un orizzonte di semplice ammini-strazione ad una agenzia di umanità. La globalizzazione ha in effetticambiato il modo di governare; l’agenda della vita politica è semprepiù dominata da interessi di parte che, invece del bene di tutti, mi-rano a condizionare il governare imponendo il vantaggio di alcuni ascapito di altri. Questa concezione partitica del potere, nonostanteil continuo richiamo alla democrazia, ha fatto del popolo un sogget-to di ben scarsa influenza; insieme con l’imporsi di un processo didepoliticizzazione, di una sempre minore partecipazione, il dibatti-to politico viene sempre più sostituito dallo scontro di interessi.Lungi dal confluire in una sintesi più alta, la diversità è radice di ini-micizia. In un simile contesto affermare la dignità della personaumana e dei suoi diritti non è sufficiente; si tratta di creare le con-dizioni perché la dignità umana possa esprimersi, dando vita aduna democrazia non solo formale ma sostanziale.

Senza confondere religione e politica, la professione dellafede deve recuperare una valenza sociale e politica, deve sostenereuna forma partecipativa di governo tramite la creazione di una opi-nione pubblica e lo scambio di vedute diverse. Il rischio della ma-nipolazione – rischio reale – non può essere combattuto isolandosi;in una condizione in cui l’opinione comune è spesso molto lontana

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dal Vangelo, appartiene agli areopaghi della missione creare unforum che permetta a tutti di interagire e di vivere responsabilmen-te e partecipativamente.

La globalizzazione non è solo una sfida; è anche una oppor-tunità per la missione. Posta al centro della vita di fede, la missio-ne non domanda solo nuove strategie ma pone il problema – teolo-gico – di cosa significhi essere cristiano oggi. Concepita come se-quela e imitazione di Cristo, la missione deve modellarsi su Cristo,sulla sua vita e sul suo ministero; la missione è contemplazione diGesù fino a seguirne la vita.

È certo possibile pensare di seguire Cristo illustrando e pro-clamando i diversi titoli con cui le scritture e la tradizione cristianalo hanno designato; nessun titolo, tuttavia, può esaurire la pre-gnanza di quel Vangelo che è illuminato dalla vita di Gesù o di quelmetodo pluriforme che proprio lui ha messo in atto. Per questo mo-tivo, oltre che per ragioni intrinseche alla cristologia, la missione sirifà sempre più al Gesù storico come al criterio basilare che per-mette di modellare la discepolanza sulla sua azione di evangelizza-zione.

Al riguardo ha un certo rilievo il ripensamento oggi in attocirca la sequela. Tradizionalmente dominata da un modello rabbi-nico che aveva posto l’accento sulla comunanza di vita tra il mae-stro ed il discepolo quale strada per la comunicazione del messag-gio – in questo modo, il discepolo veniva introdotto in una vita alservizio della Torah30 – oggi queste prospettive sono utilmente com-binate con il pensiero di M. Hengel31. Questi ha rivendicato l’origi-nalità della sequela di Gesù; non identificabile con il rapporto mae-stro-discepolo del rabbinismo o dei profeti; Gesù è un carismatico,pieno di Spirito, che vive sotto l’urgenza di un regno imminente e lasequela è espressione della coscienza propria di Gesù e della forzache ne deriva; la sequela «pone il singolo chiamato – attraverso larottura incondizionata con altri legami – nella comunanza di vita edi destino con se stesso [Gesù] e in questo modo anche al serviziodel regno»32. Questo sfondo concettuale fa sì che il dono delloSpirito, infuso nei discepoli con la conversione e con il battesimo,sia all’origine anche di una loro radicale apertura alla missione.

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3.Di fronte alle sfide:contemplare Cristo

e seguirne la via

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30 Era l’opinione di SCHULZ A., Nachfolge und Nachnahmen. Studien über Verhältnisder neutestamentlichen Jüngerschaft zur urchristlichen Vorbildethik, Kösel, München1962.31 HENGEL M., Sequela e carisma. Studio esegetico e di storia delle religioni su Mt 8,21s.e la chiamata di Gesù alla sequela, Paideia, Brescia 1990. 32 HENGEL M., Sequela e carisma, 153.

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Come a Pentecoste, il dono della conoscenza profetica33 liporta a confessare pubblicamente il “mistero” di Gesù tanto da nonaver bisogno, per questo, di altri maestri34; là poi dove questo donoè assunto come configurazione dell’intera vita, il ministero dell’an-nuncio esige una vita totalmente a disposizione della forza dellaParola e di quello Spirito che la diffonde. Anche quando, con il pas-sare dei secoli, questa forte connotazione apostolica di ogni vita cri-stiana si attenuerà, rimarrà sempre vero che lo Spirito è il maestrointeriore35 che, come attraverso una ispirazione, si fa presente ai no-stri cuori36. Normalmente questo dono dello Spirito e questo mini-stero dell’annuncio saranno inquadrati ecclesiologicamente ma, an-cora nell’epoca medioevale, sarà pacifico che l’azione dello Spirito– Spirito di verità – mantiene una sorprendente libertà tanto cheTommaso dirà che «ogni verità, da chiunque sia detta, viene dalloSpirito santo»37. Abbiamo qui un allargamento della conoscenzaprofetica che travalica i confini visibili della chiesa e conosce unamisteriosa presenza della verità divina dovunque38.

Questa comunione carismatica, profetica e apostolica conGesù può essere utilmente raccolta attorno ad un aspetto: la sua ca-pacità di andare oltre ogni frontiera e di superare ogni barriera.Questo aspetto sarà ricordato da Redemptoris Missio 25 che, però,lo attribuisce allo Spirito: «è lo Spirito che spinge ad andare sempreoltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriereetniche e religiose per una missione veramente universale»39. Ade-rendo al suggerimento di Novo ineunte millennio che invita a man-

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33 Il Vaticano II così descrive il sensus fidei del popolo di Dio e la sua saldezza nellafede in credendo: il popolo di Dio «aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa unavolta per tutte ai santi (Gd 3), vi penetra più a fondo con retto giudizio e la applicapiù pienamente alla vita» (Lumen Gentium 13: Enchiridion Vaticanum 1/316). In ter-mini apostolici si dovrebbe dire anche di più.34 1Gv 2,27.35 Si veda una raccolta di testi agostiniani in Agostino, Il maestro interiore. a cura diA. Trapè, Paoline, Torino 1981.36 Commentando 1Gv 2,27, Agostino scrive: «abbiamo qui un grande mistero. Le vo-stre orecchie sono toccate dal suono delle mie parole ma il maestro è interiore. Noipossiamo istruirvi con il suono della nostra voce ma se non c’é, al di dentro, qual-cuno che vi ammaestra, i suoni che esprimiamo sono vani. Fuori abbiamo maestri elezioni ma la cattedra di colui che vi istruisce dentro si trova in cielo» (In Johannem;PL 35, 2004).37 «Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu sancto est» (TOMMASO, De Veritateq. 1, a. 8 sed contra). Per richiamare la diffusione di questa tesi si può ricordareBonaventura, Il principio della conoscenza. De humanae cognitionis suprema ratione.Il maestro interiore, Christus unus omnium magister a cura di G. MUZIO, Ed.Salesiana, Roma 1966.38 Precisando il suo discorso, Tommaso dirà: «est etiam locutio interior qua Deus lo-quitur nobis per inspirationem internam [...]. Deus interius inspirando non exhibetessentiam suam ad videndum sed aliquod suae essentiae signum quod est aliqua spi-ritualis similitudo suae sapientiae» (TOMMASO, De Veritate q. 18, a. 3.).39 Si veda anche l’idea di fondo di GITTINS A., Ministry at the Margins. Strategy andSpiritualità for Mission, Orbis Books, New York-Maryknoll 2002.

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tenere lo sguardo «più che mai fisso sul volto del Signore»40, vorreiraccogliere l’intera realtà personale di Gesù e l’insieme della suamissione attorno a questa sorprendente capacità di “andare oltre”.Ne guadagnerà anche la lettura della incarnazione, della sua vitapubblica e della sua morte.

L’incarnazione come “andare oltre”Già l’incarnazione rimanda ad un positivo andare oltre; ri-

manda infatti al gesto del Verbo che, abbandonata la vita divina,ekénosen eautón: va cioè verso l’altro-da-sè ed entra nel tempo enello spazio umano. Le scritture ribadiscono che questo avvenne“per opera dello Spirito” ma quello che a noi interessa riguarda ilfatto che il limite così superato non è quello che separa l’eternità daltempo, l’invisibile dal visibile, lo spirito dalla materia ma, più afondo, quello che separa il divino da quell’umano che è connotatoda anima e corpo.

In questo “andare oltre”, il limite posto tra la natura divina equella umana ha in Gesù il senso di permettere l’identità specificadi ciascuna di esse; di conseguenza, nessuna delle due è mutata oconfusa con l’altra. Come insegna Calcedonia, le due nature sono inrelazione tra loro «senza confusione, senza mutazione» ma il limiteche separa il divino dall’umano non è una barriera che impediscaogni loro relazione o, che impedisca alla libertà ed all’amore divinodi presentarsi in forma umana. Come di nuovo Calcedonia insegna,l’umano e il divino sono in relazione tra loro «senza divisione,senza separazione», di modo che l’incarnazione trasforma le duenature da custodie di una identità ad ambiti di una relazione41.

Nasce così, con l’Incarnazione, una nuova realtà: il Verbo as-sume un nuovo modo di esistenza – nel tempo e fino alla morte – el’uomo Gesù acquisisce una identità che altrimenti gli sarebbe pre-clusa. L’incarnazione rispetta i limiti tra il divino e l’umano in quan-to custodie di una identità ma, al tempo stesso, li trascende per mo-strarli riconciliati in Gesù. Non vi è dubbio che “questo” Gesù sialimitato come ogni creatura e tuttavia, in forza della sua singolarerelazione con il Verbo, egli può presentare il disegno di Dio nellaforma di una riconciliazione e di una armonia tra la natura divina equella umana che si deve considerare definitiva. Si deve considera-re definitiva perché, come ha riconosciuto la tradizione, questa ri-conciliazione è opera divina, è l’assunzione della realtà umana nelmondo di Dio.

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40 Novo Millennio Ineunte 16.41 Come si sa sono quattro gli avverbi che il simbolo di fede di Calcedonia ricorda;per quel concilio le due nature sono tra loro in un rapporto che è precisato come“senza confusione, senza mutazione, senza divisione, senza separazione”(DENZINGER-HÜNERMANN 302).

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Sul modello di Cristo e attraverso una sua assidua contem-plazione, anche i missionari devono entrare in questa dinamica edimparare andare oltre; devono accettare i limiti della propria iden-tità ma li devono anche superare trasformandoli da custodia di unaidentità limitata in segni di uno scambio, di una accoglienza e diuna comunione aperta alla totalità del disegno di Dio. Fa parte dellaloro missione presentare con la loro vita – quasi a modo di profeziae di anticipazione – una relazione tra il divino e l’umano che sia ar-monica e riconciliata; il che non potrà avvenire se non inserendo inprofondità la spiritualità nella loro concreta personalità. I limitidella loro identità, che si configurano anche come frontiera rispettoad altri, non vanno assolutizzati ma al contrario vanno aperti per la-sciar risplendere la novità e la definitività di Gesù. In questa fortetestimonianza di comunione con Dio e del Vangelo di Gesù, vi èsolo da dare? Non si potrà, non si dovrà imparare anche dal modocon cui intere culture hanno pensato il loro rapporto con Dio e con-cretizzato le loro esperienze religiose?

La vita pubblica e la morte: pienezza dell’andare oltreNon solo l’incarnazione ma l’intera vita pubblica di Gesù si

presenta come un “andare oltre”. La particolare struttura della per-sona di Gesù fa sì che la sua azione si collochi ai confini di quel di-vino e di quell’umano che in lui sono riconciliati. Proclamando ilregno di Dio e mostrando come il divino si intreccia con l’umano,Gesù si colloca ai confini di entrambe le nature ed incide in modoprofondo sui confini dei due mondi. Se, come scrive J. Meier nel suolavoro sul Gesù storico42, Gesù è un “giudeo marginale”, egli lo è inun senso del tutto particolare. Chi sta al centro di una società ha po-tere e influenza, benessere e salute; come invece chiariscono i rac-conti delle tentazioni43, Gesù ha rifiutato decisamente un messiani-smo costruito sul benessere, sul potere e sulla religione dello straor-dinario. Per questo Gesù è ai margini; è ai margini perché non omo-geneo ai criteri della potenza sociale, perché con il suo Vangelo econ i suoi miracoli da vita ad un mondo diverso, nuovo, costituitodall’incontro di figure altrimenti marginali. In questa centralità deimargini, si dà la possibilità di incontrare e di incontrarsi in mododiverso; attorno alla persona e all’opera di Gesù nasce una societànuova, senza barriere, riconciliata.

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42 MEIER J., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. 1: Le radici del problema edella persona. 2: Mentore, messaggi e miracoli, Queriniana, Brescia 2001-2002. La“marginalità” di Gesù, per Meier, «piuttosto che essere una risposta adeguata o unagriglia rigida, [...] intende aprire una serie di domande e indicare alcuni possibilimodi di rispondere a quelle domande. La categoria di “marginale” è variamente de-finita da diversi autori ed è, così, adatta a riflettere la sconcertante, poliedrica realtàdi Gesù, nonché a offrire alcuni approcci a essa» (ivi, I, 14; poco oltre, indica sei mo-tivi di dibattito e marginalità della sua figura). 43 Mt 4,1-11.

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In questo senso la marginalità di Gesù non è affatto priva disignificato. Al contrario, quel giudeo marginale che è Gesù rimuovetutti i confini, sia naturali che umani, e parla del regno come di unarealtà inclusiva di tutti, giudei e greci, uomini e donne, liberi eschiavi, ricchi e poveri, sani e malati, giusti e peccatori. Tutti sonochiamati ad entrare in comunione con il Padre; non vi è alcun resto,irrimediabilmente escluso. Di fatto, la vita e il ministero di Gesù en-trano in dialogo con tutti ed includono tutti perché Gesù ha fattosua ogni marginalità, dalla povertà alla morte.

Certo, come osserva Meier, resta da chiedersi se e quanto gliaspetti più sorprendenti del ministero di Gesù – dalla volontaria ri-nuncia al lavoro alla volontaria rinuncia al matrimonio, dal rifiutodel modello rabbinico di esperto della Parola alla riproposizionedella figura del profeta che fa interagire la parola con la vita, dal ri-fiuto del digiuno ala vicinanza agli emarginati – siano collegati traloro e si sostengano l’un l’altro; di sicuro abbiamo qui delle pisteche possono arricchire la comprensione della figura di Gesù.Modellato su Cristo, anche il ministero apostolico dei missionaridovrà ispirarsi ad un comportamento simile; andando ai margini,può offrire a tutti una riconciliazione piena e autentica, può antici-pare il nascere di una comunità universale, inclusiva di tutti i debolie di tutte le vittime.

Una esperienza singolare di questa marginalità trasformante,di questo creativo “andare oltre”, si può vedere anche nella mortedi Gesù che, secondo Eb 13,12-13, avvenne fuori della città. Il me-diatore tra Dio e l’umanità, che non aveva trovato posto tra gli uo-mini alla sua nascita, non lo trova nemmeno alla sua morte. Va peròdetto che anche il morire di Gesù è un “andare oltre”; la sua mortenon rimane nei confini di quel senso sociale che la considerava unfallimento ma fa esplodere i limiti di quel modo di pensare e di ra-gionare. La sua risurrezione supera questi confini e proclama l’im-porsi di una vita nuova che porti speranza ai disperati, vittoria aglisconfitti, libertà agli schiavi e vita ai morti. Con la risurrezione tuttauna vita è messa in discussione e rinnovata; le barriere della mortesono trasformate in frontiere di una vita accolta con abbondanza.

Come Gesù e in comunione con lui, anche i missionari devo-no accettare la morte: non solo la loro morte naturale ma la stessamorte/martirio e vedervi non già un cammino di fallimento ma l’ini-zio di una nuova, misteriosa fecondità. Solo questo modo di pensa-re, questo pensare secondo Dio e non secondo gli uomini permettedi sfidare la morte e di farne il dono della vita.

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Contemplare il volto di Gesù ed il suo “andare oltre” vuol direorientarsi ad una profonda trasformazione della missione: si trattadi rendere la contemplazione del volto di Cristo, il riferimento aGesù ed alle dinamiche del suo ministero come il cuore del com-portamento apostolico. Per questa via cristologica, e solo per questavia, la spiritualità si collocherà veramente al centro della figura delmissionario e smetterà di essere una incerta aggiunta.

Una simile prospettiva ha tutto da guadagnare se richiamal’azione universale dello Spirito che per altro, a motivo della comu-nione trinitaria, è profondamente legato anche al mistero pasqualeed all’intera vita di Cristo, come le scritture non mancano di ricor-dare. Questi due livelli di azione universale dello Spirito – a mododi Sapienza increata il primo e come energia del Risorto il secondo– non vanno intesi come se il primo livello ostacolasse il secondo elo impoverisse; la luce che illumina ogni uomo44 è la stessa che ri-splende nel mondo con la presenza di quel Gesù che chiede di di-ventare suoi discepoli45. Di conseguenza il servizio che lo Spiritorende a Gesù ed alla sua missione non ha nulla da perdere per lasua universale azione nel mondo e nel cuore dei giusti; al contrario,proprio l’ampiezza universale del mistero cristologico ha tutto daguadagnare nell’incontro con quello Spirito che, di suo, è altrettan-to universale. Si giungerà così a ritenere che l’azione kenotico-dia-logica con cui lo Spirito prepara e illumina i cuori e quella keryg-matica con cui dà forza al Vangelo si rinforzino a vicenda.

Una simile tesi, a mio parere, meriterebbe di essere ap-profondita46. In effetti avremmo così una soteriologia relazionaleche pone il fondamento e, quindi, la misura della sua relazionalitàall’interno dello stesso evento cristologico; per questo non impove-risce il dogma cristologico ma lo sviluppa in termini, per così dire,inclusivo-relazionale47. Questa particolare prospettiva assume comepunto di partenza il carattere definitivo ed escatologico dellaPasqua; non vi è «altro nome dato agli uomini sotto il cielo nelquale sia stabilito che possiamo essere salvati»48. Affermare questo

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4.La missione

nel solco apertoda Cristo

44 Gv 1,9.45 Gv 8,12; 9,5.46 CODA P., Per un’ermeneutica cristologico-trinitaria del pluralismo delle religioni, inM. CROCIATA (ed.), Gesù Cristo e l’unicità della mediazione, Milano, Paoline, 2000, 45-69, in particolare 63-65.47 In modo simile BORDONI M., Singolarità e universalità di Gesù Cristo. Nella rifles-sione cristologica contemporanea, in CODA P. (ed.), L’Unico e i molti. La salvezza inGesù Cristo e la sfida del pluralismo, Roma, Pontificia Università Lateranense-Mursia, 1997, 93 parla di «unicità assoluta relazionale». Meno precisa mi sembra laposizione di J. Dupuis quando afferma che «il modello della cristologia trinitaria, l’il-luminazione da parte del Verbo di Dio e la vivificazione da parte del suo Spirito, ren-dono possibile scoprire in altre figure e tradizioni salvifiche verità e grazia non espli-citate con lo stesso vigore e chiarezza nella rivelazione e manifestazione di Dio inGesù Cristo» (DUPUIS J., Verso una teologia cristiana, cit., 521). Qui non si vede a suf-ficienza il legame di questa illuminazione con il mistero pasquale.48 At 4,12.

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con piena consapevolezza significa affermare che l’intero creato,nella sua struttura più intima, è determinato trinitariamente; creatain Cristo, per mezzo di Cristo ed in vista di lui49, l’intera realtà par-tecipa della dinamica filiale del Cristo Gesù50. Tutta la realtà è per-ciò orientata alla vita divina e la ricapitolazione di ogni cosa nelSignore Gesù51 è la condizione perché la speranza non sia delusa eperché, finalmente, Dio sia tutto in tutti52.

La storia della salvezza è, quindi, l’avvento della Trinità in unmondo accolto ed amato nella sua alterità e, proprio per questo,profondamente rinnovato. Ovviamente, alla universalità della me-diazione del Verbo fatto carne in Gesù corrisponde l’universalitàdella fede: è il tema della Ecclesia ab Abel53 secondo la quale tutti gliuomini santi, di qualsiasi tempo e luogo, condividono con noi lastessa fede in Cristo. Diffusa nell’epoca patristica e medioevale e ri-presa da Lumen Gentium 2, questa teoria intendeva riconoscere l’u-niversalità della conformazione a Cristo: la conformazione a Cristoè il criterio basilare, a volte misterioso e noto solo a Dio, che segnal’inizio di quella comunione con Cristo che è il mistero della suachiesa.

Solo in questo modo la realtà è portata alla partecipazioneescatologica alla Pasqua del Figlio: «tutti gli uomini sono chiamati aquesta comunione con Cristo, luce del mondo, dal quale procediamo,per il quale viviamo ed al quale tendiamo»54. Questa comunione ri-configura la libertà umana; innestandola in Cristo, la rende espres-sione della nuova creazione, espressione cioè di una realtà che nonsi aggiunge accidentalmente alla precedente creazione come un donoulteriore ma che, pur nella sua eccedenza, si colloca nel cuore dellapersona instaurando un dialogo con la sua libertà. La nostra sogget-tualità andrà allora compresa in termini cristologici come quella vitapersonale che si apre all’agape trinitario rivelato in Gesù per viver-ne. Su questo sfondo si possono presentare le connotazioni di unavita apostolica e le sue fondamentali caratteristiche.

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49 Col 1,16-17.50 Questo tema della contiguità tra filialità e creazione sarà sviluppato da SCHEEBEN

M.J., I misteri del cristianesimo, Brescia, Morcelliana, 1960, 143-150; ID. GesammelteSchriften. IV: Handbuch der Katholischen Dogmatik. II: Gotteslehre, Freiburg, Herder,1943, § 127, n. 1094. Per Scheeben la radice della creazione non è l’onnipotenza di-vina ma la filialità: tutto ciò che esiste, esiste per riprodurre l’immagine del Figlio, nelquale il Padre si compiace. Sul rapporto tra natura e grazia in Scheeben, si vedaGasper H., Die Vermählung von Natur und Gnade als Modell für die TheologieScheebens, in Hammans H. et alii (edd.), Geist und Kirche. Gedenkschrift für H.Schauf, Paderborn, F. Schöningh, 1990, 213-246.51 Ef 1,10.52 1Cor 15,28.53 Y. CONGAR, Ecclesia ab Abel, in M. REDING (ed.), Abhandlungen über Theologie undKirche. Festschrift für Karl Adam, Patmos, Düsseldorf 1952, pp. 79-108.54 Lumen Gentium 3.

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Una viva consapevolezza della presenza di DioDestinato ad incontrare forme diverse di vita, di cultura e di

religiosità, il missionario deve accostarle alla luce di Cristo e del mi-stero di vita che le scritture hanno rivelato presente in ogni uomo.Così, mentre impara a cogliere che ogni cultura risponde a precisicriteri di identità che possono diventare anche forme di vicendevo-le esclusione, il missionario deve vigilare per aprirle al Vangelo erenderle così dono l’una per l’altra. A questo scopo non basta lasimpatia e la spartana condivisione di uno stile di vita; bisogna co-gliere queste forme culturali come ambiti di presenza del regno,come – per altro – ammettono Redemptoris Missio 20 e Dialogo eAnnuncio 35.

In modo più diretto, la FABC55 chiede un reciso cammino inquattro tappe: occorre un primo momento di esposizione-immersio-ne che porti a sperimentare la realtà dal punto di vista dei poveri;ad esso ne seguirà un secondo di analisi sociale, capace di forniregli strumenti per una piena comprensione della realtà anche sotto ilprofilo religioso; il terzo momento è quello di una contemplazioneche sappia scoprire la presenza di Dio ed i segni del suo agire, ve-nendo così evangelizzati dal Signore e da quegli ultimi che lo rap-presentano; solo alla fine, per quarto, sarà possibile passare allapianificazione pastorale. In modo diverso, richiamando l’importan-za del dialogo, il documento del 198456 ne ricorda gli ambiti: il dia-logo della vita, delle opere, della esperienza religiosa e degli esper-ti. Questi documenti aiutano a tener conto del cammino delle chie-se: il discernimento della presenza di Dio è una mentalità e una me-todologia attraverso cui le chiese si sforzano di interpretare la mis-sione. Questo non dovremmo ignorarlo.

Di particolare interesse mi sembra l’impegno per una presen-tazione del Vangelo nella vita e con la vita. Soprattutto là dove l’an-nuncio è proibito e la libertà religiosa è ristretta o negata, questa te-stimonianza assume un enorme valore. Si tratta di un atteggiamen-to che, forse, non è del tutto congeniale a noi europei che, facil-mente, mettiamo l’accento sulla proclamazione esplicita e verbale diGesù, salvatore unico e universale, ma che tuttavia ha una sua sin-golare efficacia. Soprattutto se accompagnata da uno stile di distac-co e di umiltà, di spiritualità e di semplicità, di impegno per la giu-stizia e di “compassione”, questa testimonianza appare in grado di

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55 Sviluppo umano e patrimonio religioso-culturale. BISA VII. Hua Hin (Thailandia),15-23 gennaio 1986. III: La metodologia del BISA VII: il ciclo pastorale, inEnchiridion. Documenti della Chiesa in Asia. Federazione delle Conferenze EpiscopaliAsiatiche. 1970-1995. a cura di D. COLOMBO, E.M.I., Bologna 1997, 218-220 (nn.703-710).56 Segretariato per i non cristiani, L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci dialtre religioni, in Enchiridion della Chiesa missionaria. I. a cura di Pontificie OpereMissionarie – Direzione Nazionale Italiana, Dehoniane, Bologna 1997, 999-1012.

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saldare la tradizione di impegno attivo con forme di spiritualità acui siamo oggi più sensibili. Si potrebbe indicare questo atteggia-mento come “azione contemplativa o contemplazione attiva”, comeespressione e testimonianza del cambiamento che la percezionedella presenza di Dio opera in noi.

Va poi da sé che questa scoperta della presenza di Dio chie-da attenzione e dialogo soprattutto con quanti – a modo loro – lacercano e la vivono. Il dialogo esige la pratica di tutte quelle virtùche lo rendono possibile e utile; anche in situazioni di fondamenta-lismo o di riaffermazione di identità religiose non-cristiane, il dialo-go chiede apertura all’ascolto e capacità di parlare con rispetto e co-raggio. Non si dovrà mai dimenticare che, come afferma Redem-ptoris Missio 55, «il dialogo inter-religioso fa parte della missioneevangelizzatrice della chiesa». Ne viene una particolare esperienzadi chiesa pellegrinante che Dialogo e Annuncio presenta ai nn. 36-41, numeri che potrebbero utilmente essere tenuti presenti per unaecclesiologia storica.

Uno stile kenotico di vitaVissute a fondo, queste prospettive chiedono uno stile ade-

guato di vita; lo possiamo riassumere in uno stile kenotico, uno stileproprio di chi, guidato dallo Spirito, si abbandona alla sua azioneper essere effettivo strumento del regno. Un simile atteggiamento èparticolarmente importante per la missione d’oggi. Da una parte ilcolonialismo ed i governi corrotti che l’hanno seguito hanno ap-profondito la sofferenza di popoli interi, segnati dalla povertà e daldebito con l’estero, dalla mancanza di cure sanitarie di base e diadeguata istruzione; dall’altra il missionario e la chiesa – per i suoilegami con l’estero – sono facilmente visti come in grado di avere adisposizione un numero illimitato di risorse che sono all’origine diimponenti opere sociali.

Uno stile kenotico di vita appare allora indispensabile; sitratta di uno stile di partecipazione e di condivisione che operacome un ridimensionamento di attese eccessive ed irreali e di pro-gettualità che esaltino il fare e le sue opere per ricondurre al veroproblema di fondo di ogni missione: il rapporto con Dio, la rela-zione con lui. Non si può negare che ancora oggi, troppo spesso, ilmissionario evangelizzi da una posizione di superiorità; per questoha bisogno di avvicinare la missione da una prospettiva nuova, dauna prospettiva di povertà e di mancanza di potere. Solo cambian-do l’approccio alla missione si arriverà ad una fede che, resa vitacondivisa con un popolo, cresce insieme con la sua vita. Servo delVangelo e non suo padrone, nemmeno il missionario può smetteredi convertirsi a Dio, nemmeno il missionario può smettere di rima-nere in un atteggiamento continuo di ringraziamento e di testimo-nianza.

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Si può avere una sorta di controprova di questo nella presen-za di sacerdoti africani, latino americani o filippini nelle nostre dio-cesi italiane. La loro presenza ha caratteristiche del tutto particola-ri perché, in genere, vengono da una cultura premoderna e sonobuttati in un mondo postmoderno letteralmente a mani vuote; perquesto da una parte è irrealistico e illegittimo aspettarsi che agisca-no come noi, che facciano quello che abbiamo fatto noi, ma dall’al-tra questo limite è anche una opportunità per le nostre chiese, unaopportunità di rinnovamento di vita e di metodi se solo sapessimotrasformare la kenosis in kairos.

Non si può legare la missione ad una superiorità culturale, aduna tecnologia che modernizzi il sottosviluppo, ad una verità checombatta come superstizioni le forme religiose che incontra, ad unacultura che si contrapponga alle altre civiltà viste come arretrate.Noi andiamo nella giovani chiese dei paesi africani ed asiatici comestranieri e come ospiti: come stranieri siamo percepiti come diversi,come ospiti dobbiamo accettare ruoli e costumi che non ci appar-tengono. È vero che il confronto con il Vangelo è sempre stimolanteper ogni cultura, è vero che la stessa presenza del missionario edella fede cristiana ha una carica di sfida per queste religioni e perqueste società che, non raramente, vivono un risveglio e riprendo-no un loro cammino ma, per parte nostra, dovremo accettare questacondizione umile di collaborazione.

È probabile che, in una simile situazione, le stesse virtù apo-stoliche subiscano un forte cambiamento; se, tradizionalmente, sirichiedeva intraprendenza e creatività, coraggio e spirito di iniziati-va, oggi forse può essere più utile la deferenza e il rispetto. In ognicaso, però, occorrerà che il quadro generale esprima una sincera ri-cerca dei cammini di Cristo.

Operare per un mondo riconciliato e armonicoNonostante i confini delineino e affermino una identità, non

di rado i rapporto sociali all’interno di questa stessa realtà sono se-gnati da contrapposizione, ostilità e rifiuto. Di fatto, non semprestranieri e ospiti sono in buoni rapporti vicendevoli: l’ospitalità sicambia allora in ostilità e bisogna operare per riportare pace e re-staurare armonia. Nemmeno all’interno dello stesso gruppo etnicotutto è pacifico; la distruzione di passati equilibri sociali e l’intro-duzioni di modelli di vita fondati sull’accumulo di beni e sulla com-petitività hanno lasciato il segno nelle giovani nazioni del sud delmondo. Popoli africani, latino-americani ed asiatici vivono una vitasegnata dalla fame, dalla guerra e da tante altre miserie.

Di fronte a questi fatti, le scritture parlano di Cristo nostra pace,di riconciliazione dell’umanità in lui, di ricapitolazione di ogni cosain lui ma questa prassi di riconciliazione – anche dopo Reconciliatioet Paenitentia e dopo il giubileo del 2000 – non ha fatto grandi passi;

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la purificazione della memoria e le richieste di perdono, messe in attoda Giovanni Paolo II, hanno toccato corde reali della nostra storia manon hanno risolti i drammi del nostro tempo. Nemmeno i gesti diequità tra ricchi e poveri o di significativa riduzione del debito esterohanno segnato una svolta nelle relazioni internazionali.

È allora giocoforza riprendere il tema della riconciliazione. Sitratta di una tematica cara a Paolo57, della quale Barth aveva addi-rittura fatto l’asse portante della sua soteriologia; si tratta di una te-matica che ha ricevuto grande attenzione anche dai missiologi.Seguendo Comblin, R. Schreiter ha parlato di un triplice livello direalizzazione della riconciliazione: uno cristologico, che riconoscain Gesù il mediatore che riconcilia Dio con l’umanità attraverso unaazione trinitaria, un secondo livello di stampo ecclesiologico che –ad immagine di Gesù nel quale trovano pace giudei e gentili – fac-cia della chiesa un principio di unità e di comunione sia nei rapporticon Dio sia nella realtà di un mondo lacerato ed, infine, un terzo li-vello di tipo cosmologico in forza del quale anche il mondo vengaintegrato nella comunione con Dio. In effetti, solo una salvezza ca-pace di rendere ragione anche alle speranze millenaristiche saràuna vera, piena salvezza.

Questa inclusione di ogni realtà nell’opera salvifica di Cristoè preziosa e non può non venir presa sul serio dai cristiani. Unavera riconciliazione non può instaurarsi sopprimendo la memoriadel passato, con le sue vittime, e nemmeno può diventare una al-ternativa alla necessaria liberazione; va invece vista come il fruttodi quella identificazione di Dio con gli esclusi che R. Girard58 hatracciato con le sue tesi sul capro espiatorio: invece di legittimareuna coesione sociale ritrovata nella colpevolizzazione, nella espul-sione e nel sacrificio della vittima, il cristianesimo parla di un Dioche si identifica con le vittime ed, in questo modo, diventa per loromotivo di speranza. Ridare speranza, ricostituire l’amore per la vita,restaurare la gioia di vivere sono temi che appartengono alla mis-sione; la grandezza e la nobiltà di un popolo si misura anche daltasso di fiducia e di speranza che quel popolo sa mettere in circola-zione. Si apre qui un ampio spazio per la missione.

Concludendo, direi che il cambiamento della realtà della mis-sione è reale e si accompagna alla necessità di ripensare la vita cri-stiana e il cammino delle chiese. Fin d’ora è possibile intuire alcu-ne linee di fondo di questa trasformazione.

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Conclusione

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

57 2Cor 5,17-20; Rm 5,8-10; Ef 2,14-18.58 GIRARD R., La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980; ID., Delle cose nascoste sindalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983; ID., Il capro espiatorio, Adelphi,Milano 2002.

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Innanzitutto la missione, tradizionalmente fondata sull’inviounilaterale di uomini e mezzi, deve assumere il tono di una coope-razione tra chiese sorelle, una cooperazione fondata sulla recipro-cità e sullo scambio dei doni59. Non si potrà tacere che una esalta-zione sconsiderata del dono e della gratuità può generare dipen-denza e, invece di dar vita ad una promozione dell’altro, può co-struire legami che impediscono a chi ne è avvinto di saper costrui-re responsabilmente la propria strada. Tuttavia, anche se è semprepossibile che il dono coesista con una ingiustizia strutturale chedona il superfluo o che maschera come dono ciò che – più giusta-mente – è una restituzione, lo scambio di doni resta la via maestradei rapporti tra chiese unanimemente impegnate nell’unica missio-ne che Cristo ha assegnato loro.

In questa linea mi pare decisivo, per il futuro della missione,passare dalla trasmissione di un modello al risveglio di un soggetto;più che precostituire un modo di vivere il Vangelo e di essere chie-sa, si tratta di porre le basi perché un popolo con gli occhi della suacultura e la forza della sua fede. La pluralità di culture non rende in-toccabile nessun modello. Così, bisogna partire dai soggetti e, cam-minando con loro, provare a costruire un mondo di relazioni nuove,un mondo in cui ciascuno prenda responsabilmente in mano la sualibertà e scelga il cammino del bene.

Dagli interventi e ripresa del relatore

• Per superare il limite del moralismo che cosa la fede po-trebbe dire, ispirare e suggerire alla politica? Molto bello ed entu-siasmante il quadro e le prospettive di una Chiesa che si apre almondo. La mia difficoltà concreta è la Chiesa oggi più che comunitàsottolinea l’aspetto della burocratizzazione.

– La nostra Chiesa ha due evidenti limiti. È fondata sul vo-lontariato, che è un po’ il contrario della professionalizzazione.Tutto è volontariato: catechesi, liturgia, carità... tanto che la vita diuna parrocchia è legata formidabilmente al volontariato. Bene, maa volte c’è un certo atteggiamento dilettantistico nell’affrontare lecose, una mancanza di rigore e di professionalità. Questo porta allaclericalizzazione della pastorale, perché tutto dipende dal prete.Spero che, dietro questa Chiesa che è legata al volontariato e al cle-ricalismo, qualcuno si preoccupi dei fedeli, della necessità di trac-ciare itinerari, cammini. La nostra Chiesa deve fare molto camminosia sotto il profilo della valorizzazione dei laici che sotto quello

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59 At 20,35.

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della valorizzazione della donna, a cominciare da quelle consacra-te. Certamente questo è un cammino ancora molto lento e lungo.

– L’altra osservazione riguardava fede e politica e la domandaera ‘cosa può dare la fede per superare il limite del moralismo?’. Lafede può dare quello che ha, cioè il Vangelo di Cristo, la cosa a cuitiene di più e – tramite il Vangelo di Cristo – formare le coscienze inmodo maturo e adulto, perché i cristiani formati e maturi faccianoscelte mature e adulte, in sintonia con la loro fede. Il tentativo di in-dicare ai cristiani cosa devono fare e come devono comportarsi noncredo che sia un tentativo che oggi può avere vita lunga. Credo chequello che noi possiamo fare è formare le coscienze. Poi le personesceglieranno, faranno. Se hanno interiorizzato quei valori. Il veroproblema è che non esiste il cristiano adulto ma esistono una mi-riade di persone che sono cristiani dubbiosi, cristiani un po’ sicurima non tanto da fare scelte autonome. Sono queste moltissime fi-gure intermedie che dobbiamo imparare ad accompagnare, anche sequalche volta qualche dubbio e qualche perplessità l’abbiamo noisu noi stessi e sul nostro modo di vivere la fede. Perché alle perso-ne non dobbiamo dare quello che siamo noi, ma quello che è ilVangelo.

• Missione e stile kenotico: un binomio non sempre facile.Come congregazione, abbiamo fatto la scelta di essere più vicini allagente e meno preoccupati del fare e della grandi strutture... ma spes-so cozziamo contro la volontà dei vescovi locali che vogliono legrandi strutture, vogliono il fare.

– Credo che la domanda sia un po’ impietosa, ma sostanzial-mente fotografi la realtà. Dopo il crollo di tutta la realtà delle mis-sioni cinesi per la rivolta dei boxers e quindi il rifiuto di tutto ciò cheveniva dall’esterno, molti missionari si fermarono a chiedersi per-ché l’opera missionaria era crollata così miseramente e in così pocotempo. Guardando alla prima comunità cristiana descritta negli Attidegli Apostoli si nota, per esempio che Paolo stava a Tessalonica tremesi e quando se ne andava lasciava una Chiesa già sostanzial-mente formata. E invece capita spesso che quando noi andiamo viadalla missione lasciamo niente! Perché? San Paolo formava delleChiese, noi formiamo delle missioni che rimangono dipendenti dal-l’estero. Formare delle Chiese significa formare delle comunità ca-paci di una triplice determinazione, auto-organizzazione, che ab-biano cioè quei preti, quei consacrati e quei vescovi di cui hanno bi-sogno per la loro vita. San Paolo prima di partire trovava i leaderdella comunità. Auoto-organizzazione e auto-sostentamento. Unacomunità deve avere le opere di carità che può portare avanti e deveavere la capacità di mantenere i suoi preti e i suoi operatori di pa-

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storale. E infine auto-diffusione, mandando in giro per il mondo isuoi missionari per l’annuncio del Vangelo.

• Una precisazione sul modello di cooperazione missionariache spesso si risolve in invio dal nostro mondo di denaro e mezzimateriali.

– Il modello biblico ed ecclesiale a cui ispirare la cooperazio-ne è quello dello scambio dei doni. Oggi si mette sotto accusa laspersonalizzazione del dono. Nella nostra società non si esaminapiù la figura del donatore, ma – eliminando il donatore ed elimi-nando colui al quale il dono è dato – il dono resta semplicementeuna cosa che costa o non costa. Lo scambio dei doni implica il ri-trovare il significato personale del dono. Cosa vuol dire fare undono? Vuol dire che io reputo quel gesto espressivo della mia vita edella mia identità.

Fare un dono di persone e di mezzi a un’altra Chiesa non vuoldire aiutarla, vuol dire riuscire finalmente ad essere quello che iodevo essere, un cristiano che ha l’anima aperta al mondo intero. Ildono non è la cosa bella che il donatore ha fatto, ma è nel dono cheil donatore si realizza tanto che non può esistere senza il donare. Sela Chiesa italiana non dona, ma è davvero la Chiesa di Gesù Cristo?Quindi il dono esprime il cammino che una Chiesa fa per ritrovarese stessa. Donare vuol dire finalmente arrivare ad essere una Chiesache è capace di generare i suoi preti, che è capace di sostenere lesue opere di carità, ma è capace di avere il cuore largo come loaveva Cristo. Questo non è una medaglia in più da mettere sullabandiera della Chiesa italiana, questo è semplicemente l’arrivare adessere ciò che dobbiamo essere. Senza questa apertura universalenon siamo Chiesa o siamo un accidenti di Chiesa!

Come è indispensabile il donatore così è indispensabile, peruna reale considerazione del dono, colui al quale il dono è dato.Cosa vuol dire ricevere un dono? Vuol dire essere chiamati in gioco.Se il donatore appartiene all’essenza del dono, all’essenza del donoappartiene anche colui che lo riceve. Colui che riceve un dono èchiamato in gioco, è chiamato ad una risposta. Se il dono è un donoradicato nella vita cristiana, è una risposta di vita cristiana che unodovrà dare.

Soltanto intendendo la cooperazione non come uno scambiodi uomini e di mezzi, ma come uno scambio di doni che mette ingioco la personalità di chi dona, possiamo realizzare una autenticacooperazione tra le Chiese.

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Tavola Rotonda

• Quando irruppe il futuro: il Concilio Vaticano II ci interpella

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Quando irruppe il futuro:il Concilio Vaticano IIci interpella

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S. E. Mons. LUIGI BETTAZZI - Vescovo emerito di Ivrea

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A me verrebbe quasi da dire che i primi convertiti del Conciliosono stati i vescovi. Questa è la grandezza del Concilio.

Quelli che vi parteciparono tante cose le portavano già den-tro, ma erano timorosi. Il Concilio riuscì a portarle fuori, aiutando-li a dire quello che pensavano. È così che progressivamente maturòla grandezza di quell’evento ecclesiale. Come in tanti altri casi, l’i-niziativa di rinnovamento partì dal basso.

Poi fu importante papa Giovanni. Anche lui portava già den-tro di sé tanti germi concliari.

Un famoso politico di Roma (di cui non vi dico il cognome,solo il nome: Giulio!) ha sposato la nipote di un certo monsignorBelvedere, il quale era segretario del cardinale Svampa, e ha scrittoun libretto in cui racconta che agli inizi del ’900 quattro studenti diRoma, due del Laterano e due del Capranica, approfittavano dellasosta che c’è dalle quattro e mezzo alle cinque e un quarto nei col-legi romani e trovavano la scusa di andare alla Chiesa del Gesù perfare la visita al Santissimo. Fuori dalla Chiesa però parlottavano tradi loro. Si trattava di Ernesto Bonaiuti, Alfonso Manarresi, GiulioBelvedere e Angelo Roncalli. I quattro del Gesù, come recita il titolodel libretto che ho ricordato.

Conservo anche un piccolo ricordo personale.Quando nel 1951 (ero appena tornato dagli studi) volevo im-

parare un po’ di lingue andai a Parigi e il mio arcivescovo, il cardi-nale di Bologna, mi disse: “Se vai a Parigi, va’ a salutare il nunzioche è un brav’uomo”. Andai a salutare il nunzio, che era Roncalli, emi disse: “Ma lei ha degli hobby?”. “Eccellenza, ho appena comin-ciato a insegnare, è già molto se mi preparo bene”, gli risposi.

“Io due hobby ce li ho”, riprese Roncalli. “Il primo sono i libriantichi. I miei colleghi lo sanno e quando vogliono farmi un regalome ne regalano uno. Ne ho già raccolti almeno una trentina. Il se-condo hobby è che mi interesso delle visite pastorali di san CarloBorromeo alla diocesi di Bergamo”.

Cosa faceva san Carlo Borromeo nella diocesi di Bergamo?Attuava il Concilio di Trento! È anche così forse che papa Giovanni

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XXIII ha capito l’importanza di un Concilio nella storia dellaChiesa!

Papa Giovanni, all’inizio del Concilio, ha compiuto due gestiimportanti.

Il primo fu quello di istituire una segreteria del Concilio chenon coincidesse con l’apparato della Curia romana. Quest’ultima in-fatti aveva già preparato i testi, le commissioni ... bastava votare.Papa Giovanni invece dette ragione ai vescovi che chiedevano piùpartecipazione e dopo soli tre giorni era già cambiato tutto! I ve-scovi cominciarono a rendersi conto che molto dipendeva da loro.

Il secondo episodio si riferisce alla presentazione del docu-mento sulle fonti della rivelazione.

Molti vescovi erano intenzionati a cambiare lo schema che erastato preparato, ma non riuscivano a raggiungere il quorum neces-sario di due terzi di voti. Papa Giovanni si rese conto e prese la suadecisione: “Per stavolta faccio il papa, lo rimando a cambiare io”.

Importanti furono anche i quattro moderatori voluti poi daPaolo VI: Lercaro, italiano; Döpfner, tedesco; Suenens, belga; Aga-gianian, armeno, espressione della Curia. Noi dicevamo che eranocome i quattro evangelisti ... per fortuna tre erano sinottici!

Il primo documento approvato dal Concilio fu quello sullaLiturgia. Sembrava fosse il più facile. I coltelli spirituali infatti si vo-levano lasciare affilati per ben più difficili discussioni!

Invece ci si rese conto che lo schema sulla Liturgia portavaluce anche su altri temi come, ad esempio, su quello della Parola diDio.

La Dei Verbum contribuì a superare l’idea che la fede consi-stesse nel conoscere le verità di fede o gli insegnamenti dei concili.Chi non li accettava era scomunicato.

Il Concilio invece riconobbe che essere cristiani è dir di sì aDio che parla. Certo, ci vuole la garanzia della comunità e, all’in-terno di essa, di chi ha la responsabilità. Ma quella è la cornice,l’importante resta il quadro: si obbedisce alla Parola di Dio, e laChiesa garantisce l’incontro con la Parola di Dio. Questo fu un pas-saggio fondamentale. Padre Benedetto Calati diceva che fu questaanche la radice di tutto il rinnovamento liturgico.

Fu in questo modo che, poco alla volta, il Concilio aprì laChiesa al futuro.

Per farvi capire in cosa consistette il cambiamento di pro-spettiva vi racconto cosa ebbe a dirmi un vescovo del Burundi chesedeva in aula accanto a me. Era più anziano di me e mi diceva:“Con voi europei non si può parlare. Ogni volta che sorge un pro-blema rispondete con il canone di qualche concilio passato, pen-

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sando così di aver risolto tutto! Ma Lei pensi che quando il primomissionario è arrivato nella mia tribù io avevo appena quindicianni. Nel mio villaggio eravamo tutti dei buoni animasti. Cosa vuoleche in Africa pensiamo al passato, noi guardiamo il futuro!”.

In realtà tutto il Concilio fu un vero guardare al futuro. Fral’altro direi che il Vaticano II fu il primo Concilio veramente ecu-menico. I precedenti infatti furono mediorientali all’inizio, poi me-diterranei e infine latini. È vero che al Vaticano I giunsero rappre-sentanti da tutto il mondo, ma si trattava di vescovi europei missio-nari.

Il primo veramente ecumenico a carattere universale è statoproprio il Vaticano II. Una caratteristica non da poco per capirnel’apertura. I vescovi vi portarono tutto quello che avevano dentro,rendendosi conto che la loro cultura, il loro popolo e la loro storiaerano diversi da quelle degli altri.

In fondo il grande problema della Chiesa cominciò fin dall’i-nizio, quando sembrava che per essere cristiani bisognava essereanche ebrei. Gesù era ebreo, la Madonna ebrea, gli apostoli ebrei.San Pietro provò a cambiare qualcosa col centurione Cornelio, madovette giustificarsi riconoscendo di non poter dir di no allo SpiritoSanto (cfr. At 10). Poi arrivò san Paolo. Helder Câmara confessava:‘Tutti i giorni ringrazio san Paolo, perché, se non vinceva lui, biso-gnava circoncidersi tutti!”. Ricordo questi episodi per dire comequello del pluralismo delle mentalità, fu il primo grande problemadel cristianesimo.

Vedete come, a partire dal rinnovamento liturgico, la Paroladi Dio è diventata qualche cosa di vivo. La stessa fede cominciò aconcepirsi come l’atteggiamento dell’uomo che si mette a tu per tucon Dio per rispondergli di sì. La liturgia non consisteva nell’assi-stere alla messa, magari recitando il rosario mentre il prete conti-nuava a ripetere le sue preghiere.

La liturgia celebra Gesù Cristo, che ha vissuto la vita comepreghiera, ed è entrato nell’eternità dicendo: “Padre nelle tue maniabbandono il mio spirito ... perdona loro” (cfr. Lc 23,46; 23,34). Perquesto non si può assistere, ma si partecipa alla santa Messa.

Dice l’evangelista Giovanni che Gesù, inclinato il capo,“Emise lo spirito” (Gv 19,30). E cioè ha cominciato a donare lo Spi-rito Santo. È quanto si ripete ad ogni eucaristia. Per questo la santaMessa è sempre inizio di una nuova missione. Il famoso “Ite, missaes’”, non vuol dire “andate finalmente in pace”, ma che ora ci at-tende nella di tutti i giorni qlo stesso atto di abbandono al Padre edi dedizione agli altri in cui siamo stati inseriti e per cui il Signoreha effuso lo Spirito Santo.

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Voi siete missionari, andate a vedere le messe in Africa e inAmerica Latina. Lì si capisce che cos’è veramente una messa parte-cipata: la festa, la gioia della gente che è la loro preghiera!

È ancora dalla liturgia che prende corpo la Chiesa. La Chiesaè Gesù Cristo e chi è con lui. A chi è inserito in Lui nel battesimo eravvivato dall’eucaristia, Gesù Cristo svela il valore della vita uma-na. È questo il senso di Gesù come profeta. Profeta, infatti, è coluiche parla a nome di Dio, e svela con la sua vita come Dio vuole cheviva ogni persona umana. E così che anche ognuno di noi è chia-mato ad essere profeta.

La gente, a volte, di qualcuno dice: “Quello è proprio uno checi crede”. Quello è essere profeti: uno che porta gli altri a dire: “Valela pena vivere così!”.

Lo stesso deve dirsi del nostro essere sacerdoti: santificatoridel mondo. Lo siamo tutti, sempre in forza del nostro battesimo. Etutti siamo anche re. Il re è quello che raduna i diversi e porta unitàe fraternità. Gesù Cristo è venuto a portare la pace in terra per gliuomini che Dio ama (cfr. Lc 2,14). Ognuno di noi è re, perché chia-mato ad essere portatore di pace.

A me piace ripetere che quando arriveremo in paradiso, ma-gari troveremo che la maggioranza non è di cristiani. D’altra partetutti i cristiani sono un miliardo e mezzo, mentre il resto dell’uma-nità supera i quattro miliardi. Ma a parte questa considerazione unpo’ scontata, è vero che abbiamo spesso pensato che ci saremmosalvato noi soli.

Il cristiano invece, la Chiesa, non sono esclusivi. Sono comeil lievito. Essere cristiani non è quindi un privilegio, ma una re-sponsabilità. Con questo non si dice che deve finire l’impegno mis-sionario. Anzxi, sarà ancora più necessario. Ma si tratterà di daretestimonianza. Se poi alcuni si faranno cristiani, tanto meglio. Manel frattempo è importante che ognuno diventi migliore per quelloche è: un musulmano migliore, un indù migliore, un buddista mi-gliore, ...

È così che in un mondo in cui ognuno fa gli affari suoi, sipotrà dire ancor oggi dei cristiani: “Guardate come si amano!”.

E ancora solo così potrà progredire l’ecumenismo: se chi ènato valdese ed è cresciuto così, crede bene in Gesù Cristo per comeha imparato; se chi è musulmano, e Dio lo ha conosciuto così, viveda buon musulmano volendo bene agli altri, evitando quell’intolle-ranza in cui siamo incappati anche noi.

Fu questo lo spirito che portò alla stesura della quarta costi-tuzione, la Gaudium et spes, che insegnò a vedere quanto bene c’ènel mondo e che il futuro che attendeva tutti non poteva che co-minciare dal valorizzarlo.

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Quando irruppe il futuro!Il Concilio Vaticano IIci interpella

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Don LENZO LENZI - docente di Storia Ecclesiastica

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

È probabile che la relazione che sto per presentare comportipiù problemi che soluzioni. D’altra parte gli storici pongono sempreproblemi. A volte complessi. Ma è anche così che permettono ai ve-scovi e ai teologi di comprenderli, chiarirli e risolverli.

Ho interpretato il tema Quando irruppe il futuro nel senso diindicare come nella vita della Chiesa, fin dall’inizio dell’800, sierano registrate tematiche e problemi che non trovarono subito ade-guata risposta. Le tensioni che ne derivarono durarono a lungo e fi-nalmente esplosero nel Concilio Vaticano II. Di conseguenza si puòcapire perché non abbiamo avuto semplicemente “un” Concilio, ma“quel” Concilio, coi temi, le tensioni, i capovolgimenti di posizionitradizionali e gli strascichi che ne seguirono.

Tra le molte tematiche conciliari ne prenderò in considerazio-ne due: l’ecclesiologia e la libertà religiosa. Sono emblematiche dicome giunse a maturazione una risposta a questioni irrisolte percirca 150 anni.

Lo schema De ecclesia presentato al Concilio Vaticano I pren-deva avvio con la descrizione della Chiesa come corpo mistico diCristo. Parlare della Chiesa secondo questa immagine biblica oggi ap-pare ovvio, ma intorno al 1870, anno in cui fu celebrato il Vaticano I,non lo era. Per questo quell’inizio dello schema sulla Chiesa venne re-spinto quasi all’unanimità dai Padri conciliari. Non sembrò opportu-no iniziare una costituzione conciliare con un termine metaforico,come fu detto da un Padre del concilio, e che neppure si sapeva infondo quel che veramente volesse dire Si iniziò a discutere lo schemadal capitolo successivo, ma alla fine, per le pressioni di coloro che vo-levano definire subito i dogmi riguardanti il papa, ne venne estratto ilcapitolo sul romano pontefice per farne una costituzione autonoma,quella che contiene la definizione dei dogmi del primato del vescovodi Roma e della sua infallibilità personale.

Non si può che ripartire da qui per renderci conto di qualisiano stati gli sviluppi connessi al tema dell’ecclesiologia.

L’ecclesiologia

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Per capire cosa è avvenuto dei secoli XIX e XX bisogna ricor-dare che dal 1879 per volere del papa Leone XIII la teologia catto-lica è stata elaborata secondo il pensiero di san Tommaso (+ nel1274) gradissimo filosofo e teologo. Ma san Tommaso non ha maipubblicato un trattato sulla Chiesa pur avendone illustrato alcunitemi nella sua teologia della eucaristia. Il moderno trattato DeEcclesia ha quindi un’altra origine. Alcuni problemi riguardanti laChiesa sono stati affrontati al tempo della lotta per le investiture(sec. XI). Ne trattano ampiamente i libelli de lite, cioè gli opuscoli fi-nalizzati a chiarire il problema del momento e cioè se fosse il papao l’imperatore a comandare sui vescovi e in genere su tutta la so-cietà. Un problema perciò giuridico, di potere e anche di vertice:papa o imperatore? Quegli opuscoli sono l’origine del moderno trat-tato De Ecclesia: l’ecclesiologia nasceva in chiave giuridica.

Nel periodo del grande scisma d’occidente, durante il qualedue e poi tre papi affermavano di essere il vero papa, senza che nes-suno arrivasse a dimostrarlo, si pensò che l’organo supremo dellaChiesa fosse il concilio ecumenico, le cui decisioni sarebbero stateeseguite sotto la direzione del papa (teoria che fu detta conciliari-smo). Così il concilio avrebbe potuto decidere chi fosse fra i tre ilvero papa. Ma al concilio di Costanza nel 1417 fu eletto un papa ri-conosciuto da tutti e i cui teologi iniziarono una lotta vittoriosa con-tro il conciliarismo. Anche in questo caso, però, si discusse solo dichi avesse il potere nella Chiesa. Si rafforzò l’affermazione, giustama incompleta, che lo avesse il vescovo di Roma. L’ecclesiologia an-dava ancora avanti sul piano giuridico e di vertice.

Verso la fine del secolo XVI e all’inizio del XVII, dopo lo sci-sma luterano seguito da quelli calvinista ed anglicano, era prevalsauna ecclesiologia apologetica. L’intento era quello di dimostrare aiprotestanti (luterani e calvinisti) e agli anglicani che la Chiesa diCristo coincideva con la Chiesa cattolica romana. Il teologo cattoli-co, per dar prova di oggettività, si poneva dal punto di vista di chi,fuori da ogni chiesa, cercasse di capire quale fosse quella vera: inprimo luogo stabiliva quali caratteristiche ne avesse indicato GesùCristo, cioè quali fossero le “note” distintive della chiesa di Cristo;osservava le varie chiese in ciò che si poteva vedere in esse dall’e-sterno e infine dimostrava che quelle note si trovavano nella chiesacattolico romana e non nelle altre tre. Da questo metodo derivavauna ecclesiologia vista dall’esterno, dell’aspetto visibile dellaChiesa, una ecclesiologia che oggi definiamo sociologica, non teolo-gica, non considerata anche nella sua realtà invisibile, alla lucedella rivelazione divina. I teologi più grandi ne vedevano, alla lucedella fede, anche la realtà interiore, mistica e ne parlavano nelleloro opere. Ma ciò che più interessava in quel momento erano lecontroversie con protestanti ed anglicani su quale fosse la vera chie-sa. Proprio questo fu ritenuto nel periodo successivo, unitamente a

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quanto elaborato nei secoli precedenti. L’ecclesiologia risultava cosìnon solo giuridica e verticistica, su chi detenesse il potere nellaChiesa, ma anche sociologica, lontana dalle immagini bibliche,come quella di Corpo di Cristo e le altre già note.

A questa ecclesiologia prevalente, nel secolo XVIII fu pre-messa una prima parte per dimostrare che proprio Gesù aveva fon-dato la Chiesa, dato che questo veniva negato. Lo schema del trat-tato sulla Chiesa era quindi il seguente: Cristo ha fondato la Chiesa,che è quindi la vera religione; la Chiesa di Cristo è quella cattolica,apostolica, romana; è guidata dal papa.

Tuttavia, pure in un contesto come questo, nel corso dell’800cominciò a fare breccia un’altra concezione della Chiesa. Nel 1825,un grande studioso tedesco dei padri della Chiesa, G. A. Moehler,pubblicò un’opera, L’Unità della Chiesa (1825), dove affermava chela Chiesa è una perché è lo Spirito Santo che riunisce tutti i suoimembri in un’unica realtà. Una visione di Chiesa che oggi chiamia-mo pneumatologica, fondata cioè sulla vita dello Spirito. Il contra-rio di una ecclesiologia giuridica.

All’incirca in quegli anni, il nostro Rosmini, nella famosaopera Delle cinque piaghe della Chiesa, scritta nel ’32 ma pubblica-ta solo nel ’48, quando sembrava ci fosse un pochino più di libertàper esprimere le proprie idee, e messa all’indice poco dopo, indicala prima di queste piaghe nella divisione fra il clero e il popolo nelculto. A quel tempo infatti la liturgia era celebrata in un linguaggioche il popolo non capiva, il latino, né conosceva la Bibbia, per cuinon avrebbe potuto capire bene il senso delle letture anche se fos-sero state fatte in italiano o il valore di alcune locuzioni come adesempio “nuova ed eterna alleanza”, né afferrava il senso dei segniliturgici. Per superare questa difficoltà, nel pensiero di Rosmini, sidoveva celebrare una liturgia, nella quale clero e popolo formasse-ro un’unica comunità celebrante: il popolo di Dio sacerdotale.Anche qui eravamo però ancora agli antipodi dell’ecclesiologia uffi-ciale. Eppure, nella stessa Università Gregoriana, un gruppo di teo-logi (Perrone, Passaglia, Franzelin e Schrader) avevano già messoin evidenza come per i Padri della Chiesa questa non fosse unarealtà giuridica. Sono fatti che mostrano come in un quadro di ec-clesiologia giuridica, sociologica e verticistica, apparisse una visio-ne meno giuridica e più mistica: Chiesa popolo di Dio sacerdotale,comunità animata dallo Spirito Santo. Una visione di pochi, ma so-lidamente fondata sulla Bibbia e sui Padri della Chiesa. Purtroppoignorata dalla maggioranza dei teologi e dalla Gerarchia. L’opera delRosmini appena ricodata fu messa all’Indice dei libri proibiti.

Così avvenne che il Concilio Vaticano I definì il primato delpapa come potestà ordinaria, cioè sua propria e non delegata dallaChiesa, su tutti i cristiani e la sua infallibilità personale nel defini-

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re ciò che è contenuto nella rivelazione. In quanto tale il SantoPadre può e deve definire i contenuti della fede, dare direttive conil diritto di chiedere obbedienza a tutta la Chiesa universale.Un’accentuazione così verticistica portava a cogliere l’essenza dellaChiesa nella trasmissione dell’autorità di Cristo al vescovo di Roma.Fatto giuridico. Vicario di Cristo, il papa poteva e doveva guidareverso Dio tutti gli uomini e, in particolare, i cristiani. Questo poteredato da Cristo al papa era considerato l’essenza della Chiesa. Moltipensarono che i concili ecumenici fossero ormai inutili.

Nei primi anni del ’900, si manifesta al grande pubblico il mo-vimento detto “Modernismo”, una corrente di molti studiosi checontemporaneamente, ma senza alcun piano coordinato, applicanoil metodo storico-critico allo studio della Sacra Scrittura, della sto-ria della teologia e del dogma e alla storia dei primi secoli dellaChiesa. In questo modo si cominciò a parlare di molte novità im-pensate. Mentre molti seri studiosi presentavano i risultati delleloro ricerche quando si trattava di risultati certi, alcuni studiosi pre-sentarono una teoria con buoni fondamenti ma dai quali si deduce-vano conseguenze eccessive, che fecero molto clamore anche frapersone non preparate a capire quei problemi. Sintetizzando mol-tissimo, per dare appena una idea, proponevano una nuova teolo-gia, nuovi dogmi, nuova liturgia e nuovi sacramenti, nuova morale,nuova strutturazione giuridica, morale e pastorale della Chiesa. Iltutto adatto ai tempi moderni; donde il nome di Modernismo.L’ecclesiologia era particolarmente interessata. In Vaticano c’eranosoprattutto studiosi di san Tommaso, non preparati allo studio deitesti biblici e patristici con quel metodo. Ebbero l’impressione chepotesse crollare tutto il sistema di vita della Chiesa. Pio X condannòin blocco tutti coloro che usavano quel metodo di ricerca (EnciclicaPascendi 1907). Condannò quindi quella corrente, senza distingue-re le posizioni degli studiosi più seri dagli altri, come “la sintesi ditutte le eresie”. E senz’altro così era senza dubbio, per una parte diessi.. Ma che i problemi ci fossero e chiedessero risposta, anchequesto era evidente.

La condanna del modernismo fu così severa e generale che glistudi cattolici nel campo della Sacra Scrittura, della storia del dogmae della teologia e in parte anche della storia antica della Chiesa, sibloccarono per circa venticinque anni. Ma tutti gli studiosi, anche dicapacità non eccelse, si rendevano conto che l’ecclesiologia formata-si dal Medio Evo in poi non era quella della Bibbia e dei Padri dellaChiesa. Prima o poi il problema sarebbe esploso in forme nuove epiù aderenti alle fonti bibliche e patristiche.

Solo dopo il 1930 si assistette alla riscoperta di una teologiapiù viva, autentica e profonda della Chiesa, che anticiperà tutti itemi che poi saranno ripresi dal Concilio Vaticano II. Padre Mersch,

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nel 1933 pubblicava Il Corpo mistico di Cristo. Studi storici sui padrigreci, ripresentando così quell’immagine di “corpo mistico di Cristo”abbandonata al Concilio Vaticano I. Nel 1938 usciva un libro anco-ra utilissimo da leggere: Cattolicesimo, di Henry de Lubac, che, inbase ad un profondissimo studio dei Padri, presentava in modo rin-novato molti temi della fede trascurati dalla teologia neotomista, ein particolare quello della Chiesa come comunità per vivere la co-munione con Dio, come corpo mistico di Cristo. Nel 1943 uno stu-dioso belga della Bibbia, Cerfaux, pubblicava La théologie de l’égli-se suivant saint Paul, mettendo in evidenza che, per san Paolo, laChiesa è in primo luogo il popolo di Dio. De Lubac presentava poiun volume sui rapporti fra natura e grazia, che scatenò una grossacontroversia fra i neotomisti, soprattutto italiani e francesi, e ungruppo di teologi francesi, di cui facevano parte lo stesso De Lubac,Congar, Chenu, Danielou ed altri meno noti, e che fu detto NouvelleThéologie. In questo periodo comincia ad essere molto noto inGermania Karl Rahner, che, con una buona conoscenza della S.Scrittura e dei Padri, elaborava una teologia nella quale il tomismoera confrontato e rivisto alla luce di Heidegger, grande filosofo dellaprima metà del Novecento. Rahner giungeva così a risultati nuovi eprofondi, inizialmente poco noti in Italia, contro i quali le facoltà ro-mane non polemizzarono.

In questo periodo Pio XII, nell’enciclica Mistici corporis del1943, presenta di nuovo la Chiesa come corpo mistico, identifican-do questo corpo con la Chiesa visibile. Nello stesso anno firma laDivino Afflante Spiritu, utile apertura degli studi biblici al metodostorico-critico, che si era nel frattempo generalizzato. E sarà ancoraPio XII nell’enciclica sulla liturgia Mediator Dei (1947), che propo-ne una buona impostazione dei concetti fondamentali della liturgiae afferma che il ruolo dei fedeli laici nella Messa non è solo di ascol-tarla, ma di parteciparvi, pur negando che i battezzati fossero sa-cerdoti. Ma love idee della Nouvelle teologie e quelle della MysticiCorporis, che avrebbero potuto e dovuto rinnovare completamenteil trattato sulla Chiesa, non erano state recepite dalla manualisticadel tempo. Il De ecclesia del Parente, teologo romano di notevole va-lore e molto noto in Italia, riproponeva ancora lo schema di sempre:fondazione della Chiesa da parte di Gesù, le note per riconoscere lavera chiesa, i poteri della Chiesa, i poteri del papa. Il capitolo sul“Corpo mistico di Cristo” era inserito alla fine del trattato e nondava certo il tono e l’impostazione fondamentale al trattato stesso.Quasi tutti i seminari italiani adottavano questo testo.

Ma nel 1950, si manifestò in Pio XII un ritorno a posizioni delpassato. Nell’enciclica Humani generis condannava le idee dellaNouvelle Théologie e di altri teologi non nominati, quando costata-

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va che: “Quanto viene esposto nelle encicliche dei sommi ponteficicirca il carattere e la costituzione della Chiesa, viene da certuni diproposito e abitualmente trascurato, con lo scopo di far prevalere unconcetto vago che essi dicono preso dagli antichi padri, special-mente greci”. Inoltre tutto il modo di agire delle Congregazioni ro-mane e del papa stesso rimaneva fortemente centralizzato, smen-tendo con i fatti la concezione della Chiesa meno giuridica e accen-trata, quale avrebbe potuto derivare dalla sua concezione mistica eancor più da quella di popolo di Dio.

È noto che l’elezione al soglio pontificio del card. Roncalli,che fu papa Giovanni XXIII, aveva portato nella S. Sede grandi ele-menti di novità, criticate da molti suoi elementi, e fra le quali prin-cipalissima l’idea della convocazione del concilio. Diamo questoper noto. Al Concilio Vaticano II si arrivò, appena 12 anni dopol’enciclica Humani Generis, in una situazione, per così dire, para-dossale: le facoltà teologiche romane e la Santa Sede mantenevanola concezione della Chiesa del secolo precedente, che abbiamo de-finito giuridica, verticistica, e sociologica. La maggioranza dell’epi-scopato tedesco e francese, invece, che aveva studiato a Lovanio oin altre università o facoltà teologiche tedesche e francesi, avevamaturato una mentalità diversa, più aperta alla visione di popolodi Dio e insieme mistica della Chiesa. La divergenza profonda traquelle due mentalità si registrava apertamente a diversi livelli. I ve-scovi italiani e molti spagnoli seguivano la S. Sede. Ma la maggio-ranza degli altri seguivano l’ecclesiologia della Nouvelle Théologie,fondata sulla Bibbia e sui Padri della Chiesa e non sulle contro-versie medievali e le successive. Il fatto che a Roma non fosse statoaccettato il rinnovamento biblico e patristico iniziato dell’Ottocen-to e che aveva portato alla Nouvelle Théologie aveva creato questasituazione.

Finché i vescovi andavano in visita ad limina uno ad uno, nonriuscivano a prevalere sulla teologia romana. Ma quando si trova-rono tutti insieme e con quasi tutti i teologi maggiori presenti, e inmaggioranza fautori della nuova visione, scoppiò una forte tensio-ne; si delineò una notevole maggioranza a favore di quella conce-zione lentamente maturata e sempre bloccata e ancora non accetta-ta dalla teologia romana.

Fu in tale contesto che maturò la costituzione conciliareLumen Gentium sulla Chiesa, che non fu certo un fungo nato all’im-provviso, dopo la prima pioggia di settembre e il ritorno del sole.Abbiamo visto come fosse stata preparata da un lungo cammino diricerche serie di carattere biblico e patristico e, al tempo stesso,dalla difficoltà romana di accettarle. Nella Lumen Gentuim, ricor-rendo alle molte immagini bibliche della Chiesa (Corpo mistico,

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Popolo di Dio convocato ed alleato con Lui, Sposa di Cristo, tempiodi Dio, vigna del Signore ed altre) si analizza prima di tutto il mi-stero della Chiesa, comunione degli uomini con la Trinità Santa, poiil popolo di Dio profetico sacerdotale e regale, quindi l’episcopato,il laicato, la vocazione di tutti i membri della Chiesa alla santità.Questa impostazione metteva in evidenza in primo luogo la realtàinvisibile della Chiesa, che non è quindi una fatto sociologico; poila sua realtà visibile, di comunità nella quale chierici e laici sonochiamati alla santità ed hanno il compito comune di celebrare lelodi Dio ed annunziare il suo regno. Quindi la Gerarchia e i suoi po-teri. Successivamente i laici e la loro missione. Anche solo da que-sto accenno si vede che la concezione passata della Chiesa era deltutto superata ed abbandonata, con grossa sorpresa e forti critichedi molta persone del clero e del laicato

Collegialità e primatoPossiamo esaminare ora due problemi specifici, per vedere

meglio la novità della Lumen Gentium e sui quali, prima della suaapprovazione, nacquero in concilio fortissime discussioni: il rap-porto fra il vescovo di Roma e gli altri vescovi e il ruolo dei laicinella Chiesa. Il primo problema nasceva dal fatto che il rinnova-mento biblico aveva messo in evidenza che Pietro aveva agito sem-pre insieme al collegio degli apostoli di cui era il capo. La Chiesaquindi è fondata sul collegio degli apostoli, non sul solo Pietro; siesprimeva questo fatto con il termine di “collegialità” A sua volta, ilrinnovamento patristico aveva mostrato che la coscienza del prima-to era emersa molto lentamente nella Chiesa. Inoltre, la storia dellaChiesa metteva in evidenza la prassi sinodale dei vescovi dei primisecoli della Chiesa, che decidevano riuniti in sinodi locali le lineepastorali da seguire e in sinodi ecumenici i più seri problemi di fede.Emergeva di nuovo la collegialità della Chiesa. In questo contesto ilmodo di esercizio del primato da parte del papa, non che non cifosse, ma fino all’anno 1000 era diversissimo. Come noi lo cono-sciamo, ebbe origine nel secolo XI, con la riforma di papa GregorioVII. In quegli anni erano i sovrani temporali che sceglievano i ve-scovi fra uomini a loro fedeli. I vescovi risultavano così uomini po-litici, spesso dei militari, i quali prestavano giuramento al sovranofeudale, che nell’Impero germanico li investiva del potere politico(in quanto conti) dando loro la spada e di quello spirituale (comevescovi) con il pastorale. Nei regni fuori dell’impero i vescovi nonerano anche conti, ma egualmente erano scelti dal sovrano con cri-teri e per esercitare funzioni politiche. Questo fatto, che si verifica-va in tutta la Chiesa, ebbe gravissime conseguenze spirituali e mo-rali, dato che gli uomini scelti con quei criteri non erano preparati afare il vescovo. Tutto questo non poteva non finire: scoppiò la lottadelle investiture, a cui abbiamo già accennato. Papa Gregorio VII,

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proibì all’imperatore e ai re di scegliere e dare l’investitura ai ve-scovi e chiese a questi una vita moralmente corretta. Ma i vescoviscelti dai sovrani erano contrari alla riforma spirituale e moraledella Chiesa, anche se voluta da un imponente movimento di chie-rici, di monaci e di laici, alla testa dei quali si pose il papato e, so-prattutto, Gregorio VII. I vescovi imperiali risposero a Gregorio VIIdeponendolo come eretico e falso monaco, lui che era monaco be-nedettino di Cluny. Chi ricorda la storia medievale queste cose le sagià. Per attuare la riforma il papa dovette sottrarre ai vescovi moltiloro poteri. Cominciò così un duplice processo: il papato emergevasempre più sui vescovi e la vita della vita della Chiesa veniva sem-pre più accentrata a Roma. Fino ad allora il papa, come centro del-l’unità della Chiesa, interveniva solo nei momenti di pericolo del-l’unità della fede nei concili generali, nei quali vescovi e papa in-sieme decidevano ed indicavano quale fosse la vera fede.. Resta-vano però ai vescovi le decisioni sui problemi pastorali delle variezone. A poco a poco, invece, tutto andò concentrandosi nella SantaSede. Si sviluppò la Curia romana, prima un gruppo di sacerdoti ro-mani, poi un organismo sempre più numeroso.

Questa situazione, richiesta senza dubbio dalla vita dellaChiesa, era però giunta al punto da far attrito con i dati del NuovoTestamento e la prassi della Chiesa antica. D’altra parte il dogmadel Vaticano I dichiarava chiaramente il primato del papa. Ma nonaveva detto niente del ruolo dei vescovi. Era necessario completar-lo. Al Vaticano II, una minoranza di Padri temeva che la collegialitàsi opponesse al primato; cioè che si volesse così correggere il dogmadel Vaticano I, mentre i dogmi sono irreformabili. La maggioranzaperò voleva solo completarlo. Lo scontro durissimo fra le due partiportò al capitolo III della Lumen Gentium che tutti conosciamo. Unoscontro però che continuò nel post-Concilio, risalendo a tensioni ra-dicate in circa un secolo e mezzo di storia.

Il laicatoIl problema del laicato era teologicamente meno delicato.

Anche il laicato aveva vissuto, nella seconda metà dell’800 e nellaprima del ’900, una stranissima situazione. Da Pio IX (papa dal1846 al 1878), i papi avevano chiesto ai laici di impegnarsi aposto-licamente nei movimenti cattolici che, pur essendo una minoranzadel popolo di Dio, erano arrivati alla fine dell’Ottocento ad esseresufficientemente diffusi. D’altra parte la teologia del tempo non at-tribuiva al laicato alcun ruolo attivo nella Chiesa. Basti pensare chenel De ecclesia del cardinal Luigi Billot (gesuita, grandissimo teolo-go neoscolastico della prima metà del ’900), volume di ben 739 pa-gine, dopo aver parlato della Chiesa fondata da Gesù, se ne trova-no 163 su quali siano i poteri della autorità ecclesiastica, 181 suipoteri del papa, 7 sui vescovi e 5 sui concili ecumenici. Per i laici

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nemmeno mezza pagina! Qualcosa di simile avviene in un manua-le molto più recente, quello del Parente e sul quale hanno studiatomoltissimi preti della mia età. Anche lì dei laici non si dice niente!Da una parte dunque i laici erano invitati dai papi stessi a impe-gnarsi nell’apostolato, dall’altra i teologi li ritenevano privi di ognipossibilità di un’azione propria nella Chiesa. Quando Pio XI rifor-mò l’Azione Cattolica, istituendo i quattro rami ben noti (Uomini,Donne, Giovani e Ragazze) e la FUCI, fu elaborata la teoria delmandato. Si diceva: “Chi è iscritto all’Azione Cattolica ha il manda-to di collaborare con la gerarchia”; quindi può fare apostolato. La“tessera” veniva ad essere più importante della fede, del battesimo,delle cresima e della partecipazione alla celebrazione eucaristica.Era un assurdo! Ci volle Karl Rahner per dire che così si riuscivasolo a clericalizzare il laicato, chiamato a lavorare nella Chiesa nonperché cristiano laico, ma in quanto beneficiario di un mandatodella gerarchia. Nella Lumen Gentium la posizione del laico nellaChiesa, anche in questi due tematiche, è profondamente rinnovata,creando però sorpresa e critiche in buona parte del clero e fra gli an-ziani dello stesso laicato. Nel giro di pochissimi anni la concezionedella Chiesa è radicalmente cambiata, ritornando alle sue originipiù pure e arricchendosi di insegnamenti nuovi richiesti dalle fontidella fede e da nuove situazioni.

La libertà religiosaPer quanto riguarda la libertà religiosa si assiste ad una ca-

povolgimento di posizioni forse ancora più imponente. Anche inquesto caso l’origine del problema è nei secoli passati. Dopo che,nella seconda metà del Seicento in Inghilterra il Deismo ed ancorpiù l’Illuminismo in Francia nel Settecento ebbero diffuso l’idea chele religioni rivelate, Cristianesimo compreso, non hanno alcun valo-re, viene elaborata e si diffonde una concezione laica dello stato: unpopolo che voglia darsi una struttura statuale, ne è anche il sovra-no; lo stato è libero da ogni religione e dà a tutte le religioni esistential suo interno eguale libertà purché rispettino le leggi dello statostesso; i cittadini sono liberi, perché tutti insieme sono il sovrano, etale libertà è garantita dal fatto che il potere complessivo dello statoè esercitato a tre organi distinti operanti ciascuno in settori diversie indipendenti ciascuno dagli altri. Fondamentale è il potere legi-slativo affidato ad un parlamento eletto dal popolo; il potere esecu-tivo deve governare in base alle leggi votate dal parlamento; il po-tere giudiziario esercita le proprie funzioni in conformità alle stesseleggi. I tre poteri sono sovrani ma, solo il parlamento fa le leggi, allequali tutti devono obbedire. Ma il parlamento non può eseguire lesue leggi, in modo che non possa prevaricare sugli altri organi dello

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stato. Se l’unico sovrano è il popolo, che elegge il parlamento che fale leggi, nella vita quotidiana il sovrano è la legge. Questo, nelle suelinee fondamentali e prescindendo qui dalle concezioni economi-che, è lo stato liberale che tutti riconosciamo ed accettiamo.

A queste nuove idee, la Chiesa (che quando ha riconosciutola libertà di pensiero e di coscienza, l’ha ricosciuta solo nell’ambitodel suo insegnamento) oppone idee profondamente diverse.Continuava a considerare un errore ogni idea diversa dalle proprie:tutta la verità appartiene alla Chiesa perché ad essa viene insegna-ta dallo Spirito Santo (GREGORIO XVI, Mirari Vos 1832). Solo laChiesa insegna la verità. Nell’età dell’assolutismo la Chiesa dimen-tica che nel Medio Evo i teologi e i canonisti insegnavano che il po-tere veniva da Dio mediante il popolo. Per cui dal Seicento, ripren-dendo l’affermazione biblica “non c’è autorità se non da Dio” (Rm13,1), si tirava la conseguenza che il sovrano è il re, che governa pergrazia di Dio; che ha il potere senza nessun limite che non sia lalegge di Dio; del cui esercizio dovrà rendere conto a Dio solo, nonai sudditi. A questi Dio chiede di obbedire al re, che Dio stesso hascelto, anche mediante mezzi umani, come l’elezione della dieta deigrandi del regno (nel Medio Evo), o per diritto di nascita (nell’epo-ca moderna), ma comunque sempre nel modo che Dio permette. Ilre ha il dovere di fronte a Dio di creare le condizioni migliori possi-bili perché ogni suo suddito sia un buon cristiano. Lo stato quindideve essere cristiano cattolico; e guidato solo dal sovrano; sarà unostato assoluto e confessionale. Il popolo è costituito da sudditi, chedevono sempre obbedire al re, perché così obbediscono a Dio. Soloil sovrano è libero, ma solo nell’ambito della volontà di Dio.Naturalmente questa ultima precisazione era sistematicamente di-menticata dai sovrani, anche cattolici.

Sulla base di queste due concezioni del tutto contraddittorie,quando nell’Ottocento si formarono i movimenti liberali, che voleva-no le stato laico con la libertà dei singoli, cittadini e non più suddi-ti, si verificò un durissimo scontro fra questo movimenti e la Chiesacattolica. La Chiesa partiva dai suoi principi universali ed assoluti:ciò che viene affermato di diverso dalla dottrina della Chiesa, che haricevuto da Dio tutta la verità, è inevitabilmente un errore; ma l’er-rore non ha diritti; lo stato deve rimanere cattolico e negare ogni li-bertà di allontanarsi dalla dottrina cattolica. Non solo si dimentica-va ciò che la Chiesa aveva accettato nel Medio Evo, come abbiamodetto, ma anche che Gesù stesso aveva detto; “Date a Cesare quelche è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” e cioè la desacralizzazio-ne dello stato. La Chiesa per tutto l’Ottocento e molto a lungo nelNovecento non ha capito la laicità dello stato e della politica. La li-bertà di religione, per esempio, veniva intesa come se lo stato voles-

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se dichiarare tutte le religioni eguali, mentre la laicità diceva che lostato non era competente ad indicare ai suoi cittadini quale religio-ne dovessero preferire, per cui li lasciava liberi di scegliere quella chea ciascuno apparisse vera. La distinzione poteva apparire teorica.Ma in realtà lo stato laico afferma che i singoli cittadini hanno il di-ritto di scegliere secondo la propria coscienza di essere religiosi o no,e di esserlo nel modo che ritengono più giusto. La Chiesa cattolica af-fermava il principio che ogni persona e lo stato stesso devono esse-re religiosi, che tutte le religioni non cristiane, ed anche le confes-sioni cristiane non cattoliche, sono errate e quindi dichiarava che lostato deve essere cattolico e non doveva dare a religioni non cattoli-che il diritto di esistere nei propri confini, né ai cittadini il diritto disceglierle. D’altra parte gli stati liberali, i regni di Inghilterra, Fran-cia, Italia, l’Impero germanico ed altri, non riuscirono a rimanere ve-ramente laici, perché diventarono anticlericali, cioè anticattolici,mentre la laicità avrebbe esigito che lo stato non fosse né alleato, nénemico di nessuna religione Questo avvenne particolarmente inItalia, dove la situazione era complicata dalla questione romana, dicui non abbiamo ora il tempo di parlare.

Nello scontro durissimo la Chiesa rimase bloccata nelle sueposizioni di inizio Ottocento, mentre gli stati occidentali nel Nove-cento passavano dal liberalismo alla democrazia, dando a poco apoco a tutti i cittadini il diritto di votare, cioè tutte le libertà civili ela libertà politica. La Chiesa quindi si distaccava sempre più dallasocietà e dagli stati nei quali viveva una grandissima parte di catto-lici. Moltissime persone amanti della libertà la abbandonarono. Ilcammino della Chiesa verso l’accettazione della democrazia è statomolto lungo. Pio XII l’accettò pubblicamente solo nel 1944 (Radio-messaggio 24-12-1944). Ma molti cattolici, vescovi e cardinali, do-po oltre un secolo di insegnamento della Chiesa contrario alla li-bertà religiosa, pensavano che chiunque volesse proclamarla, stes-se per fare un grande errore, che lo stato non dovesse e nemmenopotesse essere laico e dare quindi ai suoi sudditi la libertà religiosa.Pensavano che così si dichiarassero tutte le religioni eguali.

Questa era la situazione quando ebbe inizio il ConcilioVaticano II. I vescovi più aperti ai valori del proprio tempo e più ca-paci di capire la mentalità, i problemi e le attese dei loro contem-poranei (il concilio va dal 1962 al 1965), e che erano la maggioran-za, ritenevano necessario che il concilio accettasse come un valoreautentico la libertà religiosa, termine con il quale si intendeva la li-bertà di praticare la propria religione in qualunque stato. Ma si ri-velò presto una schiera di vescovi contrari, che continuavano ad af-fermare con profonda convinzione ciò che la Chiesa aveva afferma-to nel passato circa la concezione della libertà in generale, che po-teva ritenersi giusta solo nell’ambito della dottrina della Chiesa

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stessa, e della libertà religiosa in particolare, da essi ritenuta deltutto ingiusta. In realtà la prospettiva della maggioranza del conci-lio era nuova, era il capovolgimento dell’insegnamento del passato.Non si partiva più dall’affermazione universale ed astratta che la ve-rità ha tutti i diritti e l’errore non ne ha nessuno. Ma si prendevanoin considerazione le persone, dotate di intelligenza e di libertà, chehanno il diritto di scegliere senza alcuna imposizione statale la re-ligione che ritenessero vera. La fede, infatti, è un atto libero e lostato non ha la competenza di stabilire quale religione sia vera, enon può quindi imporla ai cittadini. E la Chiesa, grazie a Dio, nonha più il potere di imporre qualcosa ad alcuno. La Dignitatis huma-nae sulla libertà religiosa, infatti, inizia riconoscendo che “Nell’etàcontemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevolidella propria dignità di persone” (Proemio, n. 1). Parole che non siriferiscono ad un principio astratto, ma a persone concrete, semprepiù consapevoli della propria dignità personale e del loro diritto acercare la verità liberamente, senza che lo stato o la Chiesa interfe-riscano a condizionarle. La Chiesa, tenendo in una mano la Bibbiae nell’altra la conoscenza degli uomini e del mondo, cerca il mododi presentare Cristo a questi uomini in modo che possano capirlo,accettarlo e seguirlo. Insegna che nessuno li può condizionare. Liconsidera adulti e responsabili; persone alle quali fa una proposta,desiderandone la libera accettazione. Non bambini da costringereloro malgrado, anche per il loro bene, a fare ciò che la Chiesa vuole.Questo è il capovolgimento, la grande novità del Concilio VaticanoII rispetto alla cultura cattolica dell’Ottocento, continuata fino allametà del Novecento.

La verità veramente nuova acquisita dalla Chiesa è stata lanecessità di non proclamare più principi universali, assoluti edastratti da imporre con la forza dello stato, che, fra l’altro, ormai ri-fiutava di farlo; ma di capire cosa le persone viventi oggi aspettano,in cosa sperano, di che cosa hanno paura. Dai dal Vangelo, infatti,ci è data la possibilità di aprire per tutti gli uomini “una speranzache non delude” (Romani 5,5). Ma se non ci sforziamo di capire ilnostro tempo, di ascoltare le persone che amano, gioiscono, soffro-no, sperano o si disperano, non potremo mai parlare con loro. Ogginelle missioni i missionari non imparano a far questo?

La vera novità del concilio, a parer mio, fu questa. A moltifece paura, perché ci metteva in discussione. Ma oggi mettere in di-scussione non il Vangelo del Signore, ma il nostro modo di viverloe di annunziarlo, è assolutamente necessario.

ConclusioneQualcosa di molto simile avvenne anche per il ruolo della

Parola di Dio nella vita della Chiesa, per la liturgia, per il rapporto

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della Chiesa con il Mondo ed altre tematiche. Il Concilio Vaticano IIrappresentò dunque una grande apertura, un vero capovolgimentodei modi di intendere e di vivere molte verità rivelate avvenuto inmodo rapidissimo. Un evento che per la rapidità con cui avvenne,dopo un lungo periodo di stasi, fu una vera irruzione del futuro. Mafu possibile perché nel frattempo erano maturate convinzioniprofonde, documentate nelle fonti della fede, della Bibbia, dei padridella Chiesa, della Tradizione ecclesiale, della storia dei dogmi edella teologia. Tutte idee che urtavano contro quelle consolidate al-meno dal ’700 in poi e mai volute rimettere in discussione. Dimen-ticato a Roma il Moehler, condannato il Rosmini, condannati i cat-tolici liberali, condannato il Modernismo anche in coloro che nonaffermavano errori, condannata La nouvelle theologie, ... a un certopunto, i nodi dovettero pur venire al pettine. E scoppiò il Concilio!

L’entusiasmo che creò il Vaticano II fu dovuto in gran parteanche a questo: la vittoria di queste idee sulle resistenze che a lungole avevano represse.

È un Concilio che va studiato ancora molto, valutando bene idocumenti che ha emanato e nei quali, a volte, non mancano pro-blemi di interpretazione. Un Concilio, come ha recentemente dettoGiovanni Paolo II, che ancora va ripreso, compreso e attuato.

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Testimonianza

• Il mio impegno per la pace

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Il mio impegnoper la pace

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Padre ALEX ZANOTELLI - missionario comboniano

DISCERNERE L’OGGI DI DIO. UNA CHIESA PER IL MONDO

Vi offro questa mia testimonianza in un momento molto gra-ve, anche se nessuno ne vuol parlare; non illudiamoci sul fatto chesia finita la guerra all’Iraq. È un momento estremamente grave perla pace, soprattutto per la questione atomica. Il discorso di questasera lo facciamo in un momento in cui il clima internazionale, a li-vello guerra, è estremamente teso. Non penso che abbiamo maiavuto nel mondo un momento così grave, che non è finito con la sto-ria dell’Iraq. In questo periodo sono state aperte delle strade di pacein campo ecclesiale; siamo grati alla profezia del nostro papa attua-le che è stata veramente grande. Non pensavo che avrebbe retto cosìbene, come ha retto, sulla storia dell’Iraq e ha permesso a tanti dinoi – che hanno portato avanti poi il lavoro alla base – di poter con-tinuare, altrimenti non ce l’avremmo fatta, perché la pressione eragrossa.

Importante adesso tradurre la profezia, che io chiamo ‘perso-nale’, del papa in magistero ecclesiale, perché non è subito detto néfatto; è un bel passo che dobbiamo fare tutti, ma è importante inquesto momento. È vero che c’è la grandezza della Pacem in terris,che finalmente ha rotto con la storia della guerra ‘giusta’; è il primodocumento effettivo pontificio che rompe con tutto un atteggiamen-to che, come Chiesa, abbiamo avuto. Davvero l’enciclica Pacem interris è stata la rottura, è stata proprio una svolta veramente incre-dibile che ha preparato il Concilio, ma il Concilio è stato un passoall’indietro alla Pacem in terris. La pressione infatti dei vescovi ame-ricani era talmente forte che non ha permesso la condanna né dellearmi atomiche né delle guerre. L’intervento invece di GiovanniPaolo II dà la forza di incominciare a riflettere in maniera nuova.

1. Il problema della pace però è molto più complesso e com-plicato. Se poniamo il problema della pace semplicemente in uncontesto di armi e di guerra siamo fuori strada. Il problema pace èqualcosa di diverso. Permettetemi, ma è la richiesta che mi avetefatto, di partire dalla mia esperienza personale. Sono qui per testi-moniare la mia conversione. Io ero, fin all’85, un profondo militari-sta e ho benedetto tutte le guerre di liberazione in Africa pensandoche fosse l’unica maniera di liberarsi dal colonialismo! C’è volutoun bel po’ per arrivare a fare il salto della non violenza. È avvenu-to dall’85 all’87. In questi ultimi anni poi ho fatto un altro salto a li-

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vello biblico, e devo essere grato a René Girare, perché ha posto inmodo giusto il problema della violenza.

Da dove viene la violenza?. Viene dalla società o dalla perso-na?. Il marxismo ha sempre detto che l’uomo la impara dalla so-cietà. Diventa violento, perché la società è violenta. L’esperienzacristiana ha sempre detto l’opposto; ha detto che la violenza vienedalla persona, viene dall’uomo e il dibattito è stato lungo. Il marxi-smo prende da Rousseau, il buon selvaggio: l’uomo è buono, è la so-cietà che lo rende cattivo. René Girard – fra l’altro i suoi libri sonotradotti in italiano – per la prima volta ci ha finalmente convinti chela violenza viene da dentro di noi. E lo ha fatto psicologicamente,attraverso il processo della mimesi e la scoperta del capro espiato-rio. Lui ritiene che il Vangelo sia l’unico testo religioso scritto dovecon chiarezza incredibile si smaschera la violenza. Sulla croce le po-tenze sono rimaste sconvolte perché appare chiaro che la vittima èinnocente. Se è vittima... deve essere colpevole! e da che uomo èuomo non può esserci una vittima che non sia colpevole! Tutte le ci-viltà sono state tutte costruite su questa logica. E invece no, diceRené Girard; per la prima volta nella storia un testo sacro dice chequella vittima è innocente. Quel Gesù è condannato da Roma, per-ché schiavo e perché sobillatore contro l’impero romano e viene cro-cifisso. La croce era il metodo terroristico militare romano per tene-re soggetti i popoli! Le stesse cose che oggi gli americani usano conle bombe a grappolo quando bombardano.

Notate che quel Gesù, quella vittima è innocente; e qui, diceRené Girard, si vede veramente cos’è la violenza. La violenza infat-ti è sempre una maniera per scaricare su questo o su quest’altro eanche nella società quello che abbiamo dentro di noi, riportando ildiscorso all’uomo: la violenza viene da dentro di noi. Anche nellibro Rigenerare i poteri di Walter Winck, biblista americano,leggia-mo che la violenza nasce da dentro e poi diventa società e struttu-ra; quindi questi sono aspetti da tenere presente quando parliamodi pace.

C’è un’altra questione importante da tener presente. Non pos-siamo oggi parlare di pace pensando soltanto alla violenza perso-nale, alla violenza poi che diventa anche istituzionale, nelle guerrae nelle armi. La prima violenza – Gesù stesso l’aveva percepita, inquella Galilea schiacciata dall’imperialismo romano – non è quelladelle armi, ma quella del sistema economico che schiaccia ed op-prime. Al tempo di Gesù i galilei avevano pagato per la costruzionedi due capitali amministrativi, Sepporis e Tiberiade. Pensate per unpiccolissimo popolo come la Galilea fatto di contadini che cosa havoluto dire. Si capisce allora quello che Gesù deve aver capito dellaviolenza del sistema economico romano. Se voi volete parlare dipace oggi dovete prima di tutto rendervi conto che la prima violen-za a questo mondo è quella di questo sistema che abbiamo fra le

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mani, un sistema che schiaccia ed opprime; è la violenza del siste-ma economico-finanziario.

C’è poi una terza violenza che ritengo fondamentale, ed èquella che facciamo all’ambiente. Molti scienziati ormai comincia-no a dirci che non possiamo andare avanti a vivere come stiamo vi-vendo. Se entro cinquant’anni non avremo cambiato sistema eco-nomico, il nostro pianeta sarà finito. Le future generazioni non po-tranno sopravvivere a questo mondo. Vedete, dobbiamo metteretutte queste coordinate insieme per poter parlare di pace, altrimen-ti se parliamo di aspetti di pace... ma penso che – se vogliamo fareprima di tutto un’analisi – dobbiamo prendere tutti questi contestiseriamente, focalizzando l’aspetto anche personale, guardate che èfondamentale, ma anche tutti gli altri.

Un’ultima brevissima premessa. Io non sono un uomo neutra-le. Sono un uomo profondamente di parte. Non posso non esserlodopo dodici anni vissuti a Korogocho; ho vissuto otto anni in Sudan,ma era tutta un’altra cosa. Quando voi abbandonate le vostre belleposizioni e andate a vivere dove vive questa gente e sentite la vio-lenza e vedete l’assurdità più totale... voi non capite più niente. Ionon ho più capito nulla. L’unica cosa che posso dire è che non possonon essere di parte, sono da quella parte; la mia gente è quella gentee in questo mi sento di essere profondamente in sintonia con le scrit-ture ebraiche e soprattutto con le scritture cristiane. Il cristianesimoha radicalizzato il pensiero ebraico: Dio è di parte. Forse per qual-cuno sembrerà quasi una bestemmia. Ma ricordatevi che Dio è dallaparte dei poveri! Non vuol dire che non voglia bene ai ricchi; ma da-vanti alla sofferenza umana... Dio sta dalla parte di chi soffre, di chinon ha niente, di chi è povero. Come una mamma che predilige il fi-glio gravemente ammalato. Così anch’io sono dalla parte dei poveri!Vi racconto un fatto: l’incontro con una ragazzina di nome Nancyventenne; era stata a prostituirsi a Mombasa, la città dei turisti; nonso quando aveva cominciato a prostituirsi; verso i vent’anni le hannodetto che aveva l’AIDS e decise di ritornare, per morire, dallamamma. La mamma e la piccola comunità cristiana sono venuti unasera a chiamarmi e a dirmi: ‘Alex vieni; questa ragazzina ha bisognodi pregare, vuole l’eucaristia’. Le eucaristie a Korogocho sono qual-che cosa di sconvolgente; noi non abbiamo chiese, abbiamo decisodi non costruire chiese in una realtà del genere! Ricordando le paro-le di Sant’Ireneo, dottore della Chiesa: «la gloria di Dio è l’uomo vi-vente», abbiamo pensato che la prima chiesa doveva essere l’uomo;pertanto le celebrazioni erano fatte principalmente nelle baracchedella gente, spesso con i malati di AIDS.

Quella sera sono entrato con la piccola comunità cristiana daNancy e abbiamo pregato; momenti molto belli. Era il momento incui sentivo che Dio davvero era presente ... e sono i poveri che mel’hanno fatto toccare con mano. Mi ricordo che all’offertorio questa

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ragazzina ha chiesto di pregare. Di solito si prega alla preghiera deifedeli. All’offertorio mi ha bloccato e dice: ‘padre Alex, potrei prega-re?’. Dico: ‘prega!’. Una preghiera che sarà durata dieci minuti;guardate come prega questa gente in maniera bellissima. Diceva:‘Babà, papà, lo so che sono molto, molto ammalata. Non so quantomi resta della mia vita. Papà io ti prego, ti prego solo di una cosa,ti prego guariscimi, papà lo so che tu puoi guarirmi, guariscimipapà. Vedi papà non te lo chiedo per me, chiedo soltanto questaguarigione per il mio bimbo – aveva un bambino di un’anno emezzo a fianco – lo chiedo per lui. Non ha papà, sono io il padre ela madre di questo bambino. Però papà se tu non vuoi guarirmi, setu vuoi che io venga da te, eccomi papà sono pronta!’. Quando iosentivo preghiere del genere per prima cosa dicevo: ‘Dio, ma se tuci sei, ma possibile che non ti fai vivo?! È possibile che davanti adelle preghiere così dolci, così umili, così potenti... tu resti muto?.Eppure il silenzio totale è la certezza che Dio c’è, che è davvero unamamma e che l’unica cosa che può fare è stringere come unamamma stringe il bimbo che si vede morire tra le braccia e se lostringe sempre più forte.

È questo Dio che io ho scoperto a Korogocho; un Dio che è diparte; quel Dio che è rimasto fedele agli ebrei schiavi in Egitto. È ilDio di quella gente. È il Dio che ha camminato con loro, è il Dio cheha preso carne nel volto di Gesù di Nazareth. Il Gesù di Nazarethha preso carne nel villaggio più disprezzato della Galilea, in mezzoa un popolo, parte di quel suo popolo ebraico, e il popolo Galileo èil più schiacciato, quello che più penava. Ecco l’incarnazione: assu-mere la sofferenza della sua gente (cfr. Ebrei 4,15). È questo il Dioche ho scoperto... il Dio davvero di parte è il Dio di quel Crocifisso.

Gesù è diventato pericoloso per i romani proprio perché hapreso la parte dei poveri della Galilea, ha camminato con loro dan-do speranza. E quando ha tentato di fare la marcia su Gerusalemmecon i poveri della Galilea, il potere sia quello romano imperiale, siaquello del tempio, lo ha visto come estremamente pericoloso. E hadeciso che fosse crocifisso fuori le mura. A quel Crocifisso l’Abbà, ilPapà, così Gesù chiamava Dio (cfr. Mc 14,36; Rm 8,15), gli è rima-sto fedele. Ecco la fedeltà di Dio. È la fedeltà a questa gente.

Egli poi è risorto, è vivo e sono sicuro che questo Dio è oggifedele a tutta la povera gente che vive a Korogocho e in altre partidel mondo, come a tutta questa gente che muore in mare attraver-sando il nostro mare per tentare di arrivare in Italia e in Europa... èun Dio di parte, profondamente di parte. È il Dio che vuol liberareil suo popolo, camminando. Cammina con noi e ci dà la forza, comeha fatto con Gesù di Nazareth, perché non vuole vedere i suoi figlimorire come stanno morendo.

È da questo punto di vista che vi parlo questa sera; per que-sto l’analisi che faccio sulla pace è profondamente di parte. La ri-

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lettura della Parola fatta con i poveri mi ha portato a capire cheanche Dio è di parte. Leggere un testo di Marco in una bella villa diRoma o leggerlo in una baracca di Korogocho non è la stessa cosa!Il contesto è altrettanto importante del testo. I poveri sono grandimaestri della Parola. Mi ricordo un giorno che ho dato in mano ilVangelo in swaili alla gente della discarica, i più poveri tra i poveri.Uno dice: ‘che bello, è la prima volta che io ho potuto avere nellemie mani un Vangelo e poter dire quello che sento su questoVangelo’. È incredibile ascoltare quello che hanno da dire; e la let-tura dei poveri è importante che l’ascoltiamo, soprattutto noi.

2. È necessario prima di tutto guardare la realtà per indivi-duare poi come fare per uscire fuori da questi meccanismi. Nairobi,bellissima città con grattacieli, zone residenziali, ville ... che inItalia vi sognate; quattro milioni di abitanti. Su quattro milioni diabitanti oltre due milioni sono costretti a vivere nell’1,5% della terratotale della capitale. Chiamo questa la sardinizzazione dei poveri. Ipoveri sono costretti a vivere male, accatastati, sardinizzati; secon-do, questo 1,5% della terra non appartiene neanche questa ai pove-ri; appartiene al governo e il governo può venire quando e comevuole. Dà quarantotto ore alla gente, poi arriva con le ruspe dell’e-sercito, con tutte le mitragliatrici spianate, distrugge tutto e butta ipoveri più in là. L’80% dei baraccati di Nairobi, di oltre due milio-ni, paga l’affitto della baracca, perché non è sua. Le baracche ap-partengono a gente che ha un po’ di più, costruisce un po’ di qua eun po’ di là. Tutte le baraccopoli poi a Nairobi sono poste sotto lalinea della fogna. Sopra la linea fognaria è sviluppo; sotto la lineadella fogna baracche. Quando vedevo queste cose, pensate a casa siprova dentro. Ma come si fa? Ma come è possibile? Non è mai ca-duto il muro di Berlino! quel muro, quella è un’illusione; c’eraanche lì un muro, ma non era quello il vero muro che divide ilmondo. Il muro è questo, quello che divide i ricchi dai poveri. Èquesto il cuore del problema; in poche parole a Nairobi avete in pic-colo quello che è il mondo.

Stessa cosa per le armi. Ovunque andate, trovate ville conmuri altissimi, filo spinato, guardie, cani, armi. È chiaro; se voi vo-lete vivere a Nairobi, dove la maggior parte della gente vive all’in-ferno, e vivere da ricchi non potete altro che armarvi. Le armi ser-vono a questo, a difendere i privilegi di pochi davanti a tanta soffe-renza umana.

Partendo da Nairobi ho letto la situazione globale. Viviamo inun sistema economico-finanziario che ingloba ormai tutto il mondo.È la prima volta nella storia umana che abbiamo un sistema che in-globa tutto e non lascia fuori nessuno, neanche la Cina. I miei ra-gazzi a Napoli – vivo in una comunità di tossicodipendenti – hannodato un nuovo nome alla camorra: ‘o sitema’.

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Abbiamo a che fare con tre-quattrocento potentissime famiglieche, soprattutto in chiave finanziaria, perché è la finanza il cuore delsistema non l’economia, praticamente controllano tutto, ma tutto!Pensate che tre famiglie americane, tra cui c’è la famiglia di BillGates, da sole, hanno l’equivalente del prodotto nazionale lordoannuo di quarantotto Stati africani che rappresentano seicento mi-lioni di persone. E il sistema che ne deriva impone le politiche mon-diali. Le recenti politiche mondiali, come per esempio i tagli allaspesa pubblica, le politiche di liberalizzazione dei flussi finanziari,le privatizzazioni, sono imposte dal fondo monetario, dalla bancamondiale e dall’organizzazione mondiale del commercio (WTO).

La conseguenza è la guerra contro i poveri. Abbiamo fattotanto contro la guerra in Iraq. Ma ci siamo dimenticati che c’è un’al-tra guerra, quella contro i poveri. Guardate che è una guerra mon-diale all’anno che combattiamo contro i poveri. Quanti morti abbia-mo fatto nella seconda guerra mondiale? Cinquanta milioni, si parlagrosso modo. E ne ammazziamo quaranta milioni all’anno con que-sto sistema economico-finanziario. È una guerra mondiale all’annoche facciamo contro i poveri; per fame, per malattie... provate a pen-sare ad una mamma che vive all’ombra di un grattacielo e che sivede il bimbo morire fra le braccia, perché non può comperarsi lapillola contro la diarrea! Provate a pensare quello che significa!Sono queste le realtà che viviamo ormai. E qui capite i drammi, iproblemi.

L’UNICEF dice che nel 2001 sono morti undici milioni dibambini per malattie meno gravi di un raffreddore. Ventotto milionidi malati di AIDS in Africa e le case farmaceutiche non voglionomollare i brevetti. Muoiono molte più persone per malaria in Africaoggi che non per altro. E ce lo dimentichiamo in continuazione.Queste malattie molto ordinarie ammazzano molto più di altre.

Quella che è in atto è un’autentica guerra contro i poveri, è unsistema che ammazza ed uccide. Provate a pensare quello che si-gnifica questo in chiave finanziaria. Qual è il debito globale dei po-veri verso la finanza internazionale? Duemilacinquecento miliardidi dollari; notate una cosa incredibile! Non lo pagheranno più queldebito, spero che non lo paghino più, perché l’hanno già pagato.Ogni anno i poveri, non i governi, i poveri di questo mondo, dannoin interesse su questo debito duecento miliardi di dollari. I prestitiche la finanza internazionale fa ai Paesi poveri non raggiunge nean-che cinquanta miliardi di dollari all’anno. Loro ne danno duecentomiliardi e non sono i governi. Io non sono qui a difendere in Africale èlite borghesi africane che hanno tradito la loro gente, con tuttala corruzione. Per carità non sono qui a difendere nessuno. Com’èche i poveri pagano il debito? Non possono più pagarsi i servizipubblici. Nel 2001 l’UNICEF dice che centoventi milioni di bambi-ni non sono riusciti ad entrare in prima elementare.

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Io l’ho visto a Korogocho quello che avviene! Soprattutto,quello che fa male, è che queste persone sono bellissime ed hannouna voglia matta di vivere. Io non ho mai visto tanta voglia di vive-re e danzare la vita come a Korogocho. Venite la domenica mattinaalle tre ore di eucaristia che celebriamo e vedete la festa. È festa, èvoglia di vivere.

3. In questo modo la pace è profondamente violata. La primaviolenza in atto a questo mondo non è quella della guerra; le guer-re sono risposte, molto spesso, a questo tipo di violenza incredibileche viene imposta. È la violenza del sistema economico-finanziarioche ammazza ed uccide. Quindi, non ci può essere pace se non sicambia il sistema economico-finanziario. A Nairobi i ricchi possonovivere soltanto se si difendono con le armi fino ai denti. Il 20% delmondo consuma l’83% delle risorse: è questo il cuore del problemafinanziario che deve per forza di cose armarsi fino ai denti se vuolcontinuare a vivere come vive. È talmente ovvio. E questo 20% la-scia agli altri le briciole. Di questo 80% di poveri, il 20% sono i piùpoveri, sono i miserabili, chiamiamoli così, sono oltre un miliardodi persone. Il Presidente del fondo monetario, citato anche sulCorriere della Sera diceva che ogni vacca europea ha a testa ognigiorno due dollari e mezzo, ogni vacca americana ha a testa ognigiorno cinque dollari e ogni vacca giapponese ha a testa ogni gior-no sette dollari. E i poveri vivono con meno di un dollaro al giorno!Capite l’assurdità.

Il 20% del mondo che consuma si sta armando fino ai denti;le armi infatti servono a mantenere i privilegi, non a mantenerechissà quali cose! I privilegi di pochi a spese di molti morti di fame.Vi do alcuni dati. Nel 2002 gli Stati Uniti da soli hanno investito inarmi quattrocento miliardi di dollari; aggiungetene cento poi pertutto il resto. Pensate che gli Stati Uniti, da soli, spendono trentot-to miliardi di dollari all’anno solo in servizi segreti; aggiungete aquesto i sessanta miliardi che Clinton era stato forzato dal com-plesso militare a chiedere al Congresso per rifare tutto l’armamen-tario atomico. Gli Stati Uniti stanno rinnovando tutto l’armamenta-rio atomico. Ancora, gli Stati Uniti hanno come deposito cinquantamiliardi per l’inizio dello scudo spaziale, che a lavori finiti i tecniciparlano, dovrà costare sui trecento miliardi di dollari. La guerraall’Iraq poi è costata sugli ottanta miliardi di dollari agli Stati Uniti,sei-sette miliardi all’Inghilterra. Mettete insieme queste cifre e inco-minciate a capire una cosa molto semplice e cioè che le armi sonoil cuore del sistema e servono per mantenere i privilegi.

Bush, non l’attuale ma suo papà, già nel 1990 aveva detto: ‘ionon mi siederò a nessun tavolo per trattare dello stile di vita degliamericani’. E Rumsfeld, ministro della difesa, circa un anno fa,quando gli hanno chiesto: ‘signor ministro, cos’è che consideri vit-

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toria nella nuova guerra degli Stati Uniti contro il terrorismo?’ ha ri-sposto: ‘considero vittoria se tutto il mondo accetterà che noi ame-ricani siamo liberi di continuare con il nostro stile di vita!’. È tuttoqui, tutto il resto sono parole che ci diciamo. Le armi servono amantenere i soldi , a mantenere i privilegi di pochi a spese di moltimorti di fame.

Conseguenze: le guerre. La guerra all’Iraq è stata una, ma ab-biamo oltre quaranta conflitti aperti in questo mondo. Per fortunaquesti giorni almeno la stampa italiana ha parlato un po’ dellaLiberia. Ma chi parla del Congo? Cinque anni di guerra, quattro mi-lioni di morti; sono statistiche che mi sono fatto dare dai missiona-ri saveriani, che mi hanno detto: ‘Alex, non parlare più di due mi-lioni e mezzo, tre milioni; di’ pure con certezza che si tratta ormaidi quattro milioni di morti, cinque anni di guerra’. Perché non neparliamo? Ma è talmente ovvio! Per la stessa ragione per cui non siparla di tanti altri problemi. Abbiamo avuto un’estate molto calda.Avete visto per caso, nei vostri giornali, qualche analisi in giro delperché mai quest’estate è così calda? Io no, eccetto Repubblica del-l’altro giorno, che portava alcuni dati del convegno di Erice. Perché?Perché non si può toccare questo argomento. Perché se vai a direche fa parte forse del surriscaldamento e dello stile di vita degli oc-cidentali, ci casca il sistema!

Ma è la stessa cosa per cui non vi parlano della guerra inCongo. Perché in Congo ci sono tante cose che sono importanti pernoi. La guerra in Congo è decisa a Washington, a Londra, a Parigi.Sono guerre nostre, fatte non solo per diamanti e oro in Congo, masoprattutto per due minerali: cobalto, essenziale per la difesa ame-ricana oggi, e il coltam per i nostri telefonini. L’80% del coltam mon-diale viene dal Congo. Cominciate a capire un po’ gli interessi checi sono. E non se ne parla. Capite anche il perché di certi silenzidella stampa. Dobbiamo chiarissimamente dire che la stampa èparte integrante di questo sistema. Negli Stati Uniti tutta l’informa-zione è nelle mani di dieci grossi complessi finanziari, in Italia il90% sapete di chi è in mano. Poi noi ci aspettiamo chissà qualicose. Ma è talmente ovvio che è nelle mani del potere.

4. Questo sistema economico finanziarizzato e militarizzatosta spendendo e spandendo le risorse di questo mondo in manieraforsennata a tal punto che ormai gli scienziati vengono a dirci che igiorni per noi sono contati. La pressione sul sistema terra è talmen-te forte che ormai è in pericolo. Sono molti gli scienziati che ci di-cono che, anche con Kyoto, non ce la caveremo perché è troppotardi. Anche se tutti firmassero gli accordi, sarebbe troppo tardi...egli Stati Uniti e altri paesi non vogliono firmare. A Bologna sonostati offerti alcuni dati sulla situazione del pianeta, lo stato di salu-te del pianeta dall’International Geosphere, Byosphere Program, vo-

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luto dall’International Council for Science, cioè il Consiglio interna-zionale per la scienza, che è ha chiesto a questo programma. A con-clusione di una prima fase di ricerche durate dal 1986 al 2002 dicechiaramente che, in poche generazioni, l’umanità ha consumato ri-serve di combustibili fossili generati in centinaia di milioni di anni,avvicinandosi alle soglie dell’esaurimento. Secondo: la concentra-zione in atmosfera di diversi gas, soprattutto il carbonio, che incre-mentano l’effetto serra naturale, in particolare l’anidride carbonicae il metano, è aumentata pericolosamente, innescando rapidi cam-biamenti climatici. È il problema del clima.

Circa il 50% della superficie terrestre è stata modificata diret-tamente dall’intervento umano con significative conseguenze per laricchezza della vita sulla terra, biodiversità, per il ciclo dei nutrien-ti, per la struttura del suolo, per il sistema climatico. Più della metàdella quantità globale di acqua dolce accessibile è utilizzata diretta-mente o indirettamente dall’uomo e le riserve idriche sotterranee sistanno rapidamente esaurendo in moltissime aree del pianeta.Soprattutto buona parte dell’acqua ormai va all’agricoltura indu-strializzata. Mi dicevano l’altro giorno dei tecnici che, per ogni chilodi carne, ci vogliono mille litri d’acqua. Gli ecosistemi marini e co-stieri si stanno drammaticamente alterando. Sono stati distrutti il50% degli ambienti di mangrovie e il 50% delle zone umide.

Stiamo premendo incredibilmente sull’universo in manieratale che praticamente certi scienziati ci danno cinquant’anni di vita!Le future generazioni non potranno sopravvivere. C’è molta genteche dice: ‘ma perché allora non permettere a tutti il nostro stile divita?’ Se in questo mondo si vivesse tutti come vive il 20% delmondo, avremmo bisogno di quattro pianeti terra solo per le risorsee di altri quattro pianeti terra come pattumiere per buttare i rifiuti.Questo è quello che gli scienziati ci dicono oggi!

Se non c’è pace con la natura non ci sarà pace in nessun’al-tra maniera. Ce lo ricorda anche san Francesco, un gigante dell’e-cologia! Quando parliamo di pace, dobbiamo mettere questo siste-ma ben davanti e vedere il suo elemento economico-finanziario, mi-litare ed ecologico e coniugarli insieme, perché la pace si avrà solocon la giustizia. Già il profeta Isaia ci ricordava che la pace è fruttodi giustizia. E noi dobbiamo rendercene conto, imparare a vedere; einvece spesso siamo ciechi. L’eroe del Vangelo di Giovanni non è nePietro ne il discepolo prediletto, ma è il cieco nato (cfr. cap. 9). Èquello l’eroe perchè lentamente vede. Giovanni dice che viviamonelle tenebre, e quelle tenebre in Giovanni, nell’Apocalisse, assu-mono un nome, imperium (cfr. 16,10), che poteva esser anche iltempio, il sistema del tempio di Gerusalemme.

Il vedere è dono, è grazia. Sono grato al papa che a gennaio,parlando al corpo diplomatico a un certo punto ha detto: ‘no all’e-goismo’. Poi ha detto: ‘siamo tutti prigionieri del bozzolo’. È la

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prima volta che ho sentito il papa usare quell’immagine ed è un’im-magine estremamente importante. Il baco da seta si costruisce ilbozzolo e ci muore dentro imprigionato. Muore dentro lì. E capitaanche a noi di rimanere chusi dentro la morsa del sistema. Ecco al-lora la necessità di vedere, di rendersi conto di quello che ci circon-da. È un dono grande la preghiera di quel cieco nel Vangelo diMarco: «Signore che io veda» (cfr. 10,51). Anche lì ha un profondosignificato in Marco. È il vedere la cosa fondamentale, quindi lagrazia del poter vedere e ve lo auguro davvero che possiate vedere.

Ho avuto il dono di poter fare certe esperienze che mi hannofatto toccare con mano la realtà e anche il dono della rilettura bi-blica che mi ha riportato di nuovo a capire la realtà. Vivere inOccidente è facile; è facile viverci dentro ovattati in questo sistemae non capirci nulla. Se vogliamo parlare di pace dobbiamo leggerloprima di tutto, il sistema.

5. Ma per cambiare qualcosa è necessario partire da noi. Laconversione è personale, come abbiamo detto prima. La violenza etutto il resto parte da dentro, quindi ci vuole una conversioneprofonda. Permettetemi una riflessione partendo dalla bibbia. Sperodi non offendere nessuno. Noi continuiamo a dire che è statoGhandi a inventare la non violenza attiva, ma Ghandi ha continua-to a dirci: ‘io l’ho imparato dal Vangelo’. È stato Gesù di Nazarethche ha inventato la non violenza attiva. Oggi i biblisti ci ripetonoche è vero!

Vi ho parlato prima del viaggio che ha fatto Gesù a Gerusa-lemme portando le istanze dei poveri. Ma ha portato un’altra cosain Gerusalemme. Gesù infatti deve aver capito che quel suo popolo,schiacciato dall’imperialismo romano, doveva uscire dalla logicadella guerra contro Roma, se voleva arrivare alla vittoria finale.Infatti l’unica logica che il popolo conosceva di fronte a tanta vio-lenza dell’oppressore romano era la violenza della guerra. Gesùvuole spezzare questo logica, e lo fa attraverso il processo di nonviolenza attiva, che non è pacifismo!

Molti mi dicono: ‘Tu sei pacifista’; no, io non sono pacifista;io sono un non violento attivo, proprio come discepo di Gesù. Esono un convertito’ come vi ho detto prima. Ecco il mio impegno. Iofino a cinquant’anni sono venuto da tutt’altra esperienza; ho bene-detto tutte le lotte armate in Africa anche come direttore di Nigrizia.Poi è arrivata davvero la botta, è stata una conversione per me.Guardate che è Gesù che ha aiutato la sua gente.

Incominciate a rileggervi il Vangelo per quello che è! Fra l’al-tro trovate un testo bellissimo: Gesù che invita a porgere l’altraguancia (cfr. Mt 5,39). Spesso ci hanno preso in giro noi cristiani di-cendo: ‘ah, voi siete quelli che porgete l’altra guancia’. Ma il signi-ficato è diverso. Riascoltiamo bene quello che dice Gesù. «Se qual-

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cuno ti percuote sulla guancia destra, porgigli l’altra» (cfr. Mt 5,39).Per colpire uno sulla guancia destra cos’è che dovete fare? Il man-rovescio! Chi è che al tempo di Gesù usava il manrovescio? Il pa-drone verso lo schiavo. ‘Sai che cosa fare’, dice Gesù? Voltandotidall’altra parte, obbligherai il tuo padrone a percuoterti direttamen-te e non lo farà mai, perché vuol dire essere uguale a te. La non vio-lenza attiva è rimettere le persone in piedi, riscoprire la propria di-gnità.

Così un altro passo del Vangelo di Matteo, che ci invita a to-glierci anche la tunica (cfr. 5,40). Gli ebrei portavano un camiciottolungo fino alle ginocchia di lana; sopra avevano più che un mantel-lo una specie di coperta, che serviva anche ai poveri soprattutto perdormire la notte. Gesù dice: ‘se qualcuno ti prende quella coperta,quindi è un povero che deruba un altro povero, sai che cosa fare?Tirati su quel camiciotto, buttaglielo dietro...e sotto non avendonulla rimanevano nudi. E la nudità per gli ebrei era la cosa più ob-brobriosa che ci poteva essere. Che cos’è che vuol fare Gesù? Vuolaiutare te ad aiutare quel tuo fratello. Quel tuo fratello non è il tuonemico, è un fratello che deve essere guadagnato a te. È lo stile dinon violenza attiva.

La cosa fondamentale oggi è prima di tutto la scelta della nonviolenza attiva. È la prima conversione perché dobbiamo cambiareil cuore; è sentire che davanti non ho dei nemici, ho delle personecon cui posso trattare, parlare. Ecco il dialogo, la relazione. È da quiche nasce la pace. Non ci può essere vera pace se non partendo danoi, dal cuore, perché la violenza nasce dal di dentro dell’uomo.René Girard ce l’ha dimostrato in chiave psicologica, ormai conchiarezza quasi scientifica. Ecco l’importanza del partire dal di den-tro, della conversione personale. Ma non basta; è necessario poi im-pegnarci per cambiare la struttura attorno a noi.

Noi Chiesa abbiamo sempre insistito sulla conversione perso-nale. E i marxisti dicevano che la violenza viene dalla società. Ledue posizioni erano queste: i marxisti hanno continuato a dire: ‘laviolenza viene dalla società, quindi cambia la società e l’uomo cam-bierà’. La Chiesa ha continuato a dire: ‘la violenza viene dall’uomo,cambia l’uomo e la società cambierà’. Né uno né l’altro. è vero. Imarxisti... avete visto all’Est che cosa è avvenuto! A livello di Chiesanoi vediamo tantissima gente che si converte, ma non cambia nulla,non cambia la società. Qui c’è un passo nuovo che dobbiamo fare;dobbiamo incominciare a prendere seriamente la dimensione socia-le, la dimensione politica, economica della conversione personale.

Su questo aspetto vi porto la testimonianza dell’arcivescovodel Sud Africa Hurley. Ha dato le dimissioni qualche anno fa ed èl’emblema della resistenza della Chiesa cattolica contro l’apartheidin Sud Africa. Quest’uomo ha scritto delle cose estremamente inte-ressanti a questo livello: ‘sembrerebbe che i comportamenti sociali

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siano responsabili della maggior parte del male che imperversa nelmondo, male grande e disastroso. Eppure non sono imputabile agliindividui o se lo sono, a molto pochi’. Responsabili pertanto sono icomportamenti sociali. Se pensiamo ai grandi mali fatti nel mondodal colonialismo, dal capitalismo, dal nazismo, dal fascismo, dalmarxismo, dal razzismo, ecc..., possiamo ben chiederci quanti pro-fessionisti hanno veramente peccato in senso morale. Quasi sempreperò essi erano motivati da comportamenti sociali. Non si intendecon questo negare la colpa personale, assolutamente, ma quandoconsideriamo il vasto accumularsi di male sociale non possiamo nonessere colpiti dalla sproporzione tra la causa, in termini di genuina epersonale scelta e decisione, e le dimensioni catastrofiche dell’effet-to in termini di male sociale. E continua l’arcivescovo: ‘è possibilecrescere fino alla maturità, in una società che vive e prospera sul-l’ingiustizia come fa la società bianca del Sud Africa, senza mai di-ventarne colpevole. È possibile far parte di un grande sistema dimale senza mai saperlo. E tutto a causa dei comportamenti sociali’.

Concludendo la sua opera, Hurley dice (uno dei testi più belliche ho letto in vita mia): ‘i comportamenti sociali producono istitu-zioni; le istituzioni a loro volta perpetuano i comportamenti. In que-sto circolo vizioso le istituzioni cattive sono insieme effetto e causadi comportamenti e dei comportamenti cattivi’. E cita un teologomolto bravo della Tanzania: ‘la peggior specie di peccato, di fattol’unico peccato mortale che ha reso schiavo l’uomo, per la maggiorparte della sua storia, è il peccato istituzionalizzato. Nella istituzio-ne il vizio sembra virtù o è di fatto considerato tale. Si suscita cosìapatia verso il male. Ogni riconoscimento del peccato è totalmentecancellato; le istituzioni peccaminose vengono assolutizzate, quasiidolatrate. E il peccato diventa mortale in modo assoluto’.

Nella Sacra Scrittura il presupposto per il pentimento, comelo è fortunatamente anche nel Catechismo, è il riconoscimento el’ammissione della colpa. Ma il riconoscimento del male, e perciò ilpentimento per il peccato, è reso praticamente impossibile quandoil peccato è idolatrato come istituzione. Anche il card. Martini gior-ni fa sul Corriere della sera ha parlato di idoli. Guardatevi dagli idoli,diceva Martini alla società italiana. È questo il problema. E la con-clusione che trae e mi sembra molto bella: ‘scopo della Chiesa è dioperare con Cristo nella trasformazione dell’umanità’. Questa tra-sformazione, come tutto ciò che coinvolge l’uomo, ha due dimen-sioni, quella personale e quella sociale. Nella vita della Chiesa finoad oggi si è prestata molta attenzione alla dimensione personale. Ègiunto il momento ora di dedicarsi, nella stessa misura e possibil-mente anche di più, alla trasformazione sociale.

È Hurley dice ancora che nella Chiesa il Vangelo ha trasfor-mato gli uomini radicalmente: Saulo in Paolo; Ignazio di Lodola ca-valiere di Carlo V in Ignazio cavaliere di Cristo.

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Cosa fare per la paceChiaramente dovrei entrare in ciò che si può fare in campo

economico, finanziario... ma mi fermo soprattutto sull’aspetto dellapace, perché lo ritengo estremamente importante ed è anche quelloche mi avete chiesto questa sera. Il primo salto da fare, è un saltodi qualità umana, cioè rendere la guerra e le armi tabù. Sembra im-possibile per l’uomo; non è vero. L’uomo l’ha già fatto per tante altrecose. Per esempio sappiamo che le società primitive utilizzavanol’incesto. A un certo punto si è visto che l’incesto faceva male allarazza umana... e presso tutti i popoli della terra l’incesto è diventa-to tabù. Perché l’uomo non può rendere le armi tabù se ci stanno ri-ducendo dove ci stanno riducendo? È un salto incredibile di menta-lità che cominciamo a fare. Qui incominciate come credenti, e anchenon credenti, ad arrivare alla scelta di Gesù, alla non violenza atti-va, che non è pacifismo, ma molto di più.

Questo salto richiede una forte spiritualità. Ghandi dicevache ci vuole molta più forza a praticare la non violenza che non ab-bracciare un mitra. La scelta della non violenza attiva, con tuttoquello che questo comporta, con tutto quello che dobbiamo inven-tare, senza imitare nessuno e rimanendo attenti al momento storicoin cui viviamo, richiede il rifiuto totale della logica della violenza,perché ci porta necessariamente alla morte. Sangue domanda san-gue.

Nasce chiaramente il problema delle obiezioni. La Chiesa pri-mitiva, molti testi lo confermano, nei primi tre secoli è stata ligia amettere in pratica l’insegnamento di Gesù riguardo al problemadella guerra, per cui praticamente chiedeva di scegliere: o il battesi-mo o l’esercito. Oggi poi non abbiamo neanche più gli eserciti po-polari, abbiamo eserciti professionisti e sappiamo molto bene quel-lo che vanno a fare. Il programma che hanno davanti è di uccidere.Può un cristiano prendervi parte? Sono domande che dobbiamoporci con la massima lealtà. La stessa cosa vale per i cappellani mi-litari.

Oggi si pone con più gravità la problematica dell’obiezione fi-scale. Fra l’altro ho visto che da Napoli la Martirani e Tonino Dragohanno detto che si può fare l’obiezione fiscale anche dando l’8 permille, chiedendo poi all’Ufficio della CEI che i soldi vengano impie-gati per esempio per le peace brigades, per la difesa non violenta.C’è poi l’obiezione professionale contro chi costruisce le armi.

Sono problemi gravi, problemi di coscienza. Pensiamo ancheal problema del nucleare. La situazione è spaventosa. So che laComunità Europea ha stanziato, per la Russia, venti miliardi di dol-lari per tentare di rimediare al disastro prodotto dal sistema obsole-to nucleare russo,soprattutto in campo ecologico. Le scorie atomi-che durano duecentomila anni. L’atomica è qualcosa di assurdo, èla negazione dell’uomo, è la negazione della vita. Aveva ragione

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all’Arena di Verona, quel bravissimo giornalista tedesco, convertitodal discorso della montagna, a gridare: ‘scegliete o Dio o la bomba.Non si può dire di credere in Dio e poi mettere la propria fiducianella bomba atomica. O uno o l’altro!’. Sono questi i discorsi che,come cristiani, dobbiamo assolutamente fare.

In un momento così grave, dobbiamo essere noi promotoridavvero, partendo dal basso, dalle parrocchie, del disarmo totale. Nesono testimoni i molti missionari che vengono dall’Africa delle tra-gedie che stanno provocando le armi! Non ne possiamo più, perchénon si può più vivere. È necessario pertanto coscientizzare la gente,partendo dalle nostre parrocchie, dagli incontri che facciamo, nellecatechesi. Dobbiamo incominciare ad aiutare la gente a formarsi unacoscienza e a dire di no a queste logiche. Il papa è stato bravissimo,come ho detto prima, a pronunciare quel no alla guerra in Iraq. Maè anche vero che abbiamo bisogno di una base cattolica, ecclesiale,che cresca con questo no alla guerra e, in buona parte, ancora nonc’è. È una crescita che deve essere fatta, perchè la logica della pacedeve diventare parte essenziale della nostra pastorale quotidiana.Ecco la sfida! E per me questa è una sfida enorme.

A questi aspetti vorrei aggiungere anche i problemi enormiche troviamo in Europa. Fra l’altro la Costituzione Europea dice chela pace non è tra i principi su cui si fonda l’ispirazione della politi-ca estera dell’Unione, ma solo tra gli obiettivi della sua azione. Ciòche si vuol salvaguardare sono gli interessi fondamentalidell’Unione, interessi vitali e non la pace tra i popoli.

È chiaro che venendo prima gli interessi, la pace può venireinterrotta da missioni militari che sono contemplate però non comeguerre, ma come assistenza militare, prevenzione dei conflitti, man-tenimento della pace, combattimento nella gestione di crisi, lottacontro il terrorismo. Pensate!, la Costituzione Europea prevedeun’agenzia europea per gli armamenti, che dovrebbe potenziare lecapacità militari degli stati.

Per non parlare poi della NATO. La NATO è stata fatta per di-fenderci dai Paesi dell’Est, comunisti, che non ci sono più. Ma allo-ra perché esiste ancora? Nessuno si pone il problema, si va avanti.Non solo c’è, ma si sta rafforzando accettando sia la logica dellaguerra preventiva, sia dell’intervenire dove gli interessi vitali sianominacciati. Quindi non è più neanche difesa, è offesa. E non solo; iPaesi dell’Est sono forzati ormai ad entrare nella NATO, perché do-vranno rifare tutte le loro armi sui modelli occidentali... altre spesein armi, e questa è follia totale!

Per me è stata una conversione, una conversione radicale aGesù di Nazareth prima di tutto, al Vangelo, alla non violenza, che

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Conclusione

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poi i poveri mi hanno confermato. Anche a Korogocho ho tentatol’esperienza della non violenza lottando con i poveri; durissimo, maci siamo stati a questa lotta. È stata questa crescita che mi porta,oggi, a leggere la realtà come ve l’ho letta, e a domandare a tutti voinon solo la conversione personale, l’uscire dalla logica della violen-za che ci portiamo dentro, ma anche la dimensione sociale, i com-portamenti sociali. Come cristiani, abbiamo, in questo momentodella storia umana, una vocazione che direi è quasi unica e dob-biamo avere il coraggio di sporcarci le mani. Si tratta davvero dimorte o di vita per tutti noi ormai. Vi prego datevi da fare, perchévinca la vita.

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