ATTI DEL SEMINARIO INTERNAZIONALE EDITORI PAOLINI · TIGREROS d. Ernesto - Sociedad de San Pablo -...

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ATTI DEL SEMINARIO INTERNAZIONALE EDITORI PAOLINI «Oggi, più ancora che nei tempi andati, vale l’organizzazione, specialmente internazionale, in ogni settore, in modo particolare per l’apostolato» (Don Alberione, UPS I, 382) A cura di Luigi Giovannini Ariccia - Milano 17 settembre - 2 ottobre 1988

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ATTIDEL SEMINARIO

INTERNAZIONALEEDITORI PAOLINI

«Oggi,più ancora che nei tempi andati,

vale l’organizzazione,specialmente internazionale,

in ogni settore, in modo particolareper l’apostolato»

(Don Alberione, UPS I, 382)

A cura di Luigi Giovannini

Ariccia - Milano17 settembre - 2 ottobre 1988

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PRESENTAZIONE

Avevo presentato il Seminario internazionale per gli editori come una estensionedel V Capitolo generale.

Il «rinnovamento della missione paolina» che era l’obiettivo generale di questo Semi-nario si è concretizzato nel «nuovo impulso» all’editoria paolina che nell’accezione alberio-niana si identifica praticamente nel concetto della nostra missione.

Dopo una prima analisi del grande quadro di riferimento dell’editoria paolina: stori-co, carismatico, teologico, sociale, ecclesiale, comunicativo, siamo passati alla complessa fa-se metodologica e tecnica di essa. Si è poi concluso con la fase operativa delle alleanze edelle decisioni strutturali di cooperazione internazionale.

Non ci eravamo attesi risultati miracolistici, ma abbiamo la fondata speranza che que-sta lunga riflessione unita ad alcune conclusioni pratiche di concertazione per le nostre varieeditorie con l’ampliamento più deciso su tutto l’arco dei mass media, abbia conferito a que-sto incontro un’importanza che lascerà un’impronta sull’orizzonte di tutta la nostra vita, sulsuo «scopo unico»: la missione di portare il Vangelo agli uomini nella Chiesa e oltre i suoistessi confini istituzionali.

Don Renato PERINOSuperiore generale

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PROGRAMMA

Sabato 17 settembre 1988* Nel pomeriggio: Arrivo e sistemazione ad Ariccia

Domenica 18 settembre* Presentazione dei partecipanti e della loro attività* Celebrazione eucaristica presieduta dal Superiore generale d. Renato Perino* Dinamica (d. Silvio Sassi)* Presentazione degli obiettivi del Seminario (d. Renato Perino)

Lunedì 19 settembre* L’editore paolino nel pensiero (documenti) di Don Alberione (d. Giancarlo Rocca)* Come è nata l’editoria di Don Alberione e come si è sviluppata (d. Franco Pierini)

Martedì 20 settembre* Evangelizzazione della società e della cultura (p. Bartolomeo Sorge sj)* Evangelizzare in una Chiesa concreta (card Aloísio Lorscheider)

Mercoledì 21 settembre* Che cosa significa evangelizzare (aspetto teologico) (d. Bruno Forte)

Giovedì 22 settembre* Evangelizzare con i mezzi della comunicazione sociale (d. Silvio Sassi e coll. dello SPICS)

Venerdì 23 settembre* Trasferimento del gruppo da Ariccia a Milano

Sabato 24 settembre* Politiche di un’editoria paolina (libri, periodici, audiovisivi) (d. Manoel Quinta, d. Antonio Tarzia, d.

Stefano Andreatta, d. Eligio Ermeti)* Organizzazione e gestione aziendale. Regole generali di conduzione di un’impresa editoriale (rag. Giu-

seppe Barranco)* Il mercato. Principi di valutazione e intervento (d. Emilio Bettati)* Amministrazione e servizi come elementi fondamentali di supporto (d. Danilo Regazzo)

Domenica 25 settembre* Presentazione dei risultati e della metodologia dell’indagine sull’“immagine della San Paolo in Italia” a

cura dell’Istituto Eurisko (dott.ssa Laura Camini, d. Antonio Sciortino, sr. Barbara Giacomelli)

Lunedì 26 settembre* Discussione sulla metodologia della ricerca sull’immagine e dibattito sulle evidenze emerse (dott.ssa

Laura Camini, d. Antonio Sciortino e sr. Barbara Giacomelli)* Assunzione dell’impresa e delle sue regole come strumento di apostolato (d. Leonardo Zega)* Collaborazione, rapporti e apertura ai laici nelle attività paoline (fr. Francesco Bernardi, dott. Beppe Del

Colle e dott. Corrado Minnella)* Vita religiosa Paolina (d. Renato Perino)

Martedì 27 settembre* Trasferimento del gruppo da Milano ad Alba e ritorno ad Ariccia

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6 - Programma

Mercoledì 28 settembre* Analisi delle risposte al sondaggio-questionario sull’editoria paolina nel mondo (a cura dello SPICS e

della Dott.ssa Laura Comini)

Giovedì 29 settembre* Modello di un’editoria internazionale (CEF: dr. Sandro Longhi)

Venerdì 30 settembre* Presentazione del “Progetto biblico” (d. Francisco Anta)* Proposta di un’informazione sistematica tra gli editori paolini (d. Angelo Colacrai e d. Ezechiele Pasotti)* L’immagine dell’editoria paolina vista attraverso i suoi segni grafici (fr. Angelo Zenzalari)* Altre proposte di intese tra editori paolini suggerite dai partecipanti per una più efficace collaborazione

internazionale

Sabato 1 ottobre* Proposte e discussioni per gruppi

Domenica 2 ottobre* Conclusioni* Celebrazione eucaristica* Pranzo di chiusura

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PARTECIPANTI AL SEMINARIO INTERNAZIONALE EDITORI PAOLINIIndirizzi, telex, telefax

ALINSANGAN d. Gil - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA

ANDREATTA d. Stefano - Gruppo Periodici Paolini - Via Giotto, 36 - 20145 MILANO

ANTA d. Francisco - Sociedad de San Pablo - Calle de Protasio Gómez 15 - 28027 MADRID - SPAGNA

ANTONIETTI sr. Maria Saveria - Hijas de San Pablo - Calle Manuel Maranon 13 - 28043 MADRID - SPAGNA

ARBOLEDA d. Andrés - Society of St Paul - 7708, St Paul Road, SAV - P.O. Box 525 - MCPO, 1299 MAKATI,Metro Manila - FILIPPINE

ARES d. Ricardo - Sociedad de San Pablo - Calle de Protasio Gómez 15 - 28027 MADRID - SPAGNA

ATHALATHIL d. Devassy - Society of St Paul - 23rd Road, TPS III - Post Box 9814 - Bandra - BOMBAY400 050 - INDIA

BARATA fr. Paulo - Sociedade de São Paulo - Rua D. Pedro de Cristo, 10 - 1700 LISBOA - PORTOGALLO

BEFFA sr. Cristina - Figlie di San Paolo - Via Varanini, 6 - 20127 MILANO - MI

BEIQUE fr. Dismas (Maurice) - Society of St Paul - P.O. Box 595 - CANFIELD, Ohio 44406 - USA

BERETTA d. Piergiorgio - Gruppo Libri - Piazza Soncino, 5 - 20092 CINISELLO BALSAMO - MI

BERNARDI fr. Francesco - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

BRONDINO d. Fredo - Société Saint Paul - Château de Chanteloup - F - 91290 ARPAJON - FRANCIA

BRUERA fr. Jorge - Société de Saint Paul - 10ème Rue - B.P. 127 Limete - KINSHASA - ZAIRE

CALABIA fr. Hector - Sociedad de San Pablo - Avenida San Martin 4350 - 1602 FLORIDA, Buenos Aires -ARGENTINA

CATTANEO sr. Piera - Filles de St. Paul B.P. 335 - KINSHASA - ZAIRE

CESARO d. Antonio - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

CHENNAMKULAM fr. Basil - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

CIACCIO d. Virgilio - Pia Sociedade de São Paulo - Via Raposo Tavares, km. 18,5 - C.P. 8107 - 04117 SÃOPAULO - SP - BRASILE

CIRA PEREZ P. Victoriano - Sociedad de San Pablo - Lesbos 131 - Fracc. Lomas Estrella - Apartado Postal150-002 - Del. Iztapalapa - 09870 MÉXICO D.F. - MESSICO

COLACRAI d. Angelo - Society of St Paul - Middlegreen - Langley - SLOUGH SL3 6BT - GRAN BRETAGNA

COLLICELLI d. Gilles - Société-Saint Paul - 3965, boul. Henri-Bourassa - MONTRÉAL-NORD, QC, H1HILI - CANADA

CORREIA FRANÇA d. Agostinno - Sociedade de São Paulo - Rua D. Pedro de Cristo, 10 - 1700 LISBOA -PORTOGALLO

COSTAMAGNA P. Sergio - Edilux, S.A. de C.V. - Calle Lesbos 131 - Apartado Postal 150-001 - Del. Izta-palapa - 09870 MÉXICO, D.F. - MESSICO

DE LA HERA d. José María - Sociedad de San Pablo - Calle de Protasio Gómez 15 - 28012 MADRID - SPAGNA

DI CORRADO d. Giuseppe - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

DOLZANI d. Aderico - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

ERMETI d. Eligio - San Paolo Audiovisivi - Via Portuense, 746 - 00148 ROMA - RM

FALCONI d. Aldo - Société de Saint-Paul - 10ème Rue - B.P. 127 Limete - KINSHASA - ZAIRE

FAVARETTO fr. Bernardo - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

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8 - Partecipanti

GALLIANO sr. Anna Maria - Figlie di San Paolo - Via Antonino Pio, 75 - 00145 ROMA - RM

GOONAN d. Michael - Society of St Paul - 60-70 Broughton Rd. - HOMEBUSH, NSW 2140 - AUSTRALIA

GOULART d. José Dias - Pia Sociedade de São Paulo - Rua Francisco Cruz, 185-199 - C.P. 12899 - 04117SÃO PAULO - Vila Mariana - SP - BRASILE

HILL sr. Maria Lea - 50, St Paul’s Avenue - Jamaica Plain - BOSTON, MA 02130 - STATI UNITI

KANACHIKUZY d. Augustine - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

KOKKATT d. Aloysius - Society of St Paul - 23rd Road, TPS III - Post Box 9814 - Bandra, BOMBAY, 400050 - INDIA

KOLENCHERIL d. Joseph - Society of St Paul - W-128 Greater Kailash II - New Delhi - 110048 - INDIA

LEE ch. Chang Ouk Felix - Società San Paolo - Via Alessandro Severo, 58 - 00145 ROMA

LEVORATO d. Gino - Jakobstrasse, 52 - D 8500 NÜRNBERG 1 - GERMANIA FEDERALE

LOURO LOURENÇO d. Aderito - Sociedade de São Paulo - Rua D. Pedro de Cristo, 10-12 - 1700 LISBOA -PORTOGALLO

MACCARI sr. Natalia - Av. Indianópolis, 2752 - 04062 SÃO PAULO - SP - BRASILE

MAGBANUA d. Sergio - Society of St Paul - 7708, St Paul Road, SAV - P.O. Box 525 - MCPO, 1299 MAKATI,Metro Manila - FILIPPINE

MAKIYAMA fr. Paolo - Society of St Paul - 1,5 Wakaba, Shinjuku-ku - 160 TOKYO - GIAPPONE

MANDING sr. Consolata - 2650, F.B. Harrison - 1300 PASAY CITY - FILIPPINE

MARCAZZAN sr. Teresa - Daughters of St. Paul - P.O. Box 46029 - NAIROBI - KENYA

MAROÑO PENA d. Antonio - Sociedad de San Pablo - Calle de Protasio Gómez 15 - 28027 MADRID -SPAGNA

MARTINEZ sr. Ana Maria - Hijas de S. Pablo - Calle Nazca, 4249 - 1419 - BUENOS AIRES - ARGENTINA

MARUTHANAKUZHYIL d. Paul - Society of St Paul - W-128 Greater Kailash II - New Delhi - 110048INDIA

MASTRANDREA d. Tommaso - Telenova/Novaradio - Via Piemonte 2 - 20145 MILANO - MI

MICKLER d. Jeffrey - Society of St Paul - Box 595 - CANFIELD, Ohio 44406 - STATI UNITI

MOSCATI d. Giuseppe - San Paolo Audiovisivi - Via Portuense, 746 - 00148 ROMA - RM

NADALICH d. Ruben - Sociedad de San Pablo - Avenida San Martin 4350 - 1602 FLORIDA, Buenos Aires -ARGENTINA

PASOTTI d. Ezechiele - Society of St Paul - Middlegreen - Langley - SLOUGH SL3 6BT - GRAN BRETA-GNA

PERINO d. Renato - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

PIGNOTTI d. Silvio - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

PYO sr. Tecla - 103, Mi A Dong. Do Bong Ku - 132-104 SEOUL - COREA DEL SUD

QUINTA d. Manoel - Pia Sociedade de São Paulo - Rua Francisco Cruz, 185-199 - C.P. 12899 - 04117 SÃOPAULO - Vila Mariana - SP - BRASILE

RANGEL MAGAÑA d. Salvador - Sociedad de San Pablo - Av. Taxqueña, 1792 - Colonia: Pasos de Taxque-ña - Deleg. Coyoacán - Apartado Postal 69-766 - 04460 MEXICO, D.F. - MESSICO

RECALCATI d. Carlo - Casa Generalizia SSP - Via della Fanella 39 - 00148 ROMA - RM

RI fr. Bernardo - Society of St Paul - 103/36, Mi A 4 Dong-Do Bong Ku - 132-104 SEOUL - COREA SUD

RODRIGUES DA SILVA sr. Luzia - Familia Cristã - Rua Domingos de Morais, 678 - Vila Mariana - 04010SÃO PAULO - SP - BRASILE

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Partecipanti - 9

SADOWSKI fr. Frank - Society of St Paul - 2187 Victory Blvd - STATEN ISLAND, N.Y. - USA

SARACENO d. Vittorio - Sociedad de San Pablo - Apartado 14034 de Candelaria - CARACAS 1011-A -VENEZUELA

SCIORTINO d. Giuseppe - Gruppo Libri - Piazza Soncino, 5 - 20092 CINISELLO BALSAMO - MI

SPINUCCI sr. Ida Paola - Figlie di San Paolo - Via Paolo Uccello, 9 - 20148 MILANO - MI

TANIGUCHI d. Giuseppe - Society of St Paul - 1,5 Wakaba, Shinjuku-ku - 160 TOKYO - GIAPPONE

TARZIA d. Antonio - Gruppo Libri - Piazza Soncino, 5 - 20092 CINISELLO BALSAMO - MI

TIGREROS d. Ernesto - Sociedad de San Pablo - Carrera 9 N. 15-01 - BOGOTÁ - COLOMBIA

VACA d. Hernando - Fernando Meneses 318 y Avda. La Casca - Sector 12 - Miraflores - Casilla 866AQUITO - ECUADOR

VAGNONI d. Angelo - Sociedad de San Pablo - Apartado 14034 de Candelaria - Caracas 1011-A -VENEZUELA

VINES d. José - Av. Vicuña Mackenna, 10777 - Casilla Postal 3746 - SANTIAGO DE CHILE - CILE

ZEGA d. Leonardo - Gruppo Periodici Paolini - Via Giotto, 36 - 20145 MILANO - MI

RELATORI (non partecipanti)

BARBIERO dr. Guglielmo - Concorde Europeenne Formation - Via Cosimo Del Fante 16 - 20122 Milano

BARRANCO rag. Giuseppe - Concorde Europeenne Formation - Via Cosimo Del Fante 16 - 20122 Milano

BETTATI d. Emilio - SSP - Corso Regina Margherita 1/2 - 10124 Torino

COMINI dr.ssa Laura - Marketing Gruppo Periodici - Via Giotto 36 - 20145 Milano

DEL COLLE dr. Beppe - Vice direttore di Famiglia Cristiana - via Giotto 36 - 20145 Milano

FORTE d. prof. Bruno - Pont. Facoltà Teologica di Napoli

GIACOMELLI sr. Barbara - Figlie di San Paolo - Via Antonino Pio 75 - 00145 Roma

LONGHI dr. Sandro - Concorde Europeenne Formation - Via Cosimo Del Fante 16 - 20122 Milano

LORSCHEIDER card. Aloysius - Arquidiocese - Caixa Postal D-6 - 60001 Fortaleza-Ceará - Brasile

MINNELLA dr. Corrado - Direz. Commerc. Gruppo Periodici - Via Giotto 36 - 20145 Milano

PIERINI d. Franco - SSP - Via Alessandro Severo 52a - 00145 Roma

REGAZZO d. Danilo - SSP - Corso Regina Margherita 1/2 - 10124 Torino

ROCCA d. Giancarlo - SSP - Via Alessandro Severo 52a - 00145 Roma

SASSI d. Silvio - SPICS - Via Alessandro Severo 58 - 00145 Roma

SCIORTINO d. Antonio - Condirettore di Famiglia Cristiana - Via Giotto 36 - 20145 Milano

SORGE p. Bartolomeo - Centro Studi P. Arrupe - Palermo

ZENZALARI fr. Angelo - Edizioni Paoline - Corso Regina Margherita 1/2 - 10124 Torino

COLLABORATORI (non partecipanti)

BYRNES d. Mike - Generalizia - RomaCARDONI Massimo - Juniores - RomaDE BLASIO fr. Silvano - Generalizia - RomaGIOVANNINI d. Luigi - Generalizia - RomaPINTOSSI Sergio - Juniores - RomaVALERETTO Gino - Juniores - Roma

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10 - Partecipanti

TELEX* TELEFAX*

ARGENTINA: Florida 25390 VIDAL AR (POR EP/SSP) (0/1)345437 (FOR EP/SSP)

AUSTRALIA: Homebush (0/2)7461140Wantirna (0/3)8871354

BRASILE: São Paulo (Prov.) 1139464 PSSP BR

Radio America 1130791 RAMC BR

Ufficio Edizioni 1139464 PSSP BR

Vocazionario 1182697 PSSP BR

Libreria 1124006 PSSP BR

FSP-Familia Cr. 1132018 PIFS BR

Campinas (Libr.) 197658

Campo Grande (Libr.) 672342

Cuiabá (Libr.) 652268

Goiania (Libr.) 6221516

Juiz de Fora (Libr.) 3223392

Olinda (Radio) 811016

Ribeirão Preto (Libr.) 165729

Rio de Janeiro (Libr.) 33152

CILE: Santiago 241330 TXENTRO CL (FOR SAMPABLO)

COLOMBIA: Bogotá 41388 CELA CO (FOR PAULINOS) (9/1)6711278

Medellin (9/4)2642810

COREA: Seoul (0/2)9844622

FILIPPINE: Makati (0/2)8103512 (FOR SSP)

FRANCIA: Parigi 205794 EDIPAUL F

GIAPPONE: Tokyo (03/351)9534 (diffusione)

(03/357)6979 (uff. ediz.)

GRAN BRETAGNA: Slough (0/753)74240

ITALIA: Casa Generalizia 623888 PAULUS I (0/6)5222326

Alba Casa Madre (0/173)363265

Gruppo Periodici 210150 EPI I (0/173)34055

Cinisello Balsamo 325183 EPBOOK I (0/2)6600621

Milano Gruppo Periodici 332232 EPI I (0/2)4983974

Telenova/Novaradio (0/2)48193378

Roma Redaz. R. Periodici 626585 EPI I (0/6)6547021

San Paolo Audiov. 630248 SPAROM I (0/6)6850051

MESSICO: Mexico D.F. (FSP) (5)7819841

POLONIA: Czestochowa 37677 EPIVOX PL

PORTOGALLO: Lisbona 13748 CARITAS LISBOA (Paulistas)

SPAGNA: Madrid 41872 EPSSP E (9/1)7425723

USA: Boston (FSP comunità) (617)5224081

Canfield (216)7586379 (for SSP)

Derby 703882 (for SSP) (716)8743340 (for SSP)

ZAIRE: Kinshasa 21008 DIA ZR (for SSP)

* Telex e telefax aggiornati al 15 gennaio 1989.

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D. Renato PERINOSuperiore generale

INTRODUZIONEAL SEMINARIO INTERNAZIONALE PER GLI EDITORI

DELLA SOCIETÀ SAN PAOLO

S C H E M AIntroduzione: La problematicaI. UNA CARRELLATA STORICAII. IL MOMENTO ATTUALEIII. GLI OBIETTIVI ATTUALI

1. Determinare con precisione i destinatari2. Allargare decisamente il ventaglio dei «media» dalla stampa agli audiovisivi

IV. ALCUNI PROBLEMI PRATICI NON PIÙ DILAZIONABILI1. Interscambio di personale2. Alleanze per aree linguistiche e a raggio internazionale

Proposta conclusiva: Uno statuto per l’apostolato

Cari fratelli e sorelle,Nel darvi il benvenuto più cordiale, mi auguro

che questo incontro giustifichi pienamente losforzo e l’impegno che tutta la congregazione, ein primo luogo il Governo generale, ha affron-tato durante tutto un anno di preparazione tantointensa, sistematica e rigorosa, quanto e forse piùche se si fosse trattato di un Capitolo generale.

Dell’ultimo Capitolo generale si considera in-fatti una estensione, riprendendone l’obiettivogenerale:

«Suscitare un processo di partecipazione alrinnovamento della missione paolina, per ri-spondere alle sfide attuali della evangelizzazio-ne, in una prospettiva vocazionale».

E da questo obiettivo generale il presente se-minario, caratterizzato dallo studio e dalle appli-cazioni concrete, fa discendere un obiettivo spe-cifico:

«Conferire un nuovo impulso e una maggiorechiarificazione dell’editoria paolina nel sensoqualitativo, quantitativo e professionale».

Durante le due settimane che seguiranno,quest’obiettivo si tradurrà, a sua volta, nel dare lamigliore risposta possibile alle seguenti domande:

1a Chi è l’editore paolino oggi?

Sia chiaro fin d’ora che questa ricerca diidentità corrisponde praticamente alla ricercadell’identità aggiornata del paolino ‘tout court’.Per «editore» nell’accezione alberioniana noiintendiamo infatti il paolino in tutto l’ampiospettro della sua vocazione-missione, intesa

come «scopo unico» - direbbe Don Alberione -della sua vita e della sua azione. Si riferisca essaalla lunga e mai compiuta preparazione; o all’im-pegno costante di riferirsi alle sorgenti inferioridella ispirazione e radicazione del proprio esserein Dio; o si applichino direttamente o indiretta-mente alla predicazione mediante la carta stampatao qualsiasi canale visivo o audiovisivo, e ad ognu-na delle tappe che determinano il percorso del-l’azione apostolica: creatività, produzione, marke-ting, gestione del personale, amministrazione ecc.

Non solo, ma l’apostolato per il paolino - inqualsivoglia modalità vi partecipi - è sempre an-zitutto una vita, una ragione di vita, che si devearmonizzare con ogni altra attività o finalità,temporale o trascendente, cui si applichi.

2a Come si comporta oggi l’editore paolinonella Chiesa e nella società in cui svolge la pro-pria missione? E a chi si rivolge?

Questa domanda ci chiede una risposta noneludibile, che e indubbiamente centrale da unpunto di vista ideologico, riguardante i nostri de-stinatari e pertanto la nostra stessa ragione di esi-stere e di operare nella Chiesa e nella società.Detto in altre parole, ci chiede di precisare al mas-simo grado possibile, nella situazione in cui ope-riamo, quale sia il nostro comportamento, la no-stra linea di azione come editori apostolici, così daessere chiaramente e costantemente riconoscibili.

In inglese, tutto ciò si può esprimere con unasola espressione: qual è la nostra «policy» edito-riale?

Un prelato, probabilmente a ragione in quellacircostanza, ci rimproverava: «Voi paolini sietediffusi e confusi».

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14 - Perino, Introduzione

3ª Come si può arrivare ai destinatari? (meto-di e risorse)

L’apostolato, soprattutto il nostro apostolato,mai come oggi deve passare attraverso tutte lemetodologie, i mezzi, le risorse di uomini e diprocessi organizzativo-amministrativi, propridella cosiddetta «industria della cultura»: dellamacro- o microcomunicazione che dir si voglia.

Uno degli assilli del Fondatore durantel’ultimo decennio della sua vita era questo:l’«organizzazione», e con questa parola tradu-ceva le esigenze appena accennate. Ma fu ditutta la sua vita una visione positiva, ottimisti-ca, dei «nuovi mezzi», e la assunzione corag-giosa della modernità, sia riguardante i «mezzipiù celeri ed efficaci» sia le «strutture e le me-todologie più celeri ed efficaci».

Il prossimo anno ricorrerà il 75° anniversariodella nostra fondazione.

Permettetemi di dire subito che non ci siamoriuniti qui per fare dei bilanci eventualmenteesaltanti sulla nostra missione durante questi trequarti di secolo. Non siamo qui per compiacercinarcisisticamente di alcune tappe anche vistoseormai raggiunte.

Siamo qui per convenirci ad un autentico,forte rinnovamento editoriale, fatto di chiarezza,di qualità, di quantità anche, e su scala interna-zionale, creando fra noi delle sinergie e delleconvenzioni non effimere per appoggiarci l’unl’altro, per imparare l’uno dall’altro; risparmian-do forze e risorse preziose; moltiplicandole anzi.Per dirla con un solo slogan caro a Don Alberio-ne: «rafforzarci nell’unione».

Non dovremo infatti nasconderci che fra dinoi vi sono non poche editorie stagnanti, senzaslancio né chiarezza né immaginazione; editorieche vivono talvolta in situazione preagonica,senza incisività né programmazione né dinami-smo; che potrebbero anche sparire senza che laChiesa e la società, cui sono destinate a servire,ne avvertano la scomparsa.

I. UNA CARRELLATA STORICA

Siamo nati 74 anni orsono dalla tipografia. Dauna piccola tipografia, la «Scuola TipograficaPiccolo Operaio».

Fa impressione accostare il presente della con-gregazione e del mondo a quell’epoca remota, e cicommuove il fatto che soltanto pochi mesi addie-tro un adolescente morto a 14 anni e due mesi,Maggiorino Vigolungo, sia stato definito dal Papacome eroe cristiano, e pertanto venerabile, nellasua specificità di apostolo della stampa.

Se provassimo a tradurre quest’espressione ri-corrente nei suoi propositi e annotazioni, «apo-stolato della stampa», con «apostolato della co-municazione sociale» o, più semplicemente pernoi oggi, «editoria apostolica» nell’accezioneampia, alberioniana, sentiremmo vibrare il climadella primavera paolina, tuttora attualissimo.

«Con l’aiuto di Dio e sotto la protezione di S.Paolo - egli si proponeva, - intendo e risolvo diconsacrare la mia vita intera all’editoria apo-stolica», - dove il termine ‘consacrazione’ acco-stato al termine ‘apostolato’ ci offrirebbe, tral’altro, uno spunto ricchissimo per una riflessio-ne teologale sulla «consacrazione apostolica».

Ma assumiamo ancora un’affermazione diMaggiorino:

«L’editoria apostolica è la prima potenza; es-sa dirige il mondo».

In quegli inizi, quando quasi tutto era soltantosperanza, una affermazione come questa eracertamente una risonanza di quella dichiarazionedi Ketteler, che conferiva un illimitato entusia-smo al primo nucleo di aspiranti paolini: «Se SanPaolo nascesse ora, si farebbe giornalista...».

Sappiamo che l’editoria paolina ebbe inizio daun settimanale diocesano, la «Gazzetta d’Alba», acui si aggiunsero ben presto, in numero crescente,bollettini parrocchiali, piccoli catechismi e librettidevozionali. Ma la prima guerra mondiale limitòlo sviluppo della nascente istituzione.

Fu con il ritorno dal fronte di alcuni paolini el’aggregazione di un gruppo di chierici del semi-nario albese che l’istituto ebbe uno sviluppoprodigioso, sia dal punto di vista vocazionale cheda quello editoriale ed edilizio.

I tempi eroici dell’editoria paolina risalgonoagli anni ’20 e ’30, fra le due guerre mondiali,con una prima espansione della Famiglia Paolinaa Roma e poi, in un primo slancio missionario,in Brasile, Argentina, Stati Uniti, Giappone, Fi-lippine, Cina, Francia, Polonia, Spagna, Porto-gallo.

Mentre Don Alberione stabiliva le basi teori-che della sua opera (il libro L’Apostolato della

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Stampa appartiene a quell’epoca), da un lato eglicercava di promuovere la redazione tra i nostrigiovani scrittori e giornalisti, convogliandolanelle varie pubblicazioni periodiche che andava-no sorgendo («La Famiglia Cristiana», «Il Gio r-nalino», «La Domenica Illustrata», «La Domeni-ca» nacquero in quel periodo) e impegnava tuttinella preparazione di testi, che spaziavano dallescienze per i ginnasi-licei, all’agiografia, allastoria, alla catechetica, ai testi di teologia e filo-sofia, fino all’audace impresa della Bibbia initaliano, francese, spagnolo e inglese.

D’altro lato, egli era riuscito a formare delcomprensorio edilizio paolino albese un cantierecompleto e autarchico, che partiva dalla fabbri-cazione della carta, passava per il processo inte-grato della produzione di libri e riviste e giunge-va alla fabbricazione dei mattoni per erigere lecostruzioni sempre più capienti di quella stagio-ne irrepetibile di flusso vocazionale.

Nel frattempo, Don Alberione coinvolgeva inquesto cantiere febbrile le nuove congregazionifemminili che erano sorte o stavano sorgendo, leFiglie di San Paolo e le Pie Discepole, e riuscivaa stabilire una formidabile rete di librerie, tro-vando anche il modo di lanciare tutti e tutte nelladiffusione porta a porta dei vari libri e pubblica-zioni periodiche.

E tutto ciò egli riusciva ad armonizzare - per ilprodigioso entusiasmo e forza giovanile che eracapace di mobilitare - con lo studio assiduo econ la fedelissima dedizione alla preghiera.

Ma l’impresa inverosimile che caratterizzò ein qualche modo chiuse questo periodo epico, fula decisione assunta da Don Alberione di aprirel’apostolato paolino alla fase audiovisiva, al ci-nema in specie, con un avvio grandioso. Già allesoglie del secondo conflitto mondiale, egli silanciò nella produzione del film «Abuna Mes-sias» sulle imprese missionarie del CardinalMassaia. Il colosso vinse il primo premio allamostra cinematografica 1939 di Venezia, ma laguerra impedì la sua programmazione su scalamondiale. Soltanto la Provvidenza, attraversol’inflazione sopraggiunta, ci salvò da una cata-strofe economica. Ma intanto era nata la R.E.F.(Romana Editrice Film), divenuta più tardi la«San Paolo Film».

Il periodo della seconda guerra mondiale, seda un lato costituì una calamità per l’editoriapaolina di mezzo mondo, dall’altro può conside-rarsi un momento lungo e doloroso di riflessionee di preparazione per un lancio successivo.

Don Alberione non si diede mai per vintodagli avvenimenti. Durante quegli anni estre-

mamente difficili egli preparava una seconda on-data di fondazioni estere, mentre l’editoria italia-na, soprattutto albese e romana, cominciava a pro-filarsi con caratteri di programmazione, con unapiù accurata selezione dei testi, una più attenta cu-ra dei contenuti e una migliore qualità tecnica.

A questi miglioramenti corrispose la rispostatangibile dei lettori, sia delle pubblicazioni pe-riodiche («Famiglia Cristiana» aumentò la tiratu-ra di centinaia di migliaia di copie) e sia dellecollezioni librarie, che si affermarono per presti-gio e tirature,

Fu un momento paragonabile all’epoca eroicadegli anni ’20 e ’30, ma con un carattere menotumultuoso, molto più maturo, così da inciderenella pastorale della Chiesa italiana, particolar-mente nel settore librario, che andò assumendo apoco a poco quel carattere di mediazione cultu-rale che si rivelò provvidenziale in preparazioneal Vaticano II ormai alle porte.

In Giappone era intanto nata la «Bunka Ho-so», importante emittente radio culturale, dellacui esistenza travagliata permangono tuttora al-cune solide espressioni.

La «San Paolo Film» in Italia e in Spagna co-stituì nel secondo dopoguerra un capitolo di no-tevole importanza, sia nella produzione (si pensip. es. ai cinquanta cortometraggi catechistici e ainotevoli lungometraggi biblici), sia nella distri-buzione, che alimentò per decenni migliaia disale parrocchiali.

Nacque intanto ad Albano l’attività discogra-fica e, giunti ormai nella stagione conciliare, laradiofonia assunse le dimensioni coraggiosissi-me delle emittenti paoline brasiliane.

La strategia alberioniana era duplice:1° Assumere i nuovi mezzi di comunicazione,

a mano a mano che si affacciavano nella loromaturità;

2° Creare dei precedenti che costituissero deibalzi in avanti, a qualsiasi costo, in previsione diuno sviluppo dopo la sua morte.

Durante anni egli sognò e lavorò per un quo-tidiano e, molto più avanti, sondò tutte le vie perdare inizio alla televisione.

Non raggiunse la realizzazione di tutti i suoisogni, ma ebbe la grazia, proprio quando la suavita volgeva al termine, di vedere consacrata lasua opera nel primo documento del concilio Va-ticano II, il decreto «Inter mirifica». Dopo avertanto faticato e sofferto, lo «scopo unico» dellamissione dei suoi figli e figlie assurgeva a cate-goria di «predicazione», sulla linea della predi-cazione evangelica di tutti i tempi.

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II. IL MOMENTO ATTUALE

Don Alberione tracciò la via «provando e ripro-vando» alla maniera dei grandi pionieri e invento-ri. Egli si preoccupò costantemente di fissare sullacarta e d’inculcare con la parola la propria visio-ne ed esperienza. Pochi fondatori hanno lasciato,come lui, una eredità scritta e parlata così ricca,tutta impregnata di spiritualità apostolica.

Ma soprattutto egli operò e stimolò ad opera-re senza tregua, non accettando passivamente ledifficoltà talora insormontabili, attendendo pa-zientemente l’ora di Dio e mettendo a frutto an-che gli errori.

Per quanto sia arduo e pericoloso tentare unavalutazione storica di un processo ancora in cor-so, possiamo dire che la nostra tappa postfonda-zionale è stata particolarmente lunga e provvi-denzialmente diluita nel tempo. Il declino fisicodel Fondatore precedette di qualche anno la suascomparsa.

Il periodo postfondazionale, in se stesso sem-pre molto critico e, nel caso nostro, non ancoraconcluso, coincise pericolosamente con il mo-mento più tumultuoso del postconcilio e con lacrisi vocazionale, che, se da un lato ci costrinsea intraprendere nuove vie per la pastorale dellevocazioni, dall’altro ci obbligò a rivedere, spes-so radicalmente, le attività apostoliche che findalle origini erano strettamente condizionate daigruppi in formazione.

La Provvidenza tuttavia ci ha assistiti in que-sto trapasso storico della nostra vita istituzionalee lo Spirito del Signore continuò ad operare e asospingerci dove volle e come volle. Basti pen-sare all’ultimo Capitolo generale: lo si era foca-lizzato sulla missione in prospettiva vocazionalee, senza quasi che ci accorgessimo, a poco a po-co la missione paolina venne tutta centrata sullaformazione delle persone e delle comunità, qualisoggetti attivi, protagonisti essenziali di essa.

Ne è prova questo seminario, che sotto tuttigli aspetti va inquadrato su uno sforzo di forma-zione continua e, ripeto, di conversione, per unrinnovamento che oserei definire epocale, stori-co, della nostra ragione di essere e di lavorareper il Regno di Dio.

Avrò occasione di parlarvi della missionecome vita; come indispensabile ricerca continuadi integrazione completa della nostra vita nel-l’unità fra contemplazione e azione, fra pre-ghiera e attività, senza la quale non possiamoparlare di missione e cioè di consacrazioneapostolica, ma neppure di consacrazione reli-giosa nel senso del nostro preciso carisma.

È evidente, fratelli e sorelle, che qui risiedeil nucleo esistenziale del binomio vocazione-missione quale coppia di comprincipi essenziali,al di fuori dei quali non potremo mai conservareuna cittadinanza autentica e duratura nella Chie-sa, né sarà mai possibile progettare un nostrofuturo mediante la trasmissione - stavo per direla ‘trasfusione’ - della nostra chiamata alle nuo-ve generazioni; trasmissione che non sia una ve-ra comunicazione di luce da luce, di vita da vita.

Uno sguardo positivo sull’ultimo ventennio,in cui si da inizio alla preparazione del Capitolospeciale e che vede la scomparsa di Don Albe-rione (26 novembre 1971) avvenuta a breve di-stanza dalla chiusura del Capitolo medesimo,può rilevare alcuni dati che ritengo fondame n-tali:

1° Nonostante i vacillamenti e gli abbandoniverificatisi nei primi anni ’70, la congregazionerimane sempre fortemente unita all’interno diogni sua circoscrizione e delle circoscrizioni conil centro.

2° Il Capitolo speciale del 1969-1971 si deli-nea sempre più chiaramente, in tale situazionecomplessa e pericolosa, come una Pentecostecui partecipò tutta la congregazione e che riuscì,con immense fatiche, a raccogliere e a riespri-mere integralmente l’eredità spirituale e aposto-lica del Fondatore, fondendola con il VaticanoII, e la nuova stagione della storia, così da aprireil varco verso un futuro sempre più acceleratoed esigente.

Come è successo in quasi tutti gli istituti reli-giosi, anche i documenti del nostro Capitolospeciale tardarono molti anni prima di venireassunti come testi normativi e soprattutto comesussidi per l’animazione delle comunità e per laformazione specifica paolina nei nostri corsi diformazione. Come è ormai consuetudine defi-nirli da parte degli studiosi, essi appartengonoalla tappa letteraria della riforma conciliaredello stato religioso.

Don Alberione approvò con entusiasmo i do-cumenti del Capitolo speciale, soprattutto nelleparti per lui più importanti, quali quelle riguar-danti la spiritualità e la missione paolina. Ho te-stimonianze dirette di questa sua gioiosa accet-tazione, che esprimeva la constatazione di esse-re stato perfettamente interpretato alla luce delVaticano II.

Dal canto suo la congregazione, nei suoi mo-menti più solenni quali furono i Capitoli gene-

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rali successivi, e in tutto l’iter sperimentale delleCostituzioni fino alla loro approvazione defini-tiva, nonché nella formazione specifica dei suoimembri, ha tratto ispirazione costante da quellagrande stagione dello Spirito.

3° Nella crisi vocazionale che ha investitotutta la Chiesa, la congregazione è rimasta sta-

tisticamente pressoché stabile, e continua a cre-scere nelle nuove fondazioni, tenendo - sia purecon fatica - le posizioni critiche, esprimendonella solidarietà fra le circoscrizioni l’univer-salismo paolino, e crescendo costantemente inqualità ed efficienza nelle sue attività apostoli-che.

III. GLI OBIETTIVI DEL SEMINARIO

1° obiettivo: determinare con precisione i desti-natari e i contenuti della nostra missione.

- A chi ci vogliamo rivolgere?- Che cosa diremo loro?

Tra i vari interrogativi sollevati dalla comuni-cazione, ci paiono questi i due essenziali.

Ma vogliamo essere più concreti. Chiamaticome siamo ad operare in una Chiesa, e anzituttoin una Chiesa particolare che non è mai statamonolitica - e meno che mai lo è oggi, così pola-rizzata e così percorsa da tensioni, - in qualeimmagine di Chiesa ci riconosciamo?

Il pluralismo che caratterizza la compagineecclesiale, dalla gerarchia alla base, è in granparte una ripercussione del pluralismo di opi-nioni, di ideologie, di stratificazioni sociali epolitiche esistenti nella società. E non potrebbeessere diversamente, dal momento che la Chie-sa è chiamata a vivere nel mondo e per il mondo.

Quale sarà allora la nostra scelta di campo difronte alle diverse ideologie sociali, economichee politiche?

E qui si presenta subito il grave, delicatissimoproblema della inculturazione della fede: l’adat-tamento cioè alle varie culture e alle frammenta-zioni di esse, le sottoculture.

Durante questo seminario ricorreranno spessoi termini «missione» ed «evangelizzazione». Siriferiscono prioritariamente ai destinatari e aicontenuti del nostro apostolato.

Ma tanto il concetto di missione come quellodi evangelizzazione sono andati gradatamenteassumendo delle dilatazioni semantiche, so-prattutto da parte della riflessione e della pras-si pastorale di questi ultimi decenni, con unaforte accentuazione nel Vaticano II e nel post-concilio.

Da un lato, il concetto di missione oggi ab-braccia tutta l’attività pastorale della Chiesa,

con l’aspetto storico-dinamico di essa, l’interaproblematica del suo rapporto con il mondo, congli uomini e con la società civile, con i problemisociali e politici dei popoli e delle classi sociali.E tutto ciò senza steccati tematici, istituzionali ogeografici 1.

L’evangelizzazione a sua volta, nell’attualesvolta antropologica della ecclesiologia, divental’asse dell’azione pastorale e non è più soltantouna funzione della Chiesa, ma è la sua stessa ra-gione di essere 2.

Da parte del magistero, dopo il Condilo «nes-sun documento ha utilizzato in positivo tutte lebuone cose della teologia della missione degliultimi decenni meglio della Evangelii nuntiandidi Paolo VI» 3.

«Per la Chiesa - scrive Paolo VI - non si trattasoltanto di predicare il vangelo in fasce geogra-fiche sempre più vaste o a popolazioni semprepiù estese, ma anche di raggiungere e quasisconvolgere, mediante la forza del vangelo, icriteri di giudizio, i valori determinanti, i punti diinteresse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici ei modelli di vita dell’umanità» (EN 19).

A proposito di questa visione ampliata dellamissione ecclesiale, scrive un teologo contempo-raneo:

«Non v’è dubbio che il concetto di evangeliz-zazione della EN rappresenta un passo avantinell’autocomprensione della chiesa. Esso trova ilsuo ritmo in una visione sostanzialmente positivadella chiesa attuale (EN 7), dei rapporti intercon-fessionali (EN 54, 77) e dell’ecumenismo a li-vello mondiale [...] (EN 53, 55). Pone il suoorizzonte in una forte istanza di globalità (EN24) che coordina attività e momenti ecclesiali,luoghi e gruppi culturali, storia di chiesa e storiadi umanità. Colloca il suo traguardo nella com-posizione del ‘teologico’ con l’‘antropologico’(EN 25 sg), della conversione interiore a Cristo(EN 18 e 10), specifico ed essenziale fine del-l’evangelizzazione, con la promozione uma-na, elemento integrante dell’evangelizzazione,

1 Cf Severino Dianich, Chiesa in missione, EP 1985, p. 26 sg.2 Cf ib. p. 27.3 Cf ib. p. 37.

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in una fedeltà e creatività che va dal Cristo figliodi Dio al Cristo solidale con l’uomo soprattuttopovero. Presta attenzione alla chiesa particolaree all’articolata soggettività di una comunità lo-cale. Interpreta la cattolicità allargandola dalnumerico (chiesa per tutti gli uomini) e dal geo-grafico (chiesa per tutte le nazioni) al qualitativo(chiesa per tutti i valori) e al culturale (chiesa ditutte le culture).

Pertanto il concetto di evangelizzazione [epossiamo ben dire anche di missione] dellaEvangelii nuntiandi può considerarsi un evento;sulla soglia del terzo millennio del cristianesimo(EN 82) e all’inizio di una nuova epoca del-l’umanità, può risultare un decisivo evento disalvezza, dunque, in un certo qual modo, un kai-rós della storia della salvezza» 4.

Don Alberione ha anticipato e formulato intermini prammatici, nel linguaggio del suo tem-po, questa dilatazione estrema dei concetti dimissione e di evangelizzazione.

Egli vuole che la nostra missione profeticanon abbia confini di geografia né di contenuti. Cidobbiamo sentire, egli scriveva, «come SanPaolo, debitori a tutti gli uomini, ignoranti e col-ti, cattolici, comunisti, pagani, mussulmani...»5.

E nel 1936 scriveva:«È utile che l’espressione ‘i nostri missionari’

venga evitata o sia spiegata con quest’altra:‘missionari della stampa’ [oggi diremmo ‘dellacomunicazione sociale’]. La nostra congregazio-ne dovrebbe portare ovunque la Parola di Dioper mezzo delle edizioni [...]. Essa ha un ufficiospecifico cui indirizzare le sue forze; ma nei luo-ghi di missione [...] non esercita il ministeromissionario nel senso comune...»6.

Quanto ai contenuti della nostra evangelizza-zione, sappiamo quanto sia sempre stato ampio eprofondo lo sguardo di Don Alberione, quandoindica l’estensione e la penetrazione della mis-sione paolina.

A partire dall’ottica sconfinata che egli ci de-scrive nella concezione - stavo per dire nel sogno- della «unificazione delle scienze in una filoso-fia che introduca gli intellettuali sulla portadella teologia ed ecciti in loro il desiderio di altraluce, quella di Cristo; attraverso a cui si arrive-

rà alla luce piena in ciclo» (AD 191), fino allasua preoccupazione quasi ossessiva che nullasfuggisse alla nostra azione evangelizzatrice, alfine di «portare tutto il Cristo all’uomo e daretutto l’uomo a Dio per Gesù Cristo»7.

Da qui una ricerca di adattamento missionario(oggi lo definiremmo, almeno parzialmente, co-me inculturazione), spinto in tutte le direzioni ele dimensioni 8.

Da qui ancora, come oggetto della evangeliz-zazione paolina, tutto lo scibile a partire dallaParola di Dio, fino alla preevangelizzazione ealla evangelizzazione in ogni sua tappa, finoall’animazione cristiana di tutte le realtà terrene,come risposta non soltanto tattica, ma sulla basedi un progetto strategico e su motivazioni checorrispondano al mistero dell’Incarnazione, al«mistero della pietà» (1Tm 3,16), secondo il di-segnò del Padre di «ricapitolare in Cristo tutte lecose» (Ef 1,10) 9.

A questo punto suppongo che mi domanderete:- Ma quale delle nostre editoriali librarie, pe-

riodiche, audiovisive può abbracciare realistica-mente tutto il programma di Don Alberione, so-prattutto riguardante i contenuti di essa?

Vi rispondo subito che nessuna delle nostreeditoriali è oggi in grado di realizzare questoprogetto in tutta la sua ampiezza. Neppurel’editoria matrice, quella italiana.

Già Don Alberione, nell’introduzione al pri-mo Capitolo generale del 1957, segnalava unaspecie di scala di priorità e proponeva:

«un ordine:a) catechismo e istruzione religiosa in gene-

rale;b) la Scrittura presentata al mondo d’oggi;c) tutto quanto o prepara, o dispone, o spiega,

o concilia, o accresce forza alle verità divine se-condo quanto scrive S. Paolo:

‘Infine, fratelli, prendete in considerazionetutto quel che è vero, buono, giusto, puro, degnodi essere amato e onorato; quel che viene dallavirtù ed è degno di lode. Mettete in pratica quelche avete imparato, ricevuto, udito e visto in me.E Dio che dà la pace, sarà con voi’ [Fil 4,8 sg]»10.

Tematizzare sotto ogni aspetto il contenutodella nostra missione è di tale importanza che ildiscorso ritornerà sotto diverse angolazioni in

4 Donato Valentini, Evangelizzazione in Nuovo Dizionario di Teologia, EP 1985, p. 1980.5 «Regina Apostolorum» , Aprile 1951.6 «San Paolo», n. 25, 1936; cf Documenti Capitolari, n. 88 e nota 32.7 «Unione Cooperatori...» , Dicembre 1959, p. 10; cf Doc. Cap., nn. 139-146.8 Cf Doc. Cap., nn. 147-151.9 Cf ib. nn. 163-176.10 CISP 165 sg.

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Perino, Introduzione - 19

tutti gli interventi di questi prossimi giorni: didon Giancarlo Rocca, di don Franco Pierini, didon Bruno Forte, del cardinal Aloysio Lorsche i-der, di P. Bartolomeo Sorge, di don Silvio Sassi.

A me spetta soltanto proporvi, in una pro-spettiva globale, gli obiettivi essenziali del se-minario.

Definire chi è l’editore paolino tocca eviden-temente a noi stessi, sulla base dell’eredità rice-vuta e ritrascritta nell’oggi. Ma è anzitutto ri-spondendo alle due domande con cui iniziail’enunciazione del primo obiettivo - A chi ci vo-gliamo rivolgere? Che cosa diremo loro? - cheriusciremo a tracciare i contorni identificanti diquesto editore.

Qui basta aggiungere due brevi considerazio-ni, dettate dal realismo:

1a Una editoriale, per quanto piccola sia, devepassare per un processo di programmazione, diverifiche e di bilanci.

Ciò infatti che è fondamentale per essere cre-dibili, è la cura costante di essere riconoscibili eidentificabili nella «linea editoriale», ossia negliobiettivi, nella scelta dei contenuti, nella stessapresentazione stilistica. Non si tratta, evidente-mente, soltanto di una questione di «immagine»,ma è un problema che tocca la natura della no-stra missione; la quale non tollera in alcun mo-mento obiettivi fuorvianti, quali la ricerca adogni costo del successo, e pertanto quell’anna-spare confuso su vari temi, con episodi di pre-sunzione senza seguito e cadute nella mediocrità,o nell’ambiguità anche dottrinale.

2a L’ampiezza dei filoni tematici e la profon-dità del raggio di azione vanno sempre commi-surate ai limiti umani (numerici e qualitativi) deicomunicatori, alle circostanze precise del campoapostolico (Chiesa e società) e alle risorse eco-nomiche su cui l’editoriale può far conto e di cuidispongono i destinatari.

2 ° obiettivo: allargare decisamente il ventagliodei «media» dalla stampa agli audiovisivi.

P. Ricoeur parla della società attuale caratte-rizzata da una crescente razionalità dei mezzi eda una concomitante crescente oscurità dei fi-ni 11. Per questo ho dato un ampio risalto al pri-mo obiettivo, riguardante la missione paolina e isuoi contenuti.

E tuttavia dobbiamo affermare decisamenteche a conferire l’esatta specificità alla nostra

missione - al suo «scopo unico» come direbbeDon Alberione - è la valorizzazione, ai fini dellaevangelizzazione, dei mezzi della comunicazio-ne sociale 12.

Siamo nati dalla tipografia, dicevo; siamo su-bito passati all’editoria della carta stampata. Ma,nonostante gli impulsi spesso audaci del Fonda-tore verso l’utilizzazione di tutti gli altri mezzi dicomunicazione in una prospettiva di massa e dicarattere audiovisivo (quotidiani, produzione ci-nematografica, emittenza radio e televisiva, di-schi ecc.), dobbiamo ammettere che, salvo con-tate eccezioni, non ci siamo granché spostati dailibri e dalle pubblicazioni periodiche.

D’accordo: l’esperienza della nostra storiaremota e vicina ci ha cautelati di fronte al forterischio economico che comporta la macrocomu-nicazione, se non si dispone del supporto digrandi mezzi finanziari, che fino ad oggi sonosempre stati fomiti dalla editoria dei libri e deiperiodici.

E qui non intendo certamente sottovalutare laconsiderevole presenza delle edizioni paoline dicarattere meso- o micro-comunicativo (minime-dia, cassettes, videos e, in passato, la distribu-zione di pellicole cinematografiche ecc.), maormai tutta questa attività meritoria eppure im-prescindibile va gradualmente valendosi priorita-riamente delle nostre librerie, anche quando esseassumono la denominazione di «Centro paolinodi comunicazione» e vanno caratterizzandosisempre più dalla commercializzazione, in fortepercentuale, di produzioni estranee alla nostraeditoria.

E qui mi viene un sospetto.Non sarà che, salvo le ultime generazioni di

paolini, fin da giovani e giovanissimi noi siamostati addestrati pressoché esclusivamente nel-l’«apostolato» della tipografia e conosciamo be-ne, esperienzialmente, come si fa un libro e unapubblicazione periodica, ma rimaniamo intimi-diti davanti agli altri «media», come se ci fosseroestranei e praticamente al di fuori del nostrocampo apostolico?

Rimane vero, certamente, ciò cui ho già ac-cennato: il forte costo economico insito nei nuo-vi mezzi, con i conseguenti rischi. Ma non ne-cessariamente noi dobbiamo «possedere» questimezzi, potendoci valere dei mezzi che ci offre laChiesa o la società civile, concentrando i nostrisforzi sulla corretta utilizzazione di essi e sui lo-ro contenuti 13.

11 Cf La théologie du rénouveau, Ed. du Cerf, Paris 1968, pp. 49-58.12 Cf Doc. Cap. nn. 196-197.13 Cf Doc. Cap. nn. 97 sg; 112; 128; 130 sg.

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Per dilatare e professionalizzare il nostrocampo apostolico specifico, voi sapete che èsorto su disposizione del Capitolo speciale (DC576) lo «Studio Paolino Internazionale di Comu-nicazione Sodale» (SPICS), a Roma. Il suo sco-po principale è quello di iniziare scientifica-mente i propri alunni a tutto l’arco della comuni-cazione sociale, e a tal fine adotta una didatticache congiunge strettamente lo studio teorico dellescienze della comunicazione con l’esercitazionepratica e la ricerca su tutti i «media».

L’ultimo Capitolo generale chiedeva al Go-verno della congregazione che «dia gli opportuniorientamenti allo SPICS, affinché esso diventisempre più scuola di formazione apostolica spe-cifica, di base e permanente, per tutta la congre-gazione» 14.

È noto che numerosi paolini e molti alunniesterni, non soltanto italiani, si sono valsi di que-sto istituto per integrare i corsi di formazioneapostolica specifica delle nostre circoscrizioni edi un certo numero di diocesi.

La formazione ai nuovi linguaggi della co-municazione e alla utilizzazione dei vari «me-dia» appartiene, come è risaputo, alla normativadel nostro Direttorio (nn. 95.2; 97.1). Essa verràaccentuata dalla «Ratio formationis generalisSSP» in via di elaborazione ed è ormai resa ob-bligatoria per tutti gli istituti e seminari ecclesia-stici da un documento della Santa Sede 15.

Ma l’allargamento coraggioso del ventagliodei nostri «media» penso debba essere la verasfida di questo seminario.

Oltre a rappresentare un atto di coerenza aldinamismo stesso della comunicazione, quale ciha sempre presentato in forma impellente il Fon-datore, nella teoria e nella prassi, questo salto diqualità generalizzato non può subire ulteriori ri-tardi, quando altri istituti religiosi per non parla-re di grandiose iniziative a raggio ecclesiale - sisono aperti o si stanno decisamente aprendo allanostra area apostolica, come logico sviluppo delloro carisma - o della Chiesa stessa che ormai haassunto totalmente la modernità nell’onnicom-prensivo ambito della evangelizzazione.

Tra il resto, se non riuscissimo nella misuradel possibile e gradualmente a rispondere coniniziative positive a questa sfida, sarebberol’enunciazione della nostra missione nelle Co-stituzioni e la stessa proposta vocazionale adover essere coerentemente mutate in senso

onestamente riduttivo.La presentazione della nostra missione, stando

come stanno le cose, salvo sporadici episodi ri-marrebbe infatti in larga misura come un libro disogni.

Per non essere troppo generico, vorrei con-centrare la vostra attenzione prioritaria sui vi-deotapes, sia come sforzo produttivo che comesforzo distributivo, in quanto essi riassumono insé il cinema e la televisione, che oggi vanno con-siderati i «media» principi della comunicazione.

Va da sé che il settore delle cassettes (musicae parlato) e l’auspicabile adozione della rapidis-sima applicazione dell’elettronica alla comuni-cazione attraverso altri «media» (videodischi,videolibri, videogames ecc.) nonché i program-mi radio sotto le più varie dimensioni edespressioni, per non parlare della partecipazionealla televisione - che siano nostre o no le emit-tenti - rappresentano quell’incontenibile irra-diazione della comunicazione elettronica chedeve interessarci, secondo i criteri di realismoanaloghi a quelli già accennati parlandodell’editoria in generale.

Non mi addentro ora nell’analisi delle cond i-zioni che rendano possibile questo salto di qua-lità generalizzato. Vi accennerò fra poco.

Passo quindi al terzo obiettivo.

3° obiettivo: assumere il senso organizzativodell’apostolato come condizione imprescindibiledi rispetto alle leggi intrinseche di esso.

Una parte cospicua di questo seminario verràdedicata alle metodologie per una corretta orga-nizzazione di una editoria paolina con i suoi ri-svolti gestionali, i problemi di mercato, i serviziausiliari, la collaborazione con i laici e, per ulti-mo ma non ultimo d’importanza, il problemadell’armonizzazione in unità di vita del nostroessere religiosi consacrati per la missione con lanostra attività specifica di ogni giorno.

Seguiranno poi, a modo di conclusioni opera-tive, alcuni aspetti pratici di grande importanza,ma di non facile progettazione, preceduti daun’analisi della nostra realtà concreta di editorisu scala internazionale.

Non intendiamo imporre a nessuno delle fo r-zature procedurali o metodologie sperimentali,sia ben chiaro; né intendiamo proporre soluzionisproporzionate a molte delle nostre situazioni,che conosciamo modeste, spesso precarie.

14 Cf Atti e documenti del V Cap. Gen. SSP, Piano di azione congregazionale, n. 12.15 Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale, a cura della

Congregazione per l’Educazione Cattolica , 19 marzo 1986. Cf la ‘chiave di lettura’, a cura di S. Sassi pubblicata sul SanPaolo del Luglio 1987, pp. 13-24.

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Perino, Introduzione - 21

Cominciavo col dire che siamo qui per con-vertirci , cercando di imparare l’uno dall’altro, va-lendoci dei successi, ma anche degli insuccessi.

Ciò che importa, mi pare, è che non si abbiapaura delle parole. Alcune di esse, come profes-sionalità, imprenditorialità, ecc. possono sti-molare reazioni difensive, se non decisamentecontrarie, lo sappiamo; quando esse vanno tra-dotte semplicemente in termini di serietà, diumiltà di fronte a procedure che nulla hanno ache fare con il rifiuto della Provvidenza e dellaprofezia, essendo conquiste analoghe ad altricampi apostolici quali la scuola, la medicina,l’antropologia culturale ecc., che hanno accolto,ormai da decenni se non da secoli, il trapassodella Chiesa all’epoca della scienza e della mo-dernità, come cammino del Signore e dell’uomonella storia.

Non soltanto, ma ormai certe metodologie ecerti processi operativi sono consolidati dallascienza e dall’esperienza, e valgono per tutto ilmondo e per qualsiasi iniziativa, per povera epiccola che sia.

Ciò che qui vorrei sottolineare sono due prin-cipi che mi paiono fondamentali per chiarirequanto detto sopra.

1° Il primo principio è di approfondimento.Quando si parla di impresa e di professiona-

lità, applicate alle nostre strutture e al nostromodus agendi nell’apostolato, non si intende as-solutamente contraddire quella preoccupazione,così viva nel nostro Fondatore, di situare su unlivello sacrale, coerente con la missione, le no-stre opere e i nostri ambienti di apostolato: evit a-re lo spirito di «industria» e di «commercio»;considerare gli uffici redazionali, le tipografie ele librerie come «pulpiti», ecc.

Si tratta di adottare coraggiosamente il prin-cipio della laicità (non laicismo) o della secola-rità (non secolarismo) nel loro «significato neu-trale e positivo di legittima autonomia dellerealtà terrene», che va considerato «un fatto ir-reversibile [...] come un punto basico della pro-spettiva pastorale della presenza cristiana nelmondo» (DC n. 119).

Tale autonomia viene energicamente affer-mata nella prima parte del capitolo III dellaGaudium et spes (n. 36), quando parla della«città terrena, a ragione dedicata alle cure se-colari e retta da propri principi».

2° Dopo un lungo studio sull’esperienzadella congregazione fin dalle origini, e un’atten-ta analisi delle attività apostoliche delle istitu-zioni religiose più antiche e solidamente affer-mate, dal 1982 si è giunti a sperimentare e poi a

codificare in forma definitiva il principio delladistinzione tra comunità religiosa e opera apo-stolica .

Nell’art. 167 delle Costituzioni SSP si affe r-ma: «Data l’indole del nostro apostolato, cheesige strutture organizzative e di coordinazionequasi mai coincidenti con l’ambito di una comu-nità locale, ma estese a un campo nazionale ointernazionale, si distingua, a giudizio dei supe-riori maggiori, tra comunità religiosa e operaapostolica. Alla responsabilità di questa sianopreposti uno o più direttori, giuridicamente auto-nomi (qualora tale compito superi l’ambito dellacomunità locale) dal superiore locale in quantoconcerne il loro compito direzionale, del qualerisponderanno direttamente alla competente au-torità superiore».

Questo principio ha numerose conseguenze:

a) L’ultima responsabilità di indirizzo apo-stolico generale; sugli obiettivi e sulla program-mazione; sul personale paolino direttivo o sul-l’orientamento del personale in formazione; sulcontrollo dei contenuti e dei bilanci, spettaall’autorità «canonica» della congregazione -Capitolo e Governo generale; Capitolo e Gover-no circoscrizionale; Governo locale trattandosidi case direttamente dipendenti dal Governo ge-nerale o, in casi particolari, dal Governo circo-scrizionale - secondo i criteri di competenza e disussidiarietà fissati dalle Costituzioni (Dir.158.1-158.2).

b) Ai responsabili delle opere apostoliche (di-rettori e consigli) spetta la più ampia delega nellagestione (Dir. 80.2; 158.2), «evitando l’eccessivacentralizzazione» (Dir. 158.1).

c) Di qui scaturisce una conseguenza dellamassima importanza: «I direttori delle opereapostoliche [...] condividono la funzione del-l’autorità religiosa, della quale sono espressioneconcreta nel campo apostolico loro assegnato.Nei loro confronti è impegnata l’obbedienza deifratelli da essi dipendenti.

A loro volta, i suddetti direttori sono an-ch’essi soggetti al Superiore locale in tutto ciòche concerne la vita della comunità, eccettoquanto riguarda specificamente il loro compitodirezionale. Verso i fratelli impegnati nel lorosettore, essi accorderanno un’attenzione non soloprofessionale, ma anche religiosa e pastorale»(Dir. 180.9).

d) Il principio di sussidiarietà e di delega, dicui ai nn. 158.1 sg, acquista una progressiva

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importanza a mano a mano che i «media» e i lo-ro processi esecutivi diventano sempre più sofi-sticati nei loro vari aspetti: contenutistici, tecnici,organizzativi e amministrativi. Un Superiore, o ilsuo consiglio eletto da un Capitolo o da una as-semblea, per il solo fatto di essere stati investitidi autorità, non vengono automaticamente munitidi competenze specializzate.

Ma questo principio di sussidiarietà e di dele-ga (con la conseguente distinzione fra comunitàe opera) vale anche per il settore della formazio-ne, dal fatto che le Costituzioni e il Direttorio sucui si fonda riguarda le norme generali dell’auto-rità religiosa (cf 157-158.3).

Di fatto, per un fenomeno analogo al settoreapostolico, in qualche Provincia si è sentito il bi-sogno di istituire una delega per la formazione,in tutta la sua estensione, e di collegarla organi-camente con l’organo coordinatore dell’apo-stolato.

e) Per quanto possiamo diventare esperti invarie discipline riguardanti il nostro campo apo-stolico, non potremo mai raggiungere l’auto-sufficienza.

Per questo, a misura che la nostra missione siestende in ampiezza e in qualità, dobbiamo con-vincerci che bisogna ricorrere a consulenzescelte con la massima cura in ogni settore: con-tenutistico (specialmente nell’attualità religiosa esociale), giuridico, economico, gestionale, tecni-co, politico, ecc.

f) Secondo una indagine fatta dallo SPICSsu tutta la congregazione, risultano impegnati

nelle attività apostoliche 300 paolini ‘full time’,286 ‘part time’, per un totale di 586 . Con lorocollaborano 1657 laici ‘full time’ e 588 ‘part-time’; totale 2.245 .

È facile prevedere che i laici collaboratori delnostro apostolato, inseriti nelle nostre struttureapostoliche, sono destinati a crescere di numeroe anche di qualità. Si tratta di una realtà, questa,che ebbe una sua evoluzione e che risale al no-stro Fondatore. Ce ne parlerà Fratel Bernardi.

Ciò che è fondamentale accennare qui è che ilaici operanti accanto a noi non rimpiazzano ipaolini venuti a mancare per la crisi vocazionale:potremo valerci dei laici fuori delle nostre strut-ture apostoliche.

La loro presenza in mezzo a noi non è quindistrumentale né una «supplenza», ma un fattoreorganico .

Appartengono cioè alla nostra missione e ri-spondono a quel concetto di «laicità» di cui haparlato il Capitolo speciale.

Non rifletteremo mai abbastanza su quantol’ultimo Capitolo generale ci dice a loro riguardo:

«I membri della congregazione si formino- al rispetto dei diritti, dei ruoli e della profes-

sionalità dei lavoratori dipendenti;- all’esercizio di una intelligente leadership,

che garantisca i contenuti delle iniziative apo-stoliche;

- alla pratica di una discreta animazione spi-rituale, che renda i collaboratori laici sempre piùconsapevoli delle ragioni del loro essere ed ope-rare accanto a noi» 16.

IV. ALCUNI PROBLEMI PRATICI NON PIÙ DILAZIONABILI

1. Interscambio di personale

Nessuno oggi può più fare da solo, sotto penadi morire di soffocazione, asfissiato da costi chespingono fuori mercato; o per mancanza di risor-se economiche; o semplicemente per l’esiguitàdelle aree di diffusione, quando mancano addi-rittura quelle esperienze e quelle competenze cheinvestono contenuti, tecniche e metodologie, attea superare l’esigenza di una crescente accelera-zione e la conseguente vita sempre più brevedelle idee e delle pubblicazioni; atte soprattutto asuperare la concorrenza che varca ormai ogniconfine di questo villaggio globale, che è ilmondo contemporaneo.

A nessuno certamente sfugge la scomparsa dimolte editrici, spesso dalla storia gloriosa, e lafusione di un buon numero di esse soprattutto incampo cattolico. Ma questo fatto è un fenomenoanalogo a quanto sta succedendo nel mondodell’industria su dimensione nazionale e interna-zionale.

I costi crescenti di ricerca, di impianto e dicommercializzazione spingono ad una serie dimovimenti, dalle proporzioni mai viste finora,verso alleanze e fusioni, sotto pena di fallimentoo di scomparsa.

Non esagero se affermo che noi non sfug-giamo a questi fenomeni; che nella nostra storiarelativamente breve abbiamo rischiato talvolta

16 Atti e Doc. del V Gap. gen. SSP, III priorità del Piano congregazionale 1986-1992, n. 33.

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Perino, Introduzione - 23

il marasma economico e il fallimento, se nonfosse stato per la solidarietà della congregazione,per non parlare degli interventi spesso tangibilidella Provvidenza.

L’apostolato dei mezzi della c.s. comportaquesti rischi in misura molto elevata. Ma dob-biamo esserne consapevoli.

Ed è qui che deve aver senso e deve scattareil dinamismo della natura internazionale e inter-culturale della congregazione.

Se avete notato, per la mediazione del Gover-no generale in congregazione è avvenuto un la r-go scambio di esperienze e di competenze.

L’esperienza ci insegna che molto spesso nonè sufficiente l’intervento economico per raddriz-zare certe situazioni. Sovente occorre inviare eaccogliere esperti, professionalmente capaci nelfare una diagnosi, nell’affrontare i problemi peruna terapia adeguata alle situazioni e, all’oc-correnza, nel dare concretamente una mano, perquel tempo che sia indispensabile, fino a che labarca sia rimessa in assetto di navigazione.

Tutto questo è possibile grazie alla solidarietàche ci lega fra noi.

2. Alleanze per aree linguistiche e a raggio in-ternazionale

È risaputo che con il concilio Vaticano II lapastorale ha subìto un processo di inversione ditendenza, che potremmo denominare «implosi-vo». All’ideale di una Chiesa che per secoli ten-deva a fare in tutto il mondo le stesse cose nelmedesimo modo e - trattandosi di liturgia - conla stessa lingua, subentra una Chiesa che tende amettersi «in situazione», ad adattarsi cioè per

quanto possibile, alla lingua, alla cultura, allecircostanze socioeconomiche del luogo.

La nostra missione cercò dì adattarsi, nel-l’apparenza stessa, per evitare un «colonialismoculturale»: si cercarono autori locali, ci si adattòin larga misura al livello e al gusto dei destina-tari.

Ma, soprattutto per aree linguistiche omoge-nee, non vi è dubbio che possiamo migliorare lenostre prestazioni se molta produzione editorialesarà fatta in collaborazione, soprattutto perquanto riguarda un gran numero di pubblicazionifacilmente adattabili a queste aree: minimedia,libri di formazione e di promozione umana, dicatechesi, ecc.

Un largo scambio sta già avvenendo in talsenso fra noi.

Sul piano internazionale resta tuttavia moltocammino da percorrere:

- nel campo dell’informazione rapida e pun-tuale;

- in progetti comuni, che comportano alti costie un più largo mercato;

- nel mettere assieme sinergie su punti chepossono trovare una realizzazione soltanto suscala internazionale. Per esempio, la traduzione,l’adattamento, il finanziamento, la produzione, ladiffusione non competitiva della Bibbia in varieversioni, attorno alla alberioniana «Società Bi-blica internazionale».

Altrettanto dicasi della produzione, del dop-piaggio e della distribuzione di audiovisivi chein larga misura possono adattarsi a tutte le cultu-re e che una sola editoria paolina non potrebbesostenere senza la garanzia di un’ampia parteci-pazione nelle spese e nella distribuzione.

PROPOSTA CONCLUSIVA

E ora alcune parole di conclusione.Noi siamo persuasi che oggi tanto la Chiesa

quanto la società, tanto lo sviluppo della comu-nicazione sociale quanto la tecnologia, i processiorganizzativi, il progresso stesso della congrega-zione in questi settantacinque anni di esistenza,esigono che il suo apostolato venga svolto conserietà e competenza.

Diversamente non si potrà più nemmeno par-lare di apostolato, in quanto sempre meno po-tremo raggiungere gli uomini di oggi, fino a nonraggiungerli affatto.

Non siamo qui per fare dei bilanci, ripeto.Questo seminario non ha nemmeno, quali obie t-tivi diretti, quello di darci un’immagine, o quellodi cercare le scorciatoie tecniche, i segreti faciliper migliorare i nostri «business».

Come responsabili, o destinati alla responsa-bilità della missione paolina di tutto il mondo,siete qui convocati dal Governo generale, con lapresenza di un folto gruppo di Figlie di SanPaolo, per convertirci , ve lo ripeto, alle esigenzerigorose, spesso durissime, della nostra missioneoggi.

Mi domando ora se da questo seminario po-tremo prendere le prime mosse per la formula-zione di una specie di codice o statuto per il no-stro apostolato.

Non si tratterà certo di un trattato, ma dipoche pagine normative, quasi un «vademe-cum» operativo, di natura etica e procedurale,con una introduzione che richiami il carismaispiratore.

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Fino ad ora ogni cosa è stata lasciata allacompetenza, o alla intuizione, o alla fantasia, oalla improvvisazione dei singoli, ma in modo perlo più slegato e discontinuo.

Non vi giudico, fratelli.Caso mai emetto un giudizio critico su me

stesso e sugli organi centrali di decisione dellacongregazione, a cominciare dai Capitoli gene-rali.

Penso tuttavia che sia ormai tempo di passiconcreti anche in questo senso.

Così come si è deciso, nell’ultimo Capitolo,di procedere alla stesura di una «Ratio forma-tionis generalis» per tutta la congregazione (ste-sura che verrà sottoposta a una prima approva-zione da parte della prossima Assemblea inter-capitolare), ora anche il codice o statuto perl’apostolato potrebbe avere da parte dei comp o-nenti questo seminario l’indicazione delle lineeessenziali, per poi demandare la stesura del

testo a una ridotta commissione, che arrivi tem-pestivamente a preparare ciò che, nel gergodelle organizzazioni internazionali, si suolchiamare «la bibbia» di una determinata istitu-zione.

L’approvazione di questo testo spetterebbepoi alla medesima assemblea intercapitolare.

Quali in concreto i contenuti di tale statuto?- le norme da osservare nella informazione

mutua;- le norme riguardanti i diritti o royalties;- le norme riguardanti gli scambi;- le procedure per formulare e condurre a

buon fine un progetto; ecc.

Termino questo lungo discorso augurandoviun proficuo e lieto lavoro, che abbia anche comerisultato la crescita di una intensa fraternità, dellastima vicendevole, nonché la stimolazione delleidee e delle iniziative fra di voi.

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D. Giancarlo ROCCA SSP

I CONCETTI DI EDITORE-EDITORIA-EDIZIONEIN DON GIACOMO ALBERIONE

Introduzione 1

L’esame di quale o quali idee siano state allabase dei concetti di “Editore - Editoria - Edizio-ne” in don Giacomo Alberione arreca molteplicifrutti. Anzitutto, permette di comprendere qualesia stata l’idea chiave del suo pensiero, quellache lo preoccupò e l’entusiasmò nello stessotempo, facendogli intravvedere possibilità infi-nite di apostolato 2. In secondo luogo, esso illu-mina l’interdipendenza tra questi concetti e il ti-po di struttura dato da don Alberione alla suafondazione 3. Infine, consente di precisare leconcrete circostanze che hanno spinto don Albe-rione ad agire, ostacolandolo o aiutandolo nellasua evoluzione, e che, nello stesso tempo, hannodelimitato il quadro del suo pensiero e della suaazione.

Sostanzialmente, nella storia del pensiero didon Alberione a riguardo della editoria paolina sipossono comodamente distinguere tre fasi, chesembrano avere una loro interna giustificazionestoriografica e quindi verranno seguite in questarelazione:

- in una prima fase, che dalle origini dell’isti-tuto si può far giungere sino al 1927 (datadell’approvazione della Pia Società San Paolo

come congregazione religiosa diocesana), donAlberione si forma un particolare concetto di“apostolato stampa” e quindi di “edizione”, i cuiprincipi basilari si trovano tutti chiaramente fis-sati e in maniera definitiva nel 1927 (parte primadi questa relazione);

- nella seconda fase, che dal 1927 giunge si-no al 1945 circa, questi principi sono chiariti,ribaditi e arricchiti in vario modo (parte secon-da);

- nella terza fase, che dal 1945 si può far ter-minare con il 1969, sì ha una discussione di que-sti principi, il loro ribadimento e nello stessotempo una loro relativizzazione in campo pratico(parte terza). Quanto fissato dal Capitolo spe-ciale del 1969-1971 (cui don Alberione, carico di85 anni, non partecipò di persona), non appartie-ne più a don Alberione, perché opera dei suoi fi-gli, ed esula quindi dal compito specifico di que-sta relazione.

Concluso così l’esame delle fonti alberionia-ne, si tenterà una visione globale del suo pen-siero (parte quarta), cui seguiranno alcune os-servazioni critiche (parte quinta) e una sintesifinale.

Parte prima: anni 1914-1927

a) Si può partire dall’esame dei volumi Ap-punti di teologia pastorale e La donna associataallo zelo sacerdotale 4, per notare come in essinon vi siano elementi chiari che facciano pre-sentire il futuro interesse di don Alberione perl’apostolato stampa. Essi utilizzano la stampaper la diffusione delle idee, sono quindi una te-stimonianza dello zelo e delle capacità di donAlberione, il cui interesse, però, è altrove. Il

volume La donna non è neppure centrato sullasuora, come avverrà in seguito, e costituiscesemplicemente una delle ultime espressioni delmovimento femminile cattolico particolarmenteattivo nel primo decennio del nostro secolo 5.

b) Il passaggio di don Alberione alla stampaavviene nel 1913 con l’assunzione della direzio-ne della Gazzetta d’Alba, ma soprattutto con lafondazione della Scuola tipografica il 20 agosto

1 Sigle più utilizzate in questo studio:UCBS = Unione Cooperatori Buona Stampa;LPP = La primavera paolina. L’“Unione Cooperatori Buona Stampa” dal 1918 al 1927, a cura di R. F. Esposito, Roma 1983;CISP = Carissimi in san Paolo, a cura di R. F. Esposito, Roma 1971.

2 Si potranno trovare molte indicazioni su questo tema, con ampie citazioni di testi, in R. F. Esposito, La teologia dellapubblicistica secondo l’insegnamento di G. Alberione, Roma 1972.

3 Ulteriori indicazioni in G. Rocca, Sacerdote e discepolo nella Famiglia Paolina , allegato in preparazioneall’intercapitolo del 1989.

4 Per una bibliografia degli scritti di don Alberione cf A. Damino, Bibliografia di don Giacomo Alberione, Roma 1984.5 D. Ranzato - G. Rocca, 50 anni di una presenza pastorale. Le Suore di Gesù Buon Pastore, 1938-1988, Roma 1988,p. 26-28.

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del 1914. Questa stampa, comunque, è ancoragenerica, non costituisce ancora l’unico finedell’istituzione e non è precisato il caratterereligioso dei membri, perché don Alberionedice e dirà più volte che scopo della sua Scuolaè formare scrittori e tipografi cristiani per labuona stampa e altre opere cattoliche, con lapossibilità di inviarli poi a lavorare in altretipografie 6.

c) Molto più chiaro è il programma conse-gnato da don Alberione ai suoi giovani nel 1916e trascritto nel 1917 da don Timoteo Giaccardo 7.Si tratta ormai di un istituto od Ordine religio-so, dedito totalmente alla buona stampa, com-posto di Prim’ordine (ramo maschile), Secon-d’ordine (ramo femminile) e Terz’ordine (coo-peratori nel mondo). Emerge sempre più il desi-derio di don Alberione di dedicarsi totalmentealla stampa, anche se la sua Scuola conserva,almeno all’esterno, i caratteri di un avviamentoal lavoro. La stampa era divenuta per lui il ful-cro della sua vita. Egli si era convinto che, co-me la stampa poteva svolgere un ruolo decisivonel male, altrettanto poteva fare nel bene. Essa,che in quegli anni era ormai già diventata dimassa, sembrava godere di una autorità presso-ché assoluta, quasi indipendente dal suo conte-nuto. Ripetendo uno slogan ufficializzato daLeone XIII 8, anche don Alberione ripeté piùvolte e per molti anni che era necessario “oppor-

re stampa a stampa”, libro a libro, periodico aperiodico, se si voleva servire il Vangelo 9.

Il passaggio di alcuni chierici teologi (Timo-teo Giaccardo nel 1917 e altri sei chierici nel1920) dal seminario di Alba alla Scuola tipogra-fica , oltre a illustrare l’entusiasmo di questi gio-vani, mostra chiaramente il legame tra sacerdo-zio e buona stampa. Essi dichiararono, infatti, disentire prepotente, insieme con don Alberioneloro direttore spirituale, il desiderio di lavorarecome sacerdoti non più nell’ordinario ministerosacerdotale, ma in quello della stampa 10, consi-derata parte importantissima dell’ufficio sacer-dotale 11.

d) Con la domanda, avanzata nel 1921, di eri-gere la Scuola tipografica in congregazione reli-giosa diocesana, il pensiero di don Alberione èormai chiaro e ha alla base l’equipollenza trapredicazione orale e predicazione stampata 12.Essa non era nuova, e di fatto altri prima di donAlberione avevano parlato della stampa comedel “gran predicatore del nostro tempo... nelleosterie... nei caffé...” 13; ma don Alberione ac-centua questo carattere in maniera eccezionale:la modalità concreta, orale o scritta, non ha piùimportanza, e tutto è predicazione 14. Di frontealla esigenza di portare il Vangelo ovunque ealla constatazione di tante chiese vuote, egli siera convinto che la predicazione orale e la pre-dicazione stampata erano diverse solo per la

6 G. Rocca, La formazione della Pia Società San Paolo (1914-1927). Appunti e documenti per una storia, in Claretianum21-22 (1981-1982) 475-690, in particolare p. 505. Nell’UCBS si parla più volte di un corso della durata di 5 anni (per i tipo-grafi), al termine del quale i giovani avrebbero ricevuto un regolare diploma e sarebbero stati aiutati a trovare un lavoro.

7 Estratto dal diario del sig. Maestro don Timoteo Giaccardo , a cura di L. Rolfo, Alba 1974, p. 8-10, ripubblicato inG. Rocca, La formazione..., cit., doc. n. 19, p. 551-552.

8 Leone XIII, Etsi nos del 15.2.1882: “...Propterea, scripta scriptis opponenda...”.9 Valga come esempio quanto pubblicato nel 1922: “...Dovere perciò dei cattolici di opporre arma ad arma, cioè

stampa a stampa...” (UCBS, anno 4, n. 9, 10.4.1922, ripubblicato in LPP, p. 641); e ancora: “Ammoniva quindi Pio X:Oggi, o vittoriosi con la stampa o vinti con tutto il resto” (UCBS, anno 4, n. 12, 28.10.1922, ripubblicato in LPP, p. 647).

10 “Noi sottoscritti, desiderando di fare del bene coll’opera della stampa e non nel campo ordinario del ministero sa-cerdotale...” (Dalla lettera, datata 1.10.1920, dei sei chierici del seminario di Alba che chiedono di passare alla Scuolatipografica. Testo integrale in G. Rocca, La formazione..., cit., doc. n. 25, p. 558-559).

11 “I membri di questa famiglia... parte di essi compie anche gli studi sacri, intendendo rendersi scrittori e sacerdoti. Siha la persuasione che la Buona Stampa sia parte importantissima dell’ufficio sacerdotale” (Dalla lettera, datata 1.10.1920,di don Alberione a mons. Giuseppe Francesco Re, chiarendo gli scopi della Scuola tipografica. Testo integrale in G. Roc-ca, La formazione..., cit., doc. n. 26, p. 559).

12 “...La stampa buona è un vero apostolato, parte dell’apostolato della predicazione” (Dalla relazione inviata nel 1921da don Alberione a mons. Re chiedendo l’approvazione diocesana del suo istituto. Testo completo in G. Rocca, La forma-zione..., cit., doc. n. 31, p. 565-572, in particolare p. 565).

13 “Cf, ad es., [Pch.], La stampa grande potenza , in Civiltà Cattolica 64 (1913/I) 135: “Tu... sei l’oratore, il gran pre-dicatore del nostro tempo... Tu predichi nelle osterie, nei caffé...”. Ulteriori particolari in G. Rocca, La formazione..., cit.,p. 534.

14 L’equipollenza tra predicazione orale e predicazione stampata è stata studiata, con la presentazione di numerosi te-sti, da R. F. Esposito, La teologia della, pubblicistica secondo l’insegnamento di G. Alberione..., cit. Per conoscere invececome don Alberione ha cercato di realizzare il suo ideale, sono utili gli studi di G. Pelliccia, Come fu voluto e come nacqueil sacerdote scrittore ed evangelizzatore audiovisivo, in Conoscere don Alberione 1 (1982/2) 61-82, e di R. F. EspositoBibliografia della Famiglia Paolina, Roma 1983 (con elenco degli scritti pubblicati dai Paolini e orientamenti generaliintroduttivi).

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modalità, non per il contenuto né tanto meno perl’obbligo di predicare. In questa visione, tuttoassumeva un volto nuovo: la tipografia diventavauna chiesa, i banchi di composizione il pulpito,gli operatori i predicatori 15.

Su questa equipollenza egli insistette ancoranel 1922, allorché chiese alla S. C. dei Religiosil’approvazione del suo istituto come società di vitacomune senza voti pubblici. Si trattava, com’egliscrisse, semplicemente di fare con la parola scrittaciò che i predicatori facevano colla parlata 16.

L’opera della buona stampa - continuò donAlberione, riflettendo sulla sua idea - aveva ori-gini antiche quanto la Chiesa: il fondatore ne eraGesù Cristo, i primi membri gli apostoli, inviatia predicare ovunque. Questo mandato dovevaessere perpetuato in tutti i modi: un tempo con laparola, oggi con lo scritto 17.

Questa nuova visione delle cose era tuttacentrata sul sacerdote e sull’obbligo che egliaveva e ha di annunziare il Vangelo. Il sacerdo-zio costituiva così la chiave di volta di tutto ilpensiero di don Alberione. Il prete è chiamato ascrivere, così come è chiamato a predicare.

Ci si può chiedere se in questo modo don Al-berione venisse a proporre un nuovo modello diprete, cioè di prete-scrittore, apostolo dellabuona stampa. L’interrogativo nasce (oltre daldesiderio espresso dai chierici del seminario diAlba di operare come preti, non però nel mini-stero ordinario) dal fatto che, nel gennaio 1923,in una sua precisazione alla S. C. dei Religiosi,don Alberione propose che il sacerdote paolinopotesse dedicarsi totalmente alla stampa, esclu-dendo il ministero della predicazione orale eanche quello della confessione 18. Questo mododi intendere le cose avrebbe potuto portare, alla

lunga, a chiedersi il perché della presenza delsacerdote in un istituto non dedito ai tradizionaliministeri e se non bastasse essere opportunamenteistruiti per poter svolgere l’apostolato della stam-pa, ma la risposta era già pronta: la redazione èpredicazione, è ministero sacerdotale. Questostretto legame tra predicazione e redazione co-stituisce così il caposaldo di tutta la costruzionealberioniana e non verrà più abbandonato.

In questa visione e in quel momento don Al-berione non distingueva ancora tra buona stampae apostolato della stampa. Pur avendo detto, nel1921, che la buona stampa era un vero aposto-lato, la diffusione della dottrina cattolica, nel1926 sentì tuttavia il bisogno di precisare che afare della buona stampa bastavano uomini chesapevano; a fare invece l’apostolato della stampaoccorreva un’anima sacerdotale 19.

Non è ancora dato sapere quali circostanzeconcrete abbiano portato don Alberione a insi-stere su questa distinzione, e sarebbe moltointeressante conoscerle, tanto più se si conside-ra che il passaggio da buona stampa ad aposto-lato stampa sembra restringere il contenutodell’editoria paolina. Mentre nel 1922, cioè inun momento in cui don Alberione consideravaancora come compito importantissimo la for-mazione di scrittori sia per la sua Società SanPaolo che per altre istituzioni, egli poteva scri-vere che era necessario inondare il mondo dipubblicazioni che rendessero cristiana tutta lavita, e quindi anche il commercio, l’arte, la po-litica, la letteratura 20; negli anni seguentiinsisterà maggiormente sulla popolarizzazionedella dottrina sacra propriamente detta, delVangelo, della Bibbia 21. Più che una rispostaalle obiezioni mosse dalla S. C. dei Religiosi, la

15 “Le macchine sono pulpiti, le sale come chiese, gli operatori i predicatori: ecco il senso nuovo, inusitato che pren-dono le cose” (UCBS, 15.7.1921, ripubblicato in LPP, p. 138).

16 “... Lo scopo specifico della nostra Pia Società San Paolo. Essa è diretta a fare con la parola scritta ciò che i predi-catori fanno colla parlata... Si prega perciò la E. V. Rev.ma perché voglia permettere a questa istituzione divenire a predi-care con lo scritto accanto al sacerdote che predica con la parola”.

17 “L’opera della Buona Stampa ha origini antiche quanto la Chiesa: il fondatore ne è Gesù, i primi membri dell’operagli Apostoli...” (UCBS, anno 4, n. 13, 23.12.1922, ripubblicato in LPP, p. 645).

18 “...Si potrebbe restringere il lavoro per il solo apostolato della buona stampa, escludendo le varie altre occupazioni(predicare, confessare ecc.)...” (G. Rocca, La formazione..., cit., doc. n. 44, p. 596).

19 “A fare di questa stampa [=buona] bastano uomini che sanno; a fare invece l’apostolato, occorre un cuore, un’anima sa-cerdotale. Esso è apostolato eminentemente sacerdotale” (UCBS, anno 8, n. 1, 20.1.1926, p. 3, ripubblicato in LPP, p. 668-669).

20 “...L’insegnamento delle masse è passato alla stampa... Noi dovremmo inondare il mondo di carta... Non tutte inten-diamoci religiose, no: l’uomo non è puro spirito. La nostra produzione deve rispecchiare la vita tutta e tutta farla cristiana.Cristiani: il commercio, l’arte, la politica, la letteratura, la vita militare...” (La formazione degli scrittori nella Pia SocietàSan Paolo , in UCBS, anno 4, n. 5, 16 aprile 1922, ripubblicato in LPP, p. 809).

21 “L’apostolato della stampa... è la diffusione del pensiero, della morale cristiana, del Vangelo..., precisamente come si facon la parola” (UCBS, anno 8, n. 1, 20 gennaio 1926, ripubblicato in LPP, p. 668); “...Ma rimanga fisso e indiscusso: perfar l’apostolato-stampa occorre partire dal Vangelo...; il resto e stampa buona!...” (UCBS, anno 9, n. 1, 20 gennaio 1927,p. 9, ripubblicato in LPP, p. 697); “L’apostolato-stampa è a fianco dell’apostolato-parola come la S. Scrittura è a fiancodella tradizione e della predicazione orale” (UCBS, anno 9, n. 5, 20 maggio 1927, p. 16, ripubblicato in LPP, p. 700).

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quale vedeva nell’apostolato del nuovo istituto ilrischio di avviarsi verso il commercio, la distin-zione tra buona stampa e apostolato stampa sot-tolinea una ulteriore maturazione del pensiero didon Alberione. Mentre nel 1922 egli poteva an-cora scrivere che gli scrittori della Pia SocietàSan Paolo potevano, se lo volevano, ascendere alsacerdozio 22, nel 1926 è ormai definitivamentechiaro che gli scrittori saranno sacerdoti. Solo isacerdoti - secondo la dottrina del tempo - com-piono un vero apostolato, e i sacerdoti/scrittori lorealizzano proprio perché, in quanto sacerdoti,diffondono con lo scritto ciò che i sacerdoti or-dinari diffondono con la parola 23. La distinzioneè data dalla diversità degli operatori, che ora so-no sacerdoti. E come questi nella predicazioneorale debbono anzitutto presentare il Vangelo, enon questioni letterarie, politiche, sociali, altret-tanto debbono fare i predicatori della parolastampata. È chiaro quindi, a questo punto, chescrivere è compito dei sacerdoti, così come i sa-cerdoti in parrocchia hanno l’obbligo della pre-dicazione orale.

Tra le varie forme di apostolato stampa (libri,bollettini parrocchiali, foglietti, periodici ecc.),don Alberione sembrò preferire sin dalle originiil periodico e il quotidiano (presentato conespressioni dense di fascino), per l’incisività cheessi potevano raggiungere grazie alla loro conti-nuità 24.

Egli si era poi reso ben conto che i suoichierici e sacerdoti non erano ancora e tutti ingrado di scrivere. Cercò quindi dei collaboratori

e, cosa significativa, accettò (o cercò) di farlientrare nel suo istituto. Agì in questo modo al-lorché ringraziò l’Ordinario di Trieste, mons.Angelo Bartolomasi, per aver permesso a un suosacerdote, don Ugo Mioni, ben noto pubblicista,di entrare nella Società San Paolo, dove egliavrebbe trovato libero campo al suo talento 25.Le difficoltà incontrate in questa esperienza (du-rata solo pochi mesi, negli anni 1922-1923) con-vinsero tuttavia e sempre più don Alberione adagire in proprio.

Pur se la S. C. dei Religiosi non accettòl’equipollenza tra predicazione orale e predic a-zione scritta e impose (come precauzione perevitare il commercio) che l’istituto svolgesse an-che l’ordinario apostolato della predicazioneorale e dell’insegnamento nelle scuole 26, donAlberione continuò a riflettere sulla sua idea. Perlui la predicazione stampata era la stessa vocedella Chiesa, partecipava dello stesso Magisterodella Chiesa, e fu perciò ben lieto di ripubblicarenell’UCBS un articolo dell’Osservatore Romanoche sosteneva queste idee 27. A esse egli cercò diadeguare la pratica, giungendo persino a rifiuta-re piccoli lavori commerciali e anche inserzionipubblicitarie, che pur lo avrebbero aiutato eco-nomicamente, adducendo come motivo che ilsuo istituto non era una tipografia, ma una “casadi predicazione” 28. Egli insistette più volte,inoltre, sul carattere popolare che avrebberodovuto avere le edizioni, carattere evidenziatodal frequente uso della parola “popolarizza-re” 29 e dalla raccomandazione che i Paolini non

22 “Pia Società San Paolo (Scuola tipografica - Alba). È un istituto o seminario per la formazione dei missionari dellabuona stampa... Gli scrittori possono (quando lo vogliono) ascendere al sacerdozio...” (UCBS anno 4, n. 1, febbraio 1922,ripubblicato in LPP, p. 158).

23 “Ma fra questa stampa buona e l’apostolato della stampa vi è ancora un abisso. L’apostolato della stampa è ben altracosa, immensamente superiore. Tale apostolato è la diffusione... del Vangelo..., precisamente come si farebbe con la pa-rola” (UCBS, anno 8, n. 1, 20 gennaio 1926, ripubblicato in LPP, p. 668).

24 “È certo che nessun altro influsso educativo può raggiungere certe coscienze, né la scuola né la conoscenza, nél’insegnamento delle cattedre. Il giornale sì: è il primo saluto di ogni mattina, la prima conversazione della vita che si ri-desta” (UCBS, anno 8, n. 9, 20.10.1926, p. 5, ripubblicato in LPP, p. 689).

25 Su don Mioni cf: P. Blasi, Scrittore per il Vangelo. Ugo Mioni (1870-1935), Trieste 1985; AA. VV., Mons. UgoMioni, scrittore. Atti del Convegno promosso dalla Società istriana di archeologia e storia patria nel 50° della morte, Trie-ste 1986 (in particolare gli articoli di G. Barbero e di E. Fornasari, che ricordano l’apporto dato da don Mioni alla SocietàSan Paolo); P. Zovatto, Ugo Mioni scrittore popolare, ivi 1988.

26 Cf G. Rocca, La formazione..., doc. n. 51, p. 602-603, e doc. n. 99, p. 674-675.27 “...La stampa, pertanto, il giornale cattolico partecipano del Magistero della Chiesa, offrono ad esso tutta intera la

propria missione, fan propri i suoi fini... e li riflettono sul posto avanzato di combattimento...” (UCBS, anno 8, n. 1,20.1.1926, p. 1-3, ripubblicato in LPP, p. 677).

28 “La Scuola Tipografica non è una tipografia di commercio, ma una casa di predicazione: i sacerdoti scrivono e diri-gono, i giovani correggono e compongono, le macchine stampano il Vangelo e i suoi commenti...” (UCBS, anno 7, 25aprile 1925, p. 9. Ulteriori indicazioni in R. F. Esposito, La teologia della pubblicistica..., cit., p. 183-184).

29 “La Buona Stampa ha la missione di popolarizzare la divina Rivelazione... Nel popolo sta la forza...” (Giornatadella Buona Stampa, in UCBS anno 6, n. 12, 1924, p. 1. Ulteriori indicazioni su questo aspetto in R. F. Esposito, Teologiadella pubblicistica..., cit., p. 108, 151-156, 172-174).

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entrassero in questioni di alto studio, di ricerca,tantomeno in questioni ancora discusse e sullequali il Magistero non si era ancora pronuncia-to 30.

Rispondendo infine alla obiezione della S. C.dei Religiosi, la quale temeva che il nuovo isti-tuto si trasformasse in un’azienda commerciale,don Alberione garantì che esso avrebbe stampatounicamente opere dei propri membri, e solo suinvito della S. Sede o dei Vescovi quelle di altriautori. In questo modo, ed estendendo questoprocesso autarchico a tutte tre le fasi del-l’apostolato stampa (cioè, redazione, tecnica epropaganda), egli si creò una propria nozione dicommercio: poiché i Paolini stampavano opereproprie, vendevano opere proprie e non ne esi-gevano un prezzo di mercato ma un’offerta,quindi tutto era fatto in proprio, questo non eracommercio, ma apostolato 31.

Si sa, infatti, che egli tradusse questa visioneautarchica anche nel campo propriamente tecni-co dell’apostolato stampa, esortando più volte anon assumere personale esterno, per garantirsi lanecessaria autonomia (di fronte agli scioperi chetravagliavano la vita sociale) e non subire le dif-ficoltà che sembravano incontrare i Gesuiti 32.

Insistendo su questa concezione autarchica,egli finì con l’abbandonare l’idea - presente an-cora nel 1923 in un suo scritto alla S. C. deiReligiosi 33 - di formare dei tipografi cristiani epersino quella di istituire una scuola per futurigiornalisti e scrittori - una vera novità in queltempo! -, che pur aveva caldamente patrocinato,nella convinzione che, come esistevano scuoleper tutte o quasi tutte le professioni, così era purnecessaria una scuola per formare coloro cheintendevano dedicarsi a questo lavoro, e che loStato, sia pure uno Stato liberale, aveva il dove-re di regolare in qualche modo l’uso dellastampa 34. Soprattutto, l’insistenza sull’autar-chia lo portò a fissare un quadro di azione, checon il tempo avrebbe suscitato non poche dif-

ficoltà. Sarebbe certamente utile conoscere finoa che punto il timore di non avere l’approvazio-ne della S. Sede abbia influito anche sull’autar-chia della redazione, con l’obbligo di stamparesolo scritti di Paolini. In altre parole, se il lega-me tra redazione e predicazione si trovava sot-tolineato già in vari scritti di don Alberione,non ne conseguiva che, come predicazione, do-vesse valere necessariamente solo quella dei sa-cerdoti paolini. Anche se non è ancora possibiledare una risposta esauriente, resta il fatto chedon Alberione fece totalmente propria questalinea di azione.

A questo punto, quindi, sono ormai chiare lelinee fondamentali del pensiero di don Alberioneed esse possono comodamente essere sintetizzatenei seguenti tre elementi:

- chi svolge l’apostolato della stampa;- che cosa si deve dare con esso;- come lo si deve svolgere.Per quanto riguardo il chi, è chiaro che il

compito principale spetta al sacerdote. L’apo-stolato stampa è predicazione e apostolato pro-prio perché è il sacerdote che lo compie. Coloroche lo aiutano (fratelli laici e suore) partecipanodel suo apostolato, diventano per ciò stesso apo-stoli, ma lo sono per la sua presenza. Il fatto chel’apostolato stampa, per natura sua, possa esserediviso in tre fasi (redazione, tecnica e propagan-da), non toglie che sia uno solo.

Per quanto riguarda il contenuto di questapredicazione stampata (il che cosa), esso è anzi-tutto il Vangelo. C’è tuttavia - come si è sopranotato - una certa oscillazione, perché a voltedon Alberione ne allarga il contenuto, inseren-dovi tutto ciò che è umano (nell’intento di ren-derlo cristiano); a volte lo restringe, adducendocome motivo che l’apostolo-scrittore-sacerdotedeve anzitutto occuparsi della dottrina sacra.

Per quanto riguarda invece la modalità, donAlberione insistette su due punti:

30 “Noi dobbiamo essere i fedeli interpreti della parola e degli indirizzi del Papa... Non sarà necessario sprofondarsinegli abissi del sapere, non ci metteremo in testa delle correnti del pensiero... Non è nostro compito avanzare teorie:noi resteremo vicini al Papa...” (Fedeli al Papa e servirlo, in UCBS, anno 6, 15.11.1924, p. I, con commento in R. F.Esposito, La teologia della pubblicistica..., cit., p. 145).

31 Ulteriori particolari in G. Rocca, La formazione..., cit., p. 53632 “...Bisogna che escludiamo il personale esterno, o subito o gradatamente, perché avremmo gli inconvenienti che la-

mentano i Padri Gesuiti e giustamente!” (Dalla lettera, datata 4.8.1926, di don Alberione a don Timoteo Giaccardo, inquel momento a Roma. Cf G. Rocca, La formazione... , cit., doc. 92, p. 669).

33 Cf G. Rocca, La formazione..., cit., doc. n. 44, p. 594-596.34 “...Siamo persuasi che a poco a poco verrà regolata dallo Stato in qualche modo, benché liberale quanto si vuole,

questo altissimo e delicatissimo compito dello scrittore e pubblicista... Per pubblicare ci vorrà pure una qualche prova diabilità!... Se esso è così delicato (e non è certo un affare privato), perché non avere istituti appositi di formazione come lohanno carriere assai meno importanti?” (La formazione degli scrittori nella Pia Società San Paolo , in UCBS, anno 4, n. 5,16 aprile 1922, ripubblicato in LPP, p. 809-810).

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- anzitutto la pastoralità delle edizioni, cioè ilcarattere popolare, divulgativo di tutte le pubbli-cazioni, proprio per raggiungere la massa;

- e poi l’esigenza che tutto sia fatto in proprio,senza personale esterno.

Parte seconda: dal 1927 al 1945 circa

1. La visione generale. - L’arricchimento e leprecisazioni che don Alberione porta al suo pen-siero in questi anni sono notevoli, ma non toccanopiù le linee di fondo, che restano le stesse ancheper quanto riguarda il contenuto, che oscilla anco-ra tra i due poli sopra ricordati. Ed è anche in que-sti anni che l’istituto realizza in gran parte le aspi-razioni del fondatore. Di fatto, oltre che nelle fasidella tecnica e della propaganda, tutte realizzatein proprio, negli anni dal 1921 al 1930 oltre il 20per cento della produzione, e ben il 97% nel perio-do 1931-1940, è frutto della redazione paolina, ilcui livello è certamente modesto, ma produttivo 35.

a) Anche se, come sopra ricordato, l’equipol-lenza tra predicazione stampata e predicazioneorale non era stata accettata dalla S. C. dei Reli-giosi, don Alberione continuò a riflettere su di es-sa, scrivendo pagine di grande ispirazione sullanuova figura del sacerdote-scrittore e giungendo,nel 1932, ad affermare che la stampa come apo-stolato era di istituzione divina 36. Ribadì inoltreche non c’era alcuna distinzione tra predicazioneorale e predicazione scritta, perché era sempre lastessa voce della Chiesa, del Papa, dell’episco-pato, del parroco, rinforzata per arrivare a tutti.

Restava evidentemente il grosso compito diformare il sacerdote scrittore, e don Alberionesottolineò più volte che questo era stato il fineche la Società San Paolo si era proposta dal suonascere e a cui attendeva ogni giorno 37.

All’atto pratico, egli spinse sin dall’inizio isuoi chierici e i suoi sacerdoti verso la redazione

(accontentandosi anche di risultati mediocri), dicui è segno emblematico l’istituzione, nel 1931,della “Sala San Paolo” come sala di redazione 38.

In questo quadro si inserisce la sua insistenzasu una caratteristica della Società San Paolo.Essa è un istituto docente 39 proprio per la pre-senza del sacerdote, dal quale solo viene l’inse-gnamento. Anche le Figlie di San Paolo, tantevolte esortate a promuovere la redazione e laformazione di suore scrittrici, traggono la loroforza e la caratteristica di “apostolato” per la lo-ro opera dal loro legame con i sacerdoti dellaSocietà San Paolo.

Questo carattere - cioè la redazione fatta daisacerdoti paolini - permette anche di distinguerela Società San Paolo dagli editori cattolici.

Precisando ancora il ruolo del prete, don Al-berione disse che la biografia di un santo potevaanche essere scritta da un laico o da un chierico;ma la direzione di un periodico era propria diun sacerdote, era anzi questa che la distinguevadal religioso-laico che - secondo lui - non era ingrado di svolgere questo compito. La direzionedi un periodico gli sembrava richiedere una vi-sione globale delle cose - una totalità, come egliamava dire, con il frequente uso della parola“tutto” - che solo poteva avere chi guidavaun’anima, un sacerdote 40.

L’equipollenza tra predicazione orale e predi-cazione stampata spinse infine don Alberione aconsiderare che anche la predicazione stampataaveva un effetto sacramentale, per la forza dellaParola di Dio di cui era carica e che diffondeva 41.

35 Anon., Autori paolini, Roma 1969, ripreso da R. F. Esposito, Bibliografia della Famiglia Paolina, ivi 1983, p. 21.36 “La stampa come apostolato è nella sua sostanza di istituzione divina. È Dio che ordinò di scrivere; sono gli Apo-

stoli che l’hanno esercitato... Le verità divine altre arrivano ai fedeli per mezzo della viva voce, altre arrivano per laScrittura” (Donec formetur Christus in vobis. Meditazioni del Primo Maestro , Alba-Roma 1932, p. 93 [Edizione critica acura di A. Damino, Roma 1984, p. 147]. Ulteriori particolari, con commento, in R. F. Esposito, La teologia della pubbli-cistica..., cit., p. 55s).

37 “Formare il sacerdote-scrittore è il compito che la Pia Società San Paolo si è proposta dal suo nascere ed a cui atten-de ogni giorno...” (San Paolo, 15 maggio 1935, ripubblicato in CISP, p. 40).

38 Sulla “Sala San Paolo” e successiva sua trasformazione nella “Casa degli scrittori”, cf G. Pelliccia, Come fu voluto ecome nacque il sacerdote scrittore..., cit., e R. F. Esposito, Bibliografia della Famiglia paolina..., cit., p. 28 e p. 87.

39 Alcuni accenni a questo argomento in R. F. Esposito, La teologia della pubblicistica..., p. 153-154. Sembra che donAlberione abbia cominciato a parlare di “istituto docente” solo dopo il 1940.

40 “Il segreto della direzione è null’altro che il dirigere: cioè una mente, un’anima, un cuore sacerdotale... Dirigere se-condo la totalità è il buon segreto umano divino del sacerdote; qui è la differenza ed il privilegio di chi è ordinato sacer-dote da chi è religioso-laico...” (San Paolo, 15 dicembre 1934, ripubblicato in CISP, p. 19-20).

41 “L’efficacia dell’apostolato stampa è simile a quello della Bibbia: una forza interiore esso contiene, che è certa-mente divina... Ugualmente tutto l’apostolato stampa... ha efficacia per virtù della Bibbia, della predicazione di Gesù, delVangelo, ed ha più efficacia quanto più si attinge..., si applica il Vangelo stesso” (G. Alberione, Leggete le SS. Scritture,Alba-Roma 1933, p. 290).

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b) Per quanto riguarda il contenuto di questoapostolato stampa, sembra di poter notare anco-ra l’oscillazione già ricordata. Come nel 1926aveva fatto notare che l’apostolato della stampaera nettamente distinto dalla buona stampa per-ché centrato sul Vangelo, così don Alberioneriaffermò più volte che la Bibbia restava il cen-tro dell’apostolato stampa. L’apostolo dellastampa non doveva preoccuparsi di dare le in-formazioni più recenti o intrattenersi in cosepolitiche, letterarie, agricole, industriali ecc.,ma preoccuparsi di comunicare la dottrina sa-cra. Questa insistenza sul contenuto propria-mente religioso dell’apostolato stampa trovòformulazione più ampia nelle classiche triadiben note ai Paolini, cioè che esso doveva dare ildogma, la morale e il culto; oppure il catechi-smo, la Scrittura e la Tradizione; oppure ancorala dottrina della Chiesa, la Scrittura e la Tradi-zione.

La preoccupazione di arrivare a una sintesidelle scienze, che si intravvede dopo il 1935,portò ancora una volta don Alberione ad amplia-re il contenuto dell’apostolato stampa, reinseren-dovi tutto ciò che è umano, non senza incertezzeogni tanto riaffioranti.

c) Anche le modalità concrete con cui svolge-re l’apostolato stampa trovano in questo periodoespressioni significative.

Viene anzitutto sottolineato il carattere pa-storale di tutte le pubblicazioni. C’è la ripetutainsistenza sul dovere di avvicinare le masse: ilcontenuto, la materia prima è offerta dallescienze; ma la modalità di avvicinamento deveessere quella pastorale, farsi comprendere dal-le masse 42. Questa preoccupazione, presentesin dalle origini dell’istituto, si accresce neglianni dopo il 1935, allorché le iniziative e lapresenza di don Alberione in ambito pastorale

si moltiplicano 43.Questo carattere pastorale sembrava rispon-

dere - nel pensiero di don Alberione - al bisognodi imitare il Cristo e il suo “metodo”, espressonella triade giovannea “Via, Verità e Vita”, o,secondo altre espressioni dello stesso Alberione,raggiungendo la mente, la volontà e il cuoredell’uomo.

Continua pure a essere sottolineato l’altroaspetto, quello cioè di compiere tutto in proprio,redazione soprattutto, ma anche tecnica e propa-ganda. Del resto, lo sviluppo dell’istituto non eraancora tale da esigere, in quel momento,l’assunzione di personale esterno.

2. Il volume Apostolato stampa.44 - Con essodon Alberione tenta una prima sistemazioneteorica del suo pensiero sull’apostolato dellastampa.

a) Anzitutto l’apostolato stampa è la stessavoce della Chiesa, del Papa, del vescovo, delparroco: non c’è distinzione tra predicazioneorale e predicazione scritta 45. Il primo e veroministro della predicazione stampata è il sacer-dote; gli altri si associano a lui in vario modo ediventano apostoli in forza della sua presenza eministero.46 L’equipollenza tra predicazioneorale e predicazione stampata viene ampliatanella seconda edizione dell’opera, nel 1944, cheviene edita con il titolo di Apostolato del-l’edizione. Ora è qualsiasi edizione, stampata,radiofonica, cinematografica, a essere equiparataa quella orale.

b) Il contenuto è ancora una volta e decisa-mente la dottrina sacra. L’apostolo della stampanon si preoccupa di dare le notizie più recenti, ditrattenersi in cose politiche, commerciali, indu-striali, agricole, letterarie 47.

42 “Negli studi ecclesiastici vi è materia e forma. La materia è costituita dalle singole scienze... La forma è l’anima, lavita della scienza, in un sacerdote: la sua pastoralità” (San Paolo, 1° marzo 1936, ripubblicato in CISP, p. 56).

43 R. F. Esposito, Lo specifico paolino delle Suore di Gesù Buon Pastore, in AA.VV., Un carisma pastorale. La pro-posta di don Giacomo Alberione alle Suore di Gesù Buon Pastore. Atti del seminario sul carisma..., a cura di E. Bosetti,Roma 1985, p. 60.

44 G. Alberione, Apostolato stampa, Alba 1933, ivi 19442. - Ulteriori precisazioni circa le varie edizioni e ristampe in .Damino, Bibliografia di don Giacomo Alberione..., p. 22-23 e p. 32-33.

45 “...L’apostolato stampa è la predicazione della divina Parola con l’imprimere...” (Apostolato stampa.. ., p. 3);“l’apostolato della stampa diventa la voce della Chiesa, del Papa, dell’episcopato, del parroco, che si rinforza, una e me-desima, su un altoparlante per arrivare a tutti...” (ivi, p. 31).

46 “Ministro ordinario dell’apostolato stampa è il sacerdote... Possono farlo, come ministro straordinario e secondario,tutti i fedeli, le stesse donne... Specialmente se si tratta di stampa buona, moltissimo possono i cattolici-laici. Qui si parlasolo di apostolato e di ministro ordinario e principale” (ivi, p. 24).

47 “Non è preoccupazione principale dell’apostolato stampa dare le notizie più recenti, trattenersi in cose politiche,commerciali, industriali, agricole..., ma solo secondariamente e in quanto si facilita la via al pensiero cristiano... Invecel’apostolato stampa curerà di comunicare la dottrina sacra...” (ivi, p. 16).

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c) Per quanto riguarda il come, il manualeinsiste sulla stampa di quanto scritto dai mem-bri dell’istituto, proprio per mantenere il carat-tere spirituale, alieno da ogni industria e com-mercio 48. E la pastoralità del tutto è ancora unavolta garantita, nella edizione del 1933, dallaraccomandazione di rivolgersi di preferenza “alpopolo semplice, ai fanciulli e al ceto maschi-le” 49, e nell’edizione del 1944 dall’esortazionea servirsi del metodo Via, Verità e Vita in tuttele pubblicazioni 50.

3. Una sintesi della storia della salvezza inchiave di comunicazione. - È interessante aquesto punto osservare come don Alberione,continuando le sue riflessioni, abbia tentato dicollegare le proprie scelte operative nel campodella stampa con il quadro dogmatico. In un

testo non ancora datato, ma probabilmente tra il1945 e il 1955, egli ripensò tutta la storia dellasalvezza secondo un modello di comunicazionedistinguendovi quattro successive edizioni 51.

Nella prima edizione il Padre celeste è editoredel Figlio. Nella seconda edizione Maria è edi-trice di Gesù. Nella terza edizione il Figlio èeditore del Vangelo. Nella quarta e ultima edi-zione si ha la Chiesa, che è edizione di Dio enello stesso tempo editrice di Dio. Questo qua-dro è completato da note sullo Spirito Santo,autore ed editore della Sacra Scrittura, e su sanPaolo, modello di edizione per l’istituto paolino.

Anche se questa visione non è del tutto coe-rente, essa costituisce una sintesi originale enello stesso tempo una giustificazione teologicadelle scelte fatte da don Alberione nel campodella stampa.

Parte terza: dal 1945 al 1969 circa

È in questo periodo che sorgono le prime dif-ficoltà nel modo di intendere l’apostolato stam-pa. Una più acuta consapevolezza, in alcunipaolini, di essere poco preparati per la redazionee quindi il desiderio di migliorare le edizioni;l’apporto di collaboratori esterni all’istituto, inparticolare di don Natale Bussi (professore nelseminario di Alba, che comincia a collaborarecon le Edizioni Paoline nel 1949-1950), induco-no a riflettere su che cosa convenga fare real-mente in proprio. La discussione è avviata. Essaverte dapprima e quasi unicamente sulla reda-zione, e poi, man mano che si assume personaleesterno, anche, ma in maniera marginale, sulruolo dei discepoli.

All’atto pratico, i dati segnalano chiaramen-te uno spostamento nel campo redazionale, chevede sempre più diminuire la partecipazionedei Paolini. Dal 22,4% nel decennio 1941-50,essa scende al 14,25% nel decennio 1951-60,

arrivando, nel decennio 1961-1969, a esseresolo l’1,44% della produzione paolina 52. Nellostesso tempo aumenta la collaborazione di auto-ri esterni, e le Edizioni Paoline raggiungono ilmassimo sviluppo, anche qualitativo oltre cheper il numero delle edizioni, nel periodo 1960-1970.

Don Alberione cercò in vari modi di contra-stare questo indirizzo.

Nel 1946, in un testo programmatico, pubbli-cato con il significativo titolo di Riprendere loslancio delle origini, egli ripropose l’idea cheera stata alle origini dell’istituto. Insistettequindi sulla necessità di sviluppare la redazionemolto più che la revisione, perché le pubblica-zioni dei Paolini “formano la sostanza delle no-stre edizioni e iniziative”. La congregazione èun istituto docente. L’insegnamento non puòsussistere che per il sacerdote, che ha il man-dato della predicazione 53.

48 “La Pia Società San Paolo per assicurare che il suo apostolato mantenga il carattere spirituale, alieno da ogni indu-stria e commercio, può soltanto stampare e diffondere quanto è scritto dai propri membri...” (ivi, p. 161).

49 “I Paolini... si rivolgono di preferenza al popolo semplice, ai fanciulli, al ceto maschile... Eviteranno ogni questioneoziosa e gli argomenti elevati e profani...” (ivi, p. 160).

50 Si ricordi che, secondo A. Damino, Bibliografia..., cit., p. 32-33. il c. VI, che nella edizione del 1944 trattava delmetodo “Via, Verità e Vita”, era stato preparato da Giovanni Pelliccia e don Alberione l’aveva fatto suo, riducendolo poidi molto nelle successive edizioni dell’opera.

51 Alcune indicazioni su questo tema in G. Pelliccia, Come fu voluto e come nacque il sacerdote scrittore..., cit., p. 63,e in R. F. Esposito, La teologia della pubblicistica..., p. 58 e 63. Una presentazione più completa e sistematica è offertainvece da V. Odorizzi - D. Ranzato, Don Giacomo Alberione nel movimento catechistico italiano . Esercitazione di licen-za, Università Pontificia Salesiana, Facoltà di Scienze dell’educazione, Istituto di catechetica, Roma 1981, p. 241-251. Iltesto di don Alberione è stato pubblicato la prima volta in: AA. W., Alberione, Roma 1976, p. 132-133.

52 Ulteriori indicazioni al riguardo in Autori paolini..., cit., e in R. F. Esposito, Bibliografia della Famiglia Paolina...,cit., p. 21.

53 “Sviluppare la redazione molto più della revisione. Casa madre abbia almeno due Sacerdoti addetti unicamente allaredazione, oltre a quelli che attendono ai periodici... Le pubblicazioni dei nostri formano la sostanza delle nostre edizionie iniziative” (San Paolo, Natività di Maria SS.ma, 1946, ripubblicato in CISP, p. 253-254).

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L’insistenza con cui don Alberione ritornòsul tema è significativa. Le cose migliori perl’istituto - secondo lui - sono quelle compiute daisuoi membri, i collaboratori esterni vengono soloin terza linea, il sacerdote apostolo è un predi-catore 54. Ciò che distingue l’opera svolta daiPaolini da quella degli editori cattolici è propriola redazione. Anzi, essa è anche l’elemento chepone il sacerdote paolino al di sopra del disce-polo paolino 55.

Si può notare un’evoluzione per quanto ri-guarda i destinatari delle pubblicazioni paoline.Rispondendo alla domanda se realmente si do-vesse pubblicare solo per la massa, nel 1947 egliaccettò anche pubblicazioni per laureati, profes-sionisti, testi scolastici specializzati per teologi,canonisti, venendo quindi a confermare, almenoper quanto riguardava il livello delle pubblica-zioni, la linea che allora le Edizioni Paoline sta-vano cercando di assumere.

Per quanto riguarda, invece, la redazione fattain proprio, egli restò fermo sul suo convinci-mento.

Nel 1951 si ebbe, a conferma di questa suavisione delle cose, la pubblicazione di un do-cumento dal significativo titolo di “Camminarenella nostra via”. Esso costituiva un ulteriore eperentorio richiamo a tornare alle origini, riaf-frontava la questione della redazione da partedei sacerdoti paolini, redazione che doveva aogni costo avere il primato, in quanto essenzadell’apostolato, e alla quale dovevano esserededicati tutti gli sforzi. Anche se mediocri, leopere dei Paolini dovevano essere preferite aquelle degli esterni. L’apporto degli operai

esterni (nei reparti tecnici dell’apostolato) veni-va un’altra volta ridimensionato, proprio perevitare il rischio che l’istituto si trasformasse inun’azienda commerciale 56.

Su questi temi l’insistenza è continua: la re-dazione è senz’altro faticosa, ma è la parte piùnecessaria per l’apostolato 57. Finché i Paolininon scrivono, e scelgono esclusivamente tra glialtri scrittori, non fanno dell’apostolato, ma del-l’industria 58. Gli esterni sono una facile tenta-zione. Inoltre bisogna considerare le cons e-guenze della mancanza di redazione - e su que-sto punto don Alberione insistette più volte -: èla redazione del sacerdote paolino che conferi-sce al discepolo la dignità di apostolo; senza diessa il discepolo è solo un operaio.

Anche se, occasionalmente, don Alberioneaccettò che qualche discepolo esercitasse la re-dazione, egli rimase fermo sulla sua idea, nellaconvinzione che la redazione del sacerdote pao-lino garantiva che le pubblicazioni fossero predi-cazione e quindi apostolato. Estremamente signi-ficativo in questo senso è l’ammonimento in-viato nel 1946 alle Figlio di San Paolo del-l’Argentina, che stavano forse cercando di ren-dersi autonome dalla Società San Paolo in cam-po redazionale. Chiaramente egli disse loro chestavano correndo il pericolo di trasformarsi inuna casa editrice 59.

Anche per quanto riguarda la priorità deicontenuti, l’ordine è rimasto quello classico: ladottrina della Chiesa, la Scrittura Sacra, la Tra-dizione 60. Sembra quasi, almeno in alcuni testi,che ci sia un ripensamento in don Alberionesulla convenienza o meno che le pubblicazioni

54 “Le nostre migliori cose riguardo all’apostolato si giudicano dal valore della redazione nostra fatta con spirito pastora-le; ed è anche il mezzo di preparare più larga diffusione. Avere collaboratori esterni e scegliere le migliori opere viene in ter-za linea. Il sacerdote apostolo è invece un predicatore...” (San Paolo , luglio 1947, ripubblicato in CISP, p. 797-798).

55 “Quello che ci distingue dai semplici editori cattolici e mette il sacerdote paolino sopra il discepolo paolino è la re-dazione in spirito pastorale...” (San Paolo, luglio 1947. ripubblicato in CISP, p. 798).

56 “Quello che ci assicura di camminare nella via nostra è l’amore alla redazione. La congregazione non dovrà mai ab-bassarsi al livello di una industria, di un commercio...” (Camminare nella nostra via, in San Paolo , febbraio 1951, ripub-blicato in CISP, p. 808-809).

57 “Redazione nostra, tecnica nostra, diffusione nostra: nello spirito delle Costituzioni... La parte più difficile, più fati-cosa dell’apostolato è la redazione...” (San Paolo, 1952, ripubblicato in CISP, p. 832).

58 “...Si è molto più sulla giusta strada con redazione mediocre, ma nostra, che con redazione ottima, ma estranea. Fin-ché i nostri non scrivono e scelgono esclusivamente tra gli altri scrittori, non facciamo dell’apostolato, madell’industria...” (La redazione..., in San Paolo, febbraio 1955, p. 2-5).

59 “La nobiltà e santità delle Figlie di San Paolo sta nella dipendenza quanto all’apostolato... al sacerdozio e a GesùCristo nella persona dei sacerdoti della Pia Società San Paolo... Invece voi state diventando qui una casa editrice. Cosìperdete il vostro più bell’ornamento, i migliori meriti, invadete il campo altrui...” (Testo completo in F. Pierini, La colla-borazione tra Figlie di San Paolo e Società San Paolo..., Boston 1986), p. 40).

60 “L’ordine divinamente stabilito e secondo le Costituzioni è:1) La dottrina della Chiesa;2) La Scrittura sacra;3) La Tradizione sacra.Quando poi le tre vie... sono associate... abbiamo l’ottimo...” (San Paolo, maggio-giugno 1952).

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paoline parlino di tutto. Emblematico il bigliettoche egli scrisse nel 1957 a riguardo della rivistaOrizzonti, di cui si pensava di aumentare le pa-gine. Quasi stanco di discussioni, egli disse chele pagine in più o sarebbero state totalmente de-dicate a questioni sacre o non si sarebbero do-vute fare 61.

All’atto pratico le Edizioni Paoline cercaronodi essere presenti in tutte le scienze umane: reli-gione, filosofia, sociologia, letteratura (con ro-manzi purgati, con tutto ciò che questa opera-zione comportava), storia, psicologia, ecc., conun massiccio ricorso a opere di autori esterniall’istituto.

Era quindi necessario, di fronte alle posizionie ai richiami così espliciti di don Alberione,giustificare in qualche modo la linea assuntadalle Edizioni Paoline. Il compito fu svoltodallo stesso direttore, don Valentino Gambi, inun articolo pubblicato nello stesso bollettino uf-ficiale dell’istituto 62. Egli distinse fondamen-talmente due tipi di editore: il primo, comunenel secolo scorso, che si limitava a stampare leopere che gli venivano proposte; il secondo,sviluppatosi nel nostro secolo, che curava leproprie edizioni secondo una particolare lineadi pensiero. In questo modo, don Gambi rivalo-rizzava la funzione dell’editore rispetto a quelladell’autore, e poteva quindi concludere affer-mando che, se la Società San Paolo non avevasvolto il programma redazionale stabilito nellesue finalità, l’aveva assai meglio svolto in cam-po editoriale, nella scelta dei libri da pubblica-re, imprimendo un carattere paolino e pastoralealle proprie edizioni 63.

Questa difesa della linea seguita dall’Ufficiocentrale delle Edizioni Paoline (costituito nel

1952) non convinse don Alberione. Le Costitu-zioni del 1956 continuarono a stabilire chel’istituto avrebbe dovuto stampare solo quantoscritto dai suoi membri 64, e nel verbale del Ca-pitolo generale del 1957 si sottolineò inoltre chel’istituto aveva qualche cosa di proprio da dire eche era perciò necessario incrementare la reda-zione interna 65.

Nel corso di esercizi spirituali svoltosi adAriccia per tutto l’aprile del 1960, le due linee incui si muoveva la questione della redazione, ecioè quella teorica e quella pratica, si confronta-rono nuovamente.

La linea pratica venne nuovamente illustratada don Gambi, direttore generale delle EdizioniPaoline. Constatato che le pubblicazioni deiPaolini si erano ormai ridotte al 3% di tutte leopere in catalogo, don Gambi rivalorizzò ancorauna volta il ruolo dell’editore, quasi più impor-tante dell’autore. Inoltre, di fronte alle ripetuteaffermazioni che l’istituto era docente proprioper la redazione dei suoi membri, egli risposeche questo carattere doveva ormai essere cercatoaltrove. Quanto si pubblicava, era tutto perl’edificazione, e ciò bastava a garantire il caratte-re insegnante dell’istituto 66.

La riproposizione delle idee fondamentali didon Alberione fu compito di don Pierino Maraz-za. Anzitutto egli sottolineò che l’istituto non erauna casa editrice cattolica. Riaffermò poi che es-so era un istituto docente, di cui le case degliscrittori della Società San Paolo ad Albano edelle Figlie di San Paolo a Grottaferrata costi-tuivano l’espressione migliore. Infine, egli ag-giunse, senza però precisare quali fossero, chel’istituto aveva qualche cosa di proprio da diresu alcuni aspetti della Rivelazione cristiana 67.

61 “Si vorrebbero aggiungere otto pagine. Ora, chiaramente: O saranno tutte, solo e sempre riservate a materie religio-so-cattoliche, o non si aggiungono. In ogni caso, “Orizzonti” deve cambiare volto...” (CISP, p. 882).

62 V. Gambi, La redazione, in San Paolo, febbraio 1955, p. 2-5.63 “...Se la Pia Società San Paolo... non ha tradotto nella pratica tutto il programma redazionale previsto dalle sue fina-

lità, l’ha però assolto in parte nel campo editoriale, in quanto, ispirandosi alle continue direttive del Primo Maestro e alleproprie costituzioni, ha impresso ai propri libri, da lei scelti, anche se scritti da altri, un volto suo, genuinamente paoli-no...” (V. Gambi, La redazione..., cit.).

64 “La Società stampi e diffonda solo le edizioni che sono state scritte dai suoi membri” (Costituzioni 1956, art. 240).65 “Abbiamo qualche cosa di proprio da dire! Non possiamo solamente raccogliere qua e là le belle cose; certamente

questa è una grande missione che ha il Centro delle edizioni nella casa; ma nello stesso tempo bisogna arrivare a scriverecose nostre. Quindi nello studio bisogna che accentuiamo di più la parte che riguarda la preparazione alla redazione...”(Verbale del Capitolo del 1957).

66 “Non credo che possiamo definirci “docenti” solo per i libri scritti da noi, in quanto essi - numericamente - rappre-sentano nel catalogo del 1960 soltanto il 3% della nostra produzione! Altrove quindi dobbiamo cercare la giustificazionedi questo titolo... Un tempo l’autore era l’artefice dell’opinione pubblica e l’editore ne era il semplice strumento. Oggi nonè più così. La direzione è in mano dell’editore... In tal senso noi possiamo far sì che la nostra editoria sia effettivamente“docente”, se ai fini dell’apostolato volgeremo costantemente e inflessibilmente la nostra scelta...” (V. Gambi, L’Ufficioedizioni d’Italia e rateale, in ...Ut perfectus sit homo Dei... , III, Ostia [Roma] 1962, p. 171-172).

67 Don Marazza, La “Domus Scriptorum”, in ...Ut perfectus sit... , III, p. 191-200.

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Sarebbe ora facile mostrare il progressivo distac-co da queste idee e il disagio seguitene tra imembri dell’istituto. Il Direttorio del 1966 giàera più blando, sottolineando che l’istituto nondoveva essere considerato una casa editrice co-me le altre, e accettava, sia pure in terzo posto, lacollaborazione di esterni 68. All’atto pratico, ilprogressivo allontanamento dall’idea di fare

tutto in proprio si manifestò soprattutto e primadi tutto per quanto riguardava la redazione, conl’invecchiamento della “Casa degli scrittori” e lasua soppressione negli anni ’70 sia nella SocietàSan Paolo che nell’istituto delle Figlie di SanPaolo, e si estese poi (in misura maggiore o mi-nore secondo le nazioni) anche alle fasi cosid-dette della tecnica e della propaganda.

Parte quarta. Visione globale del pensiero di don Alberione

Si può ora tentare una sintesi del pensiero didon Alberione, vedendo quale tipo di editoria nerisultasse.

Si può senz’altro affermare che, sostanzial-mente, il concetto di editoria di don Alberione hagirato attorno a una sola idea: l’equipollenza trapredicazione stampata e predicazione orale, equindi la necessità, nel suo pensiero, che a predi-care (= scrivere) fosse il sacerdote.

Si può inoltre affermare che, se non per tuttala sua vita certo per tutto il periodo della suamaturità e sino al 1960, don Alberione non ac-cettò il concetto di editore o di casa editrice, nénel senso di semplice stampatore, né nel senso diselezionatore di opere scritte da altri e neppurenel senso di promotore di libri e collane realiz-zate da autori esterni. Egli continuò a legare laredazione al ministero sacerdotale, alla predica-zione fatta nell’istituto.

C’è quindi per don Alberione una organizza-zione del lavoro apostolico derivata non dallanatura del lavoro in sé, ma da idee teologiche.O, più esattamente ancora, poiché per lui lanatura del lavoro era teologica di per sé, v’erauna sola possibilità di organizzazione. Scrive,perciò, non chi sa scrivere, ma chi ha l’ufficio,il dovere di scrivere, dovere che gli è affidatonell’ordinazione sacerdotale. Per questo moti-

vo erano preferibili pubblicazioni mediocri, mafatte in casa, a pubblicazioni buone od ottime,ma scritte da autori esterni. La redazione pro-pria fa sì che la Società San Paolo sia un istitutodocente. Poiché però la predicazione stampataesige molta più collaborazione di quella orale,ecco l’intervento dei discepoli, che si incaricanodi moltiplicare la predicazione del sacerdote.

Questa editoria doveva essere, sostanzial-mente, a carattere popolare, divulgativo. Essadoveva porsi a disposizione del parroco, delMagistero, per arrivare alla massa. Erano questii primi destinatari delle Edizioni Paoline.Eventuali libri e collane per un pubblico piùcolto non dovevano far dimenticare questa esi-genza fondamentale.

Gli effetti di questo modo d’intendere l’edi-toria erano molteplici. Certo, non tutti i Paolini,anche se preti, erano in grado di scrivere. Nonera quindi facile avere il meglio, tanto più chedon Alberione attribuiva efficacia spiritualemaggiore a pubblicazioni mediocri fatte da Pao-lini che ad altre, migliori, scritte da esterni. Tut-tavia, la concezione alberioniana creava unaforte coesione all’interno dell’istituto, proprioperché tutti dovevano e potevano dare il propriocontributo alla editoria.

Parte quinta. Osservazioni critiche

Il modo con cui don Alberione ha intesol’editoria paolina pone evidentemente dellequestioni per noi, e soprattutto per questo con-vegno. Per comodità, possiamo presentare dap-prima alcune osservazioni che si sono fatte o si

possono fare al suo pensiero (raggruppandolesotto quegli elementi che si sono ritenuti fonda-mentali del chi, che cosa, come), e poi un’os-servazione che viene dalla teologia odierna.

68 “Ricordino sempre i nostri religiosi e non dimentichino mai che la Pia Società San Paolo non è una società editricecomune... Non si rifiuta, anzi si accetta volentieri la collaborazione di bravi scrittori, estranei alla congregazione; occorretuttavia usare la più grande diligenza per avviare ed organizzare le nostre penne; avere collaboratori esterni e scegliere lemigliori opere viene in terza linea. È questo il pensiero del nostro fondatore...” (Il Direttorio della Pia Società San Paolo,Ostia Lido 1966, p. 299, nn. 587-588).

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1. Osservazioni al pensiero di don Alberione.

a) “Chi”. - A parte il fatto che, dopo il 1945,aumentano, all’interno dell’istituto, le critichecontro la mediocrità di tante opere scritte daPaolini (segno, quindi, che il livello culturale dinon pochi membri dell’istituto si era elevato),sembra che le osservazioni principali, anche senon esplicitate direttamente, vertano sul concettodi editoria=predicazione=redazione fatta in pro-prio. La “sacramentalità”, di cui parlava don Al-berione, e quindi la garanzia per i fedeli di unautentico incontro con Cristo e la sua voce, po-teva passare - secondo un altro modo di vederele cose - anche tramite pubblicazioni di autoriesterni all’istituto, il quale però le faceva propriee se ne rendeva garante.

Cercando poi di comprendere meglio il pen-siero di don Alberione, ci si può chiedere comemai nei suoi testi non affiori l’idea che si potessefare ugualmente della predicazione anche stam-pando scritti di altri sacerdoti (in fondo si dif-fondeva la predicazione altrui, come si facevacon la predicazione del Papa, dei Vescovi e deiPadri della Chiesa). In altre parole, ci si puòchiedere fino a che punto su questa preoccupa-zione di fare tutto in proprio abbia giocato lapaura che l’istituto si trasformasse in un’in-dustria, e quindi di non avere più l’approvazionedella S. Sede; o se sia stata invece dominante laconvinzione che il sacerdote paolino, per predi-care, dovesse scrivere; e quindi una strutturadell’istituto basata su questa visione teologica.

Una ulteriore osservazione viene dal riservarela redazione al prete. Questa insistenza, alla lun-ga, sembra aver provocato difficoltà sia nel pretesia nel discepolo paolino, rendendone difficolto-sa l’evoluzione 69, e pare anche aver sfavorito losviluppo delle Figlie di San Paolo verso l’as-sunzione di un ruolo totalmente autonomo incampo redazionale.

b) “Che cosa”. - Già si sono notate le oscilla-zioni nel pensiero di Alberione al riguardo.Nell’editoria paolina ci si può limitare al datoreligioso, oppure vederne anche le implicazioninelle scienze umane, in quest’ultimo caso cer-cando di avvicinarsi alla “sintesi delle scienze”

di cui parlava don Alberione. Ora la “sintesi”esige grande specializzazione, che non sembraraggiungibile all’interno dell’istituto, e porta diconseguenza ad accettare opere di esterni.

c) Un’ulteriore osservazione riguarda la co-siddetta pastoralità delle edizioni, l’idea di op-porre stampa a stampa, di raggiungere le masse.Questa preoccupazione aveva come sottofondouna certa sopravvalutazione della stampa, tipicadei momenti iniziali (e che si ritrova anche pergli altri strumenti della comunicazione sociale).Nello stesso tempo essa poneva le pubblicazionidell’istituto su un piano quasi di propaganda,l’ultimo gradino nella diffusione del messaggiocristiano, con gli elementi negativi che tale pia-no facilmente comportava. In altre parole, lapropaganda non è un buon modello. Di qui ilbisogno più volte sentito, la necessità anzi, te-nendo conto dell’elevato grado di studio rag-giunto un po’ ovunque, di elevare il livelloculturale delle pubblicazioni paoline (come av-venuto particolarmente dopo il 1950), conl’intento sì di far conoscere il Vangelo, ma so-prattutto di render conto di quanto esso real-mente diceva.

2. La predicazione oggi.

Il punto maggiormente critico, nel quale sipossono far confluire le precedenti osservazio-ni, è il profondo mutamento del quadro teologi-co odierno. Oggi la predicazione del Vangelo ècompito di tutti, ma con modalità diverse. Allaredazione accedono coloro che sono preparati,indipendentemente dal carattere sacerdotale. Lostesso Codice di diritto canonico del 1983 arri-va a permettere (canone 766) la predicazioneorale di laici anche in chiesa, cosa impensabileal tempo in cui don Alberione dava vita al suoistituto, e riserva ai sacerdoti e ai diaconi lasola predicazione durante la messa (canone767, par. 1).

Di conseguenza, sembra superata la necessità(e tale poteva dirsi al momento della fondazionedella Società San Paolo) di esigere il caratteresacerdotale per garantire e rendere efficace sa-cramentalmente la predicazione scritta.

69 Ulteriori particolari al riguardo in G. Rocca, Sacerdote e discepolo nella Famiglia Paolina..., cit.

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Conclusione

Sostanzialmente, sembra che l’evoluzione ab-bia mostrato l’esistenza di due diverse lineeeditoriali: la prima, di don Alberione, a caratterepopolare, divulgativo, legata al sacerdozio comegaranzia di autenticità, fatta in proprio, e che sisviluppa dalle origini dell’istituto sin verso il1950; la seconda, che prende avvio dopo il 1945e che considera predicazione anche la diffusionedi testi altrui, come si fa per la diffusione delpensiero del Papa, dei vescovi, dei Padri dellaChiesa.

All’atto pratico, la prima linea, ancor oggirealizzabile, mantiene un carattere divulgativo odi buona volgarizzazione, accetta i limiti di ciòche non riesce a fare all’interno dell’istituto (la-sciandone quindi la realizzazione ad altri), puòanche raggiungere una discreta specializzazio-ne se fissa i propri ambiti d’intervento, e, do-vendo scegliere su che cosa fare in proprio,punta decisamente sulla redazione più chesulla tecnica e la propaganda (disposta, quindi,

a far eseguire all’esterno lavori che non riesce acompiere con i propri mezzi e il proprio perso-nale); la seconda linea editoriale, invece, spintadal desiderio di elevare il livello delle pubblica-zioni, di estenderle quanto più possibile e di am-pliare la presenza dell’istituto, ritiene che l’au-tenticità del contenuto possa essere sufficiente-mente garantita dal nome stesso dell’istituto, nonesita a servirsi di personale esterno, e selezionale opere da pubblicare secondo un proprio pianoeditoriale, che può comportare l’accettazionemassiccia di libri di autori esterni e il rifiuto discritti di Paolini.

Sostanzialmente, quindi, c’è una diversa im-postazione della questione (il che, evidentemen-te, non intacca il dovere di facilitare la prepara-zione di scrittori paolini). Oggi, è chiaro, la pre-dicazione non è più legata al sacerdote ed è ov-vio considerare predicazione, almeno in sensolato se non alla pari, anche la diffusione del pen-siero altrui, siano essi sacerdoti o laici.

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I poli funzionali e le linee editoriali (1921)

1. 1. 1. 1. 2. 3. 4. 4. 4.Religione Asse «toscano» Formazione Scienza Area dell’alta cultura Miti Consumo medio Midcult abbassato Romanzo-massa

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––Firenze Barbera –––––––––– «La Voce»–––––––– Quattrini

Sansoni–––––––––– ––––––– Vallecchi SalaniOlschki La Nave

––––––––Bemporad––––––––Battistelli

Toscana-Umbria Giusti (Livorno) Il Solco Athanor Belforte (Livorno)(Città di Cast.) (Todi)

Roma Civiltà Cattolica ––––––––––––––––––––– Maglione e «Bilychnis»Strini (ex-Loescher) ––––– Luce e ombra

Desclée Voghera «La Fionda» FormigginiPustet Leonardo da Vinci––––––

Bologna Zanichelli–––––––– ––––––––––Cappelli––––––––––

Genova-Venezia Libr. Ed. Moderna«L’Estremo Oriente»

Sud Morano (Napoli)–––––––– Laterza (Bari) R. Carabba (Lanciano) Giannotta (Catania)Principato (Messina)––––––––––––– G. Carabba (Lanciano)

Sandron (Palermo)––Ricciardi (Napoli)Perrella (Napoli)

Torino Chiantore–––––––– Bocca–––––––– Lattes(ex Loescher) ––––––––––––Letteraria

Sei–––––––––––––––––––––––Marietti–––––––––––––––––––San Giuseppe Sten Paravia

Petrini –––––––––––––––––––– Utet

Milano –––––––––––––––––––– Hoepli «L’Eroica» Caddeo –––––––––––––– Sonzogno –––––––––––––––––––– F. Vallardi «Il Primato Ed.» –––––––– Bietti––––––––

Vita e Pensiero Baldini e Castoldi–––––– CioffiLibr.Ed.Politecnica––––– ––––––––TrevesTrevisini Porta(Piacenza) Mondadori Vitagliano

SolmiA. Vallardi––––– –––––––– Ist. ed. italiano––––––––Cogliati ––––––––Madella–––––––––––––––––––Fed.Naz.Bibliot.Popolari ––––––––AlpesIst. Naz. per il libro del Popolo –––––––––––––––––––– Quintieri

–––––––––– «Rassegna internaz.»«L’Avanti»–––––––––––––––––––––––––––––– Mantegazza––––––––––––––––

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Prof. d. Franco Pierini SSP

COME È NATA L’EDITORIA DI DON ALBERIONEE COME SI È SVILUPPATA

Lineamenti e problemi

SCHEMA

Abbreviazioni principali1. Gli inizi dell’editoria paolina2. Le tappe dell’editoria paolina dagli inizi al 19693. L’organizzazione generale

3.1. Il problema della materia prima3.2. Il problema del personale3.3. Il problema degli strumenti3.4. Il problema del finanziamento3.5. Il problema dei destinatari3.6. Il problema della diffusione3.7. Il problema dell’editoria come sistema integrato

4. Editoria libraria5. Editoria periodica6. Editoria cinematografica7. Editoria radiofonica, discografica e televisiva8. L’editoria di Don Alberione come editoria nella Chiesa

ABBREVIAZIONI PRINCIPALI

AGB = Associazione Generale BibliotecheBBI = Bollettino Bibliografico InternazionaleCAL = Centro di Apostolato LiturgicoCISP = Carissimi in San Paolo, a cura di Rosario F. ESPOSITO, Roma, EP, 1971EP = Edizioni PaolineFP = Famiglia PaolinaFSP = Figlie di San PaoloIGS = Istituto Gesù SacerdoteIMA = Istituto Maria SS. AnnunziataISG = Istituto S. Gabriele ArcangeloMPA = Mi protendo in avanti, Alba, EP, 1954PDDM = Pie Discepole del Divin MaestroPP = La Primavera Paolina, a cura di Rosario F. ESPOSITO, Roma, EP, 1983REF = Romana Editrice FilmSAIE = Società Anonima Italiana EditriceSGBP = Suore di Gesù Buon PastoreSPF = San Paolo FilmSSP = Società San PaoloUCBS = Unione Cooperatori Buona Stampa (associazione e bollettino)UPS = Ut perfectus sit homo Dei, 4 vol., Ostia, EP, 196250 anni = 50 anni a servizio della Chiesa coi mezzi di comunicazione sociale, Roma, EP, 1964.

1. Gli inizi dell’editoria paolina

Preparata da una maturazione ultradecen-nale, l’editoria paolina viene iniziata da don Al-berione assai modestamente nel 1914, portata

avanti stentatamente per varie difficoltà, nonultime quelle della guerra, e prende decisa-mente avvio soltanto all’inizio degli anni ’20.

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Questi sono proprio gli anni in cui entra inpieno sviluppo la civiltà degli strumenti di co-municazione sociale, prima ancora di diventarecultura massmediologica riflessa vera e propria.

In America si va formando il primo “star sy-stem” cinematografico; la radio passa dalla ra-diotelegrafia e dalla radiotelefonia, ampiamentesviluppate durante il periodo bellico, alla radio-fonia vera e propria, intesa sia in senso tecnicoche commerciale; si diffondono le prime riviste“tabloid”, si impongono i primi giornali e perio-dici di massa (anche quelli sportivi e femminili),si delineano i primi perfezionamenti tecnici cheporteranno nel decennio successivo alla televi-sione (1).

In campo cattolico, nonostante le restrizionideterminate dalla legislazione canonica, so-spettosa ancora nei confronti della stampa ediffidente in maniera particolare verso il cine-ma e la radio (2), le iniziative apostoliche sisviluppano in vari settori, sia in Italia che al-l’estero (3).

Quando don Alberione si affaccia decisa-mente sul panorama editoriale italiano, la si-tuazione (schematizzata nel quadro allegato)(4), si presenta alquanto contrastante, legata inparte ancora alla tradizione culturale ottocen-

tesca (ossia la colonna n° 1: religione, asse“toscano”, formazione, scienza), in parte rap-presentata dalle avanguardie di rinnovamento(ossia le colonne 2, area dell’alta cultura, e 3,miti), in parte già protesa verso il nuovo tipo dicomunicazione sociale che si svilupperà sempremaggiormente nei decenni successivi (ossia lacolonna n° 4: consumo medio, “midcult” abbas-sato, romanzo-massa).

È chiaro che l’attività editoriale paolina, aisuoi inizi, è legata anch’essa al mondo dell’ ’800.Ideologicamente tributaria del messaggio diLeone XIII, pastoralmente ispirata dai metodi diPio X, si muove, dall’alto al basso, ancora nelmondo dell’antico regime.

Basta considerare, appunto, che il vertice èrappresentato dai contributi culturali del can.Chiesa (5), rimasto sempre fondamentalmente unpositivista; la base da edizioni ascetiche, devo-zionali e catechistiche vecchio stile e da pubbli-cazioni letterarie come quelle di mons. Mioni(6), più “feuilleton” che romanzi-massa consa-pevolmente elaborati.

Questo è il punto di partenza. Conviene oradescrivere, almeno sommariamente, le varie tappedell’editoria paolina negli anni di don Alberione.

2. Le tappe dell’editoria paolina dagli inizi al 1969

Nella vicenda apostolico-editoriale di donAlberione è possibile identificare con relativafacilità una serie di periodi più o meno decen-nali, corrispondenti a momenti di riflessione (oanche di crisi) seguiti immediatamente da rilan-ci di attività e di iniziative sia individuali checollettive.

Il momento di partenza è ben noto e corri-sponde al passaggio fra i due secoli. Il giovaneAlberione si pone in prospettiva apostolica, la-sciando, negli anni immediatamente seguenti, al-cune testimonianze assai significative di quellache si potrebbe definire la sua “editoria” stretta-mente personale.

Il secondo momento inizia nel 1912, con laprima pubblicazione degli Appunti di teologiapastorale. Nei due anni successivi le iniziative simoltiplicano: direzione e poi anche acquistodella Gazzetta d’Alba, fondazione di Vita Pasto-rale, inizio della “Scuola Tipografica” e del“Laboratorio Femminile”, pubblicazione delleprime edizioni catechistiche e devozionali.

Il terzo momento comincia a delinearsi, piùo meno, nell’immediato dopoguerra, soprattuttonel 1919, quando la strategia carismatica e apo-stolica di don Alberione si concretizza nellafamosa formula della “cambiale”, dando insie-me il via alla moltiplicazione delle edizioni sia

(1) Un dettagliato quadro d’insieme si trova in AV, Les techniques de diffusion dans la civilisation contemporaine.Presse, Radio, Cinéma, Télévision, Lyon, Chronique Sociale, 1955. In particolare, per le statistiche: AV, L’information àtravers le monde: presse, radio, télévision, film, Paris, Unesco, 1950ss.

(2) Cf E. BARAGLI, Comunicazione, comunione e Chiesa , Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1973.(3) L’unica sintesi d’insieme attualmente disponibile è quella di M. SCHMOLKE, Informazione e mass media, in AV,

Storia della Chiesa , Milano, Jaca Book, 1980, vol. X/1, p. 349-376.(4) Lo schema è tratto da G. RAGONE, La letteratura e il consumo: un profilo dei generi e dei modelli nell’editoria

italiana (1845-1925), in AV, Letteratura italiana , vol. II, Produzione e consumo , Torino, Einaudi, 1983, p. 687-772, e sitrova alle pp. 766-767.

(5) Cf L. ROLFO, Il buon soldato di Cristo. Il Servo di Dio, can. Francesco Chiesa (1874-1946), Alba, EP, 1978.(6) Cf AV, Mons. Ugo Mioni scrittore. Atti del Convegno tenuto a Trieste il 9 febbraio 1986, nel 50° della morte, Trie-

ste, Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, 1986; G. BARBERO, Un centenario dimenticato. Ugo Mioni, apostolodella buona stampa, in Palestra del clero , 1971, p. 683-690.

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librarie (dal 1922 comincia a collaborare mons.Mioni), sia periodiche, attraverso una fitta rete didepositi, biblioteche, bollettini. Alla fine del 1918,ma soprattutto a partire dal 1919, fa la sua appari-zione anche il bollettino Unione CooperatoriBuona Stampa. In questo periodo, l’organizzazio-ne apostolica di don Alberione tende ad uscirefuori, gradualmente, dall’ambiente albese: già nel1919 si arriva a Susa (e si fa anche una sortita aTorino), nel 1926 a Roma, dal 1928 si costitui-scono le prime librerie FSP fuori del Piemonte. Altermine del periodo arrivano anche i volumi diteologia dogmatica del can. Francesco Chiesa.

Il quarto periodo inizia nel 1931 e vedel’avvio della prima diffusione all’estero. Con-temporaneamente si arricchiscono e si consoli-dano le collane di libri, il gruppo dei periodici(nel ’31 nasce Famiglia Cristiana), la rete libra-ria e propagandistica. La redazione dei paolinitrova energico incoraggiamento nell’istituzionedella “Sala San Paolo” (anch’essa dal 1931). Inquegli anni don Alberione elabora e pubblica(nel 1933) la prima riflessione organica e siste-matica sulla propria editoria, nel volume Apo-stolato Stampa, mentre il can. Chiesa pubblica lasintesi filosofica (1935) e don Robaldo cominciaad applicare il suo sistema di commento catechi-stico al Vangelo (dal ’36). Al termine del perio-do si delineano le prime iniziative di apostolatocinematografico con la produzione di AbunaMessias (che rimane tuttavia un caso a sé) e so-prattutto con la costituzione della REF, che avràconseguenze effettive, però, solo qualche annodopo, passato l’intermezzo della guerra.

Il quinto momento è quello del rilancio, ap-punto, nell’immediato dopoguerra, già nel 1944-45. Don Alberione, che aveva enunciato la pro-spettiva globale “apostolato delle edizioni” nel1936, rielabora il suo manuale, e lo presenta nel1944 col nuovo titolo di Apostolato dell’edi-zione: ora si parla anche del cinematografo(quattro capitoli) e della radio (un capitolo), an-che se la parte preponderante (38 capitoli) restadedicata all’apostolato stampa. L’organizzazioneredazionale cerca di perfezionarsi: abbandonatolo scrittorio tipo “Sala San Paolo” si comincia aparlare di “Casa degli Scrittori” e “Casa delleScrittrici” (come poi saranno rispettivamente adAlbano e a Grottaferrata). Si riprendono e si ar-ricchiscono le vecchie collane, se ne creano dinuove. Si rinnovano i periodici in Italia eall’estero (ad es., Il Focolare, che nel 1949 di-venta Orizzonti). Si riprende anche l’apostolatocinematografico e si verificano le prime manife-stazioni di quello radiofonico.

Il sesto periodo, iniziato nel 1952, dà il via al“boom” delle EP, soprattutto in Italia, con la co-

stituzione dell’Ufficio Edizioni e dell’UfficioPubblicità, con la costruzione dello stabilimentoSPF e col potenziamento di tutte le iniziativeeditoriali e propagandistiche, sfruttando la gran-de fioritura vocazionale del dopoguerra. Nel1953-54 arriva anche la riflessione rappresentatadall’autobiografia carismatica di don Alberione edai contributi di Mi protendo in avanti. Si con-solidano anche le PDDM e le SGBP, si inizial’Istituto delle Apostoline. Ora le EP danno vitaad iniziative editoriali veramente di grande respi-ro, anche dal punto di vista culturale. L’aposto-lato cinematografico trova l’espressione migliorenel servizio alle sale parrocchiali. Legata allaparrocchia, cellula religiosa e anche politica difondamentale importanza nell’Italia cattolica deldopoguerra, comincia anche la grande afferma-zione di Famiglia Cristiana.

Il settimo e ultimo periodo inizia più o menonel 1960, vede le iniziative raggiungere il verticedell’efficienza e spesso anche dell’efficacia (incampo librario, ad esempio, la «Biblioteca dicultura religiosa»; nel campo dei periodici, il“boom” di Famiglia Cristiana e il tentativo Al-berione-Trabucco di dar vita a un quotidianocattolico; nel campo cinematografico, la produ-zione dei cortometraggi biblici a colori; gli inizidella attività discografica; la fondazione degliIstituti Secolari; il tentativo di sintesi teologicadi don Dragone).

Ma è anche il periodo che vede delinearsi ilprimo riflusso: la crisi vocazionale, le difficoltàdi vario genere nelle case estere (che conduconotalvolta a stentate sopravvivenze come in Ger-mania, Francia, Irlanda, ecc.) e poi anche inquelle italiane, la necessità della ristrutturazioneo addirittura rifondazione in vari settori. Arrivainfine il ritiro (1969) e la morte (1971) di donAlberione.

Questa prospettiva storica globale potrà ri-sultare più concreta, se considerata nei singolisettori editoriali.

È da notare che il quadro sinottico compre-so nelle pagine seguenti è sommario e pura-mente indicativo. Esso intende presentare al-cuni elementi e momenti fondamentali del-l’editoria paolina, non l’intera storia delle isti-tuzioni paoline.

Nella colonna dell’«Organizzazione gene-rale», sono indicate le principali fondazioni, leprincipali iniziative che hanno dato vita allevarie strutture: per la SSP le installazioni inItalia e le prime apparizioni all’estero; per leFSP la formazione della rete libraria in Italia(particolarmente significativa per l’organizza-zione della propaganda negli anni di don Albe-rione) e le prime fondazioni nei paesi esteri; per

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le PDDM, solo i primi insediamenti di «Centri diApostolato Liturgico»; per le SGBP, i primisviluppi in Italia e all’estero.

Nella colonna dell’editoria libraria, compaio-no i primi titoli, le principali opere di don Albe-rione e del can. Chiesa, la menzione delle colla-ne principali.Nella colonna dedicata all’editoria periodica, ititoli delle pubblicazioni più significative com-

parse in Italia e all’estero.Nella colonna riservata all’editoria cinemato-

grafica, le tappe più rilevanti, i titoli dei princi-pali films prodotti.

Nella colonna dedicata all’editoria radiofoni-ca, discografica e televisiva, gli elementi, nonmolti, appartenenti all’epoca di don Alberione.

L’esattezza dei dati e delle datazioni, purtrop-po, non è garantita al cento per cento.

Anno Organizzazione generale Libri Periodici Cinemateatro

Radio, di-schi ecc.

1. 1901-1908

1908

Scritti in: Sono creato peramare Dio (ed. 1980) e inMazzo di fiori a Maria SS.(ed. ’81) Galateo (ed.’82)

2. 1912

1913

1914

1915

1916

1917

1918

Fondazione «Scuola TipograficaPiccolo Operaio», futura SSP

Negozietto ad Alba. Fondaz. «Labo-ratorio Femminile», future FSP

Separazione da don RosaLibreria ad Alba delle FSPFondazione «Unione CooperatoriBuona Stampa»

Appunti di teologia pasto-rale; B. Vergine delle Grazie

Programmi Dottrina Cri-stiana; La preghiera delparrocch.; Catechismi; Vitadel card. MassaiaLa donna associata allozelo sacerdotale; Appunti diteologia pastorale (II ed.)

Direzione e pro-prietà Gazzettad’Alba; Nasce VitaPastorale

Per i soldati e leloro famiglie (cond. Rosa); Fogliodei giovaniBollettini parr.:L’Angelo, L’Amico

Unione Coop. B.St.; Calendari

3. 1919

1920

1921

1922

1923

1924

1925

1926

Libr. FSP a Susa; Vendita bibliote-che “assortite”; Primo catalogo notoEP; Primo «Segreto di riuscita»Istituzione depositi librari e biblio-teche. Organizzazione lotterie

Associaz. Gen. Biblioteche; edificioin p.za San Paolo; Acquisto mac-chinario tipogr. di Sesto S. Giovan-ni; Prima relazione di Alber. al ve-scovo e del vescovo alla S. SedeLibreria SSP in via Maestra; PrimiDiscepoli DM; Respinta la fusionecon gli Oblati MVPrime Discepole DM; Costituita la«Soc. S. Paolo anonima per azioni»(fino al ’42); «Piccolo credito Alba-Benevello» (fino al ’59 sotto varieforme)Librer. SSP trasferita in p. S. Paolo;Iniziano ufficialm. le PDDM; Fon-data la «Società Biblica»Inizia la costruzione del tempio aS. Paolo; Inizia la propaganda a do-micilio; Il «Treno della BuonaStampa» da Alba a Roma per ilGiubileoI laboratori paolini esonerati dalleleggi circa il lavoro di donne e fan-ciulli (cf. PP p. 251); Macchinario efornace per mattoni; SSP e FSP aRoma

Maggiorino Vigolungo

Chiesa, Un modello di cate-chista

Iniziano le collane «Tolle etlege» e «Fons aquae»

Iniziano le pubblicazioni dimons. Mioni presso la SSP

Pubblicazioni a dispense: «Ilromanzo onesto», «Vite disanti»

Prime edizioni del Vangelo(tra marzo e novembre, seied. di 200.000 copie)Edizioni bibliche in Varielingue

Giaccardo dir. diGazzetta; SSP aTorino per Il Mo-mentoIniziano Una buo-na parola e LaDomenica

Inizia il quindici-nale Dottrina e fat-ti

Inizia il mensileItalia antiblasfe-ma

L’Aspirante, so-stituito il 1° ott. daIl GiornalinoInizia Il Seme; Vo-ce del Popolo (sett.dioc.)

Iniziano La Vocedi Roma (sett.) eLa Domenica Illu-strata

Acquisto diuna mac-china perproiezioni

Rappresen-t a z i o n idrammati-che nei corti-li della SSPad A lba

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1927

1928

1929

1930

La SSP di diritto diocesano; Lotte-ria per il tempio a S. Paolo; Ad Aba,Congresso del Vangelo ed sposizio-ne-fiera del libroI Discepoli SSP come gruppo a sé;Le FSP a Verona, Salerno e BariLe FSP di diritto diocesano; Le FSPa Udine, Cagliari, Palermo; Primacarta fatta in casa ad AlbaLe FSP a Novara, Treviso, Bologna,Reggio Em., Ancona, Campobasso

«La Fantastica» (romanzi adispense sett.); La Bibbiadelle Famiglie a disp. settim.

La Bibbia delle Famiglie indue vol.Inizia la coli. «Preghiamo»

Chiesa, Lectiones theologiaedogmaticae, 4 vol., 1930-33

Calendario dellamoralità; Cartolinebibliche ill.

Primo tentativo diun quotidiano cat-tolico

4. 1931

1932

1933

1934

1935

1936

1937

193819391940

1941

1942

1943

SSP a Messina; FSP a Brescia, Pa-via, Trieste, Rovigo, La Spezia,Grosseto, Napoli, Catanzaro, Agri-gento; Ad Alba, «Sala S. Paolo» perla redaz.; Espansione all’estero: SSPin Argentina, Brasile, USA; FSP inBrasileDivisione economica fra SSP e FSP;FSP a Taranto; SSP in Francia; FSPin Argentina e USA«Lega per la quotidiana lettura delS. Vangelo»

«Le Missioni della PSSP» ricono-sciute come ente morale; FSP aVercelli, Alessandria, Siena; SSP inGiappone, Spaglia, Cina, PoloniaSSP a Milano;Centro «Ut UnumSint»; SSP nelle Filippine e in In-dia; FSP in FranciaSi comincia a parlare di «apostolatodell’edizione»; Casa gener. SSP aRoma; Inizio delle SGBPFSP a Reggio Calabria; FSP nelleFilippineSSP a Sacile; FSP ad AversaFSP a VeneziaLibrerie FSP a Ivrea, Genova, Fer-rara, Sulmona, Terni, Benevento,Avellino, Matera, Lecce, Trapani,Caltanissetta; Brevetto don Manfre-diSSP di diritto pontificio; FSP a Go-rizia, Como, S. Benedetto delTronto, Sassari, NuoroSSP a Torino e Pescara; FSP aTrentoFSP di dir. pont. e a Lodi, L’Aquila,Ascoli P.; SSP in Portogallo

Stampa della Bibbia in 4 ed.diverse: latina, latino-italia-na, italiana, italiana in vo-lumetti

Chiesa, Per l’unità nella for-mazione del clero

Alb., Apostolato Stampa; «Vitedei Papi», «Piccole vite di san-ti», «I libri della Fam. Crist.»Collana di testi scolastici; La«Tolle et lege» arriva a 150titoli

Già stampati e diffusi 3 mi-lioni di catechismi e2.300.000 Vangeli

Alber. dispone che ogni or-dinando paol. abbia stamp.un proprio libroColl. «Il fiore dei SS. Padri»ecc.

Nasce FamigliaCristiana

Vangelino (sett.);Bollett. parr. litur-gico (mens.); LaMadre di Dio(quind.); Argent.:El Domingo; Bra-sile: O Domingo(sett.), O Coope-rador Paulino(trim.)Probabile primonumero della cir-colare San Paolo

Pastor Bonus eArgentina: VidaPastoral (mensili)

Spagna: Vida Pa-storal (bim.)

Brasile: O Jornal-zinho (quind.)

Progetti sulcinema

REF ed Abu-na Messias

5. 1944

1945

1946

1947

1948

SSP a Roma-S. Pio X; FSP a Torto-na, Crema, Massa CarraraSSP ad Albano e Genova

Librerie internaz. (CISP 251); SSP aVicenza e Catania; FSP ad Aosta;Muore il can. Chiesa; FSP in Spa-gna; SGBP in BrasilePDDM di diritto diocesano; FSP aBolzano; SSP in Canada, Cile, Co-lombia, Inghilterra e Irlanda, Messi-co; FSP in GiapponePDDM di dir. pontif.; Muore donGiaccardo; SSP a Firenze; FSP aMestre, Rimini, Brindisi; SSP nellaCittà del Vaticano; FSP in Cile,Colombia, Messico

Alberione, L’apostolatodell’edizione

Raccomandate le collanealle Case estere (cf BBI)

Alberione, Via humanitatis

Domenica Ill. di-venta Il FocolareBoll. Bibliogr. In-tern.; Si pensa alquotidiano; Ar-gent.: Apostoladodel libro ; USA:The Catholic HomeMessenger (mens.)

Piccolo ri-belle; Inquie-tudine

Missionaridella metro-poli; Inizio16 mm.;A g e n z i eSPF; «ParvaFilm»

Alberionealla radio1-RSP

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1949

1950

1951

FSP a Rho e Sesto S. Giovanni, Cremona,ViterboSSP a Modena; FSP a Piacenza e Cosen-za; A Roma il primo CAL delle PDDM;FSP in PortogalloA Roma inauguraz. Collegio TeologicoInternaz. Paolino; SSP in Venezuela; FSPin India; CAL delle PDDM in Francia

Alberione, Elementidi sociologia crist.

Coll. mission. FSP;Progett. libro Magi-sterium (CISP 1238s)

Il Focolare (sett.)diventa Orizzonti;Giapp.: Seiki (men-sile); Spagna: Fa-milia Crist. (quind.)Sp .: Valent in ;Mess.: El Domin-go; Vita in Cristo enella Chiesa

Primi tre do-cument. cat.Mater Dei;Trittico

50 docu-mentari ca-techistici

Inizi To-kyo Nip-pon BunkaKiokai

Tokyo: in-aug. radio

6. 1952

1953

1954

1955

1956

1957

1958

1959

Fondazione Ufficio Ediz. in Italia; A Mi-lano, apertura Ufficio Pubblicità; FSP adAlbano; FSP in Canada e SvizzeraSGBP di diritto diocesano; FSP a Bellunoe Savona; SSP a Cuba e in Australia; Pro-paganda collettiva (CISP 886ss); Progettocoord. ediz. di lingua spagnola (CISP845ss)A Torino, iniziata la SAIE; FSP a Forlì;CAL delle PDDM in Canada e Messico;SSP in GermaniaFSP a Ravenna, Perugia, Crotone; FSP inAustralia e Inghilterra; SGBP in AustraliaSSP a Bari; FSP a Lugano, Pordenone,Arezzo, Mantova, Caserta; FSP in Vene-zuela; CAL delle PDDM in CileCasa esercizi spirituali ad Ariccia; Fondopaolino (CISP 923ss); Capitoli generaliPDDM, SSP, FSP; FSP a Pisa; SSP inZaire; CAL delle PDDM in Brasile eSpagnaFSP a Sondrio, Domodossola, Chieti; FSPin Zaire; CAL delle PDDM in ColombiaSGBP di diritto pontificio; Fondaz.dell’Ist. «Regina Apostolorum»; CentroCatechistico Paolino (CISP 850ss); FSPad Asti; FSP a Taiwan; CAL delle PDDMin Giappone

Edizioni liturgiche(CISP 677)

Mi protendo in avan-ti; Chiese e setteprotestanti in Italia

Collana «Ut unumsint»; Collana «Mae-stri»; Rateale SAIEStoria della Chiesa(Fliche-Martin); En-cicl. catt. uomo d’og-gi; UEP per rateale

Encicl. moderna delcristianesimo (4 vol.)

Via Verità e Vita(mens.)

Notiz. SPF; Col.:Familia; Mess.:Familia Cristiana;USA: Pastoral Li fe

Arg.: Ella (mens.);Port.: A FamiliaCristã; Fil.: HomeLife

Filippine: TheYoungster (mens.)

Col. Vida Past.Dom. Br.: VidaPast.; Zai.: Anti-lope; Giap.: Kateino tomo Famiglia)

Stabil. SPF;Trad. filmingl. perrag. «Parva-SPF»

Ho ritrovatomio figlio; IlFigliodell’uomoSPF sost.Parva-SPFStato CittàVat.; Romanel mondo’56: 35 mm;Porto d.sper. Guar-diamoci att.,Manto az.;Codice BSchede fil-mogr. Av-venturanell’arcipel.Un giornotra i paolini

3. 1960

1961

1962

1963

1964

19651966

1967

1968

1969

Primo corso mensile di Ariccia; Fond.Istituti secolari IGS, ISG, IMA; Erez.pont. «Società Biblica Int. Catt.»; FSP inPerù e Corea; CAL delle PDDM nelle Fi-lippine e in PortogalloSSP in Corea; FSP in Borneo; CAL dellePDDM in ArgentinaCentro diff. UEP; Rilancio AGB (CISP891ss); Erez. pont. «Assoc. Apost. Tecni-che Audiovisive»; CAL delle PDDM inUSAErez. pont. «Pia Unione preghiere, soff. ecarità per tutte le vocazioni», e della «PiaUnione Famiglie Cristiane»Muore sr. Tecla Merlo; FSP in Uganda;SGBP in Argentina e in ColombiaCAL delle PDDM in VenezuelaErez. pont. «Pia Opera Morti Improvvi-se»; Comunità periodici SSP a Milano;CAL delle PDDM in Australia e in India

Riepilogo strutture e attività della FP (inCISP 232ss)Il Capitolo gen. SSP: Alber. sup. gen.emerito a vita; Il Capitolo gen. PDDM; ICapitolo gen. SGBP; Il Capitolo gen.FSP; FSP a Macao; CAL delle PDDM inIrlanda

Collana «Bibliotecadi cultura religiosa»

Dragone, MaestroVVV (1961-64); Utperfectus sit homoDei

Famiglia Crist. ha1 mil. di copie; Sevuoi; Arg.: VidaPast.; Zai.: AfriquechrétienneAlberione-Trabuc-co; Cile: Vida Past.;Irl.: Sunday Mess.;Ut unum sint

Pagine ap.; Mes.:El Victor.; Sp.: ElAngel de la FamiliaIrl.: Junior Mes-senger; Il Millime-tro; Catechisti par-rocch.Fr.: Sur les pas deSt. Paul

Famiglia Mese(mens.)

Il testamen-to di CristoVocazion.SPF; Cort.biblici a co-lori; I Patri-archi

Impianti per8 mm.

Cristo inIndia; Saule Davide; Igrandi con-dottieriUna cattedr.per «Fami-glia Crist.»;Fatima sper.del mondo

I n i z i oapost. di-schi adAlbano

Inaug. sta-bil. dischiAlbano

Radio pao-line in Bra-sile

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3. L’organizzazione generale

La storia della primissima editoria paolina,cioè dal 1914 al 1935, è ricostruibile nei parti-colari solo con molta difficoltà, data la scarsadocumentazione rimasta (7). Tuttavia, perquanto concerne l’organizzazione produttiva epropagandistica, emergono chiaramente, findall’inizio, alcuni elementi e problemi fonda-mentali, che si possono identificare nei seguenti:materia prima, personale, strumenti, finanzia-mento, destinatari, diffusione e feed-back.

3.1. Il problema della materia prima

Don Alberione ha ben chiaro in mente, findall’inizio, che il suo apostolato della “buonastampa”, poi delle edizioni, deve dare prima ditutto la dottrina della Chiesa, la Sacra Scrittura ei documenti della Tradizione (apostolato dellastampa propriamente detto) e anche tutto ciò cheè buono (stampa buona intesa in senso ampio)(cf ad es. PP 667-669, 696 ss.). Nell’apostolatodelle edizioni esiste, perciò, una specie di“gerarchia” (cf CISP 1031, 834; UPS III, 134ss),che si può esprimere anche nel trinomio «van-gelo-catechismo-liturgia» (cf CISP 599, 847).

La “materia prima” esiste quindi già, e non c’èbisogno di cercarla altrove. La Rivelazione è laprima e fondamentale “agenzia di informazioni”dell’apostolato delle edizioni; la “buona novella”evangelica è la notizia che deve essere trasmessae diffusa in tutte le diverse forme possibili.

Rimane tuttavia il fatto che occorre tenerepresente anche tutto il resto, se non altro per in-culturare adeguatamente il messaggio rivelato.Ora, non c’è dubbio che in questo campo,l’editoria di Don Alberione ha proceduto, cometutto il resto dell’editoria cattolica, al rimorchiodelle iniziative profane. È vero che già nel 1917nasce in Svizzera la “Katholische InternationalePresse Agentur” (KIPA) e negli USA la“National Catholic News Service” (NCNS), ealtre se ne costituiranno negli anni successivi (tracui la vaticana “Fides” nel 1927 e la tedescaKNA nel 1952), ma con una parabola di sempreminore efficienza, tanto è vero che, all’epoca delVaticano II, non saranno più di una dozzina le

agenzie di informazione cattolica di un certo ri-lievo in tutto il mondo (8). E, in questo settore,la FP non sembra aver dato un contributo signi-ficativo.

3.2. Il problema del personale

Assai più originale ed efficace risulta il modocon cui Don Alberione ha affrontato il problemadel personale addetto all’editoria paolina. Rap-presentato, agli inizi soprattutto, ma in buonapercentuale anche nei decenni successivi (nonesiste tuttavia una indagine esauriente sullaestrazione sociale delle prime generazioni paoli-ne) da individui maschili e femminili provenientidal ceto contadino e piccolo-borghese, l’organi-co del nuovo apostolato risulta motivato da idea-li di emancipazione e autoaffermazione sia spi-rituale che materiale, nel quadro però di una te-stimonianza di solidarietà e di sacrificio indivi-duale e collettivo. Si tratta di ideali allora non incontrasto con l’educazione ricevuta in famiglia,ma, anzi, in continuità quasi logica e naturale.

Don Alberione si serve di questa forza-lavoroper dar vita ad una vera e propria rete di attivitàapostolica e di penetrazione sociale, che si faràsempre più articolata e definita col passare deltempo. Le tappe sono note a tutti: si parte dalla“Scuola Tipografica” e dal “Laboratorio Femmi-nile” per passare successivamente alla SSP, alleFSP, alle PDDM, alle SGBP, alle Apostoline,agli Istituti secolari, ecc. Fin dall’inizio, accantoa questa struttura che si definisce come FP, ap-paiono i Cooperatori, laici e laiche che hannoavuto spesso grande parte nella nascita e nel suc-cesso delle iniziative.

Questi sviluppi di organizzazione del perso-nale corrispondono non solo alle tradizioni co-munitario-religiose del cristianesimo ma ancheallo spirito dell’epoca, che è quella dei grandiinquadramenti sociali, politici, ideologici, sia alivello di élites che a livello di masse. Epoca chesi può considerare chiusa e superata, o almenoradicalmente cambiata, dai sommovimenti so-ciali del 1968 in poi, e soprattutto per la progres-siva diffusione della cultura dei consumi (9).

(7) È di aiuto L. GIOVANNINI, Don Alberione e i Paolini nella storia della Chiesa e della cultura. Cronologia com-parata. Roma, Edizioni Archivio Storico Gen. Famiglia Paolina, 1982. Inoltre: L. ROLFO, Don Alberione. Appunti peruna biografia, Alba, EP, 1974; G. BARBERO, Giacomo Alberione. Un uomo, un’idea, Roma, Ed. Arch. Stor. Gen. FP,1988, 3 vol.; i due orientamenti bibliografici redatti da A. DAMINO, Bibliografia di Don Alberione, Roma, Ed. Arch.Stor. Gen. FP, 1984, e da R. F. ESPOSITO, Bibliografia della Famiglia Paolina , Roma, EP, 1983. Infine le pubblicazioniMPA, UPS, 50 anni, e le raccolte di fonti PP e CISP. In 50 anni cit., 55, si afferma infatti: «La storia delle Edizioni dellaCasa Madre è molto complessa e, dal suo inizio fino al 1935, quasi impossibile a ricostruirsi».

(8) Cf E. BARAGLI, L’Inter Mirifica, Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1969, 422.(9) Tra le tante pubblicazioni sull’argomento, si può citare P. BASSI, A. PILATI, I giovani e la crisi degli anni set-

tanta , Roma, Editori Riuniti, 1978.

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3.3. Il problema degli strumenti

Il tema ricorrente degli «strumenti più celeri epiù efficaci» è uno di quelli che ossessiona DonAlberione fin dai primi tempi. La FP è appenanata e già si vogliono fare le cose molto in gran-de. Tenendo costantemente presente il binomiooratorio-laboratorio, Don Alberione cerca il me-glio possibile per entrambi gli ambienti di vita edi attività.

L’elenco delle cappelle, delle chiese, delle ca-se, degli stabilimenti, delle librerie, dei centri diapostolato liturgico, dei vari tipi di macchine, deilibri, dei periodici, delle pellicole, dei dischi ecassette, delle radio, degli oggetti religiosi, e ditutto il resto necessario per la vita e per l’apo-stolato, sarebbe senza fine, perché Don Alberio-ne, nel campo della strumentazione apostolica,non esclude assolutamente niente di ciò che puòservire, direttamente o indirettamente. Tutti glistrumenti e tutti i mestieri, come Don Alberionestesso scrive in un brano giustamente famoso del17 febbraio 1930 («Che cosa è che non si può fa-re? Il peccato! Le cose buone invece nell’Apo-stolato-stampa più o meno direttamente entranotutte!») (10).

Ma alla quantità, veramente notevole, hasempre corrisposto la qualità? Questo certamenteno. Lasciando impregiudicata la santità e gene-rosità delle intenzioni (di cui è giudice soltantoDio), occorre rilevare che l’utilizzazione deglistrumenti non ha dato spesso i risultati miglioripossibili. Esempi se ne potrebbero fare tanti (lapovertà tecnica e artistica di cappelle, chiese, ca-se, raffigurazioni; i risultati mediocri nella pub-blicazione di libri e periodici, nella confezione difilm e di trasmissioni, di dischi e di cassette,nello smercio di oggetti, ecc.).

Queste deficienze sembrano da addebitarsi,nella massima parte dei casi, ad una non suffi-ciente e adeguata integrazione dei tre elementidell’organizzazione generale già esaminati:materia prima, personale, strumento. In altreparole, non sempre l’ispirazione provenientedalla “notizia” ha saputo trovare nella manieragiusta la persona e lo strumento per dare i ri-sultati migliori.

3.4. Il problema del finanziamento

Non vorrei essere avventato nei giudizi, mapenso che, in tutto il vasto campo dell’attivitàeditoriale, Don Alberione abbia sì rivelato mol-

te qualità interessanti (che avremo ancora occa-sione di sottolineare) ma non come nel settorespecificamente finanziario, dove è stato vera-mente un genio, sull’esempio degli altri grandifondatori di comunità di vita apostolica come ilCottolengo, don Bosco ecc.

Certo, occorre tenere presenti alcune circo-stanze che facilitano la fondazione e lo sviluppodelle istituzioni alberioniane. Il contributo di at-tività dato dai ragazzi e dalle ragazze di allora èpraticamente “lavoro nero”, l’ideale per qualsiasiiniziativa di decollo industriale. Don Alberionestesso fa sapere, nel settembre 1926, che nonsolo il Provveditorato agli Studi considera la PiaSocietà San Paolo un Seminario, ma anchequanto segue: «Il Ministero dell’Economia Na-zionale dichiara: Secondo le condizioni in cui sisvolge il lavoro della Pia Società S. Paolo “i la-boratori sono da considerarsi esonerati dall’os-servanza della legge sul lavoro delle donne e deifanciulli”» (PP 251). E c’è da pensare che questacondizione favorevole di normativa del lavoro sisia verificata spesso anche all’estero.

Ciò detto, le realizzazioni rimangono ugua l-mente imponenti, ed esse si spiegano col fattoche Don Alberione ha saputo rastrellare i finan-ziamenti da tutte le strade immaginabili e possi-bili, ordinarie e straordinarie. Tali vie si possonoidentificare, nella situazione italiana soprattutto,in queste sei direzioni fondamentali: il lavoro, icooperatori, la povertà, l’opera delle Messe an-nuali, il cosiddetto “Piccolo Credito” attuatosotto varie forme fino al 1959, quando subentrail “Fondo paolino”, l’istituzione della “SocietàSan Paolo anonima per azioni”, costituita il 28luglio 1923 e sciolta nel 1942 (11).

Don Alberione sa tradurre tutto in finanzia-menti per l’apostolato (cf le testimonianze rac-colte in PP 1126-94). Ma, per sua espressa af-fermazione del 1° aprile 1920, sono particolar-mente cinque «le vie per cui la Divina Provvi-denza ci manderà quanto occorre. 1. Vi sono lesue vie segrete di cui noi uomini poco o nullapossiamo sapere. 2. Apriamo una sottoscrizione.3. Ci rivolgiamo alle persone che hanno. 4. Pro-muoveremo una lotteria. 5, Ai Cooperatori Buo-na Stampa» (PP 101).

Correttezza da una parte, fantasia e spirito diiniziativa dall’altra, sono le componenti fonda-mentali delle capacità finanziarie veramenteeccezionali di Don Alberione (cf CISP 905ss).Naturalmente, anche qui, tenendo presenteche in Italia e spesso anche all’estero, negli anni

(10) Cit. in ROLFO, Don Alberione, 257.(11) Cf BARBERO, Don Alberione, cit., II, 65-72.

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20-60, siamo ancora lontani dalla società deiconsumi e dello spreco, la strategia finanziaria diDon Alberione risulta adeguata ai tempi: tempidi sottosviluppo o di decollo appena incipiente,tempi di autarchia o di protezionismo, tempi diricerca di autofinanziamento per salvare la pro-pria identità e autonomia. Oggi è ancora così?

3.5. Il problema dei destinatari

I destinatari, per Don Alberione, sono quasiobbligati: i fedeli e i pastori delle comunità ec-clesiali, ossia della parrocchia, della diocesi,della Chiesa intera. Il 16 agosto 1952, tutto ciòviene riassunto nella frase: «Sentire la parroc-chia, la diocesi, la cattolicità» (CISP 844). E,naturalmente, nel quadro delle strutture ecclesia-li, raggiungere quelle cellule elementari che sonole famiglie, e qui (secondo l’intuizione apostoli-ca già esposta ne La donna associata allo zelosacerdotale) soprattutto le madri di famiglia e leragazze (“figlie”). I moderni “opinion-leaders”non avrebbero potuto progettare le cose megliodi così.

Non vengono esclusi affatto i lontani, tantomeno i ceti più sofisticati, gli intellettuali, ma inquella direzione, purtroppo, con la lotta antimo-dernista scatenata, a torto o a ragione, da Pio X edai suoi seguaci, ogni approccio serio risultaprecluso addirittura fino all’epoca del concilioVaticano II, quando Don Alberione aveva ormaiesaurito la sua parabola.

Il successo dell’editoria paolina, negli anni diDon Alberione, si realizza perciò, indubbiamen-te, nell’ambito delle strutture ecclesiastiche e re-ligiose tradizionali, colmando vuoti o sostituen-do iniziative preesistenti non più vitali o dinami-che. Camminando consapevolmente oppure an-che inconsapevolmente coi rinnovamenti in atto,nonostante tutto, nella Chiesa di Pio X, Bene-detto XV, Pio XI e Pio XII, l’editoria di Don Al-berione riesce in molti casi a soddisfare le attese,le richieste di pastori e di fedeli.

Operando in tal senso, d’altra parte, DonAlberione si muove nella direzione già prati-cata dall’intransigentismo cattolico (in Italia eanche all’estero), che cercava continuamente ilcontatto funzionale con le masse dei fedeli.Inoltre, l’editoria paolina, non dichiaratamentepolitica, anzi apolitica (cf l’affermazione del20 gennaio 1927: «L’Apostolato-Stampa è aldi sopra e al di fuori di ogni partito; come al disopra e al di fuori dei partiti è il pulpito», PP696), può convivere in Italia col fascismo (al-trove con le democrazie oppure con regimi non

anticlericali) e riempire, almeno in parte, insiemecon l’Azione Cattolica, lo spazio di iniziativa la-sciato vuoto dall’editoria dei partiti, dei sindaca-ti, delle organizzazioni del cattolicesimo mili-tante, scomparsi dopo il 1925.

Nel secondo dopoguerra, tale spazio non solonon diminuisce ma tende a crescere, sia per lapresenza del pericolo comunista, sia per il disin-teresse, in questo campo, mostrato in Italia dallaDC, che si presenta come puro partito di occupa-zione del potere perfino all’interno degli stru-menti di comunicazione sociale da essa diretta-mente gestiti (come nel caso della RAI-TV).

Ma l’editoria paolina, nonostante i successiconseguiti, resta portavoce di una cultura so-cialmente subalterna, considerata dalle “élites”intellettuali, dai ceti dirigenti poco più di un fe-nomeno di folklore. Soprattutto in Italia, sono leculture estranee alla tradizione ecclesiastica amanipolare i destinatari destinati ad affermarsi, aformare i gruppi emergenti: prima la cultura li-berale (rappresentata editorialmente, in modoparticolare, da Laterza), poi quella nazionalista-fascista (fornita dalle case editrici fasciste o fa-scistizzate), poi ancora quella marxista (gestitada Einaudi e dagli Editori Riuniti), rappresenta-no un argine pressoché invalicabile alla penetra-zione del messaggio evangelico, dell’apostolatodelle edizioni. E Don Alberione ha avuto lagrande fortuna di non vedere all’opera la culturadel consumismo, uscita confermata e rafforzataperfino dalle contestazioni del ’68!

D’altra parte, anche all’interno della Chiesa,dopo il Vaticano II, la struttura del mondo deidestinatari (recettori) è radicalmente cambiata,col sorgere degli individualismi personali e digruppo, con la polverizzazione degli aggruppa-menti tradizionali, secondo la logica del “self-service” religioso. E tutto, in questo settore, èperciò rimesso in discussione.

3.6. Il problema della diffusione

Le strutture di propaganda e diffusione messein atto dall’editoria di Don Alberione risultanogià, in qualche modo, da quanto si è detto. Sicomincia operando nell’ambito locale e sfruttan-do parentele, amicizie, simpatie; all’inizio deglianni ’30 si comincia a teorizzare e praticare lapropaganda individuale sistematica, in qualsiasiambiente anche se preferibilmente in quelloagricolo; all’inizio degli anni ’50, si insiste sullapropaganda “collettiva”; all’inizio degli anni ’60anche su quella cosiddetta “razionale” o“razionalizzata” (12).

(12) Cf in UPS IV, 85-97, 139-151; R. F. ESPOSITO, La teologia della pubblicistica secondo l’insegnamento di G. Alberione ,Roma, EP, 1972, 111ss.

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A parte qualche sporadico accenno ai «roghidi libri» eretici o immorali praticati talvolta daicattolici più intransigenti (come allora facevanoanche i fascisti e più tardi i nazisti) (13), la stra-tegia della propaganda di Don Alberione vuolesostituire più che distruggere. Questo metodofondamentalmente positivo ottiene grande suc-cesso, se è vero quanto scrive, nel 1954, don Au-relio Nosetti: «Quando si dice che il totale deivolumi editi e diffusi (comprese le case estere) siavvicina ai quaranta milioni di esemplari, la cifranon è molto lontana dalla realtà» (14). Statisti-camente, un milione di esemplari all’anno, e siparla solo di libri.

Negli anni di Don Alberione, la diffusioneeditoriale paolina va di pari passo con l’espan-sione numerica e geografica della FP. Insedia-mento articolato e penetrazione diffusa nel ter-ritorio e nella popolazione, attuazione dei metodidi propaganda caratteristici anche dei movimentisociali e politici di allora (feste, fiere, convegni,comizi, ecc.), propaganda dei mass media attra-verso gli stessi mass media: tutto, si può dire, èstato utilizzato al servizio della Parola di Dio.

È particolarmente notevole, come tutti san-no, la rete di librerie, agenzie e poi anche dicentri di apostolato liturgico, realizzata nelcorso degli anni ’30, ’50 e ’60 (nel corso deglianni ’60 anche il “boom” delle comunità diSGBP).

Dal punto di vista dell’editoria, nel caso no-stro, è però da tenere presente come altamentesignificativa l’esperienza delle FSP, che hannolasciato una serie di testimonianze esplicite sul-l’argomento. Da una mia relazione su «La libre-ria paolina: storia e significati», limitatamenteall’Italia, traggo questi dati che concretizzano ildiscorso.

Una libreria paolina si impone, dal punto divista apostolico, non per l’apparato esteriore,ma se riesce a inculturarsi, cioè a penetrare neltessuto locale e a “far parte del paesaggio”. Unalibreria paolina (ma questo si potrebbe afferma-re di qualsiasi altro centro di diffusione) dimo-stra veramente la sua validità nella misura incui fa parte della realtà del posto, a tal puntoche non se ne potrebbe fare a meno. Attornoalle librerie, inoltre, si è subito formata una retedi cooperatori: ciò è la logica conseguenza del-l’essere la libreria parte viva del contesto so-ciale ed ecclesiale. E non è mancata, in terzoluogo, un’ampia fioritura di vocazioni sia ma-schili che femminili.

In generale, i vescovi, in un primo tempo, sisono mostrati alquanto restii e diffidenti; il clerolocale, invece, nella massima parte dei casi, è ri-sultato disponibile, sostenitore e collaboratore.Con il clero si instaura un rapporto di amicizia,ed è il clero che giunge in molti casi a forzare lamano al vescovo. Le religiose di altre congrega-zioni, che intervengono a dare ospitalità alleprime libreriste e propagandiste, sono in maggio-ranza accoglienti.

Sono rari i casi in cui i librai del posto si mo-strano ostili. Vi sono i casi espliciti di Cremona,Rimini, Verona, Rovigo. Ma quando le librerielaiche si accorgono di avere a che fare con libre-rie chiaramente religiose, non le guardano piùcon ostilità.

Gli intellettuali risultano quasi del tutto as-senti. Vi è invece spesso l’intervento di personeagiate che comprendono la necessità del nuovoapostolato e aiutano in vari modi. Ma soprattuttoè commovente la rispondenza da parte del po-polo. Difficoltà non ne mancano anche da questaparte, ma sono episodi scarsamente significativi.Il fatto è che quasi tutte le librerie FSP istituitedagli anni ’30 agli anni ’60 si sono sapute inseri-re nella realtà locale, diventando canali di diffu-sione non solo dell’editoria paolina ma anchedell’editoria religiosa locale.

Nel mondo tribalizzato degli ultimi decenni,nella società dello spettacolo venuta fuori con lacultura “beat” e “rock”, molte cose sono cam-biate. Ma la strategia di diffusione e propagandaattuata negli anni di Don Alberione non sembraproprio del tutto da buttar via, perché rispondead esigenze di sano localismo che non potrannomai scomparire del tutto.

In ogni caso è certo che l’apostolo delle edi-zioni (come aveva ben compreso Don Alberione)non può fare opera di diffusione se, in qualchemaniera, non fa anche opera di penetrazione (eper ciò stesso di trasformazione) sociale. Tra l’al-tro, non bisognerebbe dimenticare che in molticasi il calo dell’interesse per i media cattolici «haun decorso quantitativamente analogo al regressodegli indici di presenza nelle chiese» (15).

Per merito di tanti paolini e paoline, la vicen-da riguardante la diffusione e la propaganda ri-sulta una delle più belle nell’intera storiadell’editoria all’epoca di Don Alberione. È peròda osservare che non sempre alla diffusione epenetrazione verso il basso ha corrisposto unimpegno analogo di diffusione e penetrazioneverso i settori alti della società. Il motivo è forse

(13) Cf PP 651ss.(14) Cf in MPA 343.(15) Cf SCHMOLKE, op. cit., 374s.

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nella ritrosia di Don Alberione a rendersi pre-sente nel sistema attraverso relazioni di tipo neo-capitalistico, ampiamente in voga, tuttavia, già aquei tempi (“human relations” nel senso ampiodella parola). Ad esempio, ancora a metà deglianni ’50, le EP italiane non facevano ancoraparte dell’AIE (Associazione Italiana Editori),col motivo dell’identità istituzionale religiosa. Èesistita anche una ritrosia ad impegnarsi in mani-festazioni pubbliche, ecclesiastiche o civili, di uncerto rilievo (quante lamentele su quegli «illustriassenti» dei paolini!). In questo campo, bisognariconoscere che le istituzioni femminili (FSP,PDDM, SGBP, ecc.) si sono mostrate più dispo-nibili dell’istituzione maschile (SSP).

3.7. Il problema dell’editoriacome sistema integrato

L’editoria paolina ha preso assai presto con-sapevolezza del fatto che i mass media, per lo-ro natura, costituiscono una struttura unitaria,

anche se, storicamente, uno di essi può avere laprevalenza sugli altri. In tal senso, si parla diepoche della comunicazione orale, della comuni-cazione manoscritta, della stampa, del giornale,del cinema, della radio, della televisione (16).

È anche vero, però, che praticamente fino allametà degli anni ’30 le iniziative sono rimaste con-centrate sulla stampa dei libri e dei periodici. Il ci-nema costituisce oggetto di pura e semplice curio-sità fino alla Vigilanti cura di Pio XI; la radio di-venta per i paolini strumento di apostolato solo nelsecondo dopoguerra; per i dischi bisogna attenderegli anni ’60; la TV come sistematico impegno apo-stolico esula dagli anni di Don Alberione.

Perciò, nonostante le dichiarazioni lungimi-ranti sulle esigenze di totalità strumentale (17),l’editoria paolina di Don Alberione non ha po-tuto organizzarsi in un vero e proprio, organicocomplesso multimediale, né in Italia, né altrove.Ma certamente Don Alberione ne ha istituito ipresupposti.

4. Editoria libraria

Il primo catalogo dell’editoria paolina risaleprobabilmente al 1919 e si trova sul bollettinoUCBS (cf ora in PP 56s). Oltre alcuni periodici ebollettini parrocchiali, risultano pubblicati i li-bretti catechistici delle prime quattro classi, al-cuni manualetti devozionali, due profili agiogra-fici, il volume di Don Alberione sulla donna euna fornitura di biglietti pasquali. Quell’annouscirà anche la biografia di Maggiorino Vigo-tungo, l’anno seguente quella di Emilia Moglia,redatta dal can. Chiesa. Tra il 1921 è il 1922 efino al 1935, eserciterà la propria collaborazioneanche mons. Ugo Mioni (18). Si annunciano cosìle prime due collane «Tolle et lege» e «Fonsaquae»; arrivano poi, nel 1923, le vite dei Santi ei romanzi a dispense; nel 1924, le prime edizionidel Vangelo. E così, a metà degli anni ’20, la fi-sionomia fondamentale dell’editoria paolina ri-sulta già delineata.

Negli anni ’30, i contributi più originali sa-ranno senza dubbio quelli del can. Chiesa con imanuali di teologia dogmatica e di filosofia, didon Robaldo con la formula del Vangelo più lenote catechistiche, di vari altri autori paolini

con la compilazione dei testi scolastici (oltre chedelle «Piccole vite di Santi»), Cosicché proprionel corso degli anni ’30, la percentuale dei libriredatti e pubblicati dai paolini arriva a un verticemai più raggiunto (19). Poi sopraggiunge laguerra, con la carestia di carta (sopperita in par-te, ad Alba, dal lavoro della cartiera) e le diffi-coltà di pubblicazione e di smercio.

Negli anni immediati del secondo dopoguerrala ripresa è impetuosa. Come scrive don Gambinel 1954, «per dare un’idea dell’attività edito-riale, basti ricordare che, dal maggio del 1950 alnovembre del 1953, sono usciti dalle dieci tipo-grafie paoline italiane 887 libri con oltre 7 mi-lioni di copie e che la sola Casa Madre, dal 1945alla fine del 1949, ha approntato 286 edizioni co-ri 3.319.000 copie» (20).

Il problema, a questo punto, è quello di per-fezionare il livello dell’editoria paolina all’este-ro. Don Mancardi, sul primo numero del Bol-lettino Bibliografico Internazionale (gennaio-giugno 1946) pubblica un trafiletto che racco-manda caldamente l’adozione del sistema dellecollane (21). Una statistica di tali edizioni tra il

(16) Cf BARAGLI, Comunicazione cit., 11s.(17) Cf, ad esempio, in L’Apostolato delle edizioni, Roma, EP, 1950, 11.(18) Cf bibliografia alla nota 6.(19) Cf ESPOSITO, Biografia cit. 21.(20) Cf in MPA 74.(21) Si trova nella terza pagina di copertina, e dice, fra l’altro: «Vorremmo ricordare a tutti i nostri Confratelli Maestri

di Tipografia un consiglio che per le Case Italiane è stato molto utile ed ha segnato l’inizio di un notevole progressonell’arte tipografica e libraria: l’aggruppare e inserire, per quanto si può, i vari volumi in Collane».

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1949 e il 1953 è fornita da don Nosetti (22); varielenchi appaiono sul bollettino San Paolo (23).

La data cruciale, in questo campo, è però rap-presentata dal 1952, anno in cui viene costituitoin Italia l’Ufficio Centrale delle Edizioni (24),che rende possibile il miglioramento sistematico,quantitativo e qualitativo, della produzione.

Si riconferma che le priorità editoriali sono,nell’ordine, la dottrina della Chiesa, la Scrittura,la Tradizione (25); le esigenze quelle di «sent i-re» la parrocchia, la diocesi, la cattolicità (26). Inconcreto, i centri di interesse editoriali risultanoperò rappresentati dalla Bibbia, dal catechismo,dalla liturgia, dall’ascetica e teologia, dalle lettu-re amene (27). Le collane principali, in campoascetico e teologico, sono la «Catholica», la «Bi-blica», la «Mater Dei», la «Musa», quella patri-stica e quella degli Atti pontifici (28); nel settoredelle letture amene, le collane «Biancospino»,«Fiordaliso», «Spiga», «Incontri di cuori», «Fo-colare», «250 Sas», ecc.

Cinque anni dopo, nel 1957, viene messa in ri-lievo l’esistenza di altre collane più o meno disuccesso: «Insegnamenti pontifici», «Theologica»,«Pastorale», «Dimensioni dello spirito», «Tempi efigure», «Philosophica», «Gioia di conoscere»,«Voci dall’alto», «Biografie di contemporanei»,«Famiglia», «Romanzi del prete», «Corpus et ani-ma», la fortunatissima «Psychologica», e infine,recentissime, la collana universale «Maestri» el’«Enciclopedia cattolica dell’uomo d’oggi», in va-ri volumetti (30). La ristrutturazione appare perciòprofonda, ed essa, appunto, nel 1957 viene de-scritta così: «Gli anni che vanno dal 1914 al 1940costituiscono il periodo giovanile, un poco scapi-gliato della giovane Casa Editrice. La produzioneè abbondante ma non sempre selezionata e tecni-camente corretta. Nel dopoguerra però si provvi-de ad un riordinamento generale, in senso reda-zionale ed in senso tecnico-organizzativo, dellavasta produzione successiva. La mole dei volumiè stata saggiamente ordinata in serie o collane,

distinte secondo la materia ed il pubblico a cui sirivolgono, per facilitare l’orientamento dei letto-ri. Sono circa cinquanta serie, tra cui una trentinaa carattere dottrinale di vario livello» (31).

L’unificazione realizzata in Italia dà quindibuoni risultati. Appare opportuno e necessarioattuarla in qualche maniera anche all’estero. Giànel 1959 Don Alberione progetta il coordina-mento delle edizioni di lingua spagnola (32).Nella riunione di Ariccia dell’aprile 1960 siparla abbondantemente di questo problema: pri-ma di tutto di un Ufficio Centrale delle Edizionied Uffici Nazionali in collegamento (don Maraz-za) (33), poi della Unione delle Edizioni in lin-gua spagnola (don Perino) (34), infine del-l’Unione delle Edizioni in lingua inglese (donValente) (35). Il panorama delineato allora dadon Gambi circa la produzione in Italia (36) re-gistra gli innegabili successi (37), ma rileva an-che che si tratta sempre di una situazione di infe-riorità nei confronti dell’editoria italiana cons i-derata nel suo complesso.

Il progresso, tuttavia, continua, sia dal puntodi vista quantitativo che da quello qualitativo.Sotto il primo aspetto, basta ricordare l’affer-mazione già citata del 1964: «In Italia (...), baste-rà dire che prima del ’52 si pubblicavano circa50 titoli all’anno, ed ora se ne pubblicano circa600» (39). Sotto il secondo aspetto, è sufficiente,credo, rilevare l’apparizione, all’inizio degli anni’60, di una collana come la «Biblioteca di cultu-ra religiosa», che ha rappresentato un contributodi primissima qualità nell’approfondimento deitemi del Vaticano II, nella sprovincializzazionedella cultura teologica italiana, con la traduzionedi autori come Congar, De Lubac, Haering,Rahner, Schillebeeckx.

Indubbiamente, questi vertici non erano fa-cili da mantenere. Proprio col Vaticano II sifecero avanti o si rivitalizzarono altre struttureeditoriali cattoliche (ad es., in Italia, la Queri-niana e le Dehoniane). Bisognò pensare, allora,

(22) Cf in MPA 342s.(23) Cf CISP 1024 (Messico), 1027 (Canada), 1028 (Portogallo).(24) Cf 50 anni, 41s.(25) Cf CISP 1031 (maggio-giugno 1952).(26) Cf CISP 844 (agosto 1952).(27) Cf il quadro delineato da don Nosetti in MPA 331s.(28) Cf in MPA 339s.(29) Cf in MPA 341.(30) Cf A. DE PARVILLEZ, La penna al servizio di Dio, Catania, EP, 1957, 127-131.(31) Cf Ibid. 126s.(32) Cf UPS III, 109.(33) Cf Ibid. 82-92.(34) Cf Ibid. 109-122.(35) Cf Ibid. 263-276.(36) Cf Ibid. 146-179.(37) Cf Ibid. 146.

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a ridimensionare la quantità per puntare sullaqualità, sull’iniziativa di sicuro esito editoriale.L’artigianato un po’ avventuristico delle originie del primo dopoguerra si avvia, così, negli ulti-mi anni di Don Alberione a diventare definiti-vamente vera e propria industria editoriale eculturale, nella fedeltà all’impegno apostolico.

Nonostante l’enorme sforzo compiuto, nes-suno può avere la presunzione di affermare chesi sia fatto tutto ciò che era probabilmente pro-gettabile e praticabile. Non mancano perciò la-cune, nella editoria paolina dalle origini al1969. La più evidente è forse quella riguardan-

te la narrativa che, eccetto pochissimi casi, nonha brillato per grande qualità nei cataloghi delleEP, e rimane un discorso aperto non solo per leEP ma per tutta la cultura cattolica, che continuaad avere bisogno di nuovi Fogazzaro, nuoviClaudel, Mauriac, Bernanos, nuovi Merton oChesterton, ecc. Una iniziativa come quella deitesti scolastici, intrapresa negli anni ‘30, merita-va forse di essere perfezionata e sviluppata neglianni del dopoguerra, tenendo conto del peso spe-cifico (in termini economici, editoriali e cultura-li) del settore, là dove esso non è condizionato daregimi autoritari.

5. Editoria periodica

Iniziando la propria storia con un periodico(Gazzetta d’Alba), ottenendo il successo piùclamoroso con un periodico (Famiglia Cristia-na), sviluppando una rete di periodici diversifi-cati in vari paesi del mondo, l’editoria paolina haconfermato, a modo suo, che ci troviamo nella“civiltà giornalistica” collegata strettamente conla “civiltà dell’immagine” (40).

Attuando anche in questo caso il programma dimettersi al servizio della parrocchia e della diocesi,Don Alberione riesce fin dall’inizio a moltiplicarein maniera eccezionale l’impegno giornalistico: nel1927, ad Alba, sono ben 242 i bollettini mensili e60 quelli quindicinali pubblicati, oltre le riviste divaria periodicità, come Il Giornalino, Una buonaparola, La Domenica, La Domenica Illustrata(41), per non parlare degli almeno tre tentativi difondare un quotidiano cattolico, verificatisi nel1930 (42), nel 1946 (43), nel 1960 (44).

In sintesi, si può affermare che l’editoria pe-riodica paolina si è mossa fondamentalmente suquattro direttrici: fornire periodici alla parroc-chia, sia per quanto riguarda i pastori (Vita Pa-storale), sia per quanto riguarda i fedeli (La Do-menica , i vari bollettini parrocchiali, ecc.); forni-re i periodici alla famiglia, collegata alla parroc-chia e alla scuola cattolica, sia per quanto ri-guarda gli adulti (Famiglia Cristiana, La Dome-nica Illustrata, ecc.), sia per quanto riguarda iragazzi (Il Giornalino).

Si è pensato però anche alla diocesi (i variperiodici diocesani tipo Gazzetta d’Alba), al-l’aggiornamento culturale ecclesiastico (PastorBonus), liturgico (La Vita in Cristo e nellaChiesa), catechistico (Dottrina e fatti, poi Via,Verità e Vita, ecc.), vocazionale (Se vuoi), ma-riologico (La Madre di Dio), all’informazionebibliografica (Bollettino Bibliografico Interna-zionale, Pagine aperte) e sugli altri mezzi dicomunicazione sociale.

Si sono progettate riviste di alta cultura (Ma-gisterium), si è sperimentato un periodico speci-ficamente femminile (Così). Ci si è mossi al ser-vizio di iniziative particolari (ad es., L’Italia an-tiblasfema , Il Millimetro, Ut unum sint). Tuttavianon mi risulta che ci sia stato un interessamentospecifico per i vari problemi settoriali del “tem-po libero” e soprattutto per lo sport (45).

Basandoci sempre sull’esperienza italiana(che, più o meno, è stata trasferita all’estero,talvolta un po’ troppo meccanicamente), biso-gna quindi rilevare due fenomeni: esauritosi ilservizio dei bollettini, è rimasto vivo e vitaletutto il resto dell’editoria periodica dedicataalla famiglia e alla parrocchia, perciò La Do-menica, Vita Pastorale, Il Giornalino, Fami-glia Cristiana (questa, in particolare, rappre-senta un fenomeno a sé, soprattutto quando la siconsideri integrata, dopo la morte di Don Albe-rione, da un mensile di alta qualità come Jesus)

(38) Cf Ibid. 147s: «Una settantina di case editrici cattoliche su 1.322: di conseguenza gli editori cattolici rappresenta-no a stento il 6% dell’editoria nostrana... (...) Nel 1959 l’Italia - che, in cifre assolute, si era classificata al 6° posto nellaproduzione libraria mondiale - ha lanciato sul mercato 13.000 novità, escluse tutte le ristampe e le brochures inferiori a100 pagine. Di fronte a queste 13.000 novità che cosa rappresentano le nostre 237 novità?».

(39) Cf 50 anni, 42.(40) Cf RAGONE, op. cit., 85.(41) Cf PP 807s.(42) Cf DAMINO, op. cit., 85.(43) Cf CISP 250; ROLFO, Don Alberione cit., 328.(44) Cf M. BONATTI, Un progetto Trabucco-Alberione per un quotidiano cattolico piemontese, in AV, Progetti po-

litici e stampa locale piemontese, Torino, Centro Studi «Carlo Trabucco», 1985, 67-84.(45) Sulla notevole importanza dei periodici sportivi in Italia, cf A. GHIRELLI, La stampa sportiva, in AV. La stampa

italiana del neocapitalismo . Bari, Laterza, 1976, 313-376.

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(46); è rimasta invece aperta tutta una serie di la-cune verso l’esterno, verso il mondo circostante:il fallimento dei due rotocalchi Orizzonti e Così, lamancanza di rassegne culturali, la carenza di ini-ziative (come si è accennato) nei vari settori edi-toriali collegati con la pratica del “tempo libero”.

Va anche rilevata un’altra carenza, in rap-porto con l’attuale civiltà dell’immagine che siesprime attraverso i fotoromanzi e i fumetti.Nell’èra dei buoni sentimenti succeduta alla se-conda guerra mondiale, era forse impossibilepensare ad una specie di Grand Hotel cattolico,che poi accompagnasse attentamente lo sviluppopsicologico, sociale, culturale e religioso deilettori e soprattutto delle lettrici? (47)

Dato che gli anni ’30-’50 (da Mickey Mouseai Peanuts) sono stati certamente l’epoca piùcreativa nella storia dei fumetti sia per bambiniche per adulti, era impossibile realizzare un per-sonaggio di vasta popolarità e di grande durata(o magari importarlo dall’estero) del tipo ap-punto di Topolino o dell’italianissimo Tex Wil-ler, ecc.? (48). I fumetti non servono certamentesolo ad illustrare la Bibbia. Anzi, in questo cam-po, sarebbe forse meglio non esagerare, dato chela storia della salvezza a fumetti o al cine o infotoromanzi perde molto della propria carica ke-rygmatica. Sono domande che intendono sempli-cemente problematizzare la storia, senza la pre-tesa di insegnare niente a nessuno.

6. Editoria cinematografica

Si dice che il libro sta al teatro come il gior-nale sta al cinema e la radio alla televisione. Ineffetti, libro e teatro (nelle sue varie forme) han-no dominato l’orizzonte della comunicazione so-ciale per oltre due millenni (dal 500 a.C. al 1800d.C.). La “civiltà giornalistica” è nata alla finedel secolo scorso insieme con la “civiltà delleimmagini” (foto, fumetti, cinema, fotoromanziecc.). La radiofonia vera e propria, infine, hapreceduto di poco (una ventina d’anni) l’utilizza-zione del mezzo televisivo.

Nell’esperienza editoriale di Don Alberione,all’inizio, teatro e cinema hanno scarsissima rile-vanza. Eppure, esisteva il precedente dei gesuiti esoprattutto dei salesiani, che si servivano del tea-tro religioso a scopo educativo. È vero che il tea-tro non si può considerare un mezzo di comunica-zione di massa vero e proprio, ma non c’è dubbioche il teatro, o meglio la teatralità, rappresentauna grande fonte di ispirazione e un grande stru-mento di formazione per l’esercizio della stessacomunicazione di massa. Come diversivo, però, ilteatro è entrato in vari casi nei programmi di vitadella comunità paolina: in tal senso si parla dirappresentazioni drammatiche nei cortili dellaSSP ad Alba fin dal giugno-luglio 1926 (49).

Per il cinema, bisogna attendere l’enciclicaVigilanti cura di Pio XI (29 giugno 1936). Giànel 1925, è vero, risulta acquistata una macchi-na per proiettare films come Fabiola, La vita ela passione di Gesù Cristo (cf PP 233s), poi nel1926 Giuseppe venduto dai fratelli (cf PP 245),Elisabetta d’Ungheria (cf PP 254), ecc., matutto finisce qui, anche se, a quanto pare, per lomeno dal 1922 esistevano in Don Alberioneprogetti apostolici sul cinema (50). I propositicontinuano a circolare, nella comunità paolina,all’inizio degli anni ’30 (51), ma il momentodecisivo arriva appunto nel 1936, sia per il fattodell’enciclica, sia per l’impressione provocatasu Don Alberione da due films: I promessi sposie Golgotha (52).

Don Alberione comincia con l’interessare al-l’apostolato cinematografico, nel 1937, don Gre-gorio Delpoggetto; poi, nel 1938, dopo la letturadi un articolo de L’Osservatore Romano sul card.Massaia, decide di passare all’iniziativa, istituen-do la REF e producendo (con l’interessamento el’appoggio dei saveriani, dei cappuccini e dellostesso Governo italiano) il film Abuna Messias,premiato, nel 1939, alla Mostra di Venezia con la«Coppa Mussolini» (53).

(46) Sul fenomeno Famiglia Cristiana, cf M. NARAZZITI, Cultura di massa e valori cattolici: il modello di FamigliaCristiana , in AV, Pio XII, Bari, Laterza, 1985, 307-334. È da tenere presente anche N. AJELLO, Il settimanale di attua-lità, in AV, La stampa italiana cit., 173-289, sebbene Famiglia Cristiana venga presa in considerazione nell’articolo di L.Lilli cit. nella nota seguente, perché (secondo un’inchiesta del 1972) il 78,3% dei lettori sarebbero donne contro il 21,7%di uomini (p. 259).

(47) Su questo tipo di periodici e la loro incidenza sull’opinione pubblica, cf L. LILLI, La stampa femminile, in AV,La stampa italiana cit., 251-312.

(48) Sulla stampa cosiddetta per ragazzi, cf G. GENOVESI, La stampa periodica per ragazzi, in AV, La stampa ita-liana cit., 377-454. Sui fumetti, in particolare, C. DELLA CORTE, I fumetti, Milano, Mondadori, 1961.

(49) Cf PP 583s.(50) Cf MPA 357.(51) Cf ROLFO, Don Alberione cit., 302.(52) Cf MPA 366.(53) Cf ROLFO, Don Alberione cit., 303s.

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All’inizio degli anni ’40, però, a questo tipo diapostolato si va preparando don Emilio Corderoche, attraverso varie esperienze e peripezie tecni-che e finanziarie, giunge a realizzare alcuni sog-getti prima nell’ambito della REF, poi della «Par-va Film» (costituita nel 1947) e della «Parva-Sam-paolo Film» (costituita nel 1952). Intanto, dall’ot-tobre 1947, ci si rivolge sempre più decisamenteal servizio delle sale parrocchiali con le pellicoleridotte a 16 mm. e, dall’ottobre 1952, anche allaproduzione dei cortometraggi catechistici. Unnuovo tentativo di noleggio e distribuzione del 35mm. (intanto, nel 1955, la «Parva-SampaoloFilm» era diventata definitivamente «San PaoloFilm») e poi anche di produzione di pellicole acolori sulla Bibbia, si concludono con un succes-so soltanto parziale. Fallito completamente, inve-ce, un progetto di film su S. Paolo (54).

Anche in questo caso, è facile rilevare che ilsuccesso apostolico (almeno per quanto è dato diriscontrare esteriormente) si è verificato là dovel’editoria paolina si è posta a diretto serviziodelle strutture ecclesiastiche locali (parrocchia ediocesi), coinvolgendo ampiamente clero, reli-giosi, fedeli, e rispondendo tempestivamente adesigenze emergenti dalla vita pastorale. L’arrivodella televisione cambia però completamente lecarte in tavola: le sale parrocchiali (come tutte lealtre sale cinematografiche) entrano in una lun-

ga, progressiva agonia, e anche l’apostolato del16 mm. imbocca la parabola discendente.

Quanto al 35 mm., alcuni dati di confrontopossono permettere un tentativo di inquadra-mento storico globale. Se è vero - come scrive p.Baragli - che «il cinema, come spettacolo, nac-que col sangue guasto, perché già i suoi antenati- voglio dire le invenzioni spettacolari che loprepararono e poi confluirono in esso - abbonda-rono in prestazioni immorali, appagando insiemela morbosa curiosità del pubblico e la cupidigiadi lucro» (55), è anche vero che i cattolici si ser-virono fin dall’inizio del nuovo mezzo, conmolte iniziative e produzioni spesso di successo,per realizzare un servizio apostolico (56), nono-stante le diffidenze e limitazioni espresse dallagerarchia ecclesiastica (57).

Ma, in Italia come in molti altri paesi delmondo industrializzato, la cinematografia haormai il tempo contato. Nel 1955 in Italia si rag-giunge il culmine e quasi immediatamente co-mincia il riflusso (58). Naturalmente, il cinemacome tecnica e arte non scompare, tutt’altro, masi esaurisce una certa forma di produrlo, gestirloe fruirlo.

Allora, si può forse concludere che non è statacolta pienamente in tempo una grande occasione,che una battaglia è andata perduta. Ma la guerraè ancora tutta da combattere.

7. Editoria radiofonica, discografica e televisiva

A differenza del cinema che, appena inventato,passò immediatamente all’utilizzazione commer-ciale, la radio (scoperta quasi contemporaneamen-te) dovette attendere la fine della prima guerramondiale, ossia l’inizio degli anni ’20, per diventa-re un vero e proprio bene di consumo. Ancora adifferenza del cinema, che non poté mai essere to-talmente monopolizzato o posto sotto controllo, laradio, in molti paesi, cadde presto nelle mani digruppi ristretti o addirittura di regimi assolutisti (ades., il fascismo, il nazismo, il bolscevismo), che se

ne servirono abbondantemente per la propagandadi massa (59).

I cattolici si muovono presto anche in questocampo, e le stazioni radiofoniche non tardano amoltiplicarsi, nonostante le solite remore gerarchi-che (60) o le diffidenze di principio, come quelledei monaci di Solesmes che, nel 1935, si rifiutanodi far trasmettere alla radio la loro Messa nataliziadi mezzanotte (61). La stessa Radio Vaticana, sortanel 1931, diventa operante nel senso più autenticodella parola solo dal 1945 in poi (62).

(54) Cf quanto scrive don Emilio Cordero in L’apostolato del cinema . Roma, Società San Paolo, 1983 = «Quaderni dispiritualità» n. 7. Inoltre, per il periodo fino al 1954, cf MPA; sino al 1960, cf UPS II e III (vari interventi); sino al 1964,cf 50 anni. Infine, documenti e dati principali, dal 1947 al 1965, in CISP 953-973.

(55) Cf E. BARAGLI, Codice Hays - Legion of Decency. Due esperienze USA, Roma, Studio Romano della Comuni-cazione Sociale, 1968, 15.

(56) Cf A. AYFFRE, Cinema e cristianesimo , Catania, EP, 1962, 8ss.(57) Cf E. BARAGLI, Cinema cattolico. Roma, Studio Romano della Comunicazione Sociale, 1965.(58) Cf AV, La città del cinema. Produzione e lavoro nel cinema italiano 1930 / 1970, Roma, Napoleone, 1979, 384:

«Dal 1955, anno in cui si raggiunse il vertice con più di 819 milioni di biglietti venduti, si e scesi, nel 1970, a circa 525 mi-lioni di biglietti, con una perdita secca di circa 300 milioni di spettatori, nonostante l’incremento naturale della popolazione».

(59) Tra le varie storie della radio, cf D. DOGLIO, G. RICHERI, La radio. Origini, storia, modelli, Milano, Mondado-ri, 1980. Per l’Italia, in particolare, cf A. MONTICONE, Il fascismo al microfono. Radio e politica in Italia (1924-45) ,Roma, Studium, 1978.

(60) Cf BARAGLI, Comunicazione cit. e AV, Radiotelevisione per Cristo , Catania, EP, 1960.(61) Cf AV. Ibid., 103.(62) Cf AV. Ibid., 7-67.

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Quanto ai dischi, il microsolco, prima da 33, poianche da 45 giri (veri artefici della diffusione dimassa), cominciano ad entrare nell’uso alla finedegli anni ’40. Alla metà degli anni ’50 l’arrivodella musica di Elvis Presley, dai primi anni ’60quella dei Beatles, danno la spinta decisiva, ulte-riormente rafforzata dalla diffusione delle cassettee del “videotape” (dalla metà del decennio), che fi-niscono per creare un sistema integrato di registra-zione e diffusione del “sight and sound” (63).

Per i paolini, negli anni di Don Alberione, nonsi profila un’esperienza significativa nel campotelevisivo, mentre si danno alcune realizzazioniinteressanti nel campo radiofonico e in quello di-scografico.

Alla radio, dopo alcune trasmissioni speri-mentali, si possono ricordare soprattutto le ini-ziative, di diverso esito, portate avanti in Giap-

pone e in Brasile (64). Per i dischi e le cassette,bisogna menzionare quanto è stato diffuso attra-verso la rete libraria in tutto il mondo e quanto èstato prodotto qua e là, particolarmente ad Alba-no Laziale, attraverso quella che si può conside-rare l’ultima iniziativa apostolica voluta e se-guita personalmente da Don Alberione (65).

Se nel caso del cinema l’editoria di Don Al-berione può essere inquadrata in un ciclo relati-vamente compiuto, nel caso della radio e dellariproduzione del suono e dell’immagine e, amaggior ragione, nel caso della televisione,tutto è ancora aperto, suscettibile degli sviluppipiù diversi. Perciò sarà necessario ancora uncerto spazio di tempo per capire se e in che sen-so le iniziative (o le non-iniziative) di Don Al-berione in quei settori abbiano qualche valore dipresupposto.

8. L’editoria di Don Alberione come editoria nella Chiesa

Seguendo le indicazioni di un McLuhan, sisarebbero potuti prendere in esame, nel com-plesso sistema editoriale di Don Alberione, altrimezzi, considerati spesso elementi della comu-nicazione sociale: il tipo di utilizzazione, cioè,di strumenti come il telefono, la macchina dascrivere, i vari generi di macchine da stampa, iveicoli, “minimedia” come i giornali murali, imanifestini, i dépliants, gli stessi strumenti mu-sicali, tutto ciò, insomma, che può servire acomunicare. Da tutto il complesso, messo inrapporto con l’ambiente e il tempo, sarebbe ri-sultata la ricostruzione di un vero e propriospaccato di “civiltà della comunicazione socia-le”. Ma il discorso sarebbe stato anche più im-pegnativo e sarebbe risultato assai più lungo.

In sintesi, si può invece affermare che ilcammino storico di Don Alberione è stato lostesso cammino della Chiesa, che in quegli anniprocede dall’eredità tridentina e dal Vaticano Iin direziono del Vaticano II, attraverso tutta unaserie di movimenti di rinnovamento (missiona-rio, liturgico, pastorale, sociale, biblico, patri-stico, teologico, ecumenico, ecc.), condizionatiin varia misura ma, alla fine, risultati vincenti(66).

Don Alberione ha appunto camminato anch’e-gli, talvolta consapevolmente (67), talvolta no,nella medesima direzione, dando un contributooriginale e molteplice, ed incidendo in manieraparticolare sulla valorizzazione teologica e pasto-rale dei mass media, operata dalla Chiesa primanell’Inter mirifica, poi nella Communio et pro-gressio (68).

Certo, la Chiesa precedente il Vaticano II erapiù “ecclesiastica” che “ecclesiale”. Ma non bi-sogna esagerare. Il Vaticano II non fece altro cheportare alla luce, confermare e incoraggiare ten-denze già presenti e operanti, da Leone XIII aPio XII, che conducevano la Chiesa stessa a ri-conoscersi come comunicazione, comunità ecomunione e a confrontarsi col mondo per faremergere - come dice Paolo in Fil 4,8 - «tuttoquello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile,onorato, quello che è virtù e merita lode».

E l’editoria di Don Alberione, lavorando perla Chiesa, con la Chiesa, nella Chiesa, ha fattosuo questo programma, con risultati di notevolerilievo storico.

Don Alberione ha posto perciò dei presuppo-sti validi ed efficaci. Sul suo esempio, si tratta di«protendersi in avanti».

(63) Sul fenomeno della musica di massa, cf A. CARRERA, Musica e pubblico giovanile, Milano, Feltrinelli, 1980.(64) Cf vari documenti in CISP, 975-995; e gli spunti di ricostruzione storica in MPA 373-384; 50 anni, passim.(65) Come tipo di riflessione sull’esperienza discografica paolina di quegli anni, cf A. PAGANO, Il linguaggio disco-

grafico e la catechesi , in Via, Verità e Vita, 1965, 1, 112-125.(66) Cf, tra le varie trattazioni sull’argomento, R. AUBERT, Il mezzo secolo che ha preparato il Vaticano II, in AV,

Nuova storia della Chiesa , vol. 5/II, Torino, Marietti, 1979, 9-132.(67) Cf le esplicite riflessioni di Don Alberione in “Abundantes divitiae gratiae suae”, Roma, EP, 1979 (ed. critica a

cura di E. Pasotti e L. Giovannini, 1986).(68) Tra i vari riconoscimenti, cf quello espresso da p. Enrico Baragli nell’introduzione a ESPOSITO, La teologia cit.

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P. Bartolomeo SORGE sj

QUALE RAPPORTO TRA FEDE E CULTURAPER UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

Il problema di una nuova inculturazione dellafede è divenuto ormai d’importanza primaria, nelcontesto secolarizzato e pluralistico del nostrotempo, ai fini di una rinnovata evangelizzazione(vedi il nostro studio: Fede e cultura in un mo-mento di trapasso culturale, in Essere cristianioggi. Per una ridefinizione del progetto cristia-no, a cura di RICCARDO TONELLI, LAS, Ro-ma 1986, 45-63).

Le difficoltà, però, diventano spesso insor-montabili quando, dall’affermazione teoricadella necessità di instaurare rapporti nuovi trafede e cultura contemporanea, si passa poi atracciarne il modo concreto di realizzarli. La ra-gione è che non sempre ci si rende conto dellechiusure e delle aperture insite nel pensiero e nelcostume di oggi nei confronti della fede, e ci siespone perciò o al pericolo che il messaggioevangelico venga rifiutato perché culturalmenteincomprensibile (non “mediato”) o al pericolo dipresentare un messaggio evangelico “ridotto” e“annacquato” per renderlo credibile e più accet-tabile.

È necessario, dunque, cercare di capire le dif-ficoltà e le opportunità positive che la culturamoderna offre all’annuncio cristiano, affinchégli sforzi di evangelizzare il nostro tempo trovi-no la strada giusta di una nuova inculturazionedella fede che, da un lato, risponda meglio allemutate esigenze del mondo contemporaneo e,dall’altro, consenta l’annunzio fedele e integraledi tutta la verità rivelata.

Perciò (dopo aver brevemente richiamato iconcetti di “cultura”, di “fede” e di “incultura-zione”), compiremo tre passi:

nel primo, vedremo quali sono le principalidifficoltà che la cultura oggi oppone all’incontrocon la fede cristiana;

nel secondo, vedremo invece le aperture po-sitive che non mancano nella cultura “profana”di oggi verso il messaggio cristiano;

nel terzo, infine, vedremo che oggi non solo èpossibile ma è necessario instaurare rapportinuovi tra fede cristiana e cultura, scegliendo ilmetodo detto della “inculturazione”.

“Cultura”, “fede”, “inculturazione”

1. La cultura è una realtà complessa (cf Gau-dium et Spes , n. 53). Essa risulta dall’insieme dialcune componenti essenziali. In primo luogo, ivalori; infatti, ogni cultura fa riferimento a uninsieme di valori, che ne costituiscono quasi ilnucleo antropologico : il modo di intenderel’uomo, la vita, la storia, il mondo, l’uso dei be-ni, la religione... Nel concetto e nella realtà di“cultura” rientrano poi, come un secondo ele-mento, i comportamenti. Infatti, i valori condivi-si da un popolo o da un gruppo si traducono in“costume”, cioè in linguaggio, arte, forme di vitae di relazione, in religiosità popolare..., cioè inrealtà e comportamenti che costituiscono come ilrivestimento o l’involucro storico del nucleo an-tropologico. Infine, nel concetto di cultura pos-sono esser comprese pure le istituzioni; infattivalori e comportamenti ispirano, a loro volta, lediverse strutture giuridiche o spontanee dellaconvivenza (familiari, associative, religiose, ci-vili): ispirano, cioè, una civiltà, la quale dunquesi può definire come una “cultura realizzata”. Insostanza, ogni civiltà è il risultato, la sintesi divalori, comportamenti e istituzioni.

Dunque, i valori e i comportamenti stanno alla“cultura realizzata” (alla “civiltà”) come l’animaal corpo. La crisi dei valori e dei comportamentiporta in sé, inevitabilmente, la crisi delle istitu-zioni e delle strutture di convivenza, la crisi dellaciviltà in cui una data cultura si esprime. L’emer-gere di valori e di comportamenti nuovi apre lavia a una sintesi culturale, a una nuova civiltà. Inquesto caso, il cambiamento non consiste soltantonel mettere in atto un nuovo equilibrio tra valori,comportamenti e istituzioni, al posto di quelloprecedente alterato dal mutare dei tempi (restandoperò all’interno della medesima civiltà); cambiainvece il quadro stesso di riferimento. I valori diprima non sono più condivisi comunemente (crisidelle “evidenze etiche”), si affermano nuove prio-rità; il costume muta radicalmente; le strutture(famiglia, scuola, autorità. Stato...) entrano in cri-si. Allora finisce un’epoca, e ne inizia un’altra.

2. La fede è l’accettazione libera della rivela-zione divina, con la quale l’uomo presta a Dio ilpieno ossequio dell’intelletto e della volontà (cfDei Verbum, n. 5). Si tratta di un dono di Dio,

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56 - Sorge

grazie al quale l’uomo volontariamente, conl’aiuto della grazia, consente e crede a ciò cheDio rivela e la Chiesa insegna.

Fede e cultura, dunque, sono realtà profon-damente diverse. La cultura è di origine umana eappartiene all’ordine naturale: è l’uomo che de-scrive e manifesta se stesso; è di origine imma-nente, e cambia col mutare degli uomini, deltempo, dello spazio a cui è essenzialmente lega-ta. La fede invece, essendo libera adesione allarivelazione di Dio, è di origine trascendente eappartiene all’ordine soprannaturale: non poggiasull’uomo e sugli eventi mutevoli della storia,ma sulla Parola di Dio, che è immutabile edeterna, la cui comprensione trascende il meroordine naturale.

Tuttavia, sebbene appartengano a piani diver-si, la fede (che quindi non è cultura, né può esse-re “ridotta” a cultura) non può fare a meno dellacultura. Infatti, la rivelazione è un messaggio diDio all’uomo: a ogni uomo e a tutti gli uomini,d’ogni tempo e d’ogni luogo (quindi, d’ognicultura). Perciò, la Parola di Dio, per giungere atutti in modo intelleggibile, per essere compresae liberamente accolta da tutti (con l’aiuto dellagrazia, che non manca mai), deve passare neces-sariamente attraverso un processo d’incarnazio-ne, di mediazione culturale, di traduzione nellediverse culture: questo processo è indicato oggicomunemente col termine di “inculturazione” (cfPAOLO VI, Evangelii Nuntiandi, n. 20, dovetuttavia non si ritrova il termine di “incultura-zione”, pur essendovi chiaramente il concetto.Lo stesso si dica per i documenti del Concilio.Cf Lumen Gentium, n. 13; Ad Gentes, n. 21;Gaudium et Spes, n. 44).

3. L’inculturazione della fede si può definiree descrivere come un processo che consta didue momenti essenziali, tra loro complementari.Il primo momento consiste nell’impegno dellaChiesa e degli evangelizzatori di rendere com-prensibile e vivo il messaggio rivelato agli uo-mini di una data cultura, traducendolo effica-cemente nelle forme e nel linguaggio di essa.Senza questa “mediazione culturale”, la Paroladi Dio resterebbe umanamente incomprensibilee lontana. Tuttavia - ed è questo il secondo

momento - occorre che questa stessa Parola siacompresa e accolta, si sviluppi all’interno dellacultura in cui è stata mediata, così da far cresceree da rinnovare quella stessa cultura, aprendola adun umanesimo plenario, ad una civiltà a misurad’uomo, a Dio (cf, in questo senso, i due Sinodimondiali dei Vescovi 1974 e 1977, dove si parlaperò di “acculturazione” della fede; GIOVANNIPAOLO II, per primo, parla di “inculturazione”nel discorso del 27 aprile 1979 alla PontificiaCommissione per la Nuova Vulgata e nella Ca-techesi Tradendae, del 16 ottobre 1979, n. 53. Ildiscorso sulla inculturazione è stato poi svilup-pato dalla Commiss. Teologica Internazionalenel documento pubblicato in concomitanza colSinodo straordinario 1985: Temi scelti d’eccle-siologia in occasione del XX anniversario delConcilio Vaticano II).

Perciò, l’inculturazione della fede non è un“accomodamento” del Vangelo, un ridurre ilmessaggio cristiano ad alcune sue parti piùcomprensibili, per non urtare gli appartenenti auna data cultura. Neppure si deve pensare che la“mediazione culturale” consista nel trovare unaspecie di minimo comun denominatore, cioèuna verità minima di cui accontentarsi, rinun-ciando all’annuncio della verità integrale. Sitratta, invece, di un processo aperto che, mo-vendo da quanto è comune e condiviso, facciaevolvere verso la verità tutta intera. Come hascritto bene padre Pedro Arrupe in un impor-tante Documento sulla inculturazione (14 mag-gio 1978): “Inculturazione significa incarnazio-ne della vita e del messaggio cristiano in unaconcreta area culturale, in modo tale che questaesperienza (cristiana) non solo riesca a espri-mersi con gli elementi propri della cultura inquestione (il che sarebbe soltanto un adatta-mento superficiale), ma diventi il principio ispi-ratore, normativo e unificante, che trasforma ericrea questa cultura” (in Acta Romana Socie-tatis Jesu, XVII [1977-1979], 229-255).

Ebbene, affinché questo processo d’incultura-zione si realizzi nel nostro tempo occorre pren-der coscienza e delle difficoltà e delle apertureche la cultura moderna presenta di fronte allaproposta di fede.

Le difficoltà del rapporto fede-cultura nella società contemporanea

Il nostro tempo si presenta come un insiemecomplesso e vario di correnti di pensiero e difede. Infatti, il mondo moderno è il punto d’ar-rivo di profonde trasformazioni culturali, natecon l’Illuminismo e consolidate dalla Rivolu-zione francese, dalla rivoluzione industriale,modellate nell’ ’800 sia dalle grandi correnti

filosofiche (idealismo tedesco, positivismo,marxismo, vitalismo nicciano, evoluzionismo),sia dall’avvento dei regimi politici costituzio-nali, repubblicani e democratici, sia in seguitoal consolidamento dei diversi sistemi economicie dello sviluppo rapidissimo delle scienze, siadall’influsso delle nuove scienze umane (psico-

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logia, sociologia, psicanalisi...).Questa diversità di elementi, tra loro spesso

contrapposti, ha fatto sì che il mondo modernonascesse e si sviluppasse pieno di contraddizioni.È davvero impressionante che da identiche ma-trici storiche e culturali possano essere nati in-sieme il liberalismo e il socialismo, i regimi de-mocratici e le più terribili dittature, l’idealismo eil positivismo.

Com’è possibile “inculturare” la fede cristianain una realtà culturale tanto composita e contrad-dittoria? L’unica via da seguire è cogliere glielementi comuni di fondo esistenti in ciascuno diquesti fenomeni: identificare cioè i caratteri speci-fici della cultura moderna, per verificare in chemisura essi sono chiusi o aperti al confronto e al-l’incontro col messaggio cristiano. Ebbene, da unaricerca per quanto sommaria, emergono subito ledifficoltà che occorre saper superare per giungerea un rapporto più maturo tra fede e cultura.

Alcune sono difficoltà evidenti di comunica-zione e di linguaggio: il linguaggio della fedetradizionale e quello della cultura contempora-nea usano concetti e termini che sono identicisolo apparentemente; in realtà sono profonda-mente diversi. Così, per esempio, la fede e lacultura moderna parlano entrambe dell’uomo, elo pongono al centro del discorso sul mondo esulla storia. Ma la fede intende l’uomo come unessere personale, orientato a Dio e ad un fine chetrascende la storia; la cultura moderna invece fadell’uomo l’assoluto, padrone di se stesso e delmondo, che crea e trasforma l’universo con lesue mani, che è norma a se stesso, senza bisognodi un legislatore divino fuori di sé, un uomo chesi libera con le proprie mani, senz’attendere laliberazione come dono dall’alto.

Parimenti, sia la fede, sia la cultura contem-poranea parlano di storia, ma non ne hanno ilmedesimo concetto. Il cristianesimo vede nellastoria l’evolvere di un disegno provvidenziale diDio, attraverso l’attività libera e intelligente del-l’uomo; gli eventi certo sono mutevoli e contin-genti, ma vi sono realtà e verità immutabili chedanno un senso di continuità e di crescita allastoria umana. Invece, per l’uomo moderno, lastoria è puro fluire, divenire senz’altro signifi-cato di quello che l’uomo può e vuole dare: nonesiste infatti, per la cultura moderna nessuna ve-rità assoluta, e l’uomo stesso è relativo, tuttoquanto egli è (coscienza, intelligenza, volontà):l’uomo evolve e diviene con il mondo.

Ancora: sia la fede, sia la cultura insistonosulla ragione. Ma, per l’uomo moderno, la ra-gione è una “dea”: fa la verità e ne resta il crite-rio unico e inappellabile, fino al punto da ritenere

falso o inesistente tutto ciò che supera la nostracapacità logica e non è dimostrabile o verifica-bile scientificamente. Per la fede, invece, la ra-gione è capace di Dio, è aperta alla verità tra-scendente la materia; anzi è proprio il fine tra-scendente a dare senso e unità alla conoscenzaumana, alle scoperte della scienza e alle acquis i-zioni della tecnica. La fede, cioè, non solo nonmortifica l’intelligenza, ma anzi la dilata, laorienta, l’aiuta a scorgere la verità anche al di làdei condizionamenti “mondani”.

Infine, sia la fede, sia la cultura modernaparlano di libertà, ma ne hanno una comprensio-ne diversa. Per la cultura oggi, esser libero equi-vale a poter fare tutto ciò che si vuole, a potersoddisfare tutte le proprie voglie, con l’unico li-mite di non impedire l’esercizio della stessa li-bertà negli altri. Per la fede, invece, “libertà” èsinonimo di responsabilità nelle scelte che l’uomocompie, facendo servire gli strumenti al fine chesi vuol raggiungere, adeguandosi spontaneamentealla norma etica, rispettando i diritti e le libertàaltrui nel perseguimento del bene comune.

Insomma, la prima difficoltà nel rapporto frafede e cultura del nostro tempo sta nel fatto chel’umanesimo moderno è essenzialmente imma-nentistico e secolarizzato.

Altre difficoltà al dialogo fra fede e culturaprovengono da parte dei credenti e della Chiesa;si tratta, per lo più, di ritardi e di incomprensionidi fronte ai cambiamenti del mondo moderno,che hanno portato allo scontro, anziché all’incon-tro. Certamente vi sono aspetti nella cultura mo-derna - come abbiamo visto - che contrastano di-rettamente con la visione cristiana dell’uomo edella storia; ma si deve riconoscere che - ancheda parte nostra - il modo di presentare il cristia-nesimo, anziché aiutare a rispondere agli inter-rogativi e alle sfide, ha contribuito piuttosto ainasprire il confronto. L’errore è stato quello diidentificare il messaggio evangelico con una suadeterminata traduzione culturale (quella occi-dentale e medievale), ritenuta quindi intoccabile,proprio nel momento che essa era messa in di-scussione dal sorgere della cultura moderna. Diconseguenza non si sono compresi alcuni valorinuovi importanti, contenuti nella cultura moder-na, nella quale si è scorto soltanto il tentativo discalzare la religione e in particolare la fede cat-tolica. Così, per esempio, non si è capito che latolleranza, la libertà di pensiero e di stampa, la li-bertà di coscienza, l’uguaglianza di tutte le fedi difronte allo Stato erano acquisizioni non in contra-sto, ma piuttosto in armonia con l’essenza del cri-stianesimo. Si è pensato, invece, che la fine delpotere temporale della Chiesa, il riconoscimen-

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to di libera cittadinanza all’“errore” e ai culti chenon fossero quelli della religione cattolicaavrebbero segnato la fine del primato moraledella verità e della Chiesa.

Il medesimo atteggiamento di diffidenza e diincomprensione si è avuto da parte di tanti cristianinei confronti del progresso scientifico moderno. Èvero che la cultura laica ha cercato spesso di darealle nuove ipotesi scientifiche un significato mate-rialistico e ateo (si pensi al modo come venne pre-sentato l’evoluzionismo darwiniano quasi fosseuna prova contro la creazione del mondo e l’esi-stenza dell’anima spirituale); ma ciò non giustificala chiusura della Chiesa contro ogni forma nuovadi approccio alla realtà e al pensiero (si pensi, peresempio, non solo agli eccessi compiuti nella re-pressione contro il “modernismo”, cioè controqualsiasi tentativo di “modernizzare” il messaggiocristiano, ma anche all’incapacità dimostrata nelcogliere gli enormi vantaggi che l’assunzione del“metodo storico” e scientifico della ricerca moder-na avrebbe apportato alla comprensione della SacraScrittura e all’esegesi della stessa Parola di Dio).

Volendo, quindi, dare un giudizio d’insiemesulle difficoltà del rapporto fede-cultura nelmondo moderno, possiamo dire così: esistonoeffettivamente nella cultura moderna elementiche non appaiono conciliabili con la visionedella vita e della storia, propria del cristianesi-mo; non si vede e lo abbiamo già rilevato comel’antropocentrismo di chi mette l’uomo al postodi Dio si possa conciliare con una concezionedell’uomo finalizzato a Dio, unico Creatore eSalvatore; non si vede come si possa conciliare

l’accoglimento delle verità contenute nella rive-lazione cristiana e riguardanti l’uomo, il sensodella vita e della storia, con lo storicismo e con ilrazionalismo assoluto della cultura moderna, laquale nega l’esistenza stessa di verità assolute edi verità soprannaturali, trascendenti la ragione.

Non c’è dubbio che voler tradurre in modoadeguato il messaggio cristiano nelle categorieanguste della cultura immanentistica modernaequivarrebbe a ridurre, ad annacquare, a mutilarela fede, il Vangelo. Ciò spiega perché la Chiesaabbia combattuto energicamente i modernisti chein molti casi, sebbene mossi da intenti positivi,finiscono purtroppo col compromettere la fede.Ci sono sempre state culture e filosofie che, es-sendo chiuse alla trascendenza, non hanno con-sentito l’inculturazione della fede nei concetti,nei simboli, nel linguaggio da esse usati. Così,per esempio, nessun Padre della Chiesa si posemai il problema di evangelizzare l’epicureismo,mentre fu possibile evangelizzare altre forme dipensiero non chiuse allo spirito e alla trascen-denza, come la cultura greca, il platonismo, lostoicismo, l’aristotelismo, la cultura araba... Pa-rimenti oggi come sarebbe possibile inculturarela fede cristiana, senza mortificarla, usando lecategorie soggettive, immanenti, materialistichehegeliane, freudiane o marxiste?

Eppure bisogna annunziare il Vangelo a que-sto mondo moderno. È impossibile farlo? Nonesistono punti comuni di contatto, da cui muove-re per giungere alla conoscenza e alla propostadi tutta intera la verità?

Possibilità e necessità di un incontro tra fede e cultura moderna

Senza nascondersi le difficoltà reali di undialogo e di un incontro si deve tuttavia afferma-re che il rapporto tra fede e cultura moderna nonsolo è possibile, ma addirittura è necessario evantaggioso sia per il mondo, sia per lo stessoannuncio cristiano e per la Chiesa. Infatti, lacultura moderna sta attraversando una crisi pro-fonda che, da un lato, porta a relativizzare leindebite assolutizzazioni compiute dalle grandiideologie dell’ ’800 e, dall’altro, porta a matu-razione tutta una serie di valori che - pur essen-do nati fuori, o talvolta “contro” e indipenden-temente dalla fede - in realtà vanno nel sensodella visione cristiana della vita e dell’uomo.Cosicché dal dialogo e dall’incontro tra fede ecultura ne trarranno vantaggio, sia la culturamoderna nel senso di una più perfetta umaniz-zazione, sia la Chiesa e la fede nel senso di unamaggiore comprensione della Parola di Dio e

dello stesso messaggio di salvezza.Infatti l’errore di fondo della cultura moderna

è l’assolutizzazione di valori veri: l’uomo tra-sformato in assoluto; la ragione in razionalismo;il senso della storia in storicismo; la laicità inlaicismo; la valorizzazione del corpo e dellerealtà temporali in materialismo; la libertà in li-bertinismo e in rifiuto d’ogni norma etica supe-riore ecc.

Ora lo scontro con la visione cristiana delmondo nasce appunto dalla indebita assolutizza-zione di valori, non dai valori in sé; questi, inve-ce, una volta recuperati all’interno di una conce-zione integrale e trascendente dell’uomo e dellastoria, appaiono come valori autenticamenteumani e cristiani. C’è, così, tutta una serie divalori della cultura moderna che, debitamenterelativizzati, divengono terreno comune d’incon-tro e di crescita.

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Si pensi, per esempio, a valori quali: la libertà,il rispetto della dignità dell’uomo e dei suoi diritti,il bisogno di giustizia, il rifiuto d’ogni oppressione,sfruttamento o discriminazione, lo spirito di tolle-ranza, il pluralismo, l’autonomia delle realtà terre-stri, la secolarità, la laicità, il senso della storia, laqualità della vita, il bisogno della pace...

La nuova domanda religiosa che sta emer-gendo parallelamente alla crisi delle ideologie ela crescente adesione verso la Chiesa pratica-mente dimostrano che la cultura moderna è con-sapevole dell’utilità che può trarre da un con-fronto con la fede cristiana nella distinzione enell’autonomia dei piani diversi.

Dal canto suo, anche la fede cristiana e laChiesa sono coscienti oggi che dall’incontro coni valori della cultura moderna possono venire lostimolo e l’occasione di una rinnovata e appro-fondita comprensione del messaggio evangelico,di forme nuove di espressione, di linguaggio e dipartecipazione della ricchezza della verità rive-lata agli uomini dei nostri giorni.

Del resto, bisognerebbe negare l’evidenza pernon riconoscere quanto le acquisizioni dellacultura moderna abbiano giovato alla crescitadella fede, alla sua purificazione. Se oggi ilmessaggio cristiano è più maturo, più puro enobile, lo si deve anche alla funzione critica edi supporto esercitata, per esempio, dalla riva-lutazione della storia; si deve all’assunzione dimetodi scientifici, presi dai campi più diversi(paleontologia, archeologia, linguistica) e appli-cati all’esegesi, allo studio delle fonti. Così, seoggi la Chiesa è meno compromessa col mondo,

se la fede cristiana è vissuta più autenticamente,se tanti pregiudizi sono caduti, se l’annuncio cri-stiano sta diventando un necessario punto di con-fronto anche per i non credenti... tutto ciò è do-vuto pure al rapporto dialettico tra fede e culturamoderna, come rileva autorevolmente il Conc i-lio. “La Chiesa riconosce che molto giovamentole è venuto e le può venire perfino dall’oppo-sizione dei suoi avversari e persecutori” (Gau-dium et Spes , n. 44).

Non solo. Ma il confronto con la cultura mo-derna, con la sua visione antropocentrica, contri-buisce a mettere meglio in luce la dimensionepiù profonda dell’Incarnazione: il rapporto traDio e l’uomo, tra Cristo “liberatore” di tuttol’uomo (anima e corpo) e i drammi dell’umanità;a tal punto che Giovanni Paolo II non ha esitatoad affermare che l’uomo è “la prima e fonda-mentale via della Chiesa” (Redemptor hominis,n. 14): annunziare il Vangelo significa promuo-vere l’uomo.

In conclusione, dobbiamo dire che il rapportofede-cultura non solo è possibile, ma utile e ne-cessario. Ciò tuttavia non esclude che, nel conte-sto del mondo moderno, sia difficile, arduo e, incerta misura, “pericoloso” per i rischi insiti dirottura e d’incomprensione oppure di un’equivo-ca “riduzione” del messaggio esigente e globaledel cristianesimo. È urgente, dunque, riuscire afare chiarezza sia circa la natura dialettica diquesto rapporto fede-cultura, sia circa il metododa seguire affinché il dialogo risulti efficace edeviti i rischi a cui immancabilmente espone.

Il metodo della “inculturazione”

Alla luce delle considerazioni fatte fin qui, ac-quista un’importanza decisiva la questione delmetodo pastorale da seguire nell’evangelizza-zione e nel confronto con la cultura moderna.

Paolo VI, nell’enciclica Ecclesiam Suam,enumera quattro modi possibili di stabilire i ne-cessari rapporti tra Chiesa e mondo moderno. Ilprimo è quello che potremmo definire della fugamundi: “La Chiesa - dice il Papa - potrebbe pre-figgersi di ridurre al minimo tali rapporti, cer-cando di sequestrare se stessa dal commerciodella società profana”. Il secondo modo è loscontro: la Chiesa “potrebbe proporsi di rilevarei mali che in essa (nella società profana) possonoriscontrarsi, anatematizzandoli e movendo cro-ciate contro di essi”. Il terzo modo è quello co-munemente detto della “cristianità”: la Chiesa -prosegue Paolo VI - “potrebbe invece tanto av-vicinarsi alla società profana da cercare di pren-dervi influsso preponderante o anche di eserci-tarvi un dominio teocratico”.

L’Ecclesiam Suam scarta tutte queste diverseforme di rapporto tra Chiesa e mondo per conclu-dere, nello spirito del Concilio, alla necessità deldialogo: “Sembra a Noi invece - puntualizza ilPapa - che il rapporto della Chiesa col mondo (...)possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppurequesto in modo univoco, ma adattato all’indoledell’interlocutore e delle circostanze di fatto”. Ciòè suggerito - prosegue - “dal dinamismo trasfor-matore della società moderna, dal pluralismodelle sue manifestazioni, non che dalla maturitàdell’uomo”. E spiega: “Questa forma di rapportoindica un proposito di correttezza, di stima, disimpatia (...); esclude la condanna aprioristica, lapolemica offensiva e abituale (...). Se certo nonmira a ottenere immediatamente la conversionedell’interlocutore, perché rispetta la sua dignità ela sua libertà, mira tuttavia al di lui vantaggio, evorrebbe disporlo a più piena comunione di sen-timenti e di convinzioni” (nn. 45-46, secondol’enumerazione delle edizioni Dehoniane).

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Tuttavia - prosegue Paolo VI - la netta prefe-renza della Chiesa del Concilio per questo metododel dialogo non deriva soltanto dalla necessitàobiettiva, maturata col mutare del contesto storicoe socioculturale dei nostri giorni; la categoria deldialogo e della mediazione è centrale e intrinsecanella stessa rivelazione cristiana: “La relazione s o-prannaturale che Dio stesso ha preso l’iniziativa diinstaurare con l’umanità può essere raffigurata inun dialogo, nel quale il Verbo di Dio si esprimenell’Incarnazione e quindi nel Vangelo (...). Bis o-gna che noi abbiamo sempre presente questo ine f-fabile e realissimo rapporto dialogico offerto e sta-bilito con noi da Dio (...), per comprendere qualerapporto noi, cioè la Chiesa, dobbiamo cercare diinstaurare e promuovere con l’ umanità” (ivi, n. 193).

Si tratta, quindi, di acquisire una mentalità eun atteggiamento nuovi. Ma in che cosa consisteconcretamente questo metodo pastorale di dialogoe di confronto, che oggi comunemente è definito“inculturazione”?

È un processo, un itinerario, nel quale - comegià dicevamo all’inizio - vanno distinti due mo -menti che tuttavia non sono tra loro separabili:quello della complementarietà e quello della crit i-ca nei confronti della cultura del nostro tempo.Volendo rifarci all’insegnamento di San Paolo,potremmo riassumere i due momenti del processodi inculturazione nella cultura moderna con lanota espressione paolina: “Farsi tutto a tutti, perportare tutti a Cr isto”.

Farsi tutto a tutti . Significa, nel nostro caso, co-gliere attraverso il dialogo, i meccanismi, i modi dipensare, le ragioni di un comportamento o di unascelta, per condividerne quanto di vero e di buonoc’è, per tradurre in modo comprensibile il messag-gio cristiano nei concetti, negli usi, nel linguaggio diuna data cultura, cosicché il Vangelo non appaiacome qualcosa di estraneo o di avulso, ma comeparte integrante, come momento unificante di quellastessa cultura. Ciò è possibile, perché l’annunciocristiano, essendo trascendente, non si pone in alte r-nativa alle diverse culture o alle differenti ideologie;è in grado, invece, di assumere ogni elaborazioneculturale e d’integrarla con ciò che ciascuna ha divero e di valido. Proprio perché la fede trascendetutte le culture, queste non le restano estranee, marimangono nel suo orizzonte (che è più ampio),nella misura che esse contengono germi o elementidi verità sulla natura, la vita, il destino dell’uomo.Questi elementi culturali validi non vengono negatidalla fede cristiana, ma assunti e dilatati alle dime n-sioni di un umanesimo globale e integrale.

Questo rapporto dialettico di complementarietà edi mutua integrazione impone ai cristiani (e allaChiesa) l’impegno di un dialogo leale, il rispetto dellegittimo pluralismo delle esperienze, delle con o-scenze e dei valori; esige che ci poniamo in atte g-

giamento di chi dà, ma nello stesso tempo di chi saascoltare e ricevere con umiltà i “parecchi elementidi verità” che si trovano di fatto anche fuori dellaChiesa cattolica (cf Lumen Gentium, n. 8), presso lereligioni non cristiane che “non raramente riflettonoun raggio di quella verità che illumina tutti gli uo -mini” (Nostra Aetate , n. 2), e perfino presso queinon credenti “che hanno il culto di alti valori umani,benché non ne riconoscano ancora la Sorgente”(Gaudium et Spes , n. 92).

Per portare tutti a Cristo . Tuttavia, lo sforzodi partire da quanto unisce non comporta affatto -come alcuni temono - né ignorare quanto divide,né, tanto meno, mettere tra parentesi certe paginedel Vangelo, fino a cadere nel compromesso conl’errore! La ricerca comune di tutta la veritàsull’uomo suppone anzi, nel cristiano, sia il co-raggio di una testimonianza vissuta e di un an-nuncio integrale della verità, sia la consapevole z-za della funzione critica che la fede non può nonesercitare nei confronti di quanto è lontano o incontrasto con il Vangelo.

Detto questo, non si deve però aver paura diriconoscere gli elementi di verità esistenti anchein elaborazioni culturali parziali o erronee. GiàGiovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in Terris ,osservava che il dialogo rettamente compresoserve anzi, da un lato, ad aprire le verità parzialialla verità totale e, dall’altro, aiuta gli stessi cr i-stiani e la Chiesa a una comprensione più maturae profonda della medesima verità rivelata sull’uo-mo (cf n. 159, secondo la numerazione della Ci-viltà Cattolica). E lo stesso Concilio esorta i cri-stiani a lasciarsi mettere in questione dalle sfide edagli stimoli provenienti dalle diverse culture edalle ideologie, per cercare insieme “tutta la verità”sull’uomo: “Nella fedeltà alla coscienza, i cristianisi uniscono agli altri uomini per cercare la verità eper risolvere secondo verità tanti problemi morali,che sorgono tanto nella vita dei singoli, quanto inquella sociale” (Gaudium et Spes , n. 16).

L’inculturazione, dunque, non può consisteresoltanto nello sforzo di rendere comprensibile ilVangelo agli uomini di oggi, traducendolo nel lin-guaggio e nei problemi del mondo moderno; occo r-re che dall’interno della cultura moderna, così co m-presa e condivisa dall’interno, si proceda insiemecriticamente verso una maturità di conoscenza del-l’uomo e di prassi personale e sociale. Si tratta, cioè,di aiutare ogni cultura a sviluppare le proprie poten-zialità, a crescere verso un umanesimo integraleaperto a Dio, facendo comprendere che le aspir a-zioni, le tensioni, le speranze presenti in ogni elabo-razione culturale potranno trovare il loro pieno ap-pagamento, grazie alla luce e alle forze che prove n-gono dall’incontro con Cristo. La fede cristiana nonè fatta per spegnere, ma per alimentare le giuste at-tese degli uomini e dischiuderle verso orizzonti digiustizia vera e di fraternità autentica.

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Card. Aloísio LorscheiderArcivescovo di Fortaleza - Ceará, Brasile

EVANGELIZZARE IN UNA CHIESA CONCRETA

1. Introduzione

1.1. La Chiesa concreta di cui tratteremo, sarà la Chiesa in Brasile.Cercheremo di presentare gli aspetti che ci sembrano più caratteristici o più rispondenti alla evan-

gelizzazione oggi in una regione assai ampia, che si profila come un continente.

1.2. L’estensione territoriale del Brasile è di 8.511.965 Kmq. È una superficie con clima diver-so, superficie abitabile in tutta la sua estensione, senza grandi disturbi atmosferici né di terra o diacqua. La sua popolazione somma all’incirca 140 milioni di abitanti, con le origini più diversifi-cate.

Ci sono, in questo momento:Vescovi 374 (di cui 299 in attività episcopale e 75 emeriti)Circoscriz. Ecclesiastiche 243Sacerdoti 13.155 (di cui 5.464 diocesani e 7.891 religiosi)Religiose 38.192Religiosi non sacerdoti 2.380Catechisti (arrivano a) 300.000Diaconi permanenti 392Parrocchie 6.838Istituti secolari 867 membriSeminaristi maggiori:

diocesani 2.820religiosi 2.845

1.3. La vita della Chiesa in Brasile è fortemente segnata dall’attività della Conferenza Nazio-nale dei Vescovi del Brasile (CNBB), che è divisa in quattordici (14) Regioni, ogni Regione conla sua organizzazione propria strettamente legata all’organizzazione nazionale della Conferenza.

La Conferenza dei Vescovi in Brasile esiste dall’ottobre del 1952. Oggi parlare della Conferenza èparlare di tutta la Chiesa in Brasile. Non si può negare che la Conferenza porta tutto il rinnovamentoevangelizzatore che sgorga dal Vaticano II e passa per Medellin, Puebla e i Sinodi dei Vescovi. Lavoce della Conferenza dei Vescovi in pratica si identifica con la voce della Chiesa in Brasile. Importaquindi vedere l’organizzazione e il lavoro pastorale che la Conferenza svolge per conoscere l’evan-gelizzazione che si fa nella Chiesa in Brasile.

2. La CNBB

3. La sua organizzazione

La Conferenza si compone di una Presidenza(Presidente, Vice-Presidente, Segretario Gene-rale) e di una Commissione Episcopale di Pasto-rale, nel momento attuale di otto Vescovi. Il lorocompito è di rispondere per la vita della Confe-renza ed eseguire l’azione pastorale e le altre de-cisioni determinate dall’Assemblea Generale,che si suole realizzare ordinariamente una voltaall’anno.

La Presidenza e la Commissione Episcopaledi Pastorale si radunano tra loro ogni mese.

Altro organismo importante della Conferenzaè il Consiglio Permanente che di solito si ritrovadue volte all’anno, alla fine del mese di agosto ealla fine del mese di novembre.

Appartiene al Consiglio Permanente seguireda vicino il lavoro svolto dalla Presidenza e dallaCommissione Episcopale di Pastorale, prenderedelle decisioni sui temi affidati dall’AssembleaGenerale al Consiglio e deliberare su argomentiurgenti che hanno bisogno di una decisione,sempre però “ad referendum” dell’AssembleaGenerale.

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62 - Lorscheider

Dal 1981 esiste, per desiderio del Santo Pa-dre, la Commissione di Dottrina costituita dacinque Vescovi, che quattro volte all’anno stu-diano il panorama dottrinale della Chiesa in Bra-sile, in stretta collaborazione con la Presidenza ela Commissione Episcopale di Pastorale.

A livello nazionale sono da ricordare due or-ganismi sussidiari della Conferenza ai quali si damolta importanza: la Commissione Nazionaledel Clero e la Commissione Nazionale di Pasto-rale.

Le Commissioni Episcopali Regionali tratta-no più i problemi propri della rispettiva regione.Si possono riunire più spesso. C’è oggi in quasitutte le Regioni la tendenza di adunare una voltaall’anno una Assemblea Plenaria a cui, oltre aiVescovi, partecipano anche sacerdoti, religiosi elaici. La tendenza va verso una Assemblea Re-gionale del Popolo di Dio.

4. La sua pastorale

Caratteristica di tutta l’azione pastorale oevangelizzatrice della Conferenza è la pianifica-zione pastorale. Non c’è Regione, come non c’èoggi in Brasile Diocesi, che non abbia il suo pia-no pastorale. Le stesse parrocchie introduconosempre di più la pianificazione sistematica.

4.1. Il Piano di Emergenza

Prestando attenzione alla raccomandazionefatta da Papa Giovanni XXIII nella sua LetteraApostolica “Ad dilectos Americae Latinae po-pulos”, dell’8 dicembre 1961, i Vescovi brasilia-ni pubblicarono nell’aprile del 1962, proprio allavigilia del Vaticano II, il loro primo piano di pa-storale col titolo Piano di Emergenza.

Il Piano veniva diviso in due parti: la primapiù di indole pastorale, includendo il rinnova-mento parrocchiale, il rinnovamento del ministe-ro sacerdotale, il rinnovamento degli Educandati,e una introduzione alla pastorale di insieme; laseconda, più di indole economica e sociale,prendeva in considerazione la formazione delleguide (“leaders”); l’unione dei contadini e la lorosindacalizzazione; l’Alleanza Elettorale per laFamiglia.

Il Piano di Emergenza era pervaso dall’idealedel Movimento per un Mondo Migliore, dallateologia e dalla spiritualità a stile di Corpo Mi-stico. La preoccupazione fondamentale era laformazione di comunità di fede, di culto e di ca-rità, dentro lo schema della triplice funzione diGesù Cristo: la profetica, sacerdotale e regale.

I Vescovi allora sentirono come una deficen-za notevole la mancanza di dati oggettivi sullarealtà. Questo Piano preparò in maniera imme-diata i Vescovi brasiliani per il Concilio Ecume-nico Vaticano II.

4.2. Il Piano Quinquennale

Durante il Concilio, i Vescovi brasiliani era-no alloggiati presso la “Domus Mariae” a Roma,sulla via Aurelia. Mentre si svolgeva il Concilio,approfittarono per elaborare un Piano Quinquen-nale di Pastorale. La pianificazione pastorale èvista come uno sforzo della cooperazione indi-spensabile dell’uomo con la grazia di Dio. Lapianificazione pastorale vuole creare condizionifavorevoli all’attività della grazia.

Continuava ad essere presente la voce di PapaGiovanni XXIII ai Vescovi Latinoamericani e siaggiungeva la voce di Paolo VI del 23 novembre1965, raccomandando una sapiente pianificazio-ne come mezzo efficace e stimolo per il lavorodella Chiesa.

Il nuovo Piano Pastorale per gli anni 1966-1970 si proponeva di creare condizioni favore-voli e mezzi perché la Chiesa in Brasile si adat-tasse il più presto e il più pienamente possibileall’immagine di Chiesa del Vaticano II.

Per realizzare questo obiettivo, la Conferenzadei Vescovi elaborò orientamenti e pianificòdelle attività.

Gli orientamenti divennero le sei linee di la-voro pastorale:

- la linea dell’unità visibile;- la linea dell’azione missionaria;- la linea dell’azione catechetica;- la linea dell’azione liturgica;- la linea dell’azione ecumenica;- la linea dell’inserimento del Popolo di Dio

come fermento nella costruzione di un mondosecondo i disegni di Dio.

Il piano di attività conteneva le attività per-manenti; l’ampliamento di alcuni servizi; attivitàspeciali e avvio di nuovi servizi.

4.3. Orientamenti e piani biennali

Sul finire del piano quinquennale di pastorale,nel mese di luglio del 1969, i Vescovi deciseroche a livello nazionale non ci sarebbe più stato,dal 1970 in poi, un piano nazionale, ma ci sareb-bero stati soltanto degli orientamenti e dei pianibiennali per gli organismi di ambito nazionaledella Conferenza dei Vescovi. Così è rimasto fi-no a oggi.

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La Conferenza ha già elaborato il suo nonopiano biennale, mentre ogni quattro anni, dopouna revisione, rifà i suoi orientamenti generaliper tutto il Brasile contenendo gli obiettivi speci-fici, che sono le sei linee di pastorale, oggichiamate dimensioni pastorali, a cui negli ultimiotto anni si aggiungono alcune priorità pastoralivotate in Assemblea.

Nell’Assemblea del 1987 furono votate per isuccessivi quattro anni come priorità: la Comu-nicazione, la Gioventù, la Famiglia.

5. La Campagna della Fraternità(“Campanha da Fraternitade”)

Tra i molti programmi dei piani di pastorale,scegliamo uno che mostra una forza evangeliz-zatrice speciale. Si tratta della Campagna dellaFraternità.

Durante tutta la quaresima, cominciando dalmercoledì delle Ceneri fino alla festa di Pasqua,in tutto il Brasile, nei mezzi di comunicazione,nella liturgia, nelle scuole, nella catechesi, sicerca di mettere in luce un tema speciale dievangelizzazione.

Dal 1964 funziona a livello nazionale. È unlavoro complesso, ogni anno, organizzare laCampagna, scegliendo il tema, le parole chiavi,le idee fondamentali, preparare i sussidi. C’èsempre un’ampia consultazione in cui viene con-frontata la marcia della Chiesa alla ricerca dellafedeltà alla sua vocazione e alla sua missione nelmondo. Per fare la scelta bisogna essere attentialla Parola di Dio e alle esigenze della Quaresi-ma. Non si può perdere lo spirito quaresimale. Èstata anzi qualche volta una obiezione contro laCampagna in tempo di quaresima: che nuoce allaquaresima. In realtà, non nuoce, ma può nuocere,quando non è ben compresa.

Poi è necessario tener conto degli orienta-menti della Chiesa, soprattutto la costituzionedogmatica “Lumen Gentium”, la costituzionepastorale “Gaudium et Spes”, giacché la Campa-gna è un dialogo molto intenso con il mondo, idocumenti di Medellin e Puebla e la stessa piani-ficazione pastorale della CNBB.

Fin dal principio la Campagna è servita perdiffondere idee dei vari piani di Pastorale, Pianodi Emergenza, Piano Quinquennale. Nella Cam-pagna sono importanti le sfide sociali, economi-che, politiche, culturali e religiose della realtàbrasiliana. Come si vede una iniziativa per nullasemplice.

In questi 24 anni di Campagna, si possono di-stinguere due fasi: una più rivolta alla Chiesa adintra; l’altra, che è prevalente dal 1973 in poi,rivolta più alla Chiesa ad extra: Chiesa-Mondo.

Si potrebbe dire che la prima fase è caratteriz-zata dalla “Lumen Gentium”, la seconda dalla“Gaudium et Spes”.

Quest’anno 1988 la Campagna è stata impo-stata sulla razza nera in Brasile; nel prossimoanno il tema sarà la comunicazione sociale; peril 1990 già è previsto: la donna - donna e uomo:immagine di Dio.

Una presenza vigorosa nella Campagna èquella del Santo Padre. Già Paolo VI e adessoGiovanni Paolo II aprono ogni anno la Campa-gna con un messaggio speciale attraverso la tele-visione. Si può facilmente immaginare la sua ri-percussione.

La Campagna è senz’altro un momento stra-ordinario di unità di Chiesa in tutto il Brasile.

Come esercizio quaresimale è richiesto inogni Campagna un gesto concreto rispondente altema e allo spirito della Campagna.

6. Problemi e sfideper l’evangelizzazione in Brasile

6.1. Metto insieme problemi e sfide perchéora costituiscono più problemi ora più sfide, chesono interpellazioni della situazione sociale,economica, politica, culturale e religiosa.

In tutti questi anni, la Conferenza e, con laConferenza, la Chiesa in Brasile si preoccupòdei seguenti problemi e sfide:

- il giusto uso e possesso della terra, sia nellazona rurale sia nella zona urbana. Di qui lapreoccupazione sulla pastorale della terra;

- la pastorale urbana, delle città, il nuovostile di vita che si profila con valori per nullacristiani;

- la pastorale del migrante dentro e fuori ilBrasile;

- la formazione e animazione delle ComunitàEcclesiali di Base;

- la pastorale vocazionale nella prospettivadella comunità e dei suoi ministeri;

- la pastorale della famiglia, con l’osserva-zione che la famiglia è piuttosto vittima che noncellula della società;

- la pastorale della gioventù, soprattutto lagioventù povera, dei cosiddetti ambienti popo-lari;

- la pastorale della difesa e promozione deidiritti umani, pensando in maniera speciale allapastorale indigena e alla pastorale afro-bra-siliana;

- la religiosità popolare, la religione del po-polo.

6.2. Per avviare queste priorità pastorali si dàuna attenzione particolare alla catechesi, al-

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l’animazione e formazione missionaria, all’ani-mazione politica e sindacale, alla promozionedei ministeri, sempre sotto la luce del grandeobiettivo pastorale, obiettivo che determina tuttal’azione pastorale in Brasile e che suona:

evangelizzareil popolo brasiliano nel processo di trasforma-zione sociale, economica, politica e culturale,annunziando la totale verità su Gesù Cristo,la Chiesa e l’uomo,alla luce dell’evangelica (profetica) opzionepreferenziale solidale per i poveri,attraverso la liberazione integrale dell’uomoin una crescente partecipazione e comunione,cercando di formare il popolo di Dio e parte-cipare alla costruzione di una società giusta efraternasegno del Regno definitivo.

Il passo che la Chiesa in Brasile cerca di com-piere è, senza dubbio, il passo del cambio delsuo luogo sociale. Da una Chiesa più legata alleclassi più alte e medie, verso una Chiesa che,partendo dai poveri, si sforza per realizzare lasua opera evangelizzatrice, in una crescentepartecipazione e comunione, dove tutti possonoavere voce e sentirsi Chiesa, in un clima vera-mente liberatore, di persone libere, non domina-te, non oppresse, non messe al margine.

6.3. L’ottica del povero ispira tutta l’azioneevangelizzatrice. Si tratta dell’impoverito, dicolui che vive in una situazione nella quale man-ca qualsiasi mezzo per una vita umana decente,qualsiasi mezzo di sussistenza. Ridotto alle con-dizioni più miserevoli, non perché sia pigro enon abbia voglia di lavorare, ma perché, per se-coli, è stato mantenuto in un sistema in cui imeccanismi sono tali da produrre ricchi ognigiorno più ricchi alle spese di poveri ogni giornopiù poveri. Fra questi meccanismi, il meccani-smo dell’analfabetismo. Dice molto bene PapaGiovanni Paolo II: «Tutto ciò che possa favorirel’alfabetizzazione e l’educazione di base, cheapprofondisca e perfezioni l’alfabetizzazione.... èun contributo diretto per il vero sviluppo» (Solli-citudo rei socialis, 44).

7. Tensioni nell’evangelizzazione

Si fa alla Chiesa in Brasile una critica persi-stente, cioè che la Chiesa Brasiliana provoche-rebbe lotta di classi acutizzando conflitti, ab-bandonando i ricchi e facendo cambiare reli-gione a molta gente, assumendo lo spiritismo o

altre religioni cristiane, soprattutto le così dettesette protestanti oppure religioni orientali o an-cora movimenti di Chiesa di carattere eminen-temente spiritico giacché l’azione pastorale dellaChiesa sarebbe più di indole sociale e politicache non spirituale e religiosa. Altri invece pen-sano che la Chiesa in Brasile si identifichi moltocon modelli estranei alla nostra cultura. Da ciòderiverebbe la forza attrattiva dei movimenti re-ligiosi settari e dei culti afro-brasiliani.

Questa problematica si fa presente in un do-cumento rilasciato dalla Conferenza nel 1985:Lettera agli agenti di pastorale e alle comunità -doc. 33. In questo documento-lettera si percepi-sce che le tensioni hanno come scenario la com-prensione della teologia della liberazione. I Ve-scovi brasiliani dicono che si deve proseguirenella riflessione teologica che valorizzi la vitadelle comunità cristiane, l’azione pastorale dellaChiesa, l’impegno per la liberazione dell’op-presso, in una spiritualità di esperienza del Diovivo, evitando però in questa riflessione teologi-ca e nell’azione pastorale gli unilateralismi e ri-duzionismi che neghino o escludano aspetti es-senziali del mistero cristiano e continuano di-cendo:

Sforzarsi per trovare una sintesi integratricedei diversi aspetti necessari alla liberazione inte-grale:

- né solo peccato individuale, né solo peccatosociale;

- né soltanto dimensione verticale, né sol-tanto dimensione orizzontale;

- né solo ortodossia, né solo ortoprassi;- né soltanto dimensione spirituale, né sol-

tanto dimensione sociale e politica;- né solo conversione di cuore, né solo tra-

sformazione delle strutture.

8. Risultati ottenuti

8.1. È senz’altro importante per tutta l’evan-gelizzazione della Chiesa in Brasile l’introdu-zione della pianificazione pastorale. Dal 1962 fi-no al 1988 la Conferenza si è mantenuta fedelealla pianificazione sistematica. Non si realizzaniente senza che uno si sieda, esamini la realtà,faccia il discernimento sulla realtà alla luce dellafede, per poi proporre delle azioni concrete. Inquesto tracciare piani di pastorale, dappertuttogioca una parte importante la revisione di ciòche si è fatto. Come è stato eseguito il piano dipastorale precedente? Quali risultati si sono ot-tenuti? Perché non si è giunti a realizzare questoo quell’altro progetto?

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Si può dire che la linea di pianificazione èquesta: vedere - giudicare - agire - rivedere -celebrare. Anche la celebrazione riveste ognigiorno una importanza maggiore in tutto il mo-vimento pastorale brasiliano. Una celebrazioneche sgorga dalla vita. C’è una esigenza ognigiorno più sentita che la liturgia sia sì celebra-zione dei misteri della nostra fede, ma celebra-zione pure della vita o del rispettivo misteronella vita. Tutto ciò porta ad una nuova vita. Di-venta allo stesso tempo kérigma, evangelizzazio-ne, catechesi, liturgia. È un ricchissimo insiemedove non si sa bene cosa accentuare di più.

La pianificazione ha giovato moltissimo allostesso vivere concreto della collegialità episco-pale. Le inchieste sociologiche e religiose inBrasile sono state parecchie e continuano a far-sene. Una conoscenza più scientifica della realtàè stata una preoccupazione fin dal primo Piano,il Piano di Emergenza. È stato attuato in seguitosempre e un po’ dappertutto,

8.2. Una forma di evangelizzazione - come ri-sultato di tutta la pianificazione - è il contattocostante della Presidenza, della CommissioneEpiscopale di Pastorale e degli Assessori con iVescovi nelle rispettive Regioni e anche nelleDiocesi. Per fare un esempio: ogni anno nellamia Regione, la Regione Nordovest I situatanello Stato del Ceará, dal 1980 fino ad oggi han-no visitato tutte le Diocesi. Sono venuti il Presi-dente della Regione che è il Metropolita dellaRegione e sono venuti altri cinque Vescovi conla persona che fa da sotto-segretario. In tutte leDiocesi c’è l’incontro con i Coordinatori di Pa-storale della Diocesi e, quando il Vescovo locrede opportuno, anche con il popolo con unasolenne concelebrazione di tutti i sacerdoti dellaDiocesi col Vescovo ed i Vescovi visitatori nellaCattedrale. In modo normale si hanno da cinque-cento a seicento persone che informano il Re-gionale sull’azione pastorale della Diocesi; i Ve-scovi della Regione cercano di fare l’integra-zione pastorale tra le Diocesi; ed è sempre datauna informazione sull’andamento del camminodella Chiesa a livello nazionale. La visita capitanel mese di settembre. È facile immaginare i ri-sultati per la pastorale d’insieme, per la stessacollegialità e per la vita di una intera Regione.

8.3. Un altro risultato da ricordare e l’in-tegrazione di tutta la regione missionaria delBrasile: l’Amazzonia e altre Regioni, prima qua-si sconosciute, adesso sono ascoltate vivamentein seno alla Chiesa del Brasile attraverso la Con-ferenza.

Da anni c’è in movimento uno sforzo di Chie-se Sorelle - tipo gemellaggio tra Chiesa e Chiesa- dove una Chiesa aiuta l’altra con risorse umanee finanziarie arricchendosi l’una con l’altra per-ché lo spirito missionario e la preoccupazionemissionaria in Brasile ogni giorno diventa piùforte, tanto che oggi il Brasile comincia a incide-re fortemente nelle nazioni del Continente Afri-cano e in altre nazioni bisognose. Ci sono quasiun migliaio di brasiliani all’estero che lavoranoin Chiese, che hanno bisogno di loro.

Tra noi diciamo, riguardo al primo fatto, chec’è stata una integrazione dell’Amazzonia in se-no alla Chiesa del Brasile. Quante volte la Chie-sa del Brasile in questi ultimi anni ha difeso ipoveri indigeni e i missionari tanto disturbati dagente piena di cupidigia nel loro lavoro tra gliindigeni!

8.4. C’è stata pure, soprattutto partendo dalregime di eccezione del Governo instaurato nelBrasile dal 1964 al 1985, una indipendenzamaggiore della Chiesa rispetto al Governo. An-che se dal 1889 c’era la separazione dichiaratatra Stato e Chiesa, sempre si sono mantenuti vin-coli abbastanza stretti. La Chiesa godeva di al-cuni favori e il Governo provvedeva alle esigen-ze della Chiesa; è chiaro, fino ad un certo punto.La Chiesa era un appoggio, un aiuto valido perlo status quo.

Con la repressione iniziata dal potere del go-verno militare e con le torture a persone inviateall’esilio e spesso condannate senza nessungiudizio davanti al tribunale, la Chiesa comin-ciò a prendere le distanze e a denunziare le in-giustizie. La Chiesa alzava la sua voce in favoredei perseguitati, incarcerati, esiliati, spariti mi-steriosamente, messi in carcere con cui non sipoteva comunicare... La Chiesa esercitò la suafunzione profetica . Allo stesso tempo la Chiesacominciò a percepire la situazione sociale, eco-nomica, politica e culturale che meritava unatrasformazione.

Questo ingresso della Chiesa in questo camposociale, economico, politico ha portato allaChiesa in Brasile molte noie e ancora le porta,ma fece scoprire alla Chiesa il popolo povero,impoverito, messo al margine della società, euna politica interamente di élite (mascherata daDottrina della Sicurezza Nazionale).

8.5. La vicinanza col popolo ha fatto scoprirealla Chiesa la ricchezza spirituale e culturale diesso. Con questa scoperta iniziò un altro atteg-giamento. La Chiesa più che Maestra preferì fa r-si Discepola scoprendo che non soltanto deve

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evangelizzare, ma può essere anche evangeliz-zata. Da chi? Dal popolo credente, dal popolofedele. Quindi, non soltanto insegnare, ma pureascoltare. Puebla, 1305 parla di una Chiesaevangelizzatrice che ascolta, approfondisce e in-carna la Parola. È la scoperta del popolo comesoggetto attivo della storia.

Comincia qui a farsi strada l’idea che la Chiesanasce dal popolo. È chiaro che questo non è nelsenso come se il popolo fosse il fondatore dellaChiesa; il fondatore è sempre Gesù Cristo. Nep-pure nel senso di voler negare l’autorità nellaChiesa stabilita da Gesù, ma nel senso che il po-polo assume la propria corresponsabilità, diventaqualcuno che ha la coscienza di essere pure luiChiesa e che quindi deve dare il suo contributo. Ècosì che viene fuori l’idea che la Chiesa nasce dalpopolo per opera dello Spirito Santo, sempre - ciòdeve rimanere ben chiaro - sotto la guida deicompetenti Pastori: i Vescovi e il Santo Padre.

La conseguenza è che l’espressione “ChiesaPopolo di Dio” viene presa sul serio. È tutta lagente che appartiene alla Chiesa che deve essereattiva e che ha i suoi diritti nella Chiesa comepure i suoi doveri. È necessario che tutti e cia-scuno assumano la loro funzione.

Di qui viene tutta la teologia più sviluppatasui servizi, sulle cariche, sui ministeri, partendodai carismi che ciascuno riceve nel santo batte-simo, poi nella cresima e perfino nell’ordina-zione: i carismi determinano le funzioni chevanno poi rispettate.

Sarebbe questa la famosa Chiesa Popolare,che può essere bene intesa, ma che, per pruden-za, perché la teologia di certa gente è debole, ilSanto Padre vuole che si eviti. Si evita senz’altrola terminologia, ma la realtà ecclesiologica si ac-cetta perché fondata sulla comunione e parteci-pazione.

8.6. Questo nuovo atteggiamento della Chiesariguardo al popolo, porta con sé un’altra scoper-ta: i valori positivi che ci sono nelle altre Chiesecristiane e pure nelle altre religioni. C’è così incorso, anche se su scala moderata, il dialogo re-ligioso e l’ecumenismo .

Sul piano ecumenico esiste il Consiglio Na-zionale delle Chiese Cristiane. Di questo Con-siglio la Chiesa Cattolica fa parte attraverso laConferenza dei Vescovi. Oggi vi partecipano,oltre la Chiesa Cattolica, cinque altre ChieseCristiane. C’è pure in corso il dialogo con laSocietà Biblica, con la cultura afro-brasiliana,dove la religione gioca un ruolo importante.Dinanzi ad un certo sincretismo religioso primacondannato, c’è oggi un nuovo atteggiamento.Si esamina il problema con altri occhi; lo stesso

capita con le religioni degli indigeni. Il VaticanoII offre la base con i documenti “Unitatis Re-dintegratio” e “Nostra Aetate”. Non è neppureda dimenticare, in questo contesto, la religiositàpopolare.

8.7. Altro risultato sono state le incompren-sioni e perfino le persecuzioni.

Nel 1981-1982 e ancora nel 1987 c’è statauna forte ondata e campagna di diffamazionecontro la Chiesa per mezzo di pamphlet, piccolestorie in vignette, letteratura poetica popolare,falsificazione di libretti sulla educazione politi-ca, di foglietti liturgici, di pubblicazioni sullaChiesa, arrivando perfino ad usare un logotipo dieditrici cattoliche come se da loro provenissero.Giunsero al punto di inventare delle relazionifalse scritte e molte altre accuse pubblicate ingrandi giornali di diffusione nazionale.

In questa ondata di calunnie e diffamazioninon si risparmiano gli assessori della Conferen-za, come nel caso del Consiglio Missionario In-digenista (CIMI), si accusano sacerdoti e Vesco-vi, in maniera speciale missionari, oppure il pro-prio Presidente della Conferenza, come è stato ilcaso di alcuni anni fa, verso gli anni ’79-’81,cercando di creare l’immagine di una Chiesa nonsoltanto in tensione ma divisa con partiti a destrae a sinistra, una Chiesa immorale. Tutto soltantoper generare la confusione tra il popolo.

C’è stata violazione di corrispondenza, se-questro di libri e documenti, falsificazione didocumenti pastorali, aggressioni e invasioni diresidenze episcopali e sequestro di un sacer-dote portato in un locale sospetto dove è statofotografato insieme con una signora, parroc-chiana ugualmente sequestrata, in atteggia-mento sconveniente. Dopo, queste fotografiesono state distribuite nella parrocchia di questoparroco.

La Legge degli Stranieri, modificata nel 1981,cerca di ostacolare l’ingresso e la permanenzadei missionari in Brasile.

La stessa Radio Nazionale e la TelevisioneNazionale di Brasilia trasmettevano programmiin cui non mancavano diffamazioni verso laChiesa. Vescovi, preti, persone pastoralmenteimpegnate, fedeli alle esigenze della dottrinacristiana, che sempre assumevano la causa deipoveri oppressi, erano implacabilmente accusatidi ideologie anticristiane, soprattutto di comu-nismo.

Si percepiva, tempo fa in Brasile, la tenden-za di uno Stato che si voleva attribuire la tuteladella Chiesa, secondo il vizio dell’antico rega-lismo. C’era e c’è ancora una profonda incom-prensione sulla missione della Chiesa e la dimensione sociale delle esigenze del Vangelo.

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mensione sociale delle esigenze del Vangelo. Simette in questione, da parte dello stesso Stato, lalinea di azione della Chiesa che si sforza di con-cretizzare una locale opzione per i poveri. LaChiesa è presentata come se predicasse l’odio, lalotta di classe o la violenza o volesse perfinoprendere il potere politico. In realtà la Chiesa sisforza di compiere il dovere di formare la co-scienza e denunziare le ingiustizie, dare il suocontributo per la costruzione di una società cherispetti la dignità della persona umana e traducaquesto rispetto con la creazione di condizionioggettive di vera fraternità.

8.8. Comunque sia, l’autorità morale dellaChiesa è molto grande. Non c’è soltanto un inte-resse, ma si nota una certa paura che fa tremaregente in alto quando la Conferenza fa una di-chiarazione sulla situazione sociale, politica,economica. Se la Chiesa brasiliana in certi setto-ri non è amata, è certo temuta e, in questo senso,rispettata. Ciascuno la desidera dalla sua parte.Coloro che si trovano più in alto si servono delloro potere per creare delle difficoltà alla Chiesa;per loro essa si intromette troppo negli affaritemporali. La maniera più facile è negare aiutialle istituzioni ecclesiastiche che, in genere, sonole uniche che funzionano bene e fanno giungerebenefici alla popolazione.

Qui c’è un altro fatto interessante. Precisa-mente coloro che in seno alla Chiesa non riesco-no a capire bene il suo atteggiamento oggi nelrapporto Chiesa-Mondo e quindi sentono diffi-

coltà ad accettare la dimensione profetica dellaChiesa sono coloro che più soffrono nella carnele misure restrittive delle autorità governative odi altre forze conservatrici della società. Si ri-sentono e diventano a loro volta una forza dipressione contro l’azione della Chiesa.

9. Conferenza dei Vescovi e Conferenzadei Religiosi (CNBB e CRB)

Non si potrebbe parlare dell’azione evange-lizzatrice della Chiesa in Brasile senza menzio-nare il rapporto più che fraterno tra la Conferen-za dei Vescovi e quella dei Religiosi. Le dueConferenze lavorano in sintonia, con partecipa-zione reciproca alle riunioni più importanti comele Assemblee Plenarie, Consiglio Permanente eConsiglio Direttivo, Riunione di Presidenza eCommissione Episcopale di Pastorale. Ogni an-no c’è un incontro speciale tra Presidenza dellaConferenza dei Vescovi e Direttore Nazionaledella Conferenza dei Religiosi. Certi programmidi azione pastorale sono avviati in comune. Inquesto senso si deve anche ricordare il grandenumero di Vescovi Religiosi in Brasile che vi-vono in perfetta concordia con i Vescovi Dioce-sani. Non si riesce a distinguere chi è Vescovooriundo del clero diocesano e chi del clero reli-gioso.

Accade pure che l’azione pastorale in Brasileè fortemente sostenuta dalle Religiose. Le Con-gregazioni femminili in Brasile scrivono una pa-gina di storia missionaria gloriosa!

Conclusione

Se volessimo, semplificando un po’ la situa-zione evangelizzatrice della Chiesa in Brasile,sintetizzare in poche proposizioni tutto ciò che èstato detto, potremmo dire che in Brasile ci sonodue modelli di Chiesa e quindi due modelli dievangelizzazione:

- un modello, che è il tradizionale, il modellonumericamente maggioritario, la cui caratteristi-ca è la preoccupazione della salvezza eternadell’individuo, senza l’impegno di trasformazio-ne di una società ingiusta, ma orientato piuttostoverso una vita vissuta di onestà cristiana indivi-duale nel proprio ambiente di vita. La pratica difede di questo modello è devozionista, sacra-mentalista, accentuatamente giuridista. Fa unalettura fortemente individualista dei precetti diDio e della Chiesa;

- l’altro modello, numericamente minorita-rio, ma fortemente appoggiato dall’orienta-

mento della Chiesa in Brasile attraverso la Con-ferenza dei Vescovi, è caratterizzato dalla ricercadi una società nuova, in un impegno comunitarioe partecipativo, segnato da un atteggiamentovitale socio-critico-profetico-trasformatore nelcontesto storico della vita. La preghiera, la Pa-rola di Dio, i Sacramenti, senza la perdita del-l’aspetto profondamente salvifico della personain Gesù Cristo, hanno un accento profondamentesociale.

Dà più spazio ai laici; accentua di più la fe-deltà a Gesù di Nazareth figlio di Dio (sottolineadi più l’umanità di Gesù Cristo e la dimensionesociale e politica della sua vita), non si preoccu-pa tanto con l’apologetica della fede cristiana,quanto piuttosto con lo sforzo di una testimo-nianza comunitaria di fedeltà a Gesù e al dise-gno del Padre; legge i precetti di Dio e dellaChiesa in una dimensione più comunitaria; sipone con decisione nell’ottica dell’impoverito.

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Il modello detto minoritario non esclude glielementi validi del modello maggioritario, tra-dizionale, come è il valore della preghiera per-sonale, il valore dell’“ex opere operato” deisacramenti per le diverse situazioni di vita dellapersona. Tuttavia, questi valori perdono il lorosignificato se rimangono soltanto nel campo diun’etica individualista (cf “Gaudium et Spes”30).

L’aspetto sociale non si può staccare dal-l’aspetto spirituale, né l’aspetto spirituale dal-l’aspetto sociale.

Fede e Vita debbono andare insieme, sia nellavita personale, sia nella vita sociale.

È avvertenza del Vaticano II che nella genesidell’ateismo possono aver avuto parte non pic-cola i fedeli che, separando fede e vita, piuttostonascondono che manifestano il volto genuino diDio (cf “Gaudium et Spes”, 19).

La predicazione della Parola di Dio, l’in-segnamento delle verità rivelate, la celebrazio-ne dei sacramenti, l’organizzazione del servi-zio caritativo continuano sempre validi, ma inuna linea di impegno con la Giustizia : «l’amo-re di Dio... per noi, oggi deve diventare so-prattutto opera di giustizia per gli oppressi,sforzo di liberazione per chi ha più bisogno»(Puebla, 327).

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Prof. d. Bruno FORTE

CHE COSA SIGNIFICA EVANGELIZZARE?(Aspetto teologico)

«L’evangelizzazione è il fine principale verso cui si protende lanostra vocazione apostolica, poiché lo Spirito Santo chiama tutti gliuomini a Cristo mediante il seme della Parola e la predicazione delVangelo» (Capitolo Generale Speciale SSP 1969-1971, n° 71): lamediazione fra la salvezza e la storia come vocazione e missionedella Famiglia Paolina.

Avvertenza — Il testo di don Forte è stato ripreso ad verbum nella suaforma discorsiva dalla registrazione e non è stato rivisto dall’Autore.

Premesse

a. Ringrazio il Signore anzitutto di questapossibilità di essere insieme con voi nel comunediscepolato della Parola di Dio e ringrazio voi dafratello e da amico perché, e questa è la primapremessa che vorrei porre alla mia riflessione,con voi mi sento in famiglia. È una familiaritàormai consolidata da molteplici rapporti perso-nali, da molteplici incontri di riflessione comunee da uno spirito comune, che ci porta a cercare divivere la fedeltà al Cristo, la fedeltà a questaChiesa che amiamo nella comune, a volte fatico-sa, fedeltà alla storia, agli uomini concreti inmezzo ai quali il Signore ci ha posto.

Questo spirito di famiglia è anche collabora-zione: molti dei miei libri, non solo in italianoma anche in francese, in spagnolo, in portoghesesono editi dalle Edizioni Paoline; questo spiritodi famiglia, dicevo, di amicizia e di collabora-zione vorrebbe sin dall’inizio sottolineare il ta-glio della teologia che cerco di presentarvi.

Sapete che nel Medioevo la parola rabies ve-niva attribuita a due generi di esseri: i cani e iteologi: rabies theologorum. Io mi sforzo di pre-sentare una teologia che sia un pensiero di pace.Cogitavi cogitationes pacis. Una teologia checome ripeto spesso, sia non soltanto l’aristocra-tico amore della sapienza ma la sapienza del-l’amore, cioè il pensiero dell’essere amati da Dio.

Credo che questo sia teologia: il pensiero ri-flesso e critico dell’essere avvolti dall’amoretrinitario di Dio. Con un’immagine cara ai mi-stici direi: il teologo è consapevole di essere nelgrembo della Trinità santa, nostra madre.

E questo essere nel grembo significa ancheche la nostra conoscenza, anche la conoscenzateologica, è e resta una conoscenza notturna, cimuoviamo nelle tenebre, nell’oscurità del tempopresente.

Siamo, come ripeto con Agostino e Tomma-so, nella cognitio vespertina, non nella cognitiomatutina.

Ebbene, questo pensiero notturno è però ri-schiarato da una luce, la stella della redenzionela chiameremmo con Franz Rosenzweig. Questaluce è la Parola di Dio.

Il teologo, pensatore notturno del mistero,uomo che porta la parola, l’esperienza dell’es-sere amati da Dio, è per eccellenza il discepolodella Parola. La teologia è creatura Verbi, èprodotta, suscitata, misurata, contestata dallaParola di Dio, al servizio del popolo, dei pelle-grini di Dio nella storia.

E dunque in questa consapevolezza di pro-porvi un pensiero notturno, alla scuola della Pa-rola, che con umiltà, con modestia, vengo a voi.

Non come il maestro che abbia le soluzionipronte, ma come il compagno di vita, di pensie-ro, il pellegrino nel popolo dei pellegrini di Dio.

b. A questa premessa di carattere personale sicongiunge una seconda, che trovate già nelloschema che vi prego di seguire durante tutta lamia relazione. (La deformazione professionaledel professore di teologia emergerà numerosevolte, anche nella mania dei tre punti, che eraperaltro comune anche al vostro Fondatore).

Ebbene, la premessa seconda è quella che hoindicato con le parole di un testo del quale mivarrò molto durante la mia riflessione. Il testodel Capitolo Generale Speciale della SSP 1969-1971, un testo che è stato prodotto direi ancorasotto l’ombra, sia pure a distanza, del Fondato-re. Un testo che credo resti fondamentale per-ché, per quello che ho capito, è stato il tentativoampio e profondo di recezione del Concilio,nella vostra storia di comunità.

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Al n° 71 di questo testo si afferma così:«L’evangelizzazione è il fine principale versocui si protende la nostra vocazione apostolica,poiché lo Spirito Santo chiama tutti gli uomini aCristo mediante il seme della Parola e la predi-cazione del Vangelo».

Questo testo ci dice anzitutto che il senso, loscopo, la misura della vostra vita, è l’evange-lizzazione. Per usare una parola che è cara ai te-deschi - permettetemi di essere un po’, ecco, ilpiù italiano dei teologi tedeschi come maliziosa-mente è stato detto - si potrebbe dire che die Sa-che, la causa della Società San Paolo e di tutta laFamiglia Paolina, è la causa del Vangelo.

Ed è bello notare che la motivazione espressadal Capitolo è una motivazione trinitaria. Perquello che conosco di Don Alberione, ma so-prattutto direi, facendomi discepolo degli studi did. Antonio Da Silva, il pensiero di Alberione èun pensiero fortemente segnato dalla dimensionetrinitaria. Era il canonico Chiesa che gli aveva ingran parte dato questa passione per la Trinità.

Ebbene l’evangelizzazione è al centro, alcuore, di ciò che voi siete, di ciò che voi opera-te, perché essa attualizza nel tempo le missionitrinitarie: la missione del Figlio, la Parola eter-na, uscita dal silenzio; la missione dello Spiritoche attualizza nel tempo il Verbo, il Cristo dellanostra salvezza.

E difatti il Capitolo parla di questa azionedello Spirito Santo che chiama gli uomini a Cri-sto mediante il seme della Parola. Dunque èperché veniamo dalla Trinità e siamo radicatinella Trinità e andiamo verso la Trinità comenostra patria che il cuore della nostra vita è lapassione del Vangelo. Veniamo dal Vangelo,siamo sotto il Vangelo, siamo per il Vangelo.

Ma questo può essere tradotto così con cate-gorie teologiche. Il fine principale della Fami-glia Paolina è la mediazione tra la salvezza e lastoria, è l’attualizzazione nell’oggi delle situa-zioni più diverse della Parola uscita dall’eternosilenzio di Dio, il Cristo.

Dunque, in un certo senso, la Famiglia Paoli-na deve prolungare nel tempo la kénosis delVerbo, perché è questa l’evangelizzazione: è laParola eterna che viene ad abitare nelle pove-re parole degli uomini. E io vi prego di tener

presente fin dall’inizio questo motivo paolinodella kenosis, perché ogni nostro sforzo dievangelizzazione sarà autentico se sarà consa-pevole di essere una forma dell’umiliazione diDio, dell’annientamento di Dio, di questo infi-nito amore, umile, per il quale la Parola accettadi abitare nella povertà delle nostre parole senzaessere fermata o catturata da esse, ma vivifican-dole e rinnovandole dall’interno.

Dunque, e chiudo la premessa, in quanto ilnostro è il ministerium verbi, in quanto siamo iservi della Parola di Dio, noi siamo i servi dellakenosi di Cristo. Noi dobbiamo completarenella nostra carne e, nello specifico, nelle nostreparole la missione del Cristo a vantaggio delcorpo che è la Chiesa.

Articolo la mia riflessione in tre parti fonda-mentali, che ho voluto intitolare in riferimentoall’oggetto centrale, la Parola, in questo modo:In principio la Parola, la dimora della Parola,il seme è la Parola. Queste tre parti rispondonoa tre fondamentali domande.

La prima: qual è l’origine dell’evangelizzazio-ne, da dove essa viene, da dove nasce, da doveinesauribilmente sgorga? Se volete, “in principiola Parola” dice la memoria di questa origine radi-cale della nostra missione evangelizzatrice.

Seconda: “la dimora della Parola” viene aconsiderare la Parola eterna nell’aspetto scan-daloso di essersi fatta storia. Io dico sempre cheil Vaticano II è stato non tanto il concilio dellaChiesa, quanto il concilio della storia; è perchéha assunto vitalmente nella coscienza cristiana ilmotivo della storia che il Vaticano II è il conc i-lio della Chiesa pellegrina nel tempo. Secondole parole dei Padri conciliari, (è il Concilio)della Chiesa inter tempora, cioè della Chiesa nelfrattempo. Ebbene, questa seconda parte, la di-mora della Parola, si sforza di considerarel’evangelizzazione nel frattempo della Chiesa,nella mediazione storica di essa.

Infine, la terza parte: “Il seme è la parola”, ri-sponde alla domanda: dove tende la nostra mis-sione evangelizzatrice? Dopo la memoria del-l’origine e la coscienza del tempo presente, è lasperanza della patria, è lo sguardo alle cose ve-nienti e nuove, lo sguardo alla promessa di Dio.

I PARTE - In principio la Parola.

Ho citato all’inizio di questa parte un testotratto da Ut Perfectus Sit Homo Dei, v. III, 19,che sono il mese di Esercizi spirituali del 1960 diDon Alberione, dove egli dice in maniera densaquesto: «Siamo nati dalla Parola, per la Parola,nella Parola».

A me sembra che questa espressione com-pendi fortemente il senso dell’origine della mis-sione evangelizzatrice della Chiesa. Questa ori-gine non è dagli uomini, “non è da carne e dasangue”.

La missione evangelizzatrice nasce dall’alto,

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ex alto, come il suo Signore, nasce dall’iniziativatrinitaria dell’amore.

Il disegno del Padre invia la Parola nella sto-ria, invia lo Spirito che rende presente dappertuttola Parola. Ora questa visione fortemente teologicae trinitaria dell’evangelizzazione, che direi a noisembra ovvia e scontata, è stata in realtà la granderiscoperta del Vaticano II. Perché?

Permettete che faccia questo flash back , que-sto sguardo all’indietro per renderci conto delpassaggio che è stato operato.

La concezione della Chiesa che predominavafino al Vaticano II era attenta soprattutto agliaspetti visibili, storici, della Chiesa. Secondo ladefinizione di Bellarmino, il grande teologodella Controriforma, la Chiesa era (cito testua l-mente) «come la Serenissima Repubblica di Ve-nezia, il Regno di Francia o il Popolo Romano.La Chiesa ha delle leggi, ha dei capi, ha dei riti,e — aggiungeva Bellarmino — per appartenere aquesta Chiesa non c’è bisogno di alcuna virtùinteriore. Basta l’esterna professione della fede ela partecipazione visibile ai sacramenti».

Qual è la conseguenza di questa definizionedella Chiesa che troviamo nel De Controversiischristianae fidei adversus nostri temporis hae-reticos di Bellarmino? La conseguenza è que-sta: l’evangelizzazione deve tendere a perpetua-re e ad ampliare l’appartenenza visibile allaChiesa. In altre parole: l’evangelizzazione vienea identificarsi con la sacramentalizzazione. Piùcelebriamo i sacramenti più costruiamo il Re-gno.

Pensate a certe forme di missione della Chie-sa dove il primo gesto che si compiva era quellodi battezzare. Pensate all’evangelizzazione del-l’America Latina, ai suoi inizi, quando il Con-quistador imponendo la fede in Cristo pensava inquesto modo di salvare queste masse di indiosche erano altrimenti dannate. E anzi una prassicomune era di uccidere l’indio, casomai dopoaverlo costretto a professare il Credo, così anda-va in Paradiso. Pensate a quello che FranciscoDe Vitoria, uno dei grandi teologi di Salamanca,scrive nel suo De Indis, quando dice: l’indio cherifiutava il Cristo imposto dalle armi del conqui-statore, rifiutando quel Cristo, obbediva a Cristo.È un’intuizione grandiosa, del primato della co-scienza.

Ebbene, questo schema di evangelizzazionee cioè moltiplicare l’appartenenza visibiledella Chiesa, ritenere che noi compiamo la no-stra missione evangelizzatrice se aumentiamoil numero di coloro che visibilmente apparten-gono alla Chiesa e vengono sacramentalizzati,ha guidato, orientato la pastorale della Chiesa,

fino ad avere delle espressioni molto forti anchesul piano magisteriale. Pensate che ancora nel1943 la Mystici Corporis afferma che la ChiesaCattolica Romana è il Corpo mistico di Cristo,tout-court, c’è una identificazione totale tra laChiesa visibile e il Corpo mistico, cosa che saràsuperata dal Vaticano II parlando della Chiesacome Regnum Dei praesens in mysterio.

Ma comprendete le conseguenze pastorali diquesta identificazione. Moltiplicare l’apparte-nenza visibile significa puntare su una pastoraleeminentemente ritualista e sacramentalista. Ora,il Vaticano II supera questa concezione, nel sen-so vitale di farla sua, ma di arricchirla, appro-fondirla, vitalizzarla. E la supera in quale dire-zione? Nella direzione di scoprire la profonditàtrinitaria della Chiesa. La Chiesa non è anzituttociò che di essa si vede.

La Chiesa è la profondità dell’opera di Dioche viene a mettere le sue tende tra gli uomini:de Trinitate Ecclesia; plebs adunata de unitatePatris, et Filii et Spiritus Sancti. Ecco la Chiesa:il popolo adunato nell’unità del Padre e del Fi-glio e dello Spirito, la Chiesa icona della Trinità,che viene suscitata e formata da essa.

E allora vedremo poi le conseguenze di tuttoquesto sul rispetto della mondanità del mondo, sulrispetto dello stile di laicità. Ma ora vorrei svilup-pare tre conseguenze di questa intuizione centrale,cioè che l’evangelizzazione è un nascere dalla Pa-rola, per la Parola, nella Parola, cioè è l’operadella Parola di Dio in noi, prima ancora che la no-stra opera. Le tre conseguenze le esprimo così.

1.1. La Parola è uscita dal Silenzio —L’iniziativa trinitaria e la radice contemplativa

dell’evangelizzazione

Qui io cito un testo di Ignazio di Antiochiache sviluppa questo tema meraviglioso del silen-zio eterno da cui viene la Parola che si fa carne.Ebbene, dicendo che la Parola è uscita dal silen-zio voglio dire che l’origine della Parola è e restail silenzio eterno del Padre, il Padre invisibile.La Parola viene accolta: allora, non viene pro-dotta da noi. Quanto più noi siamo accoglientidella parola, tanto più noi siamo i testimoni e glievangelizzatori di essa.

E allora, se questo è vero, se l’evangelizzazio-ne nasce da Dio e non dagli uomini, la conse-guenza sul piano operativo ed esistenziale è ilprimato della dimensione contemplativa dell’e-vangelizzazione. Quanto più saremo contempla-tivi di Dio, tanto più saremo gli evangelizzatoridella Parola.

Se volete, è qui la radice della spiritualitàpaolina. L’insistenza di Don Alberione sullo

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spirito di adorazione: «Di qui voglio illuminare»nasce non da un’istanza puramente devozionisti-ca o spiritualistica, ma da una radicale istanzateologica.

Se noi riconosciamo il primato di Dio, soliDeo gloria, se noi riconosciamo che l’evange-lizzazione è sub verbo Dei, allora alla base diogni compito evangelizzatore c’è lo stupore del-l’adorazione, c’è lo spirito di meraviglia. Io nonmi stanco di citare quello splendido testo di KarlBarth, che le EP finalmente stanno per ripubblica-re in italiano, L’introduzione alla teologia evan-gelica , dove Karl Barth parla della meraviglia, diquesta Verwunderung come condizione di ognipensiero teologico e di ogni esistenza cristiana.

Dove si perde il senso dello stupore davanti alprimato di Dio, dove si perde il primato del si-lenzio contemplativo, si perde anche la radicedell’evangelizzazione. E allora, detto in terminimolto semplici, tradurrei così questo primo ele-mento: non dire parole agli altri se prima nonavrai lungamente camminato nei sentieri del si-lenzio. (Ripete)

È per un’istanza teologica che la dimensionecontemplativa va affermata nel suo radicale pri-mato su ogni compito e missione di evangelizza-zione.

1.2. La Parola ha messo le sue tende fra noi:il “mysterium salutis” e l’evangelizzazione

coniugata al discernimento

Accanto a questo primo aspetto, c’è il secon-do. Quello che ho appena finito di dire non puòessere in nessun modo equivocato in senso spi-ritualista. Dire che la contemplazione ha nellanostra vita di evangelizzatori l’assoluto primatoè tutt’altro che invitarci a una fuga dalla storia.

La Parola ha messo le sue tende fra noi; laParola si è fatta totalmente dentro alla cond i-zione umana. E penso che Gv 1,14, o logos sarxeghéneto, si potrebbe tradurre non infedelmentecon: la parola si è fatta storia, cioè è entratanella complessità dei nostri rapporti storici. Eallora la fedeltà alla Parola esige contempora-neamente la fedeltà alla storia degli uomini.

Dal punto di vista teologico, questa idea vie-ne espressa con il concetto di mistero. È il con-cetto riscoperto dal Vaticano II, la Chiesa è mi-stero: il capitolo I della Lumen Gentium. Io vor-rei brevissimamente chiarire l’idea e svilupparela importantissima conseguenza pratica, pasto-rale, esistenziale.

Che cosa significa che la Chiesa è mistero?Significa che l’opera di Dio che dobbiamo sem-pre fortemente evidenziare, viene a mettere le

sue tende nelle umili storie degli uomini. Qui itedeschi hanno una bella espressione per dire: laParola è impigliata in storie, impigliata in storie,cioè viene di fatto a raccontarsi nelle umili, quo-tidiane storie degli uomini.

Il mistero è esattamente questo disegno divi-no di salvezza che viene a realizzarsi nella storia.La definizione che io do spesso è questa: la glo-ria insieme nascosta e rivelata sotto i segni dellastoria, questo è il mistero. Il gioco della gloria edella storia. La gloria rivelata e nascosta sotto isegni della storia, di tutta la storia, delle umilistorie degli uomini.

Ricordo, quando sono arrivato in Brasile, ilprimo incontro che ho avuto è stato con CarlosMesters, il teologo che è in qualche modo il pa-dre della lettura popolare della Bibbia; e quandoho chiesto a lui quale fosse il principio erme-neutico della sua teologia, egli mi ha risposto:«Dobbiamo credere che un popolo ignorante cipuò insegnare le cose di Dio».

È l’antichissimo principio del sensus fidei: ecioè che lo Spirito di Dio non abita nell’alto deicieli; ma pur abitando nell’alto dei cieli è venuto amettere le tende nella storia degli uomini. E dun-que anche il povero, l’empobrecido, come si dice,può essere, è il luogo, il tempio dello Spirito.

E ora, qual è la conseguenza pastorale di que-sta riscoperta della Chiesa mistero? I vescovidell’America Latina l’hanno formulato così aPuebla: vivere il mistero dell’avvento nel cuoredella storia. Guardate come è bello. Cioè ricono-scere non altrove, ma qui e ora l’avvento di Dio. Ivescovi italiani l’hanno formulato a Loreto conuna categoria che tutta la Chiesa italiana fa pro-pria, che è la categoria del discernimento. Io vedouna stretta connessione fra la teologia della Chie-sa mistero e la prassi pastorale del discernimento.

Che cosa significa “discernimento”? Questagrande categoria della tradizione spirituale im-plica tre grandi componenti, che sono necessarieall’evangelizzazione. Se è vero tutto quello chesto dicendo, non si fa evangelizzazione senza di-scernimento, cioè senza questa lettura dei segnidi Dio, dei segni della gloria nell’umiltà dellastoria degli uomini.

Quali sono le tre componenti del discerni-mento? La prima: la assunzione della comples-sità. C’è un testo del Capitolo speciale, precisa-mente DC 117 che dice così: «Il regime di opi-nioni per la Chiesa e per il mondo significa ilpluralismo e la coesistenza di diverse ideologie,diverse religioni, diversi sistemi economici esociali, diverse opinioni. Non regna più l’unani-mità; si diversificano le maniere di pensare; icriteri morali cristiani coesistono con altri crite-

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ri; le ideologie politiche (che a volte sostituisco-no la religione) esercitano un’influenza assor-bente. Il cristianesimo è appena una delle tantemaniere di pensare e di vivere».

Queste parole sono forti; possono anche, sevolete, rattristare qualche anima pia; però esseesprimono la verità del mondo in cui siamo, unmondo complesso, un mondo in cui, e la catego-ria è amata anche dai sociologi, la complessitàdiventa la caratteristica peculiare. Non è più ilmondo omogeneo del regime di “cristianità”,dove tutti sono cristiani e tutti la pensano, o al-meno si presume che la pensino, allo stessomodo. Siamo di fronte a un mondo complesso,carico di tensioni, dove dobbiamo avere l’umiltàdi riconoscere che anche la specificità cristiana èuna delle presenze fra le presenze della storia. Equesto non più soltanto nei paesi di recenteevangelizzazione, ma anche nei paesi di cosid-detto stato di cristianità, che dappertutto è finito.

Allora ecco la prima necessaria acquisizione:per rispettare il carattere di mistero della Chiesaè necessario assumere la complessità della storia,è necessario presentarsi alla storia non conl’atteggiamento di chi ha già tutte le risposte; macon l’atteggiamento di chi vuol “essere con”,prima di “essere per”.

Ricordo, in alcuni degli incontri che ho avutiin Brasile, l’insistenza di d. Pedro Casaldaliga suquesto aspetto: “essere con” prima che “essereper”; la solidarietà, su cui ieri insisteva il card.Lorscheider: l’opzione preferenziale e solidalecon i poveri. Ed egli diceva: l’importanza sta sultermine “solidale”, cioè dell’ “essere con”. E que-sto è il primo fondamentale elemento del discer-nimento e dunque dell’evangelizzazione. Nonevangelizza chi non si fa “con”, non assume lacomplessità. La Chiesa non deve presentarsi co-me la “domina et magistra” che ha già le solu-zioni pronte, ma se vuol esser fedele alla sua na-tura di mistero, deve essere anzitutto la compagnadegli uomini: cioè quello che sto dicendo nellelingue latine è chiaro: il popolo che spezza il pa-ne, con-pane, questa è la com-pagnia (nelle altrelingue è più difficile perché non c’è un’analogiadi significati); la compagnia della Chiesa è anzi-tutto questo spezzare il pane della vita.

Io dico: l’onore e la gloria di una Chiesa nonstanno nei privilegi che le tributano i potenti, manell’amore che per essa hanno i poveri. Se gliumili e i poveri amano la loro Chiesa è perché lavedono come Chiesa “con”, solidale con loro.

Secondo elemento del discernimento è il ri-ferimento alla Parola di Dio. Davanti alla com-plessità della vita e della storia, per noi creden-ti, la luce che illumina i nostri passi è la Parola

di Dio. Karl Barth diceva, e lo ripeto sempre,che il cristiano è l’uomo che ha su una mano laParola di Dio e sull’altra il giornale. È questa fa-ticosa e continua mediazione della Parola e dellastoria su cui dovremo tornare tra poco lo speci-fico della evangelizzazione. L’evangelizzatorenon ha soltanto nelle sue mani la spada del Van-gelo, ma anche la spada per entrare nella com-plessità della vita degli uomini, perché il criterioche è la Parola, illumini, orienti, contesti se è ne-cessario la complessità della vita degli uomini.

E allora, da una parte la complessità della sto-ria, dall’altra il criterio e la luce della Parola, ciportano ad un terzo elemento molto importante.Vorrei essere ben capito.

Lo stile del discernimento non conduce a so-luzioni definitive, una volta per tutte. Lo stile deldiscernimento porta la Chiesa evangelizzatrice aproporre soluzioni provvisorie e credibili. Notatebene questi due aggettivi.

Prima di tutto, soluzioni credibili. Che signi-fica “credibili”? Cioè che siano frutto di una ve-ra fedeltà all’uomo concreto e alla Parola di Dio;noi siamo credibili se coniughiamo la fedeltà alcielo e la fedeltà alla terra.

È la grande intuizione di Alberione, è la te-stimonianza che ieri ci hanno dato Sorge eLorscheider, uomini che vogliono essere total-mente fedeli a Dio e alla Chiesa, ma voglionoessere totalmente fedeli anche agli uomini, allagente, che Dio ha loro affidato: ecco questaprima caratteristica della soluzione del discer-nimento: la credibilità, la duplice fedeltà a Dioe agli uomini.

Ma attenzione: insieme con questo (io domolta importanza a quello che sto per dire) laprovvisorietà: entrare nella logica del provviso-rio, nella dinamica del provvisorio, non volerpresumere di dare soluzioni definitive, per tutto.

Permettetemi che qui citi un testo del vostroCapitolo Speciale: il n° 179, che a sua volta èuna citazione dell’episcopato tedesco, dove sidice così: «La Chiesa nella sua dottrina — notatebene: nella sua dottrina — e nella sua prassi nonpuò sempre porsi ad ogni costo il dilemma: o de-cisione dogmatica o tacere e lasciare ogni cosaall’arbitrio dei singoli». A volte la prudenza ec-clesiastica sembra orientata su questo, no? O di-ciamo una parola definitiva, quindi una specie didecisione dogmatica, oppure stiamo zitti, meglionon comprometterci.

In realtà, continua il testo, «pur di tutelare lasostanza intima della fede, il Magistero ordina-rio deve, anche a rischio di incorrere, nel singo-lo caso, in uno sbaglio — ah, come è liberantepoter pensare che il Magistero può sbagliare,

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ma non per noi, per i vescovi dico; cioè come è li-berante pensare che possono dire anche dellesciocchezze; ricordo sempre un’omelia deliziosadel card. Pappalardo davanti ai giornalisti a Paler-mo, in cattedrale: “quando parlo da qui, cioè an-nuncio la Parola di Dio puramente, allora ascolta-temi come il maestro e il pastore; ma quando parlosu tutte le altre cose, non potete pensare quantesciocchezze io dico”...— formulare degli insegna-menti che hanno un certo grado di obbligatorietà».

In altre parole bisogna avere la parresia paoli-na, il coraggio di poter rischiare, anche di potersbagliare, per operare però con umiltà il discer-nimento.

Allora: che cosa è lo stile del discernimento?L’evangelizzazione viene da Dio, ma viene daun Dio che ha messo le sue tende tra noi; alloral’evangelizzazione si coniuga inscindibilmentealla fatica del discernimento. L’evangelizzatorenon è il computer dalle risposte già pronte;l’evangelizzatore è l’“uomo con” per poter esse-re l’“uomo per”, cioè è l’uomo che si fa compa-gno, solidale, assume la fatica della complessità,per poter in essa annunciare la Parola anche ri-schiando di sbagliare nell’umiltà, però, di unosforzo onesto e credibile di fedeltà.

Naturalmente ci sono anche dei pronuncia-menti definitivi; qui vorrei essere ben capito: so-no un teologo cattolico, per cui credo profonda-mente nella fedeltà di Dio alla sua Chiesa. Da-vanti alla parola del dogma o anche del magiste-ro definitivo nelle condizioni che l’ermeneuticateologica precisa, sono il primo a dire che siamodavanti a una testimonianza irreformabile, anchese è necessario capire che cosa il Magistero inquel caso ci dice.

Io qui sto parlando del Magistero ordinario,cioè della vita ordinaria e quotidiana della Chiesa,dove bisogna, permettete l’espressione, sporcarsile mani davanti ai problemi, dove si corre il ri-schio, e non dobbiamo aver paura di correrlo, dipoter anche sbagliare; però questa paura, questo ri-schio non deve bloccare la fatica del discernimen-to, il coraggio dell’annuncio nella complessità.

1.3. La Parola si è fatta carne:evangelizzazione e promozione umana

Terza conseguenza di questo primo punto:L’evangelizzazione viene da Dio, dalla Parola.Se la Parola si è fatta carne, l’evangelizzazionenon è soltanto fatta con le parole, ma con quelleparole che sono i gesti della vita. In altre parolenon si evangelizza soltanto parlando; si evange-lizza agendo, compromettendo la propria vita alservizio della promozione umana. C’è un pro-

verbio che mi hanno insegnato in America Lati-na e che è molto bello che dice così: El que amase compromete hasta el final. È questo il sensodi ciò che sto dicendo; è così che ci ha amato ilnostro Dio. Con i mistici, penso ad Angela daFoligno, diremmo: «Non per scherzo ti ho ama-to». Questo è il nostro Dio: non per scherzo ti hoamato. Cioè è un Dio che si è sporcato le mani,che si è compromesso.

Io sono sempre commosso da quest’idea checredo profondamente giusta: che l’ispirazioneprofonda della teologia della liberazione è la mi-stica spagnola del Cinquecento. È un’idea sullaquale sempre più converge la riflessione e lostudio. Perché? Perché i grandi mistici del Cin-quecento spagnolo: Teresa, Giovanni della Cro-ce, Ignazio di Loyola... hanno annunciato e vis-suto un Dio che non si incontra fuori della storia,ma nella densità, nella complessità della storia.

Ricordo, due anni fa, dopo alcuni incontri inEgitto, dove avevo parlato della mistica islamicacon alcuni studiosi e rappresentanti dell’Islam, so-no andato ad Avila, nella Cappella della Trasver-berazione al monastero dell’Incarnación, anche lasettimana scorsa sono stato, al centro c’è l’Eucari-stia, la Parola, la Croce. Comprendete il senso. Lamistica di Teresa, la mistica di Giovanni della Cro-ce, di Ignazio di Loyola è la mistica che cerca Dionella densità della storia dove Dio si è fatto pre-sente nell’incarnazione del Verbo. Ebbene, questamistica è stata trasmessa ai popoli dell’AmericaLatina attraverso l’evangelizzazione e la religiositàpopolare. Pensate alla devozione alla Croce del Si-gnore, alla Mae dos Dolores, la Madre dei Dolori,alla passione del Cristo nel povero; pensate a No-stra Signora di Guadalupe, dove questa Madonnaindia ridona la dignità al popolo degli indios. Eb-bene è tutto questo filone mistico di cercare Dionella verità e nella complessità della storia cheanima profondamente la teologia de la liberación.

E allora è questo che vorrei qui chiarire: ilprimato della contemplazione nella evangelizza-zione lungi dal renderci assenti rispetto alla sto-ria, ci immette nella complessità della storia conle parole e con le opere, con scelte e prese di po-sizione concrete che hanno il valore dell’evange-lizzazione prima ancora delle parole.

Faccio un’esemplificazione. Se per esempiole EP in un contesto di regime dittatoriale nonannunciano, non presentano dei testi soltantoper paura, vi chiedo: a che serve che esse conti-nuino a stampare tanti Vangeli? Per carità, biso-gna stampare il Vangelo, diffondere il Vangelo,ma il Vangelo esige di essere diffuso anche congesti significativi e coraggiosi, anche rischiando.Io ho visto in America Latina, in situazioni di

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regime dittatoriale, delle FSP che facevano la di-stribuzione clandestina della Bibbia latinoameri-cana che era proibita in quei paesi. Credo che siaimportante convincersi di questa densità esisten-ziale dell’evangelizzazione.

E vorrei qui citare il n° 170 del vostro Capi-tolo Speciale, questa specie di Concilio dellaFamiglia Paolina, dove viene detto:

«Nella promozione umana e sociale dobbia-mo riconoscere una via autentica di evangeliz-zazione, non soltanto in quanto prepara l’evan-gelizzazione diretta, ma in quanto è testimonian-za evangelica di carità che “deve essere ricono-sciuta come evangelizzazione in senso stretto,come atto espressamente religioso”».

Dunque l’evangelizzazione attraverso la pro-mozione umana è tale perché è espressione dellacarità.

E ora io qui accenno soltanto un tema chenon posso sviluppare, un tema che la teologia variscoprendo, e cioè il primato della carità nel-l’ecclesiologia, il de charitate Ecclesia, il prin-cipio amore come forma strutturante della Chie-sa. Noi abbiamo molto sottolineato nella storiail valore dell’ortodossia e abbiamo fatto bene,

perché la retta fede è necessaria per la salvezza.Ma attenzione: l’ortodossia non può essere maiseparata profondamente dall’ortoprassi. «È daifrutti che vi riconosceranno»; «Non chi dice: Si-gnore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli». Ec-co allora il primato della carità nell’evangelizza-zione, come norma, come misura, come verifica.

In altre parole se bisogna fare una scelta fraun’opera di evangelizzazione più sicura e più ga-rantita in termini di successo umano e un’operadi evangelizzazione più rischiosa, ma più moti-vata dalla carità, l’evangelizzatore paolino nondeve avere dubbi; è la seconda che va fatta, an-che se rischia di rimetterci e di “andare a marecon tutti i panni” come si dice. Cioè il primatodella carità porta a scelte concrete, efficaci dievangelizzazione.

Chiudo questo primo punto richiamando le tresottolineature: primato della dimensione con-templativa dell’evangelizzazione, stile di discer-nimento necessario all’evangelizzazione, com-pagnia della carità come verifica della credibilitàdella nostra azione evangelizzatrice.

(pausa)

2. La dimora della Parola

2.1. Parola e storia: un rapporto dialettico.Fra la “deduzione” integrista e la “riduzione”secolarista il discernimento evangelico, incontrodi annuncio implicito ed esplicito- “Fede nella storia” - “storia dalla fede”-“storia nella fede”- Non salvezza dalla storia, ma salvezza dellastoria- La dialettica fra natura e grazia

La seconda parte è dedicata a questo tema: ladimora della Parola. Fra l’origine della Parola daDio Trinità e la destinazione ultima della Parola,in Dio Trinità, si distende il frattempo della Pa-rola, fra il “già” della venuta di Cristo e il “nonancora” del suo ritorno.

Ebbene, in questo “frattempo” della Parola èpossibile porsi tre domande fondamentali:

- la prima: In che rapporto la Parola risuonatain mezzo a noi è con la storia degli uomini;

- la seconda: Chi è il soggetto che, nella sto-ria, annuncia, rende presente la Parola;

- la terza: Qual è lo stile proprio, peculiare diquesto annuncio della Parola.

Anzitutto la prima domanda: il rapporto tra laparola e la storia.

È necessario chiarire come questo rapportosi definisca tra due estremi opposti: da unaparte quello che ho chiamato la “deduzione”integrista e dall’altra la “riduzione” secolaristadella Parola di Dio. Cioè io vorrei chiarire que-ste idee.

La deduzione integrista è l’atteggiamento chevuole semplicemente dedurre dalla Parola di Diola luce e la soluzione per tutti i problemi umani.Dunque la Parola di Dio è risposta già pronta,già data.

La riduzione secolarista, al contrario, vuoleassolutizzare il valore della storia. Poiché la Pa-rola si è fatta storia, la storia è il luogo esclusivodella Parola.

Ebbene, fra queste due opposte posizioni cer-cheremo ora di chiarire teologicamente lo stiledel discernimento evangelico a cui abbiamo giàaccennato nelle sue implicanze esistenziali.

E allora ecco i tre punti che indico in 2.1.Il primo punto è la chiarificazione storica di

quello che sto per dire; gli altri due sono lachiarificazione teologica di quanto intendo af-fermare.

Anzitutto il primo punto, quello che chiamo:Fede nella storia, storia dalla fede, storia nellafede. Attraverso queste tre espressioni evidenziotre atteggiamenti differenti.

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Anzitutto fede nella storia . È l’atteggiamentotipico della modernità, dell’epoca moderna. Sa-pete che il motivo ispiratore della modernità,dell’epoca che va dall’Illuminismo ai nostrigiorni è l’emancipazione. Cioè, stando alla defi-nizione che ne dà Karl Marx, l’emancipazione èla riconduzione di tutti i rapporti mondani al-l’uomo come unico soggetto di storia.

Ebbene, il progetto emancipatorio, che è tip i-co dell’Illuminismo e della modernità, si traduceallora in una fede nella storia. Se l’uomo è ilsoggetto della trasformazione del mondo, il pro-tagonista di essa, l’unico soggetto, allora la fedenelle capacità dell’uomo viene esaltata al mas-simo, è la fede nel progresso, è la fede nel-l’evoluzionismo, è la fede nella storia ottimisticadell’umanità, sono gli atteggiamenti che caratte-rizzano tutta l’epoca moderna. Se volete, la na-scita delle ideologie si colloca nell’ottimismomoderno riguardo all’uomo come soggetto unicodi storia, come protagonista del suo avvenire.

Di fronte a questa fede nella storia, a questoprogetto emancipatorio che caratterizza i grandisviluppi degli ultimi due secoli, come reagisceanzitutto la fede? Reagisce con quell’atteggia-mento che io ho chiamato di “storia dalla fede”,cioè con un atteggiamento di difesa, di reazioneapologetica.

Davanti a un uomo che vuole essere unicoprotagonista della storia, la Chiesa richiama conforza il protagonista soprannaturale, condannan-do con decisione (pensate al Sillabo di Pio IX)tutti gli aspetti della modernità. In altre parolel’integrismo della presunzione della verità, lacertezza di essere l’unico luogo della verità nellastoria sono il frutto di una reazione alla fede mo-derna nella storia.

Ecco allora questa contrapposizione: fedenella storia, storia dalla fede. All’uomo che vuolfare da solo, la fede cristiana richiama la neces-sità di essere totalmente dipendenti anche nellerealizzazioni storiche, anche nei progetti politicie mondani, dalla visione della fede. Noi noncomprenderemo l’integrismo, se non come unareazione all’ideologia moderna. Questo è l’inte-grismo cristiano di cui anche oggi tanto si parla:non è altro che una reazione alla modernità, allapresunzione dell’uomo di fare tutto da solo.

Dunque, contro questa visione totalizzantedell’emancipazione si propone una visione dellastoria che è tutta letta, interpretata e spiegata allaluce delle deduzioni della fede.

Ebbene, avvengono due processi importantistoricamente: uno al di fuori della Chiesa, cheinveste anche la Chiesa, e uno all’interno dellaChiesa.

Il processo che si pone al di fuori della Chiesa èquello della dialettica dell’Illuminismo, cioè dellacrisi della modernità. In altre parole: l’uomo che havoluto fare da sé, l’uomo che ha sognato un’eman-cipazione puramente mondana sperimenta il falli-mento storico di questi progetti. Pensate ai totalita-rismi del nostro secolo, pensate alle guerre mon-diali. Ed ecco, è all’interno stesso del pensiero chesi profila questa denuncia; sapete che la Scuoladi Francoforte, in modo particolare Horckheimere Adorno, hanno sviluppato l’idea della dialetti-ca dell’Illuminismo: Dialektik der Aufklärung,cioè della critica della ragione moderna stessa.

Si riconosce il limite della ragione moderna;si scopre la crisi delle ideologie, l’insufficienzadi una visione umana del mondo a spiegare tutto,a risolvere tutti i problemi. Questo processo nelquale ancora ci troviamo è estremamente im-portante per comprendere le trasformazioni inatto nella Chiesa.

Noi stiamo passando dal trionfo della moder-nità all’emergere del tempo postmoderno; questaè l’anima per lo meno dei paesi occidentali, delnord del mondo come si dice, cioè l’ingressonell’epoca del postmoderno, l’ingresso nell’epo-ca della crisi delle ideologie, della crisi dellepresunzioni totalizzanti della ragione moderna.

Accanto a questo processo che investe anchela Chiesa si situa la presa di coscienza internaalla Chiesa del Vaticano II.

Già vi dicevo prima che il Vaticano II è ilconcilio della storia. Alla scuola del ritorno allefonti, del ressourcement come si dice, le fontibibliche, patristiche, liturgiche, il Vaticano II ri-scopre l’opera di Dio nella storia e il fatto che laChiesa stessa non è al di fuori del mondo, ma nelmondo, presenza umile del Regno.

La convergenza di questa nuova presa di co-scienza, di una Chiesa nel mondo, di una Chiesanella storia, pellegrina nel tempo, e della crisidella visione moderna della fede nella storia,porta a quel terzo atteggiamento che io ho defi-nito: la storia nella fede.

Che cosa significa “la storia nella fede”? Si-gnifica vivere fino in fondo, da protagonisti, lavicenda umana, farsi carico dei problemi degliuomini, della complessità della vita. Ma viveretutto questo nell’orizzonte liberante e unificantedella fede, un orizzonte che non ti dà le soluzionigià pronte ma che orienta il cammino, che conte-sta le presunzioni di totalità, che dona speranza.Ecco l’atteggiamento della storia nella fede. È lavisione del Vaticano II, è la base teologica di unrapporto fra la Parola e la storia, in cui non sipuò né dedurre la storia dalla Parola, né ridurrela Parola alla storia.

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Detto con altre parole: la Parola di Dio nonha le soluzioni già pronte per i problemi dellastoria.

D’altra parte, la storia non basta a se stessa,perché la presunzione di una fede nella storiaha dimostrato i suoi frutti satanici e non soloall’interno del mondo occidentale, ma comegiustamente denunziano i teologi dell’AmericaLatina (pensate Gutiérrez nella Fuerza histór i-ca de los pobres), anche desde el reverso de lahistoria, cioè Gutiérrez dice: la storia dellamodernità vista dal basso del mondo è una sto-ria di espropriazione, di sfruttamento, di dipen-denza dei popoli più poveri rispetto ai popolipiù ricchi.

Tutto questo porta alla assunzione di una vi-sione in cui la storia va presa fino in fondo sulserio e coniugata faticosamente, ma necessaria-mente, alla Parola di Dio.

E allora ecco che le due conseguenze teolo-giche sono queste.

La prima. L’evangelizzatore che annuncia lasalvezza prende coscienza che egli non annun-cia una salvezza dalla storia, cioè annunciare laParola non significa invitare ad evadere dallastoria, a disimpegnarsi rispetto alla complessitàdell’umano, ma annuncia una salvezza dellastoria.

In altre parole il contenuto dell’annuncio disalvezza dell’evangelizzazione è tutto intessutodi storia, passa tutto attraverso le mediazionistoriche della salvezza. Non si può annunciarecredibilmente la salvezza se non mediandol’annuncio di fronte ai problemi reali degli uo-mini.

E, seconda conseguenza: il rapporto fra natu-ra e grazia. È un rapporto che non può essereinterpretato come una separazione, né può esse-re interpretato come una confusione. In altre pa-role, non esiste da una parte il mondo della natu-ra, dall’altra il mondo della grazia, degli spiri-tuali. Questa visione è contraria alla logicadell’incarnazione di un Dio che si è fatto storia.Né per altro, la natura e la grazia si identificanosemplicemente, per cui tutto ciò che è umano,solo perché è umano, è anche cristiano.

Ma il rapporto fra natura e grazia è un rap-porto dialettico che può essere qualificato attra-verso queste tre affermazioni: sono affermazionidi principio ma che hanno grandi conseguenzepastorali come vedremo tra qualche istante.

La prima: La grazia nega la natura. Dobbia-mo mantenere alto questo principio che, con pa-role semplici, Cristo non è la risposta alle atte-se degli uomini; Cristo è anzitutto la contesta-

zione delle loro domande. La prima parola delVangelo è metanoèite, cambiate vita, cambiatementalità. Dunque se la Chiesa perde questa ca-rica inquietante e sovversiva della parola, laChiesa tradisce il suo compito di evangelizza-zione.

Questo primo punto deve essere chiaro. D.Lorenzo Milani, che per la Chiesa italiana è unvero profeta dei nostri tempi, diceva: «Dicesicommerciante colui che vuole rispondere ai gustidei suoi clienti; dicesi maestro colui che li conte-sta e li cambia». L’evangelizzatore deve essereun maestro, cioè un testimone di questa parolasovversiva di Dio.

Lutero affermava: «Vere Verbum Dei, si ve-nit, venit contra sensum et votum nostrum»: inverità, se la Parola di Dio arriva, arriva sconvo l-gendo la nostra sensatezza e il nostro desiderio.

Dunque dobbiamo mantenere lo scandalo cri-stiano come evangelizzatori; non dobbiamo vo-ler piacere a tutti i costi; la Parola di Dio deverisuonare nella sua forza sovversiva e rivoluzio-naria; ma, secondo punto: La grazia afferma lanatura in tutto ciò che essa ha di vero, di validodavanti a Dio. Il nostro Dio non fa concorrenzaall’uomo, ma è un Dio che vuole la piena realiz-zazione della sua creatura. Ricordate la frase diIreneo, che è il manifesto di ogni evangelizzato-re: Gloria Dei vivens homo : la gloria di Dio sirealizza nella piena promozione dell’uomo.

Allora, l’evangelizzatore non è solo colui chedice no alle attese dell’uomo; l’evangelizzatore èanche l’esperto di umanità che ha una grandecapacità di comprendere l’umano, di assumerlo,di valorizzarlo: è qui che io penso che dobbiamorifiutare ogni atteggiamento di amore universaleastratto per scegliere la via di un amore sempreconcreto e fedele alle persone concrete.

Permettete ancora una citazione di d. LorenzoMilani e dei suoi ragazzi di Barbiana. Egli dice,badate è forte questa citazione, amo sempre farlaper sottolineare come la grazia pur dicendo noalle presunzioni della natura, non annienta mail’umano. Dice d. Lorenzo: «Le professoresse so-no come i preti e le prostitute: amano tutti e nonamano nessuno, i professionisti dell’amore,quelli che vivono l’amore universale astratto,che vendono l’amore a buon mercato, a ognunoche capiti davanti a loro». Ebbene questo è il ri-schio dell’atteggiamento dell’evangelizzatoreche vuol dire soltanto i “no” di Dio e non anche i“sì” di Dio all’uomo concreto che ha davanti.

Karl Barth il teologo che ha riscoperto il “no”di Dio nel nostro tempo, dopo la crisi della guer-ra mondiale, ha anche riscoperto i “sì” umili e

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quotidiani di cui l’uomo ha bisogno per vivere eper morire. L’evangelizzatore, alla luce del rap-porto natura-grazia è l’uomo che rende presentela rivoluzione di Dio, lo scandalo cristiano, ma èanche l’uomo che rende presente la compassionedi Dio, la solidarietà profonda di Dio alla suacreatura.

E allora, terza indicazione: la natura e la gra-zia si pongono in un rapporto di continuità e disuperamento.

In altre parole, vivere l’esperienza della gra-zia non è essere meno umani, ma in un certosenso più ricchi di umanità, perché la visione diDio è la vita dell’uomo e quanto più siamoesperti dell’incontro con Dio tanto più anche lanostra umanità è vera, ricca e liberante.

Molte volte l’evangelizzatore è l’uomo dellaparola di Dio ma non è un uomo-parola di Dio,che manifesta la verità dell’umanità che la Pa-rola di Dio produce. La ricchezza di umanità di-venta una via concreta dell’evangelizzazione.

Ora, alla luce di questo sfondo teologico percui la parola e la storia non si identificano tra diloro, ma vivono in un fecondo rapporto dialetti-co, io mi pongo la domanda: Come e dove la Pa-rola si fa presente nella storia.

2.2 Tutta la Chiesa annuncia tutto il Vangeloa tutto l’uomo, ad ogni uomo.

Il soggetto storico, il contenuto e le forme del-l’evangelizzazione letti alla luce del “principio

di totalità” caro a Don Alberione.

Che cosa è il principio di totalità?È un’idea che io ricavo dai testi di Alberione

e che ricavo anche dal Capitolo Speciale a cuisto ripetutamente facendo riferimento. DC 139:«Come per quanto riguarda i destinatari la pa-rola ricorrente e quasi assillante del Fondatore è“tutti”, così parlando dei contenuti dell’aposto-lato, la parola è “tutto”. Dice Alberione: Si deveportare tutto Cristo all’uomo e dare tutto l’uomoa Dio per Gesù Cristo».

Cerchiamo di capire questa totalità. Dunque:tutta la Chiesa annuncia tutto il Vangelo a tuttol’uomo, a ogni uomo.

Anzitutto: tutta la Chiesa. Il soggetto storicodell’evangelizzazione è la Chiesa nella sua tota-lità. L’evangelizzazione non la fà il singolo evan-gelizzatore. L’evangelizzatore è nella barca diPietro. E dunque, senza un forte senso della Chie-sa non si è neanche evangelizzatori. Alberione quiha sottolineato fortemente l’amore alla Chiesa chedeve caratterizzare la Famiglia Paolina.

Ma permettete che io precisi ulteriormente ilsuo pensiero, perché Alberione riflette l’eccle-siologia bellarminiana di cui è figlio. Per lui la

Chiesa è un’unica grande parrocchia di cui ilparroco è il papa, questa è la visione alberionia-na della Chiesa. In realtà il Vaticano II ci hafatto riscoprire la storia, ci ha fatto riscoprire loSpirito Santo all’opera nella storia e allora ci hafatto riscoprire la Chiesa locale.

Che cosa significa la Chiesa locale? E laChiesa che rende presente il mistero di Cristo inuna storia, in una gente, legata alla presenzadello Spirito, ai segni dei tempi che si realizzanoin un luogo e in una terra concreta.

Ebbene questa riscoperta della Chiesa localeè fondamentale per comprendere il messaggiodel Vaticano II: tutto ciò che è nato col Concilio,l’inculturazione della Parola di Dio, il situarsidella teologia nei vari contesti è frutto di questagrande intuizione, che la Chiesa non vive comerealtà astratta, ma vive come presenza storica,solidale alle situazioni diverse in cui essa è po-sta. Dunque il soggetto dell’evangelizzazione, laChiesa locale.

La Famiglia Paolina, di conseguenza, nonevangelizzerà, se non vivrà densamente la storiadella Chiesa locale in cui è posta: questo è unprincipio fondamentale. Non si può pensare cheevangelizzare in Italia sia esattamente la stessacosa che evangelizzare in America Latina o inCorea o negli Stati Uniti.

In realtà, il principio comune è l’obbedienzaalla Parola di Dio e la fedeltà alla storia concre-ta. È proprio questo principio comune che porte-rà l’evangelizzatore ad essere diverso nei diffe-renti contesti storici.

È dunque il soggetto ecclesiale che motiva lepeculiarità dell’evangelizzazione. Ecco perchénon è infedele alla Chiesa chi si sforza di esserefedele al suo popolo e alla sua gente, ma esatta-mente al contrario: chi non legge i segni deitempi, chi non cerca di riconoscere la presenzadello Spirito nella cultura del mondo a cui ap-partiene... finisce coll’essere anche infedele aquesta Chiesa di Dio.

Dunque: tutta la Chiesa annuncia tutto ilVangelo. Ecco il secondo aspetto della totalità.Che cosa significa tutto il Vangelo? Il Vangelosenza riduzioni: né la riduzione di sapore laicista(il Vangelo ridotto a ideologia, a moda culturale)né la riduzione di sapore spiritualista (il Vangeloridotto a parola consolatrice, a evasione rispettoalla sofferenza della storia), ma il Vangelo comepotenza di Dio, per la salvezza di chiunque cre-de. Dunque il Vangelo come novità nell’anticodegli uomini, come parola eterna che viene amettere le sue tende in mezzo agli uomini.

Qui bisogna essere sempre attenti per ri-cordare che l’evangelizzatore non annuncia ilsuo Vangelo, annuncia la fede della Chiesa,

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annuncia il Vangelo che è stato confidato all’in-tero popolo di Dio pellegrino nel tempo. Eccoallora la totalità ovvero la cattolicità del mes-saggio: tutta la Chiesa (cattolicità del soggetto),annuncia tutto il Vangelo (cattolicità del mes-saggio) a tutto l’uomo, ad ogni uomo.

Che significa a tutto l’uomo, ad ogni uomo?Non privilegiando alcuni (i vicini, i pii, i ben-pensanti, quelli che già accettano le cose che noidiciamo), ma lasciandoci provocare dall’estra-neità, dall’alterità. Il vero evangelizzatore non ècolui che fa le prediche edificanti; il vero evan-gelizzatore è colui che accetta la sfida dei tempiin cui è posto e ha una sfacciata preferenza per ipeccatori rispetto ai pii e ai giusti. Ricordatequello che ci ha detto stamattina la Parola diDio. L’evangelizzatore si libera in questo sensodal clericalismo, dalla comodità di annunciare laParola negli ambienti tranquilli e sicuri.

Alberione ha intuito fortemente questo aspet-to: nella notte dell’ultimo dell’anno, all’inizio diquesto secolo, egli capiva che i tempi nuovi esi-gevano non solo forme nuove di evangelizzazio-ne, ma soprattutto uno spirito nuovo, uscire dallacittadella fortificata, dalla Chiesa delle sicurezze,delle certezze e immettersi nella complessità del-la storia; ecco la passione di annunciare il Van-gelo a tutto l’uomo, ad ogni uomo.

E ora, in rapporto a questo punto, permettetetre brevi citazioni del vostro Capitolo.

La prima la prendo da DC 155: è un testo co-raggioso in cui il Capitolo mette in luce i rischiche la Famiglia Paolina ha facendosi evangeliz-zatrice insieme, nella Chiesa. Ne vengono ind i-cati tre: il pericolo di essere troppo carismatici,cioè di assolutizzare il proprio carisma, di pensa-re che ciò che conta non è il Regno di Dio, masiamo noi, le nostre opere, i nostri mezzi, le no-stre vocazioni.

In realtà, il Capitolo invita a questa libertà ri-spetto a se stessi. L’importante non è la SocietàSan Paolo, la Famiglia Paolina; l’importante nonè nemmeno la Chiesa; l’importante è il Regno diDio. Dobbiamo avere questa grande libertà ri-spetto a noi stessi, altrimenti non saremmo evan-gelizzatori del Regno, ma saremmo soltantocommercianti che portano acqua al proprio mu-lino. Avere questa libertà.

Comprendete le traduzioni pratiche di questo,che ciò che conta non sono le realizzazioni pao-line, ciò che conta è il servizio al Regno e allaChiesa, anche se le nostre etichette, anche se ilnostro logotipo deve passare in secondo piano.Ciò che conta è la crescita del Regno di Dio: pa-rola del Capitolo, non parola di un teologo che vivuole punzecchiare.

Secondo: il pericolo della dispersione: il peri-colo opposto: cioè di perdere il proprio specifico:di essere nella Chiesa non quello che siete chia-mati ad essere, ma dei generici, dei grandi mano-vali tuttofare. A voi la Chiesa chiede quello che loSpirito vi ha donato di fare, di essere gli evange-lizzatori attraverso i mezzi della comunicazionesodale, è di questo che la Chiesa ha bisogno davoi. Ora il rischio della perdita d’identità, dellagenericità, del voler far tutto, è una tentazionedalla quale (occorre) guardarsi nell’umiltà del pro-prio carisma e nella rigorosa specificità di esso.

Infine il pericolo dell’inerzia e di una malin-tesa fedeltà. Nella fatica di essere con la Chiesa,per la Chiesa e di essere se stessi, qualche voltasembra che la via più facile sia quella del servili-smo: facciamo contenti quelli che comandano ele cose andranno bene: in realtà non è questo cheil Signore vi chiede. Non è il servilismo e l’in-censazione, ma è la parresia evangelica di porta-re avanti la causa alla quale avete dato la vostravita. Dicendo sempre, con chiarezza, quello chepensate; pronti alla fine a obbedire alla Chiesa,questo è fuor di dubbio, ma non senza aver pri-ma detto onestamente e fino in fondo ciò che incoscienza davanti a Dio ritenete di dover dire edi dover fare. Io credo che questa malintesa fe-deltà alla Chiesa potrebbe produrre dei frutti ve-ramente satanici per la vita della Chiesa stessa.Se voi sarete voi stessi, nella fedeltà alla Chiesa,voi aiuterete la Chiesa ad essere fedele alla suamissione di evangelizzazione.

E allora, ritornate su questo n° 155 che viaiuta a cogliere il vostro rapporto con la Chiesa.

Ma, ecco, l’altro richiamo che volevo fare, èal n° 150 dove lo stesso testo capitolare richiamal’esigenza di farsi fedeli a tutto l’uomo, ad ogniuomo, vivendo quattro dimensioni di adatta-mento:

L’adattamento temporale: non è la stessa cosaparlare oggi di Cristo e parlarne vent’anni fa ofra vent’anni. In realtà il cristianesimo, in quantoespressione di una persona vivente, è perma-nente novità e noi dobbiamo avere il coraggio diquesta sintonia con la novità dello Spirito sem-pre nuova.

Secondo: l’adattamento ambientale, e cioè latraduzione nella cultura, nei simboli, neglischemi mentali del popolo, della razza, del grup-po, della generazione alla quale noi parliamo.Non è la stessa cosa evangelizzare in Europa edevangelizzare in America Latina, non è la stessacosa parlare ai giovani o parlare agli uomini dietà adulta. Dunque, questo sforzo continuo di fe-deltà al destinatario.

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Terzo: l’adattamento personale: tener presentecioè che l’evangelizzazione non è la semplicesomma di alcuni fattori da cui infallibilmente siricavano poi dei risultati. Ma che essa è semprel’incontro di due libertà: la libertà di Dio e la li-bertà dell’uomo e che davanti ad una personaumana, anche l’ultima, la più povera, la più pic-cola delle persone umane, vale la parola dellaScrittura: «togliti i sandali: è terra santa». Dun-que, non giocare mai col destinatario dell’evan-gelizzazione come se fosse un semplice oggettodella nostra professionalità, ma considerarlo nel-la sua originalità assoluta di persona umana.

E infine, il quarto adattamento: sociale: tenerconto cioè delle tensioni storiche in cui la nostraparola di evangelizzatori viene a risuonare, tenerconto che l’annuncio del Vangelo non può essereinnocuo, non può scivolare senza denunciare leingiustizie se vuol veramente annunciare l’av-vento del Regno. E dunque esiste una mediazio-ne sociale dell’evangelizzazione, uno sporcarsile mani di fronte ai problemi reali che la rendecredibile agli uomini ai quali viene annunciata.

Vi risparmio la terza citazione.

2.3. Lo stile di laicità: nella Chiesa,della Chiesa, del mondo. Etica professionale,autonomia delle realtà terrestri e “contenuti”

umani come vie di vera evangelizzazione

Che cosa significa questo terzo punto? Sapeteche questo è un tema che ho introdotto nel di-battito di questi anni specialmente in Italia, maattraverso le traduzioni vedo che il tema è di-battuto poi anche in contesti diversi, partendo dauno sviluppo del concilio. E cioè il concilio hasuperato la mentalità di una Chiesa dirimpettaiadel mondo, di una Chiesa che sta di fronte almondo, come separata da esso, ed è entrato nellalogica di una Chiesa che è entrata tutta nella sto-ria, tutta nel mondo.

Ebbene qual è la conseguenza di questa rivo-luzione, dal De Ecclesia et mundo al De Ecclesiain mundo? A me sembra che la conseguenza puòessere espressa così. Tutta la Chiesa è mondana,tutta la Chiesa è secolare, tutta la Chiesa è ca-ratterizzata dalla laicità, cioè da questo spessoredi umanità, di secolarità, di mondanità.

Se questo è vero, se la Chiesa nel mondo ètutta una Chiesa “laica”, permettetemi l’espres-sione, questa idea può essere chiarita in tre di-rezioni.

Prima direzione: c’è una laicità nella Chiesa:che cosa significa questo? Che la Chiesa è fattada persone umane che hanno una loro compe-tenza, una loro dignità, una loro intelligenza,

che vanno rispettate. Laicità nella Chiesa signifi-ca uno stile di Chiesa e di evangelizzazione chesa riconoscere lo specifico della competenza diciascuno.

Permettete che io faccia applicazioni moltosemplici: un vescovo che parla di storia o di eco-nomia senza avvalersi della competenza dello sto-rico e dell’economista, non è un maestro, ma è unpovero ignorante. Questo deve esser chiaro. La i-cità nella Chiesa significa questo: che nessuno satutto di tutto, ma che abbiamo bisogno ciascunodella competenza onesta, leale, seria degli altri,che la Chiesa è per questo il popolo di Dio, per-ché non c’è nessuno che possa assommare in sétutti i carismi, tutti i ministeri. Dunque l’evange-lizzazione va fatta insieme in questo senso, por-tando ciascuno l’originalità del proprio contributo.

E pensate all’importanza di questo principioper chi come voi lavora nel campo della evange-lizzazione attraverso i mass media, all’esigenza dirispettare le competenze nei vari ambiti di questovostro lavoro; non si può fare giornalismo senzaessere competenti dal punto di vista professionalein campo giornalistico; si rischia di fare predicheche lasciano il tempo che trovano. Ecco la laicitànella Chiesa, cioè il rispetto della condizione diincarnazione in cui la Chiesa vive, dello spessoreumano di cui la Chiesa è composta.

Seconda affermazione: laicità della Chiesa.Che cosa significa questo? Che la Chiesa si rap-porta al mondo in cui è situata con la continuaattenzione di sapere che essa non possiede tutto,che essa non è, come voleva l’ecclesiocentrismodel passato, la societas perfecta che non ha biso-gno di niente. La Chiesa ha bisogno degli uomi-ni: questo è il senso di laicità della Chiesa.

La Chiesa ha bisogno del dialogo con le cul-ture, del dialogo anche con quelli che sembranoa prima vista gli avversari o i nemici della causadell’evangelo. DC 151 dice: «Mettere sistemati-camente in discussione se stesso, a tal punto, dapercepire le dissonanze tra il Vangelo e il pro-prio comportamento».

La Chiesa deve continuamente riformarsi nel-l’annuncio del Vangelo e questa riforma è pro-vocata dalla vita concreta degli uomini. Perché,ecco il secondo principio: Mettersi dal punto divista degli altri e partire dalla vita concreta degliuomini. Insomma: laicità della Chiesa significache la Chiesa, annunciando il Vangelo, sa farsicarico del modo di pensare, di vivere del-l’umanità a cui lo annuncia. È una Chiesa chenon disdegna il dialogo ma che lo fa essere con-dizione fondamentale della sua evangelizzazio-ne. Infine vi invito a rileggere soprattutto 151.2del Capitolo Speciale.

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Infine, terzo punto: laicità del mondo . Checosa significa questo? Che esiste una consistenzae un’autonomia delle realtà temporali, che va ri-spettata.

Applicandola al vostro lavoro, questo vuol di-re soprattutto tre cose:

prima, fondamentale, l’etica professionale:DC 110: leggo questo testo che mi sembra ve-ramente prezioso: «Poiché nessuno può essere inalcun modo costretto con inopportuni raggiri adabbracciare la fede, dobbiamo essere somma-mente rispettosi della libertà religiosa, fondatasulla dignità della persona umana. Ad imitazionedi Cristo e degli Apostoli annunceremo “col do-vuto coraggio” la parola di Dio, ma senza raggi-ri, sprezzando “le armi carnali” delle pressionipsicologiche indebite, della persuasione occulta,della menzogna aperta e dissimulata, del falsoirenismo, della distorsione della verità e dei fatti.In una parola, osserveremo sempre, rigorosa-mente, l’etica professionale degli scrittori, deigiornalisti, dei pubblicitari, degli operatori nelcampo del cinema, della radio, della TV ecc.,avvalorando la virtù naturale della rettitudinecon la continua riflessione sulla nostra responsa-bilità di discepoli di Cristo».

Io credo sempre nella forza della frase delcard. Bea: «La verità non ha bisogno di esseredifesa; si difende da se stessa». Dunque, sel’evangelizzatore si sforza di essere un discepoloe un testimone della verità, anche quando la ve-rità sembrasse andare contro di lui o contro gliinteressi umani della Chiesa, egli deve conumiltà e responsabilità testimoniare la verità.Ecco l’etica professionale.

Secondo: l’autonomia delle realtà terrestri.DC 119 andrebbe riletto e considerato in tuttoil suo spessore, specialmente lì dove dice chec’è un significato positivo dell’autonomia del-le realtà terrene, fatto irreversibile che costitui-

sce un punto decisivo nella prospettiva dellapresenza cristiana del mondo. In altre parole:si evangelizza anche rispettando, valorizzando,promuovendo i contenuti umani nella loro spe-cificità e nella loro autonomia. Alberione dice-va: tutto è di Dio, per cui tutto ciò che vieneconsiderato nella verità, testimoniato nella ve-rità è evangelizzazione.

E quindi, ultima conseguenza: i contenutiumani possono essere via di vera evangelizza-zione. A volte ci si chiede: ma a che scopo unaorganizzazione, una famiglia consacrata al-l’evangelizzazione deve per esempio occuparsidi un giornalismo cosiddetto “laico” oppure dicontenuti che non siano strettamente teologici?Ebbene, io credo che sia una visione soltantopiccina, meschina, dell’evangelizzazione, quel-la che avanza queste obiezioni, perché nellospirito di tutto quello che stiamo dicendo nonc’è nulla che sia veramente umano che possaessere estraneo alla causa del Vangelo. Tuttosta veramente al cuore, allo spirito con cui que-sto servizio viene reso, come servizio alla causadella verità.

E qui almeno DC 124 merita di essere cita-to, perché dice così: L’evangelizzatore «sa diessere nella verità, ma non per questo crede dipossedere tutta la verità e non considera l’opi-nione pubblica come una potenza da utilizzare,ma, anzitutto, come una realtà della vita, la piùindeterminata, anonima, fluida, da evangeliz-zare».

Ecco: questo stile di laicità mi sembra la coe-rente applicazione della grande svolta del Vati-cano II nella Gaudium et spes. Non è piùl’immagine di una Chiesa dirimpettaia del mon-do, di fronte al mondo, ma di una Chiesa nelmondo. Allora la laicità nella Chiesa, della Chie-sa e del mondo diventa un valore proprio dellacausa dell’evangelizzazione.

III PARTE - Il seme è la Parola

3.1. Sempre evangelizzatiper evangelizzare sempre: la Chiesa “sub Verbo

Dei”, semper reformanda

La Parola uscita dal silenzio è la promessadella Parola eterna che sarà detta nella gloria. Inaltre parole: la Parola di Dio è carica di futuro, ècarica del domani di Dio. Noi veniamo dalla Tri-nità; andiamo verso la Trinità, che è l’ultima spe-ranza, l’ultima sponda del cammino del mondo.

E allora, nella luce di questa prospettivaescatologica, cioè di questo annuncio della Pa-

rola che è seme del futuro di Dio, dobbiamotrarre tre conseguenze sullo stile dell’evange-lizzazione.

Prima fondamentale conseguenza: se la Pa-rola è anticipo, seme, il futuro di Dio, allora laChiesa non è padrona della Parola, ma la Chiesaè sempre e solo serva, umile, della Parola di Dioe deve continuamente lasciarsi giudicare dallaParola di Dio: Ecclesia semper reformanda.

L’evangelizzatore deve essere sempre primal’evangelizzato.

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Qui ci sarebbe da citare DC 151; poiché èun’idea che in vari modi ho ripreso, sottolineosoltanto l’esigenza del continuo rinnovamentodell’evangelizzatore.

Incontri come questi in cui si riflette allascuola della Parola di Dio sono necessari per vi-vere la perenne novità dell’incontro col Vangeloe la riforma perenne del nostro essere prima chedel nostro agire: semper reformanda, così è laChiesa che evangelizza e così è ogni vero ope-raio dell’evangelizzazione.

3.2. Evangelizzazione e coscienza criticadella prassi

Seconda conseguenza fondamentale: se l’evan-gelizzazione è anticipazione militante dell’avve-nire promesso, l’evangelizzazione non può maiassolutizzare una realtà di questo mondo. In altreparole: il Regno di Dio non è venuto, deve anco-ra venire; esso è iniziato, ma non è compiuto.

Allora identificare una realtà di questo mondocon il Regno di Dio è bestemmia e scandalo: quiè la motivazione teologica del nostro “no”, deci-so, convinto, sereno ad ogni forma di collaterali-smo politico o ideologico da parte della Chiesaevangelizzatrice.

La Chiesa non è un’ideologia, non è un par-tito, non è una visione umana del mondo.

In nome della sua speranza più grande, diquella che i teologi politici chiamano la riservaescatologica, la Chiesa è la coscienza evangeli-camente critica della prassi storica.

E questo l’evangelizzatore non deve mai per-derlo di vista. Il suo compito non è incensare ipotenti del momento, ma è richiamare la giusti-zia più grande del Regno, avere il coraggio difarsi stimolo e fermento alle prospettive del Re-gno che possono non coincidere con quelle diuna singola battaglia della Chiesa e con un sin-golo momento storico della Chiesa.

Io credo che quanto anche ieri diceva il card.Lorscheider su questa libertà della Chiesa ri-spetto ai regimi politici e alle ideologie sia fon-damentale per voi evangelizzatori della Fami-glia Paolina: mantenere la libertà critica delVangelo, la garanzia della vostra credibilitàanche quando questo dovesse significare paga-re di persona, in termini di successi storici o divantaggi immediati: la credibilità che ne verrà

alla vostra evangelizzazione sarà sempre, infini-tamente, più grande.

E anche qui è il vostro Capitolo Speciale cheal n° 174 e al n° 170 richiama questo compito difermento critico, di coscienza liberante nellaprassi storica.

Io amo usare l’espressione che l’annuncioche non sia coniugato alla denuncia rischia diessere edificazione moraleggiante, e che, comediceva Barth, il criterio per sapere se stiamoparlando di Cristo è il criterio dello scandalo, secioè ciò che noi diciamo turba anzitutto noi, maturba in particolare le logiche di potere e digrandezza di questo mondo.

3.3. Lampada ai miei passi è la tua Parola

Nella gioia e nella speranza, camminare versoil futuro promesso della Parola di Dio. Evange-lizzare è sperare e organizzare la speranza. Chiha creduto alla Parola di Dio sa che l’ultima pa-rola della vita e della storia non è la morte ma lavita, non il dolore ma la gioia.

Io credo che l’evangelizzatore debba esserericco di questo ottimismo evangelico.

Negli scritti su Alberione vedo che spesso sisottolinea il sano ottimismo di Alberione, perchéegli vedeva la storia con gli occhi della Provvi-denza e sapeva vedere anche nelle righe stortedegli uomini la linea diritta della grazia che ope-ra nel mondo.

Io credo che questo senso di fiducia, di spe-ranza e di gioia non debba mai perdersi nella co-scienza dell’evangelizzatore. Essere uomini cherompono le scatole per dir così, che pungolano,con l’annuncio del Regno; essere uomini prontia pagare di persona come i santi e i profeti ditutti i tempi hanno fatto, ma anche essere uominiche hanno una visione serena e gioiosa di questomondo in cammino verso Dio, uomini che sannoannunciare, davanti ad un mondo dove la perditadel senso è molte volte la crisi più profonda, chec’è un significato, nella vita e nella storia, che èbello vivere e impegnarsi per questa causa delRegno di Dio, di Gesù Cristo Via Verità e Vita.

Ecco, questa dimensione di gioia e di speran-za diventa quella che il seme della Parola ogginutre nell’evangelizzatore e che rende la suaevangelizzazione credibile davanti a un mondoche troppo spesso non ha speranza.

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Prof. d. Silvio SASSI - SPICS

CONTESTO COMUNICATIVO MEDIALEE PRESENZA CRISTIANA

0. Premessa

Il presente intervento si colloca in una logicaconseguenza di quanto è stato trattato.

Si è considerato il carisma delle edizioni nellacodificazione scritta e nelle scelte pratiche delnostro Fondatore. Si è preso in esame l’identitàpiù profonda della Chiesa (Paolo VI, Evangeliinuntiandi, 14) cioè l’evangelizzazione.

Ora si vuole operare una sintesi su un doppioversante.

Anzitutto collocare il carisma di don Alberio-ne nell’ambito più vasto del Magistero univer-sale della Chiesa a partire dal Concilio Vatica-

no II fino ai nostri giorni. In secondo luogo in-trodurre nell’impegno di evangelizzazione lospecifico del contesto comunicativo medialeodierno.

Lo scopo di questo itinerario riflessivo è digiungere ad una mentalità apostolica che respiraa dimensione universale e non allo stretto dellasopravvivenza; inoltre si vuole illuminare lametodologia operativa con la convinzione cheogni strategia apostolica concreta è la confluenzadi una serie di scelte interdisciplinari.

1. MAGISTERO UNIVERSALE CONCILIARE E POST-CONCILIARENEI CONFRONTI DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE

La vita di don Giacomo Alberione (4 aprile1884 - 26 novembre 1971), si svolge nel periodostorico che ha visto, per il momento, la concen-trazione più grande e la maggior accelerazione diinvenzioni nel campo della comunicazione so-dale. Basterebbe andare con la memoria alle datestoriche delle invenzioni della radio, del cinemae della televisione.

Il Magistero della Chiesa ha seguito l’evol-versi delle invenzioni con interventi che sonostati, in gran parte, puntuali e in relazione ainuovi problemi che sorgevano.

Il Concilio Vaticano II ha offerto la primapossibilità alla Chiesa universale di riflettere epronunciarsi non solo sui singoli media, ma sullatotalità della comunicazione.

Nel San Paolo, dicembre 1963, si legge: «Inmoltissimi documenti pontifici se n’era parlato,occasionalmente od espressamente. Ora è statodiscusso, chiarito, definito dal Concilio Ecume-nico Vaticano II, rappresentante tutta la Chiesapresente il Papa che ‘approvò, decretò e stabilì’.L’attività paolina è dichiarata apostolato, ac-canto alla predicazione orale, dichiarata d’altastima dinanzi alla Chiesa e al mondo».

Don Alberione coglie nel Decreto Inter mi-rifica (4.12.1963) che l’apostolato paolino è«approvato, lodato e stabilito come dovere pertutta la Chiesa» (o. c.). Le iniziative di don Al-berione non sono più opere pionieristiche, maattività ordinaria della Chiesa. Quali sono leconvinzioni teoriche, quali le direttive praticheche vengono all’apostolato paolino dal Magi-stero universale della Chiesa dal 1963 ad oggi?

Quali i pregi? Quali i limiti? Partendo dalla si-tuazione comunicativa odierna, quali devono es-sere le nuove piste di riflessione e di prassi per ilMagistero della Chiesa?

1.1. Inter mirifica

Non è superfluo ricordare un dato storico: ilDecreto Inter mirifica ebbe 1960 voti favorevolie 164 contrari stabilendo così il record dei con-trari su tutti i testi del Vaticano II.

La mentalità di fondo che ispira il decreto siriallaccia ai pronunciamenti magisteriali anterio-ri, in modo particolare all’enciclica Vigilanti cu-ra di Pio XI (1936) e alla Miranda prorsus diPio XII (1957). Un punto di convergenza im-portante riguarda la presentazione delle tecnichedi comunicazione come «doni di Dio».

«È necessario, infatti e urgente provvedere,che anche in questa parte i progressi dell’arte,della scienza e della stessa perfezione tecnica eindustria umana, come sono veri doni di Dio,così alla gloria di Dio e alla salvezza delle ani-me siano ordinati e servano praticamente al-l’estensione del Regno di Dio in terra» (Vigi-lanti cura, I).

«Le meravigliose invenzioni tecniche, di cuisi gloriano i nostri tempi, benché frutti del-l’ingegno e del lavoro umano, sono tuttavia donidi Dio, nostro Creatore, dal quale proviene ogniopera buona» (Miranda prorsus).

«Tra le meravigliose invenzioni tecniche che,soprattutto nel nostro tempo, l’ingegno umano èriuscito con l’aiuto di Dio a trarre dal creato, la

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Chiesa accoglie e segue con particolare curamaterna quelle che più direttamente riguardanolo spirito dell’uomo» (Inter mirifica , 1).

Dall’idea che i “mezzi” sono “doni di Dio”,ne scaturisce l’impegno per la Chiesa di usarliper il bene dell’uomo: “La Chiesa, nella suasollecitudine materna, riconosce che questistrumenti, se bene adoperati, offrono alla fami-glia umana grandi vantaggi, perché contribui-scono efficacemente a sollevare e ad arricchirelo spirito, nonché a diffondere e a consolidare ilRegno di Dio; ma sa pure che l’uomo può ado-perarli contro i disegni del Creatore e volgerli apropria rovina; anzi, il suo cuore di madre è ad-dolorato per i danni che sovente il loro cattivouso ha provocato all’umanità” (I.M., 2).

Oltre ad una generica promozione del “beneumano”, i “mezzi” sono a disposizione dellaChiesa “per predicare l’annuncio della salvezzaed insegnare agli uomini il retto uso degli stru-menti stessi” (I.M., 3).

Questa trama di pensiero teologico e socialeha avuto dei riflessi indubbiamente positivi:

a. ha permesso piena cittadinanza nella Chie-sa ai “mezzi”

b. ha tentato una sintesi del problema dellacomunicazione sociale in riferimento alla Chiesa

c. ha ratificato iniziative ecclesiali già esi-stenti e ha spronato nuove iniziative nella Chiesa.

Tuttavia, a distanza di anni, appaiono evidentialcuni presupposti discutibili:

a. un’assunzione teologica che ingloba l’auto-nomia delle realtà umane

b. una strategia difensiva che fa appello agliinterventi dei governi perché siano arbitri della“buona” comunicazione

c. un impegno apostolico delle nuove tecni-che come “mezzi” che vengono ad aggiungersiad altri.

1.2. Communio et progressio

Il 23 maggio 1971 la Commissione Pontificiaper i mezzi di comunicazione sociale pubblical’Istruzione Pastorale Communio et progressio.Il documento era stato previsto dall’Inter mirifi-ca “per l’applicazione di tutti questi principi enorme” (I.M., 23). In realtà si tratta di un tentati-vo molto più ricco di un semplice mansionarioconcreto. Le condizioni basilari restano in pienasintonia con l’Inter mirifica :

* “La Chiesa considera questi strumenti ‘donidi Dio’, in quanto essi, nel disegno della Provvi-denza, sono ordinati ad unire gli uomini in vin-coli fraterni, cosicché collaborino nel suo pianodi salvezza” (C.P., 2).

* “Moltiplicando tra gli uomini gli scambivicendevoli, per sua natura la comunicazione so-ciale li induce ad assumere una maggiore co-scienza comunitaria. Così ogni individuo, unitocon tutti gli uomini suoi fratelli, come condottodalla mano di Dio, contribuisce all’attuazionedel piano divino nella storia” (C.P., 8).

* “Perciò, sull’esempio di Cristo, che nellasua vita terrena si dimostrò perfetto modello di‘Comunicatore’, e sull’esempio degli apostoli,che ricorsero ai mezzi di comunicazione di cui illoro tempo disponeva, oggi la missione apostolicadeve essere espletata anche mediante i mezzi e glistrumenti oggi in uso. Sicché si dovrà dire chenon ottempera al mandato di Cristo chi trascuras-se gli enormi vantaggi che questi strumenti ap-portano nel recare a numeri stragrandi di uominila dottrina ed i precetti evangelici” (C.P., 126).

Come si vede continuano le idee: doni di Dio,utili o dannosi per l’uomo e indispensabili perl’annuncio cristiano (in riferimento ai “mezzi”).Vi sono, però, dei tentativi originali da sottoli-neare nella Communio et progressio:

a. un collegamento profondo con lo spiritodel Vaticano II nei riguardi della libertà, del di-ritto all’informazione

b. l’appello a tutti i partners della comunica-zione sociale perché collaborino all’aspetto pe-dagogico dei media

c. il tentativo di un approccio teologico par-tendo da alcuni fenomeni della comunicazione

d. e infine l’appello più specifico a tutte lecomponenti cristiane perché prendano sul seriole tecnologie di comunicazione.

Se volessimo, ora, evidenziare alcune riserve,potremmo riferirci invece a:

* una visione troppo ottimistica degli effettidella comunicazione

* un modello di comunicazione che privile-gia “il mezzo” in quanto tale

* una trasposizione entusiasta, ma poco con-vincente, della comunicazione in ambito teologico

* una visione sociale della comunicazioneslegata dai dati quantitativi

* un ruolo discutibile dei poteri pubblici nelcontrollo dell’informazione

* una visione troppo settoriale del problemaglobale della comunicazione.

1.3. Evangelii nuntiandi

Il documento di Paolo VI pubblicato l’8.12.1975 tratta delle tecnologie di comunicazionenel capitolo “Le vie dell’evangelizzazione”: “nelnostro secolo, contrassegnato dai mass media o

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mezzi di comunicazione sociale, il primo annun-cio, la catechesi e l’approfondimento interioredella fede, non possono fare a meno di questimezzi. Posti al servizio del Vangelo, essi sonocapaci di estendere quasi all’infinito il campo diascolto della Parola di Dio, e fanno giungere labuona novella a milioni di persone. La Chiesa sisentirebbe colpevole di fronte al suo Signore senon adoperasse questi potenti mezzi, che l’in-telligenza umana rende ogni giorno più perfe-zionati. Servendosi di essi la Chiesa “predica suitetti” il messaggio di cui è depositaria; in loroessa trova una versione moderna ed efficace delpulpito. Grazie ad essi riesce a parlare alle mol-titudini” (E.N., 45).

Rileviamo anzitutto un elemento di grandevalidità: i media abbracciano l’intero campo del-l’evangelizzazione. Essi servono per il “primoannuncio, la catechesi e l’approfondimento ulte-riore della fede”.

È il passo più esplicito che può servire dapunto di riferimento per una visione apostolicacompleta.

Continuano inalterate le idee di “mezzi” e di“travaso automatico della Parola di Dio”.

1.4. Catechesi tradendae

L’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II(16.10.1979) tratta dei media in riferimento allacatechesi: “Dall’insegnamento orale degli apo-stoli e dalle lettere circolanti tra le Chiese fino aimezzi più moderni, la catechesi non ha mai ces-sato di ricercare le vie e i mezzi più adatti persvolgere la sua missione, con l’attiva partecipa-zione delle comunità e sotto l’impulso dei pasto-ri. Un tale sforzo deve continuare. Il mio pensie-ro si rivolge spontaneamente alle grandi possib i-lità che offrono i mezzi di comunicazione socialeed i mezzi di comunicazione di gruppo: televi-sione, radio, stampa, dischi, nastri registrati, tut-to il settore degli audiovisivi. Gli sforzi compiutiin questi campi sono tali che danno le più grandisperanze. L’esperienza dimostra, ad esempio, larisonanza di un insegnamento radiofonico o te-levisivo, che sappia congiungere un’espressioneestetica qualificata ad una rigorosa fedeltà almessaggio” (C.T., 46).

La novità qui introdotta riguarda l’estensionedel campo dei media presi in considerazione:mass media e group media (gli audiovisivi).

Va anche messa in rilievo la caratteristica peruna buona riuscita: la sintesi armonica tra leggiestetiche e fedeltà dottrinale.

Restano immutate le concezioni di “mezzi” edi “contenuti cristiani” da immettervi.

1.5. Codice di Diritto Canonico

Promulgato il 25 gennaio 1983, il Codice diDiritto Canonico tratta dei media nel Libro III alTitolo IV ai canoni 666, 747, 761, 779, 804, 822,823,1063 e 1369. Vi si riafferma:

* il diritto della Chiesa a possedere proprimezzi e ad insegnarne il retto uso

* il compito di usare i media come “mezzi”per la divulgazione della dottrina cristiana

* la competenza della Chiesa sull’educazionecattolica che venga impartita anche con i media

* l’impegno di tutte le componenti dellaChiesa ad usare i mezzi di comunicazione

* il diritto di censura per conservare l’inte-grità della fede e dei costumi.

Tenuto conto della natura e della funzione deltesto di Diritto Canonico per la Chiesa univer-sale, certamente non ci si può attendere una ri-voluzione nei canoni che trattano della comuni-cazione sociale.

Non si possono registrare novità né rielabora-zione di dottrine tradizionali. Vista sotto l’otticadei diritti/doveri, la comunicazione sociale si èimpoverita confinandosi in enunciazioni e, so-prattutto, in occasione di interventi da partedell’autorità.

1.6. Orientamenti per la formazionedei futuri sacerdoti circa gli strumenti

della comunicazione sociale

Il testo degli Orientamenti, pubblicato dallaCongregazione per l’educazione cattolica il 19marzo 1986, benché rimasto nell’assoluta di-screzione, è un intervento quanto mai opportunoper rilanciare l’interesse della Chiesa nei con-fronti della comunicazione sociale. Il documentoè importante perché ribadisce che la comunica-zione sociale è “parte integrante” nella forma-zione dei “futuri sacerdoti”. La comunicazionesociale e le sue tecnologie vengono consideratenella prospettiva pedagogica e quindi solo ind i-rettamente in forma strumentale.

I limiti del documento sono:* continuare a considerare la comunicazione

sociale come l’insieme di tanti strumenti* la difficoltà di operare una fusione tra co-

municazione e formazione pastorale* il rischio di presentare la comunicazione

come una disciplina che si affianca a quelle filo-sofiche e teologiche

* l’accento posto sui mass media a scapito dialtre forme di comunicazione

* la preferenza data ad una formazione“teorica” che confina nelle esercitazioni l’aspetto“pratico”.

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1.7. Conclusioni

Soffermandoci sull’insieme dei documenticitati, che costituiscono i pronunciamenti piùsolenni, possiamo evidenziare alcune costanti dipensiero che hanno certamente svolto la lorofunzione storica positiva, ma che nel contestoodierno rischiano di essere superate.

a. Una concezione irenica della comunica-zione sociale

Quando si osserva il pensiero del Magisterouniversale della Chiesa si assiste ad un capovol-gimento: si è passati da una concezione quasi“diabolica” dei vari mezzi, a mano a mano cheerano inventati e si diffondevano nella società, aduna esaltazione troppo ottimistica. Nei documentibrevemente presentati poiché si è individuata laformula “doni di Dio”, i mezzi sono fondamen-talmente buoni e inventati per il bene. La lorostessa natura permette la “fratellanza universale”e “l’annuncio planetario del Regno di Dio”.

Osserviamo il processo mentale: sono stateassunte alcune possibilità tecniche come “sup-porto” automatico per una strategia del bene. Ilrecupero teologico con l’affermazione “doni diDio” è stato utile per fondare un atteggiamento“mistico” dei mezzi, ma ha forse impedito di os-servarne più da vicino la natura comunicativa. Ilfunzionamento interno delle nuove “macchine”crea dei rapporti sociali che non sono compren-sibili con la categoria del “dono”, ma, sovente,con il “dominio”.

Visto sotto un’altra dimensione l’ottimismo siesprime nell’idea di un progresso illimitato nelladirezione del bene. L’evoluzione sociale ha mo-strato che l’abbondanza della comunicazionenon coincide con un’equa distribuzione né tantomeno con una ricchezza di contatti positivi.All’opulenza della comunicazione si contrap-pongono gli esclusi (coloro che non possonocomunque aver diritto a prendere la parola conl’immagine e/o con il suono). Si parla oggi diun’ecologia della comunicazione perché il trop-po comunicare rischia di assomigliare al silenzioe all’isolamento.

Il contributo di idee della Chiesa al “Nuovoordine mondiale per l’informazione e la comuni-cazione” caldeggiato dall’UNESCO è stato, se-condo l’opinione di un testimone insospettabilequale Sean MacBride, quanto mai scarso. Questolo possiamo forse giustificare con il fatto che laChiesa è stata per quasi trent’anni impegnata aconvincersi della “bontà dei mezzi” ed assaporaancora nei suoi documenti questa certezza grati-ficante.

b. Una finalità strumentale

Nei documenti presi in esame è un ritornellocontinuo l’idea di identificare il fenomeno co-municativo con i singoli media che sono visticome “strumenti”, “mezzi” che si assommano eche moltiplicano le capacità umane. Se storica-mente è spiegabile l’intervento metodico delMagistero ad ogni nuova invenzione, lascia sor-presi che non esista un solo documento che operiun’analisi d’insieme. L’universo della comuni-cazione sociale è più complesso della somma deisuoi strumenti.

Non si tratta quindi di implorare un docu-mento che tratti anche della telematica e del-l’informatica. Forse è più utile ripensare tutto ilfenomeno della comunicazione come si configu-ra oggi grazie all’intermedialità e alla multime-dialità. Non siamo più di fronte ad un’evo-luzione della società, siamo in presenza di unatrasformazione radicale. I media sono “macchi-ne” particolari: non producono “oggetti”, im-mettono nel mercato “immaginario”, “modelli dicomportamento”, “mentalità”.

Un’altra manifestazione della “strumentalità”è l’idea che i “mezzi” sono “canali” che si pos-sono riempire di un contenuto o buono o cattivo(secondo le scelte dell’uomo). Trattandosi dellaChiesa, i mezzi devono essere “canali della gra-zia”. Ecco perché una certa mentalità si ostina adistinguere tra “contenuti” e “strumenti”: si dàper scontato che le tecnologie siano “neutre” e“trasparenti” al contenuto.

L’uso effettivo ha dimostrato come la tecnicasia condizionante per il contenuto: basta pensarealla fine ingloriosa di tante iniziative cattolichepreoccupate del “contenuto” e assai parche sul“contenente”!

Se poi le “macchine per comunicare” possonoessere per loro natura “canali della grazia”, eccola corsa al “possesso in proprio”, quasi che la pro-prietà garantisse maggior fortuna al messaggio.

Una simile mentalità ha progressivamenteaccantonato l’atteggiamento di “dialogo” dellaChiesa mediale con le altre culture; ha mini-mizzato la presenza dei “semi del Verbo” inquanti non sono ufficialmente incaricati; ha pri-vilegiato la dottrina e scartato lo spettacolo co-me secondario.

c. Una preoccupazione pedagogica moralistica

Ritorna sovente l’affermazione che la Chiesa“esperta in umanità” ha il diritto di insegnareagli uomini il “retto uso delle tecnologie di co-municazione”. Esclusa l’interpretazione peda-

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gogica stretta, documenti alla mano, si devecomprendere questo impegno della Chiesa nel-l’ambito morale. “Integrità della dottrina e deicostumi” ci ricordava il Diritto Canonico. Il plu-ralismo culturale in cui viviamo non permettecerto scantonamenti della Chiesa che detti perdecreto “ciò che si può rappresentare e ciò che sipuò vedere”. È storia di questi giorni che i rigur-giti censori non mancano, ma come si può benvedere, la Chiesa perde in credibilità. È forse piùefficace percepire la propria presenza come te-stimonianza che non confonde verità e potere.Inoltre, è forse tempo di adattarsi a sentirsi “inconcorrenza” con altre visioni della vita e altrefedi. La via da seguire non passa per le sollecita-zioni di interventi censori degli Stati, ma permovimenti di opinione pubblica.

Un accento particolare della pedagogia dellaChiesa si basa sulla “moralizzazione” delle co-scienze. Se la finalità può essere lodevole, i me-todi possono essere discutibili. La preoccupazio-ne di istituire “censori ufficiali” che etichettino ilbene e il male su ogni produzione audiovisivapuò sconfinare nell’assoluta insignificanza per ilpubblico. Inoltre, ammesso che il pubblico aves-se un qualche interesse, sarebbe un incrementoche favorisce la pigrizia comunicativa.

Sovente poi la fretta dei pronunciamenti mo-rali fa saltare di pari passo il rispetto della pro-fessionalità e dei linguaggi.

d. Altri documenti del Magistero

Si è volutamente limitato il corpus degli in-terventi del Magistero. Sono rimasti esclusi i te-sti del Magistero ordinario del Papa, delle Con-gregazioni romane e dei Dicasteri della curia va-ticana sotto forma di documenti, messaggi scrit-ti, radiofonici e televisivi, discorsi ed esortazioniper circostanze particolari o per categorie speci-fiche di comunicatori.

Non si è fatto riferimento ai documenti pro-dotti in seno alle riunioni delle autorità regionalidella Chiesa:

* il Consiglio dei vescovi degli Stati Uniti edel Canada (1985)

* il DECOS (Dipartimento delle comunica-zioni sociali) del CELAM (Consiglio dei vescovilatino-americani) a Medellin (1968) e Puebla(1979)

* il CEPACS (Comitato episcopale panafri-cano per la comunicazione sociale) riunito nel1985

* l’Ufficio delle comunicazioni sociali dellaFederazione delle Conferenze episcopali dell’Asiasud-orientale, orientale e meridionale (1980)

* l’Ufficio per le comunicazioni sociali del-l’Oceania (Australia e Nuova Zelanda) riunitesinel 1986

* il CCEM (Comitato delle Conferenze epi-scopali europee per i mass media) riunitosi nel1984/85/86.

Vi sarebbero poi i documenti emanati dallesingole Conferenze episcopali di ogni nazione edai singoli vescovi nelle diocesi.

Andrebbero considerati anche i documenti de-gli organismi ecumenici a livello mondiale (Con-siglio ecumenico delle Chiese), regionale (es. inNuova Zelanda) e nazionali (es. in Svizzera). Adessi andrebbero aggiunti i documenti degli Orga-nismi di collegamento delle altre Chiese e comu-nità cristiane (Chiesa ortodossa, federazione lute-rana mondiale ecc.). Infine andrebbero ricordati idocumenti degli organismi cattolici internazionaliUNDA (Associazione cattolica internazionale perla radio e la televisione), l’OCIC (Ufficio cattoli-co internazionale del cinema) e l’UCIP (Unionecattolica internazionale della stampa).

Una sola osservazione: in questi pronuncia-menti forse “minori” si trovano sovente analisipreziose e suggerimenti originali.

e. Il Magistero e il carisma paolino

Attenendoci ai documenti presentati, si po-trebbe effettuare un confronto tra le idee-guidadi don Alberione e le idee del Magistero conc i-liare e post-conciliare.

Nonostante la situazione attuale della comu-nicazione mondiale (in atto o come tendenza)possa suggerire le riserve che abbiamo avanzatosu alcune concezioni del Magistero, resta chedalla sua ricchezza possiamo trarre orientamentiper il nostro apostolato.

A volte i Paolini sono etichettati come “uo-mini di forti braccia, ma di poca cultura”. La-sciando la responsabilità di tali giudizi a coloroche li enunciano, la tentazione del “pragmatismo”(primum facere, deinde philosophare) è stata in-dicata da alcuni come una eredità del Fondatoreche sarebbe stato “di poche parole e di molti fat-ti”. Anche qui ci troviamo di fronte a semplifica-zioni, dato che la personalità di don Alberionenon sarebbe stata tale senza alcune idee, forse in-tuite, ma discretamente lucide ed ostinate.

Un primo invito che potremmo raccoglieredalle indicazioni del Magistero è lo sforzo diacquistare una mentalità, ampia e articolata,che fornisca i principii ispiratori del nostroapostolato. Naturalmente non si tratta di parti-re da zero, ma di raccogliere il suggerimento diun continuo aggiornamento. La comunicazione

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non evolve solo nella tecnica, evolve nella cultu-ra che essa contribuisce a creare.

Un altro suggerimento positivo riguarda laprecauzione da adottare nella motivazione teolo-gica del nostro apostolato. Non basta raccoglierealcune categorie antropo-sociologiche dal mon-do della comunicazione e impostarvi sopra unastrategia apostolica una volta per tutte. Evolven-do le categorie presupposte, deve trasformarsianche l’elaborazione teologica.

Una terza proposta che possiamo raccogliereanche dalle osservazioni avanzate al Magisteroè di correggere una mentalità apostolica preva-lentemente imperniata sullo “scritto”. Se ab-biamo interesse per i singoli mezzi come “qual-cosa che si aggiunge alla stampa”, rischiarne di

trasportare una mentalità “letteraria” nella ge-stione dell’immagine audio/visiva. Le pocheiniziative paoline in questo settore non sono,credo, dovute agli investimenti richiesti, ma an-che al non rispetto di linguaggi completamentediversi.

Accanto a queste proposte va almeno ind i-cata una “assenza” che forse dovrebbe coinvol-gere la nostra ricerca teorico-pratica. La Chiesa,quella italiana in modo particolare, non ha chia-rito i termini dell’azione pastorale (e di unateologia pastorale di base) ed è pertanto diffi-cile ricorrere ad uno strumentario metodologi-co che “filtri” le nostre iniziative apostoliche.Siamo in grado di dare una mano in questo allaChiesa?

2. APOSTOLATO PAOLINO NEL CONTESTO DELLA CULTURAE DELLA PRASSI COMUNICATIVA

Dopo aver considerato il Magistero universaledella Chiesa come fonte ispiratrice dell’apo-stolato paolino, esaminiamo il contesto comuni-cativo nel quale ci troviamo.

Il genio dell’inventiva umana, assistito nellasua creazione dalla potenza della tecnica, stimo-lato dalle competizioni economiche, politiche emilitari, ha impresso al mercato della comunica-zione una tale velocità di “novità” che ogni bi-lancio diventa sempre provvisorio.

Utilizzando, solo per comodità di definizione,il profilo di uso delle tecniche di comunicazione,possiamo parlare di:

* mass media = mezzi di comunicazione de-stinati alla massa: stampa (editoria libraria, rivi-ste periodiche e quotidiani), cinema, radio, tele-visione, pubblicità, dischi, musicassette, com-pact disc, fotografia

* group media = mezzi di comunicazione pergruppi: produzioni audiovisive a carattere peda-gogico, varie iniziative di “forum”, diapomon-taggi, realizzazione di cartelloni, mostre, recital,teatro ecc.

* self media = mezzi per il singolo: videore-gistratore, macchine fotografiche, cineprese ecc.

Naturalmente questo elenco va completato,con la relativa distribuzione partendo dall’uso,con le possibilità offerte dalla telematica e dal-l’informatica: visiofonia, telecopia, telescrittura,audioconferenza, visioconferenza, teleriunione,radiotelefonia, citizen band, teleinformatica ebanche dati, teletext, videotext, audio-videotext,burotica, comunicazione via satellite, laser, fibreottiche, videodisco, televisione via cavo, televi-sione conviviale, televisione ad alta definizione,videogiochi, giochi e trasmissioni interattive ecc.

Limitandoti a questo elenco incompleto, pos-siamo renderci conto della ricchezza espressiva edella complessità del mondo comunicativo sol-tanto dal punto di vista di “macchine per comu-nicare”.

2.1. Evoluzione delle teorie massmediatiche

Prima di esporre brevemente alcune caratteri-stiche intrinseche della comunicazione odierna,vorrei, in modo rapidissimo, accennare alla sto-ria della ricerca scientifica sui media.

Negli anni ’30/’40, soprattutto in riferimentoall’uso che ne avevano fatto il nazismo e il fa-scismo, i mass media erano considerati da alcu-ni studiosi, pionieri in questo genere di ricer-che, “onnipotenti”, capaci di influenzare l’indi-viduo e le masse in modo quasi programmabile.La potenza dei media era definita “una punturaipodermica”: quasi all’insaputa, il recettore eraincantato e spinto all’azione in modo sublimi-nale dagli autori del messaggio e dai padronidei media.

Negli anni ’50 e ai primi degli anni ’60 (veraesplosione sociale delle comunicazioni), si assi-ste da parte degli studiosi ad una rivoluzione diprospettiva: non bisogna solo analizzare ciò che imedia fanno ai recettori, ma anche ciò che i re-cettori fanno ai media. Il passaggio dei messaggidagli emittenti ai riceventi viene allora studiatonon più come un travaso che non subisce perditeo distorsioni, ma viene osservato considerando leresistenze, i tradimenti e le distorsioni dei mes-saggi da parte del pubblico.

Dal ’68 fino alla metà degli anni ’70 c’è iltentativo di innestare nei media una comunica-

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zione “alternativa”: non più di pochi verso molti;non più direzionale ma dialogica; non più altacultura e cultura popolare. Nell’entusiasmo diquesti miraggi c’è anche chi sostiene che i mediasono innocui e che i recettori sono sempre e co-munque immuni da qualsiasi effetto collegato aimedia. Insomma: la massificazione non esiste-rebbe.

Dopo il fallimento della comunicazione al-ternativa e popolare, durante la seconda metàdegli anni ’70 e durante gli anni ’80, gli studiosisi sono preoccupati di offrire una ricerca piùcompleta sui media. Vengono quindi consideratinon soltanto i messaggi in se stessi, ma anche lepolitiche dei proprietari, le genesi dei segni inrelazione al messaggio, il contesto di fruizionedei messaggi e il ruolo del pubblico nell’in-terpretare i messaggi. I media sono pertantocollocati nel panorama più vasto della società evisti all’opera in collegamento con la politica,l’economia, le ideologie e le tecniche semprepiù sofisticate.

In base a questa dilatazione di osservazione,risulta socialmente insignificante sia l’afferma-zione che i media sono automaticamente massi-ficanti, schiavizzanti e dittatori delle coscienze,sia la beatitudine massima di quanti sostengonoche né a breve né a lungo termine i media nonincidono sulle mentalità e sui comportamenti,anzi sono dei grandi benefattori dell’umanità!

2.2. Caratteristiche della comunicazioneodierna

Con queste precisazioni, possiamo elencarealcune caratteristiche intrinseche della comuni-cazione odie rna.

a. L’accelerazione

Alla molteplicità delle nuove invenzioni cor-risponde immediatamente l’adozione da partedel pubblico. La concorrenza tra le marche, pra-ticando anche lo spionaggio industriale, puntan-do ad una vendita mondiale delle loro invenzio-ni, permette in poco tempo di avere un mercatoin continua evoluzione e sempre ben attrezzato.Naturalmente esiste tra paesi poveri e paesi ric-chi una diversa distribuzione delle ricchezze intecnologie comunicative, ma la tendenza è al-l’imitazione del cumulo non di investimenti al-ternativi anche nei paesi poveri.

b. L’intermedialità

Si è parlato di neo-televisione a propositodell’uso dello schermo che serve come apparec-

chio ricevente dei programmi via antenna, viasatellite, via cavo, via codice, video per le opera-zioni del computer e dei videogiochi, terminaleper informazioni da banche dati, ecc.

L’esempio della televisione è stato citato soloper evidenziare la “contaminazione” delle tecni-che tra di loro trasformandosi a poco a poco instrumenti multiuso.

c. La multimedialità

Le disponibilità economiche e il prezzo ac-cessibile delle svariate tecniche di comunicazio-ne permettono all’individuo, al gruppo e alla so-cietà di beneficiare di più media: radio, radiore-gistratore, televisore, videoregistratore, televi-sione via satellite, via cavo, libri, riviste, giorna-li, computer, telefono, telecopia ecc. In momentisuccessivi o simultaneamente, la persona può es-sere ricevente/emittente di più media.

d. L’internazionalizzazione

La tecnologia ha permesso il superamentodelle barriere del tempo e dello spazio: i satelliti,le fibre ottiche, i laser creano una rete di ubiquitàe contemporaneità sul pianeta. C’è poi una inter-nazionalizzazione dei messaggi: basta pensare aiserials televisivi americani. L’ostacolo della lin-gua viene facilmente superato anche se, da altripunti di vista, questa semplice traduzione didialoghi lascia aperti altri problemi più seri(quali un’imposizione di modelli di comporta-mento e di problematiche).

e. La somiglianza dei linguaggi

Senza voler mettere in dubbio l’originalità diogni medium nella sua specificità espressiva, siassiste negli anni ’80 a percorsi paralleli tra i di-versi media. Cinema, televisione, radio e infor-matica sembrano pervasi e quasi influenzatidalla pubblicità e dai videoclip: l’immagine di-venta rapida ed elaborata con effetti; il testo o laparola sono brevi; la narrazione subisce un fra-zionamento continuo.

f. La standardizzazione dei generi

Le produzioni mediali diventano sempre piùun prodotto composto di ingredienti dosati sulsuccesso. Lo scopo da raggiungere, sia nelleproduzioni di finzione che nell’informazione, è ilmassimo di ascolto e quindi si assiste alla preoc-cupazione “spettacolare”.

Passando da alcune categorie generali allagestione concreta di imprese di comunicazionesociale è necessario assumere i vantaggi e i

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rischi delle possibilità espressive di ogni tecno-logia di comunicazione.

Soffermiamoci soltanto ad elencare alcuni ca-ratteri del giornalismo che si possono ritrovare,con le dovute applicazioni, anche nelle formecomunicative di altri media.

Tenendo come parametro di riferimento la co-municazione giornalistica come è andata codifi-candosi sia nel giornalismo di agenzia, scritto e ra-dio-televisivo, osserviamo alcuni fenomeni risul-tanti dalla “fabbricazione industriale della notizia”:

* il binomio verità/opinione. È nella naturastessa dell’osservatore di porsi da un precisopunto di vista. Quando aggiungiamo a questolimite antropologico le preoccupazioni di unaideologia qualsiasi, è scontato che quanto scrivoè una visione di parte della verità che resta co-munque, e in ogni campo, un ideale da raggiun-gere in continuazione.

* il binomio oggettività/interpretazione. Espri-me, in ambito diverso, la stessa tensione che esi-ste nel giornale tra “la cosa di cui si parla” e“coloro che decidono di parlarne o tacerne”. Loslogan della separazione netta tra i “fatti” e i“commenti” serve solo a confondere le acque,ma il meccanismo comunicativo è inoppugnabilenella sua parzialità: è nella natura del mezzo(spazio a disposizione, testimoni, velocità diesecuzione, tempestività di presentazione ecc.).

* il binomio totalità/parzialità. Che la collo-cazione di una notizia in una certa pagina, la suatitolatura, il corpo dell’articolo diano l’impres-sione del “trattamento completo”, è soltanto unasensazione che deriva dal prodotto finito non daquanto si poteva dire su un fatto; basta confron-tare su più giornali la stessa notizia.

* il binomio logica discorsiva/spettacolo emo-tivo. I due linguaggi della parola orale/scritta edell’immagine audio/visiva veicolano le loro in-formazioni in modo autonomo trovandosi a voltein condizioni di ripetizione, di complemento, dicontrasto parziale o di netta opposizione. L’ar-ticolo del giornale non darà nello stesso modo lanotizia come sarà presentata dal giornalista radio-fonico o televisivo. Non si tratta di una semplice“traduzione” da linguaggio a linguaggio, ma diuna qualità espressiva totalmente diversa.

* il binomio reale/immaginario. Quando nel-l’informazione si fondono la cosa osservata e ilpunto di vista dell’osservatore, quando l’opi-nione del singolo di necessità è presentata comela verità sul fatto, si intuisce che la realtà confinacon l’immaginario (inteso nel senso di integra-zione soggettiva).

* il binomio esperienza diretta/esperienzavicariale. Anche nell’informazione che preten-

de fornire “dati controllabili”, alle fonti di essasta “l’osservazione umana”, sta un “incaricato diosservare e raccontare”. Il capo redattore del-l’agenzia dovrà fidarsi del suo inviato; il diretto-re dei suoi giornalisti e il lettore, fidarsi del“suo” giornale.

Questi pochi rilievi, basati sull’osservazionedel mestiere, sono un’attenuazione dello slogan:“il vero nel contenuto e il bello nella forma”.

Considerando il problema dal punto di vistadella gestione economica, sono evidenti almenotre fenomeni.

a. Nel processo industriale di comunicazione(= quando il prodotto è fatto in serie per la mas-sa), la comunicazione è frutto di una serie discelte degli “editori” che lanciano il loro mes-saggio in modo unidirezionale. Al pubblico restail prendere o lasciare, consentire o protestare. Laproprietà dei mezzi è proprietà di diritto di pa-rola e di diritto al discorso.

b. La proprietà delle “macchine di comunica-zione” è proprietà dei “messaggi” che sono veico-lati. La dialettica tra giornale “specchio di esigen-ze” e “giornale cassa di risonanza” delle preoccu-pazioni di una oligarchia si traduce nelle continuericerche di mercato che permettono di adattare efar evolvere il prodotto in relazione al suo pubbli-co. Decisioni editoriali e risposta del mercato so-no diventati complementari anche perché i biso-gni finanziari e la concorrenza portano a questo.

c. Il ruolo determinante della pubblicità. Gliingenti costi delle imprese di comunicazionepermettono alla pubblicità di diventare un crite-rio determinante nella gestione dell’impresa dicomunicazione. È una legge di mercato sullaquale si possono esprimere pii voti, ma che nullacambierebbero al suo carattere insostituibile.

La complessità dell’impresa di comunicazio-ne evidenzia l’investimento diretto o indiretto inmacchinario, ma più ancora per le sue fasi diideazione, realizzazione tecnica e diffusione (perconservare le categorie di don Alberione) sollevail problema della scelta dei collaboratori (chepotremmo includere in modo improprio sotto laterminologia di “gestione del personale”). Senzadirettamente collegarci a questioni di ordine giu-ridico o teologico, resta la preoccupazione di unpersonale qualificato che permetta il massimo diprofessionalità.

2.3. Conclusioni

Osservando il nostro apostolato dalla pro-spettiva di “impresa di comunicazione”, au-menta la consapevolezza di non essere un caso“speciale ed unico” di comunicatori, ma di entra-

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re in pieno nel regime comunicativo globale chesi è delineato storicamente.

Conviene pertanto non ignorare gli studiscientifici e le ricerche semiologiche, psico-sociologiche sulla comunicazione in genere e suaspetti specifici. Lo spirito che ci deve animarenon è una forma deteriore di intellettualismo, malo sguardo positivo che il Vaticano II invita adavere per le realtà terrene come “segni dei tempi”.

Le tematiche delle pubblicazioni editoriali egiornalistiche, gli argomenti delle produzioni ra-diofoniche, televisive, cinematografiche e pub-blicitarie, se analizzate bene possono mostrare illento spostarsi dei valori, gli interessi dell’opi-nione pubblica.

Gli studi sulla comunicazione sociale posso-no inoltre aiutarci a scoprire le nostre scelte co-municative e a far risaltare quanto inavvertita-mente diventa legge immutabile per le nostre de-cisioni, mentre di fatto si tratta solo di adozionidi schemi che socialmente sono temporanei esottomessi ad un’evoluzione. Per il fatto di porrea fondamento di un’opera religiosa certi criteriumani, non significa metterli al riparo di unalenta e irreversibile evoluzione.

L’intermedialità e la multimedialità ci invitapoi a considerare le “forme di comunicazione”che abbiamo privilegiato (mass media e/o groupmedia) per vedere se esiste la lucidità di certiabbandoni e il coraggio di una nuova elasticità.

L’internazionalizzazione delle tecnologie edei messaggi è un altro punto di indagine pervalutare il desiderio reale di collaborazioni a li-velli sempre più ampi e la progettazione di ini-ziative che siano di utilità internazionale. Un ac-cordo multimediale (settore editoriale stampa,radio, cinema, televisione e dischi) è un fattoredi incidenza temuto sia da concorrenti laici cheda istituzioni ecclesiastiche. Forse una delle no-stre debolezze è lo slegamento e un ventaglio di“politiche editoriali” parallele o contrastanti.

Un settimanale satirico francese ha definito laSocietà San Paolo “une multinationale en souta-ne” (= una multinazionale in tonaca).

I grandi vantaggi di accordi editoriali interna-zionali vanno completati con la promozionedella Chiesa e della cultura locale per evitare itranelli di un neo-colonialismo così consono aimedia.

La standardizzazione dei generi se può risulta-re una necessità di successo commerciale per tan-ti, dovrebbe, forse, invitarci ad esaminare se lenostre produzioni assomigliano a dei “conte-nitori” nei quali calare un messaggio “dosato” inprecedenza con la preoccupazione del successo.C’è una fedeltà al Magistero che assomiglia più

a calcolo editoriale che a desiderio di promo-zione della cultura cattolica e della fede. Vi so-no, forse, interventi sconsiderati, espressione diprotagonismo più che di servizio all’opinionepubblica.

Il nostro apostolato partecipa in pieno anchealle esigenze e alle leggi delle imprese di comu-nicazione.

La coscienza della verità come insieme diopinioni convergenti e in continuo superamento;l’oggettività come criterio guida che avvicina incontinuazione le diverse interpretazioni; laframmentarietà degli interventi che non possonosempre e comunque dire tutto di tutto; il rispettodei linguaggi che non è semplice trascrizione dicontenuti ma rielaborazione completa in modiespressivi originali; i confini sfumati tra reale edimmaginario; la delega di esperienza attraversoaltri, sono ambienti di vita del nostro apostolatoperché non possiamo sfuggire loro.

Sarà questa certezza documentata che cisuggerirà i modi per difenderci da indebite in-tromissioni, certo dettate da buona volontà maquanto mai storicamente sorpassate, che pren-deranno di mira un articolo, una trasmissione,una produzione qualsiasi. I richiami, amichevolie autoritari che siano, spesso hanno come po-stulati che i media devono dire tutto, sempre ecomunque. Sarà forse una legge valida in altricampi, ma non certo nella comunicazione so-ciale quotidiana.

Naturalmente queste leggi intrinseche allanatura dei media non possono diventare un alibio un sicuro rifugio per ogni nostra iniziativa.

Esse devono portarci a scoprire un aspettoinedito di esse: la verità come proposta rispettosae non come crociata di arrabbiati o intolleranti;l’oggettività come rispetto del pluralismo senzala grinta monolitica di una conoscenza vera cheesclude tutte le altre; la comunicazione come te-stimonianza nel concerto dell’opinione pubblicae non come malcelata intolleranza; la critica co-me pieno diritto e l’informazione come una ne-cessità vitale di partecipazione sociale.

In queste dimensioni siamo ben lungi daquanti nella Chiesa, anche ricorrendo a ragiona-menti coerenti o alla denuncia di abusi, dichiara-no i media incompatibilmente inabili per le ini-ziative apostoliche. Le ragioni addotte sono:

* la comunicazione dei media è unidirezio-nale, non è dialogica come lo esige la propostaevangelica

* i media si rivolgono indistintamente a mas-se anonime, l’evangelizzazione richiede adatta-mento a ciascuno

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* i media propongono dei messaggi standar-dizzati, mentre l’evangelizzazione è una parolaunica per ciascuno

* la recezione dei media è, per lo più, isolata,mentre la recezione dell’evangelizzazione è co-munitaria

* la fede non è acquisizione di dottrina, matrasformazione della persona e della società, imedia tendono piuttosto ad incoraggiare la pas-sività

* i media intervengono sul contenuto dottri-nale e attraverso i loro linguaggi ci può esseredistorsione e parzialità.

L’esperienza di questi anni ha dimostrato ilcarattere provvisorio di queste critiche che pro-ponevano come alternativa una comunicazionefondata sui gruppi. A più di 10 anni di distanzada quando sono state lanciate queste accuse diincompatibilità, ci si è forse dovuti ricredereperché si sono costatati a livello di gruppo le in-cidenze dei media.

Un’ultima osservazione riguarda il contributoche la nostra editoria porta allo studio scientificodella comunicazione sociale e alle ricerche traaspetti della fede e comunicazione. Trovano quila loro ragione la ricerca culturale abbinata allaproduzione.

3. ATTIVITÀ APOSTOLICA PAOLINA COME PROGETTO INTERDISCIPLINARE

I riferimenti del Magistero, il contesto dellacultura e della prassi comunicativa mettono in ri-salto che le idee ispiratrici dell’apostolato paoli-no e le sue strategie apostoliche concrete nonpossono essere lasciate all’improvvisazione macostituiscono il risultato di una collaborazione dipersone e di una convergenza di parametri.

3.1. Fondamenti spiritualidella nostra attività apostolica

Poiché il nostro apostolato si inserisce nelladinamica totale dell’evangelizzazione che com-prende la promozione della cultura cattolica el’annuncio salvifico in tutte le sue forme, il pri-mo punto di riferimento per la nostra attività è laParola di Dio che definisce l’atto di comunica-zione, il messaggio e i soggetti comunicanti.

Il nostro apostolato deve anzitutto essereidentificato, programmato e valutato in base al-l’ecclesiologia che consciamente o inconscia-mente abbiamo adottato. Prendiamo, a titolo il-lustrativo, due tipologie estreme forzando deli-beratamente i loro tratti.

Un’ecclesiologia imperniata sulla potestà ge-rarchica sarà facilmente deducibile da una sceltaapostolica che adotta le forme, i contenuti e i di-namismi interni ed esterni della comunicazionein base agli ordini, suggerimenti e divieti dellagerarchia. La bontà delle forme, la fedeltà deicontenuti e la libertà dei dinamismi sono indicatidalla gerarchia che assume così l’assoluta com-petenza comunicativa.

All’estremo opposto, un’ecclesiologia pneu-matica fondata sulle vedute e sulle emozioni diun singolo o di un gruppo monolitico, sarà al-trettanto terrorista. La bontà, la fedeltà e lalibertà di comunicazione sarà misurata in baseal grado di consonanza o diversità con il pensie-

ro insindacabile di un illuminato o di una settaintollerante perché dominata dalla logica delpotere.

Tra questi due estremi, che volutamente ab-biamo solo tratteggiato e preso come esempio,esiste una ricchezza di esperienze ecclesiologi-che che per comodità definiamo: storica, tean-drica, kerygmatica, comunionale, ecumenica, sa-cramentale, escatologica ecc. Ad ogni ecclesio-logia corrisponde una specifica comunicazio-ne editoriale. Sono i presupposti ecclesiologiciche definiscono: le identità dei comunicatori, iruoli e le applicazioni.

* Le identità: Chiesa (società gerarchica per-fetta, popolo di Dio, assemblea dei battezzatiecc.); componenti (Papa, vescovi, presbiteri, dia-coni, laici; clero e fedeli; sacerdozio gerarchico,sacerdozio comune, ecc.); organismi (conferenzeepiscopali, consiglio presbiterale, consiglio pa-storale, assemblee liturgiche, movimenti ecc.).

* I ruoli: docenti, discenti; autorità esclusiva,partecipazione; esecuzione, partecipazione creati-va; ricerca pionieristica, divulgazione della dot-trina comune; ortodossia, pensiero personale ecc.

* Le applicazioni: nella ricerca teologica, nelcollegamento con la Tradizione, nell’espressioneliturgica, nell’omiletica, nella catechesi, nellamorale, nella formazione sacerdotale, nell’im-pegno sociale, nel dialogo con le altre comunitàcristiane, con le altre religioni, con le altre ideo-logie, ecc.

L’indagine sul tipo di ecclesiologia che sot-tende le nostre iniziative editoriali non ha loscopo di dare un giudizio di valore (per con-dannare o esaltare), ma serve a fotografare unaserie di convinzioni spirituali tradotte nei “pro-dotti editoriali”. Può darsi che la gamma delleedizioni non lasci trasparire un’ecclesiologia

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qualsiasi sotto la sua forma “pura”; può darsi sidebba costatare la co-presenza di vari aspetti didiverse ecclesiologie che convivono integrandosio entrando in conflitto.

3.2. Mentalità comunicativae attività apostolica

a. La fisionomia ecclesiologica desunta dallenostre produzioni editoriali può essere analizzataseguendo un altro criterio: le forme, i modelli ele dinamiche della comunicazione stessa.

L’opera editoriale si trova implicata in unavasta rete di forme di comunicazione.

* Una comunicazione con Dio: per ogni ope-ratore di comunicazione e per la comunità di cuifa parte, è la comunicazione con lo Spirito delSignore che stabilisce ogni priorità per identifi-care se stessi, gli altri, le realtà terrestri e i con-seguenti progetti editoriali concreti.

* La seconda forma di comunicazione che af-fianca ogni creazione editoriale è costituita dallerelazioni interpersonali (con i confratelli, con icollaboratori, le relazioni pubbliche). Anchequesta comunicazione può essere verificata pervedere se si fonda sulla fusione, sulla dipenden-za o sul dialogo .

* C’è una comunicazione di gruppo, nella suaforma di piccolo gruppo (6/20 persone) o grandegruppo (oltre 20 persone). In che modo le edi-zioni concorrono ad alimentare la coesione, losviluppo e la leadership dei gruppi ecclesiali?

La comunicazione mediale può aver privile-giato i mass media, i group media e i self media.Naturalmente ogni iniziativa si colloca tenendoconto del panorama della comunicazione me-diale della Chiesa locale o nazionale in cui siopera e dell’ambito più vasto delle comunica-zioni sociali della regione o della nazione nelsuo insieme.

I prodotti di comunicazione tecnologica pos-sono essere un indice fedele di come sono vissutee prese in considerazione tutte le altre forme dicomunicazione (con Dio, interpersonale, di grup-po). Oltre, naturalmente, essere essa stessa (lacomunicazione tecnologica) trasparenza dei di-namismi della comunità dalla quale provengono.

b. Le varie forme di comunicazione nel lororealizzarsi si organizzano secondo modelli stu-diati con attenzione da discipline specifiche: lacibernetica e la semiologia.

* Il modello unidirezionale: dall’emittente alricevente fissando in modo intoccabile il ruolodell’emittente (che ha il diritto dovere di prende-re la parola) e del ricevente (che ha il compito

di ascoltare senza mai poter manifestare in formaefficace il suo parere). È un modello che si sposamolto bene con un’ecclesiologia fortemente ge-rarchica preoccupata della integrità della dottri-na, del rubricismo liturgico, della divisione deicompiti e della sana morale. Va detto che questomodello tra le forme di comunicazione, trova piùconsona quella tecnologica/scritta. È un modelloche pensa di fare appello all’intelligenza dellapersona guidandola con il processo della letturaal quale sottostà la grande fiducia nella convin-zione logica e nella ragione.

* Il modello filtro: dall’emittente ad una seriedi “ripetitori” che captano la comunicazione e lari-diffondono al ricevente. Il messaggio inviatodall’emittente deve fare i conti con un riceventeche può essere diverso da come è stato immagi-nato. Al di là di ogni reazione istintiva, il rice-vente sceglie delle persone come punti di riferi-mento: prima di accettare o rifiutare un messag-gio, il ricevente aspetta che il mediatore traduca,analizzi e si pronunci. Si presuppone qui un’ec-clesiologia molto meno gerarchica anche se restapiramidale poiché il ricevente ricorre a “personefidate” o a “gruppi di riferimento” che egli ritie-ne superiori a qualsiasi valutazione personale. Lescelte editoriali riguardanti l’insegnamento reli-gioso, la catechesi, la vita liturgica, la pastoralespecifica, l’impegno sociale, le scelte etiche, so-no spesso collegate a questo secondo modello dicomunicazione.

*Il modello bidirezionale: non si considerapiù solo che cosa fa l’emittente al ricevente, mache cosa il ricevente fa del mezzo e del messag-gio dell’emittente. Si presuppone un’ecclesio-logia di corresponsabilità, di stessi obiettivi confunzioni diverse ma ugualmente valide. Una co-municazione ottimista, quasi entusiasta e inno-cente, che non conosce la sottigliezza e la poten-za della comunicazione sociale e del potere ef-fettivo di chi li può usare. È una comunicazioneche si vuole dialogo, considerazione, valorizza-zione, partecipazione del pubblico.

* Il modello multidirezionale: l’emittente èuna voce tra tante che il ricevente capta e valutaconfrontandola con tutte le altre. Non ci sonoraccomandati, non ci sono preferenze né distin-zioni di partenza. Il messaggio fa parte dell’opi-nione pubblica. C’è una domanda e c’è un’of-ferta, c’è una concorrenza con la quale misurar-si nei contenuti e nei linguaggi per poter essereascoltati. Vivendo in un contesto di pluralismoe diversità, questo modello multidirezionalepresuppone un’ecclesiologia di “testimonianza”e non “autoritaria”. Il ricevente avanza le sueesigenze, i suoi dubbi; egli confronta e aspira ad

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un’unità nella diversità non all’uniformismo im-posto per ragioni che egli giudica “politiche” enon di radice “dogmatica”.

c. I modelli adottati nelle varie forme di co-municazione ecclesiale che guidano le scelteeditoriali ci conducono all’analisi dei contenuti.

Per la loro caratteristica rappresentativa,l’analisi dei contenuti editoriali può evidenziareun’impresa multimediale di riproduzione o diproduzione ecclesiale e sociale.

I contenuti operano in vista di una riprodu-zione sociale quando sono finalizzati a mantene-re inalterata la situazione di pensiero e le abitu-dini di azione. Il ruolo editoriale è quello di unainiziazione e i recettori sono coloro che si devo-no lasciare iniziare.

I contenuti editoriali che operano invece peruna produzione sociale, hanno l’intento di asse-condare e stimolare la ricerca, di scuotere gliequilibri pratici e le abitudini mentali portandoverso un nuovo assetto di pensiero e di azione. Irecettori sono integrati in modo partecipativo ecreativo.

d. Le scelte editoriali permettono anche unariflessione sui criteri di adozione delle tecnolo-gie comunicative:

* fiducia onnipotente nei prodotti o integra-zione dei prodotti in tutte le altre forme di co-municazione. Ci può essere il desiderio di fornireun mercato di prodotti senza tener conto diquanto si pensa e si fa a livello ecclesiale o laico.

* uso strumentale o rivoluzione espressiva.Non si può passare da un media all’altro con glistessi criteri di gestione, ideazione, realizzazionee commercializzazione. Anche la proprietà deimezzi tecnici o la diffusione sono soggetti a va-lutazioni precise.

* smania di produrre e preparazione ade-guata. Se a volte ci può essere la buona volontàdi adottare nuovi mezzi, non sono scontati i ri-sultati poiché si richiede spesso una formazioneadeguata. Il pubblico non compera, né ascolta néguarda per beneficenza: dobbiamo essere con-correnziali nel captare l’attenzione dei recettori.

* concezione statica e concezione dinamicadelle tecnologie. L’evolversi della situazione lo-cale può consigliare l’opportunità di modificheradicali alle iniziative apostoliche. Il progrediredelle tecnologie può fornire uno stimolo a perfe-zionamenti. Osservare il contesto comunicativoè fondamentale per far progredire le nostre atti-vità apostoliche.

* corsa al possesso di “macchine comunicati-ve” e produzione di contenuti. Vi possono essere

condizioni storiche che favoriscono la proprietàdi tecnologie (radio/televisioni private ecc.). Vasubito precisato che il problema fondamentalenon è l’investimento di capitali, ma la gestionedei messaggi.

* assimilazione di formule di successo e ten-tativi di una comunicazione alternativa. Se è ve-ro che la comunicazione tecnologica nella suagestione finanziaria, nella scelta dei contenuti enelle finalità che si propone ha ormai creato unatradizione di “formule vincenti”, all’occasionestudiate e corroborate dagli studi di marketing,non si può dire che tutto può passare di pesonella comunicazione apostolica senza alcun cor-rettivo. Se è fuori discussione che i criteri di ge-stione aziendale, in un numero crescente di pae-si, permettono la sopravvivenza stessa di impre-se di comunicazione apostolica, è altrettanto ri-schioso pretendere che sia il solo mezzo daadottare a scatola chiusa.

e. Il genere di ecclesiologia scelto, l’analisidelle forme, dei modelli, dei contenuti e dellescelte di comunicazione, devono essere comple-tati con l’individuazione di strategie pastoraliben definite.

Ogni scelta editoriale, all’interno di una pro-grammazione a lunga, media e breve scadenza,deve tener presente la sua finalità specifica: cul-tura cristiana e annuncio di salvezza. Il richiamoagli scopi colloca l’attività paolina all’interno diuna visione universale e particolare di Chiesa.Ecco perché le iniziative devono tener contodelle iniziative della Chiesa nei vari settori (in-clusa, se esiste, quella della comunicazione so-ciale). Il piano pastorale del continente, della re-gione, della nazione e della diocesi costituisconoun quadro di riferimento indispensabile.

Anche la cultura, nella sua forma e nelle sueevoluzioni, contribuisce a delineare la nostra pro-grammazione. L’aspetto particolare della comuni-cazione sociale (livello quantitativo e qualitativo)è da osservare come uno dei “segni dei tempi”.

L’elaborazione di un piano pastorale, unico oarticolato tra i vari media, non può essere la-sciato alla buona volontà di una sola persona. Ènecessario uno studio preliminare dove conflui-scono un massimo di competenze; è poi necessa-rio un accordo che permetta alle iniziative apo-stoliche di essere l’espressione di una comunitànon di un delegato ad omnia.

Non è soltanto questione di stanziamenti eco-nomici o di sopravvivenza editoriale, si tratta diuna progettazione che tratta dei vari modi di unaproposta cristiana:

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- produzioni direttamente religiose studiateper il primo annuncio, l’iniziazione generale, lacatechesi particolare, la vita di fede e l’appro-fondimento spirituale

- presenza di testimonianza in mezzi nonappartenenti né come proprietà né come gestione

a qualche componente della comunità eccle-siale

- produzioni “indirettamente cristiane” poichénon parlano “sempre di religione, ma parlano ditutto cristianamente”, come suggeriva don Albe-rione.

3.3. Conclusione

Le scelte editoriali nei vari media sono pertanto una sintesi oculata e si effettua-no nel contesto del Magistero della Chiesa, nell’ambito della cultura e della prassicomunicativa nazionale e internazionale, sfociando in strategie apostoliche che ten-gono conto dell’ecclesiologia, delle forme e dei modelli di comunicazione, degliobiettivi dei contenuti, delle dinamiche comunicative, della pastorale ai vari livelli,dei vantaggi e dei rischi delle tecnologie di comunicazione sociale.

Di fronte ad un compito così arduo, ricordiamo le parole di don Alberione:“Occorrono dei santi che ci precedano in queste vie non ancora battute e in parteneppure indicate” (CISP, 807).

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D. Manoel QUINTADirettore Edit. EP Brasile

POLITICHE DI UN’EDITORIA PAOLINA

Crediamo che quando il Governo Generale ciha convocati per partecipare a questo Seminario,il I Seminario Internazionale per Editori dellaSocietà San Paolo, voleva offrirci ben più diqualche giorno di studio o un semplice incontrofraterno. L’obiettivo di questo incontro è offrirea ciascuno di noi una riflessione seria sulle no-stre edizioni, a partire dalla nostra realtà, perrealizzare un nuovo impulso di evangelizzazionenella nostra Congregazione.

Non possiamo negare la buona volontà dimolti di noi e dei nostri confratelli, infaticabilinel lavoro quotidiano, ma purtroppo il sacrificioe la buona volontà non sono sufficienti e non cisalvano dalla dispersione, inefficienza, mancan-za di organizzazione e obiettività in relazionealla nostra missione apostolica.

Dio che è Trinità è il garante dell’efficacia delnostro lavoro, tuttavia questa efficacia non so-stituisce la nostra competenza, al contrario lasuppone.

Uno sguardo globale sulla nostra attività apo-stolica ci dà l’impressione (ingannevole?) dellamancanza di un progetto. Molte volte non ab-biamo obiettivi chiari e possiamo avere l’im-pressione che il nostro apostolato non sia cheun’appendice della pastorale della Chiesa dovesiamo inseriti.

Ci sembra inoltre che sia stata dimenticata ladimensione profetica che fa parte del nostro cari-sma, ed infine, ciò che facciamo viene fatto piùper forza d’inerzia che per la nostra creatività.

È innegabile che si faccia molto e bene, comeè anche innegabile che si potrebbe fare molto dipiù se avessimo obiettivi chiari, un programma,e, una cosa che non siamo abituati a fare: la revi-sione.

Non pretendiamo dire niente di nuovo difronte alla ricchezza e attualità dei nostri Docu-menti Capitolari. Forse se questi fossero oggettodella nostra attenzione e avessimo la preoccupa-zione di confermare la nostra vita apostolica ailoro orientamenti, gli obiettivi di questo Semina-rio sarebbero diversi.

Divideremo questa nostra esposizione in dueparti.

La prima sarà più teorica e cercherà di pre-sentare alcuni elementi, o se vogliamo, alcune li-nee di fondo partendo dalle quali possiamo, sevogliamo, elaborare la nostra politica dell’edi-toria. Forse dovremmo dire “politiche dell’edito-ria” e non “politica dell’editoria”: il plurale si de-ve al fatto che siamo convinti che è impossibiletracciare un’unica politica dell’editoria per i nostriUffici Edizioni situati nel mondo intero.

Nella seconda parte presenteremo alcuni ele-menti estrinseci e di ordine pratico che condizio-nano il nostro apostolato e che devono esserepresi in considerazione, parlando di politica del-l’editoria.

Vogliamo inoltre dire che la nostra riflessioneè frutto di esperienza personale, quindi non èqualcosa di definitivo ed è passibile di critiche.

1. Qual è l’obiettivo di una politica dell’editoria per noi Paolini

Per una Casa Editrice laica l’obiettivo di unapolitica dell’editoria sarà, senza alcun dubbio,lucrare sempre più. Per noi, politica dell’editorianon è questo.

Pensiamo che politica dell’editoria significhiin primo luogo stabilire criteri dell’editoria, perrealizzare effettivamente la finalità per la qualeesistiamo, che è evangelizzare.

In secondo luogo, significa anche program-mare e organizzare per passare dalla teoria allapratica.

Sostenendo la necessità di una politica del-l’editoria, vogliamo affermare la necessità di

avere dei criteri per i nostri Uffici Edizioni ecioè programmare la nostra attività apostolica,avere i piedi per terra e non pretendere dievangelizzare in una maniera astratta e super-ficiale.

Affermiamo inoltre la necessità di avere co-scienza che non siamo gli unici impegnati nel-l’evangelizzazione e che non sempre ciò che èbuono è migliore.

Infine, l’obiettivo di una politica dell’editoriaper noi paolini, è avere chiaro cosa significhievangelizzare, chi dobbiamo evangelizzare, chisono i nostri compagni in questo compito dievangelizzazione.

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Classificati gli obiettivi di una politica del-l’editoria, possiamo passare alle linee di fondoche devono orientare le nostre politiche del-l’editoria.

1.1. La maggiore eredità del Primo Maestro

Secondo noi, l’eredità più grande che DonAlberione ci ha lasciato non è la Famiglia Paoli-na, né i mezzi tecnici.

Dietro a tutto quello che il Primo Maestro harealizzato vediamo la sua sollecitudine pastora-le, il suo desiderio di salvare l’uomo. Questa è lamaggiore eredità che lui ci ha lasciato ed è que-sta sollecitudine pastorale che soggiace a tuttociò che ha realizzato.

Possiamo notare che tutti gli scritti del PrimoMaestro hanno come sottofondo questa sua sol-lecitudine pastorale. È molto familiare a noipaolini l’espressione “vigilanza pastorale”.

Possiamo sintetizzare tutta la preoccupazionedi Don Alberione con la frase: dare all’uomo ilCristo totale e l’uomo totale a Dio per mezzo diCristo.

Da qui possiamo dedurre criteri dell’editoriao, se vogliamo, una politica dell’editoria.

Un primo criterio che da qui possiamo dedurreè la priorità che deve avere, in tutti gli Uffici Edi-zioni della Società San Paolo, la Parola di Dio(dare il Cristo totale all’uomo). La priorità del-l’editoria della Società San Paolo deve esserequella di mettere la Bibbia nelle mani della gente,favorendo, attraverso sussidi, l’integrazione tra laParola di Dio e la vita, in modo tale che il popolodi Dio possa orientarsi, leggere la storia e la vitaalla luce della Sacra Scrittura. Questo significache dobbiamo non solo preoccuparci con le edi-zioni dei Vangeli, del Nuovo Testamento e dellaBibbia completa, ma anche offrire alle personestrumenti che diano la possibilità di conoscere dipiù la Parola di Dio ed il suo rapporto con la vita.

Un altro criterio, non meno importante, ci èofferto da Don Alberione quando ci dice chedobbiamo portare tutto l’uomo a Dio per mezzodi Cristo. Niente di tutto ciò che è inerente alladignità e al rispetto dell’uomo è estraneo al no-stro apostolato.

Permettetemi di citare alcuni brani del libroApostolato Stampa che, oltre a confermare lapreoccupazione umanistica del Primo Maestro,rivelano la sollecitudine pastorale ed il sensoprofetico caratteristico del nostro Fondatore.Queste citazioni possono anche servire per esor-cizzare in mezzo a noi una mentalità dualisticaancora molto in voga.

“Smascherare il male è precetto naturale, divi-no, ecclesiastico: poiché è amore all’umanità, è uf-ficio del pastore, è merito innanzi a Dio” (cf G. Al-berione, Apostolato Stampa, Alba, 1933, p. 155).

“Vi sono disposizioni, istituti internazionali enazionali che sono buoni. Occorre siano appog-giati, lodati, corretti, illuminati. Ciò che è buono èda Dio. Per esempio: gli istituti internazionali chetendono ad eliminare i mali: guerra di armi, dieconomia, di spirito: tratta degli schiavi, dellebianche, l’abuso del capitalismo o del proletaria-to, il commercio degli stupefacenti, di libri e teo-rie antisociali..., l’oppressione delle minoranze edelle comunità disgregate, le delimitazioni irra-gionevoli dei confini; oppure promuovere il bene:lo spirito cristiano che è dottrina di verità e leggedi amore universale, fa ovunque sorgere oppureincoraggia iniziative buone: l’opera per l’istru-zione, per la moralità, per la salute fisica, per imiglioramenti nelle relazioni internazionali, per icommerci, per le arti ecc... La legge dell’amore èuniversale.” (Id., ib., pp. 156-157).

È importante inoltre tenere presente che ilPrimo Maestro aveva una predilezione specialeper coloro che vivono ai margini della società.

“...specialmente il soccorso è prima pei piùbisognosi; poiché il pastore, assicurato il greggefedele, corre ed espone se stesso per la pecorellasmarrita. L’apostolo della Stampa preferisce iderelitti che non hanno ospedale che li accetti,come il Beato Cottolengo faceva dei poveretti.Va ai singoli, va alle case, va agli avversari; vaai poveri vergognosi che non osano mangiare ilpane spezzato dal pulpito alla comune dei fedeli;va agli infedeli che ignorano il Padre ed il Figliocon il suo Vangelo e lo Spirito del Padre e delFiglio; va agli insidiati nella fede, per la scuola,per la stampa, per le massime mondane; va aidubbiosi, va agli uomini assorbiti dalle cure digoverno, di ufficio, di lavoro. Ed è l’angelo chea tutti ricorda i destini eterni e le vie del cielo:parla di Dio e del cielo ai figli di Dio che guar-dano solo la terra” (Id., ib., p. 109).

Una politica dell’editoria dovrà prendere inconsiderazione la sollecitudine pastorale, la prio-rità della Sacra Scrittura, l’umanesimo e la pre-occupazione per i più bisognosi. Abbiamo quidavanti delle linee che devono orientare i nostricriteri dell’editoria e che sono, per noi Paolini, labase di una politica dell’editoria.

Se da una parte possiamo dedurre dagliscritti del Primo Maestro i fondamenti di unapolitica dell’editoria, dall’altra questi fonda-menti devono passare attraverso il processo

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dell’incarnazione. Vari condizionamenti o sfideche provengono dal momento storico dovrannoessere assunti e integrati alla politica dell’edi-toria, formando con i fondamenti un tutto orga-nico.

Presenteremo alcune sfide che devono essereintegrate alla nostra politica dell’editoria, se nonvogliamo cadere in un certo idealismo.

1.2. Editoria ed evangelizzazione

Normalmente siamo portati a considerare inostri destinatari come una massa omogenea.L’esperienza, al contrario, ci fa vedere che i no-stri destinatari sono costituiti da una massa ete-rogenea a livello di coscienza ecclesiale, impe-gno cristiano, conoscenza del cristianesimo, ne-cessità e attese. Questo dato empirico ci fa vede-re che le nostre politiche dell’editoria devono ri-flettere una certa pluralità che non significa di-spersione (si deve aver coscienza di che cosa siedita e perché si edita).

Inoltre, il capovolgimento che si è verificatonel mondo dell’editoria, costituisce per noi unasfida. Fino ad alcuni anni fa erano le case editriciche determinavano l’ideologia che si volevavendere. Oggi queste si basano soprattutto sullaricerca e sono le masse, in ultima analisi, chedeterminano quello che la casa editrice devepubblicare. Questo dato non può essere mini-mizzato. Ma, se da una parte possiamo e dob-biamo orientarci secondo le ricerche di mercato,dobbiamo anche essere coscienti che non pos-siamo subordinare l’evangelizzazione a queste.

Pensiamo che non sia superfluo menzionare ilfenomeno dell’inculturazione, contemplato neinostri Documenti Capitolari, e anzi è necessarioquando si prende in considerazione il problemadell’evangelizzazione nella Chiesa.

Un’analisi delle nostre pubblicazioni ci faràvedere che siamo più preoccupati nell’evan-gelizzare coloro che già partecipano della vitaecclesiale (cristiani impegnati, religiosi e cle-ro), mentre poche sono le nostre pubblicazio-ni destinate a coloro che sono lontani dallaChiesa.

Infine, vorremmo ricordare che l’ecumenismofa parte del carisma paolino.

1.3. Editoria e Chiesa

Un altro fattore che condiziona il nostro im-pegno di evangelizzazione è la coscienza chenon siamo gli unici evangelizzatori nella Chiesa.

Oggi le chiese locali cercano sempre più diorganizzarsi pastoralmente a partire da un pianodi pastorale d’insieme con un obiettivo generale,a livello nazionale, piano che è l’elemento di ar-ticolazione di ogni pastorale e che è importantetenere presente. Oltre alla pastorale d’insieme,non possiamo ignorare il cammino del popolo diDio. Ciò significa che nelle nostre scelte nondobbiamo anticipare problemi né trasformareproblemi accademici in problemi del popolo diDio.

Dobbiamo camminare con la Chiesa, perché ilnostro apostolato non sia appena un’appendice, avolte di poco valore, della pastorale, ma questonon ci esime dalla responsabilità che abbiamo difar sì che la Chiesa cammini come serva del po-polo di Dio. È bene tener presente che sia laChiesa che la Congregazione sono strumenti chedevono essere a servizio del popolo di Dio e nondi se stesse.

1.4. L’Editoria e le attese storichedel popolo di Dio

Dopo quanto abbiamo detto, non sarebbe ne-cessaria questa riflessione sull’editoria e le attesedel popolo di Dio.

Evangelizzare è andare incontro all’uomocontemporaneo che incontriamo sulle nostrestrade e che deve preoccuparsi della sua sussi-stenza, salute, abitazione, lavoro, che vuolepartecipare dei beni culturali, che si dibatte conil problema dell’esistenza ed è influenzato dauna società secolarizzata e consumistica. È l’uo-mo che partecipa di una cultura che è sempre ingestazione, incorporando valori e controvalori.Questo uomo contemporaneo non è astrazionefilosofica ed è questo uomo che noi dobbiamoevangelizzare.

Si potrebbe attribuire all’esistenza del pec-cato nel mondo tutto il male che opprimel’uomo contemporaneo. L’affermazione è teo-logicamente valida, ma non dice niente a ri-spetto della natura propria del male in se stesso.Se diciamo che l’ingiustizia è frutto del pecca-to, stiamo usando un linguaggio teologico, mase vogliamo scoprire la natura e i meccanismidell’ingiustizia, questa deve essere analizzatasotto altri punti di vista, non-teologici: il puntodi vista della psicologia, della sociologia, ilpunto di vista storico ed esistenziale, l’aspettopolitico ecc.

Una politica dell’editoria deve supporre que-sta ampiezza e sapere che anche il non-teologicoè parte integrante dell’evangelizzazione.

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2. Politica dell’editoria come strategia di una Casa Editrice

La prima parte della nostra esposizione havoluto evidenziare alcuni elementi indispensa-bili per stabilire una politica dell’editoria. Daglielementi presentati dovrebbero sorgere i criteridell’editoria, le priorità della nostra azione apo-stolica e la nostra identità di Paolini evangeliz-zatori.

In questa seconda parte, vorremmo accennaread alcuni fattori esterni che condizionano la no-stra azione apostolica e che sono fattori di ordinepratico.

2.1. Il fattore economico

Il fattore economico condiziona tremenda-mente il nostro apostolato. Economia ed Editoriadevono essere in perfetto equilibrio. La nostraattenzione deve essere triplicata nelle nazionidove l’inflazione è considerevole.

Per permetterci di stampare libri a prezzi bas-si, dovremmo avere nei nostri cataloghi un certonumero di opere durevoli, che non scadano fa-cilmente. Opere che esigono un maggior inve-stimento, ma che non invecchiano. Queste opereoltre a dare un nome all’Editrice, danno cons i-stenza economica. È una grande illusione pensa-re ad una Casa Editrice che abbia solo libri po-polari; se così fosse questa dovrebbe essere sov-venzionata.

2.2. Il rispetto al mezzo

Per rispetto al mezzo intendiamo la serietà dicome presentiamo esternamente le nostre edizio-ni. Il rispetto al mezzo, nel mondo dei libri, in-comincia nella preparazione dell’originale per lagrafica, scelta di buoni traduttori e presentazionegrafica. Anche se esistiamo già da parecchiotempo, molte delle nostre edizioni ci tolgonoprestigio per come si presentano esternamente.Inseriti nel mercato dell’editoria dobbiamo offri-re sempre il meglio. Il mezzo condiziona il mes-saggio.

2.3. Concentrazione di aree

Alle volte è difficile mantenere un equilibrioe concentriamo la nostra azione apostolica inqualche area lasciandone da parte altre. Una va-lutazione annuale ci aiuterà a correggere possi-bili distorsioni e a prendere coscienza su chi so-no i nostri destinatari.

La concentrazione di aree può impoverire ra-pidamente una Casa Editrice e causare seri pro-blemi alla diffusione.

2.4. Interazione tra i tre momenti

Non è inutile far risaltare l’importanza di unaintegrazione tra i tre momenti del nostro aposto-lato. Sottolinearne inoltre che il momento delladiffusione è il miglior termometro per un mo-mento creativo.

Senza riunioni periodiche è impossibile arri-vare all’armonia desiderata e alla realizzazionedi una vera politica dell’editoria. Il tutto dovreb-be essere assunto da ciascuno di noi.

Inoltre è importante avere coscienza che è laCongregazione che evangelizza, e ciascuno dinoi in quanto partecipe dell’evangelizzazionerealizzata dalla Congregazione.

2.5. Etica dell’editoria

Siamo una Casa Editrice tra le Case Editrici.Il fatto di avere una missione specifica non devefar di noi un ghetto nel mercato dell’editoria.Non siamo esenti dalla professionalità e dal ri-spettare le leggi del mercato che sono oggetto diaccordo tra le Editrici o tra le Associazioni delleEditrici.

I contratti firmati devono essere scrupolosa-mente rispettati. Facciamo parte di un corpo cheè conosciuto internazionalmente; certi compor-tamenti poco onesti compromettono tutto il cor-po e ci screditano internazionalmente.

Dovrebbe essere oggetto di riflessione il no-stro rapporto con le Figlie di San Paolo. Alcunevolte questo rapporto è molto teso e riflette unadifferenza di mentalità nella maniera di intend e-re l’azione apostolica. Altre volte il rapportoapostolico tra noi e le Figlie di San Paolo sifonda su contratti che hanno per base la “tra-dizione orale” o su contratti firmati persino dalPrimo Maestro, ma che non per questo non so-no antiquati. A causa di questi contratti anti-quati, non ci lanciamo apostolicamente e ciaspettiamo a vicenda.

Parlando ancora del nostro rapporto con leFiglie di San Paolo, dobbiamo anche dire che c’èmolta concorrenza tra noi, divergiamo quanto aicriteri dell’editoria, ci dibattiamo, procedendonon molto eticamente, e per ironia della vita ab-biamo lo stesso marchio...

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2.6. Valorizzazione degli autori autoctoni

Vorremmo anche ricordare l’importanza chedovremmo dare agli autori autoctoni. Un UfficioEdizioni dovrebbe prefiggersi l’ideale di avereautori della propria nazione poiché questo rap-presenta vari vantaggi. Oltre ad offrirci una ric-chezza culturale, poiché sono radicati nella cul-tura del proprio paese, ci offrono anche dei van-taggi circa i costi.

Una Casa Editrice, tuttavia, si impoverirebbese si chiudesse in se stessa, ignorando il mondoculturale che esiste oltre i suoi confini.

L’ideale sarebbe avere il 50% di autori nazio-nali e l’altro 50% di autori stranieri. Questo do-vrebbe essere l’ideale, ma nella realtà ci sarannofrequenti oscillazioni tra l’uno e l’altro; ciò nondeve preoccupare ma non deve essere fatto in-consciamente.

Riassumendo quanto detto, crediamo chel’obiettivo di una politica dell’editoria per noi,paolini, significhi evangelizzare l’uomo con-temporaneo nella sua realtà concreta.

Don Alberione ci offre i fondamenti di unapolitica dell’editoria.

Questi però devono passare attraverso lalegge dell’incarnazione (risposte alle sfide del-l’evangelizzazione e del popolo di Dio comerealtà dinamiche) e formare con i condiziona-menti un tutto organico dal quale scaturiscono icriteri per l’Editoria, o se vogliamo, per una po-litica dell’Editoria.

Oltre agli elementi intrinseci, fondamentali eche determinano una politica dell’Editoria, pre-sentiamo anche, quando parliamo di politicadell’Editoria come strategia, alcune sfide di or-dine estrinseco che condizionano e rendono dif-ficile il passaggio dal teorico al pratico.

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D. Antonio TARZIADirettore generale del Gruppo Libri EP Italia

POLITICA EDITORIALE PAOLINA

Carisma fondante

Siamo costituiti in società per una finalità adextra dettata dal secondo articolo delle nostreRegole che suona così: «evangelizzazione degliuomini mediante l’apostolato con gli strumentidella comunicazione sociale».

Non c’è quindi alcun dubbio che ogni opera eapostolato promosso dalla Società San Paolo de-ve su questa finalità registrarsi; questo è il pro-getto comune che ci determina e che giustifica ilnostro essere religiosi nella Chiesa con vocazio-ne particolare.

Quando il 20 agosto del 1914 Don Alberionedava il via alla Società San Paolo «con la specifi-ca missione di diffondere la buona stampa», eglifissava il carisma fondante che ci avrebbe caratte-rizzato presso la gente e nelle Chiese locali.

Dal carisma fondante scende a pioggia tuttauna serie di conseguenze logiche e un ricco pa-trimonio di indicazioni operative.

La sua finalità costituente - lo sappiamo tutti -determina la natura e la stessa struttura organiz-zativa di una società (altro è la Società delle Na-zioni, altro la Società degli Autori ed Editori; cisono le società segrete e quelle a responsabilitàlimitata, quelle a scopo di lucro e quelle di mu-tuo soccorso) e non possiamo certo gestire unasocietà letteraria allo stesso modo di una societàsportiva.

Vocazione e mandato

La Società San Paolo, approvata dalla SantaSede nel 1941 (10 maggio) riceve il 4 aprile1984, con un decreto della Sacra Congregazioneper i Religiosi e gli Istituti Secolari, una rinno-vata approvazione che si delinea chiaramentecome un mandato per tutta la Chiesa: «Fedeli alcarisma del Fondatore, Don Giacomo Alberione,e stimolati dal suo esempio, i Religiosi della So-cietà San Paolo adempiono con generoso impe-gno e gioia la specifica missione apostolica chela Chiesa ha loro affidato».

Portare il Vangelo, portarlo a tutti, comin-ciando dai vicini, ma con aperta predilezione ailontani, ai dispersi, agli emarginati, ai poveri.Portare il Vangelo con coscienza sapendo che èil Vangelo che porta noi: il profeta biblico ol’evangelista non è più grande della parola chepronuncia perché quella è parola di Dio.

La saggezza portata in azienda produce unasana e puntuale gestione fatta di programma-zione oculata e generosa, di verifica periodicae coraggiosa. Dare il Vangelo oggi vuol diredarlo con i mezzi della comunicazione sociale,sposando a pieno la dinamica e le leggi di que-sti strumenti, il che comporta professionalità,preparazione specifica e adeguata, dialogo congli eventuali partner, apertura alla collabora-zione.

Programmazione e professionalità

Dare il Vangelo con un film, con un giornaleo con un libro significa anche adattamento alpubblico oltre che al mezzo e qui fan capolino leleggi sociologiche e statistiche, i ritmi della mo-da e le esigenze di mercato.

Occorre avere una programmazione laboriosae attenta se vogliamo inventare una Bibbia perl’età prescolare, un Vangelo-testo per la scuoladell’obbligo, una Bibbia illustrata, un’edizionecritica, un libro venerabile rilegato con sfarzoper uso liturgico nelle cattedrali o per regalo aglisposi (come i Libri delle Ore con le miniaturemedioevali).

Talvolta la programmazione ci porta a stranigiri nei dintorni e allora la cultura generale di-venta propedeutica alla parola di Dio: le linguedel Medio Oriente, la storia d’Israele, l’ar-cheologia della mezzaluna fertile come i dizio-nari, gli atlanti, le enciclopedie servono a fareopera di dissodamento. Preparano la strada,aprono le orecchie e le menti al messaggioesplicito.

Parola di Dio, Parola su Dio

Il catalogo delle Edizioni Paoline s.r.l. ha piùdi 100 collane (assieme a quelle delle Figlie di S.Paolo sono circa 200) ma se lo osserviamo incontroluce notiamo che i poli attorno a cui ruotala maggior parte delle opere sono due: Parola diDio (Bibbia, Vangelo, liturgia) e parola su Dio(teologia, patristica, religione e religioni, culturareligiosa).

Non corre molto lontano un terzo grande nu-cleo: Storia della Chiesa (dall’edizione scolasticaa quella a fumetti, da quella illustrata a quellacritica fino all’enciclopedia monumentale delFliche e Martin), magistero, catechesi.

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102 - Tarzia

Talvolta una collana nasce per sostenerneun’altra, un libro esce di mercato per pulire ilsettore, un’opera la si programma in perdita per-ché si vuole entrare in un particolare ambiente(es. Il Dio dell’uomo ha fatto da testa d’arieteper la scuola dell’obbligo) e tutte queste sonooperazioni coscienti a volte molto sofferte chevanno sotto il nome di strategie specifiche.

In certe collane più che in certe altre si nota lastrategia spesso nemmeno sotterranea che comeun filo rosso passa da libro a libro (lucida a voltee provocante, talvolta scioccante). È il caso di“Interviste verità”: Castro ha permesso Pimen eun altro libro ora in lavorazione; il Rapportosulla fede di Ratzinger ha provocato la Faticadi credere, il Cristo della mia vita e un altroanch’esso in lavorazione.

Fa parte della strategia la ricerca di nuovi cam-pi apostolici, di settori che si prestano all’eser-cizio di questo nostro mandato con prospettive dirisultati efficaci. La Russia e la sua chiesa cinqueanni fa era molto lontana dal nostro universo EP.Oggi rapporti operativi di collaborazione aposto-lica ci hanno portato a produrre insieme librid’attualità religiosa e pregiate opere per il mer-cato internazionale (es. Mille anni di fede in Rus-sia, Il grande libro delle icone e gli altri tre/quat-tro libri sullo stesso tema, ancora in lavorazione).

Se approfondiamo la storia delle origini dellanostra congregazione e specialmente quella sta-gione carismatica ricca di humus profetico, che vadal 1914 al 1934, notiamo subito che don Albe-rione partito alla grande (nel senso di chiarezza inquanto a carisma e forza profetica nell’orienta-mento di fondo e nella impostazione della struttu-ra) ha delle continue e vistose accelerazioni. Fon-da La Scuola Tipografica Piccolo Operaio parten-do dal Catechismo e dal foglietto domenicale, mapensa subito alle “Vite di santi”, al “romanzoonesto”, alla rivista per le famiglie. Si àncora sal-damente al Vangelo che vuole commentato se-condo le categorie dei lettori a cui si rivolge eproduce Bibbia come pane: a dispense settimanali(la Bibbia delle Famiglie nel 1927) con vendita adomicilio (1925), affrontando il folle progettodelle edizioni in varie lingue (1925).

La sua fantasia manageriale non ha limiti:inventa un Congresso del Vangelo ad Alba,un’esposizione fiera del libro, un treno dellaBuona Stampa...

Terzo polo: la famiglia

E intanto si apre alla famiglia, ai problemidella coppia e dell’educazione dei bambini. Se inventi anni, nel 1935, ha già diffuso tre milioni di

catechismi e due milioni e mezzo di Vangeli, haanche prodotto sedici riviste e con la cartiera co-struita ad Alba può permettersi di mandareavanti le tipografie a pieno ritmo.

La famiglia come microcosmo sociale e sevogliamo il verso laico dell’impegno apostolicoEP. Famiglia come progetto, come realtà orga-nizzata, fino alla sua delega (la scuola) e il suoassociarsi e innovarsi in una chiesa.

A cercarlo, in nuce, tutto questo impegno lotroviamo fin dalle origini e quindi fa parte dellospecifico. Il Vangelo va annunciato ma con rea-lismo “oggi, a questa società, in questa chiesa”.

E qui dobbiamo ammettere uno strano paral-lelo: qualcuno disse “mancarono i popoli a Paoloe non viceversa”. Noi possiamo dire che manca-vano gli uomini, i quadri a don Giacomo Albe-rione e non le idee e le intuizioni. Si può dire chetutto quanto facciamo adesso lui l’avesse già ab-bozzato come programma e spesso iniziato comeopera effettiva.

Organigramma e strutture

Alla programmazione, alle strategie imme-diate, alla politica dei gruppi apostolici e dellastessa Congregazione deve corrispondere un or-ganigramma efficiente.

Se vogliamo essere competitivi non dobbia-mo essere da meno degli altri. E anche ideal-mente il Vangelo, l’apostolato merita quella per-fezione tecnica che rende ottimale il prodotto delnostro lavoro. Il lettore medio, lo spettatore abi-tuale ha ormai una educazione al mezzo che noinon possiamo deludere senza compromettere se-riamente la causa del messaggio. Occorre per-tanto avere una struttura efficiente con personalepreparato (nostro o esterno) così da garantirel’efficacia. Non sempre l’efficienza è proporzio-nata alla efficacia, ma spesso la non efficacia hala sua spiegazione nella inefficienza.

Solo con una struttura forte (il che non signi-fica affollata: bastano sei persone per fare unacasa editrice, ma se tutti e sei sanno solo correg-gere bozze è bene che mettano su una copisteria)si può gestire managerialmente l’attività dandosidegli obiettivi primari (le finalità) delle tappe dipercorso o obiettivi prossimi e questo senza im-provvisazione né rischi al cardiopalma.

Una editoria paolina, una testata di giorna-le, una televisione rappresenta e deve rappre-sentare un nucleo (e possibilmente un movi-mento) culturale e religioso. Al vertice di ge-stione deve far capo un corpo di consulenti fissiper le materie e i settori più importanti o in cuisi lavora di più. La responsabilità va sempre pre-

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Andreatta - 103

sa a pieno come un fardello senza angosciarsi néangosciare ma con quella dose di umiltà che apreal dialogo proficuo e promuove collaborazioneefficiente.

Unità e internazionalità

Non tutte le singole editorie paoline hanno laforza economica della grande struttura, se peròla politica dell’unità per l’efficienza mettesse inatto delle opportune strategie di collaborazionepotremmo senz’altro avere dei risultati imprevi-sti e ottimali in tempi brevi. Pensare e program-mare delle opere insieme significa dividere e ab-bassare favorevolmente i costi.

Un grosso libro illustrato sulla terra santadella collana “I grandi libri fotografici” può co-stare 18.000 oppure 12.000 oppure 9.000 lire acopia: dipende dalla tiratura.

Presentarsi a Francoforte come una piccolacasa editrice significa trovare i cataloghi altruigià scremati e non. riuscire spesso ad averel’appuntamento per proporre le proprie iniziati-ve. Se le EP d’Europa o del mondo cominciano afare un gioco di squadra ne guadagna la causadel Vangelo. Io non credo che il sogno di donAlberione fosse quello di disperderci per il mon-do ma quello di affidarci tutto il mondo con lastessa urgenza che divorava Paolo.

Con la Chiesa universale e locale

Il fatto che lavoriamo con i mass media nonci deve alzare da terra quasi fosse la Società SanPaolo una mongolfiera d’occasione che vive tracielo e terra come le antenne televisive.

La programmazione EP deve calarsi e com-promettersi col mondo, deve vivere i problemidel tempo presente nella realtà storico-sociale incui si vive.

Se la Chiesa ci ha dato un mandato specifico,guai a pensarlo in termini di privilegio o diesclusività. Se altri religiosi operano nei massmedia ben vengano in collaborazione aperta esimpatica: la vigna è unica e i successi degli altrinon ci devono far soffrire.

Qualche volta succederà che dei religiosi cer-cano le nostre strutture per il loro apostolato o leloro necessità di congregazione. Collaborare nondelude quasi mai (in Italia sono nate così alcunecollane: “Educarsi alla salute”, “Medicina do-mani”, “Fondatori e riformatori”) e ci apre spazinuovi di operatività e di simpatia.

Se la predilezione è per i poveri, per i menofortunati, il nostro carisma e mandato ci dice chedobbiamo farci carico di tutti. Farsi tutto a tuttiper la diffusione del Vangelo.

Non sto nemmeno a sottolineare che dobbia-mo viaggiare con la Chiesa locale e soprattuttocon la Chiesa universale. Per noi EP Italia non èdifficile operare in sintonia con Roma ancheperché basta allontanarsi un tantino e arriva su-bito da qualche dicastero la telefonata al superio-re generale...

La Chiesa locale: occorre sposarne le pro-blematiche e le speranze.

In Italia si sta muovendo bene il laicato im-pegnato che va dalla scuola di teologia per laicialla preparazione e missione dei diaconi perma-nenti, fino all’impegno politico e di gruppoideologico.

Le EP non hanno mai fatto politica e questanostra posizione è diventata un emblema.

Per il resto però alla preoccupazione dellaChiesa la realtà EP ha sempre cercato di asso-ciarsi, di compromettersi con visione apostolica.

Alcune collane sono frutto di questa strategia:“Vescovi per la chiesa universale”, “Sinodi delleChiese italiane”, e tante opere; singole comeLaici alle origini della Chiesa, Storia dellaChiesa in Italia, ecc.

Problemi della Chiesa in Italia sono: le setteevangeliche e i testimoni di Geova, le religioninon cristiane e la scuola di religione all’internodell’apparato statale. Le EP hanno varato varieopere su questi argomenti e diverso materiale èancora nei meandri della produzione.

Conclusione

Ogni anno i redattori EP paolini e laici si ra-dunano in una località amena un po’ fuori dellelinee telefoniche e del flusso delle preoccupa-zioni normali e qui si analizza il catalogo, leopere edite, quelle in programmazione e si dia-loga, ci si incontra e scontra sui temi, sulle prio-rità, sulla stessa gestione.

Con frequenza bimestrale poi ci si incontra insede per verificare e mettere sempre più a fuocoi propositi del convegno annuale.

Da questa continua verifica, dal dialogo inéquipe nasce la programmazione ordinaria del-le EP.

Le opere occasionali, quelle che richiedonouna sinergia di promozioni, un impegno di capi-tali molto elevato, hanno un iter più complesso ele decisioni prese dalla Direzione sono spessopre-avvallate dal Consiglio di Amministrazionee dai responsabili dei settori commerciali: è ilcaso dei dizionari (una collana fortunatissima edi prestigio) o delle enciclopedie (da quelle perla scuola a quelle per la famiglia e quelle espli-citamente religiose).

Grazie per l’attenzione.

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D. Stefano ANDREATTADirettore di Jesus e Vita Pastoral

PER UNA POLITICA DEI PERIODICI

François Mauriac, in visita a Venezia, venneaccompagnato una volta nella sede patriarcale,dove il segretario dell’arcivescovo gli mostrò lostudio e le stanze occupate dal cardinal GiuseppeSarto. Di quella visita il grande autore franceselasciò scritto: “Nascondo la mia mancanza diemozione: ognuno ha i suoi santi. Questo non èdella mia parrocchia. Lo invoco tuttavia: San PioX, prega per gli altri” (Bloc-notes p. 198).

Pensando a Mauriac, lo stesso mi vien da diredell’Alberione presentato e interpretato (ad usointerno ed esterno) da buona parte della pubbli-cistica paolina: Questo Alberione non è dellamia parrocchia. Forse lo è stato in un passatoimprecisato. Non adesso.

Vi è uno scarto netto tra ciò che il fondatore hascritto ed è riuscito a teorizzare - e che noi filtria-mo col successivo e tardivo magistero della Chiesa- e ciò che invece ha fatto, ha progettato, ha sugge-rito, corretto, rifatto, soprattutto in corpore vili.Cioè nei vari tentativi pionieristici dei suoi figli.Tentativi a volte arditi e avanzatissimi (spesso inposizione dialettica o conflittuale con la gerarchiao con certi principi da lui stesso enunciati).

Non basta ricostruire il divenire della SanPaolo con le sue espressioni storiche. La Con-gregazione deve poter disporre di strumenti diconoscenza e di riferimento per una riflessionemeno abborracciata sulle strategie alberioniane(attuate o solo abbozzate) nel loro proporsi, mo-dificarsi ed evolversi.

Se è vero che è stato il settimanale Gazzettad’Alba ad “aprire la porta, alla quale bussava in-vano da anni” l’Alberione - come scrive donRolfo - e i nostri periodici, sin dal 1931 (intendoi più significativi), con i loro ritmi inesorabili el’aggancio all’attualità, hanno ispirato la formu-la: “Fare apostolato con i mezzi più celeri ed ef-ficaci”, è anche vero che in larga parte la vitadella Famiglia Paolina ha mutuato una sua filo-sofia apostolica e un suo stile di vita religiosaesclus ivamente sul libro.

Dalle tipografie (quasi in ogni casa) alle libre-rie, la Congregazione si è ritagliata ritmi “rassi-curanti” (ad intra e ad extra) per nulla ispirati alleesigenze proprie della pluralità dei media, so-prattutto di quelli più in consonanza col fine, eproiettati nel futuro: periodici prima e audiovisivipoi. Come invece avrebbe imposto quello sfer-zante: “Ricercate i mezzi più celeri ed efficaci”.

In Italia solo Alba e Roma, in illo tempore,stampavano riviste e soffrivano i ritmi martel-lanti imposti dalle rotative con i settimanali e imensili (Famiglia Cristiana, la Domenica , ilGiornalino, Madre di Dio, Orizzonti).

Dico “soffrivano” perché ben presto Roma sitolse Orizzonti, che era il dente dolorante (ancheper i contenuti esemplarmente all’altezza dei“segni” nuovi del Concilio), rientrando così neltran-tran generale.

Alba resistette e produsse questa anomalia, cheè il complesso dove ci troviamo, anomalia chedoveva invece costituire la politica o una delle li-nee politiche portanti della San Paolo (in Italia).Cioè Alba produsse “Milano”, il Gruppo Periodi-ci, facenti perno attorno a Famiglia Cristiana.

E il Gruppo Periodici ora offre la sua espe-rienza; indica linee e mezzi per una riorganizza-zione degli altri settori apostolici.

Fuori d’Italia si è riproposto il medesimo con-flitto nel cuore delle comunità, con puntuale pe-nalizzazione e resa dei periodici, vere ceneren-tole nel panorama editoriale paolino mondiale,salvo fortunate eccezioni

Le alterne vicende delle varie testate sorelledi Famiglia Cristiana - condizionate spesso damiopie d’ordine economico e strutturale - dimo-strano, a mio avviso, quanto noi siamo carenti distrategie o se si vuole di “politiche” per quelloche riguarda la collocazione dei nostri massme-dia nel vissuto della Congregazione, prima, e poidella Chiesa. Di questa Chiesa alle soglie del2000.

La maggioranza dei paolini - e vorrei qui es-sere subito contraddetto - non si è ancora sgan-ciata dalla forma mentis indotta da uno solo deimedia, il libro.

Anzi, se dobbiamo stare al pensiero dell’Al-berione, larga parte della San Paolo vive in unasituazione di stallo puro e semplice. Infatti, giàdecenni fa, per il fondatore il periodico era “piùutile del libro - sono parole sue - perché il perio-dico arriva tutto l’anno o settimanalmente omensilmente, e porta quindi ripetutamente, tantevolte l’anno, la Parola di Dio a casa. Poi il pe-riodico, essendo cosa più aggiornata, più interes-sante è più facilmente letto” (da una predica).

Questo va richiamato senza nulla togliere allibro, ma solo per rimarcare la proiezione inavanti della Congregazione.

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I PERIODICI - CONTENUTI E STRUTTURE

Sulla scorta dell’Inter Mirifica e soprattuttodella Communio et progressio, apriamo subito ildiscorso sulla specificità propria del giornale,della rivista, cioè sugli aspetti che, a mio avvi-so, sono più disattesi.

Non nascondiamocelo: la mentalità del libro,più consona ad una certa filosofia e strutturadella vita religiosa pre-conciliare, ha plagiato iperiodici proprio nei due aspetti più delicati.

1) Nei contenuti.

Questi devono essere provocati e condizio-nati da quanto avviene qui in questa porzione dimondo, in questa Chiesa, cioè dall’attualità.

Un discorso qualsiasi che venga “dal di fuo-ri”, dal di sopra, e cada su lettori che non sonosintonizzati, “che non se l’aspettano”, sfiora lamassa e fallisce lo scopo.

La catechesi o pre-catechesi del periodiconon è una sovrastruttura, ma va cavata dal cuoredegli avvenimenti, nell’ottica di un camminofatto con la Chiesa, certo, ma nella santa libertàdei figli di Dio (CP n. 114-115).

Alcune nostre riviste nascono a tavolino o, almassimo, alla finestra, e vengono gestite come illibro, scimmiottando la catechesi a dispense. Eallora “è peggio - cito don Zilli - che offrir dabere a chi non ha sete, oppure offrirgli una be-vanda non richiesta o che magari provoca di-sturbi gastrici”.

Se il libro, la collana sono pensati, diretti inufficio, la rivista nasce tra la gente: “Altro è illinguaggio dei Mezzi di comunicazione - ci ri-corda la Communio et Progressio - e altro èquello del pulpito. E non si insisterà mai abba-stanza sulla necessità di assicurare ai programmireligiosi di questi strumenti la eccellente qualitàraggiunta da quelli profani”. E cioè, fa capire ildocumento: se la gente si vedrà “servita” comemerita e come tutti gli editori oggi fanno, nonc’è dubbio che risponderà.

Ma “la tentazione perenne è quella di sfug-gire alle regole del giornalismo per rifugiarsinelle acque calme della devozione, o della ca-techesi pura e semplice; perché il vero giornaleè tanto più esigente e rischioso, certo più com-promettente del libro e del foglio devoto” (donZega).

Certi numeri di qualche nostra rivista sonointerscambiabili: potevano uscire sei mesi pri-

ma, come possono uscire sei mesi dopo. Questaè una situazione di coma del settore periodici. Ilmondo cattolico - è noi per primi - smetteremodi piangere sulla sorte della nostra stampa solo“quando decideremo di tener conto in manieraonesta della natura del giornalismo in se stesso”(don Zilli).

2) Nelle strutture di base .

La riuscita di una rivista si ha in una correttaorchestrazione di tutti i vari momenti. È l’altroaspetto della medaglia. Il sempre troppo di-menticato Alberione, nei vari tipi di edizioni emass-media, individuava il momento creativo-redazionale, il momento produttivo-tecnico , ilmomento diffusivo-promozionale.

La debolezza congenita del nostro settore pe-riodici sta nella mancata orchestrazione dei tremomenti chiave, del loro coordinamento, del ri-spetto delle competenze e della professionalitàsia dei confratelli, sia dei laici (intendo “gliesterni”).

È triste vedere come qui e lì funziona solo laredazione, ma staccata dal resto; il direttore cheritiene esaurito il suo compito quando manda glioriginali in tipografia. In certe comunità poi si èfatta terra bruciata intorno alle riviste e a chi vilavora - mettendo certi confratelli in quarantena,ai margini della comunità - con pretesti assurdi(che vanno dalla vita comune, alla presenza ne-gli “ambienti religiosi” di laici, per finire conquestioni di ordine amministrativo). Quanti eco-nomi e superiori, lasciati a se stessi da Governiprovinciali e centrali acquiescenti, sono all’ori-gine della più che disastrata situazione del setto-re periodici!

L’impressione generale è che ci si affidi aduno spontaneismo , che premia o penalizza, a se-conda dei casi, comunità e persone, con esem-plare durezza.

Solo due cose i mass-media non perdonano,scrive Bovio: presunzione e approssimazione (cfOrientamenti appendice n. 35).

Ma succede anche che, per opportunismo,certe pubblicazioni vengano orientate d’im-perio, dall’alto, da molto in alto (si veda ilcambio radicale avvenuto per la Familia Cri-stiana argentina) senza che, anche in ciò, sipossa intravvedere una qualche linea di strate-gia editoriale.

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COLLOCAZIONE DEI PERIODICI - AMBITI ECCLESIALI

Nel servizio apostolico, aperto per i 360°,secondo il tuttismo dell’Alberione, dobbiamochiederci in che ambiti si collocano i periodici inrapporto alla realtà socio religiosa dei Paesi incui operiamo e in rapporto alla gerarchia. Infattiil margine operativo (contenuti, pubblico, mezzi)è di tale ampiezza che deve indurre la San Paoloa poche e ben mirate scelte. E allora la domanda:dove ci troviamo effe ttivamente?

1) Nell’ambito “garantito” della ripetitività edell’ufficialità della dottrina? (catechesi, liturgiaspicciola, pastorale). Quante delle nostre pubbli-cazioni - su questa linea del consenso di comodo- preferiscono porsi alla destra del Padre? Scon-tiamo ancora troppi peccati del passato: mancan-za di parresia (franchezza evangelica: 1 Ts 2,2),linguaggio servile dai toni enfatici, adulatori ver-so il Magistero, o meglio, verso il protagonismodi certi Pastori; tendenza a fornire linee e mo-delli di comportamento appiattiti sullo statusquo, a scapito della ricerca, della creatività, dellalibertà, del sensus fidei del popolo di Dio. Invecedi navigare in mare aperto, di “fare opinione” eaprirci a tutti gli apporti delle esperienze eccle-siali nazionali e sovrannazionali (CP nn. 25-45)prendiamo atteggiamenti difensivi, arroccandocidentro rassicuranti ambiti di pensiero, di lin-guaggio chiesastico.

Ci dice l’Inter Mirifica : “La stampa specifi-camente cattolica è tale non tanto in ragionedella sua dipendenza all’autorità ecclesiastica,quanto piuttosto in virtù dello scopo ultimo perraggiungere il quale viene fondata”. Chiediamo-ci allora: l’Alberione che finalità ha dato o da-rebbe alle nostre pubblicazioni? Nelle varie na-zioni quali opportunità di scelta vengono offertedalla pastorale d’insieme della Chiesa in cui vi-viamo?

2) Positivamente: ci poniamo nell’ambito delvissuto del popolo di Dio, secondo la vera po-tenzialità dei mezzi, accettando in pieno le re-gole del gioco: testimonianza del carisma nellaprofessionalità dell’uso dei mass media; dialogocon tutte le realtà ecclesiali ed extraecclesiali,opzione preferenziale per il magistero del Con-cilio (CP n. 138)?

Non so quanto si tenga presente che noiPaolini, per carisma del fondatore e per man-dato pontificio, dobbiamo essere trainanti edesemplari nell’uso dei media, soprattutto col

rispettare e promuovere al massimo le loro po-tenzialità. Il che significa - in termini netti esgraditi ai più - che il primo apostolato nellaChiesa e per la Chiesa è la ricerca e la scuoladella professionalità, che non è sterile mestiere,ma parte integrante dei contenuti; cioèl’ossequio primario alla “Buona Novella” cheveicoliamo (CP n. 140). Tolto questo “specificopaolino”, noi non abbiamo ragione d’essere.

Il tuttismo dell’Alberione, cioè lo “spezzare ilpane della verità”, di tutta la verità per tutti gliuomini, come faceva San Paolo, impone anchescelte di livelli:

Primo livello: pubblico di lettori inteso comepopolo di Dio, nella sua globalità e complessità,nel rispetto del pluralismo sociale, politico, reli-gioso (diciamo periodici stile F. C.).

Secondo livello: servizio di Mediazione cultu-rale per i laici maggiormente preparati ed inte-ressati ad un approfondimento del discorso so-cio-religioso (stile Jesus, in Italia).

Terzo livello: servizio in settori specifici: cate-chismi, pastorale, Bibbia o liturgia (come Cate-chisti, O Domingo, La Domenica, Vita Pastorale).

Anche qui una domanda: chi e secondo qualicriteri opera le scelte dei diversi livelli? Dove eperché si è copiato pedissequamente quanto si èfatto in Italia?

Il pluralismo, la varietà dei carismi impongo-no complementarietà e sussidiarietà. Ci chiedia-mo allora: qual è il nostro rapporto con le altrepubblicazioni locali della Famiglia Paolina, o dialtre Congregazioni religiose? E, in merito aicontenuti, a quali “agenzie di significato”, centridi cultura, personalità, orientamenti del magiste-ro, facciamo riferimento?

La Chiesa universale - lo sappiamo - sta vi-vendo un difficile momento di “pausa riflessiva”(dice Ratzinger), se non di vera e propria involu-zione. I mass media cattolici godono nella Chie-sa meno libertà di 5-10 anni fa. Si fanno sentirevari tipi di censura, di intimidazioni, più o menoaperte. La situazione varia naturalmente secondola temperie ecclesiale delle diverse aree socio-politiche.

Domando: si sono concertate strategie per ilnon facile momento, individuando tendenze,possibili linee di comportamento in accordo conaltre forze ecclesiali? Noi, in Italia, abbiamo unprezioso punto di riferimento nei Gesuiti di Ci-viltà Cattolica e in pastori come i cardinali Mar-tini e Ballestrero.

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RAPPORTI TRA I PERIODICI

Un’ultima parola - forse scontata, data la fi-nalità del convegno - sulla collaborazione tra pe-riodici paolini.

Qualche anno fa si è tenuto un incontro aMilano tra rappresentanti di varie testate. E siè constatata la difficoltà e spesso impossibilità,di collegamenti, di scambi informativi, che va-dano al di là della richiesta di materiale pub-blicato (soprattutto dal Gruppo Periodici diMilano).

Come è iniziato un discorso tra le EdizioniPaoline Libri, così si dovrebbe trovare una formameno aleatoria di contatti tra le riviste e non solotra riviste paoline.

Non dico di creare una agenzia interna (cir-cola già tanta carta inutile), ma uno scambio dimateriale, di programmi, - soprattutto all’internodi gruppi linguistici omogenei - che informino suservizi di un certo interesse, e su tutto quantopuò essere utile.

Noi di Jesus , per esempio, abbiamo un buonrapporto di collaborazione con riviste francesi,quali l’Actualité Religieuse e ora la Vie Catholi-que: ci trasmettiamo tempestivamente fotocopiedel sommario e a volte degli impaginati. Ovvia-mente questo discorso è più facile per un men-sile. Ma, se non vado errato, le nostre pubblica-zioni sono per lo più mensili.

Sarebbe interessante infine sapere in che rap-porto stanno le pubblicazioni paoline dei singoliPaesi con gli Uffici Nazionali delle Comunica-zioni sociali. Per l’Italia l’interlocutore privile-giato sembra essere il S. Uffizio.

A questo riguardo non sarebbe male avanzareuna richiesta formale alla S. Sede perché tuttoquello che è di pertinenza dei mass media (inter-venti censori e affini) passi tramite la PontificiaCommissione delle Comunicazioni Sociali o gliUffici Nazionali (cfr. CP n. 171, 186 e n. 86 e87), supponendo e sperando maggiore compe-tenza e sensibilità.

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D. Eligio ERMETIDirettore generale del Gruppo Audiovisivi EP Italia

LA POLITICA EDITORIALE AUDIOVISIVA IN ITALIA

Il gruppo audiovisivi, nato il 1° gennaio 1987,comprende cinque attività: cinematografica-televisiva-radiofonica-musicale-editorialevideo.

Questa identificazione attraverso gli strumentiutilizzati non deriva da una sopravvalutazionedei mezzi rispetto ai messaggi, ma semplice-mente dal fatto che al momento della sua crea-zione il gruppo comprendeva quattro di questitipi di strutture che andavano assunte. Dico que-sto anche per introdurre il “condizionamento sto-rico” come categoria che talvolta spiega certescelte apostoliche piegandole in direzioni chenon avremmo mai imboccato se fossimo potutipartire da zero.

Queste cinque attività spaziano un po’ su tuttol’arco dell’audiovisivo e ne comprendono un po’tutte le problematiche, sicché diverse sono anchele strategie editoriali come diversi sono i conte-nuti, i linguaggi, i destinatari.

Dovessi identificare un primo elemento checaratterizza il nostro atteggiamento in rapporto aidestinatari direi questo:

- A parte i mezzi che già lo presuppongonoper loro natura, come la radio e la televisione,stiamo operando un grosso sforzo per produrreprogrammi cinematografici, musicali e video chesi rivolgono non più soltanto al pubblico dei cri-stiani che ci è culturalmente e spiritualmente vi-cino, ma anche al grande pubblico che compren-de i lontani. Quando dico grande pubblico nonintendo semplicemente identificarlo con il desti-natario del mass-medium contrapposto a quellodel group-medium (il pubblico del nostro 16 mmera un grande pubblico, ma prevalentemente vi-cino alla comunità parrocchiale), intendo invecequel magma di persone dalle mille diverse espe-rienze, sensibilità, intelligenze, aspirazioni, fo r-mazioni culturali che sono la gente, cioè il luogonel quale va a dirigersi il grande e complessoflusso della comunicazione.

E lì che si confrontano e si saggiano i valori, èlì che le proposte entrano in concorrenza tra di lo-ro. E lì la vera frontiera della evangelizzazione.

È in questa prospettiva che va letto il ritornoalla grande produzione cinetelevisiva (abbiamoin cantiere diversi progetti che procedono fati-cosamente, ma sicuramente), la creazione dinuove etichette discografiche, l’edizione di vi-deocassette non solo di catechesi o di cultura

religiosa, ma anche “educative”, rivolte allascuola.

- Una seconda caratteristica della nostra po-litica editoriale riguarda la scelta dei mezzi. Hogià detto come l’eredità storica ci abbia cond i-zionati.

Il mezzo cinematografico , in crisi in quasitutto il mondo nel suo modo principale di frui-zione, cioè la sala, ma valorizzato (pur con tuttele limitazioni e le mortificazioni) dalla televi-sione, ci interessa non come terminale primariodi una produzione di programmi, ma come de-stinazione di utilizzo che si integra con losfruttamento televisivo e poi ricasca sul video(da mass-medium a group-medium e a self-medium). D’altra parte è evidente la vocazionedei mezzi a far parte di un sistema integrato dicomunicazione, e l’atteggiamento dei grandieditori è indicativo.

Valga un esempio per tutti.Berlusconi, lanciatosi nella comunicazione

partendo dalla televisione, nel momento in cui siè reso conto che gli servivano più programmi epiù caratterizzati di quanti potesse comprarne, èentrato massicciamente nella produzione difìlms, oltre che di show o di quiz o di rubrichevarie. Ma ecco che il film acquista valore televi-sivo solo se ha avuto un buon successo di distri-buzione in sala. Da qui l’idea di acquisire sia unasocietà di distribuzione (la Medusa), sia ungruppo di sale (le sale Cannon, già Gaumont).Per poi valorizzare al meglio in termini di im-magine e di critica i suoi programmi presso ilpubblico, ecco l’acquisto del più diffuso setti-manale televisivo (Sorrisi e Canzoni) e la crea-zione di un mensile ad hoc (Ciak).

La storia della nostra esperienza cinematogra-fica è tutta incentrata sulla fase della edizione difilm in 16 mm e sulla loro distribuzione nel cir-cuito di sale parrocchiali.

Un piano integrato dei media è sempre parsotroppo lontano dalle nostre possibilità finanzia-rie. Anche ora non è alla nostra portata, se lo vo-gliamo assumere integralmente, sicché scartatada sempre l’eventualità di possedere sale, supe-rata negativamente l’esperienza di una distribu-zione in 35 mm (recentemente ci abbiamo pro-vato con Thérèse), ci orientiamo alla produzionedi programmi seguendo tassativamente la prassidella coproduzione e della prevendita.

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Non girare niente che non sia finanziaria-mente coperto in partenza: questa è la via sullaquale intendiamo muoverci, che ci garantisce aun tempo da avventure economicamente falli-mentari e dal rischio di produrre programmi chenon abbiano respiro internazionale.

Per quanto riguarda la televisione , è noto ilfenomeno italiano delle televisioni private. Essoha dato origine a network, syndication e piccoletelevisioni locali. Telenova, la nostra televisio-ne milanese, è una TV locale con un bacinod’ascolto di nove milioni di abitanti. La nostralinea editoriale è di farne un’emittente semprepiù legata al territorio, e dunque alla Chiesa lo-cale, e insieme proiettata verso le più vaste di-mensioni nazionali attraverso la formula dellasyndication (un gruppo di programmi da tra-smettere in comune con altre TV) della qualeporsi come leader e punto di riferimento.

La formula della syndication è quella che piùci piace perché soddisfa insieme le condizioni disopravvivenza delle antenne (pubblicità nazio-nale) e la loro autonomia e località. La nostrasyndication è già nata e si chiama Cinquestelle.Accanto alla televisione opera una struttura diproduzione televisiva. Nata per servire l’antenna,ha presto mostrato, nelle esigenze di continuoallargamento degli organici e aggiornamento de-gli impianti elettronici il rischio insito nel pos-sesso di strutture quando sono strutture di“service”. Rispetto al problema delle strutture,dei canali di comunicazione e dei programmi, lanostra linea politica è la seguente: priorità asso-luta ai programmi, in secondo piano i canali dicomunicazione, in terzo piano le strutture, masolo per il minimo indispensabile.

Sulle radio (ne abbiamo due: Novaradio Mi-lano e Radio Sole Catania) il nostro progetto è dienfatizzare il carattere locale e di renderle ident i-ficabili per la proposta alternativa che presenta-no, quella di essere cioè, in un mare di radio-juke box, puntate esclusivamente alla musica,delle radio di contenuti e di valori.

Il mezzo disco e audiocassetta è forse quellopiù in crisi, vivendo la canzone un difficilemomento di passaggio da espressione artisticad’autore a oggetto di consumo imposto dallemultinazionali. Qui il nostro sforzo è quello ditrovare nuove strade in una integrazione con altrimezzi come la televisione.

La videocassetta , ultima nata tra gli stru-menti più celeri ed efficaci che don Alberionenon poté conoscere, è da noi assunta con parti-colare impegno non perché sia un mezzo parti-colarmente rilevante ai fini dell’evangelizza-zione, ma per altri motivi quali ad esempio ilfatto che più agevolmente si prestava ad una ri-conversione della vecchia struttura produttiva edistributiva del 16 mm e perché rappresenta ilpunto d’attacco meno difficoltoso e meno di-spendioso per chi voglia iniziare ad occuparsi diedizioni audiovisive.

Purtroppo in Italia esiste un grosso handicapche fa sì che nel nostro catalogo siano ancorapresenti pochissimi programmi prodotti da noi: ilfatto che il mercato non è in grado di ammortiz-zare i costi di una produzione ad hoc.

Caratteristica di tutte le nostre videocassette èl’integrazione con la scrittura: ogni cassetta con-tiene una scheda che guida l’insegnante o co-munque l’animatore ad un suo uso corretto.

Quanto ai messaggi

Benché tutti i nostri messaggi attengano inmaniera più o meno diretta all’evangelizzazione,essi sono molto diversi a seconda del mezzo uti-lizzato.

A forme di vera e propria catechesi in certevideocassette (stiamo preparando la versioneaudiovisiva del catechismo dei fanciulli), incerte audiocassette o in certe rubriche televisi-ve, si contrappongono messaggi televisivi o ci-nematografici che apparentemente sembrereb-bero non avere attinenza con la nostra missione.Ma è nostra convinzione che anche solo unapresenza identificabile come cattolica in uncontesto di confronto culturale è già il segno diuna presenza di Dio se non altro come proble-ma, come scandalo nel senso della pietra d’in-ciampo.

Sempre ed esasperatamente la nostra linea èquella di estrarre ed evidenziare in ogni realtà, inogni fatto e persona, in ogni idea quello che èvalore, positività, anche se ciò può far correre ilrischio di coonestare anche ciò che è negativo.Ma tale rischio è il rischio dell’incarnazione e vaassunto come lo assunse Cristo.

Siamo anche convinti che le leggi del mezzocondizionano in maniera determinante il tipo dimessaggio e l’evidenza della sua qualità evange-lizzatrice. Così non sarà mai possibile, se non incasi eccezionali (per esempio in tempi deputaticome il Venerdì Santo o la notte di Natale e diPasqua) passare in televisione programmi di di-chiarata evangelizzazione in ore di grandeascolto. A meno che il messaggio non venga in-carnato in storie drammatizzate.

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Noi crediamo che sia questa la grande chancedell’evangelizzazione attraverso i mass media,quella di reincarnare in vicende immaginariel’esperienza della Parola e della Grazia che si èincarnata in Cristo e che dovrebbe essersi incar-nata in noi.

Ciò aderisce perfettamente alla natura delmezzo audiovisivo che è quella di non trasmet-tere se non messaggi concreti, fatti di immaginie di suoni, ma aderisce perfettamente anchealla missione di ogni cristiano che è quella di

ripetere il Vangelo non come vuota parola, macome pagina che è diventata carne, viva espe-rienza.

È chiaro che una simile proposta della Parolanon ha niente a che vedere con la forma scrittadi cui non possiede la univocità, la determina-zione, la lucidità logica, la completezza; incompenso avrà caratteristiche non prive di unaloro ricchezza: la pregnanza di connotazioni, lacapacità di evocazione, la forza di stupire ecommuovere.

Linguaggio

Un’ultima nota su quella che è la nostra poli-tica rispetto al linguaggio.

Sono convinto che quella del linguaggio siauna delle sfide più impegnative e più determi-nanti lanciate alla Chiesa dalla società di oggi.Se forse nel libro (ma meno nella rivista) il pro-blema si può ancora aggirare illudendosi diaverlo risolto, ciò non è possibile nell’audio-visivo dove l’esperienza di tramutare i concettiin immagini e suoni, in storie e personaggi ci co-stringe a verificare la consistenza dei nostri pen-sieri e la loro tenuta sul piano del vissuto. Ciò fasì che sempre più rari siano i traduttori del-l’esperienza cristiana in immagini palpitanti. Ilmio terribile sospetto è che una fede che non rie-sce ad immaginare situazioni d’incarnazione siauna fede campata in aria.

Ma esiste anche un altro problema: l’incapa-cità del recettore a leggere nell’audiovisivo, siaesso cinema o TV, aldilà della pura materialitàdelle cose rappresentate. C’è, cioè, una tale im-preparazione alla lettura dell’immagine, anche inchi ha compiti magisteriali, che diventa soventeproblematico attenersi alle regole linguisticheinterne al mezzo.

Ciò capita in modo particolare allorquandol’audiovisivo deve servire alla catechesi, sicchéil nostro piccolo gruppo redazionale si ponespesso il dilemma se sia meglio un corretto lin-guaggio non comprensibile piuttosto che un lin-guaggio comprensibile anche se non ortodosso.

Una osservazione particolare meritano le im-plicazioni del linguaggio in relazione alla possi-bilità di produrre insieme, paolini di diversi pae-si, audiovisivi per i lavori di gruppo siano essivideocassette sulla Bibbia o su argomenti reli-giosi e formativi di comune interesse.

La mia esperienza mi ha insegnato che, men-tre restiamo alquanto impassibili alle forme dicolonizzazione quando si tratta di spettacolo,non sopportiamo nel group-medium connotazio-ni che lo riferiscono ad altri ambienti geografico-culturali.

Ciò rende molto difficile individuare soggettirealizzabili per ambiti locali diversi. Forsel’unica forma possibile è quella del cartone ani-mato non realistico.

Per chiudere da dove sono partito, vorrei lan-ciare a tutti voi che provenite dai vari paesi delmondo paolino, quella che secondo me potrebbeessere la forma migliore di collaborazione inter-nazionale sull’audiovisivo.

Poiché noi siamo convinti che il futuro dellapresenza paolina nel grande flusso della comuni-cazione si gioca soprattutto sulla nostra capacitàdi produrre grandi programmi cinetelevisivi;poiché noi siamo convinti che grandi programmicinetelevisivi si possono produrre solo racco-gliendo idee e risorse in tutto il mondo; poichéfare programmi non richiede strutture, ma laconvergenza di interessi su progetti convincenti,vi chiedo: perché non organizzare una Sampao-lofilm International fatta esclusivamente di puntidi riferimento non dico per nazione, ma almenoper aree linguistiche? Serve solo per ogni zonaun paolino intelligente, sensibile ai problemidella comunicazione audiovisiva, capace di rela-zioni con le televisioni del paese (o dei paesid’area linguistica) o comunque con gli operatorid’audiovisivo ai quali proporre progetti o daiquali raccoglierne per farli circolare.

Su questo argomento vorrei preparare un pro-getto dettagliato perché ritengo la cosa meno dif-ficile e complicata di quanto può sembrare aprima vista.

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Rag. Giuseppe BARRANCO

ORGANIZZAZIONE E GESTIONE AZIENDALERegole generali di conduzione di un’impresa

Le specifiche politiche editoriali paoline sonostate definite nei loro aspetti tipicamente istitu-zionali e professionali dagli oratóri che mi hannopreceduto.

Mi auguro di apportare in quest’aula il con-tributo tecnico necessario a descrivere l’habitatdi cui queste politiche hanno bisogno per realiz-zarsi e realizzare i fini per cui sono state conce-pite.

L’azienda potrebbe essere vista come uninvolucro che avvolge tutta l’iniziativa im-prenditoriale e l’attività professionale che nederiva.

Un involucro che consenta di disporre di tuttii mezzi tecnici per operare:

— mezzi strumentali— uomini— organizzazione— informazione.

Ogni singola attività si esprime così in unacellula di un sistema economico più complesso:l’impresa.

Impresa è quindi un complesso di beni, dimezzi e di uomini coordinati per il raggiungi-mento di uno scopo nell’interesse prevalente delsuo soggetto.

L’impresa poi può essere industriale o com-merciale a seconda che sia presente o meno lafase di trasformazione.

E certamente quella industriale quella chepresenta le maggiori complessità organizzative edi controllo.

Rivediamo in dettaglio i componenti del-l’impresa come dianzi definiti:

i mezzi, sono tali quelli finanziari;i beni, sono costituiti dagli immobili ove si

esercita l’attività sia amministrativa che indu-striale e/o commerciale, i mezzi strumentali ne-cessari alla produzione o comunque all’eserciziodelle attività di impresa così come i macchinari,le attrezzature, i mezzi di trasporto, l’hardwareed il software, le attrezzature d’ufficio...

In tale categoria andrebbe ricompresa anchela voce organizzazione rappresentata dal relativocosto.

Quest’ultima è infatti elemento determinantenel processo di conduzione dell’impresa.

Potrebbe essere definita come l’insieme del-le norme e dei regolamenti che indicano quan-do, come e da chi debbano essere svolte tutte le

operazioni compiute nell’impresa. L’organizza-zione quindi diviene sistema e indica comporta-menti riferiti sia alle persone quanto ai mezzi aloro disposizione e determina quindi il modo dimuoversi nell’impresa.

L’organizzazione deve essere sempre agile,snella e aderente alle dimensioni, scopi e caratte-ristiche dell’impresa, così come un abito confe-zionato da un ottimo sarto corrisponde al corpodella persona cui è destinato.

Abbiamo visto che l’organizzazione consenteil coordinamento delle attività d’impresa e del-l’uso dei beni economici. L’uomo riveste in tuttii tipi d’impresa il ruolo principale e caratterizzafortemente il sistema organizzativo e la gestionedell’impresa.

Infine lo scopo, che rappresenta quindil’obiettivo dell’impresa. Questo è chiaramenteenunciato nello statuto se è costituito in forma disocietà con personalità giuridica e rappresenta ilpunto di riferimento per la organizzazione e lagestione dell’impresa.

È importante poi tener presente l’interesse delsuo soggetto.

Talvolta questo interesse può risultare in con-flitto con l’interesse oggettivo dell’impresa, cioècon la conservazione delle condizioni prospetti-che dell’equilibrio aziendale, secondo la logicadelle operazioni volte al fine di mantenere effi-ciente l’organizzazione aziendale,

Il fatto che gli interessi del soggetto non sia-no sempre collimanti con gli interessi oggettividell’azienda è dimostrato dall’esperienza di tuttii giorni nel mondo degli affari. Talvolta leaziende diventano strumento nelle mani delsoggetto per conseguire lucri finanziari parti-colari o soltanto prestigio a suo vantaggioesclusivo anche se poi proprio in conseguenzadi questo atteggiamento l’azienda perderà la suaattitudine a sopravvivere.

Ecco quindi ancora una volta l’organizza-zione viene incontro alla azienda, aiutandola astabilirsi regole di controllo e di revisione chesi riconcretizzano durante la gestione e se neverifica l’effetto in quello che, denominato bi-lancio dell’impresa, costituisce un documentoamministrativo che ha anche il compito di ten-tare di mettere d’accordo interessi tra loro incontrasto.

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- IDEA- REALIZZAZIONE- GESTIONE- BILANCIO.

Sono queste le quattro grandi fasi dell’im-presa.

Costituiscono infatti quattro momenti basilariper la nascita, la gestione ed il controllo del-l’attività.

Mentre l’idea e la realizzazione sono legateall’imprenditore quale primo interprete del-l’impresa, la gestione ed il bilancio rispondonoa norme organizzative, legali e finanziarie cheormai vanno sempre più unificandosi nelmondo.

Nella economia d’azienda esistono diversediscipline, prendono nomi diversi e studiano lagestione: sono le TECNICHE AMMIN I-STRATIVE.

In questo àmbito trovano posto quasi tutte lediscipline che si occupano della CULTURAD’IMPRESA.

Così a lato della ORGANIZZAZIONE chediviene una vera e propria scienza ecco la disci-plina che si occupa delle RILEVAZIONI deifatti amministrativi e anche dei fenomeni dimercato; a loro volta tali rilevazioni costituisco-no l’oggetto di un’altra disciplina che si chiamaRagioneria (Accountancy).

La gestione è la parte sostanziale nella eco-nomia di aziende.

L’Organizzazione e la Rilevazione sono ind i-spensabili in quanto permettono alla gestione disvolgersi in modo efficiente.

Tecnicamente la gestione è costituita dalcomplesso di tutte le operazioni economiche traloro coordinate e direttamente protese al rag-giungimento dei fini per i quali l’azienda è stataistituita.

La Gestione si svolge nei mercati dovel’azienda opera e ha con i mercati collegamentistrettissimi e relazioni importantissime.

Il sistema d’impresa è retto da un equilibrioche non deve mai essere interrotto.

Pertanto la gestione deve essere sensibilis-

sima a cogliere circostanze e situazioni che ri-chiedono atteggiamenti diversi a seconda dellecaratteristiche particolari dei mercati e quindimodificare di conseguenza il proprio atteggia-mento.

Ricordiamo per qualche momento che cosa,in sintesi, s’intenda per GESTIONE e quali sianole caratteristiche principali:

- Tutte le operazioni economiche tra loro coordi-nate per il raggiungimento dei fini dell’impresacostituiscono la GESTIONE:

- la GESTIONE è rivolta al MERCATO in cuiopera:

- col MERCATO realizza collegamenti e rela-zioni necessarie;

- GESTIONE - MERCATO - COLLEGAMEN-TI costituiscono il SISTEMA DI GESTIONE;

- il SISTEMA di GESTIONE deve mantenerecostantemente una SITUAZIONE di EQUILI-BRIO.

La gestione costituisce il compito principaledi uno o più gerenti (chiamati a seconda del casoanche “Amministratore Unico, AmministratoreDelegato, Procuratore o Mandatario Generale”).

La gestione distingue infine due aspetti:quello economico e quello finanziario, stretta-mente correlati tra loro.

L’impresa sin dal suo nascere attiva l’aspettofinanziario richiedendo denaro per la sua costitu-zione, per l’acquisto dei mezzi strumentali ed in-fine per avviare il processo produttivo.

Questo denaro che costituisce la “merce” delmercato finanziario ha, rispetto all’impresa, dueprovenienze:

- dal capitale- da debiti.

Provengono dal capitale, ovviamente, quandoil denaro è fornito dall’imprenditore (una o piùpersone fisiche o giuridiche); quando il capitalenon è sufficiente all’impresa per accrescere lapropria attività, questa deve rivolgersi al mercatofinanziario ed indebitarsi.

Tutti i mezzi così ricevuti costituiscono la parten-za della FUNZIONE FINANZIARIA.

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Da questo momento aspetti economici comin-ciano ad incrociarsi ad aspetti finanziari.

Si può anche affermare che l’insieme di que-sti fenomeni costituiscono il nucleo centraledella GESTIONE D’IMPRESA.

I fatti economici se attivi dovrebbero semprefornire i mezzi necessari per lo svolgimentodelle combinazioni produttive.

Qualora durante la gestione si manifestinoscompensi nell’equilibrio finanziario, gli ammi-nistratori debbono far ricorso a prestiti a brevecon operazioni di credito commerciale.

I mezzi liquidi ricevuti consentono quindi diacquisire fattori produttivi o meglio di attivarli esi ritorna quindi al settore economico della ge-stione.

È così che si realizzano dei cicli di produzio-ne economica all’interno dei quali si svolgonoatti di gestione.

Dovrei a questo punto entrare in un detta-gliato campo squisitamente tecnico-contabile suifatti economici interni e quelli finanziari esterniche Vi risparmio.

Torniamo invece ai contenuti tecnici della ge-stione per meglio recepire lo svolgimento dellafunzione economica e quella finanziaria.

Attraverso lo svolgimento dei processi pro-duttivi si ottengono prodotti editoriali (progetto -idea - realizzazione) i quali sono collocati sulmercato; attraverso la loro vendita si consente lacopertura del complesso di costi investiti nel ci-clo che ha prodotto e venduto.

Il ricavo così ottenuto suscita delle entrate, ri-porta quindi la funzione finanziaria. Il circuitoeconomico ha nuovamente inizio per perpetuarela continuità operativa della gestione.

Le entrate conseguite debbono consentirequindi il sostenimento delle uscite: queste assu-mono due distinte direzioni: le uscite consentitedalle entrate debbono permettere il sostenimentodi nuovi costi per l’acquisizione di nuovi fattoriper consentire la continuità della gestione e deb-bono anche consentire l’estinzione dei prestitiaccesi precedentemente contratti sul mercato fi-nanziario.

Non procedo oltre in questa analisi perché mipare risulti abbastanza chiaro da cosa sia costi-tuita la gestione d’impresa.

Vorrei invece fare un passo verso un altromomento del funzionamento dell’impresa e cioèl’organizzazione.

In precedenza ho già fatto alcuni cenni a que-sta disciplina. Essa riveste una enorme impor-tanza nell’impresa e particolarmente nell’im-presa editoriale ove il “prodotto” è idea, è comu-nicazione, è pensiero riprodotto su carta o pelli-cola oppure lanciato nell’etere; imprese quindidove per la fase creativa è ancora più determi-nante l’uomo.

Piccola o grande che sia l’impresa, l’organiz-zazione è sinonimo di gestione efficiente.

La gestione richiede organi personali diazienda opportunamente formati; le relative fun-zioni e responsabilità devono essere definite eancora di più bisogna costruire le procedure in-terne in linea con le esigenze della gestione econ l’ambiente.

Ho ricordato in precedenza alcuni concetti diorganizzazione di azienda: significa istituire gliorgani personali attraverso i quali la gestione sisvolge, significa delimitare le funzioni di cia-scheduno, verificare che le funzioni venganosvolte così come previsto, armonizzare le fun-zioni dei diversi organi perché non nascano con-trasti nella loro applicazione, significa ancorastudiare l’ambiente di lavoro affinché l’attività ditutti gli organi sia resa efficiente al massimogrado.

I principali concetti riguardanti l’organizza-zione del personale partono dalla sua classifica-zione.

La ragioneria sin dal Besta, autorevole studio-so italiano di questa disciplina, distingue tre or-gani: volitivi, direttivi ed esecutivi.

L’Organo volitivo è l’espressione dell’auto-rità eminente di azienda e quindi del soggettoeconomico, in una società di capitali è l’as-semblea dei Soci.

Tale organo determina e delibera gli indirizziaziendali, sceglie gli amministratori ed esaminail loro operato tramite il bilancio di esercizio e lealtre informazioni periodiche previste per leggeo per norma interna.

L’Organo direttivo è rappresentato dagliamministratori i quali svolgono l’attività orga-nizzativa, realizzano le politiche deliberatedall’organo volitivo e assicurano la gestionedell’impresa.

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Mentre in alcune nazioni gli amministratorisono quasi sempre coinvolti attivamente nellafunzione direttiva e qualche volta esecutiva, inItalia normalmente al Consiglio è subordinato undirettore generale il quale a sua volta subordina idirettori di funzione:

- il direttore commerciale- il direttore tecnico- il direttore amministrativo e finanziario.

Infine gli Organi esecutivi rappresentati datutti coloro che prestano la loro opera nel-l’impresa aggregati in gruppi o uffici e distintiper funzione e livello di responsabilità.

Come tutte le classificazioni, dato l’aspettocomplesso della gestione, anche questa può nonavere valore assoluto, tanto che sarebbe oppor-tuno parlare, più che di organi, di funzione voli-tiva, direttiva ed esecutiva, funzioni che, nei di-versi momenti della vita aziendale, possono es-sere svolte da organi diversi.

L’organizzazione è indispensabile nelle gran-di Aziende ove migliorare l’efficienza dei fattoriproduttivi può voler dire salvarla da una fine tra-gica, ma è necessaria anche nelle piccole orga-nizzazioni affinché si sviluppino e crescano ar-monicamente.

D’altronde non dobbiamo anche noi nel pic-colo della nostra vita privata compiere piccolipiani organizzativi? Dall’organizzare la propriagiornata, le azioni della propria vita sia per potersvolgere i doveri che ci riguardano o per rag-giungere uno scopo o anche per fare una vacan-za.

L’organizzazione, fra le tante cose, si occupadella forma che occorre dare all’azienda.

Esiste il problema di scegliere la forma giur i-dica e la dimensione più appropriata.

In entrambi i casi siamo di fronte a momenticruciali per la vita dell’impresa. Sbagliare formao dimensione può essere un errore costosissimoo addirittura irreparabile nel futuro.

L’organizzazione riguarda l’azienda sin dalsuo sorgere, anzi già prima, infatti lo statuto disocietà per azioni o di altri tipi (S.R.L. o societàdi persone) contiene numerose norme organiz-zative che riguardano gli organi direttivi, i loropoteri, e naturalmente l’organizzazione dellafunzione volitiva e dei suoi organi.

Lo statuto sociale dell’impresa costituisce

quindi la prima fonte dei processi di organizza-zione aziendale.

Anche qui ripeto quello che dico sempre aimiei collaboratori: lo statuto va pensato, stu-diato e redatto su misura per l’impresa che si èconcepita.

In pratica dallo statuto alla organizzazione dellavoro passano decenni di studio, di ricerche e diesperienze che possono garantire la funzionalitàdell’impresa.

Il ripetersi metodico del circuito economico inimpresa garantisce la funzionalità della gestionee prova che gli sforzi dell’imprenditore che oltreall’idea ha provveduto alla sua realizzazionetramite la gestione, sono stati premiati.

Vogliamo vedere quanto sono stati premiati?ecco allora il bilancio d’impresa, il bilancio diperiodo, il bilancio di settore.

Risultati evidenti di una corretta e adeguatacontabilità generale.

La ragioneria è una scienza, è filosofia: ha sa-puto dare ad ogni atto d’impresa una sua analisie una collocazione nell’ambito della organizza-zione contabile.

Da qui nasce un centro d’informazione eco-nomica, finanziaria e di produzione che consentead imprese grandi e piccole di controllarsi, veri-ficarsi e proiettarsi nel futuro... alcuni strumen-ti?... il budget, la contabilità industriale.

L’impresa può nascere in più posti avendoscopi e prodotti identici, in habitat diversi nasco-no possibilità di sinergie tra i vari centri produt-tivi che possono aiutare a svilupparsi; è questo ilconcetto base di un gruppo internazionale ovepur restando necessariamente autonomi nella ge-stione d’impresa, determinati principi istituzio-nali, similarità di attività, collegamento dellefonti di attività dei cicli produttivi, esperienzeutilizzabili e relativo scambio, certamente con-tribuiscono a sviluppare le imprese appartenentiallo stesso Gruppo favorendo in tutti i settori lariuscita delle unità interessate anche tramite iltravaso di know-how.

Con riguardo alla INFORMAZIONE ho fattofinora solo alcuni riferimenti.

Desidero rilevare l’importanza delle tecniched’informazione economica e finanziaria a sup-porto della gestione, per consentire lo studio dicorrettivi, prevedere in tempo possibilità e deci-dere nei termini imposti dal mercato.

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Tutto ciò è frutto di organizzazione, di dili-genza imprenditoriale.

L’informazione interna sia numeraria che sta-tistica è ormai uno strumento direzionale cor-rente inevitabile per la funzione direttiva e ov-viamente anche per quella esecutiva.

Nell’impresa editoriale esistono, come perogni settore, caratteristiche particolari che in-fluenzano ovviamente la gestione e che qui ri-chiamiamo particolarmente per sottolineare l’im-portanza rispetto ad altre.

Segnalo quindi la particolare materia primadell’editoria: l’autore, in questa attività esistesempre un autore e dietro l’autore esiste sempreun diritto con particolarità giuridiche e fiscaliche meritano riflessione e qualche esperienza.

Potrei, e forse sarebbe utile, ma mi dilunghe-rei troppo, continuare discutendo aspetti parti-colari che conoscete bene.

Posso però raccomandarVi che in ogni fattoo atto economico svolto dalla gestione di unaimpresa editoriale più che in altre, vi sono ri-svolti economici, fiscali e giuridici che se nonopportunamente individuati ed affrontati, pos-sono falsare informazioni economiche, creareproblemi giuridici e comunque passività poten-ziali.

Un settore economico “delicatissimo”, se mi

si consente il termine, che reagisce con difficol-tà, specie in alcuni aspetti dei bisogni del-l’impresa; per esempio nel campo dei managers,si dice che in Italia il rilancio dell’editoria non èsoltanto una questione di soldi.

E nemmeno, aggiungo io, una questione diidee. I primi, in fondo, non mancano, le secondesi riescono a trovare.

Che cosa manca allora?

C’è una autentica penuria di managers spe-cializzati per un settore che richiede veramentedegli specialisti, dalla redazione allo stabili-mento, al settore commerciale.

Molto spesso i managers delle imprese edito-riali in Italia, ma anche all’estero, provengono daaltri settori.

Un recente scritto su un quotidiano italianoclassificava tali managers in:

“giornalisti alla ricerca di una parentesi, pro-fessori universitari immalinconiti dal grigiore delmondo accademico; intellettuali falliti nella car-riera universitaria, vincitori di premi letterari,esperti in pubbliche relazioni, immagine e mar-keting; frequentatori di salotti alla moda”.

Chiudo con questa caricatura che richiamaancora alla mente l’organizzazione e l’impor-tanza del fattore umano nell’impresa in genereed in quella editoriale in particolare.

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D. Emilio BETTATI SSPDirettore della Commerciale E.P. s.r.l.

IL MERCATO: PRINCIPI DI VALUTAZIONE E DI INTERVENTO

INTRODUZIONE

IL MERCATO: Difficoltà di una definizione;il mercato come espressione di una attivitàcommerciale. Mercato come regno dell’imprevi-sto e dell’imprevedibile.

IL MERCATO LIBRARIO: Un mercato ano-malo per il suo oggetto. Il mercato librario e lesue componenti essenziali:

* L’editore e la sua immagine: Non si è edito-ri solo perché si producono libri. Un buon edito-re risulta sempre dal matrimonio di una grandecapacità di programmazione, insieme ad una ef-fettiva volontà di collaborazione.

* Il prodotto: Requisiti per poter agire sulmercato, difficoltà e tentazioni. Un fallimentonel mercato è quasi sempre frutto di una mancataintesa programmatica.

* I canali di vendita e i consumatori: Neces-sità che il canale di vendita sia proporzionato alprodotto e che il cliente identifichi nell’offertauna risposta alle sue esigenze.

Le riflessioni proposte e le valutazioni chene possono emergere nascono dall’osservatoriodella vendita e possono quindi risultare parziali.Per motivare meglio alcune asserzioni si fa rife-rimento alla situazione editoriale italiana e alleEdizioni Paoline in Italia.

Devo parlare di editoria in ordine al mercato.Questa mattina sono state dette cose concrete

e precise e tutto ciò non facilita il mio discorsoperché qualsiasi considerazione sul mercato nonè facilmente inquadrabile.

Lo stesso termine mercato è quanto di più ge-nerico esista e contemporaneamente di più com-plesso.

Il mercato è un luogo, è uno spazio, è unadomanda e una risposta, è un servizio, è l’obiet-tivo finale di ogni impresa.

Il mercato editoriale aggrava ulteriormentequesta difficoltà di definizione perché il prodottoche tratta si differenzia da ogni altro.

Il termine complementare di mercato è impre-sa e noi, (non possono esserci dubbi), siamo unaimpresa.

Impresa significa commercio e commercio si-gnifica mercato.

Deve essere ben chiaro che chi intraprendeuna impresa e la gestisce, esercita una attività icui prodotti devono essere commercializzati equindi posti sul mercato.

Noi facciamo commercio e agiamo sul mer-cato editoriale con un prodotto chiamato LIBRO.

In questo senso il mercato è destinatario delnostro lavoro, in questo senso non siamo diversidagli altri operatori editoriali e in questo sensosiamo tenuti ad obbedire alle leggi del mercato.

E le leggi ci dicono che se vogliamo esserepresenti sul mercato:- dobbiamo essere editori (non semplici stampa-tori)- dobbiamo avere un prodotto che sia proponi-bile al mercato e che regga la concorrenza- dobbiamo usufruire di un canale di vendita cheraggiunga i consumatori- dobbiamo avere dei consumatori che si identi-fichino nei nostri prodotti.

Nel contesto editoriale italiano la presenzadelle Edizioni Paoline incide in percentuale mi-nima.

In Italia si producono 20/25 mila novitàall’anno con un mercato che opera con circa20/25 mila licenze librarie.

Su 2.000 editori solo 30 producono il 60% diquanto viene editato.

Su 1.000 librerie che Vengono considerateveramente tali, 400 fatturano il 65% del movi-mento complessivo.

30 editori per 400 librerie sono gran parte delmercato editoriale italiano.

Le Edizioni Paoline producono mediamente200 novità all’anno e la loro diffusione avvieneper il 50% tramite le librerie E.P. e il 50% tra-mite librerie non Paoline.

Tutto sommato la nostra presenza è piccolaanche se dichiaratamente positiva.

Siamo stimati e riconosciuti per tanti motivi.Soffriamo due grosse difficoltà: la concorren-

za e un tipo di immagine che si sta evolvendotroppo lentamente.

Siamo una Casa Editrice caratterizzata chia-ramente sul religioso (anche se il fronte dellanostra produzione è molto vasto), con una for-za vendita superiore alla produzione che trat-tiamo.

Dall’inchiesta fatta in questi mesi risulta checome Paolini siamo stati capaci di vendere bene inostri prodotti ma non di vendere la nostra im-magine.

L’immagine è la “cartina di tornasole” di uneditore, l’immagine è anche il problema che laC.E.P. deve affrontare sul mercato.

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Bettati - 117

Tra le componenti essenziali del mercato èche esista un editore e che l’editore goda di unaimmagine.

L’editore medesimo, infatti, il suo prodotto, lasua rete di commercializzazione, devono essereidentificabili in una immagine che possa essereveicolata dalla pubblicità, dalla promozione edalla forza vendita.

Senza una immagine non si opera sul mercatoe chi non ha una immagine se la deve fare.

È la grande preoccupazione dell’editore: l’im-magine infatti è l’editore medesimo che si pre-senta, che comunica e si rapporta col mondo delconsumatore.

Le Edizioni Paoline italiane si sono identifi-cate in molta parte con le proprie librerie che so-no diventate l’immagine operativa delle E.P.

Questo non ha prezzo sul mercato e dovrebbefarci riflettere su come stiamo gestendo le nostrelibrerie.

Gli sforzi che un editore dedica alla costru-zione di una propria immagine nascono in buonaparte da una conoscenza del mondo editorialeche ci circonda.

E spesso fa meraviglia frequentare gli editorie notare la poca dimestichezza che hanno con laproduzione di altri editori che pure sono affiniper tante scelte comuni.

IL PRODOTTO

Per chi opera sul mercato è molto importanteanche il prodotto.

Anzitutto il prodotto deve riflettere l’imma-gine dell’editore e ne deve diventare il supporto.

Se il prodotto non rispecchia la connotazionedell’editore si crea un conflitto sul mercato e ilprodotto non si vende.

Se alcuni anni fa le E.P. avessero avuto Il no-me della rosa di Umberto Eco, forse ne avrebberovendute 20/40 mila copie, non certo 600.000.

La nostra immagine non avrebbe supportatotale prodotto (avrei fatto volentieri la prova,però!).

Molti libri che sembrerebbero avere i requisi-ti, secondo l’editore, per un buon successo, spes-so non si vendono perché non sono canalizzabilisull’immagine dell’editore medesimo.

Il prodotto inoltre deve essere immesso e so-stenuto sul mercato da un responsabile dellevendite che non sia l’editore.

È mia personale convinzione che editore e re-sponsabile di vendita siano due diverse persone ecostituiscano due diverse strutture.

E se è vero che il responsabile di vendita nonpuò sostituirsi all’editore, è bene che l’editorenon faccia il venditore.

Ciò per rispetto della propria competenza eper un’esigenza di complementarietà che nascesolo da un rapporto di collaborazione.

Il responsabile di vendita può e deve litigarecon l’editore e la sua produzione per la qualitàdel prodotto, per la quantità, il prezzo e i tempidi uscita.

Ma confezione, tiratura, prezzi e tempi, devo-no essere indicati dal responsabile di vendita everificati con l’editore, non viceversa.

È il responsabile di vendita che deve concor-dare la programmazione per la sua rete di distri-buzione, con i tempi e le modalità di maggioreinteresse.

Il mercato librario è talmente vario, difficile eimprevisto che senza una costante gestione ditutte le componenti di vendita, risulta difficilemantenere livelli ottimali.

Ed è essenziale a questo scopo mantenere unostretto rapporto di collaborazione con l’editore.

Non penso di dire cose strane affermando chetutti gli errori fatti sul mercato (libri che non sivendono) sono sempre frutto di una mancatacollaborazione.

Oggi più che mai diventa inderogabile lacomplementarietà tra chi pensa, produce, distri-buisce, vende, acquista e legge i libri.

La mobilitazione di forze, persone e investi-menti è tale da rendere ridicola la presunzione dichi decide in proprio tutte le varie fasi di gestio-ne di una impresa.

La determinazione di un prezzo, la definizio-ne di una copertina, la scadenza dei tempi diuscita, una distribuzione attenta ed efficiente so-no condizioni indispensabili per reggere il mer-cato.

Niente può essere improvvisato dove esisteuna concorrenza spietata che tra l’altro si avvaledi sistemi per noi impraticabili.

Non esistono formule magiche per aumenta-re le vendite che non siano quelle di una co-stante programmazione e di una attenta collabo-razione.

E parte di questa collaborazione è la giustarichiesta che l’editore deve fare alla vendita pertutta una serie di proposte e consigli che nasco-no dalla frequentazione del mercato e dalle nu-merose indicazioni che si raccolgono dai ven-ditori.

La ricerca di mercato deve essere estesa an-che ai processi di riscontro che la vendita cimette a disposizione.

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LA STRUTTURA DI VENDITA - LA DISTRIBUZIONE

Assolutamente parlando, nessuna libreria inItalia ha bisogno delle Edizioni Paoline, e questaè un’illusione che facciamo bene a toglierci. Nonsiamo indispensabili.

Siamo noi che vogliamo essere presenti sulmercato, perché crediamo nel nostro prodotto enelle motivazioni che lo supportano.

Per questo motivo e per raggiungere questoscopo, occorre dare largo spazio ad una strutturadi vendita.

Compito primario di una Direzione Commer-ciale è sviluppare la rete di distribuzione e incen-tivare la capacità di assorbimento del prodotto.

Non occorre che la struttura sia grande; è ne-cessario che sia efficiente e diversificata.

La Commerciale Edizioni Paoline ha in cari-co la distribuzione di tutta la produzione deidue editori E.P. (E.P. S.R.L. - E.P. F.S.P.); èsuddivisa in una sede centrale a Torino, 6 Ma-gazzini e 12 Agenzie per il servizio alle librerienon Paoline.

83 librerie Paoline e circa 4.000 clienti nonE.P. (molto diversi per importanza e capacità)assorbono più del 90% del prodotto Paolino.

La vendita in libreria, secondo la mia espe-rienza, è al 40% frutto della capacità del vendito-re e al 60% si deve alla distribuzione e alla pub-blicità promozionale.

Nel caso delle Edizioni Paoline il rapporto èinverso perché il nostro personale è altamentemotivato.

Ed è al nostro personale delle Librerie, Agen-zie e Magazzini che va attribuito gran parte delsuccesso sul mercato.

Quando io Direttore Commerciale dico di noa una proposta del mio Direttore Editoriale èperché non riesco ad individuare nella propostafattami la percentuale di diffuso che mi verrebbedai miei canali di vendita.

È un criterio di basso profilo e forse anche pe-ricoloso, ma è sicuramente redditizio ai fini di undiscorso che ogni responsabile delle vendite de-ve farsi.

E cioè che ogni libro deve essere vendutoprima di entrare in produzione; venduto nel sen-so che devo sapere quante copie la mia strutturadi vendite è in grado di assorbirne, in quantotempo, attraverso quali canali; come devo pro-grammare la distribuzione ed elaborare gli inter-venti promozionali adatti a sostenerlo.

Queste previsioni di mercato non semprehanno un riscontro positivo ma sono determi-nanti per coordinare una programmazione, gesti-re la distribuzione, possedere i meccanismi divendita.

Quali sono i canali da privilegiare?Non esistono regole fisse perché spesso le

scelte sono funzionali al prodotto e la struttura divendita deve essere in grado di adattarsi.

In Italia, dove negli anni scorsi si era riscon-trato un certo disinteresse per le librerie, si è tor-nati alla valorizzazione di questi punti di vendita,tanto che entro il prossimo anno diverse nuovelibrerie verranno aperte nelle grandi città ad ope-ra dei più grossi editori.

Il 66% dei libri in Italia vengono venduti inlibreria.

Da parte nostra si stanno facendo alcuni inte-ressanti tentativi presso le grandi Aree distribut i-ve e presso le Stazioni ferroviarie ma l’incidenzaè ancora minima e i tempi troppo brevi per trameindicazioni.

La vendita per corrispondenza rimane un og-getto misterioso a cui dedicare in futuro maggio-re attenzione.

Tutto sommato la struttura di vendita nonpuò prescindere dalle condizioni soggettive eoggettive in cui si opera ma deve comunque es-sere una realtà attraverso la quale si opera sulmercato.

La componente essenziale è l’operatore libra-rio, il libraio perché è questi il nostro mediatoreultimo. È al libraio che dovrebbero andare le no-stre maggiori preoccupazioni.

Un buon libraio vale un cattivo prodotto eanche una distribuzione sbagliata. Non il con-trario.

IL CONSUMATORE - IL CLIENTE

Altra ed ultima componente del mercato è ilconsumatore, il cliente.

In Italia il 51% non compra mai un libro in unanno; il 19% ne compra meno di 5; il 5% ne ac-quista più di 20.

Il mercato librario italiano è il più “piagnone”che esista; piangono gli editori e i venditori la-mentandosi delle vendite, piangono i librai fa-

cendo le rese; gli unici a non piangere sono iclienti che vengono sommersi ogni anno da unmare di volumi in grande parte inutili.

Si fa di tutto per vendere, si fa di tutto permotivare dei prodotti che sarebbe bene non ven-dere.

Manca la preoccupazione di coltivare i propriclienti, di individuare fasce di lettori identifica-bili nei nostri prodotti.

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Noi abbiamo la fortuna di avere un pubblicogià orientato e sicuramente attento.

È il pubblico religioso-clericale; è un laicatocattolico serio e preparato; un grosso fenomenodi collaboratori parrocchiali o culturali (catechi-sti/insegnanti di religione) e di comunità parti-colari.

Tutti questi sono nostri clienti o potenzialiclienti e dovremmo trattarli meglio.

Non possiamo tuttavia accontentarci solo diqueste fasce; dobbiamo ricercare in tutti i modidi allargare il fronte della clientela con una pro-duzione che possa essere appetibile anche al difuori del nostro piccolo giardino.

È questo un tentativo che la C.E.P. sta ope-rando da anni, curando in molte librerie nonPaoline un settore di cultura religiosa.

Oggi, a tutti i livelli, esiste una grossa sens i-bilità per la problematica di cultura religiosa ingenere e risulterebbe almeno strano se fosseroproprio le Paoline a non essere presenti.

E mi permetto di dire che le Edizioni Paoline

non sono presenti in modo significativo; perchéla stima di cui godiamo e l’immagine che rap-presentiamo non è sufficientemente garantita daipur notevoli sforzi che stiamo facendo.

Una constatazione ormai assodata è che il li-bro di contenuto, il libro serio, ben fatto, si ven-de ugualmente bene nelle librerie E.P. comenelle librerie laiche.

Ora se questo deve convincere l’editore aduna produzione qualitativa di maggiore impegno,deve stimolare il responsabile delle vendite asfruttare tutte le possibilità per attivare nuoviclienti.

Fra queste possibilità risulta indiscutibile ilruolo della libreria alla quale vanno veramentededicate tutte le attenzioni.

È un punto fermo della nostra politica promo-zionale perché la libreria deve diventare semprepiù un centro promozionale, un punto di riferi-mento che le consenta di muoversi in piena li-bertà per riuscire ad essere il migliore collabo-ratore del responsabile della vendita e, in ultimaistanza, dell’editore.

IN CONCLUSIONE

Il mercato è il regno dell’imprevisto e del-l’imprevedibile; tuttavia è il nostro regno. Mipermetto di riassumere:

L’Editore non è solo colui che fa i libri; perfare gli editori oggi occorre essere degli impren-ditori, bisogna avere delle idee e una immensarete di collaboratori e consulenti.

Un buon editore non deve navigare solo sulleacque del suo lago, ma tentare anche vie diversee nuove, anche quando la Direzione Commer-ciale non è d’accordo.

L’editore infine deve crearsi una sua immagi-ne e vi si deve specchiare in continuazione; èl’unico modo per non fare troppi libri inutili.

Questa immagine deve nascere da una pro-grammazione editoriale a breve e a lungo termi-ne e deve confrontarsi attraverso una grandecollaborazione con tutti i passaggi successivi.

Il Prodotto. Noi non produciamo solo libri equindi non vendiamo solo carta.

Noi produciamo cultura, formazione; noivendiamo idee.

Il nostro prodotto non può essere trattato allapari delle patate o dei mattoni.

Qualità, quantità, prezzo, tempi e condizionifanno da cornice ad uno strumento in cui l’uomodeve inciampare e interrogarsi.

Noi facciamo i commercianti ma non siamocommercianti.

Le motivazioni ideali che sorreggono il no-stro lavoro devono essere individuabili nel no-stro prodotto e devono diventare parte dellanostra immagine per riuscire motivazioni divendita.

Quindi il nostro prodotto deve essere serio,appetibile e, se permettete, amato!

Canali di vendita - Clienti. Sono i destinataridei nostri prodotti e devono godere del medesi-mo rispetto che portiamo ai nostri collaboratori.

Non esiste editore senza mercato, e non esistemercato senza un prodotto; ma non esiste néeditore né mercato se il nostro prodotto non vie-ne veicolato dalla distribuzione ai clienti.

Tutto questo significa che editore, prodotto,mercato, distribuzione, clienti fanno parte di unasola entità con volti diversi e diverse responsa-bilità.

Non possono esistere se non insieme; se unsettore va in crisi anche gli altri ne risentono.

Le motivazioni ideali non sono sufficienti pervitalizzare questa struttura complessa e interdi-pendente.

Occorre molta pazienza e tanta collaborazio-ne.

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D. Danilo REGAZZOResponsabile Amministrazione del Gruppo Libri EP Italia

I SERVIZI. DATA PROCESSING ED AMMINISTRAZIONECOME ELEMENTI FONDAMENTALI DI SUPPORTO

La moderna dottrina aziendalistica consideral’impresa come un «sistema socio-economicoaperto», i cui elementi costitutivi sono l’elemen-to umano, i mezzi tecnici ed i mezzi finanziariche permettono di ottenere e mantenere i primidue.

L’attività dell’impresa è pertanto il risultatodell’organizzazione ed attivazione dei mezzitecnici da parte dell’elemento umano.

Si dice appunto che l’impresa è un sistema“sociale” per la rilevanza in esso dell’elementoumano ed “aperto” per le relazioni di interscam-bio che essa intrattiene con l’ambiente (fisiconaturale, economico politico ecc.) in cui opera.

Infatti l’impresa riceve dall’ambiente “IN-PUTS” sotto forma di fattori produttivi (materieprime, capitale, lavoro, ecc.) e di influssi vari(normativi, culturali, politici, ecc.), li trasformaed ottiene OUTPUTS che ritrasmette all’am-biente sotto forma di prodotti o servizi.

Per svolgere in concreto la propria attivitàl’impresa necessita di una struttura interna razio-nale e dinamica articolata in quelle che la dottri-na chiama “aree funzionali” raggruppate in tregrandi settori:

A) AREE FUNZIONALI CARATTERISTICHE

Sono quelle che concernono direttamentel’oggetto tipico dell’attività dell’impresa e sonopiù immediatamente rivolte al raggiungimentodegli obiettivi aziendali in quanto si occupanodel prodotto delle imprese in momenti differentidella sua realizzazione e distribuzione.

E precisamente:a) FUNZIONE RICERCA E SVILUPPOHa lo scopo di incrementare in modo sistema-

tico le conoscenze specifiche dell’impresa stu-diando la realizzazione di nuovi prodotti e dinuovi processi produttivi.

b) FUNZIONE “MARKETING”Ha lo scopo di gestire le relazioni fra l’im-

presa ed il mercato di sbocco per interpretare esoddisfare le mutevoli esigenze dei consuma-tori.

c) FUNZIONE PRODUZIONEHa lo scopo di realizzare materialmente i beni

(o i servizi) che costituiscono il prodotto del-l’impresa.

B) AREE FUNZIONALI INTEGRATIVE

Sono quelle che agiscono da supporto allearee caratteristiche, procacciando i fattori pro-duttivi (soprattutto lavoro e capitale) ad esse in-dispensabili.

E precisamente:a) FUNZIONE ORGANIZZAZIONE E PER-

SONALEHa lo scopo di ottimizzare la struttura orga-

nizzativa dell’impresa e, in particolare, di acqui-sire ed impiegare nel miglior modo possibile ilfattore produttivo “lavoro”.

b) FUNZIONE FINANZA ED AMMINI-STRAZIONE

Il “sistema impresa” opera in funzione di unobiettivo fondamentale: la creazione di ricchez-za, che permetterà di retribuire tutti i fattori pro-duttivi e di garantire l’esistenza e lo sviluppodell’impresa stessa.

Il contesto in cui opera l’impresa e però for-temente dinamico e sempre più competitivo ecomplesso.

Risulta quindi sempre più importante la fun-zione del settore “finanza e amministrazione”che si presenta come un primario strumento disupporto ai processi decisionali aziendali chesono tutti caratterizzati dal loro aspetto eco-nomico.

Gli scopi che un’area finanziaria ed ammini-strativa si prefigge possono essere così sintetiz-zati:- rilevare ed elaborare tutti i fatti economicidell’impresa per evidenziare continuamente lasituazione economica esistente e compararla conquella prevista;- informare tempestivamente tutti i settoriaziendali su tale situazione;- reperire ed impiegare i mezzi finanziari ne-cessari al funzionamento dell’impresa;- applicare le norme legali e fiscali riguardantiil suo campo di attività.

C) AREE FUNZIONALI DI CONTROLLO EDI INFORMAZIONE

Rappresentano il “momento unificante” del si-stema aziendale, quello cioè in cui la moltepli-cità delle diverse funzioni si fonde, coordinando-si, nelle unità di gestione dell’impresa.

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a) FUNZIONE PIANIFICAZIONE, PRO-GRAMMAZIONE E CONTROLLO

Ha lo scopo di attuare una “sintesi” costantefra gli obiettivi della gestione dell’impresa ed isub-obiettivi attribuibili ad ognuna delle areefunzionali.

Per raggiungere questo scopo essa:1) Interpreta gli obiettivi generali per fissare

gli obiettivi da raggiungere a tutti i livellidell’impresa;

2) predispone i mezzi peri il conseguimentodi questi obiettivi;

3) controlla che gli obiettivi prefissati sianoeffettivamente raggiunti.

b) SISTEMA INFORMATIVOErroneamente scambiato per “l’elaborazione

elettronica dati”, il sistema informativo aziendalecostituisce il vero sistema nervoso della impresa,prescindendo dai mezzi impiegati: può pertantoessere manuale od elettronico, purché fornisca leinformazioni necessarie in forma affidabile etempestiva.

Esso ha lo scopo di fornire ai responsabili unvalido supporto per la presa delle decisioni ge-stionali ed operative, riducendo al minimo il ri-schio di errori e mettendo a disposizione di tuttiuna banca di dati aggio rnati ed omogenei.

Storicamente il sistema informativo si è svi-luppato di pari passo con il progresso tecnologi-co, che ha messo a disposizione delle impresestrumenti sempre più perfezionati per la rileva-zione, l’elaborazione e la comunicazione dei datie delle informazioni.

A grandi linee detto processo di sviluppo puòessere sintetizzato in tre fasi successive, edognuna di esse presenta delle caratteristiche spe-cifiche per ciò che riguarda:

- gli strumenti utilizzati- la “concezione” del sistema informativo.

1ª FaseLa caratteristica principale era la quasi totale

assenza di strumenti tecnici atti a supportare ef-ficacemente il lavoro umano e la sua “dimen-sione informativa” rappresentata prevalente-mente dal sistema di informazioni contabili, co-stituito dalla contabilità generale e da rilevazioniextracontabili.

Lo scopo era fornire all’alta direzione del-l’impresa i dati consuntivi della consistenza pa-trimoniale, dei movimenti finanziari e della red-ditività della gestione.

2ª FaseSua caratteristica fondamentale è l’introdu-

zione dei primi strumenti meccanici ed elettro-contabili, e il definire in modo sistematico il

ciclo informativo occorrente e supportare ledecisioni aziendali.

3ª FaseElemento caratteristico è l’introduzione del

calcolatore elettronico e l’attuazione di un siste-ma informativo avanzato.

È l’inizio di una nuova filosofia aziendale: ilcalcolatore non è semplicemente uno strumentodi calcolo, seppure molto sofisticato, ed il suocompito va oltre la raccolta e l’elaborazione didati e informazioni, per divenire una ‘centrale dismistamento’ dei dati e delle informazioni mede-sime.

La denominazione che di solito assume èquella di M.I.S. (Menagement InformationSystem), cioè sistema informativo per la dire-zione.

1 - FinalitàLe finalità di un sistema informativo dell’im-

presa sono:- mettere a disposizione di ogni centro azien-

dale le informazioni necessario per decidere eoperare;

- predisporre i dati necessari all’attuazione diuna politica di informazione per l’esterno (pub-blicità dei prodotti, immagine, uffici stampa,ecc.).

2 - Requisiti- contenuto: ogni informazione deve essere

“utile” per il “problema specifico” del destinata-rio;

- tempo: l’informazione deve essere fornita intempo utile per consentire al destinatario dellamedesima di utilizzarla in modo efficace;

- luogo: l’informazione deve essere disponi-bile nel luogo di utilizzazione e deve perciò rag-giungere il destinatario attraverso una adeguata“rete di comunicazione”;

- forma : ogni informazione deve essere fo r-nita in una forma adeguata alle necessità opera-tive dell’utente (es.: informazioni ricorrenti for-nite attraverso dei “modelli standard”, informa-zioni molto semplici e chiare).

3 - Esemplificazioneper una azienda editoriale

A. Automazione del lavoro dell’Ufficio (OF-FICE AUTOMATION):

- Redigere, correggere, rivedere, impaginaretesti e documenti;

- Stampare documenti con alta qualità grafica(lettere personalizzate, listini, offerte, relazioni,ecc.).

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122 - Regazzo

B. Sistema redazionale:

- Consultare banche dati (DATA BASE),proprie e/o di terzi, contenenti testi, disegni eimmagini, utili per la redazione di una nuovaopera;

- Digitare, rivedere, correggere il testo;- Definire il menabò, giustificare, impaginare,

fotocopiare, fotocomporre;- Attualità del Desk-top publishing ovvero

Editoria da tavolo.

C. Marketing e Commerciale:

a) Definizione delle caratteristiche di un nuo-vo prodotto in base ad analisi su:

- serie storiche relative alle vendite di prodottisimili;

- situazione del mercato: tipologia dei possi-bili acquirenti, distribuzione geografica, reddito,prodotti della concorrenza, ecc.;

- tempi e costi di produzione, vendita, pubbli-cità in base alle risorse interne od esterne dispo-nibili;

- simulazione, variando i valori dei parametriin gioco, al fine di ottenere la combinazione ot-timale per il raggiungimento degli obiettivi pre-fissati. Ad esempio: la maggior diffusione od ilmaggior utile oppure un mix di questi e altriobiettivi;

- verificare tempestivamente l’andamentoreale con quello ipotizzato in modo da predi-sporre interventi efficaci.

b) Collegamenti tra Librerie ed Agenzie con imagazzini con la Sede Centrale per trasmettereordini e richieste di informazioni contabili;

- collegamenti tra la Sede con i magazzini, leAgenzie e le Librerie in modo da ricevere i datirelativi alle vendite ed alle giacenze dei singoliprodotti, ed inviare gli aggiornamenti relativi alcatalogo, agli sconti ed alle promozioni, oltrealla messaggistica, in tempo reale, seguendoprocedure che non consentano errori o diment i-canze;

- analisi tempestiva delle vendite per prodot-to, per agente, per zona geografica con segnala-zione automatica delle anomalie più rilevanti;

- procedure relative alla spedizione, alla fattu-razione, agli incassi, ai solleciti, al recupero delcredito;

- conoscenza on-line della situazione dellequantità ordinate ed in giacenza;

- procedure particolari relative alle venditerateali ed alla vendita per corrispondenza;

- gestione delle Librerie.

D. Produzione:

- Pianificazione delle attività nei reparti dipreparazione stampa, confezione, avviamento;

- Carico di lavoro sui reparti e le macchine;- Richieste di approvvigionamento dei mate-

riali o delle risorse indispensabili per produrre;- Simulazione in modo da ottenere il risultato

ottimale, in termini di costo o di tempi, nellarealizzazione dei prodotti;

- Controllo tempestivo dei tempi e del-l’utilizzo delle risorse tramite confronto tra datidel preventivo e del consuntivo;

- Segnalazione automatica dei materiali chevanno sotto la scorta minima.

E. Gestione del Personale:

- Gestione del curriculum di ogni dipendente;- Rilevazione presenze;- Calcolo competenze;- Adempimenti fiscali e previdenziali.

F. Gestione degli acquisti:

- Schedario dei fornitori;- Emissione degli ordini e dei relativi, even-

tuali, solleciti;- Controllo della coerenza tra i dati presenti

sull’ordine e quelli relativi alle consegne inmodo da aggiornare la “storia” dei rapporti conogni fornitore ed autorizzare il pagamento dellefatture.

G. Amministrazione:

- Adempimenti civilistici e fiscali: Contabi-lità Generale, Contabilità Clienti, ContabilitàFornitori, IVA, Registro dei Cespiti ammortiz-zabili, redazione del Bilancio Economico e Pa-trimoniale con determinazione degli indici daconfrontare con quelli degli esercizi precedenti;

- Trattamento dei lavoratori autonomi e deiDiritti d’Autore;

- Gestione finanziaria;- Contabilità di magazzino a quantità ed a

valore;- Determinazione dei costi per Centro di Co-

sto e per prodotto.

H. Controllo di Gestione:

- Predisposizione dei budgets a livello dicentro di costo e di prodotto per tutto l’esercizioe per periodi;

- confronto tra budgets e consecutivi persegnalare tempestivamente eventuali scosta-menti.

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Regazzo - 123

SISTEMA D’IMPRESA

AMBIENTE

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124 - Regazzo

Il ruolo del calcolatore elettronico

come centrale di elaborazione e di smistamento

dei dati e delle informazioni

____________________________________________

CENTRI DECISIONALI

CENTRI DECISIONALI

a) = dati e informazionib) = comunicazione di informazioni

____________________________________________

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RICERCA SULL’IMMAGINE DELLA SOCIETÀ SAN PAOLO IN ITALIA

Curata da Eurisko con la supervisione della d.ssa Laura Cominidella Direzione Marketing Società San Paolo - Gruppo Periodicinel settembre 1988

STRUTTURA DELLA RICERCA

Obiettivo: - ottimizzare la struttura della fase estensiva- sondare gli atteggiamenti critici “profondi”

Fase motivazionale

Metodo: - interviste personali condotte da psicologi specializ-zati su un numero di casi molto limitato

Obiettivo: - ottenere dati quantitativi, statisticamente significa-tivi, in relazione alle domande poste

Fase estens iva

Metodo: - somministrazione di un questionario strutturato,molto dettagliato, con risposte precise che si fer-mano all’analisi del “conscio”. Le persone intervi-state devono costituire un campione rappresentati-vo della popolazione che si vuole analizzare e de-vono essere numericamente sufficienti a garantirela significatività dei risultati.

OBIETTIVI

Verifica del livello di conoscenza della San PaoloVerifica del “vissuto” della realtà San PaoloValutazione delle singole aree di attivitàValutazione dei singoli prodotti

POPOLAZIONI ANALIZZATE

1 - Adulti dai 18 ai 74 anni suddivisi in cattolici praticanti e cattolici non praticanti2 - Insegnanti3 - Religiosi, suddivisi in:

- clero secolare- altri religiosi

STRUTTURA DEI CAMPIONI

Fase motivazionale:Laici 36 adulti

10 insegnantiReligiosi 24 clero secolare

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126 - Eurisko/Comini

16 religiosi (francescani, domenicani, gesuiti, salesiani, serviti)

Fase estensiva:Laici 600 adulti

400 over sample “cattolici praticanti”200 over sample diligenti150 over sample insegnantiRicostruito a posteriori un campione di 1000 casi ottenuto ponderando i campioni di

base, su tale campione sono state fatte le elaborazioniReligiosi 250 religiosi secolari

150 religiosi di comunità

SINTESI DEI RISULTATI E RIFLESSIONI

La ricerca, nel suo complesso, mette in evidenza un buon risultato per la Società San Paolo:- è un’istituzione nota al mondo cattolico, praticante e non;- le sue ramificazioni sono note e apprezzate, anche se non tutte in ugual misura;- la sua missione è riconosciuta: divulgare la Parola di Dio attraverso i mezzi della comunicazione so-ciale.

Occorre tuttavia non considerare del tutto priva di problemi questa realtà:- quando l’interlocutore è portato a riflettere su questa istituzione possono trasparire alcune perples-sità, punti interrogativi;- queste perplessità, ad esempio, sono più emerse nella prima fase di ricerca, quella esplorativa, chepermetteva un maggiore approfondimento d’analisi.

In che cosa consistono queste perplessità?- Nella scarsa profondità di vissuto e di relazione con questa istituzione;- nella mancanza di strumenti di valutazione sulla Società in sé, se si prescinde dai suoi prodotti eservizi;- nella a volte contraddittoria valutazione dell’istituzione da parte dei religiosi.

Tutto questo può anche non essere considerato un problema.

Appare comunque opportuno segnalare questo:- attualmente la Società San Paolo “vive” nell’immagine della gente e dei religiosi per i prodotti ser-vizi che offre (o ha offerto);- la Società, invece, “manca” sul piano di una identità precisa sua propria;- in codice marketing si può dire che esistono buone “brand” e “branch images”, mentre fa difetto la“company image”.

La domanda strategica è:- conviene alla Società San Paolo connotarsi di più per una sua immagine di company?- conviene che i pubblici conoscano di più della Società in sé, i suoi scopi, missione, ramificazioniinternazionali?

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ALCUNI DATI DI SCENARIOSULLA POPOLAZIONE ITALIANA

Posizione religiosa - autocollocazione(base = totale campione)

Frequenza di alcune attività di pratica religiosa

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Partecipazione ad attività di impegno religioso/sociale oltre alla pratica religiosa(base = totale campione)

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Eurisko/Comini - 129

LE VALUTAZIONI SULLA SOCIETÀ SAN PAOLO NEL SUO COMPLESSOSINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

La valutazione complessiva sulle diverse attività della Società San Paolo viene confermata intermini positivi dai risultati di un test che chiedeva quali, tra i vari generi di pubblicazioni e di attivi-tà, dovrebbero essere potenziati e quali invece ridotti o eliminati.

Per ciascun tipo di attività, le percentuali di chi auspicherebbe una riduzione sono molto ridotte,salvo che per la vendita di oggetti religiosi presso le librerie paoline e per la gestione di radio e TVprivate.

Le attività che invece, nell’opinione degli intervistati, andrebbero potenziate sono le pubblica-zioni di periodici per famiglie e i libri a carattere didattico/educativo.

Gli insegnanti, in particolare, esprimono il desiderio di un potenziamento della rete di distribu-zione (vendita di materiali audiovisivi e pellicole cinematografiche). Le finalità della Società SanPaolo, dopo l’esame dei singoli settori di attività, vengono sempre individuate - anche se con maggio-re forza - nella diffusione del pensiero e dei valori cristiani, e la Società nel suo complesso viene de-finita un’istituzione utile per la comunità cattolica e che divulga efficacemente i valori cristiani ser-vendosi dei mezzi e della tecnologia moderna.

Riguardo a che cosa dovrebbe fare la Società San Paolo per farsi conoscere di più, si rileva unacerta differenza di atteggiamento nei praticanti rispetto al campione generale e agli altri due segmenticonsiderati (dirigenti e insegnanti): fra i cattolici praticanti sembra infatti prevalere una posizione do-ve la diffusione delle attività della San Paolo debba avvenire all’interno della comunità religiosamentre per gli altri la San Paolo dovrebbe servirsi della comunicazione pubblicitaria al pari delle altreaziende.

Infine, anche la dimensione internazionale della Società San Paolo, pur se non molto conosciuta(23%), riscuote una valutazione positiva, proprio in ragione dell’universalità del cristianesimo e deivalori che intende trasmettere.

Conoscenza spontanea delle attività della San Paolo(base = totale campione)

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Le attività svolte dalla San Paolo (risposte guidate)

L’obiettivo fondamentale della Società San Paolo (risposte spontanee)

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Eurisko/Comini - 131

I PRODOTTI

I LIBRI

I LIBRI PUBBLICATI DALLE EP: SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

L’attività editoriale della Società San Paolo si concretizza nella produzione libraria delle Edizioni Paoline.Il 30% degli intervistati dichiara di aver letto e/o acquistato dei libri delle EP.Gli insegnanti costituiscono l’utenza privilegiata della produzione libraria delle EP, che in effetti ha

pubblicato una vasta gamma di testi a carattere educativo/didattico.La produzione delle EP viene connotata immediatamente come specializzata in campo religioso: i libri

pubblicati dalle EP più citati sono infatti la Bibbia e i Vangeli.A livello guidato, questo tipo di immagine si conferma, configurando le EP come una Casa editrice che

produce libri a carattere devozionale, libri di vario genere, ma selezionati coerentemente con i princìpi dellamorale cristiana, e libri a carattere educativo/didattico.

L’attività editoriale della Società San Paolo viene valutata, da chi la conosce, molto positivamente (il95% esprime un giudizio positivo).

Una produzione libraria cattolica rappresenta uno strumento per la diffusione dei valori cristiani, è unagaranzia in termini morali, svolge un importante ruolo educativo. È interessante rilevare come, nel 20% circadei casi, il giudizio positivo non venga riferito alla produzione libraria paolina in se stessa, quanto al fatto chel’esistenza di una “voce” rappresentativa del mondo cattolico è espressione e garanzia di pluralismo culturale.

Libri delle Edizioni Paoline letti/acquistati (base = totale campione)

Ha letto e/o acquistato

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Cita/non cita titoli di libri delle Edizioni Paoline(base = intervistati che hanno letto/acquistato libri delle Edizioni Paoline)

Cita titoli/generi

Giudizio sull’attività editoriale delle Edizioni Paoline(base: intervistati che hanno letto e/o acquistato libri delle EP)

Il 95% esprime un giudizio positivo sull’attuale editoria.

Il giudizio è così motivato:

LA GESTIONE DI LIBRERIE: SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

Il Gruppo San Paolo gestisce, nelle principali città italiane, delle librerie nelle quali vengono commercia-lizzati i libri delle Edizioni Paoline, ma anche altri prodotti della Società San Paolo (materiali audiovisivi, dischi,ecc.) oltre ad un’oggettistica legata al culto religioso e, in parecchi casi, a pubblicazioni di altre Case editrici.

Il personale di queste librerie è, in genere, costituito da religiosi appartenenti alla Congregazione.Le librerie della San Paolo sono conosciute dal 55% del campione; il 33%, inoltre, è entrato almeno

qualche volta in una di queste librerie.

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Eurisko/Comini - 133

Nei tre over sample considerati, sia la conoscenza che la frequentazione delle librerie dei Paolini sonomolto più elevate, ed anche qui l’utenza “privilegiata” è costituita dagli insegnanti.

Coloro che conoscono le librerie gestite dalla Società San Paolo le identificano come librerie dove sonovenduti libri a carattere religioso, oggettivistica religiosa e pubblicazioni selezionate, a sfondo morale.

Il 35% ritiene che nelle librerie della San Paolo si trovino esclusivamente pubblicazioni delle EdizioniPaoline, e il 23% ritiene invece che vi si trovino pubblicazioni di qualsiasi genere.

Il 65% circa degli intervistati dichiara di aver notato che gli impiegati delle librerie paoline sono religiosi, eil 40% ritiene che questo sia un fatto positivo, dal momento che le librerie paoline appartengono ad una congre-gazione religiosa. Si registra a questo proposito un altro 40% di intervistati che non esprime un’opinione, ed un21% che preferirebbe che il personale fosse laico.

Sempre riguardo al personale, il pubblico che conosce le librerie della San Paolo si dichiara soddisfattodel rapporto che instaura con il cliente: il 45% degli intervistati ne apprezza la cordialità e la disponibilità aldialogo ed a fornire consigli, il 18% lo trova preparato e aggiornato.

Nell’opinione del pubblico, le librerie sono un importante riferimento per chi voglia scegliere pubblica-zioni in linea con la morale cattolica: l’aspetto “commerciale” viene evidenziato dal 22% del campione totale,ma solo dal 7% dei praticanti.

L’attività di gestione di librerie viene valutata senz’altro positivamente, proprio in quanto la loro presen-za costituisce un punto di riferimento per il mondo cattolico e perché attraverso di esse si diffonde il messaggiocristiano e comunque una produzione editoriale sicura, moralmente valida.

Conoscenza delle Librerie S. Paolo (base = totale campione)

Conoscenza delle librerie delle Edizioni Paoline secondo alcuni parametri

Conoscono: Frequentano

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Conoscenza sul tipo di gestione delle librerie delle Edizioni Paoline(base: intervistati che conoscono le librerie delle Edizioni Paoline)

Sanno che le librerie delle Edizioni Paoline sono gestite da sacerdoti/suore:

Giudizio sul tipo di gestione delle librerie delle Edizioni Paoline(base: intervistati che conoscono le librerie delle Edizioni Paoline)

Giudizio sul personale delle Edizioni Paoline(base: intervistati che conoscono le librerie delle Edizioni Paoline)

Opinione sull’attività di gestione di librerie (risposte guidate)(base: intervistati che conoscono le librerie delle Edizioni Paoline)

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Eurisko/Comini - 135

LA PRODUZIONE DI MATERIALI AUDIOVISIVISINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

I materiali audiovisivi (videocassette, diapositive, filmini ecc.) prodotti dalla Società San Paolo sonoconosciuti da una percentuale più ridotta degli intervistati (24%), in quanto la loro destinazione è prevalente-mente didattico-educativa, rivolta, dunque, ad un pubblico specializzato.

Infatti fra gli insegnanti la conoscenza di questo tipo di produzione è molto più elevata (69%) e per il50% di essi si tratta di una conoscenza più approfondita, implicante quanto meno la presa in visione dei mate-riali.

La percentuale di insegnanti che, nell’attività didattica, fa uso di materiali audiovisivi non è trascurabile:il 53% utilizza un proiettore per diapositive e il 39% un videoregistratore.

I materiali audiovisivi della San Paolo sono utilizzati dal 29% circa degli insegnanti, ed il giudizioespresso sulla loro qualità ed efficacia ai fini didattici è senz’altro positivo.

Conoscenza della produzione di materiali audiovisivi della Società San Paoloanche solo per sentito nominare (base = totale campione)

Conoscenza e utilizzo dei materiali audiovisivi prodotti dalla Società San Paolo(base = insegnanti)

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136 - Eurisko/Comini

LA PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA DELLA SOCIETÀ SAN PAOLOSINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

L’attività di produzione/distribuzione cinematografica della Società San Paolo, tuttora rilevante, sembrapiù legata, nel ricordo degli intervistati, al recente passato.

Negli ultimi anni, in effetti, la diffusione di circuiti cinematografici esterni alla grande distribuzione (peri quali la San Paolo costituiva un punto di riferimento) ha subìto una decisa contrazione, anche in seguitoall’introduzione di precise norme di sicurezza che le sale cinematografiche devono osservare.

Attualmente, il 28% circa del campione sa che la Società San Paolo svolge questo tipo di attività; anchequi, tra i segmenti più elevati per status e istruzione, ma soprattutto fra gli insegnanti, utenti “privilegiati”, laconoscenza della produzione cinematografica della San Paolo è decisamente più elevata.

Questo tipo di produzione viene valutato essenzialmente in termini di utilità educativo/didattica, che puòdunque contribuire ad una formazione cristiana del pubblico.

Coloro che conoscono i film prodotti/distribuiti dalla San Paolo li apprezzano soprattutto in quanto vali-di dal punto di vista educativo e ai fini della diffusione dei valori cristiani.

Conoscenza della produzione/distribuzione di film della Società San Paolo(base = totale campione)

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Eurisko/Comini - 137

Giudizio sulla produzione/distribuzione di film della Società San Paolo(base = intervistati che conoscono la produzione di film della San Paolo)

LE EMITTENTI PRIVATE GESTITE DALLA SOCIETÀ SAN PAOLOSINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

La Società San Paolo gestisce una radio e una televisione private, Novaradio e Telenova, che hanno unadiffusione limitata alla Lombardia (anche se in qualche caso la ricezione arriva anche in alcune zone delle re-gioni confinanti).

La conoscenza e l’ascolto di queste due emittenti risultano dunque, sul totale del campione, poco frequenti.A prescindere dalla conoscenza effettiva, il giudizio su un’attività di questo tipo è in generale positivo,

in quanto la radio e la TV sono riconosciute come mezzi importanti per la diffusione del messaggio cristiano.Tuttavia il sospetto che questo tipo di attività si traduca soltanto in un’operazione commerciale affiora in

modo più consistente rispetto alle altre attività svolte dalla San Paolo; con tutta probabilità, in queste valuta-zioni assume un certo peso l’immagine generale delle emittenti commerciali presenti nel Paese.

Giudizio sull’iniziativa della Società San Paolo di gestire una radio e/o unatelevisione privata (risposte guidate)(base = totale campione)

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138 - Eurisko/Comini

I PERIODICI PUBBLICATI DALLA SOCIETÀ SAN PAOLOSINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

Il 52% degli intervistati identifica la Società San Paolo come una Casa editrice di periodici e il 36% citaspontaneamente Famiglia Cristiana, associando quindi questa rivista alla San Paolo. Il livello di conoscenzaspontanea dell’attività di edizione di riviste periodiche della San Paolo è molto più elevato tra i cattolici prati-canti e gli insegnanti.

A livello guidato, i periodici pubblicati dalla San Paolo sono notevolmente più conosciuti: Famiglia Cri-stiana è, ovviamente, conosciuta dalla quasi totalità degli intervistati, ma anche Il Giornalino e Jesus sono ab-bastanza noti.

Famiglia Cristiana è conosciuta e letta diffusamente, senza grosse variazioni in termini territoriali e so-ciodemografici. L’87% di chi conosce Famiglia Cristiana ne ha almeno sfogliato qualche volta una copia. Ilettori abituali (tutte le settimane) di Famiglia Cristiana rappresentano il 19% e, fra i praticanti, quasi il 40%.Famiglia Cristiana viene in genere acquistata personalmente (27%) o da un membro della famiglia (17%), maspesso viene sfogliata a casa di parenti/amici o in altri luoghi.

Attualmente, sembra che il giornale continui ad essere acquistato prevalentemente in parrocchia, el’orientamento degli intervistati privilegia la doppia modalità di distribuzione, in edicola e presso le parrocchie.

Gli argomenti trattati in Famiglia Cristiana più letti e apprezzati dal pubblico sono gli articoli di attualitàe le lettere al giornale. I praticanti leggono più frequentemente della media generale gli articoli a sfondo mo-rale e religioso, gli insegnanti, ovviamente, prestano particolare attenzione alle rubriche sulla scuola.

I giudizi su Famiglia Cristiana sono senz’altro positivi: Famiglia Cristiana è un giornale adatto a tutti,ricco e completo, e rappresenta un cattolicesimo vivo e moderno.

In generale, si ritiene che Famiglia Cristiana rappresenti il pensiero della Chiesa, piuttosto che si trattidi un giornale autonomo dalla Gerarchia ecclesiastica.

Le attese del pubblico esprimono l’esigenza di contenuti più impegnati, che contribuiscano a qualificareFamiglia Cristiana come uno strumento di guida morale.

Il Giornalino è noto al 42% degli intervistati; la sua lettura risulta meno frequente, trattandosi di una ri-vista per ragazzi. Tuttavia questo giornale è particolarmente conosciuto e letto dagli insegnanti che sovente loutilizzano come supporto didattico.

Questa rivista viene apprezzata soprattutto perché è una pubblicazione seria, sicura, che trasmette ai ra-gazzi valori positivi, anche se spesso non si differenzia in misura rilevante dagli altri giornalini per ragazzi.

Fra le riviste pubblicate dalla San Paolo prese in considerazione nella ricerca, Jesus è la meno cono-sciuta (21%), anche se nei segmenti superiori e tra i praticanti la percentuale di coloro che dichiarano di cono-scere questo mensile si eleva notevolmente. Allo stesso modo, la lettura di Jesus non è molto frequente, ed haun carattere abbastanza occasionale. Nel giudizio del pubblico, tuttavia, Jesus è definita molto interessante dalpunto di vista culturale e teologico, anche se a volte un po’ “difficile”, specialistica, per “addetti ai lavori”.

Nel suo complesso, anche l’attività della Società San Paolo nel campo delle pubblicazioni periodiche èvalutata molto positivamente, in quanto garantisce la diffusione di una stampa “buona”, sicura moralmente,oltre, naturalmente, ad essere un veicolo di divulgazione del pensiero cristiano.

Come dovrebbe essere distribuito Famiglia Cristiana(base = chi conosce Famiglia Cristiana)

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Eurisko/Comini - 139

Motivi per cui si ritiene positivo che la S. Paolo operi nel campo dell’informazione(base = totale campione)

I giudizi negativi rappresentano 1’8,2% dei casi

ATTIVITÀ CHE ANDREBBERO POTENZIATE

Libri a carattere didattico/educativo

Distribuzione film per le scuole

Riviste per la famiglia

Giornali per ragazzi

ATTIVITÀ CHE ANDREBBERO RIDOTTE

Vendita articoli religiosi

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CHE COSA DOVREBBE FARE LA SOCIETÀ SAN PAOLO PER FARSI CONOSCERE

(base = totale campione)

CONOSCENZA DELLA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA SOCIETÀ SAN PAOLO

(base = totale campione)

GIUDIZI SULLA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA SAN PAOLO

Giudizi positivi 93.5%di cui

con motivazioni ideali 83.1%con motivazioni pratiche 10.4%

Giudizi negativi 6.5%

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Eurisko/Comini - 141

RELIGIOSI

LA SOCIETÀ SAN PAOLO: CONOSCENZA E VALUTAZIONISINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

La quasi totalità degli intervistati conosce la Società San Paolo e, con varie articolazioni, la maggioranzadefinisce correttamente la “missione” della congregazione.

A livello spontaneo, la Società San Paolo viene immediatamente definita come una Casa editrice (57%),che pubblica riviste periodiche (39%); vengono citati da una buona percentuale di intervistati anche gli altrisettori di attività del Gruppo, in particolare la rete di produzione/distribuzione cinematografica.

Una prima valutazione sul complesso delle attività della Società San Paolo assume connotati senza dub-bio positivi per più del 90% dei religiosi intervistati: l’attività del Gruppo è valida, moderna ed efficiente inrelazione all’obiettivo di diffondere il messaggio cristiano.

I pochi aspetti negativi evidenziati - soprattutto dai sacerdoti - riguardano il sospetto di non totale coe-renza con i valori cristiani e la disapprovazione circa le modalità di gestione del Gruppo.

La produzione della Società San Paolo viene valutata positivamente sia in rapporto all’attività pastoralesvolta dagli interessati, sia in relazione alle esigenze dei fedeli.

Il mondo ecclesiastico apprezza in modo particolare le potenzialità divulgative della produzione dellaSan Paolo, ragion per cui spesso consiglia ai fedeli la lettura dei suoi prodotti editoriali; in generale, i prodottiSan Paolo costituiscono un utile supporto per i compiti di apostolato, anche se più del 70% del campioneesprime l’esigenza di avere, da un’istituzione come la San Paolo anche altri tipi di supporti (di carattere orga-nizzativo, di consulenza, ecc.) che possano integrare la produzione editoriale.

In ogni caso, il settore di attività più apprezzato è quello editoriale (libri e stampa periodica), mentrel’attività cinematografica e quella di gestione di radio e TV private riscuotono minore apprezzamento.

Anche pensando alle esigenze del pubblico, la produzione libraria e la stampa sono le attività valutatepiù posit ivamente.

I LIBRI PUBBLICATI DALLE EDIZIONI PAOLINESINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

Quasi tutti i religiosi intervistati hanno avuto modo di leggere e acquistare libri pubblicati dalle EdizioniPaoline, ed il 91% di essi ne consiglia la lettura ai fedeli.

I generi di libri più conosciuti e apprezzati sono i testi sacri, le pubblicazioni a carattere teologico, i libriper ragazzi e i testi devozionali.

La produzione libraria delle Edizioni Paoline è giudicata sicura dal punto di vista morale e abbastanzainteressante e utile; l’immagine complessiva si delinea più fortemente positiva per i sacerdoti che non per irappresentanti del clero regolare.

Il fatto che un’istituzione religiosa come la San Paolo sia attiva nel campo editoriale è ritenuto pressochéunanimemente positivo, in quanto contribuisce alla divulgazione della Parola di Dio e fornisce un’informazionecontrollata dal punto di vista morale.

LA GESTIONE DI LIBRERIESINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

Le librerie delle Edizioni Paoline sono conosciute dalla totalità degli intervistati e quasi tutti (98.4%)hanno avuto occasione di frequentarle almeno qualche volta. Il 50% del campione le frequenta abitualmente.

La conoscenza di ciò che si trova nelle librerie paoline risulta quindi molto elevata: la grande maggio-ranza cita pubblicazioni a carattere religioso, articoli religiosi, materiali audiovisivi, pubblicazioni selezionate.

Allo stesso modo, quasi tutti gli intervistati sanno che nelle librerie della San Paolo il personale è costi-tuito da sacerdoti o da suore e nel 44% dei casi sono del parere che questo sia un fatto positivo, mentre il 19%ritiene più idonea la presenza di impiegati e commessi laici.

Sempre riguardo al personale presente nelle librerie, coloro che le frequentano esprimono un notevoleapprezzamento: il personale appare cordiale, disponibile al dialogo e a fornire suggerimenti, preparato e attentoalle esigenze dei clienti.

Le librerie delle Edizioni Paoline costituiscono, secondo l’opinione degli intervistati, un riferimento im-portante e utile peri il pubblico che voglia scegliere letture sicure e valide, mentre dal punto di vista della pro-pria attività pastorale questo aspetto risulta meno rilevante.

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L’idea che le librerie della San Paolo debbano essere innanzitutto un riferimento per il pubblico vieneconfermata dai suggerimenti formulati su come dovrebbero qualificarsi: la maggioranza degli intervistati ritie-ne infatti che in queste librerie ci debba essere qualsiasi genere di libri, purché selezionati coerentemente con iprincìpi della morale cristiana.

Emerge, tuttavia, una non trascurabile richiesta di specializzazione e di supporto specifico per i religiosi.

Opinioni sul comportamento del personale delle librerie delle Edizioni Paoline(base = intervistati che sono entrati almeno una volta in una libreria delle Edizioni Paoline)

Sacerdoti Religiosi

Suggerimenti circa le librerie delle Edizioni Paoline (risposte guidate)(base = totale campione)

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LA PRODUZIONE DI MATERIALI AUDIOVISIVISINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI

Anche la produzione/vendita di materiali audiovisivi a carattere educativo/didattico è molto conosciuta, el’83% del campione ha avuto occasione di visionarla o utilizzarla: il 41% (che sale quasi al 50% fra i sacerdoti)la utilizza attualmente nell’ambito della propria attività.

I generi di audiovisivi utilizzati riguardano essenzialmente argomenti religiosi, più raramente temi legatiall’educazione, alla famiglia, alla sessualità.

L’utilità di questo tipo di produzione, infatti, viene collegata fondamentalmente alla catechesi. I sacerdo-ti, utilizzando maggiormente i materiali audiovisivi, ne evidenziano anche la facilità di comprensione e la ca-pacità di stimolare l’interesse dei ragazzi.

Le «critiche» rivolte a questo tipo di produzione non sono quantitativamente molto rilevanti, e riguarda-no soprattutto i prezzi elevati e la scarsa aderenza alla realtà.

LE EMITTENTI PRIVATE GESTITE DALLA SOCIETÀ SAN PAOLO

La conoscenza delle due emittenti private gestite dalla Società San Paolo risulta poco elevata a causa delristretto raggio di diffusione di Novaradio e di Telenova, limitato quasi soltanto alla Lombardia.

Tuttavia, fra i rappresentanti del mondo ecclesiastico queste due reti sono più conosciute che non dalpubblico, anche se i livelli di ascolto risultano sempre piuttosto bassi.

In ogni caso l’ingresso di una rete cattolica nel panorama dei networks privati è visto favorevolmente,proprio per la capacità propria dei mezzi radiofonici e televisivi di raggiungere un gran numero di persone, dif-fondendo così un messaggio positivo, e in quanto radio e TV sono mezzi di comunicazione moderni, efficaci.

I PERIODICI PUBBLICATI DALLA SOCIETÀ SAN PAOLO

La Società San Paolo, come abbiamo visto, viene identificata immediatamente come Casa editrice di librie di periodici e difatti la totalità dei religiosi intervistati dichiara di conoscere la stampa periodica pubblicatadal Gruppo.

Il 93% cita spontaneamente Famiglia Cristiana, il 69% Jesus e il 43% Il Giornalino.

Famiglia Cristiana viene letta dal 93% circa degli intervistati (95.5% sacerdoti, 89.6% religiosi), in ge-nere con una certa frequenza e attenzione.

La duplice modalità di distribuzione di Famiglia Cristiana, in edicola e presso le parrocchie, sembra es-sere considerata ottimale; poco più del 10% preferirebbe la presenza esclusiva in edicola, mentre il 6% ritienepiù idonea la sola distribuzione parrocchiale.

Famiglia Cristiana ottiene apprezzamenti soprattutto in quanto si tratta di un giornale adatto a tutti, «perla famiglia», e rappresenta la voce di un cattolicesimo moderno e aperto.

Più dell’85% degli intervistati si dichiara d’accordo sull’opinione che questa rivista esprime il pensierodella Chiesa sulle questioni attuali, ma un 52% ritiene anche che sia un giornale autonomo, libero dall’inge-renza della Gerarchia ecclesiastica.

Anche Il Giornalino, conosciuto dal 93% del campione (96.4% sacerdoti, 87.3 religiosi), viene letto/sfogliato da una percentuale elevata (71.2% sacerdoti, 68.7% religiosi) di intervistati; soprattutto i sacerdoti,che nell’attività parrocchiale sono in stretto contatto con i ragazzi lo sfogliano e a volte lo utilizzano.

I religiosi esprimono una valutazione positiva su questa pubblicazione e ne consigliano ai giovani lalettura, in quanto rappresenta un divertimento moralmente sicuro.

Emergono, tuttavia, alcuni elementi di valutazione che, pur non essendo connotati in modo negativo,tendono ad assimilare questo prodotto editoriale alle altre pubblicazioni per ragazzi.

Jesus, infine, viene letto dall’86% degli intervistati, anche se si tratta in genere di una lettura abbastanzaoccasionale.

Questo mensile viene definito molto interessante, ma anche i religiosi ne evidenziano la scarsa «accessi-bilità» ad un pubblico non specializzato.

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Anche l’attività della Società San Paolo nel campo dell’informazione stampata è valutata, se possibile,in termini ancora più positivi: la diffusione della «buona stampa» - obiettivo della congregazione dei Paolini -ha un grande valore formativo e morale, oltre che essere un efficace strumento di apostolato.

LE VALUTAZIONI DELLA SOCIETÀ SAN PAOLO

La presenza della San Paolo nel campo dell’editoria e dell’informazione viene vista come qualcosa diutile per il mondo cattolico: l’attività del Gruppo rappresenta un grosso strumento di divulgazione dei valoricristiani, che utilizza i mezzi e la tecnologia moderni.

Gli aspetti critici, poco evidenziati nell’esame dei singoli settori di attività, si delineano in fase conclus i-va con maggiore chiarezza, pur assumendo un peso di scarsa rilevanza.

Come è stato rilevato nell’indagine condotta sul pubblico, la critica fondamentale che viene mossa allaSocietà San Paolo riguarda il sospetto della prevalenza degli scopi commerciali su quelli «religiosi»; altri ele-menti critici evidenziano gli elevati prezzi di vendita dei prodotti, la mancanza di aggiornamento e di contattocon la vita pastorale. Difatti, l’esigenza che viene manifestata con maggior frequenza (soprattutto dai sacerdo-ti) è proprio quella di realizzare un contatto più diretto con le parrocchie.

Il Gruppo San Paolo deve farsi conoscere ai fedeli attraverso una comunicazione diretta nelle parrocchiee nelle comunità religiose, piuttosto che usare le usuali forme di comunicazione pubblicitaria al pari delle altreaziende.

Infine, la dimensione internazionale della Società San Paolo è molto conosciuta e pressoché unanime-mente apprezzata, fondamentalmente in base alla considerazione dell’universalità del cattolicesimo.

Aspetti negativi della Società San Paolo - Risposte spontanee(base = totale campione)

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D. Antonio SciortinoCondirettore di Famiglia Cristiana

COMMENTO SULL’INCHIESTA DELL’IMMAGINE

Dopo una lettura attenta dei dati dell’indagi-ne dell’Eurisko sull’immagine della San Paoloin Italia, sono tante le riflessioni che si possonofare.

Se analizziamo i settori presi in esame, e cioèi singoli prodotti (libri, periodici, produzione ci-nematografica, audiovisivi, emittenti televisive eradiofoniche, librerie...) abbiamo una notevolericchezza di indicazioni che ogni gruppo aposto-lico potrà utilizzare in seguito, sia per conferma-re e rafforzare tendenze e iniziative già in atto,sia per muoversi verso direzioni ancora pocopraticate o del tutto nuove. Ma non è questo ilcompito che mi è stato affidato.

Mi è stato richiesto invece di proporre qual-che riflessione sull’immagine dell’IstituzioneSan Paolo, come emerge dalla ricerca, e di indi-care qualche prospettiva per il futuro.

Ogni tipo di riflessione parte dal dato fonda-mentale che è emerso da tutta la ricerca: la SanPaolo in Italia è conosciuta per i prodotti e iservizi che offre (o che ha offerto in passato) mamanca di una sua propria identità, manca diun’immagine. Sia il mondo laico che quello reli-gioso esprimono opinioni più che positive sullesingole attività paoline; apprezzano la nostramissione di portare la Parola di Dio attraverso imezzi moderni di comunicazione; riconoscono aiprodotti della San Paolo una garanzia morale,un’utilità e un servizio che raggiunge non solo ilmondo dei cattolici e dei praticanti, ma anchel’ambiente laico.

Tuttavia quando gli intervistati sono invitatia riflettere sull’Istituzione San Paolo in sé (equesto lo si è fatto particolarmente nella primafase della ricerca, quella esplorativa) essi non sisentono quasi per nulla coinvolti e interessatiall’Istituzione, e non sono in grado di poter giu-dicare — e quindi apprezzare — la San Paolo,le sue finalità e il suo carisma, se non per queltanto che riescono a percepire attraverso i pro-dotti.

Un dato molto significativo ed emblematico èquesto: quasi tutti gli intervistati, sia laici sia ec-clesiastici, conoscono Famiglia Cristiana, masoltanto poco più del trenta per cento sa chedietro Famiglia Cristiana c’è una congregazionereligiosa che si chiama Società San Paolo, chenella Chiesa svolge il particolare compito didiffondere la Parola di Dio attraverso la stampa

e gli altri mass media. Se dovessimo fare un raf-fronto con un grosso editore laico, in Italia, cre-do che le percentuali rilevate nella nostra inchie-sta uscirebbero perdenti in tutto: molte più per-sone saprebbero certamente rispondere, adesempio, che Gente è pubblicata dalla Rusconi eOggi dalla Rizzoli.

Con altre parole, considerando il rapporto cheesiste tra la San Paolo e i nostri utenti, possiamodire che questi si trovano di fronte ad un“gigante del mondo della comunicazione, di cuiin genere apprezzano i prodotti per la qualità,l’utilità, ma non ne conoscono assolutamente ilvolto.

E quando alcuni riescono ad abbozzare uncerto profilo della San Paolo, lo fanno non inmodo immediato e unitario, ma ricomponendo afatica, in un quadro complessivo, il mosaicodelle molteplici attività paoline.

I problemi che si pongono sono principal-mente due:

1) Come promuovere l’immagine della SanPaolo nella Chiesa e nella società?

2) Che cosa fare perché la San Paolo in sé, lasua missione, le sue stesse ramificazioni interna-zionali vengano riconosciute e identificate confacilità dagli utenti?

La crisi di immagine di un’Istituzione, spessosi accompagna alla crisi di identità dei suoimembri: noi stiamo continuamente a chiederci,in convegni e raduni: “Chi è il paolino?”; “checompiti dobbiamo svolgere nella Chiesa e nellasocietà per rispondere pienamente alla vocazio-ne e al carisma paolino?”.

Credo che se si recupera l’immagine dellaSan Paolo, all’interno e all’esterno dell’Istitu-zione, si avranno forse meno perplessità sullastessa identità del “paolino”.

Ritornando all’indagine e cercando di capireche cosa fare e come muoversi per essere cono-sciuti come istituzione, troviamo un’indicazio-ne ben precisa nella risposta degli intervistati:il 70 per cento del campione ecclesiastico, adesempio dice di apprezzare i prodotti della SanPaolo e di servirsene come un prezioso suppor-to per la propria attività, richiede da noi altritipi di aiuto e di presenza; oltre alla consulenzae alle capacità organizzative, ha bisogno che la

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San Paolo sia un punto di riferimento ben preci-so nella parrocchia e per la parrocchia per tuttociò che riguarda la comunicazione. Vogliono,tradotto in esempi concreti, una mano per “darevita ad un giornale”, organizzare un cineforum,animare la giornata mondiale delle comunica-zioni sociali, tenere conferenze, dirigere dibattiti,educare i ragazzi e le famiglie ad un uso criticodei potenti e invadenti mezzi di comunicazionesociale...

Insomma, vogliono dalla San Paolo non sol-tanto una serie di prodotti, ma soprattutto unapiù attiva presenza nel mondo della comunica-zione; ci vogliono più coinvolti personalmentenelle realtà locali. Non si accontentano più dellibro o della rivista, vogliono anche guardare infaccia chi offre questi prodotti, vogliono stanarcida un tipo di contatto che resta per lo più anoni-mo: noi realizziamo un prodotto e spesso nonsappiamo chi sono i nostri utenti; questi, a lorovolta, comprano il prodotto ma non sanno chi è ilreferente.

La mancanza di un’immagine e la non cono-scenza dell’Istituzione San Paolo, agli occhidella gente, ci fa spesso considerare più comedei commercianti, interessati esclusivamente apiazzare un prodotto, che come dei religiosi iquali hanno un particolare e delicato servizio darendere alla Chiesa, con i mezzi di comunicazio-ne.

Se guardiamo al passato e alla storia paolina,dobbiamo riconoscere di esser notevolmente mi-gliorati nell’editoria e nella tecnica, di aver mol-tiplicato i nostri prodotti; ma dobbiamo ancheconfessare di non aver fatto molti progressi nelcampo della promozione dell’immagine dellaSan Paolo; in più casi, anzi, ci siamo ritirati neiconventi, abbandonando quei preziosi e necessa-ri contatti con la gente e tra la gente.

Se non è più proponibile oggi, ad esempio, la“propaganda casa per casa” nelle condizioni,nei metodi e con la mentalità con cui si facevanel passato, qualcosa di diverso andava inventatoper sostituirla e per non perdere quell’agganciocon la gente; fatto il debito discernimento, anda-va salvato il valore di quell’esperienza “casa percasa”, cambiando naturalmente metodi e menta-lità, pur di continuare ad essere comunque pre-senti.

Purtroppo si è sciupato un prezioso patrimo-nio acquisito nell’arco di tanti anni, e spesso colsacrificio notevole di tante persone.

E ancora, se la scarsità di personale ha resodifficile la presenza paolina in altri settori, so-prattutto nella promozione e nella diffusione,la chiusura tout court , senza alternative, di li-

brerie e centri di apostolato, ad esempio, nonha certamente contribuito ad accrescere nelterritorio la nostra presenza né l’immaginedella San Paolo come istituzione.

Ma la presenza nel territorio e tra la gente nonpuò essere per la San Paolo una presenza qua l-siasi; non ci è richiesto un servizio di supplenzaai parroci o agli insegnanti, ma un servizio cheva fatto secondo la nostra precisa identità e il no-stro carisma.

Che cosa significa tutto questo? significa in-nanzitutto dare un volto al nostro apostolato, es-sere gli esperti della comunicazione, essere unpunto di riferimento competente e disponibile siaper il mondo ecclesiale che laico; significa ancheindirizzare la formazione delle nuove leve paoli-ne perché siano in grado di rispondere a questeesigenze.

I problemi del mondo della comunicazionenon possono non vederci coinvolti spontanea-mente in ogni singola area geografica dove esisteuna comunità paolina.

Gli uffici di comunicazione sociale, a livellolocale, regionale e nazionale, non dovrebberopoter fare a meno della San Paolo, né i Paoliniritirarsi o non ritenersi abbastanza preparati ecompetenti quando sono chiamati ad animareculturalmente un settore della comunicazionesociale.

L’immagine della San Paolo che i GruppiApostolici possono promuovere attraverso iprodotti e le attività, più si indirizza ad unpubblico vasto, più diventa in qualche modoanonima. Per uscire dall’anonimato e farsi co-noscere di più, non bastano soltanto i prodotti,occorrono, quindi, contatti più diretti e legamipiù stretti con la gente, considerando l’attualeimpostazione della Provincia italiana, quest’o-pera di mediazione, di presenza e di coinvol-gimento maggiore nella realtà locale può esse-re un compito che le comunità paoline “perife-riche” possono svolgere, se ben impostate eorganizzate, nel territorio di loro competenza,che è spesso un bacino che abbraccia una odue regioni italiane.

Quando si parla di “comunità periferiche”non si dà giudizio di merito, ma si fa soltantouna considerazione geografica, perché le comu-nità sono “periferiche” solo dal punto di vista delterritorio, ma essenziali all’immagine e alla pre-senza della San Paolo, oltre che al pieno espan-dersi dell’attività apostolica.

Esse realizzano nella mente dell’Alberione,il terzo aspetto fondamentale dell’apostolato,

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cioè quello della diffusione che segue il momentocreativo e il momento della tecnica . “L’aposto-lato”, scriveva il Primo Maestro, “consta di treparti: redazione, tecnica, diffusione. La più im-portante è la diffusione; la più difficile è la reda-zione” (G. Alberione, Esercizi e ritiri, vol. I,1935, pp. 198ss.).

Naturalmente, pur restando valida l’intuizionee l’impostazione del Fondatore, termini, metodie strutture della diffusione vanno rivisitati e ag-giornati. Oggi, ad esempio, parlando della diffu-sione si parla di promozione, anche se, in realtà,si tratta sempre della stessa intuizione profondadell’Alberione, e cioè di farsi presenti alla gente,di dare un volto all’apostolato.

I centri paolini periferici che portano “perso-nalmente” i prodotti alla gente, se in qualchemodo rappresentano l’interfaccia dei grandigruppi apostolici, al tempo stesso sono chiamatiad essere non semplici distributori, ma produtto-ri autonomi di idee e di iniziative nell’ambito delterritorio di propria competenza; sono chiamatiquindi a rendere veramente significativa la pre-senza della San Paolo nel luogo ove si trovano,ad offrire competenza e professionalità nel mon-do della comunicazione, e non una semplice pre-senza dietro al bancone della libreria o del-l’agenzia. Anche a livello locale, le comunità pe-riferiche possono far vivere tutte le espressionidell’apostolato paolino: gestire ad esempio, tele-visioni, radio, giornali...

Senza ripetere quanto i gruppi apostolici giàfanno ad un livello più ampio, a raggio naziona-le, esse possono essere le antenne che permetto-no alla San Paolo di essere presente dappertuttoe di captare le esigenze della gente, in modo cheil prodotto e lo stesso apostolato paolino rispon-dano pienamente a necessità reali. Possono dare,quindi, un volto al nostro apostolato, più diquanto non si immagini; e consentire un reale efattivo collegamento tra chi è il destinatario delprodotto e chi il prodotto lo realizza.

Per rendere, poi, più efficace la promozionedell’immagine della San Paolo, va cercata adogni costo, soprattutto in questa fase finale dicontatto col pubblico, la collaborazione e la pie-na cooperazione di tutte le congregazioni e gliistituti paolini.

Lo scandalo della divisione diventa clamoro-so nel punto d’arrivo: è qui dove si genera anchetanta confusione e si fa un pessimo servizioall’immagine dell’Istituzione, perché i prodottimarcati San Paolo vengono distribuiti - e nonsolo pensati - in maniera pressoché indipendentel’una dall’altra.

E parlando di immagine non si può non fareanche un riferimento al marchio, su cui è previ-sta una relazione su uno studio fatto in vista diquesto seminario.

Per facilitare al pubblico e agli utenti unaimmediata identificazione dell’immagine del-l’Istituzione che sta dietro i prodotti, sarebbe au-spicabile che non ci fosse un moltiplicarsi deimarchi o un loro continuo diversificarsi; la gentecapisce poco del perché dietro alcuni libri o pro-dotti ci sono i paolini e dietro altri le paoline.

Non sarà il caso di cominciare a chiedersi seun unico marchio per tutta la San Paolo, e pertutte le attività della San Paolo, sia in Italia chenel resto del mondo, non possa giovare all’im-magine dell’Istituzione più di quanto non avven-ga nella situazione attuale?

È un interrogativo che lascio alla considera-zione di tutti.

Ma tornando al centro paolino, che deve esse-re un po’ il motore e il coordinatore di tutte leattività presenti nel suo territorio, vanno studiatee attuate tutte le possibilità per rendere tali centriperiferici dei veri poli di attrazione, “che si im-pongano per qualità, completezza ed efficienzanell’ambito di realtà locali”, che operino e che sidistinguano per capacità di gestire i rapporti conle parrocchie, le diocesi, le organizzazioni varie,religiose e laiche, per tutto ciò che concerne lacomunicazione.

E per dilatare il più possibile questa presenzanel territorio non si può fare a meno del pienocoinvolgimento dei laici a quel terzo livellodell’apostolato paolino che è il campo della dif-fusione e della propaganda.

È senz’altro questo il settore che più deglialtri va rivisto e considerato attentamente. Se ilprimo e secondo momento dell’apostolato ve-dono pienamente coinvolti i laici, la loro pre-senza e attività a livello redazionale o nel setto-re tecnico e produttivo è ormai pacifica, si fainvece più fatica ad immaginare che altrettantosi possa e si debba fare nel punto più delicato:la diffusione.

Abbiamo senz’altro molti contatti nel territo-rio e anche molti diffusori dei nostri prodotti(basti pensare a tutti i punti di vendita di Fami-glia Cristiana); manca forse un’organizzazionepiù razionale e un coinvolgimento più professio-nale di tutti coloro, paolini e non, che vi sonointeressati.

E ancora: si sono fatti notevoli progressi sianella redazione che nella tecnica; altrettantonon si può dire per la diffusione e la propagan-da; e in questo settore potrebbero essere mag-

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giormente coinvolte le comunità paoline decen-trate su tutto il territorio. Accanto a gruppi apo-stolici ben organizzati e strutturati, abbiamo larealtà di comunità e centri che fanno fatica adorganizzarsi in modo razionale, assumendo, sen-za paura, anche lo strumento-impresa, per daremaggior significatività e incidenza alla loro atti-vità e presenza nel territorio.

Mentre altri settori si sono professionalizza-ti, è rimasto un po’ indietro quello che più ser-virebbe a promuovere l’immagine dell’Istitu-zione.

È difficile giustificare la presenza di centripaolini dislocati in tutto il territorio se questinon sono inseriti in una logica di presenza e dipromozione della San Paolo, se non danno nonsolo il volto ma anche le braccia e le gambe aquesto gigante della comunicazione che è la SanPaolo per permetterle di essere presente e vivadappertutto.

Se fra i tre momenti dell’apostolato paolinoqualcosa va sacrificato perché non si è più ingrado di soddisfare le necessità, vanno senz’altrosalvaguardati la redazione e, oggi, in particolarela diffusione e la propaganda.

Come è scritto nei nostri documenti: “quan-do la scarsità di persone e di mezzi economici,ci impongono una scelta fra i tre momenti...dobbiamo convincerci che, salvo situazioniparticolari, la nostra scelta deve cadere sul pri-mo e sul terzo momento, ossia sul momentocreativo e sul momento della diffusione. Da essinon potremo mai prescindere, mentre è quasisempre possibile e spesso vantaggioso affidaread estranei - in parte o anche totalmente -l’impegno della esecuzione tecnica.

La ragione di questa priorità - si legge ancorasui documenti - è evidente: mediante il primomomento, creativo, il nostro apostolato è, rigoro-samente parlando, predicazione del messaggiosalvifico; e soltanto se questo messaggio giungeeffettivamente ai destinatari possiamo raggiun-gere il fine della nostra azione apostolica: la sal-vezza degli uomini”.

E noi possiamo aggiungere: soltanto se que-sto messaggio non giunge anonimo, ma con unvolto ben identificabile, possiamo sperare per ilfuturo che la gente conosca l’immagine dellaSan Paolo e la sua missione; soltanto così sare-mo non solo più conosciuti, ma anche più ap-prezzati.

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Sr. Barbara GIACOMELLIDirettrice della Commerciale E.P. delle Figlie di San Paolo

LIBRERIE EDIZIONI PAOLINE“ALTA DEFINIZIONE” IN CERCA D’AUTORE

È abbastanza significativo che la più estesarete di diffusione libraria esistente in Italia siadelle Edizioni Paoline. Oltre 100 centri di diffu-sione distribuiti come la cartina allegata.

Punti vendita come schermi capaci di tra-smettere in un net-work ideale, l’immagine diuna organizzazione e di una istituzione legata adun unico marchio. Tale realtà non trova facile ri-scontro nel nostro paese e forse anche altrove.Tuttavia non siamo una presenza incisiva e defi-nita.

L’inchiesta dell’Eurisko, commissionata dal-la Divisione Marketing del Gruppo Periodici, èdi grande interesse per noi che ci occupiamodella diffusione del prodotto EP, della promo-zione dell’immagine delle EP. Infatti chi operanella libreria avverte ogni giorno l’esigenza diun cambiamento, o meglio, avverte che al-l’esterno dell’istituzione un cambiamento è inatto e che il modo di operare per essere pre-senti nel settore della comunicazione socialeesige modificazioni di contenuti, produzionemirata, organizzazione di rapporti più ravvici-nati con il pubblico.

In un momento di trasformazione culturale edi costume è consolatorio aver verificato conmetodi scientifici che non è in discussione lanostra produzione, bensì si chiede alla SanPaolo di meglio definirsi come istituzione e dilanciarsi con maggiore grinta e decisione anchenel settore degli altri linguaggi e della comuni-cazione.

Sinteticamente: la definizione del prodotto èalta, il profilo di chi lo propone è sfocato. Le li-brerie sono valutate molto in positivo, ma risul-tano come “personaggi in cerca d’autore”.

Sfide che emergono dall’indagine

Dalle linee emerse sull’immagine della SanPaolo vista attraverso la gestione delle Libreriedelle EP, mi pare di poter cogliere alcune istanzeche potrebbero essere sfide da prendere in consi-derazione.

1° Impegno, non solo al livello teorico maanche operativo, per la reinterpretazione del ca-risma istituzionale, di fronte alle nuove tecnolo-gie della comunicazione e alle mutate condizionisocio-culturali nazionali e internazionali.

La San Paolo non può accontentarsi di essereidentificata solo nei suoi prodotti, ma ha biso-gno di rafforzare la sua immagine come orga-nizzazione apostolica e come congregazionereligiosa (Figlie di San Paolo e Società SanPaolo).

2° Sfida della professionalità nel settore delcomunicare. Non solo a livello di diffusione maanche di progettazione. Considerando la profes-sionalità non un requisito imposto dal mondoaziendale per vincere la concorrenza, ma comeesigenza fondante dei processi di comunicazio-ne, perché non diventino aberranti, ma siano op-portunamente mirati. Anche il bene può produrremassificazione se non è comunicato corretta-mente.

3° Sfida alla formazione. Consapevoli che lesfide del mondo creato dai nuovi strumenti delcomunicare non siano tanto di ordine tecnico,politico o economico, ma soprattutto di ordineformativo.

Le librerie EP davanti al futuro

L’immagine che la San Paolo ha attraverso isuoi prodotti presso l’utenza italiana è una im-magine positiva ma forse limitante. I risultatiemersi richiedono una progettazione futura dacodificare al più presto. Parlare di futuro attra-verso una analisi del presente è proficuo, mal’analisi ci deve anche permettere di determinarei modi esemplificativi del nostro impegno didomani come paolini e paoline portatori di uncarisma che riguarda soprattutto gli strumentidella comunicazione di massa. Per evitare che ilfuturo venga con la fatalità delle cose di natura,ma giunga e si manifesti secondo i modi creatividella libertà umana.

Occorre sperimentare nuove forme di pre-senza editoriale. Forme che vadano al di là delcampanile, già ampiamente conquistato e solidi-ficato dalla tradizione. Senza tentativi speri-mentali nuovi non si costruisce il futuro dellaSan Paolo.

La routine, il certo, è adatto a malapena pertenere in piedi il presente che spesso oggi è vis-suto all’insegna della sopravvivenza. Sono i pio-nieri, gli esploratori quelli che costruiscono lenazioni nuove.

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L’inchiesta offre risultati gratificanti ma ciimpone di guardare al domani, con realismo...Per poter guardare al futuro e poterlo immagina-re occorre avere una coscienza libera e una in-telligenza creativa. È necessario guardare al fu-turo con progetti di anticipazione. Cioè cercaredi mettere in atto il meccanismo della sostituzio-ne. Questa esigenza emerge su tutto il frontedell’indagine.

L’immagine che le nostre librerie offrono sievolve con troppa lentezza. Invece, perché l’at-teggiamento di fronte al futuro possa essere coe-rente alla nostra vocazione e produttivo di sal-vezza, è necessaria una libera azione della ragio-ne, sua condizione di strumentalità. Occorre af-frontare il problema della nostra immagine isti-tuzionale con la chiarezza della ragione soste-nuta dalla fede indiscussa nel carisma specificodella fondazione.

Giacomo Alberione in questo è stato pioniere.Sulla ragione dei bisogni dell’uomo del suo tem-po ha costruito l’intuizione di un servizio chetrova la sua linfa vitale nella fede. La nostraidentità, la nostra immagine di paolini non puòmisurarsi soltanto sul presente, né tantomeno sulglorioso passato, ma va vista in prospettiva delfuturo.

Il pubblico che si rivolge a noi o che noi an-diamo a cercare esige una diversità qualitativache meglio esprima ciò che siamo. È evidenteche al tempo della quantità occorre sostituire iltempo della qualità. Al massimo potremmo im-boccare la via della molteplicità complementare,lasciando forse quella pluralità autartica che ren-de più confusi i contorni dell’immagine.

Emergono dalle interviste possibilità nuoveche non vanno trascurate:- Utenti che attendono di vedere nei nostri cen-

tri di diffusione un orientamento più interdi-sciplinare, più “laico”, intendendo la parolanella sua connotazione positiva. Così ancheinsegnanti e dirigenti aspettano la proposta diuna cultura più a-confessionale, ricca di valoricristiani ma senza apologia o crociate di sapo-re ciellino.

- Non esprimono dubbi sulla potenzialità posi-tiva dei mass media usati da noi come stru-menti di evangelizzazione e promozione uma-na e tale servizio viene ampiamente ricono-sciuto e voluto.

- Anche la scuola esige l’offerta più articolatadi sussidi didattici costruiti sui valori umani ecristiani.

- Librerie e Agenzie della San Paolo sono iltramite per la conoscenza di tutta l’organizza-zione e dei suoi scopi. Si chiede che sianomaggiormente curate le modalità per farle

meglio coincidere con il resto dell’organizza-zione.

- La San Paolo è concretamente: la libreria, ilibri, le riviste, i film. Ma il pubblico non sabene a chi attribuire tanta abbondanza.

Conseguentemente è il prodotto che fa l’im-magine, e questa immagine, grazie a Dio, corri-sponde alla finalità dell’organizzazione, «La dif-fusione del messaggio cristiano attraverso i massmedia».

Infatti la conoscenza della San Paolo è mag-giore nel nord (dove c’è più concentrazione deipunti vendita che non nel sud, con meno con-centrazione di punti vendita). Quindi è un’im-magine legata tutta alla rete diffusiva.

La connotazione è soprattutto confessio-nale: la religione e la morale cattolica. Menoevidente la proposta culturale umanistica.Tuttavia l’educazione ai valori e la diffusionedei valori cristiani sono considerate dallagente un obiettivo prioritario delle nostre li-brerie e della produzione editoriale librariaaudiovisiva.

Ancora la Libreria “Edizioni Paoline” siconfigura come proposta di libri a caratteredevozionale, tra i quali emergono la Bibbia e iVangeli. È considerata piuttosto carente laproposta editoriale che va al di là delle Edizio-ni Paoline.

Il giudizio su quanto le librerie offrono è po-sitivo, tuttavia chi ci frequenta auspica una mag-giore possibilità di scelta:- Una competenza professionale più evidente.

Le note ricorrenti sono infatti di riconosci-mento della disponibilità e della cordialitàdel personale, meno riconosciute la compe-tenza e la capacità di migliorare opportu-namente.

- Le librerie sono considerate un punto di ri-ferimento utile e sicuro per i cattolici prati-canti. Insegnanti e dirigenti esprimono in-vece un parere più sfumato e generico, econsiderano le Librerie EP come una espres-sione esclusiva della ecclesialità o a serviziodella propagazione di idee legate alla reli-gione cattolica.

Un gigante dai contorni sfocati

Per i lettori delle Edizioni Paoline, la SanPaolo non ha una immagine chiara. L’opinionepubblica nei suoi confronti è incerta. Forse lecomunità vivono avulse dalla realtà sociale, sonopoco coinvolte nella vita socio-ecclesiale del ter-ritorio, difese dietro, sia pure simboliche, muraconventuali.

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L’immagine sfocata fa rimbalzare alla luce ladicotomia nella quale ci dibattiamo continua-mente.

Dicotomia tra vita religiosa e vita apostolica,problema spesso dibattuto ma con poca volontàdi trovare soluzioni adeguate. Risulta evidenteche sono chiare le finalità dei prodotti, per i no-stri utenti è meno esplicita la nostra proposta divita come religiosi impegnati nella comunica-zione sociale.

Il fatto non sarà da collegare al problemadelle vocazioni religiose?

Su cosa produciamo pochi trovano da obietta-re. Su chi siamo ci sono perplessità, conoscenzevaghe, sensazioni frammentarie...

Occorre perciò dare vita a una sinergia po-tente e nuova tra i bisogni di espansione e direalizzazioni editoriali e offerta di personalizza-zione della San Paolo come compagnia.

Che cosa ci viene richiesto?

Posso tentare, senza pretesa di esaustività, al-cune stimolazioni che ho percepito studiando irisultati dell’inchiesta.

La non precisa decodificazione della SanPaolo nella sua realtà istituzionale richiede pro-babilmente una rivitalizzazione dell’azione fo r-mativa e pastorale che interpella a più livelli.

1. - Azioni mirate per rafforzare l’immagine al dilà dei prodotti. La comunità paolina prima ditutto.

2. - Approfondimento specializzato nel settoredel comunicare. Non più interventi generici,ma debitamente rapportati ai caratteri peculia-ri dei vari specifici della comunicazione.

3. - Presenza significativa e non scollata neglispazi ideativi, produttivi, educativi e di diffu-sione. Capacità di cogliere e dare una rispostacome Famiglia Paolina (e non come ambitislegati gli uni dagli altri e magari in inoppor-tuno antagonismo) alla domanda formativaemergente dalle nuove tecnologie della co-municazione e dalle agenzie di formazione(scuola - famiglia - chiesa).

4. - Non perdere le opportunità di inserirci neigrandi circuiti della comunicazione, non soloa livello di diffusione, ma anche a livello diideazione, produzione e formazione all’uso diquesti strumenti.

5. - Rafforzare e favorire nel pubblico l’idea chele due congregazioni ssp/fsp hanno lo stessocarisma. Il carisma dell’Alberione non è di-versificato - per l’una o per l’altra congrega-zione - tanto meno misogino o femminista.

Può darsi che forse in certi momenti l’ab-biamo fatto diventare tale nella prassi, ac-cettando supinamente il detto dell’Adamoche esplora e dell’Eva che fila. Se l’atteg-giamento è alimentato per puro spirito po-lemico o per interessi di parte non potrà cheprodurre effetti deleteri per la globalitàdell’immagine.

Si potrebbe recuperare come paolini e paolineun’altra caratteristica della nostra origine che èl’andare verso, tanto sottolineato dall’Alberionenei suoi discorsi e negli scritti.

Andare verso gli altri. È stato nel recente pas-sato il nostro più vero e prezioso distintivo.

Oggi, forse, è più forte la tendenza a restaretrincerati nei “quartieri alti” per alcuni o dietro aibanconi dei centri di diffusione per altri... Ag-giungendo a tutto ciò una vita sociale comunita-ria ancora troppo ancorata su schemi monasticirispondenti ad esigenze di altri tempi e per altreattività.

Non andare per andare, maandare per la missione, per essere in mezzo

alla gente, per capire meglio le esigenze, i biso-gni.

Andare non ripetendo schemi ormai superati,ma in modo più nuovo e più rispondente allarealtà contemporanea.

Andare verso i luoghi dove si costruisce lacultura, dove si forma l’uomo di domani, dove sigioca politicamente il destino della nazione.

Andare oggi, vuol dire essere capaci di offrireprogetti di vita, camminare assieme agli altri.Diventare il lievito che fermenta la pasta.

Promuovere un umanesimo cristiano

Siamo catalogati senza ambiguità come libre-rie confessionali, dove domina il libro religioso-devozionale, accessibile a tutti, questo è conso-lante, ma non ci può bastare. Il “Tutto a tutti”dell’Alberione ci obbliga a prendere in conside-razione anche altri orizzonti.

A tale obiettivo occorre affiancarne un altro:quello di promuovere un umanesimo cristianoche permei tutta la realtà umana nelle sue varieespressioni e modalità.

Dai nostri centri di diffusione deve uscire laproposta per un umanesimo centrato sul “doveressere”. E a questo riguardo la presenza deglioggetti religiosi crea nel pubblico l’impressionedi un commercio che ha poco a che vedere conla promozione della cultura e della evangelizza-zione.

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Librerie per favorirel’identità della San Paolo

La San Paolo potrebbe acquistare attraversole librerie una identità meglio definita, studian-do più da vicino il rapporto mass-media/educa-zione.

I capitoli essenziali di questo impegno sonodelineati anche nelle risposte date nell’inchiestadagli animatori pastorali e culturali (sacerdoti,religiosi, insegnanti...), e possono essere così ri-assunti:

- veicolazione professionale e didattica dei lin-guaggi audiovisivi e delle nuove tecnologienella scuola;

- sperimentazione e individuazione di pro-grammi per l’insegnamento della religionenella catechesi. Si chiedono infatti prodottipiù aderenti alla realtà;

- adeguamento e qualificazione del personale alivello promozionale per i punti vendita e ad-destramento all’uso di tutto l’arco delle pos-sibilità offerte dai diversi linguaggi (dicevoprima che si nota disponibilità e cordialità,meno la professionalità...).

Possono favorire la definizione dell’imma-gine:

- le espressioni editoriali concordate e atte arafforzare l’immagine dell’unico marchio,pur nel rispetto delle autonomie congrega-zionali;

- la gestione delle librerie Edizioni Paoline conuno stile ovunque riscontrabile, che indichiappartenenza e si caratterizzi sulle opzionimigliori;

- l’impostazione di una seria politica di coordi-namento della rete distributiva che risulta inalcuni momenti scollata dalla produzione edall’istituto;

- strutture comunitarie più atte a favorire le at-tività che realizzano la missione specificadell’istituto;

- maggior spazio nei settori produttivi e diffu-sivi a laici preparati, visti non tanto come di-pendenti assunti e sopportati per necessità, macome collaboratori capaci di condividere connoi lo stesso ideale;

- maggiori collegamenti con le realtà paolineesistenti a livello nazionale e internazionaleper strategie e azioni unificanti, che potrebbe-ro contribuire a delineare con più chiarezza lanostra identità istituzionale di operatori dellacomunicazione sociale anche a livello inter-continentale.

Conclusioni

Dopo oltre cinquant’anni di attività editorialee con 100 punti vendita che portano lo stessomarchio, non è possibile accettare l’idea di unidentikit istituzionale incerto.

Se il “mi protendo in avanti” paolino non èsoltanto uno slogan spirituale ma anche un itine-rario di marcia, non possiamo accettare che ilmotto si identifichi sugli effetti (i prodotti) e nonsia altrettanto attribuibile alla causa (istituzione)che li ha generati.

Le nostre attività apostoliche (quindi i nostricentri di diffusione) non possono rimanere di-sgiunte dalla nostra identità di istituzione. Sol-tanto la sovrapposizione dei due profili ci daràuna identità precisa e convincente soprattutto perchi volesse condividere con noi la stessa avven-tura.

O si prende seriamente in considerazionequesta esigenza, o rischiamo di essere condan-nati ad una immagine generica e la società vedràin noi più dei furbi imprenditori, a metà strada,tra l’impegno e il guadagno, che una organizza-zione a servizio della promozione dell’uomo edel Vangelo.

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RETE LIBRERIE EDIZIONI PAOLINE E AGENZIE SAMPAOLOFILM

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D. Leonardo ZEGADirettore del Gruppo Periodici e di Famiglia Cristiana

L’ASSUNZIONE DELL’IMPRESA E DELLE SUE REGOLECOME STRUMENTO DI APOSTOLATO

Devo parlare dell’impresa come strumento diapostolato. Non genericamente ma in riferi-mento al nostro apostolato, alla nostra vocazio-ne; come strumento per realizzare quanto ci im-pone l’articolo 2 delle Costituzioni dove è defi-nita la specificità paolina; per raggiungere quelloche il Fondatore, già nel 1922, chiamava “loscopo unico” dei suoi Istituti.

Devo parlarne - m’è stato raccomandato - noncome di una prospettiva futuribile, di una possi-bilità fra tante, ma come di una condizione sinequa non per operare una svolta nel nostro mododi fare apostolato; come d’un metodo, d’unastruttura organizzativa valida per tutti, quale chesia la natura dell’attività, la sua ampiezza, la suacollocazione geografica; come d’una linea, di unprogetto per il quale il “già realizzato” può servi-re come esempio, se non come modello.

Ne parlo volentieri, perché convinto della va-lidità di questa impostazione, confermata del re-sto, sia pure con i dovuti aggiustamenti, da espe-rienze in atto in varie Nazioni.

Una costatazione viene subito spontanea: die-ci, quindici anni fa un simile discorso non sareb-be stato neppure immaginabile, nonostante lesollecitazioni del Capitolo Speciale ’69-71. Sene discuteva invece animatamente tra noi - pic-cola pattuglia di “visionari” in odore di eresia -mentre si andavano concretizzando, tra strappi elacerazioni, i primi tentativi di dare un respirogestionale meno asfittico ad esperienze editorialid’una certa ampiezza, qual era, ad esempio,quella di Famiglia Cristiana.

Di che cosa, in sintesi, si trattava è detto, conmolta chiarezza, in un editoriale di don Zilli delgennaio 1972. Introducendo il fascicolo com-memorativo preparato da F.C. dopo la morte delFondatore, don Zilli scriveva: “Don GiacomoAlberione è uno degli uomini più strettamentelegati al nostro tempo. La sua intuizione, infatti,non sta tanto nell’aver utilizzato i mezzi ‘piùceleri e più efficaci’ della comunicazione so-ciale come strumenti d’apostolato - cosa che giàaltri prima di lui avevano cercato di fare -quanto nell’aver adottato integralmente il meto-do industriale, che si tira dietro, per sua natura,l’obbligo di un aggiornamento continuo e lacomplementarietà di molti settori. È l’industriaal servizio della Chiesa; è la rinuncia definitivaa un certo tipo di artigianato, è soprattutto la

rinuncia all’arrangiamento. Un perfetto apostolodeve essere anche un perfetto professionista. Li-bri, giornali, film, dischi, oltre che fatti a scopodi bene, devono essere fatti secondo tutte le re-gole”.

Io non so se tutto questo rispondesse più a undesiderio di don Zilli che al pensiero di don Al-berione, ma i primi passi significativi in questadirezione furono fatti vivente il Fondatore e conla sua esplicita approvazione. Questo è certo.

Non voglio, però, attardarmi sui ricordi esulla storia, né sulle diverse interpretazioni delpensiero di don Alberione e sull’evolversi pa-rallelo di queste idee in seno alla Congregazione;anche perché, come sempre, i fatti hanno finitoper parlare più forte delle parole. Basti osservareche oggi le contestazioni dal basso si sono affie-volite, i contrasti con l’alto si sono appianati.

Non che tutti gli ostacoli siano scomparsi el’accettazione sia generalizzata, ma è pur vero (equesto Seminario ne è la riprova più clamorosa)che ciò che qualche anno fa veniva rimosso co-me una escrescenza anomala nel corpo dellaCongregazione, viene oggi proposto come laforma organizzativa più consona alla natura delnostro apostolato, capace di garantire, se bencompresa e realizzata: un significativo rilanciodella missione paolina e un ordinato sviluppodelle varie attività in ogni Nazione e a tutti i li-velli; un recupero d’immagine della Società SanPaolo nella Chiesa e nella società in cui è inse-rita; un solido punto di riferimento per la forma-zione - di base e specifica - delle nuove genera-zioni paoline e per la richiesta, ormai corale, diuna maggiore maturità umana, religiosa e pro-fessionale dei membri della Congregazione; unapossibilità concreta di collaborazione, anche alivello internazionale, basata finalmente non suvaghe manifestazioni di buona volontà, ma sureciproci scambi e comuni interessi. Se n’è fattadi strada!

Impresa e Comunità religiosa

Si parla, nel titolo del tema assegnatemi, del-l’“assunzione dell’impresa e delle sue regolecome strumento di apostolato”; ma io non misoffermerò né sulla descrizione dell’impresaeditoriale e le sue diverse articolazioni, né sulleregole che ne governano la gestione (altri lo

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hanno fatto e lo faranno con ampiezza e compe-tenza). Cercherò invece di farvi partecipi di al-cune riflessioni, maturate nel corso di questi anniin seno al Gruppo Periodici. Queste riflessioni siriferiscono soprattutto ai contraccolpi che puòprovocare sulla Comunità e sui singoli membril’impatto con il mondo del lavoro organizzato(l’impresa), per molti versi assai lontano daquello, un po’ asettico e protettivo, della casa re-ligiosa. Le reazioni a catena che questo impattosuscita sono normali e non devono meravigliare;di più, esse possono evolvere in senso positivose l’atteggiamento con cui si affronta il problemanon è viziato da pregiudizi di concetto o di co-modo.

Il primo criterio da applicare mi sembraquello della chiarezza, nei termini e nei rapporti.Don Perino ci ha detto nella sua introduzione:“Ciò che importa è che non si abbia paura delleparole”. E si riferiva esplicitamente alla profes-sionalità, alla managerialità, all’internazionalitàanche intesa nel senso imprenditoriale di joint-venture. Chiamare dunque le cose con il loronome. Che può significare, ad esempio, anchequesto: l’apostolato è lavoro e come tale va trat-tato e rispettato; è lavoro finalizzato e quindi bi-sognoso di coordinamento, di strategie, di obiet-tivi, di verifiche dei risultati, ecc.; è lavoro spe-cializzato e quindi esigente in fatto di prepara-zione e competenza.

Chiarezza vuol dire “valorizzare” in tutta lasua portata il concetto di Comunità paolina cosìcome fu formulato da don Alberione e posto poiin esergo al capitolo che la riguarda nelle Costi-tuzioni: “Per noi la vita comune è nata dall’apo-stolato e in vista dell’apostolato. Questo caratte-re di società finalizzata ad uno scopo, comprendebensì il bene comune dei membri; ma insieme lastessa osservanza della vita comunitaria ha unaorganizzazione che tiene conto di questo: ‘siamoal servizio delle anime’; religiosi apostoli”.

È un testo fondamentale, mi sembra, soprat-tutto perché fa giustizia di tante ambiguità pun-tando al cuore del problema: se una Comunitànon è apostola della comunicazione non può dir-si paolina. Saranno diversi i modi di porsi difronte a tale apostolato (dall’attività a tempopieno all’impegno nella formazione, al forzatoritiro per malattia o anzianità, alla preghiera,all’offerta generosa delle proprie sofferenze,ecc.), ma il coinvolgimento apostolico è la ragio-ne stessa di vita di ogni comunità paolina e diogni suo membro.

Questo è tanto vero che non mi sembra af-fatto una forzatura del pensiero del Fondatoreestendere l’affermazione dalla Società SanPaolo alla Famiglia Paolina tout-court. Per que-

sto stesso motivo, a me non piace (ma è un pare-re del tutto personale) la distinzione che spessosi fa tra case di apostolato e case di formazione,case di riposo, ecc.

È la Comunità dunque che fa l’apostolato; cheassume, per farlo sempre meglio secondo il suocarisma, gli strumenti più idonei, tra cui l’im-presa; che si fa carico, attraverso i responsabilidelegati ad hoc, della sua gestione; che accetta -sempre per fini apostolici - i ritmi di lavoro chel’impresa impone; che non si ritrae nel “giar-dino” della regolarità quando il lavoro esige lapresenza; che fissa, accettando le regole del-l’impresa, la linea di demarcazione tra l’hobby, avolte il capriccio, del singolo e il progetto apo-stolico che tutti coinvolge.

Si è discusso fin troppo sulla dicotomia - chequalcuno ha sospinto fino all’inconciliabilità fravita religiosa e attività apostolica, per dovervi in-sistere. Io dico questo: considerata la vastitàdella vocazione assegnataci, se davvero esistesseincompatibilità fra le due realtà, don Alberioneavrebbe sbagliato tutto. Noi siamo nati perl’apostolato, non il contrario, e i ritmi della no-stra vita sono necessariamente condizionati dal-l’attività assegnataci. È il rischio che ci fa paoli-ni e adulti. Si può immaginare, del resto, un se-rio coinvolgimento con il giornale quotidiano(ma già il settimanale di attualità ha tempi moltostringati), con la radio e la televisione, con la dif-fusione intesa come servizio ai destinatari nel ri-spetto della peculiarità dello strumento di comu-nicazione che si propone, non come cattura dellettore-ascoltatore, sia pure per nobili fini, senzaintaccare il tabù dell’orario e delle cosiddettepratiche comuni? E si dovrà per ciò rinunciare adessere buoni, ferventi religiosi? E dovranno an-cora superiori e confratelli passar giudizi sulla“santità” altrui solo in base alle presenze ed as-senze alla pratiche canoniche?

In senso inverso: non sarà per caso l’enfasisulla regolarità religiosa un alibi per mascherarela propria pigrizia e la progressiva “ghettizza-zione” dell’apostolato?

- Solo ciò che possiamo fare con le nostreforze e niente esterni tra i piedi: Don Alberionenon li voleva, creano problemi a non finire, cisfruttano, disturbano, distraggono;

- il libro privilegiato ad ogni altra forma diapostolato, sol perché ha un’andatura più tran-quilla;

- accontentarsi di un’editoria disincarnata,lontana dal dibattito culturale e dalle convulsioniche percorrono la Chiesa e la società del propriotempo e del proprio Paese: creano tensioni inter-ne e reazioni fastidiose dall’esterno;

- ridurre il contatto diretto con la gente e

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quindi la presenza nel territorio al bancone dellalibreria;

- ritirarsi, chiudere (ah! le librerie delle Figlieche vanno via via diminuendo in Italia) pur dinon associare un laico nella gestione.

Ritirarsi è la via più breve per togliersi dagliimpicci, ma è anche un po’ morire.

Ecco la contraddizione: un apostolato intesocome presenza al mondo, anche e soprattutto aquello che si allontana o tende ad allontanarsidalla pratica religiosa; che privilegia le masse es’affida per questo ai mezzi più moderni dellacomunicazione; che accetta il rischio della con-taminazione così come Cristo, Parola di Dio, haaccettato l’Incarnazione; e che si riduce, di fatto,a rifornire sacrestie e conventi. Non è un’operadi misericordia dar da mangiare ai satolli.

Vanno dunque evitati con cura i due estremi:da un lato il rifiuto dello strumento imprendito-riale per rifugiarsi nel “privato” paolino tradendocosì la nostra vera vocazione; dall’altro, la sepa-razione netta tra le due realtà - religiosa e apo-stolica - per cui esse convivono, come le due te-ste dell’aquila asburgica, l’una a fianco del-l’altra, ma guardando in direzioni opposte, senzamai incontrarsi per non scontrarsi. E va invecevalorizzato al massimo il criterio della distinzio-ne e della delega , per il quale don Perino ha puretrovato un supporto ideologico accattivante nelprincipio della laicità e della secolarità, che me-rita attenta riflessione, carico com’è di potenzia-lità operative.

L’assunzione dell’impresa e delle sueregole in regime di delega e distinzione

Accertato e messo in atto il criterio delladelega e della distinzione si vedranno imme-diatamente i molti elementi positivi che ne de-rivano a beneficio della Comunità e dell’attivitàapostolica.

1. In primo luogo, i ruoli e le competenze diciascuno sono chiaramente definiti. Da un latol’autorità canonica, nelle sue varie articolazioni,con le responsabilità e i poteri che le sono attri-buiti dalle Costituzioni: tributaria in genere discelte “politiche” e delimitata nel tempo da sca-denze prefissate, quest’autorità può trovarsi adisagio a contatto con problemi che esigonoprogrammazioni anche pluriennali, specificapreparazione e competenza. Dall’altro, i re-sponsabili dell’apostolato, con un’autorità nonmeno autentica nel proprio ambito perché dele-gata; e i membri della Comunità inseriti nell’or-ganico dell’impresa, non per meriti di apparte-nenza (sono paolino e quindi “padrone”), ma

secondo la propria capacità e la propria prepa-razione professionale. Non si sottovaluti il sem-plice fatto di sapere, con esattezza e senza pos-sibilità di equivoci, qual è il proprio posto di la-voro, a chi si deve fare riferimento, quali obiet-tivi sono assegnati all’ufficio in cui si opera,quale parte di responsabilità spetta a ciascunonella verifica dei risultati, ecc. Ed è incalcola-bile - quando tutto ciò sia compreso e praticatocon impegno - il “valore aggiunto” che vi ap-porta l’essere religiosi. È la consacrazione chefunge da lievito trasformando il lavoro di tutti,religiosi e laici, in vero apostolato. In una Co-munità così orientata i conflitti tra le due auto-rità tendono naturalmente a ridursi perché tuttiguardano nella stessa direzione e tutti tendonoallo stesso fine .

2. In secondo luogo, il regime di delega e di-stinzione crea trasparenza. Le regole dell’im-presa (a cominciare dalle procedure ammini-strative che sono per loro natura onnicompren-sive e puntigliose fino al fiscalismo) fannopiazza pulita di prevaricazioni e abusi spessoconsumati con il pretesto di difendere il “verospirito religioso”.

Soffermiamoci per un istante sul fatto ammi-nistrativo, non perché sia il più importante, maperché è il più concreto e verificabile. Non ap-pena si attua il principio della delega, l’ammi-nistrazione della casa religiosa, affidata normal-mente all’economo, e quella dell’impresa gestitadal direttore amministrativo, vengono netta-mente distinte. L’una risponde al criterio canoni-co per cui il religioso non acquisisce nulla per sée fa uso di quanto gli abbisogna secondo le re-gole della Congregazione; l’altra è governata danorme e procedure consolidate, secondo gli usi ele leggi dei singoli Paesi, o da Statuti circoscri-zionali che fondano la delega.

3. La distinzione consente una pacifica efruttuosa interazione tra le due amministrazioni,senza che ciascuna perda la propria identità efunzione. La Comunità, da quel momento, viveveramente del proprio lavoro. I membri inseritinell’impresa vengono regolarmente retribuiti,ciascuno gode delle normali coperture assicura-tive in caso di infortunio o malattia, ad ognuno ègarantita una decorosa pensione nel momento incui si ritira dal lavoro attivo.

Il ricavato del proprio lavoro (stipendio) flui-sce nella cassa comune, gestita - in trasparenza ecarità - dai legittimi Superiori, come impone ilvoto di povertà. Ma nessuno è di peso a nessuno,in nessuna evenienza.

Ove ci sia sovrabbondanza di mezzi (e puòcapitare in case il cui personale attivo superi la

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soglia del 70-80%), i Superiori provvederannoad un’equa ridistribuzione del surplus verso casegravate da compiti meno redditizi (formazione,malati e anziani, ecc.), oppure si procederà adulteriori investimenti nel settore apostolico, ma-gari per alimentare nuove iniziative che richie-dono un periodo di lancio e di rodaggio.

Cesserà così lo “scandalo” (spesso solo pre-sunto) dei “ricchi e poveri” e delle reciprocheaccuse, e cesseranno anche le forme di autofi-nanziamento “sommerso” cui si ricorre con unacerta disinvoltura, sottraendosi all’impegno apo-stolico comune. Troppi casi si sono visti di“religiosi ricchi e case paoline povere”, quandoinvece potrebbe e dovrebbe avvenire il contra-rio: case ricche di risorse per l’apostolato e re-ligiosi lietamente poveri, nel senso almeno checondividono la sorte della media dei cittadini -operai, impiegati - del proprio Paese guada-gnandosi il pane, contribuendo allo sviluppodella Congregazione e al sostentamento di chinon è ancora in grado di farlo o non lo è più.

Il rapporto di un membro attivo su tre, for-mulato mi pare dallo stesso don Alberione, cor-risponde appena a quello del capofamiglia chemantiene con il suo lavoro la moglie e un figlio.Al di sotto di questo limite di rendimento, noncredo si possa parlare di un paolino, nel pienodelle sue forze, come di un vero “lavoratore” equindi di un vero “apostolo”.

4. D’altro canto, il servizio amministrativoaziendale risponde del suo operato alla Proprietà,attraverso gli organi responsabili della gestione(Consiglio di amministrazione. Amministratoridelegati, Direttore generale, ecc.); applica leprocedure previste dalle leggi; suggerisce il mi-glior uso delle risorse finanziarie, provvede atutti gli adempimenti funzionali nell’ambitoaziendale.

Conta il denaro, ma non ne dispone secondol’aurea regola dei controlli incrociati che nonsono “odiosi” perché sistematici, procedurali,uguali per tutti. I cosiddetti poteri di firma, poi,sono in genere riservati alla proprietà e a suoidelegati in seno all’impresa.

Il servizio amministrativo predispone budgetpreventivi e consuntivi, bilanci parziali e annua-li, verifica e controlla gli eventuali scostamenti.Assicura il rispetto delle leggi fiscali vigenti nelPaese.

5. La distinzione e la delega portano così allariconciliazione delle due realtà - religiosa e im-prenditoriale - senza cadere nell’infantile giocodel pauperismo, nella demonizzazione dei mez-zi (tutti i mezzi, anche il denaro, anche la strut-tura organizzativa sono in sé neutri) o, al con-

trario, nella mitizzazione degli strumenti e del-l’impresa stessa, che trasformerebbe - questa sì -l’apostolato in industria e commercio a fini diprofitto e basta.

Quanto si è detto dell’amministrazione a ti-tolo esemplificativo, può valere - mutatis mu-tandis - per tutti gli altri settori in cui si articolal’impresa, a cominciare da quello più delicato,perché presiede ai contenuti, che è la direzioneeditoriale.

L’obbligo dei membri paolini - che cominciadalla loro formazione e cresce con l’assunzionedi responsabilità - è quello di acquisire una suf-ficiente conoscenza della complessità dellostrumento aziendale, di sviluppare capacità dileadership, di avere il senso dei propri limitiquando si tratti di competenze specifiche. Il ri-schio che corrono è quello di credere di saperetutto, di poter fare di tutto, meglio di tutti, con-fondendo ignoranza e presunzione con il“segreto di riuscita”; di mancare talmente diqualità e di preparazione da condannarsi adun’autoemarginazione tanto penosa quanto stiz-zosa. Ci pensino i formatori!

Un esempio di organizzazione apostolica:il Gruppo Periodici

Vorrei concludere queste riflessioni con ladescrizione sommaria del nostro Gruppo: comesi rapporta con la Congregazione e con le Co-munità che in esso e con esso operano, com’èstrutturato, com’è gestito.

Come già detto, non si intende proporre unmodello, ma offrire un esempio; e se scelgo ilGruppo Periodici è solo perché lo conosco me-glio di altri, dal di dentro, sin dalla sua fondazio-ne. Un esempio, del resto, non è trapiantabiletale e quale: copiare non è mai stato un segno diintelligenza e di creatività.

Il Gruppo Periodici è in realtà una impresaeditoriale costituitasi come Società di capitali nel1982, quando tagliò il cordone ombelicale che lolegava alla Società San Paolo nella sua formagiuridica di Ente Morale. Questo distacco de jureè avvenuto dopo che - de facto - la sua autono-mia gestionale era stata acquisita sin dagli inizidegli Anni ’70. Adesso la sua denominazioneesatta, sotto il profilo giuridico-societario, è laseguente: Società San Paolo - Gruppo Periodicis.r.l. (società a responsabilità limitata).

Le quote del Gruppo sono possedute dal-l’Ente Morale Società San Paolo, legalmenterappresentato dal Superiore generale in carica.La proprietà appartiene dunque totalmente allaCongregazione.

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La gestione è invece delegata ad un organi-smo direzionale amministrativo che ne rispondecivilmente e religiosamente. Tale organismocomprende, in ordine gerarchico, il Consiglio diamministrazione e il suo Presidente, l’Ammi-nistratore delegato, il Direttore generale. Tuttiquesti amministratori sono paolini, nominati anorma delle Costituzioni, e tra i loro obblighiistituzionali c’è appunto quello di garantire il ri-spetto dello Statuto , parte integrante dell’attocon cui è stata formalizzata la costituzione delGruppo Periodici.

Il Gruppo non possiede beni immobili: le ca-se, gli stabilimenti in cui opera sono affittati e ilcanone viene regolarmente versato alla Proprie-tà. L’affitto si estende anche alle testate giorna-listiche. Sono invece di sua proprietà macchinarie mezzi tecnici necessari per il lavoro. Tutto èinventariato. I bilanci delle sue attività sonocertificati (nel senso tecnico del termine e quin-di con il coinvolgimento legale-penale della so-cietà incaricata della verifica) e pubblicati (ognianno dobbiamo esporli sulle nostre riviste).Certificazione e pubblicazione sono imposte perlegge in Italia alle case editrici di quotidiani eperiodici che godono, in cambio, di alcuni bene-fici e sconti sui servizi pubblici (trasporti, poste,telefoni, ecc.).

Il Gruppo è strutturato come un’impresaeditoriale che gestisce anche luoghi e mezzi distampa propri. C’è una Direzione generale cuifanno capo la Direzione amministrativa e la Di-rezione del personale, oltre alle quattro direzionidi settore:

Editoriale (responsabile dei contenuti: è formatadai direttori di testata, tutti paolini);

Commerciale (responsabile dei ricavi da diffu-sione e pubblicità: il direttore è un laico);

Tecnico-produttivo (gestisce lo stabilimento diAlba e i reparti tecnici di Milano: direttore evice sono discepoli paolini);

Servizi generali (è responsabile della manuten-zione e della funzionalità di edifici e impianti,dell’EDP, ecc.: il direttore, paolino, è anchel’assistente del Direttore generale).

Il personale assunto è di circa 800 persone,paolini inclusi. Il volume di lavoro misurato intermini economico-finanziari, è stato, nell’ 87, di134 miliardi (pari a circa 100 milioni di $ US).

La direzione generale è a Milano, ove sonoanche tutte le redazioni (ad eccezione di Vita Pa-storale e La Domenica dislocate ad Alba), la di-rezione editoriale, commerciale e dei servizi.

Lo Stabilimento di Alba gode di una suffi-ciente autonomia gestionale, anche se unica è ladirezione amministrativa e del personale.

I membri delle due Comunità che operanonel Gruppo sono regolarmente retribuiti (alcunisono già pensionati e prestano qualche serviziocollaterale, secondo le loro possibilità) in rap-porto al ruolo che ricoprono nell’impresa, e i lo-ro stipendi o pensioni passano nella Cassa co-mune gestita dai rispettivi Superiori. I costi dimantenimento delle case religiose e personalisono nettamente distinti dai costi aziendali. Irapporti sono sereni sia all’interno delle Comu-nità, sia con i numerosi laici con cui si convive esi collabora per molte ore al giorno.

Un’ultima curiosità: s’è calcolato che tra di-pendenti regolarmente assunti, collaboratori avario titolo, diffusori domenicali dei nostri pe-riodici, ecc., attorno al Gruppo Periodici gravi-tano più di 70.000 persone. Queste ci consento-no di raggiungere regolarmente, tutte le settima-ne, circa 8 milioni di lettori, saltuariamente (al-meno un contatto al mese) oltre 14 milioni.

Il Gruppo Periodici è solo un esempio, comeho detto, rappresenta una porzione di qualche ri-lievo, non certo la totalità del lavoro apostolicodella Congregazione.

Davanti a me, adesso, vedo invece il “mondopaolino” e mi sovvengono le parole dette da donAlberione nel 1950 al Congresso degli Stati diperfezione:

«I più grandi tra i nostri Santi si attacchereb-bero oggi al microfono per lanciare in fervore dispirito ed esultanza di cuore il loro messaggio diverità, giustizia e pace. Impossibile non pensareal comando di Gesù Cristo: ‘Predicate il Vangeload ogni creatura; ciò che vi dico nell’intimità an-nunciatelo sui tetti’. Riflettiamo che era riser-vato ai nostri tempi attuare alla lettera il divinomandato di Gesù Cristo: ‘La mia parola saràpredicata nell’universo orbe’» (Doc. Capitolari,Cap. Gen. 1971, pag. 110).

Possiamo allora seriamente immaginare unrestringimento della base operativa (solo Paolini,entro le gabbie della “regolarità” religiosa), sen-za distruggere l’enorme possibilità di bene che laProvvidenza ci offre e di cui dovremo rendereconto?

Quando ci coglie la tentazione del “pensar pic-colo”, del tirare i remi in barca perché stanchi edelusi, è su queste parole che dobbiamo riflettere,è a queste masse che ci seguono che dobbiamovolgere lo sguardo e il cuore, a queste e a quelleche attendono: “Levate oculos vestros... Ecco, iovi dico, alzate i vostri occhi e osservate i campi:già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35).

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Fr. Francesco BERNARDIConsigliere Generale

LA COLLABORAZIONE DEI LAICINELLA SOCIETÀ SAN PAOLO

Un po’ di storia

Prima di addentrarci nel tema che diretta-mente ci interessa, è opportuno fare un po’ distoria.

Don Alberione, narrando nell’AbundantesDivitiae, delle origini della Società San Paoloscrive (come è suo stile in terza persona): «Pen-sava prima ad un organizzazione cattolica discrittori, tecnici, librai, rivenditori cattolici... Mapresto, in una maggior luce, verso il 1910, feceun passo definitivo: scrittori, tecnici, propagan-disti, ma religiosi e religiose» (AD 23).

«... per dare più unità, più stabilità, più conti-nuità, più soprannaturalità all’apostolato. Forma-re una organizzazione, ma religiosa; dove le for-ze sono unite, dove la dedizione è totale, dove ladottrina sarà più pura...» (AD 24).

Don Alberione poneva, in questo modo, lastruttura religiosa (canonica) della Congregazio-ne a garanzia della stabilità e qualità dell’apo-stolato. Su questa linea egli si muoverà quandodarà inizio alla sua opera.

Nei primi decenni della Società San Paolo,favorito anche dal grande numero di seguaci -pensiamo agli anni ’30/’40 - Don Alberione ten-de a far fare tutto ai suoi figli: dallo scrivere (neilimiti del possibile), alla stampa, alla diffusione;ma anche alla fabbricazione degli inchiostri,carta, lavori di falegnameria, officina, calzoleria.Uno spirito di autarchia pervade la congregazio-ne. Ancora nel 1926, scrivendo a Don Giaccar-do, lo mette sull’avviso a riguardo della presenzadei laici nei nostri ambienti: “Bisogna che esclu-diamo il personale esterno, e subito e gradata-mente, perché avremo gli inconvenienti che la-mentano i Padri Gesuiti”. Il che vuol dire che giàallora qualche persona esterna c’era.

Il Fondatore dà questa direttiva per difenderela Società San Paolo dall’accusa di “commercio”che spesso le veniva fatta, specialmente dagliambienti ecclesiali. Egli andava dicendo che illavoro editoriale apostolico doveva essere com-piuto in proprio: diretto, stampato e diffuso dareligiosi.

Con il passare degli anni le iniziative cresco-no e si sviluppano, e con esse, l’esigenza che unsempre maggior numero di persone si dedichinoad esse. Non potendo far fronte a tutte le neces-sità che venivano a crearsi, si inizia a lasciare

gradualmente le attività che non sono diretta-mente finalizzate alla missione, per affidarle acollaboratori esterni; è questo il modo più sem-plice per evitare di avere dei laici in casa.

Nel periodo postbellico, in particolare neglianni ’50 e ’60, la Congregazione vede una note-vole crescita delle proprie iniziative un po’ intutto il mondo.

In Brasile e Giappone nascono le stazioni Ra-dio; i paolini tentano di uscire dalla tipografia. InItalia, nel 1956, Don Gabriele Piazzo è invitatoda Don Alberione ad avviare la SAIE. Nelle in-tenzioni del Fondatore, questa editrice dovevaapparire laica e aconfessionale; la sua produzio-ne era principalmente orientata alla pubblicazio-ne di volumi ed enciclopedie che spaziavano inogni campo della cultura e scienze umane, pur-ché non contrari ai valori evangelici. Una editri-ce laica, con marchio proprio, e una organizza-zione di vendita laica, per poter più facilmenteentrare in quella parte di società più secolariz-zata. Don Alberione stesso, frequentava i nume-rosi incontri degli agenti e venditori, partecipan-do alla loro formazione.

Dello stesso periodo (maggio 1956), è la ri-fondazione della San Paolo Film (prima REF:Romana Editrice Film), sulla base di una moder-na e corretta organizzazione.

Verso la metà degli anni ’60, avviene il vor-ticoso sviluppo di “Famiglia Cristiana”. Talecrescita era superiore alle forze di cui i paolinipotevano disporre senza condizionare pericolo-samente la stabilità delle altre attività apostoli-che e la stessa formazione dei membri. Anchein questo caso fu evidente che l’assunzione deilaici si rivelava una scelta obbligata, per nonmortificare l’opera. Anche questa decisione èstata presa con il consenso di Don Alberionestesso.

Questo, solo per citare alcune iniziative note,e sviluppatesi sotto l’occhio vigile del Fonda-tore.

La stessa situazione si è venuta a porre anchein altre parti del mondo, specialmente dove leattività apostoliche erano maggiormente svilup-pate; cito solamente: Brasile, Argentina, Messi-co, Zaire e, in forma più o meno accentuata, unpo’ in tutte le nazioni.

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Quasi contestualmente al maggior sviluppodelle attività apostoliche, verso la fine degli anni’60 e specialmente negli anni ’70, abbiamo unsignificativo calo delle vocazioni in molte nazio-ni (specialmente del primo mondo).

Per far fronte a questa crisi, che si traduce sulpiano apostolico in un calo di personale religiosodisponibile, e per continuare a garantire la cre-scita armonica di alcune opere, o anche sola-mente per consolidarne gli sviluppi, si inizia ti-midamente ad associare l’attività di alcuni laici aquella primaria dei religiosi.

Il più delle volte questa non è una scelta vo-luta, ritenuta “ottimale”, ma “subita” per noncomprimere o ridimensionare negativamente al-cune attività. Infatti da parte di non pochi paoli-ni, tale decisione è vista come una soluzionetemporanea, in attesa di poter ritornare nella li-nea tradizionale del “tutto in famiglia”, cioèpronti a liberarsi di questo peso ingombrante ap-pena possibile.

Da questa breve carrellata storica, è evidentecome nonostante Don Alberione si sia formatonell’ottica tradizionale della vita religiosa deltempo: cioè fare tutto in proprio, avviene versola fine dei suoi anni una lenta, naturale, accetta-zione delle nuove esigenze e apertura verso illaicato.

Sarebbe interessante studiare i motivi di que-sto suo atteggiamento.

Mi permetto di formulare qui solo alcuneipotesi:

- prima di ogni altra cosa, stava a cuore delFondatore dare forma, indirizzo e orienta-mento alle congregazioni che veniva creandoe ottenere l’approvazione della Chiesa. Tuttisappiamo quanto sia stato difficile tale ricono-scimento; lo stesso apostolato dei m. della c.s.non era capito. Certamente la presenza deilaici (a qualsiasi titolo), in questo periodo,avrebbe creato difficoltà insuperabili;

- si era sviluppata nel frattempo tutta una teolo-gia sul laicato che è sfociata nel Decreto Con-ciliare “Apostolicam Actuositatem” e più glo-balmente nella “Gaudium et Spes”, con unanetta rivalutazione delle realtà terrene;

- ha determinato in lui questa apertura verso illaicato soprattutto il desiderio di allargaresempre più il campo della evangelizzazionesecondo i nuovi “segni dei tempi”;

- e, non da ultimo (come accennato sopra), hainfluito l’emergenza e la comprensione dellaspecificità dei singoli mezzi della comunica-zione, che modificavano dal di dentro il con-cetto primitivo di apostolato, come prodottointerno da offrire ai fedeli e alla Chiesa e noninvece come frutto di un rapporto creativo trareligiosi e laici nell’utilizzo e rispetto dellediverse competenze.Conoscendo lo zelo di Don Alberione per la

diffusione della parola di Dio, che lo portò adorientare tutta la sua vita e tutte le risorse uma-ne e materiali a questo unico fine, le ipotesi ap-pena espresse (senza escluderne altre), possonooffrire una risposta all’atteggiamento assunto daDon Alberione nell’ultima parte della sua vita.

I documenti della Congregazione

Il Capitolo Speciale della Società San Paolo(1969-1971), avvenuto in un periodo di grandifermenti sociali, ecclesiali e ideologici, è statoper tutti i Paolini un momento di grazia partico-lare; un momento in cui si sono messe le basi egli orientamenti per il futuro sviluppo dellaCongregazione. I Documenti (anche se non sonomolto conosciuti) usciti in quel tempo, ancoraoggi sono di una sorprendente attualità.

In riferimento al tema che stiamo trattando,rimando ai numeri 229-236.

Il n. 231 cita un pensiero del P.M. rivolto alleF.S.P. che dice: «Quanto più la redazione è fattada voi, tanto più è benefica. Quanto più la tecni-ca è fatta da voi, tanto più è benefica. Quanto piùla divulgazione è fatta da voi tanto più è benefi-ca! E chiaro che: santificazione e apostolato so-no uniti nella stessa persona e nella stessa vita»(alle FSP A 189).

Il n. 234 continua: «Quando fosse veramentenecessario per garantire l’indipendenza apostoli-ca, l’efficienza economica, tecnica e organizza-tiva (e io aggiungerei: lo sviluppo) di un’opera odi un settore d’apostolato, ci si potrà valere dipersonale esterno nei nostri stabilimenti, case osistemi di diffusione. Tuttavia, in tal caso, ‘siuseranno cautele perché la formazione e lo spi-rito religioso non ne soffrano; e venga anzi, edi-ficazione agli esterni’ (San Paolo, ott. 1946)».

«(236) La collaborazione, nei nostri stabili-menti, case o sistemi di diffusione, di personaleesterno, comporta oneri e rischi di natura eco-nomica, sociale e sindacale i quali, ove non fos-sero attentamente calcolati, potrebbero pregiudi-care le stesse opere apostoliche e la testimonian-za che dobbiamo dare mediante la professionesincera e generosa della dottrina sociale soste-nuta dalla Chiesa» (Cost. 78.3).

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Come si vede, i Documenti del Capitolo Spe-ciale consentono, quando si verifichino partico-lari condizioni, la collaborazione dei laici nellenostre attività, però mettono anche sull’avvisocirca i rischi che si corrono, e consigliano le at-tenzioni da tenere nel gestire questo rapporto.

Oggi, a distanza di vent’anni da questi docu-menti, circa 2.000 laici collaborano sistematica-mente a tempo pieno nelle opere della SocietàSan Paolo sparse nel mondo, senza contare inumerosi collaboratori esterni.

Occorreva arrivare al Capitolo Generale del1986, perché la Congregazione passasse daiprincìpi generali ad un “codice” comportamen-tale vincolante per tutta la Congregazione.

Dunque, cosciente dei limiti e dei condizio-namenti storici (in negativo) e delle esigenzespecifiche dei mass media (in positivo), il Capi-tolo si rivolge ai paolini in questi termini:

«I membri della Congregazione si formino:- al rispetto dei diritti, del ruolo, della profe s-

sionalità dei lavoratori dipendenti;- all’esercizio di una intelligente leadership,

che garantisca i contenuti delle iniziative apo-stoliche;

- alla ricerca di una discreta animazione spi-rituale, che renda i collaboratori laici sempre piùconsapevoli delle ragioni del loro essere ed ope-rare accanto a noi».

Come si vede, gli orientamenti che dà il Ca-pitolo sono precisi, attenti all’essenziale e, cre-diamo, sufficienti per una corretta impostazionedel problema, sia per chi, giovane, viene iniziatoai diversi settori apostolici, e sia per chi è già inmedias res e quindi è chiamato a verificare e, seè il caso, correggere, alcuni rapporti già instau-rati con i laici.

L’esperienza fatta

Nel nostro vissuto quotidiano, tocchiamo conmano i problemi e le difficoltà che comporta la-vorare a fianco dei laici.

Il più delle volte, ciò è dovuto per l’incapacitàdei paolini di gestire questo rapporto: incapacitàche proviene da una insufficiente preparazione eda una conseguente errata mentalità.

Ci sembra di scorgere, in alcuni, un senso dipaura verso il mondo laico in generale. Possia-mo considerare questo atteggiamento comefrutto della formazione e cultura preconciliare.Non sono molti anni che, nelle comunità, ilmondo laico veniva presentato in contrapposi-zione alla vita religiosa. Tutti noi risentiamo de-gli influssi di questa scuola.

Convivere, anche solo nell’ambito del lavorocon gli esterni, richiede maturità umana, equili-brio, capacità di instaurare relazioni, senso delrispetto e della giustizia. Ancora troppi paolinipreferiscono fare quel poco che possono fare daloro stessi, quasi sopravvivendo al passato, sinoall’esaurimento delle forze, piuttosto che aprirsialla collaborazione.

A volte prevale la paura del confronto e del-l’impegno che comporta il lavoro preciso, serio,continuativo, a fianco dei laici. Si nota come,talvolta, l’incapacità di stabilire rapporti equili-brati e corretti penalizzi alcune persone, privile-giando altre, indipendentemente dai meriti, soloper ragioni di simpatia o antipatia, perché tra ipaolini stessi manca il rispetto dei ruoli e dellaleadership. Si ha ancora l’idea poi che ci sfrutti-no; mentre non abbiamo mai pensato che può es-sere il contrario (visto che si utilizza il tempo, lapreparazione, le capacità, la fatica...).

Dai documenti sopracitati si possono desume-re diverse indicazioni di comportamento.

Per quanto veniamo dicendo riteniamo utilerichiamarne tre:

1. Conoscere e assumere le norme che rego-lano la corretta gestione e organizzazione delleattività apostoliche.

Noi non fabbrichiamo vestiti o macchine, malibri, riviste e audiovisivi. L’organizzazione edi-toriale ha le sue proprie leggi che sono in fun-zione del prodotto che viene realizzato e degliobiettivi che si vogliono raggiungere. Compren-de una gerarchia, o organigramma, con ruoli eresponsabilità che non si possono eludere sia inordine al contesto sociale e civile, sia comestrumento per il raggiungimento della nostramissione. Una corretta organizzazione — chevuol dire mettere in pratica quanto veniamo ri-flettendo in questi giorni — è indispensabile perpoter definire con chiarezza i ruoli, le responsa-bilità e l’ambito di autonomia delle persone.Tutto ciò favorisce la collaborazione, l’obbe-dienza e il rispetto delle competenze e della ge-rarchia.

2. Conoscere e rispettare la legislazione civiledel lavoro, nella quale vengono stabiliti i rap-porti tra datore di lavoro e lavoratore, e i diritti edoveri di ciascuno.

Qualche volta nel nostro subconscio si an-nida la convinzione che alcune leggi civili nonriguardino i religiosi. Molti fatti e “infortuni”legali ce lo dimostrano: la legislazione del lavo-ro è una di quelle. Non solo l’ignoranza in que-

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ste cose non è ammessa, ma il rispetto dellagiusta retribuzione è solo uno dei doveri; vi èanche l’attenzione per tutti gli altri diritti con-nessi, sindacali e non, dal rispetto della perso-nalità, del ruolo, delle convinzioni ideologiche,religiose.

3. L’obbligo della testimonianza evangelica,l’impegno e la serietà che si deve dare nell’am-bito del lavoro, qualunque sia il ruolo e la perso-nalità che si ricoprono.

Quando lavoriamo a fianco dei laici, ci tro-viamo nella condizione di essere osservati e giu-dicati, prima come religiosi e poi per le nostrecapacità professionali. I laici si aspettano discorgere nei religiosi un atteggiamento coerentecon la loro consacrazione e con i valori che pro-fessano; valori che si esprimono attraversol’operosità, la generosità, la gentilezza, il rispettodella persona.

Io penso che prima di tutto i collaboratori siattendono che dimostriamo loro quello che sia-mo. Se poi abbiamo anche le capacità profes-sionali, non guasta. La professionalità che ri-chiediamo ai laici dobbiamo pure essere in gra-do di rispettarla e orientarla secondo la nostramissione.

Ecco che allora, la prima animazione vienefatta attraverso l’esempio e la capacità di co-municare la nostra carica interiore di idealità,facendo partecipi i collaboratori delle nostremotivazioni apostoliche, ma senza indebite pres-sioni.

Senza queste tre premesse, ripeto, sconsiglioad avviare qualsiasi rapporto di collaborazionecon i laici; sarebbe solo una fonte infinita di in-convenienti e di nessuna efficacia per lo svilup-po dell’apostolato.

La base della collaborazione

Oggi abbiamo anche qualche motivazione piùprofonda che non sia la mancanza di personale oil puro materiale produttivo, per cui essere attentie aperti alla collaborazione con il laicato.

Il Concilio Vaticano II ha riscoperto nel bat-tezzato il diritto e il dovere all’apostolato:“Inseriti nel corpo mistico di Cristo per mezzodel battesimo - afferma l’Apostolicam Actuosi-tatem - fortificati dalla virtù dello Spirito Santoper mezzo della Cresima, (i laici) sono deputatidal Signore stesso all’apostolato” (AA 3).

Forse vi è ancora nel religioso l’idea che i lai-ci non possono fare l’apostolato o essere coin-volti nella predicazione; che solo il clero e i reli-giosi sono deputati a questo.

Ricordiamo che il frutto che l’apostolato ope-ra nelle anime non dipende dall’essere religiosoo laico, dipende invece dall’unione dell’apostolocon Cristo: “Chi rimane in me ed io in lui, questiporta molto frutto, perché senza di me non potetefare nulla” (Gv 15,5); questo vale tanto per i re-ligiosi che per i laici. La “missionarietà” non èlegata a qualche ministero ma al semplice fattodi essere battezzati (cfr. Evangelii Nuntiandi).

Anche la Chiesa, oggi, si sta gradualmenteaprendo ad una concreta e fattiva collaborazionecol laicato; il più delle volte sollecitata dalle in-sistenze degli stessi laici, che giustamente pre-tendono di essere valorizzati nella loro qualità eresi protagonisti nella evangelizzazione.

La Società San Paolo ha per sua natura il do-vere di evangelizzare tutti i popoli, i nostri oriz-zonti sono gli orizzonti di questo pianeta, “la

nostra parrocchia è il mondo” (ci ripeteva ilP.M.). Questo è l’obiettivo che la Congregazionedeve perseguire. Di fronte alla vastità di tale im-pegno saremo sempre insufficienti. L’apostolatoche esercitiamo esige sempre più preparazione especializzazione in ogni campo: dottrinale, reda-zionale, economico, organizzativo (manageriale).

Per essere fedeli alla missione di “evange-lizzare con i mezzi della comunicazione socia-le”, che è un’opera di mediazione tra il Vangeloe la società e la società e il Vangelo, non pos-siamo non entrare in contatto e diretto confrontocon la cultura, l’intelligenza, la scienza, la crea-tività, e anche la managerialità del mondo laico;per cercare di orientare e finalizzare queste ener-gie verso la evangelizzazione e la creatività diuna società che viva i valori evangelici. Sarebbeun errore, tuttavia, vedere la collaborazione deilaici come la soluzione di un problema più o me-no contingente di manodopera o di forza lavoro.

Come paolini, abbiamo certo una responsabi-lità “strutturale”, cioè dare: “unità, stabilità, con-tinuità e qualità all’apostolato”.

Se vogliamo sviluppare il nostro apostolato,allargare il nostro campo di influenza, essere piùpresenti nella società con il nostro modo dievangelizzare, non abbiamo altra scelta che ac-cettare serenamente i nostri limiti e aprirci e fa-vorire la collaborazione con il laicato.

Di fronte a queste scelte, potrebbe accadere,come già di fatto avviene, che nell’ambito del-l’organizzazione del lavoro alcuni paolini si tro-vino a dipendere dai laici.

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Dovrebbe diventare normale la rinuncia asentirsi “i figli del padrone” e quindi normaleanche l’accettazione di una posizione subordi-nata. Non tutti i religiosi possono avere le

qualità per accedere ai posti di responsabilità;tale circostanza permette di testimoniare meglio ivalori della consacrazione per la missione. Inquesto caso, bisogna sentire la responsabilità diessere come il lievito nella pasta.

Conclusione

Con l’esperienza acquisita dalla Congrega-zione, se dovessimo fare un bilancio di questianni, possiamo già affermare che la collabora-zione avviata con i laici può considerarsisenz’altro positiva: sia sotto l’aspetto dei risulta-ti, che per l’arricchimento ricevuto. Arricchi-mento che avviene attraverso il continuo, stimo-lante dialogo e confronto, lo scambio delle reci-proche esperienze e conoscenze.

Se, come impongono le dinamiche della co-municazione sociale, non c’è sosta nella ricerca

dei “mezzi più celeri ed efficaci”, per il futuro ipaolini dovranno sempre più contare sui laici.

Conoscere e rispettare le regole del gioco of-fre una scioltezza e flessibilità di “politiche”,cioè di indirizzi e scelte apostoliche primaignote.

L’esperienza recente ci sta già insegnandoqualcosa. E i documenti, il Capitolo Generale,come abbiamo visto, offrono gli input giusti, leindicazioni e i princìpi a cui attenersi.

Sta a noi, assumerli e applicarli.

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Dott. Beppe DEL COLLEVicedirettore di Famiglia Cristiana

COLLABORAZIONE DEI LAICI

Comincerò con un ricordo personale. Pochigiorni dopo la scomparsa di don Zilli, che èstato direttore di “Famiglia Cristiana” per unquarto di secolo e in questa sua esperienza hainiziato e portato avanti il massimo coinvolgi-mento dei laici in un’opera paolina, dalla Casapaolina di Cinisello Balsamo mi venne l’invitoa parlare di lui press’a poco nel medesimo spi-rito con cui, credo, mi è stato rivolto l’invito adessere qui oggi con voi. Quei sacerdoti e queifratelli laici desideravano sapere da me, cheavevo conosciuto don Zilli molti anni prima, findai primi momenti della sua direzione della ri-vista, quale giudizio mi fossi formato su di lui,sulla sua opera di giornalista, sull’esperienzacollettiva compiutasi a “Famiglia Cristiana” daquando il rapporto fra i paolini e i laici era di-ventato organico e man mano sempre più strettoe imprescindibile.

Non ripeterò qui quello che dissi allora, mauna cosa voglio riferire: la mia netta impressioneche i miei ospiti di quella sera, i quali pure vive-vano a pochi chilometri dalla sede milanese delGruppo Periodici, della grandiosa esperienzavissuta da almeno un quindicennio da don Zilli edai suoi collaboratori laici non sapessero quasinulla. Capii una cosa: che don Zilli aveva fattol’impossibile perché nella famiglia paolina nonsi creasse, intorno e a causa del successo straor-dinario della sua rivista, il culto della sua perso-nalità; aveva inoltre fatto l’impossibile perché diquella avventura nessuna responsabilità cadessesu altre spalle paoline, oltre le sue.

Quella che era potuta sembrare una gelosa ri-cerca di esclusività personale — e forse qualcu-no lo aveva anche sospettato — era stato in pri-mo luogo la difesa della congregazione dallepossibili conseguenze di un suo fallimento; erastata una scommessa giocata in prima personaper dimostrare alla congregazione che era possi-bile una collaborazione con pari dignità fra reli-giosi e laici, nello spirito del Concilio; era statal’ammissione che nella società della comunica-zione di massa non era più possibile l’integraleapplicazione del principio di autosufficienza deipaolini quale Don Alberione lo aveva immagi-nato e disegnato nelle sue istituzioni, se non aprezzo di non poter sostenere la concorrenza de-gli altri mass media.

Ho cominciato con questo riferimento moltopersonale, perché mi è parso di non poterne

prescindere, e perché chiarisce in anticipo ciòche ho da dirvi. Lo chiarisce nel senso che offrel’unica chiave di interpretazione possibile per unrapporto che non è stato, non è e non sarà maifacile, anche se ha dato, dà e continuerà a daremolti frutti. Non è un rapporto facile perché nonè facile stabilire che cosa sia il laico nella Chiesacattolica. Lo dimostra il fatto che dal Concilio inpoi la Chiesa cattolica ha dovuto discutere a lun-go, intensamente e anche passionalmente di que-sto tema, fino a organizzarvi sopra un Sinodogenerale dei vescovi. Il documento conclusivonon è ancora uscito, e chissà quando uscirà. Lepolemiche sui “movimenti” ecclesiali non sonoche una scheggia del grande dibattito in corso;infatti i “movimenti” appaiono sempre più comeespressione di un mondo laicale cui si dice incontinuazione che è uscito dallo stato di minori-tà, ma al quale, in pratica, non si offre nulla dipiù di quanto già non abbia da sempre: il dirittodi servire la Chiesa nelle forme stabilite dalla ge-rarchia.

Il laico che collabora con la famiglia paolinasi trova oggi in una posizione fondamentalmenteambigua. Posso e debbo testimoniare che a nes-suno di noi è stata mai chiesta un’adesione for-male e specifica ai principi e agli ideali caratteri-stici della Società San Paolo; è stata soltantochiesta la disponibilità completa della propriaprofessionalità, esattamente come viene chiestain qualsiasi altro luogo di lavoro. L’appartenenzaai partiti, gruppi, movimenti ecclesiali non èstata né censurata né raccomandata; è stata sem-pre cura della direzione delle riviste del GruppoPeriodici di non chiedere ai singoli giornalisti diesprimere opinioni o preparare servizi nei qualinon si sentissero personalmente coinvolti dalpunto di vista della dottrina cristiana. Le batta-glie sostenute in difesa della saldezza della fa-miglia o della vita, le campagne a sostegnodell’unità dei cattolici in tempi elettorali sonosempre state affidate a persone che ci credevanoe non facevano nessuno sforzo nel sostenerle.

Questo comportamento, che mira a non crea-re imbarazzi e scrupoli personali a nessuno, èstato sempre molto apprezzato dai giornalistilaici. Ma ci si può domandare se questo noncrei difficoltà ai paolini. La mia esperienza mi fadire che dovrebbero crearne. In questo periodostiamo vivendo a “Famiglia Cristiana” l’oggetti-va difficoltà di trovare rincalzi e sostituti di

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giornalisti che per vari motivi se ne sono andati;uno dei motivi di disagio è proprio il fatto checomunque è impossibile non chiedere almenouna generica adesione agli ideali cristiani e aivalori etici (non parlo di religiosità in sensostretto) ai quali le nostre riviste si ispirano.

Questo è il punto fondamentale, sul quale voidovete riflettere. Che laico cercate? Vi basta unprofessionista serio, una persona onesta, uno chesappia scrivere bene, schivi i temi che lo impe-gnerebbero troppo, ma non si rifiuti a nessunodei compiti tradizionali della sua professione?Quale grado di responsabilità siete disposti adaffidargli, visto che ci sarà sempre qualche cosa,qualche tema, qualche argomento, qualche re-sponsabilità anche di ordine pastorale che saràopportuno riservare ai paolini? Fino a che puntoil coinvolgimento vostro nelle iniziative deigiornalisti laici potrà arrivare, senza mettere inforse la stessa integralità della vostra vocazione,della vostra missione specifica?

In queste domande è contenuta solo una partedella condizione generale di ambiguità in cui vi-vono la loro esperienza sia i laici, sia i paoliniimpegnati in una collaborazione che comunque,come ho detto, è oggi imprescindibile. Quellostesso giornalista al quale non è sempre facilechiedere di esporsi in difesa degli ideali cui lenostre riviste si ispirano, è poi un professionistaal quale non è sua volta facile reinserirsi nel girodel giornalismo laico, ove lo desideri.

Ma c’è di più. I paolini qui presenti sanno be-ne che i giornalisti laici delle loro riviste hannosempre vissuto le vertenze sindacali della lorocategoria facendo in modo che nessun dannopatrimoniale ne venisse alle testate del Gruppo;gli scioperi sono sempre osservati di fatto, conrelative perdite di retribuzione, senza che si ri-nunciasse a far uscire un solo numero delle rivi-ste.

Si badi infine a un particolare che in generesfugge: “Famiglia Cristiana” o “Jesus” sono ci-tati sempre più frequentemente sulla stampa lai-ca per certe prese di posizione, per certi scoop ,per certe interviste a questo o quel personaggio:ma è estremamente raro che siano citati i giorna-listi autori di quei servizi, anzi a essere franchinon capita mai. Che cosa significa? che nono-stante tutto, quello che conta è l’appartenenzadelle riviste, il loro peso simbolico, il referenteimmaginario, ma che tutti pensano reale, cioèl’istituzione ecclesiale.

Insomma: i giornalisti laici hanno dato aqueste riviste peso specifico, autorevolezza,prestigio, credibilità, professionalità, impegnan-do nel loro lavoro tutta intera la loro perso-

nalità; ma il risultato è ricaduto quasi intera-mente sulle riviste. Va detto tuttavia, a onor delvero, che l’osservazione può, in certo senso, es-ser rovesciata: la serietà delle riviste paoline ri-cade a sua volta sui loro redattori, i quali sono ri-spettati e trovano aperte molte porte, che non siaprirebbero ad altre testate. E dunque un donoreciproco, difficilmente misurabile nella suafondamentale, ma in questo caso positiva ambi-guità, che costituisce, a mio avviso, il patrimoniopiù prezioso di chi lavora, religioso o laico, nelGruppo periodici paolini.

Ma, ripeto, non è un rapporto facile, nemme-no per i paolini. Mi è capitato qualche volta di ri-flettere sul rischio che la comunanza, la cont i-guità di vita fra i religiosi e laici fa correre a per-sone di vita consacrata. Non mi riferisco a casitroppo personali; mi riferisco a tutta una menta-lità che viene involontariamente generalizzata inun ambiente dove non si sono mai tenute le di-stanze, dove il dialogo è continuo e amichevole,dove l’apertura è molto ampia e con essa la pos-sibilità che modi di vivere e di pensare passinocon facilità da un gruppo all’altro.

La professione giornalistica impone determi-nate regole, cui non è estranea una certa dose piùo meno consapevole di cinismo; in alcuni gio r-nali la notizia è tutto, il rispetto per gli altri èconsiderato una colpevole e inutile debolezza;fra le regole non scritte ma esemplarmente ap-plicate c’è quella che la pubblicità è sacra, anchequando urta contro i principi morali; la vitabohémienne è uno dei miti del mestiere, e seb-bene il contagio non sia sempre facile, è tuttaviapossibile che ci si trovi coinvolti in episodi checontraddicono le norme di una vita consacrata,senza che ci si renda conto di questa contraddi-zione. Non sono che esempi di un’ambiguità esi-stenziale di cui occorre tener conto quando siesamina con franchezza, realismo e in spirito diamicizia il rapporto religiosi-laici in un’organiz-zazione come la nostra.

Sono consapevole, a questo punto, di averpotuto suscitare con le mie parole una notevoledose di confusione. Non è un gran contributo alvostro dibattito. Ma consideriamo un elementomolto importante della nostra comune esperien-za. È la prima volta nella Chiesa cattolica, per-lomeno in Italia, che laici e religiosi siano chia-mati dalle circostanze a una comunanza di lavo-ro che tocca non già aspetti “neutri” della vita(come può capitare negli ospedali, o al limite an-che nelle stesse scuole private di proprietà deireligiosi, dove gli insegnanti laici sono in generechiamati a svolgere materie che non coinvolgonodirettamente gli scopi educativi peculiari di que-gli istituti) ma le ragioni stesse dell’apostolato.

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Non devo certo illustrare a voi quali sianoqueste ragioni: la vostra congregazione è statacreata per fornire alla Chiesa e alla sua operaevangelizzatrice gli strumenti necessari inun’epoca di comunicazioni di massa.

Le circostanze vi hanno costretto a ricorrerealla collaborazione dei laici non solo nei settoritecnici della vostra attività; vi hanno imposto,ad esempio, di servirvi di competenze di laici incampi importanti come quello economico-finanziario, di cui l’istinto imprenditoriale ere-ditato da Don Alberione non bastava più a fron-teggiare la crescente complessità; e infine, vihanno richiesto il sacrificio maggiore, quello dirinunciare a essere i soli redattori delle vostre ri-viste. Era giusto che foste gelosi di questa fun-zione, perché a voi soli era stato trasmesso il se-gno di una vocazione specifica.

Se le cose sono andate diversamente, aveteoggi almeno il merito grandioso di aver fornito edi continuare a fornire alla Chiesa un esempio diapertura ai laici in un campo delicato, il più deli-cato di tutti, quello della trasmissione dei principie dei valori cristiani nella società secolarizzata.

Ciò vi crea dei problemi, come li crea ai laiciche vi siete associati. Problemi di natura psico-logica e culturale, morale e professionale che sirinnovano a ogni nuova generazione; mettonoin questione il modo in cui siete formati e pre-parati al compito; moltiplicano le competenzeche vi sono richieste e che vi sono necessarieper saper giudicare sia il vostro lavoro, che quel-lo degli altri; complicano il rapporto con la so-cietà “civile”, che si dà leggi sempre più lontaneda quelle in cui il Paese viveva nel 1914, quandoè stata fondata la San Paolo, o nel 1931, quandoè stata fondata “Famiglia Cristiana”; sono resi avolta acuti dal fatto che la doppia veste di im-prenditori e di lavoratori nelle vostre stesse rivi-ste vi carica di un’ulteriore inevitabile ambiguitàe vi nega (ma è poi giusto?) l’opportunità di fareesperienza altrove, prima di impegnarvi diretta-mente nelle testate del Gruppo.

Dette tutte queste cose, tentiamo di trarne ilsucco della storia. Il succo è questo.

Nonostante le difficoltà, le ambiguità, i pro-blemi aperti e non risolti, la collaborazione frareligiosi e laici nella San Paolo, consideratadall’angolo visuale del Gruppo Periodici, costi-tuisce l’esito necessitato, anche se inizialmentenon previsto, della convergenza direi provviden-ziale di due fattori ben distinti.

Da un lato, il carisma paolino interpretato daDon Alberione nel senso di un’urgenza che lopremeva, lo spingeva, lo obbligava a ragionare ecomportarsi in termini di modernità. Una mo-

dernità in assoluto, e soprattutto una modernitàmai vista in relazione ai tempi tradizionalmentelenti della Chiesa cattolica.

Il sacerdote e il fratello laico paolino sono fi-gure eccezionali nella Chiesa cattolica proprioper questa caratteristica: come San Paolo, nonesitano a scuotere la polvere dai sandali e vannoavanti, non importa se pochi li seguono, non im-porta se la borsa è vuota, non importa se ciò cheli attende non è la sicurezza di strutture istituzio-nali collaudate in due millenni, ma l’avventura,il rischio, la scommessa da cui si può anche usci-re con le ossa rotte.

Questa predisposizione di spirito connaturataal paolino per la vocazione personale specifica eper la formazione ricevuta lo rende adatto a im-boccare strade nuove quando è necessario, a de-cidere cambiamenti di rotta in modo rapido esenza pentimenti eccessivi, ad accogliere accantoa sé, nella sua opera, gente di fuori, della qualeimpara presto a valutare l’impegno, la capacità,l’onestà; e nello stesso tempo gli fornisce l’agi-lità mentale indispensabile per capire come edove va il mondo, lo prepara ad affrontare situa-zioni impreviste, lo aiuta a liberarsi dalla diffi-denza clericale verso il nuovo.

Mi impressiona molto che in questo periododi distensione internazionale la San Paolo siastata la prima grande impresa editoriale ad av-viare una intensa collaborazione con le edizionidel patriarcato di Mosca, proprio mentre, nel suopiccolo, “Famiglia Cristiana” diventava la primarivista cattolica del mondo a istituire una sede dicorrispondenza nella capitale sovietica. Sono se-gni che la dicono lunga sull’intraprendenza e lamodernità, la capacità di affermare il nuovo enon sentirsene sorpresi e impreparati.

Il secondo fattore che ha contribuito al suc-cesso di questa esperienza sono proprio i laicichiamati a collaborarvi. Non farò l’autoelogiodei laici; dirò soltanto che mi sembra decisivo illoro apporto alle riviste del gruppo paolino nel-la misura in cui vi hanno portato il senso dellalaicità del mondo moderno; se non spavental’espressione, essi vi hanno portato la secolariz-zazione, per quanto di buono essa contiene.

Se vi domandate perché le riviste paolinehanno in Italia un consenso così vasto, e lo pa-ragonate con la vita stentata e lo scarso peso ditutta l’altra stampa cattolica, e non vi accon-tentate come molti fanno in campo cattolico, dispiegare la differenza con la diversa consistenzaeconomica del vostro gruppo rispetto agli altrieditori cattolici, dovete costantemente ricono-scere che i laici hanno fatto in questi ultimivent’anni una cosa molto importante: hannoaiutato la San Paolo e i suoi mass media a supe-

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Del Colle - 167

rare indenni la grande ondata della secolarizza-zione. Lo hanno potuto fare grazie al diversolinguaggio, la diversa cultura, la diversa prepara-zione professionale, la diversa mentalità, lamaggiore capacità di vivere i nuovi modi di esi-stenza nel mondo che essi hanno, rispetto al-l’universo clericale che controlla l’altra stampacattolica.

Chiuderò facendo ancora, come all’inizio, unriferimento personale. Uno di voi ha avuto labontà di definirmi, una volta, il “laico esempla-re”: onestamente, è una definizione che si atta-glia a molti dei laici che lavorano nel GruppoPeriodici. Ebbene, io ho fatto tutti i miei studinella scuola pubblica, compreso un liceo torinesedi forte tradizione laico-risorgimentale benchéporti un nome in certo senso profetico, VincenzoGioberti, il filosofo nel neoguelfismo. Ho co-minciato a lavorare in un quotidiano cattolico-democristiano, ma ho fatto le migliori e più sti-molanti esperienze professionali in un giornalecome “La Stampa”, certo il più laico-laicista deiquotidiani italiani.

Cosa voglio dire con questo?Voglio dire che quando, come quasi tutti gli

altri laici che ci lavorano, sono venuto a collabo-rare con voi, portavo con me una mentalità e unostile radicalmente diversi dalla mentalità e dallostile clericale della stampa cattolica tradizionale,ancora ferma in gran parte all’Ottocento, con ilsuo vittimismo, la sua inclinazione al lamentodell’escluso, la sua triste vocazione ad essereemarginata.

La convergenza fra la modernità paolina e lalaicità bene intesa dei laici ha dato i frutti chevediamo, e che tutti giudichiamo positivi purnella problematicità che contengono.

Bene, io non so dirvi altro. Prendete le mieparole per il succo di un’esperienza che risaleormai, sia pure con modalità e intensità diverse,al lontanissimo 1954; e comunque, al 1970 comerapporto diretto di lavoro con voi. Se in tuttiquesti anni ho capito questo, e solo questo, lacolpa evidentemente è solo mia.

Grazie.

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Dott. Corrado MINNELLAResponsabile della Publiepi e della Divisione Commerciale

IL PROCESSO DECISIONALE

Schema della relazione

La parte del Seminario che si svolge a Mila-no riguarda l’approfondimento delle metodolo-gie, cioè di quell’insieme di regole dinamicheche governano l’impresa editoriale. Gli inter-venti che hanno preceduto il mio hanno toccato,infatti, argomenti fondamentali quali: politichee tecniche gestionali, mercato e servizi di sup-porto, nonché un esempio pratico di approccioad un problema reale — la verifica del livello edella qualità dell’Immagine della San Paolo inItalia — con presentazione di un’Indagine dialto profilo realizzata da uno dei più importantiistituti di ricerca.

Il mio intervento è rivolto ad illustrare irapporti tra Paolini e collaboratori laici pren-dendo spunto da un argomento logicamentecollegato alla materia di cui si tratta nel Semi-nario.

Il processo decisionale

In estrema sintesi, il processo decisionale, lacui complessità continua a produrre una copiosaletteratura, può essere espresso con la seguenteesemplificazione:

Prima di entrare nei dettagli descrittivi delprocesso decisionale che, comunque, nellaforma presentata, è estremamente comprens i-bile ed abbastanza ovvio, lasciatemi mettere inevidenza la straordinaria relazione esistente traazienda/impresa e decisione.

Uno studioso americano ha definitol’Azienda: «Uno spazio ad n-decisioni», con

un’espressione presa a prestito dalla matemati-ca, in cui si parla spesso di funzioni che sisviluppano in spazi n-dimensionali.

In effetti, credo che concordiate sulla defini-zione proposta: Azienda e decisioni coesistonoin maniera totale e chiarissima. E non parlo evi-dentemente delle decisioni banali e di nessun ri-lievo, ma mi riferisco alle decisioni aziendali cherendono l’impresa più competitiva.

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Minnella - 169

Descrizione dello schema

L’Azienda è uno spazio ad n-decisioni; noipossiamo comunque limitarci a tre dimensioni;quelle che individuano i tre livelli classici:

a) decisioni strategicheSono di lungo termine, attengono la missione

aziendale, sono legate ai macrobiettivi.b) decisioni tattico-gestionaliRiguardano la scelta della politica aziendale

per il conseguimento degli obiettivi di medio-breve periodo.

c) decisioni esecutivo-specialisticheSi riferiscono alle azioni da intraprendere per

conseguire i sottobiettivi (gli obiettivi di area) edhanno configurazione orizzontale.

A questo punto pare assolutamente legittimoproporre la seguente identità:

Azienda = Decisioni = Competenza = Re-sponsabilità

che va letta in questo modo:dove c’è un’Azienda ,vi sono persone che prendono serie di deci-

sioni,basandosi sulla loro competenzae di cui si assumono la responsabilità.

È in questo àmbito che si può discutere delrapporto tra Paolini e laici.

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D. Renato PERINOSuperiore generale

LA MISSIONE PAOLINA INTEGRATANELLA NOSTRA VITA RELIGIOSA

Introduzione

Questo mio intervento, a conclusione degliaspetti metodologici e tecnici dell’editoria, hatutta l’aria di essere il pistolotto finale, imman-cabile, trattandosi di tematiche apparentementelontane da quel misto di passione e di azione chedenominiamo missione. Tanto più quando, comenel caso nostro, esse vengono proposte a una as-semblea che integra l’attività apostolica con lavita religiosa e sacerdotale.

Ebbene, la mia intenzione in questo momentoterminale della tappa milanese non è affattoquella di tenervi una meditazione. Non so se ri-uscirò a evitare il tono parenetico, se non addi-rittura moralistico e devozionale, su un tematanto frequente alla nostra riflessione, e che iostesso ho trattato sovente nelle mie circolari an-nuali.

Ma una cosa è certa: noi possiamo anche ri-uscire ad essere efficientissimi, fino al punto dicoprire il mondo intero dei nostri prodotti apo-stolici, e tuttavia la nostra vita rimarrebbevuota e insipida se non riuscissimo a conferireall’attività apostolica il sapore di una vibrantevitalità; di quella «gioia piena» (Gv 15,11)promessa da Cristo agli apostoli la vigilia dellasua morte; di quel senso vero, profondo, cherisponda al dinamismo incoercibile che è inciascuno di noi: di amare ed essere amati di unamore oblativo e fecondo, che corrisponde an-cora ad una promessa di Cristo, fatta nel mede-simo contesto (cf Gv 15,16).

Missione come vita, dunque, come pienezza divita.

Anticipando ulteriori interventi e lavori digruppo, introducevo questo seminario, se ricor-date, facendo una equazione fra l’identità del-l’editore paolino e l’identità del «paolino» tout-court.

Mi riferivo pertanto alla accezione alberio-niana dell’editore paolino, in tutto l’ampio spet-tro della sua vocazione-missione intesa come«scopo unico» della sua vita e della sua azione.

E introducevo nella sua identità anche la suaformazione, in senso passivo e attivo, l’interio-rità spirituale che tutto motiva e alimenta, non-ché la sua responsabilità trascendente di testimo-nianza e di ministero.

Ricordo che durante il Capitolo speciale si di-scusse, a un certo punto, circa il titolo da apporreal documento sull’apostolato: «La nostra missio-ne specifica»?, o «Il nostro apostolato»?, o«L’attività apostolica»? Si concluse adottandoquesto titolo: «La nostra vita apostolica», chenelle nuove Costituzioni diventò «La vita apo-stolica paolina».

Si tratta dunque di una vita, della nostra vi-ta.

Così che, nel primo articolo del capitolo sul-l’apostolato, condensando i DD.CC. n. 70, lenuove Costituzioni possono affermare fin dal-l’inizio:

«La nostra comunità è caratterizzata dallavita apostolica, che ‘rientra nella natura stessadella vita religiosa’ (PC 8b). Tutto, dalla prati-ca concreta della vita fraterna alla consacra-zione, alla formazione umana, spirituale, in-tellettuale e professionale, e alle strutture digoverno e di amministrazione, è finalizzatoalla nostra vocazione apostolica» (art. 66).

In questo breve spazio che mi è concesso, —non temete, sarò più stringato che nell’intro-duzione — vorrei dirvi qualcosa, o meglio: vor-rei richiamare alla memoria alcuni princìpi cheritengo essenziali, prima che si apra, ad Ariccia,un altro discorso di tipo organizzativo.

E vi parlerò1. della vita consacrata e della preghiera, in-

tegrate nella nostra attività;2. della vita comunitaria nel suo rapporto con

l’apostolato;3. del nostro «sentire cum Ecclesia», con la

società, con la Famiglia Paolina e con i collabo-ratori laici nell’esercizio della nostra missione;

4. della formazione integrale, orientata allamissione.

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Perino, Misione - 171

1. La vita consacrata e la preghiera integrate nella nostra attività

Ci rifacciamo sovente a un testo di Don Albe-rione (AD 23 sg):

«Pensava dapprima ad un’organizzazione [...]di scrittori, tecnici, librai [...] cattolici [laici] edare indirizzo, lavoro, spirito di apostolato... Mapresto, in una maggior luce, verso il 1910, feceun passo definitivo: scrittori, tecnici, propagan-disti, ma religiosi e religiose» (la sottolineatura ènel testo).

Subito dopo esprime le motivazioni:a) «Da una parte portare anime alla più alta

perfezione, quella di chi pratica i consigli evan-gelici, e al merito della vita apostolica.

b) Dall’altra parte dare più unità, più stabilità,più continuità, più soprannaturalità all’apo-stolato».

E in un altro testo del 1934 Don Alberione ri-cordava che «la vita religiosa è garanzia e basedell’apostolato» (CISP 15-16).

Nei documenti capitolari, la vita religiosain rapporto all’apostolato viene definita come«struttura portante», utilizzando una analogia ar-chitettonica di facile comprensione.

E i laici che lavorano con noi, consapevolidella missione a cui partecipano, sono i primi adar ragione a Don Alberione. Sono essi infattiche si preoccupano, come noi e spesso più dinoi, del successo e delle qualità professionali,della consistenza umana e spirituale dei paoliniche operano nei loro ranghi.

Il nostro Don Giancarlo Rocca, divenuto spe-cialista largamente accreditato della vita religio-sa dopo l’opera monumentale di cui è direttore,possiede statistiche precise sulla «stabilità» e«continuità» storica delle opere spesso plurise-colari degli istituti religiosi. Molti di essi, in que-sti ultimi anni, hanno assunto l’editoria comeestensione del loro carisma fondazionale.

In campo laicale, invece, dando anche sol-tanto uno sguardo all’ultimo secolo e mezzo,possiamo constatare una lunga serie di splendideiniziative editoriali cattoliche, le quali hanno su-bito la sorte parabolica - dalla nascita allo zenithe poi alla decadenza e all’estinzione - dei loroprotagonisti, siano essi persone singole, o gruppiimpegnati, o movimenti ecclesiali.

Ma la vita religiosa non è di per sé strumen-tale all’azione, al punto che il fallimento di qua l-siasi impresa di religiosi comporti il fallimentodella vita consacrata.

I voti religiosi, ricorda il P. Tillard, sono in-fatti «adorazione» molto prima di essere distaccoe disponibilità per la missione. Sono un attoteologale e una dossologia al Signore, prima diessere un gesto di generosità che libera la perso-na per l’opera di Dio.

D’altra parte, è impossibile ripiegare su sestessa la vita religiosa, interdicendole di ascolta-re il grido degli uomini, dal momento che essa èsempre stata, soprattutto negli ultimi secoli, la ri-sposta data da un uomo o una donna di Dio,sotto l’impulso carismatico, ad una situazione dinecessità o di ingiustizia nella Chiesa o nella so-cietà.

La vita religiosa offre così alla missione i trepoderosi dinamismi che stanno alla base deivoti: la brama di grandezza, il desiderio delpossesso, il bisogno di amore. Dinamismi chevengono potenziati e sublimati, divenendo ilnerbo di una formidabile forza per la costruzio-ne del Regno.

È per questo che una concezione esistenzia-lista, cioè concreta della professione religiosanegli istituti di vita apostolica, ingloba sempreinscindibilmente, assieme ai tre voti di castitàpovertà e obbedienza, anche l’impegno formaledi abbracciare la missione specifica della con-gregazione cui ci si consacra.

I voti religiosi hanno quindi una presa direttacon l’apostolato e, storicamente, nelle congrega-zioni come la nostra, seguono sempre, come na-turale conseguenza, l’impulso di un Fondatore odi una Fondatrice a convocare un gruppo di uo-mini o di donne per l’opera di Dio.

Una certa tendenza di anni addietro, sottol’influsso dell’ondata di secolarizzazione alloraimperante, pareva mettere quasi tra parentesi lavita consacrata, quasi fosse tangenziale alla mis-sione. Missione, si pensava, alla quale siamotutti chiamati per la vocazione cristiana che ciaccomuna.

Non intendo trattare qui, e tanto meno metterein discussione la vocazione missionaria dei laici,proclamata anche recentemente, ‘clara voce’,nell’ultimo sinodo dei vescovi.

Voglio soltanto dire che per noi l’integrazionefra missione e vita religiosa non si basa né sulprincipio utilitaristico di fornire «manovalanza»alla costruzione delle nostre opere, né sul princ i-pio che la missione debba avere necessariamentecome protagonisti i religiosi.

Voglio affermare semplicemente che fra dinoi la vita religiosa è la «struttura portante»dell’apostolato, per le ragioni carismatiche («inuna maggior luce...») già citate da Don Albe-rione, che peraltro hanno un forte riscontro sto-rico.

Posso aggiungere ancora una cosa: che, par-lando della vita religiosa come «struttura por-tante» della nostra missione, non si può inten-dere la vita religiosa in senso generico, ma nelsenso specifico strettamente integrato nei rap-

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porti con l’apostolato di cui è supporto. In altreparole, non possiamo attingere ispirazione,orientamenti ed energie interiori da altra formadi vita e di spiritualità religiosa, che non siaquella strettamente paolina.

È nota, d’altro canto, l’affermazione di Kie r-kegaard, secondo il quale «quando la civiltà vuolfare un balzo in avanti, si rivolge a quegli auten-tici ‘cavalli da tiro’ che sono i celibi; soltanto es-si hanno la forza, il distacco e il coraggio del ri-schio supremo».

Parlandovi ora della integrazione della pre-ghiera con la nostra missione, so di toccare unpunto dolente e sono consapevole che proprioqui potrei cadere nel «già detto», nel «già scrit-to» mille volte.

Anzitutto, se la preghiera è una necessità vi-tale molto prima di essere un dovere, e se è «lasorgente e il culmine», soprattutto nella eucari-stia, da cui la vita apostolica riceve senso, moti-vazione e vibrazione, permettete che mi metta acapofila di coloro che pregano poco e male: mene confesso e sono sempre daccapo.

Ma diciamoci pure, senza cercare giustifica-zioni, che pregare, e pregare bene, è difficile.«Tu sei veramente un Dio misterioso!» esclamaIsaia (45,15).

Varcare la soglia di questo Dio invisibile, si-lenzioso, sia pure condotti per mano dalla suaParola, suppone una fede luminosa, sgombra dauna folla tumultuosa di preoccupazioni, di stan-chezze, di irritazioni, a volte anche di tentazioni.

«Vi sono due errori da evitare — diceva DonAlberione: — far consistere la santità, la pietà informalismi esterni, in pratiche esterne; e non da-re importanza all’esterno, sotto il pretesto chebasti dare il cuore a Dio» (Pensieri, p. 34).

E formalista Don Alberione non era affatto.Era invece come immerso nell’orazione, che oc-cupava alcune ore della sua giornata.

Durante la sua lunga vita, egli modulava tuttele variazioni del monito paolino: «richiama,scongiura, rimprovera...» (2Tm 4,2) sulla neces-sità di pregare, e tradusse tale richiamo in unapagina di estrema energia:

«La preghiera per l’uomo, il cristiano, il reli-gioso, il sacerdote, è il primo e massimo dovere.Nessun contributo maggiore possiamo dare allacongregazione della preghiera; nessuna opera piùutile per noi della preghiera; nessun lavoro piùproficuo per la Chiesa in un sacerdote della pre-ghiera.

L’orazione perciò prima di tutto, sopra ditutto, vita di tutto.

Può venire la tentazione: ho molto, troppolavoro; ma il primo lavoro per te, il massimo

mandato per un sacerdote, il principale apportoalla congregazione è la preghiera.

Con illusione forse qualcuno cercherà di scu-sare la mancanza di orazione, dicendo che èmolto occupato...

Occupazioni? Ma la vita delle altre opere è lagrazia; perciò senza la preghiera faremo operemorte.

Maledetto lo studio, l’apostolato, ecc., a causadel quale si trascura l’orazione» (CISP 97-98).

Per secoli il monachesimo proponeva una al-ternanza: «ora et labora» (prega e lavora) e lacampana del monastero ritmava tre occupazioniin parti eguali: la preghiera, il lavoro, il riposo.Ma la realtà attuale, soprattutto negli istituti divita apostolica come il nostro, non rende piùagibile quel modello, almeno nella sua regolari-tà. Sant’Ignazio di Loyola offriva la formula,spesso citata da Don Alberione, di «contemplati-vi nell’azione».

Ma egli che, parlando della preghiera, insi-steva su atti non formali, li voleva precisi e co-stanti:

l’eucaristia celebrata o partecipata ogni gior-no, l’adorazione eucaristica ogni giorno, il sa-cramento della riconciliazione assunto regolar-mente, l’ascolto della parola di Dio nella medita-zione quotidiana, nei ritiri periodici, negli eser-cizi annuali...

Lui che insisteva sulla necessità assoluta, daparte di ogni persona e di ogni comunità, di ri-manere soggetti docili del ministero della Chiesa— dal fatto che tutti, dal Papa all’ultimo fan-ciullo, abbiamo bisogno di essere sempre evan-gelizzati e catechizzati, — era perfettamenteconsapevole della nostra concreta difficoltà diessere fedeli alla preghiera.

«Vi sia la persuasione — scriveva — che inquesti apostolati si richiede maggior spirito disacrificio e pietà più profonda», per essere mu-niti di fronte a difficoltà nuove: «tentativi avuoto, sacrifici di sonno e di orari [...], incom-prensioni di tanti, pericoli speciali di ogni gene-re...» (San Paolo, Novembre 1950).

Non abbiamo proprio tempo per pregare?Osserviamo il comportamento di Gesù. In lui

è evidente una duplice urgenza:1ª di essere presente in modo totale alle folle

che lo circondavano, e reclamavano la sua paro-la, la sua bontà, la sua potenza, assorbendo le sueenergie al punto che egli «non aveva più neancheil tempo di mangiare» (Mc 6,31);

2ª nello stesso tempo, in modo semplice,non drammatico, senza strappi, la sua urgenza,sottolineata da tutti gli evangelisti, di scompa-rire, di sottrarsi alle folle, di ritirarsi in luoghi

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Perino, Missione - 173

solitari, di notte o prima dell’alba, fino alla vigi-lia della sua morte, per pregare il Padre.

Cito qualche volta una legge formulata dalParkinson, secondo la quale «il lavoro si svi-luppa sempre per riempire tutto il tempo a di-sposizione», si abbia molto o poco da fare. Iltempo quindi può essere riempito da un lavorodenso o rarefatto, come uno spazio vuoto riem-pito da un gas.

Si tratta di organizzare questo tempo, di nonlasciarci vivere. Così come si trova il tempo pernutrirci, per riposare, per conversare, lo si puòtrovare per pregare.

Dobbiamo ammettere che quello della pre-ghiera non è tanto un problema di ascesi,quanto un problema di fede e, in ultima analisi,di amore.

«Si trova sempre il tempo di fare ciò che siama - osserva sant’Agostino. - Datemi un inna-morato ed egli capirà ciò che voglio dire».

Ciò vale non soltanto se riferito a Dio, maanche in rapporto a coloro cui è destinata lanostra missione. Se amiamo davvero secondoDio, vorremo anche conoscere le persone se-condo Dio.

Ed è la preghiera che ci pone nella prospettivaesatta per una retta comprensione delle situazionireligiose e sociali della gente; per «leggere larealtà» come si suol dire «con l’occhio di Dio»,al di là dei filtri costituiti dalle mediazioni cultu-rali non sempre ispirate al Vangelo.

La preghiera, in tal senso, è la propedeuticadi ogni indagine conoscitiva, di ogni inchiestasociologica sulla situazione dei destinatari delnostro apostolato, offrendoci quell’«occhio pe-netrante» che è proprio dei profeti (cf Nm24,3.15).

E questo potrebbe bastare sul tema dellapreghiera. Vorrei solo aggiungere una parolasulla funzione della preghiera nella nostra vitaconcreta.

In certi compiti del nostro apostolato, comeanche della formazione, quali per esempioquelli di maggiore responsabilità, quando sonocoinvolte e quasi assorbite tutte le forze psichi-che, fisiche, intellettuali, morali, è indispensa-bile che spesso, oserei dire ogni giorno e piùvolte al giorno, si prenda un certo distacco dallesituazioni.

Diversamente si perde la calma, la lucidità espesso la salute psicofisica.

Ma può succedere anche una specie di totaleidentificazione fra persona e compito, al puntoche si può arrivare a una presunta «indispensa-bilità», «insostituibilità» della persona, anchequando diventa evidente che un avvicendamentoin quel compito sarebbe necessario tanto allapersona come all’opera. Si è dato tutto, genero-samente, spesso fino al limite della disintegra-zione, e occorre sostare e prendere fiato, per ri-caricarsi di forze fresche, di idee nuove.

Come sarà possibile rimuovere quella artifi-ciale identificazione, prima che la persona crolli,spesso rovinosamente e con danni irreversibiliper sé o per altri?

Soltanto un atteggiamento di fondo, fatto diabbandono al Signore e generato dalla preghierasostanziata di fede, può risolvere senza traumicerte situazioni di alta tensione, che devono pla-carsi nel «sì» pronunciato nel profondo del-l’anima. Sì alla volontà del Padre, che era il «ci-bo» quotidiano di Cristo.

Si tratta di qualcosa di analogo al rapportofra consacrazione e apostolato. Il successo o ilfallimento, la gioia o la frustrazione, la stan-chezza, le tenebre, il rifiuto, la malattia, le in-comprensioni, le tentazioni, ecc. - abbiano omeno un fondamento obiettivo sul piano deifatti - non debbono incidere sulla vocazione re-ligiosa. Essa trascende, come in questo caso lacomunione intima col Cristo, tutte le vicissitu-dini esteriori.

2. La vita comunitaria nel suo rapporto con l’apostolato

La vita comunitaria è una delle componentiessenziali della nostra scelta di vita.

Lo è, se vogliamo risalire a un principio as-soluto: la nostra comunione con un Dio comu-nitario, anzi, comunionale — il Padre, il Figlio,lo Spirito Santo, — dal quale discende la caritàfraterna come testimonianza caratterizzante lastessa fede cristiana (cf Gv 17,21).

Ma lo è anche da un punto di vista funzio-nale.

Don Alberione ha sempre affermato che «lavita comune è in ordine all’apostolato».

E ciò, ancora per un principio trascendente,perché «la comunicazione fra gli uomini cui cirivolgiamo presuppone, come controprova, lacomunione fraterna fra di noi, poiché l’annunciodi Cristo [...] giungerà al mondo in forma credi-bile soltanto se rimarremo come un cuor solo eun’anima sola [cf At 2,43ss; 4,32ss]» (DD.CC.271).

Per un principio di funzionalità organizzativadella nostra missione, lo è come «conditio sinequa non».

Se infatti il carisma apostolico di alcune isti-

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tuzioni può anche realizzarsi, almeno in qualchemisura, per opera di membri in ordine sparso,individualmente, il nostro mai.

«Di più, quest’unità nella carità, oltre chesegno quasi miracoloso di credibilità del no-stro messaggio, deve sostituire — subliman-dolo e potenziandolo — ogni altro vincolo as-sociativo e ogni altro stimolo (il denaro, la car-riera, l’autoaffermazione, il successo ecc.) cheunisce, di solito, fra di loro i costruttori dellacittà terrena. Senza quest’unità, infatti,l’esigenza di una specializzazione sempre piùavanzata per i diversi compiti non potrebbecontare su di una correlativa unità di sforzocoordinato e socializzato. Non soltanto, ma ilcontributo creativo, tecnico, scientifico diognuno non potrebbe convergere nell’impegnodi “prospettiva e di pianificazione” (GS 5)della nostra comunità apostolica. Sarebbe laparalisi e la disgregazione» (DD.CC. 272).

Vogliamo un riscontro di ciò?Esistono fra di noi delle comunità composte

di individui eccellenti per capacità e prepara-zione, ma ognuno è come un’isola che non rie-sce a fondersi con gli altri in un progetto comu-ne, concreto e continuativo. L’apostolato che ciidentifica ricade allora su qualche povero cire-neo che porta avanti la missione, spesso eroi-camente, ma senza un vero forte progressivodinamismo, che abbia il senso di un disegnocomprensibile. In breve, l’apostolato languiscee muore.

Ecco in quali termini i DD.CC. ribadisconola prospettiva comunitaria del nostro fine spe-cifico:

«Non dobbiamo mai dimenticare che rag-giungere compiutamente le finalità apostolichedella nostra missione spetta alla Congregazionecome tale e non necessariamente ad ogni mem-bro di essa.

Ogni membro raggiunge il fine specifico at-traverso la Congregazione, inserito nel suo orga-nico, nella comunità, nel gruppo apostolico concui vive, prega e lavora» (Ivi 277).

Questo principio, in pratica, significa chenella gestione delle opere apostoliche pochi

rimangono sotto i riflettori dell’opinione pub-blica e che questi pochi debbono contare su al-cuni studiosi tanto indispensabili quanto gene-ralmente sconosciuti, e su una retroguardianumerosa e anonima, che collabora con la pre-ghiera, la sofferenza, l’insegnamento, l’orga-nizzazione, l’amministrazione, i servizi anchepiù umili (cf ivi).

E qui permettetemi ancora, prima di terminarequesto tema, di scendere un momento al praticoquotidiano.

I DD.CC., idealizzando un poco la vita frater-na di una comunità apostolica alla maniera del li-bro degli Atti, ci indicano una serie di atteggia-menti già ricordati a suo tempo da san Paolo:

«Uniti nel Signore, dobbiamo riuscire a supe-rare le inevitabili tensioni della convivenza, per-ché soltanto quando una comunità riesce a viverein un clima di famiglia, in cui ognuno è solidalecon gli altri, ognuno è disponibile per portare ipesi degli altri [cf Ga 6,2]; ognuno sa gioire concoloro che gioiscono e sa piangere con coloroche piangono [cf Rm 12,15]; soltanto allora noipossiamo superare il vuoto dell’isolamento, lastanchezza, i turbamenti, le sconfitte, le ferite etutte le forze eversive della nostra integrità spi-rituale» (Ivi 276).

Nella realtà quotidiana, se è vero che ogniaspetto della vita di comunità è orientato allamissione, è fondamentale che lo sia l’insieme deirapporti interpersonali.

Al positivo, è sufficiente ricordare la neces-sità di un grande rispetto reciproco, della fiducia,della riconciliazione sincera, e totale e, se possi-bile, dell’amicizia.

Al negativo, i rapporti interpersonali esclu-dono decisamente ogni rivalità, critica negativa,sospetto, mancanza di lealtà e di correttezza,per non parlare di quelle inevitabili frizioni diorigine caratteriale ed emotiva, che dovrebberoessere superate da un colpo d’ala di magnani-mità, basata sul grande principio affermato daBonhoeffer:

«Dal fatto che io non ti ho scelto, fratello, tusei per me un dono del Signore».

3. Il nostro «sentire cum Ecclesia», con la società, con la Famiglia Paolinae con i collaboratori laici nell’esercizio della missione

La tendenza generale dei paolini, che si po-trebbe far risalire fin dalle origini e che è andataaccentuandosi dacché abbiamo abbandonato ladiffusione «porta a porta», è quella di rinchiu-dersi nel loro «circuito interno», dando pocospazio alle relazioni esterne.

Ne da conferma l’inchiesta sui paolini italia-ni — ma credo che valga pressoché per i paolinidi tutto il mondo — dove si rende manifesta laseguente linea di tendenza: siamo poco cono-sciuti. O meglio, siamo più conosciuti per quelche facciamo che per ciò che siamo.

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Questa realtà ha i suoi riflessi negativi nellastessa pastorale vocazionale.

Le ragioni sono ovvie: il nostro apostolato èassillante e non lascia larghi margini di tempo li-bero. Inoltre il contatto con la gente non è diret-to, bensì indiretto, in quanto fra noi e i destinata-ri della nostra missione esiste una specie di me-diazione tecnica, strumentale. Ne risulta unacerta distanza dalle persone, con il conseguenteanonimato dello scrittoio, della macchina, del-l’organizzazione (cf DD.CC. 265).

Di conseguenza si è restii, quasi sempre edappertutto, a partecipare alle organizzazioni ealle manifestazioni della Chiesa e della società,anche quando si riferiscono al nostro stessocampo di attività specifiche.

Dicendo questo, non intendo certamenteesortarvi a scendere allo scoperto in forma ind i-scriminata. So infatti per esperienza quanto pocosi concluda in innumerevoli incontri, tavole ro-tonde, colazioni di lavoro...

Tuttavia non possiamo negarci al confrontoné al contributo di idee e di esperienze con colo-ro che nella Chiesa e nella società compionoquanto attiene alla nostra missione, o può influi-re su di essa.

Basterà essere attenti, selettivi e persuasi chemolto abbiamo da imparare, e che qualcosa ab-biamo anche da comunicare.

Ma qui il problema concreto è duplice:

1° Di identificarci, mediante l’«intelligenzadel cuore», con la Chiesa mistero e comunione,cui apparteniamo come figli alla madre che ge-nera in noi la vita: Cristo.

«Senza la Chiesa - scriveva Teilhard de Char-din - il Cristo stesso svanisce o si frantuma o siannulla».

E ciò implica una vera passione per contribui-re alla edificazione del Corpo di Cristo che è laChiesa, cercando di conoscerla e di amarla nellasua realtà più vera e profonda, quale si manifestadavanti a noi, con le sue ricchezze, le sue po-vertà, i suoi problemi e le sue emergenze.

Ma ciò implica anche uno spirito costruttivodi servizio al suo Magistero, a cominciare daquello del Papa fino a quello dei Vescovi. Perquanto variegate siano le opinioni e le posizionidi questi, chiamati come siamo ad agire per lopiù su raggio nazionale, il punto di riferimento èovviamente la Conferenza episcopale.

2° Esiste inoltre il problema di prestareun’attenzione non faziosa ma serena alla so-cietà cui apparteniamo, valendoci della letturacontestuale dei giornali di varia tendenza. Pos-siamo certo avere le nostre opinioni come citta-

dini, ma dovrà sempre prevalere il senso di re-sponsabilità che ci vincola a questa società, invista del nostro apostolato specifico.

Anche qui è fondamentale conoscere uominie realtà con occhio obiettivo, illuminato ed umilenel tempo stesso, cercando all’occorrenza l’aiutodi esperti, al fine di percepire non superficial-mente, secondo le opinioni fluttuanti, le esigenzeprofonde e le linee di tendenza, indispensabilialle tematiche e alla inculturazione della nostraeditoria.

Non mi dilungo ora nel parlarvi dei nostrirapporti con la Famiglia Paolina e con i collabo-ratori laici. Di questi vi hanno già parlato egre-giamente, poco fa, Fr. Bernardi, il Dr. Del Collee il Dr. Minnella. Io stesso vi ho già fatto uncenno nella mia introduzione.

Circa i nostri rapporti di collaborazione con laFamiglia Paolina, mi piacerebbe cedere la parolaa qualcuna delle nostre sorelle Figlie di SanPaolo qui presenti. Esse infatti hanno qualcosa difondamentale «in comune» con noi (questaespressione «in comune» è spesso utilizzata daDon Alberione, e mi è cara, in quanto allontanada noi la ben nota controversia semantica). Han-no in comune la vocazione e la missione, vissuteovviamente al femminile.

In realtà, dopo l’assemblea intercapitolare diBoston, con ciò che l’ha preceduta e l’ha seguita,non vi è molto da aggiungere sull’argomento.

Una sola cosa vorrei affermare, rivolgendomialle nostre sorelle. Noi tutti paolini qui presentisiamo felicissimi che ci accompagniate nella ri-cerca di questi giorni. Vi preghiamo anzi, sem-mai ve ne fosse bisogno, di non essere reticenticon noi per qualche malinteso riguardo. Ripetoancora una volta che quella del nostro attualeseminario è una riunione di conversione, e vi sa-remo davvero grati se ci aiuterete ad aprirci criti-camente gli occhi su noi stessi o sul nostro rap-porto con voi.

Aggiungo infine una parola: noi non dobbia-mo concepire circa la nostra missione un rap-porto di collaborazione esclusiva con le Figlie diSan Paolo e, reciprocamente, da parte loro neinostri riguardi.

Don Alberione ha concepito la FamigliaPaolina come un corpo organico, e non ha maidimenticato un istante la sua chiamata ad esse-re nella Chiesa ciò che ormai gli è universal-mente riconosciuto: di essere il profeta della«nuova evangelizzazione», quella mass-media-nica, che costituisce in fondo il denominatorecomune della missione per tutti gli Istitutidella Famiglia Paolina.

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Pertanto, ciascuno dei nostri Istituti, secon-do il proprio carisma, va considerato comple-mentare nella missione che ci accomuna. Be n-venuti quindi, fra noi e con noi, le Figlie di San

Paolo, le Pie Discepole, le Pastorelle, le Aposto-line, l’Istituto di Gesù Sacerdote, i Gabrielini, leAnnunziatine, l’Istituto Santa Famiglia, i Co-operatori.

4. La formazione orientata alla missione

Se l’editore paolino si identifica con il paoli-no ‘tout court’; se la missione e l’evangelizza-zione vanno intese oggi in tutta quella estensioneche la «Evangelii nuntiandi» ci indica al n. 9 eche Don Alberione anticipa nella teoria e nellaprassi, come ho cercato di dirvi introducendoquesto seminario, va da sé che la formazione delpaolino, intesa nella sua integralità - formazionedi base e permanente; umana, intellettuale, spi-rituale e apostolica, - ha come orizzonte la mis-sione specifica.

Non può dunque esistere una specie di schizo-frenia fra gli studi, l’accompagnamento spiri-tuale, l’addestramento pastorale dei nostri giova-ni in formazione, e la loro preparazione globaleall’apostolato specifico.

Sappiamo bene che non è più possibile orga-nizzare tutti i corsi di studio all’interno dellenostre case di formazione. D’altra parte, uncerto spirito di apertura che si potrebbe definireecumenica, intra o extraecclesiale, è necessarioper dilatare lo sguardo dei nostri giovani stu-denti, stimolandoli a confronti critici e a con-tatti proficui, quando le varie specializzazionisui contenuti e sulle tecniche non comportanoaddirittura un allontanamento dalla comunità diorigine.

Ciò che si deve affermare con energia mi parequesto:

a) Gli studi medi, inferiori e superiori, - sianoessi realizzati o no nelle nostre case - debbonosempre essere integrati da ciò che soliamo defi-

nire «paolinità»: storia, missione, spiritualitàdella congregazione, e quel grado teorico-praticodi iniziazione al nostro apostolato, corrispon-dente al progressivo livello dei corsi. E ciò, nonin qualsiasi modo, ma con la serietà sistematicadi insegnamenti e sotto le forme più adatte da es-si suggeriti, purché stiano alla pari con le altrematerie di studio.

b) Per quanto riguarda gli studi superiori especialistici, troppo sovente viene trascurata unanorma del Direttorio che suona perentoria: «Du-rante l’ultimo periodo della loro formazione, glijuniores vengano orientati individualmente versoil campo della loro futura attività, sulla base diseri esami attitudinali, tenuto conto della pro-grammazione apostolica e delle necessità dellecircoscrizioni» (art. 130.3).

Il perché di questa omissione molte volte stanel fatto che qualche circoscrizione non disponedi una vera e propria programmazione, semprepresupposta per questo tipo di orientamento.

Una cosa è certa: dopo gli studi generali,tanto per chi ha optato per il sacerdozio quantoper chi ha scelto il discepolato, si deve evitare ilpiù possibile di immettere nelle attività apostoli-che o formative del personale di formazione ge-nerica. Non soltanto, ma si deve adottare una«tecnica di inserimento» che consenta, se neces-sario, un cambio di occupazione senza traumi.

Inoltre, nel rispetto delle vere serie specializ-zazioni, è auspicabile il passaggio al settore for-mativo da parte di qualche membro che abbiavissuto intensamente la vita apostolica.

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SPICS (Studio Paolino Internazionale per leComunicazioni Sociali) e d.ssa Laura COMINI

QUESTIONARIO SULL’ATTIVITÀ APOSTOLICA DELLA SSP:RISULTATI E ANALISI

1. Premessa

Perché nasce l’esigenza di raccogliere i dati.Conoscere e quantificare:

> per valutare> per collaborare> per ottimizzare

Vantaggi> ottenere informazioni al livello del detta-

glio desiderato> facilità di aggiornamento

Limiti> impegno per l’aggiornamento> standardizzazione> addestramento per una interpretazione

corretta* non si risolvono i problemi* si crea un supporto alla decisione

Limiti metodologici del questionario

Essendo questo il primo rilevamento di daticirca l’editoria paolina su scala mondiale, dob-biamo rilevare il notevole impegno nella compi-lazione di un questionario obiettivamente vasto,e che esigeva una conoscenza della propria atti-vità molto più profonda di quanto forse una“società” editoriale paolina richiede.

Oltre alla funzione di stimolo, il questionarioaveva l’obiettivo di prendere visione della multi-forme e variegata realtà delle attività paoline nelmondo in modo da permetterne al Governo ge-nerale una più precisa conoscenza.

Le differenze culturali, linguistiche e di orga-nizzazione hanno dato luogo a inevitabili incom-prensioni sull’esatto significato delle domande,ma le risposte permettono tuttavia una descrizio-ne della San Paolo nel mondo mai prima d’orarealizzata.

Le osservazioni che seguono hanno l’obiet-tivo di esplicitare i problemi della lettura deiquestionari compilati affinché i dati che verran-no letti siano considerati nel loro esatto valore.Esse inoltre costituiranno un prezioso contri-buto alla revisione del questionario per le rile-vazioni future.

I dati numerici inerenti il personale sono suffi-cientemente attendibili. L’unico problema chenon si è potuto decifrare è stato il numero del per-sonale paolino part-time che entrava a far parte diuna società editoriale di una nazione e che potevaugualmente far parte di altre società della stessanazione sempre part-time. Se una nazione ha 10testate, ciascuna delle quali ha 10 dipendenti part-time, nel questionario risultano 100 dipendenti, an-che se fossero sempre le stesse persone che colla-borano a tutte le testate. I dati del personale full-time sono invece molto più attendibili. Si faccia

attenzione che i totali del personale impiegato(pag. 45 dell’elaborazione integrale) vanno inte-grati con quelli relativi alle librerie (pag. 72).

Nel calcolare il numero delle persone appar-tenenti ad un settore, sembra che alcune nazioniabbiano usato criteri diversi (quello della Societàcivile, dell’assunzione regolare) che nel globaleporta a lasciare fuori alcune persone. Alcune ci-fre ci sembrano quindi approssimate per difetto,mentre quelle part-time sono sempre approssi-mate per eccesso. Il margine d’errore su 3.212persone impiegate è dell’1,2%.

Nell’interpretazione delle domande, alcuni han-no usato criteri restrittivi, altri invece meno: sulnumero delle persone, sul senso del part-time, ecc.

Ugualmente si ha qualche perplessità sul fattoche i dati si riferiscano “veramente” tutti e soloall’anno 1987, come era stato tassativamente ri-chiesto.

Le risposte mancanti hanno creato non pochiproblemi. Alcune statistiche sono irrimediabil-mente relativizzate dalla mancanza di dati daparte di nazioni quantitativamente rilevanti.

Se alcune domande sono state interpretate inmaniera non uniforme (significato del termineredazione, altro personale, ecc.), i compilatoridelle domande chiedono venia all’assemblea, madalle risposte pervenute una sola di queste do-mande (2.6.5) pare aver creato seri problemid’interpretazione.

Alcune caselle (Religione pag. 55) erano dalasciare vuote in quanto riassuntive.

Problemi non piccoli di lettura delle rispostesono stati causati dalla compilazione frettolosa emanuale del questionario.

Si prega, almeno per il futuro, di utilizzare lamacchina da scrivere.

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TOTALE PERSONALEnell’apostolato paolino

Totale generale del personaleper nazione

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Si consiglia anzi, a chi dispone del computer,che faccia richiesta, per il futuro, del questiona-rio su dischetto, essendo già pronto un pro-gramma appositamente compilato su PC IBM

compatibile per tali rilevazioni. Si eviterannocosì inutili ripetizioni delle medesime operazio-ni e più sicurezza nei dati.

2. Personale

Totale generale %Paolini 702 22,0Non paolini 2.475 78,0

3.177 100,0

2.1. Personale editoria libri

Editoria libri %Paolini 191 24,7Non paolini 582 75,3

773 100,0

Personale paolino %Responsabili aree tematiche 52Altri redattori stabili 17Altro personale di redazione 4Totale redazione 73 38,2

Prod. Grafici-Impaginatori 27Prod. Tecnica Stampa 34Totale produzione 61 31,9

Area commerciale 49 25,7Amministrazione 8 4,2

Totale generale 191 100,0

Le risposte erano pressoché complete, anchese per alcune nazioni manca la copertura di certiruoli importanti. Per esempio, dal questionarionon si sa chi sia il responsabile della redazionein Argentina, chi sia il direttore generale in Ve-nezuela e per il Giappone manca la risposta a chisia il responsabile della produzione e dell’areacommerciale.

Risulta poi subito chiaro come un’unica per-sona copra in molti casi più ruoli di responsabi-lità. Il caso più comune sembra essere quello diabbinare la direzione dell’editoria con la re-sponsabilità della redazione. Esistono tuttaviamolte nazioni in cui i ruoli di responsabilità so-no ben distribuiti (vedi Brasile, Filippine e Ita-lia). Ma esistono anche casi estremi comequello dell’Australia, in cui una sola persona èresponsabile di tutti i settori, o come la Colo m-bia, il Cile e il Portogallo nei quali tutto ruotaattorno a tre persone.

Una nota particolare poi merita la categoria:«Responsabili di aree tematiche». Ci sono alcu-ne nazioni in cui questa categoria è stata igno-

rata (vedi Argentina, Canada, Cile, Colombia eInghilterra). In altre invece è molto ben organiz-zata (vedi Italia, Filippine, Messico 3 e Zaire 2)quasi a significare una certa ricerca e controllodei contenuti.

2.2. Personale editoria riviste

Editoria riviste %Paolini 195 25,3Non paolini 575 74,7

770 100,0

Personale paolino %Capiredattori 18Redattori 34Collaboratori 27Altro personale impiegato 56Totale redazione 135 69,2

Prod. Grafìci-Impaginatori 15Stampa e Confezione 15Totale produzione 30 15,4

Area commerciale 13 6,7Amministrazione 7 3,6Altri 10 5,1Totale generale 195 100,0

Personale di redazione 518di cui Paolini 135Non paolini 383

A differenza dell’editoria libri, questo settore,fatta eccezione per l’Italia, non sembra moltosviluppato. I titoli di riviste più ricorrenti sonoFamiglia Cristiana, Vita Pastorale, La Domeni-ca e Il Cooperatore paolino. La specificità dialmeno due di queste testate (La Domenica e IlCooperatore paolino) per il tipo di contenuto ela modesta tiratura, non necessita di un foltogruppo redazionale. Perciò si capisce come lastessa persona possa coprire più ruoli senza ec-cessivo sovraccarico di lavoro.

Anche in questo settore, tuttavia, il personalepaolino non abbonda. Questo si verifica perfinoin Italia, dove il Gruppo Periodici è molto svi-luppato. C’è da chiedersi se questa sia una poli-tica od una necessità.

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TOTALE PERSONALEper settore

TOTALE PERSONALEper attività

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2.3. Personale settore audiovisivi

Audiovisivi %Paolini 37 37,8Non paolini 61 62,2

98 100,0

Paolini responsabili di settore 17Personale stabile di redazione 8Altro personale di redazione 5Totale redazione 30

Area commerciale 5 13,5Area amministrativa 2 5,4Totale generale 37 100,0

È doveroso notare, a mo’ di premessa, che nelsettore audiovisivi è impiegato solo il 4% deltotale del personale impiegato nel lavoro aposto-lico, contro il 28% del settore libri, il 26% delsettore riviste, il 33% degli stabilimenti e il 9%delle radio-TV. Resta quindi il settore di granlunga più modesto del nostro apostolato. La ca-renza non è tanto territoriale, dal momento chequesto tipo di attività è presente in 12 nazioni,quanto di entità delle opere e di esiguità del per-sonale impiegato. Vi è poi, a livello di personale,una vera sproporzione tra personale paolino enon paolino e perfino i ruoli di responsabilità,tradizionalmente in mano ai paolini, vengono af-fidati a personale esterno o, in alternativa, tutticoperti da un solo paolino.

È poi evidente la carenza di personale, pao-lini e non paolini, in due settori vitali, comel’ideazione e la redazione.

2.4. Personale emittenti radio-TV

Emittenti %Paolini 18 6,8Non paolini 245 93,2

263 100,0

Emittenti: personale paolino %Redattori 8Altro personale di redazione 5Totale redazione 13

Amministrazione 2Altri 3

Questo settore è poco sviluppato dal punto divista territoriale in quanto vi lavorano solo trenazioni. Il Brasile è di gran lunga il primo conun totale di 206 persone impiegate, seguitodall’Italia che occupa 57 persone e dal Cile consoli due paolini ed un non paolino. Perciò nel

totale di 263 persone impiegate, i paolini sonosolo 18 con una evidente sproporzione. Essi co-prono alcuni ruoli chiave, come quello direzio-nale ed amministrativo, ma sono quasi assentinel settore ideativo e redazionale.

2.5. Personale stabilimenti

Stabilimenti %Paolini 146 15,8Non paolini 776 84,2

922 100,0

Quello degli stabilimenti è settore tradizio-nalmente forte, anche se sta subendo un ridimen-sionamento, dovuto sia all’evoluzione tecnicadei mezzi produttivi e sia all’età media del per-sonale paolino impiegato. Molte produzionidunque sono ancora fatte in casa e la direzione el’organizzazione dei vari reparti resta saldamentein mano ai paolini.

Librerie %Paolini 115 32,7Non paolini 236 67,3

351 100,0

2.6. Presenza dei paolini in dati relativialla redazione, produzione, diffusione ed

amministrazione e ai vari settori

Suddivisione paolini per settore %Editoria libri 191 27,2Editoria riviste 195 27,8Audiovisivi 37 5,3Emittenti 18 2,5Stabilimenti 146 20,8Librerie 115 16,4Totale 702 100,0

Personale paolino in formazione 458

Suddivisione paolini per attività %Redazione 251 35,7Produzione 237 33,8Settore commerciale 67 9,5Librerie 115 16,4Amministrazione 19 2,7Altri 13 1,8Totale 702 100,0

Personale paolino %Redazioni 42,8Con posizioni di responsabilità 14,8Redattori 11,4Altro personale di redazione 16,6

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3. Analisi dei contenuti

3.1. Editoria libri:responsabili aree tematiche

I responsabili delle aree tematiche sono pao-lini (con attività, alcuni full time, altri part time).Unica eccezione risulta il Venezuela con unpaolino che lavora p.t., un non paolino che lavo-ra f.t. e nove non paolini che lavorano p.t.

3.2. Editoria libri:totale generale personale

Il totale generale del personale paolino è di 88persone f.t. e di 103 p.t.; il totale del personalenon paolino è di 351 persone f.t. e di 231 p.t. Iltotale complessivo è di 773 persone.

Come media si ha un paolino per ogni tre nonpaolini. Questa media generale deve essere, pe-rò, situata all’interno delle medie differenziate:così si va, nel lavoro f.t., da 1 su 1,5 per la Spa-gna, a 1 su 1,8 per l’Italia, a 1 su 16 per il Cile, a1 su 29 per il Brasile.

Il totale personale va confrontato anche conla produzione realizzata. Qui si scopre che, peresempio, in Spagna, 23 persone hanno un diffu-so di 1.476.000 copie (con 112 opere); in Vene-zuela, 46 persone hanno un diffuso di 1.174.000copie (con 99 opere); in Argentina, 60 personehanno un diffuso di 1.284.000 copie; in Brasile,228 persone hanno un diffuso di 1.651.000 (con333 opere). Purtroppo mancano gli organi-grammi dettagliati ed i criteri di utilizzo delpersonale.

A livello quantitativo si rileva che la Spagna,con 23 persone, riesce ad ottenere risultati mi-gliori del Venezuela, dell’Argentina, del Messi-co... (che utilizzano il doppio o più, di perso-nale), e riesce ad ottenere quasi lo stesso risul-tato del Brasile (175.000 copie in meno, anchese con un terzo di opere) ma con un decimo dipersonale.

3.3. Editoria riviste:Capi-redattori e redattori

I capi-redattori e i redattori (che lavorano f.t.)sono sempre paolini: unica eccezione risultal’Italia (6 capo-redattori non paolini, 35 redattorinon paolini e 5 redattori paolini). Si tratta di unasvolta o di una necessità subìta? Una proposta osemplicemente un rimedio?

Uguale andamento si ritrova nei collaborato-ri: 216 non paolini e 45 paolini, con un rapportodi 4/1.

3.4. Genere di stampatiin ordine di importanza

I libri sono al primo posto e gli opuscoli alsecondo.

3.5. Editoria libri: numerodelle opere e tiratura complessiva

L’argomento 3 è un errore commesso nellaribattitura del questionario. «Religione» era untitolo generale comprendente varie specificazio-ni. Doveva essere lasciato libero, come da origi-nale. Invece vi sono confluite numerose operetanto da essere al quarto posto nella classificaper argomenti (pag. 58).

Un esempio per tutti: il Brasile vi ha fattoconfluire il maggior numero di opere (90), maovviamente non si può risalire a ciò che il com-pilatore intendeva indicare.

Tenendo presente il numero delle opere, la ti-ratura complessiva e la classificazione per argo-menti, si può analizzare l’attività delle singolenazioni e compararle tra loro, mettendo in rilievole scelte di ogni nazione, per settore e comples-sivamente. Si può tener conto, anche, dei pregiu-dizi o preconcetti sulle singole culture: se questivengono, o no, smentiti.

Viene data una classifica per opere (pag. 58),ma questa deve essere comparata anche, con unaclassifica per diffusione, e facendo eventua l-mente una media. Ogni scelta, naturalmente, èriduttiva e non esaustiva. Ma mette in rilievo lesingole scelte, di produzione e di pubblico.

Come media generale, e partendo dalla classi-fica per argomenti abbiamo:

1) Teologia spirituale/ascetica/medit.: 221opere, pari a 1/7 del totale, ma con una tiraturadi 800.000 copie, pari a 1/10 del totale copie.

2) Libri per ragazzi: 163 opere, 1/9 del totale,con una tiratura di 530.000 copie, pari a 1/15 deltotale copie. Se poi si confrontano questi daticon quelli dei destinatari privilegiati si vede cheè composto dal 14% di adolescenti e 16% dibambini.

3) Sacra Scrittura: 137 opere, 1/11 del totale,con una tiratura di 1.805.000 copie, pari a 1/4 deltotale.

4) Religione: non considerato, per i motiviaccennati sopra.

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SPICS/Comini - 183

5) Teologia e cultura religiosa: 111 opere,1/13 del totale, con una tiratura di 227.000 copie,cioè 1/37 sulla tiratura complessiva.

6) Catechetica: 102 opere, 1/14 sul totale, conuna tiratura di 1.646.000 copie, pari a 1/5 sullatiratura totale.

* Liturgia e Sacramentaria: 16+71, pari a 1/17delle opere e ad 1/12 della tiratura totale. Ma èda sottolineare che la sola Liturgia e libri di pre-ghiera hanno 1/13 della tiratura, mentre la Sa-cramentaria è pari a 1/73 per la tiratura e a 1/94per opere.

* Ecclesiologia: è al 21° posto con 1/189 sulleopere e 1/467 sulla tiratura totale.

* Morale: ha il 2% per tiratura.

* Pastorale: 4% delle opere (di cui 1,4% è del-l’Italia) e 5% della tiratura (45% della Spagna).

* Magistero: 1,4% delle opere (di cui il72,2% è del Cile) e 2,6 % della tiratura totale (dicui l’Argentina ha 1’82%, con 184.000 copie).

* Patristica: 0,2% delle opere e 0,1% della ti-ratura totale (probabilmente per una spartizioneeditoriale con le FSP).

* Comunicazione sociale: è al penultimo po-sto (24) nella classifica per argomenti, con lo0,2% delle opere e lo 0,3% della tiratura (tenen-do presente che le Filippine hanno il 69% di taletiratura, con 20.000 copie).

* Letteratura: è al 10° posto, con il 4,6% delleopere e il 2,9% della tiratura. La Corea copre il47% della tiratura di settore, con 119.000 copie e1,4% della tiratura mondiale.

3.6. Librerie e loro gestione

C’è un modo diverso di intendere la “gestio-ne” delle librerie, secondo le varie nazioni:

Il Brasile ha 10 librerie: 4 tenute da paolini e6 da non paolini. Il personale impiegato è di 7paolini e 100 non paolini.

Il Giappone ha 3 paolini e 6 non paolini.L’Italia ha 14 librerie delle quali solo 1 ge-

stita da laici. Nelle 13 librerie (che qui ci interes-sano) sono impegnati 35 paolini e 18 laici.

Questi sono segni di parametri diversi e pro-babilmente di situazioni diverse.

3.7. Il pubblico

Riviste %Famiglia 27Adulti 30Partecipanti alle funzioni religiose 24Ragazzi 11Religiosi 8

Libri %Adulti 65Bambini 16Adolescenti 14Famiglia 5Anziani 1

3.8. Contenuto delle riviste

Si ritrovano, qui, i dati della classificazionedei libri. Forte è la presenza della liturgia e dellapastorale (all’interno della quale, forse, ci sarà ildiscorso sulla comunicazione sociale...).

Il pubblico generalmente è popolare, a partel’Italia, con un pubblico economicamente e cul-turalmente medio-alto e con prevalenza del nord.

3.9. Pellicole

A livello di produzione non appare l’ar-gomento 3 (Bibbia), tuttavia 1’11% (10/85: ma idati riguardano solo la Spagna) è di argomentoreligioso. Come titoli religiosi, la media (Italia eSpagna) è di 7/47.

3.10. Videocassette

Per quanto riguarda le videocassette, l’ar-gomento religioso sembra avere la preminenza:i dati in possesso, tuttavia, sono insufficienti, enon permettono una completezza di valuta-zione.

3.11. Dischi

Colpisce il fatto che l’Italia produca 1’82% inmusica leggera: 130.000 copie contro le 6.000 dimusica sacra e le 22.000 di musica per bambini.

3.12. Emittenti radio-TV

Può essere interessante il confronto Brasile- Italia sui contenuti privilegiati nelle produ-zioni proprie. Il Brasile, considerando i conte-nuti privilegiati ed i titoli particolarmente cu-rati, è orientato verso il sociale e la catechesi,l’Italia verso l’intrattenimento e lo sport inparticolare.

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4. Progetti

4.1. Introduzione

Le domande del questionario sono in tutto 40,divise in 5 grandi settori: LIBRI, RIVISTE,AUDIOVISIVI, RADIO-TV, STABILIMENTI,per progetti relativi a una duplice scadenza

A MEDIO TERMINE (1-3 anni)A LUNGO TERMINE (3-6 anni) suddivisi, in

linea di massima, nei seguenti campi:REDAZIONE, PRODUZIONE, DIFFUSIO-

NE, STRUTTURA ORGANIZZATIVA. Hannorisposto in tutto 19 nazioni:

ARGENTINA, AUSTRALIA, BRASILE,CANADA, CILE, COLOMBIA, COREA, FI-LIPPINE, FRANCIA, GIAPPONE, GRANBRETAGNA, INDIA, ITALIA, MESSICO,PORTOGALLO, SPAGNA, USA, VENEZUE-LA, ZAIRE.

15 hanno risposto per il settore RIVISTE11 per il settore LIBRI8 per il settore STABILIMENTI6 per il settore AUDIOVISIVI3 per il settore RADIO-TV.

Da notare che:2 (Italia e Cile) hanno risposto su tutti i

settori2 (Corea e Gran Bretagna) solo sul settore

LIBRI3 (Argentina, Portogallo e USA) solo sul set-

tore RIVISTE1 (Zaire) solo sul settore STABILIMENTI.

Totale delle risposte possibili (19x40) era di 760Totale delle risposte pervenute 183 (24%), dicui:

145 per progetti a medio termine (1-3 anni) e38 per progetti a lungo termine (3-6 anni).

4.2. Analisi contenutisticadei progetti in generale

Per la Redazione insistente ricerca di: Perso-nale paolino, Personale specializzato, Autori lo-cali, Cooperatori laici. Équipe di redattori.

Per la Produzione preferenze per: Bibbia, Ma-riologia, Pastorale e Catechesi, Libri per ragazzi,Messalino, Attualità socio-culturali di qualità,Dizionari EP, Spiritualità

Cassette e Videocassette di musica sacra, diSanti locali e Storia della Chiesa locale. Corto-metraggi catechistici, Catechismo audiovisivo

Produzioni per la TV, Programmi per ra-gazzi.

Per la Diffusione incrementare: Pubblicità,Uffici promozione-vendite. Agenzie di distribu-zione e reti di distribuzione, Nuove Librerie,Collaborazione tra i Paolini (specialmente con leFiglie), Mercato internazionale e collaborazionecon strutture come Bayard e Provobis.

Per la Struttura organizzativa in generale siavverte la necessità di: Rinnovo macchinario(rotativa, offset, fotocompositrice...). Compute-rizzazione e anche una Banca dati in comune,Aumento delle potenze Radio-TV dove già esi-stenti, Locali per studi televisivi, strutture per gliAudiovisivi specie in Italia.

In particolare:Interessante lo sforzo del Canada per inserirsi

nel contesto culturale proprio.Per la Colombia, il fatto di avere un paolino

in redazione che possa trasmettere le ricchezzedel carisma e della spiritualità paolina.

Per le Filippine, il fatto di un impegno a li-vello vocazionale.

Per il Giappone, il fatto di un inserimentonella cultura locale.

Per il resto, si tende a progettare un miglio-ramento in tutti i campi, specie in quello orga-nizzativo (di personale) e produttivo (di macchi-nari).

4.3. Alcune osservazioni generali

1. Hanno risposto alle domande sui progettisolo il 24%.

2. Molte nazioni manifestano progetti solo sualcuni settori pur essendo presenti anche gli altrisui quali non fanno alcun cenno.

3. Difficoltà nel fare progetti a lungo terminein quanto la stragrande maggioranza delle nazio-ni dichiara progetti solo a medio termine (145 ri-sposte contro le 38 per progetti a lungo termine).

4. È ancora la stampa di libri e riviste cheriempie i nostri pensieri, anche se in alcune na-zioni c’è un forte interesse per gli audiovisivi eper programmazioni radiotelevisive.

La programmazionecome metodo di lavoro

1. Definizione degli obiettivia medio termine - a lungo termine

2. Moditempi - risorse

3. Verifica e correzione4. Valutazione dei risultati.

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Dr. Sandro LONGHI — CONCORDE EUROPEENNE FORMATION s.r.l.

MODELLO DI UN’EDITORIA INTERNAZIONALE

1. L’impresa in generale1.1. Necessità di organizzazione1.2. Modelli evolutivi delle strutture organizzative

2. L’impresa editoriale2.1. Attività2.2. Caratteristiche delle attività2.3. Presidio delle attività

3. Editori della Società San Paolo3.1. Situazione3.2. Prospettive future3.3. Modello di un’editoria internazionale

1. L’impresa in generale

1.1. Necessità di organizzazione

Analizzando un’impresa nella sua minimaespressione e cioè un imprenditore/artigiano cheopera in forma strettamente individuale, si puònotare che egli in prima persona assicura tutte lefunzioni aziendali tipiche:

progettazione, acquisti, produzione, vendite eamministrazione, coordinando e gestendo tutte leattività tanto nel breve come nel medio e lungoperiodo.

Ma con l’espansione della sua mini-impresal’imprenditore si vedrà costretto ad avvalersi dicollaboratori e per mantenere ed incrementarel’iniziale livello di efficienza e di efficacia dovrà“organizzarsi” per coordinare e facilitare gli in-terventi dei suoi collaboratori, evitando ambi-guità, sovrapposizioni, sprechi e conflitti.

Ecco allora che nascono e si sviluppano stru-menti specialistici per affrontare le problemati-che aziendali:

- la determinazione della struttura, schematiz-zata negli organigrammi, per ripartire l’attività de-cisionale, l’autorità e la responsabilità e per spe-cializzare i vari settori su tipi di attività omogenee;

- la definizione dei ruoli e delle funzioni, perstabilire dei chiari confini alle aree di competenzae specificare cosa pretende l’impresa dai suoi col-laboratori, evitando sovrapposizioni e confusioni.

È opportuno sottolineare che nell’impresal’uomo assume un ruolo preciso, che soventenon ha alcun rapporto con la sua vita privata, mache lo costringe ad adottare un comportamentoche deve essere coerente con tale ruolo.

Il rispetto dei ruoli deve essere assicurato pergarantire il buon funzionamento dell’impresa,perché in effetti, ogni responsabile agisce rap-presentando l’imprenditore/artigiano in uno deitanti aspetti che questi dapprima conglobava;

- la messa a punto dei meccanismi operativi,

strumenti essenziali per un efficace funziona-mento dell’impresa: procedure, sistema informa-tivo, pianificazione, controllo di gestione, ecc.

- la razionalizzazione del lavoro impiegatizioe di produzione per ottimizzare l’efficienza equindi ridurre i costi aziendali.

1.2. Modelli evolutivi delle strutture organizzative

La struttura organizzativa normalmente sievolve in funzione dei seguenti fattori:

- aumento delle dimensioni- diversificazione dei prodotti- diversificazione delle tecnologie- diversificazione dei mercati- espansione territoriale e internazionale- evoluzione delle teorie organizzative

Si possono generalmente indicare 5 modellidi struttura organizzativa, conseguenti agli svi-luppi indicati:

1. Modello Imprenditoriale2. Modello Funzionale3. Modello Staff-Line4. Modello Divisionale5. Modello Conglomerato

Ogni modello ha particolari caratteristicheche sono esposte negli schemi sintetici riportatiqui di seguito.

La matrice comune è però fondamentalmentequella “funzionale” o dello “staff-line”. Per su-perare o integrare questa limitazione o carenzadella struttura classica, si stanno moltiplicando leesperienze relative a:

- comitati di gestione e di coordinamento- lavoro di gruppo- costituzione di “task forces” e “project team”- sperimentazione strutture per progetti- sperimentazione strutture a matrice

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186 - Longhi/Concorde

I FASE: IMPRENDITORIALE

Caratteristiche:

1 - coincidenza proprietà, direzione, autorità

2 - alta imprenditorialità

3 - mancanza dei livelli gerarchici

4 - mancanza di specializzazione e professionalità

5 - velocità e immediatezza delle comunicazioni

6 - controllo soprattutto dell’esecuzione e non dei risultati

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Longhi/Concorde - 187

II. FASE: FUNZIONALE PURA

Caratteristiche:

1 - separazione proprietà - direzione

2 - nascita della delega specialistica

3 - introduzione dei “quadri” specialistici dirigenziali

4 - nascita della struttura e dei livelli gerarchici

5 - introduzione di primi meccanismi operatori di coordinamento e di controllo

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188 - Longhi/Concorde

III. FASE: LINE E STAFF

Caratteristiche:

1 - aumento delle specializzazioni e introduzione delle professionalità aziendali (organizzazione,marketing, p.r. ecc.)

2 - doppi livelli di autorità:. strettamente connessi al risultato aziendale: line. di carattere complementare, rivolti soprattutto all’espansione e all’innovazione: staff

3 - aumento delle necessità di coordinamento specie tra staff e line

4 - sviluppo dei meccanismi operativi di coordinamento e di controllo e primi effetti di burocratizzazione

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Longhi/Concorde - 189

IV. FASE: DECENTRAMENTO DIVISIONALE

Caratteristiche:

1 - nascita del concetto di decentramento

2 - primo sdoppiamento della direzione (Direzione Centrale - Direzioni di Divisione)

3 - doppio livello gestionale e degli staff

4 - necessità della funzione di pianificazione

5 - aumento e sofisticazione dei meccanismi operativi di coordinamento e di controllo

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190 - Longhi/Concorde

V. FASE: DECENTRAMENTO SOCIETARIO CONGLOMERATO

Caratteristiche

1 - sviluppo del decentramento anche dal punto di vista formale-giuridico

2 - ampia diversificazione per prodotti, mercati, territori

3 - nascita del concetto di conglomerato e di multinazionalità

4 - differenziazione degli staff

5 - necessità di strutture complementari extra-gerarchiche (Comitati, ecc.)

6 - essenzialità delle funzioni di pianificazione e di coordinamento

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STRUTTURA PER PROGETTI

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STRUTTURA A MATRICE

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Longhi/Concorde - 193

L’esame dell’evoluzione strutturale mette inevidenza la crescente necessità di coordina-mento e pianificazione, l’importanza del si-stema informativo, l’opportunità del lavoro digruppo e della creazione di comitati per teneresotto controllo la gestione aziendale e guidarela marcia dell’impresa verso gli obiettivi pre-stabiliti.

È però doveroso sottolineare che la naturaumana rappresenta il principale ostacolo allosviluppo delle strutture: purtroppo e quasisempre, la suscettibilità, la presunzione el’egocentrismo si oppongono ai cambiamentied all’evoluzione.

Questa realtà è così comprovata praticamenteche tutte le imprese non danno corso a processidi cambiamento senza focalizzare l’attenzionesul loro capitale umano, provvedendo ai necessa-ri interventi di sensibilizzazione ed adeguamentodei comportamenti.

Un’altra considerazione interessante nascedalla constatazione che le grandi imprese e so-prattutto le multinazionali adottano general-mente delle strutture di tipo divisionale o con-glomerato.

Tale soluzione è dettata da due tipi di esigen-ze contrastanti: da un lato la forte diversificazio-ne dei prodotti e la dispersione geografica delleaziende del gruppo e d’altra parte la necessità dicoerenza globale e di coordinamento che può es-sere garantita dagli staff centrali.

Com’è noto, si cercano di sfruttare al massi-mo le sinergie interne, ma cosa e quali sono que-ste sinergie? Il vocabolario le definisce testual-mente nel modo seguente: «cooperazione-aiuto-azione simultanea di vari organi per compiereuna data funzione».

Concretamente, le sinergie che le multinazio-nali si propongono di sfruttare riguardano:. idee-prodotti: loro interscambio nel rispetto

delle culture e necessità locali. Ciò comportaun sistema di informazioni permanenti nel-l’ambito del gruppo.

. tecnologia: riciclaggio di impianti, macchinee attrezzature adeguato al momento storicospecifico.

. management: adozione di sistemi di condu-zione d’impresa, di amministrazione, d’infor-mazione e di controllo di gestione omogeneied ottimali nell’intero gruppo.

. know-how: diffusione di esperienze speciali-stiche all’interno del gruppo. Tipico dellemultinazionali è la creazione di una task-forcedi esperti nelle diverse funzioni aziendali che,operando normalmente all’interno dellastruttura, sono a disposizione degli enti cen-trali per missioni specialistiche ben definitepresso altre aziende del gruppo.Mediante tali sinergie l’impresa si propone di

tutelare la coerenza con gli obiettivi generali, ilcoordinamento dell’intero gruppo e la realizza-zione di economie in termini globali.

2. L’impresa editoriale

Quanto esposto nel punto 1 delle presenti noteè valido per qualsiasi tipo d’impresa e quindi an-che per le imprese editoriali.

In questo punto ci si limita perciò a illustra-re gli aspetti caratteristici di tale tipo d’im-presa.

2.1. Attività

Il ciclo di lavoro di un’impresa editoriale in-tegrata può essere così sintetizzato:

a) Individuazione dell’idea e dei contenutib) Commercializzazionec) Progettazione dell’operad) Realizzazione testi ed illustrazionie) Stampaf) Legaturag) Distribuzioneh) Amministrazione

2.2. Caratteristiche delle attività

a) Individuazione dell’idea e dei contenuti:Coerenza con gli obiettivi generali, attrattività,

attualità, aderenza alla cultura locale, originalità.In sintesi, si cerca di massimizzare il valore del-

l’opera dal punto di vista del potenziale cliente.

b) Commercializzazione:Conoscenza del mercato, della concorrenza,

dei precedenti a livello nazionale ed internazio-nale, delle caratteristiche dei potenziali clienti.

Scelta dei canali di diffusione: sponsor, ven-dita diretta, vendita per corrispondenza, abbo-namenti, vendita a librerie ed edicole.

Capacità di organizzare campagne pubblicita-rie, di lancio ecc.

Abilità nella gestione dei venditori, interme-diari, ecc.

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194 - Longhi/Concorde

c) Progettazione:Conoscenza delle caratteristiche degli autori

di moda, autorevoli e conosciuti e loro scelta inbase alla coerenza con i contenuti previsti, com-petenza e stile.

Conoscenza dei fotografi qualificati e dellefonti per la ricerca iconografica.

Capacità di preparare e pianificare la realiz-zazione dal punto di vista dei contenuti, dellatecnica grafica, delle quantità, dei tempi e deicosti.

d) e) f) g) Realizzazione testi ed illustrazioni:Stampa; Legatura; Distribuzione:Esperienza nelle decisioni di «make or buy»

basate su criteri di convenienza economica, tantonelle scelte di fondo che in quelle contingenti.

Capacità di realizzare direttamente tali atti-vità.

Abilità nel dirigere la realizzazione, tanto in-terna che presso terzi, dal punto di vista dellaqualità, dei costi e dei tempi.

h) Amministrazione:Capacità di rilevare ed elaborare i fatti finan-

ziari, amministrativi e contabili della società nelrispetto delle leggi vigenti.

Capacità di assicurare il controllo di gestione,individuando ed analizzando le cause degli sco-stamenti rispetto al budget e garantendo le ne-cessarie informazioni economiche e finanziarie.

2.3. Presidio delle attivitàDall’esame del ciclo di lavoro e delle caratte-

ristiche delle diverse attività, si possono trarre leseguenti indicazioni:

Attività non delegabili a terzi:- Individuazione dell’idea e dei contenuti- Commercializzazione- Progettazione- Amministrazione

Attività delegabili a terzi (dove ciò è possibile):- Esecuzione testi ed illustrazioni- Stampa- Legatura- DistribuzioneIn sintesi, non sono sicuramente delegabili le

attività tipicamente editoriali, mentre si deve ana-lizzare da un punto di vista economico globalel’opportunità di affidare a terzi la realizzazionedelle attività operative, tenendo conto dei forti in-vestimenti necessari per operare in proprio e delleconseguenti difficoltà: problematiche tecniche,capacità di saturare le risorse disponibili, gestionedel personale operativo, gestione fornitori, ecc.

E soprattutto si deve considerare che l’ac-quisto da terzi delle attività operative garantisceall’impresa editoriale un’elasticità di manovraeccezionale per ciò che riguarda i volumi di pro-duzione, i prezzi e l’evoluzione tecnologica, chesarebbe impossibile ottenere gestendo un propriostabilimento grafico.

3. Editori della Società San Paolo

Nei punti precedenti sono già stati trattati gliaspetti generali di una società editrice, pertantovengono qui sintetizzati solo alcuni aspetti pecu-liari del Gruppo in oggetto.

3.1. Situazione

Attualmente si evidenziano alcune caratteri-stiche generali importanti:

- Ogni Editore della Società San Paolo è partedi un tutto, ma è condizionato dalle risorselocali.

- Gli obiettivi di base sono comuni.- I contenuti delle opere hanno spesso carattere

universale, sia pur con varianti di interesselocale.

- La società è presente in molti Paesi di culturadiversa e situazione socio-economica moltodifferente.

- Le intercomunicazioni sono deboli e con lin-guaggio non omogeneo, ciò che rende difficilile sinergie di gruppo.

- La situazione degli Editori del Gruppo non èomogenea e dipende dai mezzi economici,tecnici ed umani disponibili, dalla cultura elivello socio-economico locale, dalle compe-tenze tecniche reperibili e dal grado di isola-mento ed autonomia specifica.

La scienza organizzativa afferma però che ledifficoltà, gestite adeguatamente, possono tra-sformarsi in opportunità.

A tale proposito si può far nuovamente rife-rimento alle sinergie, la cui importanza aumentaproporzionalmente alla disomogeneità dellecomponenti di un Gruppo di Imprese.

Analizzando ora il personale che opera nelGruppo, e che ne costituisce il capitale più pre-

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Longhi/Concorde - 195

zioso, si può affermare che i principali punti de-boli sono così sintetizzabili:

- scarsa preparazione alla gestione aziendale- limitata competenza tecnico-professionale- tendenza all’autonomia- difficoltà ad assumere adeguatamente, distin-

guere e armonizzare i due ruoli diversi impo-sti dalle norme della vita religiosa e dalle esi-genze organizzative aziendali.

Ciò evidenzia la necessità di un cambiamentodi mentalità e l’urgenza dell’avviamento di unsistema di collegamento che faciliti le sinergie eoffra benefici anche a livello della professiona-lità personale.

3.2. Prospettive future

In un mondo in rapida e continua evoluzione,sia tecnologica che socio-economica, diventeràsempre più imperativa la necessità di coordina-mento e di interscambio di informazioni, di tra-smettere e di recepire idee, competenze, meto-dologie, mezzi materiali ed umani per non spre-care le ricchezze del Gruppo ed anzi per facili-tarne lo sviluppo nell’ambito di un’immagineomogenea a livello mondiale.

3.3. Modello di un’editoria internazionale

In ogni Nazione l’Editore si è creato da solo esi è sviluppato quasi autonomamente.

Per non rivoluzionare e traumatizzare la si-tuazione, l’ideale sarebbe quindi che ogni Paesesi organizzasse, mantenesse collegamenti con glialtri e si gestisse autonomamente.

In pratica, almeno inizialmente, tale soluzioneè utopistica, ma tenendo conto della situazioneesistente e delle teorie organizzative si può ra-gionevolmente ipotizzare la struttura desidera-bile: non si tratterebbe di creare strutture pirami-dali, sovrastrutture e sovrapposizioni o dicoto-mie, ma di passare da una situazione di quasitotale autonomia ad un sistema che permetta diutilizzare le esperienze acquisite localmente abeneficio di tutti.

In sintesi, non si tratterebbe di creare unamultinazionale classica, ma piuttosto di confi-gurare una specie di cooperativa internazionaleche tenda all’ottimizzazione della situazionegenerale attraverso scambi ed interrelazioni si-stematiche.

Non si tratterà quindi di formalizzare unastruttura centrale ed una periferica predetermi-nate e rigidamente collegate, ma di rispettare leautonomie aiutando ed indirizzando gli enti peri-ferici.

A tale scopo l’Ente Centrale dovrebbe presi-diare alcune funzioni determinanti per la realiz-zazione di un reale salto di qualità nella profes-sionalità delle persone:

. definizione delle politiche e degli obiettivigenerali;

. verifica sistematica e comparazione delle si-tuazioni locali;

. omogeneizzazione delle metodologie ammi-nistrative;

. informazione e mantenimento di banche datia disposizione di tutti: opere realizzate ed incorso, personale, indici di riferimento, ecc.

. education del personale, soprattutto a livellodirettivo;

. coordinamento degli interscambi per lo sfrut-tamento delle sinergie;

. fornitura di aiuti specifici attraverso la crea-zione, il mantenimento ed il coordinamento ditask-forces specialistiche;

. coordinamento di riunioni d’informazione si-stematiche.

Schematicamente, da una costellazione di im-prese indipendenti si dovrebbe passare ad un si-stema di imprese interconnesse, orientate edaiutate da un Ente Centrale che coordini lo svi-luppo dell’insieme.

Per concludere, a titolo esemplificativo, sipossono elencare le principali sinergie che il si-stema dovrebbe sviluppare nell’interesse parti-colare e globale:

. scambio di idee-prodotti in via di sviluppo ogià realizzati;

. riciclaggio di impianti e attrezzature;

. scambio di hardware e software per sistemiinformativi;

. economie di scala per tiratura libri in linguacomune per più Paesi;

. adozione sistemi amministrativi omogenei ecollaudati;

. diffusione esperienze specialistiche e profes-sionali;

. ricezione e fornitura di aiuti specialistici qua-lificati e temporanei;

. ecc., ecc.

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D. Francisco Anta

SOCIETÀ BIBLICA CATTOLICA INTERNAZIONALE

Premessa

Prima di incominciare questa esposizione, ed anche come buonabase per la stessa, bisogna che metta in rilievo il buon lavoro chedon Luigi Giovannini ha fatto l’anno scorso su incarico del Governogenerale: una raccolta di documenti sul tema “APOSTOLATOBIBLICO NEL PENSIERO E NELL’OPERA DI DON GIACOMOALBERIONE”

Nell’attualità, la catechesi biblica e l’evan-gelizzazione attraverso la Bibbia ha preso unpotente sviluppo soprattutto nell’ambito missio-nario del Terzo Mondo, e sono varie le Congre-gazioni che ultimamente hanno accentuato, neiloro piani generali e missionari, delle organizza-zioni impegnate a preparare i testi biblici in for-ma fedele, precisa e facile da capire dal popolodi scarsa formazione e cultura, accompagnandoil sacro testo con una buona catechesi attraversole note tematiche.

Sembrerebbe una scoperta di questo tempo,ma è invece qualcosa che appartiene al nostro ca-risma paolino, presente fin dai primi tempi in DonAlberione e che è stata una “fondazione” di DonAlberione, dimenticata per parecchio tempo.

L’anno scorso il Governo generale si è decisoa spolverare questa importante iniziativa di DonAlberione, e don Perino, nella sua lettera Mariaci precede nel cammino della fede e della mis-sione, esponeva così questo proposito:

«Non vanno sottovalutati i grandi sforzi com-piuti in tutto il mondo paolino per affermarenella pratica il primato della Parola di Dio nellanostra missione.

Da alcuni mesi, tuttavia, il Governo generaleSSP sta studiando come promuovere, coordinaree rendere più accessibili e più aperte a tutto ilventaglio della comunicazione le numerose ini-ziative bibliche esistenti.

Percorrendo questa strada, siamo certi d’in-terpretare lo slancio di Don Alberione, deipaolini e delle paoline degli anni ’30, e la di-namica delle iniziative assunte successivamentedal Fondatore.

Affidiamo questo programma a Maria, che siè aperta totalmente alla Parola di Dio e per primal’ha ‘editata’, generandola nella carne e donan-dola per la salvezza degli uomini.

Sarebbe davvero significativo se si potesserealizzare qualcosa di consistente in campobiblico nel corso di questo Anno Mariano, men-tre si procede alla preparazione del Seminario

internazionale degli Editori paolini, destinato afar crescere tra di noi la coscienza, la profonditàe l’impulso organizzativo della nostra missio-ne» (op. cit., p. 29).

1. - Origine e sviluppo storicodella Società Biblica

“Fare arrivare la Bibbia al popolo” è un’ideafissa di Don Alberione, che appare nel suo pen-siero fin dall’inizio, quasi, direi, appartenesseall’essenza del carisma fondazionale.

Scrive Don Alberione:«Una Bibbia proprio adatta al popolo, tra-

dotta dai testi originali e commentata secondola dottrina della Chiesa, come interpretato ilVangelo della Chiesa» e «Come si può fare ilcatechismo senza la Liturgia e senza la Bibbia?Catechismo, Bibbia e Liturgia sono stretta-mente congiunti».

Nel citato studio di don Giovannini, alla pa-gina 29, si presenta un’interessante raccolta diavvenimenti e iniziative alberioniani in ordinecronologico, che stimo opportuno riportare quiper conoscenza:

1923 “Il Vangelo in ogni famiglia”Il Vangelo a 1 lira

1924 Società BiblicaDepositi del VangeloVangelini domenicaliIl Vangelo nelle scuoleLa Giornata per la Buona Stampa

1925 Edizione illustrata delle Lettere di San PaoloI Convegno dei Cooperatori Buona StampaFesta del Santo Vangelo, della Buona Stampa

o del Divin Maestro1926 I pioppi canadesi per la carta del Vangelo

Solenni feste a San Paolo con rappresentazio-ni teatrali

Edizioni speciali del Vangelo per diocesi eparrocchie

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Anta - 201

1927 I Convegno o Congresso del Vangelo adAlba nell’ambito delle feste di S. Paoloe con rappresentazioni

Esposizione tipografica e librariaCartoline illustrate sul Vangelo e la BibbiaL’Opera delle MaestrePiccola vita di Gesù per i fanciulliIl Vangelo dei piccoliLa Bibbia delle famiglieIl S. Vangelo ed il Catechismo piccoloIl S. Vangelo e le preghiere più comuni

1928 La Bibbia delle Famiglie, a dispense sett.illustr.

Il Vangelo nelle parrocchieCooperazione alla stampa, assumendone le

speseIl Vangelo fra i soldati, nel ’29 ed. speciale di

25.000 copie1929 I Vangelini domenicali

Novum Testamentum latine1931 Nuova edizione economica del Santo

VangeloNuova traduzione italiana della BibbiaLa Bibbia in sei volumetti tascabiliEstratti della Bibbia in venti volumetti ta-

scabiliLa Bibbia latino-francese (in 4 voll.)La Bibbia latino-inglese (in 4 voll.)La Bibbia latino-spagnuolo (in 4 voll.)

1932 I Salmi in versione italianaBibbia in latino iuxta Vulgatam Clement inam

1933 Prediche sulla Sacra Bibbia a tutta la fami-glia paolina

Lega per la lettura quotidiana del S. Vangelo(il can. Chiesa ne approva lo statuto il1° giugno)

1935 Lega di San Paolo (origine belga; filialeitaliana)

Messale Romano Quotidiano latino-italiano1937 L’“Unione Cooperatori” trasferita a Roma

(22/3/’37)1955 Anno dedicato al Divin Maestro1960 Anno Biblico

Bibbia di 1.000 lireCorso biblico per corrispondenza

1963 Anno BiblicoPer capire bene l’importanza e l’attualità del

pensiero di Alberione sulla Bibbia per il popolo,bisogna penetrare nella mentalità di quel tempo,1924, in cui riesce ad ottenere l’approvazione, didiritto diocesano, della Società Biblica.

La lettura della Bibbia era un privilegio cle-ricale. Era sconsigliato o addirittura proibitol’accesso diretto del “popolo semplice o fedele”ai Sacri Testi; mentalità che è andata avanti finoa non troppi anni fa.

Alberione apre una breccia in questa menta-lità chiusa e appronta una rottura, perché la Pa-rola di Dio non può essere legata e deve arriva-re a tutta la gente, come salvezza personale eparte attiva del processo personale di salvezza.

Egli è infatti convinto che non si può dare unaautentica catechesi se non partendo dalla Paroladi Dio, e che l’evangelizzazione deve incomin-ciare da un incontro personale della gente con laParola di Dio.

In questa linea credo dobbiamo interpretare leiniziative del 1931 che, umanamente considera-te, sono pazzesche da tutti i punti di vista: le tra-duzioni fatte dai chierici e stampate ad Alba: la-tino-francese-inglese-spagnolo, e che sono an-date a finire nella cartaccia.

Però è da rilevare che Alberione è il primonella Chiesa a parlare di “Bibbia Pastorale”, inun tempo e all’interno di una mentalità contra-ria.

Ed è interessante leggere con attenzione l’in-troduzione ad una di queste edizioni, perché inessa ci sono gli elementi fondamentali che oggi“sono una novità”:

« - Non ha carattere critico, non ha novitàsotto nessun rispetto.

- Vuol essere la Parola di Dio data alla granmassa del popolo.

- La lettera del Padre, data e letta con sempli-cità dai figli.

- Tradotta con quell’amore e spirito con cui fuda Dio scritta agli uomini, perché sia letta con lostesso spirito.

- È il vero tipo di Bibbia della maggioranzadegli uomini, specialmente dei cristiani.

- Non dispiacerà ai dotti, ma soddisferà chicon cuore retto e semplice cerca Dio».

E continua dando i motivi del perché è PA-STORALE:

«è tutta stampata dai Chierici;è tutta pastorale nelle offerte che si chiedono;è tutta pastorale nel modo di diffonderla;è pastorale la forma e il carattere della tradu-

zione;è pastorale nella scelta delle note;è pastorale il fine cui mira;è pastorale, cioè se ne affida particolarmente

al clero in cura d’anime la diffusione;è pastorale quanto possibile per la modicità

dell’offerta;è pastorale, e si dirige a tutto il mondo, perciò

viene stampata in latino, italiano, spagnolo, fran-cese, inglese».

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202 - Anta

Oggi, queste idee di Don Alberione del 1926-1931 corrispondono esattamente alle richieste eai bisogni dei missionari, e anche dei Vescovidel Primo Mondo, per poter svolgere la loro mis-sione di evangelizzare.

Dopo quelle prime edizioni bibliche che percomprensibili ragioni erano state un fallimento,la Società Biblica passa un’epoca buia nelle Ed i-zioni Paoline di tutto il mondo, anche se il lavorobiblico è sempre pressante e attivo.

Ma non è sparito dalla testa di Don Alberione,che nel 1960 riprende la sua idea di Bibbia Pa-storale sotto il motto “Una Bibbia in ogni fami-glia”, che ancora ricordiamo in Italia con la co-siddetta “Bibbia da 1.000 lire” di un milione dicopie di tiratura.

In quello stesso anno 1960 si ottiene la“EREZIONE PONTIFICIA DELLA SOCIETÀBIBLICA CATTOLICA INTERNAZIONALE”,ad opera di Giovanni XXIII con il Breve del 14ottobre 1960, che le conferisce il grado di “PIAUNIONE PRIMARIA”.

È la prima approvazione di una Società Bibli-ca che si dà nella Chiesa Universale.

2. - Seconda epoca di dimenticanza

Don Alberione è ormai anziano e assillato datroppi problemi, creati dalla veloce espansionedella Famiglia Paolina nel mondo.

La Società Biblica di nuovo è dimenticata enon se ne parlerà più: rimane una importante ini-ziativa e fondazione di Don Alberione senzacontinuatori.

Intanto il mondo continua la sua evoluzione. IlTerzo mondo accentua la sua presenza nellaChiesa. La diminuzione dei sacerdoti e dei mis-sionari, e la maggiore partecipazione dei laici incerca del loro spazio nella Chiesa crea nuove esi-genze e interrogativi. Le sette protestanti si orga-nizzano per i loro fini, basati sulla Bibbia, e ap-paiono “LE SOCIETÀ BIBLICHE” con la diffu-sione massiva e popolare dei Testi Sacri; mentre imissionari cattolici, e le chiese locali di tanti etanti Paesi del terzo mondo debbono accettarel’offerta graziosa delle sette, la Chiesa cattolicanon ha nessuna organizzazione “operativa” effi-ciente per offrire la Parola di Dio al popolo in unacatechesi facile e con i meccanismi adeguati perrendere accessibile la Bibbia alla povertà o mise-ria di quelle genti.

Un missionario, che non conosceva Alberione,scopre da solo le sue idee e nel 1970 pubblica

una Bibbia per la gente ignorante o con pocacultura, come risposta alle esigenze della suamissione in una zona depressa del Sud del Cile, ela chiama “BIBBIA PASTORALE”, discussa,perseguitata, ammirata e ricercata. Forse occor-reva un “non paolino” per ricordarci il nostroproprio compito nella linea e secondo la menta-lità di Alberione.

3. - Ripresa della Società Biblicaalberioniana

Il 14 ottobre 1987, il Governo generale con-voca un incontro in Casa Generalizia per studia-re il possibile rilancio della Società Biblica diDon Alberione, come risposta ai bisogni dievangelizzazione di oggi, soprattutto in relazioneal Terzo mondo, e anche come una attualizza-zione della nostra presenza evangelizzatrice nelmondo.

È un dato curioso, che nell’incontro si sco-pre che proprio quel giorno, il 14 ottobre, eral’anniversario dell’approvazione della SocietàBiblica da parte di Giovanni XXIII (14 ottobre1960).

In questo incontro si decide di:- Incominciare i preparativi per la costituzio-

ne giuridica di una “Fondazione Internazionale”per poter operare nella Società Biblica sotto tuttigli aspetti: organizzativi, preparazione di testi,mezzi economici, aiuti ecc... in tutto il mondo.

- Mettere assieme quello che si è fatto e si stafacendo, in tutto il mondo, con lo sguardo inavanti, e nella ricerca di una unificazione.

- Prendere subito le iniziative in corso chepossano essere utili ai nostri scopi.

- Studiare e preparare un ordine di priorità dipossibili realizzazioni in campo biblico.

- Presentare i risultati alla fine di un anno,settembre-ottobre 1988.

4. - Finalità della Fondazione

La Fondazione dovrebbe seguire le linee trac-ciate da Don Alberione per la Società Biblica:

- Promuovere la traduzione, la stampa e ladiffusione della Sacra Bibbia in tutte le lingue enazioni del mondo, per tutti i settori e con tutti imezzi del nostro apostolato.

- Promuovere la preparazione di testi biblicicon carattere nettamente pastorale in tutti i cam-pi del nostro apostolato: edizioni e audiovisivi.

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Anta - 203

- Assicurarsi che rispondano a bisogni con-creti nell’attuale evangelizzazione e secondo leesigenze dei diversi luoghi del mondo.

- Dare un’attenzione speciale alle lingue lo-cali dei paesi di missione.

- Attendere ai diversi problemi nell’ordineorganizzativo, economico e di diffusione.

- Coordinare tutti i lavori biblici per aree lin-guistiche.

- Cercare i fondi economici necessari per ren-dere possibile l’apostolato biblico nelle nazionisottosviluppate e in vero stato di povertà.

- Organizzare la preparazione di traduzioni inaltre lingue, specialmente locali, necessario perun effettivo sviluppo dell’apostolato.

Curare e rendere possibili le realizzazionitecniche e la diffusione.

5. - Analisi del lavoro realizzato eprogetti a breve termine

Una prima esperienza, ormai conosciuta, econ risultati facili da analizzare, è stata “LA BI-BLIA LATINOAMERICANA”, che certamenteè la Bibbia di maggior diffusione conosciuta fi-nora in lingua spagnola, preparata per le comu-nità cristiane dell’America Latina, edizione pa-storale con abbondanti note catechetiche, peropera di un missionario francese con la collabo-razione della sua povera comunità parrocchialedel Sud del Cile e di un pastoralista di origineitaliana, anch’egli missionario. Oggi è diventatal’edizione più popolare in quei paesi.

1. Su questa esperienza, nel presente anno èstata stampata nelle Filippine, collaborando Pao-lini, Claretiani e Verbiti, la prima edizione inlingua inglese tradotta dai testi originali, di unaEdizione Pastorale. Le note basicamente sonoquelle della Latinoamericana, con adattamentiper il mondo anglofono d’Oriente.

La prima edizione di 60.000 copie si è esau-rita in due mesi; è alla ristampa la seconda edi-zione praticamente esaurita anch’essa prima es-sere finita; è quindi in preparazione la terza edi-zione.

I diritti di stampa, proprietà della Società Bi-blica, sono stati già sollecitati da tre ditte norda-mericane, una di esse protestante, oltre alle no-stre Edizioni Paoline.

2. È in revisione la traduzione in tagaloc (lin-gua popolare delle Filippine), e in marcia la tra-duzione al seboano (lingua popolare anch’essadelle Filippine).

3. Si sta lavorando alla traduzione e prepa-razione in lingua francese per l’Africa. I lavorisi spera, saranno finiti in due anni. A questoriguardo, il Vescovo del Sacerdote che si re-sponsabilizza di questo lavoro in francese perl’Africa gli ha manifestato il desiderio che,dopo aver finito quel lavoro, cerchi di prepara-re anche un’edizione per la Francia, con lestesse caratteristiche perché le edizioni franc e-si sono per gente colta e manca una Bibbia peril popolo.

4. Si stanno tentando i primi difficili passiper incominciare una Bibbia Pastorale in cine-se. I preparativi procedono lentamente, ma se-riamente, e sono a buon punto di pianificazio-ne.

5. Sono arrivate delle richieste per preparareedizioni pastorali in lingue locali di vari Paesiafricani.

6. - Situazione attuale della Fondazione

In quest’anno di avviamento, il Governo ge-nerale ha presentato tutta la documentazione perlo studio e l’iter giuridico per una FondazioneInternazionale, senza scopi di lucro, che accol-ga diverse iniziative già operanti, tra le qualientra anche la Società Biblica Cattolica Interna-zionale.

- Lo studio si trova ormai nella sua fase con-clusiva.

- È stato preparato da un Notaio di Milano unabbozzo di Statuto, con le diverse opzioni possi-bili.

- Mancano soltanto alcune precisazioni, perla presentazione ufficiale, che sarà fatta entrol’anno in corso, per poter cominciare ad operare.

- È coinvolta tutta la Famiglia Paolina.

Nel campo operativo si portano avanti leiniziative già indicate prima e si continuerànello studio e pianificazione di altre che arri-veranno.

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D. A. Colacrai - d. E. Pasotti - ch. Wojtek K.

PROPOSTA PER UNA INFORMAZIONE PIÙ SISTEMATICATRA EDITORI PAOLINI

Come si nota dal titolo, questa relazione nonè circa la “dimensione liturgico-spirituale del-l’editore paolino”, e neppure sulla “teologia diSan Paolo come fonte e ispirazione dell’editoriapaolina”. Ciò è come dire che essa è carente dicompetenza e professionalità.

Si articola in tre parti:1. Motivazioni ideali;2. Forme-formulari;3. Tecnologie.

Lo scopo che questa relazione si propone èindividuare o animare quelle sinergie, spessonominate in questo seminario, per compiere me-glio e assieme il mestiere (corruzione di ministe-ro) di evangelizzatori con i mezzi di comunica-zione sociale.

Serve anche a suscitare una consapevolezzamaggiore che siamo una congregazione sola, unasola famiglia, in una sola Chiesa nella fedeltàall’unica Parola di Dio che è la stessa ieri oggi esempre. E ovunque.

1. Motivazioni

Siamo convinti che l’attuale, povera, occasio-nale comunicazione esistente tra editori paolinipuò accrescersi solamente se è convincente-mente motivata. Se essa cioè è agganciata o ap-partiene alle nostre concezioni circa la Parola diDio, l’unicità e universalità della congregazione,l’apostolicità e la cattolicità della Chiesa, la na-tura stessa dei mezzi di comunicazione. E se ri-sulta utile.

Dopo questi giorni di seminario, quanto stia-mo per dire può sembrare una postilla a ciò che èstato già detto circa l’inculturazione e l’impegnodei paolini nella Chiesa locale.

1.1. Parola di Dio

1.1.1. Unicità della Parola di Dio

— Unicità della Bibbia— Metodo dell’analogia

1.1.2. Apostolicità della Parola di Dio

— Discepoli-Apostoli— Per il recettore: la Parola viene dal di fuo-

ri, da lontano

1.1.3. Universalità della Parola di Dio

— Coltivare la stessa apertura della Parola diDio.

1.2. Congregazione

— Confronta Costituzioni SSP n° 77: «L’Apo-stolato è realizzato dall’insieme dei membri dellaCongregazione e ha quindi una dimensione co-munitaria».

— Costituzioni n° 85: «La collaborazione, siaall’interno della nostra congregazione che nel-l’ambito della Famiglia Paolina, è essenziale peril compimento della nostra missione».

— Siamo convinti che una comunicazioneeditoriale tra le varie Case paoline dipende dallaqualità della nostra vita comune o unione tra noi.

— Rapporto dialogico tra congregazione,che appartiene alla Chiesa universale, e Chieselocali.

1.3. Chiesa

1.3.1. Romanità della Chiesa

— Come garanzia di solidità dei contenuti edi pastoralità

1.3.2. Unicità della Chiesa

1.3.3. Cattolicità della Chiesa.

1.4. Società

— Villaggio globale— Primo, secondo e terzo mondo in un mon-

do solo.

1.5. Mezzi di comunicazione sociale

— Linguaggio globale— Sistema integrato dei media paolini.

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Colacrai & C. - 205

Concludendo:

— L’assunzione delle culture locali e tradu-zione nelle culture locali del messaggio evange-lico: ha sempre senso nella misura in cui venga-no superate forme di inculturazione radicalizza-ta, quali per es. l’anglicanesimo, il luteranesimoe le sette.

— Ancora, l’inculturazione è positiva nellamisura in cui è superamento di quella sapienzadegli uomini per la quale il Vangelo è follia; e diquella ideologia di potenza per la quale il Croci-fisso è penosa debolezza e fallimento.

2. Forme-formulario

Prima di proporre un formulario per la rac-colta di informazioni editoriali, ci piace suggeri-re altre possibili vie per accrescere la comunica-zione tra noi.

Forme

2.1. Individuazione di interessi editoriali peraree omogenee e linguistiche

— Mondo di lingua inglese: team editorialeunico, traduzione Bibbia, testi Magistero, tradu-zione testi patristici, dizionari, libri illustrati, te-sti di teologia in una reinterpretazione a partiredalla comunicazione (per università e seminari),scambi di traduttori e di diskettes (omogeneizza-zione del software), Pauline Distribution Servi-ces

—Europa: team editoriale europeo, teologiaeuropea, AIDS, famiglia, sessualità, giovani:l’Europa sta crescendo come unità sociale a li-vello economico, politico, culturale. E a livelloecclesiale?

2.2. Interscambio o prestito di personale atempo e per progetti delimitati

— Internazionalizzazione delle comunitàpaoline.

2.3. Francoforte paolina nell’ambito dellaFrankfurter Buchmesse

2.4. Ufficio di diritti esteri o Foreign Rights

2.5. Who’s Who apostolico paolino

— Indirizzario con nomi e qualifiche, telefo-no, telex e telefax dei vari teams editoriali di tuttii settori apostolici

2.6. Bollettino letterario internazionale

— Banca dati (apostolici) paolina— Agenzia letteraria internazionale?

2.7. Cataloghi internazionali per aree lingui-stiche e geografiche

2.8. Mailing lisi per invio di pubblicità pro-mozionale e novità a discrezione del mittente

2.9. Scambio di informazione circa i bestsel-lers nella propria nazione

— Invio di fotocopia di copertina e antina dellibro.

Formulario

Cf a pagina 206 di questi Atti.

3. Tecnologie

Attivazione di una rete di telex o telefax, perfacilitare e per accelerare la comunicazione.

Cf Technology and communications (che vie-ne omesso in questa redazione degli Atti perchéritenuto troppo legato alla situazione britannica)in cui si affrontano le seguenti tematiche:

Forme di dialogo tra computers (vantaggi esvantaggi):

— Local file transfer— Electronic mail (posta elettronica)— Telex— Facsimile transmission— On-line information services (accesso a

banche dati)— Prestel— Mainframe communications— Money transfer

In conclusione:è necessario non avere paura di queste nuove forme e tecnologie perché esse facilitano la co-

municazione tra noi e quindi le nostre scelte, facendoci crescere come missionari del Vangelo,che è lo stesso ieri oggi e domani, portandolo, come San Paolo, agli uomini di oggi con il lin-guaggio di oggi.

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206 - Colacrai & C.

Proposta di formulario

ADVANCE BOOK INFORMATION (ABI)

TITOLO ...........................................................................................................................(del libro, dell’audiovisivo, del programma, della serie)

AUTORE ..........................................................................................................................

Qualifiche ...............................................................................................................

CONTENUTO ..........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

DESTINATARI .......................................................................................................................................................................................................................................

PERCHÉ (motivazione) ...................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

RILEVANZA INTERNAZIONALE................................................................................

AMPIEZZA ......................................................................................................................(numero di parole)

La ricezione del formulario dà diritto alla prima opzione nella co-pubblicazione e/o traduzionedell’opera.

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Fr. Angelo ZENZALARIResponsabile della grafica della C.E.P. s.r.l.

L’IMMAGINE DELL’EDITORIA PAOLINAVISTA ATTRAVERSO I SUOI SEGNI GRAFICI

SCHEMA

Cosa intendiamo per Monogramma“ “ Marchio“ “ Logotipo

Quale il nostro problema oggi nel panorama dell’editoria Paolina?Elementi base per la creazione di una “Immagine coordinata” all’interno di una società di tipoaziendale:- Marchio- Logotipo- Colori- Caratteri- Prodotti e loro presentazione- Stampati- Mezzi di trasporto- Ambienti (insegne e stile di arredo)- PubblicitàAlcuni esempi di “Immagine coordinata” che in qualche maniera hanno fatto scuola: Alitalia, FIAT,Einaudi...Commento alla ricerca sui segni grafici SSP/Edizioni Paoline in Italia: dal 1935 ai nostri giorniL’evoluzione del marchio “ep” in ItaliaRisultati della ricerca a livello internazionale sulla/e nostra/e sigla/e nell’ambito editorialeI tre filoni principali esistenti oggiOsservazioni conclusive.

ELEMENTI BASE

Quando, nel marzo 1988, sono venuti d. Ade-rico e fr. Bernardi a propormi di fare una ricercae un’analisi della situazione che attraversa il no-stro marchio o i nostri numerosi marchi a livellointernazionale, mi è parso subito evidente chenon erano molto chiari i concetti che portano adistinguere un marchio da un monogramma, unascritta comune da un logotipo.

Onde evitare delle facili confusioni in questosenso, mi pare sia utile partire dalla chiarifica-zione di questi termini.

Diciamo subito che permonogramma intendiamo la combinazione o

fusione più o meno estrosa di due o più lettere,spesso ben leggibili. (Lucido da EnciclopediaTreccani p. 690 e lucido da monogrammi più re-centi, compreso la nostra ep). La sua forza e an-che (quindi) il suo limite sta in una collocazionemolto chiara e precisa.

Il marchio invece è un simbolo grafico che puòessere una stilizzazione di elementi reali, una sim-bologia, una raffigurazione più o meno astratta.

Mi dilungo nel dire che il valore del marchiosta non solo nelle sue qualità formali (oh, quantoè bello!), nella sua aderenza al campo di attivitàdell’utente, ma anche nella sua ripetibilità, nellasua semplicità di applicazione, nella sua leggibi-lità grafica (come simbolo) su qualsiasi suppostoe materiale, in qualsiasi dimensione sia ripro-dotto.

Da qui i numerosi studi e prove preliminarinecessari prima del varo di un qualsiasi marchio.

Perché il marchio è come un sigillo di garan-zia, un simbolo di qualità, un segno inconfond i-bile di riconoscimento.

Il logotipo infine è la rappresentazione graficadi un nome, di una sigla, di una scritta, e spessosostituisce il marchio proprio per la sua persua-sione vis iva.

Come esempi classici di logotipi abbiamo: Pi-relli, Olivetti, Fiat, Philips, Alitalia.

Un altro esempio molto buono e vicino a noi èla testata di Famiglia Cristiana.

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208 - Zenzalari

Continuando in questa nostra carrellata, pos-siamo dire che l’uso di un segno con valore sim-bolico è assai antico ed altrettanto antica èl’applicazione dello stesso a tutta una serie dioggetti, luoghi, immagini tra loro connesse dallacomune destinazione.

Si pensi alla croce cristiana, che, da simbolodi morte infamante, assume quello di insegna diuna nuova fede vittoriosa. È un segno, un mar-chio infatti che si estende all’intera sfera cultu-rale della cristianità; riprodotta non solo nell’i-

conografia, ma anche nella pianta architettonicadei templi, tramutata in gesto di benedizione, didevozione... ecc.

Il nostro problema oggi è di analizzare lapossibilità di creazione di un elemento unifica-tore (visualmente) dell’intera gamma della no-stra attività (prodotti e servizi) a livello interna-zionale, oppure di continuare ognuno per la suastrada, rispettando le autonomie di ogni singolopaese.

L’IMMAGINE COORDINATA

A questo punto mi pare importante introdurreil concetto di immagine coordinata (in inglese“coordinated image” oppure “corporate identi-ty”) cioè l’immagine che società, enti o dittedanno di sé attraverso la particolare strutturaestetica degli stampati, della pubblicità, della se-gnaletica e del particolare “stile” dei servizi of-ferti.

Il marchio è solo il primo tassello di questouniverso, come vedremo più chiaramente andan-do avanti.

Un’immagine coordinata sarà cioè tanto piùvalida quanto più stretta sarà la correlazione fra lasostanza e l’apparenza delle sue comunicazioni.

A mio avviso il nocciolo del problema sta qui:noi come Società San Paolo vogliamo offrire allagente un servizio globale unificato, presentarcicon un volto ben definito (ed ecco quindi l’esi-genza di un sistema visuale unificato) oppure of-frire una serie di prodotti e servizi autonomi,uniti da un ideale solo a livello spirituale?

Il problema di trasformarci in una multinazio-nale delle comunicazioni sociali a sfondo reli-gioso esiste solo dal giorno in cui noi decidiamodi offrire a livello operativo questa immagine, enon certamente dal simbolo o segno che si vo-lesse adottare; non dimentichiamo che un mar-chio è l’espressione di tutta una filosofia e di uno“stile” che c’è dietro.

La testata-logotipo “Famiglia Cristiana”, do-po anni di serio lavoro a tutti i livelli (nei conte-nuti, nella selezione della pubblicità, nella impa-ginazione corretta e funzionale, nella distribu-zione capillare ed efficiente) ha assunto tuttiquesti connotati perché se li è meritati con tuttoil lavoro a cui alludevo prima.

Avesse condotto una politica diametralmenteopposta, la testata Famiglia Cristiana si sarebbetinta di tutt’altre connotazioni.

Ora per dare un quadro più completo di ciòche intendiamo per “immagine coordinata”, pas-serei ad elencare gli elementi costitutivi del-l’immagine.

In relazione al tipo di società, ai prodotti e aiservizi offerti, l’immagine coordinata può esserecostituita da un numero più o meno grande e di-versificato di elementi, ed operare a diversi li-velli.

Gli elementi base direi che sono:il marchioil logotipoi colorii caratteri; seguono poii prodotti e la loro presentazione(imballi, confezioni, oltre che i prodotti stes-

si): ad esempio, la Casa editrice “Einaudi” vafamosa per l’ottima presentazione tipografica deisuoi contenuti: scelta dei caratteri, revisione ti-pografica, impaginazione corretta, niente righini,carta di buona qualità, aspetto austero della gra-fica di copertina, sempre di un certo livello cul-turale, il prezzo dei suoi prodotti medio-alto.

Poi abbiamo ancoragli stampatii mezzi di trasportogli ambienti (con le insegne e lo stile di arre-

do: la Standa, la Rinascente, Benetton fannoscuola)

e infinela pubblicità, intesa come tecnica di comuni-

cazione ed elemento principale per il coordina-mento e la diffusione di tutti gli elementi costi-tutivi dell’immagine.

Ora, del marchio e del logotipo abbiamo giàaccennato all’inizio di questa trattazione.

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IL COLORE

Invece non abbiamo ancora trattato del colo-re. È un aspetto a cui noi attribuiamo, a livellopratico, poca importanza. Il colore di un marchioo di un logotipo è quasi altrettanto importantecome la forma o la riproduzione del marchio ologotipo stesso.

La presenza di un determinato colore, il suogrado di accostamento con il nero e il bianco ogli altri colori, il suo adeguamento alle caratteri-stiche del prodotto, alla tradizione o a norme diunificazione, possono modificare sostanzialmentel’aspetto non solo degli stampati, ma di tuttoquanto comunicabile visivamente.

Immaginate per un attimo un numero di Fa-miglia Cristiana che uscisse con la testata ripro-dotta in colore verde oppure viola. La forma e ilcontenuto della testata sarebbero salvi, non al-trettanto l’immagine e lo “stile” che essa si èformata agli occhi dei suoi lettori. Non sarebbepiù la “loro” Famiglia Cristiana. Il colore quindida elemento di sostegno e contorno è diventatoparte costitut iva e integrante della testata stessa.

Ora i nostri molteplici monogrammi e mar-chi, come vedremo tra poco, oltre a vivere unasituazione diversa a livello grafico, cioè propriocome segno, si sposano con qualunque coloreincontrano per strada. Questo di certo non aiuta acreare quello “stile” e quell’immagine agli occhidella gente, quale noi si vorrebbe.

Considerazioni generali su dei colori baseper addivenire alla scelta del o dei colori azien-dali.

Si escludono in partenza le gamme dei coloricon aggiunta di bianco o nero ai colori baseprincipali, oppure risultanti da combinazioni diterne di colori, in quanto sono poco ripetibili ecostanti nel tempo.

Colori primari di stampa

Gamma dei GialliTroppo chiari se si pensa che molti moduli

vengono stampati ad un solo colore. Si potrebbepensare alla combinazione con altri colori, maquesto comporta la riproduzione del marchionon più in positivo ma in negativo e la stampaquasi sempre a due colori.

Gamma dei Magenta (porpora)Leggibili sui moduli, ma danno la sensazione

del colore slavato, senza consistenza. Pocoadatto per insegne. Risulta freddo per la man-canza totale del gia llo.

Gamma dei Cyan (Blu celeste)Vale lo stesso discorso fatto per i magenta.

Sensazione di povertà, indecisione.

Nero di stampaAssenza di colore che può indirizzare (se

usato da solo) il recettore della comunicazionevisiva verso due sensazioni diverse:- dignità, eleganza, prestigio...- depressione, aspetto funereo, luttuoso, buio,paura...

In Italia la seconda sensazione sembra preva-lente. Ha il pregio di essere altamente ripetibile ecostante, infatti lo si ritrova spesso associato alcolore aziendale primario.

Gamma dei GrigiVedi le considerazioni iniziali.

Colori secondari risultanti dalla combinazio-ne dei primari

Rosso caldoOttenibile con una semplice sovrapposizione

di giallo e magenta assoluti. Sensazione di calo-re, delizia, decisione, virilità, completezza per-ché viene vissuto come colore primario benchérisulti dalla sovrapposizione di due colori. Il ros-so caldo spinge di più all’attività: per questo èmolto usato in pubblicità, in quanto toglie, eli-mina le ultime indecisioni del compratore.

VerdeOttenibile con sovrapposizione di giallo e

cyan assoluti. Colore ripetibile, ma penso scar-samente utilizzabile (almeno come colore azien-dale principale) per un gruppo libri in quanto hagià trovato frequente applicazione nel campo deiconcimi, agricoltura, floricultura, latterie... In-somma è associato a tutto ciò che è frutto o harelazione con la natura.

Viola«Il viola, rosso raffreddato, contiene, sia in

senso fisico che in senso spirituale, un elementodi fragilità che ispira tristezza. Questo coloreviene considerato adatto a vestire le donne piùanziane e i cinesi effettivamente lo usano comecolore di lutto» (Kandinsky, in Arte e percezionevisiva, p. 275).

Blu ingleseRisultante in selezione dalla sovrapposizio-

ne di cyan (blu chiaro) con una percentuale dinero, oppure di magenta (rosso porpora). Colo-

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re serio e anche adatto per una editrice, ma fa-cilmente scadibile nella banalità appena ci si di-strae un attimo, non essendo una risultante di to-ni assoluti primari. È usato capillarmente dallaFIAT per la sua immagine coordinata e sotto-posto a continui controlli da un centro graficomolto esigente operante all’interno dell’azienda.

IL CARATTERE

Altro elemento costitutivo dell’immagine co-ordinata è il carattere. Elemento sempre ricor-rente in ogni stampato o visualizzazione, il ca-rattere pone grossi problemi per la scelta e perl’uso.

Le esigenze tecniche di composizione e lafretta possono spostare l’interesse da un tipo dicarattere a un altro con estrema facilità, quandoinvece la coordinazione pretende un’estremacoerenza formale.

La scelta di un solo carattere o di una serieben definita avviene soprattutto per evitare Fusoimproprio di altri tipi il cui disegno potrebbecontrastare negativamente con gli altri elementidell’immagine.

I PRODOTTI E LA LOROPRESENTAZIONE

Procedendo in questa nostra carrellata ci tro-viamo ora ad analizzare i prodotti e la loro pre-sentazione. Diciamo subito a questo propositoche un’immagine ha valore se è in pratical’espressione coordinata e coerente della “filo-sofia” dell’azienda o dell’ente che dir si voglia.

Gli elementi base dell’immagine giocano unruolo determinante e la loro giusta sovrapposi-zione con altri elementi è essenziale ai fini dellacreazione di “linee” editoriali o di altri prodottifacilmente identificabili.

Tralasciando il discorso che investe le coper-tine dei nostri libri o delle video-cassette inquanto ci porterebbe molto lontano, a titolo diesempio possiamo immaginare i dorsi dei nostrivolumi già pubblicati: i titoli in essi stampatipartono sempre dall’alto o dal basso? Il marchioè posto in basso o in alto? Sono questi alcunielementi che a prima vista possono apparire in-significanti ma che nel loro complesso contribui-scono alla creazione di uno “stile”, di un’imma-gine più di quanto possiamo immaginare.

GLI STAMPATI

Di pari passo ai prodotti e alla loro presenta-zione abbiamo gli stampati.

L’enorme varietà di stampati, la loro diversautilizzazione e destinazione assumono parti-colare significato nella determinazione della“coordinated image”.

L’adeguamento di particolari moduli visivi e laprogettazione secondo schemi grafici preordinati,dànno agli stampati una specifica configurazioneformale, che tende perciò a essere “letta” e ricono-sciuta ancor prima dei contenuti di cui è ve icolo.

Può essere utile ricordare una breve classifi-cazione degli stampati extralibrari, utili per unosviluppo organico e capillare dell’immagine co-ordinata:

1. Pubbligrafia: manifesto, pieghevole, cata-logo, opuscolo, fascicolo, stampati promoziona-li, locandine...

2. Stampati per corrispondenza: carta da lette-ra intestata (apro una parentesi: si suol dire che lacarta da lettera di un’azienda debba rivelare le ca-ratteristiche dell’imprenditore che la gestisce. Inuna ditta svedese si è ricorsi ad un’idea originale:accanto all’intestazione è stampato un minuscoloritratto del proprietario, in quattro diverse varian-ti, ossia serio, sorridente, indifferente e furibondo.A seconda delle circostanze, gli impiegati usanoun tipo piuttosto che un altro), busta, cartolina,circolare e moduli per corrispondenza.

3. Stampati per spedizione e imballo: cartaper involgere, etichetta, fascetta, sacchetto...

4. Stampati per contabilità e scritturazione:scheda, modulo, bollettario, fattura, estrattoconto, ecc.

5. Stampati di presentazione: biglietto di vi-sita e di presentazione, tessera...

6. Stampati per manifestazioni, cerimonie, ri-correnze, inviti, biglietti augurali...

7. Calendari (cf Giovanni e Marco Brunazzi,Entipologia, studio sistematico degli stampati, inEnciclopedia della stampa, v. I, SEI, Torino,1969).

Questo lavoro porta come naturale conse-guenza logica l’unificazione o il ridimensiona-mento dei formati degli stampati.

I MEZZI DI TRASPORTO

Sono un altro elemento da considerare, ben-ché la loro “marcatura” sia consuetudine vecchiadi anni.

L’efficacia pubblicitaria di scritte e simboliche viaggiano per le città e le strade è data perscontata (anche dallo Stato che fa pagare ade-guate imposte per le scritte sui veicoli).

È ovvio perciò che i mezzi di trasporto sianotra i primi ad essere progettati come mezzi dicomunicazione dell’immagine aziendale.

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GLI AMBIENTI:INSEGNE E SEGNALETICA

Restano ora da trattare altri due elementiche per noi rivestono un’importanza del tuttoparticolare in quanto sono le finestre con lequali ci affacciamo, ci presentiamo al nostropubblico.

Alludo alle nostre librerie e agenzie che dalpunto di vista dell’immagine coordinata sono vi-sti come ambienti con le loro insegne e segnale-tica esterna e interna e poi l’altro elemento che èla pubblicità.

La Società San Paolo viene identificata e ri-conosciuta nella maggior parte dei casi attraver-so la citazione di indirizzi di librerie o agenzie eattraverso la citazione del settimanale FamigliaCristiana (questo risulta chiaro dalla ricerca Eu-risko 3463).

Quindi l’identificazione chiara degli am-bienti che si effettua attraverso la messa in ope-ra di insegne e cartelli e da sistemi di segnaleti-ca esterna e interna contribuisce a creare unelemento di richiamo molto forte e importanteper la creazione dell’immagine, insieme al par-ticolare “stile” degli operatori (librai, libreriste,agenti...) che vi lavorano all’interno.

La segnaletica si può sviluppare quindi inmolte forme, a seconda delle destinazioni con-tingenti; ma deve essere semplice, comunicati-va, memorizzabile, visibile anche in movi-mento.

Commento: siamo ancora lontani dall’essereidentificati chiaramente a livello grafico, pas-sando da una città all’altra, come Librerie Ed i-zioni Paoline. Non ci accomuna ancora neppurela dicitura esterna: alcune librerie conservanoancora, forse con lungimiranza, il nome di Libre-ria San Paolo.

LA PUBBLICITÀ

Infine resta da trattare il fenomeno della pub-blicità. È questo il banco di prova più impegna-tivo per l’immagine coordinata: che, se vale ve-ramente, attraverso i “media” riesce a rafforzarsivisivamente, a creare quasi un “continuum” chefa emergere, nel contesto spesso caotico e livel-lante le informazioni editoriali e commercialiche sviluppa un discorso serio sull’azienda osull’ente e sui suoi prodotti e servizi.

Articolata nelle varie manifestazioni, dalla pa-gina al manifesto, impostata e mantenuta ad uncerto livello, non cerca il banale risultato imme-diato, ma vuole agire con continuità nel profondo,con una espressione fresca e personale.

Quindi anche un discorso pubblicitario de-v’essere un discorso di “stile” se vuole avere unminimo di credibilità ai fini della costruzione diuna immagine coordinata.

La scelta e l’uso di alcune gamme di caratteri,contribuisce a una identificazione più rapida delnostro messaggio pubblicitario da parte deifruitori, specie quando si assiste ad una presenzanon continuativa ma episodica.

Nei dépliant questo è molto importante inquanto da una uscita all’altra spesso trascorronoalcuni mesi, e ricordarsi a livello di fruizione delmessaggio che un dépliant è la continuazione delprecedente, uscito magari sei mesi o un anno fa,diventa molto difficile se alla base non ci sonoalcuni criteri di progettazione ben definiti e con-trollati.

Non bisogna poi dimenticare che noi recla-mizziamo dei prodotti culturali e non degli or-taggi o degli alimentari e quindi il messaggiodeve essere presentato un po’ più dignitosamentedi un semplice «vu’ cumpra’».

Finita questa carrellata, passiamo ad analiz-zare i risultati della ricerca grafica effettuatasulla realtà dei nostri monogrammi e marchi.

COMMENTO ALLARICERCA SUI SEGNI GRAFICI SSP IN ITALIA

Onde evitare una polverizzazione del proble-ma, mi sono limitato (d’accordo con gli organiz-zatori del Convegno) solo a ciò che investe ilsettore editoriale, con qualche aggancio limitatoad altre realtà presenti in Italia.

Forse può essere di qualche importanza ve-dere come in Italia, prima di passare all’este-

ro, si sia sviluppata la realtà del marchio nellaSocietà San Paolo.

Pur essendo ancora incompleta, perché nonparte dalla data di fondazione della San Paolo, laricerca offre qualche spunto di riflessione. Ledate, capite bene che sono da prendere con lepinze.

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RICERCA SUI SEGNI GRAFICI (Monogrammi, marchi, logotipi) IN ITALIA TAV. 4

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Zenazalari - 213

DAL 1935 AI NOSTRI GIORNI

Dal 1935 al 1943 abbiamo una costante nellascritta «Pia Società San Paolo» che nel

1944 a Roma si arricchisce di «Istituto mis-sionario» per diventare nel

1945, sempre a Roma, «Società ApostolatoStampa» con la comparsa del primo simbolo.

Quindi in questo breve arco di tempo (sonoappena 10 anni) non abbiamo una realtà unicache ci accomuni e ci identifichi chiaramente.

La realtà odierna a livello internazionale haquindi radici lontane.

Nel 1948 ad Alba compare per la prima voltala scritta «Edizioni Paoline» (almeno stando aciò che ha testimoniato d. Pignotti; in archivio aRoma ho riscontrato gli esempi di Roma nel1950-51; sul dorso e in copertina non apparenessuna traccia di marchi).

Intorno al 1953 si ha poi la nascita e la pre-valenza di questa sigla-marchio nella tipografiadella Casa di Roma, mentre in altre Case si con-tinuava con la più assoluta tranquillità ad usarela sigla EP nelle forme più svariate e con i ca-ratteri più diversi: vedi una collana degli anni’58/67 con questa sigla, dove c’è un tentativo distilizzazione degli elementi della sigla stessa;vedi poi Alba in confronto diretto con Modena,Balsamo e Roma (Tavola 4).

Da questa ricerca grafica emerge un dato inte-ressante anche a livello sociologico: ogni Casa sigestisce in proprio e quindi manca la presenza diun centro unificatore-coordinatore che dia un’im-magine coerente a tutta la produzione editoriale.

Dal 1967 al 1971/4 abbiamo la presenza dellasigla «EP» fortemente stilizzata rispetto alle pre-cedenti soluzioni e con qualche passaggio inter-medio.

Finché si arriva al 1975/6, dove la nascita delCentro Commerciale EP a Torino (primavera1972), contribuisce notevolmente all’afferma-zione in Italia dell’attuale “mela” EP, mediatadai periodici di Milano. Questo marchio-mono-gramma era già usato dalla Publiepi e da Fami-glia Cristiana con qualche anno di ant icipo.

Dopo questa scelta ci sono state ancora delleresistenze all’adozione di un’unica sigla, fino al1980, dove sembrava che le acque si fossero cal-mate, ma solo apparentemente... perché con la na-scita delle nuove società, alcune hanno assunto lasigla “SP”, graficamente simile alla “EP”, laquale ha trovato consensi anche all’estero.

Passiamo ora ad analizzare i risultati dellaricerca internazionale sulla/e nostra/e sigla/e,

limitata nel tempo a causa della penuria di mate-riale disponibile.

Ho preso in considerazione, come apparedalla Tav. 5 solo il materiale più recente e cheriguarda principalmente la realtà editoriale.

La prima osservazione che si può fare guar-dando questa tavola comparativa è che siamo difronte a una notevole varietà di sigle e di stemmirivolti a illustrare o presentare ai nostri fruitori lamedesima realtà anche se con sfumature diverse.

Classificando in ordine grafico le sigle e glistemmi della Tav. 5, abbiamo come risultato ciòche si può osservare nella Tav. 6.

Qui possiamo notare tre filoni principali incui naturalmente i vari paesi si sono orientati fi-no ad oggi:

l’ “EP” latino-americana,la “SP” e l’ “EP” di origine italiana.Abbiamo inoltre alcune realtà locali, come

Francia, Gran Bretagna, India e Stati Uniti cheseguono strade autonome.

Possiamo osservare nel primo filone della“EP” latino-americana che pur avendo adottatoi vari paesi la stessa sigla, a livello grafico ci so-no state delle interferenze e degli aggiustamentilocali che hanno modificato il monogramma-marchio (gambetta oscillante e spessore).

Osservando le Tavole comparative n. 7, 8, 9,10 sui logotipi SSP-EP, la situazione già criticadelle sigle diventa addirittura drammatica.

Alla varietà di sigle si assomma una notevoleproliferazione di logotipi (termine improprio inquesto caso perché non abbiamo né costanzaletterale né grafica) dai contenuti e dalle espres-sioni grafiche più diverse.

Un elemento positivo che ho potuto riscontrarein questa seconda parte della ricerca viene dagliStati Uniti dove si è mantenuto costante nel tem-po l’uso di un marchio e di un logotipo nella pre-sentazione del prodotto editoriale. Il limite è chetutto questo è avvenuto senza il collegamento contutto il resto della realtà della SSP nel mondo.

Abbiamo poi ancora, en passant, la realtà gra-fica della Società San Paolo in ambiente audio-visivo. I suoi connotati grafici sono di completaautonomia rispetto al resto delle sigle “EP” e“SP”.

Avessi avuto più tempo, si sarebbe potuto an-dare avanti nella ricerca e considerare anchel’aspetto “colore”.

Ma credo ci si possa fermare qui. Gli elementiessenziali per decidere una conferma o un cam-biamento di rotta ci sono tutti.

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TAVOLA COMPARATIVA SIGLE-MARCHI SSP/EP TAV. 5

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TAVOLA COMPARATIVA SIGLE-MARCHI SSP/EP IN ORDINE GRAFICO TAV. 6

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TAVOLA COMPARATIVA LOGOTIPI SOCIETÀ SAN PAOLO - EDIZIONI PAOLINE TAV. 7

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TAVOLA COMPARATIVA LOGOTlPI SOCIETÀ SAN PAOLO - EDIZIONI PAOLINE TAV. 8

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TAVOLA COMPARATIVA LOGOTIPI SOCIETÀ SAN PAOLO - EDIZIONI PAOLINE TAV. 9

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TAVOLA COMPARATIVA LOGOTIPI SOCIETÀ SAN PAOLO - EDIZIONI PAOLINE TAV. 10

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220 - Zenzalari

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Appare chiaro che tra quanto si è detto al-l’inizio di questa relazione e gli esempi visti, noinon costituiamo certo l’ottimo di un’immaginegrafica coordinata.

Si nota uno scollamento piuttosto accentuatotra l’immagine che vogliamo dare e l’istitu-zione.

Dalla ricerca Eurisko 3463 emerge, come silegge alla pag. 216, che la nostra società, “man-ca”, è insufficiente sul piano di una identità pre-cisa sua propria; questo a livello grafico e diimmagine è emerso chiaramente sia a livello na-zionale che internazionale.

Ora il nostro problema è se continuare per lastessa strada percorsa fin qui, oppure vedere se èpossibile correggere la rotta e come.

Cioè, «conviene alla San Paolo connotarsi dipiù con una sua immagine unitaria, dal momentoche la gente ci conosce soprattutto attraverso inostri prodotti e servizi?» (Eurisko 3463, pag.216).

Questa, come si vede, è una scelta che primadi investire l’aspetto grafico del problema si ri-volge soprattutto alla sfera politica delle deci-sioni.

Cioè prima di creare nuovi segni o marchi,occorre fare chiarezza nel nostro piccolo univer-so e sapere quello che si vuole. Altrimenti si ri-schia di girare a vuoto.

Se si è concordi nel dire che occorre una cor-rezione di rotta, allora la prima domanda da por-si è se continuare ad avere per i singoli paesi unasigla propria tra quelle già esistenti, oppure opta-re per un marchio internazionale che, svincolatoda singole lettere (EP - SP - MSP Mediaspaul -Alba-House), si possa adattare alle diverse realtàeditoriali internazionali e, perché no, anche au-diovisive.

I diversi logotipi (cioè le scritte) poi sarebbe-ro composti con lo stesso lettering (carattere) purconservando le diverse denominazioni locali, selo si ritiene opportuno.

Creare cioè qualcosa di estremamente sempli-ce e ripetibile (es. come la bandiera giapponese)che possa servire a bonificare questa nostrarealtà caotica e poco produttiva dal punto di vi-sta dell’immagine.

Si può anche pensare a un sistema più artico-lato di segni unitari (ad esempio come RAIUNO,RAIDUE, RAITRE) sotto cui raggruppare lenostre diverse realtà, vuoi editoriali che audio-visive.

In ogni caso si tratterà poi di allestire un ma-nuale operativo con le diverse norme e strutturegrafiche cui attenersi onde evitare di andarefuori dai binari nella pratica quotidiana, inmodo da poter camminare con una guida alproprio fianco.

Certo, questo limita un po’ la creatività perso-nale, ma qui la posta in gioco è alta e come nellanostra vita religiosa abbiamo una regola che ciaiuta, anche nella creazione di una identità grafi-ca precisa c’è bisogno di un manuale simile alle«Costituzioni».

La creazione di un nuovo marchio comportaanche dei costi, ma ogni processo di crescita èvincolato a degli sforzi pure di tipo economico.

Credo però che tra cinque anni (nelle realtàpiù semplici) e dieci anni (in quelle più comples-se come Italia e Spagna) si potranno cominciarea vedere i primi frutti positivi di questo cambia-mento.

La soluzione parziale di una unificazionesotto due sigle (EP e SP) graficamente simili sirivelerebbe alla distanza poco funzionale (alcunescritte non si adatterebbero alla sigla, come av-viene già adesso) e gli audiovisivi dovrebberoadattarsi a qualcosa di già esistente oppurecamminare per la loro strada.

Altra soluzione possibile sarebbe quella diadottare come unica sigla la “SP” sia per i perio-dici, i libri e gli audiovisivi, adattando e quindimodificando in ogni singolo paese «EdizioniPaoline» in «Società San Paolo».

Un elemento da non sottovalutare è la presen-za molto forte nel mondo dell’immagine delBanco «Sanpaolo». A giudicare dalla ricerca Eu-risko 3463, qualcuno ci identifica con questarealtà finanziaria.

È evidente che questo non è un aspetto positi-vo.

A questo punto penso di aver concluso. Se cisono delle domande (non troppo difficili per fa-vore) sono qui per rispondere nella misura delpossibile.

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LAVORI DI GRUPPO

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LAVORI DI GRUPPO DEL 18 SETTEMBRE 1988

RISULTATI PRESENTATI IN ASSEMBLEA

I GRUPPO (relatore d. Colacrai)

Obiettivi e Ciò che vorremmo portare a casaObiettivi: 1. Chiarire il significato carismatico

di editore paolino e della nostra presenza edito-riale come Congregazione, nella Famiglia Paoli-na, nella Chiesa locale e universale e nel mondomoderno.

Evangelizzazione della cultura: apostolato perevangelizzazione o apostolato per la nostra soprav-vivenza? Figura dell’editore paolino nei suoi rap-porti con tutti gli altri editori paolini: FSP e SSP.

2. Delineamento di una strategia editorialedella Congregazione nella Famiglia Paolina conriferimento ai mezzi: meglio strutture proprie oneutre? ai contenuti: priorità al momento creati-vo/redazionale? ai linguaggi; ai destinatari.

A proposito dei mezzi: verso un cambio dauna mentalità gutenberghiana a una mentalitàtelevisiva/telematica? aggiornamento tecnologi-co; cambio: l’audiovisivo d’ora in poi nostroprimo mezzo apostolico? Non più secondo/se-condario.

3. Ciò che vorremmo portare a casa. Indivi-duazione e attivazione di forme di collaborazio-ne istituzionalizzate in strutture organizzative alivello generale e per aree linguistiche:

- Segretariato generale di informazione/do-cumentazione apostolica, come punto di riferi-mento a Roma;

- attivazione di una rete internazionale dicomunicazione: standardizzazione di sistemicomputeristici? telefax, telex;

- Who’s who apostolico: indirizzario di no-mi, con rispettive competenze, telefono, telefax,telex;

- scambio di informazioni con un modulosemplice e comune per opere ritenute di rilevan-za internazionale; - scambio di novità editoriali;- individuazione di aree editoriali comuni e ge-nerali: quali Dizionari, Bibbia, Magistero, Pa-dri... con possibilità di rielaborazioni a livelli na-zionali e locali.

II GRUPPO (relatore d. Mastrandrea)

Le aspettative del seminario.Da una più appropriata conoscenza fra i com-

ponenti del «gruppo» sono risultate evidentiqueste principali differenze:

a) Si opera in differenti realtà politiche edecclesiali (dalla dittatura alla democrazia; da unaChiesa alleata e protetta alla Chiesa persegui-tata);

b) Si opera in differenti realtà culturali e dialfabetismo;

c) Si opera in diverse condizioni economi-che, che determinano le differenti capacità di ac-quistare i prodotti della comunicazione.

Eppure, queste differenze accentuano le atteseunitarie, che verranno esaminate dal Seminario.

Se ne indicano alcune principali:a) È utile conoscersi per cooperare;b) Verifica della volontà comune della So-

cietà San Paolo (espressa dal suo Governo) peraffrontare i progetti immediati e più a lungo ter-mine del nostro apostolato (carta stampata,scrittura per immagini, radio e telecomunicazio-ni);

c) Capire il rapporto, serio e costruttivo, conle Figlie di San Paolo, per ora delegato alla buo-na volontà dei singoli;

d) La collaborazione con i laici: passo inevi-tabile per sopravvivere o riscoperta della verapotenzialità del nostro apostolato?

III GRUPPO (relatore fr. Favaretto)

Si sente da parte di tutti l’urgenza della cono-scenza e della collaborazione. Non è certamenteuna semplice curiosità, ma una conoscenza infunzione di un effettivo intercambio.

Questo mutuo aiuto andrebbe dal sempliceintercambio di materiale e di negativi fino a unintercambio di diritti e di personale.

Per raggiungere questo si propone una co-municazione effettiva fra tutte le nazioni, ve-dendo qualcuno la convenienza di una strutturagenerale che faccia da ponte: ricevere tutto e in-formare.

Però qualcuno considera l’importanza di im-parare il mestiere dell’editore e precisa che que-sto incontro l’aiuterà molto.

Si sottolinea l’importanza di una politicaeditoriale congregazionale sia in linea dei conte-nuti come per favorire politiche sempre più in-carnate e nazionali.

Si percepisce una congregazione con cond i-zionamenti italiani e si auspica una collabora-zione per lingue e pure mondiale, sia congrega-zionale che come Famiglia Paolina.

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224 - Lavori di gruppo/18 settembre

Si sottolinea la necessità di conoscere e farecon il popolo per non dare dei contenuti prepa-rati a tavolino, e forse perfetti, però lontani dalleaspettative della gente.

Finalmente si sente l’urgenza di prendere sulserio l’apostolato dell’immagine e uscire un po’dalla carta stampata.

IV GRUPPO (relatore d. G. Sciortino)

Svolgimento dell’incontro:- Attese- Obiettivi- Dibattito- Focalizzazione dei punti da presentare in as-semblea.

Non abbiamo ritenuto opportuno elaborareproposte precise, che debbono essere il risultatodel seminario; i giorni successivi ne offrirannosicuramente l’occasione.

AtteseConoscenza di altre esperienze, progetti, or-

ganizzazione, persone... Conoscenza che puòportare, a livello personale, a un rinnovato entu-siasmo e ad una maggiore apertura mentale; eper il settore apostolico, in cui si è inseriti, a mi-glioramenti, nuove iniziative, incremento del-l’attività...

ObiettiviTrovare qualcosa (simbolo, sigla...) che ci

identifichi, a livello internazionale, come EDI-ZIONI PAOLINE. Dietro questa immagine uni-taria: una politica editoriale in comune nelle li-nee essenziali che sia anche riferimento (e veri-fica) per le politiche editoriali locali.

Un concetto di evangelizzazione per l’uomocontemporaneo che sia unitario, e che trovi, ov-viamente, nelle singole realtà delle nazioniun’applicazione specifica (inculturazione).

Maggiore incremento della collaborazione pergruppi linguistici, come già avviene tra alcunenazioni. Questa collaborazione per gruppi lin-guistici, o aree di nazioni, può essere una primatappa per una collaborazione “più mondiale”.

Più collaborazione tra Società San Paolo e Fi-glie di San Paolo, perché la missione ci accomu-na e deve spingerci a iniziative concordate eunitarie. Collaborazione da realizzare con accor-di ben precisi, e con una professionalità semprepiù grande.

V GRUPPO (relatore d. Tarzia)

Attese: mettere a fuoco i principi che ci deb-bono muovere nelle scelte editoriali.

Dare impulso alla editoria paolina trovandoconvergenze multiple a livello internazionale:avere questa coscienza e questa identità nuova.

Conoscere le persone che operano per esserepiù solidali: se si dà un volto al partner, il rap-porto è più vivo. Informarsi su cosa fa ogni na-zione così da determinarsi verso coproduzionitrovando spazi nuovi e operazioni e proposteimpossibili o difficili per una sola nazione.

Mettere a fuoco le politiche internazionalicon finalità ben precise così da sfruttare tutte lepotenzialità che l’apostolato ci dona. Va avviatauna mentalità a livello di professionalità e diqualità del prodotto così da alzare il tiro generalee questo è possibile anche ai gruppi più poveri sesi entra in catena perché i sacrifici saranno ripar-titi.

Tra le aspettative c’è anche quella di unacollaborazione paritaria ed efficace tra SocietàS. Paolo e Società Figlie di S. Paolo.

D. Arboleda ha parlato delle esperienze ap-pena avviate della cooperazione tra le EP di lin-gua inglese: tutti per una Bibbia, tutti con lostesso sistema di tecnica così da scambiarsi pro-grammi per il calcolatore e dischetti.

Tarzia ha citato l’esperienza di collaborazionenata tra le EP d’Europa. Scambio di progetti eprogrammi, invio di novità, incontri semestralidi studio e informazione, catalogo comune aFrancoforte.

È stata avviata l’ipotesi di un organismo in-ternazionale strutturato, capace di strutturare levarie EP. Si è discusso a lungo analizzando i proe i contro al cappello aereo capace di farsi tra-mite tra i vari editori EP.

Si è detto che la Generalizia ha fatto bene achiamare qui tutte le forze per contare gli effetti-vi e perché stando assieme si comunicano le ideee i problemi: assieme si è più forti anche men-talmente, per risolvere i problemi, assommandole diverse esperienze.

Si è detto che dobbiamo cercare oltre alle pa-role qualche fatto pratico. Per esempio dal con-vegno in poi tutti un telex o fax e una comunemodulistica così che da oggi cresca una informa-zione continua ed efficiente ed efficace.

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Lavori di gruppo/18 settembre - 225

VI GRUPPO (relatore d. Pasotti)

Componenti: 1 Africa, 2 Asia, 3 Europa, 3America Latina, 1 America del Nord.

La domanda su cui ha riflettuto il nostrogruppo è la seguente: Chi è, come deve esserel’editore paolino (Identità).

Le parole chiavi su cui vorremmo che il Se-minario facesse luce sono queste:

- ORGANIZZAZIONE, che abbiamo intesocome vocazione di origine della FP nel sensotrasmessoci dall’Alberione. (L’organizzazione èun’idea madre nella concezione apostolica di D.Alberione). Da ciò derivano alcuni interrogativi:- Che cosa intendiamo oggi per organizzazione?- Quali debbono essere i contenuti che la anima-no? - Quando siamo dentro questa vocazionepaolina e quando invece ce ne allontaniamo?

- ANIMA, altra parola chiave: come mantene-re viva l’anima paolina (Gesù Cristo) dentro lamanagerialità e la professionalità esigite dal no-stro apostolato e dall’uomo di oggi?

- CHIESA: Come mantenere la vocazioneall’universalità propria di Paolo a cui ci ispiria-mo (e della natura dei mezzi della comunicazio-ne sociale) e la risposta alle esigenze di unaChiesa locale (inculturazione), perché il nostrosia un vero servizio di evangelizzazione al-l’uomo di oggi.

All’interno di queste domande fondanti sononate anche delle richieste-attese più immediate,quali:

- Collaborazione tra SSP e FSP: chiarire irapporti, mettere le basi di un nuovo rapporto:

- Metodi di gestione- Criteri di unità nelle nostre edizioni- Collaborazione (basi per una) tra le varie

Case editrici paoline- Fraternizzazione: conoscerci è alla base di

una vera collaborazione.Infine: qualcuno ha avanzato l’idea di una

Commissione Apostolica che possa dire una pa-rola autorevole nell’ambito delle EP e dare ind i-cazioni sul cammino da fare.

VII GRUPPO (relatore d. Levorato)

1. Partendo dalla domanda «Come e che cosacomunicare» perché sia veramente evangelizza-zione, nel nostro gruppo c’è un’attesa di cono-scenza reciproca con gli altri editori paolini, undesiderio di interscambio e collaborazione peravviare il proprio lavoro a forme e contatti piùinternazionali.

Così il Seminario vien visto come occasionepreziosa per scambiare le esperienze sulla co-municazione sociale nei rispettivi paesi. C’èl’attesa di ricevere in questi giorni un incentivo eun sostegno per una chiarificazione dei progettidel proprio lavoro verso forme di organizzazionepiù capaci ed efficaci. Si desidera che questoconvegno dia una spinta in direzione di concre-tezza dei nostri ideali.

2. Un’altra domanda significativa: come sipuò evangelizzare in un mondo non cristiano opost-cristiano? Di qui la necessità di conoscere iproblemi di altri paesi che si trovano in similesituazione. E l’altra domanda: come si fa aduscire dal proprio ambito chiuso e maturare ve r-so contatti più universali?

3. Ci siamo chiesti anche quale apporto puòdare il convegno: - per risolvere le tensioni tra ilnostro lavoro artigianale e le esigenze di un la-voro di tipo aziendale che richiede più profes-sionalità; - per incentivare una maggiore intesaprogrammatica tra SSP e FSP affinché non ri-mangano trascurati settori importanti dell’apo-stolato; - per portare ad un chiarimento nella di-stinzione tra opere e comunità (per eliminarne ilfrequente dissidio). Di qui abbiamo accennato alproblema del collegamento tra formazione eapostolato. È caduta la parola «formare la genteper questo apostolato» e «trovare la persona giu-sta per il posto giusto».

A questo si collega l’esigenza di una maggio-re presa di coscienza dell’autonomia dell’apo-stolato perché possa avere una maggiore stabi-lità e continuità (di nuovo si è espressa la ne-cessità di un chiarimento tra SSP e FSP per quelche riguarda appunto la continuità e stabilitànell’apostolato).

4. Dal mondo latinoamericano si attende daquesto seminario una conferma e un rafforza-mento del lavoro e delle iniziative dei convegniEPLA degli anni scorsi.

5. Dal nostro gruppo si desidera che questoincontro porti ad una chiara opzione per il Con-cilio Vaticano II, - contro tutte le nostalgie e ri-pensamenti di diversa provenienza - per quel cheriguarda i contenuti, gli insegnamenti e le spinteper il nostro apostolato.

Nel dialogo sviluppatosi nell’assemblea gene-rale sono intervenuti, qualcuno più di una volta, iseguenti:

d. Sassi, d. Perino, d. Andreatta, fr. Bernardi,d. Zega, sr. Beffa, d. Mastrandrea, d. Levorato,d. Ares, d. Colacrai, d. Tarzia, d. Quinta, d. Er-meti, d. Correia.

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LAVORI DI GRUPPO DEL 19 SETTEMBRE 1988

RISULTATI PRESENTATI IN ASSEMBLEA

GRUPPO I (relatore d. Tigreros)

Hemos hecho tres rondas: una para cada unade las Relaciones: P. Perino, P. Rocca y P. Pierini.

- Hay inquietudes puestas en el grupo, quepersonalmente requieren hacer los propios in-terrogantes y necesitan las clarificaciones delos ponentes.

1. Relaciones de P. Perino y P. Rocca: nos pa-rece encontrado una contradicción sobre el edi-tor paulino: P. Rocca: el editor sacerdote; P. Pe-rino: el editor según el Vaticano II.

2. Rel. P. Rocca: Ha seguido una línea deideas. Se hubiera esperado un análisis tambiénde praxis porque parece que él pensaba una cosasobre el editor paulino y otra era la praxis.

3. De la relación del P. Perino nos esperába-mos mas perspectivas hacia el futuro y menosvisión hacia atrás, apertura al próximo futuro.

GRUPPO II (relatore d. Colacrai)

1. Relazioni focalizzate sulla dimensione ita-liana del Fondatore.

Dimenticata la dimensione internazionale pu-re presente in Alberione ancora vivo.

2. Distinzione fra parole di Alberione e fatti,opere con cui egli attuava, come poteva, le sueintuizioni perenni nelle circostanze spesso limi-tative, condizionamenti della società e Chiesaitaliana: clericale, povera di cultura. E la societàcondizionata da regime autoritario, dalla guerra.

Distinzione tra le parole di Alberione dette equelle praticate in un contesto che non è più ilnostro. Distinzione tra ciò che è perenne e ciòche è caduco.

Ciò porta alla necessità di un cambio. Ad unascelta per una fedeltà creativa-dinamica preferitaad una fedeltà statico-ripetitiva.

Ma come gestire il cambio? Criteri di inter-pretazione:

1. progressività - segni dei tempi - cammina-re con gli uomini di oggi, con i mezzi di oggi, ilinguaggi di oggi;

2. ecclesialità - camminare con la Chiesa econ il Vaticano II, docilità alla Chiesa;

3. attualità dello Spirito che è la fonte diogni carisma e la garanzia della sua continuitàe quindi del suo rinnovamento e adattamento atutti;

3. Utilità, necessità di una lettura più globale,cioè fatta assieme, e su tutto ciò che ci resta diquanto Alberione ha detto e fatto.

Superamento delle divisioni interessate, par-ziali (Alberione delle FSP, Alberione della SSP,delle PD...).

4. Abbandonare il tentativo di usare il carismadel Fondatore contro ogni innovazione.

GRUPPO III (relatrice sr. Beffa)

1. Alcune osservazioni alle relazioni di Roccae Pierini: non ci sembra siano state poste in rilie-vo le linee portanti dello sviluppo della SSP aproposito dei mezzi di comunicazione sociale.

È stata ricostruita solo la storia, non sonostate offerte chiavi di interpretazione o indica-zioni di proiezioni verso il futuro.

2. Rileviamo, ci sembra, una lacuna nell’im-postazione del convegno, ossia la mancata pre-sentazione sintetica dello sviluppo dell’editorianelle varie nazioni, almeno per gruppi socio-linguistici, in vista di una migliore conoscenza ecollaborazione già all’interno del convegno stes-so e soprattutto dopo il convegno.

3. In base alle affermazioni conclusive di donRocca, cioè che la predicazione è una missionedi tutti e non solo del prete, tutta la formazionedeve essere orientata a preparare i paolini perogni tipo di apostolato dei mezzi di comunica-zione sociale a prescindere dal fatto che sianosacerdoti o discepoli.

4. È prioritaria per un dialogo una collabora-zione, ci sembra, la conoscenza delle singolerealtà: il successo, infatti, non va misurato da al-cuni risultati appariscenti, ma dalle capacità diservire la Chiesa locale nella sua situazione con-creta, storica-sociale e religiosa.

GRUPPO IV (relatore d. Ermeti)

Osservazioni sulle relazioni di don Rocca edon Pierini.

L’una, che espone il pensiero di don Alberio-ne, è completata dall’altro che espone la prassialberioniana. Qualche volta l’una contraddicel’altra, ma caratteristica di don Alberione è sem-pre stata quella di essere in ricerca, di avere

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Lavori di gruppo/19 settembre - 227

obiettivi chiari, mentre nella pratica si adattavaalle esigenze delle circostanze.

La vocazione di tutti i paolini ad una attivitàeditoriale esige che tutti i paolini abbiano unaformazione che tenga conto di questo. Purtrop-po nella formazione si nota oggi ancora unafrattura fra la preparazione professionale e quel-la religioso-teologica.

Proposte su chi deve essere l’editore paolinooggi.

È un uomo che, avendo grazia e carisma, sicostruisce una professionalità simile a quella de-gli altri editori del suo paese e opera con onestàe giustizia negli aspetti redazionali, economici,industriali. Si muove con fede ed entusiasmo,usando strumenti attuali, avendo una visione lo-cale, internazionale e pratica, rivolgendosi allapersona totale ed avendo particolare sensibilitàper i lontani.

Nei contenuti editoriali, la precedenza va dataall’evangelizzazione con una radicalità che simanifesta nella scelta di ciò che stimola e fa cre-scere la Chiesa: non le cose più facili, ma quellepiù provocanti, aggressive.

Sul tronco della produzione religiosa, l’edi-tore paolino innesta la cultura per realizzare gra-dualmente il connubio tra cultura e fede.

Riguardo ai destinatari, deve convertirsi ailontani. Una editoria per i lontani è richiesta pe-rentoriamente da una “conversione” all’audio-visivo e richiede un ripensamento del linguag-gio che diventa predominante rispetto ai conte-nuti.

GRUPPO V (relatore d. Saraceno)

Una riflessione su che cosa ci ha stupito dipiù nelle due relazioni (quella di don Rocca equella di don Pierini).

1. Interessante relazione storica in cui si notatutto un processo di sviluppo, di evoluzionedell’Alberione: dalla stampa agli audiovisivi.

Una dinamica in conversione del mezzo; pas-sare dalla stampa a ciò che i tempi suggerivano,dal libro e rivista ai nuovi mezzi di comunica-zione sociale.

Per l’Alberione c’era da raggiungere il fine: lapredicazione del Vangelo con il mezzo più velo-ce. Si adattava ai mezzi, ma era anche capace dirompere gli schemi.

Si sentiva limitato e sempre in cerca di nuoveluci e di luci più adatte ai tempi in cui viveva;quando non le trovava ne cercava altre o era ca-pace di tornare indietro.

Aveva una capacità discoprire e dare una ri-sposta per ogni occasione, era capace di nuovesvolte.

Si nota nell’Alberione l’uomo di coraggio:contro tutto e contro tutti (ricordiamo la famosacambiale).

2. Alcune perplessità: È mancato il tempo peruna maggiore esposizione sul tema dell’in-serzione della donna nell’apostolato. Forse nonera il tema specifico di questo incontro. Quindi,nonostante le conclusioni chiare, non è statosviluppato il tema della missione delle Figlie diSan Paolo associata al sacerdote-docente e quin-di una domanda: qual è la differenza con gliistituti aggregati?

3. Come conclusioni: Cercare di essere mini-mamente editori come l’Alberione e coraggio intutti i sensi. Più siamo simili a lui, più saremoeditori. Dobbiamo sempre e nuovamente sco-prirlo. Ci troviamo davanti a una nuova svoltanella Chiesa: apertura al laico, gli ultimi docu-menti lo confermano.

In alcuni paesi si corre il rischio di perdere iltreno in iniziative quali: musicassette, films su-per 8, radio, televisione, videocassette. Mancaancora il coraggio del cambio e cioè dalla stam-pa ai nuovi mezzi. In alcuni paesi si sente questaesigenza.

VI GRUPPO (relatore d. Ciaccio)

1. Difficoltà a definire l’EDITORE PAOLI-NO.

Tra l’immagine che Alberione ci ha tracciato:“Far tutto da sé” e l’attuale situazione del grupporesta una grande diversità.

Ci si domanda se Alberione ha dovuto accet-tare, suo malgrado, uno sviluppo apostolico dalui stesso non previsto.

2. Sono state tentate alcune definizioni:

a) L’editore paolino è un Maestro nel sensodi guida dell’uomo verso Cristo;

b) L’editore paolino è colui che seleziona icontenuti del messaggio che vuole far cono-scere;

c) Riferendoci alla frase di Alberione citatada don Pierini: “l’unica cosa che non si può fareè il peccato”, abbiamo concluso che non si puòche essere editori paolini;

d) L’editore paolino è colui che valorizza:“Tutto ciò che è buono ecc...” (Fil 4,8) e ne faoggetto del messaggio che vuol trasmettere.

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LAVORI DI GRUPPO DEL 22 SETTEMBRE 1988

IMPOSTAZIONE DEI LAVORI DI GRUPPO

Questa prima parte del nostro seminario si èfondata su un’evidenza per tutti noi: esistiamonella Chiesa per annunciare il Vangelo “con imezzi più celeri ed efficaci” agli uomini d’oggi.

Nella sua relazione introduttiva, d. Perino hacollocato i lavori del nostro seminario nellaprospettiva di una “conversione” dell’evidenza:una pausa riflessiva sulla nostra attività, spessofrenetica, per osservare i fondamenti, i conte-nuti e i metodi del nostro apostolato in vista dioperare di più e meglio.

Concretamente questa nostra ricerca, desti-nata a sfociare in una programmazione operati-va, si articola sulle seguenti domande:

- come si comporta oggi l’editore paolinonella Chiesa e nella società in cui svolge la pro-pria missione?

- a chi si rivolge l’editore paolino? con qualimetodi opera? con quali risorse?

Per rispondere in modo documentato a questedomande per prima cosa ci siamo riuniti da tuttoil mondo per conoscerci; scambiare esperienze einterrogarci sul futuro.

Ci siamo, inoltre, rivolti a specialisti per averestrumenti di lavoro che possano stimolare il no-stro pensiero ed allargarne gli orizzonti da varipunti di vista.

Ci siamo riallacciati alla “memoria delle ori-gini”, alla sorgente carismatica della nostra mis-sione attraverso una doppia indagine storica sulpensiero e sulle iniziative concrete di don Albe-rione (d. Rocca e d. Pierini).

Poiché noi operiamo nel contesto di una so-cietà internazionale e nazionale in continuo di-venire, p. Sorge ci ha illustrato alcuni ostacoli eoccasioni storiche della cultura contemporaneaper l’evangelizzazione.

L’apostolato paolino si realizza come servizioalla Chiesa locale. Il card. Lorscheider ci ha pre-sentato le realtà e i problemi di una Chiesa locale.

D. Bruno Forte ci ha illustrato l’aspetto teolo-gico dell’evangelizzazione con le sue implicanzeconcrete.

L’evangelizzazione diventa per noi una sfidaquando assume le tecnologie, le regole, l’orga-nizzazione e l’etica della comunicazione.

DOMANDE PER I LAVORI DI GRUPPO

1. Che comprensione e valutazione datedell’editoria paolina fino agli anni ’80?

2. Analisi e valutazione del presente (ultimianni)

3. Quali strategie per l’editoria paolina delfuturo.

L’analisi va condotta secondo il seguenteschema:

- Comprensione e scelte attuali nei riguardidel carisma iniziale = IDENTITÀ CARISMA-TICA

- Comprensione e scelte attuali nei confrontidella cultura e della società internazionale e na-zionale = CULTURA E SOCIETÀ

- Comprensione e scelte attuali nei confrontidella Chiesa universale e particolare = ECCLE-SIOLOGIA

- Comprensione e scelte attuali nei riguardidella cultura e della tecnologia dei media =MEDIA

- Comprensione e scelte attuali nei confrontidell’evangelizzazione globale = EVANGELIZ-ZAZIONE

- Comprensione e scelte attuali nei riguardidi un piano di pastorale della Chiesa locale =STRATEGIA APOSTOLICA LOCALE

- Comprensione e scelte attuali per potersvolgere un servizio alla Chiesa locale con unacollaborazione internazionale tra di noi = COL-LABORAZIONI INTERNAZIONALI.

RISULTATI PRESENTATI IN ASSEMBLEA

I GRUPPO(relatore d. Tommaso Mastrandrea)

Valutazione dell’editoria paolina oggi

Nel 1° seminario internazionale degli Edito-ri Paolini abbiamo scoperto che il CapitoloSpeciale 1969-71 aveva elaborato tutte le istan-

ze conciliari per il rinnovamento della vita e at-tività apostoliche paoline. Ciò che è stato fattonegli ultimi 20 anni - in relazione a identità cari-smatica, cultura e società, ecclesiologia, media,evangelizzazione e collaborazioni internazio-nali - è frutto più dell’iniziativa di singoli e digruppi apostolici che non di un piano apostolicoglobale inculcato e perseguito.

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Lavori di gruppo/22 settembre - 229

In modo particolare è mancato:a) L’interpretazione vitale del carisma del

Fondatore attualizzato nelle comunità apostoli-che nell’ottica del Concilio Vaticano II;

b) una profonda ricerca scientifica e, di con-seguenza, l’assunzione dei nuovi sistemi di co-municazione.

Strategie per l’editoria paolina nel futuro

Sul futuro evidenziamo due punti:

a) questione morale: è grave che in moltecomunità manchi la coscienza apostolica (ancheil senso del lavoro) ed è urgente che rinasca unacoscienza comunitaria che richiami tutti i paoliniall’assunzione del carisma apostolico di D. Albe-rione.

b) Si fa pressante la necessità di ridisegnare,tenendo conto dell’attuale scenario internazio-nale della realtà paolina, un progetto apostolicoglobale, che tenga conto di:

- target/destinatari (ragazzi, famiglia, adulti,donna, anziani ecc.);

- target/contenuti (Bibbia, catechesi, pasto-rale, scienza, storia, letteratura ecc.);

- target/media (libri, periodici, TV, radio, ci-nema, home video, ecc.).

II GRUPPO(relatore fr. Héctor Calabia)

Il passato

Tempo di pionieri, molto entusiasmo e moltolavoro; tutto si identificava nella figura carisma-tica del Fondatore, presente e attivo oppure“rappresentato” dai suoi più stretti collaboratori,dai “fondatori” delle prime case in Italia e al-l’estero.

Grandi ideali e attese quasi messianiche maanche mancanze di organizzazione, di program-mazione, occasionalità.

Scarso o nullo il contatto con le culture: al-l’estero si confondeva il carisma con la “ripeti-zione” meccanica. Non solo ciò che si faceva inItalia, ma addirittura come si faceva in Italia.

Legato ad un’ecclesiologia gerarchica.Solo la stampa e nella stampa netta prevalen-

za al libro, anche se il Fondatore indicava il pe-riodico come mezzo più efficace e tentava fortiirruzioni nel territorio degli altri media (vedi ci-nema).

Forte spinta evangelizzatrice: Vangelo, Bib-bia, catechismi.

Nessuna strategia apostolica in collegamentocon la Chiesa locale, piuttosto uso della Chiesalocale per “diffondere”.

Scarsa o nulla la collaborazione internazio-nale: al massimo, Italia con qualche nazione.

Molta slealtà nei confronti degli autori.

Alcuni esempi sul presente

Anche oggi, nella maggioranza delle nazioni,la situazione riflette numerosi aspetti simili.

Diamo perciò alcuni esempi che segnalanosituazioni particolari.

In Africa (Kenya, Tanzania, Uganda e Mo-zambico), le Figlie di San Paolo non possiedonomezzi propri né librerie (eccetto a Kampala, inUganda). Hanno sempre lavorato su richiesta deivescovi in iniziative di comunicazione delleChiese locali. Come editrici, hanno sotto la lororesponsabilità la rivista cattolica nazionale delKenya. Tutto il lavoro delle EP (FSP) vienestampato in stabilimenti esterni.

In conclusione, non hanno avviato iniziativeproprie. Nonostante questo, considerano moltosoddisfacente il loro lavoro in Africa.

America Latina: costituisce una regione ab-bastanza omogenea per la lingua (spagnolo/portoghese) e la cultura. Da molti anni, gli edito-ri paolini hanno approfittato di questo fatto, conscambio di materiali ecc.

Un valido aiuto per lo sviluppo di un atteg-giamento convergente lo hanno offerto gli in-contri EPLA e l’impegno di attuare le direttivedi Medellin e di Puebla.

Tuttavia resta ancora molto da fare per realiz-zare una maggiore integrazione e collaborazionecontinentale.

Negli Stati Uniti, la Casa editrice seguì unandamento simile a quello degli altri paesi. Tut-tavia attualmente si aprono delle interessantiprospettive di lavoro full time alla radio e allatelevisione a livello nazionale e locale.

Futuro

Scegliere la linea della pastoralità sulla sciadel Vaticano II in sintonia con la Chiesa locale(secondo il nostro carisma) e con i bisogni con-creti della gente tra cui operiamo, nel rispetto delpluralismo delle altre culture, con i mezzi piùadatti, senza timore di aprirsi ai nuovi mezzi,con professionalità nei membri e nelle strutture,dilatando conoscenze e scambi internazionali(non solo di “beni”, ma di idee e progetti), in unarecuperata solidarietà fra tutte le componentidella Famiglia Paolina.

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230 - Lavori di gruppo/22 settembre

III GRUPPO(relatore d. Stefano Andreatta)

Prima considerazione: all’interno del gruppoeravamo dieci nazioni, per cui abbiamo privile-giato il dialogo e la conoscenza della storia edelle situazioni presenti e le eventuali - dove so-no emerse - progettualità per il futuro.

Forse questo non ha favorito una sintesi finalepiù ampia e organica.

1) Costanti nelle varie valutazioni del passato.a) Fondazioni che hanno risentito fortemente

l’origine italiana - che rasentava una vera colo-nizzazione. - Fondazioni vere fotocopie del-l’Italia.

b) Difficoltà materiali che hanno condizionatola formazione e l’identità carismatica e soprat-tutto l’inserimento nella Chiesa

- Ha comportato spreco di energie e impegnoin lavori conto terzi

- Iniziative per sopravvivenza di cui l’esem-pio più lampante è stato in Corea la macchinaper fare i maccheroni; mancanza elementare dirispetto e conoscenza: non maccheroni, ma riso

c) Mancanza di coordinazione tra più fonda-zioni nello stesso paese; doppioni; spreco dienergie; contrasti interni e con le Figlie

d) Collaborazione con le Figlie, in genere nonfacile, anche perché non chiarito il rapporto disussidiarietà tra il carisma della San Paolo equello delle Figlie.

2) In proiezione.Maggiore presa di coscienza della diffusione

locale e delle esigenze culturali e della Chiesa,dovuto anche ad una più attenta conoscenza delcarisma, dopo i contraccolpi degli assestamentiiniziali.

Una sensibilità nuova della Pastorale d’in-sieme.

Impressione generale: stiamo assistendo aduna ripresa di tutta la produzione paolina edito-riale e di multimedia dovuta anche ad un asse-stamento economico e alla mancanza di cond i-zionamenti iniziali legati anche alle strategie onon strategie dei Padri fondatori.

Recupero del senso di evangelizzazione dellemasse e maggiori rapporti di collaborazione conle Chiese e i loro rappresentanti: lavoro con i ve-scovi e religiosi.

3) È già in atto un modo nuovo di intendere lacollaborazione con le FSP. Si percepisce il biso-gno di una maggiore chiarezza e collaborazionenei rapporti con le FSP, già promettenti in alcunipaesi (Brasile, Spagna).

Tra gli scopi prioritari l’apertura alle espe-rienze di altre nazioni, anche se non mancanoattualmente ottimi rapporti di collaborazioneall’interno di gruppi linguistici.

4) Tolti casi particolari, la nostra editoria sista orientando decisamente sul solco del Conc i-lio anche in nazioni dove la Chiesa “progressi-sta” è in minoranza.

Il resto, alla seconda parte del Convegno.

IV GRUPPO(relatore (d. Angelo Colacrai)

1. Relativamente al passato e al presente.

Tratti: fenomeni e cause.Scarsa o generica attenzione ai destinatari.Quanto ai contenuti, dipendenza dall’esterno,

traduzioni.Centrati sulle tipografie e sulla stampa.Distacco dalla pastorale locale, anche per

mancanza di un piano pastorale. Questo fenome-no sembra si stia superando un po’ ovunque.

Per il passato scarsa professionalità ed ecces-siva mobilità del personale. Mancanza di obietti-vi precisi e di verifica.

Le buone iniziative sono sporadiche, ma sen-za continuità, e senza obiettivi specifici, senzaorganizzazione.

Editoria disarticolata, manca interdisciplina-rietà e coordinazione.

Scarso confronto con le culture, almeno per ilpassato.

Non abbiamo creato opinione pubblica e nuo-va mentalità sociale.

Lavoriamo molto con le mani; usiamo peròrelativamente poco la mente.

Più attenzione al mezzo che al messaggio,creando più strutture che programmi editoriali,pur riconoscendo che in particolari casi la strut-tura è indispensabile (vedi Zaire).

Scarsa sensibilità per i lontani: ci siamo rivoltiai buoni, devoti cristiani.

Nel mondo della comunicazione moderna, siapre la forbice tra quello che siamo e quello chedovremmo essere.

Difficoltà a collaborare con la gerarchia: con-dizionamenti da parte delle gerarchie ecclesiasti-che e civili.

Scarsa collaborazione internazionale.Scarsa identità ideologica: editori cattolici che

copiano gli altri o evangelizzatori paolini?Mancanza di una strategia globale per i nostri

media.Quanto all’ecclesiologia assunta, ci siamo

spesso adattati a quella imposta dalla gerarchia.

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Lavori di gruppo/22 settembre - 231

2. Strategie per l’editoria paolina del futuro.

Uscire dal ghetto, andare ai lontani.Organizzazione a livello settoriale e generale,

competenza, professionalità, apertura ai laici.Alla quantità preferire la qualità.Maggiore ecclesialità.Evangelizzazione dei professionisti e dei pic-

coli gruppi.Unione tra paolini e paoline in ambito nazio-

nale e internazionale; Francoforte paolina.Librerie come punti di riferimento culturale

ed ecclesiale.Acculturarsi prima di inculturarci.Definire le priorità nell’utilizzo delle risorse

tra messaggio - canale - strumento - struttura.Concepire i media paolini come sistema inte-

grato; es. Berlusconi che dalla TV adotta il film,la stampa periodica...

Più adozione del linguaggio globale dei me-dia per non escludere nessuno: la stampa p. es.esclude i più poveri e tutte le persone che nonsanno leggere: come arrivare a tutti?

Decalogo dell’editore paolino, almeno pernon contraddirci l’un l’altro e per non navigare avista.

Passaggio dalla priorità per i mezzi alla pro-duzione dei messaggi.

Passaggio all’audiovisivo.Dal personalismo editoriale all’editoria di

comunità, di Congregazione, di Famiglia Paoli-na, Chiesa come editrice-evangelizzatrice.

Mantenere e sviluppare accanto alla “località”l’universalità, che è propria del messaggio, dellaCongregazione, della Famiglia Paolina, dellaChiesa “cattolica”.

Comunicare anche con l’immagine: simbolodi un logotipo comune.

V GRUPPO(relatore d. Gino Levorato)

Nel nostro gruppo erano rappresentate diecinazioni.

1. Nella valutazione dell’editoria paolinadalle origini fino agli anni 80 si è accennato daquasi tutti noi ai problemi degli anni di fonda-zione e del periodo seguente, problemi che han-no condizionato conduzione e sviluppo del-l’attività editoriale.

Questo periodo è stato diversamente carat-terizzato (anche con espressioni molto forti):una produzione occasionale senza precise pro-grammazioni e strategie apostoliche, preoccu-

pati che quello che si pubblicava ottenesse piaz-zamento sul mercato: “Stampatori più che edito-ri”, curando il momento tecnico e diffusivo piùdi quello esecutivo e del contenuto.

Si è parlato della difficoltà di inculturazione:trattandosi di persone che arrivavano dall’esterocon non molte possibilità di studi e analisisull’ambiente e le chiese locali. Si riproducevaspesso il modello di Alba (col perdurare eternodi questa proposta delle origini).

Il rapporto con le Chiese locali era limitato.

2. Tale situazione viene in molte parti supe-rata a seguito del Concilio, quando si è fatta vivala coscienza di collaborazione con la Chiesa lo-cale.

Da tutti sono stati osservati gli sforzi, i tenta-tivi, i desideri degli ultimi anni su una riorganiz-zazione e ristrutturazione del nostro apostolato,la presa di coscienza delle realtà delle Chiese lo-cali o nazionali, la ricerca di una preparazionespecifica, il desiderio di conoscere le situazionipaoline nelle altre nazioni ed i loro bisogni, ildesiderio di espandersi apostolicamente in ma-niera più ampia e internazionale.

3. Per quel che riguarda la terza domanda ab-biamo raccolto i seguenti stimoli:

- è necessaria una comunità che ripensi allasua vocazione missionaria, una nuova solidarietàtra comunità ricche e quelle povere di mezzi epersone;

- è necessario preparare bene le persone per ilnostro apostolato: che sappiano lavorare in équi-pe; un’apertura continua a tutti i mezzi che ci sioffrono per la predicazione;

- rinnovare sempre le strutture del nostroapostolato rinvigorendo sempre la nostra vitareligiosa;

- creare più efficienti strutture di azione ecollaborazione internazionale.

VI GRUPPO(relatore d. Fredo Brondino)

Nel nostro gruppo erano rappresentate ottonazioni.

1. Epoca particolarmente carismatica per lapresenza del fondatore. Anni nei quali la nostraeditoria si rivolgeva alle classi popolari con ten-tativi per scoprire il giusto cammino. Anni digrandi sogni e realizzazioni, anche se tecnica-mente non perfette.

In un primo tempo la nostra editoria era pre-valentemente catechetica e devozionale; in se-guito fu di più ampio respiro.

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232 - Lavori di gruppo/22 settembre

Quest’epoca è caratterizzata dalla preoccupa-zione per la sopravvivenza.

Si dava valore all’autosufficienza: fare tutto incasa.

A partire dal dopoguerra c’è stato un fortesviluppo nel campo della stampa e del cinema;subito dopo nasce l’apostolato radio con le sta-zioni del Giappone e del Brasile.

2. A partire dagli anni 80 constatiamo:

- grande impulso della produzione tipogra-fica

- miglioramento nei contenuti e nella forma- prendono sviluppo nuovi mezzi di comuni-

cazione- migliore organizzazione editoriale ed eco-

nomica- nascono i primi tentativi di effettiva col-

laborazione internazionale (Epla-Editori Euro-pei)

- si accentua la necessità di inserzione nellapastorale locale.

3. Per il futuro si auspica:

- maggiore sensibilizzazione della societàattuale in via di trasformazione

- per quanto possibile, favorire e ampliarel’uso dei nuovi mezzi di comunicazione (audio-visivi)

- maggiore comunicazione internazionale- maggiore collaborazione tra paesi della

stessa lingua o mentalità- maggiore inserzione nella pastorale locale,

avendo come punto principale di riferimento ilVaticano II e le linee della conferenza episcopale

- assumere con serietà le leggi della modernaorganizzazione

- osservanza scrupolosa dell’etica professio-nale

- creazione di un logotipo che ci identifichi intutto il mondo

- stare più attenti alla voce del popolo di Dio- necessità di servirci dei sondaggi di opinio-

ne per migliorare le scelte apostoliche- a livello di Famiglia Paolina: migliorare i

collegamenti di telex, telefax e logotipo- il nostro gruppo considera essenziale che il

lavoro di questo seminario non perda di vista chenoi siamo soprattutto apostoli e non managersdella comunicazione sociale.

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LAVORI DI GRUPPO DEL 24 SETTEMBRE 1988

RISULTATI PRESENTATI IN ASSEMBLEA

I GRUPPO(relatore d. Gilles Collicelli)

Il primo gruppo ha adottato una procedura diquesto genere: di fronte alla mole di informazio-ni forniteci durante la giornata, si è deciso dichiedere ai diversi relatori una rifocalizzazionedei temi affrontati in maniera molto sintetica. Apartire da questa rifocalizzazione, sono sorte va-rie domande e uno scambio di informazioni e divedute che non sfociano necessariamente inpunti fissi, in strategie o prospettive e suggeri-menti a carattere operativo.

Meritano tuttavia di essere sottolineati i puntiseguenti:

1. È stata recepita la proposta di don EligioErmeti circa la San Paolo Film International.Ci sembra che possano esistere al riguardo pos-sibilità e disponibilità concrete. Questo tipo dicollaborazione potrebbe valorizzare anche leeditorie paoline locali operanti nel settore audio-visivo.

Si auspica quindi che don Eligio Ermeti pro-ceda alla redazione di una “bozza”, di un pro-gramma minimo di come si intende far funziona-re questa relazione tramite una persona-contattoin loco.

2. Periodici: si auspica che le varie testate pe-riodiche nazionali divengano centri, agenzie diinformazione e di supporto circa la realtà socio-religiosa e culturale di un paese affinché le altretestate possano attingere per l’informazione.

Si auspica inoltre che si instauri l’abitudinedella trasmissione sistematica dei sommari dellevarie testate (che sono in maggioranza mensili).Ciò aiuterebbe concretamente nel suscitare sti-moli redazionali aperti sulle diverse realtà eccle-siali.

3. Nel campo editoriale-libri, i vari interventimiravano a conoscere metodi, sistemi, pro-grammi, in modo particolare attinenti alla realtàeditoriale italiana che per molti versi rimane an-cora esemplare.

E stata sottolineata - en passant - la necessitàdi una chiarificazione sempre più rigorosa deirapporti editoriali tra EP-SSP ed EP-FSP.

II GRUPPO(relatrice sr. Cristina Beffa)

Gli stimoli avuti dalle relazioni Quinta e Tar-zia hanno portato il secondo gruppo a domandar-si se è possibile trovare libri oppure temi suiquali uscire in tutta Europa.

È stato riconosciuto che esistono due temi suiquali, pur sentendo la necessità di pubblicazionipastorali, è impossibile editare: omosessualità edivorziati, per le posizioni assunte dal Vaticano.

Occorre trovare una teologia europea; pubbli-cazioni dedicate all’infanzia, tipo qualche pub-blicazione del Giornalino.

Dalla relazione Quinta è stata discussa laprovocazione legata ai riferimenti alla collabora-zione con le Figlie. È un grosso problema chedeve essere affrontato ad alto livello.

Si è sottolineata l’esigenza dell’evangelizza-zione e della conversione tra noi e che devonopartire da qui, perché è scandalosa questa situa-zione di concorrenza tra fratelli e sorelle; dallabase peraltro c’è grande desiderio di collabora-zione.

Se al vertice non si arriverà ad una intesa,forse potremmo suggerire su come i paolini sonostati disponibili ad aiutare le Figlie ad inserirsi incerti settori e viceversa.

Relazioni Ermeti e Andreatta.Le provocazioni sono state legate soprattutto

alla proposta Ermeti del paolino che accolga leproposte del paese per farsi tramite presso la TVdi quel paese. Cinema per la televisione. L’unicomodo per produrre oggi è conoscere il partner esfruttarlo. Il partner San Paolo è un nome spen-dibile: perché non spendere la sua credibilità at-torno a dei progetti?

La San Paolo sarebbe importante e la BBC ègià entrata in contatto con gli Audiovisivi SanPaolo, proprio con il tramite della comunità SSPdi Londra.

Relazioni Regazzo e Bettati.Con l’aiuto dei relatori abbiamo tentato un

approfondimento dell’immagine delle EP, la cuiproduzione è soprattutto garantita dal religioso.Soprattutto le pubblicazioni religiose hanno ven-dite garantite. Le pubblicazioni di altri settorinon sono così vendute.

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234 - Lavori di gruppo/24 settembre

Superato l’ostacolo delle sostituzioni del logoper meglio vendere pubblicazioni non religiosesi è passati al fatto dell’immagine.

Bisogna investire per dare l’immagine. Perfarlo servono denari.

Barranco.Ha ripreso la distinzione tra SRL e SPA, a

proposito del numero dei dipendenti da 20 a 99.Sono state date spiegazioni sulla frase del re-

latore «la San Paolo è una società commerciale».I criteri economici per sapere se una società

va bene sono dati dal fatto del pareggio del bi-lancio in su.

Sono state date inoltre indicazioni precise pergiudicare della sanità di un’azienda, tenendoconto di vari fattori come il possesso o meno ditipografia propria, la percentuale da attribuirealla tassazione ecc.

III GRUPPO(relatore d. Ernesto Tigreros)

Conclusioni sui vari temi proposti al gruppo.

I. Organizzazione aziendale dell’Apostolato

È importante la persona che gestisce l’aziendaperché è dai suoi criteri illuminati che prendeampio respiro l’evangelizzazione. Inoltre l’a-zienda dovrà servire come strumento valido permigliorare le persone.

Si dovrà gestire l’azienda paolina in modo chei costi e i ricavi consentano di fare nuovi inve-stimenti per l’atteso sviluppo apostolico. L’a-zienda è uno strumento a scopo apostolico. Se siapplica l’organizzazione, sicuramente l’evange-lizzazione non si fermerà a metà strada.

Le regole aziendali sono valide per le grandi eper le piccole imprese. Occorre applicarle tutte amisura dei propri paesi per garantire la profes-sionalità dell’opera. Questa non si può scarifica-re a causa delle improvvisazioni.

II. Politiche di un’editoria paolina

Ogni paese ha le proprie realtà, e sono moltodiverse. In essi la primarietà della Parola può di-venire primarietà della catechesi, della promo-zione umana ecc.

Si pensa buono il 50% di traduzioni di autoristranieri e 50% di autori locali. Questo a motivodell’inculturazione (Chiesa locale) e della catto-licità (Chiesa universale).

Le EP italiane non hanno una vera immagi-ne. Attualmente le identificano con le suore che

vendono libri. Le EP italiane stanno prendendocoscienza di questo e proiettano delle strategieper un cambio di immagine.

Don Alberione ci ha inviato nei diversi cont i-nenti con una visione di cattolicità. Oggi ci sonodelle iniziative universali come i Dizionari e leenciclopedie e si cammina verso un movimentoorganizzato di pensiero.

L’editoria paolina avrà costantemente nel suocuore la preparazione qualificata dei suoi apo-stoli.

Dovrà servirsi sempre di persone professio-nali a tutti i livelli e raggiungere, oltre le masse,gli intellettuali.

Per arrivare ai lontani, l’editoria paolina staràattenta ai problemi dei lontani e li tratterà seria-mente illuminandoli col Vangelo. Per arrivarealle loro sofferenze e diffondere il Vangelo.

La San Paolo Film oggi dovrebbe entrare nelflusso delle grandi produzioni cinematograficheper la TV. Lo potrà fare con la collaborazionedei paolini di tutto il mondo che possono fare daponte per questi progetti.

Questo servirebbe ad accrescere l’immaginedelle SPF nazionali.

Oggi si fa cinema quando i partner meritanofiducia e si mettono d’accordo.

III. Mercato - Amministrazione

L’anima del “commercio” paolino sono lemotivazioni che stanno alla radice dell’editoriapaolina. Le politiche le fissa il direttore. Il ven-ditore vende il messaggio e deve guadagnare. Senon guadagna l’impresa va in fallimento. Ven-dendo, il venditore fa nozione.

Molti paolini hanno paura del denaro, delcommercio, dell’organizzazione perché non sonostati preparati per queste responsabilità.

IV GRUPPO(relatrice Sr. Maria Lea Hill)

Question and answer sessions with speakersof the day.

1. To the challenge presented by FatherDanilo we ask: is it possible to effect a conver-sion from the bureaucracy we are so entrenchedin to system-analysis? He responded, yes, andwe would find it more convenient to use com-puters because of the facility with which finan-cial statements can be obtained. Father cautionedus not to impose such systems on editorial, how-ever, because editors who think so independ-ently.

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Lavori di gruppo/24 settembre - 235

2. Connected to the above question is one ad-dressed to Mr. Barranco: How can we convincethe other members of our Communities of thevalue of changing to a more commercial ap-proach and to the use of computers? Mr Bar-ranco reminded us that we have chosen to evan-gelize through technical instruments and should,therefore, logically choose these modem, highlydependable means for our bookkeeping.

3. We asked about the type of publicity usedto make EP so successful; the work of the“office of propaganda (diffusion)” was ex-plained. This office places advertisements in pe-riodicals and newspapers, prepares leaflets andcatalogues; organizes author encounters in thebook centers. There are also annual encountersfor all who work in the bookcenters. This guar-antees that everyone has received the same in-formation about new publications.

4. How does EP evaluate the effectiveness ofits advertising? Every issue of Famiglia Cristi-ana, for example, carries a book review columnwhich advises readers to purchase from one ofthe centers. How quickly the book disappearsfrom the centers and consequently from Turin,indicates the success.

It was later related that EP has only 20-30%failure of titles. However, they have noted thatreprints are up 30-40%.

5. It was noted that after long studies in the-ology the priests and brothers often find them-selves acting as unskilled accountants. Mr. Bar-ranco recommended hiring trained accountantsas a matter of management efficiency and of le-gal protection.

He also mentioned that since the administra-tion of Father Zilli the periodical group has con-sidered every SSP member as any lay worker.Each SSP has an official task, wages and bene-fits as any member of a trade union. This hasbeen very effective for business management.However, Mr. Barranco said that the pay of eachmember actually goes to the Superior for com-mon use.

6. Mr Barranco has chosen to follow the lim-ited form of legal statutes for the business set up.SSP are legally a share holder in SPA. In thisway the Congregation’s money is kept separatefrom the “firm’s” money. This is a safeguardagainst any possibility of bankruptcy.

7. Faced again with the problem of evangeli-zation vs. money-making Mr. Barranco called ita matter of rapport. Profit which results frombusiness organization gives stability to evangeli-zation as well as validity to its instruments. It issimilar to owning a car, he said. If you do not

maintain a car it will not arrive at the destina-tion. Likewise, badly managed business affairswill not provide for evangelization.

8. We discussed the percentage of titles EPacquires locally and what percentage are fromthe international market. In Brazil Fr Quintasaid it is so-so; in Italy Fr Tarzia reported 65-35.The differences are not so important as simplyknowing the cultural, pastoral needs of yourarea. Father Tarzia noted also that the interna-tional authors provide what a nation does notproduce-as theological works for Italy.

9. The Seminar itself was questioned by onepriest who works full-time in TV and radio: Why,if we are challenged to expand from a Gutenbergmentality to a Media mentality, was there no offi-cially scheduled tour of any of the AV, radio orTV facilities? The relators regretted this, buthoped it would be part of the “third section”.

10. How are authors obtained by EP? Howdoes a large team of editors choose a manuscript?

Of 10-15 manuscripts spontaneously receivedweekly only 10 are published in a year. The restwhich are sought for are assessed in outline, thencommissioned and contracted.

A financial advance is generally given onroyalties. Up to a 1/4 of the royalties on the firstedition for well-known authors. Professionaljournalists may also receive a second advance.

11. Proposition: Could we have a joint-boothand catalog for English speaking Pauline pub-lishers at Frankfurt next year? It was noted thatFrankfurt contacts continue to take book rightsduring the year.

12. Father Ermeti asked us all to collaboratewith Rome in co-production of TV program-ming, in searching for existing programming, aswell as finding cooperation in our own nations.

13. Sr. Teresa Marcazzan answered FatherErmeti with an invitation to the SSP to considercoming to Africa. The TV and video-cassettefields are laying open for the priests.

14. After reviewing the types of program-ming shown on Telenova, Father Ermeti wasasked why there was only one hour weekly ofreligious broadcasts. Father stressed the prefer-ence for programming with Christian values be-cause they will draw viewers from the widerange of available viewing and financial supportwill be more easily found.

Father noted that the distinction of a Paulinestation is mainly in its approach to newscastingand in its choice of programming. Our stationsmay appear to be like all the others, but we aredistinguished by the Christian flavour of ourchoices.

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LAVORI DI GRUPPO DEL 26 SETTEMBRE 1988

RISULTATI PRESENTATI IN ASSEMBLEA

I e III GRUPPO (relatore d. Eligio ERMETI)

Abbiamo posto ai relatori una serie di do-mande ricevendone le risposte che ora sintetiz-ziamo.

A d. Zega abbiamo chiesto come si possanomettere insieme le due teste dell’Aquila asbur-gica; la risposta è stata che la distinzione nonpuò e non deve essere separazione; noi dobbia-mo fare comunicazione e farlo come comunità:dobbiamo essere comunità comunicante; dallaseparazione derivano un’infinità di problemianche macroscopici.

Sulla sistemazione tecnico-produttiva Milano-Periodici è andata avanti per conto suo; anchesulla distribuzione e la diffusione e promozionesi poteva fare da soli, ma si sarebbe provocatouno strappo che avrebbe ferito al cuore la paoli-nità; per evitare che la distinzione divenga sepa-razione bisogna fare appello ai Governi circo-scrizionali (talvolta più lenti del Governo gene-rale).

Vi sono certo i rischi di “variabili impazzite”,ma la vivacizzazione delle comunità garantisce ilcontrollo; inoltre le forme di controllo gestite daprofessionisti sono persino più attendibili che sefossero affidate ad interni non professionali;quanto ai contenuti è indispensabile contare supersone formate.

Si è chiesto se la Ratio formationis in prepa-razione tenga conto del rapporto con i laici e si èrisposto che si è molto insoddisfatti di essa.

Si è chiesto se non si sia corso e non si corra ilrischio di perdere il senso dell’apostolato; la ri-sposta è stata affermativa dicendo che c’è soprat-tutto il rischio della mitizzazione dello strumento.

Si è precisato che l’assunzione dei laici non èsempre la forma migliore di soluzione dei pro-blemi: talvolta è meglio il ricorso a società di“services”; l’ideale è di avere un massimo di ef-ficacia con il minimo di strutture.

Si è ribadita la necessità di superare la con-cezione strumentale del laicato: i laici non sonosolo dei tappabuchi, ma hanno un vero dirittodi condividere l’impegno di evangelizzazione:l’azienda diventa allora luogo di condivisione enon di strumentalizzazione.

Si è rilevato che un aspetto non trattato èquello della presenza della donna e ci si è chie-

sto come mai ve ne siano così poche; si è rispostoche il maschilismo non è tipico solo dell’ambien-te clericale, ma un difetto comune nella società.

Si è osservato che i laici dovrebbero sentirsicoinvolti nel nostro carisma e si è chiesto se que-sto avviene; la risposta è stata che alcuni lo sonoeffettivamente e altri sentono il problema dellacoerenza personale; in determinate circostanzeanzi alcuni non si sentono a proprio agio, ma ciòviene risolto nella prassi; per questo si è racco-mandato di prestare attenzione al coinvolgi-mento ideologico, specialmente quando si trattadi ambienti abbastanza piccoli.

All’osservazione che il paolino corre il rischiodi laicizzarsi entrando a contatto con i laici, èstato risposto che per l’appunto il laico ha ordi-nariamente una certa concezione sacrale delprete e del religioso e che l’impegno dell’evan-gelizzazione forse deve essere rivolto proprio alcollega di lavoro.

Il dr. Minnella ha ribadito la sua tesi che a li-vello di azienda non ha nemmeno senso che siparli di distinzione tra paolini e laici, perché l’uni-co criterio che conta è quello della competenza.

Alla domanda su come egli ritiene che vengagiudicata la presenza in campo pubblicitario diun sacerdote o di una suora, il medesimo ha ri-sposto che è sempre questione di competenze eche alla fin fine è sempre la testata che viene“giudicata”.

Si sono prospettati alcuni timori, come adesempio quello del costo e che la professionalitàdel laico finisca col prendere il sopravvento suquella del paolino addetto: si è risposto chequanto al primo non bisogna fermarsi solo ai ri-sultati immediati e quanto al secondo è vero solose si dà più importanza ai rapporti di potere chenon al bene dell’azienda.

Il dr. Del Colle ha riproposto la sua ipotesidell’opportunità per i paolini di fare una certaesperienza professionale presso altre testate esettori giornalistici vicini alla nostra cultura, co-me ad es. presso il quotidiano “Avvenire”.

Inoltre è da proporre la “job rotation”, cioèuna certa circolazione di impegni all’internodell’azienda specialmente per coloro che si pre-sume debbano poi assumere un ruolo direttivonella stessa.

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Lavori di gruppo/26 settembre - 237

II e IV GRUPPO (relatore d. Ezechiele PASOTTI)

Il nostro gruppo ha rilevato anzitutto la com-plementarietà delle relazioni Del Colle-Minnella.

A proposito della relazione Del Colle è statorilevato che è opportuno parlare di ambivalenzapiù che di ambiguità del rapporto paolini-laici,nel senso che i religiosi paolini e i laici si inte-grano i primi divenendo a metà laici e i secondia metà religiosi.

È stata poi affrontata la questione posta daDel Colle: quale tipo di laici cerchiamo: che nonobiettano mai? Indipendenti? Solo per la com-petenza? Non si tratta più di discutere se vo-gliamo i laici o no (i dati offertici stamane: circa800 laici e 43 paolini nel Gruppo Periodici, sonopiù che sufficienti in proposito), ma di sapere aquale livello li vogliamo come collaboratori.

A questo proposito i relatori hanno propostoaffermazioni precise: se si assume la categoria“impresa”, come ci è stato proposto stamane(Minnella), non ha neppure senso parlare dipaolini-laici, ma solo di competenze. Qualcunoha fatto giustamente notare che nell’ecclesio-logia odierna, il laico ha una sua specificità: an-che tra di noi, non è perciò uno che rimpiazzaun paolino che manca, ma ha un suo spazio cheè di sua competenza specifica; quindi se si de-cidesse di fare a meno dei laici, bisognerebbecalcolare il rischio derivante da una simile deci-sione.

È stato fatto notare inoltre come l’evoluzionetecnica degli strumenti di c.s. - enorme e moltocomplessa - renda oggi impensabile l’accumuloin una o poche persone delle competenze neces-sarie: i laici divengono perciò indispensabili an-che dal punto di vista dei mezzi.

La vicinanza dei laici, ha notato Del Colle,ha portato infine anche ai paolini una migliorequalità di vita (assistenza medica, pensioniecc.).

A proposito delle relazioni di d. Zega e fr.Bernardi, si è affrontata la problematica del rap-porto vita religiosa e vita apostolica e delle si-tuazioni che si generano nell’azienda dove unpaolino può “dipendere” da un laico.

A proposito della prima problematica, c’èstato chi ha obiettato che il sabato è fatto perl’uomo e non l’uomo per il sabato, chiedendo sesia più importante la vita di consacrazione ol’attività apostolica.

Si è risposto rifacendosi alle Costituzioni eall’esperienza del Gruppo Periodici affermando:«Noi non ci sentiamo traumatizzati di sacrificarela vita religiosa per l’apostolato, perché questo èil senso della nostra vita religiosa». Se i duemomenti: vita religiosa e vita apostolica non siintegrano, ciò potrebbe essere dovuto al fatto chesi è sbagliata congregazione. Si è anche eviden-ziato l’esempio del Primo Maestro, uomo di pre-ghiera intensa e prolungata e insieme di attivitàincessante.

La risposta non ha soddisfatto tutti. C’è statochi ha proposto allora la distinzione tra il perio-do di formazione (in cui l’accento verrebbe po-sto paritariamente su vita di consacrazione eapostolato) e dopo, quando si è inseriti nell’apo-stolato e si tratta di vivere da consacrati: quindinon problema quantitativo di tempo da dedicarealla preghiera ma qualitativo. Si è affermatoinoltre che è opportuno evitare di dare patenti diappartenenza o meno alla Congregazione, sotto-lineando invece che vi è stata una certa evolu-zione del concetto di vita religiosa: in particola-re, in passato vi era un’insistenza forse eccessivasugli orari e sulle cose da fare insieme, mentreoggi si preferisce insistere sul “vivere insieme”;e questo può provocare due rischi contrapposti dicui occorre essere coscienti per evitarli.

Si è parlato quindi della proprietà e della ge-stione, sottolineando che la prima è tutta e solonelle mani dei legittimi superiori della SocietàSan Paolo, i quali pertanto hanno un controlloancora maggiore di quello proveniente dal solovoto di obbedienza, perché vi è pure la forza co-gente dello Statuto.

A proposito del ruolo dei laici, si è rispostonegativamente alla domanda se si possa ipotiz-zare l’attribuzione ai laici del potere decisionalesulle politiche conservando ai paolini il control-lo dei contenuti. A questo proposito si è dettochiaramente che, ove succedesse che si debbanodemandare ai laici gli ultimi livelli di responsa-bilità, questo vorrebbe dire che la Società è ca-duta molto in basso. Può invece accadere, e difatto accade nel Gruppo Periodici, che a livellidiversi da quello decisionale sulle politiche, unreligioso paolino dipenda da un laico più com-petente. E qui prevale appunto la legge dellacompetenza aziendale.

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LAVORI DI GRUPPO DEL 28 SETTEMBRE 1988

RISULTATI PRESENTATI IN ASSEMBLEA

GRUPPO EDITORI RIVISTE(relatore d. Stefano ANDREATTA)

Si rileva la presenza ridottissima di responsa-bili dell’Editoria Periodici: 9 persone su 43 te-state censite dall’inchiesta promossa dal conve-gno. Quindi un campione scarsamente rappre-sentativo per delineare delle valutazioni com-plessive.

Comunque è emerso:a) Una stabilità del settore periodici (il più

trascurato della Congregazione), con alcuni pri-mati ben consolidati [per es. Famiglia Cristianaitaliana, 1,2 milioni di copie; O Domingo brasi-liano, 2 milioni di copie; F. C. portoghese,quinta rivista del paese; F. C. brasiliana, terza ri-vista; Pastoral Life, terza rivista del clero negliUSA). Crisi di crescita, con ben mirati progetti,verso una maggior professionalità, come in Spa-gna (F.C.), Brasile (F.C.), Argentina (Vida Pa-storal), Filippine (Home Life), e il dichiarato im-pegno di sganciamento dal predominio del-l’editoria libraria]. Per il resto confrontare i ri-sultati del questionario.

b) Un radicamento nelle realtà locali che si-nora non ha stimolato una maggior collabora-zione nei vari bacini linguistici e all’internodell’editoria paolina tout-court.

Per quanto riguarda le proiezioni verso il fu-turo, sono state presentate linee progettuali va-rianti Paese per Paese. In genere si punta ad unrinnovamento, anche radicale, delle varie reda-zioni con un coinvolgimento più diretto e conti-nuativo di laici ed esperti religiosi esterni (Spa-gna, Argentina, Brasile, USA).

Viene scartata l’idea di creare una agenziacartacea di informazioni, già superata, macchi-nosa, non produttiva sul versante della tempesti-vità.

Invece si è coagulato l’interesse prima, el’accordo, poi (in linea di massima) sul seguenteprogetto.

Creare una rete internazionale di sedi con per-sonale professionalmente preparato - possibil-mente ospitato presso nostre strutture - per offri-re in tempo reale servizi e informazioni dalle di-verse parti del mondo, usufruendo oltretutto delcollegamento ai vari terminali per utilizzaremateriale giacente, centri di documentazione,banche dati (già attivati presso alcuni gruppi pe-riodici come quello italiano).

È stata aperta, profeticamente, la sede di uncorrispondente a Mosca.

Questo potrebbe costituire il primo anello diun progetto realizzabile nell’arco di 3 anni. Ivantaggi sono facilmente intuibili anche dalpunto di vista economico.

Con questo progetto ci si proietta verso undeciso recupero della competitività tecnologico-professionale col mondo editoriale laico.

Si evitano dipendenze (come le attuali) da unsolo gruppo, perché le singole sedi deputate sonoa disposizione di tutte le riviste in qualsiasi si-tuazione od emergenza, senza che si interponga-no mediazioni o filtri, tipo le classiche agenziegiornalistiche (Ansa, France Presse, ecc.) di sup-porto della stampa quotidiana.

Si tratta di una circolarità di fonti attivate a li-vello mondiale e poste simultaneamente a servi-zio della realtà periodici e della Congregazionestessa nell’universo orbe terracqueo.

Un’adeguata progettualità dei singoli Paesipermetterà di ammortizzare facilmente costi ini-ziali, altrimenti proibitivi, e liberare finalmente ilgruppo periodici dal limbo della mera sopravvi-venza a cui è stato sinora condannato.

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Lavori di gruppo/28 settembre - 239

GRUPPO EDITORI AUDIOVISIVI(relatore d. Tommaso MASTRANDREA)

Gli argomenti sviluppati nascono dalla foto-grafia della situazione attuale nel mondo paoli-no.

Citiamo subito due primati:— Il traguardo raggiunto in Brasile, che oc-

cupa una posizione leader in radiofonia, attraver-so 5 emittenti a vasto raggio nazionale e attra-verso la produzione di alcuni programmi giorna-lieri distribuiti ad oltre 167 emittenti brasiliane.

— Il primo compact disc è stato prodotto inGiappone ed è dedicato a Maria, madre di Gesù,con musiche classiche.

Il passato. Ove era stata trasportata l’e-sperienza della Sampaolofilm, nella distribu-zione di pellicole in 16 mm e Super-8, è succes-so ciò che è accaduto in Italia: chiusura di uncapitolo importante, definitivamente superatoperò dalle nuove tecnologie e dalle esigenze delmercato.

Oggi. L’esperienza più diffusa e consolidata èquella dei minimedia (poster, cartoline, bigliettiaugurali, diapomontaggi, ecc.). La produzioneattraverso questi mezzi non è molto costosa e,localmente, efficace.

Negli Stati Uniti e in Ecuador, i Paolini hannola possibilità di operare rispettivamente con unatelevisione e una radio cattoliche. I mezzi tutta-via non sono nostri.

In Italia è nato recentemente il Gruppo Au-diovisivi che, a Roma, sviluppa il settore HomeVideo e progetta cine-tele-produzioni, mentre aMilano sono in attività l’emittente televisivaTelenova, l’emittente radiofonica Novaradio e lasocietà di produzioni televisive Telepro.

Oltre a Novaradio di Milano occorre citareRadiasole di Catania (Società San Paolo) e No-varadio di Roma (Figlie di San Paolo).

Telenova, da circa un anno, è inserita in uncircuito nazionale denominato Cinquestelle, cir-cuito che acquista 3 ore di programmi al giornodella RAI (Radio Televisione Italiana) e vendealla SIPRA (Concessionaria di pubblicità nazio-nale della RAI) 14 fasce giornaliere di spazipubblicitari.

Il circuito intende realizzare un progetto cul-turale (consono anche alla Società San Paolo)che consiste nel valorizzare l’informazione e lacultura locale in un contesto organico nazionale.

Futuro. Sull’avvenire dei mezzi audiovisivinon c’è dubbio che ci sarà il grande sviluppodella comunicazione.

Si evidenziano alcune tappe per realizzareprogetti concreti:

a) Indagine conoscitiva relativa ad ogni pae-se;

b) Focalizzare l’attenzione nell’acquisizionetotale dei programmi e nella produzione di essi:sarà il nostro patrimonio domani.

Il progetto che suscita grande interesse èquello proposto da don E. Ermeti, progetto de-nominato Sampaolofilm International, riguar-dante la coproduzione di grandi opere attraversoil coinvolgimento delle principali televisioni deivari paesi.

In Italia, il progetto dei prossimi anni saràsviluppato intorno alla radio, in modo analogoall’esperienza del circuito televisivo Cinque-stelle.

Anche in America Latina si intravede la pos-sibilità di installare stazioni radio, guardandoall’esperienza del Brasile, poiché le legislazionilocali lo consentono.

In India c’è la potenzialità, da verificare inconcreto, di produrre cinema, non essendo ilmercato in crisi, grazie alla capillare diffusionedelle sale cinematografiche.

Il settore discografico (cassette) dovrà orien-tarsi all’acquisizione di “artisti” nella nostrascuderia, mirando a una sinergia con i mass me-dia della televisione e radio.

I contenuti relativi ai mezzi audiovisivi sisviluppano in due direzioni:

— Religiosi/didattici, che mirano a segmentispecializzati di fruitori;

— Culturali, informativi e di intrattenimento,che mirano al grande pubblico, cui far giungeremessaggi di pre-evangelizzazione.

In conclusione:Notiamo che il know-how nel settore audiovi-

sivo deve ancora crescere, rispetto al settore librie periodici che godono di più antica esperienza.

Il cammino da percorrere è lungo, faticoso erischioso (per gli alti costi di investimento e ge-stione), ma nello stesso tempo affascinante e im-prescindibile.

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240 - Lavori di gruppo/28 settembre

GRUPPO EDITORI LIBRI(relatore d. Gilles COLLICELLI)

Dopo un breve scambio di opinioni, il Grup-po Editori Libri ha deciso di rimanere insiemeper diverse ragioni pratiche.

L’informazione sui risultati dell’incontro de-gli editori di lingua inglese che ha precedutoquesto Seminario ci è servita di avvio per il con-fronto e la proposta di atteggiamenti concreti.

I risultati dell’incontro di cui sopra sono i se-guenti:

A. REDAZIONE - Traduzione comune di al-cuni testi-base (Bibbia, Patristica, testi impor-tanti del Magistero, Dizionari); su questa tradu-zione comune ogni paese provvede a rendere lo-cale l’edizione con gli interventi riguardantil’apparato critico (introduzione, note, commen-ti). Il vantaggio che ne deriverebbe è di poteravere in comune un patrimonio base per le no-stre edizioni, con notevole risparmio economico.

B. PROMOZIONE - Ogni editrice di linguainglese è stata invitata ad assumere l’impegno didiffondere nel proprio paese la produzione sele-zionata delle altre editrici paoline. Questa diffu-sione sarebbe favorita da sconti speciali (60%) eassicurerebbe un acquisto di un minimo di copiegarantito. Si è raggiunto un accordo comune suidiritti: 7%, senza alcun anticipo.

C. PRODUZIONE - Si auspica uno scambiodi tecnologie per produrre a costi inferiori (peres. si può comporre o stampare in paesi in cui lamanodopera è meno costosa).

PROPOSTE DEL TERZO GRUPPO NELSUO INSIEME

Un cenno a parte deve essere fatto per unaproposta che suggerisce un largo scambio di ideeal fine di pervenire ad una identificazione di te-mi comuni in vista di eventuali coedizioni inter-nazionali.

Tenendo conto del continente Europa che vaverso l’unità economico-politica, c’è chi ha sug-gerito che la SSP dia il suo contributo culturaleattraverso un gruppo pensante che offrirebbe sulmercato opere significative dal punto di vista re-ligioso-culturale e di evangelizzazione.

La proposta, affascinante, è stata discussa, manon è ritenuta concretizzabile, soprattutto perovvi limiti di personale e di preparazione.

Una serie di proposte ha trovato il gruppo piùconsenziente:

— Che tutte le editorie siano fornite di telexo telefax (tanto meglio se di entrambi). Ciò favo-risce lo scambio di informazioni in tempo reale.

— Che si arrivi, in vista della Fiera di Fran-coforte, alla preparazione di un catalogo comunedelle EP a livello mondiale. Ciò garantirebbe atutti un’accresciuta forza contrattuale, migliore-rebbe la nostra immagine e provocherebbe re-azioni positive presso altri editori in termini diritorno di informazione privilegiata e di opzioniprioritarie.

— Che si pervenga ad uno scambio di perso-nale tra editrici (“stages” concordati).

— Che si pervenga ad un accordo sulla per-centuale delle royalties tra i Paolini.

— Che si versi un contributo reciproco per lespese di selezioni a colori.

— Che per le opzioni richieste le rispostesiano puntuali, sollecite, in modo da non blocca-re gli eventuali sviluppi con altre editrici.

— Che le librerie internazionali accettinouno scambio di materiale sotto forma di invio,per esempio, di 2 copie di opere selezionate co-me servizio novità.

— Che non si sottovaluti mai il fatto che loscambio privilegiato tra noi Paolini può avere ri-percussioni economiche importanti, nel sensoche a volte si rinuncia ad offerte economiche al-lettanti provenienti da altri editori.

— Che si instauri un comportamento lealereciproco riguardo a:- tirature e vendite- numero di edizioni o ristampe- informazione rapida- pagamento sollecito.

Poiché le Edizioni Paoline non sono presentiin terra di Germania — paese di grande stimoloculturale e religioso — si auspica l’apertura diuna “agenzia EP”, che sarebbe finanziata in co-mune dagli editori paolini.

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CONCLUSIONI

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D. Silvio SASSIModeratore del seminario

SINTESI DEL SEMINARIOA SERVIZIO DEI LAVORI FINALI DI GRUPPO

Soffermiamoci a considerare il cammino per-corso dal nostro seminario per disporre di unavisione d’insieme che ci permetta di meglio de-lineare le nostre conclusioni.

Siamo partiti dalle attese e dagli obiettivi,tracciati fin dall’inizio dai gruppi di lavoro, chesi possono riassumere a grandi linee come segue:

— chiarire il significato carismatico di edito-re paolino e il significato della nostra presenzanella cultura e nella Chiesa

— determinare le strategie editoriali dellaSocietà San Paolo e della Famiglia Paolina

— aprirsi ai nuovi media— individuare forme di collaborazione a li-

vello internazionale— capire l’integrazione della presenza edito-

riale delle Figlie di San Paolo e della Società SanPaolo a livello mondiale

— riflettere sulla collaborazione con i laici— creare una struttura internazionale al cen-

tro che faccia da ponte per i vari collegamentinazionali

— capire la necessità di essere vicini al po-polo con la nostra editoria

— trovare un segno che ci identifichi a ca-rattere internazionale, specchio di una politicaeditoriale unitaria

— migliorare la comprensione dell’impegnodi evangelizzazione

— conoscere le persone che operano nei varipaesi per stabilire relazioni più personalizzate

— scambiare informazioni sulle attività edi-toriali dei vari settori

— mantenere viva l’ispirazione spirituale delnostro apostolato

— scegliere chiaramente l’ispirazione apo-stolica alla fonte del Vaticano II

— pensare come preparare i futuri paolinialla nostra missione apostolica.

Da parte sua, don Renato Perino nella sua re-lazione introduttiva presentava il seminario sottoforma di domande:

— qual è l’identità dell’editore paolino oggi?— come si comporta oggi l’editore paolino

nella Chiesa e nella società in cui svolge la pro-pria missione?

— chi sono i destinatari della missione del-l’editore paolino?

— come si può arrivare ai destinatari (metodie risorse)?

Questi interrogativi erano giustificati in rela-zione agli obiettivi indicati al seminario dal Go-verno generale:

— determinare con precisione i destinatari e icontenuti della nostra missione

— allargare decisamente il ventaglio dei me-dia dalla stampa agli audiovisivi

— assumere il senso organizzativo dell’apo-stolato come condizione imprescindibile di ri-spetto alle leggi intrinseche di esso.

Tutto ciò è collegato con delle soluzioni pra-tiche:

— interscambio di personale— alleanze per aree linguistiche a raggio in-

ternazionale— scambio di informazioni e di progetti co-

muni— formulazione di una specie di codice o

statuto per il nostro apostolato a livello interna-zionale.

Per stimolare la nostra ricerca ed avere mag-giori strumenti di lavoro i relatori hanno scanditole tre fasi del nostro seminario:

1. MENTALITÀ APOSTOLICA

* Alle sorgenti del carisma paolino: DonAlberione nella sua teoria e nella sua prassi inriferimento specifico a: EDITORE - EDITORIA -EDIZIONE

* In ascolto della società e della cultura cisono state illustrate le difficoltà del rapportofede-cultura e al tempo stesso le possibilità diun incontro tra evangelizzazione e singole cul-ture con il metodo del dialogo, stile del Vatica-no II e di papa Paolo VI.

* Al servizio di una Chiesa locale siamo statiinvitati a misurarci con una pianificazione pasto-rale senza voler essere in perpetua fuga o in co-stante parallelismo con i problemi complessi diuna Chiesa particolare. Pastoralmente c’è statodetto che l’evangelizzazione può seguire un mo-dello tradizionale o un modello di ricerca di unasocietà nuova.

* L’approfondimento teologico dell’opera dievangelizzazione ci ha evidenziato il soggettostorico, il contenuto e le forme dell’evangelizza-

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244 - Sassi/Sintesi

zione stessa ricordandoci la preziosità di diret-tive già codificate nei Documenti capitolari1969-71: adattamento temporale, adattamentoambientale, adattamento personale, adattamentosociale.

* Il Magistero universale della Chiesa suimass media dopo la morte del Fondatore, la ri-cerca culturale e la prassi comunicativa, le ca-ratteristiche della comunicazione odierna con lesue leggi sospingono il nostro apostolato versoun arricchimento.

Offrendo un contributo di ricerca scientifica eteologica nel campo della comunicazione socia-le; diversificando nella multimedialità le nostreiniziative apostoliche; progettando le scelte edi-toriali come un fenomeno complesso che tieneconto in particolare del tipo di ecclesiologia pre-scelto, la comunicazione sfida il nostro aposto-lato.

2. METODOLOGIA APOSTOLICA

Quando l’apostolato con le tecnologie di co-municazione assume le dimensioni rilevanti diun’impresa, diventano necessarie le metodologienaturalmente connesse con il fenomeno dellaproduzione:

— organizzazione del lavoro— gestione del personale— programmazione e divisione dei compiti— politiche editoriali dei vari settori— il mercato e la distribuzione— gestione economica— collaborazione dei laici— ricerca dell’immagine reale data dalla no-

stra attività e necessità di verificare il feedbackdel nostro pubblico, preoccupati anche di esseremodelli per la ricerca vocazionale

— impresa e comunità religiosa— impresa e sue regole in regime di delega e

distinzione— vita consacrata e preghiera integrate nella

nostra attività

— vita comunitaria nel suo rapporto conl’apostolato

— formazione e orientamento delle nuoveleve alla missione.

3. SCELTE OPERATIVE

Prima di qualsiasi progetto abbiamo realiz-zato un rilevamento della situazione mondialeverificando, per la prima volta, la situazione delpersonale, dei contenuti e dei progetti delle no-stre editorie.

Per offrire un servizio apostolico alla Chiesalocale abbiamo sentito la necessità di una colla-borazione a livello internazionale. Poiché ci tro-viamo di fronte ad una operazione difficile chenon può essere lasciata alla buona volontà o alsemplice desiderio, avvalendoci della consulenzadi esperti, abbiamo esaminato i problemi di unaeditoria internazionale con applicazione specifi-ca all’editoria paolina.

L’analisi dell’immagine dell’editoria paolinamondiale attraverso i monogrammi, i marchi e ilogotipi utilizzati ci ha permesso una valutazionedella situazione in atto e ci ha rivelato la diffi-coltà dell’adozione internazionale di un unicomarchio.

Ci sono poi stati illustrati due progetti con-creti:

— informazione sistematica tra editori— progetto biblico ideato da Don Alberione.

Ecco ripercorse le tappe del nostro seminario:mentalità apostolica - metodologia apostolica -scelte operative.

Il documento conclusivo dovrà tenere contodella totalità di quanto abbiamo esaminato; sof-fermarci solo sulle scelte operative immediatesarebbe impoverire il seminario. Anche perché ciè stato abbondantemente dimostrato che ogniscelta operativa richiede una mentalità e unametodologia apostoliche.

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DOCUMENTI FINALIDEI TRE SETTORI DI APOSTOLATO

GRUPPO PERIODICI(relatori d. Leonardo ZEGA e d. Stefano ANDREATTA)

MENTALITÀ

1. Alle sorgenti del carisma fondazionale tro-viamo due elementi preziosi per identificarel’editoria paolina: la pastoralità e la globalità, ela contemporaneità.

a) La pastoralità e la globalità si esprimono— nella scelta dei contenuti: prioritari, la Sa-

cra Scrittura (tutta per tutti), il catechismo, la li-turgia; subito dopo: «quanto c’è di vero, di no-bile, giusto, puro, amabile, lodevole... questo at-tiri la vostra attenzione» (San Paolo ai Filippesi4,8); e quindi l’assunzione e la promozione ditutti i valori umani alla luce del Vangelo.

— Nella scelta dei destinatari: tutti, a partiredalle masse, dai lontani o da coloro che tendonoad allontanarsi; da coloro che sono emarginati,culturalmente, socialmente, politicamente ecc.Sono i nostri poveri, cui guardare con occhio dipreferenza.

— Nella scelta del linguaggio: semplice,chiaro, accessibile al più vasto numero di per-sone.

— Nella scelta stessa dei mezzi che devonoconsentire il più ampio respiro alla nostra attivitàapostolica. Disponibilità quindi al nuovo cheprogresso e scienza ci mettono a disposizione.

b) La contemporaneità. Vivere il propriotempo per evangelizzare «gli uomini di oggi coni mezzi di oggi». Esigenza quindi di un continuoaggiornamento e capacità di distacco (anche datradizioni piemontardo-italiane come qualcunoha sottolineato) e di innovazione secondo i segnidei tempi. Alle capacità di adattarsi ai tempi(come ai luoghi, alle culture, alle evoluzioni so-ciali ecc.), è legata l’efficacia del nostro aposto-lato. I nostri peccati più gravi sono quelli diomissione.

c) Per l’oggi dunque si auspica, nel solco del-la tradizione paolina e del carisma alberioniano:

— Una forte e chiara opzione per il VaticanoII, non solo nei contenuti ma anche nel metodo enello stile.

— Inserimento nella Chiesa e nella societàlocale, con intelligente discernimento delle va-rie situazioni (di crisi, di crescita o di stallo).

Il collegamento con le Chiese locali va fatto alivello di Conferenza episcopale nazionale e inraccordo con i piani pastorali del Paese ovequesti esistano.

— Presa di coscienza e maggiore sensibilitànei confronti delle diverse culture da evangeliz-zare, nel rispetto del pluralismo e dei valori cheogni cultura possiede.

— Una Ratio formationis che tenga conto diqueste esigenze, come specificamente paoline, ead esse adegui le varie tappe, fino alla formazio-ne specialistica.

Si abbia particolare attenzione all’iter forma-tivo dei Discepoli, essenziali al raggiungimentodel fine specifico secondo Don Alberione e leCostituzioni.

METODOLOGIA

1. Non è possibile svolgere un’attività apo-stolica efficace senza programmazione e senzaorganizzazione del lavoro.

2. La nostra azione apostolica è essenzial-mente comunitaria e le comunità sono tutte apo-stoliche.

3. Si possono dare forme diverse di organiz-zazione in situazioni obiettivamente diverse, maè sempre valido il principio che poco o nulla siottiene senza un progetto che fissi obiettivi, di-segni, strategie, sia attento ai tempi e ai modi diattuazione e verificabile nei risultati.

4. Ogni attività - anche piccola - esige unastruttura organizzativa essenziale che consentaalmeno la definizione dei ruoli e la legittimaautonomia operativa. È dunque indispensabileun chiarimento sostanziale sui rapporti tra fun-zioni gerarchiche di carattere religioso e respon-sabilità direttive nel campo delle attività aposto-liche, secondo il principio della delega e delladistinzione.

5. Quando la struttura si sviluppa in impresaed esige l’assunzione di esterni, procedere concautela, ma nel rispetto delle regole civili, sinda-cali e... cristiane. Tenendo presente quanto im-pone al riguardo l’ultimo Capitolo generale.

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246 - Documento finale settori di apostolato

6. Accogliere la collaborazione dei laici (nonnecessariamente dipendenti in senso tecnico)come un complemento necessario della nostraformazione culturale e apostolica e un validocontributo all’efficacia apostolica delle nostreiniziative. Valorizzare i possibili apporti dellaFamiglia Paolina, non trascurare il volontariato(Cooperatori arruolati o non).

7. Formare i membri paolini al rispetto del la-voro organizzato e delle sue regole e adottareuna «tecnica di inserimento» che consenta lavalutazione delle reali capacità di ciascuno el’assegnazione di compiti adeguati a preparazio-ne e competenze.

SCELTE CONCRETE OPERATIVE

1. Situazione. La mentalità e la struttura dellecomunità, delle Case, degli stabilimenti in cuioperano i periodici è improntata ai ritmi lenti erassicuranti dell’Editoria libri.

Per questo in generale i periodici sono in unasituazione di stallo, di mera sopravvivenza (sal-vo poche, lodevoli eccezioni) sebbene l’Albe-rione sostenesse che il periodico va preferito allibro perché garantisce una presenza celere, effi-cace, continuativa in mezzo alla gente. (Il perio-dico favorisce una maggiore “incarnazione”).

2. Urgenze. S’impone l’esigenza di massimachiarezza a livello di strutture con la precisazio-ne e il rispetto dei ruoli e delle autonomie.

S’impone inoltre una nuova e diversa sensi-bilità dei paolini, dal centro direzionale alla peri-feria (agenzie librarie, altre comunità) per le esi-genze proprie dell’editoria periodici, fondata suritmi inesorabili e precisi di produzione e su ca-pillari strutture di diffusione e promozione.

Il coinvolgimento dei collaboratori laici di-pendenti è per lo più indispensabile per garantirela professionalità dell’uso dei mezzi e il radica-mento nella realtà delle Chiese locali.

3. Proposte a medio termine.La creazione di una rete internazionale di

corrispondenti con sedi, possibilmente, pressostrutture paoline. Il collegamento con i canaligiornalistici propri — oltre ai telex e telefax —ha lo scopo di offrire in tempo reale servizi dellediverse parti del mondo con la possibilità di at-tingere al materiale prodotto dai diversi centri odai periodici stessi, servendosi dei centri di do-cumentazione e di eventuali banche dati allestitepresso i centri apostolici paolini.

Si tratterebbe in concreto di una circolaritàdi fonti attivate a livello mondiale, in sedi op-portune e strategiche, e poste simultaneamentea servizio dei singoli periodici.

Con questa operazione, che comporta struttu-re minimali, si verrebbe a coprire il 50, 60% deiservizi, articoli, informazioni, ordinariamenteospitati nei nostri periodici. I vantaggi, ancheeconomici, sono chiaramente intuibili.

4. Bacino Europeo.Tutte le aziende, le industrie, le grandi Case

editrici si stanno preparando per il 1992, quan-do verranno abbattute le barriere economiche,dando vita al mercato libero europeo. Già societàeditrici di libri o periodici, quotidiani, stannotessendo rapporti con altri partners europei peraffrontare la nuova situazione e le possibilità cheviene ad offrire.

Per quanto riguarda l’Editoria Periodici euro-pea (che interessa Portogallo, Italia e Spagna, almomento), si propone di non perdere il treno e dicreare una consociata a tutti gli effetti per unapolitica unitaria, centralizzata e chiaramentedefinita, che promuova, con precise strategie, iperiodici dei singoli Paesi.

Un bacino italo-iberico di utenza del settoreperiodici ci sembra non solo utile, ma indilazio-nabile, date anche le situazioni di crisi e di stallosopra rilevate.

(Non è utopico pensare a una Famiglia Cri-stiana settimanale nei tre Paesi ed eventualmentead uno Jesus spagnolo e portoghese).

GRUPPO LIBRI (relatore d. Antonio TARZIA)(Documento elaborato e votato)

1.1. Proseguendo sulle direttrici del Vatica-no II assunto dalla Società San Paolo comeevento carismatico e universale riconoscimento

dell’apostolato dei media (1), gli editori paolinisi immedesimano con la Chiesa che dialoga conil mondo e coi lontani a servizio della Parola (2).

(1) Dei Verbum, Sacrosanctum Concilium, Inter Mirifica. Secondo il carisma di Don Alberione: nati dalla Parolae dall’Eucaristia per predicare il Vangelo coi nuovi media.

(2) Lumen Gentium, Gaudium et Spes.

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Documento finale settori di apostolato - 247

1.2. Impegnati nell’apostolato specifico checomporta strutture e leggi proprie, sentono comesegno dei tempi l’apertura al laicato e la promo-zione della donna (3).

1.3. La pastoralità diventa il segno del-l’operare paolino, innervato nella Chiesa locale eimpegnato nell’inculturazione per rendere mag-giormente attuale e credibile il Vangelo.

1.4. Ma il messaggio cristiano che si rivolgea «tutto l’uomo» per condurlo al Cristo intero (4)esige una continua conversione dei singoli edelle comunità impegnati nell’apostolato.

1.5. L’universalità della Chiesa così caratte-ristica nel pensiero e nell’opera di Paolo si apreagli orizzonti sempre nuovi dell’accettazione,del pluralismo e dell’ecumenismo e ci porta allacollaborazione fraterna col solo fine dell’ef-ficacia nel progetto dell’evangelizzazione.

1.6. Sempre più urgente si rivela l’assunzionedel processo organizzativo in termini di intenzio-nalità e di conduzione efficiente a livello locale.

1.6/1. Questo comporta la definizione dinorme che regolino i nostri rapporti interni a li-vello professionale.

1.6/2. L’avvio di un Segretariato all’internodel Governo generale per promuovere e coordi-nare le opere apostoliche;

1.6/3. L’impegno reciproco di una informa-zione puntuale e rapida (cataloghi, schede in-formative, opere e progetti);

1.6/4. La cura di una immagine unitariadell’editoria paolina che si presenti a Franc o-forte come gruppo;

1.6/5. e disponga di un suo marchio che laident ifichi nel mondo.

(3) La collaborazione attiva con le Figlie di San Paolo diventa in questa luce un’esigenza primaria.(4) AD 100.

GRUPPO AUDIOVISIVI(relatore d. Eligio ERMETI)

Raccogliendo l’invito di don Perino ad opera-re una conversione abbiamo individuato un do-decalogo che esprime le linee di cammino versocui avviarci per una politica editoriale paolinacomune.

Il punto d’arrivo non esclude il punto di par-tenza, ma indica un nuovo orizzonte a volte persuperare il precedente, a volte per integrarlo. Laformula a slogan è riduttiva e paradossale, maforse più efficace dei lunghi discorsi.

LINEE DI UNA CONVERSIONE

1. Dalla stampa all’audiovisivo (dal passateal futuro)

2. Dal mini-medium al mass-medium3. Dalla parola astratta alla parola concreta4. Dalle preoccupazioni teologiche a quelle

di linguaggio5. Dallo strumento al messaggio6. Dall’immagine del prodotto all’immagine

della Congregazione7. Dalla produzione all’educazione8. Dal monomedium alla multimedialità inte-

grata

9. Dall’isolamento rassicurante al confrontoculturale rischioso

10. Dalla pace dell’inerzia ad una pacifica-zione attiva e profetica

11. Dal “fai da te” al “facciamo assieme” (aiconfratelli e consorelle di altre nazioni, di altrecongregazioni, ai laici)

12. Dalla disarticolazione che disperde ener-gie e risorse, all’articolazione che crea sinergie.

CONCLUSIONI OPERATIVE

Si propone che il Governo generale deleghi lagestione dell’apostolato suddividendo il mondopaolino in aree geo-politico-culturali omogeneee affidandole alla gestione di responsabili diarea.

Al Governo generale resterebbe il compito dianimare, dare orientamenti, stimolare le motiva-zioni, indicare le grandi direzioni.

Ai responsabili di area spetterebbe il compitodi tramutare gli impulsi del Governo generale inadeguate politiche e strategie operative.

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248 - Documento finale settori di apostolato

Ciò consentirebbe di passare dalle parole aifatti, evitando di affidare le iniziative alla buonavolontà dei singoli con il rischio di polverizzarele risorse.

Occorre, in altre parole, che qualcuno dele-gato ad hoc gestisca il passaggio dalle buoneintenzioni ai fatti.

In particolare, rispetto alla ventilata creazionedi uno Statuto per l’apostolato, riteniamo cheuna corretta strutturazione sia prioritaria perevitare che lo Statuto non venga poi messo inpratica.

Il Governo generale piloti un deciso orienta-mento della Congregazione verso il campo degliAudiovisivi.

Perché ciò avvenga, si chiede:

— in ogni Circoscrizione si elabori un pro-getto apostolico-formativo rispetto agli Audiovi-sivi

— il Governo generale appoggi economica-mente l’apertura agli Audiovisivi

— il Governo generale offra una borsa distudio per lo SPICS ad ogni circoscrizione pove-ra

— si delinei un progetto di Sampaolofilminternazionale

— il fondo paolino aiuti i più poveri a fornir-si degli strumenti base per la comunicazione(telex o telefax)

— si istituzionalizzi una riunione periodicadei responsabili d’apostolato, in ambito conti-nentale, così come avviene con l’EPLA perl’America Latina

— il Governo generale costituisca un propriostaff, oltre alla struttura in line precedentementedescritta, che si occupi principalmente di pro-gettazione, di linguaggi, di linee operative per lapromozione dei paolini, professionale, ma anchedi base (per esempio tutti vengano formati allinguaggio audiovisivo)

— Quanto al rapporto con le Figlie di SanPaolo, invitiamo i Governi delle due Congrega-zioni ad incontrarsi con la presenza dei respon-sabili delle attività apostoliche e cercando di at-tuare una collaborazione almeno su progetti con-creti.

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Seminario Internazionale degli Editori PaoliniAriccia-Milano 17 settembre - 2 ottobre 1988

DOCUMENTO FINALE

APOSTOLATO PAOLINO

1.1. Proseguendo sulle direttrici del VaticanoII (cf DV, SC e IM), assunto dalla Società SanPaolo come evento carismatico - secondo il cari-sma di Don Alberione: nati dalla Parola edall’Eucaristia per predicare il Vangelo coi nuo-vi media - e universale riconoscimento del-l’apostolato dei media, gli editori paolini si im-medesimano con la Chiesa che dialoga con ilmondo e coi lontani a servizio della Parola (cfLG e GS).

1.2. Impegnati nell’apostolato specifico, checomporta. strutture e leggi proprie, sentono co-me segno dei tempi l’apertura al laicato e lapromozione della donna. La collaborazione contutta la Famiglia Paolina e in particolare con leFiglie di San Paolo diventa in questa luceun’esigenza primaria della nostra missione.

1.3. La pastoralità e la globalità, assieme allacontemporaneità, diventano i tratti caratteristicidell’operare paolino, innervato nella Chiesa lo-cale e impegnato nell’inculturazione per renderemaggiormente attuale e credibile il Vangelo.

1.3.1. Il collegamento con le Chiese locali vafatto a livello di Conferenza episcopale nazio-nale, in raccordo con i piani pastorali del Paese.

1.3.2. La pastoralità, la globalità e la con-temporaneità si esprimono:

1.3.3. nella scelta dei contenuti che vuole lapriorità della Sacra Scrittura (tutta per tutti),della catechesi, della liturgia, della teologia e,successivamente, di «quanto c’è di vero, di nobi-le, giusto, puro, amabile, lodevole... questo attirila vostra attenzione» (Paolo ai Filippesi 4,8);

1.3.4. nella scelta dei destinatari: tutti gliuomini a partire dalle masse, dai lontani, dai po-veri ed emarginati;

1.3.5. nella scelta dei linguaggi: semplici,chiari, accessibili al maggior numero di persone;

1.3.6. nella scelta dei mezzi: disponibilità acambiare, ad assumere quanto progresso e scien-za ci propongono;

1.3.7. nella decisione di vivere il propriotempo (contemporaneità): con l’aggiornamentocontinuo e capacità di innovazione, rispondendoai segni dei tempi.

1.4. Il messaggio cristiano, che si rivolge a«tutto l’uomo» per condurlo al Cristo intero (cfAD 100), esige una continua conversione deisingoli e delle comunità impegnati nel-l’apostolato.

1.5. L’universalità della Chiesa, così caratte-ristica nel pensiero e nell’opera di Paolo, ci apreagli orizzonti sempre nuovi del pluralismo edell’ecumenismo e ci porta alla collaborazionefraterna, al solo fine di rendere efficace il pro-getto dell’evangelizzazione.

METODOLOGIA APOSTOLICA

2.1. La nostra azione apostolica è essenzial-mente comunitaria e le nostre comunità sonotutte apostoliche.

2.2. Sempre più urgente si rivela l’assunzio-ne del processo organizzativo che consenta ladefinizione dei ruoli (con precisi organigrammi)e a legittima autonomia operativa. Diventa indi-spensabile un chiarimento sostanziale sui rap-porti tra funzioni gerarchiche di carattere reli-gioso e responsabilità direttive nel campo delleattività apostoliche, secondo il principio delladelega e della distinzione.

2.3. Si possono dare forme diverse di orga-nizzazione in situazioni obiettivamente diverse,ma è sempre indispensabile un progetto, che fis-si obiettivi, politiche, strategie. Occorre inoltreessere attenti ai tempi e ai modi della realizza-zione e verificarne i risultati.

2.4. Quando la struttura si sviluppa in impresaed esige l’assunzione di esterni, si proceda concautela, nel rispetto delle regole civili e sindaca-li, tenendo presente quanto fu stabilito al riguar-do dal V Capitolo generale (1986).

2.5. Si accolga la collaborazione dei laici(non necessariamente dipendenti in senso tecni-co) come un complemento necessario della no-stra formazione culturale e apostolica e un vali-do contributo all’efficacia apostolica delle no-stre iniziative. Non si trascuri il possibile ap-porto del volontariato, dei Cooperatori paolini,della vasta famiglia di Don Alberione.

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250 - Documento finale Seminario Editori

2.6. Si formino i membri paolini al rispettodel lavoro organizzato e delle sue regole, adot-tando una «tecnica d’inserimento» che consentala valutazione delle reali capacità di ciascuno el’assegnazione di compiti secondo la rispettivapreparazione e competenza.

2.7. Si elabori una Ratio formationis che ten-ga conto di queste esigenze come specificamentepaoline e ad esse adegui le varie tappe, fino allaformazione specifica.

SCELTE OPERATIVE

3.1. I settori apostolici propongono l’isti-tuzione di un Comitato tecnico, a cui partecipidirettamente il Governo generale, per promuove-re e coordinare i progetti e le opere a raggio in-ternazionale.

3.2. Quanto al rapporto con le Figlie di SanPaolo, invitiamo i Governi delle due Congrega-zioni a tutti i livelli ad incontrarsi, con la presen-za dei responsabili delle attività apostoliche,nell’intento di attuare una collaborazione almenosu problemi e progetti concreti.

3.3. Si metta allo studio l’ideazione e la rea-lizzazione di un marchio comune che caratterizzie identifichi in tutto il mondo l’immagine dellaSocietà San Paolo e di tutte le sue attività apo-stoliche.

Gruppo Audiovisivi

3.4. Il Governo generale piloti un decisoorientamento della Congregazione verso unmaggior impegno nel campo degli audiovisivi.Affinché ciò avvenga, si richiede che:

3.4.1. in ogni circoscrizione si elabori un pro-getto apostolico-formativo rispetto agli audiovi-sivi;

3.4.2. si delinei un progetto di Sampaolofilminternazionale;

3.4.3. l’apertura agli audiovisivi venga soste-nuta anche economicamente;

3.4.4. venga offerta una borsa di studio per loSPICS ad ogni circoscrizione povera;

3.4.5. il Fondo paolino aiuti le circoscrizionipiù bisognose a fornirsi degli strumenti base perla comunicazione (telex o telefax).

3.5. Si istituzionalizzi una riunione periodicadei responsabili d’apostolato, in ambito conti-nentale, così come avviene con l’EPLA perl’America Latina.

Gruppo Libri

3.6. La specificità del nostro apostolato edito-riale richiede un’organizzazione aperta ai pro-getti internazionali e un’efficiente conduzione alivello locale.

3.7. Questo principio impone la definizione dinorme che regolino i nostri rapporti interni a li-vello professionale, in collaborazione attiva trale varie Editrici paoline.

3.8. Si richiede pertanto l’impegno reciprocodi una informazione puntuale e rapida (cataloghi,schede informative, opere e progetti).

3.9. Deve essere curata una immagine unitariadell’editoria paolina, che si presenti alla FieraInternazionale del Libro di Francoforte comeGruppo.

Gruppo Periodici

3.10. S’impone una nuova e diversa sensibi-lità dei paolini, dal centro direzionale alla perife-ria (agenzie librarie, altre comunità), verso leesigenze proprie dell’editoria periodica, fondatasu ritmi inesorabili e precisi di produzione e sucapillari strutture di diffusione e promozione.

3.11. Si suggerisce di promuovere incontriperiodici dei responsabili delle testate delle rivi-ste, per scambi di esperienze e progettazione diiniziative comuni.

3.12. A medio termine, si suggerisce la crea-zione di una rete internazionale di corrispon-denti, con sedi attrezzate di telex e telefax, pos-sibilmente presso strutture paoline.

3.13. Per quanto riguarda l’Editoria Periodicaeuropea (che al momento interessa Portogallo,Spagna e Italia), si propone di creare una conso-ciata a tutti gli effetti, per una politica unitaria,centralizzata, e chiaramente definita, che pro-muova con precise strategie i periodici dei sin-goli Paesi. (Non è utopico pensare a una Fami-glia Cristiana settimanale nei tre Paesi, nonché aun Giornalino e ad un Jesus spagnolo e porto-ghese).

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D. Renato PERINOSuperiore generale

RINGRAZIAMENTI

A conclusione dei lavori dell’assemblea, la mattina, del 2 ottobre 1988, il Superiore generaleha pronunciato il seguente saluto.

Siamo nell’imminenza della celebrazione eucaristica, cioè dell’azione di grazie che si eleva alPadre per il Cristo che si interpone tra Lui e noi con la sua Parola, il suo Corpo e il suo Sangue. Credoche sia il contesto giusto dell’azione di grazie al Padre per il Cristo nello Spirito.

Ma senza dimenticare la mano materna di Maria, dell’Apostolo Paolo, di Don Alberione nostriispiratori e protettori.

È poi doveroso ringraziare d. Silvio Sassi che si è rivelato un prezioso, discreto e amabilmentefermo moderatore.

I vari relatori che si sono succeduti qui ad Ariccia come a Milano.D. Antonio Cesaro, amministratore sollecito e preciso.Le comunità di Milano-Periodici, di Cinisello Balsamo e di Alba per l’accoglienza.Questa comunità di Ariccia, tanto servizievole quanto pressoché nascosta.Le sorelle Pie Discepole per il servizio impagabile della cucina, della lavanderia e, certamente,

dell’adorazione quotidiana.D. Luigi Giovannini, efficientissimo segretario, con il suo staff di juniores.D. Carlo Recalcati per l’animazione liturgica e la sua preziosa funzione di maestro del coro.D. Giuseppe Di Corrado, per l’accoglienza non facile in Casa Generalizia e dintorni, nonché i

servizi logistici durante i trasferimenti.Fr. De Blasio, soccorritore di varie emergenze.I traduttori, a cui dobbiamo in gran parte se la Babele delle nostre lingue, grazie alla loro fatica,

ha cessato di essere una barriera insormontabile.Gli juniores addetti ai servizi vari; in particolare il ch. Gino Valeretto, per l’assistenza continua

agli aspetti tecnici dell’aula assembleare.E infine dobbiamo ringraziare gli organizzatori di questo Seminario, nella loro modesta veste

di coordinatori: fr. Bernardi e d. Aderico, anche se in qualche misura tutto il Consiglio generale hapartecipato.

Ma non dobbiamo dimenticare il nostro grazie e vivo compiacimento per le Figlie di San Paoloche ci hanno accompagnati durante tutto l’incontro.

La nostra gratitudine vada poi a tutte quelle comunità, ai fratelli e sorelle anziani e malati che,da mesi, hanno offerto la loro preghiera e la loro sofferenza per il buon esito di questo seminario.

E se qualcuno avessi dimenticato, non soltanto mi perdonerà, ma può star certo che nelmomento più intimo della nostra conclusione eucaristica, sarà in prima fila nel nostro mementodei vivi.

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NOTE BIO-BIBLIOGRAFICHE DEI RELATORI

ANDREATTA d. Stefano* 17/12/1944; professo paolino dal 1964; sacer-dote dal 29/06/1973. Ha conseguito la licenza inteologia. Attualmente è direttore di Jesus, VitaPastorale e Madre di Dio (che diresse già neglianni ’70); ha curato a lungo l’informazione reli-giosa su Famiglia Cristiana.

ANTA d. Francisco* 08/01/1936; professo paolino dal 1953; sacer-dote dal 05/07/1959. Superiore provinciale inSpagna per due mandati ed economo provincia-le, dal 1973 si interessa particolarmente dellapubblicazione e diffusione popolare della Bibbiapastorale prima in America Latina, poi per il re-sto del mondo.

BARBIERO dr. GuglielmoSessantenne; dottore commercialista; consulentein problemi di direzione e organizzazione di im-prese industriali; professore a Milano.

BARRANCO rag. GiuseppeResponsabile della società Concorde Eurofidu-ciaria, revisori contabili e consulenti.

BERNARDI fr. Francesco* 19/11/1942; professo paolino dal 1961; disce-polo perpetuo dall’08/09/1966. Ha frequentatoscuole di avviamento professionale. Responsa-bile tecnico dell’apostolato, è stato eletto Cons i-gliere generale dal 1980 al 1986; rieletto per unsecondo mandato nel 1986. È presidente delGruppo Periodici.

BETTATI d. Emilio* 02/05/1941; professo paolino dal 1963; sacer-dote dal 30/06/1969. Ha conseguito la licenza inteologia e ha avuto incarichi nella formazione.Dal 1974, come membro dell’«Ufficio Librerie»di Torino, si è interessato del coordinamento,animazione e promozione delle Librerie EP; dal1984 ha l’incarico di Direttore Commerciale.

COLACRAI d. Angelo* 27/08/1942; professo paolino dal 1963; sacer-dote dal 30/06/1969. Ha lavorato nella redazionedei periodici (Orizzonti) e dei libri EP, curandola pubblicazione di numerose opere. Ha lavoratonella Commissione Opera Omnia di Don Albe-rione; collabora regolarmente a Vita Pastoralecon articoli di argomento biblico; attualmente, èimpegnato nell’ufficio edizioni della Gran Bre-tagna e ha in corso la sua tesi per la licenza inScienze bibliche e la realizzazione del Vademe-cum alberioniano.

COMINI dr.ssa LauraHa 38 anni; è sposata e ha una figlia. È laureatain matematica all’Università Statale di Milano.Ha lavorato per dieci anni all’area marketing diSelezione dal Reader’s Digest e ha insegnato percinque anni all’università. È direttrice del mar-keting presso il Gruppo Periodici.

DEL COLLE dr. BeppeHa 57 anni; è nato a Torino; è sposato e ha duefigli; entrato nel giornalismo nel 1953 presso ilquotidiano Il popolo nuovo; ha lavorato poi allaGazzetta del popolo, a Stampa sera e alla Stam-pa e al settimanale Il nostro tempo; ha comin-ciato a collaborare con Famiglia Cristiana nel1954 divenendone caporedattore dal 1970 e vi-cedirettore dal 1981. Ha pubblicato con le EP ilvolume Olga e Gorbaciov, dedicato al Millenniodel Battesimo della Rus’.

ERMETI d. Eligio* 07/10/1945; professo paolino dal 1963; sacer-dote dal 29/06/1971. Ha conseguito la licenza inteologia. Dopo aver fatto esperienza nella reda-zione libri a Roma e nella SPF di Roma, ha fattoparte del Gruppo Periodici, curando la critica ci-nematografica su Famiglia Cristiana ed è statodirettore di antenna a Telenova; dal 1984 è di-rettore generale del Gruppo Audiovisivi.

FORTE d. prof. BrunoDocente alla Pont. Facoltà Teologica dell’ItaliaMeridionale Sez. S. Tommaso d’Aquino di Na-poli. Ha pubblicato diverse opere presso le EP eha partecipato già a numerosi incontri della Fa-miglia Paolina (ad es. il Convegno su Gesù Mae-stro del 1984 e il V Incontro dei Governi gene-rali del 12-20/09/1987, dove parlò sul tema Sa-cerdozio ministeriale e sacerdozio dei fedeli inrapporto all’evangelizzazione).

GIACOMELLI sr. Barbara* 27/12/1935; professa paolina (FSP) dal 30/06/1960. Ha lavorato a lungo nella redazione delleschede filmografiche della Sampaolo Film; hapubblicato sull’argomento numerosissimi artico-li. È direttrice della Commerciale delle FSP.

LONGHI dr. SandroConsigliere delegato di Concorde EuropeenneFormation s.r.l.; consulente di direzione e orga-nizzazione aziendale di Concorde Eurofiducia-ria s.r.l.; docente dell’Associazione Italiana diStudio del lavoro; già direttore organizzazione,personale ed informatica nel Gruppo Pirelli aBruxelles e a Buenos Aires.

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254 - Note bio-bibliografiche dei relatori

LORSCHEIDER card. Aloisio* 08/10/1924 a Linha Geraldo (Brasile); profes-so minore francescano; sacerdote dal 1948, ve-scovo a Santo Angelo dal 1962 e arcivescovo aFortaleza dal 1973, cardinale dal 1976; membrodella Congr. per i Religiosi.

MINNELLA dr. CorradoHa 45 anni; è sposato con due figli. Ha conse-guito la laurea in fisica nucleare e Master allaHarvard Business School. È entrato alla SanPaolo Gruppo Periodici nel marzo 1981 con laresponsabilità della Divisione Commerciale, cuiha aggiunto nel febbraio 1984 la responsabilitàdella Publiepi (organizzazione che vende glispazi pubblicitari).

PERINO d. Renato* 20/01/1920; professo paolino dal 1937; sacer-dote dal 28/10/1945. Dopo essere stato Vicariogenerale, è stato eletto Superiore generale nel1980 e confermato per un secondo mandato nel1986. Ha fatto una lunga esperienza in campoformativo e ha vissuto diversi anni nel mondolatino-americano.

PIERINI d. Franco* 21/09/1931; professo paolino dal 1954; sacer-dote dal 07/07/1957. Laureato in storia dellaChiesa (con una tesi su Gramsci); insegna al Se-raphicum; ha fatto esperienza giornalistica (aOrizzonti) e curato diversi libri EP; apprezzatoconferenziere e divulgatore (articoli e contributia numeri speciali di Famiglia Cristiana e Jesus).Sta pubblicando un’ampia Patrologia.

QUINTA d. Manoel* 25/08/1951; professo paolino dal 1974; sacer-dote dal 02/07/1980; risiede a São Paulo delBrasile/Casa Provinciale, con l’incarico di Di-rettore del Dipartimento Editoriale delle EdizioniPaoline del Brasile. Ha conseguito la licenza inteologia dogmatica presso la Gregoriana di Ro-ma e la licenza in filosofia presso l’università deigesuiti di São Paulo.

REGAZZO d. Danilo* 01/10/1942; professo paolino dal 1963; sacer-dote dal 30/06/1969. Dopo aver conseguito la li-cenza in teologia, ha frequentato studi di mate-matica e dal 1973 ha operato nell’amministra-zione del Gruppo Libri.

ROCCA d. Giancarlo*26/07/1938; professo paolino dal 1956; sacer-dote dal 07/07/1963. Licenziato in teologia. Hadiretto Madre di Dio. Direttore del monumen-tale Dizionario degli Istituti di Perfezione. Ha

scritto La formazione della Pia Società SanPaolo (1914-1927). Appunti e documenti peruna storia, Roma 1982 e il volume (in coll. conD. Ranzato) 50 anni di una presenza pastorale.Le Suore di Gesù Buon Pastore 1938-1988.

SASSI d. Silvio* 10/07/1949; professo paolino dal 1967; sacer-dote dal 29/06/1977. Diplomato presso l’Écolede Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigie licenziato in teologia. Direttore dello SPICS.Collabora regolarmente a Vita Pastorale su cuicura una rubrica relativa ai rapporti tra mass me-dia e annuncio evangelico.

SCIORTINO d. Antonio* 28/07/1954; professo paolino dal 1974 e sa-cerdote dal 29/09/1980 come suo fratello d. Giu-seppe (* 08/04/1953), che opera nel Gruppo Li-bri e ha conseguito come lui la licenza in teolo-gia. Ha frequentato la Cattolica di Milano. Hacollaborato al CISF (Centro Intern. Studi Fami-glia) e al periodico Famiglia oggi; dal 15 luglio1988 è condirettore di Famiglia Cristiana.

SORGE p. BartolomeoGesuita. Laureato in scienze politiche e in teolo-gia; ex-direttore di Civiltà Cattolica negli anni incui è stato un punto di riferimento per il rilanciodella presenza culturale dei cattolici italiani (1°convegno ecclesiale su Evangelizzazione e pro-mozione, umana); adesso dirige il Centro di Stu-di Sociali «P. Arrupe» di Palermo.

TARZIA d. Antonio* 27/11/1940; professo paolino dal 1963; sacer-dote dal 30/06/1969. Laureato in lettere all’Univ.di Milano. Dopo avere operato nella SampaoloFilm e nel Gruppo Periodici (è stato direttore diJesus e coordinatore della serie di supplementibiblici e di storia della Chiesa), è divenuto di-rettore generale delle Edizioni Paoline e delGruppo Libri.

ZEGA d. Leonardo* 19/04/1928; professo paolino dal 1945; sacer-dote dal 24/01/1954. Trascorsi alcuni anni nelleFilippine, è stato collaboratore di d. Zilli, cui èsucceduto nel 1980 come direttore di FamigliaCristiana. È Direttore generale del Gruppo Pe-riodici.

ZENZALARI fr. Angelo* 23/04/1951; professo paolino dal 1970; disce-polo perpetuo dall’08/09/1976. Diplomato intecniche grafiche (1975) e in visual design aMilano. Responsabile della grafica della Com-merciale EP.

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I N D I C E G E N E R A L E

Presentazione, di d. Renato Perino, Superiore generale 3Programma 5Partecipanti al Seminario Internazionale Editori Paolini: Indirizzi 7

Relatori (non partecipanti) 9Collaboratori (non partecipanti) 9Telex, telefax 10

Relazioni

Renato Perino, Introduzione al Seminario Internazionale per gli Editori della SSP 13Giancarlo Rocca, I concetti di editore - editoria - edizione in Don Giacomo Alberione 25Franco Pierini, Come è nata l’editoria di Don Alberione e come si è sviluppata 39Bartolomeo Sorge, Quale rapporto tra fede e cultura per una nuova evangelizzazione 55Aloisio Lorscheider, Evangelizzare in una Chiesa concreta 61Bruno Forte, Che cosa significa evangelizzare ? (Aspetto teologico) 69Silvio Sassi- SPICS, Contesto comunicativo mediale e presenza cristiana 83Manoel Quinta, Politiche di un’editoria paolina 96Antonio Tarzia, Politica editoriale paolina 101Stefano Andreatta, Per una politica dei periodici 104Eligio Ermeti, La politica editoriale audiovisiva in Italia 108Giuseppe Barranco, Organizzazione e gestione aziendale

- Regole generali di conduzione di un’impresa 111Emilio Bettati, Il mercato: princìpi di valutazione e di intervento 116Danilo Regazzo, I servizi. Data processing ed amministrazione

come elementi fondamentali di supporto 120Eurisko & Laura Comini, Ricerca sull’immagine della Società San Paolo in Italia 125Antonio Sciortino, Commento sull’inchiesta dell’immagine 145Barbara Giacomelli, Librerie Edizioni Paoline - “Alta definizione” in cerca d’autore 149Leonardo Zega, L’assunzione dell’impresa e delle sue regole come strumento di apostolato 154Francesco Bernardi, La collaborazione dei laici nella Società San Paolo 159Beppe Del Colle, Collaborazione dei laici 164Corrado Minnella, Il processo decisionale 168Renato Perino, La missione paolina integrata nella nostra vita religiosa 170SPICS & Laura Comini, Questionario sull’attività apostolica della Società San Paolo

- Risultati e analisi 177Sandro Longhi & Concorde Europeenne Formation, Modello di un’editoria internazionale 185Francesco Anta, Società Biblica Cattolica Internazionale 200Angelo Colacrai, Ezechiele Pasotti & Wojtek K., Proposta per un’informazione

più sistematica tra editori paolini 204Angelo Zenzalari, L’immagine dell’editoria paolina vista attraverso i suoi segni grafici 207

Lavori di gruppo

Lavori di gruppo del 18 settembre 1988 223Lavori di gruppo del 19 settembre 1988 226Lavori di gruppo del 22 settembre 1988 228Lavori di gruppo del 24 settembre 1988 233Lavori di gruppo del 26 settembre 1988 236Lavori di gruppo del 28 settembre 1988 238

Conclusioni

Silvio Sassi, Sintesi del Seminario a servizio dei lavori finali di gruppo 243Documenti finali dei tre settori di apostolato 245Documento finale 249Renato Perino, Ringraziamenti 351Note bio-bibliografiche dei relatori 253

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Composizione e stampa:

Casa Generalizia SSP - via della Fanella, 39 - 00148 RomaTelefono (06) 5146241 - Telex 623888 Paulus I - Telefax (06) 5222326

Gennaio-febbraio 1989 - Uso manoscritto