Atti Convegno Pisa 18.07.2013

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Atti del Convegno

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©Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Proprietà letteraria riservata ISBN 978-88-909105-0-0 Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Via Crescenzio, 2 – 00193 – Roma http://osservatorioamianto.jimdo.com/ Email [email protected] Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% del volume. Sono vietate in tutti i Paesi la traduzione, la riproduzione, la memorizzazione elettronica e l’adattamento, anche parziali, con qualsiasi mezzo effettuate, per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale senza la specifica autorizzazione dell’Editore.

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Atti del Convegno

Amianto tra scienza e diritto

Pisa, 18.07.2013

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali

Prima edizione: 30 settembre 2013

ISBN 9788890910500

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Organizzazione del Convegno

Comitato Scientifico

Ezio Bonanni Michele Rucco

Segreteria Organizzativa

Tommaso Frendo

Francesco Paolicchi Francesco Parri

Atti a cura di

Lorenza Fiumi Michele Rucco

Hanno contribuito alla realizzazione dell’iniziativa Giovanni Aiello

Anna Corbi

Diletta Gherardini Chiara Puglisi

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Programma dei lavori

Indirizzi di saluto

Ezio Bonanni (Presidente nazionale ONA Onlus)

L'evoluzione delle conoscenze scientifiche e delle normative nazionali in materia di amianto pag. 1

Michele Rucco (Segretario nazionale ONA Onlus)

L’Osservatorio Nazionale Amianto e la sua mission pag. 10

Tommaso Frendo (Coordinatore Comitato ONA Pisa)

L’esperienza dell’ONA nella città di Pisa quale spunto per una riflessione giuridica pag. 21

La testimonianza delle vittime

Massimiliano Posarelli pag. 24

Franco Berti pag. 26

Relazioni Ombretta Melaiu (Ricercatrice presso l’Unità di Ricerca di Genetica del

Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa)

Le ultime acquisizioni scientifiche in materia di mesotelioma pag. 28

Pietro Sartorelli (Ordinario di Medicina del Lavoro presso la Facoltà di

Medicina dell’Università di Siena)

La sorveglianza sanitaria degli ex esposti all’amianto pag. 37

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Maurizio Ascione (Pubblico Ministero presso la Procura della

Repubblica di Milano)

Le tecniche investigative del Pubblico Ministero nei casi di malattie asbesto correlate di sospetta origine professionale pag. 44

Paolo Rivella (Commercialista Consulente della Procura della

Repubblica di Torino, Milano, Trieste)

Le individuazioni dei responsabili civili e penali pag. 66

Lorenza Fiumi (Ricercatrice CNR, membro del Comitato Tecnico

Scientifico dell’ONA)

La mappatura delle coperture in cemento-amianto pag. 71

Mario Item (Avvocato in Lugano, membro del Comitato Centrale e

Presidente Regione Lombardia della LIDU - Lega dei Diritti dell’Uomo)

Il riconoscimento delle sentenze straniere in Svizzera pag. 80

David Husmann (Avvocato in Zurigo e difensore delle vittime dell’amianto

nel Processo Eternit)

L’esecuzione del risarcimento pag. 84

Paolo Pitotto (Medico del Lavoro e Consulente della Procura della

Repubblica di Milano)

La medicina e la tutela della salute nel rapporto di lavoro pag. 86

Presiede Ezio Bonanni (Presidente nazionale ONA Onlus)

Modera Michele Rucco (Segretario nazionale ONA Onlus

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Documenti consegnati ai partecipanti

Ezio Bonanni

Trattato di Lisbona. Nuove fonti normative e tutele nel diritto del lavoro

Francesco Paolicchi

Amianto: fra patologia umana e patologia vegetale Francesco Parri

La bonifica dell’Amianto – Tecniche di rimozione

Chiara Puglisi

La gestione della malattia professionale nel sistema assicurativo pubblico

Giancarlo Ugazio

Cosa si sa sull’amianto e cosa si dovrebbe fare Scheda di presentazione dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Copia dell’Attestato di Partecipazione

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RELAZIONI

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 1

Sintesi della evoluzione delle conoscenze scientifiche e delle

normative nazionali in materia di amianto e le prospettive di

un nuovo approccio risolutivo del problema

Ezio Bonanni

Patrocinante in Cassazione

Via Crescenzio, n. 2, 00193 – Roma, tel. 0773-663593, fax. 0773-470660,

e-mail: [email protected] ; www.eziobonanni.it

Risalire dalle prime fonti scientifiche, tecniche e normative, che facevano emergere in

modo incontrovertibile, fin dalla fine del XIX secolo, la capacità dell’amianto di ledere

la salute umana e l’ambiente, per giungere fino alle ultime acquisizioni e pronunce

giurisprudenziali, e quindi ad un approdo che permetta di risolvere il problema,

conciliando le differenti posizioni in campo, troppo spesso contrastanti, perché alcune

delle quali non sono sempre nobili, è un dovere prima che giuridico, etico e morale.

Con il presente lavoro ci si propone di illustrare i termini e le modalità con cui

perseguire questo risultato.

La legge n. 80 del 17.03.1898 (G.U. n. 175 del 31.03.1898) e dall’ l’art. 7 del R.G.

(G.U. n. 148 del 26.06.1899), hanno sancito l’obbligo dell’adozione dei presidi di

protezione individuale per la difesa dalle polveri, quindi hanno enfatizzato il ruolo

“dell’ approccio protezionistico” che non agisce eliminando, o almeno riducendo quasi

a zero, il rischio esterno ma interviene amplificando il ruolo primario di protezione

attiva da parte del “Soggetto” oggetto del danno.

La giurisprudenza più recente, al contrario, ha esaltato “l’approccio prevenzionistico”,

dichiarando legittimo il sequestro finalizzato ad impedire la perpetrazione di un’attività

«priva di qualsivoglia forma di cautela o di misura precauzionale funzionale alla

sicurezza e all’incolumità dei lavoratori impiegati» ed ha stabilito che “è legittimo il

sequestro preventivo dell’intera struttura aziendale nel caso in cui serva a

impedire la prosecuzione del reato” (Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21.03.2013)

24.04.2013, n. 18603).

Sussistono dunque due estremi, rispetto ai quali occorre domandarsi: esiste un punto

dell’arco dell’evoluzione scientifica, tecnica e normativa che consenta di individuare

una soluzione conciliativa dei due contrastanti interessi, rispettivamente rappresentati da

un lato dal “Profitto” a tutti i costi, privo di qualsiasi tratto di sensibilità ed attenzione

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umana, e dall’altro dalla protezione della salute dei lavoratori, che è un dovere

costituzionale prioritario per qualsiasi Imprenditore?

“L’Organizzazione è, soprattutto, una struttura sociale. E’ l’insieme degli individui che

ne fanno parte. Il suo scopo deve perciò essere quello di valorizzare i punti di forza

degli individui e rendere irrilevanti le loro debolezze” (Peter F. Drucker 1993), e

“l’unica fonte di vantaggio competitivo sostenibile è imparare più velocemente della

concorrenza, focalizzandosi su alcune competenze distintive in cui si raggiunge

l’eccellenza” sostiene Pagani (1999), con lo Stato e le altre istituzioni che disegnino il

quadro e dettino le regole, e siano capaci di essere arbitri imparziali ed autonomi.

Sono questi i principi fondanti della “Organizzazione basata sulla conoscenza” di G.

Iacono (Ed. F.Angeli -2002), con i dovuti correttivi, che siano capaci di salvaguardare la

dignità della persona umana e i suoi inalienabili diritti, per assicurare uno sviluppo

globale ed armonico.

Per tali ragioni, anche se si volesse prescindere dal dettato della Dottrina Cristiana “Ama

il Prossimo Tuo come te stesso”, oggi più che mai, l’interesse prioritario di un

Imprenditore illuminato e lungimirante, dovrebbe essere rappresentato dalla protezione

del vero patrimonio imprenditoriale: cioè il “Personale” con le competenze, capacità,

conoscenze ed abilità possedute e che riesce a mettere in campo: E’ questa la vera

ricchezza di un’azienda. Sono queste le leve che garantiscono il vero vantaggio

competitivo rispetto ai “Competitors”. Non già le dimensioni dei fabbricati, la

sofisticazione delle tecnologie e degli impianti, che da sole possono solo costituire un

contenitore vuoto.

Per costruire un nuovo patrimonio di competenze avanzate sono necessari decenni, per

distruggerlo è sufficiente poco tempo, ci si augura allora che, ammesso che esista come

la realtà purtroppo dimostra, si assottigli, o possa essere emarginata dal mercato, la

categoria degli Imprenditori “Stupidi”, cioè persona che causa un danno ad un’altra

persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od

addirittura subendo una perdita, e prevalga la categoria degli Imprenditori

“Intelligenti”, persona che compie un’azione dalla quale ottiene un vantaggio e nello

stesso tempo procura un vantaggio anche ad altri ( secondo la classificazione di M.

Cipolla), anche grazie ad uno Stato arbitro forte ed indipendente, e l’abbattimento di

ogni forma di monopolio

Le quattro categorie di persone

Sprovveduti: Persone che con il loro agire

danneggiano se stesse mentre producono un

vantaggio per qualcun altro.

Intelligenti: Persone le cui azioni avvantaggiano loro

e anche gli altri.

Banditi: Persone che agiscono in modo da trarne

vantaggio ma danneggiare gli altri.

Stupidi: Persone che agiscono in modo da causare un

danno a un’altra persona o gruppo di persone senza

realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura

subendo un danno.

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Se questa selezione non avviene per il prevalere dei sani valori, intrinseci al DNA

dell’uomo purtroppo sempre più obnubilato dalla fame del profitto, c’è da augurarsi che

si realizzi non attraverso un massiccio utilizzo in chiave repressivo-sanzionatoria del

diritto penale (come avvenuto, tardivamente, per il caso Eternit, con la condanna di

Stephan Schmidheiny a 18 anni di reclusione, o per il caso Ilva), bensì attraverso un

nuovo e diverso approccio di composizione degli interessi, secondo i principi

dell’economia sociale di mercato, con le pubblichi istituzioni, arbitri imparziali ed

autonomi, capaci di disegnare un quadro chiaro e coerente, di regole stringenti ed

efficaci, che dovranno essere fatte rispettare in modo efficiente, con adeguate sanzioni

in caso di inadempimento, in coerenza con i valori costituzionali (artt. 2, 3, 32, 35, 36 e

41, II comma).

In attesa che l’evoluzione tecnico-giuridico-normativa possa raggiungere questo

approdo, si impone un coraggioso atto transattivo che governi la transizione che si sta

vivendo, per proteggere fin da subito quello che comunemente è ritenuto “l’anello più

debole” della catena imprenditoriale, mentre in realtà è il fattore aziendale più prezioso

che ogni Datore di lavoro Intelligente deve saper proteggere:“la Risorsa Umana”,

intesa nel senso etimologico della parola cioè sorgente dalla quale sgorga la ricchezza di

una qualsiasi Azienda.

Se veramente tale visione divenisse realtà, e guidasse le pubbliche istituzioni, e tutti gli

apparati dello Stato e degli altri enti, nell’esercizio delle rispettive funzioni,

evidentemente non staremmo qui a dibatterci nel tortuoso percorso del labirinto

giurisprudenziale che di seguito andiamo ad analizzare, e si potrebbe risolvere il

problema amianto nel nostro paese (e nel resto d’Europa), con la prospettiva di salvare

decine di migliaia di vite umane, invece destinate a soccombere per l’immobilismo delle

pubbliche istituzioni e per la incapacità di approcciare a proposte costruttive e moderne

dei vari interlocutori.

Il Tribunale di Torino (proc. n. 1197/1906), rigettava la domanda risarcitoria di Bender

e Martiny e The British Asbestos Company Limited nei confronti dell’Avv. Carlo Pich e

del gerente Arturo Mariani, redattori de “Il progresso del Canavese e delle Valli di

Stura”, edito a Ciriè, poiché negli articoli non c’era nulla di falso in quanto quella

dell’amianto è “fra le industrie pericolose […] le particelle […] vengono a ledere le vie

delli apparati respiratorii, […] fino al polmone, predisponendole allo sviluppo della

tubercolosi, facilitandone la diffusione aumentandone la gravità”. La decisione venne

confermata con la Sentenza n. 334 del 28.05.1907 della Corte di Appello di Torino,

poiché “la lavorazione di qualsiasi materia che sprigioni delle polveri [...] aspirate

dall'operaio, sia dannosa alla salute, potendo produrre con facilità dei malanni, è

cognizione pratica a tutti comune, come è cognizione facilmente apprezzabile da ogni

persona dotata di elementare cultura, che l'aspirazione del pulviscolo di materie

minerali silicee come quelle dell'amianto [...] può essere maggiormente nociva, in

quanto le microscopiche molecole volatilizzate siano aghiformi od almeno filiformi ma

di certa durezza e così pungenti e meglio proclivi a produrre delle lesioni ed alterazioni

sulle delicatissime membrane mucose dell'apparato respiratorio”. Il regio decreto 442

del 14.06.1909 includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o

pericolosi. Benedetto Croce, in data 11.06.22 presentò al Senato del Regno la proposta

di legge n. 778 “per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare

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interesse storico”, che “civiltà moderna si sentì il bisogno di difenderle, per il bene di

tutti … che danno all’uomo entusiasmi spirituali così puri e sono in realtà ispiratrici di

opere eccelse”. Il Regolamento generale per l’igiene del lavoro (R.D. n.530 del

14/4/1927, Approvazione del regolamento generale per l’igiene del lavoro, G.U.

25/4/1927 n. 95) ha dettato norme di prevenzione e protezione e per le polveri all’art. 17

per disporne l’aspirazione e limitarne la diffusione nell’ambiente e la protezione degli

operai anche con dispositivi individuali. La convenzione n. 18 del 19.05.1925, ratificata

con R.d.l. 1792 del 04.12.33 (G.U. 10.01.1934) estendeva l’assicurazione sociale anche

alle malattie professionali, che così venivano indennizzate, e la convenzione n. 19 del

19.05.25, ratificata con L. n.2795 del 29/12/1927 (G.U. n.38 del 15/5/1928), ne sanciva

il riconoscimento anche ai lavoratori stranieri, unitamente agli infortuni sul lavoro,

coerentemente alla raccomandazione n. 24 del 19.05.1925 emanata dall’Organizzazione

Internazionale del Lavoro, avente ad oggetto l’indennizzo della malattie professionali

(L’assurance-maladie - BIT, L’assurance-maladie, n. 4, Genève 1925). “E’ … certo ed

incontestabile che l’integrità personale dell’uomo e la sua salute (sommi beni che

trascendono dalla sfera dell’individuo per assurgere ad importanza sociale, come

necessaria premessa della conservazione e del miglioramento della specie) sono

protette non soltanto dal contratto, ma altresì da numerose leggi di pulizia sanitaria e

perfino dal Codice Penale” (Corte di Cassazione Civile, Sentenza n. 2107 del

28.04.1936, pubblicata il 17.06.1936), e “le forme assicurative predisposte per

garantire gli operai contro talune malattie professionali tassativamente elencate, non

dispensano i datori di lavoro dall’obbligo contrattuale di usare la dovuta diligenza

nella propria azienda, per evitare danni ai lavoratori (anche se compresi nella

previdenza assicurativa), adottando tutti i mezzi protettivi prescritti o suggeriti dalla

tecnica e dalla scienza. Il dovere di prevenzione, che l’art. 17 r.d. 14 aprile 1927, n.

530, sull’igiene del lavoro, impone per il lavoro che si svolga in ‘locali chiusi’ va

osservato in tutti quei casi in cui il luogo di lavoro, pur non essendo completamente

chiuso, non sia tale da permettere comodamente e senza pericolo la uscita dei vapori e

di qualsiasi materia nociva”: la colpa risiede nell’assenza di “aspiratori” in “locali non

perfettamente chiusi” e di “maschere per i lavoratori” e nella negligenza e imprudenza

rispetto all’“allarme dato dagli scienziati” sulla pericolosità delle polveri (Cass. Sent. n.

682 del 20.01.1941, pubblicata il 10.03.1941, Soc. acciaierie elettr. c. Panceri); poiché

per le “malattie professionali non garantite da assicurazione obbligatoria il datore di

lavoro non può esimersi da responsabilità se l’evento dannoso si sia prodotto per sua

colpa” (Corte di Cassazione, Sentenza 17.01.1941, Soc. off. elettroferro Tallero c.

Massara), né può costituire un esonero il fatto che “gli operai non avevano mai

denunziato disturbi […] perché la silicosi insidia insensibilmente l’organismo del

lavoratore fino alle manifestazioni gravi che causano l’incapacità al lavoro sicché il

lavoratore non è in grado di accorgersene in precedenza”, poiché l’art. 2 del r.d. 530

del 1927, “prescrive al datore di lavoro di avvertire preventivamente il lavoratore del

pericolo, di indicargli i mezzi di prevenzione adatti” e l’art. 17 “prescrive l’aspirazione

della polvere immediatamente vicino al luogo ove viene prodotta” (Corte di Cassazione,

II^ Sezione Civile, Sentenza n. 686 del 17.01.1941), cui corrisponde la norma di

chiusura di cui all’art. 2087 c.c. (r.d. 16.03.1942, n. 262), con la quale si impone

all’imprenditore di “adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la

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particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità

fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Il 25.01.1943 il Ministro delle

Corporazioni presentava presso la Camera il disegno di legge n. 2262 per l’“estensione

dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali alla silicosi ed

asbestosi”, “scopo 1. proteggere … in sede di prevenzione tecnica … i lavoratori,

tracciando e imponendo agli imprenditori un piano razionale e completo di

prevenzione; 2. tutelare la salute dei lavoratori entrando con decisione nel settore delle

malattie polmonari”, con l’indennizzo per i lavoratori, che fu approvato con la l. 455

del 12.04.1943. La Costituzione della Repubblica Italiana del 01.01.1948, “tutela la

salute come fondamentale diritto dell’individuo, interesse della collettività” (art. 32).

La raccomandazione ILO n. 97 del 04.06.1953, e le norme costituzionali sono

contraddette dalla circolare n. 91 del 14.09.1961 il Ministero dell’Interno, Direzione

Generale, Servizi Antincendi, che consiglia l’utilizzo di intonaco di amianto, per

proteggere contro il fuoco i fabbricati a struttura in acciaio destinati ad uso civile.

L’amianto, fino ad allora utilizzato in maniera marginale e limitata, divenne

paradossalmente di uso comune fino ad essere impiegato in oltre 3000 applicazioni, nei

siti lavorativi, e in edilizia, senza alcun limite di soglia. Anche se Selikoff aveva

sottolineato la sinergia moltiplicativa tra fumo e amianto già dal 1978, in Italia né i

datori di lavoro né il Monopolio di Stato in ordine al tabacco hanno messo in guardia

contro di essa le persone che sono o sono state esposte all’amianto. La Direttiva

477/83/CEE, “sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l’esposizione

all’amianto durante il lavoro”, non fu recepita, e la Repubblica Italiana venne

condannata dalla Corte di Giustizia con la decisione del 13.12.90 (in seguito alla

procedura di infrazione n. 240/89 promossa dalla Commissione Europea). Soltanto con

le norme di cui agli artt. 24 e 31 del D.L.vo 277/1991 e con la l. 257/92 (Norme relative

alla cessazione dell'impiego dell'amianto) ci fu una effettiva svolta legislativa, pur nella

loro sostanziale e perdurante disapplicazione, tanto che il Pretore di Torino con

Sentenza del 05.05.1995 riconosceva il nesso causale tra la violazione delle norme di

prevenzione e il mesotelioma pleurico insorto in seguito all’inalazione di fibre di

amianto e successivamente sempre il Pretore di Torino, con la Sentenza 3308/98

(Giudice Dott. Vincenzo Ciocchetti), nell’accogliere la domanda di accredito

contributivo in favore di un lavoratore esposto all’amianto al quale l’ente previdenziale

aveva rigettato la richiesta, affermava: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Nullo

…” (Dante, Purgatorio, XVI, 96-98), richiamando altresì il gran numero di patologie

asbesto correlate, per le quali ogni anno perdono la vita soltanto in Italia non meno di

5.000 persone.

La Corte di Appello di Torino, con Sentenza del 03.06.2013, ha confermato la condanna

di Stephan Schmidheiny per le ipotesi di reato che gli erano state contestate, portando la

pena a 18 anni di reclusione, e pendono innanzi a diversi uffici giudiziari decine e

decine di procedimenti penali che vedono sul banco degli imputati, a vario titolo,

amministratori, titolari delle posizioni di garanzia, con le società chiamate ad assumere

la responsabilità civile del loro operato.

Sono altresì pendenti migliaia di procedimenti civili per il risarcimento dei danni

patrimoniali e non patrimoniali, delle vittime e dei loro familiari, anche per i danni

direttamente subiti, per lesione alla salute dei congiunti.

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L’INAIL indennizza soltanto il danno biologico e il danno patrimoniale per diminuite

capacità di lavoro, con franchigia, e con il D.M. 09.04.2008, sono state aggiornate le

tabelle, e sono quindi considerate malattie asbesto correlate con presunzione di origine

professionale: a) le placche e ispessimenti pleurici con o senza atelettasia rotonda; b) il

mesotelioma pleurico; c) il mesotelioma pericardico; d) il mesotelioma peritoneale; e) il

mesotelioma della tunica vaginale del testicolo; f) il carcinoma polmonare; g)

l’asbestosi; h) la fibrosi polmonare, “associate ad altre forme morbose dell'apparato

respiratorio e cardiocircolatorio” (art. 4, l. 780/75).

Il tumore alla laringe (c32) è inserito nella II lista, quella relativa alle malattie la cui

origine lavorativa è di limitata probabilità, mentre i tumori gastro-enterici (c15 -

c20), nella III lista, quella relativa alle malattie la cui origine lavorativa è possibile.

Il sistema tabellare è stato così definitivamente superato, e quindi si è affermato il

principio complementare dell’onere della prova a carico del prestatore d’opera che può

ottenere l’indennizzo “anche per le malattie sia comunque provata la causa di lavoro”

(Corte Costituzionale, Sentenze n. 179 del 18.02.88, e n. 206 del 25.02.88).

Per queste ultime, la cui origine professionale è ritenuta solo probabile e/o possibile, e

per le altre patologie di sospetta origine professionale per esposizione a polveri e fibre

di amianto, non sussiste la presunzione legale di origine, e il lavoratore, ove ritenga di

volerne ottenere il riconoscimento della natura professionale deve dimostrare il nesso

causale (debole o debolissimo, o al più sul principio del più probabile che non), che

invece per quelle inserite nelle tabelle si presume.

Le vittime primarie possono chiedere il risarcimento dei danni differenziali e

complementari, rispetto a quanto indennizzato dall’INPS, direttamente al datore di

lavoro e personalmente ai titolari delle posizioni di garanzia, e anche i loro familiari

possono domandare il risarcimento dei danni direttamente sofferti, e in caso di decesso

dei loro congiunti, l’integrale risarcimento anche iure hereditario.

Ogni anno in Italia si contano circa 5.000 nuovi decessi per patologie asbesto correlate

e, purtroppo, il trend è in aumento, e nella migliore delle ipotesi è destinato a rimanere

invariato per decenni, anche perché con la l. 257/92, avente ad oggetto “Norme relative

alla cessazione dell'impiego dell'amianto”, non è stato codificato un chiaro obbligo di

bonifica degli ambienti di vita e di lavoro, che ancora a distanza di più di 20 anni dalla

sua entrata in vigore, rimangono in larga parte contaminati, con il decorso del tempo che

favorisce l’aerodispersione delle fibre, anche dai materiali compatti, quindi con

prolungamento dei tempi di esposizione di coloro che lo sono stati già nel passato e con

una platea di nuovi esposti, comunque a rischio, in assenza di una soglia al di sotto della

quale il medesimo può ritenersi nullo (come confermato dall’undicesimo considerando

della direttiva 148/09/CE e da tutti i più autorevoli scienziati).

Solo la prevenzione primaria, con la bonifica e la messa in sicurezza degli ambienti di

vita e di lavoro, rispetto al rischio amianto e di tutti gli altri agenti cancerogeni, così

rimosso alla radice, nella più autentica trasposizione ed applicazione del precetto di cui

all’art. 32 della Costituzione, tutela effettivamente la salute e con essa ogni altro diritto

della persona, ed è in grado di preservare l’ambiente, donandolo integro alle future

generazioni, e l’essere umano, la dignità del singolo, unico e sempre diverso, come

creatura di Dio, dotata di dignità spirituale e soprannaturale, centro dell'ordine

economico, sociale, politico, insieme alla sua famiglia, come insegna il Cattolicesimo

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liberale: perciò l'uomo ha diritto alla salute, alla salubrità dell’ambiente, alla vita

religiosa, al lavoro, alla famiglia, all'uso dei beni materiali, alla proprietà, al giusto

salario, alla libertà, alla partecipazione alla vita dello Stato, all'istruzione, alla

collaborazione nella produzione della ricchezza e il lavoro deve essere visto "nel quadro

più ampio di un disegno divino" e del rispetto dei diritti fondamentali, utile ai "singoli

alla realizzazione dello scopo fondamentale della loro vita", mentre "l’impegno

dell’occupazione di tutte le forze disponibili è un dovere centrale dell'azione degli

uomini di governo, politici, dirigenti sindacali ed imprenditori" (Giovanni Paolo II) e le

"le autorità responsabili" sono preposte perché mettano mano ai provvedimenti

necessari a garantire ai lavoratori la giusta retribuzione e la stabilità (Giovanni Paolo II)

e lo Stato deve essere una società organizzata, dove è garantita la convivenza civile, le

giuste libertà individuali e sociali e la giustizia, nel perseguimento del bene comune,

dell'intera comunità e non di un gruppo a detrimento delle legittime esigenze degli altri,

e rispettando la libertà dell’individuo, che non sussiste ove gli venga negata la salute, e

di più ove venga posto davanti all’inaccettabile dilemma di decidere se mantenere il

lavoro e ammalarsi, oppure tutelare la salute e rimanere disoccupato e quindi privo dei

mezzi di sussistenza per lui e per la sua famiglia e negata la sua dignità, che nel lavoro

ha il suo punto di massima espressione.

Occorre evitare ogni forma di esposizione a polveri e fibre di amianto e ad altri

cancerogeni, proprio perché non ci sono limiti al di sotto dei quali il rischio si annulli, e

poiché anche una dose, piccola, straordinariamente piccola, può cagionare l’insorgenza

del mesotelioma (Selikoff "Asbestos and disease" del 1978, nel quale egli afferma

testualmente “the trigger dose may be small, in some cases extraordinarily so” –

Selikoff, Abestos and Disease, Accademy Press 1978, Relationships – second criterion,

p. 162) e perché il processo cancerogeno è il risultato della sommatoria di diverse

esposizioni, che agiscono in sinergia e potenziano il loro effetto (facendo aumentare il

rischio di insorgenza della patologia e comunque abbreviando i tempi di latenza, e

quindi le aspettative di vite della vittima - Mutti ed altri).

La vita umana, la tutela della salute e dell’ambiente, sono riassunte nella profondità del

Mistero dell’Incarnazione, come Giovanni ebbe modo di scrivere nel Prologo del suo

Vangelo: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la

sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (1, 14) e la

nascita di Gesù attua l’Incarnazione del Verbo Eterno, consustanziale al Padre: il Verbo

che prima era presso Dio, per mezzo del quale è venuto in essere tutto ciò che esiste; il

Verbo nel quale era la vita, vita che era la luce degli uomini (cf. 1, 1-5), anche del Figlio

unigenito, Dio da Dio, come l'apostolo Paolo ricorda che fu«generato prima di ogni

creatura» (Col 1, 15). Dio crea il mondo per mezzo del Verbo. Il Verbo che è l'eterna

Sapienza, il Pensiero e l'Immagine sostanziale di Dio, «irradiazione della sua gloria e

impronta della sua sostanza» (Eb1, 3), ha generato eternamente ed eternamente amato

dal Padre, come Dio da Dio e Luce da Luce, è il principio e l'archetipo di tutte le cose

da Dio create nel tempo, 4.[…] Cristo, Figlio consustanziale al Padre, ed è quindi rivela

il disegno di Dio nei riguardi di tutta la creazione e, in particolare, nei riguardi

dell'uomo, «svela ... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima

vocazione». Gli mostra questa vocazione rivelando il mistero del Padre e del suo amore.

«Immagine del Dio invisibile», Cristo è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Adamo la somiglianza con Dio deformata dal peccato. Nella sua natura umana, immune

da ogni peccato ed assunta nella Persona divina del Verbo, la natura comune ad ogni

essere umano viene elevata ad altissima dignità: «Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è

unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente

d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria

vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato».

L’Osservatorio Nazionale Amianto è chiamato a perseguire laicamente l’assunzione di

coscienza e di responsabilità, che possa contribuire alla costituzione di un testo unico e

di un nuovo piano nazionale amianto, che nel riaffermare i principi e i valori

costituzionali ed ordina mentali, possa contribuire a risolvere il problema

trasformandolo in una risorsa, determinando cioè una modernizzazione della struttura

produttiva nazionale (ed europea) che determini per ciò stesso la rimozione di tutti i

materiali di amianto, ed allo stesso tempo aumenti la produttività e la competitività della

Nazione, coniugando le esigenze dell’economia con il dovere del rispetto dei diritti

fondamentali della persona umana: si verrebbe così a realizzare l’annullamento di

qualsiasi esposizione ad amianto e a qualsiasi altro cancerogeno che possa essere

dannosa per la salute e per l’ambiente, insieme ad un efficace programma di ricerca per

la sconfitta delle classiche patologie asbesto correlate, tra le quali il mesotelioma, il

tumore polmonare e le altre forme di patologie neoplastiche, che il minerale è in grado

di provocare, e comunque il progressivo azzeramento per effetto dell’assenza di future

esposizioni dannose alla salute, in uno alla ritrovata efficienza e competitività del nostro

sistema produttivo che purtroppo è stagnante e in recessione anche in seguito a politiche

di ipertassazione per sostenere inutile spesa pubblica, frutto di scelte politico-

istituzionali del tutto errate, che hanno determinato pregiudizio sia agli imprenditori che

ai lavoratori.

La filosofia che sta alla base e che ha guidato coloro che hanno utilizzato amianto è

quella del profitto, una sorta di religione del profitto (che si innesta in politiche

protezionistiche, spesso fondate sulla moltiplicazione del debito pubblico, che impone

poi alta tassazione, e quindi una forma di espropriazione nei confronti di chi lavora) e in

favore di pochi, mentre ai molti vengono imposti veri e propri sacrifici umani, contrari

alla parola di Gesù, che nel suo più grande comandamento: “Amerai il signore Dio tuo

con tutto il cuore, con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente. E il secondo è simile

al primo: Amerai il prossimo tuo come te. Da questi due comandamenti dipendono tutta

la Legge e i Profeti" (Matteo 23, 34-40), perché la legge è pratica dell’amore (Mt 5,22-

26; 5, 28-32; 5,34-37; 5,39-42; 5,44-48), palesemente contraddetto dalla legislazione e

della prassi ancora oggi non completamente venuta meno nell’ottica di una economia

che non tiene conto dei valori etici e sociali.

Le esposizioni morbigene ad amianto e ad altri cancerogeni impongono di richiamare la

legge, che si traduce nel divieto di uccidere: è quindi inaccettabile, non solo

umanamente e cristianamente, ma anche giuridicamente, perseguire una miope politica

che non tenga conto di uno sviluppo economico che sia oltre che ecocompatibile,

soprattutto rispettoso della dignità della persona umana, e dei suoi inalienabili diritti,

secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa e del pensiero di Don Luigi Sturzo

del rispetto dei principi di libertà, uguaglianza, solidarietà, democrazia e stato di diritto,

che ha guidato i Padri nobili d’Europa e del nostro Stato, e che impone una profonda

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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riflessione e un impegno comune e condiviso che possa trasformare in un’ottica

lungimirante il problema amianto in un’occasione con la quale, nell’ambito della

modernizzazione del sistema industriale italiano, anche attraverso strumenti finanziari

comunitari ed internazionali, e di cooperazione, con l’ammodernamento del sistema

produttivo nazionale (anche attraverso l’applicazione dei principi dell’economia sociale

di mercato) ed europeo, determinare la definitiva rimozione e/o messa in sicurezza

dell’amianto nei luoghi di lavoro e di vita: i principi dell’economia sociale di mercato

vennero richiamati nel Trattato di unificazione delle due Germanie, e in meno di venti

anni, l’economia collettivistica della Germania dell’Est, ispirata dalle concezioni

economiche leniniste, nella quale i cittadini erano in uno stato di povertà estrema, e

l’organizzazione produttiva assolutamente antiquata, si è trasformata, creando lo stesso

benessere della Repubblica Federale Tedesca, e trasformandosi nella locomotiva

d’Europa.

Questa terza via (Röpke), che prevede la modernizzazione delle strutture industriali del

paese (anche con l’utilizzo della leva fiscale, con detrazioni delle spese per investimenti,

che necessariamente porterebbero, con il rinnovamento delle strutture, alla rimozione

dell’amianto), presuppone contemporaneamente e necessariamente la composizione

della conflittualità legata al diritto delle vittime a vedersi risarciti tutti i danni (evitando

l’incertezza ed il dispendio di tempo ed energie in lunghe azioni giudiziarie) e ciò anche

attraverso la costituzione di una agenzia europea o nazionale, che ristori del pregiudizio,

anche delle vittime ambientali e non lavorative, riducendo l’area di conflittualità e di

applicazione del diritto penale ai soli casi di dolo (e tenendo conto che a questo punto il

danno si è già verificato - l’esposizione già c’è stata, le malattie sono già in essere, e in

alcuni casi purtroppo già con esito infausto) è doveroso proteggere le vittime, che sono

ulteriormente penalizzate dalla burocrazia e dal prolungarsi dei processi, oltre ogni

termine ragionevole, tanto che l’Italia è il fanalino di coda, e più volte condannata in

ambito europeo ed internazionale per le inefficienze della sua giustizia, dovute alla

scarsità di mezzi e di risorse, e dalle caratteristiche di lungo latenza e di particolare

aggressività di queste patologie, in linea con quanto il Sommo Pontefice Benedetto

XVI, ha avuto modo di affermare all’udienza generale del 27.04.2011, quando ebbe

modo di esortare i rappresentanti dell’Osservatorio Nazionale Amianto e

dell’Associazione Vittime Amianto Nazionale Italiana “a proseguire la loro importante

attività a difesa dell’ambiente e della salute pubblica”.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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L’Osservatorio Nazionale Amianto e la sua mission

Michele Rucco

Segretario Generale dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto – ONA Onlus Via Svetonio, 16 – 04100 –

Latina (Italia) Tel. +39 340 2553965 e-mail: [email protected]

Buongiorno signore e signori, vi do il mio benvenuto e vi ringrazio per la vostra

partecipazione.

Oggi è una giornata di studio e di lavoro in cui cercheremo insieme di fare il punto sulle

problematiche del rapporto tra salute, lavoro e ambiente, un rapporto che spesso è stato

impostato e gestito nel modo sbagliato e di cui il dramma originato dall’amianto e dal

suo uso nefasto rappresenta il caso più emblematico.

La nostra volontà, infatti, è quella di essere al servizio delle vittime, ma anche e

soprattutto al servizio di tutti coloro che corrono il rischio di diventare vittime.

Per questo non ci stancheremo mai di batterci per la prevenzione primaria, per un

ambiente pulito, per la bonifica dei territori e degli ambienti di vita e di lavoro.

Per questo, il Convegno non è soltanto un momento di visibilità, è soprattutto un punto

di raccordo del lavoro quotidiano svolto dalla nostra Associazione, un momento di

confronto e di riflessione da cui ripartire, più forti e più attrezzati, per continuare la

nostra battaglia per il rispetto della vita, della sua dignità, della sua qualità.

Una battaglia che ha caratterizzato tutto il percorso che ci ha portato fino qui.

L’Osservatorio Nazionale sull’Amianto, infatti, nasce nel 2008 promosso dalla Libera

Università Telematica Arti e Scienze Moderne come centro di alta formazione e di

ricerca tecnico-giuridica e normativa.

Fin dall’inizio della sua attività però si è trovato a raccogliere la sofferenza e le

difficoltà dei lavoratori esposti all’amianto e dei familiari delle vittime, troppo spesso

lasciati soli ad affrontare le conseguenze di quello che non potrà mai, per sua natura,

essere definito un “problema privato”.

Ci siamo trovati di fronte ad una vera e propria strage che conta circa 5.000 decessi ogni

anno.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Una strage che si ripete anno dopo anno nel silenzio assordante degli organi di

informazione, in un contesto di mancato riconoscimento dei diritti e di sostanziale

impunità dei responsabili di questo eccidio.

Non era possibile limitarsi ad “osservare”: abbiamo avvertito l’imperativo etico di

aiutare persone che erano state lasciate sole, cercando di dare un supporto ed un

sostegno, concreto, fattivo.

Consapevoli che il dolore, la disperazione, la rabbia dei singoli, le vicende personali

hanno un respiro ed un orizzonte nazionale; travalicano lo specifico problema

dell’amianto e richiedono capacità di interloquire, di ragionare, di confrontarsi a più

livelli.

Per ottenere il riconoscimento di diritti inalienabili, primo fra tutti il diritto alla salute.

Richiedono anche un profondo cambiamento culturale in grado di porre termine allo

scambio (vorrei e dovrei dire al ricatto) tra lavoro per sopravvivere e salute, che per

troppo tempo ha caratterizzato i rapporti industriali e le stesse politiche sindacali.

Rendere raggiungibili questi obiettivi ha richiesto uno sforzo di fantasia creativa per

ridefinire la nostra mission e per ripensare profondamente la nostra struttura

organizzativa.

Da una configurazione monocentrica abbiamo immaginato una rete, una configurazione

plurale radicata nei territori e raccordata dalla identità concettuale, dalla identificazione

e dalla condivisione valoriale.

Questa idea è stata vincente:

3

Presenza

ONA Onlus

al 30.09.2011

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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A settembre 2011 l’ONA era un’Associazione piena di potenzialità e ricca di saperi, di

conoscenze, che quasi si esaurivano in se stesse.

Venivano poco utilizzate le risorse e le competenze annidate nei territori e nelle

persone. Ne conseguiva un agire frammentato e limitato spesso alle aule giudiziarie, con

grande dispendio di energie in battaglie contro avversari ciclopici.

4

Presenza

ONA Onlus

al 30.06.2013

Oggi l’Osservatorio conta migliaia di soci, che prestano il loro contributo di idee e di

lavoro, a titolo volontario e gratuito, senza fini di lucro anche indiretto; molti di loro

sono personalità rappresentative delle istituzioni a tutti i livelli (sindaci, consiglieri

comunali, provinciali e regionali, deputati e senatori) espressione di tutte le formazioni

politiche presenti nella società italiana, in armonia con il carattere apartitico e scevro da

ideologie dell’Associazione.

Siamo presenti in quasi tutte le Regioni, dal Veneto alla Sicilia, dalla Valle d’Aosta alla

Puglia, attraverso i nostri Comitati, organizzati ciascuno secondo le proprie

caratteristiche e le proprie capacità.

I Comitati sono in grado di assicurare la più ampia partecipazione democratica e di

perseguire le finalità dell’Osservatorio in modo diretto ed immediato, dando risposte

specifiche alle specifiche esigenze di tutela della salute, dell’ambiente e dei diritti, così

come si manifestano e si concretizzano nei singoli ambiti di operatività.

Possiamo contare sul supporto di un Comitato Tecnico Scientifico di cui fanno parte

insigni professori e affermati professionisti, molti dei quali sono oggi qui presenti e li

ringraziamo, ed intratteniamo rapporti di collaborazione con agenzie ed istituzioni di

tutto il mondo.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Le finalità dell’ONA sono quelle di

1) promuovere e tutelare la salute in ogni ambito di esplicazione della vita umana,

attraverso

a) la prevenzione primaria, cioè la riduzione del rischio e che si sostanzia nella

completa rimozione di tutti gli agenti tossici dagli ambienti di vita e di lavoro;

b) la prevenzione secondaria, che è riduzione del danno e che si attua con la

diagnosi precoce;

c) la prevenzione terziaria, che è riduzione delle conseguenze del danno e si

realizza col rispetto del principio sancito dall’Unione Europea “chi inquina,

“paga”;

2) rappresentare, tutelare, assistere moralmente e materialmente i lavoratori ed i

cittadini esposti ad amianto e ad altri patogeni, perché nessuno venga lasciato solo;

3) tutelare i diritti costituzionalmente garantiti a ogni persona, e che costituiscono

l’essenza della dignità umana.

L’Osservatorio oggi opera

a fianco delle persone per assicurare quelli che abbiamo chiamato “i diritti

negati”; voglio ricordare, oltre le migliaia di pratiche amministrative e di procedimenti

giudiziari,

o la sentenza del TAR del Lazio avverso il cosiddetto Decreto Damato;

o i ricorsi alla corte europea (il primo, 2008 contro decreto Damato)

o il processo di Torino, che ha visto la condanna di Schmydiner e dei suoi

sodali

a fianco delle Istituzioni locali e nazionali,

o dando il nostro contributo nella preparazione

di interrogazioni parlamentari sia in ambito nazionale che europeo

(ricordo per tutte ultima l’interrogazione dell’on. Sonia Alfano al

Parlamento Europeo)

di proposte di legge (fra le quali quelle della senatrice Dorina

Bianchi, dell’on. Pippo Gianni, del senatore Domenico Scilipoti),

o partecipando ai lavori delle commissioni legislative regionali (come nel

Lazio)

o intervenendo nei consigli comunali (come è stato a Gela)

o agendo operativamente attraverso gli Sportelli Amianto (come ad Asti e

a Sezze)

o svolgendo attività di surroga nell’individuare la presenza di amianto

(ricordo fra tutti, l’asilo nido di Rosignano, l’asilo “Cocco e drilli” di

Roma nonché la Stazione Tuscolana sempre di Roma)

a fianco della Magistratura, nella sua azione di repressione dei reati contro la

salute e contro l’ambiente, e nella sua azione di ristoro dei danni causati ai singoli e alle

comunità;

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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o comunicando fatti e notizie, di cui siamo in possesso grazie alle indagini

difensive svolte in qualità di parte offesa;

o presentando esposti e denunce, sia verso singole situazione di pericolo sia

argomentando intorno alla cosiddetta “lobby dell’amianto”;

o costituendoci parte civile nei processi penali (ultimo quello dell’Ilva di

Taranto);

a fianco delle strutture mediche

o per potenziare e far conoscere le strutture di eccellenza;

o per migliorare l’erogazione degli interventi di prevenzione secondaria;

o per alimentare il circuito dell’informazione e della conoscenza;

Vorrei dare compiuto conto del lavoro svolto ricordando alcune delle ultime iniziative:

In primis, il Convegno tenutosi il 14 novembre 2012 presso la Camera dei Deputati, che

ha rappresentato una tappa significativa nell’approfondire il rapporto fra scienza e

diritto: in questa sede, tra l’altro e grazie ai contributi del prof. Ronald Gordon,

Direttore del Dipartimento di Patologia della Mount Sinai School of Medicine di New

York e del prof. Morando Soffritti Direttore Scientifico Istituto Ramazzini di Bologna,

si è approfondito il concetto della “trigger dose” e del mesotelioma come patologia

dose dipendente.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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L’11 Dicembre 2012, nell’Aula Consiliare del Comune di Gela si è concluso un

percorso iniziato oltre un anno prima: è stato siglato un protocollo fra ONA, Comune di

Gela, INPS, INAIL e Agenzia Regionale per la Salute che ha reso operativo un

programma di sorveglianza sanitaria per gli ex esposti all’amianto non rientranti negli

atti di indirizzo ministeriali, con un ruolo di primo piano riservato al locale Comitato

della nostra Associazione.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Un’altra diversa e positiva esperienza è stata presentata lo scorso 23 Aprile ad Asti dove

il Comune, l’Associazione Piccola e Media Impresa, la Cassa di Risparmio di Asti si

sono aggregate intorno alla proposta portata avanti dal nostro Comitato per la rimozione

delle installazioni di amianto presenti nel territorio comunale anche utilizzando le

tecnologie messe a punto dal CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche per addivenire

alla mappatura del territorio.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Ultima in ordine di tempo, la Conferenza Regionale Amianto tenutasi lunedì scorso a

Priolo Gargallo (un altro territorio martoriato dall’amianto), con la quale si è inteso

richiamare l'attenzione sulla urgente necessità di adottare strumenti di prevenzione

primaria, di diagnosi precoce e di adeguati risarcimenti, oltre che di interdizione delle

condotte anche solo pericolose, e che ha determinato la presentazione di un disegno di

legge presso l’Assemblea Regionale Siciliana, da parte dell’On.le Pippo Gianni,

parlamentare regionale e membro del nostro Comitato Tecnico Scientifico, avente ad

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 18

oggetto “Norme per la tutela della salute e del territorio dai rischi derivanti

dall’amianto”.

Questi pochi esempi sono in grado di evidenziare come l’Osservatorio opera ed intende

operare a fianco ed insieme alle altre Associazioni che perseguono valori coincidenti

con i nostri, per agire in sinergia a tutela dell’ambiente, della salute, dei diritti.

Ribadisco con forza “a fianco ed insieme” perché vogliamo UNIRE E CONDIVIDERE,

perché la frammentazione non paga.

Vogliamo unire e condividere perché il campo dell’ignoranza è molto vasto ed

inesplorato: la prima cosa che fa genera confusione.

13

Ad esempio, in molti ambiti, il problema amianto viene semplicisticamente ridotto al

problema degli esposti, delle loro patologie,;un problema, che riguarda in definitiva una

porzione limitata della popolazione: ma questa impostazione non permette di cogliere

l’aspetto centrale costituito dal problema creato dagli altri tossici, dagli altri agenti

patogeni, da tutti i tossici, da tutti gli agenti patogeni.

I tossici, i patogeni debbono essere banditi e la loro presenza deve essere rimossa dagli

ambienti di vita e di lavoro.

Per questo richiediamo con forza che venga concluso il percorso iniziato con la legge

257 del 1992 che venga stabilito un termine entro il quale completare la bonifica

dell’amianto su tutto il territorio nazionale.

Per non essere più costretti a condividere il commento amaro e cinico di Vauro.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 19

14

Per questo noi ci impegniamo in questa nostra battaglia, che è al tempo stesso culturale

e valoriale. E che è ben rappresentata dal nostro simbolo, il guerriero etrusco, dal suo

scudo decorato con il "fiore della vita"; lo scudo è metafora della lotta del bene contro il

male, della verità contro la menzogna, della giustizia contro l’ingiustizia.

Rappresenta un forte impegno etico, finalizzato ad uno scambio valoriale, a una

rivoluzione culturale: rimuovere la centralità del profitto per tornare alla centralità

dell’uomo, alla dignità della persona.

15

IL F IO R E D E L L A

V IT A

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 20

E’ motivo di orgoglio per tutti noi ricordare che questo profondo significato etico è stato

apprezzato anche dal Santo Padre (oggi emerito) Benedetto XVI che ha esortato

l’Osservatorio Nazionale sull’Amianto a proseguire la sua “importante attività a difesa

dell’ambiente e della salute pubblica”.

16

“Saluto i rappresentanti

dell’Associazione

Nazionale Vittime

dell’Amianto e

dell’Osservatorio

Nazionale Amianto e li

esorto a proseguire la

loro importante attività a

difesa dell’ambiente e

della salute pubblica”

S.S. Benedetto XVIVerbale Udienza del 27.4.2011

Libreria Editrice Vaticana

Voglio concludere questo mio intervento con una citazione di Albert Schweitzer,

l’apostolo laico del rispetto della vita, che segna i limiti dell’uomo e

contemporaneamente è un inno alla sua potenza.

Quello che tu puoi fare

è solo una goccia nell’oceano,

ma è ciò che dà significato

alla tua vita.

Albert Schweitzer

17

Vi ringrazio per l’attenzione, vi auguro un buon lavoro.

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“Amianto tra scienza e diritto” , Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 21

L’esperienza dell’ONA nella città di Pisa quale spunto per

una riflessione giuridica sull’ingiusto compromesso fra il

diritto alla salute e il diritto al lavoro.

Tommaso Frendo

Studio Legale Missere & Venturi , Consulente Legale dell’Associazione Professionale

“La legge per tutti” e della Lega Consumatori

e-mail: [email protected] [email protected]

Buonasera, vi ringrazio per essere qui presenti quest’oggi e consentitemi i dovuti

ringraziamenti al nostro Presidente l’Avvocato Ezio Bonanni che, insieme al carissimo

Dott. Michele Rucco (Segretario Nazionale dell’Osservatorio) ha reso possibile questo

evento.

In qualità di Coordinatore provinciale ONA Pisa, ringrazio i membri del Consiglio

Direttivo del Comitato pisano che, ognuno nel proprio ambito professionale, attraverso

l’entusiasmo e la passione che ognuno di noi nutre nel confronti della “verità”, a partire

da quest’anno (il comitato è stato costituito in data 03/02/2013) si sono prefissati di “far

proprie” le finalità statutarie dell’Osservatorio Nazionale Amianto.

Il nostro obbiettivo primario è quello di tutelare il diritto alla salute in ogni ambito di

esplicazione della vita umana, promuovendo i diritti costituzionalmente garantiti, con

particolare riferimento alla sfera del lavoratore.

Ringrazio infine gli illustri relatori che si sono resi disponibili ed hanno accettato di

trattare (sia da un punto di vista giuridico che sotto il profilo scientifico) questa tematica

che assume una rilevanza tanto attuale quanto (purtroppo) futura.

Dico futura in ragione della durata relativa all’incubazione delle malattie asbesto

correlate che, come il Pubblico Ministero Dott. Maurizio Ascione insegna, ha reso e

continua a rendere complicata l’individuazione di un profilo di responsabilità da

attribuire in capo ad un determinato soggetto.

Una tematica attuale, futura, spesso sottovalutata e che oggi più che mai trova alle

proprie basi un ingiusto compromesso fra due diritti che, se non altro la nostra carta più

importante, definisce come fondamentali.

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“Amianto tra scienza e diritto” , Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 22

Il Professor Gaetano Veneto, che ho avuto il piacere e l’onore di ascoltare ad un suo

importante intervento lo scorso novembre a Roma presso la Camera dei Deputati, lo

definiva un falso dilemma.

Si, perché di un falso dilemma si tratta.

Quando parliamo da una parte di “salute” e dall’altra parte di “lavoro”, non possiamo

permetterci di cadere nell’alternativa che ci vede costretti a far si che un diritto sia

sottomesso dall’altro.

Eppure l’art. 41 della nostra Costituzione parla molto chiaro:

“L’iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza

delle persone”.

Da una parte vi è il diritto alla vita, ad avere salute.

Un diritto così importante da non riguardare soltanto la sfera giuridica del singolo

individuo, ma (proprio in ragione del suo carattere primario) fondamentale al punto di

riflettersi sulla collettività, comprendendo quindi l’obbligo inderogabile di non porre a

rischio la salute altrui attraverso la propria condotta. Un valore costituzionale supremo 1..

Dall’altra parte vi è il diritto al lavoro. Un diritto che magari, a primo impatto (e

soprattutto di questi tempi), rimanda a problematiche economiche, ma che se viene

inteso nel suo senso più profondo (ed è così che dovrebbe essere inteso) non è che il

diritto a realizzarsi come persona, essendo qualcosa, facendo qualcosa, dall’operaio al

dirigente, per essere protagonista di una società e per cambiarla sempre in meglio.

In fondo, è la stessa Costituzione2 che attribuisce al lavoro il difficile incarico di

sostenere la Repubblica Italiana, non soltanto ponendo il diritto al lavoro come

“fondamenta” del nostro paese, ma salvaguardandolo attraverso la promozione di tutte

quelle condizioni tali da rendere effettivo questo diritto nei confronti di tutti i cittadini3.

Perché sia un “diritto vivo”, che concorra al progresso del nostro Paese.

Nel cercare invano di trovare una risposta a questo dilemma, sforzandomi di osservare

lo scenario con gli occhi del giurista, estremizzando (e ritengo che talvolta sia utile farlo

per capire quella che è la reale posta in gioco) mi è venuto in mente un celebre romanzo

di William Stayron dal titolo “La scelta di Sophie”4.

Il romanzo racconta di come una giovane madre polacca di origini ebraiche fu deportata

ad Auschwitz con i propri figli, per poi essere crudelmente costretta a scegliere dai

nazisti quale fra i due figli far morire.

Alla fine la giovane Sophie deciderà di salvare il figlio Jan sacrificando quindi la

piccola Eva.

Essa farà i conti con questa decisione per il resto della sua vita.

Perché in realtà, anche se da un punto di vista aritmetico e razionale salvare una vita è

sempre meglio che non salvarne nessuna, da un punto di vista etico e morale esistono

scelte che per la loro natura non possono essere fatte5.

1 Art. 32 Cost.

2 Art. 1 Cost.

3 Art. 4 Cost.

4 W. Stayron, La scelta di Sophie (Sophie’s Choice), Mondadori, 2001.

5 M.Marzano, L’Ilva e la trappola del falso dilemma, La Repubblica, 2012.

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“Amianto tra scienza e diritto” , Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 23

Tuttavia, nel riflettere ho capito che a trovarsi nella situazione della madre non vi era il

giurista, bensì il lavoratore.

Ma come può un lavoratore chiedersi (e mi riferisco a ciò che sta accadendo a Taranto

“Caso Ilva” ma non solo) se preferisce morire di fame in pochi mesi piuttosto che di

tumore fra venti anni, facendo ammalare anche sua moglie e magari i suoi figli?

E allora, il compito di ogni giurista che si rispetti (inteso come legale, magistrato o

studioso che sia) è quello di compiere la difficile operazione che consiste nel cercare di

evitare di giungere a quella tragica scelta.

Ciò dovrà essere fatto senza finzioni e false soluzioni. Senza fingere quindi di aver

salvato entrambi i bambini quando in realtà uno dei due è stato sacrificato e sostituito

con un fantoccio.

Eppure, sia i progressi tecnologici che gli esempi di altri paesi europei, mostrano che

non c’è alcun bisogno di contrapporre salute e lavoro. Anzi, il diritto alla salute e il

diritto al lavoro possono e devono andare di pari passo, fondendosi quindi entrambi in

un unico diritto, il diritto alla vita.

Il convegno di oggi, in un certo senso, sia attraverso la scienza che attraverso il diritto si

prefigge anche questo. Cercando di fornire quella consapevolezza necessaria che serve

per far si che questo ricatto non sia mai più tollerato.

Perché come fa un giurista a scegliere quale fra questi due diritti far prevalere?

Come può una madre decidere quale figlio sacrificare?

Vi ringrazio ancora e vi auguro di seguire un convegno piacevole e interessante.

Grazie a voi.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Massimiliano Posarelli

Figlio di una vittima dell’amianto, Impiegato SOLVAY CHIMICA ITALIA S.p.A. – Rosignano Solvay

(LI) e-mail: [email protected]

Io oggi son qua a esprimere pensieri e concetti che ricevo dalle tante storie raccontate e

spesso scandite a bassa voce da malati terminali come mio papà che ormai ci ha lasciato

dal novembre del 2010 e colpevoli di aver lavorato a contatto con l’amianto e di averlo

respirato senza alcuna protezione …………

Ho avvertito sentimenti, espressioni e immagini forti. Ho visto sguardi con occhi fissi e

pieni di lacrime.

Si parla, di sofferenza, di tragedie senza lieto fine, di disperazione, di supplicazioni alla

morte per porre fine al dolore, di esasperazione, di TREPIDANTI attese per sofferenze

incombenti, di angoscia, di rancore, di rivendicazioni, alle volta anche di odio che si

affaccia nonostante gli sforzi per trattenerlo, surrogarlo o trasformarlo in qualche altra

cosa.

Si parla contemporaneamente di crimini, criminali e mascalzoni avvezzi all’impunità, di

violenze, di esiti perversi di azioni profittevoli, ed eccezionale risulta la ricerca per dare

un senso al dolore e anche alla morte mentre al perdono o alla carità per quei carnefici si

accenna solo in modo sporadico nonostante molti degli offesi siano dei “credenti”.

Sono questi gli argomenti che sento e ho sentito narrare da quei poveretti, che non solo

si sono spezzati la schiena per un pezzo di pane, ma alla fine si sono pure –atrocemente-

ammalati o morti.

Queste storie potrebbero addirittura impressionare anche uomini e donne di esperienza e

“addetti ai lavori” o persone in confidenza con soprusi e morte; sono storie

coinvolgenti, storie sincere e adeguate perché tutta l’umanità si riconosca in pieno nelle

vittime dell’amianto, individui, anche con processi corali, e condanni i colpevoli e le

loro malazioni.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Poi per finire. Molta attenzione e fiducia devono essere poste da tutti alla cura delle

malattie asbesto correlate, al controllo del dolore e all’assistenza fornita dalle strutture

sanitarie coinvolte (penso proprio a Pisa, a Siena e a tante altre ancora) che per fortuna

nella sfortuna, appaiono capaci di fornire risposte adeguate. E ancora più attenzione va,

ovviamente, alle famiglie e alle associazioni delle vittime come l’ONA di cui anche io

ne faccio parte e ne sono orgoglioso e fiero. GRAZIE ONA E GRAZIE PRESIDENTE

…. GRAZIE DAVVERO …..

Queste esperienze hanno portato Massimiliano a scrivere la poesia riportata di seguito

(Nota dei curatori)

Morti bianche per amianto Chiamatele pure morti bianche. Ma non è il bianco dell’innocenza di una bella spiaggia dei caraibi non è il bianco candido di una fresca nevicata in montagna non è neppure il bianco della purezza della luce eterna. E’ il bianco della polvere di amianto, che per decenni ha coperto il nostro mondo, fonte di interesse e di guadagno. Che ha prevalso sul rispetto della vita umana coprendo ogni anno sguardi fissi nel vuoto occhi spalancati dal terrore e pieni di lacrime dalla consapevolezza che la vita sta scappando via. Un attimo eterno che elimina ogni speranza quell’attimo di un respiro e dell’esalazione che toglie pian piano l’aria nei polmoni come una goccia d’acqua che tutti i giorni cade in un bicchiere vuoto perché senza protezioni gli aghi di quell’amianto bianco han cucito il respiro ed il cuore. E’ il bianco che copre le nostre coscienze e la vita di quei lavoratori innocenti schiavi del profitto. E di chi è spesso solo moderno schiavo. E’ il bianco di un giorno nebbioso di una vita che si spegne lontana dagli affetti di lacrime e disperazione per chi rimane. Bianco ipocrita che hai ingiustamente privato La felicità alle tante vittime dell’amianto e ai loro familiari. Lascia allora ad ogni uomo sulla terra il suo vero bene LA SALUTE, LA GIUSTIZIA E LA PACE.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Curriculum attività lavorativa in presenza di amianto

Franco Berti

Il mio nome è Franco BERTI, provengo dalla Val di Cecina, ho raggiunto l’età di quasi

74 anni ed ho prestato costantemente la mia attività lavorativa –in qualità di operaio- in

ambienti diversi ma con un denominatore come: l’AMIANTO.

Iniziai a venire a contatto con tale prodotto fin dal mio primo giorno lavorativo,

allorché, nel lontano 1957 venni assunto alle dipendenze dirette dell’ex

COOPERATIVA LIBERLAVORO (successivamente ridenominata “COOPERATIVA

VAPORDOTTI”), con sede in Montecerboli – frazione del Comune di Pomarance

(Pisa), alla quale venivano commissionati da parte della ex LARDERELLO S.p.A. e

successivamente (dal 1963) dall’E.N.E.L., lavori di coibentazione termica agli

innumerevoli vapordotti esistenti nella cosiddetta “Zona Boracifera”.

Tale tipologia di lavoro veniva eseguita manualmente impiegando lastre di amianto, rete

metallica e amianto in polvere, mescolato al cemento, con cui si formava un impasto

definito in gergo “Fibretta”.

La polvere, molto sottile e volatile, contenuta in appositi sacchi di carta sigillati

(analoghi a quelli ben più noti contenenti cemento), veniva con le stesse modalità

impastata a terra con l’ausilio di comuni pale, le quali, con i loro tipici movimenti,

sollevavano in aria una “nube” indescrivibile e irrespirabile di microfibre. Ultimata

l’operazione, l’impasto veniva raccolto e spalmato sul tubo da coibentare mediante

semplici attrezzi da muratore (cazzuole e segacci), alla stregua di un vero e proprio

intonaco, applicato su una struttura muraria; si procedeva, quindi, ad avvolgere il tutto

con della rete metallica e si completava l’opera con l’applicazione perimetrale esterna –

per l’intera circonferenza del vapordotto – della cosiddetta “Fibretta”.

Dopo esattamente 10 anni (1957 – 1967) trascorsi in questa realtà infernale, mi si

presentò l’opportunità di cambiare Azienda (SOCIETA’ CHIMICA LARDERELLO) e,

conseguentemente, la tipologia e la qualità del lavoro.

Purtroppo le insidie dell’amianto per me non erano ancora finite, poiché venni

assegnato al reparto “INSTALLATORI CENTRIFUGHE” il cui mansionario

comprendeva quotidianamente la sorveglianza, revisione e manutenzione dell’impianto

in cui l’amianto era presente un po’ ovunque sotto forme più disparate e varie

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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(guarnizioni alle flangie, premistoppa alle pompe, corde d’amianto poste sotto i

coperchi dei serbatoi, ecc.). Ciò ininterrottamente per tutta la durata (venticinque anni)

dell’ultima mia attività lavorativa, trascorsa alle dipendenze della nuova citata Azienda,

ovvero, fino all’atto del mio prepensionamento.

All’epoca, nel mio ambito lavorativo, essendo ancora sconosciute le caratteristiche

nefaste di questo subdolo prodotto, veniva ovviamente trattato dagli addetti ai lavori con

la massima indifferenza ed assoluta tranquillità: senza né mascherina, né alcun altro tipo

di protezione precauzionale ignorando le conseguenze devastanti che, purtroppo, questo

dannato KILLER avrebbe poi loro causato nel tempo. Ne è prova il fatto che dei 20

(venti) colleghi con cui ho condiviso la stessa allucinante deprecabilissima esperienza

lavorativa, ad oggi siamo rimasti in vita – ancorché precaria – soltanto in 3 (tre),

grevemente ammalati.

Tale incredibile e sconcertante vicenda, per le cui peculiarità, ha suscitato –fra gli altri.

Perfino l’interesse di un poeta estemporaneo locale, il quale avvalendosi dei dettagli da

me fornitigli al riguardo e della propria vena poetica, ne ha tratto materia per una

narrazione in versi: il suo nome è Marco CHIAVISTRELLI di Larderello (PI).

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Le ultime acquisizioni scientifiche in materia di mesotelioma

Ombretta Melaiu1, Justin Stebbing

2, Federica Gemignani

1, Georgios Giamas

2,

Stefano Landi1

1Dipartimento di biologia, Unità di Genetica, 56100, Pisa

2Department of Surgery and Cancer, Division of Cancer, Imperial College London, Hammersmith

Hospital Campus, Du Cane Road, London W12 ONN, U.K.

Riassunto

Il mesotelioma pleurico maligno è un tumore raro che origina dallo strato mesoteliale

della pleura polmonare. In base alla prevalenza del tipo cellulare in cui il tumore si è

differenziato si distinguono tre tipi istologici principali: epiteliomorfo, il più comune;

sarcomatoide, il più aggressivo e bifasico, in cui le componenti epiteliale e sarcomatoide

coesistono. Studi precedenti hanno associato il mesotelioma con l’esposizione

all’asbesto e con l’infezione da Polyomavirus SV40, che sembra incrementare di quattro

volte il rischio di sviluppare mesotelioma in soggetti ex-esposti all’amianto, agendo

quindi più propriamente come un cofattore di rischio. Il mesotelioma è stato riscontrato

anche in persone esposte per tempi brevissimi all’asbesto o apparentemente non

esposte, da ciò emerge dunque l’importanza che la suscettibilità genetica individuale ha

nello sviluppo del tumore. La difficoltà di diagnosticare in tempo questo tumore, i

limitati approcci terapeutici ad oggi a disposizione, nonché la rapida progressione della

neoplasia, impongono la necessità di comprendere i meccanismi molecolari coinvolti

nella carcinogenesi e nella chemio resistenza. Fondamentale a tal proposito è

l’identificazione delle alterazioni cromosomiche tipiche del mesotelioma, nonchè dei

geni ivi contenuti. Al fine di migliorare le conoscenze in merito, sono stati raccolti tutti

gli articoli in cui il mesotelioma è stato analizzato attraverso ibridazione genomica

comparativa (CGH). A seguito della elaborazione statistica effettuata su un totale di 8

linee cellulari e 179 tessuti di mesotelioma è stato possibile identificare quali sono i

cromosomi che più comunemente mostrano alterazioni e riarrangiamenti nei pazienti di

mesotelioma (tipicamente i cromosomi 1, 9 e 22) e all’interno di essi quali sono le

regioni cromosomiche maggiormente colpite (ad esempio 1p, 9p, o 22q). Una molecola

chiave che emerge dalle analisi condotte è la mesotelina. É stato osservato che il

silenziamento transiente dell’espressione del gene della mesotelina determina una

diminuzione del tasso di proliferazione cellulare ed una ridotta capacità invasiva della

linea cellulare di mesotelioma Mero-14. Inoltre un effetto sinergistico sulla morte

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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cellulare è stato ottenuto a seguito della combinazione con la somministrazione del

cisplatino, chemioterapico di prima linea per i pazienti affetti da mesotelioma pleurico

maligno.

Caratteristiche generali del Mesotelioma Pleurico Maligno

Il mesotelioma pleurico maligno (MPM) è un tumore molto aggressivo che origina dallo

strato mesoteliale della pleura sierosa. Resistente alle convenzionali terapie, l’esito della

malattia è infausto, con una sopravvivenza media che va dai 9 ai 17 mesi di vita (Varin

et al., 2010). Il MPM inizialmente si localizza nei segmenti pleurici basali e dorsali, poi

diffonde coinvolgendo gli spazi pleurici ed associandosi ad un cospicuo versamento,

nonché all’invasione diretta delle strutture toraciche. Il polmone colpito viene permeato

e circondato da uno spesso strato di tessuto neoplastico gelatinoso, di colore grigio-

rossastro.

In base alla prevalenza del tipo cellulare in cui il mesotelioma si è differenziato (cellule

epiteliali o cellule stromali di tipo mesenchimale), si distinguono tre tipi istologici

principali di mesotelioma:

- epiteliomorfo (il 50% dei casi): caratterizzato da cellule cuboidali, cilindriche o

appiattite, che danno una struttura prevalentemente tubulare, papillare o tubulo-

papillare. Le cellule epiteliomorfe hanno un citoplasma acidofilo e nuclei rotondi e

vescicolari con nucleoli prominenti;

- sarcomatoide: mostra fasci intrecciati di cellule fusate (simil-fibroblastiche) in

uno stroma collageno, spesso, più o meno estesamente jalinizzato;

- misto (bifasico): è l’aspetto istologico classico del mesotelioma maligno in cui le

due componenti, epiteliale e a cellule fusate, coesistono.

Il decorso dei mesoteliomi è nella maggior parte dei casi molto rapido, accompagnato

da un progressivo deterioramento delle condizioni generali.

Riconosciuto per la prima volta nel 1870, il mesotelioma pleurico maligno è stato fino

agli inizi degli anni ‘50 un tipo di tumore estremamente raro e quasi sconosciuto. Nel

secondo dopo-guerra si e’ tuttavia osservato un forte incremento dell’incidenza, che e’

stato successivamente attribuito all’utilizzo di amianto (Wagner et al., 1960; Carbone et

al., 2002). Svariati autori hanno stimato che possa aumentare ulteriormente l’incidenza,

in relazione al fatto che intercorre un lungo periodo di latenza tra l’esposizione al

minerale e l’insorgenza della malattia (Varin et al., 2010).

I meccanismi d’ingresso delle fibre d’amianto sono essenzialmente tre: ingestione,

contatto cutaneo ed inalazione. E’ comunque l’inalazione delle fibre in una dose che

eccede la capacità dell’organismo a difendersi il meccanismo più pericoloso. Se le fibre

di amianto interagiscono direttamente con i tessuti target (polmone, pleura), il tessuto

stesso va incontro a produzione di radicali liberi e ad uno stato di infiammazione

cronica. Tale condizione comporta la produzione di mediatori cellulari come le

citochine che mediano la crescita e la differenziazione delle cellule e la produzione di

specie reattive dell’ossigeno (ROS). Si ritiene che il persistere dello stato infiammatorio

a livello pleurico sia alla base dei meccanismi di mutazione e attivazione dei proto-

oncogeni e dell’inattivazione dei geni soppressori tumorali, con conseguente

degenerazione maligna (Upadhyay D, Kamp DW, 2003).

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 30

Da notare è inoltre l’irrilevanza della dose innescante la malattia: diversi casi di MPM

sono stati riscontrati non solo in individui esposti a lungo all’asbesto, ma anche in

operai esposti per brevi periodi di tempo. Oltre all’esposizione all’amianto, uno studio

di Roushdy-Hammady ha dimostrato l’esistenza di soggetti con un’incrementata

suscettibilità genetica al mesotelioma: è stato infatti riscontrato che in Turchia,

popolazioni di tre villaggi egualmente esposti all’amianto, presentavano diversa

incidenza di sviluppare MPM. Indagando i casi di mesotelioma familiare in 526

individui ed estendendo l’analisi per 6 generazioni, sembra emergere che la

suscettiblita’ all’MPM sia trasmissibile con un pattern di ereditarietà di tipo autosomico

dominante (Roushdy-Hammady et al., 2001).

Le infezioni da Polyomavirus SV40 sono un altro fattore di rischio che potrebbe

interagire con l’esposizione all’amianto, anche se a tutt’oggi non esistono delle chiare

evidenze. L’SV40 e’ un virus a DNA ad alto potere oncogeno conferitogli da due

antigeni: Tag e tag. Tale virus è in grado di inattivare l’oncosoppressore p53 e di

bloccare il processo di apoptosi cellulare portando a maggiore instabilità delle cellule ed

all’espansione dei cloni maligni. Sembra che l’infezione da SV40, peraltro diffusasi per

la contaminazione di vaccini contro la poliomielite (Hilleman MR., 1998), incrementi di

quattro volte il rischio di sviluppare mesotelioma in soggetti ex-esposti all’amianto,

agendo quindi più propriamente come un cofattore di rischio (Carbone et al., 2002;

Cristaudo et al., 2005).

Il genoma umano e la CGH applicata al mesotelioma

Così come la fisica identifica nell'atomo il più piccolo oggetto che rappresenta tutte le

proprietà della materia, e la biologia identifica nella cellula la struttura più piccola

capace di compiere tutte le funzioni di un organismo, nello stesso modo la genetica

identifica nel gene l'unità funzionale dell'ereditarietà biologica, ossia l'unità di

informazione genetica, capace di replicarsi, mutare, trasferirsi da una generazione

all'altra, esprimersi, adattarsi all'ambiente e partecipare al processo evolutivo.

A loro volta i geni si trovano, all'interno del nucleo della cellula, sui cromosomi,

filamenti di natura proteica su cui poggia la molecola del DNA. L'insieme di tutti i geni

presenti in un nucleo, e quindi in un intero organismo, costituisce il suo genoma. Il

genoma umano è dato da 23 coppie di cromosomi, che costituiscono la 'libreria'

dell'informazione ereditaria, in cui ogni libro corrisponde a un cromosoma. In un

organismo sano esiste un perfetto equilibrio fra vita e morte cellulare; le cellule si

sviluppano, assolvono le loro funzioni e infine muoiono, mentre altre si riformano; tale

equilibrio viene mantenuto attraverso una rigida regolazione dei succitati processi e

serve a garantire che gli organi e i tessuti del corpo umano conservino la loro integrità.

Alterazioni del patrimonio genetico delle cellule possono portare ad una incontrollata

crescita delle cellule stesse a discapito dell’equilibrio che preserva l’integrità

dell’organismo e a favore della nascita di neoplasie.

Fondamentale è dunque l’dentificazioni delle alterazioni genetiche che caratterizzano il

mesotelioma. Una tecnica comunemente utilizzata in biologia molecolare è la

comparative genomic hybridazation (CGH), sviluppata per rilevare variazioni del

numero di copie di geni specialmente in campioni oncologici. Il principio della tecnica

si basa su una competizione per il legame su un supporto normale (cromosomi in

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 31

metafase) di due DNA genomici marcati con fluorocromi diversi. Un DNA è estratto dal

paziente in esame mentre l’altro DNA è un pool di DNA genomico di riferimento. In

questa competizione comparativa si legherà in proporzione più DNA da testare in ogni

locus se maggiore sarà il numero di copie presenti in quel locus rispetto al numero di

copie presenti nel DNA genomico di controllo. Viceversa se ne legherà meno se minore

sarà il numero di copie presenti in quel locus rispetto al numero di copie presenti nel

DNA genomico di controllo. Il risultato viene espresso dal rapporto delle 2

fluorescenze. In caso di numero di copie normali avrò 2 copie di DNA da testare e 2

copie del DNA di controllo genomico, per cui il rapporto tra i 2 fluorocromi 2/2 è pari a

1. In caso di trisomia del DNA da testare il rapporto sarà pari a 1,5 e cioè 3/2. Viceversa

in caso di monosomia il rapporto sarà pari a 0,5 e cioè 1/2. L’intensità della

fluorescenza è quantificata da particolari analizzatori di immagine che calcolano e

confrontano i segnali emessi dal DNA campione e dal DNA di riferimento. Questa

tecnica permette, quindi, di rivelare tutte le possibili anomalie di un corredo genetico,

come per esempio le regioni con delezioni o amplificazione genica e i riarrangiamenti

sia intra- sia inter-cromosomici.

Scopo del progetto di ricerca e lavoro svolto

Sono attualmente in corso alcuni studi clinici volti a valutare l’efficacia di nuove

modalità terapeutiche. In assenza di un’efficiente strategia per la cura di tale neoplasia,

impelle la necessità di comprendere i meccanismi molecolari coinvolti nella

carcinogenesi e nella chemioresistenza, cosa che potrebbe conseguentemente aiutare a

sviluppare nuove strategie terapeutiche (Varin et al., 2010). Un metodo chiave potrebbe

essere costituito dalla identificazione delle alterazioni cromosomiche tipiche del

mesotelioma, nonchè dei geni ivi contenuti.

Per questo, la strategia adottata dall’Unità di Gentica di Pisa è stata quella di effettuare

un’estesa review della letterarura, focalizzata sugli studi di CGH (Tabella 1) al fine di

identificare le alterazioni cromosomiche più comuni nei pazienti di mesotelioma,

nonchè, all’interno di esse, quelle correlate con una prognosi peggiore. Sono stati poi

ricercati geni in esse contenuti che possono essere considerati potenziali geni target per

il mesotelioma.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 32

References Technique

employed

Cell line

Epitheliod

Cell line

Sarcomatoid

Cell line

Biphasic

Tissues

Epitheliod

Tissues

Sarcomatoid

Tissues

Biphasic

Kivipensas P. et al. CGH 3

3 2

3

Björkqvist A-M. et al. CGH

8 1 18

Björkqvist A-M. et al. CGH

19 5 10

Ascoli V. et al. CGH

3 1 1

Krismann M. et al. CGH

20 25 21

Musti M. et al. CGH

1

Simon F. et al. CGH

1

Knuuttila A. et al. CGH

8

Scattone A. et al. CGH

6

Schulten H.J. et al. CGH 1 1

Lindholm P.M. et al. CGH

15 8 3

Tabella 1: Rappresentazione schematica degli studi di CGH valutati nella presente analisi.

Data la rarità del tumore, i pochi articoli pubblicati e, soprattutto, il basso numero di

campioni analizzati in ciascuno di essi, al fine di avere un quadro che fosse il più esteso

e completo possibile, sono state unite tutte le informazioni derivanti da ogni singolo

articolo selezionato, raccogliendo ed analizzando un totale di 8 linee cellulari e 179

tessuti di pazienti affetti da mesotelioma. Per ciascun campione tessutale ed ogni linea

cellulare riportati nei manoscritti, sono state quindi registrate tutte le alterazioni

cromosomiche identificate. Attraverso dei calcoli matematici è stato possibile

identificare quali sono i cromosomi che più comunemente mostrano alterazioni e

riarrangiamenti nei pazienti di mesotelioma (tipicamente i cromosomi 1, 9 e 22) e

all’interno di essi quali sono le regioni cromosomiche maggiormente colpite (ad

esempio 1p, 9p, o 22q). Data la bassa sopravvivenza legata a tale neoplasia, il passo

successivo è stato quello di identificare quali delle alterazioni cromosomiche fossero

correlate maggiormente con la sopravvivenza dei pazienti. Attraverso ulteriori calcoli

statistici, è stato osservato che la perdita di: 1p / 4p o il guadagno di: 7pter-7q31.2 / 8q

risulta associata ad una minore sopravvivenza dei pazienti con MPM rispetto a quelli

che non sono portatori di nessuno di questi riarrangiamenti. La ricerca successiva dei

potenziali marcatori che mappano sulle regioni cromosomiche tipicamente alterate nel

mesotelioma pleurico maligno, ha permesso di identificare i geni coinvolti nel pathway

della adesione focale, come geni fondamentali per la progressione del mesotelioma. Per

adesione focale si intende la capacità che le cellule tumorali hanno di interagire con il

loro “contorno sano e di sostegno”, attraverso la produzione di una miriade di molecole,

andando a formare dei complessi circuiti di comunicazione in grado di tenere vivo il

tumore. Una di queste molecole è rappresentata dalla mesotelina, tipicamente espressa

nel tumore ovarico, nell’adenocarcinoma pancreatico e nel mesotelioma, la sua

espressione non risulta così elevata nella pleura sana.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 33

Attraverso tecniche di silenziamento genico, volte a spegnere l’espressione del gene

della mesotelina, è stato possibile analizzare il fenotipo delle cellule maligne di

mesotelioma. La mancanza di espressione del gene target determina una significativa

riduzione della proliferazione delle cellule di mesotelioma nonchè della loro capacità di

metastatizzare. Inoltre un effetto sinergistico sulla morte cellulare è stato ottenuto a

seguito della combinazione con la somministrazione del cisplatino, chemioterapico di

prima linea per i pazienti affetti da mesotelioma pleurico maligno.

In conclusione, pathaways come quello della “focal adhesion” risultano profondamente

alterati nel mesotelioma. Per questo è fondamentale analizzare il ruolo della mesotelina

così come di altri geni ivi coinvolti in quanto potrebbero costituire dei promettenti

targets terapeutici.

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Quale sorveglianza sanitaria per gli esposti all’amianto?

L’esperienza dell’Università di Siena

Sartorelli P, Romeo R,. Sisinni AG, Paolucci V

Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e Neuroscienze – Medicina del Lavoro, Università degli

Studi di Siena

Riassunto

La sorveglianza sanitaria degli ex-esposti ad amianto è costituita da un complesso di

accertamenti sanitari periodici finalizzati alla tutela della salute dei lavoratori. Spesso la

sorveglianza sanitaria viene confusa con gli screening antitumorali, mentre al contrario di

tali attività non prevede un protocollo rigido di accertamenti standard a cui sottoporre una

popolazione di asintomatici, ma la valutazione dello stato di salute del singolo lavoratore

attraverso accertamenti sanitari mirati in rapporto al rischio cancerogeno.

Indipendentemente dall’inserimento dei lavoratori in programmi futuri di sorveglianza

sanitaria, si rende indispensabile sottoporre tutti gli ex-esposti ad una prima valutazione

clinico-strumentale per la diagnosi di eventuali patologie asbesto-correlate e la

caratterizzazione del rischio da amianto nel singolo lavoratore. In particolare quest’ultima

assume grande importanza dato che condiziona sostanzialmente l’approccio diagnostico,

nonchè l’eventuale programma di sorveglianza sanitaria.

In tal senso da anni presso la Medicina del Lavoro dell’Università di Siena (Centro di

Riferimento Regionale Toscano per le Malattie Professionali) vengono studiati gli

indicatori biologici di dose per stimarne l'affidabilità nella diagnostica delle patologie

asbesto-correlate e nella sorveglianza sanitaria degli ex-esposti. Nell’articolo sono

sintetizzati i risultati di una recente indagine oggetto della relazione presentata al 75°

Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale

(SIMLII).

Il significato della sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex-esposti ad amianto

La sorveglianza sanitaria degli ex-esposti ad amianto è costituita da un complesso di

accertamenti sanitari periodici finalizzati alla tutela della salute dei lavoratori. Dal D.Lgs.

277/91 in poi la normativa prevede che tale sorveglianza sanitaria debba proseguire anche

dopo la cessazione dell’esposizione ad amianto, senza però fare riferimento alla

periodicità ed al limite di estensione nel tempo dei controlli clinici, né a chi spettino

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l’incombenza ed i costi degli accertamenti stessi. Spesso la sorveglianza sanitaria viene

confusa con gli screening antitumorali perché può prevedere indagini radiologiche

seguendo criteri di rischio/beneficio (in termini radioprotezionistici) e costo/beneficio. Al

contrario degli screening tale attività non prevede un protocollo rigido di accertamenti

standard a cui sottoporre una popolazione di asintomatici, ma la valutazione dello stato di

salute del singolo lavoratore attraverso accertamenti sanitari mirati in rapporto al rischio

cancerogeno, secondo le indicazioni di specifiche linee guida e prove di evidenza presenti

in letteratura.

Questa confusione in alcuni casi ha creato la giustificazione alla mancata applicazione

della legge (peraltro vaga) dato che alla luce delle attuali conoscenze non esistono prove

certe dell’efficacia degli screening per cancro polmonare, mentre nel caso del

mesotelioma vi è addirittura concordanza sulla loro sostanziale inutilità, anche se la sua

diagnosi precoce può consentire l’adozione di nuovi approcci terapeutici palliativi che in

futuro potrebbero garantire una maggiore sopravvivenza o almeno una migliore qualità

della vita del paziente nel primo periodo. In particolare non esiste accordo sul fatto che

l’uso periodico della TAC low dose sia effettivamente in grado di allungare la

sopravvivenza dal momento della diagnosi di tumore polmonare. Per tale motivo non è

possibile raccomandarne l’uso generalizzato negli ex-esposti. Tuttavia, basandosi anche

sui risultati di esperienze italiane (Pira e coll. 2010), appare ragionevole prevedere su

base volontaria l’uso periodico di tali indagini in gruppi di lavoratori ad elevato rischio.

Per quanto riguarda la diagnostica della patologia benigna da asbesto si può

sostanzialmente fare riferimento ai criteri e linee guida dell’American Thoracic Society

per la diagnosi ed il management iniziale delle patologie asbesto-correlate non

neoplastiche (ATS 2004). Si deve considerare che un’elevata percentuale di lavoratori ex-

esposti asintomatici sottoposti ad accertamenti sanitari risulta affetta da tale tipo di

patologia (più del 30% nella casistica Toscana più recente). Nel caso dell’asbestosi la

diagnosi precoce consente di limitarne il possibile aggravamento mettendo in atto misure

di prevenzione primaria rappresentate dall’eliminazione delle noxae bronchitogene

professionali (polveri, gas, fumi e vapori irritanti) ed extraprofessionali (fumo di

tabacco).

Indipendentemente dall’inserimento dei lavoratori in programmi futuri di sorveglianza

sanitaria, si rende indispensabile sottoporre tutti gli ex-esposti ad una prima valutazione

clinico-strumentale per la diagnosi di eventuali patologie asbesto-correlate e la

caratterizzazione del rischio da amianto nel singolo caso. Essendo queste ultime nella

grande maggioranza dei casi di tipo non-neoplastico il protocollo utilizzato, in presenza

di un livello di esposizione elevato e/o dell’abitudine al fumo, insieme all’ Rx Torace

potrà prevedere l’effettuazione della TAC low dose o della high-resolution computed

tomography (HRCT). Quest’ultima resta l’indagine di elezione nella diagnosi delle

patologie interstiziali polmonari e come tale esiste l’indicazione ad utilizzarla quando

(ATS 2004):

lettori esperti non sono d’accordo sulla presenza o meno di alterazioni all’ Rx Torace,

i riscontri dell’ Rx Torace non sono chiari,

sono presenti alterazioni funzionali polmonari,

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sono presenti alterazioni pleuriche estese che possono rendere difficile

l’individuazione di alterazioni parenchimali (inizialmente subpleuriche).

Essendo la HRCT più sensibile dell’ Rx torace ed in grado tra l’altro di distinguere le

lesioni pleuriche dal grasso extrapleurico, può essere prevista in prima istanza in gruppi

di lavoratori con esposizione di elevata intensità. In questi casi si dovrà prevederne la

ripetizione a distanza di tempo (follow up) solo nei pazienti affetti da interstiziopatia

polmonare o placche pleuriche di incerto significato. Per quanto riguarda il management

delle piccole lesioni nodulari polmonari di incerto significato clinico, devono essere

seguire le indicazioni della letteratura (Henschke e coll. 1999, Macmahon e coll. 2005).

Di grande importanza assume la caratterizzazione del rischio da amianto nel singolo

lavoratore dato che condiziona sostanzialmente l’approccio diagnostico, nonchè

l’eventuale programma di sorveglianza sanitaria da istituire in seguito. Perciò le stesse

linee guida ATS prevedono la determinazione dei corpuscoli dell’asbesto nell’espettorato

o nel liquido di lavaggio broncoalveolare (brochoalveolart lavage fluid – BALF) nei casi

in cui esista incertezza sui livelli di esposizione pregressa. Quest’ultima situazione nel

nostro Paese si verifica molto frequentemente per cui, in casi selezionati, è di grande

utilità per la caratterizzazione del rischio inserire la determinazione dei corpuscoli

dell’asbesto nell’espettorato (eventualmente indotto) o nel BALF e/o la determinazione

delle fibre nude nel BALF in microscopia elettronica a trasmissione (TEM) o a scansione

(SEM) con sonda di microanalisi. Quando l’esame mineralogico del BALF comprende la

determinazione delle fibre la sensibilità della metodica aumenta consentendo tra l’altro la

definizione del pattern espositivo, consentendo di distinguere il crisotilo dagli anfiboli.

Essendo tale tecnica non perfettamente riproducibile con conseguenti differenze nei

risultati ottenuti in laboratori diversi, risulta realizzabile solo in centri specializzati in

possesso di un data base sufficientemente ampio comprendente dati di lavoratori

professionalmente esposti attraverso i quali valutare il dato ottenuto nei gruppi omogenei

di rischio e nel singolo lavoratore (Roggli e coll. 2010).

In definitiva non è accettabile che soggetti a rischio di patologia da asbesto neoplastica e

non-neoplastica non siano sottoposti ad un programma di controllo. D’altra parte inserire

in screening specifici lavoratori con esposizione di scarsa rilevanza espone al rischio di

falsi positivi che costringono all’effettuazione di accertamenti anche di tipo invasivo con

costi non solo sul piano economico ma anche umano. Risulta quindi di fondamentale

importanza che i lavoratori ex-esposti ad asbesto siano valutati in un primo controllo

clinico in termini generali (clinico-radiologici e funzionali) per la diagnosi ed il

riconoscimento delle patologie da asbesto non-neoplastiche ed eventualmente

neoplastiche e contemporaneamente alla caratterizzazione dell’esposizione. Al termine

delle indagini sarà possibile definire un profilo di rischio individuale che consenta di

programmare la sorveglianza sanitaria secondo uno schema graduato associata ad un

intervento di counseling con particolare riferimento ai fattori di rischio per l’apparato

respiratorio. In particolare i controlli sanitari periodici si rendono necessari per i

lavoratori ex esposti ad amianto:

affetti da patologia da asbesto,

con maggiore concentrazione di fibre/corpuscoli nel BALF,

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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con alterazioni funzionali respiratorie,

con fattori di rischio extraprofessionali (fumo, familiarità).

In linea di massima gli accertamenti periodici annuali sono giustificabili solo nel caso di

lavoratori a maggior rischio, mentre per esposizioni meno intense ed in assenza di altri

fattori di rischio si possono proporre su base triennale/quadriennale. Non appare

opportuno istituire un programma di sorveglianza sanitaria nei lavoratori la cui

esposizione ad asbesto sia assimilabile a quella della popolazione generale.

Obiettivi della sorveglianza sanitaria degli ex-esposti ad amianto

Come già detto, al contrario degli screening, gli interventi di sorveglianza sanitaria non

possono limitarsi all’effettuazione di protocolli diagnostici standard, ma devono proporsi

un serie di obiettivi (riguardanti aspetti preventivi e non solo) di forte impatto sociale

quali:

adesione alle richieste provenienti dai lavoratori ex-esposti e dalle Associazioni a loro

vicine,

caratterizzazione delle pregresse esposizioni ad amianto nei vari settori produttivi,

incremento del riconoscimento di patologie asbesto-correlate neoplastiche e non-

neoplastiche a fini preventivi (prevenzione primaria e secondaria), medico-legali ed

epidemiologici,

approfondimento specialistico del nesso causale tra sospette patologie asbesto-

correlate ed esposizione lavorativa,

utilizzazione di protocolli sanitari specifici per settore e livello di rischio individuale,

riduzione dei rischi aggiuntivi (in particolare fumo di tabacco) per mezzo di iniziative

di counseling (prevenzione primaria),

coinvolgimento attivo di medici curanti e specialisti delle diverse branche,

supporto psicologico degli ex-esposti, spesso affetti da sindromi ansioso-depressive

derivanti dalla condizione di precarietà (vera o presunta) nella quale sono costretti a

vivere.

L’esperienza della Medicina del Lavoro dell’Università di Siena

Da alcuni anni presso la Medicina del Lavoro dell’Università di Siena (che costituisce il

Centro di Riferimento Regionale Toscano per le Malattie Professionali) vengono studiati

gli indicatori biologici di dose (ed ultimamente anche quelli di effetto) per stimarne

l'affidabilità nella diagnostica delle patologie asbesto-correlate e nella sorveglianza

sanitaria degli ex-esposti (Sartorelli e coll. 2001, Romeo e coll. 2004, Sartorelli e coll.

2006, Sartorelli e coll. 2007) . Un ulteriore obiettivo è quello di definire profili di rischio

in vari settori lavorativi sia a livello individuale che di gruppo per l’individuazione

protocolli di sorveglianza sanitaria ottimizzati in base al profilo di rischio individuale. Di

seguito sono sintetizzati i risultati di una recente indagine (Montomoli e coll. 2012)

condotta nell’ambito del progetto “Tutela della salute dei lavoratori ex-esposti ad

amianto” coordinato dalla Direzione generale Diritti di cittadinanza e coesione sociale

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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settore Prevenzione Igiene e Sicurezza sui luoghi di lavoro della Regione Toscana

(Delibera Giunta Regionale 892/2011). Lo studio è stato oggetto di una relazione

presentata al 75° Congresso Nazionale della SIMLII (Bergamo, 17-19 Ottobre 2012) a

cui rimandiamo per gli approfondimenti e le citazioni bibliografiche.

La popolazione indagata era costituita da 158 lavoratori (154 maschi e 4 femmine) con

età media di 59 ± 8 anni, afferiti presso la U.O. Medicina del Lavoro dell’Azienda

Ospedaliera Universitaria Senese nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2011. Tutti i

lavoratori sono stati sottoposti a prove di funzionalità respiratoria, Rx Torace e TAC low

dose (o HRCT in caso di sospetta interstiziopatia) per la ricerca delle patologie asbesto-

correlate. In 49 lavoratori (31,0%) sulla base degli esami radiologici e delle evidenze

cliniche (ATS 2004) è stata posta diagnosi di patologia asbesto-correlata, di cui 31 casi di

placche pleuriche e 18 casi di asbestosi associata o meno a placche (rispettivamente

19,6% e 11,4% della popolazione studiata).

In base all’attività svolta i soggetti studiati sono stati suddivisi in 8 diversi settori

lavorativi: 9 in aeronautica (6%), 18 nella produzione di cemento-amianto (11%), 17

nell’industria chimica (11%), 34 nella produzione di energia (22%), 21 in

metalmeccanica leggera (13%), 14 in metalmeccanica pesante (9%), 18 nella

scoibentazione carrozze ferroviarie (11%) e 27 in altro (17%).

Sono state analizzate 6 variabili causali rispetto al fattore patologia: abitudine al fumo,

numero di pacchetti/anno, concentrazioni di mesotelina (soluble mesothelin-related

peptides – SMRP), concentrazioni nel BALF di anfiboli, crisotilo e corpuscoli di asbesto.

Per evitare ogni assunzione funzionale sulle variabili causali analizzate è stato adottato un

test statistico non parametrico di permutazione. Le stesse variabili causali sono state

analizzate anche rispetto al fattore settore lavorativo. In tutte e due i casi si dimostrava

una differenza tra i gruppi per quanto riguarda la concentrazione degli anfiboli (p<0.01),

meno evidente per crisotilo e corpuscoli (con p variabile da <0,04 a <0,09) e nessuna

differenza per le altre variabili.

L’esposizione professionale più intensa è stata individuata nel settore della

scoibentazione delle carrozze ferroviarie. I 18 soggetti affetti da asbestosi presentavano

nel BALF una concentrazione media di 552 ± 334 anfiboli/ml (range 248-1489) con

limite fiduciario dell’intervallo di confidenza pari a 386 – 718 anfiboli/ml. In 98 soggetti

è stata dosata la concentrazione di SMRP: nessuna differenza statisticamente significativa

è stata individuata tra la popolazione priva di patologia asbesto-correlata ed i lavoratori

affetti da placche pleuriche e/o asbestosi. Applicando il test di Spearman non è stato

possibile dimostrare una correlazione tra SMRP e concentrazione di anfiboli, crisotilo e

fibre totali.

Dai risultati è emersa la relazione esistente tra anfiboli e patologia asbesto-correlata,

mentre è più dubbio il ruolo del crisotilo. Per quanto riguarda i corpuscoli, che pure in

buona parte riflettono l’esposizione ad anfiboli, probabilmente i dati sono influenzati

dalla presenza di falsi negativi da attribuirsi alla più rapida clearance rispetto alle fibre

nude Negli addetti a scoibentazione delle carrozze ferroviarie, metalmeccanica leggera,

industria chimica (produzione di acido-borico, detersivi e materie plastiche) e produzione

di cemento-amianto è stato riscontrato un burden polmonare di anfiboli in tutto o in parte

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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sovrapponibile a quello rilevato nei pazienti affetti da asbestosi. Il gruppo degli assistenti

di volo risultava meno esposto, con 4 BALF negativi per fibre su un totale di 9. Tuttavia,

pur nella limitatezza dei dati, è interessante considerare che nei casi positivi si trattava

sempre di addetti a voli a lungo raggio, mentre quelli negativi non lo erano in 3 casi su 4,

potendo così ipotizzare un’esposizione diversificata in questo settore solo recentemente

identificato come a rischio. In generale gli altri fattori indagati non sono risultati

differenti nei vari settori lavorativi e tra lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate e

no. In particolare i valori di SMRP non differiscono nei vari gruppi divisi per patologia e

per settore. La mancata osservazione di correlazione tra valori di SMRP e burden di fibre

è in contrasto con quanto osservato da altri Autori (Spigno 2010) che tuttavia avevano

utilizzato modelli pubblicati in letteratura per quantizzare i livelli espositivi con i

problemi che ne possono derivare. La ricostruzione anamnestica delle esposizioni

storiche sembra infatti essere più attendibile nelle coorti omogenee solitamente oggetto di

studi epidemiologici, mentre in realtà molto differenti, come avviene nelle casistiche

ospedaliere o nella ricerca attiva delle malattie professionali, appare difficile soprattutto

se si considera l’importanza fondamentale del pattern espositivo. In accordo con gli studi

di biopersistenza delle fibre e di patogenesi dell’asbestosi il burden polmonare di anfiboli

costituisce il fattore principale nella relazione dose-risposta tra esposizioni cumulative ad

asbesto e comparsa della fibrosi polmonare. Ne deriva che esposizioni quantitativamente

simili, ma qualitativamente differenti assumono un significato assai diverso nel

determinismo del danno polmonare da amianto.

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Le tecniche investigative del Pubblico Ministero nei casi di

malattie asbesto correlate di sospetta origine professionale

Maurizio Ascione

Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano

Fino alla fine del secolo scorso l’uso di amianto nelle attività industriali non era vietato,

ben potendo il datore di lavoro organizzare la operatività aziendale sulla base di questa

materia e delle sue proprietà di coibente ma, al tempo stesso, occorreva che tale

organizzazione avvenisse nel rispetto di norme di cautela che già negli anni cinquanta

prescrivevano particolari misure rispetto alla esposizione professionale alle polveri,

essendo peraltro noto in medicina dagli inizi del secolo scorso il pericolo per le vie

respiratorie (asbestosi) correlato alla inalazione di fibre di amianto.

Sicchè, la penale responsabilità si è intravista in sede processuale in relazione ad attività

di impresa svolta con utilizzo di amianto prima dei divieti normativi (l. 257/1992), ma

previo accertamento del fatto che le lavorazioni avvenissero senza la garanzia del livello

di sicurezza posto dalle leggi di tutela dell’apparato respiratorio rispetto al rischio

inalazione polveri pericolose.

La giurisprudenza ha poi trattato il problema della latenza del male tumorale, il periodo

temporale quindi in cui la patologia non si manifesta e non comporta apparenti

problematiche per il lavoratore (o ex lavoratore), la differenza tra le prime esposizioni

alle fibre e le successive, ripetute, intense esposizioni , la rilevanza causale di queste

ultime ai fini dello sviluppo del male e quindi della riduzione del periodo di latenza, la

interazione di fattori causali extraprofessionali.

Circa il problema della eventuale rilevanza causale della durata e della corrispondente

quantità di esposizioni professionali a fibre di amianto si sono espressi i giudici di

legittimità già alcuni anni fa1, sottolineando in proposito la differenza tra asbestosi e

mesotelioma pleurico, affermando che la prima patologia è sicuramente dose-

dipendente, nel senso che la probabilità del suo verificarsi è direttamente proporzionale

alla quantità di fibre di amianto inalate, mentre il mesotelioma pleurico è una neoplasia

non dose correlata.

1 Corte di Cassazione penale, sez. IV, del 20 marzo 2000, n. 2433

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Nel caso specifico il datore di lavoro veniva assolto dalla accusa di omicidio colposo

per la morte dei soggetti vittime di mesotelioma pleurico poiché, pur non potendosi

escludere con certezza ogni sua responsabilità diretta nell’insorgenza della neoplasia per

l’attività lavorativa svolta successivamente al 1973 (anno in cui l’imputato era

subentrato allo zio nella conduzione della società), l’evento neoplastico appariva più

probabile nel periodo di iniziale esposizione (tra gli anni 1966-1968 e gli anni 1972-

1973), mentre era da ritenersi sostanzialmente ininfluente l’esposizione successiva a tale

periodo, poiché si riteneva che con bassa probabilità la patologia avrebbe potuto

svilupparsi così rapidamente da essere clinicamente diagnosticabile già solo dopo 18-19

anni dall’inizio dell’esposizione.

Tali considerazioni non erano ritenute valide invece per l’asbestosi, considerato che

anche se l’iniziale esposizione all’asbesto appariva idonea a giustificare il quadro

clinico riconosciuto come peraltro come professionale dall’INAIL , doveva comunque

attribuirsi un ruolo significativo nel determinismo dell’asbestosi anche al periodo

successivo (dal 1973 al 1980), poiché in tale fase temporale il datore di lavoro aveva

mantenuto atteggiamento di totale indifferenza e disinteresse nei confronti dell’integrità

fisica dei propri dipendenti, non avendo adottato idonee misure per ridurre lo sviluppo o

la diffusione delle polveri di amianto nell’ambiente di lavoro e non avendo mai

rispettato i valori limite consentiti.

Nel caso dell’asbestosi, infatti, per il manifestarsi ed il progredire della malattia è

necessario un contatto prolungato con quantità di amianto eccedenti la concentrazione

minima prevista in ogni singola epoca di riferimento. Ne derivava, quindi, che non era

tanto rilevante il momento di inizio dell’esposizione quanto la sua durata complessiva,

tenuto conto che tanto più prolungata è l’esposizione all’agente etiologico, tanto più

grave sarà la forma morbosa presentata dal lavoratore.

Nel caso del mesotelioma pleurico, invece, poiché la scienza ritiene sufficiente un

singolo contatto con quantità minime di amianto per determinare l’insorgenza della

neoplasia, che si manifesterà con intervalli di latenza variabili e comunque piuttosto

prolungati, diveniva secondo i giudici praticamente impossibile individuare il momento

ed il luogo del contatto con il cancerogeno, che avrebbe potuto verificarsi anche in

ambiente diverso da quello lavorativo.

Con altra pronuncia la Suprema Corte2 invece ha affermato che il rapporto di causalità

tra esposizione a fibre di amianto e malattie professionali va riconosciuto non soltanto

nel caso in cui si dimostri che l’intervento doveroso omesso avrebbe evitato l’evento

lesivo, o avrebbe cagionato un evento lesivo inferiore, ma anche nel caso in cui la

condotta omessa avrebbe spostato l’evento dannoso in tempi più lontani , o ancora nel

caso in cui l’omissione abbia determinato la accelerazione della latenza di un tumore

dovuto ad altra causa.

La Cassazione poi ha sottolineato che, pur difettando dati certi circa la entità della

esposizione rilevante ai fini della attivazione del meccanismo causale lesivo, un

2 Sent. 14 gennaio 2003 n. 988

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significativo abbattimento della esposizione comunque agisce positivamente sui tempi

della latenza o sulla insorgenza della malattia.

Tale pronuncia, facendo leva sui dati scientifici che non escludono la rilevanza causale

nel determinismo della malattia delle esposizioni successive alle fibre di asbesto, ha

affermato dunque che la responsabilità del datore può essere ravvisata non soltanto nella

prima esposizione non protetta (secondo le massime conoscenze dell’epoca sulle

protezioni) del lavoratore, ma anche in quelle successive nella misura in cui la scienza

ha dimostrato che queste ultime interagiscono sul piano eziologico accelerando

l’insorgenza della malattia e, corrispondentemente, riducendo il tempo della latenza

(ricordando che per certi tumori la latenza può essere anche di alcuni decenni e, quindi,

una sua riduzione può pregiudicare di non poco la aspettativa di vita del soggetto).

La Suprema Corte3 affronta il complesso tema della correlazione tra lavorazione con

fibre di amianto e mesotelioma pleurico , trattando in particolare più casi di lavoratori di

una officina torinese delle Ferrovie dello Stato, spingendosi fino alla analisi del caso

della moglie di uno dei dipendenti che per effetto della indiretta esposizione alle polveri

di amianto aveva contratto il mesotelioma pleurico (la donna aveva maneggiato per

anni, per lavarle, le tute intrise di polveri di amianto che il marito indossava in officina).

La Corte di legittimità, dopo avere ricordato che il mesotelioma non è dose correlato e

che è pacifica la insussistenza di soglia minima al di sotto della quale potere escludere

rischio per la salute, tanto che anche una breve esposizione può diventare fatale, ha però

evidenziato che nelle patologie tumorali incide la predisposizione personale (che

tuttavia è ancora oggetto di studi scientifici) e la durata della esposizione al fattore

cancerogeno (nel caso in questione si presentava lunga nel tempo e massiccia).

Gli imputati obiettavano che trenta, quaranta anni fa, l’homo eiusdem condicionis ed

professionis, l’agente modello al quale avrebbero dovuto ispirarsi , sapeva ben poco

dell’amianto e quindi, dovendo determinarsi le responsabilità penali sulla base delle

leggi vigenti, delle nozioni scientifiche e delle tecniche dell’epoca , non era possibile

prevedere che la manipolazione dell’amianto potesse determinare l’insorgere

dell’asbestosi e delle successive complicazioni neoplastiche.

I giudici, pur ritenendo corretta la affermazione secondo la quale l’agente modello cui

fare riferimento ai fini della esigibilità della osservanza delle regole di condotta sia

generiche, dettate dalla comune prudenza, sia specifiche, dettate dal legislatore, è

l’homo al tempo in cui è stata posta in essere la condotta che ha infranto la regola

cautelare, pur altresì ritenendo indiscutibile il fatto che le attuali conoscenze in materia

di polveri di amianto siano ben superiori a quelle del passato, hanno al contempo

rilevato che nel caso di specie le condizioni di lavoro erano state pessime , che in una

officina ferroviaria nulla, o pressoché nulla, era stato fatto in ordine al problema polveri

(nonostante il DPR 303/1956 già prevedesse regole specifiche in materia), magari per

non sostenere il costo di interventi che si presentavano come strutturali, che neppure

erano state adottate quelle minime misure precauzionali che avrebbero potuto ridurre la

concentrazione delle polveri aspirate (ad esempio aspiratori localizzati sopra ogni fonte

di dispersione delle polveri, bagnatura delle polveri nel controllo della pulizia, divieto

per gli operai di mangiare negli stessi locali in cui lavoravano, divieto di portare le tute

3 Sez Pen IV, 30 marzo 2000

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impolverate a casa, obbligo di docce in azienda, separazione dei locali); che in tali

condizioni non può negarsi la esigibilità della condotta né la prevedibilità degli eventi,

quest’ultima intesa come rappresentazione della idoneità potenziale della condotta a

dare vita ad una situazione di danno, non la rappresentazione ex ante dell’evento

dannoso quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione.

Certamente il rischio tumori, in particolare il mesotelioma, sarebbe stato escluso

soltanto evitando anche la minima esposizione alle polveri (siccome patologia non dose

correlata), ma ai fini della esclusione della responsabilità penale era sufficiente la

adozione di certe cautele nella organizzazione del lavoro ; infine, mentre in altri paesi

europei la lavorazione con amianto è consentita a livelli di esposizione molto bassa e

con la adozione di tecniche rigorose, nel nostro Paese, in cui le lavorazioni ad amianto

sono state bandite con la legge 257/92, e prima ancora sono stabilite rigorose regole

tecniche per la rimozione di tale materiale (legge 277/91), non occorre ai fini della

responsabilità per colpa la specifica rappresentazione del pericolo del verificarsi

dell’evento morte o addirittura del decorso causale che conduca a tale evento, essendo

necessario e sufficiente che il datore di lavoro abbia potuto prevedere che adottando

certe misure avrebbe evitato un grave danno alla salute degli operai.

Con sentenza successiva la Suprema Corte4 sembra definitivamente superare il

problema della natura del mesotelioma come tumore non-dose-correlato, ritenendo

sussistente il nesso di causalità tra la condotta datoriale e la malattia in conseguenza

della protratta esposizione alla inalazione delle polveri siccome influente sullo sviluppo

del male , e in particolare sulla proliferazione cellulare e sulla latenza di una malattia già

esistente o sulla insorgenza di una malattia non ancora esistente.

I giudici hanno affermato che la prevedibilità del pericolo per la salute dei lavoratori

esposti ad amianto resta ferma anche se il rischio cancerogeno è stato conosciuto solo

successivamente , atteso che la inalazione di polveri di amianto era ritenuta da tempo di

grande lesività alla salute, essendo stati gli effetti oncogeni studiati almeno dai primi

decenni del ‘900, facendosene cenno del RD 442/1909 in tema di lavori insalubri per

donne e bambini, essendo l’asbestosi conosciuta fin dai primi del ‘900 come male

potenzialmente mortale, comunque produttrice di significativa abbreviazione della vita,

inserita nelle malattie professionali dalla legge 455/1943 per le patologie respiratorie e

cardiocircolatorie ad esse correlate.

La Corte, facendo riferimento al contributo degli esperti di settore, ha ricordato che il

bagaglio di conoscenze si è negli anni arricchito, nella misura in cui nella metà degli

anni ’50 vi era generale consenso nella comunità scientifica circa la correlazione tra

asbestosi e carcinoma polmonare, e nel 1960-65 analogo consenso si raggiungeva circa

il rapporto tra amianto e mesotelioma.

Tale quadro, secondo i giudici, dovrebbe indurre il datore di lavoro ad informarsi sugli

esiti estremamente pericolosi dell’amianto e, qualora l’onere di informazione fosse

adempiuto , ad adottare cautele per la salute dei dipendenti.

Diventa per la S.C. non influente che solo in epoca recente, con la legge 257/1992, sia

stato in assoluto vietato l’uso dell’amianto, preesistendo l’art. 2087 cod. civ. secondo il

quale l’imprenditore deve adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro,

4 Sez. Pen. IV, 9 maggio 2003

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l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di

lavoro.

L’assenza di una normativa mirata, cioè, non esonera da responsabilità chi ha l’obbligo

giuridico di informarsi sui mezzi di contrasto alle malattie professionali, nella misura in

cui l’art 2087 c.c. funge da meccanismo normativo di integrazione delle eventuali

lacune delle leggi in settori specifici e in costante evoluzione.

Ad analoghe conclusioni è giunta altra sentenza di legittimità 5 con riguardo a caso di

mesotelioma pleurico ai danni di lavoratore esposto ad amianto nel periodo 1959 - 1980

avendo sostenuto i giudici che, pur essendo sufficiente per tale patologia una bassa dose

di esposizione, non può negarsi che la esposizione prolungata influisce sullo sviluppo

del tumore in termini di proliferazione cellulare e periodo di latenza, aggiungendo che

limitare il periodo nel quale la esposizione abbia avuto un rilievo causale rispetto alla

insorgenza del tumore sarebbe ragionevole solo ove si potesse affermare che o non vi è

stata esposizione alle polveri nel corso di altro periodo lavorativo o che la fase di

sviluppo autonomo del cancro fosse già iniziata prima; al di là di questi casi, è da

ritenere che la protratta esposizione a polveri di amianto avrebbe effetto patogenetico

sulla latenza della malattia già esistente (abbreviandosi la durata della latenza si riduce

il tempo di vita della vittima) o sulla insorgenza di una non ancora sorta.

Non è rilevante per i giudici della S.C. se la esposizione alle polveri abbia determinato

l’insorgere della alterazione cellulare o ne abbia ridotto il tempo di latenza, perché in

entrambi i casi la condotta del reo può avere avuto incidenza causale sul prodursi

dell’evento morte, appunto in via alternativa, quanto meno anticipandola nei tempi.

Più di recente la Suprema Corte ha ribadito tali principi 6, sostenendo che in tema di

omicidio colposo sussiste il nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte del datore

di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della

protratta esposizione alle polveri di amianto quando, pur non essendo possibile

determinare l'esatto momento di insorgenza della malattia (sviluppo del male

corrispondente alla cessazione della latenza), deve ritenersi prevedibile che la condotta

doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul suo tempo di latenza.

Tale orientamento si è giustapposto alla concezione di quella parte della dottrina che

sostiene la irrilevanza causale delle successive esposizioni alle polveri di amianto,

ritenendo decisiva la inalazione della c.d. "dose innescante", superata la quale, il rischio

di sviluppo della neoplasia sarebbe indipendente dall'entità e dalla durata

dell'esposizione, in ciò la dottrina facendo leva sulla interpretazione scientifica del

mesotelioma come tumore non-dose-correlato, contestando quindi la teoria multistadio

della cancerogenesi, siccome studio non condiviso da tutti nel modo scientifico.

Il caso affrontato dalla Corte riguardava un ex lavoratore vittima di mesotelioma

pleurico, il quale aveva utilizzato amianto in alcune lavorazioni riguardanti le caldaie a

gasolio negli anni ottanta, verificandosi il disperdersi delle fibre ed il formarsi delle

5 Cass. 02 ottobre 2003 n. 37432

6 Sez Pen IV , sent. 22165 dell’11 aprile 2008 , dep. 03 giugno 2008

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polveri facilmente inalabili sia da parte di chi operava direttamente sulle caldaie , sia da

parte di chi entrava nella catena di montaggio, trovandosi nello stesso ambiente,

esponendosi alle polveri durante l'allestimento delle portine internamente foderate di

piastre di amianto e rifinite con un cordolino della stesso materiale, tagliato su misura

sul posto; operazioni svolte tutte a secco, in contrasto con le norme di cautela che

all'epoca pur non vietando l'uso dell'amianto prescrivevano varie modalità di tutela della

salute.

Durante il giudizio era emerso che le mascherine messe a disposizione del datore di

lavoro erano di carta, non vi erano caschi auto ventilati e nelle condizioni di lavoro

guanti, occhiali e maschere davano fastidio perché faceva caldo; la mancanza di

informazione e formazione rendevano i lavoratori ben poco sensibili alla necessità di

proteggersi dalle polveri; nemmeno i medici di fabbrica erano stati messi a conoscenza

dell'uso a secco dell'amianto; nell'ambiente adibito all'assemblaggio delle caldaie

trattate con l'amianto si poteva anche mangiare ed era installata una macchinetta per

preparare il caffè, la presenza di soli due aspiratori, l'uso della scopa per le pulizie

anziché dell'aspirapolvere, la mancanza di lavorazioni a bagnato anziché a secco, la

assenza di controlli medici riguardanti il rischio da amianto.

La Corte, in base alle perizie svolte nel giudizio di merito, ha evidenziato che la

degenerazione delle cellule ha uno sviluppo estremamente lento, tanto che si parla di

tempi di latenza dell'ordine di qualche decennio e nelle prime fasi i sintomi sono del

tutto inavvertibili, non potendo quindi determinarsi il momento nel quale la respirazione

delle fibre del prodotto abbia causato la genesi della malattia.

Tuttavia, anche di fronte alla mancanza di determinazione del momento iniziale, va

ravvisata la sussistenza del nesso di causa in quanto la scienza medica riconosce un

rapporto esponenziale tra dose cancerogena assorbita determinata dalla durata e dalla

concentrazione dell'esposizione e risposta tumorale. Se fossero state adottate le

doverose cautele nella lavorazione, l'abbattimento delle polveri di amianto avrebbe

inciso positivamente nel tempo di latenza; al contrario le accennate gravi condizioni di

lavoro avevano ridotto tale tempo e di conseguenza la vita del lavoratore.

Anche se la normativa (e prima ancora la scienza) porta ad escludere le lavorazioni con

l'amianto, non essendo possibile escludere la potenziale dannosità per la salute, qualsiasi

sia la soglia e le condizioni di lavoro, ciò non significa che la condotta gravemente

omissiva non sia rilevante, atteso che gli studi scientifici dimostrano la sussistenza del

rapporto tra quantità di esposizione e gravità del danno.

Sussistendo conoscenze scientifiche che consentono di affermare nesso di causa tra

condotta ed evento anche quando, pur non potendosi stabilire il momento preciso

dell'insorgenza della malattia tumorale, la condotta omissiva abbia prodotto un

aggravamento della malattia o ne abbia ridotto il periodo di latenza, bisogna a quel

punto concludere nel senso della responsabilità del datore di lavoro, perché la riduzione

dei tempi di latenza e l'esplodere del tumore incide in modo significativo sull'evento

morte, riducendo la durata della vita.

I Giudici hanno altresì evidenziato come il concetto di prevedibilità dell'evento, ai fini

della individuazione della colpa, non significa rappresentazione precisa di quello che si

verificato in tutta la sua gravità, ma conoscenza della potenziale idoneità della condotta

antidoverosa di dare vita ad effetti dannosi per la salute.

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Negli anni ottanta era ben conosciuta l'incidenza negativa dell'uso dell'amianto sulla

salute dei lavoratori non solo nell'ambiente scientifico e medico, ma anche in quello

imprenditoriale, tenuto a dotarsi di misure di protezione ed a controllare l'uso di quelle

individuali da parte dei lavoratori.

Pertanto non solo vi era una condotta esigibile, ma anche la possibilità di

rappresentazione di un evento di danno alla salute.

Va però ricordato che la dottrina contesta tali conclusioni, evidenziando come non sia

possibile per le attuali conoscenze scientifiche stabilire una soglia al di sotto della quale

l'esposizione all'amianto non comporta il rischio di neoplasia; inoltre si sottolinea che

non sarebbe corretto addebitare ad alcuno un evento sulla base di una norma introdotta

allo scopo specifico di evitare un evento (es., l’asbestosi o un mesotelioma a lunga

latenza), sia pure incidente sull'integrità fisica, diverso da quello verificatosi (il

mesotelioma a breve latenza) e la cui possibilità di verificazione non abbia costituito

patrimonio scientifico consolidato al momento della condotta.

Ciò in quanto diversamente il soggetto dovrebbe rispondere per conseguenze che egli

non si è rappresentato.

Se inoltre nel 1992 con la legge 157 è stato del tutto escluso l'uso dell'amianto, ciò

significa che quando esso era consentito a determinate condizioni di tutela, queste non

sarebbero state sufficienti ad eliminare il rischio del cancro, per cui il rispetto della

regola cautelare, ai fini dell'impedimento dell'evento, deve considerarsi irrilevante.

A conclusioni più rigorose pare invece giungere la giurisprudenza di legittimità con

pronuncia del 2010 7 , la cui massima recita “ L'affermazione del rapporto di causalità

tra le violazioni delle norme antinfortunistiche ascrivibili ai datori di lavoro e l'evento-

morte (dovuta a mesotelioma pleurico) di un lavoratore reiteratamente esposto, nel

corso della sua esperienza lavorativa (esplicata in ambito ferroviario), all'amianto,

sostanza oggettivamente nociva, è condizionata all'accertamento: (a) se presso la

comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide e obiettive basi, una legge

scientifica in ordine all'effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione dopo

l'iniziazione del processo carcinogenetico; (b) in caso affermativo, se si sia in presenza

di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico; (c) nel caso in cui la

generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, se l'effetto acceleratore si sia

determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali;

(d) infine, per ciò che attiene alle condotte anteriori all'iniziazione e che hanno avuto

durata inferiore all'arco di tempo compreso tra inizio dell'attività dannosa e l'iniziazione

della stessa, se, alla luce del sapere scientifico, possa essere dimostrata una sicura

relazione condizionalistica rapportata all'innesco del processo carcinogenetico“ .

La pronuncia in parola, infatti , pur non smentendo in linea di principio i precedenti

arresti sulla correlazione eziologica tra prolungata o intensa asbesto esposizione ed

accelerazione del processo oncogeno, sembra però maggiormente sottolineare la

necessità del riscontro, nel singolo caso concreto, di quella legge scientifica di natura

probabilistica ritenuta applicabile nella vicenda processuale; in ciò sembrando i giudici

7 Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010 (dep. 13/12/2010)

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di legittimità richiamare le considerazioni già effettuate con la sentenza Franzese del

2002, laddove pure si mostrava esigenza di partire dalla legge statistica astratta per

giungere però a quella probabilistica fondata su giudizio di credibilità razionale, con

verifica puntuale e scrupolosa del modello scientifico nella specifica vicenda concreta.

Il Collegio ha in particolare evidenziato come “ … le patologie asbesto correlate

trovano causa o una causa nel contatto, nel corso dell'attività lavorativa, con sostanze

la cui tossicità è ritenuta sulla base di informazioni epidemiologiche, diventando quindi

fondamentale stabilire se informazioni epidemiologiche, che come tali hanno contenuto

probabilistico, possano essere utilizzate per stabilire relazioni causali concernenti un

singolo caso concreto … la attribuibilità soggettiva delle condotte lesive, tenuto conto

del fatto che la esposizione lavorativa solitamente si è protratta per lungo arco di

tempo, nel corso del quale si sono succeduti diversi responsabili dell'organizzazione del

lavoro, diventando cioè delicato stabilire, in presenza di malattie neoplastiche, in quale

momento sia avvenuto l'avvio, l'iniziazione del processo che dopo lunga latenza

conduce alla formazione della prima cellula tumorale.

In ambito biomedico frequentemente ci si trova davanti a leggi scientifiche che

affermano relazioni causali aventi contenuto probabilistico piuttosto che universale,

laddove è l'incremento delle probabilità, l'accrescimento della frequenza che

caratterizza la connessione tra determinate categorie di condizioni e di eventi ad

evidenziare l'esistenza di connessioni causali.

Occorre dunque comprendere se l'incremento delle probabilità studiato

dall'epidemiologia costituisca dato di cui sia possibile far uso nel singolo giudizio

penale, tenendo presente però che relazioni statistiche astratte rappresentano solo un

primo indicatore da sottoporre a vaglio critico, con approccio scientifico, per evitare il

pericolo di individuare erroneamente relazioni causali.

Esiste legge scientifica inerente alla relazione causale probabilistica tra l'inalazione

delle polveri di amianto e l'affezione tumorale del mesotelioma, nel senso che la

relazione causale in parola è indiscussa ma essa si concretizza non immancabilmente ,

bensì solo in una definita percentuale di casi.

Del resto diventa utopistico un modello di indagine fondato solo su leggi universali,

diventando in concreto necessario fare riferimento piuttosto a leggi statistiche, talvolta

dotate di coefficienti medio-bassi di probabilità frequentista, generalizzazioni del senso

comune, le cosiddette massime di esperienza, nonché rilevazioni epidemiologiche.

Occorre in tali ambiti verifica particolarmente attenta sulla fondatezza delle

generalizzazioni e sulla loro applicabilità nella fattispecie concreta, ma nulla impedisce

che, quando sia esclusa l'incidenza nel caso specifico di fattori interagenti in via

alternativa, possa giungersi alla dimostrazione del nesso di condizionamento.

Il ragionamento esplicativo che riconduce l'evento ad uno piuttosto che ad un altro

fattore eziologico risulta concludente quando è possibile attribuire rilevanza causale al

fattore considerato, e non vi sono elementi concreti che consentano di ipotizzare

plausibilmente la riconducibilità dell'evento stesso ad un distinto fattore oncogeno,

quindi dimostrandosi una significativa esposizione ad amianto (es., un decennio) e la

inesistenza di elementi che possano accreditare alternative ipotesi eziologiche

riconducibili a pregresse esposizioni lavorative all'amianto o ad esposizione ad altri

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fattori oncogeni, pare plausibile ricollegare la malattia ad una certa esperienza

professionale; non risultando tra l’altro sospetto di esposizioni significative a

radiazioni ionizzanti o ad altre cause che in letteratura sono state accreditate di essere

alternative all'amianto nella determinazione della malattia.

La domanda è se possa essere ritenuta nel caso concreto la certa rilevanza, quale

fattore di riduzione della latenza, dell'esposizione protrattasi per … anni nel corso della

gestione …

una vasta letteratura internazionale e lo stesso esercizio dell'attività giudicante nel

merito mostrano che la valutazione dell'attendibilità degli enunciati della scienza è

aperta a vari pericoli: la mancanza di cultura scientifica dei giudici, gli interessi che

talvolta stanno dietro le opinioni degli esperti, le negoziazioni informali o occulte tra i

membri di una comunità scientifica; il carattere distruttivo delle affermazioni

scientifiche che si sviluppa nella dialettica dibattimentale, particolarmente nel processo

accusatorio; la complessità e la drammaticità di alcuni grandi eventi e la difficoltà di

esaminare i fatti con uno sguardo neutro dal punto di vista dei valori; la provvisorietà e

mutabilità delle opinioni scientifiche; addirittura, in qualche caso, la manipolazione dei

dati; la presenza di pseudoscienza in realtà priva dei necessari connotati di rigore; gli

interessi dei committenti delle ricerche. Tale situazione rende chiaro che il giudice non

può certamente assumere un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere scientifico,

ma deve svolgere un penetrante un ruolo critico, divenendo … custode del metodo

scientifico …

il primo e più indiscusso strumento per determinare il grado di affidabilità delle leggi

scientifiche che vengono utilizzate nel processo è costituto dall'apprezzamento in ordine

alla qualificazione professionale ed all'indipendenza di giudizio dell'esperto … Il

problema è che questo può non essere sufficiente … Infatti non si tratta tanto di

comprendere quale sia il pur qualificato punto di vista del singolo studioso, quanto

piuttosto … dover passare dalle informazioni epidemiologiche probabilistiche al

giudizio di razionale certezza proprio dell'imputazione causale … è di decisivo rilievo

comprendere se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica. Infatti è

di tutta evidenza che una legge universale consentirebbe di articolare il sillogismo

deduttivo della certezza: 1. l'esposizione protratta all'amianto dopo l'iniziazione

determina sempre l'accelerazione dell'evento tumorale; 2. nel caso di specie tale

esposizione si è concretata; 3. l'esposizione protratta ha dunque con certezza abbreviato

la latenza e quindi la durata della vita.

Diverso sarebbe invece il ragionamento in caso di legge solo probabilistica, con la

consueta precisazione che qui si parla di probabilità in senso statistico, numerico,

afferente cioè alla frequenza dell'evento (l'effetto acceleratore), al rapporto cioè tra il

numero delle esposizioni ed il numero degli eventi … significherebbe che lo stesso

effetto si determinerebbe solo in una determinata percentuale dei casi e comunque non

immancabilmente. Dunque, traducendo tale informazione probabilistica nell'inferenza

deduttiva del caso concreto si perverrebbe alla conclusione che il lavoratore aveva solo

la probabilità (statistica) di subire l'accelerazione dell'evoluzione del processo

carcinogenetico; con l'ulteriore conseguenza che agli imputati che hanno operato in

azienda dopo l'iniziazione non potrebbe essere mossa l'imputazione causale

condizionalistica che, come è noto, richiede un certo ruolo eziologico della condotta

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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rispetto all'evento … Resta un'ultima, ormai consueta domanda: è possibile superare

nell'ambito del giudizio concreto la probabilità statistica per giungere ad un giudizio di

certezza (espresso in termini di probabilità logica, o corroborazione, o credibilità

razionale)? La risposta è in linea astratta prudentemente positiva. E l'itinerario è sempre

quello già indicato,rapportato alle peculiarità del caso. Basta a tale riguardo richiamare

quanto sopra esposto: ipotesi (abduzione), ed induzione (la copiosa caratterizzazione del

caso storico) che si confrontano ed integrano dialetticamente. Orbene, perché questo

itinerario possa essere percorso occorre che le contingenze del caso concreto siano

appunto se possibile copiose e comunque significative; e, per le loro peculiari

caratterizzazioni, riescano a risolvere il dubbio insito nel carattere probabilistico del

sapere utilizzato nell'inferenza deduttiva … carattere probabilistico della legge

potrebbe condurre alla dimostrazione del nesso condizionalistico solo ove fossero note

informazioni cronologiche e fosse provato, ad esempio, che il processo patogenetico si è

sviluppato in un periodo significativamente più breve rispetto a quello richiesto nei casi

in cui all'iniziazione non segua un'ulteriore esposizione. Analogamente potrebbe

argomentarsi ove fossero noti i fattori che nell'esposizione protratta accelerano il

processo ed essi fossero presenti nella concreta vicenda processuale …

1. Se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide ed obiettive

basi una legge scientifica in ordine all'effetto acceleratore della protrazione

dell'esposizione dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico;

2. Nell'affermativa, occorrerà determinare se si sia in presenza di legge universale o solo

probabilistica in senso statistico.

3. Nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, occorrerà

chiarire se l'effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite

e significative acquisizioni fattuali.

La sentenza in esame poi affronta il tema dei livelli di responsabilità nella materia delle

malattie professionali legate ad esposizione ad amianto, riprendendo gli esiti del

giudizio di merito di primo grado, in cui era stata riconosciuta la responsabilità del solo

direttore di servizio, non anche dei componenti del CdA, confutandone però le

conclusioni perché, secondo il giudice di legittimità, le risultanze processuali avrebbero

proprio evidenziato la concorrente responsabilità dell’organo di vertice gestionale della

impresa interessata, in termini di mancata adozione di misure di sicurezza idonee quanto

meno a ridurre il livello di rischio per i lavoratori correlato alla asbesto esposizione:

I componenti del consiglio di amministrazione hanno la gestione e l'organizzazione

dell'attività d'impresa e rivestono quindi la qualifica di datori di lavoro. Essi assumono,

quindi, la connessa posizione di garanzia … nel caso esaminato solo il direttore di

esercizio … si vedeva attribuita in concreto la gestione complessiva del lavoro nello

stabilimento. È emerso in punto di fatto che il ruolo del consiglio di amministrazione

era limitato a temi esclusivamente di interesse politico e cioè relativi alle scelte

strategiche proprie della società, concessionaria di pubblico servizio. Si era quindi in

una situazione di "ripartizione dei poteri e delle responsabilità … È proprio la presenza

del dirigente, con compiti reali e concreti di gestione, che manifesta la non

responsabilità del consiglio di amministrazione per gli obblighi di prevenzione" …

delega generica e di fatto, ma indiscutibile ed indiscussa nelle relazioni aziendali ed

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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all'esterno dell'impresa al direttore generale su ogni tema attinente all'organizzazione

del lavoro; di essa è ampio sintomo nei verbali del consiglio, che mai si occupano di

questioni di organizzazione del lavoro o anche solo di rilievo tecnico".

Conclusivamente, "non vi fu delega formale, ma in concreto era lecito confidare nelle

capacità dell'organo di direzione tecnica, per quanto concerneva l'approfondimento

delle tematiche di settore. E tra queste non poteva mancare l'argomento delle misure di

prevenzione di malattie professionali".

Questo apprezzamento è parzialmente confutato … Il componente di un CDA, pur non

essendo un tecnico, ha l'obbligo di attivarsi sia personalmente, sia attraverso terzi, al

fine di ottemperare agli obblighi impostigli. Gli imputati avevano il dovere di mettersi

in condizione di conoscere ogni eventuale problema connesso all'attività

lavorativa,eventualmente con una delega a persona esperta in tema di igiene e

sicurezza del lavoro ed in grado di operare gli approfondimenti tecnici per acquisire le

conoscenze scientifiche dell'epoca, che erano presenti non solo in ambito scientifico ma

anche tra i dirigenti d'impresa … la Corte d'appello confuta puntigliosamente

l'accertamento in fatto compiuto dal Tribunale, analizzando dettagliatamente l'attività

del CDA, che non si limitò a delineare le linee strategiche della società, ma adottò tutte

le decisioni riguardanti la gestione quotidiana ed ordinaria: delibere impegnative ed

economicamente significative come l'alienazione di immobili o l'acquisto di nuove

autolinee; altre di minor rilievo come l'acquisto di un'auto, di un impianto di lavaggio o

di un carrello per il servizio di manutenzione o ancora l'acquisto di scarpe

antinfortunistiche e di tute da officina. Dettaglio quest'ultimo che viene nella pronunzia

sottolineato per rimarcare evidentemente che il consiglio di amministrazione si

occupava anche di temi afferenti alla sicurezza. Lo stesso consiglio, rileva ancora la

Corte, si occupava dei rapporti con i sindacati, delle rivendicazioni sindacali in tema di

mensa aziendale, indennità di trasferta ed altro, del governo economico e normativo dei

dipendenti come pure e significativamente di questioni squisitamente tecniche afferenti

alle vie rotabili. Infine e soprattutto il consiglio evitava di rilasciare esplicite e formali

deleghe al direttore di servizio in qualche settore di propria competenza ed anzi fissava

in termini estremamente ridotti (L. un milione) la delega nei confronti del direttore di

servizio con riguardo alla firma degli atti di ordinaria amministrazione; ed inoltre

espressamente affermava la sua assoluta sovranità in tutti i campi dell'attività aziendale

dell'azienda, dal personale alle competenze accessorie. Tale situazione contraddice

l'esistenza della ripartizione di poteri e della delega nei confronti del direttore di

esercizio erroneamente ritenuta … ciascun componente del consiglio di

amministrazione avrebbe potuto … investire l'organo delle problematiche concernenti

la salute dei lavoratori al fine di ottenere l'adozione di iniziative volte a verificare

l'esistenza di concreti rischi derivanti dalla polverosità delle lavorazioni e degli

ambienti di lavoro. Gli amministratori, consci dei loro limiti e della loro ignoranza su

temi tecnici differenti alla sicurezza avrebbero dovuto quantomeno sollecitare l'organo

collegiale affinché procedesse a delegare i temi della sicurezza a persona esperta in

grado di dedicarsi agli approfondimenti tecnici che avrebbero consentito di attingere

alle conoscenze scientifiche dell'epoca. Tale apprezzamento di fatto, che esclude

l'esistenza di una delega idonea ad esonerare da responsabilità i componenti del

consiglio di amministrazione, è con tutta evidenza riccamente argomentato sulla base

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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di significative ed indiscutibili emergenze documentali … Dunque, la veste di garante

non è in discussione per i componenti del CDA … Il datore di lavoro deve attivarsi per

conoscere le situazioni e le fonti di pericolosità dell'attività lavorativa personalmente o

a mezzo di capaci delegati … il datore di lavoro, anche nel caso di delega di poteri,

resta titolare di obblighi essenziali che non possono essere trasferiti ad alcuno. La

legislazione più recente (da ultimo D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 28 e 29) ha messo in luce

un primordiale aspetto della sicurezza imponendo lo strumento della valutazione dei

rischi, documento che il datore di lavoro deve elaborare in collaborazione con il

responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, e

quindi con soggetti dotati di qualificazione professionale aperta agli aspetti più

propriamente scientifici della sicurezza. L'essenzialità di tale documento deriva con

evidenza dal fatto che, senza consapevolezza dei rischi, non è possibile una politica

della sicurezza. Proprio la speciale importanza dell'analisi dei rischi giustifica la non

delegabilità di tale adempimento (del richiamato D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 16 e 17).

La disciplina legale esprime un'obiettiva esigenza sistemica, già evidenziata, seppure in

modo meno definito sia nella più risalente normativa che in consolidati arresti

giurisprudenziali. Si fa riferimento, tra l'altro, al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4

del che, sull'implicito presupposto di una preliminare ricognizione dei rischi, pone a

carico del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, nell'ambito delle rispettive

attribuzioni e competenze, l'obbligo di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui

sono esposti. La giurisprudenza, d'altra parte, ha ripetutamente posto a carico del

datore di lavoro delegante un obbligo di vigilanza che, a sua volta, presuppone

logicamente la consapevolezza dei rischi da governare … proprio nel contesto

dell'esposizione ad amianto, … nell'esercizio di attività rischiose l'agente garante ha

l'obbligo di acquisire le conoscenze disponibili nella comunità scientifica per

assicurare la protezione richiesta dalla legge. Diversamente argomentando si

perverrebbe all'esito, evidentemente inaccettabile, di consentire a chiunque, anche

inesperto, di svolgere liberamente attività rischiose che richiedono conoscenze tecniche

o scientifiche, adducendo la sua ignoranza in caso di verificazione di eventi avversi …

risultano provate le condotte colpose contestate agli imputati … in particolare, la

mancata adozione di idonei impianti di aspirazione e la predisposizione solo di uno

strumento rudimentale come le mascherine di carta, di cui non veniva neppure

concretamente richiesto l'uso; infine, la violazione dell'obbligo di informazione nei

confronti dei lavoratori. L'assenza di misure di prevenzione si accompagnava al

compimento di operazioni tecniche caratterizzate da elevata polverosità, come la

pulizia con delle semplici scope delle polveri contaminate depositate sui pavimenti, o il

getto di aria compressa sulle parti lavorate. Tale situazione avrebbe potuto essere

ovviata attraverso misure di prevenzione che già nel 1970 sarebbero state senz'altro

attuabili, quali l'umidificazione del materiale per evitare la formazione di polvere,

l'adozione di sistemi di aspirazione, l'uso di valide maschere filtranti … D'altra parte,

prosegue la Corte di merito, già nel 1975 la Società italiana di diritto del lavoro, sulla

falsariga di quanto stabilito negli USA nel 1972, in relazione al pericolo di

mesotelioma, aveva fissato il limite tollerabile in 2 fibre per centimetro cubico. La

Corte ritiene che tale livello fosse senz'altro superato nella situazione ambientale dello

stabilimento, assai negativamente connotata; come evidenziato anche da indagini

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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compiute nel 1992 in ambienti di lavoro già interessati ad interventi di protezione …

indipendentemente dal rischio mesotelioma, la grave pericolosità dell'amianto per il

rischio asbestosi era ampiamente nota ed avrebbe dovuto sollecitare adeguate misure

di prevenzione … le conoscenze sulla cancerogenicità erano attingibili in ambito

scientifico ed erano diffuse in ambito imprenditoriale, come dimostrato dalle iniziative

delle ferrovie inglesi. L'ignoranza del Consiglio di amministrazione e del dirigente

tecnico … deriva da una colpa primigenia … “.

La pronuncia che ora si commenta 8 riguarda la vicenda “Montefibre” la quale,

ricostruendo la dogmatica in tema di nesso di causalità materiale e psicologico, presenta

interessanti spunti proprio in relazione al problema finora trattato delle figure soggettive

da ritenersi responsabili in vicende come quelle delle patologie professionali asbesto

correlate, giungendo a rigorose conclusioni sulla posizione dei componenti dell’organo

di vertice della società , pur in caso di applicazione dell’istituto della delega di funzioni,

e per le ulteriori considerazioni ricavabili rispetto alla questione della eziologia tra

condotte omissive ed evento lesivo manifestatosi a distanza di anni.

I giudici di legittimità hanno in particolare affermato che “… nelle imprese gestite da

società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed igiene sul

lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i

componenti del consiglio di amministrazione … anche di fronte alla presenza di una

eventuale delega di gestione conferita ad uno o più amministratori, specifica e

comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, tale situazione può ridurre la portata

della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non

escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di

controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di

mancato esercizio della delega.

In una fattispecie analoga a quella oggetto di giudizio, relativa ad impresa il cui

processo produttivo prevedeva l'utilizzo dell'amianto e che aveva esposto costantemente

i lavoratori al rischio di inalazione delle relative polveri, si è ritenuto che, pur a fronte

dell'esistenza di amministratori muniti di delega per l'ordinaria amministrazione e

dunque per l'adozione di misure di protezione concernenti i singoli lavoratori od aspetti

particolari dell'attività produttiva, gravasse su tutti i componenti del consiglio di

amministrazione il compito di vigilare sulla complessiva politica della sicurezza

dell'azienda, il cui radicale mutamento -per l'onerosità e la portata degli interventi

necessari - sarebbe stato indispensabile per assicurare l'igiene del lavoro e la

prevenzione delle malattie professionali. Ciò è in perfetta sintonia con quanto previsto

dall'art. 2392 c.c., in tema di s.p.a. e vigente all'epoca dei fatti. Tale disposizione, nel

prevedere che gli amministratori nella gestione della società devono adempiere i doveri

ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, stabilisce che anche se taluni compiti

sono attribuiti ad uno o più amministratori, gli altri componenti "sono solidalmente

responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione...". In

sostanza, in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la

8 Cass. Sez. IV Penale, 10 giugno – 4 novembre 2010 n. 38991

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riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se sono il frutto di occasionali disfunzioni;

quando invece sono determinate da difetti strutturali aziendali e del processo

produttivo, permane la responsabilità dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti

del consiglio di amministrazione. Diversamente opinando, si violerebbe il principio del

divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che pur

sempre a carico del delegante permangano obblighi si vigilanza ed intervento

sostitutivo.

In definitiva, anche in presenza di una delega di funzioni ad uno o più amministratori

(con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la posizione di garanzia

degli altri componenti del consiglio non viene meno, pur in presenza di una struttura

aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte

aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che

attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore di lavoro.

Nel caso di specie … la violazione della disposizioni sull'igiene del lavoro erano

talmente gravi, reiterate e "strutturali", da richiedere decisioni di alto livello aziendale

non delegabili e proprie di tutto il consiglio di amministrazione ed, in ogni caso, che

non sottraevano i suoi componenti da obblighi di sorveglianza e denuncia.

Se ciò vale per i singoli componenti del consiglio, a maggior ragione la posizione di

garanzia rimane radicata il capo all'amministratore delegato od al componente del

comitato esecutivo …“.

Peraltro va ricordato che da tempo, certamente ben prima della entrata in vigore dell’art

16 d. 81/2008 , dottrina9 e giurisprudenza ritengono configurabile da parte del legale

rappresentate dell’impresa/datore di lavoro il conferimento di delega a terzi per la

gestione di una certa attività , ivi compresa la adozione delle misure di sicurezza per la

tutela della salute dei lavoratori , purché la delega sia effettiva, cioè caratterizzata dal

trasferimento delle funzioni in base a precise norme interne alla struttura aziendale,

sussista la idoneità tecnico–professionale del delegato, la autonomia decisionale del

medesimo (dovendo egli disporre dei poteri necessari per adempiere i doveri), la

disponibilità dei mezzi necessari allo scopo, un budget finanziario adeguato ai costi per

la sicurezza.

Presenti tali condizioni, vale il principio dell’affidamento, per cui il delegante può e

deve potere confidare nel corretto comportamento del preposto , fino a quando egli non

venga a conoscenza della inosservanza da parte di costui.

Ciò imponendosi al fine di evitare l’aggiramento delle norme sulla responsabilità penale

(e civile) del datore di lavoro in tema di sicurezza dei suoi dipendenti, nonché

l’aggiramento dei costi aziendali da sopportare in materia.

Senonché , nello specifico settore della lavorazione con amianto , anche tenuto conto

dei risultati scientifici raggiunti già da qualche decennio circa la pericolosità della sua

forma polverulenta (stato fisico in cui l’amianto inevitabilmente si riduce se soggetto

alle sollecitazioni tipiche del lavoro), ci si chiede fino a che punto una delega di

funzioni conferita al singolo direttore di stabilimento, anche se dotata delle formali e

sostanziali caratteristiche enucleate da dottrina e giurisprudenza10

, possa esonerare il

9 Mantovani, Diritto Penale, CEDAM, 1992, pagg. 151 - 153

10 Mantovani, cit., pag. 153

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titolare della azienda da responsabilità per le malattie professionali subite dai suoi

dipendenti, nella misura in cui dal massiccio, sistematico, costoso, organizzato e

perdurante impiego (strumentale o finale) dell’asbesto si possa ricavare che il suo

utilizzo abbia costituito scelta di fondo o strategia dell’impresa in esame.

In altri termini, è possibile sostenere la “concentrazione verso il basso” delle

responsabilità11

, guardando al direttore di stabilimento o al delegato alla sicurezza,

quando dalla analisi dei verbali del consiglio di amministrazione, del volume affari in

materia di amianto, delle fatture di acquisto o vendita di materie prime, dalla audizione

di testimoni (ex lavoratori, esponenti sindacali, fornitori merci, ecc.) emerga che

l’utilizzo dell’asbesto abbia fatto parte della “politica dell’impresa” o abbia

rappresentato scelta del “vertice della struttura gestionale” ?

Sembra invero arduo sostenere che la singola delega di funzioni possa contemplare in sé

aspetti talmente strutturali e così determinare la de-responsabilizzazione dell’“alto

organigramma” societario, discutendosi proprio della strategia di fondo dell’impresa e

del sostenimento di costi strutturali, non semplicemente dello svolgimento regolare di

una o più articolazioni della impresa.

A queste condizioni (se appunto accompagnate da elementi di prova come la

acquiescenza degli organi di gestione o controllo, la continuatività e sistematicità delle

violazioni, ecc.) pare necessario guardare al consiglio di amministrazione della società

interessata, quale organo “di vertice” delle scelte “fondamentali” e strutturali dell’ente,

che risulti avere “investito” sull’amianto in termini di costi, strategie, obiettivi, alleanze.

Ma poi, per definire le singole responsabilità penali dei componenti del consiglio di

amministrazione, occorre tenere conto della evoluzione normativa in tema di

responsabilità dell’organo societario in questione, con particolare riferimento ai poteri

di gestione, vigilanza, controllo e censura della attività da altri svolta.

Infatti, prima della riforma del diritto societario e in particolare delle norme in tema di

responsabilità degli amministratori , si affermava che il vertice di una organizzazione

complessa, nonostante i limiti di responsabilità derivanti dalla ripartizione interna di

competenze, aveva comunque obbligo di controllo e vigilanza in materia

antinfortunistica o quando veniva a conoscenza di specifiche inadempienze o quando

aveva avuto ingerenza nella tutela dei lavoratori impartendo precisi ordini, sussistendo

l’obbligo “positivo” di vigilare sul generale andamento della gestione dell’impresa12

.

Sicchè, il singolo mero componente del consiglio di amministrazione, pur a fronte di

previsione interna alla società di amministratori delegati in tema di misure di

prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, restava gravato

dagli obblighi concernenti l’igiene e la sicurezza sul lavoro, potendo la delega di

funzione conferita ad uno o più amministratori, peraltro se dotata dei requisiti sopra

richiamati, al più ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita per legge agli

11

Mantovani, cit. , pag. 152 12

Si veda Cass. 30 marzo 2000 n. 5037 , dep. 06 febbraio 2001 , laddove si affermava che la esistenza del

responsabile dell’ufficio compartimentale e del medico di fabbrica non escludeva la responsabilità

dell’organo di vertice delle Ferrovie dello Stato per l’utilizzo di amianto e per i danni da esso prodotti,

avendo quest’ultimo prodotto apposite circolari a tutela della salute dei lavoratori senza però svolgere

alcun controllo, anche sollecitando il competente organo tecnico ispettivo dell’ente sulla ottemperanza

alle istruzioni impartite

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ulteriori componenti del consiglio, ma non poteva del tutto escluderla, appunto perché si

riteneva non possibile eliminare i doveri di controllo sul generale andamento della

gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega13

.

Ai fini dell’esonero di responsabilità degli amministratori non delegati, quindi,

occorreva dimostrare che fossero stati conferiti all’amministratore delegato effettivi

poteri organizzativi, deliberativi e di spesa in materia di tutela della salute dei

dipendenti, e che fosse stato esercitato dai non delegati il potere di controllo e di

eventuale intervento sostitutivo dell’agire del delegato in adempimento della

ineliminabile parte residua della posizione di garanzia.

Tale regime poggiava sull’art. 2392 co. II cod. civ. nella parte in cui veniva stabilita la

solidale responsabilità di tutti gli amministratori, nel caso di attribuzioni al comitato

esecutivo o ad uno o più amministratori, quando i primi non avevano vigilato sul

generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli,

non avevano fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o

attenuarne le conseguenze dannose.

Naturalmente, trattandosi di generale potere di controllo sull’andamento della gestione,

esso non poteva riguardare gli aspetti minuti della attività, bensì la complessiva gestione

aziendale della sicurezza di un’impresa che lavorava l’amianto (es., messa a

disposizione a favore dei lavoratori di DPI, costosi investimenti comportanti radicali

modificazioni degli ambienti e della organizzazione del lavoro, informazione rivolta ai

dipendenti sui rischi connessi ad esposizione ad amianto, generale controllo circa

l’effettivo utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, controllo per lo

svolgimento delle operazioni di pulizia con sistemi idonei ad evitare sollevamento di

polveri, controllo circa la separazione dei lavori esposti direttamente al rischio amianto

dagli altri lavori, divieto di attività con uso di amianto svolte a secco ed in assenza di

misure di prevenzione a tutela dell’operatore direttamente interessato e del restante

personale del reparto, ecc.) .

A seguito della modifica del codice civile risalente al 2003, nella parte relativa a poteri e

responsabilità del consiglio di amministrazione (art. 2381 c. c.), invece, emergono

prime pronunce della Corte di Cassazione che sembrano alleggerire il peso delle

responsabilità in capo ai consiglieri di amministrazione non delegati, non più

configurandosi obbligo “positivo” di generale controllo sull’andamento della gestione in

capo agli stessi, bensì un più limitato potere/ obbligo di intervento e censura delle azioni

illecite che poggia su informazioni e dati ricevuti dall’amministratore delegato o dal

presidente del consiglio di amministrazione 14

. I giudici hanno in proposito ricordato

che l’art. 2381 co. V del codice civile ha previsto l’obbligo in capo all’amministratore

delegato di fornire agli amministratori non operativi (e ai sindaci) notizie adeguate in

ordine al generale andamento della gestione e alle operazioni di maggiore rilievo.

13

Cass. 11 luglio 2002 , dep. 14 gennaio 2003 : fattispecie relativa ad impresa il cui processo produttivo,

riguardando beni realizzati con amianto, aveva esposto costantemente i lavoratori al rischio di inalazione

delle relative polveri; i giudici ritenevano che, pur in presenza di amministratori muniti di delega per le

misure di protezione dei lavoratori, gravasse su tutti i componenti del consiglio di amministrazione il

compito di vigilare sulla complessiva politica di sicurezza della azienda. 14

Sezione Penale V, sentenza n. 36595 del 2009

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Siffatte modifiche sui poteri degli amministratori (e dei sindaci), ai quali non sembra

più competere un generale obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione,

che è stato sostituito dall’obbligo di intervenire nel momento in cui siano stati

debitamente informati di quanto sta per essere deciso dagli organi sociali, non possono

non incidere sulla responsabilità penale ex art. 40 co. II c.p., che trova il suo

fondamento in una disposizione normativa impositiva del dovere di intervenire (dovere

che, proprio a seguito della novella normativa, sarebbe venuto meno per effetto della

scelta legislativa di spostare la posizione di responsabilità degli amministratori non

delegati da un piano attivo e propulsivo ad un piano passivo di attesa di informazioni a

cura del gestore delegato della materia). Sicché, per sanzionare le condotte degli

amministratori non operativi è necessario dimostrare la precisa rappresentazione da

parte loro dell’evento nella sua portata illecita e la omissione consapevole

nell’impedirlo.

Tuttavia la Suprema Corte, allo scopo di non limitare oltre misura il margine di

responsabilità degli amministratori non delegati, ha sostenuto che questi ultimi

conservano il potere di chiedere di essere informati, e tale potere dovrebbe essere

esercitato (vedi Nota a fine documento).

Con le sentenze dello scorso anno, poi, la Suprema Corte sembra orientarsi ormai

decisamente per la rilevanza della teoria della c.d. “multifattorialità”, ai fini della

determinazione del nesso causale tra tecno-esposizione ad asbesto e malattia tumorale

dell’apparato respiratorio , piuttosto che per la alternativa ricostruzione della citata tesi

“dose innesco “ o “dose killer” ; ciò determinando sul piano pratico la importanza della

verifica giudiziale di una più ampia gamma di condotte datoriali , non bastando

soffermarsi su quelle risalenti al tempo delle prime esposizioni cui veniva sottoposto il

lavoratore, ma occorrendo valutare essenzialmente la intera esperienza del dipendente

presso la azienda, almeno fintantoché l’amianto veniva ivi impiegato a fini produttivi ,

se non anche rispetto all’epoca ancora più prossima, corrispondente a quando, cioè, pur

essendo cessato l’utilizzo strumentale del coibente pericoloso, la attività di stoccaggio e

deposito ai fini della bonifica poteva avvenire secondo tecniche e modalità non

rispondenti alle prescrizioni di tutela della salute dei lavoratori.

In particolare, ultimamente i giudici di legittimità15

hanno nuovamente affermato che la

responsabilità per gli eventi dannosi legati all'inalazione di polveri di amianto, pur in

assenza di dati certi sull'epoca di maturazione della patologia, va attribuita causalmente

alla condotta omissiva dei soggetti responsabili della gestione aziendale, anche se per

una parte soltanto del periodo di tempo di esposizione delle persone offese, in quanto

tale condotta, con riguardo alle patologie già insorte, ha ridotto i tempi di latenza della

malattia, ovvero, con riguardo alle affezioni insorte successivamente, ha accelerato i

tempi di insorgenza (cfr. Cass. pen. Sez. 4, n. 38991, del 10.6.2010, Rv. 248851), in

aderenza così alla tesi della c.d. "dose cumulativa".

Sussiste infatti letteratura scientifica sostanzialmente convergente sulla circostanza che

nella fase di induzione ogni esposizione ha un effetto causale concorrente, non essendo

necessario l'accertamento della data dell'iniziale insorgenza della malattia e, pur non

15

Cass. Sez. Pen. IV, 22 marzo 2012 sent. n. 24997

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essendovi certezze circa la dose sufficiente a scatenare l'insorgenza del mesotelioma

pleurico, è stato comunque accertato che il rischio di insorgenza è proporzionale al

tempo e all'intensità dell'esposizione, nel senso che l'aumento della dose è inversamente

proporzionale al periodo di latenza.

La scienza medica in latri termini riconosce rapporto esponenziale tra dose cancerogena

assorbita determinata dalla durata e dalla concentrazione dell'esposizione alle polveri di

amianto e risposta tumorale.

L'inalazione da amianto è peraltro ritenuta da molto tempo di grande lesività della salute

(se ne fa cenno nel R.D. 14 giugno 1909, n. 442 in tema di lavori ritenuti insalubri per

donne e fanciulli ed esistono precedenti giurisprudenziali risalenti al 1906) e la malattia

da inalazione da amianto, l'asbestosi (conosciuta fin dai primi del 900 ed inserita nelle

malattie professionali dalla L. 12 aprile 1943, n. 455), è ritenuta conseguenza diretta,

potenzialmente mortale, e comunque sicuramente produttrice di una significativa

abbreviazione della vita se non altro per le patologie respiratorie e cardiocircolatorie ad

essa correlate. Ne consegue che la mancata eliminazione, o riduzione significativa, della

fonte di assunzione comportava il rischio del tutto prevedibile dell'insorgere di una

malattia gravemente lesiva della salute dei lavoratori addetti. Se solo successivamente

sono state conosciute altre conseguenze di particolare lesività non v'è ragione per

escludere il rapporto di causalità con l'evento e il requisito della prevedibilità dell'evento

medesimo. E non v'è ragione di escluderlo, in particolare, perché le misure di

prevenzione da adottare per evitare l'insorgenza della malattia conosciuta erano

identiche (fino all'approvazione della L. 27 marzo 1992, n. 257 che ha vietato in

assoluto l'uso dell'amianto) a quelle richieste per eliminare o ridurre gli altri rischi,

anche non conosciuti; con la conseguenza, sotto il profilo obiettivo, che ben può

affermarsi che la mancata adozione di "quelle" misure ha cagionato l'evento e, sotto il

profilo soggettivo, che l'evento era prevedibile perché erano conosciute conseguenze

potenzialmente letali della mancata adozione di quelle misure" (Cass. pen. Sez. 4, n.

988 dell'11.7.2002, Rv. 227001).

Inoltre giova evidenziare che , in tema di omicidio colposo, sussiste nesso di causalità

tra l'omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il

decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di

amianto, quando, pur non essendo possibile determinare l'esatto momento di insorgenza

della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto

incidere positivamente anche solo sul suo tempo di latenza".

La causalità omissiva presenta una complessità particolare perché si fonda non su fatti

materiali empiricamente verificabili, ma su di una ricostruzione logica, che, a differenza

di quella commissiva, non può avere una verifica fenomenica.

Il rapporto che si istituisce tra una entità reale, vale a dire l'evento verificatosi, ed

un'entità immaginata, la condotta omessa ed il giudizio contrafattuale ("contro i fatti":

se l'intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe evitato il prodursi dell'evento?)

serve a ricostruire la sequenza e a fondare la risposta. Sempre i giudici di legittimità 16

,

ancora molto di recente, nel trattare il caso di ex lavoratori della Fincantieri,

16

Cass. Sez. Pen. IV , 25 maggio 2012 sent. n. 881

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stabilimento di Marghera, hanno ribadito come , non potendosi affermare la esistenza

di soglia quantitativa al di sotto della quale il rischio venga escluso , non assume rilievo

decisivo l'individuazione dell'esatto momento d'insorgenza della patologia (Sez. IV,

11/4/2008, n. 22165), dovendosi sostenere che la condotta doverosa potrebbe incidere

positivamente anche solo sul suo tempo di latenza.

I giudici in tale occasione sono ritornati sulla tesi dello studioso Irving Selikoff per

affermare che, partendo da essa, controparte era giunta ad elaborare l'inaccettabile teoria

secondo la quale , poiché l'insorgenza della patologia oncologica è causata anche dalla

sola iniziale esposizione (cd. «trigger dose» o «dose killer»), tutte le esposizioni

successive, pur in presenza di concentrazioni anche elevatissima di fibre cancerogene,

sarebbero state ininfluenti.

In realtà, precisa la S.C. , Selikoff aveva voluto solo mettere in guardia sulla

pericolosità del contatto con le fibre d'amianto, potendo l'alterazione patologica essere

stimolata anche solo da brevi contatti e in presenza di percentuali di dispersione nell'aria

modeste ; non già che si sia in presenza, vera e propria anomalia mai registrata nello

studio delle affezioni oncologiche, di un processo cancerogeno indipendente dalla

durata e intensità dell'esposizione. La molteplicità di alterazioni innestate dall'inalazione

delle fibre tossiche necessita infatti del prolungarsi dell'esposizione e dal detto

prolungamento dipende la durata della latenza e, in definitiva della vita, essendo ovvio

che a configurare il delitto di omicidio è bastevole la accelerazione della fine della vita.

L'accumulo delle fibre all'interno dei polmoni, continuando l'esposizione, non può che

crescere, nel mentre solo col concorso, in assenza d'ulteriore esposizione, di molti anni,

lentamente il detto organo tende a liberarsi delle sostanze tossiche, essendo stato

accertato, dagli studi di Casale Monferrato, che l'accumulo tende a dimezzarsi solo dopo

10/12 anni dall'ultima esposizione. Dallo studio si è potuto ricavare che tutte le

esposizioni alle quali il soggetto è stato sottoposto almeno negli ultimi dieci anni che

precedono la diagnosi della malattia hanno influenza, aumentando il rischio ed

accelerando il processo maligno; al tempo stesso, non è possibile determinare una soglia

quantitativa e temporale di sicurezza, né il tempo massimo d'induzione; sul soggetto

fumatore si verifica un effetto moltiplicativo esponenziale del rischio, ben maggiore

della singola somma dei due rischi, quanto al carcinoma polmonare. Sussiste, in

definitiva, il nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte del datore di lavoro di

idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta

esposizione alle polveri di amianto quando, pur non essendo possibile determinare

l'esatto momento di insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta

doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza (Sez.

IV, 11/4/2008, n. 22165). Sicchè, se il gerente avesse tenuto la condotta lecita prevista

dalla legge, operando secondo il noto principio di controfattualità, guidato sulla base di

una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica

(S.U., 10/7/2002, n. 30328), l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe

verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Nella comunità scientifica è ben radicato il convincimento che il processo

carcinogenetico debba considerarsi dose-dipendente, secondo legge probabilistica di

tipo statistico; il rischio decresce (anche nel solo senso che l'insorgenza della malattia si

allontana nel tempo) col trascorrere del tempo dall'ultima esposizione, di talché è facile

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concludere che ogni assunzione successiva aumenta il rischio. Da oltre un secolo,

prosegue la Corte, si ha la diffusa, piena consapevolezza della specifica pericolosità

dell'assunzione attraverso le vie aeree delle microfibre di amianto (r.d. 14/6/1909, n.

442, nell'ambito di norme a tutela dei fanciulli; L. 12/4/1943, n. 455, la quale introdusse

l'asbestosi fra le malattie professionali). Pur vero che ai quei tempi era nota solo

l'insorgenza dell'asbestosi, ma, di sicuro, la pericolosità della lavorazione del materiale

in parola era ben nota. L'evidenziazione su basi divulgative affidabili della correlazione

tra assunzione di polveri d'amianto e processi cancerogeni risale al 1964 (conferenza

sugli «Effetti biologici dell'amianto» dell'Accademia delle Scienze, tenutasi a New

York). Peraltro, nella detta occasione venne presentata da Enrico Vigliani l'esperienza

italiana. Lo stesso studioso nel 1966 e nel 1968, pubblicò in Italia su riviste scientifiche

il proprio pensiero. La questione venne ripresa, con ampio approfondimento, in

occasione dei 34° congresso della Società Italiana di Medicina del Lavoro, tenutosi a

Saint Vincent. Le conclusioni erano del tutto concordanti: la sopravvivenza dopo la

diagnosi era solitamente assai breve; l'intervallo tra l'inizio dell'esposizione e la

comparsa della malattia era assai lungo; anche basse dosi erano sufficienti ad innestare

il processo patologico; degli esposti solo taluni subivano la degenerazione cellulare; pur

essendo vari i tipi di amianto, quasi sempre erano presenti fibre di anfibolo e crisotilo;

non si riscontrava alcuna apprezzabile causa alternativa. L'esercizio di attività

pericolosa dovrebbe dunque imporre all'imprenditore l'approntamento di ogni possibile

cautela, dalla più semplice ed intuitiva (proteggere le vie respiratorie con maschere

altamente filtranti imporre accurati lavaggi alla cessazione dell'orario di lavoro con

cambio degli indumenti da lavoro da sottoporsi, anch'essi, a lavaggio; riduzione al

minimo delle polveri' loro appesantimento mediante acqua' ai» loro aspirazione, ecc.),

alle più complesse e sofisticate, secondo quel che la scienza e la tecnica consigliano.

Reputa il Collegio che, anche a voler considerare che fosse nota soltanto la generica

tossicità delle polveri d'amianto, causa di asbestosi, avrebbe risposto a principio di

precauzione trattare con ogni cautela le polveri, che si sapevano assai sottili (e, quindi,

di agevole infiltrazione e fissazione polmonare) di sostanza comunque tossica. In tema

di delitti colposi nel giudizio di "prevedibilità", richiesto per la configurazione

della colpa, va considerata anche la sola possibilità per il soggetto di rappresentarsi

una categoria di danni sia pure indistinta potenzialmente derivante dal suo agire,

tale che avrebbe dovuto convincerlo ad astenersi o ad adottare più sicure regole di

prevenzione: in altri termini, ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi

riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di

danno e non anche alla specifica rappresentazione "ex ante" dell'evento dannoso,

quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione17

. Le norme

antinfortunistiche che fanno obbligo al datore di lavoro di approntare ogni misura utile

ad impedire o ridurre al minimo l'inalazione di polveri non è diretta ad evitare che i

lavoratori subiscano il fastidio d'un ambiente di lavoro polveroso, ma che l'organismo

dei predetti sia costretto ad inalare corpuscoli frammisti all'aria respirata del tutto

17

Del resto, presupponendo il delitto punito a titolo di colpa , in capo al suo autore, non volontà

dell’evento dannoso (ma volontà di violazione della regola cautelare posta a tutela della salute dei

dipendenti), evento che spesso , come nel caso della c.d. colpa incosciente (Mantovani, Diritto Penale, cit.

, pagg. 341 - 342), non è neppure previsto come conseguenza indesiderata della propria condotta.

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estranei ad essa e certamente forieri di danno fisico. In ogni caso non par dubbio che la

prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta

commissiva od omissiva, avendo presente il cosiddetto "modello d'agente", il modello

dell' "homo eiusdem condicionis et professionis", il quale svolge paradigmaticamente

una determinata attività che importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità,

la quale esige che l'operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci

si aspetta. Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il garante si renda conto di

non essere in grado d'incidere sui rischio, l'abbandono della funzione, previa adeguata

segnalazione al datore di lavoro. Deve dunque ribadirsi che ai fini del giudizio di

prevedibilità occorre avere riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad

una situazione di danno , non anche alla specifica rappresentazione ex ente dell'evento

dannoso quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione . Non ha

fondamento, poi, l'opinione secondo la quale, comunque, gli eventi dannosi non si

eviterebbero, perché, ove si approntassero tutte le cautele del caso, fino a giungere a

rinunciare a certi tipi di lavorazione o d'impiego, preferendo altre modalità o altri

materiali, anche se più costosi, gli eventi contestati sarebbero scongiurati. Il d.lgs.

15/8/1991, n. 277 stabilì che, fermo restando il rispetto di tutte le forme di protezione

individuale fossero, comunque, vietate le lavorazioni, ove il livello di dispersione di

microfibre di amianto fosse superiore a determinati parametri; ma ciò non significò

affatto che al di sotto dei detti limiti fosse stata liberalizzata l'inalazione delle predette

microfibre. Ne, peraltro, l'entrata in vigore della L.27/3/1992, n. 257, con la quale si

vietò definitivamente la lavorazione dell'amianto, segnò il momento iniziale nel quale si

ebbe consapevolezza della pericolosità di tale lavorazione. Al contrario, rappresenta

l'epilogo di un lungo percorso che aveva dimostrato la specifica elevata pericolosità

dell'amianto. La Corte è dell'avviso che l'appartenenza ad un'impresa di cospicue

dimensioni, la vasta esperienza, le competenze specifiche di settore, il possesso di

congrui titoli di studio dei soggetti qui chiamati a rispondere in qualità di garanti,

costituiscano condizioni sufficienti per cogliere la specifica, elevata rischiosità delle

lavorazioni svolte e, se del caso, la necessità ad attingere a competenze settoriali

specialistiche, senza che l’eventuale silenzio delle pubbliche agenzie deputate ai

controlli possa in alcun modo acquietarli.

Nota Con la sentenza 988/2003 della Corte di Cassazione , Sez. Pen. IV, si è trattato il problema della natura

dei poteri in tema di misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

affermandosi che, essendo poteri in linea di principio di ordinaria amministrazione, essi dovrebbero

spettare agli amministratori delegati e quindi il semplice componente del consiglio di amministrazione

nessun potere potrebbe esercitare in questa materia e nessuna responsabilità potrebbe quindi derivargli da

eventuali carenze nei settori indicati.

Ma si è precisato che nel caso in cui lo statuto societario preveda la presenza di uno o più amministratori

delegati, da ciò non discende automaticamente l'esonero da responsabilità dei consiglieri di

amministrazione; occorre infatti verificare, di volta in volta, l'ambito della delega; qualora dal tenore di

quest’ultima non sia possibile evincere un trasferimento “effettivo” di poteri a favore di preposti, non

sarebbe possibile escludere la responsabilità dei componenti dell'organo di gestione della società.

Si è altresì precisato che qualora risulti che la gran parte degli interventi omessi per evitare le

conseguenze dannose dell'attività lavorativa non riguardi soltanto aspetti minuti dell’impresa, come la

mancata utilizzazione da parte dei lavoratori dei mezzi di protezione individuale , bensì la mancata

adozione di complessi e costosi interventi che, solo a prezzo di radicali modificazioni degli ambienti e

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dell'organizzazione del lavoro, potrebbe consentire di immutare profondamente le modalità e le tecniche

produttive in modo da consentire di eliminare, o ridurre significativamente, l'esposizione dei lavoratori ai

rischi di inalazione delle fibre di amianto, a quel punto non è possibile rientrare nell'ordinaria

amministrazione per le rilevanti trasformazioni dell'ambiente e delle modalità di lavoro che si rendano

necessarie e per gli ingentissimi capitali richiesti per operare queste trasformazioni.

Trattandosi quindi di atti ritenuti di straordinaria amministrazione , rimane l'obbligo della loro esecuzione

in capo al "datore di lavoro" identificabile nel consiglio di amministrazione e quindi, sotto il profilo

penale, nei singoli suoi componenti.

Inoltre si è sostenuto che i componenti del CdA conservano, in adempimento della ineliminabile parte

residua della posizione di garanzia ad essi attribuita, l’obbligo di controllo (e di eventuale intervento

sostitutivo) dell'operato dell'amministratore delegato che non viene meno con il conferimento della

delega.

Ciò in quanto si è ritenuto che, anche in presenza di una valida delega , esista un residuo potere non

delegabile costituito dal dovere di vigilanza e da doveri di intervento sostitutivo su situazioni conosciute o

che avrebbero dovuto essere conosciute; regola che peraltro trova importante argomento di conferma, sia

pure sul piano civilistico (con conseguenze che, peraltro, non possono che riflettersi su quello penalistico

comune essendo la matrice e la giustificazione degli obblighi di garanzia), nel testo dell'art. 2392 comma

2° cod. civ.

Ragionevolmente si è escluso in dottrina che questo obbligo riguardi anche gli aspetti minuti della

gestione ma non è posta in dubbio l'esigibilità di un dovere di vigilanza sul generale andamento della

gestione. E non sembra dubbio si riferisca a tale generale andamento non l'adozione di una singola misura

di prevenzione per la tutela della salute di uno o più lavoratori o il mancato intervento in un settore

produttivo ma la complessiva gestione aziendale della sicurezza per un'impresa il cui oggetto sociale era

interamente riferibile alla lavorazione di beni nei quali veniva sempre, e significativamente, utilizzato

l'amianto. In conclusione con il trasferimento di funzioni il contenuto della posizione di garanzia gravante

sull'obbligato originario si modifica e si riduce agli indicati obblighi di controllo e intervento sostitutivo e,

ove egli non adempia a tali obblighi residuali e, in conseguenza di questa omissione, si verifichi l'evento

dannoso si dovrà ravvisare la colpa nell'inosservanza di tali obblighi.

Tuttavia trattasi di principio che, per un verso, parte della dottrina ha contestato nel caso di trasferimento

di funzioni che si realizza con la nomina dell'amministratore delegato, per altro verso, come sopra si

diceva, dovrebbe essere venuto meno per effetto della riforma sul diritto societario, con particolare

riferimento all’art 2381 co. V cod. civ.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Soggetti responsabili civili e penali

Tecniche d’indagine e ostacoli per l’individuazione delle imprese

Paolo Rivella

Commercialista – Consulente delle Procure della Repubblica di Torino e di Milano

Largo Orbassano, 77 – 10135 – Torino

Tel. +39 011 197 020 67 Fax +39 011 304 9193 Cell. +39 392 362 5710

e- mail: [email protected] Sito: www.studiopaolorivella.it

Abstract L’individuazione dei responsabili civili e penali è una materia complessa che richiede

un’attenta ricerca e analisi dei dati a disposizione. Ricerca e analisi che non è sufficiente

demandare alle Camere di Commercio. L'attuale anagrafe italiana delle imprese non

permette l'identificazione delle imprese indagate per uso di amianto e dei relativi

amministratori in modo lineare. Le Camere di Commercio forniscono i dati grezzi, che

devono essere esaminati attentamente per trovare specifiche informazioni, prestando

attenzione a non farsi fuorviare dal gergo insolito dei documenti camerali ed integrando

i dati con altre fonti indiziarie. In prospettiva, gli archivi di INPS ed INAIL potrebbero

utilmente integrare i dati del Registro Imprese.

1. Introduzione

L’individuazione dei responsabili civili e penali è una materia complessa che richiede

un’attenta ricerca e analisi dei dati a disposizione. Ricerca e analisi che non è sufficiente

demandare alle Camere di Commercio. Tanto più in casi di imprese storiche come

quelle che coinvolgono l’utilizzo e/o la lavorazione delle fibre di amianto.

Vediamo perché.

Nelle aule di giustizia, l'amianto viene spesso discusso e contestato in relazione a

lavorazioni industriali. Diventa quindi indispensabile individuare con precisione

l'impresa dove avvenivano queste lavorazioni: chi era, chi è oggi, esiste ancora?

Nel lunghissimo periodo di latenza del mesotelioma, accade quasi sempre che l’impresa

originaria:

abbia cambiato denominazione;

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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abbia venduto o conferito lo stabilimento (a volte all'interno del medesimo gruppo

societario, altre volte a un nuovo gruppo);

sia stata incorporata in un'altra società;

oppure sia fallita.

Senza contare che magari, lungo il percorso, può essere comparsa una società con la

stessa denominazione della società che usava l'amianto, totalmente estranea ai fatti del

processo.

Se poi entriamo in ambito penale, sarà necessario individuare le generalità degli

amministratori della società o delle società che hanno gestito lo stabilimento,

evidenziando, se possibile, chi tra loro aveva deleghe specifiche per gestire la sicurezza

dei lavoratori. Inoltre sarà necessario individuare gli amministratori di fatto italiani o

esteri, non solo chi aveva incarichi formali.

Nel mio intervento di oggi non tratterò questo ultimo argomento molto interessante e

altrettanto complesso, ma vi parlerò delle difficoltà relative all’individuazione delle

imprese responsabili.

2. Le risposte inadeguate dell'anagrafe italiana delle imprese

Se in Italia l'anagrafe delle imprese funzionasse come l'anagrafe delle persone fisiche,

l'autorità giudiziaria potrebbe ottenere le informazioni semplicemente scrivendo alla

Camera di Commercio, così come quando scrive alle anagrafi dei comuni.

Purtroppo non è così. Quando la Camera di Commercio risponde, la risposta è quasi

sempre ambigua, o, nel peggiore dei casi, la risposta sembra adeguata, ma a processo

iniziato si scopre che è sbagliata, nel momento in cui i legali della difesa, che

rappresentano le imprese e hanno dati di prima mano, evidenziano l’errore.

Cosa accade quando la Procura della Repubblica interpella la Camera di Commercio?

Un volenteroso funzionario svolge la ricerca richiesta e stampa i certificati di tutte le

imprese in cui compare il nome indicato. Se l'impresa è inserita in un gruppo societario,

il nome comparirà molte volte.

Ecco così che invece di consegnare l'ago richiesto, la Camera di Commercio

consegna alla Procura un pagliaio all'interno del quale, forse, è presente l'ago.

3. Ostacoli all'identificazione delle imprese responsabili

In pratica, la Camera di Commercio consegna documenti grezzi. Il vero lavoro inizia

ora, dobbiamo cercare in un mare di carte i pochi elementi che ci interessano.

Nel distillare questi documenti i tranelli in cui cadere sono tanti. Ne esaminiamo tre:

Registro Imprese vs Registro Società

Il 19 febbraio 1996 le Camere di Commercio hanno iniziato a gestire e digitalizzare il

Registro Imprese. Questa data può generare equivoci anche gravi perché le visure

camerali delle società preesistenti indicano proprio il 19 febbraio 1996 come data di

iscrizione al Registro anche se l'impresa era già attiva precedentemente. Esiste anche un

Registro Ditte, archivio digitalizzato gestito dalle Camere di Commercio prima del

1996. Raramente utile, è da consultare come "ultima spiaggia", quando non si trovano

informazioni altrove.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Prima del 1996 faceva fede il Registro Società, tenuto dalla Cancelleria Società dei

Tribunali. Questo registro documentava le variazioni delle sole società commerciali,

escludendo gli imprenditori individuali. Il Registro Società consisteva in fascicoli

cartacei aperti al pubblico. E questo rappresenta, quasi sempre, garanzia di disordine. Se

la società ha poca storia, riordinare il fascicolo è solo questione di tempo e pazienza. Se

la società è grande e ha una lunga storia, il fascicolo si compone di decine e decine di

faldoni. In questo caso, il disordine nella collocazione degli atti diventa un ostacolo

insormontabile. Ma vi è di peggio: spesso alcuni documenti risultano mancanti.

Non basta, altri problemi complicano la ricerca: i luoghi e i metodi di archiviazione.

Al momento del passaggio di consegne, i Tribunali hanno trasmesso alle Camere di

Commercio i voluminosi archivi cartacei. Queste, a loro volta, li hanno trasferiti in

capannoni normalmente distanti dagli uffici camerali, anche centinaia di chilometri.

Quando un utente oggi chiede di consultare un atto precedente al 1996, la Camera di

Commercio impiega giorni, a volte settimane per recuperarlo. Le Camere di Commercio

inoltre, non sempre si muovono bene negli ex archivi dei Tribunali: archivi che non

hanno creato loro, che erano gestiti con criteri diversi da quelli attuali e che sono arrivati

già in disordine.

Cessato vs Trasferito

Esistono tanti Registri Imprese quante sono le Camere di Commercio. Ciascun Registro

Imprese è autonomo, anche se la gestione informatica è centralizzata a Padova. Quando

una società commerciale trasferisce la sede legale da una provincia ad un'altra, il

Registro Imprese della provincia di origine registra che la società “cessa”. Chi legge un

certificato o una visura camerale, non deve mai pensare che la parola cessata, riferita ad

un'impresa, significhi estinta. Molto spesso vuol dire solo trasferita. Se l'impresa è

trasferita, bisogna continuare la ricerca, consultando il Registro Imprese di destinazione.

Il percorso di ricerca è però lungo, dispersivo, costoso e denso di ostacoli, nonostante si

possa svolgere online.

Prima di iniziare, devo essermi registrato una tantum e devo assicurarmi di avere

caricato un credito sufficiente sul mio conto (il conto funziona come una carta

telefonica prepagata). Iniziata la ricerca, praticamente ogni passo è a pagamento. Anche

solo cercare un nome o un codice fiscale ha un costo. Quando si passa alla visura storica

o a qualche bilancio, si spendono decine di euro al minuto. Per consultare, sempre a

pagamento, gli atti menzionati sulla visura, vi è un'ulteriore scomodità: la scarsa

chiarezza sul contenuto degli atti. Nel dubbio, finirò di perdere tempo e denaro

visionando più atti di quanto necessario.

Per esempio, se voglio acquisire un contratto di cessione di azienda, quasi sempre finirò

di visionare inutilmente (pagando ad ogni errore) anche altri atti accessori che non mi

interessano, quale il modulo di accompagnamento del deposito dell'atto, il modulo

dell'autentica di firme e così via. Il sistema di vendita della Camera di Commercio non

mi permette di capire a priori cosa sto comprando.

È sicuramente più semplice trovare una società in Inghilterra per esempio, dove è

presente un unico registro imprese consultabile online, dove i pagamenti avvengono

online con carta di credito, e dove i prezzi sono bassi e le spiegazioni vengono fornite

nella lingua corrente, non in un gergo particolare dove "cessata" vuole in realtà dire

"trasferita".

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Nomi vecchi vs nomi nuovi

Nell'odierno archivio gestito dalla Camera di Commercio, le imprese sono censite solo

secondo l'ultima denominazione assunta. Le denominazioni precedenti cessano di

essere ricercabili telematicamente.

Sembra assurdo ma è così. Vediamo cosa implica.

Nel campo dell'amianto, tipicamente una ricerca parte dalla fotocopia di un libretto di

lavoro, ove è scritto che l'operaio tal dei tali ha lavorato per la Zeta Spa tra il 1960 e il

1980. È un esempio di fantasia, naturalmente. Se la Zeta ha cambiato denominazione, la

mia ricerca presso la Camera di Commercio, o attraverso altre società, risulterà nulla.

Non troverò la società, anche se questa esiste.

Solo se ho il codice fiscale sono in grado di trovare la nuova denominazione

assunta dalla società. Ma nel 1960 il codice fiscale ancora non esisteva. E anche dopo

l'introduzione del codice fiscale, nel 1972, i timbri societari sui libretti di lavoro spesso

continuavano a non indicarlo.

Senza codice fiscale inizia una ricerca al buio, consultando più fonti

contemporaneamente, incluso internet, Google e persino Facebook. A volte, sul

Registro Imprese si trova una filiale della società, in una provincia diversa dalla sede

legale, filiale che è stata chiusa quando ancora la società usava la sua vecchia

denominazione. In questo caso si può comprare la visura della filiale cessata e trovare

così l'abbinamento tra il vecchio nome con il codice fiscale. Oppure si cerca su Google,

provando varie combinazioni di parole e setacciando i risultati per eliminare l'inevitabile

invasione di riferimenti irrilevanti. Su Facebook, nel 2011, ho trovato un dato che era

stato cercato inutilmente presso tre Camere di Commercio: Milano, Brescia, Torino. Si

trattava di una società storica, che era stata quotata alla borsa di Milano tra il 1899 e il

1935. Ce lo confermava una pubblicazione della Consob. So per certo che l'archivio

storico della Camera di Commercio di Milano aveva dedicato molto impegno nella

ricerca, eppure non aveva trovato il fascicolo. Scrivendo su Facebook, un appassionato

di meccanica ha chiarito l'arcano: ad un certo punto della sua storia, la società era stata

incorporata da un'altra società. Dopo l'incorporazione aveva cambiato denominazione

assumendo quella della sua più famosa controllata, ma il fascicolo della Cancelleria

Società del Tribunale era rimasto intestato al nome originario, così come allora era

prassi.

Se invece ho il codice fiscale troverò la visura della ex Zeta, oggi, ad esempio,

diventata Ipsilon SpA. Anche con la visura, in ogni caso, non avrò mai una tabella dove

sono elencate tutte le denominazioni assunte dalla società nel corso del tempo. Dovrò

invece cercare il cambio di denominazione nell'elenco cronologico di tutte le

variazioni che la società ha presentato alla Camera di Commercio. Questo elenco è

lunghissimo, centinaia di pagine, migliaia per una società "storica". Cercare un cambio

di denominazione è come cercare uno specifico numero di telefono nella guida

telefonica. Non il nome dell'abbonato, ma proprio il numero di telefono.

E non è finita: per ogni indicazione di cambio di denominazione la visura riporta solo la

vecchia denominazione, ma non la nuova. E’ necessario partire dal fondo della visura

(perché l'ordine cronologico è invertito), risalire verso la prima pagina e annotarsi una

ad una le vecchie denominazioni, fino all'ultima variazione. Che non riporterà

comunque il nuovo nome assunto dalla società. Facile incorrere nell’errore.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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4. Identificazione dei soggetti responsabili come complessa indagine indiziaria

Credo di aver dimostrato che l'identificazione dell'impresa responsabile dell'uso di

amianto non è un'attività meramente meccanica o compilativa, ma una complessa

indagine indiziaria.

Quando uso la parola "indizi" intendo non solo i dati forniti dalla Camera di

Commercio, che come abbiamo visto spesso sono di difficile reperimento e

interpretazione, ma anche le testimonianze dei lavoratori e dei sindacalisti, le buste

paga, le notizie reperite su Internet, a volte i testi di storia economica e altro ancora.

Utilizzare più fonti è indispensabile.

La ricerca dell'impresa finisce spesso di essere un'indagine vera e propria: si

individuano gli indizi, si fanno ipotesi, si verificano, si scartano quelle ritenute false e si

continua a cercare, sempre sapendo che purtroppo l'unica conferma definitiva è quella

che emerge dal dibattimento al processo, quando la controparte fornirà la sua versione

dei fatti.

5. Una proposta sulle fonti d’indagine

In chiusura, presento un'idea per il futuro: utilizzare come fonte d’indagine gli archivi

INAIL e INPS.

Finora, gli archivi dell'INAIL sono stati utilizzati soprattutto dagli epidemiologi, ma

contengono dati interessanti sulle varie sedi dell'impresa, il relativo numero dei

lavoratori e le variazioni nel tempo della forza lavoro occupata.

I commercialisti forensi potrebbero ricavare da questa fonte - e dalla fonte parallela

degli archivi INPS - notizie preziose da elaborare a favore del Pubblico Ministero.

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La mappatura delle coperture in cemento-amianto

Un esempio applicativo sul territorio della Regione Lazio

Lorenza Fiumi, Carlo Meoni e Stefano Tocci

CNR - Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, E mail: [email protected]

Riassunto

Questo lavoro presenta un’attività, sul territorio della Regione Lazio, parte di un più vasto

impegno, assunta da un gruppo di ricercatori dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico

del CNR, sulla mappatura delle coperture in cemento-amianto (c-a) sulla base del D. M.

18/3/2003 n. 101.

Attraverso l’integrazione tra dati telerilevati con il sensore MIVIS (Multispectral Infrared

Visibile Imaging Spectrometer) e CTR (Carta Tecnica Regionale) sono state realizzate

mappe che descrivono la realtà territoriale in modo accurato e riducendo i tempi di

lavoro. Le elaborazioni ottenute applicando l’algoritmo Minimum Bounding sono state

messe a confronto con la Classificazione e l’Intersezione con la CTR.

I risultati ottenuti supportati dalle indagini in campo mostrano la validità delle

metodologie volte a fornire risposte concrete a programmi mirati per gli Enti preposti al

monitoraggio.

Introduzione

Il monitoraggio di superfici coperte da cemento-amianto, attualmente, è basato sul

rilevamento diretto, normalmente realizzato da parte del personale delle Aziende

Sanitarie Locali (AUSL) e sul censimento prevalentemente basato su autodichiarazioni.

La localizzazione dei siti interessati con tale metodo comporta tuttavia una serie di

difficoltà logistiche, con conseguenti ripercussioni economiche, soprattutto quando

l’indagine interessa superfici territoriali molto estese. Un’interessante alternativa al

rilevamento tradizionale è rappresentata appunto dai sistemi di telerilevamento aereo con

dato MIVIS (Multispectral Infrared and Visibile Imaging Spectrometer). Il MIVIS è uno

strumento, di tipo a specchio rotante, costituito da quattro spettrometri in grado di

misurare la radianza della radiazione elettromagnetica (emessa o riflessa dalla superficie

terrestre) nel campo del visibile, del vicino infrarosso, del medio infrarosso e

dell’infrarosso termico, per un totale di 102 canali, come riportato in Tabella 1:

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Tabella 1 - Caratteristiche tecniche del sensore aerotrasportato MIVIS.

Oltre alla sua elevatissima risoluzione spettrale, lo strumento possiede un’altrettanta

elevata risoluzione spaziale con un pixel di pochi metri (3 m x 3 m). Tali caratteristiche

permettono una grande precisione di analisi nel riconoscimento di elementi di arredo

urbano e, nel caso specifico, di materiali di rivestimento delle coperture, come laterizi,

materiali lapidei, asfalto, piombo, rame, cemento-amianto, ecc. Uno strumento innovativo

per lo studio delle aree urbane più in generale della aree antropizzate, con enormi

possibilità di conoscenze non ancora del tutto sfruttate. Infatti, il dato MIVIS con i suoi

caratteri di innovazione, originalità e facilità applicativa, si presta a individuare in

particolare la presenza di coperture in cemento-amianto conosciute anche come eternit, le

cui limitazioni d'uso sono normate dalla Legge 257/92.

La mappatura delle coperture in cemento amianto nel territorio della Regione Lazio

A seguito delle ultime disposizioni della L. 23/3/2001 n. 93 e del D. M. 18/3/2003 n. 101

“Regolamento per la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale

interessate dalla presenza di amianto ai sensi dell’art. 20 della Legge 23 Marzo 2001 n.

93”, emanate dal Ministero dell’Ambiente, di concerto con quello della Salute, si

prescrive che “la suddetta mappatura venga realizzata avvalendosi di sistemi informatici

impostati su base territoriale”, imponendo che “i siti individuati siano precisamente

ubicati su una base cartografica”. Attualmente due Regioni sono ricorse all’uso del telerilevamento iperspettrale, per il

cemento-amianto, tra queste la Lombardia [Busetto et al., 2008] e la Val d’Aosta

[Albonico et al., 2008 ]; a queste recentemente si è aggiunta la Regione Lazio, l’Emilia

Romagna invece ha provveduto con il rilevamento diretto, di sito in sito da parte del

personale ASL [Renna et al., 2006].

Le altre Regioni del territorio nazionale ancora non hanno ottemperato alle disposizioni

di cui sopra.

Il progetto per la realizzazione della mappatura delle coperture in c-a della Regione

Lazio, argomento di questo lavoro, è stato avviato a marzo 2010 con i seguenti obiettivi:

- acquisire dati MIVIS (Multispectral Infrared Visibile Imaging Spectrometer) su aree

caratterizzate da una rilevante presenza di coperture in c-a;

Spettrometro Regione dello

Spettro

Numero

Bande

Intervallo Spettrale

Micron

I Visibile 20 0.43-0.83

II Infrarosso Vicino 8 1.15-1.55

III Infrarosso Medio 64 2.0-2.5

IV Infrarosso Termico 10 8.2-12.7

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- produrre mappe georeferenziate sul territorio con caratterizzate le coperture in c-a;

- quantificare le superfici contenenti amianto.

Si vuole sottolineare che al momento non esistono stime esatte sulla presenza di questo

materiale nel territorio della Regione. La quantificazione è un’ importante parametro che

permette di definire flussi di materiale che andranno in discarica, consentendo di dare

priorità ad investimenti economici per interventi di bonifica e smaltimento del c-a. A

questo proposito, si rammenta che la percentuale maggiore di produzione (oltre il 90%) di

materiale contenente amianto, presente in Italia, è sotto forma di lastre utilizzate come

coperture di edifici (conosciuto come eternit) un composto di cemento (circa il 88%) e di

fibre di amianto (circa 12%).Le lastre, esposte all'azione degli agenti atmosferici che con

il tempo corrodono la matrice cementizia, rilasciano fibre che vengono immesse

nell'ambiente. La nocività del materiale dipende dallo stato di degrado e dalla particolare

struttura delle fibre che se liberate si diffondono nell’aria, le quali, se respirate, penetrano

nell’apparato respiratorio causando purtroppo le note malattie degenerative [Marabini et

al., 2002].

Aree di Studio

Le aree di seguito riportate sono state selezionate dalla Regione, tramite il Centro

Regionale Amianto (CRA) per essere note per la rilevante presenza di coperture in c-a,

sono state sorvolate con il sensore MIVIS ad una quota di 1.500 metri a cui corrisponde

un pixel di 3x3m, coprendo una superficie pari al 4,6 % del territorio della Regione Lazio

(Figura 1) .

Figura 1 – Aree dei sorvoli MIVIS

Aprilia – Anzio

Pomezia – Albano

Tiburtina

GRA – Roma est

Anagni

Frosinone

Civitavecchia

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Tabella 2 - Dettagli dei sorvoli

Materiali e metodi L’analisi dei dati, è stata realizzata su PC con:

- ENVI (ITT), versione 4.7 per l’elaborazione digitale di immagini;

- ArcGIS della ESRI per le analisi spaziali;

- CTR (Carta Tecnica Regionale) del 1996, scala 1:10.000 per l’inquadramento

territoriale;

- CTR (Carta Tecnica Regionale) vettoriale del 2004, scala 1:5.000, per l’integrazione dei

diversi dati.

La CTR numerica/digitale, fornita dalla Regione Lazio, rappresenta uno strumento unico

nel suo genere per la conoscenza degli aspetti morfologici, insediativi, delle opere

infrastrutturali, in particolare nel nostro studio è stato considerato il tematismo

“edificato”. Nell’ambito del progetto è stata utilizzata come verità a terra per le

caratteristiche di cui sopra, a cui si aggiungono l’ottima scala di dettaglio 1:5.000,

inquadramento nel sistema di riferimento UTM ED 1950, ed il recente aggiornamento

relativo a Roma, Latina e Viterbo. Infine e non per ultimo l’utilizzo della CTR per la

mappatura del c-a nel Lazio può costituire una piattaforma su cui costruire un Sistema

Informativo Territoriale condiviso.

Pre-elaborazione

I dati acquisti sono stati calibrati, utilizzando il sistema di calibrazione automatico

progettato dalla Daedalus (Daedalus Enterprise). “Al fine di consentire una rapida e

periodica calibrazione del sensore, l’operatore ha la possibilità di eseguire un test

automatico denominato ATO (Acceptance Test Procedure). Con questa procedura si

ricavano le costanti di calibrazione Radiance Factors (rapporto Digital Number/

Radianza) relative ad ogni canale.

RAD

DNK (1)

Per quanto concerne le bande riflessive (canali 1-92) questo test consiste nella misura del

Digital Number avendo come superficie riflettente il pannello bianco di riferimento

Anagni Aprilia-Anzio Civitavecchia Frosinone GRA-Roma

Pomezia- Albano

Tiburtina Totale

Data volo 05/09/10 07/10/10 07/10/10 05/09/10 07/10/10 07/10/10 05/09/10

Numero strisciate 2 5 2 4 3 5 2

Ora volo 09:47 13:42 11:20 09:16 12:04 12:52 10:41

Sup. acquisita km2 43 273 67 157 157 245 106 1.052

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alloggiato all’interno del banco ottico (Daedalus AB532) illuminato dalle lampade

interne di radianza conosciuta.

I Radiance Factor si ottengono dividendo il Digital Number misurato dal singolo canale

per il valore di radianza fornito dalla relazione:

sin2N

He (2)

Dove Nλ è la radianza del pannello, Hλ l’irradianza delle lampade, eλ la riflettenza del

pannello (valori espressi per unità di lunghezza d’onda), φ l’angolo che le lampade

formano con la normale al pannello è π il fattore per superfici lambertiane.

Questo test presuppone la conoscenza e la costanza nel tempo dei parametri: irradianza

delle lampade (Hλ) e riflettenza del pannello di riferimento (eλ)”.

Per le correzioni geometriche il software di georeferenziazione utilizzato è PARGE

(Parametric Geocoding), il quale ricostruisce la geometria di scansione di ogni pixel. A

tal fine sono stati usati:

- I dati registrati a bordo dal sistema GPS/inerziale Applanix;

- Un Modello digitale del terreno;

- Punti di controllo a terra per migliorare la precisione.

Questa nuova modalità di registrazione dei parametri di assetto ha migliorato

sensibilmente le accuratezze finali del dato georiferito, che risultano essere dell’ordine di

1-2 GSD (1-2 volte la dimensione del pixel a terra).

Al termine del processo vengono ottenute le immagini delle singole strisciate nel formato

BSQ, pronte per essere classificate.

Elaborazione dati

Prima di procede con l’elaborazione dei dati, dall’analisi visiva dei singoli canali MIVIS

è stato osservato un basso rapporto S/R strettamente corrispondente alle specifiche fornite

da Bianchi et al. [1996] e pertanto alcuni di essi non sono stati ritenuti utili per la

classificazione, con effetti positivi sui tempi di elaborazione, che si sono ridotti.

Pertanto in questo lavoro è stato elaborato per ogni strisciata un’insieme di 50 bande.

Classificazione I dati radiometricamente e geometricamente corretti, sono stati classificati utilizzando il

metodo dello Spectral Angle Mapper (SAM) implementato dal software ENVI (ITT

Visual Information Solutions). La SAM permette una rapida mappatura delle similarità

tra spettri di immagine con spettri di riferimento (Boardman, 1994; Yuhas et al., 1992;

Heiden et al., 2001; Heiden et al., 2007). Nel nostro caso gli spettri di riferimento

(training sets) sono stati ricavati da Region of Interesting (ROI) accuratamente

individuate nella scena, in modo che tutte le tipologie edilizie di c-a (a volta, a falda e

piana) e la diversa esposizione fossero adeguatamente rappresentate, per descrivere al

meglio la variabilità della classe in esame. Inoltre le ROI sono state validate da una serie

di accurate osservazioni, con indagini in campo, ed in alcuni casi avvalendosi anche del

supporto di Google Maps.

Le stime ottenute dalla elaborazione delle strisciate classificate e mosaicate sono riportate

in Tabella 3 .

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Tabella 3 - Risultati ottenuti dalla elaborazione del dato MIVIS

Figura 2 – Dettaglio delle elaborazioni sull’area di Pomezia-Albano. In colore rosso

sono caratterizzate le coperture in c-a.

Anagni Aprilia-Anzio Civitaveccha Frosinone GRA-Roma Pomezia-

Albano Tiburtina

Superficie coperta

MIVIS 36.521.720 200.767.516 58.348.052 120.454.624 125.269.264 165.076.020 87.171.700

Cemento-amianto

(m2) 207.427 370.162 16.585 294.694 237.341 460.350 87.415

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Sono state riconosciute complessivamente, nelle sette aree di studio selezionate nel

territorio della Regione Lazio, numero di coperture 2.966 ripartite sulla base delle

dimensioni come illustrato in Figura 3 .

Figura 3 - Presenza di coperture in c-a ripartite in basa alla superficie.

In tutte le sette aree di studio, si evidenziano percentuali con andamenti simili tra loro.

La maggiore presenza di coperture (con una media di circa il 50 %) è compresa

nell’intervello che raggruppa le superfici che vanno da 100 a 500 mq. Seguono le

superfici minori di 100 mq, poi le superfici tra 500 e 1.000 mq, le restanti seguono un

andamento inversamente proporzionale all’aumento della superficie (con l’aumentare

delle superfici in termini di mq, diminuiscono il numero di coperture).

Al fine di verificare l’esatto riconoscimento delle coperture in cemento-amianto nonché

le effettive potenzialità applicative di tale metodologia, è stata eseguita una campagna a

terra, con osservazioni dirette su alcune coperture. A questo proposito sono state redatte

delle schede per ciascun fabbricato censito.

Conclusioni

I risultati raggiunti hanno confermato le ottime potenzialità del dato MIVIS e le tecniche

di elaborazioni dati utilizzate per la mappatura del c-a nel territorio della Regione Lazio.

Le metodologie illustrate in questo lavoro, hanno trovato conferma in tutte le sette aree

di studio, per una superficie di 794 kmq (al netto della superficie di sovrapposizione tra le

strisciate).

È stato messo in evidenza come in questo contesto ambientale, le verifiche in campo, sia

in fase di analisi dei dati, sia nella verifica dei risultati (classificazione e ulteriori

elaborazioni spaziali), sono la condizione necessaria per produrre mappe che abbiano una

buona corrispondenza con la realtà territoriale. Infatti la classificazione SAM, pur

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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avvalendosi di criteri statistici sofisticati, non ha descritto in modo esaustivo la presenza

di c-a sul territorio.

Da questo lavoro emerge inoltre che l’utilizzo dei due software ENVI ed ArcGIS e

l’integrazione tra dati MIVIS e CTR hanno permesso la realizzazione di mappe in tempi

rapidi e contestualmente più accurate, e la descrizione della realtà territoriale.

Il metodo Minimum Bounding ha consentito di ottenere mappe più accurate, riducendo

drasticamente i tempi di lavoro; la CTR è stata utilizzata come verità a terra, considerate

le caratteristiche uniche nel loro genere (scala, aggiornamento temporale, topologia),

confermate dalle indagini in campo. Da queste elaborazioni, inoltre sono state fornite

ulteriori stime che permetteranno di:

- identificare specifiche aree ad alta potenzialità attuale e futura di esposizione a fibre;

- realizzare mappe di rischio in modo da fornire un sistema di supporto al monitoraggio

ambientale. Inoltre, le mappe di rischio permetteranno di individuare, quantificare e dare

priorità agli investimenti economici ed evidenziare problemi legati alla bonifica,

smaltimento con messa in discarica dell’amianto.

Ringraziamenti

Lavoro svolto nell’ambito della Convenzione con il Centro Regionale Amianto della

Regione Lazio, Resp. dott. Fulvio Cavariani (D. M. 18/3/2003 n. 101 “Regolamento per

la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla

presenza di amianto ai sensi dell’art. 20 della Legge 23 Marzo 2001 n. 93”).

Bibliografia Albonico C., Frassy F., (2000) - Il telerilevamento delle coperture in cemento-amianto

con dato MIVIS. Rapporto ARPA, Regione Val d’Aosta.

ArcGIS Resource Center (2011) - Minimum Bounding Geometry (Data Management),

Available on line at

http://help.arcgis.com/en/arcgisdesktop/10.0/help/index.html#//00170000003q000000.ht

m (Accessed August 7, 2013).

Bianchi R., Cavalli R.M., Fiumi L., Marino C.M., Pignatti S. (1996) - Airborne imaging

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ISPRS Congress - Vienna 9-19 July -Vol. I - pp. 128-132.

Boardman J.W., Kruse F.A. (1994) - Automed spectral analysis: a geologiacal axample

using AVIRIS data, North Grapevine Mountains, Nevada. Proceedings of Tenth

Thematic Conference on Geologic Remote Sensing, San Antonio Texas USA, Vol. I.

pp.407-418.

Busetto L., Micheletti M. (2003) – Mappatura dlle coperture in cemento-amianto tramite

riprese iperspettrali MIVIS. 7° Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali, Milano.

Daedalus Enterprise - AA5000 MIVIS Operator Manual, 6 volumes

ITT Visual Information Solutions, ENVI - Environment for Visualizing Images, Version

4.4.[Online] Available at: http:// www.ittvis.com/envi/

Fiumi L., Leone A.P., Marino C.M., (1998) - Uso dei dati MIVIS per la mappatura delle

superfici in aree urbane, con particolare attenzione al cemento-amianto. Rivista Italiana di

Telerilevamento, n. 13, Maggio 1998, pp. 25-30.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna

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Fiumi L, Camilucci L, Campopiano A, Casciardi S, Ramires D, Fioravanti F, Ruocco G

(2004) - Indagine conoscitiva su alcuni fabbricati con coperture in cemento-amianto in

località Magliana Roma. Monografico 2004 di Prevenzione Oggi, ISBN 88-89415-01-0,

Ed. Global Madia System Press.

Heiden, U., S.Roessner, K.Segl, et al. (2001) - Analysis of spectral signatures of urban

surfaces for their area-wide identification using hyperspectral HyMap data. Proceedings

of IEEE-ISPRS Joint Workshop on Remote Sensing and Data Fusion over Urban Areas.

Rome, Italy, November 8-9, 2001; pp. 173–177.

Heiden U., Segl K., Roessner S., at al. (2007) - Determination of robust spectral features

for identification of urban surface materials in hyperspectral remote sensing data. Remote

Sensing of Environment 111, 537–552.

Kruse F.A., A.B.Lefkoff, J.B.Boardman, et al. (1993) - The Spectral Image Processing

System (SIPS) Interactive Visualization and Analysis of Imaging spectrometer data.

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Page 88: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 80

Il riconoscimento delle sentenze in Svizzera

Mario Item

Presidente per la Regione Lombardia della Lega dei Diritti dell'Uomo

Membro del Comitato Centrale della Lega dei Diritti dell'Uomo

Considerazioni generali

La Convenzione sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle

decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Lugano dalle Parti contraenti il 30

ottobre 2007 (di seguito: Convenzione di Lugano o Convenzione), è conclusa fra la

Comunità Europea(CE), il Regno di Danimarca, la Repubblica d'Islanda, il Regno di

Norvegia e la Confederazione Svizzera. Essa sostituisce la Convenzione di Lugano sulla

competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale

del 16 settembre 1988 (di seguito: Convenzione di Lugano del 1988 o Convenzione del

1988), conclusa tra gli Stati membri della CE e certi Stati membri dell'Associazione

europea di libero scambio (EFTA).

Il par. 1 dell'art. 64 stabilisce che la Convenzione non pregiudica l'applicazione, da parte

degli Stati membri della CE, del Regolamento Bruxelles I, della Convenzione di

Bruxelles e del suo protocollo d'interpretazione del 1971, e della Convenzione tra la CE e

la Danimarca. Questo, significa che l'ambito di applicazione di questi strumenti normativi

resta inalterato e non è in principio limitato dalla Convenzione di Lugano. Pertanto, la

giurisdizione dei giudici degli Stati vincolati dal Regolamento Bruxelles o dall'accordo

CE-Danimarca continua a esercitarsi in virtù del regolamento nei confronti delle persone

domiciliate nel territorio di questi Stati, e nei confronti delle persone domiciliate in Stati

terzi, salvo che si tratti di persone domiciliate nel territorio di Stati parte della

Convenzione di Lugano. Ugualmente, le decisioni emanate in uno Stato vincolato dal

regolamento devono essere riconosciute ed eseguite in un altro Stato, anch'esso vincolato

dal regolamento, ai sensi di quest'ultimo.

Evitando dettagli giuridici, si evidenzia, tuttavia, che, ai sensi del par.2, la Convenzione

di Lugano si applica comunque, e quindi tanto da parte dei giudici di uno Stato vincolato

dal Regolamento Bruxelles I e dalla Convenzione di Lugano quanto da parte dei giudici

degli Stati vincolati dalla sola Convenzione di Lugano, in alcune situazioni. In materia di

riconoscimento e di esecuzione delle decisioni, la Convenzione di Lugano si applica

comunque quando lo Stato d'origine o lo Stato richiesto non applichi il Regolamento

Bruxelles I. Di conseguenza, la Convenzione trova applicazione quando entrambi gli Stati

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

Aula Magna Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna 81

in questione siano parti della sola Convenzione di Lugano o quando uno solo di essi ne

sia parte e l'altro sia vincolato dal Regolamento.

Procedure per il riconoscimento e l’esecuzione

Obiettivo principale della Convenzione di Lugano, come già della Convenzione di

Bruxelles, é la semplificazione delle procedure per il riconoscimento e l'esecuzione delle

decisioni che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione.

Il titolo III ha quindi per oggetto di stabilire una procedura che faciliti per quanto

possibile la libera circolazione delle sentenze, riducendo ulteriormente gli ostacoli

ancora esistenti, pur in relazione a una disciplina del riconoscimento e dell'esecuzione

delle decisioni che già poteva essere qualificata come estremamente liberale nella

Convenzione di Bruxelles del 1968.

Come conseguenza della considerazione che i ricorsi presentati contro le decisioni che

dichiarano l'esecutività ai sensi delle Convenzioni di Bruxelles e di Lugano sono in

numero ridotto e quasi trascurabile, il titolo III della Convenzione s’ispira al principio che

la dichiarazione di esecutività deve rivestire un certo grado di automaticità ed essere

oggetto di un controllo puramente formale, senza un esame, in questa prima fase della

procedura, dei motivi di rifiuto del riconoscimento previsti dalla Convenzione. In tale

fase è quindi data fiducia allo Stato d'origine, in omaggio a un principio che trova

espressione anche in altri settori della regolamentazione del mercato comune europeo.

L'esame dei motivi di rifiuto del riconoscimento è rimandato alla seconda fase, in cui la

parte contro cui la dichiarazione di esecutività è stata ottenuta e che intenda contestarla

deve far valere l'esistenza di tali motivi. A questa semplificazione della procedura intesa

alla dichiarazione di esecutività si accompagna una revisione dei motivi di rifiuto, che

sono ridotti rispetto alla Convenzione del 1988, senza peraltro intaccare il principio per

cui il processo nello Stato d'origine deve rispondere a requisiti di equità processuale e di

garanzia dei diritti della difesa.

Nella nozione di "decisione" rientrano, pertanto, tutte le decisioni giudiziarie,

indipendentemente dalla loro denominazione, compresi i provvedimenti sulle spese

adottati dal cancelliere secondo alcuni sistemi europei. Va ricordato che la nozione ampia

di "giudice" di cui all'art. 62 comporta un'interpretazione ampia anche dell'art. 32 per

quanto riguarda la determinazione dell'autorità che ha emesso la decisione sottoposta a

riconoscimento ed esecuzione. Vi rientrano pertanto le decisioni adottate nell'ambito di

un organo giudiziario o che svolge una funzione giudiziaria, indipendentemente dal fatto

che la persona che le adotta abbia formalmente la qualifica di giudice, come è il caso di

ordini di pagamento dati dal cancelliere. Rientrano nella nozione di "decisione" anche i

provvedimenti di natura provvisoria o cautelare, quando siano stati emanati dal giudice,

purché siano stati preceduti, nello Stato d'origine, da un'istruzione in contraddittorio.

Come ha affermato la Corte di giustizia, la Convenzione si mostra molto liberale quanto

al riconoscimento e all'esecuzione proprio per le garanzie assicurate al convenuto nel

procedimento di origine, di modo che le condizioni di cui al titolo III non sono

soddisfatte per quanto riguarda i provvedimenti provvisori o cautelari disposti o

autorizzati da un giudice senza che la parte contro cui si rivolgono sia stata citata a

comparire, e destinati a essere eseguiti senza essere stati prima comunicati a detta parte.

Le sentenze della Corte di giustizia, o di altri organi giudiziari della Comunità europea,

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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rientrano fra le decisioni prese in considerazione dal titolo III, perché la disposizione

dell'art. 1 par. 3 precisa, che l'espressione "Stato vincolato dalla presente Convenzione"

può anche indicare la Comunità europea.

La struttura della sezione sul riconoscimento delle decisioni rimane inalterata rispetto alla

Convenzione del 1988, per quanto attiene sia al riconoscimento in via principale sia a

quello in via incidentale davanti a qualsiasi giudice di uno Stato vincolato dalla

Convenzione (art. 33, sul quale si rimanda pertanto alla Relazione Jenard, pp. 43-44). Qui

va solo ricordato che, in virtù della precisazione contenuta nell'art. 1 par. 3, le norme

della sezione sul riconoscimento si applicano anche alle sentenze della Corte di giustizia

delle Comunità europee, quando si tratti del loro riconoscimento in Stati non membri

della CE. Al fine di rilevare il carattere eccezionale del ricorso a tale motivo di rifiuto, è

stato precisato nella disposizione che il riconoscimento può essere rifiutato solo quando

esso è "manifestamente" contrario all'ordine pubblico. La nozione di ordine pubblico, è

definita essenzialmente dal diritto nazionale dello Stato richiesto. La Corte di giustizia si

è ritenuta tuttavia competente a controllare i limiti entro i quali il giudice nazionale può

ricorrere a tale nozione per non riconoscere una decisione straniera e ha affermato che il

ricorso all'ordine pubblico ai sensi dell'art. 34 n. 1 è immaginabile solo quando il

riconoscimento contrasti in modo inaccettabile con l'ordinamento giuridico dello Stato

richiesto, perché lesivo di un principio fondamentale; deve trattarsi cioè di una violazione

manifesta di una regola di diritto considerata essenziale nell'ordinamento giuridico dello

Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale nello stesso ordinamento

giuridico. Deve a questo riguardo prospettarsi la questione se la nozione di ordine

pubblico accolta dalla Convenzione comprenda solo l'ordine pubblico sostanziale o anche

l'ordine pubblico cosiddetto processuale, o se questo possa venire in considerazione solo

nella misura in cui possa essere ricompreso nella disposizione sulla garanzia del

contraddittorio di cui all'art. 34 n. 2. A questo riguardo è opportuno richiamare la

posizione assunta dalla Corte di giustizia, la quale, notando che il diritto alla difesa figura

tra i diritti fondamentali che risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati europei e

che esso è garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ha affermato che il

giudice nazionale è autorizzato a ritenere che il rifiuto di sentire la difesa costituisca una

violazione manifesta di un diritto fondamentale. La sentenza della Corte deve tuttavia

essere posta nel contesto del caso di specie, nel quale si trattava di una condanna civile al

pagamento di danni accessori a una condanna penale pronunciata in contumacia, e non

può essere interpretata per invocare, agli effetti dell'art. 34 n. 1, qualsiasi violazione dei

diritti della difesa, che non rappresenti una manifesta contrarietà all'ordine pubblico dello

Stato richiesto nel senso indicato dalla stessa Corte nella medesima sentenza.

La fiducia allo stato d’origine

Prima di concedere fiducia alla Svizzera, bisogna chiedersi se essa sia uno Stato di diritto.

Per la Carta di Ottawa del novembre 1986, per la promozione della salute del novembre

1986, la giustizia, quindi la certezza del diritto, è tra le condizioni per la salute. In

Svizzera, si evidenzia: 1) La violazione da parte della Confederazione della legge sul

segreto bancario, con la consegna agli USA delle liste dei clienti delle banche svizzere,

nel 2009.2) Il blocco dei ristorni ai frontalieri in violazione del trattato internazionale tra

Italia e Svizzera, per giunta messo in atto dal Canton Ticino, che non ha competenza, per

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Costituzione svizzera, a modificare i trattati internazionali. 3)Il Codice di procedura

civile svizzero, del 2008 che ha sostituito tutti i codici di procedura civile cantonali, non

contiene articoli di legge sulla nullità e l’annullabilità degli atti. 4) il famoso rapporto

Haffolter sulla giustizia elvetica (per la fattispecie, le tutorie ticinesi) del giugno 2008,

evidenziava a pag. 27 “di regola la maggior parte delle autorità interpellate dispone di

modelli preformulati di risoluzioni” e a pag. 28 “spesso non si capisce per quali motivi

sia stata presa una decisione”. 5) In Svizzera, per il codice di procedura penale, un

soggetto contro il quale è depositata una denuncia penale è considerato imputato prima

che il PM emetta un decreto di rinvio a giudizio.

“La logica giuridica, esige che la motivazione sia significativa, non vuota. Ciò significa

che per lo più la motivazione deve essere sufficientemente dettagliata da permettere il

controllo e la eventuale revisione della decisione da parte di organi superiori; ciò

comporta l’obbligo di giustificare la decisione in base a norme giuridiche che in qualche

misura determinino la decisione medesima e, sulla base di fatti previsti da quelle norme.

E’ovvio che si tratta di un complesso processo logico, in cui le motivazioni di fatto

devono risultare vere o almeno verosimili alla luce delle regole giuridiche sulla prova (dei

fatti); le motivazioni di diritto devono risultare valide e correttamente interpretate. Il tutto

deve risultare coerente e corrispondente alla decisione”(Jori-Pintone 1995)

Per esperienza personale dell’estensore della presente relazione, nelle sentenze delle

autorità svizzere e, in tutti i gradi di giudizio, penale e civile, si evidenziano, spesso,

contraddizioni logiche tra la motivazione e la decisione. La sentenza è molto spesso non

conseguenza logica della motivazione di diritto. Copiose sono, in Svizzera le sentenze

preformulate. Il modo di agire paradossale degli Svizzeri, era già stato evidenziato da

Giulio Cesare nel De Bello Gallico e confermato da Plutarco nelle Vite Parallele.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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La situazione in Svizzera nel caso amianto

Edoardo Köppel (in rappresentanza dell’ Avv. David Husmann)

Im Hobacker 24 5647 Oberrüti, Telefon +41 79 465 68 50, e-mail: [email protected]

Il nostro studio legale schadenanwaelte.ch ha intrapreso una causa nei confronti della

SUVA (che è il più grande vettore di assicurazione infortuni obbligatoria in Svizzera) e

i datori di lavoro che non hanno controllato e preso tutte le misure necessarie per fornire

ai dipendenti una protezione adeguata contro l’amianto.

Il tribunale federale però si è astenuto dall’esprimere un suo parere in merito poiché la

legge svizzera fissa un termine di prescrizione di 10 anni per far valere le riparazioni per

danni alle persone.

Di conseguenza dato che il cancro dell’amianto, il mesotelioma, si manifesta di solito

dopo 15 anni dall’ultima esposizione, significa che il termine per il risarcimento dei

danni e per le eventuali procedure legali cade in prescrizione prima che la malattia si

manifesti completamente. Per le vittime non sussiste quindi alcuna possibilità di portare

il proprio caso in tribunale.

Il nostro studio legale (schadenawealte.ch) ha considerato questa sentenza del tribunale

federale ingiusta e abbiamo quindi presentato ricorso alla corte europea dei diritti

dell’uomo a Strasburgo. Ora siamo in attesa dell’esito del procedimento e siamo

fiduciosi di vincere questo caso.

La sentenza di Strasburgo è attesa per l’ inizio del prossimo anno.

Nostro sostegno al caso contro Stephan Schmidheiny:

Il 3.7.2013, la Corte di Appello di Torino – in parziale riforma delle statuizioni civili

della sentenza emessa in data 13.3.2012 dal Tribunale di Torino - ha condannato

l’imputato Stephan Schmidheiny e i responsabili civili Anova Holding AG (AG =

S.P.A), Becon Holding AG e Amindus Holding AG a pagare delle provvisionali

immediamente esecutive a favore delle persone offese e delle organizzazioni pubbliche

costituite come parte civile. Le somme sono variabili.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Tutte le imprese responsabili che ho citato hanno la loro sede in Svizzera.

Noi abbiamo l’intenzione di ottenere con quattro processi pilota la dichiarazione di

esecutività nei confronti di tutti i risarcimenti dei danni dovuti.

Se riusciremo nei quattro casi, avremo sicuramente successo anche in quelli seguenti,

perché l'exequatur ha sempre la stessa base, cioè la sentenza di Torino.

Noi consideriamo - nonostante l'unità di giudizio – che non tutte le procedure exequatur

siano promettenti nella stessa misura. Per le persone che sono malate o decedute,

l'exequatur è presumibilmente più facile da applicare rispetto a coloro che sono stati

ugualmente esposti all'amianto, ma non abbiano ancora problemi di salute.

I quattro processi pilota vogliamo intraprenderli con le vittime / i parenti delle vittime

che sono più bisognosi perché cosi possiamo richiedere il gratuito patrocinio in

Svizzera.

Desideriamo quindi eseguire in Svizzera la sentenza di condanna italiana a carico di

Schmidheiny, promessa dal tribunale, confermata in appello e si spera dalla Cassazione,

ma già esecutiva per alcuni profili.

Sulla pagina creata appositamente per le vittime italiane e il sito web avvocati

dell'Associazione svizzera delle vittime dell'asbesto (www.asbesto.ch) si possono

trovare ulteriori informazioni.

Se avete ulteriori domande, potete contattare il nostro studio legale.

Vi ringrazio per la cortese attenzione.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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La medicina e la tutela della salute nel rapporto di lavoro

Paolo Pitotto

P.zza Gozzano, 15 bis 10132 Torino Italia 28 Op der Sterz 5823 Fentange Luxembourg

tel.: mobile 337/200888 (Q - Fax) 0118195622, e- mail [email protected]

Le tecnologie moderne comportano un sempre più rapido cambiamento delle modalità

di produzione, per cui è possibile adattarla in tempo reale rispetto alle richieste del

mercato. I vari opifici non sono più delle strutture rigide ancorate alla realizzazione di

un solo manufatto, ma cambiano in continuazione (da cui l’utilità delle riprese aeree)

determinando nuove tipologie di infortuni e di malattie. Queste ultime sono sempre più

sfumate, ed impongono l’adozione di monitoraggi biologici sensibili e precoci, al fine di

evidenziare le patologie da lavoro allo stato iniziale, quando l’invalidità permanente

parziale (IPP) è ancora compresa in percentuali con una sola cifra (1-9%).

Spesso inoltre vi sono fattori di confondimento genetici, voluttuari o derivanti

dall’inquinamento dell’ambiente di vita. Si tenga presente che anche quest’ultimo

rappresenta in molti casi un nesso concausale, giuridicamente riconosciuto in Inghilterra

già dagli anni ’30, in quanto vi possono essere dispersioni di agenti nocivi dal ciclo

produttivo che fuoriescono con l’emissione di fumi, vapori, scarichi e/o aspirazioni non

confacenti, e cioè sprovviste di adeguati sistemi di filtrazione. Molte malattie contratte

dalla popolazione derivano pertanto da attività produttive, e come tali richiedono sia

sotto il profilo penale sia sul piano amministrativo di individuare con precisione il

responsabile dell’inquinamento (con moderne apparecchiature è possibile rilevare in

tempo reale oltre venti sostanze nocive, che di fatto rappresentano le impronte digitali di

chi inquina). Per questi motivi occorre centralizzare le indagini, non solo per la

difficoltà della materia e per la necessità di una “super-specializzazione”, ma anche

perché le tipologie di reato si ripetono, dal momento che le modalità di produzione sono

simili su tutto il territorio nazionale. Proprio quest’ultimo aspetto è stato da me

constatato più volte in oltre un anno e mezzo di collaborazione con l’ONA, durante il

quale troppo spesso ho dovuto dichiarare sugli atti il decesso per tecnopatie amianto-

correlate di lavoratori che avrebbero potuto essere salvati da un più attento rispetto delle

norme di prevenzione vigenti.

Tutte le patologie amianto-correlate riconoscono una dose-dipendenza, che ne influenza

l’insorgenza, il tempo di latenza e la gravità del quadro clinico. Risulta quindi evidente

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che un’efficace prevenzione primaria può ancora oggi salvare molte vite umane,

riducendo il numero di nuovi casi e diminuendo la premorienza di coloro che sono già

ammalati. Solo in questo modo si può tutelare veramente la vita umana, che non ha

prezzo e non deve averlo per nessuna ragione.

E’ auspicabile che i disegni di legge in materia divengano al più presto operativi,

consentendo alla Direzione Nazionale ed ai suoi consulenti di operare in modo efficace

e tempestivo. Occorre anche dare attuazione al monitoraggio degli ex esposti, perché se

il mesotelioma è ancora difficilmente curabile molte altre neoplasie amianto-correlate,

quali ad esempio il Ca del polmone e del grosso intestino, se diagnosticati precocemente

possono essere debellati radicalmente.

Il sig. Lucaccioni, presente oggi al convegno, è una testimonianza vivente di quanto

sopra affermato: egli è qui tra noi grazie ad una tempestiva lobectomia polmonare, ed ha

ottenuto il riconoscimento di M. P. - pur svolgendo un lavoro impiegatizio come

funzionario nel palazzo della Comunità Europea di Bruxelles - solo in seguito al

riscontro di milioni di fibre di amianto/ g di tessuto nei suoi polmoni. Il suo caso è stato

sostenuto in sede amministrativa e giudiziaria da parte del prof. Maltoni, visto che

all’epoca venivano riconosciute e indennizzate solo le esposizioni dirette, mentre ancora

oggi quelle indirette degli ambienti confinati tendono ad essere negate nonostante siano

sempre rilevanti.

“Chi cerca trova” scrisse il Vasari sul suo affresco della Sala dei Cinquecento di Palazzo

Vecchio a Firenze, indicando in questo modo la presenza sulla stessa parete di un

sottostante affresco di Leonardo da Vinci che i restauratori stanno cercando di riportare

alla luce. Chi cerca trova - dico io - auspicando la più ampia diffusione di esami sia per

la conferma dell’esposizione, con nesso causale o concausale (es. liquido di lavaggio

bronchiale con ricerca dei corpuscoli dell’asbesto e delle fibre di amianto secondo le

modalità adottate presso la Clinica del Lavoro dell’Università di Siena diretta dal prof.

Pietro Sartorelli), sia per la diagnosi precoce (es. ricerca Hb feci per il K del colon-

retto). Inoltre su tutti i reperti istologici neoplastici andrebbe effettuata la ricerca delle

fibre di amianto, per verificare la causa o la concausa delle stesse nella genesi del

tumore, così come svolto da anni dal prof. Ronald E. Gordon a New York.

Si tratta certamente di esami che hanno un costo non trascurabile, ma l’INAIL - che

risulta essere in forte attivo - può e deve farli a tutti gli assicurati esposti ed ex-esposti

ad amianto, con eventuale rivalsa verso i datori di lavoro che non hanno pagato il

premio supplementare amianto o non hanno rispettato le norme di buona tecnica. Non

svolgendo a tappeto questi accertamenti, l’INAIL viene meno ad uno dei suoi obblighi

istituzionali, in un delicato contesto in cui svolge il ruolo di controllato e controllore .

La variabilità del tasso del premio assicurativo non sempre mette in moto, come

dovrebbe, adeguati meccanismi preventivi per contenere infortuni e malattie

professionali, perché a volte il risparmio viene raggiunto attraverso l’omissione delle

denunce di tecnopatia, il mancato riconoscimento o il passaggio all’INPS di infortuni.

L’Istituto assicurativo va in ogni caso appoggiato, perché occorre sviluppare la volontà

di una corretta e approfondita valutazione del rischio (v. indagini CONTARP della

Sicilia sulle raffinerie) così come un più completo risarcimento di tutte le tecnopatie

tabellate e non tabellate (es. riconoscimento INAIL di neoplasia polmonare da

lubrorefrigeranti in addetto alla tornitura).

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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A proposito di colpa, oltre al datore di lavoro - la cui posizione va attentamente

verificata di volta in volta distinguendo la conoscenza reale del rischio dalla

conoscibilità teorica del medesimo (ad esempio, mi è capitato di vedere dei genitori,

proprietari di una tessitura di amianto, che avevano regalato ai propri figli un telaio in

miniatura per giocare con tessuti in amianto, ovviamente ignorandone la pericolosità e

costituendo quindi un indubbio caso “buona fede”) - occorre mettere a fuoco la colpa

ben più grave delle varie Unioni Industriali, che avrebbero dovuto formare i dirigenti in

modo corretto ed esaustivo ma non lo hanno mai fatto.

Parlando con dirigenti di varie parti di Italia, ripetutamente ho sentito dire che non tutti i

tipi di amianto sono cancerogeni e addirittura che il crisotilo non lo è. Dato che per

esprimere questo giudizio utilizzavano tutti la stessa terminologia, è evidente che sono

stati disinformati ad arte dalle strutture periferiche (Unioni Industriali) di una

Confindustria che sul suo sito si oppone ancora persino al completamento della

bonifica delle aziende che hanno tuttora amianto come coibentante/insonorizzante dei

loro macchinari o come copertura degli stabilimenti.

Anche la norma di legge che consente una semplice ispezione visiva per definire il

deterioramento dell’amianto residuo va abolita, in quanto l’unico amianto che non

nuoce è quello correttamente rimosso o completamente incapsulato. Bisogna poi tenere

presente che il tardivo recepimento della direttiva comunitaria in materia di divieto di

estrazione, di produzione dei manufatti contenenti amianto e della loro

commercializzazione ha rappresentato una soglia e non un confine tra esposizione e non

esposizione; purtroppo l’esposizione continua ancora oggi, non solo per mancata

rimozione dell’amianto, ma anche perché numerosi provvedimenti ne hanno consentito

un utilizzo in deroga, come nel caso dei tubi in cemento amianto degli acquedotti, delle

guarnizioni per contenitori di agenti clorurati o dei componenti strutturali e funzionali di

vettori aerei provenienti da nazioni in cui l’amianto è ancora commercializzato (es.

pastiglie dei freni di aerei di alcune compagnie straniere).

Sarebbe infine auspicabile allargare il numero di patologie amianto-correlate tabellate,

introducendo sin da subito la sindrome ansioso-depressiva presente in tutti gli esposti ed

ex esposti, i quali vivono nella costante paura di ammalarsi ed assistendo alla morte di

tanti colleghi sviluppano un vero stress da “attesa di malattia”. Tale aspetto psicologico

in questi casi può e deve essere rilevato e quantificato, anche attraverso test

somministrati a distanza.

Anche in Italia è poi giunto il momento di considerare ed accertare il complesso

comportamento delle fibre di amianto, le quali - in analogia con le polveri ultrafini PM

2,5 e PM 1 - riescono a superare la membrana dell’alveolo polmonare ed arrivare al

torrente circolatorio, raggiungendo organi distanti e generando non solo molteplici

neoplasie ma anche cardiopatie. Si pensi a tale proposito che un’ora di esposizione ad

elevati livelli di PM 2,5 determina in soggetti cardiopatici segni di ischemia ed

influisce negativamente anche sulle difese immunitarie, che vengono rallentate.

Questo meccanismo di diffusione a distanza delle fibre deve rendere chiaro a tutti che il

numero di malattie amianto correlate va aumentando ogni giorno, per cui il mancato

rispetto delle norme preventive configura un vero e proprio reato di violenza

ambientale, che insieme a quella verbale può e deve aggiungersi al reato di violenza

materiale.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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Per un’efficace prevenzione bisogna infine sviluppare anche gli studi sulle interazioni

degli agenti nocivi in caso di esposizioni multiple, secondo i modelli proposti dal prof.

Giancarlo Ugazio; infatti è sicuramente riduttivo parlare sempre e solo del sinergismo

moltiplicativo fumo/amianto nella genesi del K polmonare (Selikoff 1978), effetto che

in Italia - complice il silenzio della manifattura tabacchi e la mancanza di campagne

contro il fumo in diverse regioni - andrebbe comunque sanzionato così come il mancato

monitoraggio degli ex esposti. Il DPR 1124/65 prevedeva già da oltre 40 anni

l’esecuzione di un Rx torace a cadenza annuale per gli esposti ad amianto, mentre il DM

21/01/1987 ha permesso di sostituire l’accertamento radiologico con la ricerca di alcuni

indicatori: corpuscoli dell’asbesto e siderociti nell’espettorato, rantolini crepitanti basali,

insufficienza respiratoria restrittiva, compromissione della diffusione alveolo-capillare

dei gas. Purtroppo, sino ad ora, sono pochissimi i casi di accertamenti sanitari dopo la

cessazione dell’attività lavorativa, nonostante che l’art. 29 del D. Lgs 277/91 lo preveda

espressamente. Questo deriva dal fatto che solo alcune regioni virtuose, ad oltre 20 anni

dal dettato legislativo, si sono organizzate per tutelare la salute di chi non lavora più. Si

cita come esempio il piano di esenzione stabilito dalla regione Veneto per gli ex-esposti

ad amianto, che prevede: visita medica specialistica, emocromo e VES, esami

immunoistochimici, mesotelina e osteopontina, esami istologici, esami citologici

(siderociti e corpuscoli dell’amianto nell’espettorato), Rx torace, TAC torace e addome,

PET, ecografia cardiaca e addominale, funzionalità respiratoria, ECG, biopsia TAC

guidata, e corso di disassuefazione al fumo. L’importanza di questo monitoraggio

preventivo periodico è rafforzata dalla lunga latenza tra esposizione ed insorgenza della

patologia neoplastica (le fibre assorbite dall’organismo continuano a manifestare nel

tempo il loro effetto sclerogeno ed oncogeno) per cui il problema riguarda soprattutto

gli ex-esposti.

Amianto ed ipersensibilità individuale

Riguardo all’azione oncogena dell’amianto, bisogna considerare che i diversi tipi di

amianto hanno un’intensità di effetto cancerogeno correlata alla minore o maggiore

biopersistenza delle loro fibre. Per contro, anche l’organismo ospite contribuisce in

modo diverso a sviluppare la malattia, in analogia con quanto dimostrato dalle ricerche

sui geni Brca 1 e Brca 2 nel caso dei tumori alla mammella ed all’ovaio. Questi due geni

sono i principali responsabili di predisposizione ereditaria di K mammario e ovarico, e

la loro mutazione determina il 14 % dei tumori mammari ed il 10 % dei tumori ovarici.

E’ stato accertato che il rischio di sviluppare un tumore ovarico in caso di mutazione di

uno dei due geni è compresa tra il 44-60 %, rispetto all’1 % di probabilità dei non

portatori. Anche per le malattie amianto-correlate è lecito attendersi delle

predisposizioni generiche, per cui in futuro il nesso causale potrà essere influenzato dal

genotipo della parte offesa, mentre attualmente – poiché l’esposizione ad amianto è

ubiquitaria – occore considerare soprattutto i dati statistici, perché singoli casi possono

teoricamente essere ricondotti all’ipersensibilità individuale, mentre è praticamente

impossibile negare la responsabilità dell’ambiente di lavoro quando vi sono vistose

eccedenze rispetto all’ambiente di vita, specie se nell’ambiente di lavoro sono state

rilevate significative e protratte violazioni delle norme di buona tecnica espressamente

indicate nella normativa vigente.

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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The modern technologies imply a quicker and quicker changes in the ways of

production; therefore, they can be adapted in real time to the requests of the market. The

different production centers are no longer rigid structures anchored to the production of

one and only manufact, but change continually (henceforth the importance of aerial

filming), causing new work related accidents and illnesses. The latter are more and

more blended, and make it necessary to adopt accurate and precocious monitoring

processes, in order to highlight work related illnesses in their initial stage, when the

permanent partial invalidity is still within a one-number only percentage (1-9%).

Besides, there are often confusing factors, either genetic, voluptuary or stemming from

environmental pollution. Please note that, in many cases, this is a concausal link legally

acknowledged in England since the 30s, as there may be leakage of pollutants during

the production cycle – pollutants stemming from the emission of fumes, vapors, exhaust

and / or unfit aspiration (which is, without an adequate filtration systems). Many

diseases contracted by the population, then, derive from productive activities; and as

such, they require the responsible for the pollution to be singled out, both on a penal and

an administrative level (with modern equipment, more than twenty harmful substances

can be detected in real time, which in fact represent the fingerprints of the polluters).

For these reasons, it is safe to conclude that investigation must be centralized, not only

because of the difficulty of the matter and for the need of a "super-specialization", but

also because the types of offenses are repeated, the manufacturing process being the

same in the whole territory national. Over the last year and a half, the timespan of my

cooperation with the ONA, I have been faced by this issue many times, and too often I

have been forced to declare on the acts the death for asbestos-related occupational

diseases of workers who could have been saved had existing laws been obeyed more

carefully.

All the asbestos-related pathologies imply a dose-dependency which influences the

onset, the latency-time and the severity of the clinical case. It is therefore clear that an

effective primary prevention can still save many human lives, reducing the number of

new cases and the premature death of those who are already sick. This is the only way

you can really protect human life, which has no price and should not have it, whatever

the reason.

One wishes that the bills concerning this issue become operational as soon as possible,

allowing the National Directorate and its consultants to act effectively and timely. It is

also necessary to implement the monitoring of formerly exposed people, because –

while mesothelioma is still difficult to treat – many other asbestos-related neoplasies,

such as

lung and large-intestine cancer, can be eradicated completely if detected early.

Mr. Lucaccioni, present today at the conference, is a living testimony of what I have just

said: he is here with us, thanks to a timely pulmonary lobectomy. It has been

acknowledged that he is affected by a professional disease only after millions of

asbestos fibers / g of tissue in his lungs has been discovered, even though he had a

clerical work as a civil servant in the palace of the European Community in Brussels.

His case was supported in the administrative and judicial proceedings by prof. Maltoni,

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“Amianto tra scienza e diritto” - Pisa 18.07.2013

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given that at the time direct exposures only were recognized and compensated, while

still today the indirect ones in bordering environments tend to be denied even though

they are always relevant.

"He who seeks finds," wrote Vasari on his fresco in the “Sala dei Cinquecento” in

Palazzo Vecchio in Florence, thus indicating the presence of an underlying fresco by

Leonardo da Vinci on the same wall, which the restorers are trying to bring back to

light. He who seeks finds – I say – wishing for a wider dissemination of tests both to

confirm exposure, either with a causal or concausal link (e.g. bronchial lavage fluid with

search for the corpuscles of asbestos and asbestos fibers in accordance with the rules

adopted at the Clinic of the University of Siena directed by prof. Pietro Sartorelli), and

for early detection (eg. hemoglobine search in dejections to investigate colorectal

cancer). Besides, all histological samples should be searched for asbestos fibers, to

verify their cause or concause in the genesis of cancer, just like prof. Ronald E. Gordon

has been doing since many years in New York.

These are certainly costly tests, but the INAIL – which happens to be in strong active –

can and must get them for all the people exposed and formerly exposed to asbestos,

with possible claims against those employers who have not paid the additional asbestos

premium or did not meet the standards of good practice. When not systematically

running these tests, the INAIL fails to fulfill one of its institutional obligations, and in a

delicate context at that in which it plays the roles of the controller and the controlled at

the same time. The variability in the rate of the insurance premium does not always set

in motion, as it should, adequate preventive measures to contain accidents and

occupational diseases, because sometimes the savings derive from the omission of

allegations of technopathy, the lack of acknowledgement or the transition of the

illnesses to the INPS. The Institute insurance should in any case be supported, because

we need to develop the will of a correct and thorough risk assessment (see surveys

CONTARP on Sicilian refineries) as well as a more complete compensation for all

occupational diseases, be they tabulated not tabulated (e.g. the INAIL acknowledgement

of lung cancer stemming from coolants in a person in charge of the turning).

As for guilt, the employer's position should be carefully checked from time to time,

distinguishing real knowledge of the theoretical risk from the theoretical knowability of

the same (for example, I've seen parents, owners of a weaving of asbestos who had

given their children a small frame to play with containing fabrics of asbestos, obviously

ignoring the danger and thus constituting a definite case of "good faith"). Besides, it is

necessary to focus also on the far more serious faults of the various industrial unions,

which would have to train managers in a correct and exhaustive, but never do it.

Speaking with executives from various parts of Italy, I have repeatedly heard them

saying that not all types of asbestos are carcinogenic and even that chrysotile is not.

Since they all used the same words to express this judgment, it is obvious that they were

misinformed on purpose by the peripheral structures (Industrial Unions) of a

Confindustria which, on its site, is even still opposing the completion of the refurbishing

by the companies that still have asbestos as insulating / soundproofing material for their

roofs on the buildings or machinery.

Even the law that allows a simple visual inspection to define the deterioration of

asbestos residue must be abolished, since the only asbestos that does not harm is the one

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which has been properly removed or completely encapsulated. We must also keep in

mind that the belated transposition of the EU directive on non-extraction, products

containing asbestos and their marketing was a threshold and a boundary between

exposure and non-exposure, but unfortunately the exposure continues today, not only

because of the non-removal of asbestos, but also because many measures have allowed

a use in derogation, as in the case of asbestos cement pipes for aqueducts, the seals for

containers of chlorinate agents of structural and functional components of carriers from

countries where asbestos is still being marketed (e.g. the brake pads of the aircraft of

some foreign companies).

Finally, it would be desirable to enlarge the number of tabulated asbestos-related

diseases by introducing right now the anxiety-depressive syndrome present in exposed

and former-exposed who live in constant fear of getting sick; besides, witnessing the

death of many colleagues develops a real stress from "waiting for the illness". This

psychological aspect in these cases can and should be detected and quantified, also

through tests administered remotely.

Even in Italy, then, it is time to consider and assess the complex behavior of asbestos

fibers, which – in analogy with the super small powders PM 2.5 and PM 1 – manage to

overcome the membrane of the pulmonary alveolus and to get to the circulatory fluz,

reaching distant organs and generating not only multiple tumors but also heart disease.

Let us just think that one hour of exposure to high levels of PM 2.5 in heart patients

causes signs of ischemia and also affects the immune system, which are slowed down.

This mechanism of distant spread of the fibers must make it clear to everybody that the

number of asbestos-related diseases is increasing every day, so the failure to comply to

preventive norms becomes a real crime of environmental violence which – together with

the verbal one – must be added to the crime of material violence.

Finally, we must develop effective prevention for the studies on the interactions of

harmful agents in the case of multiple exposures, according to the model proposed by

prof. Giancarlo Ugazio, because it is certainly reductive to speak always and only of the

multiplicative synergism smoke / asbestos in the genesis of pulmonary cancer(Selikoff

1978), an effect that in Italy – given the complicit silence of the tobacco factory and the

lack of anti-smoking campaigns in different regions – should be punished, as well as the

lack of monitoring of the formerly exposed. The DPR 1124/65 had already stated, more

than forty years ago, to run a chest x-ray every year to the exposed to asbestos, while

the DM 21/01/1987 allowed to replace the radiological assessment by looking for a few

clues: particles of asbestos and siderocytes in the expectorate, cracking basal noises,

restrictive respiratory failure, impairment of alveolar-capillary diffusion of gases.

Unfortunately, up to now, there are only very few cases of health checks after the

termination of the employment, despite the fact that Article. 29 of Legislative Decree

277/91 expressly provides so. This stems from the fact that only some virtuous regions,

more than twenty years after the legislative requirements, have organized themselves so

as to protect the health of those who do no longer work. A good example is the

exemption plan established in Veneto for the previously exposed to asbestos, which

includes: professional medical care, complete blood count and erythrocyte

sedimentation rate, immunohistochemical examinations, mesothelin and osteopontin,

histology, cytology (siderocytes and particles of asbestos in the expectorate), chest X-

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ray, CT thorax and abdomen, PET, cardiac ultrasound and abdominal, respiratory

function, ECG, CT guided biopsy, and during smoking cessation. The importance of

this periodic preventive monitoring is reinforced by the long latency period between

exposure and onset of neoplastic disease (fibers absorbed by the body over time

continue to show their sclerogenic and oncogenic effect), the reason why the problem

affects the former exposed people mainly.

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TRATTATO DI LISBONA

NUOVE FONTI NORMATIVE E TUTELE NEL DIRITTO DEL LAVORO

di Ezio Bonanni

SOMMARIO: 1. Le premesse dell’entrata in

vigore del Trattato di Lisbona. 2. La Cedu come Costituzione Europea dei Diritti dell’Uomo. 3. Il ruolo della Corte Costituzionale. 4. Nuovi profili di tutela con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. 5. Il giudizio di costituzionalità e le norme comunitarie. 6. Il nuovo sistema costituzionale europeo. 7. Il banco di prova del Giudice Comunitario interno: i benefici contributivi dei lavoratori esposti ad amianto, nei siti oggetto di atto di indirizzo. 8. Conclusioni.

1. Le premesse dell’entrata in vigore

del Trattato di Lisbona Le norme di diritto comunitario

costituiscono il vertice della gerarchia delle fonti1 e debbono essere applicate dal Giudice nazionale, quali leggi interne dell’ordinamento.

L’art. 35 della Costituzione dispone che la Repubblica “promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro2”.

1 Questa supremazia discende dalla espressa limitazione di sovranità che per alcune materie i singoli stati membri hanno accettato con la ratifica del Trattato istitutivo della Comunità stessa. La legittimazione discende dalla norma di cui dagli artt. 11 e 117 della Costitutizione, secondo cui il nostro Paese consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia con le nazioni e promuove le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. 2 a) la dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo proclamata dall’assemblea generale dell’ONU nel

Se nel Trattato del 1957, le norme di diritto comunitario erano finalizzate a regolare essenzialmente i rapporti economici e monetari e le norme di diritto del lavoro avevano quale obiettivo quello di assicurare la libera disponibilità di manodopera, la Corte di Giustizia cominciava a fare emergere la nuova dimensione del diritto comunitario del lavoro, attenta ai diritti sociali e conforme ai principi di eguaglianza e di non discriminazione, con una interpretazione evolutiva delle norme di cui agli artt. 12, 34 e 141 Trattato Ce3.

dicembre 1948, ratificata dall’Italia con la legge 27.10.1977, n. 881 e con essa i Patti relativi ai diritti economici, sociali e culturali ed ai diritti civili e politici. Si riconosce ad ogni individuo il diritto al lavoro, senza alcuna discriminazione; con esso il salario equo ed eguale a quello degli altri lavoratori per un lavoro eguale; sicurezza sul lavoro; limitazione dell’orario di lavoro; libertà sindacale e sciopero. b) La convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, ratificate dall’Italia con legge 04.08.1955, n. 848. 3 Il principio di eguaglianza trova nel Trattato riconoscimento espresso e generale nella forma di un divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità (art. 12), con applicazioni specifiche relativamente alla libertà di circolazione delle merci e dei servizi alla libertà di stabilimento. Il principio si rinviene anche nella disciplina concernente le organizzazioni comuni di mercato, l’art. 34 prevedendo l’esclusione di “qualsiasi discriminazione fra produttori e consumatori nella Comunità”; e all’art. 141, in cui viene sancito in termini generali il principio della “pari retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro”. È appena il caso di precisare che il principio generale di non discriminazione in base alla nazionalità di cui all’art. 12, disposizione provvista di effetto diretto, è di applicazione solo in assenza di altre disposizioni

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che in modo specifico vietino trattamenti discriminatori ed esclusivamente nei limiti dell’ambito di applicazione del Trattato. Il limite risulta chiaro: nel Trattato istitutivo il principio di eguaglianza trova espresso riconoscimento solo al fine di rendere operative le libertà previste, dunque in funzione degli obiettivi di integrazione e non come principio e/o diritto fondamentale. Questa impostazione seguita dagli autori del Trattato è stata ben presto superata dalla giurisprudenza, subendo anche una correzione di non poco rilievo. Il principio di non discriminazione costituisce ormai una costante della giurisprudenza della Corte, che ha, per tale via, ampliato la protezione dei singoli. Nel merito, il divieto di discriminazioni sancito dal Trattato è stato da sempre interpretato dalla Corte nel senso tradizionale, che è fatto divieto di trattare in modo diverso situazioni simili ovvero di non trattare in modo identico situazioni diverse. Una disparità del trattamento è, inoltre, comunque arbitraria nell’ipotesi in cui il diverso o eguale trattamento oggetto della controversia non sia giustificabile in base a criteri oggettivi. Per contro, non si è in presenza di una discriminazione proibita ogniqualvolta il diverso trattamento è giustificato in modo oggettivo: in tale ipotesi è irrilevante che esista o no una disparità di trattamento. In definitiva, ciò che emerge con sufficiente chiarezza dalla giurisprudenza è il riconoscimento pieno del principio di eguaglianza in quanto tale, anche in fattispecie rispetto alle quali non è espressamente previsto alcun divieto di discriminazione. Non sono illegittime solo le violazioni palesi del principio di eguaglianza, ma anche le discriminazioni dissimulate ed indirette. È così che da tempo la Corte ha posto in rilievo che il divieto di discriminazione in base alla nazionalità investe anche quelle discriminazioni fondate su parametri diversi della nazionalità, ma che di fatto conducono al medesimo risultato, vale a dire negare cittadino comunitario i benefici accordati ai nazionali.; è questo il caso di un trattamento diverso fondato sulla residenza, quando non sia giustificato da elementi oggettivi. Un corollario fondamentale del principio di eguaglianza e del divieto di discriminazione è quello di parità retributiva, sancito dall’art. 141 del trattato, che ricomprende anche le prestazioni contributive (nella specie, i benefici contributivi per esposizione all’amianto). Dobbiamo richiamare in questa sede la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia che censura le normative nazionali, che, pur fondate su criteri apparentemente neutri, finiscono per sfavorire comunque le donne, ad esempio retribuendo in modo diverso il loro part-time, allorché sono

prevalentemente le donne ad optare per questa formula. Il principio di parità della retribuzione è stato oggetto di applicazioni molto ampie e significative, fino ad identificarsi, anche per effetto di numerose normative intervenute nella materia, con un generale principio di eguaglianza nei rapporti di lavoro. È se è vero che in origine all’art. 141 era stato attribuito uno scopo duplice, quello economico di evitare distorsioni di concorrenza e quello sociale di miglioramento e di parificazione delle condizioni di lavoro, è vero anche che alla luce della giurisprudenza successiva la finalità economica risulta secondaria rispetto a quella sociale, proprio in quanto la norma è stata considerata l’espressione di un diritto fondamentale della persona. In definitiva, la Corte ha inteso garantire un’uguaglianza sostanziale e non meramente formale. La giurisprudenza in materia di parità uomo-donna nella vicenda del rapporto di lavoro complessivamente intesa né è la testimonianza più significativa. Si pensi, oltre alle pronunce sulla parità retributiva, a quella sull’illegittimità del divieto generale di lavoro notturno delle donne; sull’esclusione generale dagli impieghi militari; sulla protezione ampia ed affettiva accordata alle lavoratrici durante la maternità; sulle quote, fino alla pronuncia sul transessuale; e ciò sempre muovendo dalla premessa eliminazione di ogni discriminazione fondata sul sesso è parte dei principi generali di cui la stessa Corte è tenuta a garantire l’osservanza. Vero è che l’attenzione della giurisprudenza al principio di eguaglianza ed alla sua applicazione, ormai scollegata dalla espressa previsione normativa e in definitiva come diritto fondamentale della persona, è parte di una considerazione più ampia e generale della materia dei diritti e delle libertà fondamentali da parte della Corte di Giustizia. È bene noto che i Trattati istitutivi delle Comunità nulla prevedevano quanto al rispetto dei diritti fondamentali; e se è vero, come innanzi ricordato, che talune libertà individuali risultano garantite dal Trattato CE, come la libertà di circolazione (art. 39 e 49) ovvero il diritto a non essere discriminati in base alla nazionalità (art. 12) ed in base ala sesso (art. 141), è pur vero che si tratta di libertà strumentali agli scopi del Trattato CE, dunque riconosciute nei limiti in cui erano necessarie per la realizzazione del mercato comune. L’originaria giurisprudenza della Corte, che lo limitava al rispetto del diritto comunitario, veniva successivamente superato, con il riconoscimento dei diritti fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri e dalla Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), fanno parte dei principi giuridici generali di cui essa garantisce l’osservanza.

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Il Trattato di Maastricht fa emergere definitivamente il ruolo delle politiche sociali quale collante della nuova Unione Europea, che supera la dimensione solamente economico monetaria, che se pure lo fosse, non potrebbe, comunque, prescindere dal necessario e doveroso rispetto per la vita umana ed i suoi inalienabili diritti; e da tutta un’altra serie di tutele, dall’ambiente al territorio, etc., che devono dunque trovare nella fonte comunitaria il necessario ancoraggio, anche nei confronti dei pubblici poteri, come garanzia di una effettiva coesione, anche etico-morale, e sociale e culturale.

Il 13.12.2007, i 27 Capi di Stato e di Governo degli Stati che compongono l’Unione Europea hanno sottoscritto a Lisbona il Trattato di riforma, che riproduce, sostanzialmente, il testo della Costituzione Europea e se ne discosta solamente per alcuni aspetti marginali, al solo fine di ottenere il consenso unanime.

Il Trattato, pubblicato su G.U.C.E. del 17.12.2007, n. C306/13, attribuisce la personalità giuridica all’Unione Europea, e modifica la denominazione del Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE) con quella di Trattato sul Funzionamento dell’Unione (TFU) e definisce e rafforza i valori democratici dell’Unione.

I diritti sociali trovano un nuovo meraviglioso strumento di tutela nella disposizione normativa di cui all’art. 6 del nuovo Trattato: con il primo comma si fanno proprie del diritto comunitario, e si rendono vincolanti, le tutele della Carta dei Diritti Fondamentali (in seguito Carta di Nizza), che viene equiparata ai Trattati ed ha il loro stesso valore giuridico; con il secondo comma, l’Unione aderisce alla Convenzione e con essa assorbe e rende

Significativo esempio è la Sentenza Rutili, in cui la Corte si riferiva espressamente agli articoli 8, 9, 10 e 11 della Convenzione e all’art. 2 del Protocollo 4 della stessa Convenzione, affermando su tale base che le restrizioni apportate in materia di polizia relativa agli stranieri per esigenze di ordine pubblico e di sicurezza pubblica “non possono andare oltre ciò che è necessario per il soddisfacimento di tali esigenze in una società democratica”.

pienamente vincolanti per gli Stati ed esigibili dai cittadini i diritti in essa contemplati, e quelli “risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”, che “fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

Ogni persona che consideri gli atti delle istituzioni contrari ai diritti fondamentali potrà adire la Corte di Giustizia della Comunità con le procedure previste dal Trattato Istitutivo (art. 46 TCE), con le conseguenti eventuali sanzioni del Consiglio Europeo nei confronti dello Stato membro.

La Repubblica Italiana ha ratificato il Trattato con il voto unanime del Parlamento, con la legge n. 130 del 02.08.08, e senza alcuna richiesta di chiarimenti, e senza verifica di compatibilità con la nostra Carta Costituzionale (ben diversamente rispetto ad altri Stati, come la Germania).

Il Trattato anche se ratificato con legge ordinaria si colloca al vertice nella gerarchia delle Fonti del Diritto, e si armonizza perfettamente con l’originario richiamo dell’art. 11 della Costituzione, e con il successivo art. 1174, comma 1, Cost..

La sovranità nazionale, per stessa disposizione costituzionale, trova una limitazione in favore della supremazia del Diritto Comunitario e del Diritto Internazionale (anche se con diverse sfumature, specialmente ora che il diritto della CEDU non è più soltanto pattizio, ma è esso stesso Diritto Comunitario in forza della disposizione di cui all’art. 6, comma 2, del Trattato di Lisbona).

Si supera definitivamente l’ambito soltanto monetario ed economico del diritto comunitario che con il Trattato di Lisbona si pone al vertice della gerarchia delle fonti del diritto, e disegna un nuovo ambito del diritto del lavoro, ed attribuisce, anche con lo strumento giurisdizionale, costituito dalla Corte di Giustizia, e dalle sue Sentenze, nuovi strumenti di tutela, anche nei confronti dei

4 Articolo così sostituito dall’art. 2, legge Costituzionale 18.01.2001, n. 3, in Gazzetta Ufficiale 24.10.2001, n. 248.

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pubblici poteri, contro ogni fonte di discriminazione e di ingerenza indebita del potere pubblico, sul presupposto dell’interesse comune, e del rispetto dei diritti di tutti.

La Nuova Europa non poteva rinnegare il suo fondamentale patrimonio di principi e di valori, che si nutrono di una millenaria cultura giuridica, e che sono ancorati alla tradizione cristiana, se pur con le doverose sfumature.

Non è senza conseguenze, infatti, rendere vincolanti e pienamente operativi, ed assolutamente esigibili, i diritti della Cedu e dei protocolli allegati, come i principi fondamentali degli ordinamenti continentali, fino alla Carta di Nizza ed alla Carta Sociale Europea, sicché nonostante l’assenza di qualsiasi significativo dibattito in dottrina5, l’entrata in vigore del Trattato, il 1° dicembre 2009, segna un vero e proprio spartiacque, una vera e propria rivoluzione copernicana che modifica con la gerarchia delle fonti l’intero quadro degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali della persona umana, primi tra tutti quelli sociali, che costituiscono l’essenza di un diritto comunitario del lavoro che supera l’ambito solo economico/patrimoniale.

2. La Cedu come Costituzione

Europea dei Diritti dell’Uomo

La convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 04.11.1950, nell’ambito del Consiglio d’Europa ed il protocollo addizionale firmato a Parigi nel 1952, sono entrati in vigore il 03.09.1953, e sono stati ratificati dall’Italia con la legge 04.08.1955, n. 8486.

5 B. CARUSO, I diritti sociali fondamentali nell’ordinamento costituzionale europeo, in Il lavoro subordinato, S. Sciarra e B. Caruso (a cura di), 2009, Torino, 707 ss.. 6 La convenzione è stata modificata : - dal Protocollo n. 11 - firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 - recante ristrutturazione al meccanismo di controllo stabilito dalla Convenzione. Il nostro Paese ha ratificato il protocollo con l. 28 agosto 1997, n. 296 ;

La Convenzione garantisce il diritto al lavoro e condanna quello forzato ed obbligatorio (art. 4) e conferisce il “diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi” (art. 11), che presuppone il rispetto del diritto alla vita ed alla salute, che non è intesa soltanto come assenza di malattia, ma soprattutto la migliore condizione possibile, nella vita famigliare e sociale, che trovano nelle norme degli artt. 2 e 8 della Convenzione, nella giurisprudenza evolutiva della Corte di Strasburgo il loro essenziale baluardo di tutela.

L’uomo ed i suoi diritti fondamentali non possono prescindere, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo dal diritto alla salubrità dell’ambiente, di cui quello lavorativo è una componente essenziale, ed impone agli Stati membri un comportamento attivo per preservare la salute dei cittadini dal rischio legato all’uso di materiali tossici ed inquinanti, di cancerogeni e mutageni7, cui è finalizzato l’aspetto economico patrimoniale (oggetto di tutela con l’art. 1, prot. 1, Cedu), e contro ogni discriminazione e diseguaglianza, non giustificati né giustificabili, con esigenze di pubblica utilità.

Ora questi diritti di cui un tempo si dibatteva, essendo controverso il livello gerarchico della fonte, per effetto del Trattato di Lisbona sono immediatamente e direttamente vincolanti, costituendone il vertice più alto e trovando nella Corte di Giustizia la definitiva consacrazione.

Anche alcuni Giudici nazionali, sul presupposto delle norme di cui agli artt. 11

- dall’Accordo europeo concernente le persone che partecipano alle procedure davanti alle Corte europea dei diritti dell’uomo, firmato a Strasburgo il 5 marzo 1996. Il nostro Paese ha ratificato l’Accordo con l. 2 ottobre 1997, n. 348 ; - dal Protocollo n. 14 - firmato a Strasburgo il 13 maggio 2004 - emendante il sistema di controllo della Convenzione di Strasburgo, il quale è stato ratificato nel nostro ordinamento dalla l. 15 dicembre 2005, n. 280. 7 Corte Europea per i diritti dell’uomo, Tatar/Romania, ricorso n. 67021/01 sentenza del 27 gennaio 2009.

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e 117 della Costituzione, e dei principi propri del diritto comunitario, cui avevano assimilato i relativi principi di diritto, avevano perciò stesso disapplicato norme interne che fossero in contrasto con quelle della Cedu.

Già il Tribunale di Genova8 aveva disapplicato la disciplina dell’art. 9, comma 21, secondo capoverso del Decreto Legge 510/969 per contrasto con l’art. 6 Cedu.

Il Giudice nazionale rinveniva nel divieto di conversione del contratto di lavoro a termine di un dipendente dell’Ente Poste Italiane, cui il termine apposto era illegittimo, per violazione della legge n. 230/62, una ingiustificata limitazione della giurisdizione (oltre che una evidente discriminazione dei dipendenti di questo Ente, come quelli del trasporto aereo, rispetto a tutti gli altri lavoratori), in contrasto con i principi di equità, terzietà ed indipendenza del Giudice, anche nella formulazione della regola del giudizio, in contrasto con i principi fondamentali e con l’art. 6 della Cedu.

Ora si comprende meglio come l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, e soprattutto dell’art. 6, comma 2, dispone l’obbligo di disapplicare le norme interne che fossero in contrasto con la Convenzione, rinnegando orientamenti incerti ed altalenanti.

3. Il ruolo della Corte Costituzionale La Corte di Cassazione, già con la

Sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 28507 del 23.12.2005, mentre il dibattito dottrinale10 era ancora animato, aveva

8 Sentenza 04.06.2001, estensore Gelonesi, in Foro Italiano, 2001, 2653 e ss.. 9 Convertito con modificazioni dalla legge n. 608/96. 10 R. BIN, G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI, All’incrocio tra costituzione e Cedu. Il rango delle norme della convenzione e l’efficacia interna delle Sentenze di Strasburgo, Torino, 2007; C. DE FILIPPI, D. BOSI, R. HARVEY, La convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Napoli, 2006.

affermato il valore vincolante delle norme della CEDU e la possibilità per il Giudice nazionale di disapplicare le norme di diritto interno che fossero in contrasto con quelle della Convenzione.

La Corte Costituzionale, invece, con le Sentenze n. 348 e 349 del 2007, ha negato al Giudice nazionale la possibilità di disapplicare direttamente le norme interne, che erano assoggettate al solo eventuale controllo di legittimità secondo la disposizione dell’art. 10 della Costituzione e potevano essere espunte dall’Ordinamento solo con una sua declaratoria.

Questa decisione segna un concreto ed effettivo arretramento negli strumenti di tutela e nel rispetto dei diritti della persona umana, anche dalle ingerenze del potere pubblico e trova il suo compimento in negativo già con la Sentenza della Corte Costituzionale n. 419/00. Con questa Sentenza la Corte aveva dichiarato eccezionalmente legittima la norma, se pure in contrasto con i diritti costituzionali della persona umana, sul presupposto di una valutazione comparatistica che li subordinasse (e li sacrificasse) alle esigenze di bilancio, contemplate nell’art. 81 della Costituzione.

La Corte sul presupposto del possibile impatto della sua decisione di incostituzionalità sul bilancio dell’ente pubblico economico, Poste Italiane, aveva dunque deciso per il rigetto della denuncia di incostituzionalità di una norma comunque illegittima, perché contraria ai fondamentali principi contemplati negli artt. 3, 24, 97, 98 e 111 della Costituzione, e negli artt. 6 Cedu, ed in altre norme di diritto internazionale.

Questa decisione mette in crisi il ruolo della Corte Costituzionale come garante e motore per l’affermazione dei diritti della persona umana come contemplati dalla Carta Costituzionale.

Tanto più che nel nostro Ordinamento Costituzionale, dopo la solenne proclamazione del diritto di azione e difesa, con l’art. 24, si è giunti al rafforzamento della tutela dei diritti con la regola del giusto processo come limite alla

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Giurisdizione, con la nuova formulazione dell’art. 111 della Costituzione, introdotto con la legge costituzionale n. 2 del 23.11.1999.

I canoni ermeneutici, quella interpretazione secondo costituzione, e lo stesso adeguamento del sistema per effetto della diretta cogenza delle norme fondamentali, subivano uno svilimento, segnando un arretramento anche sul piano interpretativo della efficacia delle norme costituzionali di tutela della persona umana.

Se con una allegoria possiamo rappresentare i diritti della persona umana come consacrati nella nostra Costituzione come dei baluardi posti a difesa laddove ci possa essere il rischio di una lesione, queste decisioni che sviano il teatro della battaglia, permettono di rappresentarli come il bastione nel deserto dei Tartari, dove il nemico appariva solo sullo sfondo, se non nell’immaginazione dei difensori, in perenne attesa.

I valori della nostra Costituzione diventano meno concreti, e ritornano ad essere delle mere astratte formulazioni, con innegabile negazione dei nostri principi fondamentali sui quali è stata edificata la Repubblica.

Il richiamo alla norma di cui all’art. 81 della Costituzione supera con il diritto di difesa e del giusto processo, e con essi anche le norme di cui all’art. 6 Cedu, che tutelano il singolo rispetto all’ingerenza del pubblico potere, con la garanzia di terzietà e di dipendenza del Giudice, non influenzabile nella formulazione del suo giudizio.

Nella postulazione giurisprudenziale qui non condivisa si sorvola sul fatto che la valutazione dell’impatto economico che seguirebbe il ripristino dei diritti costituzionali è quantificata dallo stesso abusante, che lo anima per sviare dalla responsabilità.

Si va affermando la pratica della norma legislativa interpretativa, che è chiamata ad influire sui processi in corso, per determinarne (o ribaltarne) l’esito, limitando i diritti della persona umana, già

violati, e portando all’impunità per i responsabili11.

Queste norme legislative cosiddette interpretative, e le stesse decisioni della Corte Costituzionale12 che abbiamo richiamato, sono destinate, inevitabilmente, a svalutare il ruolo nomofilattico e regolatore della Corte di Cassazione, poiché intervengono incidentalmente in una fase del giudizio in cui la Suprema Corte non ha ancora esercitato quel ruolo di Giudice di legittimità o al più non aveva consolidato un suo indirizzo, costante e sufficientemente univoco.

Il caso più macroscopico è quello del contenzioso previdenziale13 e seriale14 di

11 La Corte Costituzionale Italiana ha un problematico rapporto tra diritti sociali ed equilibrio finanziario, per tutti M. D’ONGRIA, La giustizia costituzionale in materia di previdenza sociale: diritti sociali ed equilibrio finanziario, in Giorn. Rel. Ind., 2000, 81 e ss.. 12 M. M ISCIONE, I poteri della Corte Costituzionale, in Il lavoro nella giurisprudenza, IPSOA, 2008, 1195. 13 Caso emblematico quello dei benefici contributivi per i lavoratori esposti ad amianto in siti oggetto di atto di indirizzo, che in forza dell’art. 1, comma 20, legge 247/07, avevano diritto a vedere prolungato il periodo di riconoscimento fino al 02.10.03, con il coefficiente dell’1,5 utile per anticipare la maturazione del diritto a pensione, con l’unica esclusione, dettata dal comma 21, per coloro che fossero già in pensione alla data del 24.12.07, data di entrata in vigore della legge. Il Ministro del Lavoro, declinando le norme attuative (in forza del comma 22), con D.M. 12.03.08, all’art. 1 b), circoscriveva l’ambito di operatività della legge ai soli siti per i quali l’atto di indirizzo riconosceva l’esposizione fino al 1992 e successivamente l’Inail (atto del 19.05.2008, n. 60002) circoscriveva ancora di più, e limitava a soli 15 dei 500 siti oggetto di atto di indirizzo. Successivamente detto atto regolamentare ministeriale veniva impugnato al TAR del Lazio, che accoglieva il ricorso, dichiarando la illegittimità delle norme regolamentari restrittive. La difesa erariale proponeva il ricorso al Consiglio di Stato e nelle more interveniva lo Stato legislatore, per dettare con l’art. 6, comma 9 bis, legge 25/2010 una norma interpretativa, eguale all’art. 1, lettera b) del D.M. 12.03.08, dichiarata illegittima dal TAR del Lazio. Il giudizio è ancora pendente innanzi al Consiglio di Stato ed è inutile dire che nella giustificazione del proponente (Senatore Battaglia PDL) sono riprodotte le argomentazioni difensive

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lavoro, nel quale sono più pressanti le cosiddette esigenze di bilancio, tuttavia determinate non certo dalle parti, quanto piuttosto da una precedente violazione dei criteri di efficace ed efficiente amministrazione, che avrebbe dovuto essere ispirata dalla ricerca virtuosa della compatibilità di bilancio.

L’enorme debito pubblico italiano giustifica allora quelle decisioni che segnano una irresponsabilità dello Stato nell’attività amministrativa ed imprenditoriale, per non comprometterne ulteriormente il bilancio.

Leggi interpretative, o Giurisprudenza di rigetto della Corte Costituzionale, sempre con efficacia retroattiva, anche quando la Corte di Cassazione si è già pronunciata, per annullare dei diritti che la legge aveva conferito, e che erano stati violati.

Questa giurisprudenza e la modalità di utilizzo della potestà legislativa, che mira inequivocabilmente a far venire meno ed a giustificare gli abusi dello Stato, sono giustificate dal presupposto, del tutto infondato, che ci sarebbe da chi ha la titolarità di un diritto e che ne ha chiesto la tutela nei confronti dello Stato che lo ha violato, un abuso, che sarebbe in grado di intaccare la finanza pubblica, e per di più con conteggi sempre affidati all’ente abusante, ed assolutamente privi di un qualsiasi ed oggettivo riscontro.

4. Nuovi profili di tutela con

l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona

dell’Avvocatura dello Stato (e si riporta anche un accordo sindacale con il Ministro del lavoro teso a limitare a pochi siti il beneficio contributivo) ed è richiamato il possibile impatto (€ 120.000.000) sul bilancio pubblico. Inutile dire che chi ha fatto i conti è l’Inail, che prima aveva circoscritto ai lavoratori di 15 siti una legge dello Stato che in quanto tale dovrebbe conferire diritti a tutti i cittadini. 14 IPSOA, Il lavoro nella giurisprudenza: Nuovamente alla consulta il passaggio del personale ATA degli Enti locali allo Stato, 2008, 11, 1132, nonché: La tutela comunitaria e internazionale salverà il processo del lavoro italiano?, 2009, 2, 148.

Questi fatti sommariamente appena

descritti, ed in prospettiva, altre fattispecie da cui di seguito trarremo alcuni spunti e valutazioni, dimostrano la necessità sempre più stringente di superare il ristretto ambito della giurisdizione nazionale, e di ricorrere ad una tutela, per i diritti sociali, che sia anche a copertura comunitaria ed internazionale, essendo insufficiente la tutela interna, per l’affievolimento della interpretazione costituzionale dei diritti e lo svilimento dei parametri adeguatori ed interpretativi secondo Costituzione, della Corte di Cassazione.

Il quadro è ora del tutto modificato per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che all’art. 6 richiama e rende vincolanti altre fonti normative, dotate ora di piena efficacia precettiva.

E’ il caso della Carta dei diritti fondamentali, sottoscritta a Nizza il 07.12.00, in occasione del Consiglio europeo dei Presidenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione CE, la quale fino ad ora era priva di qualsiasi valore giuridico vincolante, e di qualsiasi rimedio giurisdizionale in caso di violazione, non essendo stata inserita nel Trattato Ce, e costituiva soltanto ed unicamente un parametro ermeneutico per l’interpretazione del diritto comunitario.

Anche la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo era una fonte esterna all’Unione Europea ed è ora recepita formalmente, come fonte del diritto comunitario.

Nella evoluzione graduale del diritto comunitario, che aveva iniziato a recepire le norme della Cedu, attraverso l’interpretazione del diritto comunitario, da parte della Corte di Giustizia che tenesse conto dei diritti fondamentali della convenzione, e dei diritti fondamentali in essa garantiti, sul presupposto dei principi generali15 risultanti dalle tradizioni

15 Si veda la sentenza Stauer del 12 novembre 1969 (C-29/69) in cui la Corte di Giustizia affermò che i diritti fondamentali fanno parte dei principi generali del diritto comunitario che la Corte assicura, nonchè le sentenze Internationale Handelsgesellshaft del 17

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costituzionali comuni, il Trattato di Lisbona e la sua entrata in vigore rappresentano una vera e propria novità, soprattutto per i diritti sociali.

Con il Trattato di Lisbona e l’entrata “effettiva” della Carta di Nizza, ed il recepimento della Cedu, cambia anche il quadro della tutela nel diritto del lavoro.

Con l’entrata in vigore della Carta di Nizza con modalità prescrittive di supremazia assume efficacia vincolante la norma processuale di cui all’art. 28, che costituisce lo strumento di tutela collettiva per tutti i lavoratori (la c.d. “labour class action”).

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la Carta Comunitaria e dei diritti fondamentali dei lavoratori è stata sottoscritta a Strasburgo il 09.12.1989 e la Carta Sociale Europea è stata approvata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 03.05.1996, e ratificata con legge 09.02.99 n. 30.

In più occasioni la giurisprudenza interna ha applicato direttamente le norme della Carta di Nizza e della Cedu, fino a quando è intervenuta la Corte Costituzionale con le già richiamate Sentenza 348 e 349 del 2007, che segnano l’affievolimento anche del principio del diritto di difesa e di far valere qualsiasi diritto, nel giusto processo.

Con queste Sentenze la Corte Costituzionale pur affermando l’introduzione del filtro intermedio costituito dall’art. 6 Cedu, non ha

dicembre 1970 (C-11/70); Nold del 24 settembre 1975 (C-4/73); Rutili del 28 ottobre 1975 (C-36/75); Hauer del 13 dicembre 1979 (C-44/79); Baustahlgewerbe del 17 dicembre 1998 (C-185/95), ove la Corte di Giustizia ha seguito il metodo della Corte CEDU nell’interpretare l’art.6 della Convenzione ed applicarlo ad una procedura del Tribunale di Prima Istanza). Ancora Corte di Giustizia, Sentenza 27.06.06, causa C-504/03 Parlamento Europeo / Consiglio; Sentenza 13.03.07, causa Unibet C-432/05. Il ruolo della Carta di Nizza nelle tecniche di argomentazione e di attività interpretativa nella giurisprudenza soprattutto della Corte di Giustizia Le Corti e la Carta di Nizza, Fundamental rights, a cura di B. Caruso, M. Milittello, F. Amici, V. Papa, E. Saccà, Dossier n. 12, 2009,su www.europa.eu.

consentito il consolidamento del principio di diretta applicazione di queste norme nel diritto interno, e di affidarne la tutela dei diritti alle sedi giudiziarie sovrannazionali.

Ora con il Trattato di Lisbona, efficace anche nell’ordinamento interno, il quadro è destinato ad essere completamente modificato, in quanto a queste forme di tutela si aggiunge quella della disapplicazione da parte del Giudice interno di quelle norme di diritto nazionale che siano in contrasto con il diritto comunitario e dunque nello specifico anche in contrasto con quelle della Cedu e della Carta di Nizza e della Carta Sociale Europea.

Alla tradizionale tutela sovrannazionale della Corte di Strasburgo, si aggiunge quella indiretta costituita dalla possibilità di domandare l’intervento, sul piano interpretativo, della Corte di Giustizia, nel caso la norma interna rientri nei campi di applicazione della disciplina comunitaria (nella quale sono ricompresi i diritti contemplati nella stessa Carta di Nizza e/o nella Carta Sociale Europea e nella Cedu), o la possibilità di chiederne identica tutela in via amministrativa con la verifica della loro efficace ed effettiva trasposizione ed effettiva ed efficace applicazione nell’ordinamento interno, ed in caso contrario con la possibilità di chiedere l’inizio della procedura di infrazione.

Tuttavia questo richiamo alla tutela multilivello costituisce una abdicazione dell’ordinamento nazionale nella garanzia dei diritti della persona, che smentisce una millenaria nostra tradizione di cui sono depositari i vari operatori, dagli avvocati fino ai magistrati, per non trascurare i professori universitari, e che a suo tempo ha ispirato e continua ad ispirare tutti gli altri ordinamenti moderni.

Le ragioni di questo sacrificio che costituisce un arretramento anche morale e culturale, oltre che etico e sociale, e lede con i diritti fondamentali anche la democrazia, sono costituite dalla necessità di aggirare responsabilità contabili ed amministrative.

Ne è la conferma la Sentenza della Corte Costituzionale n. 311 del

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16/26.11.2009, che restringe ancora di più l’ambito di tutela dei diritti soprannazionali dell’ordinamento interno: chiamata a risolvere per la seconda volta la vicenda del trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, dichiarava conforme a costituzione le norme di sospetta legittimità che erano state individuate dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza 22260/08.

Queste norme negavano il diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio al personale amministrativo dell’amministrazione scolastica, trasferito dagli enti locali allo Stato.

Ma questa vicenda processuale non si è esaurita con questa decisione, in quanto paradigmaticamente entrava in gioco la pregiudiziale comunitaria, sollevata dal Tribunale di Torino, sul presupposto del necessario e doveroso rispetto dell’art. 6 della Cedu, ed il diritto ad un equo processo, ora principio generale di diritto comunitario, senza tra l’altro richiamare la direttiva 77/CE/187 Cee, modificata dalla direttiva 98/CE/50.

Il Tribunale di Milano aveva dunque chiesto alla Corte di Giustizia qualche giorno prima della ratifica del Trattato di Lisbona una applicazione orizzontale dei principi generali di diritto comunitario quali quelli del giusto processo, senza alcun richiamo al capo di applicazione del diritto comunitario.

La Corte di Giustizia, in soli 20 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale, con ordinanza del 03.10.08, si dichiarava incompetente.

Se da un lato la decisione può considerarsi in linea con la sua giurisprudenza16, non può non essere rilevata la celerità della pronuncia, adottata in assenza dell’iter procedurale ordinario, che sarebbe stato opportuno, in quanto con osservazioni scritte e trattazione orale, si sarebbe realizzato quel dialogo tra le Corti, che avrebbe permesso di far emergere l’ambito proprio

16 Sentenza 29 maggio 1997, causa C-299/95, Kremzow; ordinanza 6 ottobre 2005, causa C-328/04, Vajnai.

del diritto comunitario, essendo la normativa interna in attuazione della direttiva 91/533/CE, ed il conseguente obbligo di informativa circa le condizioni applicabili al contratto di lavoro.

Quando la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 311/09 dichiara infondata la questione sollevata con l’ordinanza n. 22260/08, segue immediatamente un ulteriore rinvio pregiudiziale del Tribunale di Venezia, che precedeva di pochi giorni l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

Ma quello che più meraviglia nella Sentenza della Corte Costituzionale è la interpretazione dell’art. 6 Cedu come norma ancora pattizia e non come principio fondamentale del diritto comunitario, ignorando completamente che di lì a pochi giorni, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (art. 6, comma 2) il quadro sarebbe radicalmente mutato.

Ciò non può non avere notevoli implicazioni nello scrutinio degli strumenti di tutela giurisdizionale dei diritti della persona umana.

Un caso emblematico, sul quale poi ritorneremo, è quello dei lavoratori esposti ad amianto nei siti oggetto di atto di indirizzo, nei quali è intervenuta una modifica legislativa, per modificare retroattivamente la legge che conferiva dei diritti pensionistici, espropriandone i lavoratori, che ne avevano maturato il diritto, e per di più ottenuto dal Giudice amministrativo l’annullamento del Decreto Ministeriale restrittivo, e destinato ad influire nel giudizio di secondo grado.

Queste modalità di azione sono ora in contrasto con il Trattato di Lisbona il quale recepisce l’art. 6 Cedu e l’art. 47 della Carta di Nizza, ormai vincolanti, che non permettono tale esercizio del potere legislativo finalizzato a rendere legittimo per legge il comportamento illecito dell’ente pubblico o dell’ente previdenziale che nega diritti quesiti, pur dopo Sentenze che li riconoscono.

Si afferma in sostanza un nuovo strumento di tutela costituito, come meglio in seguito vedremo, dalla disapplicazione del diritto interno in contrasto con quello comunitario e quello

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internazionale recepito, e dalla valorizzazione del Giudice interno come primo giudice comunitario, che precede la nomofilachia comunitaria affidata alla Corte di Giustizia, e che si somma a quella interna della Corte di Cassazione e dal giudizio di legittimità della Corte Costituzionale (in tale nuovo contesto entra a pieno titolo il profilo introdotto dall’art. 6, commi 1 e 2, del Trattato di Lisbona).

Il Giudice interno riacquisirebbe quel ruolo fondamentale di tutela dei diritti negati, dopo l’affievolimento del ruolo della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, e senza la necessità di dover ricorrere alle Corti internazionali.

Lo ius peregrinum ha dunque inaugurato una nuova stagione di tutela interna dei diritti fondamentali della persona umana, disboscando quella congerie di interventi legislativi statali, che spesso si sono sovrapposti senza un disegno organico ed ingenerando incertezze interpretative, finalizzate unicamente a sostenere le posizioni della difesa erariale, ed a far assolvere lo Stato come potere amministrativo rispetto alle responsabilità cui era chiamato a rispondere.

Queste decisioni della Corte Costituzionale e l’arresto ingiustificato ed incomprensibile nel processo di integrazione europea sono destinati a venir meno per l’effetto delle pronunce delle Corti internazionali, e soprattutto per la nuova presa di coscienza del Giudice interno, a pieno titolo Giudice Comunitario interno, e come tale garante anche sul piano etico giuridico dei diritti costituzionali (ora fatti propri dal diritto comunitario, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Trattato di Lisbona: ci riferiamo a quei diritti propri delle tradizioni costituzionali continentali espressamente richiamati nel testo normativo).

Il Giudice Comunitario interno deve disapplicare quelle norme interne che sono in contrasto con i diritti della persona umana riconosciuti e contemplati dal diritto comunitario, nel senso della sua

accezione più ampia, come disegnata dall’art. 6 del Trattato di Lisbona.

Merita di non essere condiviso l’orientamento proprio della Corte di legittimità17, che non tien conto della dichiarazione di iniquità di un processo da parte della Corte Europea.

Viene meno così il parametro intermedio della Cedu, e le sue stesse norme sono ora di diritto comunitario anche perché richiamate e trasfuse, quali principi fondamentali del diritto, anche nella Carta di Nizza.

Inoltre, la Giurisprudenza anche costituzionale esalta il ruolo della Corte di Giustizia, quale Giudice di nomofilachia esclusiva anche rispetto alla Corte Costituzionale (anche in ragione dell’assorbimento dei principi costituzionali fondamentali comuni a tutti gli Ordinamenti Continentali nel diritto comunitario), che sospende il suo giudizio di legittimità e lo devolve alla medesima, nel caso in cui il suo oggetto imponga “l’attivazione della cosiddetta pregiudiziale comunitaria18”.

Dalla Corte Costituzionale Italiana, infatti, con l’Ordinanza 103 del 2008, si è scritto “detto Giudice, al fine dell’interpretazione delle pertinenti norme comunitarie, necessaria per l’accertamento della conformità delle norme interne con l’Ordinamento comunitario, si avvale, all’occorrenza, del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE di cui all’articolo 234 del Trattato CE19”e conseguentemente “detta Corte ritiene opportuno sollevare questioni

17 Cass. pen, Sez. I, 1° dicembre 2006 – 25 gennaio 2007, n. 2800, in Foro Italiano, 2007, II, 278. 18 Giurisprudenza Costituzionale del 2008, Roma, 28 gennaio 2009, 6-7, su www.cortecostituzionale.it. 19 Prolusione del Presidente Giovanni Maria Flick - La Giustizia costituzionale oggi: gli approdi e le prospettive, nel quale il richiamo alla Corte di Giustizia è giustificato dal “fine di evitare il pericolo di contrasti ermeneutici tra la giurisdizione comunitaria e quella costituzionale nazionale, che non giovano alla certezza ed all’uniforme applicazione del diritto comunitario”, nel pieno rispetto dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” a norma dell’art. 117, comma 1, della Costituzione.

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pregiudiziali davanti alla Corte di Giustizia CE ai sensi dell’articolo 234 del Trattato CE esclusivamente con riguardo alle violazioni degli articoli 49 e 87 del Trattato CE”.

E’ il formale completamento di quel quadro nuovo, anche in termini di tutela processuale, costituito dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

5. Il giudizio di costituzionalità e le

norme comunitarie Vigeva in materia il teorema Tesauro20,

il quale, in tema di questione di legittimità costituzionale di una norma di diritto interno, in sospetto contrasto con la norma comunitaria, ne limita l’ambito “all’ipotesi del contrasto tra norma interna e norma comunitaria non produttiva di effetti diretti, vuoi perché priva delle caratteristiche di precisione, chiarezza e carattere incondizionato alle quali quegli effetti sono subordinati, vuoi perché destinata a regolare rapporti orizzontali”.

“Qualora la norma comunitaria in questione non sia dotata di efficacia diretta, trattandosi comunque di una situazione normativa non conforme agli obblighi comunitari e dunque riconducibile nell’alveo della disposizione costituzionale prima citata, l’antinomia deve essere comunque risulta e non può che trovare compimento secondo le regole generali del nostro ordinamento, vale a dire con il necessario intervento della Corte costituzionale21”.

La Corte Costituzionale, come filtro interpretativo ed applicativo nel complicato rapporto tra disciplina comunitaria, norme costituzionali e regole interne, diviene Giudice della causa e dei

20 G. TESAURO, Diritto comunitario, V^ edizione, Padova, 2008, 207 e ss., ma già in Diritto comunitario Giudici Nazionali, in Convivenza nelle libertà: scritti in onore di Giuseppe Abbamonte, Napoli, 1999, 1342. 21 R. MASTROIANNI, Conflitti tra norme interne e norme comunitarie non dotate di efficacia diretta: il ruolo della Corte costituzionale, in Dir. U.E., 2007, 3, 589.

diritti ed interessi dedotti nel singolo giudizio e perciò stesso rientra sia nella nomofilachia comunitaria (per cui c’è competenza esclusiva della Corte di Giustizia), sia nella nomofilachia interna, affidato alla Corte di Cassazione.

Questa posizione è ora definitivamente tramontata, per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che invece riaffida la nomofilachia comunitaria alla Corte di Giustizia e rivaluta il ruolo del Giudice di merito e del Giudice di legittimità anche come primo garante dei diritti dei cittadini, con la possibilità di disapplicare direttamente, o chiedere il supporto interpretativo alla Corte di Giustizia.

Infatti, il nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione deforma in parte il ruolo della Corte Costituzionale, poiché il legislatore interno deve rispettare in modo pregnante e diretto gli obblighi comunitari internazionali.

La fattispecie che rende plasticamente dimostrati questi diversi ruoli è quella del contratto a tempo determinato, sia nel privato, sia nel pubblico impiego.

La Corte Costituzionale è intervenuta con la Sentenza 214 del 2009: se da una parte è stata dichiarata l’illegittimità costituzione dell’art. 4 bis del D.Lvo 06.11.2001, n. 368, introdotto dall’art. 21, comma 1 bis, del decreto legge 25.06.2008, n. 112, convertito con modificazione dalla legge 06.08.08, n. 133, dall’altra aveva dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 ed 11 del D.Lvo 368/01 e dell’art. 2, comma 1 bis del D.Lvo 368/01.

Le norme di cui all’art. 1, commi 1 ed 11 e dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lvo 368/01 traggono la loro legittimazione costituzionale da presunte esigenze di equilibrio di bilancio, ma sacrificano i diritti delle persone, violati ancora una volta dallo Stato, anche con l’esercizio del potere legislativo.

Il Tribunale di Siena, estensore Cammarosano, con il suo provvedimento del 23.11.09, richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia, ed applica

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direttamente la direttiva 1999/70/CE22, e perciò stesso disapplica le norme di diritto interno, perché in contrasto con quelle di diritto comunitario, pur essendo state dichiarate costituzionalmente legittime dalla Corte Costituzionale (con la Sentenza n. 214/09).

Questa decisione del Giudice senese è destinata ad assumere un ruolo fondamentale nel dibattito in dottrina, e ad influire sulla giurisprudenza, poiché con essa non si crea ma si applica il diritto vivente, attraverso norme cogenti nel nostro ordinamento.

Il rimedio extra ordinem evidenzia la inadeguatezza in alcuni casi della Corte Costituzionale e gli strumenti ordinari di regolazione dei conflitti tra norme di diverso grado.

Recentemente altri Giudici di merito, sempre più consapevoli di essere per il loro ruolo, anche dei Giudici Comunitari interni, hanno sollevato altre due ordinanze di pregiudizialità comunitaria, ex art. 234 del Trattato.

22 “La lettura dei principi comunitari come limitata alla prevenzione dell’abuso nella successione contrattuale ricorda l’immagine di un ricercatore al microscopio, sembrando invece miglior strumento il telescopio per la individuazione di principi fondanti di non discriminazione, ed è ulteriormente viziata nella scelta dello strumento di osservazione la lettura del caso concreto. Nel quale l’abuso nella successione è ricercato, al fine di tentare di escluder aprioristicamente la possibilità stessa del risultato, nel singolo caso, laddove invece è il macrofenomeno economico, la grandiosa girandola della utilizzazione del lavoro precario, nella non modesta percentuale del 15% in un ambito imprenditoriale di decine e decine di migliaia di dipendenti, a svelare anche nella utilizzazione del singolo, isolato rapporto di lavoro a termine dell’indiretto abuso. L’abuso nella successione dei contratti a termine bene può essere rivelato non solo dal punto di vista del singolo lavoratore, ma da quello della globale utilizzazione del lavoro precario in ambito aziendale. Nel medesimo stabile posto di lavoro, nella medesima ordinaria mansione, per dodici mesi su dodici all’anno, tanto è abusivo utilizzare in successione temporizzata un medesimo lavoratore, quanto farvi ruotare lavoratori diversi con singoli contatti. in entrambi i casi abbiamo un sostanziale fenomeno di successione dei rapporti”.

Il Tribunale di Trani23, ha sollevato con ordinanza del 23/25.11.2009 la seconda questione di pregiudizialità comunitaria sull’art. 1 bis, D.Lvo 368/01.

Il Giudice remittente chiede alla Corte di Giustizia di accertare il già rilevato contrasto della norma interna con la direttiva 1999/70/CE, e sul presupposto dell’abuso della posizione dominante, chiede la definizione con giudizio accelerato, ex art. 104-bis del regolamento di procedura.

La Corte, nel caso di accoglimento dell’istanza, potrebbe definire in tempi brevissimi anche i poteri del Giudice interno.

Anche il Tribunale di Rossano con ordinanza del 14.12.0924, ha sollevato la terza questione di pregiudizialità comunitaria sull’art. 36, comma 5, del D.Lvo 165/01.

Il Giudice remittente motiva il suo provvedimento richiamando l’inadeguatezza dell’intero sistema di tutele antiabusive, e le diverse discipline del precariato pubblico, tutte in contrasto con le norme del diritto comunitario, sul presupposto che anche la Corte Costituzionale aveva negato la declaratoria di illegittimità delle norme preclusive della conversione del contratto a termine, sul presupposto del divieto di cui all’art. 97, comma 3, della Costituzione, rispettivamente con le Sentenze n. 89/2003, e 215 e 293 del 2009.

La Corte di Giustizia è chiamata dunque a dirimere anche la frammentarietà dell’intera normativa del contratto a tempo determinato, che è in contrasto con i principi di certezza del diritto, nella misura in cui affievolisce la difesa della parte più debole.

La norma di cui all’art. 36 del D.Lvo 165/01, che era stata dettata per trasporre nell’ordinamento interno il principio di diritto comunitario di stabilità del rapporto lavorativo, si era trasformata, anche alla

23 Estensore La Notte Chirone, causa Vino/Poste Italiane C-20/2010. 24 Estensore Coppola, causa Affatato/ASL Cosenza, C-3/2010.

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luce del complesso generale di tutte le norme del diritto interno, in elusione del dettato comunitario e costituzionale.

Infatti, se astrattamente questa norma poteva sembrar tale, in concreto l’assenza di idoneo ristoro dei pregiudizi anche non patrimoniali, conseguenti agli abusi sofferti dai lavoratori, e di sanzione per i responsabili, in concreto appariva come giustificativa della precarizzazione sostanziale dei rapporti di lavoro, in palese ma non sanzionata violazione del diritto comunitario, nella accezione più ampia voluta dal Trattato di Lisbona.

Il Giudice nazionale, con le ordinanze innanzi citate, supera il vaglio di legittimità costituzionale nazionale, in ambito di applicazione della normativa comunitaria, e sancisce la sua inidoneità alla funzione di garante dei diritti fondamentali della persona umana, nonostante fossero consacrati in modo solenne nella nostra Carta fondamentale, e subordinati a presunte esigenze di bilancio con l’esaltazione dei principi normativi di cui all’art. 81 della Costituzione.

Il diritto è chiamato alla sprovincializzazione ed al superamento dei limiti imposti da una (errata) assolutizzazione della norma di cui all’art. 81 della Costituzione, che non può costituire la foglia di fico capace di celare la violazione dei diritti della persona umana.

Il diritto non può prescindere ed anzi deve essere ancorato ai principi fondamentali ed ineludibili di rispetto della persona umana, e che preesistono e sono ad essa innati, e deve aprirsi a tutte le esperienze, e raccordarsi per risolvere il conflitto tra norme di diverso rango, nell’attenzione finalistica ai diritti inalienabili della persona umana.

Con le ordinanze di pregiudizialità comunitaria il Giudice nazionale è esso stesso Giudice comunitario e vede nella Corte di Giustizia l’organo supremo dell’esercizio giurisdizionale, nel ruolo di nomofilachia comunitaria, finalizzata alla tutela dell’interesse generale, cui non giova certamente la contraddittorietà normativa indotta dal sovrapporsi nel

tempo di norme anche di rango diverso e che sono destinate anche ad influenzare i modelli interpretativi.

Il caso delle norme sui contratti di lavoro a tempo determinato ed indeterminato è uno solo dei tanti, ma è qui richiamato perché coinvolge centinaia di migliaia di persone, famiglie e l’intera collettività nazionale.

La tutela multilevel ed i diritti cosiddetti sociali passano ad una tutela interna rafforzata dalla garanzia della Corte di Giustizia, che assicura l’omogenea applicazione dei principi e delle regole generali della Carta Costituzionale Europea.

Gli ultimi sviluppi della giurisprudenza di merito rafforzano il prestigio della nostra cultura giuridica e della nostra Nazione, in quanto la rilettura e talvolta il superamento della giurisprudenza della Corte Costituzionale, dimostrano come siano in grado di censurare anche lo Stato amministratore e lo Stato imprenditore, perseguendo la tutela dei diritti della persona attraverso il ruolo della Corte di Giustizia e del Giudice delle Comunità degli Stati.

Ne è prova l’operato del Tribunale di Venezia che con ordinanza di pregiudizialità comunitaria del 4 Gennaio 2010, ha chiesto alla Corte di Giustizia la verifica di compatibilità comunitaria dell’art. 1 comma 218 della legge 266/2005, in tema di regolamentazione giuridica ed economica del passaggio del personale Ata dagli enti locali allo Stato, già a suo tempo dichiarata legittima dalle Sentenze nr. 234/2007 e nr. 311/2009 e dalla stessa ordinanza nr. 212/2008, della Corte Costituzionale25.

Il Giudice lagunare nella sua ordinanza di pregiudizialità comunitaria del 4 Gennaio 2010 richiama la normativa europea in tema di trasferimento di azienda, e i “principi generali del vigente diritto comunitario della certezza del

25 La questione fu sollevata dal Tribunale di Venezia (estensore Bortolaso) con ordinanza del 4 Aprile 2006, nella quale la norma legislativa appariva in contrasto con gli art. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione.

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diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi processuali, della effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantito dall’art. 6 nr. 2 del Trattato sull’Unione Europea (così come modificati dall’art. 1.8 del Trattato di Lisbona ed al quale fa rinvio l’art. 46 del Trattato sull’Unione) - in combinato disposto con l’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4/11/1950, e con gli art. 46, 47 e 52 nr. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 Dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona”.

6. Il nuovo sistema costituzionale

europeo

L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona disegna un nuovo sistema costituzionale europeo nel quale la Corte di Giustizia viene elevata a supremo Organo della nomofilachia ed è in grado di armonizzare le norme di diverso rango dei diversi Paesi della comunità, anche se non è una Corte Costituzionale Europea26, né il Giudice di ultima istanza27, per il contenzioso nazionale.

La Corte di Giustizia contribuisce a creare un diritto interno e comunitario orientato e bilanciato sulla Carta dei diritti, ora vincolante, come confermato dalla Sentenza della Grande Sezione, della Corte di Giustizia, emessa in data 19

26 V. B. CARUSO, I diritti sociali fondamentali nell’ordinamento costituzionale europeo, in Il lavoro subordinato, a cura di S. Sciarra e B. Caruso, Torino, 2009, 740 ss. 27 In relazione al contrasto interpretativo tra la Corte Costituzionale italiana, per effetto dei vincoli di bilancio di cui all’art. 81 della Costituzione, che ne guidano le risoluzioni ermeneutiche, con la Corte di Cassazione, che vede limitati i suoi poteri nel dettare gli indirizzi nomofilattici, anche attraverso una demolizione, per effetto di norme interpretative con efficacia retroattiva, che ne segnano il declino della posizione di garante istituzionale e costituzionale.

Gennaio 2010, a definizione della causa C-555/07, Kücükdeveci c/ Swedex Gmbh & co.kg, con la quale vengono accolte le conclusioni formulate in data 7 luglio 2009 dell’Avvocato generale francese Yves Bot del quale riportiamo nell’esatto tenore letterale le precise richieste, che sovvertono gli effetti della Sentenza “Mangold”, e sanciscono il cambio di orientamento della Corte di Giustizia in tema di applicazione in orizzontale e tra privati del diritto comunitario in tema di eguaglianza e non discriminazione.

Con la Sentenza del 19 gennaio 2010, la Corte di Giustizia ha accolto le sue conclusioni, ed ha stabilito che, è il Giudice interno che deve disapplicare la normativa nazionale, anche nelle controversie tra singoli28, in caso di norme discriminatorie.

La Corte di Giustizia fissa il principio di diritto della disapplicazione da parte del Giudice interno di qualsiasi normativa nazionale in contrasto con quella di diritto comunitario: “Risulta da queste considerazioni che il Giudice nazionale, investito da una controversia tra privati, non è tenuto, ma ha la facoltà di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, prima di disapplicare una disposizione nazionale che ritenga contraria a tale principio. Il carattere facoltativo di tale dizione è indipendente dalle modalità che si impongono al Giudice nazionale, nel

28 L’oggetto della causa era costituito dalla doglianza di un lavoratore nei confronti del datore ai fini del riconoscimento del periodo dell’attività lavorativa subordinata maturato prima del compimento del 25° anno di età, ai fini del calcolo dei termini di preavviso di licenziamento. L’art. 622 del codice civile tedesco lo vietava, e la Corte di Giustizia lo ha dichiarato in contrasto con l’art. 6 nr. 1 della direttiva 2000/CE/78, che impone divieti di discriminazione per religione o convinzione personale, handicap, età e tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli stati membri il diritto della parità di trattamento.

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diritto interno, per poter disapplicare una disposizione nazionale che ritenga contraria alla Costituzione. In considerazione di tutto quel che precede, la seconda questione va risolta dichiarando che è compito del Giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall’esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall’art. 267, secondo comma, TUE, di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione di tale principio”.

E’ lo strumento della disapplicazione o non applicazione del diritto interno, con il quale la Corte di Giustizia demolisce espressamente il giudizio di costituzionalità interno di norma nazionale in contrasto con il diritto comunitario che mette in crisi il ruolo delle Corti Costituzionali nel nuovo sistema delle fonti29.

Già prima che entrasse in vigore il Trattato di Lisbona la Corte di Giustizia aveva formulato le sue decisioni ed affermato la regola del giudizio sulla applicazione diretta ed orizzontale anche nelle controversie tra privati del diritto comunitario e del principio di eguaglianza e di non discriminazione: con la Sentenza sezione I, 7/9/2996, in causa C-81/05 relativa alla direttiva sociale 80/CE/87, afferente l’insolvenza del datore di lavoro, la Corte di Giustizia aveva imposto al Giudice nazionale di disapplicare “qualsiasi disposizione nazionale discriminatoria, senza dover chiedere o attendere la rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti del gruppo sfavorito lo stesso regime che viene riservato agli altri lavoratori … tale obbligo incombe ad esso indipendentemente dall’esistenza, nel

29 A. PERRINO, Sul ruolo della Corte di Giustizia come Corte dei Principi, in I principi di diritto comunitario e le piroette del legislatore italiano.

diritto interno, di disposizioni che gli attribuiscono la competenza al riguardo”30.

Ora in questo nuovo quadro di gerarchia delle fonti, e di rivalutazione del ruolo del Giudice di merito, quale Giudice comunitario, non è senza effetto aver recepito come principi vincolanti quello di uguaglianza (art. 20) e di non discriminazione (art. 21) come dettati dalla Carta di Nizza, che come abbiamo visto la Corte di Giustizia aveva già unificato in un unico principio di diritto comunitario, e dovrebbe determinare una maggiore consapevolezza nel Giudice nazionale di essere prima di tutto Giudice Nazionale interno, chiamato a disapplicare automaticamente quelle norme che fossero in contrasto con il diritto comunitario.

La fattispecie che paradigmaticamente riassume e permette di illustrare le conseguenze che avranno sul diritto interno le nuove norme del Trattato di Lisbona, ora in vigore, è sempre quella dei contratti a termine e dei diritti sociali in materia di lavoro, nella quale non mancano i contrasti31.

Infatti come prima è già emerso, in questa materia il legislatore italiano con il decreto legislativo nr. 368/2001 ha eluso le tutele già esistenti, senza inserirne delle altre preventive, ed è intervenuto in maniera peggiorativa (con effetto opposto a quello voluto dalla direttiva di cui ha tradito lo spirito).

Successivamente la Corte di Cassazione con la Sentenza 12985/2008 ha evitato che si precarizzassero per legge tutti i rapporti

30 Corte di Giustizia, sezione 7°, ordinanza 16/1/2008 nelle cause riunite « Molinari e a. » da C-128/2007 a C-131/2007. La Corte utilizza lo strumento dell’ordinanza ex art. 104, nr. 3 primo comma, e regolamento, ritenendo il principio interpretativo ormai consolidato nella giurisprudenza comunitaria, anche in termini di potere di disapplicazione del Giudice interno rispetto ad una normativa nazionale contrastante con il principio di parità di trattamento in termini di applicazione del diritto comunitario, nella specie tra uomini e donne. 31 Qualche mese prima la stessa grande sezione, nella sentenza Magold attinente una finta controversia tra privati l’orientamento si era rivelato diverso.

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di lavoro a termine ed ha interpretato le nuove norme in modo conforme al quadro comunitario, con le stesse tecniche e le stesse regole della legge 230/62, che ha tra l’altro ritenuto applicabile per i rapporti insorti precedentemente alla nuova normativa.

Le ordinanze di pregiudizialità comunitaria dei Tribunali di Trani, Rossano, Venezia, provano come il Giudice interno ha ben compreso il margine dei suoi poteri, ed il loro rafforzamento per effetto di giurisprudenza della Corte di Giustizia, con il principio comunitario di uguaglianza e non discriminazione, che consente la diretta disapplicazione o non applicazione delle norme interne in contrasto con il diritto comunitario, senza alcuna distinzione tra primario e derivato, e spostando all’interno dell’ordinamento la relativa verifica di legittimità comunitaria e senza necessità di ulteriori interventi interpretativi esterni al giudizio (Corte Costituzionale, Cedu, Corte di Giustizia, quando si è già espressa) e risolvere così il conflitto tra regole sovranazionali e nazionali.

7. Il banco di prova del Giudice

Comunitario interno: i benefici contributivi dei lavoratori esposti ad amianto, nei siti oggetto di atto di indirizzo

Le prestazioni pensionistiche

costituiscono una parte della retribuzione, che rende applicabile direttamente l’art. 141 del Trattato CE, e dunque dell’obbligo all’uguaglianza ed il divieto di qualsiasi discriminazione.

Il legislatore comunitario è altresì intervenuto in questa materia con la Direttiva 19.12.1978 n. 79/7/CE che espressamente riteneva le prestazioni pensionistiche come retributive, ed ha vietato qualsiasi diversità di trattamento che non trovasse giustificazioni in obiettivi diversi presupposti della fattispecie.

La Corte di Giustizia con decisione del 29.11.2001, nella causa C-366/99, e successivamente con decisione del

13.12.2001, nella causa C-206/2000, ed in ultimo con decisione del 13.11.2008, nella causa C-46/2007, ribadisce anche in materia di accesso e di determinazione degli importi della prestazione pensionistica il principio di uguaglianza e di non discriminazione.

Qualsiasi diversa regolamentazione in tema di requisiti di accesso o di determinazione degli importi della prestazione pensionistica privi di giustificazione su presupposti e condizioni diverse sono ripudiate come contrarie al diritto comunitario, quello proprio della direttiva, ma soprattutto quello dei trattati.

Il Legislatore Comunitario recepisce una nozione onnicomprensiva di retribuzione, che comprende anche le prestazioni pensionistiche.

Con la Sentenza del 13.11.2008, la Corte di Giustizia, nel definire la causa C-46/2007, ha condannato la Repubblica Italiana per violazione dell’art. 141 TCE, in quanto le norme del Pubblico Impiego stabilivano una diversa età pensionabile di uomini e donne, rispettivamente di sessantacinque e sessanta anni, e soprattutto perché la pensione INPDAP, tenendo conto della media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni e dei contributi corrispondentemente versati, deve essere qualificata come retribuzione.

L’eguaglianza nelle prestazioni pensionistiche per identiche situazioni, presuppone identità delle medesime, e nelle modalità di accesso, sul presupposto che le medesime sono a pieno titolo delle prestazioni retributive: la stessa Corte di Giustizia era già intervenuta con la Sentenza del 29.11.2001 che, nel definire la causa C-366/99, sanciva il principio di uguaglianza e di non discriminazione, in applicazione della direttiva 19.12.1978, n. 79/7/CEE e dell’articolo 141 TCE: veniva formalmente sancito l’obbligo del rispetto del principio di uguaglianza e di non discriminazione in ordine al diritto alla maturazione ed alla entità della prestazione pensionistica, per effetto di maggiorazioni dell’anzianità contributiva.

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Nello stabilire l’entità delle retribuzioni (nozione di cui all’art. 141 TCE), l’eguaglianza sostanziale impone di corrispondere indennità dirette a compensare svantaggi professionali per i dipendenti pubblici femminili.

Il caso che costituisce il banco di prova di questa nuova consapevolezza del ruolo che deve svolgere il Giudice comunitario interno, ora consapevole del suo (nuovo) ruolo è quello dei benefici contributivi per esposizione qualificata a polveri di amianto per i lavoratori dei siti oggetto di atto di indirizzo ministeriale.

La materia è regolata per effetto della Direttiva 477/83/CEE32, cui ne sono seguite delle altre, fino alla numero 14833 del 30.11.2009.

La Repubblica Italiana era già largamente inadempiente, in quanto dopo aver riconosciuto l’asbestosi come malattia professionale con la legge 455 del 12 aprile 194334, ed affermato solennemente il diritto alla salute come interesse anche della collettività oltre a diritto inalienabile della persona umana (art. 32 Costituzione) ed avere subordinato l’iniziativa economica pubblica e privata al rispetto dei principi di utilità sociale, e comunque in modo da non recare pregiudizio alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41, II comma, Costituzione), non aveva assunto alcuna misura di protezione per i lavoratori esposti (nonostante l’obbligo prevenzionistico di carattere generale e contrattuale a carico del datore di lavoro - art. 2087 c.c. - che si sommava a quello dello Stato).

32 Avente ad oggetto : “sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l’esposizione all’amianto durante il lavoro” (II direttiva particolare ai sensi dell’art. 8 della direttiva 80/1107/CEE). 33 Direttiva 2009/148/CE del Parlamento e del Consiglio del 30.11.2009 « sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro ». 34 Legge 455 del 12/4/1943, con la quale veniva finalmente stabilita la “Estensione dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali alla silicosi ed all’asbestosi”.

Le forti ragioni economiche e la pressione di un certo ceto industriale avevano impedito il tempestivo e puntuale recepimento della direttiva, che aveva portato alla procedura di infrazione 240/89, che fu definita dalla Corte di Giustizia il 13.12.1990 con una condanna a carico della Repubblica Italiana.

La decisione della Corte di Giustizia costrinse il Legislatore interno a recepire la direttiva, ed a stabilire limiti di soglia (decreto legislativo 277/91), fino ad interdire l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione del pericoloso minerale, con la legge 257/92, che dettava anche dei risarcimenti contribuitivi con l’articolo 13, rispettivamente al comma 7, per i lavoratori malati, ed al comma 8 per i lavoratori esposti per oltre dieci anni.

L’indennizzo retributivo permetteva di maturare anticipatamente la prestazione pensionistica per un periodo pari al 50% di quello di esposizione ultradecennale.

La natura giuridica della prestazione pensionistica deve essere considerata un risarcimento per l’inadempimento degli obblighi costituzionali e comunitari da parte dello Stato nei confronti dei lavoratori, essendo noto al Legislatore Italiano quanto meno dal 1943 il rischio morbigeno per l’esposizione all’amianto e per l’inefficacia degli strumenti di tutela, con il rischio sempre latente di poter contrarre a distanza di quaranta anni patologie alcune delle quali incurabili e tali da determinare la morte nel volgere di pochi mesi.

La fattispecie subiva già una divaricazione già di dubbia legittimità costituzionale e comunitaria con l’art. 18 comma 8 legge 179/2002, che portava i lavoratori esposti all’amianto nei siti oggetto di atto di indirizzo a vedere riconosciuti automaticamente il beneficio, mentre ben più difficoltosa si rivelava la possibilità di ottenere il riconoscimento del diritto per tutti gli altri lavoratori, ugualmente esposti (che dovevano pure dimostrare l’esposizione qualificata pari a 100 fibre litro, secondo la disposizione normativa di cui agli artt. 24 e 31 del decreto legislativo 277/91 che da obbligo

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per il datore di lavoro era stato trasformato in onere probatorio per il lavoratore)35.

Successivamente, il Legislatore interveniva ancora (con l’articolo 47 legge 326/200336) per restringere la natura e l’entità dell’indennizzo, limitato ad una rivalutazione economica, con il coefficiente ridotto della metà (1,25%) e con il termine di decadenza, che sarebbe stato dettato da un successivo D.M. (che sarà poi emanato il 27.10.2004).

Il legislatore è intervenuto ancora in questa materia, con l’art. 1, commi 20 21 e 22 della legge 247/2007, ed ha esteso per tutti i lavoratori dei siti oggetto di atto di indirizzo questo riconoscimento di benefici contributivi, utili ad anticipare il pensionamento ed ha esteso il periodo di riconoscimento, prolungato fino all’inizio delle bonifiche e/o al 2.10.2003, utile nuovamente per anticipare il pensionamento, e ne ha dunque escluso solamente quei lavoratori che fossero già in pensione alla data di approvazione della nuova legge.

Con DM Ministro del Lavoro e Ministro delle Finanze del 12.3.2008, veniva alla luce il regolamento ministeriale che doveva essere finalizzato a dettare le norme di attuazione della nuova legge.

Oltre i limiti della delega, ed in palese violazione della legge, il Ministro del Lavoro restringeva l’ambito di operatività, con l’art. 1 lettera B il quale circoscriveva il nuovo diritto “limitatamente ai reparti od aree produttive per i quali i medesimi atti riconoscano l’esposizione protratta fino al 1992”, e successivamente l’Inail centrale con l’atto del 19.05.2008 nr. 60002 interveniva ancora per limitare l’ambito di applicabilità della nuova legge a soli 15 degli oltre 500 siti oggetto di atto di indirizzo ministeriale.

I singoli lavoratori ed alcune associazioni impugnavano le disposizioni

35 Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 4913 del 2001 e ex multis. 36 Con il successivo Decreto Minsteriale il termine di decadenza è stato fissato il 15.06.2005, con le sole eccezioni contemplate dall’art. 47, comma 6-bis, Legge 326/03 ed art. 3, comma 132, Legge 350/03.

regolamentari innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio il cui ricorso, iscritto al nr. 08005/2008, veniva accolto con la sentenza 5750/2009 che dichiarava l’illeggittimità delle restrizioni (peraltro in contrasto con l’art. 141 TCE, con gli artt. 20 e 21 della Carta di Nizza, e con le norme della Direttiva 477/83/CEE, ora 148/2009/CE).

La Sentenza del Tar del Lazio non ha trovato applicazione ed è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio e dai Ministri e dallo stesso Inail innanzi il Consiglio di Stato.

Mentre è in corso il relativo giudizio di secondo grado, anche in questo caso, lo Stato Potere Legislativo corre in soccorso dello Stato Potere Esecutivo ora soccombente, per dettare le nuove regole (allo Stato) per l’esercizio della giurisdizione, con una nuova norma, c.d. interpretativa, che tale non è, poiché espropria, con effetto retroattivo dei diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori, ed è destinata ad influire sul giudizio di secondo grado, e soprattutto a perpetuare un’inammissibile discriminazione, non solo contraria all’art. 3 e agli art. 32 e 38 della Costituzione, per ciò stesso contrarie alle norme di diritto comunitario che sopra abbiamo richiamato.

Con Legge 26.02.2010 n. 26, dal titolo “Conversione in Legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative” sul supplemento ordinario n°39 alla Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 Febbraio 2010, nel cui art. 6 comma 9 bis, testualmente:

9-bis. “E' consentita, fino al 30 giugno 2010, la presentazione del curriculum professionale di cui all'articolo 2, comma 4, lettera c), del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 marzo 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 12 maggio 2008. A tali fini, l'articolo 1, comma 20, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, si interpreta nel senso che gli atti di indirizzo ministeriale ivi richiamati si intendono quelli attestanti l'esposizione all’amianto protratta fino al 1992, limitatamente alle mansioni e ai

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reparti ed aree produttive specificamente indicati negli atti medesimi”.

L’intervento legislativo è dunque in palese evidente contrasto anche con l’art. 6 Cedu (oltre che esserlo con la norma di quell’art. 141 TCE e gli articoli 20 e 21 della Carta di Nizza), ora a pieno titolo diritto comunitario, per effetto dell’art. 6, comma 2, Trattato di Lisbona, e soprattutto come integrato con gli artt. 47 e 48 della Carta di Nizza, anch’essa ora vincolante, ai sensi dell’art. 6, comma 1, Trattato di Lisbona.

E’ proprio il nuovo sistema delle fonti di diritto comunitario a ripudiare questa soluzione che si traduce nella lesione ingiusta ed ingiustificata di diritti retributivi, già acquisiti, con discriminazione per la maggior parte dei lavoratori, in favore di pochi privilegiati.

Infatti la stessa disposizione legislativa reca una proroga del termine per il deposito dei curricula fino al 30.6.2010, ma sempre per i soliti pochi lavoratori dei siti oggetto di atto di indirizzo del Ministro, per i quali egli stesso ha riconosciuto e certificato l’esposizione fino al 1992, mentre per tutti gli altri lavoratori, anche quelli dei siti oggetto di altri atti di indirizzo, per i quali il Ministro aveva certificato sì la contaminazione da amianto, ma per un periodo antecedente (come se questi siti fossero stati subito bonificati, già prima che fosse approvata la Legge n°257/92 che tuttavia è entrata in vigore nel 1993, e non conteneva alcun obbligo di bonifica37).

L’altro profilo ancora più discriminatorio per tutti gli altri lavoratori, ivi compresi quelli dei siti oggetto di atto di indirizzo, per i quali il riconoscimento c’è stato ma per un periodo antecedente al 1992, è quello costituito dalla decadenza di cui all’art. 47, Legge n°326/03 e DM Ministro del Lavoro 27.10.2004 (peraltro già con delle eccezioni, dettate in favore di coloro che avessero già inoltrato la

37 Queste posizioni sono tra l’altro smentite dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che con la sentenza del 12.12.1990 condannava la Repubblica Italiana per l’assenza di qualsivoglia misura di tutela dei lavoratori esposti all’amianto.

domanda, o acquisito il diritto a pensione, pur con benefici contributivi o il diritto tout court per effetto delle disposizioni legislative di cui all’art. 47 comma 6 bis legge 326/2003 e art. 3 comma 132 legge 350/2003).

Per pochi lavoratori, quelli per i quali il Ministro ha riconosciuto e certificato l’esposizione fino al 1992, non c’è decadenza, anzi, c’è una proroga, fino al 30.06.2010.

Una distinzione questa che non ha ragione di essere, in quanto non c’è alcun presupposto di fatto e di diritto, per distinguere fattispecie del tutto eguali, che tra l’altro si perfezionano con l’esposizione ultradecennale, e non certo in forza del periodo certificato dal Ministro del Lavoro, tanto più che, come abbiamo già rilevato, la Legge 257/92 non imponeva la bonifica dell’amianto e ne interdiceva la sola manipolazione a partire dal 1993, rendendo del tutto inverosimile che le esposizioni in quei siti così contaminati fossero cessate prima del 1992.

Il Legislatore italiano ha esercitato i suoi poteri in contrasto con le norme di diritto comunitario e soprattutto con i principi di uguaglianza e di non discriminazione.

Allora, questa fattispecie, costituisce il banco di prova per il nuovo Giudice comunitario interno chiamato in applicazione del diritto comunitario, e dei principi fondamentali di uguaglianza e di non discriminazione, a disapplicare la nuova legge (quella di cui all’art. 6, comma 9-bis, n°25 del 26.02.2010) così come vuole e dispone il principio di diritto solennemente affermato dalla Corte di Giustizia, con la Sentenza della Grande Camera del 19.1.2010, che sopra abbiamo richiamato.

Un ulteriore banco di prova è costituito da altri contenziosi seriali contro lo Stato, quale quello della determinazione della retribuzione pensionabile dei lavoratori agricoli a tempo determinato di cui all’art. 3, Legge 457/72.

C’è stata infatti l’approvazione di una nuova norma con l’art. 2, comma 5, legge n°191/09 (Finanziaria 2010), il cui intento

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era quello di “risolvere i dubbi interpretativi sorti sulla questione, confermando le modalità applicative finora seguite in materia dall’INPS38”, che invece cela ben diversi motivi quello di rimediare ad un nuovo orientamento della Suprema Corte di Cassazione, che aveva modificato quello precedente, ormai consolidato39, che teneva conto per la quantificazione della prestazione della retribuzione media annuale.

Infatti, la Corte di Cassazione Sezione lavoro, con le Sentenze n°2531, 2596 e 4355 del 2009 aveva modificato il suo precedente orientamento, sul parametro di calcolo di cui all’apposito D.M. previsto dal D.P.R. n°488/68, art. 28, con riferimento all’anno precedente, la liquidazione della pensione.

Con ordinanza del 09.12.2009, n°25742, la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione nel prendere atto del contrasto di giurisprudenza ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, ed è in questo contesto che si colloca l’entrata in vigore dell’art. 2, comma 5, Legge Finanziaria n°191/09.

Una norma interpretativa40 con effetto retroattivo guarda caso approvata proprio per risolvere il contrasto di giurisprudenza in favore dell’interpretazione dell’ente pubblico, in senso restrittivo e sfavorevole ai lavoratori pensionati, chiamata a paralizzare i poteri nomofilattici della Suprema Corte di Cassazione.

38 Relazione illustrativa, in atti parlamentari del Senato della Repubblica, n. 1790, n. 6. 39 Cassazione, Sezione lavoro, n. 3212 e n. 2377 del 2007. 40 «Intesa ad evitare che, a causa di recenti sentenze della Corte di Cassazione, si determini maggiore spese pensionistica di rilevante entità (valutata dall’INPS sulla base dei dati amministrativi in circa 3 mld. di euro nel primo anno, tenendo conto della spesa per arretrati e interessi legali, e circa 270 ml. negli esercizi successivi), non considerata nei tendenziali a normativa vigente» (Relazione tecnica, in atti parlamentari del Senato della Repubblica, n. 1790, 108).

8. Conclusioni

Oggi che è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, si può prescindere da quelli che saranno gli orientamenti della Corte di Cassazione e le decisioni della Corte Costituzionale, a condizione che il Giudice di merito assuma la consapevolezza di essere il primo Giudice comunitario, che può sollevare questioni di pregiudizialità comunitaria, per contrasto con l’art. 141 del Trattato CE, o con altre norme di diritto comunitario, e dell’art. 6 CEDU e/o 47 Carta di Nizza, e del principio di eguaglianza e non discriminazione, affidando alla Corte di Giustizia la rilevazione del contrasto della norma interna con il diritto comunitario, ed obbligando il Giudice nazionale ad adeguarsi ed a decidere in senso conforme all’interpretazione comunitaria; ma soprattutto potrà disapplicare la norma interna ed applicare direttamente le norme di diritto comunitario.

In questo caso il Giudice interno riacquisterebbe quell’autorevolezza che ha visto svilire per l’effetto del venir meno della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e l’affievolimento della Corte Costituzionale rispetto alla funzione sua propria di estremo garante della efficacia e della effettività dei precetti della Costituzione, in tema di diritti fondamentali della persona umana, di cui quelli sociali costituiscono un aspetto non secondario.

Ma soprattutto per tutelare e realizzare il riconoscimento e la tutela dei diritti della persona umana così come consacrati nella nostra Carta Costituzionale e che sono trasfusi nella stessa Carta di Nizza, per arrestare quel declino ineludibile del Diritto costituito dagli interventi dello Stato legislatore che oltre ad essere inadempiente per omessa o tardiva o parziale attuazione degli obblighi comunitari, interviene ora, in favore dello Stato amministrazione, quando i processi sono ancora in corso, per dettare le regole allo Stato nell’esercizio della giurisdizione, per annullare quel bilanciamento dei poteri e quella garanzia del giusto ed equo

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Anno IV n. 2, maggio 2010 Diritto dei Lavori

[email protected] www.csddl.it

processo, con un Giudice ed un giudizio imparziale, che è alla base della nostra democrazia e della nostra millenaria civiltà.

Il diritto comunitario ci offre dunque tutta una gamma di opzioni, anche processuali nella tutela dei diritti, tra i quali in materia di lavoro anche la possibilità di tutela collettiva (labour class action) di cui all’art. 28 della Carta di Nizza, ma soprattutto è la nostra cultura millenaria, e le nostre radici etico-giuridiche41, culturali e morali, che ci permetteranno l’auspicato riscatto contro l’imbarbarimento dello scontro cui rischia di avviarsi la nostra società.

41 Papa Benedetto XVI, in uno dei temi qui trattati e cioè quello della precarizzazione del rapporto di lavoro ha affermato che è una “delle emergenze etiche e sociali” “ in grado di minare la stabilità delle società e di compromettere seriamente il suo futuro.” La “precarietà del lavoro”, denuncia ancora il Pontefice, non permette ai giovani di costruire una famiglia, con la conseguenza che “lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso”. La Chiesa Cattolica, dunque, ribadisce il diritto al “lavoro stabile, sicuro e dignitoso”. Anche il Tribunale di Latina, su questi temi, accogliendo il ricorso di un lavoratore precario nel pubblico impiego, superava la disposizione costituzionale di cui all’art. 97, comma 3, richiamando le norme fondamentali, dall’art. 2, fino agli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione, e riteneva di dover ordinare la reintegra del dipendente, già in corso di causa, ritenendo che ci fosse con il fumus boni iuris anche il periculum in mora, per il pregiudizio che il licenziamento avrebbe arrecato alla persona ed alla famiglia (cfr. Tribunale di Latina, ricorso XXX contro Comune di San Felice Circeo, provvedimento del 19.07.2000, relatore Dott.ssa Brancaccio, Presidente Dott. Raponi, che recepiva le argomentazioni difensive dello scrivente, con successiva sentenza n. 1954/03, che confermava il provvedimento d’urgenza).

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AMIANTO: FRA PATOLOGIA UMANA E PATOLOGIA VEGETALE

Dott. Agr. Francesco Paolicchi

Qualifica : imprenditore agricolo – Vice coordinatore provinciale O.N.A. PISA

E-mail: [email protected]

Cell: 3485425103

INTRODUZIONE

L’ amianto è un vero e proprio flagello; da molti anni causa di innumerevoli patologie

umane che peggiorano e limitano l’ attesa di vita delle persone che ne vengono a contatto:

lavoratori colpevoli solo di aver lavorato a stretto contatto con fibre di amianto senza alcun

D.P.I. (dispositivo di protezione individuale) e totalmente ignari della malignità di questo

minerale; casalinghe ammalate per aver frequentemente lavato gli abiti contaminati del

marito. Lo si può definire un problema di sanità pubblica, perché l’uso di questo minerale è

stato intenso e pervasivo e lo si trovava (e tutt’oggi si trova) in tantissimi componenti

dell’ambiente di vita e di lavoro.

Richiama alla mente quel pensiero formulato da Pietro Capurro nel 1990:

“Se vedi, in una stanza, un uomo che giace graffiato o scorticato, e vicino a lui c’è un

leone che si lecca i baffi, non c’è dubbio su chi sia l’ assassino.” (1)

L’attuale situazione nell’ ambiente agricolo è piuttosto critica tanto che in molte aziende

agricole sono presenti materiali in cemento amianto (conosciuto come “Eternit”)

prevalentemente utilizzati come copertura delle strutture rurali, capannoni, fienili

rimessaggi ecc; esistono poi istallazioni sempre in cemento amianto per recinzioni,

serbatoi, sistemi di irrigazioni (questi ultimi molto spesso abbandonati perché ormai

obsoleti).

Nel maggior numero di casi sono strutture ed infrastrutture che superano

abbondantemente i 20 anni (la legge che ha bandito l’uso dell’amianto è del 1992); che

sono soggette all’azione degli agenti atmosferici e del residuo utilizzo con conseguente

degrado dei materiali; che spesso sono prive di qualsiasi attività di gestione finalizzata al

corretto mantenimento in esercizio: in tal modo esse liberano innumerevoli fibre che

contaminano l’aria, l’acqua ed il suolo agricolo, causando danni agli operatori e alle

colture.

Inoltre, lastre di cemento amianto e rifiuti pericolosi contenenti amianto spesso vengono

abbandonate sui terreni agricoli e addirittura in alcune zone vengono sotterrate

illegalmente, creando i presupposti per un disastro ambientale.

Amianto che cos’ è…

L’ amianto è un minerale esistente in natura appartenente alla classe dei silicati (SiO4),

minerali più diffusi sulla terra, ha una struttura microcristallina (reticolo tridimensionale di

ioni, atomi o molecole visibili solo al microscopio) con un aspetto fibroso.

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AMIANTO

ANFIBOLI SERPENTINO

(Silicati di Ca e Mg) (Silicati di Mg)

Crocidolite (amianto blu) ● Crisotilo (amianto bianco)

Amosite (amianto bruno)

Antofillite

Actinolite

Tremolite

Le fibre dell’amianto sono addensate e molto sottili, dalle piccole dimensioni: in 1 cm

lineare è possibile disporre affiancate circa. 300 000 (trecentomila!) fibre di amianto.

Proprio queste sue caratteristiche fisico-chimiche hanno fatto si che l’amianto abbia

trovato moltissimi impieghi e che sia stato oggetto di un vasto utilizzo, anche miscelato

con cemento, calce, resine, ecc; tuttavia, durante l’estrazione, durante la lavorazione,

durante l’uso e .con il passare del tempo, questo materiale rilascia le proprie fibre: il

venirne a contatto non è indifferente né per l’ essere umano né per il regno dei vegetali.

PATOLOGIA UMANA E PATOLOGIA VEGETALE A CONFRONTO

La patologia umana si pone come obbiettivo principale la sanità dell’ individuo, la patologia

vegetale rivolge la sua attenzione alla popolazione (coltura). Le piante a differenza dell’

uomo non posseggono una memoria immunologica e non c’è alcuna collaborazione nella

definizione dei sintomi; inoltre, mentre il medico si occupa di una sola specie biologica, il

fitopatologo deve interessarsi della salute di centinaia di specie che presentano ampi

margini di individualità.

Nell’apparato respiratorio animale le piccole fibre dell’amianto vengono aggredite dai

globuli bianchi, che, nel loro vano tentativo di eliminarle, liberano in circolo atomi di

ossigeno, definiti radicali liberi dell’ossigeno che sono causa di tumori o di squilibri

dell’organismo, in relazione alle capacità di contrasto del sistema immunitario.

I radicali liberi si formano dalle molecole per rottura di un legame in modo tale che ciascun

atomo o frammento che partecipa al legame ritiene un elettrone: da questa definizione si

evince che un radicale è una specie chimica che possiede uno o più elettroni non

accoppiati e quindi, per sua natura, è instabile (2).

Questa instabilità fa si che i radicali siano specie molto reattive innescando una serie di

reazioni con le molecole adiacenti quali proteine, lipidi, carboidrati e con gli acidi nucleici,

quindi con il DNA e RNA. Il danno arrecato al DNA, portatore delle nostre informazioni

genetiche, ha un ruolo fondamentale nell’invecchiamento cellulare e nelle trasformazioni

neoplastiche delle cellule (3, 4). Uno degli effetti di queste specie reattive a livello del DNA

sono le reazioni di dimerizzazione tra timine adiacenti su uno stesso filamento di DNA

Page 128: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

nucleare e mitocondriale che provocano la rottura del filamento stesso e profonde

mutazioni genetiche responsabili dello sviluppo della neoplasia (5).

Nel mondo vegetale, invece, non avendo le piante un sistema immunitario, i radicali liberi

prodotti dalle cellule offese dalla presenza delle fibre, compromettono la regolare

funzionalità degli organelli e possono ripercuotersi sulla stabilità di tutta la pianta.

L’ Università di Torino ha portato avanti una ricerca analizzando stagni e corsi d’ acqua

che fiancheggiano i siti di lavorazione o estrazione dei minerali contenenti amianto.

All’interno di questi corsi d’ acqua vive la Lemna Gibba, pianta idrofita della famiglia delle

lemnaceae: i ricercatori hanno scoperto che le fibre presenti nell’ acqua riescono ad

incunearsi all’interno delle cellule di questa pianta provocando uno stress ossidativo (detto

anche “danno ossidativo”; per stress ossidativo si intende uno sbilanciamento dell’

equilibrio tra pro-ossidanti e antiossidanti nell’ organismo a favore dei pro-ossidanti con la

formazione di radicali liberi) che si ripercuote sulla struttura intracellulare con una

riduzione dei processi fotosintetici e di conseguenza con una minor produzione di

biomassa.(6)

Le piante non assorbono le fibre di amianto dalle radici, assorbono invece altre sostanze

tossiche o cancerogene come l’ arsenico il piombo, ecc.: il solo amianto che si può trovare

nelle piante è quello che si deposita tramite le polveri aereodisperse.

Le fibre di amianto, non assorbite quindi per via radicale ma bensì entrate fisicamente

all’interno della cellula vegetale provenendo dall’esterno, creano stress ossidativo e

promuovono la formazione delle specie reattive dell’ossigeno, che sono in grado di

uccidere la cellula.

Le specie reattive dell’ ossigeno (ROS) sono:

Perossido di idrogeno (H2O2)

Ossigeno singoletto (1O2)

Radicale Idrossidrile (OH●)

Anione Superossido (O2● -)

Le ROS si formano durante alcune reazioni di riduzione incompleta dell’ O2 (cosiddette

reazioni redox) oppure durante l’ ossidazione dell’ H2O da parte delle catene di trasporto

degli elettroni dei mitocondri e dei cloroplasti.

Queste specie chimiche hanno un elettrone spaiato nell’ orbitale più esterno e quindi

cercano di appropriarsi di un elettrone delle molecole con cui vengono a contatto per

ristabilire il proprio equilibrio: “rubando” un elettrone da una molecola stabile, quest’ultima

diventa a sua volta instabile, si crea cioè un altro radicale libero, e si innesca un processo

che va avanti così con molecole in competizione fra di loro per accaparrarsi elettroni.

Esistono degli agenti antiossidanti che eliminano le ROS, quali ad esempio l’enzima

superossido dismutasi (SOD) che trasforma alcune ROS in perossido di idrogeno che a

sua volta tramite l’enzima catalasi (CAT) e glutanione per ossidasi (GSAPx, selenio

dipendente), viene ridotto in ossigeno e in acqua.

Page 129: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

VIA HALLIWELL- ASADA (sistema di difesa antiossidante)

(Fig 1) Meccanismo per la rimozione del perossido d’ idrogeno.

Il meccanismo con cui operano le ROS si può paragonare al meccanismo con cui opera

l’ozono, che produce (con le dovute proporzioni) danno ambientale similare:

Gli idrocarburi e gli ossidi di azoto (NO, NO2) reagiscono con gli UV della radiazione

luminosa generando l’ O3 ossidante altamente reattivo, che si va a legare alla membrana

plasmatica alterando il processo metabolico.

I danni da O3 sulla pianta sono molteplici, altera il trasporto ionico (riguarda la nutrizione

della pianta che assorbe e trasporta ioni dal suolo, l’ azoto assorbito come NO3- oppure

come NH4+), inibisce l’ attività della pompa H+ (fornisce la forza motrice per meccanismi di

trasporto secondario e per il mantenimento del turgore cellulare; assicura numerosi

fondamentali processi fisiologici, come l’apertura degli stomi, il caricamento del floema e

l’assunzione di ioni a livello della radice), aumenta la permeabilità della membrana

(alterazione degli scambi di sostanze tra cellule e alterazioni tra scambi di sostanza tra

cellule e ambiente esterno); infine produce danno ossidativo delle biomolecole (le

biomolecole sono composti organici che entrano nella costituzione degli esseri viventi) con

formazione di radicali liberi e con le conseguenze descritte precedentemente.

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MORTE

NECROSI

CLOROSI

RIDUZIONE DI BIOMASSA

INIBIZIONE DELLA FOTOSINTESI

LESIONI BIOCHIMICHE

SQUILIBRI OSMOTICI

DANNI A LIVELLO ULTRASTRUTTURALE

INIBIZIONI DI ENZIMI

ALTERAZIONE PROPRIETA’ DELLE MEMBRANE

(Fig 2)“Descrizione dell’escalation degli effetti fitotossici dell’ ozono che possono essere

traslati anche al caso di contatto con fibre di amianto. (7)

CONCLUSIONI

Il mondo che ci circonda è oggi fortemente condizionato da un modello di sviluppo che ha

posto in secondo piano i valori della vita umana e che crea le condizioni per un

progressivo avvelenamento dell’ambiente e, attraverso questo dell’uomo stesso, come è

ben esplicitato dal semplice grafico che segue:

AMBIENTE

ANTROPIZZATO

UOMO FATTORE

PATOGENO

AMBIENTE

Page 131: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

NATURALE

Ed anche qui la mente corre a ciò che dice un vecchio detto indiano: “Quando l’ ultima

fiamma sarà spenta, l’ ultimo fiume avvelenato, l’ ultimo pesce catturato, allora capirete

che non si può mangiare denaro”.

BIBLIOGRAFIA

1. Ugazio G., Patologia ambientale < come prevenirla, Torino, edizione vitalità,

2006.

2. William H. Brown, ORGANIC CHEMISTRY- Second edition, Copyright 1998,

1995 by Saunders College Publishing

.

3. Droge W, Free Radicals in the physiological control of cell function. Physiol

Rev 82:47, 2002.

4. Hensley k, Robinson KA,Gabbita SP, Salsman S, Floyd RA:Reactive oxygen

species, cell signaling, and cell injury. Free Radic Biol Med 28:1456, 2000.

5. Robbins and Cotran, Pathologic Basis of Disease, 7th edition- Unit 1,

Copyright 2005, Elsevier Inc.

6. Favero – Longo, Sinicalco C., Piervittori R., <Amianto l’ uomo non è l’ unico

a soffrire,in Plant Biosystem, Università di Torino, 2 marzo 2013

7. Lorenzini G., Nali C.< Le piante e l’ inquinamento dell’ aria, Pisa, edizione

Springer, 2005.

Page 132: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

CCOOMMIITTAATTOO PPRROOVVIINNCCIIAALLEE OONNAA PPIISSAA

LLaa bboonniiffiiccaa ddeellll’’AAmmiiaannttoo –– TTeeccnniicchhee ddii rriimmoozziioonnee

11.. IInnttrroodduuzziioonnee

11..11 ““IInnccoorrrruuttttiibbiillee ee ppeerrppeettuuoo””

In greco la parola amianto significa immacolato ed incorruttibile e asbesto, che di fatto è equiparato ad

amianto, significa perpetuo ed inestinguibile.

L’amianto chiamato perciò anche indifferentemente asbesto, è un minerale naturale a struttura cristallina e

di aspetto fibroso, appartenente alla classe chimica dei Silicati ed alle serie mineralogiche degli anfiboli

(silicati di calcio e magnesio) e del serpentino (silicati di magnesio). È presente in natura in diverse parti del

globo terrestre e si ottiene facilmente dalla roccia madre dopo macinazione ed arricchimento in miniere

spesso a cielo aperto.

Le fibre di amianto sono molto addensate ed estremamente sottili; la sua struttura fibrosa conferisce

all’amianto sia una notevole resistenza meccanica sia un’alta flessibilità.

L’amianto resiste al fuoco ed al calore, all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione ed all’usura

(termica e meccanica), è facilmente filabile e può essere tessuto. E’ inoltre dotato di proprietà

fonoassorbenti oltreché termoisolanti e si lega facilmente con polimeri (gomma e PVC), calce e gesso.

Perciò l’amianto è un materiale praticamente indistruttibile, non infiammabile e molto resistente agli

attacchi degli acidi e facilmente friabile.

11..22 LLaa pprroobblleemmaattiiccaa ee iill rriisscchhiioo aammiiaannttoo

Le caratteristiche proprie del materiale ed il costo contenuto ne hanno favorito un ampio utilizzo

industriale. Generalmente è stato utilizzato insieme con altri materiali in diverse percentuali, al fine di

sfruttare meglio le sue caratteristiche.

Pertanto per anni è stato considerato un materiale estremamente versatile a basso costo, con estese e

svariate applicazioni industriali, edilizie ed in prodotti di consumo.

Page 133: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

Se, come sopra indicato, la consistenza fibrosa dell’amianto è alla base delle sue ottime proprietà

tecnologiche, essa conferisce al materiale anche purtroppo, delle proprietà di rischio essendo essa stessa

causa di gravi patologie a carico prevalentemente dell’apparato respiratorio.

La pericolosità consiste, infatti nella capacità dei materiali di amianto di rilasciare fibre inalabili ed inoltre

nella estrema suddivisione cui tali fibre possono giungere, (meno di mezzo millimetro di diametro per 2-5

millesimi di millimetro di lunghezza).

22.. NNoorrmmaattiivvaa ddii rriiffeerriimmeennttoo

22..11 LLeeggggee oorrddiinnaarriiaa ddeell PPaarrllaammeennttoo nn°° 225577 ddeell 2277//0033//11999922

NNoorrmmee rreellaattiivvee aallllaa cceessssaazziioonnee ddeellll''iimmppiieeggoo ddeellll''aammiiaannttoo..

Art.1, Comma 2: “Sono vietate l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione

di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto.”

22..22 DDeeccrreettoo MMiinniisstteerriiaallee 66 sseetttteemmbbrree 11999944

NNoorrmmaattiivvee ee mmeettooddoollooggiiee tteeccnniicchhee ddii aapppplliiccaazziioonnee ddeellll''aarrtt.. 66,, ccoommmmaa 33,, ee ddeellll''aarrtt..

1122,, ccoommmmaa 22,, ddeellllaa lleeggggee 2277 mmaarrzzoo 11999922,, nn.. 225577,, rreellaattiivvaa aallllaa cceessssaazziioonnee

ddeellll''iimmppiieeggoo ddeellll''aammiiaannttoo..

Durante la bonifica dell’amianto, devono essere osservate scrupolosamente diverse misure di sicurezza, fra

cui quelle relative al confinamento statico e dinamico degli ambienti, alla pianificazione e alla

programmazione delle attività, nonché le normative metodologiche tecniche per gli interventi di bonifica al

fine di evitare la dispersione di fibre di amianto: tali misure sono indicate nel DM del 6 settembre 1994.1

22..33 TTIITTOOLLOO IIXX DD..llggss 8811//0088 –– SSoossttaannzzee PPeerriiccoolloossee -- PPrrootteezziioonnee

ddaaii rriisscchhii ccoonnnneessssii aallll’’eessppoossiizziioonnee aallll’’aammiiaannttoo..

Art. 246, Comma 1: “Fermo restando quanto previsto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, le norme del

presente decreto si applicano a tutte le rimanenti attività lavorative che possono comportare, per i

lavoratori, un’esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali

contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate.”

1 “IL MINISTRO DELL'INDUSTRIA, DEL COMMERCIO E DELL'ARTIGIANATO […] DECRETA: Le norme relative agli strumenti necessari ai rilevamenti e alle analisi del rivestimento degli edifici, nonché alla pianificazione e alla programmazione delle attività di rimozione e di fissaggio e le procedure da seguire nei diversi processi lavorativi di rimozione previste all'art. 12, comma 2 della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonché le normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l'amianto …”

Page 134: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

Trattandosi di un Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi dei lavoro, in questo decreto si evidenziano tutti gli

obblighi del datore di lavoro connessi alle lavorazioni nei quali è prevista un’esposizione all’amianto quali, ad

esempio, la valutazione dei rischi, i dispositivi di protezione e prevenzioni e il controllo dell’esposizione.

33.. BBoonniiffiiccaa ddeellll’’aammiiaannttoo

33..11 RRiimmoozziioonnee

Consiste nella vera e propria eliminazione dei materiali contenenti amianto.

E' il metodo di bonifica più utilizzato in quanto elimina il problema alla radice. Produce però rifiuti

comportando costi di smaltimento abbastanza elevati. L’elevato inquinamento che causa nell’ambiente di

lavoro, durante la bonifica, richiede personale altamente specializzato e tecnologie adeguate. Se viene

condotto impropriamente può elevare la concentrazione delle fibre aerodisperse, aumentando, invece di

ridurre, il rischio dell’esposizione delle persone. Comporta quasi sempre l’interruzione delle normali attività

che si svolgono nell’edificio.

Partendo dall’ ipotesi presuntiva ed utopistica di eseguire solo interventi di rimozione generalizzati, al fine di

ridurre i pericoli a lungo termine, si determinerebbe nell’immediato un aumento del rischio in relazione al

rilascio di fibre durante operazioni di rimozione.

33..22 IInnccaappssuullaammeennttoo

La tecnica prevede la copertura del materiale che contiene amianto con prodotti penetranti e inglobanti

così da determinare una pellicola protettiva tra l'ambiente e la fibra di amianto.

Page 135: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

Non produce rifiuti e il rischio per i lavoratori addetti è generalmente minore rispetto alla rimozione. Il

principale inconveniente è che il materiale contenente amianto rimane nell’edificio, e ne consegue la

necessità di un programma di controllo e manutenzione costante.

Non sempre offre risultati eccellenti, in tal caso il problema non viene risolto ma semplicemente

posticipato.

33..33 CCoonnffiinnaammeennttoo

Creazione di una barriera che separa il materiale contenente amianto dalla parte abitata dell’edificio o

dall’ambiente esterno.

Il costo è più contenuto rispetto ai precedenti. Non comporta produzione di rifiuti. Il rilascio delle fibre

avviene all’interno del confinamento. Rispetto all’incapsulamento, presenta il vantaggio di realizzare una

barriera resistente agli urti. Occorre un programma di controllo e manutenzione costante, al fine di

mantenere la barriera installata sempre in buone condizioni.

Gli svantaggi sono che non elimina il problema dell’amianto, e non è adatto per manufatti che necessitano di

frequenti manutenzioni.

Page 136: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

33..44 TTaabbeellllee rr

1) RIMOZIONE

2) INCAPSULAMENTO

3) CONFINAMENTO

33..55 AAccccoorrggiimm

Particolarmente rigorosi sono le accortezze

predisporre margini fisici e operativi a fronte dalla possibile fuoriuscita di fibre di

a quelle oggetto di bonifica.

Nell'allegato al D.M. Sanità 6 settembre 1994 "Normative

dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione

dell'impiego dell'amianto" vengono individuati i

sottoporre a bonifica.

Il confinamento è di tipo statico, attraverso la realizzazione di un involucro di polietilene, sia dinamico,

rriiaassssuunnttiivvee vvaannttaaggggii ee ssvvaannttaaggggii ddeellllee

mmeennttii dduurraannttee llee ooppeerraazziioonnii ddii bboonniiffii

accortezze imposte durante le fasi operative della bonifica, al fine

predisporre margini fisici e operativi a fronte dalla possibile fuoriuscita di fibre di asbesto

Nell'allegato al D.M. Sanità 6 settembre 1994 "Normative e metodologie tecniche di applicazione

dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione

dell'impiego dell'amianto" vengono individuati i parametri da seguire per il confinamento degli ambienti da

statico, attraverso la realizzazione di un involucro di polietilene, sia dinamico,

ee tteeccnniicchhee..

iiccaa

i operative della bonifica, al fine di

asbesto delle aree esterne

e metodologie tecniche di applicazione

dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione

da seguire per il confinamento degli ambienti da

statico, attraverso la realizzazione di un involucro di polietilene, sia dinamico,

Page 137: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

realizzando e mantenendo una depressione fra ambiente in bonifica e ambienti non oggetto d’intervento.

Viene, infatti, richiesto che:

1) le aree in bonifica siano rivestite interamente da un doppio strato di teli di polietilene,

opportunamente sigillati mediante nastro adesivo;

2) le stesse siano costantemente mantenute in depressione rispetto agli altri ambienti mediante

estrattori d’aria equipaggiati con opportuni filtri;

3) l’ingresso/uscita degli operatori e l’uscita dei materiali avvenga attraverso un elemento definito

“unità di decontaminazione”, che garantisce il disaccoppiamento fisico fra aree sporche e aree

pulite.

La figura sottostante illustra schematicamente la configurazione tipica di un’area in bonifica.

Inoltre sono previste numerose prove da effettuarsi per verificare la bontà dei sistemi di confinamento

adottati nel succitato allegato al D.M. Sanità.2

Come facilmente intuibile, quando trattasi di rimozione di coperture in cemento-amianto o di materiali

contenenti asbesto in ambiente esterno, la barriera fisica non è sempre realizzabile; dovrà comunque,

essere predisposta un’area di decontaminazione per operatori e materiali.

2 2 - COLLAUDO DEL CANTIERE “Dopo che è stato completato l'allestimento del cantiere, compresa l'installazione dell'unità di decontaminazione e prima dell'inizio di qualsiasi operazione che comporti la manomissione dell'amianto, i sistemi di confinamento devono essere collaudati mediante prove di tenuta. a) Prova della tenuta con fumogeni Ad estrattori spenti l'area di lavoro viene saturata con un fumogeno e si osservano, dall'esterno del cantiere, le eventuali fuoriuscite di fumo. Occorre ispezionare, a seconda delle situazioni le barriere di confinamento, il perimetro esterno dell'edificio, il piano sovrastante. Tutte le falle individuate vanno sigillate dall'interno. b) Collaudo della depressione Si accendono gli estrattori uno alla volta e si osservano i teli di plastica delle barriere di confinamento: questi devono rigonfiarsi leggermente formando un ventre rivolto verso l'interno dell'area di lavoro. La direzione del flusso dell'aria viene verificata utilizzando fialette fumogene. I1 test deve essere effettuato, in particolare, all'esterno del cantiere, in prossimità delle eventuali aperture per l'immissione passiva di aria e nei locali dell'unità di decontaminazione, in condizioni di quiete e durante l'apertura delle porte. Si deve osservare che il fumo venga sempre richiamato verso l'interno dell'area di lavoro. La misura della depressione può essere effettuata con un manometro differenziale munito di due sonde che vengono collocate una all'interno e l'altra all'esterno dell'area di lavoro.”

Page 138: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

SSoommmmaarriioo

1. Introduzione .............................................................................. 1

1.1 “Incorruttibile e perpetuo” ................................................................................................................................ 1

1.2 La problematica e il rischio amianto ................................................................................................................ 1

2. Normativa di riferimento ......................................................... 2

2.1 Legge ordinaria del Parlamento n° 257 del 27/03/1992 .............................................................................. 2

Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto. ................................................................................................ 2

2.2 Decreto Ministeriale 6 settembre 1994 .......................................................................................................... 2

Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27

marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto. ....................................................................... 2

2.3 TITOLO IX D.lgs 81/08 – Sostanze Pericolose - Protezione dai rischi connessi all’esposizione

all’amianto. ............................................................................................................................................................................ 2

3. Bonifica dell’amianto ................................................................ 3

3.1 Rimozione ............................................................................................................................................................... 3

3.2 Incapsulamento ...................................................................................................................................................... 3

3.3 Confinamento ........................................................................................................................................................ 4

3.4 Tabelle riassuntive vantaggi e svantaggi delle tecniche. ............................................................................... 5

3.5 Accorgimenti durante le operazioni di bonifica ............................................................................................. 5

Autore: Francesco Parri (Consigliere Comitato Provinciale ONA Pisa)

Recapito telefonico: 349 4258527 e-mail: [email protected]

Page 139: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

1

La gestione della malattia professionale nel sistema assicurativo pubblico

Dott.ssa Chiara Puglisi, Consulente del Lavoro

Via Livornese 569, 56122, Pisa (PI) - tel 333 4321791 - e-mail: [email protected]

In ambito lavorativo si parla di malattia professionale quando vi è una causa che agisce in modo

progressivo sull’organismo e produce un’infermità esclusiva o prevalente.

In Italia vige un sistema misto per il riconoscimento delle malattie professionali: esiste infatti una

lista rigida che individua malattie “tipiche”, elencate dalla legge, ma che, al contempo, non esclude

di tutelare altre malattie in essa non rientranti. Si distingue, dunque, tra malattie tabellate e non

tabellate e in questa sede interessa rilevare come debba comportarsi il lavoratore che contragga una

malattia dell’una o dell’altra categoria.

Le malattie sono tabellate se indicate nelle apposite tabelle, provocate da lavorazioni specifiche e

denunciate entro un termine massimo di indennizzabilità fissato per ciascuna malattia; in presenza

di tali parametri il lavoratore è esonerato dal dimostrare l’origine professionale della malattia, che si

presume legalmente, dovendo soltanto provare lo svolgimento di lavorazioni contemplate nelle

tabelle e l’esistenza di una malattia correlata espressamente prevista. Al di fuori di questa ipotesi, il

lavoratore può beneficiare della presunzione legale dell’origine professionale anche nel caso di

denuncia tardiva della malattia, dimostrandone la manifestazione entro i termini previsti; la

professionalità dovrà invece essere provata qualora il lavoratore non abbia reso nota la

manifestazione della malattia entro i termini. Infine, nel caso in cui il lavoratore voglia dimostrare

che la malattia contratta, non contenuta in tabella, è di origine professionale, l’onere della prova è a

suo carico.

Una disciplina speciale è prevista per asbestosi e silicosi, due gravi patologie dell’apparato

respiratorio: devono essere contratte nell’esercizio delle lavorazioni indicate nella tabella e non

anche a causa di esse, come per la generalità delle malattie professionali, in quanto trattasi di

malattie tipiche delle lavorazioni stesse; non è richiesto un termine massimo per la denuncia ai fini

indennitari; al lavoratore spetta una particolare prestazione, che si aggiunge a quelle generali, detta

rendita di passaggio, con l’obiettivo di favorire il suo allontanamento dal rischio ed evitare così

l’aggravamento della malattia; la rendita per danno biologico può essere corrisposta per tutta la vita,

non essendo prevista una scadenza come per le altre malattie. Un altro importante elemento consiste

nella considerazione di concause determinanti danni all’apparato respiratorio e cardiocircolatorio,

non direttamente provocati da silicosi o asbestosi, ai fini della valutazione del danno.

Page 140: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

2

Un problema di una certa rilevanza riguarda la manifestazione della malattia professionale; può

infatti non essere facile e immediato stabilire il momento in cui essa ha determinato l’invalidità,

data la lentezza della causa. Il legislatore ha quindi stabilito che la malattia si considera manifestata

da quando un elemento renda il lavoratore certo di averla contratta, secondo il criterio della normale

conoscibilità.

Una volta che la malattia professionale si sia manifestata, il lavoratore ha 15 giorni di tempo per

denunciare il fatto al datore di lavoro, pena la decadenza del diritto all’indennizzo per il periodo

antecedente la denuncia; quest’ultima dovrà contenere le generalità del lavoratore e del datore di

lavoro, i dati retributivi, l’indicazione della malattia e delle lavorazioni correlate, il periodo di

impiego a tali lavorazioni, le misure di sicurezza adoperate, la data di segnalazione della malattia al

datore e quella di compilazione della denuncia, la firma del datore di lavoro. Spetterà al datore di

lavoro trasmettere la denuncia all’INAIL, con allegazione del certificato medico, nei 5 giorni

successivi alla ricezione dello stesso. Il certificato medico è elemento necessario che permette

all’INAIL di avviare il procedimento per l’erogazione delle prestazioni e deve essere redatto in tre

copie, una per il lavoratore, una per l’INAIL e una per il datore di lavoro.

Anche per quanto riguarda la denuncia, asbestosi e silicosi si discostano dalla tradizionale

procedura prevista per le altre malattie professionali: nel caso in cui il medico riscontri la presenza

di una delle due malattie nel lavoratore, deve trasmettere al datore di lavoro, entro 10 giorni, la

scheda personale del lavoratore, l’attestazione dell’idoneità fisica alle lavorazioni a rischio1 e le

radiografie; a quel punto il datore dovrà inviare una copia dell’attestazione all’Ispettorato del

Lavoro e consegnarne un’altra al lavoratore insieme ad una copia della scheda personale. Tali

documenti dovranno essere conservati in originale dal datore per almeno 7 anni.

Il lavoratore affetto da una malattia professionale ha diritto a prestazioni di tipo sanitario,

consistenti in tutte le cure necessarie al recupero dell’integrità fisica e della capacità lavorativa, e di

tipo economico, volte a “rimediare” il danno invalidante causato dalla patologia. Il diritto a tali

prestazioni si prescrive in tre anni dalla manifestazione della malattia.

Solitamente il lavoratore contrae una malattia professionale a causa della violazione o

dell’inosservanza delle norme di prevenzione e sicurezza sul luogo di lavoro da parte del datore;

egli, infatti, ha l’obbligo di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la

particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la

1 Art. 157 del D.P.R. n. 1124/1965, Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni

sul lavoro e le malattie professionali.

Page 141: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

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personalità morale del lavoratore”2. Da qui si richiama il ruolo centrale che la figura del datore di

lavoro dovrebbe assumere nell’attuale sistema della prevenzione, come innovato dal D.Lgs. n.

81/2008: si tratta di un modello organizzativo articolato della prevenzione che richiede la

partecipazione di più soggetti e l’adozione di procedure imposte dalla legge a cui il datore si deve

attenere, pena la sanzione. Il datore di lavoro che non rispetta questo sistema può incorrere in una

responsabilità penale per fatto costituente reato perseguibile d’ufficio, nella cui categoria rientra la

malattia professionale (posta la dimostrazione che essa derivi dall’omissione di norme di sicurezza);

a questo punto l’assicurazione obbligatoria per infortuni e malattie professionali, gestita

dall’INAIL, non servirà più ad esonerare dalla responsabilità civile il datore di lavoro, il quale

dovrà direttamente farsi carico dell’obbligo di risarcire i danni subiti dal lavoratore.

Nel caso in cui sia accertata la responsabilità del datore di lavoro, il lavoratore ha diritto al

risarcimento del danno per la parte non coperta dall’assicurazione; se invece il danno deriva dalla

responsabilità di un terzo estraneo al rapporto di lavoro, il lavoratore viene risarcito integralmente.

Le prestazioni economiche e sanitarie previste per l’indennizzo del lavoratore che ha riportato una

malattia professionale sono erogate dall’INAIL. Qualora la causa della malattia venga attribuita al

comportamento del datore o del terzo, l’Istituto può ottenere il rimborso delle prestazioni

esercitando l’azione di regresso nel primo caso e l’azione di surroga nel secondo. Lo scopo di tali

azioni non è solo il recupero delle prestazioni, ma anche la tutela del lavoratore; specialmente il

regresso è mirato a sanzionare il datore di lavoro che non si è preoccupato di osservare le regole di

sicurezza.

Riferimenti bibliografici

S. Toriello, INAIL tra assicurazione e prevenzione, Seac, 2011.

G. Santoro Passarelli, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Ipsoa, 2006.

2 Art. 2087 del c.c.

Page 142: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

COSA SI SA SULL’AMIANTO E COSA SI DOVREBBE FARE

L’amianto (o asbesto), minerale di origine naturale, costituito da microfibrille, ha prerogative chimico-fisiche che l’hanno reso utile ed utiizzabile gia’ dai tempi antichi. Dati storici ci parlano del suo uso nel Medio Evo e nei tempi moderni, ingigantito a seguito della rivoluzione industriale. Nel 1901, Ludwig Hatschek brevetta il cemento-amianto, chiamandolo eternit, che diventa subito popolare, nel 1911 la produzione di lastre e tegole raggiunge i massimi livelli. Nel 1915 vengono prodotte le fioriere in eternit. Nel 1928 inizia la produzione di tubi in fibrocemento, che fino agli anni settanta-ottanta sono stati la base della costruzione di acquedotti. Nel 1933 fanno la loro comparsa le lastre ondulate, in seguito usate spesso per tetti e capannoni. Negli anni '40 e ‘50 l'eternit trova impiego in parecchi oggetti di uso quotidiano, tra cui la sedia da spiaggia di Willy Guhl, dal 1963 l'eternit può essere prodotto in varie colorazioni. Poiche’ le fibrille sono patogene, la loro dispersione nei giacimenti durante le attivita’ minerarie, nelle successive lavorazioni produttive, poi nell’impiego dei manufatti, infine nello smaltimento di essi al termine della vita d’uso, provoca serie alterazioni della salute. Questa scoperta risale all’inizio del XX secolo, ma da subito si e’ verificato un tiro-alla-fune tra i produttori del minerale ed i primi testimoni della patologia: i sanitari. Le vittime, sia i lavoratori, sia la gente comune, sono stati gli ultimi ad essere informati. Infine, nei primi anni ’90, l’uso dell’amianto e’ stato bandito in diversi paesi, ciononostante molti altri continuano ad estrarlo ed a commerciarlo. Soprattutto l’ambiente di molti paesi, industrializzati o in via di sviluppo, ospita tuttora manufatti in disuso o fabbriche dismesse, con grave rischio per la salute della gente. La letteratura scientifica biomedica ci insegna che le fibrille di amianto possono entrare nell’organismo sia attraverso le vie respiratorie sia attraverso il tubo gastroenterico, e che esse sono patogene sia se inalate, sia se ingerite, col potus o con i cibi, sia quando vengono in contatto con tessuti di rivestimento, epidermico e/o mucoso. Una volta entrate in circolo, esse possono raggiungere tutti i tessuti e gli organi, dove si localizzano, producendo diversi tipi di patologie. La piu’ frequente e’ una minuscola infiammazione cronica: il corpuscolo dell’asbesto. Poi le fibrille localizzate nei tessuti, trasformate in derivati epossidici, esprimono il loro potenziale cancerogeno alterando la molecola del DNA del nucleo delle cellule. Tutti i tessuti, nessuno escluso, sono proni a questa azione patogena. Sia il tessuto polmonare, sia le membrane sierose (pleura, peritoneo, pericardio, tonaca vaginale del testicolo), sono i bersagli piu’ comuni dell’azione cancerogena, ma non si sottraggono a questo tipo di effetto lesivo, p.e. la prostata, la tiroide, l’ovaio, il tubo gastroenterico, il tessuto nervoso - coi relativi tumori maligni - e i tessuti emolinfopoietici – con leucemie, linfomi et similia. Talora, la cancerogenesi si avvale del contributo sinergico di metalli pesanti, quali cromo, mercurio, arsenico, zinco Le fibrille d’amianto, inalate od ingerite, possono entrare nell’organismo in modo subentrante, reiteratamente, giorno dopo giorno, esplicando un effetto di sommatoria che porta all’accumulo nei diversi tessuti. Da questo fenomeno discende la fallacita’ di valori limite di esposizione. L’effetto cancerogeno ultimativo dipende anche dall’equilibrio tra l’azione patogena suddetta e il potenziale delle difese anticancro messe in campo dall’organismo. Anche sotto questo aspetto, sono validi i principi tossicologici generali del sinergismo e del potenziamento. Poi, analogamente a quanto avviene per altri agenti, la cancerogenesi da amianto si

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attua e si completa in un discreto lasso di tempo, prima di manifestare chiari sintomi clinici, poi la malignita’ del processo tumorale porta rapidamente il paziente all’exitus. Nel passato, il tempo di latenza dei tumori maligni asbesto-correlati era stimato in molti anni, dell’ordine di decenni, di recente la scienza biomedica ha testimoniato latenze di 4-5 anni, e un caso eccezionale di due anni. A questo punto e’ necessario evocare ed attuare il principio della precauzione verso i rischi dell’inquinamento ambientale, considerato anche dalla giurisprudenza della UE, il quale implica la prevenzione primaria, equivalente alla condizione di “rischio zero” per i cancerogeni, tra cui l’amianto. La prevenzione secondaria, che interviene dopo il superamento dell’orizzonte clinico - con sintomatologia gia’ manifesta – e’ meno efficace, talora tardiva. Le prevenzioni terziaria e quaternaria sono interventi del giorno dopo, essendo basate sui dati epidemiologici ed anatomopatologici, cioe’ dopo la conta dei decessi. Questa esigenza di rispetto dell’ambiente e della salute umana, sulla quale si basa la sostenibilita’ dello sviluppo, interessa tutti i tre momenti dell’avventura tecnologico-sociale dell’amianto: prima, durante, e dopo. Il nostro paese potrebbe essere protetto dalla ratio e dal dictum delle disposizioni legislative che hanno bandito l’estrazione e la commercializzazione del minerale, infatti la tappa del “prima” dovrebbe essere azzerata: miniere e fabbriche nazionali dovrebbero essere ormai dismesse. Per coerenza, converrebbe non realizzare lavori infrastrutturali che comportassero il dislocamento di rocce amiantifere, non per produrre manufatti contenenti il minerale nocivo, proibito, ma per formare nuove vie di transito. Nel contempo, si impone di prendere in considerazione, e di provvedere al riguardo, il rischio legato all’esistente che configura le tappe del “durante” e del “dopo”. Pare che nel nostro paese ci siano ancora in giro circa due miiardi di m2 di lastre di cemento-amianto, delle quali molte sono deteriorate: queste sono un rischio concreto per la diffusione di fibrille, quelle tuttora integre sono un rischio potenziale. Pero’, tutte meritano di essere inertizzate secondo le tecnologie messe a punto e brevettate che oggigiorno sono disponibili. In questo modo, attraverso un radicale trattamento termico adeguato in apposite attrezzature, il cui costo unitario equivale a quello di un inceneritore – alias termovalorizzatore - di RSU, le fibrille verrebbero trasformate in materiale inerte dal punto di vista della salute e riutilizzabile come materia prima-seconda in molti impieghi produttivi. L’alternativa di “bonificare” l’amianto rimuovendolo, impacchettandolo, e conferendolo alle discariche dedicate, e’ solo un costoso ma rischioso palliativo, capace solo di tenere in piedi un colossale giro d’affari, e di alimentare un’enorme bugia. E relativamente poco vale la sostituzione delle lastre di eternit con altrettanta superficie di pannelli fotovoltaici, infatti, fintanto che le fibrille esistono tal quali, altrove, il rischio amianto correlato sussiste – le fibrille, dalla discarica, possono prendere la via dell’aria ed essere inalate, oppure dell’acqua di falda, ed essere ingerite o assorbite attraverso gli epiteli dei tessuti di rivestimento - risulta solo spostato di sede, in parole povere, e’ come se una donna di casa scopasse la polvere sotto al tappeto, celandola, invece di toglierla di mezzo con l’aspirapolvere.

Giancarlo Ugazio gia’ professore ordinario di Patologia Generale

presso la Scuola Medica dell’Universita’ di Torino e socio onorario del Comitato di Difesa della Salute

nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Sesto San Giovanni (MI) 335.5938275; 011.7640356

e-mail: [email protected] o [email protected] sito web: www.grippa.org

Page 144: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

DOCCIA CON ACQUA ALL’ASBESTO

2 mg ASBESTO

Acquedotti con tubature di Eternit (1950-1980) 1983 a Winnipeg (Canada) concentrazione 12 x 106 ff / 1,364 litri USEPA: Intervento quando > 7 x 106 ff / / 1,364 litri di fibre con lunghezza > 10 µm (non conteggiate le ff con lunghezza< 10 µm)

BULBO OCULARE

2 mg NASO e FARINGE

4 mg VAGINA

OVAIO R.E.Gordon 1,5 x 106 ff / g p.u.

1 mg SOTTOMENTO

DOCCIA ALL’ASBESTO [24 ore ] ASBESTO ---- 1 / 5 - 1 / 12

Y.Omura

Page 145: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

COMPRESENZA E SINERGISMO DI METALLI PESANTI CON L’ASBESTO

NEL GLIOBLASTOMA MULTIFORME DEL CERVELLO

Agenti patogeni

Sedi anatomiche

Cavità nasale

Tessuto cerebrale normale

Glioblastoma multiforme

Nucleo del Glioblastoma

multiforme

Asbesto 2 mg 0.1 mg

0.2 mg 2 x

2.0 mg 20 x

Cromo 1.0 pg 5.0 ng 5.000 pg

30 µg 30.000.000 pg

Arsenico 1.0 pg

25 pg 4 ng 4.000 pg

Zinco 5.0 µg

0.06 mg 60 µg

1.2 mg 1.200 µg

Selenio 0.5 ng

0.25 ng 0,5 x

1.5 ng 3 x

10−3 milli m millesimo 0,001

10−6 micro µ milionesimo 0,000 001

10−9 nano n miliardesimo 0,000 000 001

10−12 pico p bilionesimo 0,000 000 000 001

(1) (2)

(3)

(4)

Page 146: Atti Convegno Pisa 18.07.2013

(1) Cavità nasale Asbesto: 2.0 mg

(2) Tessuto cerebrale normale Asbesto: 0.1 mg Cromo: 1.0 pg Arsenico: 1 pg Zinco: 5.0 µg Selenio: 0.5 ng

(3) La maggior parte del Glioblastoma multiforme Asbesto: 0.2 mg Cromo: 5.0 ng Arsenico: 25 pg Zinco: 0.06 mg Selenio: 0.25 ng

(4) Piccolo nucleo centrale del Glioblastoma multiforme Asbesto: 2.0 mg Cromo: 30 µg Arsenico: 4 ng Zinco: 1.2 mg Selenio: 1.5 ng

Yoshiaki OMURA – ASBESTO E TUMORI MALIGNI Acupuncture & Electro-Therapeutics Res., Int. J. 31, 61-125, 2006 Asbestos as a possible major cause of malignant lung tumors (including small cell carcinoma, adenocarcinoma and mesothelioma), brain tumors (i.e. astrocytoma and glioblastoma multiforme), many other malignant tumors, intractable pain including fibromyalgia, and some cardio-vascular pathology: safe and effective methods of reducing asbestos from normal and pathological areas. L’asbesto come la maggiore causa possibile dei tumori polmonari maligni (compresi il carcinoma a piccole cellule, l’adenocarcinoma e il mesotelioma), di tumori cerebrali (cioè l’astrocitoma e il glioblastoma multiforme), di molti altri tumori maligni, del dolore intrattabile, compresa la fibromialgia, e di alcune patologie cardio-vascolari: metodi sicuri ed efficaci per ridurre il contenuto dell’asbesto dai tessuti normali e patologici. HELLER D.S., GORDON R.E., KATZ N. Am J Obstet Gynecol. 18, 346-347,1999. Correlation of asbestos fiber burdens in fallopian tubes and ovarian tissue. Correlazione tra il conteggio delle fibre d’asbesto nelle tube di Falloppio e quello del tessuto ovarico.

Da “ASBESTO, IERI-OGGI-DOMANI” di Giancarlo Ugazio N.B. Le frasi scritte con caratteri rossi riferiscono informazioni e concetti acquisiti grazie alla partecipazione dell’autore al 27° Simposio dell’I.C.A.E.T. alla Columbia University di New York (21-24 ottobre 2011)

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OSSERVATORIO NAZIONALE SULL’AMIANTO – ONA Onlus

Via Crescenzio, 2 00193 – Roma tel. 06 68890174 sito web www.osservatorioamianto.com E-mail: [email protected]

OSSERVATORIO NAZIONALE SULL’AMIANTO – ONA Onlus

Via Crescenzio, n. 2, 00193 - Roma

tel. 06 68890174 E-mail: [email protected]

L' Osservatorio Nazionale sull’Amianto - ONA Onlus è nato nell’agosto 2008 al fine di raccogliere la sofferenza, il disagio e le difficoltà dei lavoratori esposti e vittime dell’amianto e di altri agenti patogeni, e dei loro familiari, troppo spesso lasciati soli ad affrontare le conseguenze di quello che non potrà mai essere definito, per sua natura, un “problema privato”.

L’iniziativa, promossa dalla Libera Università Telematica Arti e Scienze Moderne, ha progressivamente aggregato intorno a sé lavoratori esposti all’amianto, familiari delle vittime, professionisti, tra i quali medici, ingegneri, avvocati, ricercatori, e semplici cittadini: persone che hanno a cuore i principi fondamentali di tutela della vita, della sua dignità, sul presupposto che solo l’integrità psicofisica e la salubrità dell’ambiente rendono fruibili tutti gli altri diritti e possono salvaguardare la stessa esistenza del genere umano.

Oggi l’Osservatorio annovera alcune migliaia di soci sostenitori, che prestano il loro contributo di idee e di lavoro, a titolo volontario e gratuito, senza fini di lucro anche indiretto; molti di loro sono personalità rappresentative delle istituzioni a tutti i livelli (sindaci, consiglieri comunali, provinciali e regionali, deputati e senatori) espressione di tutte le formazioni politiche presenti nella società italiana, in armonia con il carattere apartitico e scevro da ideologie dell’Associazione.

E’ presente in tutte le Regioni italiane attraverso i propri Comitati, che sono in grado di assicurare la più ampia partecipazione democratica e di perseguire le finalità dell’Osservatorio in modo diretto ed immediato, dando risposte specifiche alle modalità particolari con cui gli obiettivi di tutela della salute, dell’ambiente e dei diritti si manifestano e si concretizzano nel rispettivo ambito di operatività.

Può contare sul supporto di un Comitato Tecnico Scientifico di cui fanno parte insigni professori universitari e affermati professionisti e intrattiene rapporti di collaborazione con agenzie ed istituzioni di tutto il mondo.

Gli scopi, i contenuti e la struttura dell’Associazione sono ispirati a principi di solidarietà, trasparenza e democrazia. L’Associazione si propone di:

• promuovere e tutelare la salute in ogni ambito di esplicazione della vita umana, attraverso la prevenzione primaria, che si sostanzia della completa rimozione di tutti i

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cancerogeni dagli ambienti di vita e di lavoro, e attraverso la prevenzione secondaria, cioè la diagnosi precoce;

• rappresentare, tutelare, assistere moralmente e materialmente i lavoratori ed i cittadini esposti ad amianto, ad altri patogeni e ad altri rischi professionali;

• tutelare i diritti costituzionalmente garantiti a ogni persona, con particolare riferimento alle lavoratrici e ai lavoratori, e alle persone che, loro malgrado, sono escluse, emarginate e discriminate a causa di ragioni fisiche, psichiche, economiche, sociali e familiari.

L’amianto e gli altri agenti patogeni, che per la loro dissennata utilizzazione e per la loro pervasività sono fonte di perenni lesioni all’ambiente e alla salute, hanno determinato il filo conduttore di tutte le attività dell’associazione che concretamente agisce:

• a fianco delle Istituzioni locali e nazionali nella costruzione di un contesto normativo in cui il bando dell’amianto e degli altri agenti tossici patogeni sia dotato di effettività;

• a fianco della Magistratura, nella sua azione di individuazione e di repressione dei reati contro la salute e contro l’ambiente, e nella sua azione di ristoro dei danni causati ai singoli e alle comunità;

• a fianco delle strutture mediche, con l’obiettivo di potenziare gli interventi di prevenzione primaria, di prevenzione secondaria, di conoscenza e di informazione sugli effetti degli agenti tossici patogeni;

• a fianco ed insieme alle altre Associazioni che perseguono valori e principi coincidenti con i propri, con le quali intende agire in sinergia per la tutela dell’ambiente, della salute, dei diritti dei cittadini e dei lavoratori, perseguendo insieme tutte le possibili iniziative di sviluppo.

L’Associazione ha come simbolo, quale evoluzione dell'originario logo costituito dalla cosmologia etrusca, il guerriero etrusco, tratto da un bassorilievo rinvenuto nelle rovine di Vetulonia, che porta uno scudo decorato con un glifo che raffigura il "fiore della vita". Il significato del fiore della vita, ricorrente nella geometria sacra, si identifica con la ruota del sole, con la salute, con il benessere e con la sacralità della vita; ogni molecola della vita corrisponde a questo schema: quindi il guerriero è la metafora della difesa della vita, e della sua sacralità, dal male che viene provocato dall'amianto e dagli altri patogeni.

Di questo simbolo è stato estrapolato, per l’uso corrente, lo scudo, che si qualifica quindi come sintesi dell’essenza di ogni individuo, della lotta del bene contro il male, della verità contro la menzogna, della giustizia contro l’ingiustizia.

Questo profondo significato etico, che si sostanza nella lotta alla religione del profitto in favore della religione dell’uomo, è stata apprezzato anche dal Santo Padre Benedetto XVI, che il 27 Aprile 2011, in occasione della Giornata mondiale delle vittime dell’amianto, ha esortato l’Osservatorio Nazionale sull’Amianto a proseguire la sua “importante attività a difesa dell’ambiente e della salute pubblica”.

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PIS

AP

ISA

PIS

AP

ISA

PIS

A

ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE

TRA SCIENZA E DIRITTOAMIANTO

CONFERITO A:

_______________________________________

Evento accreditato presso Ordine degli Avvocati di Pisa (4CF)

ORE 15,00 - 19,00

IL Segretario Nazionale ONADott. Michele Rucco

IL Presidente Nazionale ONAAvv. Ezio Bonanni

18 LUGLIO 2013PISASCUOLA SUPERIORE DI STUDI UNIVERSITARIE DI PERFEZIONAMENTO SANT’ANNA DI PISA

AULA MAGNA

ONA ONLUSEVENTO ORGANIZZATO DA:

COMUNE DI PISA