Attacchi alle applicazioni basati su buffer overflow

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Università Degli Università Degli Studi Di Catania Studi Di Catania Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea di 2° Livello in Ingegneria Informatica Corso di Sicurezza nei Sistemi Informativi Giacomo Antonino Fazio

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Slides about attacks based on buffer overflows and defence techniques (IN ITALIAN)

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Università Degli Studi Di CataniaUniversità Degli Studi Di Catania

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea di 2° Livello in

Ingegneria Informatica

Corso di Sicurezza nei Sistemi Informativi

Giacomo Antonino Fazio

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Cos’è il Buffer Overflow

Il buffer overflow (spesso abbreviato in BOF) è una delle tecniche più avanzate di hacking del software. Spesso si sente parlare di “exploit”, ossia metodi ad hoc che utilizzano le vulnerabilità scoperte in questo o in quel software e che permettono all’utilizzatore di acquisire privilegi che non gli spettano (ad esempio i tanto agognati privilegi di root) o di portare al “denial of service” del computer attaccato. Molti di questi exploit utilizzano per i loro scopi buffer overflow. Il buffer overflow consiste nel fornire ad un programma più dati di quanti lo spazio di memoria ad essi assegnato ne possa contenere, facendo in modo che una parte di questi dati vada scritta in zone di memoria dove ci sono, o dovrebbero esserci, altri dati (da ciò il nome, che letteralmente significa “Trabocco dell’area di memoria”).

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Cos’è il Buffer Overflow

Ad esempio, un programma definisce due variabili: una stringa A di 8 byte e un intero B di 2 byte. A è inizializzata con soli caratteri ‘0’ (ognuno dei quali occupa 1 byte, dunque sono 8 caratteri). B contiene il numero 3.

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Cos’è il Buffer Overflow Adesso supponiamo che sia previsto un inserimento della stringa A da parte dell’utente, ma che non si effettui un controllo sulla lunghezza dell’input inserito. Proviamo ad inserire una stringa più lunga di 8 caratteri, ad esempio inseriamo “excessive”, che occuperà 9 caratteri più il carattere di fine stringa.

La porzione di memoria successiva, che era occupata da B, verrà irrimediabilmente sovrascritta.

Se si prova a leggere l’intero che ci dovrebbe essere in B, un sistema big-endian che utilizza l’ASCII, leggerà ‘e’ seguita dallo ‘0’ come 25856. Se invece proviamo a scrivere una stringa ancora più lunga, essa invadere anche l’area di memoria che si trova dopo di B. Risultato: segmentation fault!!!

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Cos’è il Buffer Overflow

Un programma è esposto a Buffer Overflow e alle conseguenze che esso può causare se:

prevede l'input di dati di lunghezza variabile e non nota a priori; li immagazzina entro buffer allocati nel suo spazio di memoria dati vicino ad altre strutture dati vitali per il programma stesso; il programmatore non ha implementato alcun mezzo di controllo della correttezza dell'input inserito.

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Tipi di Buffer Overflow

Esistono diversi modi per portare avanti un BOF. Tra i più importanti: Arithmetic overflow: si ha quando il risultato prodotto da un calcolo è più grande delle spazio che dovrebbe contenerlo. Buffer Overflow basati sulla memoria: vengono distinti in base all’area di memoria che vanno a interessare. Quelli più diffusi sono i buffer overflow “di heap” e “di stack”.

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Arithmetic Overflow Avviamo la calcolatrice di Windows scegliendo la modalità scientifica dal menu, scriviamo ‘-1’ e premiamo su ‘Hex’. Vedremo così il valore esadecimale di -1, che è ‘FFFFFFFFFFFFFFFF’. Adesso premiamo ‘Dec’. Ci aspetteremmo di rivedere il nostro ‘-1’, ma invece otteniamo il valore ‘18446744073709551615’ e ciò è dovuto al fatto che la calcolatrice ha cambiato il valore da “signed” a “unsigned”.

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Struttura della memoria di un processo

Quando eseguiamo un programma, esso verrà caricato in memoria in maniera ben strutturata creando diverse zone:

.TEXT, che contiene il codice del programma in esecuzione ed è di sola lettura, infatti se si tentasse di scriverci sopra si incorrerebbe in un errore di Segmentation Fault; zona dati, che contiene le variabili globali, sia inizializzate (contenute in una regione detta .DATA) che non inizializzate (contenute in una regione detta .BSS); HEAP, generalmente posto dopo la zona dati, in cui vengono memorizzate le variabili allocate dinamicamente; STACK, che contiene le variabili locali, gli argomenti delle funzioni, le informazioni di stato del chiamante (ad esempio il contenuto di alcuni registri della CPU), l’indirizzo di ritorno necessario per poter ritornare dalla funzione corrente e altre informazioni.

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Struttura della memoria di un processo

Come si può vedere dalla figura, lo heap e lo stack crescono in maniera diversa: il primo cresce verso l’alto, il secondo verso il basso. Lo stack è organizzato a pila, nel senso che l’ultimo dato inserito è il primo ad essere letto (LIFO, Last In First Out); In Assembly esistono dei comandi (push e pop) che permettono rispettivamente di inserire e di prelevare valori in cima allo stack. Man mano che i dati vengono scritti nello stack, esso cresce verso il basso, quindi va da indirizzi di memoria alti ad indirizzi di memoria bassi.

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E il processore?Anche il processore è interessato dall’esecuzione del programma, in particolare lo sono alcuni suoi registri, strettamente legati alla situazione della memoria durante l’esecuzione:

EBP, che è il puntatore alla base dello stack e, nel caso stiamo eseguendo una funzione, punta alla base della porzione di stack utilizzata da essa; ESP, tramite il quale possiamo scorrere tutto lo stack per inserire o prelevare dati da un punto ben preciso di esso; EIP, che punta alla prossima istruzione che la CPU dovrà eseguire dopo quella corrente.

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Programma esemplificativo

Una parte del programma

disassemblato

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Programma esemplificativo

Le prime tre istruzioni sono tre operazioni di push, che inseriscono i valori 2, 1 e 0 nello stack (in ordine inverso). Successivamente si ha una CALL, utilizzata per chiamare la funzione example, infatti si salta all’indirizzo 00401234. Da notare che, ogni qualvolta bisogna fare una CALL, il processore salva il valore attuale di EIP nello stack e poi lo modifica per effettuare un salto incondizionato alla funzione, in modo da poterlo ripristinare al termine di essa, per poter riprendere l’esecuzione dall’istruzione successiva alla chiamata. All’interno della funzione, per prima cosa EBP viene salvato sullo stack, in EBP viene memorizzato il valore di ESP (cioè l’inizio dello stack per la funzione) e poi viene sottratto a ESP lo spazio necessario per le variabili con una operazione di SUB. Le istruzioni successive riguardano l’allocazione e l’assegnazione delle variabili i e buffer, inserite nello stack seguendo come sempre la modalità LIFO. Alla fine, mediante l’istruzione LEAVE, i registri EBP e ESP riacquisiscono i valori che avevano prima di chiamare la CALL e, mediante l’istruzione RET, si ritorna alla funzione principale utilizzando l’indirizzo di ritorno presente nello stack.

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Buffer Overflow di Stack

Questo tipo di BOF è quello in assoluto più diffuso e interessa lo stack. È necessario: Fare in modo che il codice sia nell’address space del programma. Si distinguono due casi:

Inserirlo manualmente (Code injection): il programma chiede in input una stringa, che verrà inserita dall’attaccante in modo da contenere il codice di attacco, sotto forma di istruzioni per la CPU. Il codice si trova già lì: il codice che ci serve è già presente, bisogna solo parametrizzarlo a dovere.

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Buffer Overflow di Stack Fare in modo che il programma salti al codice di attacco e lo esegua:

Activation Records: si utilizza all’interno di una funzione e consiste nell’effettuare l’overflow di un buffer, con lo scopo di arrivare a sovrascrivere l’EIP con l’indirizzo del codice di attacco. Puntatori a funzioni: si effettua l’overflow di un buffer vicino ad un puntatore, in modo da corrompere quest’ultimo e da farlo puntare alla locazione del codice di attacco. Longjmp buffers: sfrutta un meccanismo presente in C che consente di salvare lo stato di un buffer mediante il comando setjmp(buffer) e di ripristinarlo in seguito mediante il comando longjmp(buffer). Se abbiamo un buffer adiacente di cui è possibile effettuare l’overflow, potremmo corrompere anche lo stato del buffer di checkpoint in modo che, non appena viene chiamato il comando longjmp, si salta alla locazione del codice di attacco.

Spesso l’inserimento del codice di attacco e la sua esecuzione sono effettuati in una volta sola, ma non necessariamente.

Lo shellcode è un pezzo di codice macchina eseguito per sfruttare una vulnerabilità. Deve essere altamente specifico e verificato nei minimi dettagli.

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Esempio 1 di BOF di Stack

Il programma non fa altro che chiamare la funzione example(), la quale alloca la variabile command con valore calc, che rappresenta il comando che vogliamo eseguire (la semplice calcolatrice di Windows). Successivamente viene allocata la variabile name, in cui vogliamo inserire un nome da dare allo script, cosa che viene fatta richiamando la funzione gets(). La restante parte serve per farci capire cosa sta succedendo in memoria, infatti ci mostra un’istantanea dello stack.

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Esempio 1 di BOF di Stack

Se come nome dello script inseriamo “hello”:

Tutto ok

Abbiamo inserito “hello” nella variabile name e poi abbiamo eseguito il contenuto di command, cioè “calc”.

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Esempio 1 di BOF di Stack

Se come nome dello script inseriamo “xxxxxxxxxxxxxxxxcmd ”:

Buffer overflow e shell in locale!!!

Abbiamo scritto al di là della variabile name, sovrascrivendo anche command che adesso contiene “cmd”

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Esempio 2 di BOF di Stack

Il programma prende una stringa in ingresso e la inserisce all’interno della variabile var, utilizzando la funzione strcpy(). La funzione function() non viene mai chiamata dal programma. Il nostro obiettivo sarà quello di causare un buffer overflow, inserendo in ingresso una stringa più lunga dei 10 caratteri a disposizione e di sostituire l’indirizzo di ritorno di main() con quello della funzione function(), in modo che essa venga eseguita. Facendo un po’ di prove, ci accorgiamo che il programma va in segmentation fault non appena inseriamo 14 caratteri. Se diamo in input 14 caratteri e l’indirizzo della funzione function() (che possiamo trovare disassemblando il codice)… il gioco è fatto!

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Esempio 2 di BOF di Stack

Come fare a passargli l’indirizzo? Esso infatti è scritto in caratteri esadecimali e non ASCII. Scriviamo un piccolo exploit, che si occupa di convertire in ASCII e di passare al programma l’indirizzo da noi inserito in esadecimale.

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Buffer Overflow di Heap

Questo tipo di BOF è noto e sfruttato da molto tempo, ma se ne parla sempre meno di quello di stack, soprattutto perché è in genere più difficile da sfruttare rispetto a quest’ultimo. Esistono diverse tecniche per portarlo avanti: Attacchi basati su malloc() e funzioni simili: per ogni variabile allocata dinamicamente, viene allocato uno spazio di lunghezza prestabilita ma se non ci sono controlli, è molto semplice scrivere oltre esso, sovrascrivendo l’area adiacente occupata possibilmente da un’altra variabile. Attacchi basati sulla sovrascrittura di puntatori: si effettua l’overflow di un buffer adiacente ad un puntatore in modo da corrompere quest’ultimo e farlo puntare alla locazione del codice di attacco. Attacchi basati su puntatori a funzioni: si effettua l’overflow di un buffer vicino ad un puntatore a funzione, in modo da corrompere quest’ultimo e farlo puntare alla funzione di attacco.

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Esempio di BOF di Heap

Il programma appartiene all’utente root ma è impostato il bit SUID, che consente a chiunque di eseguirlo con privilegi di root. In particolare, il programma alloca una parte di memoria nello heap e vi copia dentro lo shellcode. Subito dopo l’indirizzo di ritorno del main è sovrascritto dall’indirizzo dello shellcode, in modo che quando il main ritorna, fornisce una shell.

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Alla ricerca di Buffer Overflow

Gli esempi finora visti sono scritti per puro scopo didattico, in quanto non troveremo in giro programmi così, pronti per essere sfruttati per accedere al sistema di turno. Chi attacca generalmente non prova a casaccio, analizza il codice del programma alla ricerca di vulnerabilità da sfruttare, o aspetta che sia qualcun altro a farlo. Quando si sa che la versione x del programma y è affetta da una certa vulnerabilità, allora è il momento di creare l’exploit che permetta di utilizzarla. L’analisi del codice può essere fatta a diversi livelli: lessicale, semantico, basato su tecniche di intelligenza artificiale, a runtime, reverse engineering, ricerca di bug specifici, ecc.

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Blaster: un worm costruito su un BOF

Rilevato l’11 Agosto 2003 sui primi computer, si diffuse a macchia d’olio nel giro di appena 2 giorni Infetta i computer con SO Microsoft Windows XP o 2000 L’obiettivo finale era colpire Microsoft, mediante un attacco DDoS al sito di Windows Update. L’avversione nei confronti di Microsoft è dimostrata anche dalla stringa trovata nel codice del worm: “billy gates why do you make this possible ? Stop making money and fix your software!!” Effetti: danni in tutto il mondo per oltre 3 milioni di dollari Colpevole: un ragazzo di 18 anni del Minnesota (USA)

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Blaster: un worm costruito su un BOF

Blaster si sviluppa su una vulnerabilità descritta da Microsoft stessa nel Microsoft Security Bulletin MS03-026. Si tratta di una falla nell’interfaccia RPC (Remote Procedure Call) di un oggetto DCOM (Distributed Component Object Model). DCOM: tecnologia che abilita componenti software che non si trovano sulla stessa macchina a comunicare direttamente utilizzando una rete; RPC: protocollo usato per la comunicazione e la richiesta di servizi tra le due parti di software, permettendo ad un programma che gira su un certo computer di eseguire codice su un sistema remoto.

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Blaster: un worm costruito su un BOF

Se la richiesta di comunicazione viene posta all’interfaccia RPC in modo errato, ci possono essere problemi perché essa non controlla opportunamente le dimensioni dei messaggi ricevuti in input. Un malintenzionato potrebbe scrivere un exploit che invia all’oggetto DCOM un messaggio non corretto e costruito in modo da causare un buffer overflow, che gli permetterebbe di avere il controllo completo sulla macchina. Per poter fare ciò, il malintenzionato deve utilizzare una tra le porte aperte per RPC, tra cui 135, 139, 445 e 593. Blaster fa proprio questo!!!

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Blaster: un worm costruito su un BOF

Supponiamo di avere un computer infetto. Il tutto si svolge in diverse fasi: Attesa: A deve prima controllare di essere connesso ad Internet, mediante la funzione InternetGetConnectedState(). Se l’esito è positivo, si va alla fase 2 Generazione indirizzi IP: il programma genera gli indirizzi IP dei computer a cui lanciare il contagio. Effettua uno scan di essi alla ricerca di computer vulnerabili, tra cui supponiamo ci sia un ipotetico B. Attacco al RPC: utilizzando la porta TCP 135, A invia pacchetti formulati in modo errato (ma costruiti ad hoc per ottenere l’effetto nefasto) al servizio RPC/DCOM di B che, essendo affetto dalla falla, non effettua controlli sulla lunghezza di essi. Risultato: buffer overflow!!! Controllo del contagio: attraverso la porta 135, A controlla se B è già infetto e in caso affermativo termina; in caso negativo, invece, attiva i socket per comunicare con B. La shell CMD.EXE: A questo punto, A lancia su B la shell tramite il comando cmd.exe, necessaria ad A per far eseguire a B dei comandi. Download del worm: tramite la shell, B richiede ad A l’eseguibile msblast.exe, che scarica nella cartella %systemroot%/system32 (cartella di sistema). Il file appena scaricato viene lanciato. Aggiornamento delle Registry Keys: utilizzando la shell lanciata nella fase 5, A apporta delle modifiche ad alcune Registry Keys di B, in modo che il worm venga eseguito ad ogni avvio del pc. A questo punto A termina il suo compito, B è ormai infetto ed esegue lo stesso ciclo che ha eseguito A, cercando altri computer da infettare.

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Blaster: un worm costruito su un BOF

Il worm è stato progettato affinchè i computer infetti effettuino un attacco DDoS in momenti ben precisi: ogni giorno (nel caso di mesi compresi tra Settembre e Dicembre) e dal 16 del mese in poi per gli altri mesi. I sintomi che permettono di accorgersi della presenza di Blaster sul proprio sistema sono: prestazioni ridotte, continui riavvii, traffico irregolare sulle porte TCP 135 e 4444 e UDP 69. Presenza di tool per l’eliminazione automatica del worm Rilevate ad oggi 4 varianti: Lovesan A, Lovesan B, Lovesan C e Lovesan F.

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Difesa contro i BOF e… nuovi attacchi

Diverse tecniche sono state inventate per cercare di frenare il più possibile i buffer overflow e nuovi attacchi sono stati messi a punto per bypassare esse. Difesa - scelta del linguaggio di programmazione: C e C++ non forniscono la giusta protezione contro l’accesso e la sovrascrittura dei dati in memoria (attraverso i puntatori è possibile praticamente spostarsi e scrivere in memoria pressoché dovunque) e contro la scrittura in un array al di fuori dei suoi confini (è il problema principale che causa il buffer overflow). Altri linguaggi effettuano controlli (es. Java, Python, Ada, Lisp). Difesa - Scrivere codice corretto: utopia! Per quanto si possa controllare il proprio codice, i bug potrebbero risiedere nelle funzioni delle librerie utilizzate. Difesa – Attenzione ai programmi SUID: programmi che vanno in esecuzione con privilegi di root, chiunque sia ad eseguirli. Alcuni di essi sono necessari per effettuare operazioni comuni, altri non lo sono affatto o non vengono mai usati, ma possono rappresentare un problema, dato che possono essere sfruttati da un malintenzionato attraverso un buffer overflow, al termine del quale si troverà con privilegi di root e quindi avrà il controllo della macchina.

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Difesa contro i BOF e… nuovi attacchi

Difesa - uso di librerie “safe”: sostituiscono le funzioni “incriminate” di LibC (es. gets(), scanf(), printf(), ecc.) con versioni “safe” (in teoria) offrendo in alcuni casi una completa nuova implementazione delle stringhe. Es.:

LibsafeThe Better String LibraryArri Buffer APIVstrFunzione strlcpy()

Difesa – Protezione contro lo “stack smashing”: viene scritto nello stack un “canary”, cioè un valore noto sistemato tra un buffer e i dati di controllo. In caso di buffer overflow, il canary viene sovrascritto, dunque al ritorno dalla funzione ci si accorge dell’avvenuta manipolazione dello stack ed è possibile correre ai ripari. 3 tipi di canaries: Terminator, Random e Random XOR canaries. Esempio di programmi che implementano questo tipo di protezione:

ProPolice StackGuard StackGhost

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Difesa contro i BOF e… nuovi attacchi

Difesa – Protezione dello spazio eseguibile: protezione implementata sia a livello hardware che software. L’idea è quella di rendere parte della memoria non scrivibile o non eseguibile, in modo da evitare la maggior parte dei BOF, ad esempio quelli basati sulla “code injection” (se la memoria non è eseguibile, inserisco il codice di attacco ma non posso eseguirlo).

Soluzione hardware: NX bit Soluzione software: DEP (Windows), W^X (OpenBSD), PaX (Linux), Exec Shield (Linux).

Nuovo attacco – Gli attacchi “return-to-libc”: Lo scopo è quello di sovrascrivere l’indirizzo di ritorno di una funzione non con quello della locazione di memoria dove si trova lo shellcode, bensì con quello di una funzione di libC, spesso system(), magari passandogli come argomento qualcosa come /bin/sh (che ci dà una shell in locale). In questo modo non è necessario eseguire codice che si trova nello stack o nello heap, aggirando quindi l’ostacolo rappresentato dalla protezione dello spazio eseguibile.

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Difesa contro i BOF e… nuovi attacchi

Difesa – Address Space Layout Randomization (ASLR): l’idea di base è quella di organizzare alcune parti chiave della memoria di un processo (ad esempio stack, heap, librerie e parti eseguibili) in maniera casuale nell’address space di un processo. Ciò rende difficili alcuni tipi di attacco, in particolare gli activation records e i return-to-libc, a causa della difficoltà di trovare l’indirizzo del codice da eseguire. Implementata anche in PaX e Exec Shield.

Difesa – Deep Packet Inspection (DPI): consente di esaminare i pacchetti che transitano in una rete, confrontandoli con le informazioni a disposizione presenti in un database e riguardanti attacchi conosciuti. Ciò permette di trovare gli eventuali pacchetti che portano le tracce di un buffer overflow o di un altro tipo di attacco e di evitare che passino. Utile ma spesso poco efficace: previene solo gli attacchi conosciuti.

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Difesa contro i BOF e… nuovi attacchi

Difesa – Intrusion Detection Systems (IDS): riconoscono i pacchetti che transitano in rete e che mirano ad effettuare manipolazioni sui sistemi o attacchi contro servizi vulnerabili e applicazioni. Sono composti da diverse parti:

Sensori: osservano gli eventi che avvengono sul sistema; Analizzatori: analizzano gli eventi passati loro dai sensori; Gestore: riceve gli eventi degni di nota dagli analizzatori e prende provvedimenti sia passivi che attivi.

Nuovo attacco – Shellcode alfanumerici, polimorfici, metamorfici e automodificanti: utilizzano tecniche spesso messe in pratica dai worm per non farsi scovare. In particolare:

Shellcode polimorfici: variano continuamente, lasciando immutato l’algoritmo originale. Spesso per ottenere ciò utilizzano la crittografia, lasciando però una parte non criptata che contiene le informazioni per decriptare il resto. Gli IDS mirano a riconoscere proprio questa parte, attraverso una scansione basata su pattern. Shellcode metamorfici: ancora peggio di quelli polimorfici, con l’obiettivo di vanificare le scansioni degli IDS basate su pattern.

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Difesa contro i BOF e… nuovi attacchi

Conclusioni: La soluzione non esiste!!!

Scrivere codice corretto è un’utopia, perché è facile sbagliare o commettere una leggerezza o utilizzare codice di terzi che involontariamente contiene dei bug. È possibile comunque affrontare il problema, sia utilizzando il buon senso, che mediante svariate tecniche che si possono spesso combinare tra loro. Ricordare che se qualcuno lavora per produrre armi che possano competere con le armi del nemico, il nemico non sta con le mani in mano e nello stesso tempo lavora per migliorare le sue.