astronomia Il clima degli esopianeti -...

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www.lescienze.it Le Scienze 69 68 Le Scienze 535 marzo 2013 Cortesia «American Scientist» Il clima degli esopianeti ASTRONOMIA Oggi è possibile caratterizzare le atmosfere di corpi esterni al sistema solare di Kevin Heng A complemento di diverse ricognizio- ni del cielo notturno effettuate dalla Ter- ra, i telescopi spaziali Hubble, Kepler e Spitzer osservano l’universo da una posi- zione esterna all’atmosfera terrestre. Questi strumenti individuano un esopianeta regi- strando la riduzione della luminosità del- la sua stella quando il corpo, la cui orbita ci appare di taglio, passa di fronte a essa. Negli ultimi anni è stato possibile otte- nere anche un risultato davvero notevole, ovvero misurare la diminuzione della lu- minosità che si verifica quando l’esopia- neta passa dietro alla stella, la cosiddetta eclisse secondaria. In altri termini, le tecni- che astronomiche sono progredite al pun- to da individuare un effetto estremamen- te piccolo come quello di una stella che I fotogrammi di una simulazione di un esopianeta di tipo terrestre (sopra) mostrano temperature medie di poco inferiori a 300 kelvin, mentre le simulazioni di un Giove caldo danno temperature comprese tra 1000 e 3000 kelvin. Si ritiene che i Giove caldi rivolgano sempre lo stesso emisfero verso la stella e che l’emisfero diurno (sotto, a sinistra) sia molto più caldo di quello notturno (sotto, a destra). (I colori delle temperature non sono in scala tra le due simulazioni. Entrambe le coppie di immagini mostrano il flusso infrarosso in uscita dall’oggetto.) maschera la luce di un suo pianeta: effet- to che alle lunghezze d’onda dell’infraros- so corrisponde a non più di alcune parti su 1000 e nel visibile è molto più piccolo. Durante un’eclisse secondaria, la luce di un sistema esoplanetario è prodotta so- lo dalla stella, quindi è possibile sfruttare questo dato per sottrarre la luce stellare a quella totale del sistema quando il piane- È una coincidenza davvero frustrante che le straordinarie scoperte astronomiche della nostra epoca, capaci di sconvolgere i paradigmi acquisiti, siano oscura- te dalla peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Destreg- giandosi tra i tagli di bilancio, negli ultimi dieci anni la comunità degli astrono- mi ha scoperto più pianeti esterni al sistema solare, chiamati pianeti extrasolari o semplicemente esopianeti, che in tutti i millenni precedenti. Solo negli ultimi due anni, il telescopio spaziale Kepler ha individuato oltre 2000 possibili esopianeti, alcuni dei quali hanno dimensioni con- frontabili con quelle della Terra e sembrano potenzialmente adatti ad avere acqua allo stato liquido, mostrando con quale facilità la natura sembri formare simili oggetti celesti e suggerendo che le nostre scoperte non siano altro che la punta di un iceberg. Identificare e caratterizzare mondi remoti e alieni non è più un’impresa confinata al campo della fantascienza.

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Il clima degli esopianeti

astronomia

Oggi è possibile caratterizzare le atmosfere di corpi esterni al sistema solare

di Kevin Heng

A complemento di diverse ricognizio-ni del cielo notturno effettuate dalla Ter-ra, i telescopi spaziali Hubble, Kepler e Spitzer osservano l’universo da una posi-zione esterna all’atmosfera terrestre. Questi strumenti individuano un esopianeta regi-strando la riduzione della luminosità del-la sua stella quando il corpo, la cui orbita ci appare di taglio, passa di fronte a essa.

Negli ultimi anni è stato possibile otte-nere anche un risultato davvero notevole, ovvero misurare la diminuzione della lu-minosità che si verifica quando l’esopia-neta passa dietro alla stella, la cosiddetta eclisse secondaria. In altri termini, le tecni-che astronomiche sono progredite al pun-to da individuare un effetto estremamen-te piccolo come quello di una stella che

I fotogrammi di una simulazione di un esopianeta di tipo terrestre (sopra) mostrano temperature medie di poco inferiori a 300 kelvin, mentre le simulazioni di un Giove caldo danno temperature comprese tra 1000 e 3000 kelvin. Si ritiene che i Giove caldi rivolgano sempre lo stesso emisfero verso la stella e che l’emisfero diurno (sotto, a sinistra) sia molto più caldo di quello notturno (sotto, a destra). (I colori delle temperature non sono in scala tra le due simulazioni. Entrambe le coppie di immagini mostrano il flusso infrarosso in uscita dall’oggetto.)

maschera la luce di un suo pianeta: effet-to che alle lunghezze d’onda dell’infraros-so corrisponde a non più di alcune parti su 1000 e nel visibile è molto più piccolo.

Durante un’eclisse secondaria, la luce di un sistema esoplanetario è prodotta so-lo dalla stella, quindi è possibile sfruttare questo dato per sottrarre la luce stellare a quella totale del sistema quando il piane-

È una coincidenza davvero frustrante che le straordinarie scoperte astronomiche

della nostra epoca, capaci di sconvolgere i paradigmi acquisiti, siano oscura-

te dalla peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. Destreg-

giandosi tra i tagli di bilancio, negli ultimi dieci anni la comunità degli astrono-

mi ha scoperto più pianeti esterni al sistema solare, chiamati pianeti extrasolari

o semplicemente esopianeti, che in tutti i millenni precedenti. Solo negli ultimi due anni, il telescopio

spaziale Kepler ha individuato oltre 2000 possibili esopianeti, alcuni dei quali hanno dimensioni con-

frontabili con quelle della Terra e sembrano potenzialmente adatti ad avere acqua allo stato liquido,

mostrando con quale facilità la natura sembri formare simili oggetti celesti e suggerendo che le nostre

scoperte non siano altro che la punta di un iceberg. Identificare e caratterizzare mondi remoti e alieni

non è più un’impresa confinata al campo della fantascienza.

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ta non è eclissato. Tutto quello che rima-ne è solo la luce dell’esopianeta e della sua atmosfera (se ne ha una). Grazie a questa tecnica è stato possibile rilevare per la pri-ma volta la radiazione emessa direttamen-te da un esopianeta, la cui luminosità è ti-picamente massima nell’infrarosso.

La misurazione di transiti ed eclissi a diverse lunghezze d’onda consente di co-struire uno spettro dell’atmosfera esopla-netaria, la cui analisi fornisce la compo-sizione atmosferica con le abbondanze dei vari elementi. (Lo spettro mostra l’in-tervallo di colori dei fotoni emessi dall’e-sopianeta, ma in genere si estende al di fuori della regione del visibile, includen-do lunghezze d’onda sia più corte sia più lunghe.) In alcuni casi si è riusciti a regi-strare le variazioni di luminosità dell’eso-pianeta nel corso della sua orbita, la cosid-detta curva di fase. Mediante una tecnica di inversione ideata da Nick Cowan, del-la Northwestern University, e da Eric Agol, dell’Università di Washington, è possibile convertire la curva di fase in una «map-pa di luminosità» dell’esopianeta, che rap-presenta in funzione della longitudine la luminosità mediata per latitudine. Uno studio recente degli stessi ricercatori ha fornito informazioni bidimensionali sulla luminosità dell’esopianeta HD 189733b in funzione sia della latitudine sia della lon-gitudine. In altri termini, abbiamo iniziato a cartografare gli esopianeti.

Un giorno lungo un annoI primi studi delle atmosfere esoplane-

tarie sono stati effettuati su una classe di oggetti denominati «Giove caldi». La com-binazione del metodo dei transiti con la misurazione della velocità radiale (che è l’oscillazione gravitazionale di una stel-la causata dal pianeta orbitante intorno al comune centro di massa) fornisce rispetti-vamente raggio e massa di un Giove cal-do e rivela che questi corpi sono, per questi aspetti, simili al pianeta Giove. La sorpren-dente differenza è che le orbite dei Giove caldi sono circa 100 volte più vicine alla loro stella rispetto all’orbita di Giove in-torno al Sole, e quindi la loro temperatu-

ra superficiale dovrebbe essere dell’ordine di 1000-3000 kelvin. La scoperta di corpi massicci con una separazione spaziale dal-la loro stella compresa tra un centesimo e un decimo di unità astronomica (la distan-za media della Terra dal Sole) ha sorpre-so la comunità scientifica, perché le teorie astrofisiche non ne prevedevano l’esisten-za né erano in grado di spiegarla.

Le grandi dimensioni rendono facile l’osservazione dei Giove caldi, che quindi rappresentano il laboratorio più ovvio per lo studio delle atmosfere extrasolari. Inol-tre l’ipotesi che il principale componen-te della loro atmosfera sia idrogeno mo-lecolare – coerente con la densità di circa 1 grammo per centimetro cubo di questi corpi, calcolata in base alle osservazioni astronomiche – fa sperare che queste at-mosfere siano primarie, e rispecchino la composizione della nebulosa primordiale da cui hanno avuto origine (in opposizione all’atmosfera terrestre, secondaria e modi-ficata dai processi geologici).

Nel corso del tempo la posizione e la ro-tazione di un esopianeta in orbita stretta tendono a portarsi in uno stato di minima energia: uno stato di rotazione sincrona, tale per cui un emisfero del pianeta è co-stantemente rivolto verso la stella, mentre l’emisfero opposto è avvolto nell’oscurità perpetua. La scala di tempo caratteristica associata a questo processo è tipicamen-te 1000 volte inferiore all’età della stella. (Un esempio familiare è la Luna, che si tro-va in uno stato di rotazione sincrona con la Terra, nonostante le minuscole correzio-ni rotazionali chiamate librazioni.) In al-tri termini, su un Giove caldo la durata del giorno è uguale a quella dell’anno.

L’insolita configurazione con un emi-sfero diurno e un emisfero notturno indi-

I pianeti esterni al sistema solare sono visibili solo come punti luminosi, ma è possibile identificare alcune caratteristiche di questi mondi remoti, come la struttura di base della loro atmosfera.

Una classe molto interessante di esopianeti è quella dei cosiddetti «Giove caldi», simili per dimensioni all’omonimo gigante gassoso del nostro sistema, ma situati molto più vicino alla loro stella.

Si prevede che i Giove caldi rivolgano sempre lo stesso emisfero verso la stella, e che l’emisfero diurno sia molto più caldo dell’altro. L’elevato gradiente di temperatura provoca la formazione di venti la cui

velocità può essere calcolata e misurata. Gli astrofisici devono però affidarsi ancora ai modelli dell’atmosfera e del clima messi a punto per la Terra e tenere conto della scarsità di dati sugli esopianeti.

I n b r e v e

Kevin Heng è Zwicky Prize Fellow all’Istituto di astronomia del Politecnico di Zurigo (ETH) e fa parte dello Star and Planet Formation Group, con il quale partecipa alla missione Exoplanet Characterization Observatory (EChO) proposta all’Agenzia spaziale europea. L’originale di questo articolo è stato pubblicato su «American Scientist» n. 100, luglio-agosto 2012.

I n d I v I d ua r e I v e n t I

Questione di dinamica

Le atmosfere esoplanetarie si individuano misurando come assorbono e riemettono la radiazione della loro stella. Si ritiene che la maggior parte degli esopianeti scoperti abbia un emisfero diurno e uno notturno. Quando un pianeta passa di fronte alla stella, si ha un’eclisse primaria o transito, quando passa dietro si ha un’eclisse secondaria (in alto). Durante un transito, l’ombra del piane-ta provoca una riduzione della radiazione emessa dal sistemi. Quando la luce stellare filtra lungo il bordo dell’atmosfera, l’esopianeta appare più grande alle lunghezze d’onda a cui si hanno i picchi di assorbimento degli atomi e delle molecole in essa contenute (al centro). La luminosità dell’eso-pianeta in funzione della sua fase orbitale (la curva di fase) può essere usata per individuare i venti. L’eclisse secondaria produce una riduzione piccolissima della luce emessa dal sistema che può es-sere sfruttata per costruire una curva di fase che mostri solo la luminosità dell’esopianeta nel corso dell’orbita. In assenza di venti (o in generale di dinamica atmosferica) la curva di fase ha un massi-mo in corrispondenza dell’eclisse secondaria; se invece ci sono venti in grado di ridistribuire il calo-re (e quindi la radiazione infrarossa) nell’atmosfera, il picco della curva si sposta (in basso).

Esopianeta

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In assenza di dinamica atmosferica,la curva di fase ha un massimo in

corrispondenza dell’eclisse secondaria

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rivolto verso la stella

La luce stellare filtralungo il marginedell’atmosferaesoplanetaria

Alle lunghezze d’onda incorrispondenza delle quali l’atmosfera è trasparente alla radiazione stellare,

l’esopianeta appare più piccolo

Alle lunghezze d’onda in corrispondenza delle quali

si ha il massimo assorbimento delle

molecole atmosferiche, l’atmosfera è opaca e l’esopianeta appare

più grande

Emisfero notturno dell’esopianeta rivolto verso lo spazio

Stella

Eclissesecondaria

Presenzadi dinamica

ca che su questo tipo di corpi debba esser-ci un regime di circolazione atmosferica che non ha precedenti nel sistema solare, e spinge i teorici a testare i loro strumenti in un territorio sconosciuto.

Per capire le atmosfere dei Giove caldi è necessario chiarire le complesse intera-zioni tra caratteristiche radiative, dinami-ca e chimica dell’atmosfera e forse anche campi magnetici. Nel caso dei Giove caldi più soggetti a irradiazione, l’esopianeta vi-sto dai poli appare come una sfera dipin-ta per metà di bianco e per l’altra metà di nero; la curva di fase è una funzione sinu-soidale con un massimo in corrispondenza dell’eclisse secondaria e un minimo in cor-rispondenza del transito davanti alla stel-la. Uno spostamento del massimo rispetto al suo punto di riferimento coincidente con l’eclisse secondaria può essere interpretato come dovuto a venti orizzontali nell’atmo-sfera, che trasferiscono calore dall’emisfero diurno a quello notturno.

Questo spostamento angolare è stato misurato per la prima volta su un esopia-neta, il Giove caldo HD 189733b, da Hea-ther Knutson, del California Institute of Tech nology, e collaboratori, che hanno ri-portato uno spostamento del massimo di circa 30 gradi verso est, nel senso della ro-tazione. Un analogo spostamento angola-re è stato poi misurato per due altri Giove caldi, Ups And b (da Ian Crossfield, dell’U-niversità della California e collaboratori) e WASP-12b (da Cowan e collaboratori).

Altri astronomi continuano ad amplia-re le possibilità osservative. Ignas Snellen dell’Università di Leida e colleghi, utiliz-zando il Very Large Telescope (VLT) del-l’ESO, con base a terra, hanno misurato mediante spettroscopia di assorbimento la velocità dei venti orizzontali sul Giove

caldo HD 209458b. Questa tecnica si ba-sa sul confronto fra le grandezze relative di un esopianeta a diverse lunghezze d’on-da: infatti in corrispondenza delle lun-ghezze d’onda alle quali si hanno i picchi di assorbimento degli atomi e delle mole-cole dell’atmosfera, l’esopianeta appare più grande. Monitorando lo spostamento di lunghezza d’onda di una riga di assorbi-mento del monossido di carbonio, il grup-po ha determinato che la velocità dei ven-ti di HD 209458b è di circa 2 chilometri al secondo, ossia circa 100 volte superiore a quella dei venti terrestri. Sono in corso ul-teriori tentativi per misurare le velocità dei venti di questi esopianeti: si tratta di os-servazioni che rappresentano veramente la frontiera dei risultati che l’astronomia può conseguire ai giorni nostri.

Nuovi linguaggiL’importanza di queste scoperte per l’a-

stronomia è più che evidente: esse segna-no la nascita della meteorologia esopla-netaria, o almeno ne legittimano lo studio agli occhi di astronomi e astrofisici.

Oggi gli astronomi dispongono di una serie di strumenti che consentono non solo di misurare massa e grandezza degli eso-pianeti, ma anche di caratterizzare la di-namica e la chimica della loro atmosfera. Oltre a destare entusiasmo nella comunità astronomica, questo nuovo settore di ricer-ca sta iniziando a esercitare un profondo impatto sociologico sulle discipline affi-ni: le scienze dell’atmosfera e del clima, la geofisica e la planetologia. Segna il primo vero punto di confluenza di questi setto-ri con l’astrofisica, riunendo scienziati con differenti filosofie scientifiche e criteri per costruire simulazioni; questo è particolar-mente evidente nelle conferenze interdi-sciplinari, dove tutti noi ci sforziamo di ca-pire il linguaggio degli altri partecipanti. Gli specialisti dell’atmosfera e del clima, come i geofisici, dispongono di un’estre-ma abbondanza di dati, poiché si trovano all’interno del sistema in corso di studio. Ma la ricca messe di informazioni prove-nienti dall’atmosfera terrestre e dalla docu-mentazione geologica fa sì che nessun sin-golo modello sia in grado di spiegare tutti i fenomeni osservati. Si usa invece una ge-rarchia di modelli con diversi gradi di affi-namento, ognuno dei quali si concentra su aspetti chiave della disciplina. La strategia è prima dividere e conquistare, poi unifica-re e dominare.

Le conoscenze ottenute nello studio della Terra e dei pianeti del sistema sola-Co

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re rappresentano una guida irrinunciabile, ma è necessario tenere presenti alcune li-mitazioni. Come regola generale, vi sono due scale di lunghezza caratteristiche che descrivono un’atmosfera: la lunghezza di Rhines è la tipica ampiezza delle corren-ti a getto zonali (dirette in senso est-ovest), mentre la lunghezza di Rossby è la tipica grandezza delle strutture a vortice. Per gli oggetti del sistema solare entrambi i para-metri sono molto inferiori al raggio pla-netario. Per gli esopianeti in orbita stret-ta, le lunghezze di Rhines e Rossby sono confrontabili con il raggio; ciò significa che le strutture atmosferiche hanno un’e-stensione planetaria, previsione che risulta confermata dalle simulazioni tridimensio-nali. Nell’atmosfera degli esopianeti in or-bita stretta il regime di circolazione è quin-di privo di corrispettivi nel sistema solare. Le simulazioni della circolazione atmosfe-rica devono essere globali, non locali, e re-stano ancora da chiarire altre implicazioni

fisiche, quali il rimescolamento dei com-ponenti dell’atmosfera e il suo effetto sul profilo spettrale del pianeta.

Lo studio degli esopianeti si limita ne-cessariamente all’indagine di sorgenti pun-tiformi nel cielo. Sebbene sia possibile otte-nere approfondite informazioni spettrali e temporali su queste sorgenti, l’acquisizio-ne di informazioni spaziali dettagliate re-sta una difficile sfida per le future ricer-che. I planetologi possono beneficiare della possibilità di fotografare la superficie di Marte e le configurazioni atmosferiche di Giove, ma questo privilegio è negato agli astrofisici. È quindi importante rendersi conto che questi ultimi si trovano ad agi-re in un regime povero di dati, che impli-ca una molteplicità di restrizioni nella co-struzione di modelli e nell’interpretazione dei dati. Quando si trovano di fronte a più spiegazioni coerenti con un certo insieme di dati, spesso gli astrofisici applicano il principio del rasoio di Occam: in assenza di

dati maggiori e migliori, l’interpretazione da scegliere è la più semplice. Si potrebbe dire, in termini più o meno scherzosi, che è meglio essere approssimativamente accu-rati che sbagliare con esattezza. La necessi-tà di ricalibrare le nostre filosofie e aspetta-tive scientifiche è il nodo centrale di questa confluenza interdisciplinare.

Studiando l’atmosfera terrestre e quel-le degli altri pianeti del sistema solare, i ri-cercatori hanno compreso che le atmosfe-re sono sistemi complessi, soggetti a cicli di retroazione positivi e negativi, le cui ca-ratteristiche chimiche, dinamiche e radiati-ve si estendono su un ampio intervallo di scale temporali. Isaac Held, del Geophysi-cal Fluid Dynamics Laboratory di Prince-ton, nel New Jersey, ha sostenuto che, per capire realmente questi sistemi complessi, è necessario costruire una gerarchia di mo-delli teorici.

Queste simulazioni vanno da model-li monodimensionali, costruiti con carta

e penna, che si concentrano su un singo-lo fenomeno, fino a modelli tridimensionali della circolazione generale (GCM) – utiliz-zati per la valutazione dell’andamento del clima e per le previsioni meteorologiche – che includono una miscela multiforme di ingredienti per descrivere le complesse in-terazioni tra l’atmosfera, i continenti e gli oceani sulla Terra. Per esempio i GCM risol-vono simultaneamente una serie di equa-zioni (le equazioni di Navier-Stokes), che trattano l’atmosfera come un fluido, insie-me con un’equazione termodinamica e in-cludono diversi fattori importanti come l’o-rografia e le influenze biologiche. Molte di queste complicazioni non si applicano alle indagini teoriche delle atmosfere esoplane-tarie, cosicché uno dei problemi più ardui è capire come e dove semplificare i modelli costruiti per il nostro pianeta.

Più o meno consapevolmente, nella let-teratura astrofisica è emersa una gerarchia di modelli teorici, da monodimensionali a

tridimensionali. Poiché vi sono molte so-miglianze fra la trattazione dei Giove caldi e quella delle nane brune – oggetti substel-lari, di massa troppo piccola per alimen-tare le reazioni di fusione nel proprio nu-cleo – molti dei primi modelli costruiti per questa classe di oggetti (dovuti a ricerca-tori quali Adam Burrows, della Princeton University, e Ivan Hubeny, dell’Università dell’Arizona) sono stati traslati allo studio degli esopianeti. Inoltre i primi modelli si concentravano sullo spettro dei Giove cal-di e le varianti più raffinate si ispiravano a una tecnica ampiamente utilizzata nello studio dell’atmosfera e del clima, che per-mette di ottenere l’abbondanza degli ele-menti e il profilo di temperatura.

Dato lo spettro di un esopianeta, è pos-sibile con questa tecnica ricavare una composizione chimica e un profilo tem-peratura-pressione dell’atmosfera che sia-no coerenti con i dati. Nel caso del Gio-ve caldo WASP-12b, Nikku Madhusudhan Fo

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della Yale University e collaboratori hanno scoperto che il rapporto carbonio/ossigeno dell’esopianeta è almeno doppio rispetto a quello della sua stella. Se questo risultato sarà confermato – e se sarà possibile misu-rare il rapporto carbonio/ossigeno di altri esopianeti – potremo disporre di una pre-ziosa connessione tra le proprietà di un’at-mosfera esoplanetaria e la storia della for-mazione del pianeta.

Presto gli astrofisici si sono resi conto che le caratteristiche osservate di un Gio-ve caldo sono dovute a un intreccio non banale tra la chimica e la dinamica dell’at-mosfera. Adam Showman, planetologo dell’Università dell’Arizona, è stato uno dei primi ricercatori a sfruttare la potenza dei GCM per lo studio dell’atmosfera dei Gio-ve caldi, seguito immediatamente da di-versi altri ricercatori della comunità astro-fisica (me compreso). I miei collaboratori e io abbiamo generalizzato ai Giove caldi un test di riferimento che risolve la climato-logia di base di un (eso)pianeta utilizzan-do due metodi.

Il trasferimento di calore dall’emisfero diurno a quello notturno di un esopiane-ta con rotazione sincrona è – per definizio-ne – un problema almeno bidimensiona-le. Per i giganti gassosi extrasolari, la scala temporale caratteristica alla quale l’atmo-sfera reagisce a queste perturbazioni radia-tive copre molti ordini di grandezza, ren-dendone quindi necessaria la trattazione teorica in tre dimensioni che implica inevi-tabilmente l’uso dei GCM. Attualmente so-no parecchi i gruppi di ricerca che hanno adattato con successo i GCM alla costruzio-ne di modelli delle atmosfere esoplanetarie, ottenendo risultati convincenti. Restano da superare alcuni importanti ostacoli tecnici, ma è chiaro che non è possibile fare a me-no di modelli tridimensionali se si deside-ra prevedere simultaneamente non solo il profilo spettrale, ma anche le curve di fa-se e il comportamento nel tempo degli eso-pianeti. Con i progressi nello stato dell’ar-te in astronomia, gli esopianeti individuati saranno sempre più simili alla Terra, per di-mensioni e temperatura, e questo significa che i GCM assumeranno un ruolo ancora più importante.

Esopianeti di tipo terrestreStiamo appena iniziando a capire le

proprietà fondamentali dei Giove caldi: per esempio perché alcuni appaiono più «rigonfi» di altri o sembrano ridistribui re il calore dall’emisfero diurno a quello not-turno con maggiore efficienza. Nel caso di

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Età della Terra

200-500milionidi anni

30-60milionidi anni

40.000anni

20.000anni

2500anni

100-400anni

27anni

10-20 anni

2,1anni

6mesi

14giorni

3-7giorni

1giorno

12ore

1anno

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Temperature e venti di un Giove caldo

Un modello di circolazione generale (GCM) svi-luppato per la Terra è stato adattato per calco-lare una mappa simulata di temperatura e ve-locità dei venti dell’atmosfera di un Giove caldo (in alto). L’intensità dell’irradiazione da parte della stella è massima nel punto substellare, presso il centro della mappa. Il colore indica la temperatura (in kelvin) e le frecce rappresen-tano la velocità del vento (tipicamente 1 chilo-metro al secondo). La corrispondente mappa in funzione della longitudine della luminosità me-diata per latitudine (in basso) mostra uno spo-stamento angolare del picco rispetto al punto substellare; lo spostamento denota la presen-za di venti che ridistribuiscono il calore dall’e-misfero diurno a quello notturno (questo feno-meno è stato finora individuato nel caso di tre Giove caldi.)

da l l a t e r r a ag l I e s o p I a n e t I

Spettri di potenza

Lo spettro di potenza per la Terra illustra le scale temporali caratteristiche alle quali la superficie varia la propria temperatura. L’ampia gobba a 3-7 giorni è dovuta alla circolazione baroclina, che è responsabile delle condizioni meteorologiche alle medie latitudini. I picchi a 20.000, 40.000 e 100.000 anni corrispondono ai cicli di Milankovic, oscillazioni cicliche dell’orientazione e dell’incli-nazione (obliquità) dell’asse di rotazione e dell’eccentricità orbitale della Terra, necessariamente ri-cavati dalla documentazione geologica. Gli astrofisici sperano di riuscire un giorno a costruire ana-loghi spettri di potenza per gli esopianeti.

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HD 189733b e HD 209458b, le simulazio-ni, effettuate utilizzando i GCM, degli spet-tri e delle curve di fase – le quali determi-nano l’efficienza della ridistribuzione di calore – corrispondono assai bene alle os-servazioni. Fino a quando diverrà opera-tiva la prossima generazione di telescopi spaziali, questi esempi rimarranno il para-digma delle nostre conoscenze sulle atmo-sfere esoplanetarie.

HD 189733b non è rigonfio: ciò signi-fica che il suo raggio e la sua massa cor-rispondono a quanto previsto dalle teorie standard sull’evoluzione degli esopiane-ti (le quali predicono i parametri dimen-sionali di un esopianeta che si raffredda a partire da uno stato originario a tempera-tura molto elevata). Sembra anche avvol-to in una foschia di composizione chimica non identificata, perché il suo spettro nel visibile – ottenuto con l’Hubble Space Tele-scope da Frédéric Pont e David Sing dell’U-niversità di Exeter e collaboratori – mostra un andamento uniforme e privo di carat-teristiche che è coerente con la presenza di diffusione di Rayleigh, lo stesso fenomeno che dà origine al colore del cielo visto dalla Terra, in quanto influenza prevalentemente le lunghezze d’onda del blu.

Viceversa, HD 209458b è libero da fo-schia, ma è notevolmente più grande di quanto prevedano i calcoli della sua evo-luzione. Fra le ipotesi teoriche che ten-tano di spiegare questa «inflazione» del raggio, vi è la proposta che le atmosfere parzialmente ionizzate dei Giove caldi si comportino come giganteschi circuiti elet-trici e, spostandosi per advezione rispet-to al campo magnetico, chiamino in causa a scala globale la legge di Lenz: la natu-ra aborrisce le variazioni del flusso ma-gnetico. Per contrapporsi ai venti orizzon-tali, vengono indotte correnti elettriche e forze in opposizione; si ritiene che la risul-tante conversione di energia meccanica in calore, chiamata dissipazione ohmica, sia responsabile del mantenimento dell’infla-zione di alcuni Giove caldi. Tuttavia non è stato ancora dimostrato che questi oggetti abiano un campo magnetico simile a quel-lo della Terra e di alcuni pianeti del sistema solare, cosicché questo settore della ricerca rimane molto attivo.

Lo studio dei Giove caldi mantiene la propria importanza perché riguardo a que-sti oggetti siamo già in possesso di dati adeguati a guidare sia le ipotesi sia la co-struzione di modelli; esso ci offre quindi l’opportunità di perfezionare i nostri stru-menti teorici – dato che i principali feno-

meni fisici in gioco sono identici – prima di applicarli a esopianeti simili a Nettu-no o addirittura alla Terra, per i quali at-tualmente disponiamo di dati scarsi o ine-sistenti. Per molti ricercatori il traguardo finale è abbastanza familiare: rilevare lo spettro di un esopianeta di tipo terrestre in orbita intorno a una stella simile al Sole, e dare quindi una risposta all’antichissima domanda sulla possibile esistenza di orga-nismi extraterrestri. In breve, si vorrebbe capire se il singolo esempio di un gemello della Terra in orbita intorno a un gemello del Sole possa rappresentare l’unica possi-bile culla della vita nell’universo.

La via delle nane rosseAstronomi come David Charbonneau

della Harvard University e Jill Tarter del SETI Institute hanno invece proposto che una via promettente per l’individuazione di super-Terre potenzialmente abitabili – esopianeti di tipo terrestre ma con massa e raggio un po’ più grandi di quelli della Ter-ra – consista nel cercarle intorno a stelle di tipo M (le cosiddette nane rosse).

Queste minuscole parenti del Sole, di massa compresa tra un decimo e la me-

tà di quella solare, costituiscono circa tre quarti della popolazione stellare nella no-stra regione galattica. Lo studio delle stelle di tipo M presenta diversi vantaggi: la lo-ro temperatura è più bassa di quella del-le stelle come il Sole, e ciò significa che eventuali esopianeti potrebbero trovarsi a una distanza dalla stella 10-100 volte in-feriore a quella della Terra ed essere ancora in grado di conservare acqua allo stato li-quido in superficie.

La maggiore prossimità alle stelle di tipo M fa sì che simili esopianeti possano esse-re più facilmente individuabili con le attua-li e sperimentate tecniche astronomiche, in particolare la misurazione dei transiti e del-la velocità radiale. Tuttavia il rovescio della medaglia è che presumibilmente avrebbe-ro una rotazione sincrona, con un emisfero permanentemente illuminato e uno oscu-ro, esattamente come i Giove caldi finora individuati. Una simile previsione ha in-dotto a temere che la loro atmosfera possa collassare a causa della condensazione del-le principali molecole che la costituiscono nel gelo dell’emisfero notturno.

La risposta dell’astronomia a questo di-lemma è effettuare nuove e migliori osser-

vazioni: in ultima analisi, la soluzione può essere fornita solo dai dati. Per esempio, nel caso della super-Terra GJ 1214b so-no già stati ottenuti spettri di trasmissio-ne, ma le interpretazioni sulla sua compo-sizione atmosferica sono ancora oggetto di discussione.

Migliori telescopiDal punto di vista sperimentale, il pros-

simo passo consisterà nel costruire telesco-pi spaziali dedicati, capaci di ottenere spet-tri ad alta risoluzione degli esopianeti per lunghi periodi di tempo. Gli astronomi di tutto il mondo si stanno attivando per av-viare missioni come l’Exoplanet Characte-rization Observatory (EChO) e il Fast In-frared Exoplanet Spectroscopy Survey Explorer (FINESSE), proposti rispettiva-mente dall’Agenzia spaziale europea (ESA) e dalla National Aeronautics and Space Agency (NASA).

Se e quando queste missioni si concre-tizzeranno (nei prossimi 10-20 anni), po-tranno fornire un’abbondante messe di informazioni spettrali e temporali su cen-tinaia di esopianeti, da cui potremo dedur-re composizione e dinamica dell’atmosfera

e caratteristiche climatiche di questi ogget-ti. A partire da una ricca campionatura del-la luce emessa nel tempo dagli esopiane-ti si potrà costruire uno spettro di potenza che mostri le scale temporali caratteristiche della variazione luminosa del pianeta, in-dicative di cambiamenti della temperatura.

Per la Terra è stato ottenuto un magni-fico spettro di potenza dell’atmosfera che copre scale temporali da meno di un gior-no (variazioni diurne) a molti millenni (i cosiddetti cicli di Milankovic, identifica-ti dalla documentazione geologica). Ov-viamente le missioni spaziali sono grava-te da tali limitazioni che non sarà possibile costruire spettri di potenza con scale tem-porali superiori a qualche mese, ma è pro-babile che, nel caso di esopianeti molto vi-cini alla propria stella come i Giove caldi o le super-Terre, molti dei picchi caratteri-stici di questi spettri siano compressi in un arco temporale più breve.

Tocca ora alla comunità dei teorici por-re le fondamenta per una più accurata comprensione del clima degli esopiane-ti in generale, che ci consenta di valutarne in maniera maggiormente affidabile la po-tenziale abitabilità. nN

ASA/

JPL-

Calte

ch

NAS

A

A super-Earth transiting a nearby low-mass star uscidunt ilisi. Charbonneau D. e altri, in «Nature», n. 462, 2009.

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p e r a p p r o f o n d I r e

le ricerche sugli esopianeti sono enormemente facilitate da sofisticati

telescopi spaziali come Spitzer (a sinistra) e Hubble (fotografato dallo space shuttle Atlantis).

Questi grandi osservatori indagano l’universo (e le atmosfere degli esopianeti) alle lunghezze d’onda

comprese tra l’ultravioletto e l’infrarosso.