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Associazione di psicomotricità per la crescita LA PSICOMOTRICITA’ E IL METODO DI EMMI PIKLER. EDUCAZIONE E PREVENZIONE NELLA PRIMA INFANZIA.

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Associazione di psicomotricità per la crescita

LA PSICOMOTRICITA’ E IL METODO DI EMMI PIKLER.

EDUCAZIONE E PREVENZIONE NELLA PRIMA INFANZIA.

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INDICE:

• La storia della dott.ssa Emmi Pikler, il centro Lóczy.

• Lo sviluppo motorio spontaneo del bambino.

• Psicomotricità, prevenzione ed educazione

nella primissima e prima infanzia.

• L’idea : L’associazione EMMI’S CARE.

• Link utili e contatti.

• Video e immagini del centro Lóczy, e del lavoro della dott.ssa Emmi Pikler.

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Emmi Pikler, le sue esperienze e le origini del suo contributo:

Nata a Vienna il 9 Gennaio del 1902, dove visse la sua prima infanzia, figlia unica di madre austriaca, educatrice e padre ungherese, operaio.

Nel 1908 la famiglia si trasferì a Budapest.

La madre morì che lei aveva appena dodici anni e dopo gli studi secondari EP prese la decisione di diventare medico, tornò a Vienna per studiare medicina, conseguendo la laurea nel 1927 e in seguito la specializzazione in pediatria.

L’ aspirazione di EP in realtà era di realizzarsi come ostetrica, per aiutare le madri a prepararsi alla nascita dei loro bambini; ma considerato il suo scarso interesse verso la ginecologia, obbligatoria per le ostetriche, scelse pediatria, intesa come una disciplina per la salute e lo sviluppo del bambino, più che per la cura di malattie.

Le esperienze, poi, fatte all’ospedale universitario di pediatria del Professor Pirquet e al servizio di chirurgia infantile del Professor Salzer a Vienna, l’hanno influenzata moltissimo.

Nel corso di questa esperienza ebbe l’occasione di conoscere un modo particolare di approcciarsi alla pediatria: in un’epoca in cui la medicina dava ancora poco risalto alla cura degli aspetti psicologici, in questa clinica, celebre per l’alta percentuale di guarigioni che otteneva con pochi farmaci, si coltivava principalmente una grande attenzione per i processi di crescita.

La metodologia che vi era applicata attraeva medici da tutto il mondo.

Il personale della clinica riceveva una formazione sia medica sia psicologica ed era previsto che i praticanti dovessero trascorrere quindici giorni di servizio in cucina per imparare a preparare il latte e gli altri alimenti adatti ai bambini, ed almeno sei settimane di esperienza nella cura quotidiana dei piccoli, prima di dedicarsi alla loro mansione specifica, a contatto con i bambini.

In questa realtà EP apprende la grande importanza che deve essere data alla relazione con ogni bambino, un modo rivoluzionario, per l’epoca, di approcciarsi alla pediatria.

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Innanzitutto veniva richiesto al medico di instaurare con il bambino, di qualsiasi età, un rapporto di fiducia.

Solo dopo che questo si era creato egli poteva visitarlo, prestando attenzione al suo stato psicologico, oltre che fisiologico.

Presso il Professor Pirquet, negli anni 20, i bambini malati passavano parecchio tempo fuori, sulle terrazze, anche in inverno in sacchi a pelo confortevoli; erano organizzati spazi di gioco nei reparti, anche per i più piccoli, e nessun bambino era costretto a letto.

Il personale ospedaliero, era obbligato ad imparare a prestare le cure corporee ai lattanti in modo che fossero per loro piacevoli.

Al servizio chirurgico infantile del Professor Salzer, il principio indiscutibile presente era quello di esaminare e trattare i più piccoli e i malati senza mai farli piangere.

L’aspetto che più colpì EP, all’interno del servizio chirurgico, riguarda le diverse tipologie di bambini che aveva la possibilità di trattare, infatti, spesso trattava bambini del quartiere che giocavano liberamente nelle strade e che presentavano ferite poco gravi(traumi ad arti), in contrapposizione a bambini di famiglie più agiate, allevati, controllati, tenuti sotto disciplina, iper-protetti da educatrici severe che, invece, si presentavano con incidenti sempre più gravi(traumi cranici).

I bambini, quindi, con libertà di movimento e perciò con vissuti maggiori, avevano appresso la gestione del proprio corpo, imparando a cadere e facendosi meno male rispetto ai bambini, contenuti ed “addestrati” che avevano uno scarso controllo del corpo e dei movimenti.

Dal matrimonio con un matematico e pedagogista, nasce nel 1931 la loro prima figlia Anna (Anna Tardos, oggi direttrice dell’Istituto di via Loczy a Budapest).

Come giovane pediatra e madre, decise, con il marito, di dargli ogni possibilità di attività autonoma nella motricità, nei giochi e nella scoperta delle sue capacità corporee e dell’ambiente circostante.

Entrambi i genitori, quindi, non la misero mai in una posizione che essa non avesse raggiunto sola, né mai gli insegnarono alcuna posizione, affrettandone i suoi progressi .

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Si sono, invece, impegnati di organizzare la sua vita in modo da favorire le sue iniziative e il suo piacere per l’attività autonoma, garantendogli costantemente cure corporee piacevoli, uno spazio sufficientemente grande e protetto, un abbigliamento che gli permettesse di muoversi in completa libertà, e dei giocattoli che essa potesse manipolare, senza l’intervento dell’adulto.

Per un certo tempo la famiglia vive a Trieste, poi nel 1935 si trasferiscono a Budapest.

L’evoluzione della motricità e lo sviluppo intellettivo, affettivo di sua figlia confermarono le sue aspettative, e fu con questo stesso spirito che , come pediatra di famiglia, durante più di una decina d’anni, EP guidò l’educazione delle famiglie e dei piccoli seguendo gli stessi principi sperimentati personalmente con la figlia.

Le famiglie che facevano riferimento ai suoi consigli, impararono ad avere fiducia nella capacità di sviluppo del loro bambino, a rispettare la sua iniziativa e i suoi tempi, a non intervenire direttamente nello sviluppo motorio, affrettando o cambiando l’evoluzione spontanea.

Essi impararono, nello stesso tempo, a creare, con un’attenzione costante verso il bambino, le condizioni materiali e affettive che permettevano l’attività autonoma, iniziata dal bambino stesso, e sostenuta da un atteggiamento caloroso da parte dei genitori.

Soprattutto durante le cure personali che diventavano veri e propri momenti d’interazione, di scambi affettuosi e nel corso delle quali la partecipazione del piccolo era largamente incoraggiata.

EP nel corso della sua attività di pediatra di famiglia, ha seguito lo sviluppo psicomotorio e psicosociale di più di cento bambini, che dalle sue osservazioni risultavano, essere generalmente attivi e sodisfatti.

Il loro sviluppo risultava essere armonioso, continuo e con un ritmo costante, essi istauravano ottimi rapporti con i loro genitori e le persone vicine.

Questo tipo di educazione, nonostante richiedesse una maggior attenzione e cura, nell’organizzazione dell’ambiente circostante al bambino, perché questo fosse sicuro, i genitori lo accettavano e realizzavano in modo molto naturale questo metodo, con piacere.

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Inoltre privilegiando momenti della giornata nei quali l’interazione con il bambino era protagonista, dando quindi maggior importanza alla qualità e non alla quantità del tempo, permetteva ad entrambi i partner di essere appagati e soddisfatti.

Divenuti adulti questi bambini, raccontano di avere un ricordo della propria infanzia come di un periodo felice e piacevole della loro vita e anch’essi hanno voluto allevare i propri figli allo stesso modo.

EP entrò, poi, in contatto con le idee di Maria Montessori, direttamente o attraverso una sua ottima allieva ungherese: Elisabetta Bourchard-Belavary, la quale riuscirà, a tenere aperta a Budapest una casa dei bambini persino negli anni della dittatura comunista.

A causa delle sue origini ebree e per le idee politiche del marito, EP in quegli anni dovette affrontare grosse difficoltà (il marito fu imprigionato).

Riuscì comunque a pubblicare, nel 1940, un libro per i genitori tramite il quale iniziò la diffusione delle proprie idee sia in Ungheria sia all’estero.

Dopo la guerra, il marito fu liberato.

La famiglia si ricostituì ed ebbero altri due figli.

Nel 1946, nel primo dopoguerra, fu proposto a EP l’organizzazione della direzione dell’istituto di metodologia dell’educazione e della cura della prima infanzia, di via Lóczy a Budapest,(istituto Lóczy, si pronuncia loozi), fondato per i lattanti bisognosi di cure prolungate , la cui madre era tubercolotica o morta durante il parto o bambini che per motivi diversi non potevano essere allevati nelle loro famiglie.

EP accettò questo incarico per tre motivi:

Volle verificare se i suoi principi e metodi educativi erano giusti e validi anche in ambito istituzionale;

Volle provare che se un bambino non può essere allevato in famiglia, è possibile farlo in collettività proteggendolo dalla sindrome d’istituizazzione;

Volle creare un luogo nel quale fosse possibile studiale lo sviluppo psicomotorio e psicosociale di bambini sani.

I settanta bambini che la struttura ospitava erano curati da educatrici

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direttamente formante da EP sulla base delle idee che aveva sviluppato nel corso del suo lavoro come pediatra.

Nei successivi venti anni circa 1500 bambini furono cresciuti a Lóczy e la loro crescita e il loro sviluppo, documentati accuratamente da educatrici medici e altri professionisti, essendo l’osservazione estremamente dettagliata e la cura per i particolari della relazione educativa, la base dell’intervento proposto in quel contesto.

Altro elemento fondamentale alla base della sua proposta educativa è la costruzione di una relazione intima e costante tra adulto e bambino e una totale libertà di gioco e di movimento.

Dopo la fine della “cortina di ferro” l’esperienza di Lóczy venne fatta conoscere dapprima in Francia nel 1973 da Myriam David e Geneviève Appell dei CEMEA francesi, poi via via in tutta Europa e fuori di essa negli

ultimi dieci anni del secolo scorso.

Emmi Pikler diresse l’istituto fino al 1979 dopo la pensione continuò sempre il suo lavoro di consulenza fino alla morte avvenuta nel 1984.

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Il centro Lóczy:

Presentazione:

L’istituto è stato fondato nel 1946, in via Lóczy a Budapest, per i lattanti bisognosi di cure prolungate.

Ospitava bambini la cui madre era morta durante la guerra, durante il parto, per tubercolosi o bambini che per motivi diversi non potevano essere allevati dalle proprie famiglie. Al momento della fondazione del centro Lóczy, la sua recettività era di 35 bambini; in seguito, grazie alla ristrutturazione dell’edificio, ne ha potuto ospitare sino a 70.

La durata media del soggiorno dei piccoli era di circa un anno, e potevano rimanere fino a un massimo di tre anni di età. Per la maggior parte i bambini che arrivavano a Lóczy erano appena nati o nei primi mesi di vita; tra di loro era presente qualche prematuro, ma gran parte erano in buona salute.

EP, determinata a evitare ogni sindrome d’istituzionalizzazione, adottò con i piccoli di Lóczy le stesse norme suggerite per i bambini in famiglia: totale libertà motoria e massima attenzione alla relazione adulto-bambino, soprattutto nelle cure quotidiane.

Per EP il principio alla base del funzionamento dell’istituto era il seguente:

“per rendere possibile uno sviluppo mediamente globale del bambino in tenera età, è innanzitutto necessario che possano formarsi dei rapporti armoniosi tra puericultrice e bambino." Pensiamo che questo avvenga soprattutto quando ci si prenda cura del bambino.

Così senza trascurare problemi d’ordine generale che restano comunque fondamentali (cosa mangia il bambino?) È vestito adeguatamente? Ecc...), Il modo di fare assume un’importanza particolare. Come offre l’adulto il cibo e come lo prende il bambino? Come si comportano puericultrice e bambino?

Quale cooperazione ha potuto nascere e svilupparsi tra bambino e adulto durante i pasti, durante il bagno, durante il cambio dei pannolini, quando viene vestito? Ci sforziamo di mantenere i gruppi possibilmente stabili, con gli stessi bambini e con le stesse puericultrici.

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Cerchiamo di dare ai bambini la calma necessaria per il sonno, spazi adatti e numerosi oggetti da manipolare. Ci sforziamo anche, nel limite delle nostre possibilità, di lasciare alle puericultrici il tempo necessario per fornire delle cure attente (durante un turno, deve occuparsi di 9 bambini).

Nell’istituto si evita di insegnare o di far esercitare i vari movimenti ai bambini, né essi erano sollecitati con ingiunzioni o richiami ripetuti a

effettuarli su nostra richiesta.(Intendiamo per insegnare : far eseguire regolarmente al bambino certi movimenti perché li assimili. Per tempo più o meno lungo l’adulto , personalmente o con l’aiuto di attrezzi diversi, tiene il bambino in posizioni non ancora acquisite; gli fa ripetere i movimenti che non riescono ancora a eseguire senza aiuto oppure di cui non ancora si serve nelle sue attività quotidiane).” Emmi Pikler, da Una crescita libera

EP , in quegli anni, ruppe con le tradizioni delle istituzioni di tipo ospedaliero in cui erano le regole rigide dell’igiene e della normativa sanitaria, che determinavano le linee educative dei bambini e la disciplina del personale.

EP e la sua equipe salvaguardando le esigenze sul piano igienico, senza imitare la struttura familiare, hanno trasposto nell’ambito della collettività istituzionale dei bambini le sue esperienze di educazione familiare, in cui gli aspetti protagonisti guadagnano ancora più importanza.

Nell’ambito dell’Istituto, l’aspetto di una relazione affettuosa, ma ragionata, tra educatrice e bambino e quello dell’attività spontanea del bambino nata dalla sua iniziativa sono del tutto indivisibili. Infatti, la sicurezza procurata da una relazione intima e continuativa con un numero ristretto di personale fonda la base indispensabile del piacere dell’attività autonoma del bambino, favorendo il suo sviluppo .

Negli anni a seguire, molti medici e studiosi si interessarono al metodo applicato da EP all’interno dell’istituto, per i risultati positivi che lo differenziavano dagli altri, in merito allo sviluppo globale del bambino.

Il funzionamento e i risultati di Lóczy, in merito allo sviluppo motorio del bambino, hanno reso possibile a EP e la sua equipe di instaurare collaborazioni e sostegno metodologico agli istituti dell’Ungheria, della formazione professionale e della riconversione di specialisti della prima

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infanzia e di svolgere ricerche concernenti lo sviluppo del bambino piccolo occupandosi dello sviluppo motorio, dello sviluppo della manipolazione nel gioco, dello sviluppo del linguaggio, dei rapporti tra bambini e della relazione tra educatrice-bambino.

Sono questi gli aspetti che hanno , prima di tutto, reso famoso Lóczy, a partire da un volume del 1973, redatto da due ricercatrici francesi, Myriam David e Geneviève Appell, e intitolato “Lóczy ou le maternage insolite” (pubblicato in Italia da Emme edizioni con il titolo 0-3 anni, un’educazione insolita)

In seguito Lóczy cominciò così a essere conosciuto di là di quella che si chiamava “cortina di ferro”, per le divisioni politiche tra mondo occidentale filoamericano e mondo orientale filorusso, cui l’Ungheria apparteneva.

Presto il raggio d’influenza del metodo dell’istituto Lóczy si ampliò in Belgio, in Francia, in Inghilterra, in Germania, negli Stati Uniti, in Spagna e in Argentina. Anche in Italia, se pur lentamente ha catturando l’attenzione solo di alcuni professionisti, che si sono riconosciuti in questa attenzione al bambino.

In particolare vanno ricordati gli importanti contributi di Emanuela Cocever e Andrea Canevaro, dell’Università di Bologna, dei CEMEA, dell’associazione Emmi Pikler Italia, dell’Istituto IFRA, di Bologna e tutti i docenti che si occupano di formare i professionisti coinvolti nell’educazione del bambino e che desiderano applicare il metodo di EP.

Dopo una breve presentazione dell’Istituto e della sua storia, qui di seguito analizzerò nel dettaglio tutte le componenti dell’esperienza di EP e della sua equipe svolte nell’istituto Lóczy dalla dott.ssa Emmi Pikler e dalla sua equipe, che per anni ha applicato questo metodo, osservando migliaia di bambini e conducendo importanti ricerche che ancora oggi, per molti paesi, tra i quali l’Italia, a molti operatori del settore dell’infanzia risultano sconosciute.

Per farlo, inizierò dalla descrizione degli aspetti favorevoli per uno sviluppo autonomo, descrivendo l’atteggiamento dell’adulto , l’ambiente più idoneo per sostenere lo sviluppo del bambino, senza tralasciare

l’importanza di una relazione speciale, e delle cure del bambino,

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protagoniste, sempre di questo metodo educativo.

Le condizioni favorevoli per lo sviluppo motorio del bambino a Lóczy

Gli adulti:

All’interno dell’istituto, le educatrici e tutti gli adulti che avevano contatto con i bambini, evitavano di insegnare o far esercitare i vari movimenti ai bambini, i quali non erano mai sollecitati, né con inviti ripetuti né con esortazioni a compierli per loro richiesta.

Il bambino, dalla nascita, era coricato sulla schiena, e lasciato nella medesima posizione sino a quando lui stesso non fosse in grado di assumerne una diversa. La stessa regola valeva per i momenti di gioco, per il sonno e per il riposo pomeridiano all’area aperta.

Perciò il bambino restava coricato supino notte e giorno finché non era capace, di sua iniziativa, di mutare posizione. In questo periodo l’adulto teneva il bambino in braccio, in posizione distesa.

Durante i pasti , i bambini, erano tenuti, dalle puericultrici, distesi sulle ginocchia in posizione obliqua, con la testa e il tronco appoggiati sul braccio. Per il momento della digestione, la puericultrice, lo sollevava quasi verticalmente per uno o due minuti, sostenendogli fortemente la schiena e il capo.

Finche non era capace, quindi, di girarsi sul fianco e sulla pancia, il bambino era tenuto verticalmente solo in pochissime occasioni, quando proprio era inevitabile ( es: dopo il bagno, per asciugargli la schiena o durante un eventuale visita medica)

Il bambino non era mai messo seduto, prima che non fosse in grado da solo, né per una visita, né per le cure, né per il gioco. L’iniziativa del bambino non era mai interrotta o modificata, e l’adulto non lo aiutava mai nel compiere i suoi movimenti, non era tenuto per le mani o per le braccia per aiutarlo ad alzarsi, o per aiutarlo a camminare. Quest’atteggiamento verso il bambino, era mantenuto dalle puericultrici, per tutte le fasi dello sviluppo di ogni singolo bambino, garantendo a ognuno di loro il tempo necessario.

Le puericultrici e le educatrici non solo evitavano di aiutare concretamente il bambino, ma nemmeno lo incoraggiavano ad assumere certe posizioni o a esercitarsi in alcuni movimenti.

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Con questo comportamento il personale del centro Lóczy evitava che il bambino si trovasse in posizioni o dovesse spostarsi con l’aiuto dell’adulto eliminando così l’effetto diretto e modificatore sullo sviluppo del bambino. L’atteggiamento appena descritto non presuppone però un atteggiamento distaccato da parte dell’equipe verso i bambini che non erano mai soli.

Le educatrici rimanevano sempre vicine ed entrambi erano reciprocamente a portata d’udito e di sguardo. La presenza dell’adulto era percepita dal bambino e nello stesso tempo i suoi movimenti non sfuggivano alla sua educatrice , che poteva comportarsi di conseguenza.

Infatti, la soddisfazione del bambino, per aver scoperto o raggiunto una nuova posizione, era condivisa e l’adulto si rallegrava dei suoi progressi. Quindi l’adulto manifestava la soddisfazione ogni volta che compariva un particolare nuovo, un piccolo progresso creando le condizioni affinché il bambino potesse ripeter quei movimenti.

E.P e le educatrici erano consapevoli e attente all’evoluzione motoria perciò non forzavano in bambino che presentava uno sviluppo lento a compiere prestazioni in tempi schematicamente prestabiliti; in tal modo avrebbero solo ottenuto un’esecuzione ancor più prematura dei movimenti, riprodotti dal bambino in maniera incerta e con una coordinazione scadente su iniziativa e con l’aiuto dell’adulto.

Anche se il bambino, quindi, raggiungeva più tardi a certe posizioni, non era privato della gioia per i progressi autonomi che compiva durante lo sviluppo spontaneo. Le puericultrici valorizzavano il raggiungimento di ogni fase intermedia dello sviluppo motorio dei bambini, consapevoli dell’eleganza e della varietà dei movimenti tipici del lattante, ne conoscevano l’importanza e l’influenza sullo sviluppo motorio, psichico e somatico del bambino.

Lo spazio:

Le condizioni necessarie per una vera libertà di movimento, in tutta sicurezza riguardano l’organizzazione dello spazio per il bambino, che sia adeguato e di qualità e vestendolo in modo da non intralciare i suoi movimenti.

Secondo EP tutto l’abbigliamento dei bambini, fin da neonati, doveva poter favorire ogni loro movimento, e i vestiti dovevano essere adatti

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a:

- La particolare posizione iniziale delle gambe, ( abduzione e flessione delle anche )

- La flessione delle ginocchia,

- Devono permettere il movimento libero delle mani e dei piedi,

- Non devono intralciare i movimenti della testa, del collo, delle braccia e del tronco.

Il bambino non era mai immobilizzato in una determinata posizione, non era mai avvolto nelle coperte e queste non erano fissate al lettino, né da neonato, né da grande. I bambini , sia all’aperto sia al chiuso, dormivano i sacchi imbottiti che superavano di circa 30 centimetri di lunghezza l’altezza del bambino, e la loro larghezza era di circa un metro.

In questo modo il bambino poteva sgambettare liberamente, anche con le braccia, sentendosi protetto e al sicuro. Non erano mai usati indumenti con il cappuccio, poiché secondo EP ostacolava i movimenti della testa.

Quando il bambino iniziava a voltarsi sul fianco, veniva vestito con una tutina con la quale sarebbe stato più facile girarsi anche nel sacco. Non appena tentava di alzarsi, il bambino, indossava una salopette che gli lasciava i piedi liberi, e se era necessario proteggere le estremità dal freddo portavano scarpine morbide e leggere in tela o maglia, che seguivano la forma del piede.

Non erano fatte indossare scarpe rigide fino a quando il bambino non avrebbe camminato bene e con sicurezza e solo per le passeggiate all’aperto o per i giochi all’aperto se il tempo lo rendeva necessario. Durante il tempo di veglia, i bambini erano vestiti solamente con lo stretto necessario, d’estate, fuori rimanevano nudi per quanto era possibile.

L’abbigliamento sempre comodo e adeguato permetteva ai bambini di vivere, dalle prime esperienze motorie, lo spazio e l’ambiente circostante in modo libero e sicuro. La dimensione dei lettini per i primi anni era di 60x90 cm , e quelli per i neonati di 45x90 cm.

Differenti in misure e forma dai box: che presentano una forma

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quadrata, di maggiori dimensioni, sono sollevati da terra, e i bambini più piccoli, prima di passare al recinto, sia all’interno sia sulle terrazze, passa alcuni momenti di veglia in essi.

Sia in casa sia sulle terrazze all’aperto, i bambini, non appena si voltavano sul fianco, trascorrevano il tempo in cui erano svegli all’interno di un recinto, al più tardi, all’età di tre mesi circa. Un recinto, sufficientemente spazioso, secondo EP permetteva al bambino non solo di muoversi liberamente, ma gli trasmette un senso di protezione e di sicurezza che gli avrebbe permesso di vivere il suo sviluppo e l’ingresso sociale in modo positivo.(passaggio da lattante a bambino piccolo)

Se stanchi o assonati erano rimessi nei lettini. Le dimensioni dei recinti dei più piccoli misuravano 1,20 m x 1,20 m. Dal momento i cui i bambini erano in grado di compiere schemi di spostamento e campi di posture più frequenti, veniva costruito il recinto di 2mx 2m.

E se, come spesso accadeva erano presenti più bambini in un solo recinto, veniva dato almeno un metro quadro per bambino. E una volta che il bambino si spostava con facilità e necessitava di giochi che richiedevano più spazio, era dato loro uno spazio ancora maggiore.

Per i bambini dai 9 ai 12 mesi, inoltre, per favorire ancor meglio la particolare fase motoria, veniva recintata una parte dell’intera stanza, e lo stesso veniva fatto nel giardino, dove ne avrebbero avuta un’intera porzione. Nonostante all’interno, il centro Lóczy, non disponesse della metratura ottimale per ospitare tutti i bambini, mentre all’esterno c’era tutto lo spazio necessario; EP e la sua equipe s’impegnarono nell’osservare e modificare l’ambiente per renderlo idoneo e favorevole allo sviluppo motorio del bambino.

Non solo la disposizione degli spazi e la loro grandezza, era venuta all’attenzione di EP, ma anche la sua qualità. Infatti, i neonati fin dai primi giorni di vita venivano coricati nei lettini dal fondo piatto, rigido e senza cuscini.

Per consentire loro di muoversi agevolmente, i recinti venivano forniti di un fondo rigido, di legno, che veniva ricoperta con una tela morbida in cotone.

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I giochi:

L’attività spontanea autogestita che il bambino compiva liberamente in modo autonomo, all’istituto Lóczy ricopriva un valore fondamentale per il suo sviluppo ; secondo EP deve essere per lui una fonte di piacere che si rinnovava continuamente.

È per questo che, a parte i periodi di sonno o dedicati alle cure, i bambini erano posti in situazioni che favorivano al massimo tale attività Dato che le cure del corpo duravano pochi minuti, e che le ore di sonno diminuivano, ben presto per i bambini il gioco libero occupava gran parte della loro giornata. E quando dai diciotto mesi, mediamente, i bambini accedono in giardino, le passeggiate e le altre attività diventano la principale occupazione dei bambini.

EP e la sua equipe dedicarono grande attenzione all’organizzazione dei periodi di attività autonoma, seguendo obiettivi ben precisi, pianificandoli e modificandoli secondo le loro costanti osservazioni. Per ogni gruppo e per ogni bambino erano presi in considerazione una serie di elementi:

- La suddivisione nel tempo in base ai ritmi individuali di sonno e di veglia

- Lo spazio

- Gli oggetti e i materiali

- Gli atteggiamenti degli adulti

Dopo il terzo o quarto mese, era dato ai bambini giocattoli che essi potevano prendere e gestire da sé, senza l’intervento dell’adulto con i quali però potevano giocare liberamente. Finche i bambini non erano in grado di spostarsi spontaneamente, gli oggetti venivano messi vicino al loro, per terra, senza fissarli.

In nessuna fase dello sviluppo, veniva messo in mano loro, un gioco o un oggetto, né erano tenuti sopra la testa per stimolare i movimenti del capo, né venivano legati sopra la loro testa o sopra i loro lettini. I bambini che sapevano già strisciare sulla pancia o camminare a quattro gambe, avevano nel recinto del materiale adatto a favorire la loro nuova motricità come: una pedana, su cui potevano arrampicarsi, che misurava 22 cm d’altezza e il cui fondo ne misurava 80x80, capovolta poteva trasformarsi in un cassone dove i bambini

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potevano sperimentare il dentro e il fuori.

Avevano inoltre una scala triangolare, con due montanti uguali e sei pioli alla distanza di 11 cm uno dall’alto, si cui potersi arrampicare. (il piolo più alto stava a 75 cm da terra e la lunghezza dei pioli era di 103 cm). D’estate i bambini giocavano all’aperto, in giardino, su un terreno irregolare, leggermente in discesa, sull’erba o nella sabbionaia.

I bambini avevano la libertà di potersi arrampicare sulle diverse scale del giardino che avevano, infatti, dai due ai quattro gradini profondi cc 24 cm e alti 18. Utilizzavano anche la scala che dal giardino conduce la casa, che invece era alta 17 cm e larga 32.

Anche i bambini che non sapevano ancora camminare potevano giocare in giardino, in un’apposita vasca di cemento in giardino dove erano presenti delle piccole fontanine da cui fuoriusciva continuamente l’acqua, senza soffermare nella vasca.

Le educatrici, le cure e la relazione speciale per favorire lo sviluppo dei bambini al centro Lóczy

Tutti gli accorgimenti ,sopra descritti , non avrebbero avuto la loro efficacia, nel favorire lo sviluppo motorio del bambino, e quindi il suo sviluppo globale, se non sorretti alla base, da una solida relazione affettiva . EP, convinta, che l’allevamento in famiglia è sempre l’ideale per un bambino e che una madre mediocre vale , senza dubbi, la migliore delle educatrici, ha sempre dato, fin dalle sue prime esperienze, grande importanza alla relazione madre-bambino e alle sue cure.

Anche all’interno del centro Lóczy, EP e le educatrici da lei formate, istauravano un rapporto speciale e di riferimento con alcuni bambini, che avrebbero seguito per tutta la loro permanenza all’interno del centro.

Le educatrici, all’inizio del proprio lavoro, al centro Lóczy, passavano la prima settimana guardandosi attorno e studiando il testo che descriveva le ipotesi di lavoro del centro. Poi, continuavano, con un periodo di osservazione con il gruppo di bambini, che avrebbero seguito in seguito ,dove le educatrici osservavano, senza mai intervenire e interagire con i bambini.

Dopo alcune settimane, l’educatrice, iniziava ad occuparsi di un

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bambino, osservata dalle colleghe, dalla psicologa e da EP , con cui avrebbe avuto in seguito vari colloqui, perché appartenenti allo stesso gruppo di bambini.

Poco alla volta, l’educatrice si occupava anche degli altri bambini ma solo dopo due mesi, al termine del percorso formativo-pratico poteva condividere la responsabilità del gruppo al pari delle altre colleghe. Questa organizzazione nella formazione delle educatrici, permetteva l’oro di avere un sostegno fondamentale, perché sapevano cosa l’istituto, si sarebbe aspettato da lei, e come lei si sarebbe dovuta comportare al suo interno con i bambini.

Leggendolo nei testi e approfondendolo nel continuo lavoro di osservazione, critica e aiuto reciproco fra colleghe ,psicopedagogiste e pediatre. Le Educatrici avevano un sostegno e un supporto nel loro lavoro e nell’affrontare tutti gli eventuali problemi, da parte di uno staff con formazione medica e psicopedagogica ai cui loro potevano rivolgere domande e chiedere collaborazione.

Le educatrici, sicure e mai sole, nel loro importante lavoro, dopo la loro formazione erano in grado di istaurare una cooperazione e un rapporto di fiducia con il bambino, che non avrebbe sostituito il rapporto materno, ma avrebbe fornito al bambino la sicurezza necessaria per lo sviluppo e per la costruzione della sua personalità, capace di instaurare in seguito una relazione con dei nuovi genitori.

Benessere affettivo e una relazione che dia il senso della sicurezza sono le condizioni che rendono possibile, anche, lo spiegarsi dell’autonomia dei bambini all’interno del centro. Per EP, il bambino ha soprattutto bisogno di una relazione soddisfacente e, accanto a questa, per crescere bene, doveva poter accedere all’esperienza della propria competenza grazie alle azioni autonome.

Con questi atteggiamenti, il bambino diventava soggetto protagonista, in una situazione in cui influenzava a pieno titolo gli avvenimenti che lo riguardavano, diventando un partner nella relazione, un interlocutore nel dialogo con l’adulto.

All’interno del centro Lóczy le cure del corpo e tutto quello che succedeva durante la routine fra bambino e adulto erano considerate, fin dai primi momenti, di primordiale importanza. E questo non solo perché soprattutto in questi momenti il bambino si trovava in un momento solo suo con l’educatrice, che poteva dunque

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confermagli quella profonda attenzione che permetteva ad entrambi di sviluppare il rapporto reciproco; non solo perché si trattava di un’occasione eccellente per l’educatrice, che può parlare al bambino da solo e non soltanto con l’intento di insegnargli a mangiare, a vestirsi, a lavarsi e a utilizzare il vasino, ma perché durante le cure del corpo, a seguito della soddisfazione dei suoi bisogni fisici, che il bambino imparava a segnalare,

poi a riconoscere e infine ad esprimere in maniera articolata i suoi bisogni, le esigenze relative alla loro soddisfazione, e in seguito alla soddisfazione, il sentimento del suo appagamento. Questa per EP e le educatrici del centro erano una condizione fondamentale, per permettere che il bambino si rivolgesse con interesse verso il mondo materiale e oggettivo.

Secondo i principi del centro Lóczy, il bambino piccolo imparava a conoscere se stesso e a conoscere l’adulto, prima di tutto, attraverso le cure del corpo, attraverso la soddisfazione dei suoi bisogni corporali.

Le cure

Le cure delle educatrici verso i bambini del centro Lóczy assicuravano loro il benessere e il confort e nello stesso tempo rispondevano ai bisogni fisiologici, d’igiene e pulizia. Si preoccupavano anche di conservare o suscitare il piacere che il bambino provava per quello che gli si stava facendo, favorendo, così, in lui ogni possibilità di autonomia: essere nutrito, poi nutrirsi da solo doveva restare un piacere, mantenersi pulito doveva diventarlo; contemporaneamente, attraverso ogni cura, si cercava di stimolare il piacere che il bambino provava a manipolare, dominare, far da solo, essere grande.

Durante ogni tipo di cura (bagni, alimentazione, vestire-svestire) qualunque sia l’età , al centro Lóczy, il bambino era sempre trattato come un essere che sente e comprende, se gliene si dava l’occasione. Nonostante le educatrici avessero molti impegni durante la giornata, per seguire i bambini, davano tutto il tempo di cui un bambino aveva bisogno, portando sempre a termine ciò che aveva iniziato con lui.

Le cure, quindi, non erano mai interrotte. I gesti delle educatrici, oltre che essere, dolci, per testimoniare il riconoscimento costante del fatto che il bambino è sensibile a tutto quello che gli veniva fatto; si univa la preoccupazione costante di fare appello alla partecipazione del

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bambino, qualunque fosse la sua età. Per permettere e favorire la partecipazione del bambino, sin da quando è neonato, le educatrici parlavano ai bambini, guardandoli negli occhi, e mantenendo il contatto visivo sempre, dicendogli tutto quello che gli sarebbe stato fatto durante le cure. “ ora laviamo il collo, si qui, e poi qui... ecc.) Anche con i bambini più grandi le educatrici continuavano a commentare ciò che egli faceva e lo seguiva nei suoi interessi. Se per esempio un bambino durante il cambio sentiva un cane o vedeva qualcosa che lo attirava, questo diveniva subito occasione di commento e di condivisione per l’educatrice.

Con i bambini, ormai in grado di parlare , s’istaurava con l’educatrice, un rapporto al cui interno era attivo un dialogo verbale naturale da cui nascevano conversazioni. Anche il modo stesso di parlare delle educatrici, era studiato e controllato; infatti, il tono era uniforme, non elevato, e con un ritmo piuttosto costante, così da ottenere in tutto l’istituto un livello sonoro basso, rispetto ai comuni istituti.

Alla spiegazione verbale durante le cure, si aggiungeva la presentazione degli oggetti utilizzati per il bambino: il pannolino, il sapone, il cucchiaino, il bicchiere, la coperta.... L’educatrice, mostrava l’oggetto al bambino, favorendo i suoi primi tentativi di toccarlo, incoraggiando i suoi esperimenti di manipolazione e più tardi i suoi sforzi per far si che lui avrebbe imparato ad utilizzarlo autonomamente.

L’educatrice, per raggiungere una cooperazione attiva, con il bambino, necessaria per le sue cure, iniziava fin da quando era neonato ad utilizzare i suoi gesti spontanei ( per esempio, coglieva il momento in cui il bambino alzava il pugnetto per infilargli la camiciola e fagli poi notare l’utilità del suo gesto)

Il bambino, crescendo, diventava sempre più cosciente di questa cooperazione che, a un certo punto, diventava volontaria.

Lo stesso accadeva per i cambiamenti di posizione, ai bambini era lasciata la massima libertà di scegliere la posizione che volevano e le educatrici erano abili nel seguirli nei loro movimenti, pur continuando a svolgere il loro lavoro.

Se tuttavia era necessario che il bambino cambiasse posizione, l’educatrice glielo chiedeva e anche in questo caso aspettava qualche istante e utilizzava il suo movimento spontaneo per effettuare

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il cambiamento. Questo modo di fare e il fatto che gli adulti si accertavano della cooperazione con il bambino, prima di agire, creava un’armonia fra i movimenti del bambino e quelli dell’adulto, rafforzando l’impressione di dolcezza della loro relazione.

All’interno del gruppo di bambini, l’educatrice, per permettere loro di capire quello che stava per avvenire, li prelevava sempre in un ordine costante per tutte le cure. Per fare ciò, qualunque fosse l’età del bambino, quando l’educatrice, prendeva uno di essi, avvertiva il bambino che seguiva, dicendogli che prendeva quello ma che poi sarebbe stato il suo turno.

Questa successione al centro Lóczy rimaneva sempre stabile e se uno dei bambini piangeva, avrebbe aspettato comunque il suo turno.

L’educatrice non lasciava il bambino, a se stesso a piangere, ma cercava per lui una soluzione che potesse fagli ritrovare la calma, cambiando posizione, posto nello spazio o tornando nel lettino. Al contrario chi dormiva, veniva svegliato, con molta dolcezza e calma, ma comunque svegliato.

Solo la merenda era distribuita man mano che i bambini si svegliavano spontaneamente; chi di loro si svegliava troppo tardi, avrebbe avuto solo un frutto o un succo di frutta. Per i cambi e il bagno, ogni volta che un bambino veniva preso, era sempre e comunque trattato come appena descritto.

L’educatrice gli prestava una costante attenzione, rispettava e utilizzava la sua spontaneità per compiere il proprio lavoro, cercando di rendere cosciente il bambino di ciò che gli succedeva. Al centro Lóczy era data anche molta importanza all’alimentazione di ogni bambino e alle modalità di somministrazione del cibo.

Le diete erano rigidamente controllate ed erano stabilite giornalmente, venivano modificate ogni qual volta le osservazioni ne indicavano la necessità. Per fare ciò la pediatra, la mattina, scorreva il quaderno di ogni bambino sul quale erano segnati: la dieta in corso, la quantità che il bambino ingerisce

del cibo che ha ricevuto, le dosi supplementari se ne ha ricevute, il suo peso e le evacuazioni . L’ora del pasto era fissa e ogni bambino mangiava quando era il suo turno,

Per rispettare sempre l’orario, i bambini che dormivano venivano

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sempre svegliati, tranne per la merenda, come già detto. I pasti dei più piccoli, erano preparati e serviti individualmente, mentre quelli dei più grandi erano collettivi e ogni bambino era servito, durante il pasto dalla propria educatrice o da solo, ma per tutti, sia che il pasto fosse distribuito al chiuso o all’aperto, gli alimenti erano conservati a bagnomaria, in modo da restare caldi, così che l’educatrice non se ne doveva preoccupare.

Nessun bambino era mai sforzato a mangiare più di quanto avesse voglia. Al primo segno di rifiuto, senza il minimo tentativo di fargli mangiare di più, l’educatrice si fermava o lasciava che lui si fermasse da solo. Se invece alla fine del pasto il bambino non era ancora sazio, gli era dato, se era piccolo, un succo di carote o frutta, se era grande, una dose supplementare dello stesso piatto che aveva mangiato.

Il pasto durava poco, dando comunque al bambino il tempo necessario per mangiare e non era mai trattenuto a tavola più dovuto. Con i bambini più piccoli, l’educatrice, durante la somministrazione del pasto, porge il cibo al bambino mostrandogli sempre il cucchiaino e il

piccolo bicchiere, seguendo sempre i movimenti spontanei del bambino e tenendolo seduto sulle ginocchia. Più avanti, ai bambini gradualmente non venivano più indicati sistematicamente, nel momento in cui avrebbe cominciato a bere e prendere il suo cucchiaio da solo.

Questa crescita viene incoraggiata e subentra la fase cosiddetta “ dei due cucchiai”, in cui educatrice e bambino, muniti entrambi della posata, svolgono insieme l’operazione e ora l’uno e l’altro cucchiaio arrivano in bocca al bambino.

L’educatrice per tutta la durata del pasto rimane concentrata sul bambino, ed eccezione di alcuni brevi sguardi verso gli altri del gruppo, dando a tutti i bambini le attenzioni necessarie ed eliminando la sensazione di fretta. Un’altra tappa importante è quando il bambino si sedeva a tavola, e ciò accadeva a età variabili a seconda del soggetto.

Non era proposto al bambino tavolo e sedie fino a quando non utilizzava la posizione da seduto spontaneamente, controllandola a sufficienza per avere un buon equilibrio (se necessario in questo periodo era ancora utilizzata la tecnica dei due cucchiaini)

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A 15 mesi i bambini, per la maggior parte, mangiavano e bevevano da soli e bene.

Quando il bambino iniziava a mangiare a tavola, poteva essere solo, o con un compagno seduto di fronte. Poi progressivamente il numero dei bambini al tavolo, aumentava, passava a quattro, fino a riunire tutti i bambini del gruppo dei grandi.

Per ogni bambino, il momento in cui veniva messo a tavola, veniva discusso sulla base delle osservazioni delle sue educatrici. Il modo in cui i bambini sarebbero stati raggruppati intorno al tavolo era deciso con notevole anticipo e il bambino veniva informato.

L’istituto Lóczy è stato diretto dalla dott.ssa Emmi Pikler e dalla sua equipe, seguendo tutti gli accorgimenti appena descritti, le educatrici hanno contribuito, agli studi e alle ricerche condotte all’interno del centro, negli anni a seguito della sua apertura.

Studi e ricerche nati dalle centinaia osservazioni condotte da EP, a partire dalla sue esperienza di pediatra, continuate all’interno dell’istituto Lóczy , e che, hanno reso possibile il consolidamento di un metodo educativo, volto alla salute a allo sviluppo globale del bambino.

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Lo sviluppo autonomo dei movimenti del bambino:

Dopo aver descritto e riportato, spero abbastanza dettagliatamente, alcune ricerche e i risultati ottenuti da Emmi Pikler, e dai suoi collaboratori, in quest’ultimo capitolo della prima parte, descriverò lo sviluppo motorio dei bambini del centro Lóczy, attraverso la descrizione delle varie fasi, accompagnate dai disegni di Klàra Pap.

Per anni l’artista ha osservato e disegnato i movimenti dei bambini del centro Lóczy, durante il gioco e il riposo e ha eseguito dei disegni su modelli “vivi” cha hanno illustrato le pubblicazioni di EP e del centro.

Ai bambini di Lóczy non veniva mai intralciato ne affrettato lo sviluppo , con l’intervento diretto dell’adulto, da quando era coricato sulla schiena e non sulla pancia, i bambini di conseguenza si muovevano con un buon equilibrio tonico, eseguendo gesti e assumendo atteggiamenti molto vari.

I disegni ne sono un’ottima illustrazione.

I bambini che hanno fatto da modello, durante i movimenti, che eseguivano di loro iniziativa, facevano lavorare tutti i loro muscoli, senza che il buon coordinamento di questo insieme tonico, fosse disturbato durante l’apprendimento;; a differenza dei bambini a cui certe posizioni o movimenti erano stati insegnati, che si muovevano in modo rigido attivando a livello muscolare solo alcune parti del corpo.

Alcuni dei movimenti descritti da EP erano motivati dalla stessa gioia, data dal piacere di muoversi dei bambini, altri invece non fanno altro che accompagnare le attività del bambino, come la manipolazione, gli spostamenti, i giochi.

Nelle descrizioni raccolte, non viene mai indicata l’età dei bambini, e sono descritti solo i movimenti di grande settore che il bambino utilizzava per spostarsi o cambiare la sua postura e che, a seconda della posizione osservata, caratterizzavano la sua motilità.

Per EM e queste osservazioni avevano lo scopo di dare una descrizione precisa che:

- Portasse l’attenzione sulla molteplicità di movimenti possibili che il bambino realizzava nella sua quotidianità;

- Stimolasse l’osservazione differenziata di ciascuno di essi

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- Che fosse un contributo per creare una nomenclatura unitaria.

La descrizione dei movimenti spontanei, infatti, e la nomenclatura connessa erano diventate sempre più necessarie perché secondo l’equipe, mancavano definizioni univoche e le descrizioni esistenti erano molto carenti; rendendo difficile la comprensione, la comunicazione e il processo scientifico in questo campo di studi. In quegli anni l’interesse per lo sviluppo motorio aumentò di pari passo all’importanza attribuita all’evoluzione psicosomatica nella primissima infanzia, intesa come base futura personalità del bambino. EP scrisse: “ Grazie ai suoi movimenti autonomi il bambino sperimenta possibilità e limiti dell’ambiente che lo circonda e con il quale ha un contatto diretto. Scopre come orientarsi, come agire e nel fare sviluppa prudenza, costanza e volontà.

La conoscenza del repertorio dei movimenti autonomi è essenziale, particolarmente per i fisioterapisti che si occupano di bambini affetti da disordini motori. Grazie ad essa, tenendo conto dell’attività spontanea dei bambini, nelle loro terapie, potrebbero completare i loro interventi, per modificarli, nell’interesse di migliori risultati.” Emmi Pikler 1982

Per permettere una comprensione completa di questo affascinante lavoro di EP, ho voluto riportare la classificazione e le varie descrizioni dei movimenti del bambino, dei disegni, dal suo libro “datemi tempo”.

Per ogni posizione principale, statica, che il bambino assume per settimane, ( posizioni orizzontali, posizioni transitorie, posizione seduta, posizione in piedi) nel libro sono descritti : tutti i movimenti che il bambino riusciva a eseguire in quella determinata posizione; i movimenti che compiva per spostarsi, senza variare la posizione fondamentale e i movimenti con i quali il bambino passava a un’altra posizione, abbandonando quella di partenza e assumendone una nuova.

La sequenza con cui le posizioni statiche sono elencate o descritte segue approssimativamente il corso dello sviluppo motorio, durante il quale i bambini scoprivano autonomamente, seguendo il loro impulso, come assumere posizioni via via più evolute e come mantenerle, eseguendo cambiamenti di posizione e spostamenti a livelli di maturità sempre maggiori.

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1.Le posizioni orizzontali

All’interno di questo gruppo sono presenti ben tre posizioni:

quella sdraiata sulla schiena, quella sul fianco e quella sul ventre e per ognuna di loro sono presenti i disegni e le descrizioni dei movimenti eseguiti in quella posizione, quelli con cui il bambino si sposta e i cambiamenti di posizione.

1.1 POSIZIONE SDRAIATA SULLA SCHIENA

1.1.1 Posizione statica fondamentale

Il bambino è considerato in posizione sulla schiena quando la parte dorsale del busto aderisce al piano di appoggio.

Il neonato all’inizio, tende a tenere il capo più o meno reclinato da un lato, solo in seguito lo mantiene in posizione centrale.

La colonna vertebrale aderisce completamente al piano d’appoggio e nei primi tre mesi generalmente è incurvata asimmetricamente verso sinistra o destra; solo più tardi diventa simmetrica.

Solitamente il neonato tiene le braccia con i gomiti piegati, appoggiate simmetricamente ai lati della testa. Se la testa è girata da un lato, il braccio verso il quale è rivolto lo sguardo è leggermente più teso dell’altro.

Nelle prime settimane di vita le gambe sono piegate all’altezza delle anche e divaricate. Le ginocchia sono sollevate verso l’addome. Più avanti in questa posizione di flessione o divaricazione delle gambe diventa sempre meno accentuata. Nel neonato raramente i piedi toccano il piano d’appoggio, eventualmente solo con i talloni.

1.1.2 Movimenti possibili

Il neonato è già in grado di inclinare e di ruotare la testa da entrambe le parti, come pure di piegarla avanti e indietro.

Può piegare o ruotare il busto a sinistra e destra e combinare i due movimenti. Inoltre può sollevare il bacino per qualche secondo.

Per farlo punta su testa, spalle, talloni o piante dei piedi.

Le articolazioni degli arti superiori si muovono tutte liberamente fino

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alla retroversione delle spalle.

Durante il secondo mese di vita gli impulsi motori non coordinati dell’inizio diventano progressivamente più ordinati.

Quando è sulla schiena, riesce a manipolare oggetti con una mano o con entrambe.

Le articolazioni degli arti inferiori si muovono liberamente. Gli impulsi iniziali sono gradualmente sostituiti da movimenti coordinati e la coordinazione degli arti superiori e inferiori si rafforza fino ai movimenti indipendenti gli uni dagli altri.

1.1.3 Spostamenti da coricato sulla schiena

1.1.3.1 Spostarsi serpeggiando: il bambino si sposta muovendo il busto da una parte all’altra senza l’aiuto degli arti. Questi movimenti del neonato sono casuali.

1.1.3.2 Spostarsi sulla schiena in direzione della testa: il bambino striscia sulla schiena, spingendo con i piedi verso la testa. Anche questo a schema di spostamento volontario.

1.1.3.3 Strisciare sul dorso in senso circolare: il bambino striscia, stando coricato sul dorso;; ruotando intorno all’asse sagittale, grazie a piccoli passetti laterali che compie con i piedi.

1.1.4 Cambiamento di posizione per abbandonare o per assumere la posizione sulla schiena

. 1.1.4.1 Il bambino si volta sul fianco, aiutandosi con le braccia e le gambe, ruotando contemporaneamente testa o bacino.

. 1.1.4.2 Dalla posizione sul fianco si volta sull’addome, servendosi delle braccia, ruotando la testa, oppure delle gambe, ruotando il bacino. Dalla posizione ventrale torna sulla schiena, ruotando la testa e il tronco oppure il bacino, con uno slancio delle gambe.

. 1.1.4.3 Il bambino si gira nella posizione laterale con il gomito appoggiato, puntando un avambraccio e sollevando la testa e il torace. Abbandona la posizione laterale con il gomito appoggiato, voltandosi e appoggiando la testa e il torace sul piano d’appoggio, ritornando così sulla schiena.

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1.2 POSIZIONE LATERALE

1.2.1 Posizione statica fondamentale

Il bambino è in posizione laterale quando il busto completamente disteso sul piano d’appoggio sull’uno o sull’altro fianco. Anche la testa è appoggiata al piano. L’angolo d’inclinazione fra il piano d’appoggio e il dorso è maggiore di 45°.

La testa e gli arti sono coinvolti nella funzione di mantenimento dell’equilibrio. Spesso il bambino si appoggia anche con il braccio o la gamba superiori.

1.2.2 Movimenti possibili

Può muovere la testa sempre in contatto con il suolo soprattutto avanti e indietro; può sollevarla per brevi momenti dal piano di appoggio. Riesce a ruotare il tronco avanti e indietro, variandone l’inclinazione rispetto al piano d’appoggio. Il dorso può essere disteso, sovra esteso o piegato.

Gli arti superiori: nella posizione sul fianco può mantenere liberamente il braccio superiore e manipolare con entrambe le mani. Gli arti inferiori: può muovere liberamente la coscia, se non la utilizza per sostenersi. Se gli serve per mantenere l’equilibrio, può spostare la gamba sul piano d’appoggio, piegandola e stendendola.

1.2.3 Spostamenti dalla posizione sul fianco

1.2.3.1 Si può allontanare dal punto in cui si trova, voltandosi ripetutamente sul dorso sul fianco e viceversa oppure dal ventre sul fianco e poi di nuovo sul ventre. Non sono ancora spostamenti volontari, ma casuali durante la sua sperimentazione.

1.2.4 Cambiamenti di posizione per abbandonate o assumere la posizione sul fianco.

1.2.4.1 Si gira sulla schiena aiutandosi con le braccia e con le gambe e compiendo una torsione del busto. Ancora, dalla posizione sulla schiena, si gira sul fianco, sempre con la torsione del busto e con l’aiuto degli arti. In entrambi i casi la testa rimane appoggiata al piano.

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1.3 POSIZIONE VENTRALE

1.3.1 Posizione fondamentale statica

Il bambino è in posizione ventrale quando con l’addome e con il torace, cioè con l’intero tronco, aderisce al piano d’appoggio, completamente o in parte. Anche le braccia e le gambe, in misura maggiore o minore, fanno parte della superficie d’appoggio e contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio.

Se è sveglio e non sta riposando, solitamente tiene il capo sollevato. Quando ha già imparato, in posizione ventrale, a sostenersi sui due avambracci o addirittura con uno solo, tiene sollevato non solo il capo ma anche le spalle e la parte superiore del torace. Le gambe sono più o meno distese: unite o divaricate oppure divaricate e flesse. Raggiunge la forma più evoluta di questa posizione quando si regge sulle palme delle mani, o una sola, con le braccia quasi completamente distese e tenendo torace e testa ben sollevate.

1.3.2 Movimenti possibili

Il bambino può muovere la testa liberamente in tutte le direzioni. Può voltarla da entrambe le parti e piagarla avanti e indietro. Sin dall’inizio il bambino può piegare il busto su entrambi i lati;; più avanti scopre come ruotarlo .

Gli arti superiori. Quando le braccia sono impegnate a sostenere il peso del corpo, non possono essere mosse liberamenti, ma gli permettono un equilibrio per visualizzare tutto lo spazio che lo circonda. Se il bambino si sostiene, solamente sui gomiti, i movimenti degli avambracci e delle mani sono liberi.

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Se è già in grado di sollevare la parte superiore del tronco, con appoggio su un braccio o una sola mano, può muovere liberamente l’altro braccio. Gli arti inferiori: a eccezione della flessione delle anche con le gambe tese, tutti i movimenti delle gambe sono possibili.

Movimento simultaneo degli arti inferiori e superiori: talvolta il neonato solleva contemporaneamente dal piano la testa, le braccia e le gambe. In questo modo, per qualche secondo la superficie d’appoggio è costituita solamente dall’addome e da una parte delle cosce.

1.3.3 Spostamenti partendo dalla posizione ventrale

1.3.3.1 Strisciare sul ventre in senso circolare : di qui il bambino, si sposta, sostenendosi con le mani e spostandosi a piccoli tratti e ruotando circolarmente e in senso orario o antiorario, schema che gli permette di raggiungere gli oggetti che sceglie e di visualizzare in ogni momento lo spazio che lo circonda.

1.3.3.2 Rivoltarsi: si rivolta quando si gira parecchie volte di seguito dalla schiena al ventre e viceversa. Non è ancora un movimento volontario.

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1.3.3.3 Rotolare( avanzare rotolando):si gira dalla pancia sulla schiena e ancora sulla pancia, sempre nella stessa direzione, almeno due o tre volte di seguito. In questo modo si avvicina sempre di più all’obiettivo che si è posto, ben che rotolando, lo perde di vista ogni volta.

1.3.3.4 Strisciare sul ventre: striscia ventralmente quando, senza sollevare l’addome dal piano d’appoggio, si sostiene con le braccia e avanza tirando il tronco avanti, poi sposta le braccia davanti a sé e ancora avvicina il tronco alle mani. Talvolta all’inizio si sposta all’indietro. Può anche con le gambe più o meno distese, puntare le punte dei piedi e, più avanti, inserire lievi torsioni del bacino.

In questo caso si spinge in avanti, oltre che con i piedi, con il ginocchio posto lateralmente. Può compiere questo movimento sempre con la stessa gamba oppure alternativamente con tutte e due. Inoltre, del sistema di avanzamento ventrale esistono numerose varianti che il bambino ottiene combinando i movimenti di braccia, gambe e tronco.

Strisciare sulla pancia può divenire un metodo di spostamento davvero rapido, determinato, con il quale il bambino può cambiare direzione a suo piacimento.

1.3.4 Cambiamenti di posizione per abbandonare o assumere la posizione ventrale.

1.3.4.1 Si volta sul fianco; aiutandosi con gli arti e ruotando insieme la testa e il tronco. Dalla posizione sul fianco ruota la testa e il tronco e, aiutandosi simultaneamente con le braccia e le gambe, torna sull’addome.

1.3.4.2 Assume la posizione laterale con il gomito appoggiato quando, appoggiato su un avanbraccio, ruota lateralmente il tronco e solleva il braccio opposto. Può abbandonare questa posizione per tornare a quella ventrale, voltando il petto in direzione del piano d’appoggio e spingendosi con l’avanbraccio.

1.3.4.3 Si alza a sedere su un fianco appoggiandosi su una mano: sostenendosi su un braccio teso, ruota su un fianco e sollevando l’altro braccio dal piano di appoggio, piega una gamba. Abbandona tale posizione di partenza coricandosi di nuovo sull’addome;; poi si gira verso il piano d’appoggio, stendendo le gambe e appoggiando il braccio libero. Talvolta piega i gomiti.

1.3.4.4 Si alza sulle quattro gambe, portando le ginocchia sotto l’addome, sollevando il tronco e mantenendo l’appoggio sugli avambracci o sulle mani e sulle ginocchia. Dalla posizione a quattro gambe può sdraiarsi sul ventre, scivolando sulle braccia e sulle gambe fino a toccare il piano d’appoggio.

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2. Le posizioni transitorie

2.1 POSIZIONE LATERALE CON APPOGGIO SUL GOMITO

2.1.1Posizione statica fondamentale.

Diciamo che il bambino è in posizione laterale con appoggio sul gomito, quando si distende su un fianco sostenendosi sull’avambraccio e su gomito oppure solamente sul gomito. In questa posizione solo parte del fianco è appoggiata al piano. Testa, spalla e torace non sono più in contatto con esso.

Ne fanno parò parte, oltre a un avambraccio e/o un gomito, la parte inferiore del tronco e gli arti inferiori, in primo luogo la gamba che rimane sotto. La posizione laterale con appoggio sul gomito è il primo passaggio verso la posizione seduta. Appare per la prima volta circa nello stesso periodo in cui il bambino inizia a strisciare sul ventre.

2.1.2 Movimenti possibili

La testa si muove liberamente. Il bambino riesce a piegare il tronco, per sollevarlo dal piano d’appoggio, e lo può ruotare anche avanti e indietro. Gli arti superiori: il braccio che non è in appoggio può essere mosso liberamente. L’avambraccio o il gomito che servono da sostegno possono essere spostati solamente contro al piano d’appoggio. Il bambino è libero di usare le mani per manipolare. Gli arti inferiori: la coscia si muove liberamente, quando non viene usata per mantenere l’equilibrio. La gamba rimane mobile, sebbene non in ugual misura.

2.1.3 Spostamenti dalla posizione laterale con appoggio sul gomito

Nello sviluppo motorio autonomo non è stato osservato alcuno spostamento in questa posizione.

2.1.4 Cambiamenti di posizione per abbandonare o assumere la posizione laterale con appoggio sul gomito.

2.1.4.1 Il bambino si stende sul fianco, facendo scivolare il braccio sul piano d’appoggio e stendendolo allo stesso modo anche testa e spalla. Dalla posizione coricata su un fianco si alza nella posizione con il gomito in appoggio, spingendo su questo o su un avambraccio e

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sollevando la testa e la spalla dal piano.

2.1.4.2 Si sdraia sulla schiena, abbassandola, ruota indietro il busto e posa testa e spalle sul piano d’appoggio. Dalla posizione sul dorso, si gira su un fianco, solleva dal piano d’appoggio la testa e le spalle e, puntando, un avambraccio, raggiunge la posizione laterale con il gomito in appoggio.

2.1.4.3 Si stende sul ventre, ruota il busto in avanti distendendo più o meno completamente le gambe. Dalla posizione ventrale, si volta su un fianco, spinge su un avambraccio e, piegando le gambe in maggiore o minore misura, assume la posizione laterale con appoggio sul gomito.

2.1.4.4 Si mette in posizione semi seduta: stende il braccio in appoggio, piega la gamba che sta sotto e si sostiene sulla mano. Di qui si corica nella posizione laterale sul gomito piegando il braccio in appoggio.

2.1.4.5 Il bambino si siede quando solleva l’avambraccio e la mano dal piano d’appoggio e raddrizza il busto. Dalla posizione seduta si corica in quella laterale con il gomito appoggiato, inclinandosi da una parte e spostando il peso del corpo sull’avambraccio.

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2.2 POSIZIONE SEMISEDUTA CON APPOGGIO SU UNA MANO

2.2.3 Posizione statica fondamentale

Diciamo che il bambino è in posizione semi-seduta con appoggio su una mano e, con il braccio teso, tiene il busto sollevato in modo tale che la maggior parte del peso del tronco sia sopportata dal gluteo corrispondente alla mano in appoggio.

Le gambe sono piegate, una può anche avere il ginocchio sollevato e il piede in appoggio. Il peso è sostenuto principalmente dalla gamba che sta sotto. La posizione seduta laterale con la mano in appoggio compare dopo la posizione laterale sul gomito e prima della posizione seduta senza appoggio.

2.2.4 Movimenti possibili.

La testa si muove liberamente. Può ruotare e inclinare il tronco verso la mano in appoggio oppure nella direzione opposta, all’indietro; può anche inclinarsi e piegarsi in avanti. Gli arti superiori: Il braccio in appoggio può essere spostato solamente a contatto del piano, variando l’angolo di flessione del gomito. L’altro braccio si muove liberamente. Gli arti inferiori: generalmente le gambe fanno parte della superficie d’appoggio e quindi possono essere mosse solamente su di esso.

2.2.5 Spostamenti nella posizione semi-seduta con appoggio su una mano.

Non è stato osservato nessuno spostamento in questa posizione.

2.2.6 Cambiamenti di posizione per abbandonare o per assumere la posizione semi-seduta con appoggio su una mano.

2.2.7 Il bambino scende nella posizione laterale con appoggio sul gomito, facendo scivolare il braccio in appoggio e piegando il gomito.

Dalla posizione laterale sul gomito si alza in posizione seduta laterale con la mano appoggiata, stendendo il braccio in appoggio.

2.2.4.2 Si stende sul ventre, girandosi verso il piano d’appoggio stendendo le gambe e sostenendosi con il braccio libero. A volte piega anche i gomiti. Dalla posizione ventrale, può alzarsi

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direttamente in posizione essendo coricato, stia già puntando con le mani e le braccia distese: allora si volta sul fianco, piega le gambe e solleva il braccio libero.

2.2.4.3 Si mette a quattro gambe sulla ginocchia, ruotando il busto sollevando i glutei e appoggiando mani e ginocchia. Dalla posizione a quattro gambe, assume la posizione seduta laterale con appoggio sulla mano abbassando lateralmente il sedere, portandolo accanto ai piedi e sollevando una mano.

2.2.4.4 Si mette a sedere eretto, partendo dalla posizione ventrale fa scivolare la mano d’appoggio spostando il peso del tronco su entrambe le ossa ischiatiche. Così raddrizza il busto, in modo che il braccio in appoggio viene liberato dal peso del tronco e si può muovere. Da seduto, il bambino assume la posizione laterale con la mano in appoggio inclinando il tronco da una parte e sorreggendosi in parte anche su braccio teso e la mano aperta.

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2.3 POSIZIONE A QUATTRO GAMBE

2.3.1 Posizione statica fondamentale.

Diciamo che il bambino sta a quattro gambe quando si tiene in appoggio sulle ginocchia, sulle ginocchia, sul dorso o sulle dita dei piedi e sulle mani o sugli avambracci.

Il troco è completamente sollevato dal piano di appoggio e quasi parallelo ad esso. La posizione della testa è generalmente determinata dalla direzione in cui il bambino guarda e influisce anche sul modo di tenere il dorso, che può essere dritto o incurvato verso l’alto o verso il basso. I gomiti possono essere distesi o piegati.

La posizione a quattro gambe rimane prevalentemente il presupposto fondamentale dello spostamento, fino a camminare con sicurezza.

2.3.2 Movimenti possibili

La testa si muove liberamente.

Il bambino può piegare e ruotare il busto da entrambe le parti. I due movimenti possono essere combinati. A seconda di dove il bambino dirige lo sguardo o di come tiene la testa, il tronco può essere dritto o incurvato verso l’alto o verso il basso.

Gli arti superiori: mentre si sostiene con una mano e con entrambe le ginocchia, muove l’altro braccio liberamente.

Gli arti inferiori: se si sostiene con entrambe le mani e un solo ginocchio, muove l’altra gamba liberamente.

Movimenti simultanei degli arti superiori e inferiori: può sollevare per un attimo il braccio e una gamba contemporaneamente, generalmente quelli opposti. Prima di iniziare a spostarsi a quattro gambe, si esercita a distribuire il peso avanti e indietro, dondolandosi in questa posizione.

2.3.3 Spostamenti nella posizione a quattro gambe.

2.3.3.1 Andare a quattro gambe sulle ginocchia ( gattonare, andare a carponi, per altri autori): il bambino cambia appoggio spostando il peso da una mano e dal ginocchio opposto all’altra mano e l’altro ginocchio, mentre contemporaneamente sposta in avanti gli altri arti che non sono in appoggio. Così facendo avanza. Quando il bambino cammina a quattro gambe, le ginocchia e le anche sono piegate e il

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tronco è sollevato dal piano d’appoggio. Talvolta si appoggia anche sugli avambracci.

Diverse possibilità per camminare a quatto gambe:

spostarsi su un fondo liscio o irregolare; entrare e uscire da un oggetto cavo; strisciare sotto attrezzi o mobili; salire o scendere da uno oggetto; percorrere una lieve discesa o le scale.

L’andare a quattro gambe, nella successione dei movimenti si spostamento, generalmente compare dopo lo strisciare e prima dell’andatura dell’orso e del camminare.

Per giocare anche i bambini che sanno già camminare bene continuano ad avanzare a quattro gambe.

2.3.4 Cambiamenti di posizione per assumere o abbandonare la posizione a quattro gambe.

2.3.4 Il bambino si stende sull’addome, facendo scivolare le mani e le ginocchia e portando il busto contro il piano d’appoggio. Dalla posizione ventrale si alza sulle quattro gambe, puntando mani e ginocchia e sollevando il busto.

2.3.4.2 Il bambino assume la posizione semi-seduta laterale con l’appoggio di una mano e di uno dei glutei fra la mano d’appoggio e il tallone dello stesso lato. Da tale posizione si alza a quattro gambe ruotando il tronco, sollevando il sedere e spostando il peso sulle ginocchia e sulle mani.

2.3.4.3 Si mette seduto raddrizzando il tronco fino alla verticale e appoggiando il sedere sui talloni o fra i talloni con le gambe piegate e divaricate oppure a sinistra o a destra dei talloni sul piano d’appoggio. Da seduto, si mette a quattro gambe, sollevando il sedere e sostenendosi con le mani e le ginocchia.

2.3.4.4 Si alza nella posizione eretta in ginocchio, dapprima tenendosi, poi senza sostegno, raddrizzando il tronco e caricando il peso sulle ginocchia e sulle cosce. Dalla posizione in ginocchio, assume quella quattro gambe, chinandosi in avanti e appoggiando le mani.

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2.4 POSIZIONE DLL’ORSO

2.4.1 Posizione statica fondamentale

Il bambino è nella posizione dell’orso quando si appoggia sulle mani e sulla pianta dei piedi, tenendo le braccia e le gambe più o meno tese. Riesce a mantenere l’equilibrio anche con tre soli punti di appoggio. Il tronco si allontana dal pavimento e dal piano orizzontale quanto più le gambe sono tese e le braccia in verticale o quasi. In questa posizione i piedi sono volti in avanti. La testa è più bassa del bacino, a volte viene anche usata come punto d’appoggio.

2.4.2 Movimenti possibili

La testa si muove liberamente.

Riesce a piegare o ruotare il busto da entrambe le parti. È possibile anche la combinazione di due movimenti.

A seconda della posizione in cui volge lo sguardo e della posizione in cui tiene la testa, il dorso può essere diritto o arcuato, verso l’alto o verso il basso.

Gli arti superiori: il braccio che non è d’appoggio si può muovere liberamente. Gli arti inferiori: la gamba che non è d’appoggio si può muovere liberamente .

Movimenti simultanei degli arti superiori e inferiori: per qualche istante il bambino può alzare contemporaneamente la mano e la gamba opposte.

2.4.3 Spostamenti nella posizione dell’orso

2.4.3.1 Nell’andatura dell’orso il bambino si muove in avanti a passi alternati, per farlo solleva una mano o un piede soltanto, oppure contemporaneamente i due arti opposti.

Ecco le diverse possibilità per usare la posizione dell’orso:

Può avanzare su un fondo liscio o irregolare o passare sotto gli oggetti. Può entrare e uscire da un oggetto cavo, salire e scendere da un lieve pendio, percorrere nei due sensi una scala a pioli o gradini, mandando avanti la testa oppure i piedi.

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2.4.4. Cambiamenti di posizione per abbandonare o assumere la posizione dell’orso.

2.4.4.1 Si mette a quattro gambe flettendo le ginocchia e appoggiandole a terra. Di qui assume la posizione dell’orso, distendendo le gambe e appoggiando le piante dei piedi.

2.4.4.2 Il bambino si accovaccia, flettendo le ginocchia, spostandosi sulla piante dei piedi e raddrizzando il busto. Le mani possono essere sul piano d’appoggio o sollevate. Dalla posizione accucciata assuma la posizione dell’orso chinandosi in avanti, appoggiando le mani e distendendo in misura maggiore o minore le ginocchia.

2.4.4.3 Si alza in piedi, raddrizzando progressivamente il busto e, tenendo di solito le gambe divaricate con un angolo di flessione più o meno ampio delle anche e delle ginocchia, distribuisce il suo peso sulle piante dei piedi. Si alza in piedi afferrandosi a un oggetto stabile oppure senza sostegno, dopo essersi dato una spinta con le mani sul pavimento. Dalla posizione eretta scende in quella dell’orso, piegandosi in avanti, e appoggiando entrambe le mani a terra.

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2.5 POSIZIONE ERRETTA SULLE GINOCCHIA

2.5.1 Posizione statica fondamentale.

Il bambino è eretto sulle ginocchia quando tiene il busto più o meno verticale e carica il suo peso sulle ginocchia. Contribuiscono all’appoggio anche il dorso o le dita dei piedi. Il sedere non ha contatto con i piedi, né con il pavimento. Le anche possono essere distese o leggermente piegate. Il bambino tiene la testa eretta, salvo che non segua la direzione dello sguardo. All’inizio si tiene con entrambe le mani o con una;; più avanti si mette in ginocchio anche senza sostegno. Può anche toccare terra con le mani, senza per questo appoggiarsi. Quando sta in ginocchio su una gamba sola, carica il peso prevalentemente sul ginocchio in appoggio, ma anche in parte sul piede dell’altra gamba, di solito piegato.

2.5.2 Movimenti possibili.

La testa si muove liberamente.

Può piegare il tronco lateralmente, in avanti e indietro e lo può anche ruotare a destra e a sinistra. Questi tre momenti possono anche essere combinati tra loro. Gli arti superiori: se il bambino usa le mani per tenersi, egli può solamente piegare o distendere le braccia. Se si tiene con una mano sola, egli può muovere liberamente un braccio; se non si tiene affatto può muovere entrambe le mani.

Gli arti inferiori: il bambino può piegarli e distenderli in corrispondenza delle anche e sollevare o appoggiare davanti a sé, alternativamente un piede o l’altro.

2.5.3 Spostamenti nella posizione sulle ginocchia.

2.5.3.1 Camminare sulle ginocchia: quando è eretto in ginocchio, il bambino può avanzare tendendo anche il busto eretto o leggermente inclinato avanti, caricando il peso su un ginocchio e spostando avanti l’altro alternativamente. Quando avanza sulle ginocchia, può tenersi oppure muoversi senza sostegno.

2.5.4 Cambiamenti di posizione per abbandonare o assumere la posizione eretta sulle ginocchia.

2.5.4.1 Il bambino scende sulle quattro gambe piegando il busto in avanti appoggiando le mani a terra. Dalla posizione a quattro gambe

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si alza eretto in ginocchio, sollevando le mani da terra e mantenendosi in equilibrio sulle ginocchia. Per farlo, si attacca a qualcosa oppure si alza senza sostegno.

2.5.4.2 Si mette seduto, appoggiando il sedere sui talloni o in mezzo ad essi. Da seduto si alza eretto in ginocchio, distendendo le anche e sollevando il sedere.

2.5.4.3 Il bambino si accovaccia, tenendosi con la mano a qualche oggetto oppure appoggiandosi al pavimento, spostando il peso sul lato di appoggio, sollevando l’altro ginocchio e appoggiando a terra completamente la pianta del piede. Allo stesso modo appoggia anche il secondo piede. In posizione accovacciata si alza eretto sulle ginocchia, appoggiandole a terra e stendendo le anche in misura maggiore o minore. Per farlo può attaccarsi o no a un sostegno.

2.5.4.4 Si alza in piedi, generalmente passando dalla posizione in ginocchio su una gamba, appoggiando quindi un piede davanti a sé e caricandolo con il suo peso. Per alzarsi distende il ginocchio e l’anca;; porta in avanti anche il secondo piede e distribuisce il peso su entrambi. D alla posizione in piedi, si mette in ginocchio appoggiando contemporaneamente entrambe le ginocchia oppure inginocchiandosi dapprima su una gamba sola.

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2.6 POSIZIONE ACCOVACCIATA.

2.6.1 Posizione statica fondamentale.

Il bambino si accovaccia quando, con le anche e le ginocchia piegate al massimo, mantiene l’equilibrio in asse sopra i talloni. Di solito il tronco è poco inclinato in avanti. La posizione della testa è determinata dalla direzione dello sguardo. Le natiche sono molto vicine al pavimento, ma non lo toccano. D Di solito le gambe sono divaricate, con i piedi rivolti in avanti. Braccia e mani possono contribuire al mantenimento dell’equilibrio: il bambino teneva una o entrambe per attaccarsi a qualcosa pe appoggiarsi a terra, oppure come contrappeso.

2.6.2 Movimenti possibili.

La testa si muove liberamente.

Il bambino può piegare il busto o ruotarlo lateralmente. Può anche compiere i due movimenti insieme.

Gli arti superiori: quando si tiene in appoggio su una mano sola, gli rimane libero solo un braccio, se mantiene la posizione senza alcun sostegno, può utilizzare liberamente entrambe le mani. Gli arti inferiori: il grado di flessione e di divaricazione può essere variabile.

2.6.3 Spostamenti nella posizione accovacciata.

È raro che il bambino si sposti stando accovacciato ed eventualmente ciò avviene quando ha già imparato a camminare. Comunque i sistemi per avanzare in tale posizione sono due: nell’andatura “ dell’anatra” si muove in avanti a piccoli passi, si appoggia con le mani al pavimento oppure senza sostegno; quando salta a ranocchio, da accovacciato, distende le braccia in avanti, sposta il suo peso fino ad appoggiare le mani a terra, poi avvicina le gambe alle mani con un piccolo salto. Per farlo, solleva il sedere e si dà la spinta spingendo con i metatarsi e con le dita dei piedi. Poi carica il nuovo peso sui piedi e stende le braccia per il salto successivo.

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2.6.4 Cambiamenti di posizione per abbandonare o per assumere la posizione accovacciata.

2.6.4.1 Il bambino si mette a quattro gambe piegandosi in avanti e distribuendo il peso sulle mani e sulle ginocchia. Sposta il peso sulle piante dei piedi e, dopo aver raddrizzato il busto, assume la posizione accovacciata.

2.6.4.2 Assume la posizione dell’orso, piegandosi, appoggiando aa terra mani e piedi e stendendo le ginocchia. Dalla posizione dell’oro, si accovaccia flettendo le ginocchia, spostando il peso sulle piante dei piedi e raddrizzando il busto. Tiene le mani sollevate o le lascia appoggiate a terra.

2.6.4.3 Il bambino s’inginocchia portando il peso in avanti, appoggiando le ginocchia a terra, con le anche più o meno distese e il busto eretto. Dalla posizione in ginocchio eretta, si accovaccia, sollevando le ginocchia da terra e spostando il peso sulle piante dei piedi. Con le mani si dà la spinta necessaria per alzarsi da terra oppure si attacca a un oggetto stabile. Altre volte si accovaccia senza tenersi.

2.6.4.4 Il bambino si mette seduto, spostando il peso dai piedi ai glutei e abbassandosi fino a terra. Da seduto, è raro che si metta direttamente in posizione accovacciata; se mai, lo fa quando si trova davanti a qualcosa cui si può attaccare.

2.6.4.5 Il bambino si alza in piedi distendendo le articolazioni delle ginocchia e delle anche, di solito a gambe divaricate. Per farlo si attacca saldamente a qualcosa, o si dà una piccola spinta con le mani a terra oppure si alza completamente senza sorreggersi. Dalla posizione in piedi, tenendosi a qualcosa o senza sostegno, si accovaccia, piegando ginocchia e anche.

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La posizione seduta

3.1 IL BAMBINO STA SEDUTO

3.1.3 Posizione statica fondamentale.

Il bambino sta seduto quando riesce a mantenere il busto eretto in equilibrio sulle natiche. Quando è seduto a terra, con le gambe piegate o tese, aumenta la superficie d’appoggio. Se si siede su qualche oggetto adatto, il contatto della pianta dei piedi con il pavimento lo aiuta a mantenersi eretto in equilibrio.

Quando è sicuro in questa posizione, generalmente tiene il bacino dritto. Anche la testa è eretta sulla colonna vertebrale completamente distesa, quando non segue la direzione dello sguardo. Anche la schiena resta dritta, sia che il bambino sieda a terra sia su qualcosa di più alto, e non è appoggiata, nemmeno se il sedile ha lo schienale.

I bambini che sanno mantenere bene la posizione seduta si appoggiano ancora a terra talvolta con una o entrambe le mani oppure si afferrano a un sostegno.

Grazie a tutti gli altri movimenti (strisciare, quattro gambe e le posizioni transitorie) infatti, la muscolatura del tronco si irrobustisce e il bambino riesce a tenere la schiena sempre più dritta avendo un equilibrio maggiore.

È capace di stare seduto, quando si siede da sdraiato o in piedi senza aiuto, senza attaccarsi a un sostegno e non ha bisogno di appoggiare la schiena, né le mani per mantenere l’equilibrio. Sa stare seduto, quando è in grado di variare o abbandonare da sé la posizione e riesce, stando seduto, a muovere liberamente la testa, il tronco e gli arti superiori senza perdere l’equilibrio.

Il bambino messo in posizione seduta, o mantenuto in tale posizione da oggetti, sostegni, o con l’aiuto dell’adulto, non è considerato capace di star seduto, sino a quando non raggiungerà la posizione autonomamente. La definizione corretta, infatti, sarebbe “mantiene la posizione seduta”.

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3.1.4 Movimenti possibili.

La testa si muove liberamente. Il bambino può piegare e ruotare il tronco da entrambe le parti, può chinarsi in avanti o indietro. Inoltre può inclinare il busto eretto in avanti o indietro, flettendo le articolazioni delle anche. Gli arti superiori: si possono muovere liberamente, se non svolgono una funzione di sostegno. Gli arti inferiori: contribuiscono in maniera decisiva a mantenere il busto in posizione eretta, soprattutto grazie alla mobilità delle anche. Se il bambino siede a terra, a seconda della posizione, può muovere liberamente una o entrambe le gambe, piegandole, distendendole, o ruotandole sul piano d’appoggio.

3.1.5 Spostamenti in posizione seduta.

Nello sviluppo motorio autonomo non si registrano spostamenti in questa posizione, visto gli schemi acquisiti dal bambino, e utilizzati in precedenza. A volte è stato comunque osservato lo strisciare in posizione seduta: il bambino stando seduto, mette in appoggio alternativamente mani o piedi e, con le ginocchia piegate, sposta il seder in avanti strisciando a terra. ( schema osservato solo in bambini che aveva avuto minori occasioni di altri spostamenti, per malattie o difficoltà motorie)

3.1.6 Cambiamenti di posizione per abbandonare o assumere la e sulle ginocchia.

3.1.6.1 Il bambino si mette semi-seduto con appoggi quando inclinato il tronco lateralmente e si appoggia sulla mano, tenendo il braccio teso. Dalla posizione laterale in appoggio si mette in posizione seduta distribuendo il peso sulle ossa ischiatiche, liberando la mano in appoggio.

3.1.6.2 Assume la posizione laterale con appoggio sul gomito, inclinandosi lateralmente e appoggiandosi sull’avambraccio. Dalla posizione laterale a gomito appoggiato, dallo stesso lato si spinge sull’avambraccio e sulla mano per staccarsi dal piano di appoggio e raddrizza il tronco fino a trovarsi in posizione seduta.

3.1.6.3 Il bambino si mette a quattro gambe partendo dalla posizione seduta laterale o sui talloni o fra i talloni, appoggiandosi su entrambe le mani, sollevando i glutei e caricando il peso sulle mani e sulle ginocchia. Da questa posizione raddrizza il busto e si

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mette a sedere, spostando il peso indietro e appoggiando i glutei sui talloni o fra i talloni oppure lateralmente, accanto ai talloni.

3.1.6.4 Il bambino si mette eretto in ginocchio quando, stando seduto sui talloni o fra essi, solleva i glutei e sposta il peso sulle ginocchia. Dalla posizione eretta in ginocchio, si siede, abbassando il sedere sui talloni o fra essi. Il tronco non perde la posizione eretta.

3.1.6.5 Il bambino si può alzare in piedi direttamente da seduto solamente se si alza da un sedile rialzato da terra, con le piante dei piedi appoggiate a terra. Sposta il carico del busto inclinandolo in avanti e si alza in piedi distendendo le articolazioni delle anche e delle ginocchia . Quando è in piedi, può direttamente sedersi solo se si siede su un oggetto rialzato da terra. Inclina il busto in avanti, piega le anche e le ginocchia e appoggi il sedere, spostando il peso dalla pianta dei piedi alle ossa ischiatiche.

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4.1 IL BAMBINO STA IN PIEDI

4.1.1 Posizione statica fondamentale.

Diciamo che il bambino sta in piedi quando si mantiene completamente l’equilibrio, bilanciandosi sulla pianta dei piedi in posizione più o meno eretta. Se il peso del corpo è caricato al centro della pianta dei piedi, il carico sarà distribuito fra punta e il tallone. Il peso, distribuito in questo modo, contribuisce a formare l’arco nei piedi, tenuti paralleli e anche nei casi in cui all’inizio siano rivolti verso l’interno.

Dapprima si tiene con entrambe le mani o una sola, oppure tenta di mantenere l’equilibrio con le braccia e le mani. Più avanti, quando cammina con tranquillità, senza bisogno di tenersi, abbandona le braccia lungo il corpo. Generalmente inizia a stare in piedi con le gambe divaricate, le ginocchia e le anche leggermente piegate e, di conseguenza, il busto non perfettamente eretto. A volte i piedi sono rivolti all’esterno.

Più tardi, quando è capace di mantenersi in piedi con le gambe unite e le ginocchia e le anche tese, tiene i piedi rivolti in avanti. Il bambino è realmente in grado di stare in piedi quando sa alzarsi da solo, senza essere aiutato, e in questa posizione, riesce a muovere liberamente testa, tronco, braccia e gambe senza perdere l’equilibrio. Viceversa, non sa stare in piedi de l’adulto che lo alza e che lo tiene sotto le ascelle o per le mani. In questo caso il piccolo , infatti, riesce solo a puntare i piedi verso terra, spesso toccando il suolo solo con le punte o i talloni.

4.1.2 Movimenti possibili.

La testa si muove liberamente.

Il tronco, gli arti superiori ed inferiori si muovono liberamente in tutte le direzioni . Gli arti inferiori: la mobilità delle caviglie gli consente di mantenere l’equilibrio quando è in piedi. Il bambino generalmente tiene appoggiati a terra entrambi i piedi e, finché sta in piedi reggendosi a un sostegno, fa largo uso della flessione e della distensione delle ginocchia e delle anche: ondeggia. Se riesce, con o senza sostegno a stare in piedi su un piede solo, può muovere liberamente l’altra gamba in tutte le direzioni.

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4.1.3 Spostamenti in piedi.

4.1.3.1 Quando il bambino compie qualche passo reggendosi a un sostegno, non significa ancora che sappia davvero camminare, anche se i piedi sono rapidi e sicuri. Quando cambia piede ancora, si tiene a qualche sostegno o sbarre. Può anche attaccarsi alternativamente a diversi oggetti stabili e spostarsi inizialmente compiendo piccoli passi laterali, con i piedi paralleli. Né sa camminare quando compie qualche passo guidato dall’adulto per due o una sola mano o sorretto da particolari oggetti.

4.1.3.2 Il bambino cammina quando si muove da solo con il busto eretto, spostando a ogni passo il peso del corpo da un piede all’altro, senza bisogno di attaccarsi per mantenere l’equilibrio. Quando cammina, ha sempre un piede a terra, i piedi non sono mai sollevati contemporaneamente. Sa farlo su un fondo liscio o irregolare, su un piano orizzontale o inclinato. Sa salire e scendere le scale, dapprima usando sempre lo stesso piede, percorrendo un gradino alla volta, poi alternando i piedi per scendere uno scalino dopo l’altro.

4.1.3.2.1 Il bambino fa alcuni pasi senza sostegno , avanza con incertezza, mantenendo l’equilibrio con le braccia aperte. Di solito procede a piccoli passi, a gambe divaricate, piedi rivolti avanti e le dita dei piedi come se volessero afferrare il terreno. Tutta l’attenzione del bambino è rivolta a mantenere l’equilibrio;; si aiuta anche bilanciandosi con le mani per mantenere a ogni passo il peso al centro del piede. Spesso compie i primi passi senza sostegno tenendo un giocattolo in mano, come se cercasse un appiglio, andatura che caratterizza le prime settimane che seguono il momento in cui il bambino si è messo in piedi per la prima volta, da solo.

4.1.3.2.2. Il bambino cammina con sicurezza, quando riesce con facilità a cambiare direzione mentre cammina; si arresta rimanendo in piedi senza difficoltà e riprende a camminare altrettanto facilmente. Non appoggia le mani e non si attacca a nulla.

4.1.4 Cambiamenti di posizione per abbandonare o per assumere la posizione in piedi.

4.1.4.1 Si accovaccia quando, generalmente a gambe divaricate, flette del tutto le articolazioni delle anche, delle ginocchia e dei piedi. Dalla posizione accovacciata si alza in piedi stendendo le gambe.

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4.1.4.2 Si mette in ginocchio eretto appoggiando a terra prima un ginocchio, poi l’altro oppure entrambi insieme. Di qui, si alza in piedi, le prime volte tenendosi con le due mani o con una sola, appoggiando un piede davanti a sé e poi caricando il peso su di esso, poi sull’altro e quindi alza tenendo le ginocchia.

4.1.4.3 Il bambino assume la posizione dell’orso chinandosi e appoggiando le mani al pavimento. Il bambino abbandona la posizione dell’orso e si alza in piedi, spostando il peso sulla pianta dei piedi e raddrizzando progressivamente il tronco. Piò attaccarsi a un mobile oppure alzarsi senza sostegno, dandosi una spinta da terra con le mani. Questo modo di alzarsi precede immediatamente i primi passi o compare nel medesimo periodo.

4.1.4.4 Quando è in piedi, si può sedere direttamente solo su un sedile rialzato da terra, inclinando in avanti il busto, piegando le ginocchia e le anche e, mentre il sedere è appoggiato, sposta il peso dalla pianta dei piedi alle ossa ischiatiche. Si può alzare in piedi direttamente da solo se è seduto su un oggetto rialzato da terra, con le piante dei piedi a contatto del pavimento. Inclina il busto in avanti, carica il peso della parte superiore del corpo sui piedi e si alza, distendendo le articolazioni delle anche e delle ginocchia. In tutti questi movimenti può tenersi oppure agire senza sostegno.

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Le ricerche scientifiche svolte dalla pediatra, madre e direttrice del centro Lóczy, Emmi Pikler, hanno reso possibile la creazione di questi affascinanti studi sullo sviluppo motorio del bambino, donando a esperti, studiosi, professionisti, ma soprattutto alle famiglie e i loro bambini, un metodo educativo mirato a favorire, realmente, lo sviluppo del bambino.

Attraverso l’osservazione dei disegni, che accompagnano l’opera di EP, è possibile vedere come lo sviluppo motorio spontaneo, permetta al bambino di scoprire se stesso, l’ambiente, il movimento, il piacere, secondo le sue originali iniziative, sostenute da una sicurezza corporea, affettiva, e ambientale.

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Psicomotricità: prevenzione e educazione nella primissima infanzia

Ancora oggi, gli studi e le ricerche di Emmi Pikler sono alla base dei metodi utilizzati in educazione attiva, e applicati da molteplici professionisti nell’approccio al bambino.

In molti paesi europei, è il principale metodo utilizzato nelle istituzioni pubbliche, sostenendo la genitorialità, con percorsi educativi, e favorendo lo sviluppo dei bambini all’interno degli asili nido; è di riferimento per l’educazione in Argentina, e da alcuni anni in America.

In Italia, cresce sempre di più l’interesse verso questa visione dello sviluppo del bambino, inizialmente approfondita solo da alcuni specialisti della primissima infanzia, e ora seguita da asili nido, educatori e psicomotricisti che decidono di applicare le norme per uno sviluppo autonomo e spontaneo del bambino.

Nonostante questo, sono ancora solo accenni, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti dell’approccio educatore-bambino, adulto-bambino e ambiente–bambino, che seguono ancora oggi, metodologie culturalmente ben insediate, ma a mio parere discutibili.

Se si esaminano da questo punto di vista i sistemi educativi correnti, si vede, invece, che ci sono molte circostanze che ostacolano l’attività dei bambini piccoli. Per esempio: il neonato viene coricato sulla pancia, secondo una pratica diffusa, non può per settimane muovere liberamente né gambe né braccia.

Verso i 5-6 mesi, quando potrebbe tentare nuovi movimenti, non gliene si lascia la possibilità, ponendolo in posizione seduta, sorretto da cuscini, o il più delle volte, il bambino non ha sufficiente spazio a disposizione per sperimentare le sue posizioni e i suoi movimenti.

Ancora oggi, molti bambini passano ore in un box, rotondo, di un metro di diametro dove non è possibile né rotolare, né strisciare.

Egli subisce le stesse costrizioni se posto in girelli, seggioloni, che non gli consentono di cambiare posizione o di raccogliere un giocattolo che gli è caduto dalle mani.

Inoltre, ho potuto spesso osservare come siano proposti ai bambini, giochi e oggetti, poco adatti ai loro mezzi e ai loro interessi.

Durante le mie esperienze a contatto con i bambini piccoli e il

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personale educativo presente all’interno di alcune istituzioni, ho osservato come spesso gli stessi atteggiamenti dell’adulto volti a stimolare il bambino, in realtà spesso siano il reale ostacolo del suo processo di sviluppo.

Soprattutto i bambini il cui ritmo di sviluppo in certi campi risulta essere più lento della media, sono particolarmente esposti a questo rischio, perché l’adulto li stimola a svolgere delle azioni in epoche in cui essi non hanno ancora né la maturità muscolare né cognitiva, rallentando ancora di più il suo sviluppo, e provocando nel bambino insoddisfazione e dispiacere dell’attività motoria.

Sono passivamente messi in posizioni sempre più evolute e si esigono da loro prestazioni sempre più in discordanza con ciò di cui sarebbero capaci da soli.

È così che spesso si rende un bambino dipendente, goffo, e maldestro un bambino in buona salute, il cui sviluppo era solo un po’ più lento.

Che i bambini abbiano poca capacità di prendere iniziativa, che preferiscano riprodurre che inventare, imitare piuttosto che realizzare idee individuali, è una preoccupazione attuale per gli educatori che si interessano dei piccoli, e ancor di più per chi si occupa delle teorie dell’educazione.

Come psicomotricista, sempre convinta che la motricità del bambino è il luogo d’integrazione di tutti gli aspetti specifici dello sviluppo e, che è anche l’ambito nel quale il bambino, anche piccolissimo, è in grado di fare e comunicare a un adulto che voglia capire le sue sensazioni e intenzioni, ho voluto approfondire gli studi di Emmi Pikler, perché lo reputo uno strumento efficacie, soprattutto negli ambiti preventivi educativi, appartenenti e indispensabili in psicomotricità.

Il metodo di ricerca di Emmi Pikler, si è basato sull’osservazione dell’attività del bambino nelle sue diverse condizioni nella vita quotidiana, ma invece di esaminare ciò di cui il bambino è o non è capace di fare in situazioni o età precise, ha dato maggior attenzione a ciò che il bambino sa fare e quando, autonomamente.

Da queste sue ricerche è nata una “ pedagogia del movimento” che propone il non intervento diretto dell’adulto nello sviluppo motorio del bambino e un’organizzazione appropriata, pensata e controllata di continuo così da permettergli di prendere l’iniziativa che corrisponde

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al suo livello di sviluppo.(come un vero setting psicomotorio)

Aspetti, che nella psicomotricità, sia in educazione sia in percorsi ri- educativi, sono sempre al centro dell’attività dello psicomotricista, ma che risultano difficili da ritrovare nei contesti educativi, sia scolastici, sia familiari.

Inoltre, parte centrale degli studi, è stato l’importanza di una relazione adulto-bambino stabile e sicura, a sostegno della sua autonomia e della sua affettività, con delle cure amorevoli e in cui il bambino sia partecipe: norme indispensabili per uno sviluppo globale armonioso.

Il riconoscimento dell’importanza madre-bambino nella comprensione della prima infanzia: attaccamento, relazione, prossimità, contatto, sono, pur con differenti articolazioni, le nozioni guida di molte teorie di psicologia, e inseriti in molti metodi educativi.

Ma nonostante questo, gli interventi dedicati a questo aspetto fondamentale, risultano essere più numerosi negli ambiti terapeutici del bambino, che in quelli preventivi-educativi a sostegno dei genitori e della primissima infanzia.

Per la conoscenza dello sviluppo motorio del bambino, degli aspetti della relazione madre-bambino, per la capacità di ascolto e osservazione, maturata, per le competenze relazionali raggiunte e per essere una disciplina globale del bambino, credo la psicomotricità possa essere applicata in modo efficacie in ambito preventivo –educativo.

Il metodo per uno sviluppo motorio spontaneo, trovo possa essere un valido modello, e strumento per lo psicomotricista, che pratica interventi in ambito preventivo ed educativo, complementare alle sue molteplici competenze e conoscenze teoriche e pratiche.

L’applicazione, infatti, di tali principi, per uno psicomotricista può essere sia all’interno di progetti rivolti alla maternità, alla genitorialità e a sostegno della primissima infanzia.

Solo in seguito ai miei approfondimenti, sugli studi e sulle applicazioni del metodo Pikler, con il contributo delle conoscenze e della formazione da psicomotricista che ho individuato una possibile proposta educativa che presenterò come parte conclusiva di questo testo.

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L’idea:

EMMI’S CARE, Associazione di psicomotricità per la crescita.

È nata durante il percorso di studi di psicomotricità e in seguito alle ricerche sulla primissima infanzia, svolte da un gruppo affiatato di psicomotriciste.

EMMI’S CARE... le cure di Emmi

Gli approfondimenti e le ricerche sugli studi della dott.ssa EMMI PIKLER hanno condotto alla realizzazione di un progetto destinato alle famiglie e alla primissima infanzia.

L’associazione EMMI’S CARE offre servizi preventivi educativi di psicomotricità, rivolti al sostegno della genitorialità e dell’educazione della primissima infanzia. I nostri servizi sono basati sui modelli educativi - didattici attivi e partecipativi del metodo Pikler, per lo sviluppo motorio spontaneo del bambino.

L’idea del progetto EMMI’S CARE, nasce dal desiderio di proporre la realizzazione di un centro di psicomotricità capace di sostenere la genitorialità e di favorire lo sviluppo del bambino, individuando, valorizzando lo sviluppo delle competenze sociali di tuti gli attori presenti in esso: bambini, genitori, e operatori, favorendo lo sviluppo della persona, della cooperazione sociale, in un’ottica di uno sviluppo globale sano del bambino e nella prospettiva del metodo educativo Pikler.

Con l’obiettivo di realizzare ed organizzare una struttura in grado di offrire sostegno alle donne in gravidanza, alla genitorialità e alla primissima infanzia, che si basi su modelli educativi-didattici attivi e partecipativi del metodo Pikler per la crescita.

Alice Gregori

Emmi’s Care

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