Assaggi di Filosofia · 2015. 4. 11. · colpo di stato. L’accusa di empietà, di aver corrotto i...

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Assaggi di Filosofia 1 Assaggi di Filosofia La capacità di stupirsi delle cose comuni I presocratici e Socrate Classe I sez. E a.s. 2014/15 prof. Leopoldo Cicala

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    Assaggi di Filosofia La capacità di stupirsi delle cose comuni

    I presocratici e Socrate

    Classe I sez. E

    a.s. 2014/15

    prof. Leopoldo Cicala

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    Introduzione

    Giornata soleggiata, eravamo appena usciti da scuola. Non era stato uno dei miei giorni migliori,

    ma il solo uscire da quella ghiacciaia era qualcosa di magnifico. Come d’abitudine eravamo i soliti

    cinque, che pur di non tornare a casa a sentire le quotidiane lamentele e qualche strigliata da parte

    dei genitori, ci trattenevano fino ad ora di pranzo.

    Era il mese di marzo, mancavano ancora alcuni mesi prima della fine dell’anno scolastico , ma per

    noi la chiusura della scuola era solo l’inizio di un nuovo percorso. Bisognava necessariamente

    scegliere cosa fare della nostra vita o quantomeno quale indirizzo scegliere per l’università.

    A dire la verità quasi tutti avevano un propria idea o un proprio sogno , ma alcuni non erano pronti

    a mettere a rischio il proprio futuro , altri non avevano le idee molto chiare e altri ancora non

    volevano neanche pensarci. Però c’è da dire che non si parlava d’altro in classe e fuori scuola. Così

    appena seduti a tavola in un ristorantino appartato in un piccolo vicoletto napoletano, tra le

    macchine in corsa e il vociare della folla , ordinammo il nostro pranzo.

    Si iniziava sempre con un discorsetto frivolo e scherzoso : “ Con chi è che sta quello?” “Davvero,

    ma io non ce li vedo proprio insieme , secondo me non era il caso…” .

    Ma alla fine si finiva sempre sullo stesso imminente argomento. Prima ancora di cominciare a

    parlare, arrivò la prima portata , una bella spaghettata al ragù.

    “Vi propongo un gioco: a turno ognuno di noi dice che decisione ha preso in queste settimane e ci

    spiega il perché?” dissi per rompere il ghiaccio, visto che si era creato un silenzio imbarazzante. La

    cosa di per sé era molto banale ma era l’unico modo per schiarirci le idee …

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    “Dopo cinque anni di liceo classico non potevo non scegliere la classica giurisprudenza, forse

    per quella vena polemica che mi appartiene, o semplicemente perché non sono mai riuscito a

    capire realmente “ Che cosa è giusto e che cosa è sbagliato ?”

    Il tema della giustizia è sempre stato presente nella mia vita come d’altronde tutte queste

    domande…”

    La libertà di pensiero

    Di Alessandra Buonaiuto

    «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni

    altro mezzo di diffusione.»

    Costituzione Italiana, art. 21

    Secondo Immanuel Kant la libertà di pensiero è “ la capacità di valersi del proprio intelletto senza la

    guida di un altro”

    Da sempre in ogni epoca storica la libertà di pensiero ha dovuto affrontare numerosi ostacoli

    prima di affermarsi come diritto garantito. La lotta storica per l’affermazione di questo diritto

    che è un bene e non un male per la società, è stata combattuta da una parte dalle autorità e dalla

    furiosa necessità del controllo e dall’altra dal popolo e dalla consapevolezza delle coscienze che

    l’unico modo per poter sopravvivere è preservare la mente e la propria libertà di opinione. Il

    pregiudizio, le credenze religiose, il tradizionalismo, l’oscurantismo hanno spesso arginato la

    capacità creativa della mente di spaziare.

    Molti nel corso della storia hanno esercitato la facoltà della loro creatività per suggerire che certe

    strade nelle quali andava la loro cultura erano sbagliate. Da Socrate a Galilei, a Gesu di Nazareth

    fino a Giordano Bruno, da Savanarola a Lucilio Vanini.

    Tuttavia nonostante la Costituzione Italiana al giorno d’oggi garantisca leggi che assicurino la

    libertà di pensiero, è probabile che essa non sia ben radicata in una società governata da cosi tanti

    mezzi di controllo.

    In effetti il problema della libertà di pensiero non è molto sentito dalle masse bensì da piccoli

    gruppi di persone che hanno il bisogno di esprimere la propria idea e il proprio dissenso. Uno di

    questi fu sicuramente Socrate che in una società estremamente libertina e corrotta come quella di

    Pericle, fungeva da minaccia per il sottile equilibrio creatosi in quel tempo. Siamo nel 399 a.C

    quando Socrate, filosofo ed educatore ateniese, sostiene la supremazia di un governo aristocratico,

    in netto contrasto quindi con la democrazia ateniese. Un vero e proprio pericolo considerando anche

    il fatto che aveva strette amicizie con alcuni aristocratici che qualche anno prima avevano tentato un

    colpo di stato. L’accusa di empietà, di aver corrotto i giovani e di aver introdotto nuovi culti ad

    Atene, come spiega Platone nell’Apologia di Socrate sono solo pretesti:

    “Inoltre, i giovani che hanno più tempo libero, cioè i figli dei più ricchi, mi frequentano per loro

    scelta, si divertono a sentirmi mettere alla prova le persone, e spesso mi imitano essi stessi e

    tentano di esaminarne altre. Così trovano - credo - una grande abbondanza di persone che sono

    convinte di sapere qualcosa ma sanno poco o nulla. E quelli che essi mettono alla prova si

    arrabbiano con me, invece che con se stessi, e dicono che un certo Socrate è oltremodo

    abominevole e corrompe i giovani. E se qualcuno chiede loro "facendo o insegnando che cosa?",

    non sanno che dire e per non apparire in imbarazzo, dicono tutto quello che hanno sottomano

    contro chi fa filosofia: insegna "ciò che sta per aria e ciò che è sottoterra", a "non credere negli

    dei" e a "fare del discorso più debole il più forte". Perché la verità - venire scoperti come persone

    che fanno finta di sapere ma non sanno - non gli piacerebbe dirla. Ed essendo - penso - ambiziosi,

    violenti e numerosi e parlando di me in maniera concertata e persuasiva, vi hanno riempito gli

    orecchi di robuste calunnie. Su questa base mi hanno attaccato Meleto, Anito e Licone: Meleto

    irritato per i poeti, Anito per gli artigiani e gli uomini politici, Licone per i retori. Così, come

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    dicevo in principio, mi stupirei se riuscissi a sradicare da voi, in così poco tempo, un pregiudizio

    divenuto così grande. Questa è la verità, cittadini ateniesi, e vi parlo senza nascondervi nulla,

    grande o piccolo che sia, e senza riserve. E so piuttosto bene che in questo modo mi rendo odioso -

    ma ciò è anche prova che dico la verità, che la calunnia contro di me è questa e queste ne sono le

    cause. E se le cercherete, ora o in futuro, vedrete da voi che è così. ”

    Come si evince dal brano la necessità dello stato a quell’epoca era limitare la libertà di pensiero

    per rafforzare le basi di un potere economico e politico “in bilico”.

    In effetti nel corso della storia questo processo “costruito” non è stato l’unico. Possiamo ben

    ricordare infatti, il processo a Galileo Galilei sostenitore della teoria copernicana

    eliocentrica sul moto dei corpi celesti in opposizione alla teoria aristotelico-tomaica

    sostenuta dalla Chiesa Cattolica. Galileo con la sua tesi scientifica metteva in discussione

    ciò che era scritto nelle Sacre Scritture e quindi fu ritenuto eretico. Qui riportata la lettera

    che Galileo spedì a Benedetto Castelli spiegando l’indipendenza della ricerca scientifica

    dalle Sacre Scritture.

    « potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori, in varii modi:

    tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel

    puro significato delle parole, perché così vi apparirebbono non solo diverse contradizioni,

    ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani

    e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, e anco

    talvolta l'obblivione delle cose passate e l'ignoranza delle future.

    Onde, sì come nella Scrittura si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso

    delle parole, hanno aspetto diverso dal vero, ma son poste in cotal guisa per accomodarsi

    alI'incapacità del vulgo, così per quei pochi che meritano d'esser separati dalla plebe è

    necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari

    per che siano sotto cotali parole stati profferiti »

    Tuttavia per la visione teocentrica e per l’assoluta fedeltà all’interpretazione allegorica-cristiana

    delle Sacre Scritture, Galileo fu costretto a negare la sua tesi pur di continuare gli studi e non essere

    esiliato. Qui riportata un frammento della sentenza:

    “Roma, 22 giugno 1633.

    Noi Gasparo del tit. di S.Croce in Gerusalemme Borgia; Fra Felice Centino del tit. di S.Anastasia,

    detto d'Ascoli; Guido del tit. di S.Maria del Popolo Bentivoglio; Fra Desiderio Scaglia del tit. di S.

    Carlo, detto di Cremona; Fra Ant.o Barberino. Detto di S.Onofrio; Laudivio Zacchia del tit. di

    S.Pietro in Vincoli, detto di S.Sisto; Berlingero del tit. di S. Agostino Gesso; Fabricio del tit. di

    S.Lorenzo in Pane e Perna Verospio: chiamati Preti; Francesco del tit. di S.Lorenzo in Damaso

    Barberino; e Marzio di S.ta Maria Nova Ginetto: Diaconi; per la misericordia di Dio, della S.ta

    Romana Chiesa Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l'eretica pravità Inquisitori

    generali della S.Sede Apostolica specialmente deputati;

    Essendo che tu, Galileo fig.lo del q.m. Vinc.o Galilei, Fiorentino, dell'età tua d'anni 70, fosti

    denunziato del 1615 in questo S.o Off.o, che tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata,

    ch'il Sole sia centro del mondo e imobile, e che la Terra si muova anco di moto diurno; ch'avevi

    discepoli, a' quali insegnavi la medesima dottrina; che circa l'istessa tenevi corrispondenza con

    alcuni mattematici di Germania; che tu avevi dato alle stampe alcune lettere intitolate Delle

    macchie solari, nelle quali spiegavi l'istessa dottrina come vera; che all'obbiezioni che alle volte ti

    venivano fatte, tolte dalla Sacra Scrittura, rispondevi glosando detta Scrittura conforme al tuo

    senso; e successivamente fu presentata copia d'una scrittura, sotto forma di lettera, quale si diceva

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    esser stata scritta da te ad un tale già tuo discepolo, e in essa, seguendo la posizione del

    Copernico, si contengono varie proposizioni contro il vero senso e autorità della sacra Scrittura;

    Volendo per ciò questo S.cro Tribunale provedere al disordine e al danno che di qui proveniva e

    andava crescendosi con pregiudizio della S.ta Fede, d'ordine di N. S.re e del'Eminen.mi e Rev.mi

    SS.ri Card.i di questa Suprema e Universale Inq.ne, furono dalli Qualificatori Teologi qualificate le

    due proposizioni della stabilità del Sole e del moto della Terra, cioè: Che il Sole sia centro del

    mondo e imobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica,

    per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura; Che la Terra non sia centro del mondo né

    imobile, ma che si muova eziandio di moto diurno, è parimente proposizione assurda e falsa nella

    filosofia, e considerata in teologia ad minus erronea in Fide. Ma volendosi per allora procedere

    teco con benignità, fu decretato dalla Sacra Congre.ne tenuta avanti N.S. a' 25 di Febr.o 1616, che

    l'Emin.mo S. Card. Bellarmino ti ordinasse che tu dovessi omninamente lasciar detta opinione

    falsa, e ricusando tu di ciò fare, che dal Comissario di S. Off.io ti dovesse esser fatto precetto di

    lasciar la detta dotrina, e che non potessi insegnarla ad altri, né difenderla né trattarne, al qual

    precetto non acquietandoti, dovessi esser carcerato; e in essecuzione dell'istesso decreto, il giorno

    seguente, nel palazzo e alla presenza del sodetto Eminen.mo S.r Card.le Bellarmino, dopo esser

    stato dall'istesso S.r Card.le benignamente avvisato e amonito, ti fu dal P. Comissario del S. Off.o

    di quel tempo fatto precetto, con notaro e testimoni, che omninamente dovessi lasciar la detta falsa

    opinione, e che nell'avvenire tu non la potessi tenere né difendere né insegnar in qualsivoglia

    modo, né in voce né in scritto: e avendo tu promesso d'obedire, fosti licenziato. E acciò che si

    togliesse così perniciosa dottrina, e non andasse più oltre serpendo in grave pregiudizio della

    Cattolica verità, uscì decreto della Sacra Congr.ne dell'Indice, col quale furono proibiti li libri che

    trattano di tal dottrina, e essa dichiarata falsa e omninamente contraria alla Sacra e divina

    Scrittura. E essendo ultimamente comparso qua un libro, stampato in Fiorenza l'anno prossimo

    passato, la cui inscrizione mostrava che tu ne fosse l'autore, dicendo il titolo Dialogo di Galileo

    Galilei delli due Massimi Sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano; ed informata appresso la

    Sacra Congre.ne che con l'impressione di detto libro ogni giorno più prendeva piede e si

    disseminava la falsa opinione del moto della terra e stabilità del Sole; fu il detto libro

    diligentemente considerato, e in esso trovata espressamente la transgressione del predetto precetto

    che ti fu fatto, avendo tu nel medesimo libro difesa la detta opinione già dannata e in faccia tua per

    tale dichiarata, avvenga che tu in detto libro con varii ragiri ti studii di persuadere che tu lasci

    come indecisa e espressamente probabile, il che pur è errore gravissimo, non potendo in niun modo

    esser probabile un'opinione dichiarata e difinita per contraria alla Scrittura divina.”

    Successivamente con l’affermarsi del governo nazi-fascista in Germania con a capo Adolf Hitler,

    Joseph Paul Goebbels, Ministro della propaganda e dell’informazione del governo dittatoriale di

    Hitler, parlo cosi la notte del 10 maggio 1933 al rogo dei libri.

    «Studenti, uomini e donne tedesche, l'era dell'esagerato intellettualismo ebraico è giunto alla fine.

    Il trionfo della rivoluzione tedesca ha chiarito quale sia la strada della Germania e il futuro uomo

    tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con

    tale scopo che vogliamo educarvi. Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare

    DIRETTAMENTE gli occhi impietosi della vita. Vogliamo educare i giovani a ripudiare la paura

    della morte allo scopo di condurli a rispettare la morte. Questa è la missione del giovane e

    pertanto fate bene, in quest'ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del

    passato. È un'impresa forte, grande e simbolica, un'impresa che proverà al mondo intero che le

    basi intellettuali della repubblica di Novembre si sono sgretolate, ma anche che dalle loro rovine

    sorgerà vittorioso il padrone di un nuovo spirito».

    Bruciare i libri infatti era un’azione tanto forte quanto propedeutica al controllo delle menti

    secondo il pensiero fascista. Riformare il “pensiero” ed eliminare la letteratura era un modo per

    dominare le menti ed evitare che leggendo le masse potessero consapevolizzarsi a tal punto da

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    ribellarsi. Erano gli anni trenta, quelli della condanna all’intellettualismo e alle filosofie astratte.

    Anni di repressioni, della paura dell’autonomia di pensiero.

    Ebbene in questo caso come negli altri due, nel caso di Socrate e Galileo, si evince la necessità da

    parte della società di limitare la libertà di pensiero.

    Negli anni però molti sono stati i martiri che hanno dato la vita al fine di rendere la società libera, e

    in una repubblica democratica come la nosta è garantita la libertà di pensiero. E’ curioso tuttavia

    capire quanto i mass media, i social network e il mondo della pubblicità influenzino enormemente

    il libero pensiero. Come dice Roberto di Cosmo ( professore informatico) nell’intervista rilasciata

    al programma televisivo “ Mediamente” della RAI, il potere informatico è potentissimo e “ la vera

    ricchezza sarà il controllo dell’informazione”. In effetti il potere informatico ha la capacità di

    accumulazione, memorizzazione, elaborazione e trasmissione dei dati personali, che conferisce un

    potere conoscitivo prima sconosciuto e che consente di attuare una sorveglianza occulta,

    onnipresente, pervasiva dei comportamenti privati. I mass media poi, sono strumenti di

    comunicazione di massa necessari per la funzionalità di una grande democrazia, ma anche per una

    buona dittatura. Influiscono sulle masse isolate particolarmente manipolabili al fine di raggiungere i

    propri scopi. Ad esempio, il lancio di un documentario su Enrico Berlinguer, con l’apprezzamento

    finale di Renzi che elogia e ammira il politico del partito comunista, lascia intendere che forse

    l’intenzione comunicativa nascosta nel rilancio di un documentario su questo politico, sarà un

    tentativo di presentare Renzi come il prossimo “ redentore” del governo italiano. Le pubblicità poi

    ci illudono facendoci pensare che tutto ciò che è super “comodo” sia indispensabile all’uomo. Tutto

    ciò induce al consumismo e ovviamente all’arricchimento di alcune èlite che sono al comando del

    Paese.

    Ad esempio quando si va a comprare un paio di scarpe, solitamente non si comprano quelle che a

    primo impatto sembrano essere belle e neanche quelle che si adattano di più alle esigenze del

    compratore o anche che rientrano in un certo budget economico, ma piuttosto quelle che

    assomigliano di più a un tipo di scarpa che si usa, magari più costoso, magari che non non sarebbe

    mai piaciuto se non si fosse visto addosso a molti.

    Non è forse questa negazione del pensiero? Non si cerca attraverso la tecnologia di arginare la

    libertà di pensiero per mantenere in piedi un sistema sociale-economico governato da pochi? Non è

    forse più semplice governare una massa di stupidi, indirizzandoli sulle cose effimere?

    Dal 399 a.C fino al 2015 d. C in situazioni diverse abbiamo trovato sempre la stessa costante: la

    necessità di limitare la libertà di pensiero per mantenere il potere stabile.

    Bibliografia

    Platone, Apologia di Socrate, prima edizione Bompiani 2000 par. 10.

    I documenti del processo di Galileo Galilei, Sergio Pagano Antonio G. Luciani, 1984,pp XXVIII,280,tav.6 (asv.vatican.va).

    F. Flora, Opere di Galileo Galilei, Riccardo Ricciardi Editore, 1953.

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    Socrate Uomo libero o libertino? Di Francesca Frangipani

    Atene, V secolo a.C. Secolo di rinnovamento politico, culturale e soprattutto segnato, per ciò che

    riguarda la storia del pensiero greco da uno “spostamento”della riflessione filosofica. La mentalità

    collettiva cambia, molte certezze crollano, e i cittadini non sono più tanto interessati alla

    physis,quanto alle problematiche strettamente legate all’uomo e alla sua natura. Tuttavia ildèmos ha

    pur sempre bisogno di un punto di riferimento che non si limiti al semplice possesso di capacità

    tecniche non comuni come per i sofisti, ma che sappia anche tirar fuori da ognuno una coscienza

    morale, allo stesso tempo pratica, che renda gli uomini in grado di agire sottoponendovi le proprie

    azioni al fine di analizzarle. Occorreva indubbiamente qualcuno che fosse in grado di trasmettere

    una praticità che non sfociasse nel materialismo, una praticità ponderata e ragionata, e, se vogliamo,

    giusta. Qualcuno che istruisse il popolo al pensiero libero e corretto, una persona disinteressata, non

    corrotta: una persona “libera”. Chi dunque si fece carico delle problematiche filosofiche legate

    all’uomo promuovendo un vero e proprio ragionamento pratico sottoposto all’esame di una propria

    coscienza? Chi se non Socrate, uomo “libero”? Ma come faceva Socrate ad essere una persona

    libera e allo stesso tempo rispettosa delle leggi della pòlis,pur non condividendole pienamente?

    Soprattutto, riusciva ad osservare veramente le leggi pur avendo un pensiero libero e indipendente?

    Era dunque una persona realmente libera oppure semplicemente un contestatore che voleva far

    prevalere la sua ideologia sulla legge? E, cosa più importante, chi è stato, allora, Socrate? Un

    “libero”o ciò che oggi potremmo definire un “libertino”? Questi interrogativisono stati più volte

    posti nel tempo e hanno ricevuto risposte indubbiamente diverse. Il perché di tutti questi

    interrogativi e delle relative risposte è semplice; sono dovuti certamente alla novità, e quasi

    ambiguità, di questo personaggio agli occhi dei suoi contemporanei che ne diedero numerose

    interpretazioni talvolta giunte sino a noi.

    “L’immagine di Socrate che possiamo scorgere all’orizzonte di tutte le testimonianze dei suoi

    contemporanei è in effetti quella di una figura ambigua e paradossale che a seconda di come se ne

    interpretino i tratti superficiali può trasformarsi in una buffa caricatura a metà tra filosofo e sofista

    o nel paradigma di un uomo saggio e irreprensibile”[1]

    . C’è chi pensa che Socrate fosse senza alcun

    dubbio un uomo “libero”. Questo è sicuramente il Socrate di Platone e Aristotele e per certi versi

    anche di Senofonte. Platone in particolar modo fa di Socrate “l’eroe della sua filosofia”[2]

    ,

    definendolo un uomo giusto con poche certezze come appunto quella che commettere ingiustizia è

    sempre un male. Definendolo uomo “dalle poche certezze” Platone non intende ovviamente

    sminuire la credibilità del suo maestro, ma è come se volesse definire quella di Socrate una “dotta

    ignoranza”, l’ignoranza di chi non è sapiente, ma non crede nemmeno di esserlo; e una “sapienza

    umana”, cioè” il riconoscimento che il proprio sapere (umano) non è nulla in confronto a quello

    divino”[3]

    . Socrate è dunque un maestro dotato di una saggezza quasi dimessa, libero da ogni forma

    di tracotanza.

    Senofonte lo definisce “un modello di liberalità, giustizia e saggezza. “Qualcuno capace di

    calcolare serenamente di fronte alla propria condanna a morte”[4]

    , qualcuno, quindi, con una tale

    capacità di ragionamento euna tale coscienza, intesa come quel “qualcosa che è come una voce la

    quale ogni volta che si fa sentire sempre dissuade da qualcosa e non mai persuade ad alcuna”[5]

    ,

    da sottoporre a questi ogni azione e avvenimento e da essere libero da ogni forma di demagogia o

    condizionamento.

    Capace di essere libero dalla paura tanto da affermare, sempre dopo una condanna a morte, che

    “nemmeno questa va temuta perché d’altra parte, se la morte è come un mutar sede di qui ad altro

    luogo, ed è vero quel che raccontano, che in codesto luogo si ritrovano poi tutti i morti, quale bene

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    ci potrà essere, o giudici, maggiore di questo? Che se uno, giunto nell’ Ade, libero ormai da coloro

    che si spacciano per giudici qui da noi, troverà colà i giudici veri, quelli appunto che nell’Ade si

    dice esercitino officio di giudici”[6]

    .

    Qualcuno, forse l’unico, capace di affermare in un periodo come il V secolo a.C. cose come:”tutto

    preso come sono da quest’ansia di ricerca, non m’è rimasto più tempo di far cosa veruna

    considerabile né per la città né per la mia casa; e vivo in estrema miseria”[7]

    . Sarebbe opportuno

    soffermarsi particolarmente su quest’affermazione. Socrate è preso da “un’ansia di ricerca”, ma che

    cosa significa? Egli stesso, dopo il noto vaticinio dell’oracolo di Delfi, si impegna a ricercare

    qualcuno più sapiente di lui poiché non crede di meritarsi la fama di “sapiente tra i sapienti”; non si

    tratta dunque di un “ansia di ricerca” finalizzata esclusivamente a trovare una risposta in quanto

    tale, ma piuttosto a dimostrare ancora una volta che Socrate stesso mette in evidenza la parte

    “umana” e certamente umile di sé, e a dimostrare ulteriormente anche la costante analisi a cui

    sottopone la propria persona.

    Così facendo, ovvero nel voler smentire il vaticinio, non va inoltre assolutamente a sminuire la

    figura e la valenza divina dell’oracolo; anzi, la sua ricerca e la consequenziale “ansia” sono a

    testimonianza della serietà con cui Socrate pesa le parole dell’oracolo; se avesse creduto che questo

    fosse cosa di poco conto non vi avrebbe dato tutta questa importanza.

    Ora andiamo avanti: “non gli rimane tempo di fare cosa veruna per la città”. Nel V secolo a.C.,

    periodo noto anche per la diffusione della corruzione nelle cariche pubbliche, è certamente difficile

    trovare qualcuno che non desideri prender parte alla vita politica quando questa sta diventando la

    massima aspirazione per quasi ogni cittadino. Ebbene Socrate dimostra di essere libero anche da

    questo. Libero dalla corruzione e dalla brama di ricchezza.

    Ricordiamo inoltre che Socrate, al contrario di come accade in quel periodo per i sofisti, non riceve

    pagamenti. Infatti, a testimonianza di ciò e del suo disinteresse al denaro oltre che alle cariche

    politiche, basta proseguire nella lettura della frase. Socrate non fa nulla nemmeno “per la sua casa”

    e “vive in miseria”.

    “Socrate è per noi il primo uomo che ha saputo vivere senza mai tradire le proprie convinzioni per

    viltà o convenienza, ma sottoponendole costantemente all’esame critico della ragione per

    verificarne la bontà ed esser certo così di affidare ogni sua scelta e azione al miglior ragionamento

    di cui fosse capace.“E’ stato il primo che ha saputo condurre questa coerenza tra pensiero e azione

    fino alle sue estreme conseguenze, senza indietreggiare nemmeno di fronte alla morte, e che su di

    essa ha fondato la propria felicità rendendola incorruttibile”[8].

    Per altri invece Socrate era tutt’altro; un vero e proprio libertino. C’è chi afferma propriamente che

    “Socrate era in tutto libertino: innumerevoli furono anche i suoi amori per i giovani”9.

    Questo è senz’altro il Socrate basato sull’idea di Aristofane.Infatti nelle sue Nuvole testimonia che

    “Socrate è il concentrato dei nuovi vizi e saperi della cultura periclea” [10]

    e contestatore della

    tradizione.

    “Aristofane mette poi in atto nel contempo il naturalista empio che crede nelle divinità del Caos,

    delle Nuvole e non in Zeus, prefigurando inoltre le accuse che gli saranno mosse vent’anni

    dopo“[11]

    .

    Socrate avrebbe dunque utilizzato un certo modo di pensare e ragionare in realtà ingiusto; avrebbe

    affascinato il popolo con i “nuovi saperi” per danneggiare la tradizione e per far prevalere dunque le

    proprie ideee “capricci” sulle leggi.

    Veniamo ora forse al principale punto per cui Socrate potrebbe essere considerato un libertino:

    anche i suoi amori per i ragazzi furono innumerevoli.

    Socrate dunque non si faceva pagare per i suoi insegnamenti, per quale motivo? Scambiava forse la

    “propria sapienza con la loro bellezza”[12]

    ?

    Potrebbe essere dal momento in cui sappiamo che nell’antichità greca Socrate veniva accusato

    diatopìa. Nel mondo greco e soprattutto in ambito filosofico quest’accusa è paricolarmente grave

    poiché i Greci sono fortemente deterministi e tutto ciò che è a-tòpos, cioè senza un luogo, qundi

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    indefinito, quindi inclassificabile, non si può misurare, non ha un limite, dunque è di per sé

    imperfetto.

    Socrate viene accusato anche di eironeìa. Accusato quindi di essere un dissimulatore; di essere

    qualcuno che cerca di far credere agli altri di essere l’opposto di ciò che in realtà è: un uomo

    palesemente sapiente che cerca di dimostrare di non essere sapiente e quindi, essendo colpevole di

    eironeìa, l’eironeìa non può manifestarsi in un solo carattere dell’essenza umana, se come lo stesso

    Socrate sostiene, attraverso queste ci si può avvicinare a più di una verità.

    Dunque se Socrate è un dissimulatore della sua sapienza tenderà ad essere un dissimulatore in

    assoluto e se tenderà ad essere un dissimulatore in assoluto non può che essere verità il fatto che lui

    sia in relatà un “ammaliatore”[13]

    per il fatto che lui avesse un brutto aspetto fisico e che sembrava

    volersi rendere brutto di proposito.

    Potrebbero esserne una dimostrazione la suddetta Nuvole di Aristofane e anche un’altra commedia,

    gli Uccelli, antichissima testimonianza: qui Aristofane conia perfino un verbo (esokràton) per

    indicare l’atteggiamento di chi “socratizza”, di chi cioè, come Socrate, porta i capelli lunghi e dà

    scarsa importanza alla pulizia del corpo[14]

    .

    E la tecnica dell’ èlenchos? Perché verificare le credenze di tutti? Perché turbare le menti dei

    cittadini Ateniesi e, più in generale, dei Greci? Forse per condizionare ancora una volta tutti con le

    proprie idee da far prevalere sulla tradizione? Dunque forse Socrate è solo un contestatore di una

    parte più conservatrice; oltre che un libertino.

    Diamo innanzitutto una definizione di libertino: “con il termine libertino viene generalmente

    definita una persona che conduce una vita interamente dedita ai piaceri, che segue solo i propri

    capricci, fino alla sfrenatezza senza alcuna intenzione di sottomettrsi alla morale dominante

    corrente”[15]

    .

    Diamo ora una definizione di uomo libero:esente da costrizione o limitazione sul piano morale,

    sociale, politico[16]

    .

    Come si può allora pensare di affermare che Socrate fosse un libertino? Analizziamo la definizione.

    “Una persona che conduce una vita interamente dedita ai piaceri, che segue solo i propri

    capricci”; Come scrive il filosofo contemporaneo Robert Nozick, “la scelta di Socrate di andare in

    contro alla morte anziché salvarsi rinnegando ciò in cui credeva più profondamente ha reso la sua

    morte una parte essenziale della sua vita (….) a Socrate dobbiamo il primo, e forse unico, esempio

    di vita consacrata alla filosofia”.

    Socrate consacra dunque, nel senso pienamente letterale della parola, la sua vita al volere del dio e

    alla filosofia. E’ dunque libertinaggio, la filosofia? Socrate si comporta quindi da uomo libero, da

    uomo esente da costrizione o limitazione sul piano morale; non da libertino.

    Per quanto riguarda le “accuse” che gli vengono mosse per ciò che concerne l’atopìa e l’ eironeìa e

    dunque le sue presunte frequentazioni con i giovani che soleva istruire vi è una spiegazione. Socrate

    è il primo intellettuale greco a rompere l’ideale di kalokagathìa, ovvero di “bellezza” e “bontà”

    (intesa anche come credibilità o saggezza) come qualità inscindibili. Nel mondo greco un

    intellettuale che non rinetri in questo ideale, ovvero che sia saggio e non di bell’aspetto proprio

    come Socrate, suscita certamente incredulità. I Greci, contemporanei e non solo, di Socrate

    dovevano quindi “giustificare” il fatto che Socrate fosse un intellettuale che si collocasse al di fuori

    dell’ideale di kalokagathìa . “Aristòsseno, per esempio,giustifica la capacità persuasiva di Socrate

    con la voce”17

    , altri invece provarono a giustificare la cosa dicendo che in realtà Socrate “era come

    i Sileni, brutti ma ammaliatori(….) brutto fuori ma con un tesoro celato al suo interno”[18]

    . “Infatti

    la prospettiva è chiara e rispetta fin troppo bene quel fraintendimento dell’opinione pubblica a cui

  • Assaggi di Filosofia

    10

    Socrate è andato tristemente incontro (….) l’accusa di dissimulazione che è rivolta a Socrate

    deriva, quindi, da un fraintendimento della sua vera natura, che si interessa ai giovani per educarli

    e prendersi cura della propria anima”[19]

    . Di questo abbiamo perfino una testimonianza diretta

    dell’allievo Platone; infatti Socrate era solito esortare i giovani rivolgendosi a ognuno di loro: “tu

    che sei di Atene, non ti vergogni di curarti delle ricchezze, della fama e dell’onore, mentre di

    intelligenza e di verità e dell’anima, non ti curi ne ti dai pensiero?”[20]

    Socrate si comporta quindi

    ancora una volta da uomo libero, seguendo i propri ideali con coscienza ed essendo esente da

    costrizione o limitazione sul piano oltre che morale anche sociale; non da libertino.

    Andiamo avanti nell’analizzare la definizione di libertino. “Senza alcuna intenzione di sottomettersi

    alla morale dominante corrente”. Socrate, come abbiamo precedentemente dimostrato, è

    sicuramente una personalità di estrema coerenza morale. Nonostante la scelta di portare avanti i

    suoi ideali, Socrate sceglie comunque di morire sotto una legge, quindi una morale corrente, pur

    non condividendola. Socrate riesce incredibilmente aconciliare la lotta per i propri ideali con il

    rispetto delle leggi, accettando con grande dignità e coraggio il fatto che, dopo aver sempre e

    comunque contestato la sua condanna e dopo aver difeso sé stesso e i propri ideali con prove e

    testimonianze concrete, i giudici, e quindi la legge del tempo, avessero deciso di non assolverlo.

    Così anche se voi ora mi lasciaste libero di andare, non prestando fede ad Anito(….) se in rapporto

    a ciò mi diceste: “Ora, Socrate, non presteremo fede ad Anito e ti lasceremo libero, a questa

    condizione però che non devi più passare il tuo tempo in questa ricerca né a filosofare(….) io vi

    risponderei:” O uomini di Atene, nutro per voi gratitudine e affetto, ma ubbidirò al dio piuttosto

    che a voi, e fintanto che avrò respiro e ne sarò capace, non cesserò di fare filosofia, di esortarvi e

    di esprimere il mio pensiero[21]

    . Socrate si comporta, ancora una volta, da uomo libero: capace di

    essere esente da costrizione o limitazione sul piano morale, sociale e politico. Non da libertino.

    In conclusione, dopo aver analizzato entrambi i punti di vista e dopo aver confutato il secondo

    possiamo affermare che Socrate non era dunque un libertino e che, nonostante a volte sia

    complesso, è possibile anzi addirittura necessario individuare il confine che divide la libertà e il

    libertinaggio per evitare interpretazioni equivoche.

  • Assaggi di Filosofia

    11

    Note

    [1]

    U. Eco; Storia della Filosofia 1. Dall’antichità al medioevoediz. 2014, a cura di U. Eco e R.

    Fedriga, editori Laterza pag. 57 [2]

    Ibidem; pag. 77 [3]

    Idem [4]

    U. Eco; Storia della filosofia 1. Dall’antichità al medioevoediz. 2014, a cura di U. Eco e R.

    Fedriga, editori Laterza pag. 57 [5]

    Platone; Apologia di Socrate, editori Laterza [6]

    Ibidem, pag.61. [7]

    Ibidem, pag. 21. [8]

    U. Eco; Storia della filosofia 1. Dall’antichità al medioevoediz. 2014, a cura di U. Eco e R.

    Fedriga, editori Laterza, pag. 57 [9]

    P. Pasolini, racconti corsari [10]

    R. Fedriga; Storia della filosofia 1. Dall’ antichità al medioevoediz. 2014, a cura di U. Eco e R.

    Fedriga, editori Laterza, pag. 78 [11]

    Idem [12]

    U. Eco; ibidem, pag. 79 [13]

    Idem [14]

    Ibidem; pag. 80 [15]

    Treccani online [16]

    Idem [17]

    R. Fedriga; Storia della filosofia1. Dall’antichità al medioevoediz. 2014, a cura di U. Eco e R.

    Fedriga, editori Laterza, pag. 78 [18]

    Idem [19]

    R. Fedriga; Ibidem [20]

    Platone; Aplogia di Socrate, editori Laterza [21]

    Idem

    Bibliografia

    Storia della filosofia 1. Dall’antichità al medioevoediz. 2014, a cura di U. Eco e R. Fedriga, editori

    Laterza

    Apologia di Socrate; Platone, editori Laterza

    Racconti Corsari; P. Pasolini

    Treccani, enciclopedia online; www.treccani.it

    http://www.treccani.it/

  • Assaggi di Filosofia

    12

    Aldilà delle apparenze:

    giusto o sbagliato?

    Di Francesca De Falco

    È forse giusto smentire ciò che è dato per vero?c’è un limite tra il giusto e il sbagliato? È la causa o

    il fine che ci permette di stabilirlo? Forse a cause giuste corrispondono giuste verità? O ad un giusto

    fine? O per meglio dire, il fine giustifica i mezzi?

    Il problema sta proprio qui, nello stabilire il limite tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, ma ancora

    prima stabilire il significato di “giusto” poiché ciò che è giusto per il singolo non è necessariamente

    giusto per la collettività e viceversa.

    Consideriamo “giusto” e “sbagliato” dunque semplici convenzioni ma facciamo però un piccola

    distinzione: distinguiamo un ‘’giusto impuro”, subdolo, con un fine scorretto per la collettività, e un

    “giusto puro’’, volto con sincerità a mettere in luce una verità quanto più obiettiva possibile(in

    quanto vera per il popolo),per così dire, alla maniera di Socrate.

    Ora, sulla base di questa considerazione, si può dire che il lavoro dei sofisti è estremamente

    corrotto, scorretto, ‘’ingiusto”?

    e se li considerassimo semplicemente un effetto, piuttosto che la causa, di quel clima storico e

    politico caratterizzato certamente da immoralità?

    Magari dietro al loro uso ‘’scorretto’’ della retorica viveva un forte sentimento di adattamento a

    quello scenario di vita devastato. Una sorta di arresa di fronte alle difficoltà quotidiane, un modo

    per non alimentare problemi già presenti e riportare una pace che sia più che altro una sicurezza

    apparente. E con tutto ciò, sicuramente, anche un conseguente desiderio di ricavarne qualcosa di

    materiale, uno stipendio che gli permetteva di tirare avanti. Così i sofisti non sono “sapienti

    ingiusti” e nemmeno politici, ma sono proprio a metà strada tra l’una e l’altra cosa.

    Basti pensare a Gorgia, che affermando“Elena è senza colpa”1, per discolparla presenta una serie di

    implicazioni logiche secondo le quali Elena non è realmente rea del conflitto tra i greci e i troiani.

    L'encomio è una dimostrazione della forza della parola che è capace, mediante un opportuno

    utilizzo, di ribaltare il convincimento popolare, risultato di secoli di tradizioni, a proprio

    piacimento. Ma perché pensare che fare le cose “a proprio piacimento” sia necessariamente una

    cosa negativa? Ovviamente non è detto!

    Elena è innocente, poiché il movente del suo gesto è esterno alla sua responsabilità e può aver agito

    per questi motivi:Per decreto degli dèi, oppure non si era potuta opporre al fato, o era stata rapita

    con la forza, o era stata persuasa dalle parole di Paride, o era stata vinta dalla passione amorosa,o

    anche per volere della sorte. Nel primo caso Elena non ha colpa, in quanto nemmeno gli dèi stessi

    potevano opporsi al Fato. Se rapita, Elena è una vittima, e la colpa va data a Paride. Di nuovo, se

    innamorata, Elena è una vittima, poiché fu Afrodite a farla innamorare, come ricompensa a Paride

    per averla giudicata vincitrice della Mela d’oro. Infine, se persuasa dalle parole, ancora una volta è

    da ritenersi innocente, soprattutto se queste sono pronunciate da un abile oratore.

  • Assaggi di Filosofia

    13

    2

    Sempre per far percepire la potenza delle parole, il potere “d'ingannare”che esse celano, Gorgia

    conclude ad effetto dicendo che la sua opera vale sì a difesa di Elena, ma per lui solo come gioco

    dialettico.

    È questo certamente un pericolo ma ad ogni modo è un arma e per questo motivo è più facile

    criticare i sofisti piuttosto che riconoscergli una bravura e\o una debolezza che, come dicevamo

    prima, è dovuta all’immoralità che li circonda che li spinge ad arrivare ad un fine “giusto e impuro”.

    Centinaia e centinaia di critiche dovute specialmente arrivati ad una domanda essenziale: Giusto per

    chi?e come prima si provava a dire, può essere giusto per la collettività, per un singolo e magari per

    entrambi a seconda dell’ottica morale: relativa o assoluta

    Diverse cose possono essere dette circa le argomentazioni sul relativismo morale (quello dei sofisti

    ad esempio) che evidenziano la loro dubbiosa natura. In primo luogo, molte argomentazioni a

    supporto del relativismo possono sembrare,inizialmente, buone, ma c’è poi una contraddizione

    logica in esse, in quanto propongono uno schema morale “giusto”, il quale tutti dovremmo seguire.

    Essi non direbbero che un assassino o un violentatore sia libero dalla colpa fino a che non ha violato

    i “suoi” propri standard. Solitamente i relativisti argomentano che i differenti valori nelle varie

    culture mostrano che la morale è relativa a seconda delle persone. Ma tale argomentazione

    confonde le azioni degli individui con standard assoluti. Se è la cultura a definire ciò che è giusto e

    ciò che è sbagliato, come avremmo potuto giudicare i nazisti? Dopo tutto essi stavano solo

    seguendo la moralità della loro cultura. Si può affermare che il nazismo fu moralmente sbagliato

    solo se l’omicidio è ritenuto universalmente sbagliato. Il fatto che essi avevano la “loro” moralità

    non cambia nulla. Piuttosto siccome molte persone hanno diverse pratiche di moralità, condividono

    una moralità comune. Ad esempio, aborzionisti e anti-aborzionisti sono d’accordo sul fatto che

    l’omicidio sia sbagliato, ma non sono d’accordo sul fatto se l’aborto si possa considerare omicidio.

    Ma il relativismo in questo caso non contamina l’assolutismo di partenza portando a due questioni

    divergenti?

    Alcuni ritengono che cambiare le situazioni porta ad un cambiamento della moralità, ma le varie

    scelte morali in diverse situazioni, possono rivelarsi non adatte in altre circostanze. Ci sono tre

    differenti cose per le quali possiamo giudicare un’azione: la situazione, l’azione e l’intenzione e ciò

    dovrebbe farci capire che per trovare un giusto quanto più possibile equilibrato bisognerebbe

    trovare il punto medio fra queste due morali.

    Contrapposto ai sofisti come assolutista c’è Socrate. “Esiste un solo bene, la coscienza, e un solo

    male, l’ignoranza”3. In un’unica frase ci spiega il pensiero degli assolutisti, ma quanto è corretto

    questo criterio per stabile la giustizia o meno di una cosa? Non molto direi!

    Certamente ora non si vuole eliminare l’immagine da paladino della giustizia generalmente

    attribuita a lui, si vuole offrire solo un invito a riflettere. Socrate non scrisse nulla per rendersi in

    parte inattaccabile dall’aristocrazia pronta a farlo fuori. Possiamo vederla così e possiamo dire che

    magari anche lui, andando contro i ricchi e i potenti, rischiava molto facilmente di essere accusato

    ed era un modo per potersela cavare qualora qualcuno l’avesse accusato.

    Lettori, questa è una grossa questione e poi: se era veramente così sicuro del suo assolutismo,

    perché celarsi dietro parole dette e annotate da qualcun’ altro? Non lo rende più attaccabile questo?

  • Assaggi di Filosofia

    14

    Se il suo intento era quello di portare avanti le sue idee contrastanti ma “giuste”, che senso aveva

    non renderle leggibili a tutti? E se considerassimo il suo atteggiamento così ostile agli aristocratici

    solo come un modo per crearsi un’immagine rivoluzionaria e indelebile?

    4

    I problemi che egli poneva erano sicuramente esistenti ed effettivamente nel suo modo di

    rispondergli si riscontra una certa efficacia, ma anche la sua bravura doveva derivare da un’arte

    retorica che in generale, parlando dei sofisti,si tende a condannare anche con una certa superficialità

    dal momento che ,come abbiamo visto con l’encomio di Elena, non si è poi rivelata negativa

    andando comunque contro una secolare tradizione.

    Se si vuole considerare Socrate come colui che andando aldilà delle apparenze ha fatto cose giuste e

    i sofisti come coloro che invece hanno fatto cose sbagliate ci inseriremmo in quella fascia di

    superficiali che riescono a stabilire cos’è giusto e cosa no che vedono nella difesa della

    maggioranza una giustizia il che, sia chiaro, è una cosa corretta, soprattutto in quel periodo in cui i

    sofisti sembravano adagiarsi su quella situazione socio-politica, ma non è assoluta come cosa dal

    momento che si da per certo che al contrario i sofisti ne abbiano fatto solo ed unicamente un uso

    scorretto.

    Note

    1. Gorgia da Lentini, “L’encomio di Elena”.

    2. Faccia A di un cratere a campana apulo a figure rosse, Elena e Paride, 380-370 a.C.

    3. Diogene Laerzio, “Vite dei filosofi”.

    4. Jacques-Louis David, La morte di Socrate, 1833.

  • Assaggi di Filosofia

    15

    La concezione della morale in Socrate

    Di Andrea Pascale

    Introduzione

    L’argomento di questo piccolo saggio è la concezione etica di Socrate. L’obiettivo è quello di

    approfondire la conoscenza di tale concezione attraverso la presentazione di posizioni a sostegno e

    contro. Cercheremo di capire se le accuse a Socrate di intellettualismo e di formalismo, nonché di

    soggettivismo, siano o no giustificate.

    1.Tesi

    Per Socrate: virtù=sapienza e vizio=ignoranza; la virtù si identifica nella ricerca del sapere, una

    conoscenza frutto di un lavoro di introspezione e di confronto con gli altri.

    La virtù non è data alla nascita, ma si conquista con un faticoso lavoro interiore: questa tesi, in

    comune con i sofisti, non apre al relativismo più spregiudicato, come avviene in questi ultimi,

    perché Socrate comunque sente la necessità di una precisazione dei concetti. Grazie agli strumenti

    di lavoro filosofico da lui proposti (l’ironia, il metodo delle definizioni, il ragionamento induttivo)

    Socrate non abbandona l’ascoltatore nella confusione, ma lo invita a lasciare da parte le false

    credenze, a cercare, a basarsi sull’esperienza diretta, a puntualizzare i concetti.

    La virtù è una forma di sapere, un prodotto della mente: Socrate crede fermamente che riflettere

    criticamente sull’esistenza sia l’unico modo per intendere ciò che è giusto e ciò che non lo è. Per

    Socrate non bisogna agire secondo la tradizione o credendo di essere nel vero, ma bisogna dialogare

    con se stessi e confrontarsi con gli altri per capire “quando è bene fare questa o quella azione, che

    diviene buona quando so che, ora, è bene farla”1.

    Il bene e la giustizia non sono entità metafisiche, ma valori umani frutto di una riflessione

    consapevole che porta a conoscere se stessi, i propri limiti e le proprie possibilità.

    La vita è un’avventura disciplinata dalla ragione. Proprio per questo, la virtù può essere insegnata e

    comunicata a tutti.

    La virtù, secondo questo punto di vista, è unica perché tutte quelle che gli uomini chiamano virtù

    non sono altro che modi di essere di quella scienza del bene che Socrate riconosce come unica

    guida nell’esistenza. Per Socrate i valori veri non sono né la potenza e la ricchezza, né la forza

    fisica e la bellezza, ma i valori dell’anima che si identificano nella conoscenza. Questo non vuol

    dire un rifiuto dei valori “mondani” , ma la loro subordinazione alla virtù della conoscenza, perché

    solo attraverso di essa si può raggiungere l’utile e la vita felice. Per Socrate la virtù non è rifiuto

    dell’esistenza, ma calcolo intelligente finalizzato a rendere migliore e più felice la nostra vita.

    La virtù è anche l’arte della convivenza e del dialogo: per questo motivo Socrate ritiene importante,

    oltre al dialogo interiore, anche il confronto con gli altri, in quanto l’uomo è un essere sociale e il

    suo bene non può essere in contrasto con il bene degli altri.

    Pensiero di collegamento

  • Assaggi di Filosofia

    16

    Analizzeremo adesso tutte le critiche alla posizione di Socrate: l’accusa di intellettualismo etico, di

    formalismo etico e di soggettivismo o relativismo morale.

    2.Antitesi

    Accusa di intellettualismo etico: nella visione socratica sembra che l’aspetto cognitivo-razionale del

    comportamento umano sia sopravvalutato rispetto alla parte istintivo-affettiva. Spesso gli esseri

    umani predicano bene, ma “razzolano male” proprio a causa di forze interiori che si oppongono al

    giusto agire elaborato attraverso il processo di conoscenza, proposto da Socrate come unico mezzo

    per perseguire il bene. Ad opporsi alla visone socratica sono sia i filosofi cristiani, che non

    condividono la fiducia socratica nell’uomo e non intendono ignorare la potenza delle passioni

    “maligne” rispetto alle buone intenzioni, sia tutti coloro che rivendicavano un ruolo importante alla

    parte irrazionale dell’uomo(le emozioni e i sentimenti) nel determinare l’agire umano. Socrate viene

    accusato da questi ultimi di ignorare la profonda spinta vitale che viene dalla nostra parte

    “animale”.

    Un’altra accusa fatta a Socrate è quella di formalismo etico. Si accusa Socrate di non arrivare a

    nessuna conclusione pratica riguardo l’agire concreto, ma di offrire solo un’indicazione sul come

    perseguire la virtù-sapere, rischiando di favorire un anarchismo morale e un soggettivismo

    comportamentale.

    Proprio di soggettivismo o relativismo morale viene ancora accusato Socrate per via del fatto di non

    fornire saldi criteri etici, ma di abbandonare l’uomo alle sue vicissitudini. Il rifiuto sistematico di

    elaborare dei principi etici validi una volta per tutte poteva, secondo i critici di Socrate, instaurare

    un regime di totale amoralità.

    La visione di Socrate, pur essendo stata accostata nei primi tempi del Cristianesimo alla visione

    cristiana e Socrate stesso visto come un’anticipazione della figura di Cristo, diviene comunque

    oggetto di critiche da parte dei Padri della Chiesa per il suo modo di intendere la verità più come

    ricerca che come possesso di un sapere assoluto. Tertulliano, per esempio, sostenendo che non è

    possibile scoprire la verità al di fuori di Dio, si oppone ad ogni uso della ragione che non riconosca

    in primo luogo l’importanza della “rivelazione”. Contro la “curiositas” dei filosofi, Tertulliano

    propone un uso della ragione al servizio della messaggio cristiano.

    Altra critica contro il razionalismo etico di Socrate viene da Nietzsche, il quale attacca l’equazione

    virtù=sapienza=uso della ragione perché, secondo lui, questo atteggiamento porterebbe a un

    dominio spietato della razionalità sulla forza vitale della natura presente in ogni essere vivente.

    Secondo Nietzsche, Socrate, sottomettendo l’istinto, le forze dell’inconscio, la spinta vitale della

    parte animale dell’uomo al dominio della ragione avrebbe sottratto all’uomo la sua parte più

    autentica dando inizio alla decadenza della cultura occidentale.

    Anche la psicanalisi ha da ridire sul primato della ragione proposto da Socrate. Evidenziando il

    ruolo fondamentale delle forze inconsce e delle pulsioni nella dinamica psichica, Freud sembra

    assestare un colpo mortale alla fiducia socratica nella possibilità di una gestione ragionevole del

    comportamento umano. La psicoanalisi mette in rilievo il continuo fallimento della volontà

    razionale nel tentativo di venire a capo delle spinte istintuali. Il processo di civilizzazione dell’uomo

    per Freud è sempre accompagnato da un disagio.

    Pensiero di collegamento

  • Assaggi di Filosofia

    17

    Cercheremo adesso di proporre argomenti capaci di confutare l’antitesi che abbiamo proposto

    3. Confutazione dell’antitesi

    Alla visione rigida e dogmatica di una verità del Cristianesimo intesa come possesso della verità si

    può contrapporre la visione di Kierkegaard che considera invece Socrate come il filosofo più vicino

    allo spirito cristiano col quale addirittura si identificherebbe. Per Kierkegaard l’ironia, esprimendosi

    nel paradosso antidogmatico, dà la possibilità all’uomo di esporsi a se stesso e quindi di incontrare

    Dio. Kierkegaard, identificandosi con Socrate, vuole svuotare il Cristianesimo dal suo contenuto

    dottrinale e riportarlo a Cristo e alla sua spiritualità. Come per Socrate, anche per Kierkegaard la

    filosofia non deve limitarsi a un aspetto puramente astratto e definitorio, ma deve incidere nel

    profondo non solo di chi la ascolta, ma anche di chi la esprime e, in un certo senso, l’impersona. La

    filosofia cioè, è anche pratica di vita. Come Cristo anche Socrate con la sua parola ha trasformato la

    vita di chi lo ascoltava e ha impegnato la sua vita sino alla morte per mantenersi fedele a quanto

    sostenuto. Proprio questa “coerenza” è il giusto antidoto al nichilismo morale, cui giungevano i

    sofisti come frutto dell’esercizio sistematico del dubbio e di cui anche Socrate talvolta è stato

    tacciato. Per Socrate in realtà l’esercizio della razionalità si articola in due momenti: prima un

    momento dubitativo(dialettica), dove “dubitare”, cioè discutere e mettere in discussione, diviene la

    norma, poi un momento limitativo aggiuntivo (coerenza) dove essere coerenti vuole dire bloccare,

    fino a nuova evidenza contraria, l’infinita catena di dialettizzazione delle credenze.

    Quanto alle accuse di soggettivismo e di relativismo, Merleau-Ponty nel suo ”Elogio della

    filosofia”, richiamandosi a Socrate, scrive: ”il filosofo moderno è spesso un funzionario, ed è

    sempre uno scrittore; e la libertà che gli è concessa per i suoi libri ammette una controparte: ciò

    che dice entra immediatamente in un universo accademico nel quale le scelte di vita sono attutite e

    le occasioni di pensiero sono velate.(…) Ora, la filosofia deposta nei libri ha cessato di interrogare

    gli uomini. Ciò che in essa vi è di insolito e di quasi insopportabile si è nascosto nella vita decorosa

    dei grandi sistemi”2. Invece tutta l’esperienza di Socrate, la sua vita e la sua morte sono la storia dei

    suoi difficili rapporti con la città, con gli altri, con le leggi, con la divinità.

    Anche Jankélévitch nel suo “L’ironia” invita a lasciarsi tentare dall’appello socratico al filosofare, a

    prendere tutto sul serio con quel distacco che non significa indifferenza, ma il pudore del pensiero,

    che ripropone ogni volta il dubbio su quei piccoli territori di sapere che crediamo di volta in volta di

    avere conquistato alla certezza. Per Socrate l’ironia non è un’evasione ludica, ma uno stratagemma

    per avvicinare il cuore delle cose, per cercare di rispondere all’interrogativo “che cos’è la virtù?”,

    qual è l’eccellenza dell’essere umano. Scrive Jankélévitch “la nostra ingenuità ha una prodigiosa

    resistenza. Non servono a nulla né la derisione, né l’insuccesso, né i lunghi inverni della diffidenza:

    poiché il primo tepore primaverile ci ritrova sempre così follemente smemorati. È il mistero di una

    generosità inesauribile che, ogni volta delusa, ritrova ogni volta la freschezza dell’infanzia. Sono i

    giochi dell’amore e dell’ironia. L’ironia e l’amore girano in tondo senza tregua, l’una inseguendo

    l’altro, secondo il ciclo delle morti e delle rinascite”3.

  • Assaggi di Filosofia

    18

    4. Conclusioni

    Per concludere non c’è nulla di meglio che citare P. Hadot, uno dei massimi specialisti della

    filosofia antica, che nel suo “Elogio di Socrate” scrive: “… al di là del movimento dialettico del

    logos, il cammino che Socrate e l’interlocutore percorrono insieme, la volontà comune di trovarsi

    d’accordo, partecipano già dell’amore, e la filosofia sta assai più in questo esercizio spirituale che

    non nell’elaborazione di un sistema. Il compito del dialogo consiste anzi, essenzialmente, nel

    dimostrare i limiti del linguaggio, l’impossibilità per il linguaggio di comunicare l’esperienza

    morale ed esistenziale. Ma il dialogo stesso, in quanto evento, in quanto attività spirituale, è già

    sempre un’attività morale ed esistenziale. Sta di fatto che la filosofia socratica non è elaborazione

    solitaria di un sistema, ma risveglio di coscienza, accesso a un livello dell’essere, che non possono

    realizzarsi che nell’ambito di un rapporto da persona a persona”4. In sostanza non c’è nulla di più

    morale che l’interrogarsi quando è necessario, il più spesso possibile, su che cosa sia morale, cioè

    giusto, e non solo per me o per la mia cerchia di amici e conoscenti, ma per tutta l’umanità. Nulla è

    più urgente nel mondo di oggi, se si vuole che la globalizzazione non diventi una occasione per

    ulteriori violenze tra culture, ma apertura verso l’altro al fine di creare spazi di convivenza nella

    libertà e nel rispetto di tutti.

    Note

    1.F. Adorno: “I Sofisti e Socrate”, Loescher, Torino 1962, pp. XLIV-XLV.

    2. M. Merleau-Ponty: “Elogio della filosofia”, 1953, p. 42.

    3.V. Jankélévitch: “L’ironia”, 1964, p. 184.

    4.P. Hadot: “Elogio di Socrate”, 1974, p. 46.

    Bibliografia

    F. Adorno: “I Sofisti e Socrate” Loescher, Torino 1962.

    M. Merleau-Ponty: “Elogio della filosofia” , 1953.

    V. Jankélévitch: “L’ironia”, 1964.

    P. Hadot: “Elogio di Socrate”, 1974.

  • Assaggi di Filosofia

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    Chi è l’uomo giusto?

    Di Matteo Russo

    Introduzione

    In una società corrotta come quella di Atene nel V secolo, affetta da una profonda crisi, non

    economica ma morale, chi può essere considerato un uomo giusto? Ma soprattutto, come tale uomo

    riesce a convivere con il contesto che lo circonda?

    Se oggi si cercasse il significato di questo aggettivo su un qualsiasi dizionario, si

    troverebbe:“persona che conforma i propri giudizi e comportamenti a criteri di equità, di

    imparzialità, fondata su ragioni moralmente valide, ispirata a ciò che è (giudicato) bene o

    congruente con quanto la legge richiede.”1

    È quasi incredibile come questo aggettivo si adatti perfettamente a Socrate, un uomo di 2500 anni

    fa, capace di porre la giustizia davanti a tutto, anche alla sua stessa vita. Eppure la polis ha votato

    per la morte di un uomo giusto, condannato per le sue idee: come è potuto accadere? E' certamente

    uno schiaffo per l'etica. Un uomo giusto come Socrate è stato ucciso dalla polis nel pieno rispetto

    delle leggi vigenti. Se la giustizia è solo la legge che conveniamo di darci, dobbiamo ammettere che

    l'uccisione di Socrate è avvenuta secondo il diritto. Ma essa è giusta? Naturalmente la coscienza

    morale si ribella di fronte ad un simile caso: non siamo forse alla ricerca di un autentico valore

    oggettivo, superiore alle leggi?

    1.Inquadramento e pensiero di Socrate

    Il periodo storico in cui visse Socrate è caratterizzato da due date fondamentali: il 469 a.C. e il 404

    a.C. La prima data, quella della sua nascita, segna la definitiva vittoria dei Greci

    sui Persiani (battaglia dell'Eurimedonte). La seconda si riferisce a quando all'età dell'oro di Pericle

    seguirà, dopo il 404 a.C. con la vittoria spartana, l'avvento del governo dei Trenta Tiranni. La vita

    di Socrate si svolge dunque nel periodo della maggiore potenza ateniese ma anche del suo declino.

    Probabilmente Socrate era di famiglia benestante, di origini aristocratiche: nei dialoghi platonici

    non risulta che egli esercitasse un qualsiasi lavoro e del resto sappiamo che egli combatté

    comeoplita nella battaglia di Potidea, e in quelle di Delio e di Anfipoli. È riportato nel

    dialogoSimposio di Platone che Socrate fu decorato per il suo coraggio. In un caso, si racconta,

    rimase al fianco di Alcibiade ferito, salvandogli probabilmente la vita. Durante queste campagne

    diguerra dimostrò di essere straordinariamente resistente, marciando in inverno senza scarpe né

    mantello.Nel 406 come membro del Consiglio dei Cinquecento (Bulé), Socrate fece parte

    della Pritania quando i generali della battaglia delle Arginuse furono accusati di non aver soccorso i

    feriti in mare e di non aver seppellito i morti per inseguire le navi spartane. Socrate ricopriva la

    carica di epistate e unico nell'assemblea si oppose alla richiesta illegale di un processo collettivo

    contro i generali. Nonostante pressioni e minacce bloccò il procedimento fino alla conclusione del

    suo mandato quando infine sei generali ritornati ad Atene furono condannati a morte.

    Nel 404, i Trenta Tiranni ordinarono a Socrate e ad altri quattro cittadini di arrestare il

    democratico Leone di Salamina. Socrate si oppose all'ordine e la sua morte fu evitata solo dalla

    successiva caduta dei Tiranni. Il nuovo regime democratico voleva riportare la città allo splendore

    dell'età di Pericle instaurando un clima di pacificazione generale: infatti non perseguitò, com'era

    abitudine, i nemici del partito avverso ma concesse un'amnistia. Si voleva tornare a creare in Atene

    una compattezza e solidarietà sociale riproponendo ai cittadini gli antichi ideali e i principi morali

    che avevano fatto grande Atene. Ma nella città si diffondeva l'insegnamento, seguito con

    entusiasmo da molti, specie da giovani, dei sofisti i quali invece esercitavano una critica corrosiva

    di ogni principio e verità che si volesse dare per costituita dalla religione o dalla tradizione.

    http://it.wikipedia.org/wiki/469_a.C.http://it.wikipedia.org/wiki/404_a.C.http://it.wikipedia.org/wiki/404_a.C.http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_achemenidehttp://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_dell%27Eurimedontehttp://it.wikipedia.org/wiki/Trenta_Tirannihttp://it.wikipedia.org/wiki/Aristocraziahttp://it.wikipedia.org/wiki/Lavorohttp://it.wikipedia.org/wiki/Oplitahttp://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Potideahttp://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Deliohttp://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Anfipolihttp://it.wikipedia.org/wiki/Simposio_(dialogo)http://it.wikipedia.org/wiki/Alcibiadehttp://it.wikipedia.org/wiki/Guerrahttp://it.wikipedia.org/wiki/Invernohttp://it.wikipedia.org/wiki/Bul%C3%A9http://it.wikipedia.org/wiki/Pritaniahttp://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_delle_Arginusehttp://it.wikipedia.org/wiki/Epistatehttp://it.wikipedia.org/wiki/Trenta_Tirannihttp://it.wikipedia.org/wiki/Leone_di_Salaminahttp://it.wikipedia.org/wiki/Periclehttp://it.wikipedia.org/wiki/Partitohttp://it.wikipedia.org/wiki/Amnistiahttp://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Ideale_(etica)&action=edit&redlink=1

  • Assaggi di Filosofia

    20

    Platone descrive Socrate come un uomo avanti negli anni e piuttosto brutto, e aggiunge anche che

    era come quelle teche apribili, installate di solito ai quadrivi, raffiguranti spesso un satiro che

    custodivano all'interno la statuetta di un dio. Questo pare quindi fosse l'aspetto di Socrate,

    fisicamente simile a un satiro, e tuttavia sorprendentemente buono nell'animo, per chi si soffermava

    a discutere con lui. Egli non intende comunicare dall’esterno una propria dottrina, ma soltanto

    stimolare l’ascoltatore a ricercarne una personale dentro se stesso. Da ciò il metodo maieutico, o

    arte del far partorire, di cui parla Platone dicendo che Socrate aveva ereditato dalla madre la

    professione di ostetrico. Così come costei, essendo levatrice, aiutava le donne a partorire i bambini,

    allo stesso modo Socrate, ostetrico di anime, aiutava gli intelletti a partorire il loro genuino punto di

    vista sulle cose : “La mia arte di maieutico in tutto è simile a quella delle levatrici, ma ne differisce

    in questo, che opera su gli uomini e non su le donne, e provvede alle anime partorienti e non ai

    corpi. E la piú grande capacità sua è ch’io riesco, per essa, a discernere sicuramente se la mente

    del giovane partorisce fantasticheria o menzogna, oppure cosa vitale e reale. Poiché questo ho di

    comune con le levatrici, che anch’io sono sterile, sterile di sapienza; e il biasimo che già tanti mi

    hanno fatto, che interrogo sí gli altri, ma non manifesto mai io stesso su nessuna questione il mio

    pensiero, ignorante come sono, è verissimo biasimo. E la ragione è appunto questa, che il dio mi

    costringe a fare da ostetrico, ma mi vietò di generare. Io sono dunque, in me, tutt’altro che

    sapiente, né da me è venuta fuori alcuna sapiente scoperta che sia generazione del mio animo;

    quelli invece che amano stare con me, se pur da principio appariscano, alcuni di loro, del tutto

    ignoranti, tutti quanti poi, seguitando a frequentare la mia compagnia, ne ricavano, purché il dio

    glielo permetta, straordinario profitto: come essi stessi e gli altri ritengono. Ed è chiaro che da me

    non hanno imparato nulla, bensí proprio e solo da se stessi molte cose e belle hanno trovato e

    generato.”2

    In queste parole, dalle quali scaturisce anche il concetto della verità come conquista personale e

    della filosofia come avventura della mente di ciascuno, si evince non solo la sua umiltà ma anche

    uno dei principi fondamentali della pedagogia : la vera educazione è sempre autoeducazione, infatti

    per Socrate il significato profondo del proprio essere uomo è conoscere se stesso. Socrate inoltre

    dice che i valori veri non sono legati a cose esterne come la ricchezza, la fama, la potenza, ma quelli

    più importanti sono quelli legati all’anima e sono i valori della conoscenza.

    L’uomo virtuoso è felice perché il non-virtuoso, che non ragiona, si abbandona agli istinti, alle

    passioni che con il tempo lo rendono infelice. La virtù, cioè “l’arte di saper vivere”, dato che

    l’uomo è un essere sociale, cioè che è sempre con altri uomini, diventa “l’arte di saper vivere con

    gli altri”. La virtù diventa quindi politicità. Chi fa il male lo fa solo perché non sa quale è il vero

    bene. Infatti ogni persona agisce pensando a ciò che “per lui” è bene. Quindi il male è figlio

    dell’ignoranza.

    2.Protagora. La verità utile: un insulto per la coerenza

    Il relativismo morale dei sofisti poteva condurre alla tesi dell’equivalenza ideale delle opinioni, cioè

    alla dottrina secondo cui, in teoria, tutto è vero. Protagora si è interrogato a lungo sul principio di

    scelta di tutte le verità ed ha affermato che l’unico criterio di scelta al quale l’uomo può attenersi è

    il principio “debole” dell’utilità privata e pubblica delle credenze. In tal modo, alla concezione

    oggettivistica e universale della verità, secondo cui il vero è qualcosa di già dato e scoperto una

    volta per sempre, che si impone a tutti allo stesso modo, Protagora sostituisce una concezione

    umanistica, secondo cui la verità è l’umanamente verificato come giovevole, ossia ciò che si è

    dimostrato storicamente e socialmente utile all’individuo. Inoltre, nella teoria protagorea si può

    scorgere anche un lungimirante invito a mettersi d’accordo almeno su ciò che, al di là delle varie

    credenze o convinzioni ideali, può e deve unire gli individui e i popoli: la pubblica utilità. Quindi

    l’uomo protagoreo, al contrario di Socrate, è pronto a macchiare la propria coerenza scegliendo una

    verità che si adatta al contesto in cui vive al fine della propria sopravvivenza nella società.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Satiro

  • Assaggi di Filosofia

    21

    3.Platone. “L’uomo giusto non ha bisogno di leggi”

    Platone era rimasto deluso dalla democrazia ateniese, colpevole di aver condannato a morte il suo

    cittadino più giusto, Socrate.Proprio per questo, l’ispirazione fondamentale della filosofia platonica

    è di natura politica e mira a realizzare il miglior governo, lo Stato ideale, in cui l’uomo giusto possa

    essere considerato per ciò che merita. Tuttavia Socrate, per un tragico paradosso, è l’uomo giusto

    che è stato vittima della legge. Questa vicenda fa sorgere la domanda: non sarebbe stato meglio,

    allora, che Socrate - condannato sulla base di false accuse - si sottraesse alla pena capitale nel

    rispetto della vera giustizia? A questo punto Platone sembra quasi disposto a giustificare il fatto che

    non si obbedisca ad uno Stato che, come la democrazia ateniese, manda a morte il suo cittadino

    migliore. Ciò perché il buon cittadino non è colui che si sottomette supinamente alla legge positiva

    ma chi osserva innanzitutto la legge giusta, quella dettata dalla visione del Bene: le leggi non sono

    state fatte da una divinità, non sono insindacabili, bensì sono state fatte dagli uomini che per natura

    non sono perfetti e possono essere influenzati dai fattori che li circondano.

    Platone, dunque, considera intollerabile che la legge positiva si mostri tanto distante dalla vera

    giustizia. Di fronte a questo stesso problema, Socrate aveva insegnato che il compito degli uomini è

    quello di rispettare sia la legge positiva sia la legge morale. Quando accade che il cittadino debba

    contestare,o disapplicare, una legge emanata dallo Stato perché il suo demone gliene riveli

    l’ingiustizia, egli deve farlo accettando di pagare la pena che il suo atto comporta. In tal modo

    rispetterà la legge morale senza violare la legge positiva, la quale pur con le sue imperfezioni è

    necessaria perché la città non precipiti nella barbarie.

    “Vada come sta a cuore al dio. Alla legge si obbedisce. Difendersi si deve.”3

    Ma Platone va oltre questo insegnamento. Per lui si tratta di impedire la possibilità stessa che una

    legge condanni un uomo come Socrate e, quindi, occorre trovare il modo di far coincidere la legge

    morale con la legge positiva. Ciò è possibile se si affida il compito di governare a uomini che siano

    del tutto integri ed onesti: essi sono i filosofi, “custodi perfetti” , che posseggono il senso dello

    Stato e l’idea del bene comune. Sono loro gli “uomini giusti” che non hanno bisogno delle leggi per

    agire bene e, proprio per questo, sono i più idonei a creare le leggi giuste in grado di salvare la città

    dagli abusi e dagli appetiti dei più forti. La città ideale di Platone è quindi necessariamente

    aristocratica, in quanto governata da coloro che risultano essere i migliori nello svolgere tale

    compito. Ma è anche ideocratica perché in essa ognuno svolge le mansioni in cui è competente. I

    custodi perfetti devono infatti governare la città in quanto solo essi hanno appreso come non

    lasciarsi trascinare dai piaceri e sanno come attuare la giustizia; gli altri cittadini dovranno svolgere

    le attività per cui sono stati preparati.Si dice spesso che la repubblica platonica sia un’utopia, e

    anche la sua massima (“l’uomo giusto non ha bisogno di leggi”) non ha trovato molti consensi, né

    nella società greca del IV secolo avanti Cristo e ancor meno al giorno d’oggi. Platone è troppo

    pessimista: egli vede la legge come qualcosa di necessario per punire coloro – e sono la

    maggioranza - che non sanno comportarsi da cittadini onesti, perché non hanno l’idea della

    giustizia. Ma è anche troppo ottimista, perché crede che esistano uomini infallibilmente giusti, che

    conoscono il Bene. Oggi ci sembra più ragionevole affidare la formazione delle leggi all’intera

    collettività, perché è accaduto spesso che ciò che veniva considerato giusto da pochi “illuminati”

    sfociasse, con le migliori intenzioni, in un danno per l’intera comunità. Per questo il cittadino

    esemplare ci sembra Socrate che mette il suo senso di giustizia e la sua coscienza morale al servizio

    delle leggi della città - perché possano essere discusse e anche perfezionate - e non pretende, come

    il suo grande discepolo, di essere il depositario della verità e la fonte della legge.

    4.L’uomo più giusto mandato a morte

  • Assaggi di Filosofia

    22

    Nel suo ultimo intervento, dopo il verdetto, Socrate fa notare le conseguenze del responso ai

    giudici a lui avversi: egli, già molto avanti negli anni, sarebbe morto da sé entro poco tempo. Con la

    condanna a morte, gli ateniesi avrebbero avuto fama di aver ucciso Socrate, uomo sapiente, anche

    se tale non si considerava. Socrate sa che sarebbe stato considerato un martire dai suoi amici, e che

    molti ne avrebbero seguito le orme: se prima era uno, a punzecchiare i potenti di Atene, in seguito

    si sarebbero moltiplicati; il solo modo che i potenti avrebbero potuto avere di contrastare questi

    "tafani”, sarebbe stato adoperarsi a conseguire la virtù, come ha fatto Socrate: egli non solo non ha

    implorato pietà, ma non ha neppure usato belle parole, falsi argomenti e citazioni – proprie

    dei sofisti – per ingannare i giudici: egli si è rimesso al loro giudizio per quel che è. Ai giudici che

    votarono in suo favore egli rivolse ancora qualche parola. Né quando uscì di casa per recarsi al

    tribunale, né durante tutta la sua difesa, il daimon gli impedì di parlare, come era suo solito quando

    Socrate errava: egli stava agendo nel giusto, pertanto il destino gli avrebbe offerto dei beni: ma

    quali beni può portare una condanna a morte? In questo caso, la morte sarebbe stata un piacevole

    sonno, profondo e senza sogni o un ritrovarsi nell'Ade con i più grandi eroi dell'antichità; Socrate

    non si smentisce, pensando al piacere che avrebbe provato in questo caso a esaminarli uno per uno,

    per scoprire chi fosse sapiente e chi non lo fosse.

    “Cerchiamo anche per altra via di vedere come c’è molto da sperare che la morte sia un bene.

    Morire infatti è una delle due cose: o è un precipitare nel nulla, per cui il morto non ha più

    sentimento di alcuna cosa; o è, secondo che si dice, un transito e una trasmigrazione dell’anima da

    questo luogo ad un altro. Quanto ame,se tali cose sono vere, preferirei morire mille volte. Oh!

    Qualemeravigliosa conversazione sarebbe la mia quando mi imbattessi in Palamede e Aiace il

    telamonio e in qualche altro dei tempi antichi morto per ingiusto giudizio! Raffronterei la mia sorte

    alla loro; e ciò penso sarebbe per me motivo di dolcezza. E soprattutto amerei trascorrere il tempo

    ad esaminare ed interrogare quelli di là, come sono solito esaminare questi di qua, per scoprire chi

    di loro è sapiente e chi invece crede di esserlo e non lo è affatto. Quanto, infatti, non pagherebbe

    ciascuno di voi, o giudici, per interrogare colui che guidò l’esercito contro Troia, o Ulisse, o Sisifo,

    o tanti altri uomini e donneche potrei nominare? Quale inesprimibile beatitudine sarebbe parlare

    con loro, vivere in loro compagnia, esaminarli!Non avverrebbe di certo, a causa di codesto esame,

    che quelli di là mi uccidessero, poiché oltre ad essere per molteragioni più felici di noi, sono ormai

    immortaliper tutto il restante tempo, se è vero ciò che si dice.”4

    Con queste sue ultime parole, Socrate ricorda ai giudici che ad un uomo giusto non è possibile che

    accadano dei mali, e li esorta ad interrogare i propri figli come avrebbe fatto lui, per avvicinarli alla

    virtù: “Quel che a me è avvenuto ora non è stato così per caso, poiché vedo che il morire e l’essere

    liberato dalle angustie del mondoera per me il meglio. Per questo non mi ha contrariato

    l’avvertimento divino ed io non sono affatto in collera con quelli che mi hanno votato contro e con i

    miei accusatori,sebbene costoro non mi avessero votato contro con questa intenzione, ma credendo

    invece di farmi del male. E in questo essi sono da biasimare. Tuttavia io li prego ancora di questo:

    quando i miei figlioli saranno grandi, castigateli, o Ateniesi, tormentateli come io ho tormentato

    voi se vi sembrano di avere più cura del denaro o d’altro piuttosto che della virtù; e se mostrano di

    essere qualche cosa senza valere nulla, svergognateli come ho fatto io con voi per ciò che non

    curano quello che conviene curare e credono di valere quando non valgono nulla. Se farete ciò,

    avremo avuto da voi ciò che era giusto avere, io e i miei figli. Ma vedo che è tempo ormai di andar

    via, io a morire, voi a vivere. Chi di noi avrà sorte migliore, occulto è a ognuno, tranne che a

    Dio.”5

    La lealtà di Socrate verso la città e le sue leggi affonda le proprie radici nel pensiero del filosofo

    che, analogamente a Protagora, ritiene che l’uomo sia tale solo in quanto rapportato alla società,

    ossia che l’uomo emerga dall’animalità primitiva e si auto costituisca come essere umano solo in un

    contesto comunitario retto da leggi. Da questo punto di vista, dire che “l’uomo è società” equivale a

    dire che “l’uomo è uomo in quanto legge”, o meglio in quanto “figlio delle leggi”. Pertanto, chi

    rifiuta le leggi del proprio Stato o della propria civiltà cessa di essere uomo. Le leggi si possono

    http://it.wikipedia.org/wiki/Sofistihttp://it.wikipedia.org/wiki/Ade_(regno)

  • Assaggi di Filosofia

    23

    cambiare e migliorare, ma non violare, perché altrimenti verrebbe meno la stessa vita in società.

    Questa tesi fondamentale di Socrate, che farà dire a Platone che il suo maestro, pur non essendo un

    politico, era stato l’unico vero politico di Atene, ci permette di capire perché egli abbia scelto la

    condanna al posto della fuga, preferendo morire rimanendo fedele alle leggi, anziché vivere

    violandole. La morte di Socrate, al di là del caso personale di questo filosofo e del significato ideale

    che egli le diede, manifesta anche il tragico soccombere intellettuale nei confronti del potere

    organizzato delle forze politiche. Per questo motivo Socrate è apparso come il primo martire del

    pensiero occidentale e dell’esigenza di una ricerca libera da condizionamenti: il suo nome,

    attraverso i tempi, ha assunto il valore di un esplicito atto di condanna verso le prepotenze dei

    politici, di coerenza, di lealtà e di giustizia.

  • Assaggi di Filosofia

    24

    I SOFISTI di Valeria Speranza

    Nel V secolo a.C. si assiste ad eventi storici epocali,la Grecia trionfa sulla Persia, la lotta fratricida

    tra Atene e Sparta che sfocia nella guerra del Peloponneso e che coinvolge gran parte delle città

    greche e determina la loro generale decadenza1. In pochi decenni,la tradizione si corrompe, lo Stato

    perde il prestigio e la potenza, e forze disgreganti prendono il sopravvento portando alla

    disgregazione e al più esasperato individualismo edonistico.

    La democrazia, faro di Atene e altre città, si tramuta in pura demagogia e lotta di fazione.

    Contemporaneamente la vita privata si concedea lusso e gusti prima sconosciuti o tenuti lontani,

    portando a immoralità, sfrenatezze e lussuria.

    Un clima sociale mutato nel quale si diffonde un’accesa necessità di “istruzione”. Le nuove classi

    sociali emergenti della media e dell'alta borghesia desiderano affiancare, al potere del danaro, il

    prestigio della cultura, indispensabile ed imprescindibile per imporsi nelle pubbliche assemblee e

    nei tribunali, ai quali sempre più spesso si ricorre per risolvere le infinite questioni legali che

    animano le assemblee.Si sviluppano e sorgono allo stesso tempo, innumerevoli attività professionali

    di tipo specialistico, dalla medicina alle varie arti, dalla tattica militare alla ginnastica,

    dall'urbanistica alla matematica, e così via.

    Il termine sofista2,che originariamente significa genericamente “sapiente”, ora designa una precisae

    definita categoria di intellettuali e risponde palesemente alle nuove e concrete esigenze sociali. Si

    può a ragione dire che con i sofisti nasce la scuola, nel senso moderno del termine. Alle antiche

    consorterie aristocratiche riservate a pochi eletti, quali erano le scuole dei maestri presocratici, si

    sostituisce l'istruzione generalizzata, dietro pagamento. Furono proprio i sofisti i primi a chiedere,

    in cambio dell'insegnamento, compensi in denaro, anche molto alti, e ciò determinò grande

    scandalo e ricorrenti accuse di avidità e di immoralità3. Molti di loro accumularono considerevoli

    fortune, fatto che dimostra l'utilità pratica della loro funzione. Quasi ovunque furono ostacolati e

    criticati dalle pubbliche autorità , tratto distintivo dei sofisti era la mentalità cosmopolita,

    viaggiavano e si trasferivano di continuo da una città all'altra cercando pubblico e clienti,

    naturalmente questo era anche un modo per sfuggire alle accuse di immoralità, non appena la

    situazione diventava insostenibile, ripartivano e cercavano ospitalità altrove.

    I sofisti diedero vita a una vera e propria “moda”, entusiasmando ed accedendo soprattutto i

    giovani.

    Furono essi i creatori, i forgiatori del concetto di cultura. Il Greco aristocratico non distingue il

    sapere, l'istruzione, dalla formazione morale e fisica complessiva; la “virtù” l’areté di un uomo è un

    sinolo, un complesso unitario che comprende ovviamente anche la saggezza (sophia) e la facondia

    (l'esser capace di “buone parole” e di “buone azioni” come ideale omerico dell'uomo perfetto), ma

    non come acquisizioni specialistiche, nel senso, ad esempio, in cui noi oggi diciamo che un uomo è

    fornito di “buona cultura”.L’educazione ovvero la ‘’paideia4’’antica è consegnata unicamente alla

    religione, al mito e alla poesia incarnata soprattutto dai poemi di Omero e viene trasmessa di padre

    in figlio di generazione in generazione.

    1La guerra del Peloponneso ,Garzanti Grandi Libri, Tucidide . 2 Mauro Bonazzi, I sofisti, Roma: Carocci, 2007

    3 Erano detti anche “mercenari del sapere” e poiché si facevano pagare per i loro insegnamenti, furono criticati

    aspramente dai loro contemporanei (prima da Socrate, poi da Platone e da Aristotele) e vennero definiti offensivamente

    “prostituti della cultura”. Da qui emerge una figura storica negativa. 4 I sofisti introducono il concetto di “paideia”, che assume il significato di pedagogia (che si occupa dell’educazione e

    della formazione degli individui). Nella sofistica il concetto di educazione si pone come un concetto vicino alla società,

    alla vita pubblica e politica, vicina alla polis, poiché i greci venivano educati per avere tutte le abilità di un personaggio

    politico e importante.

  • Assaggi di Filosofia

    25

    Già le scuole presocratiche introdussero in questo campo una notevole rivoluzione, poiché il mito e

    la poesia erano affiancati da una più personale e razionale ricerca di sapienza; ma furono i sofisti a

    rivoluzionare il costume aristocratico antico e a fare del sapere una qualità “tecnica” e

    “specialistica”.

    I sofisti partivano dal principio che l’areté5è insegnabile e che chiunque può raggiungerla, con

    l’impegno e naturalmente con il denaro. Questa asserzione non poteva che suonare scandalosa ad

    una società di tradizione aristocratica abituata a considerare l'areté di un uomo come un fatto di

    nascita e di sangue e un tratto di carattere e di costume, più che un'abilità pratica particolare, visto

    che ogni abilità pratica o professionale appariva anzi qualcosa di plebeo e di non degno di un

    autentico aristocratico. Ciò che principalmente insegnavano i sofisti era l'arte della parola e dei

    discorsi (logoi) e cioè l'arte retorica6.

    Il saper parlare, saper convincere, entusiasmare, infuocare, commuovere, erano tutte virtù essenziali

    per dominare le assemblee popolari, determinare le votazioni, ottenere incarichi pubblici. La

    retorica veniva quindi a coincidere con la scienza politica del tempo e la sua utilità pratica era

    dunque grandissima: retorica e potere si fusero. I sofisti erano dei tecnici dell'arte del discorso e

    della confutazione (utile anche nei tribunali) e insegnavano con quali artifici si potesse dimostrare

    la veridicità di qualsivoglia tesi, anche la più paradossale, oppure insegnavano a sostenere con

    apparentemente buoni argomenti sia la tesi che l'antitesi riguardo a una stessa questione (eristica).

    Però alcuni sofisti erano anche competenti in discipline particolari come la grammatica, la

    linguistica, l'etimologia, la sinonimica, la critica letteraria. Alcuni si interessarono anche di

    questioni naturali e scientifiche, come già i presocratici, ma il loro prevalente interesse andava

    all'aretésociale, piuttosto che all'alétheia per questo si sostiene che essi determinarono una

    rivoluzione “antropologica” nella cultura, rivolgendosi all'uomo, al soggetto, piuttosto che alla

    natura, all'ogge