ASPETTI ESOTERICI DEL CONO PITAGORICO E CRITICITÀ …. 28 a N. 33 - Euclide anno 2016/N... ·...

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1 ASPETTI ESOTERICI DEL CONO PITAGORICO E CRITICITÀ INTORNO AL TEOREMA DI PITAGORA Alunno: DARIO FUSARO ( classe IIIA Liceo Scientifico “E.Siciliano”, Bisignano CS) Referente: Prof.ssa FRANCA TORTORELLA

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ASPETTI ESOTERICI DEL CONO PITAGORICO

E

CRITICITÀ INTORNO AL TEOREMA DI PITAGORA

Alunno: DARIO FUSARO ( classe IIIA Liceo Scientifico “E.Siciliano”,

Bisignano CS)

Referente: Prof.ssa FRANCA TORTORELLA

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Cosa mi piace di più: IL CONO PITAGORICO

Per determinare le basi delle piramidi o per fissare i limiti di qualche terreno, gli

antichi Egizi ricorrevano spesso alla costruzione dell’angolo retto.

Usavano il metodo della corda: prendevano una corda suddivisa con dei nodi in

dodici unità di lunghezza, fissavano nel terreno due paletti alla distanza di quat-

tro unità, poi, come è rappresentato nella figura, sistemavano una parte della

corda intorno ai due paletti e tendevano le parti di tre e di cinque unità finché i

due estremi si incontravano in un punto dove veniva posto un terzo paletto.

Il triangolo che si ottiene è rettangolo.

Gli Egizi notarono che i numeri 3, 4, 5, lunghezze dei lati del triangolo, erano tali

che:

3² + 4² = 5².

E notarono che se i lati sono lunghi 6, 8, 10, si ha ancora un triangolo rettango-

lo, e ancora si verifica che:

6² + 8² = 10².

E lo stesso accade se i lati sono lunghi 9, 12, 15: si ha sempre un triangolo ret-

tangolo, e ancora si verifica che:

9² + 12² = 15².

Gli Egizi attribuirono a queste terne numeriche un valore mistico.

Si pensa che altri triangoli rettangoli siano stati individuati dagli antichi. In epo-

che anche molto remote gli Indiani e i Cinesi avevano osservato che per costru-

ire un angolo retto si poteva utilizzare una corda divisa in parti lunghe 5, 12, 13

e anche una corda divisa in parti lunghe 8, 15, 17.

E anche in questi casi accade che:

5² + 12² = 13² e 8² + l5² = 17²

Una testimonianza ancora più espressiva sul teorema di Pitagora è data da una

tavoletta babilonese del 2000-1800 a.C. È la tavoletta conservata al British Mu-

seum, a Londra. Questa tavoletta è un elenco di problemi, proposti e risolti, ri-

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trovata assieme ad altre, qualche decina di anni fa, durante scavi eseguiti nella

zona dell'antica Babilonia.

È uno dei più antichi documenti matematici che si posseggono. L'autore è inco-

gnito ma è certamente un matematico.

Ecco quanto è detto in un problema che trascriviamo qui sotto; è scritto in ca-

ratteri cuneiformi:

«Un bastone lungo 30 unità è appoggiato a un muro. In alto scivola di 6 unità.

Di quanto il piede del bastone si è allontanato dalla base del muro?».

Segue la soluzione: si dice che si deve fare il quadrato di 30 e da questo sottrar-

re il quadrato del numero ottenuto togliendo a 30 il numero 6, e cioè 24; si ot-

tiene in tal modo il quadrato del numero 18. Bene, 18 è il numero cercato, cioè

il piede del bastone si allontana di 18 unità dalla base del muro.

E infatti il bastone si allontana dalla base del muro di una lunghezza data da:

18324243022

.

Anche i Babilonesi conoscevano dunque il teorema di Pitagora, ma come gli E-

giziani, gli Indiani, i Cinesi, non hanno mai dato una dimostrazione della pro-

prietà.

Pitagora, nato a Samo in Grecia nel 572 a.C., pare fosse andato da giovane in

Egitto: lì avrebbe appreso la prime nozioni matematiche, soprattutto di geome-

tria.

Tornato a Samo, dopo un soggiorno di 20 anni in Egitto, trovò che molti avve-

nimenti politici avevano cambiato l'aspetto della sua città: non potendo sop-

portare il governo del tiranno Policrate, lasciò ben presto la Grecia trasferendo-

si nella Magna Grecia.

A Crotone egli raccolse attorno a sé un gruppo di allievi: la novità del suo inse-

gnamento fece accorrere alla scuola tutti gli abitanti e l'entusiasmo era così vi-

vo che anche le donne, infrangendo la legge che le escludeva dalle assemblee,

andavano ad ascoltarlo.

Ma che cosa insegnava Pitagora? Un primo insegnamento dava una prepara-

zione morale e religiosa al cittadino. Comprendeva anche i primi elementi di

matematica e musica, ai quali Pitagora dava la più grande importanza.

Dopo questa specie di istruzione primaria, i migliori allievi passavano sotto l'in-

segnamento continuo e diretto del Maestro: essi venivano a far parte di una

specie di confraternita : si chiamavano i Pitagorici.

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Il loro simbolo era quello che si chiama Stella d'Italia: una stella a cinque punte.

Erano così strettamente legati che è difficile dire quali studi sono da attribuirsi

al Maestro e quali agli allievi.

Era un grandissimo onore appartenere a quella associazione, in cui i ricchi do-

vevano dividere i loro beni con i poveri: e non solo i beni materiali, dato che

tutti facevano la stessa vita, ma anche la conoscenza .

Pitagora conosceva probabilmente quei casi particolari che erano stati scoperti

solo empiricamente dagli Egiziani, dai Babilonesi, dai Cinesi, dagli Indiani.

Ma da quelle osservazioni di carattere empirico non era facile passare ad una

generalizzazione della proprietà, dimostrare cioè che: in ogni triangolo rettan-

golo il quadrato costruito sull'ipotenusa equivale alla somma dei quadrati co-

struiti sui cateti.

Se tre numeri interi a, b e c verificano la relazione a2+ b2= c2, si dice che forma-

no una terna pitagorica.

In Algebra, il teorema di Pitagora si può esprimere così:

Se a e b sono le lunghezze dei cateti di un triangolo rettangolo e c è la lun-

ghezza dell'ipotenusa, si ha che:

a2+ b2= c2

Se tre numeri interi a, b e c verificano la relazione a2 + b2 = c2, si dice che for-

mano una terna pitagorica.

Ad esempio (3, 4, 5) e (5, 12, 13) sono due notissime terne pitagoriche, mentre

non lo è (1, 1, radq(2)) perché l'ultimo numero non è intero.

Anche (6, 8, 10) è una terna pitagorica, ottenuta raddoppiando i termini della

(3, 4, 5).

Le Terne pitagoriche originali, i cui cateti sono al disotto di 100 sono quelle ri-

portate nella tabella seguente:

5

( 3, 4, 5) ( 5, 12, 13) ( 7, 24, 25) ( 8, 15, 17)

( 9, 40, 41) (11, 60, 61) (12, 35, 37) (13, 84, 85)

(16, 63, 65) (20, 21, 29) (28, 45, 53) (33, 56, 65)

(36, 77, 85) (39, 80, 89) (48, 55, 73) (65, 72, 97)

Le terne come la (3, 4, 5) sono dette terne primitive e quelle come la (6, 8, 10)

sono dette derivate.

Infatti, se (a, b, c) è una terna pitagorica, lo è anche (ka, kb, kc), con k numero

intero positivo.

Come si distinguono le terne primitive da quelle derivate?

Semplice: se a e b sono primi fra loro allora la terna è primitiva, altrimenti è

derivata.

Attraverso l’utilizzo di un programma nel linguaggio MATCOS 3.5 è possibile

calcolare le serie di terne pitagoriche.

Prendendo ora in considerazione la Terna Pitagorica primitiva (3,4,5), si può

creare inizialmente un triangolo rettangolo, con i rispettivi cateti di 3 e 4 e

l’ipotenusa di 5.

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In seguito, grazie ad opportuni comandi, è possibile ruotare il triangolo iniziale

intorno ad un cateto, tale da creare un cono quasi completo.

Infine, dopo il running del programma, possiamo visualizzare la figura vera e

propria.

Grazie a questo, si può constatare che, tramite una terna, è possibile creare un

triangolo rettangolo.

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Ed inoltre, con la rotazione di quest’ultimo, generare un cono, passando quindi

dalla geometria piana a geometria solida.

GLI ASPETTI ESOTERICI DEL TEOREMA DI PITAGORA

Nelle Logge del"Rito Scozzese Antico ed Accettato” l’Ex Maestro Venerabile

(Massoneria) indossa un gioiello che rappresenta il Teorema di Pitagora.

Prima di giungere a conclusioni sul motivo per cui il teorema sia entrato a far

parte dei simboli usati nei gioielli massonici.e sull’insegnamento che potesse

trasmettere, all’Iniziato, il Teorema di Pitagora; è necessario premettere che

per i Pitagorici i numeri pari erano imperfetti e i dispari perfetti.

Fanno eccezione a questa suddivisione:

- 0 perché non considerato numero

- 2 perché non considerato numero ma inizio dei numeri pari

- 4 perché primo dei numeri pari

- 6 perché associato a Venere che era un simbolo di bellezza e perfezione

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In un triangolo rettangolo avente lati interi deve corrispondere una terna pita-

gorica, ed ovviamente ad ogni terna pitagorica corrisponde un triangolo rettan-

golo.

Se consideriamo le terne Pitagoriche, vediamo come il primo ed il secondo ca-

teto possano essere, l’uno o l’altro, pari uno e dispari l’altro. Questo non vale

per l’Ipotenusa che è sempre dispari.

Un triangolo si dice rettangolo perché fra i due cateti vi è un angolo retto, ovve-

ro, un angolo di 90° .

90 è il prodotto di 9 x 10, dove 9 è un simbolo di rigenerazione e secondo alcuni

commentatori anche di Giustizia, mentre il 10 è simbolo della Perfezione, della

sublimazione, è il compimento di ogni cosa. Quindi l’angolo retto è il simbolo di

quella rettitudine, derivante dalla volontaria sottomissione alla giustizia divina,

ed alla sua legge, che porta alla rigenerazione, alla sublimazione, al compimen-

to di ciò che è giusto.

Questo significa, in poche parole, la rigenerazione dell’uomo, il suo ritorno allo

stato d’Uomo divino originale.

Il Triangolo è una figura piana e quindi espressa con due dimensioni, su di un

piano, tipicamente base (orizzontale) ed altezza (verticale), congiunti da una

diagonale. Prendiamo ad esempio la prima delle Terne Pitagoriche 3,4,5 che è

l’unica nella quale tutti i lati del triangolo sono entro la decina, che rappresen-

ta, come abbiamo visto, la sublimazione.

Osserviamo uno ad uno i numeri che la compongono.

-Il 3 è un numero perfetto, è il primo dei numeri dispari e rappresenta la sintesi

di monade e diade (la diade è la quale è un principio generatore ed esteriorizza

la Monade entro lo spazio ed il tempo).

Il 3 si esprime, geometricamente, con il triangolo. Il tre conclude la terna dei

numeri naturali 1,2,3 per i quali si osserva che la loro somma è uguale al pro-

dotto. 1+2+3 = 6 e 1x2x3=6, che abbiamo detto essere legato a Venere, nella

sua veste di simbolo di Bellezza e Perfezione.

Quindi vediamo la monade, Dio, unito alla manifestazione nello spazio e nel

tempo.

- Il 4 è il primo numero pari, è un numero perfetto, anche se pari, perché dal

suo sviluppo si ottiene la decade, la Tetraktys.

Il Quaternario nasce dall’unione della monade 1 col ternario 3. Anche il quattro

rappresenta, per i pitagorici la giustizia.

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- Il 5, è l’unione della diade con il ternario; è il risultato dell’azione spirituale, è

il simbolo dell’armonia.

Il Teorema di Pitagora applicato alla prima Terna pitagorica vede il Ternario,

come proiezione della Monade nella Diade, la natura della generazione, fare un

angolo retto (ovvero, subordinato alla giustizia divina, che contiene la possibili-

tà di rigenerazione e di sublimazione di ogni cosa) con la Tetrade, base della

manifestazione, simbolo anch’essa di giustizia, il cui sviluppo manifesta la Te-

traktys che è la sintesi dell’Universo, nel suo stato perfetto.

La somma dei quadrati costruiti sui cateti, è il quadrato dell’ipotenusa, la cui

radice quadrata esprime il risultato armonico dell’azione Spirituale che, quando

è applicato alla Diade, grazie alla capacità generatrice di quest’ultima, può ma-

nifestare la sintesi dell’Universo il tutto nella sua completezza, la natura subli-

mazione nello stato della Divina Perfezione.

Abbiamo visto che, in generale, per i pitagorici i numeri pari erano imperfetti,

mentre i dispari perfetti.

Quantunque uno dei due cateti sia sempre pari e quindi imperfetto vediamo

come, grazie alla possibilità di rigenerazione, offerta dal Logos, e all’obbedienza

liberamente accettata alla Legge Divina, l’imperfetto possa essere sublimato,

giungere a compimento, nell’ipotenusa che è sempre dispari e quindi perfetta.

Vediamo, così, che l’Uomo, e la sua realtà, possono unirsi a Dio e trascendere il

proprio stato d’imperfezione, mediante una vita, in resa di Sé al Divino, in uno

stato d’essere in armonia con la Legge Divina.

Il risultato di un tale orientamento di vita è una nuova Armonia nella quale

l’Essenza può incontrare lo Spirito Unitario.

Cosa non mi piace di più:

CRITICITÀ INTORNO AL TEOREMA DI PITAGORA

Come succede in tutti i campi dello scibile, ad ogni legge deve corrispondere

una dimostrazione, per affermare quanto enunciato. A volte le dimostrazioni

per raggiungere un risultato sono molteplici e tante volte questi ragionamenti

richiedono innumerevoli e complicati passaggi, che non arrivano alla compren-

sione di tutti. Molte altre volte non si ottiene la soluzione desiderata.

Questo è uno degli aspetti critici che investe il Teorema di Pitagora ed in parti-

colare la sua dimostrazione.

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Le dimostrazioni del celebre teorema non sono infinite, ma nel corso dei secoli

ne sono state proposte diverse centinaia, con molte varianti, e il loro numero

continua a crescere grazie a quelle che ancora oggi vengono scoperte da ma-

tematici professionisti o dilettanti, sempre affascinati da questo teorema. Se

andiamo a curiosare fra le tante dimostrazioni, ne troviamo alcune veramente

curiose.

Si racconta che Pitagora abbia scoperto il suo teorema mentre stava aspettan-

do di essere ricevuto da Policrate. Seduto in un grande salone del palazzo del

tiranno di Samo, Pitagora si mise ad osservare le piastrelle quadrate del pavi-

mento.

In realtà la storia del teorema è molto più complessa e le sue origini, come ab-

biamo già detto, risalgono almeno ad un migliaio di anni prima che Pitagora si

dedicasse allo studio dei triangoli rettangoli. Per avviare la nostra indagine sul

teorema partiamo dalla formulazione che ne diede Euclide:

In ogni triangolo rettangolo il quadrato del lato opposto all'angolo retto è u-

guale ai quadrati dei lati che contengono l'angolo retto.

Se lo riscriviamo in termini più moderni abbiamo l'enunciato riportato gene-

ralmente nei testi scolastici:

In ogni triangolo rettangolo il quadrato dell'ipotenusa (oppure: l'area del qua-

drato costruito sull'ipotenusa) è equivalente alla somma dei quadrati dei due

cateti (oppure: alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui due cateti).

Se c indica la lunghezza dell'ipotenusa e a e b quelle dei due cateti possiamo

scrivere il teorema in forma algebrica:

Il teorema di Pitagora era noto un tempo come "il ponte degli asini", il ponte

che riusciva a superare soltanto chi dimostrava di possedere sufficienti attitu-

dini per il pensiero astratto e per un metodo deduttivo da applicare a procedi-

menti matematici quali erano quelli proposti dai pitagorici.

Ecco come Einstein ricorda il suo primo incontro con il teorema:

Avevo 12 anni quando un mio vecchio zio mi enunciò il teorema di Pitagora e

dopo molti sforzi riuscii a dimostrarlo. E’ stata un’esperienza meravigliosa sco-

prire come l’uomo sia in grado di raggiungere un tale livello di certezza e di

chiarezza nel puro pensiero. E sono stati i Greci per primi ad indicarcene la pos-

sibilità, con la geometria.

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Vediamo una delle dimostrazioni più semplici, quella che generalmente si trova

sui testi scolastici e che riprende il ragionamento che Pitagora potrebbe aver

fatto osservando le piastrelle quadrate nel palazzo di Policrate.

Dato il triangolo rettangolo ABC di cateti a, b e ipotenusa c, costruiamo due

quadrati equivalenti, che abbiano come lato la somma dei due cateti, a + b.

Scomponiamo il primo di questi quadrati nei due quadrati costruiti sui cateti e

nei quattro triangoli di figura, equivalenti al triangolo dato. Scomponiamo poi il

secondo quadrato nel quadrato costruito sull'ipotenusa e negli stessi quattro

triangoli. Se ai due quadrati grandi togliamo i quattro triangoli uguali, ottenia-

mo due parti equivalenti, con la stessa area: i quadrati costruiti sui cateti e il

quadrato costruito sull'ipotenusa.

Molte dimostrazioni si basano semplicemente sulla scomposizione di aree in

parti uguali. Una di queste potrebbe provare che anche in Cina il teorema "di

Pitagora" era già noto almeno mille anni prima della nascita di Pitagora.

Ma la dimostrazione per eccellenza per i matematici è sicuramente quella di

Euclide, riportata nel primo libro degli Elementi, proposizione 47:

Nei triangoli retti il quadrato del lato che sottende l'angolo retto è uguale alla

somma dei quadrati dei lati che contengono l'angolo retto.

Questa dimostrazione fa riferimento a una figura che è stata battezzata, per la

sua forma particolare, mulino a vento, coda di pavone o sedia della sposa. Ve-

diamola nei termini usuali per uno studente, come la ritrova sul suo libro di ge-

ometria, nel capitolo dedicato ai teoremi di Euclide.

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La dimostrazione di Euclide, oltre a far disperare ancora oggi tanti studenti, fe-

ce arrabbiare anche il celebre filosofo Arthur Schopenahuer, il quale accusò il

grande matematico greco di aver costruito una figura che porta a una intermi-

nabile catena di passaggi e che sembra chiudersi su di noi come una “trappola

per topi”. Schopenahuer presentò anche una sua dimostrazione, magnifican-

done, con la presunzione che lo contraddistingueva, la chiarezza e la semplicità.

In realtà si tratta di una dimostrazione senza alcun valore, riguardante soltanto

il caso particolare del triangolo rettangolo isoscele. Proprio quello che era stato

il punto di partenza per Pitagora, lo studio delle piastrelle del palazzo di Policra-

te, ma soltanto un punto di partenza, per arrivare alla dimostrazione generale

del teorema.

Sicuramente Schopenahuer più della dimostrazione di Euclide, avrebbe apprez-

zato quella proposta nel 1873 da Henry Perigal, un agente di cambio inglese

con la passione per la matematica. Egli divide il quadrato costruito sul cateto

maggiore in quattro parti, con due segmenti passanti per il centro del quadrato

stesso, uno dei quali parallelo e l'altro perpendicolare all'ipotenusa BC, e ri-

compone poi i quattro pezzi, insieme al quadrato costruito sull’altro cateto, nel

quadrato dell’ipotenusa. Si tratta naturalmente di dimostrare l'equivalenza del-

le parti in cui sono stati divisi i quadrati dei cateti con quelle ricomposte sul

quadrato dell'ipotenusa .

.

Nel Giardino di Archimede, Un museo per la matematica, alle pagine web dedi-

cate a Pitagora, si trova una dimostrazione in poesia, trovata pare, nel secolo

scorso, da un astronomo dell'osservatorio di Greenwich, G. B. Airy.

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Se il lettore osserva figura saprà ricavarne immediatamente la dimostrazione: i

due triangoli gialli con la parte bianca formano il quadrato dell'ipotenusa, men-

tre la stessa parte bianca con i due triangoli verdi, equivalenti ai precedenti,

formano i quadrati dei cateti, com'è facilmente verificabile. Airy presenta

poeticamente la figura in questo modo:

I am, as you can see,

a² + b² - ab

When two triangles on me stand,

Square of hypothenuse is plann'd

But if I stand on them instead

The squares of both sides are read.

Tentiamone una traduzione:

Come potete veder, son qui:

a² + b² - ab

Se due triangoli sono sopra di me

Il quadrato dell'ipotenusa c'è

E se questi di sotto invece stanno

I quadrati dei cateti si hanno.

La figura mostra la dimostrazione di James A. Garfield, trovata nel 1876.

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Vediamo ancora la dimostrazione trovata nel 1876 da James A. Garfield, vente-

simo presidente degli Stati Uniti. Antischiavista, eroe della guerra civile, Gar-

field venne eletto presidente nel 1880 e avviò subito una campagna contro la

corruzione politica, procurandosi per questo molti nemici. Pochi mesi dopo la

sua elezione, venne ferito con alcuni colpi di pistola. Garfield trovò una dimo-

strazione inedita del teorema insieme ad alcuni suoi colleghi del Congresso, in

un "momento di passatempo matematico". "Pensiamo che su questa dimostra-

zione - disse - si possano trovare d'accordo tutti i deputati, indipendentemente

dalle loro idee politiche". La dimostrazione di Garfield, molto bella, si fonda sul

calcolo dell’area del trapezio. In questo caso non dobbiamo costruire alcun

quadrato.