Articolo Differenziali Di Inflazione Pp.59-67

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 BCE Bollettino mensile Maggio 2005  59 ARTICOLI LA POLITICA MONETARIA E I DIFFERENZIALI DI INFLAZIONE IN UN’AREA VALUTARIA ETEROGENEA Questo articolo valuta la rilevanza delle divergenze regionali all’interno di un’unione monetaria per le  politiche e conomiche e la politica monetaria u nica, concen trandosi sui differ enziali dei tassi di inazione. T ali differenziali sono un fenomeno normale in qualsiasi unione monetaria; anche in quelle ormai con-  solidate c ome gli Sta ti Uniti s i osservan o differenze f ra i tassi d i crescita dei p rezzi a livello regionale.  A titolo d i confronto, questi d ifferenziali nell’area de ll’euro non sono ins olitament e ampi.  I differenziali di inazion e possono essere parte integran te del meccanismo di aggius tamento all’e tero-  geneo andamen to economico nei paesi par tecipanti , un meccanismo che a sua volta riette l’im patto di diversi shock economici nonché il fatto che le strutture economiche variano da paese a paese. I diffe- renziali di inazione sono, pertanto, il prodotto di un processo di riequilibrio all’interno di un’unione monetaria e, in quanto tali, sono non soltanto inevitabili ma anche auspicabili.  Allo stesso temp o, differenziali di inazione durat uri nell’area dell’e uro sono, in certa misura, anch e il risultato di politiche di bilancio disomogenee, di dinamiche salariali divergenti e di inefcienze strut- turali consolidate come le rigidità nominali e reali nei mercati dei fattori, dei beni e servizi. A livello nazionale, le politiche economiche devono occuparsi dei differenziali di inazione quando essi siano  generati da tali fattori, in primis mediante riforme struttur ali dei mercati del lavoro, dei beni e dei  servizi volte ad accrescere la capacità di un paese di adattarsi nel modo migl iore possibile a condizion i economiche in continuo cambiamento nell’unione monetaria.  La politica monetar ia, mantenen do la stabilit à dei prezzi nel compless o dell’area dell’euro, contri- buisce alla loro trasparenza e agevola il necessario aggiustamento dei prezzi relativi tra i vari paesi. Sebbene limitare le variazioni dei prezzi relativi e dei differenziali di inazione non possa essere un obiettivo della politica monetaria della Banca centrale europea, è necessario che essa valuti le cause  sottostan ti a tali differenzial i. P iù i n gen erale, il m onitorag gio degli andament i naz ionali e se ttoriali è essenziale per comprendere le tendenze soggiacenti nel complesso dell’area dell’euro e formulare la reazione di politica monetaria più appropriata. Tale attività agevola inoltre l’identicazione di barriere strutturali che possono ostacolare gli aggiustamenti macroeconomici nell’area e contribuisce quindi all’individuazione di aree in cui riforme strutturali sono particolarmente necessarie. 1 INTRODUZIONE L’area dell’euro è un’unione monetaria che com-  pren de 12 paes i e più di 300 mil ioni di per sone . L’adozione con successo dell’euro è stato il ri- sultato della convergenza delle monete verso i migliori benchmark  preesistenti. L ’Unione eco- nomica e monetaria ha creato condizioni favore- voli per notevoli guadagni potenziali in termini di prosperità e benessere per i paesi partecipanti. L’introduzione della moneta unica, in particola- re, ha eliminato la variabilità dei tassi di cambio fra i paesi dell’area dell’euro, riducendo così i costi di transazione, aumentando la trasparen- za transfrontaliera dei prezzi, promuovendo gli scambi commerciali. In ultima analisi, ha favo- rito una maggiore integrazione economica. La politica monetaria è condotta dal Consiglio direttivo della BCE con l’obiettivo primario di mantenere la stabilità dei prezzi nel complesso dell’area dell’euro. Essa non si occupa, pertanto, direttamente delle differenze nei tassi di inazio- ne né negli altri andamenti economici che, a cau- sa della presenza di strutture o politiche econo- miche eterogenee, possono emergere nell’area. Sebbene i differenziali di inazione siano una caratteristica normale di ogni unione monetaria, nel contesto dell’area dell’euro la loro presenza è combinata ad aspetti istituzionali ed economici che sono, in larga misura, unici, come la limita- ta mobilità sul lavoro, le rigidità nei mercati del lavoro e dei beni e servizi, la mancanza di signi- cativi meccanismi di trasferimenti scali cen-

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BCEBollettino mensile

Maggio 2005 59

ART ICOL I

LA POL I T I CA MONETAR IAE I D I F FERENZ IAL I D I IN FLAZ IONE

IN UN ’AREA VALUTAR IA ETEROGENEAQuesto articolo valuta la rilevanza delle divergenze regionali all’interno di un’unione monetaria per le

 politiche economiche e la politica monetaria unica, concentrandosi sui differenziali dei tassi di inflazione.

Tali differenziali sono un fenomeno normale in qualsiasi unione monetaria; anche in quelle ormai con-

 solidate come gli Stati Uniti si osservano differenze fra i tassi di crescita dei prezzi a livello regionale.

 A titolo di confronto, questi differenziali nell’area dell’euro non sono insolitamente ampi.

 I differenziali di inflazione possono essere parte integrante del meccanismo di aggiustamento all’etero-

 geneo andamento economico nei paesi partecipanti, un meccanismo che a sua volta riflette l’impatto di

diversi shock economici nonché il fatto che le strutture economiche variano da paese a paese. I diffe-renziali di inflazione sono, pertanto, il prodotto di un processo di riequilibrio all’interno di un’unione

monetaria e, in quanto tali, sono non soltanto inevitabili ma anche auspicabili.

 Allo stesso tempo, differenziali di inflazione duraturi nell’area dell’euro sono, in certa misura, anche il 

risultato di politiche di bilancio disomogenee, di dinamiche salariali divergenti e di inefficienze strut-

turali consolidate come le rigidità nominali e reali nei mercati dei fattori, dei beni e servizi. A livello

nazionale, le politiche economiche devono occuparsi dei differenziali di inflazione quando essi siano

 generati da tali fattori, in primis mediante riforme strutturali dei mercati del lavoro, dei beni e dei

 servizi volte ad accrescere la capacità di un paese di adattarsi nel modo migliore possibile a condizioni

economiche in continuo cambiamento nell’unione monetaria.

 La politica monetaria, mantenendo la stabilità dei prezzi nel complesso dell’area dell’euro, contri-buisce alla loro trasparenza e agevola il necessario aggiustamento dei prezzi relativi tra i vari paesi.

Sebbene limitare le variazioni dei prezzi relativi e dei differenziali di inflazione non possa essere un

obiettivo della politica monetaria della Banca centrale europea, è necessario che essa valuti le cause

 sottostanti a tali differenziali. Più in generale, il monitoraggio degli andamenti nazionali e settoriali

è essenziale per comprendere le tendenze soggiacenti nel complesso dell’area dell’euro e formulare

la reazione di politica monetaria più appropriata. Tale attività agevola inoltre l’identificazione di

barriere strutturali che possono ostacolare gli aggiustamenti macroeconomici nell’area e contribuisce

quindi all’individuazione di aree in cui riforme strutturali sono particolarmente necessarie.

1 INTRODUZIONE

L’area dell’euro è un’unione monetaria che com- prende 12 paesi e più di 300 milioni di persone.L’adozione con successo dell’euro è stato il ri-sultato della convergenza delle monete verso imigliori benchmark preesistenti. L’Unione eco-nomica e monetaria ha creato condizioni favore-voli per notevoli guadagni potenziali in terminidi prosperità e benessere per i paesi partecipanti.L’introduzione della moneta unica, in particola-re, ha eliminato la variabilità dei tassi di cambiofra i paesi dell’area dell’euro, riducendo così i

costi di transazione, aumentando la trasparen-za transfrontaliera dei prezzi, promuovendo gliscambi commerciali. In ultima analisi, ha favo-rito una maggiore integrazione economica.

La politica monetaria è condotta dal Consiglio

direttivo della BCE con l’obiettivo primario dimantenere la stabilità dei prezzi nel complessodell’area dell’euro. Essa non si occupa, pertanto,direttamente delle differenze nei tassi di inflazio-ne né negli altri andamenti economici che, a cau-sa della presenza di strutture o politiche econo-miche eterogenee, possono emergere nell’area.

Sebbene i differenziali di inflazione siano unacaratteristica normale di ogni unione monetaria,nel contesto dell’area dell’euro la loro presenzaè combinata ad aspetti istituzionali ed economici

che sono, in larga misura, unici, come la limita-ta mobilità sul lavoro, le rigidità nei mercati dellavoro e dei beni e servizi, la mancanza di signi-ficativi meccanismi di trasferimenti fiscali cen-

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BCEBollettino mensileMaggio 200560

tralizzati e di una responsabilità decentralizzata  per le politiche di bilancio e le altre politicheeconomiche. Per tali motivi, le differenze nelledinamiche dei prezzi nei paesi dell’area dell’eu-ro hanno attratto molta attenzione da parte del pubblico sin dall’introduzione dell’euro.

Il presente articolo passa in rassegna l’evidenzasulle principali caratteristiche e sulle possibi-

li cause dei differenziali di inflazione nell’areadell’euro e ne discute le implicazioni per le po-litiche economiche e la politica monetaria unica.Esso si articola nel modo seguente: la sezione 2 presenta informazioni sui recenti andamenti deidifferenziali di inflazione nell’area dell’euro, fral’altro da una prospettiva storica; la sezione 3illustra le principali spiegazioni possibili dei dif-ferenziali di inflazione in un’area monetaria; lasezione 4 prende in esame le implicazioni poli-tiche avanzate nel dibattito economico; la sezio-ne 5 descrive il modo in cui la BCE tiene conto

dei differenziali di inflazione e più in generaledi informazioni disaggregate sulle dinamichesettoriali e regionali nella formulazione dellasua politica monetaria; la sezione 6 trae alcuneconclusioni.

2 EV IDENZA SUI D I FFERENZIAL ID I INFLAZIONE NELL ’AREA DELL ’EURO

La figura 1 illustra l’evoluzione della dispersionedell’inflazione fra i paesi dell’area dell’euro, mi-

surata dalla deviazione standard non ponderatadei tassi di inflazione sui dodici mesi di tali paesi(in termini di IAPC) 1). Il grado di dispersionedell’inflazione tra i paesi dell’area si è sostan-zialmente stabilizzato dall’introduzione dell’eu-ro. Agli inizi degli anni novanta, durante la pri-ma fase dell’UEM (dal luglio 1990 al dicembre1993), il grado di dispersione dell’inflazione frai 12 Stati Membri dell’UE che ora costituisconol’area dell’euro era caratterizzato da una marcatatendenza alla riduzione. L’alto grado di disper-sione registrato agli inizi degli anni novanta era

 principalmente il risultato di livelli molto elevatidell’inflazione in alcuni paesi. Durante la secon-da fase (dal gennaio 1994 al dicembre 1998) lariduzione del grado di dispersione dell’inflazio-

ne si è protratta. Nella terza fase dell’UEM essaha raggiunto il livello più basso verso la secondametà del 1999. Da allora, ad eccezione di un mo-

desto aumento nel periodo 2000-2002, il livellodi dispersione nell’area dell’euro è rimasto per lo più invariato 2).

A titolo di paragone, la figura 1 mostra l’evo-luzione della dispersione dei tassi di inflazioneosservata in una unione monetaria consolidataquale gli Stati Uniti. Dall’avvio della terza fasedell’UEM la dispersione dell’inflazione nel-l’area dell’euro ha oscillato su un livello pros-simo a quello osservato nelle 14 aree statistichemetropolitane (ASM) degli Stati Uniti 3), mentre

1) La dispersione dell’inflazione può essere misurata in diversimodi. La misura più semplice è costituita dal differenziale frail più alto e il più basso tasso di inflazione. Un’altra misuraconvenzionale è la deviazione standard dei tassi di inflazionefra i paesi. La deviazione standard ponderata tiene conto delledimensioni dei paesi, mentre quella non ponderata attribuisceuguale importanza a tutti i paesi. Altre misure della dispersionedell’inflazione includono la radice quadrata della media de-gli scarti al quadrato dei tassi di inflazione dei singoli paesida quello dell’area dell’euro. Tutte queste misure offrono unquadro simile riguardo all’evoluzione della dispersione dell’in-flazione nell’area dell’euro.

2) Per ulteriori dettagli, cfr. BCE (2003), Inflation differentials in

the euro area: Potential causes and policy implications .

3) Le 14 ASM considerate sono: New York, Philadelphia, Boston,Washington, Chicago, Detroit, Cleveland, Dallas, Houston,Atlanta, Miami, Los Angeles, San Francisco e Seattle. Questerappresentano circa il 41 per cento della spesa totale per consu-mi negli Stati Uniti.

F igura 1 Dispers ione de l tasso di in f laz ionesu i dodic i mesi ne l l ’ a rea de l l ’ euro , ne l le 14aree stat i st i che metropol i tane (ASM) deg l iS tat i Un it i e ne l le 4 aree di cens imentodeg l i S tat i Un it i 1)

(deviazione standard non ponderata in punti percentuali)

area dell’euro (12 paesi)Stati Uniti (14 ASM)Stati Uniti (4 aree di censimento)

0

1

2

3

4

5

6

7

0

1

2

3

4

5

6

7

1990 2005

 prima fasedell’UEM

seconda fasedell’UEM

terza fasedell’UEM

1994 1995 1996 2000 2002 200319931991 1992 1997 1998 1999 2001 2004

Fonti: Eurostat, US Bureau of Labour Statistic e elaborazioni BCE.1) Dati aggiornati a febbraio 2005.

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ARTICOLI

La politica monetariae i differenziali

di inflazionein un’area

valutaria eterogenea

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 61

è stata leggermente superiore a quella registratanelle quattro aree di censimento 4).

È importante rilevare che il processo di conver-

genza nominale non è stato accompagnato da unamaggiore dispersione dell’attività economica nel-l’area dell’euro. Dal 1999 la dispersione dei tas-si di crescita del PIL in termini reali nell’area èrimasta molto prossima alla sua media storica efino ad ora non sono emersi segnali di un aumentodella divergenza nei tassi di crescita. Inoltre, dallafine degli anni ottanta vi sono state indicazioni diun aumento della sincronizzazione dei cicli tra i paesi dell’area dell’euro 5). Ciò conferma il parereche la divergenza nominale prima dell’introduzio-ne dell’euro fosse dovuta soprattutto alle varia-

zioni dei tassi di cambio e alla eterogeneità neiregimi di politica monetaria vigenti.

Al contempo, sembra che i differenziali di infla-zione nell’area dell’euro siano molto persistenti,nel senso che molti paesi hanno mantenuto un gapdi inflazione sistematicamente positivo o negativorispetto alla media dell’area sin dall’introduzionedella moneta unica, come mostrato nella tavola 1.

Tale persistenza dei differenziali di inflazionesembra essere una caratteristica peculiare del-

l’area dell’euro. Considerando le 14 ASM degliStati Uniti, i differenziali di inflazione maggioridi un punto percentuale e con una durata superio-re a due anni sono stati riscontrati soltanto in rari

casi specifici. Per contro, sette delle dodici eco-nomie dell’area dell’euro hanno registrato tassi diinflazione sui dodici mesi considerevolmente su- periori o inferiori alla media dell’area dal 1999.

Una prima comprensione delle possibili causedella persistenza dei differenziali di inflazionenell’area dell’euro può essere ottenuta medianteun esercizio contabile, che suddivida tali differen-ziali nelle loro determinanti principali. L’eserciziodimostra l’importanza relativa di fattori sia interni(come i costi del lavoro per unità di prodotto, imargini di profitto e le imposte indirette nette) siaesterni (come i costi all’importazione) per i dif-ferenziali di inflazione osservati. Come mostra latavola 2, in nove dei dodici paesi i fattori interni

(ossia i “costi interni”) hanno dato il contributo più significativo ai differenziali di inflazione ri-spetto alla media dell’area dell’euro. In alcunicasi anche i costi delle importazioni hanno svoltoun ruolo di rilievo; i differenziali di inflazione diBelgio, Francia e Lussemburgo sono stati deter-minati principalmente dalla dinamica di tali costi.

4) Le quattro regioni di censimento sono il Northeast, che inclu-de le ASM di New York, Philadelphia, Boston e Washington,il Midwest, che comprende le ASM di Chicago, Detroit eCleveland; il South, che raggruppa le ASM di Dallas, Houston,

Atlanta e Miami e il West, che include le ASM di Los Angeles,San Francisco e Seattle.

5) Cfr. “Cyclical convergence in the euro area: recent developmen-ts and policy implications”, Quarterly Report on the Eu ro Area,Commissione europea, luglio 2004.

Tavo l a 1 D i f f e renz i a l i d i i n f l a z i one (ba sa ta su l l ’ I APC) su i dod i c i mes i ca l co l a t ir i spe tto a l l a med ia de l l ’ a rea de l l ’ eu ro(punti percentuali)

media1999-2004

1999 2000 2001 2002 2003 2004

Belgio -0,1 0,0 0,6 0,1 -0,7 -0,6 -,03

Germania  -0,7 -0,5 -0,7 -0,4 -0,9 -1,0 -0,4

Grecia 1,2 1,0 0,8 1,3 1,7 1,4 0,9

Spagna 1,0 1,1 1,4 0,5 1,3 1,0 0,9

Francia -0,2 -0,6 -0,3 -0,6 -0,3 0,1 0,2

Irlanda 1,8 1,3 3,2 1,6 2,5 1,9 0,2

Italia 0,4 0,5 0,5 0,0 0,3 0,7 0,1Lussemburgo 0,5 -0,1 1,7 0,1 -0,2 0,5 1,1

Paesi Bassi 0,8 0,9 0,2 2,8 1,6 0,2 -0,8

Austria -0,4 -0,6 -0,1 0,0 -0,6 -0,8 -0,2

Portogallo 1,1 1,0 0,7 2,1 1,4 1,2 0,4

Finlandia -0,3 0,2 0,8 0,3 -0,2 -0,8 -2,0

Fonti: Eurostat ed elaborazioni della BCE.

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BCEBollettino mensileMaggio 200562

Per quanto riguarda la fonte interna dei diffe-renziali di inflazione in termini del deflatore delPIL, i contributi maggiori sono derivati dai costidel lavoro per unità di prodotto e dal margineoperativo lordo, mentre le imposte indirette nette

hanno teso a svolgere un ruolo di minor rilievo.In particolare, in Germania, Francia e Finlandial’andamento inferiore alla media in termini siadel costi del lavoro per unità di prodotto sia delmargine operativo lordo ha contribuito notevol-mente ai differenziali di inflazione negativi di tali paesi rispetto alla media dell’area dell’euro. Per contro, i differenziali positivi di Grecia, Irlanda,Italia e Spagna sono stati il risultato di dinami-che superiori alla media dell’area sia dei costidel lavoro per unità di prodotto sia dei profitti.

Se si considera l’andamento dei costi del lavo-ro per unità di prodotto, l’analisi rivela che lacomponente dei redditi per occupato ha datogeneralmente un contributo più significativo ai

differenziali rispetto alla produttività del lavo-ro. La dinamica moderata dei costi del lavoro per unità di prodotto in Germania, Austria e, inmisura minore, in Francia è stata principalmentedeterminata dall’andamento modesto della com-

 ponente dei redditi per occupato. Per contro, ladinamica superiore alla media di tale compo-nente ha contribuito all’andamento dei costi dellavoro per unità di prodotto in Portogallo, neiPaesi Bassi e in Spagna. Tuttavia, in alcuni casi(Belgio, Grecia, Irlanda e Finlandia) sembra chele due componenti abbiano avuto la stessa im- portanza. Nel caso dell’Italia, la bassa produtti-vità del lavoro sembra essere stata responsabiledel differenziale di crescita del costo del lavoro per unità di prodotto.

La diversità dei tassi di inflazione fra i paesidell’area dell’euro ha anche un’importante di-mensione settoriale. La tavola 3 mostra la di-spersione dei tassi di inflazione per ognuna

Tavola 2 Contributi a l l ’ inf laz ione sui dodici mesi nel periodo 1999-2003

Deflattore della domanda finale Deflattore del PIL Costi del lavoroper unità di prodotto

Contributialla variazione

Contributialla variazione

Contributialla variazione

Variazionetotale in

 percentualeCostiinterni

Costi delleimportazioni 1)

Variazionetotale in

 percentuale

Costi dellavoro per 

unità di prodotto

Margineoperativo

lordo

Tasseindirette

nette

Variazionetotale in

 percentuale

Redditi per 

occupato

Reciprocodella

 produttivitàdel lavoro

1 = 2 + 3 2 3 4 =5 +6 + 7 5 6 7 8 = 9 + 10 9 10

Crescita annuale media in punti percentuali, salvo diversa indicazione

Area dell’euro 1,8 1,0 0,8 2,0 1,1 0,6 0,2 1,9 2,6 -0,7

Deviazione dalla media dell’area dell’euro 2)

Belgio 0,1 -0,4 0,5 -0,4 0,1 -0,4 -0,1 0,1 0,5 -0,4

Germania -1,0 -1,0 -0,1 -1,2 -0,7 -0,5 0,0 -1,1 -1,0 -0,1

Grecia 1,5 1,4 0,1 1,5 0,2 1,0 0,3 0,4 3,5 -3,1

Spagna 1,5 1,2 0,3 1,8 0,7 0,8 0,3 1,1 1,2 0,0

Francia -0,7 -0,3 -0,4 -0,6 -0,2 -0,2 -0,2 -0,2 -0,2 0,0

Irlanda 1,3 1,2 0,1 2,4 0,0 2,0 0,3 0,4 3,5 -3,0

Italia 0,8 0,8 0,0 0,5 0,3 0,2 -0,1 0,7 0,0 0,8

Lussemburgo 0,3 -0,4 0,7 0,3 0,7 -0,6 0,2 1,4 3,3 -1,9

Paesi Bassi 0,8 0,6 0,3 1,4 1,2 -0,1 0,3 1,9 1,5 0,4

Austria -0,6 -0,6 0,0 -0,6 -0,8 0,4 -0,2 -1,4 -0,9 -0,5

Portogallo 1,0 1,3 -0,3 1,6 2,0 -0,9 0,5 2,9 2,7 0,2

Finlandia -0,8 -0,4 -0,4 -0,8 -0,2 -0,5 -0,1 -0,2 0,5 -0,7

Fonti: Commissione europea, Eurostat ed elaborazioni della BCE.1) A livello di singolo paese, i costi delle importazioni si riferiscono a quelle sia dall’interno sia dall’esterno dell’area.2) I valori nella tavola possono essere interpretati nel seguente modo: nel caso del Belgio, ad esempio, la variazione media sui dodici mesi deldeflatore della domanda finale nel periodo 1999-2003 era superiore dello 0,1 per cento a quella dell’area nel suo complesso. Il contributo della va-riazione media dei costi delle importazioni al differenziale osservato nella variazione del deflatore della domanda finale era 0,5 punti percentuali,mentre il contributo dei costi interni era pari -0,4 punti percentuali.

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ARTICOLI

La politica monetariae i differenziali

di inflazionein un’area

valutaria eterogenea

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delle cinque principali componenti dello IAPC,ossia i servizi, i beni industriali non energetici,quelli energetici, gli alimentari trasformati e glialimentari non trasformati.

 Nonostante sia diminuito per tutti gli anni no-

vanta, il grado di dispersione dell’inflazione dei prezzi dei servizi nei paesi dell’area è rimasto più elevato di quello registrato per l’indice IAPCnel suo complesso 6). Per contro, i tassi di cresci-ta dei prezzi dei beni industriali non energeticihanno mostrato un significativo grado di con-vergenza in tutti gli anni novanta e si sono stabi-lizzati su un livello di dispersione modesto dal1999 in poi. Data l’elevata quota di beni com-merciabili fra i beni industriali non energeticicompresi nello IAPC, il basso livello di disper-sione è probabilmente il risultato del processo di

convergenza del livello dei prezzi osservato nei paesi dell’area dell’euro. Tale processo ha rice-vuto uno stimolo notevole dalla realizzazionedel mercato unico durante la prima metà deglianni novanta ed è proseguito con l’introduzio-ne dell’euro. Con riferimento alle componenti più volatili dello IAPC, l’evoluzione dei prez-zi dell’energia varia sostanzialmente da paesea paese, per effetto non solo della significativavolatilità di questo sottoindice ma anche dellaconsiderevole eterogeneità nell’esposizione enelle reazioni agli shock petroliferi esterni dei

 paesi dell’area dell’euro.

Data l’importanza considerevole del settore deiservizi nel paniere dello IAPC, l’andamento di

questi prezzi è quello che fornisce il maggiorecontributo alla dispersione dell’inflazione com- plessiva misurata dall’indice. Tale ruolo è ulte-riormente potenziato dal fatto che il peso di talecomponente nello IAPC complessivo è aumen-tato negli ultimi anni, mentre il peso dei beni

industriali non energetici è diminuito.

In generale, è possibile individuare diversi ele-menti importanti che possono spiegare la per-sistenza dei differenziali di inflazione nell’areadell’euro, come la dinamica salariale, il ruolodel settore dei servizi e l’apertura delle econo-mie nazionali al commercio internazionale. Tut-tavia, le informazioni disponibili indicano chenon vi è un singolo fattore che possa spiegare la persistenza dei differenziali di inflazione nelleeconomie dell’area.

3 OR IGIN I DE I D I FFERENZIAL ID I INFLAZIONE NELL ’AREA DELL ’EURO

Al fine di valutare le potenziali implicazioni per le politiche economiche di persistenti differen-ziali di inflazione, è necessario identificare op- portunamente le cause sottostanti. Tuttavia, nonè un compito facile, poiché in una unione mone-taria ampia come l’area dell’euro diversi sono ifattori che possono contribuire alla divergenza

Tavo l a 3 D i spe rs i one 1) de l l ’ i n f l a z i one annua l e ne i d i v e r s i se t tor i ne l l ’ a rea de l l ’ eu ro

(punti percentuali)

IAPC totale Servizi Beniindustriali

non energetici

Benienergetici

Benialimentari

trasformati

Benialimentari

nontrasformati

1994-1998 1,95 2,43 2,12 2,78 2,67 3.25

1999-2004 1,12 1,54 1,06 3,35 1,77 2,44

 per memoria:

  pesi nell’IAPCdell’area dell’euro, 1998 0,34 0,34 0,09 0,13 0,09

  pesi nell’IAPCdell’area dell’euro, 2004 0,41 0,31 0,08 0,12 0,08

Fonti: Eurostat ed elaborazioni della BCE.1) La dispersione è calcolata come la radice quadrata delle deviazioni dalla media dell’area dell’euro al quadrato.

6) Tale risultato non muta se si esclude dai calcoli quei paesi del-l’area dell’euro che sono stati interessati da forti dinamicheidiosincratiche nei prezzi dei servizi.

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BCEBollettino mensileMaggio 200564

dei tassi di inflazione. Questa sezione presentauna breve descrizione dei fattori principali in-dividuati per spiegare l’esistenza di persistentidifferenziali di inflazione nell’area. In partico-lare, si distingue fra fattori transitori connessial processo di convergenza, fattori collegati adifferenze durature o permanenti nelle struttu-re economiche nazionali e fattori risultanti dal-la condotta e dall’applicazione delle politiche

fiscali e strutturali nazionali o dalle reazioniregionali a politiche dell’intera area dell’euro.Infine, si prende in esame la presenza e la forzarelativa di fattori amplificanti e contrastanti inun’unione monetaria.

3 .1 D I FFERENZIAL I D I INFLAZIONE DOVUTIAL PROCESSO D I CONVERGENZA

IL PASSAGGIO ALLA TERZA FASE DELL ’UEMIl passaggio alla terza fase dell’UEM e la con-vergenza dei tassi di interesse nominali nell’area

dell’euro su un livello precedentemente riscon-trato soltanto nelle migliori economie hannorappresentato un importante fattore temporaneoalla base dei differenziali di inflazione nei primianni della moneta unica. In particolare, nei paesiche in passato sono stati caratterizzati da tassidi inflazione più elevati, l’adozione dell’euro hadeterminato una riduzione significativa dei tassidi interesse nominali (e reali) e dei costi finan-ziari nonché un più alto grado di integrazionecon i mercati dei capitali del resto dell’area.Ciò ha contribuito a un aumento della domanda

interna in tali paesi, esercitando una sostenuta pressione al rialzo sui prezzi soprattutto nel set-tore dei beni non commerciabili e in quello deiservizi.

CONVERGENZA DEL L IVELLODEI PREZZI DE I BEN I COMMERC IABIL ILa realizzazione del mercato unico europeo nel-la prima metà degli anni novanta e la successi-va introduzione dell’euro nel 1999 hanno con-tribuito a un marcato declino della dispersionedel livello dei prezzi, specialmente per quanto

riguarda i beni commerciabili 7). La convergenzadei prezzi dei beni commerciabili verso un li-vello comune di lungo periodo è probabilmentestata responsabile di alcuni dei differenziali di

inflazione riscontrati nei primi anni della mone-ta unica, sebbene il suo contributo relativo siadifficile da quantificare 8). In prospettiva, nono-stante ulteriori progressi nelle politiche a favo-re della concorrenza sia europee sia nazionali possano ridurre ulteriormente i differenziali dei prezzi dei beni commerciabili, l’importanza diquesto tipo di convergenza per i differenziali diinflazione dell’area dell’euro dovrebbe diminui-

re nel corso del tempo

9)

.CONVERGENZA DEL L IVELLO DE I PREZZIDE I BEN I NON COMMERC IABIL I E DE ISERV IZ I : L ’ EFFETTO BALASSA-SAMUELSONSebbene l’integrazione dei mercati e la mag-giore trasparenza dei prezzi a livello transfron-taliero abbiano determinato una convergenzadei prezzi dei beni commerciabili, lo IAPC ècomposto in ampia misura da beni e servizi nonscambiati fra paesi. A tale proposito, l’effettoBalassa-Samuelson, che può indurre variazioni

nei tassi di cambio reali dei paesi e, in un’unio-ne monetaria, cambiamenti dei rispettivi tassi diinflazione, è stato spesso chiamato in causa inmerito ai persistenti differenziali di inflazionenell’area dell’euro. Al centro dell’ipotesi di Ba-lassa-Samuelson vi sono differenze nella cresci-ta della produttività nei settori dei beni commer-ciabili e non commerciabili dei vari paesi. Se lacrescita della produttività del lavoro è maggiorenel primo dei due settori, i salari tenderanno adaumentare senza determinare più elevati costidel lavoro per unità di prodotto. Tuttavia, se vi è

un’alta mobilità delle forze di lavoro fra settori,i salari tenderanno ad aumentare anche in quellodei beni non commerciabili, in cui, data la cre-scita della produttività del lavoro mediamente più bassa, i prezzi mostreranno un incremento

7) Cfr. l’articolo intitolato Convergenza dei prezzi e concorrenza

nell’area dell’euro, nel numero di agosto 2002 di questo Bollet-tino.

8) Rogers, J. (2002), “Monetary union, price level convergen-ce, and inflation: how close is Europe to the United States?”,

  International Finance Discussion Paper , n. 740, stima che ilcontributo della dispersione del livello dei prezzi nel 1999 alladispersione dell’inflazione sui dodici mesi misurata sullo IAPC

osservata alla fine del 2002 sia stato pari al 16 per cento delladispersione dell’inflazione complessiva.

9) Cfr. Rodriguez-Palenzuela, D., Camba-Mendez, G. e Garcia,J. A. (2003),  Relevant economic issues concerning the optimal 

rate of inflation, Working Paper della BCE, n. 278.

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Maggio 2005 65

medio maggiore. Pertanto, i paesi in cui vi èuna maggiore differenza fra i tassi di crescitadella produttività del lavoro nel settori dei benicommerciabili e non commerciabili saranno in-teressati anche da un più alto tasso di inflazione.L’effetto Balassa-Samuelson riflette un fenome-no di equilibrio: la concorrenza internazionalefra i paesi assicura che nel comparto dei benicommerciabili non emergano significative pres-

sioni sui prezzi. Queste ultime emergono soltan-to nel settore di quelli non commerciabili e nonvi è pertanto necessità di riassorbire i derivantidifferenziali di inflazione fra i paesi.

L’effetto Balassa-Samuelson è spesso associatoal processo di convergenza del tenore di vita frale economie. I paesi con un reddito inferiore allamedia, che stanno riducendo il divario rispettoai paesi a più alto reddito, mostrano normal-mente una crescita sostenuta della produttivitànel settore dei beni commerciabili, mentre gli

andamenti della produttività in quello dei beninon commerciabili sono di solito più simili fra paesi.

Vi sono opinioni divergenti sulla rilevanza deglieffetti Balassa-Samuelson per l’area dell’euro 10). Nel complesso, è molto difficile quantificarli, in particolare poiché non è facile isolarli da altri fat-tori che in passato hanno influenzato le tendenzedell’inflazione, quali, soprattutto, differenze neiregimi di politica monetaria e nelle politiche deitassi di cambio. Nondimeno, vi è un consenso cre-

scente sul fatto che l’effetto Balassa-Samuelsoncostituisce soltanto una spiegazione parziale dei  persistenti differenziali di inflazione osservatinell’area dell’euro. Una delle ragioni è costituitadal fatto che le differenze rilevate nelle tendenzedella produttività del lavoro nei paesi dell’areadell’euro possono essere responsabili soltantodi una quota relativamente moderata delle diffe-renze nei tassi di inflazione, come mostrato nellasezione 2.

L’entità dell’effetto Balassa-Samuelson per i

 paesi attualmente appartenenti all’area dell’eu-ro probabilmente diminuirà nel corso del tempo,dato che si è già verificata una convergenza so-stanziale fra questi paesi in termini di PIL pro

capite. Al contempo, tale effetto può essere piùrilevante nel dare luogo a durevoli pressioni in-flazionistiche in alcuni dei nuovi Stati membridell’UE che intendono adottare l’euro, dati iloro livelli inferiori del reddito e dei prezzi.

3 .2 D I FFERENZIAL I D I INFLAZIONEDOVUTI A D I FFERENZE STRUTTURAL I

ETEROGENEITÀ NELLE PREFERENZEDE I CONSUMATOR IUn fattore strutturale che in linea di principio  può contribuire a generare differenziali di in-flazione e di prodotto duraturi in un’area mo-netaria è connesso a differenze consolidate fra i paesi nelle preferenze delle famiglie per quantoriguarda i consumi. Tale eterogeneità è riflessadal fatto che le quote dei vari beni e servizi neiconsumi nazionali e il valore aggiunto differi-scono da paese a paese e hanno pertanto un pesodifferente nei vari sottoindici degli IAPC nazio-

nali. Tuttavia l’evidenza empirica ha dimostratoche questo fattore contribuisce relativamente  poco alla dispersione dell’inflazione osservatanell’area dell’euro 11).

GRADO DI APERTURA E COMPOS IZ IONEDEGL I SCAMBI COMMERC IAL ILa divergenza dei tassi di inflazione nell’areadell’euro può anche avere una dimensione ester-na connessa alle differenze nell’esposizione na-zionale alle variazioni del tasso di cambio del-l’euro e del prezzo delle materie prime. In par-

ticolare, differenze nel grado di apertura, nellacomposizione del commercio internazionale enei legami commerciali con paesi partner nonappartenenti all’area dell’euro potrebbero esse-re fattori rilevanti per spiegare i differenziali diinflazione. Per esempio, un paese dell’area del-l’euro che importa principalmente dall’esternodell’area subirà pressioni inflazionistiche qualo-ra il tasso di cambio dell’euro si deprezzi diver-se rispetto a un paese che commercia soprattuttocon altri paesi dell’area. Fluttuazioni del tassodi cambio dell’euro accompagnate da asimme-

10) BCE (2003),  Inflation differentials in the euro area: Potential 

causes and policy implications.11) Ibid.

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trie nei legami commerciali hanno contribuitoa spiegare alcuni dei differenziali di inflazioneosservati nell’area dell’euro. Tuttavia, questotipo di eterogeneità, da sola, non può spiegare idifferenziali registrati fra le economie più gran-di dell’area. A tale proposito, una spiegazionecomplementare potrebbe essere che il ruolodegli shock esterni e l’effetto delle differenzenella composizione degli scambi commerciali

sono amplificati dalla presenza di un alto gradodi persistenza dell’inflazione nei paesi dell’areadell’euro.

R IGID ITÀ NELLA F I SSAZ IONEDE I SALAR I E DE I PREZZIIl processo di adeguamento a mutamenti nellecondizioni economiche richiede generalmenteil continuo aggiustamento dei prezzi relativi frale regioni e i settori. Tale meccanismo, che rap- presenta una caratteristica normale e auspicabiledi un’economia di mercato, può dare luogo per 

un breve periodo di tempo a differenziali di in-flazione fra le regioni e i settori di un’unionemonetaria a fronte di shock dal lato della do-manda e dell’offerta. Tuttavia, la presenza dirigidità nel meccanismo di formazione dei prez-zi e dei salari rende più lento l’aggiustamentonecessario a seguito di tali shock e dà luogo adistorsioni dei prezzi relativi e a differenziali diinflazione duraturi 12).

A tale proposito, recenti risultati prelimina-ri ottenuti dal network dell’Eurosistema sulla

  persistenza dell’inflazione13)

contribuiscono aillustrare l’importanza delle rigidità nel proces-so di determinazione dei prezzi delle impresenell’area dell’euro. Sulla base di microdati sui prezzi al consumo, il network ha valutato che ladurata media dei prezzi al consumo 14) nell’areaè compresa fra quattro e cinque trimestri, rispet-to a una stima di circa due trimestri per gli StatiUniti. Ciò sembra indicare che in media nell’areadell’euro vi è una maggiore rigidità nella deter-minazione dei prezzi rispetto agli Stati Uniti.Per quanto riguarda le differenze nella frequen-

za delle variazioni dei prezzi, l’eterogeneità fra  prodotti e settori appare più marcata di quellafra paesi. Inoltre, la classificazione dei prodottie settori in termini del grado di rigidità vischio-

sità dei prezzi è simile non solo tra i paesi ana-lizzati, ma anche a quella osservata negli StatiUniti. Nell’area dell’euro i prezzi dell’energia edei prodotti alimentari non trasformati sembra-no quelli che variano più frequentemente, men-tre i prezzi dei servizi sembrano cambiare menofrequentemente.

Se i prezzi dei servizi sono, di fatto, caratteriz-

zati da un processo di aggiustamento sistema-ticamente più lungo, forse a causa di aspettiintrinseci del meccanismo di formazione dei  prezzi, ciò potrebbe generare una divergenzadell’inflazione significativa e persistente, datoil peso significativo del settore non commercia- bile nell’economia.

Tale conclusione sembrerebbe corrispondere al-l’evidenza presentata nella tavola 3, che indicache il comparto dei servizi (che è responsabiledella maggior parte della dinamica dei prezzi

nel settore non commerciabile) contribuisce inmodo significativo alla dispersione comples-siva dell’inflazione. Essa è inoltre corroboratadall’evidenza, presentata nella tavola 2, sul-l’importanza del costo del lavoro per unità di prodotto nello spiegare i differenziali nelle va-riazioni dei deflatori del PIL tra i paesi dell’areadell’euro, dal momento che un’ampia quota del  prodotto totale del settore dei servizi derivadalle retribuzioni. Nel complesso, ciò suggeri-sce che una parte sostanziale della persistentedivergenza nella dinamica dei prezzi possa de-

rivare da differenze nell’andamento dei salari edai meccanismi di fissazione di questi ultimi nei

12) Cfr., fra l’altro, Angeloni, I., Ehrmann, M. (2004),   Euro area

inflation differentials, Working Paper della BCE, n. 388 e Al-tissimo, F., Benigno, P. e Rodriguez-Palenzuela, D. (2004),  In-

 flation differentials in a currency area: facts, explanations and 

 policies, presentato al workshop della BCE “Monetary policyimplications of heterogeneity in a currency area”, Francoforte,13-14 dicembre 2004, disponibile nel sito Internet www.ecb.int.

13) Cfr. gli atti della conferenza “Inflation persistence in the euroarea”, Francoforte, 10-11 dicembre 2004, disponibili nel sito In-ternet www.ecb.int. Il contributo di Angeloni, I., Aucremanne,L., Ehrmann, M., Gali, J., Levin, A. e Smets, F. (2004), Inflation

 persistence in the euro area: preliminary summary of findings ,

disponibile nel sito Internet della conferenza fornisce un rias-sunto dell’evidenza preliminare raccolta dal network dell’Euro-sistema sulla persistenza dell’inflazione.

14) La durata del prezzo è definita come il tempo che intercorre fradue variazioni di prezzo successive.

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 paesi dell’area dell’euro (inclusa, in alcuni casi,l’indicizzazione automatica dei salari nominaliai prezzi).

3 .3 FATTOR I LEGATI ALLE POL IT ICHEECONOMICHE

Le politiche economiche, sia a livello di areasia a livello regionale, possono influenzare il

grado di eterogeneità in un’unione monetaria.In particolare, le politiche di bilancio possonocostituire una fonte di differenziali di inflazio-ne e di prodotto nell’area dell’euro. In primoluogo, cambiamenti dei prezzi amministrati edelle imposte indirette possono contribuire alladispersione dell’inflazione almeno nel brevee medio periodo. Nell’area dell’euro, i prezziamministrati rappresentano circa il 6 per cen-to dell’IAPC. Tuttavia, è stato dimostrato chela differenza fra la dispersione dell’inflazionemisurata sullo IAPC e quella dell’inflazione

misurata sullo IAPC al netto dei prezzi ammini-strati è stata molto piccola a partire dal 1999 15).Ancor più importante è il fatto che anche la  politica di bilancio può contribuire a creare orafforzare i differenziali di inflazione mediantel’uso inappropriato di strumenti fiscali. A tale proposito, vi è evidenza che gli effetti procicli-ci delle politiche di bilancio dei paesi dell’areadell’euro possono aver contribuito ad accrescerele differenze lungo il ciclo fra i paesi dell’areanel passato recente 16).

Un’altra fonte di differenziali di inflazione puòessere ricondotta alle politiche strutturali mes-se in atto a livello nazionale o regionale. Per esempio, politiche che mirano a influenzare lastruttura del mercato del lavoro possono modifi-care il comportamento nella determinazione deisalari. Il fatto che clausole per l’indicizzazionedei salari siano presenti nei contratti collettivi inalcuni paesi dell’area dell’euro può, ad esempio,contribuire a generare differenziali di inflazio-ne rendendo l’inflazione più persistente in tali paesi.

Anche la politica monetaria in un’unione mone-taria può contribuire alla dispersione dell’infla-zione come risultato di meccanismi di trasmis-

sione diversi tra paesi, in particolare in presenzadi diversi gradi di rigidità nominali. In tale con-testo, nondimeno, non vi è evidenza conclusivasulle differenze sistematiche nella trasmissionedegli impulsi di politica monetaria nei paesi del-l’area 17). Le differenze nelle stime dell’impattodella politica monetaria sul prodotto e sui prezzinell’area non tendono a essere robuste all’utiliz-zo di diverse metodologie, dati e modelli. Inol-

tre, tali effetti dipendono in modo cruciale dalregime di politica monetaria. Il cambiamento diregime determinato dall’introduzione dell’eu-ro potrebbe aver modificato il meccanismo ditrasmissione della politica monetaria nei paesidell’area, rendendo più difficile compiere estra- polazioni appropriate dalle esperienze storiche.

3 .4 MECCANISMI AMPL IF ICANTIE CONTRASTANTI ALL ’ INTERNODELL ’UN IONE MONETAR IA

 Nell’area dell’euro, come in altre unioni mone-tarie, il tasso di interesse ufficiale fissato dalla banca centrale è lo stesso per tutti i paesi parte-cipanti. Al contempo, differenziali di inflazionefra i paesi possono emergere per una varietà diragioni. A volte si sostiene che la combinazio-ne dei due fattori menzionati determina diversitassi di interesse reali tra i paesi, con possibilieffetti destabilizzanti sulle economie nazionali,in particolare attraverso il rafforzamento dei dif-ferenziali di inflazione. Per esempio, si sostieneche paesi con un’inflazione superiore alla media

sono caratterizzati da tassi di interesse più bas-si, i quali a loro volta alimentano la domandainterna e l’inflazione. Per contro, nei paesi conun’inflazione inferiore alla media, i tassi di inte-resse reali sono più elevati, e ciò determina una pressione al ribasso sulla domanda interna e sul-

15) Cfr. BCE (2003),  Inflation differentials in the euro area: Po-

tential causes and policy implications. Ciò nonostante, sembrache variazioni delle imposte indirette e dei prezzi amministratiin alcuni paesi dell’area dell’euro abbiano contribuito in certamisura all’incremento della dispersione dell’inflazione misura-

ta sullo IAPC osservato nella prima metà del 2004.16) Cfr. nota 5.

17) Cfr. l’articolo intitolato Recenti risultati sulla trasmissione del-

la politica monetaria nell’area dell’euro, nel numero di ottobre2002 di questo Bollettino.

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l’inflazione. Tuttavia, questi punti di vista nontengono conto di tutti i fattori sottostanti.

Innanzitutto, l’argomentazione sopra riportata ègeneralmente formulata in riferimento a misureex post del tasso di interesse reale, calcolato sot-traendo ai tassi di interesse nominali l’inflazionecorrente. Per contro, per le decisioni di investi-mento e di consumo sono rilevanti le misure ex

ante dei tassi di interesse reali, ossia la differen-za fra i tassi di interesse di mercato e le aspettati-ve sull’andamento dell’inflazione nell’orizzontetemporale rilevante 18). A titolo di illustrazione, latavola 4 raffronta la dispersione dei tassi di inte-resse reali ex post ed ex ante. Questi ultimi sono

calcolati utilizzando le previsioni di inflazione(relative allo IAPC) nell’orizzonte consideratoraccolte da Consensus Economics 19).

La dispersione fra i paesi delle misure ex ante deitassi di interesse reali è significativamente inferiorea quella delle misure ex post . Nel caso dei tassi diinteresse a lungo termine, dal 1999 la dispersionedelle misure ex ante degli interessi reali è stata ap- prossimativamente la metà di quella degli interessimisurata utilizzando l’inflazione effettiva. Inoltre,sempre dal 1999 la dispersione delle misure ex ante 

dei tassi di interesse reali è stata circa un terzo diquella prevalente prima dell’introduzione dell’eu-ro. Per contro, la dispersione delle misure ex post èrimasta sostanzialmente invariata.

Inoltre, e forse a livello più sostanziale, gli ef-fetti dei differenziali di inflazione (e, pertanto,di differenti tassi di interesse reali) dipende ov-

viamente dalle cause sottostanti, che, come det-to, sono molteplici. Per esempio, se l’inflazionedi una paese è inferiore alla media a causa diuna crescita della produttività superiore alla me-dia, ciò indicherebbe che il paese in questioneha buone prospettive di investimento, anche seil suo tasso di interesse reale è più alto di quelloosservato in altri paesi.

Infine, in un’unione monetaria, dove i tassi dicambio fra i paesi sono per definizione fissi, visono vigorose forze di mercato che hanno un ef-

fetto stabilizzante. In particolare, se un paese haun’inflazione inferiore alla media a causa delladebolezza della domanda, diventerà più compe-titivo rispetto agli altri paesi. Ciò tenderà ad ac-crescere la domanda nel paese (e a ridurla in altri)nel corso del tempo. Come è stato dimostrato innumerosi studi recenti, il canale della competiti-vità (“tasso di cambio reale”), sebbene operi conlentezza, diventa il fattore dominante dell’aggiu-

18) Per ulteriori dettagli, cfr. il riquadro intitolato  La misurazione

dei tassi di interesse reali nei paesi dell’area dell’euro, nel nu-

mero di settembre 2004 di questo Bollettino.19) Le previsioni di inflazione di Consensus Economics sono dispo-

nibili per tutti i paesi dell’area dell’euro eccetto il Lussemburgo per gli orizzonti più vicini e solo per i cinque paesi più grandidell’area per gli orizzonti più lunghi.

Tavo l a 4 A l cune s ta t i s t i che su l l a d i spe rs i one de i ta s s i d i i n te re s se rea l in e l l ’ a rea de l l ’ eu ro(punti percentuali)

Tasso di interesse reale a breve termine 1) Tasso di interesse reale a lungo termine 2)

Ex ante

 previsioni

di inflazione per l’anno

successivo 3)

Ex post

inflazione corrente

calcolata sulla base

dell’IAPC

Ex ante

 previsioni di inflazione

a lungo termine

(tra 6 e 10 anni in avanti) 3)

Ex post

inflazione corrente

calcolata

sulla base dell’IAPC

Deviazione standard

1990-1998 non ponderata 4) 1,69 0,82 1,29 0,68

   ponderara 5) 1,26 0,75 1,23 0,64

1999-febbraio 2005 non ponderata 4) 0,52 0,76 0,26 0,58   ponderata  5) 0,45 0,66 0,23 0,54

Fonti: BRI, Consensus Economics Forecasts, BCE, elaborazioni della BCE, Eurostat e Reuters.1) Tasso di interesse a 3 mesi del mercato monetario (Euribor per il periodo 1999-2005). Tutti i paesi dell’area escluso il Lussemburgo.2) Tasso di interesse a dieci anni sui titoli di Stato, ove disponibili; altrimenti, rendimenti su strumenti con scadenza più simile. I valoriincludono Francia, Germania, Italia, e dal 1995 anche Paesi Bassi e Spagna.3) Le previsioni per i singoli paesi sono raccolte dal sondaggio Consensus Economics forecasts.4) Pesi identici sono attribuiti a ciascuno dei paesi dell’area.5) I pesi sono costruiti utilizzando il PIL di ciascun paese valutato alla parità di potere d’acquisto nel 2002.

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Maggio 2005 69

stamento nel lungo periodo 20). A tale proposito, lafigura 2 mostra che, in conseguenza dei persistentidifferenziali di inflazione che si sono realizzati, i paesi dell’area dell’euro sono stati contrassegnatida marcate differenze in termini dell’evoluzionedella competitività nazionale 21).

4 IMPL ICAZ ION I DE I D I FFERENZIAL ID I INFLAZIONE PER LA P IAN IF ICAZ IONEDELLE POL IT ICHE ECONOMICHE

Come descritto sopra, i differenziali di inflazio-ne nell’area dell’euro riflettono in certa misurafenomeni di equilibrio di lungo periodo e la rea-lizzazione normale e sana degli aggiustamentidei prezzi relativi basati sul mercato a segui-to di shock economici. Nel caso particolare diun’unione monetaria di recente costituzione,l’introduzione di una moneta unica comportauna graduale ma piuttosto sostanziale trasforma-zione delle strutture economiche esistenti e creail potenziale per un processo di aggiustamento

economico a lungo termine. I differenziali diinflazione nei paesi dell’area dell’euro possono pertanto riflettere, almeno in parte, cambiamen-ti equilibranti dei prezzi relativi, che sono una

manifestazione inevitabile e anche auspicabiledelle graduali ma anche profonde trasformazio-ni strutturali a seguito dell’integrazione mone-taria e del processo di creazione di un mercatounico.

Tuttavia, almeno in certa misura, i persistentidifferenziali di inflazione osservati nell’areadell’euro sono anche il risultato di politiche di

 bilancio nazionali disomogenee, degli andamen-ti salariali e di consolidate inefficienze struttu-rali come le rigidità nominali e reali nei mer-cati dei beni e servizi e dei fattori produttivi, e possono dare luogo a dinamiche negative per leeconomie nazionali. I responsabili delle politi-che economiche devono affrontare in particolaregli ostacoli che limitano l’operare delle forze dimercato nel processo di aggiustamento necessa-rio a seguito di shock economici.

4 .1 R I FORME STRUTTURAL I NE I MERCATI

DEL LAVORO E DE I BEN I E SERV IZ I

È ampiamente riconosciuto che due sono glielementi essenziali per il regolare aggiustamen-to a condizioni economiche in evoluzione e per il funzionamento efficiente di un’area mone-taria: la mobilità dei fattori di produzione e laflessibilità nella determinazione dei salari e dei prezzi.

Quanto alla mobilità dei fattori di produzione,nell’area dell’euro si può osservare una chiara

dicotomia.

Da un lato, il processo di integrazione dei mer-cati finanziari ha già compiuto progressi note-voli. Nonostante siano necessari ulteriori passi

20) Cfr., ad esempio, Deroose, S., Langedijk S. e Roeger W. (2004), Reviewing adjustment dynamics in EMU: from overheating to

overcooling , Economic Paper n. 198, Commissione europea, eAngeloni, I., e Ehrmann M. (2004), Euro area inflation differen-

tials, Working Paper della BCE, n. 388.

21) Per ulteriori dettagli cfr. Buldorini, L., Makrydakis, S. e Thi-mann, C. (2002), The effective exchange rates of the euro , Oc-

casional Paper della BCE, n. 2, e il riquadro intitolato  Aggior-

namento delle ponderazioni dei tassi di cambio effettivi dell’eu-

ro basati sull’interscambio commerciale complessivo e calcolo

di un nuovo insieme di indicatori, nel numero di settembre 2004di questo Bollettino.

Figura 2 Indicatori di competitivitànazionali 1) - variazioni percentuali cumulatetra gennaio 1999 e dicembre 2004

indicatore di competitività (all’interno dell’area)

indicatore di competitività(all’esterno e all’interno dell’area)

-5

0

5

10

15

20

-5

0

5

10

15

20

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

1 Germania2 Finlandia3 Francia4 Belgio

5 Austria6 Grecia7 Italia8 Paesi Bassi

9 Portogallo10 Lussemburgo11 Spagna12 Irlanda

Fonte: elaborazioni della BCE.1) Un aumento indica un apprezzamento del tasso di cambio reale ouna perdita di competitività del paese; entrambe le misure sono ba-sate sui prezzi al consumo. Il primo indicatore (all’interno dell’area)è basato sul commercio all’interno dell’area deflazionato mediantel’IAPC del paese considerato, mentre il secondo indicatore (all’internoe all’esterno dell’area) include anche gli scambi con i 23 principali

 partner dell’area.

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BCEBollettino mensileMaggio 200570

avanti per rimuovere la segmentazione del mer-cato e gli ostacoli della regolamentazione allalibera concorrenza che ancora esistono, si osser-va un continuo aumento dei flussi finanziari e dicapitale transfrontalieri, nonché una crescenteconcorrenza nella fornitura di servizi finanzia-ri. Una maggiore integrazione finanziaria neglianni a venire consentirà agli investitori di diver-sificare i loro portafogli in modo più efficiente

fornendo così una tutela contro rischi macroeco-nomici localizzati.

D’altro canto, sembra che l’altro principale fat-tore di produzione, il lavoro, sia troppo lentonel reagire ai salari e alla domanda o sia osta-colato nel farlo da segnali di prezzo persisten-temente distorti. Ciò determina una mobilità nellavoro relativamente bassa fra paesi e regioninonché fra settori e professioni. Questo indicala necessità di mercati del lavoro più flessibilinel contesto dell’UEM, in particolare a livello

nazionale e regionale. L’importanza di tale fles-sibilità è ulteriormente accresciuta dalla pre-senza di elementi di natura permanente, quali ledifferenze linguistiche e culturali, che limitanola mobilità nel lavoro fra paesi. Nello scorsodecennio sono stati riscontrati chiari progres-si in quasi tutti i paesi dell’area dell’euro per quanto riguarda le riforme del mercato del la-voro. Tuttavia, i mercati del lavoro nell’areaappaiono ancora troppo rigidi e non reattivi allecondizioni economiche. Ciò si riflette nel livel-lo persistentemente alto della disoccupazione

strutturale e nei bassi tassi di partecipazionealle forze lavoro nella maggior parte dei paesi.Ulteriori misure potrebbero ridurre in modo uti-le i disincentivi alla flessibilità del mercato dellavoro, ad esempio quelli derivanti dagli eleva-ti tassi di sostituzione, dalle strutture salarialicompresse e dalla legislazione sulla tutela del posto di lavoro.

Analogamente, per migliorare l’efficienza deisegnali dei prezzi nei mercati dei beni e deiservizi, innalzando così l’efficienza nell’alloca-

zione delle risorse nell’economia, è essenzialecontinuare il processo di rafforzamento dellaconcorrenza effettiva, per esempio mediantela liberalizzazione e la deregolamentazione.

Un’intensificazione della concorrenza attraver-so riforme della regolamentazione non solo au-menterà l’innovazione e la produttività e ridurrài prezzi nei mercati interessati, ma accresceràanche la resistenza delle regioni economiche ela capacità di adattamento a condizioni econo-miche in continua trasformazione.

4 .2 POL IT ICA F I SCALE

Anche le politiche fiscali possono contribuire adaccrescere la capacità dei singoli paesi di reagi-re a shock economici e a ridurre gli effetti po-tenzialmente dannosi di prolungati differenzialidi inflazione. In particolare, finanze pubblichesane sono fondamentali affinché i paesi possanoconsentire agli stabilizzatori automatici di ope-rare appieno senza correre il rischio di disavanzieccessivamente elevati. Ciò rappresenta un im- portante meccanismo nel processo di aggiusta-mento macroeconomico in risposta a divergen-

ze regionali. L’esperienza storica mostra che le politiche di bilancio discrezionali sono, special-mente a causa dei ritardi con cui vengono rea-lizzate e influenzano l’economia, uno strumen-to inappropriato quando si tratta di reagire allefluttuazioni cicliche. In tale contesto è partico-larmente importante che i governi impediscanomisure discrezionali di politica fiscale procicli-che che possono amplificare le divergenze tra i paesi a seguito di shock asimmetrici.

4 .3 IMPL ICAZ ION I PER LA POL IT ICA

MONETAR IA

Vi è un vasto consenso fra gli accademici, gliosservatori e i responsabili delle politiche eco-nomiche sul fatto che la politica monetariadovrebbe focalizzarsi sul mantenimento dellastabilità dei prezzi in un’area monetaria nel suocomplesso. Pertanto, essa dovrebbe ancorare leaspettative di inflazione e accrescere la traspa-renza del mercato, facilitando così il necessarioadattamento dei prezzi relativi fra diversi paesio settori in presenza di shock economici. Per 

contro, è ampiamente riconosciuto che l’asse-gnazione alla politica monetaria del compitoaggiuntivo di occuparsi direttamente dell’equi-librio relativo fra i settori o le regioni dell’area

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di inflazionein un’area

valutaria eterogenea

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 71

valutaria nel processo di aggiustamento aglishock renderebbe più difficoltoso l’espletamen-to del suo compito primario.

Allo stesso tempo, più recentemente il dibatti-to ha anche teso a evidenziare implicazioni piùdirette dei differenziali di inflazione per la for-mulazione della politica monetaria in un’unionemonetaria, particolarmente ove tali differenziali

siano accompagnati o derivino da rigidità nomi-nali e reali.

Il riquadro 1 svolge un esame critico di alcunidei recenti contributi comparsi nella letteraturaeconomica a proposito di questo tema. Sebbe-ne, come discusso nel riquadro, alcune conclu-sioni di questa recente analisi dipendano mol-to dal quadro analitico adottato e alcune delleraccomandazioni incontrerebbero significativi  problemi di attuazione, è comunque possibiletrarre alcune importanti conclusioni generali.

In primo luogo, la presenza di differenziali diinflazione di equilibrio di lungo periodo nei vari paesi può costituire una ragione aggiuntiva (ol-tre ad altre ragioni importanti come la necessitàdi assicurare un margine di sicurezza sufficientea salvaguardia dai rischi di deflazione) per cui la banca centrale miri a mantenere il tasso di infla-zione basso, ma non troppo prossimo allo zero,nel complesso dell’area monetaria. In secondo

luogo, è importante che la banca centrale tengaconto di informazioni regionali e settoriali sullafonte e la natura degli shock economici, inclusoil monitoraggio e la comprensione delle ragionisottostanti dei differenziali di inflazione, anchese la politica monetaria ha l’obiettivo di man-tenere la stabilità dei prezzi per l’intera area.Infine, mantenendo un orientamento di medio  periodo, una banca centrale può facilitare ilnecessario riequilibrio dei prezzi relativi attra-verso le regioni e i settori in presenza di shock asimmetrici.

R iquadro 1

RECENTE LETTERATURA ECONOMICA SULLE IMPL ICAZ ION I DE I D I FFERENZIAL ID I INFLAZIONE PER LA POL IT ICA MONETAR IA IN UN ’UN IONE VALUTAR IA

L’Unione economica e monetaria ha dato origine a numerosi contributi analitici tesi a valutare leimplicazioni dei differenziali di inflazione per la conduzione della politica monetaria unica.

Un primo gruppo di lavori analitici ha preso in esame le implicazioni per le politiche econo-miche dei differenziali di inflazione generati da fattori di equilibrio come l’effetto Balassa-Sa-muelson (descritto nella sezione 3) 1). In tali circostanze, i differenziali di inflazione in un’area

monetaria riflettono mutamenti dei prezzi relativi per garantire l’equilibrio nei mercati, chesono una risultato inevitabile e auspicabile del graduale aggiustamento indotto dal processo diintegrazione monetaria. Tuttavia in presenza di rigidità nominali verso il basso nella formazionedei prezzi e dei salari, tali differenziali possono diventare una fonte di preoccupazione per la banca centrale in quanto possono ostacolare la capacità della politica monetaria comune di ope-rare efficacemente a livelli molto bassi di inflazione. Qualora vi siano rigidità nominali verso il basso, i paesi con tassi di inflazione persistentemente inferiori alla media possono essere inte-ressati da episodi di prolungata deflazione e incontrare difficoltà nel recuperare competitività.Sebbene tali argomentazioni non siano prive di fondamento (e vengano, di fatto, consideratedalla BCE come discusso nella sezione 5), la loro importanza quantitativa non dovrebbe esse-re esagerata. In primo luogo, come menzionato, le stime quantitative disponibili dell’effettoBalassa-Samuelson nell’area dell’euro indicano che esso fornisce un contributo relativamente

modesto alla spiegazione dei differenziali di inflazione. In secondo luogo, l’evidenza empirica

1) Cfr., fra l’atro, Sinn, H.-W., Reuter M. (2001), The minimum inflation rate for Euroland , NBER Working Paper, n. 8085.

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BCEBollettino mensileMaggio 200572

suggerisce che vi è ampio spazio per una flessibilità verso il basso dei prezzi e dei salari nel-l’area dell’euro 2).

Un secondo filone di letteratura propone un ruolo attivo della politica monetaria nel contrasta-re i differenziali di inflazione derivanti dalla presenza di rigidità nominali e reali nelle unionimonetarie 3). Secondo tali argomentazioni, per raggiungere il suo traguardo finale, solitamentedefinito come il benessere economico dell’unione monetaria nel contesto di un modello specifi-co, la banca centrale dovrebbe avere come obiettivo un indice dei prezzi che assegni un peso alleunità settoriali e regionali che differisce dalle dimensioni relative di tali unità. Tale ponderazione

dovrebbe invece riflettere le stime delle principali caratteristiche strutturali dell’unità settorialeo regionale in questione. A questo proposito, una conclusione fondamentale tratta da tali valuta-zioni è che il benessere economico complessivo in questi modelli stilizzati viene accresciuto dauna politica monetaria che assegna un peso maggiore ai settori o alle regioni dove gli andamentidei prezzi sono più persistenti. I motivi possono essere descritti come segue. In un’economia condue settori di uguale dimensione, uno più rigido (ossia con un più alto grado di rigidità nell’ag-giustamento dei prezzi relativi in seguito a uno shock) e l’altro più flessibile, qualora la politicamonetaria non tenga conto dell’eterogeneità settoriale nella ponderazione dell’indice dei prezzi può accadere che, nel caso si presenti uno shock aggregato, i due settori debbano aggiustarsi inmodo simile. Tuttavia, il settore rigido sopporta un costo maggiore di quello flessibile nel suoaggiustamento allo shock macroeconomico. Tale squilibrio determina una perdita di benessere  per l’unione monetaria che potrebbe essere ridotto. Utilizzando una ponderazione che tenga

conto non solo delle dimensioni complessive del settore più rigido, la politica monetaria garanti-rebbe che il settore flessibile rispondesse maggiormente allo shock, contribuendo maggiormenteall’aggiustamento complessivo richiesto nell’economia.

Sebbene queste implicazioni appaiano interessanti nel contesto dei modelli stilizzati dell’eco-nomia, vi sono ovvie argomentazioni contrarie alle prescrizioni citate e, in particolare, problemisostanziali per la loro applicazione pratica. In primo luogo, vi sarebbero enormi problemi nelmisurare correttamente il grado di rigidità nominale nei vari settori o regioni, dato che non viè un unico metodo né una definizione standard del fenomeno. Sarebbe inoltre molto difficilestabilire a quale livello (ad esempio, se le unità rilevanti dovrebbero essere i settori, le regioni oi paesi) dovrebbe essere misurato il grado di rigidità nominale. Tutto ciò introdurrebbe elementisostanziali di arbitrarietà e incertezza nella conduzione della politica monetaria e influirebbe

negativamente sulla trasparenza dell’obiettivo perseguito dalla banca centrale e pertanto sullasua responsabilità. In secondo luogo, può accadere che assegnando una maggiore importanzaall’andamento di un particolare paese o settore, la politica monetaria in pratica favorisca ineffi-cienze comportamentali o strutturali, creando in ultima analisi incentivi perversi e ostacolandoil progresso necessario verso meccanismi di aggiustamento più fondati sul mercato. Inoltre, lacomunicazione della politica monetaria dovrebbe affrontare sfide considerevoli, dal momentoche la sua conduzione diverrebbe molto più complessa e difficile da spiegare al pubblico.

Questa letteratura, tuttavia, sottolinea anche il fatto importante che, per ogni obiettivo di poli-tica monetaria sia essenziale per la banca centrale tenere conto della fonte e della natura degli

2) Cfr. gli atti della conferenza “Inflation persistence in the euro area”, Francoforte, 10-11 dicembre 2004, disponibili nel sito Internetwww.ecb.int.

3) Cfr., ad esempio, Woodford, M. (2003),  Interest and Prices: Foundations of a Theory of Mon etary Policy, Princeton University Presse Benigno, P. (2004), “Optimal monetary policy in a currency area”, Journal of International Economics, n. 63, pp. 293-320.

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di inflazionein un’area

valutaria eterogenea

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 73

5 R ILEVANZA DE I D I FFERENZIAL ID I INFLAZIONE E DELLE INFORMAZIONID ISAGGREGATE PER LA POL IT ICAMONETAR IA DELLA BCE

Come stabilito dall’articolo 105, paragrafo 1, del

Trattato, l’obiettivo primario della BCE consi-ste nel mantenere la stabilità dei prezzi nell’areadell’euro. La stabilità dei prezzi rende più facilealle persone riconoscere le variazioni dei prezzirelativi, poiché queste non sono occultate da flut-tuazioni del livello complessivo dei prezzi. Ciòconsente alle imprese e ai consumatori di basarele proprie decisioni di spesa e investimento su mi-gliori informazioni, permettendo così al mercatodi allocare le risorse in modo più efficiente e au-mentando il potenziale di crescita dell’economia.Mantenendo stabile il livello dei prezzi, la politi-

ca monetaria contribuisce, pertanto, all’aggiusta-mento dei prezzi relativi e agevola il loro compitodi guidare l’allocazione delle risorse tra i settori ei paesi dell’area dell’euro. Questo è il contributomigliore che la politica monetaria può offrire al benessere economico e al raggiungimento di altilivelli di attività economica e di occupazione.

 Nel 1998 la BCE ha annunciato la propria defini-zione di stabilità dei prezzi come “un aumento suidodici mesi dell’indice armonizzato dei prezzi alconsumo (IAPC) per l’area dell’euro inferiore al

2 per cento”. La scelta dello IAPC dell’Eurostat,un indice dei prezzi al consumo armonizzato fragli Stati membri dell’UE, ha il vantaggio dellatrasparenza, poiché fornisce la misura che più si

avvicina al prezzo di un paniere rappresentativodi beni di consumo e di servizi acquistati dallefamiglie dell’area dell’euro.

  Nel maggio 2003, nell’ambito della revisionedella strategia di politica monetaria della Ban-

ca centrale europea, il Consiglio direttivo hareso chiaro il suo obiettivo di stabilità dei prezzispiegando che, nel suo perseguimento, si propo-ne di mantenere l’inflazione su livelli “inferiorima prossimi al 2 per cento” nel medio periodo.L’intenzione di mantenere il tasso di inflazione prossimo al limite superiore della sua definizio-ne di stabilità dei prezzi segnala l’impegno dellaBCE di fornire un margine di sicurezza adeguatocontro il rischio di deflazione. Allo stesso tempo,il Consiglio direttivo ha chiarito che ciò tiene an-che conto delle implicazioni dei differenziali di

inflazione fra i paesi dell’area dell’euro. Si è cosìriconosciuto che questi potrebbero rappresentareun rischio per le regioni con tassi di inflazionestrutturalmente più bassi in termini dei costi po-tenziali di aggiustamento associati alla possibile presenza di rigidità nominali verso il basso.

Sebbene il lavoro interno, l’analisi e la valutazio-ne di informazioni economiche, le deliberazionie le decisioni della BCE siano volti allo scopo dimantenere la stabilità dei prezzi per tutta l’areadell’euro, ciò non significa che la BCE consideri

esclusivamente informazioni aggregate (cioè per ilcomplesso dell’area). Al fine di raggiungere il suoobiettivo e, in particolare, di condurre la sua anali-si generale dei rischi per la stabilità dei prezzi nel

shock economici, compresi quelli a livello locale, nella formulazione della risposta di politicamonetaria più appropriata. Di questo punto si occupa specificamente un terzo gruppo di ricercaeconomica che analizza il ruolo delle informazioni settoriali e regionali nella conduzione della politica monetaria 4). In questi modelli, l’obiettivo di politica monetaria è espresso (come nelcaso dell’area dell’euro) in termini di un indice dei prezzi per l’insieme dell’area che assegna un peso ai paesi a seconda delle loro dimensioni relative. È dimostrato che anche in questo caso la politica monetaria potrebbe migliorare i propri risultati tenendo conto di informazioni disaggre-gate (ossia settoriali e regionali) sugli andamenti economici piuttosto che prendendo in esameesclusivamente informazioni aggregate per tutta l’area.

4) Cfr., ad esempio, Angelini, P., Del Giovane, P., Siviero, S. e Terlizzese, D. (2002), Monetary policy rules for the euro area: what role

 for national information?, Temi di discussione della Banca d’Italia, n. 457.

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BCEBollettino mensileMaggio 200574

medio periodo, la BCE prende in esame e analizzaregolarmente tutti i dati rilevanti relativi ai vari set-tori e paesi dell’area dell’euro. Pertanto, essa osser-va attentamente le dinamiche settoriali e nazionali,inclusi vari andamenti dei prezzi e del prodotto.

Tale attività presenta diversi aspetti importanti.In primo luogo, analizzare gli andamenti setto-riali e nazionali nell’area dell’euro contribuisce

ad affinare la valutazione della situazione eco-nomica e della possibile evoluzione per l’insie-me dell’area. Un esempio di tale uso intensivodelle informazioni disaggregate è costituito dalle  proiezioni macroeconomiche dell’Eurosistema,che sono prodotte e pubblicate due volte all’annodalla BCE. In questi esercizi, gli esperti dell’Eu-rosistema analizzano, discutono e interpretanocongiuntamente un’ampia gamma di informa-zioni economiche a livello settoriale e nazionale.Le proiezioni finali sono ottenute aggregando gliandamenti attesi a livello delle singole economie

e tenendo conto degli effetti delle dinamiche lo-cali sul resto dell’area. Tale metodologia è es-senziale per ottenere una migliore comprensio-ne delle tendenze sottostanti e delle prospettiveeconomiche per l’insieme dell’area dell’euro.

In secondo luogo, come menzionato nelle prece-denti sezioni, è essenziale che la banca centrale siain grado di capire la fonte e la natura degli shock economici (ossia se essi derivino dal lato della do-manda o dell’offerta e se siano permanenti o tem- poranei) e di valutare il loro effetto sul complesso

dell’economia per formulare la migliore rispostadi politica monetaria. In tale contesto, l’analisidelle informazioni disaggregate è fondamentale,in quanto alcuni shock rilevanti per l’area hannoorigine in singoli paesi o settori.

In terzo luogo, l’analisi è essenziale per iden-tificare barriere strutturali che possono ostaco-lare l’aggiustamento e l’aumento dell’efficienzanell’area dell’euro, consentendo alla BCE di in-formare il pubblico e di discutere efficacementecon altre istituzioni politiche europee la condot-

ta più appropriata da adottare.

Infine, un elemento cruciale della strategia di po-litica monetaria della BCE è il suo orientamento

di medio periodo, ossia il fatto che essa non tentadi mantenere o ripristinare la stabilità dei prezzinel brevissimo termine in seguito a mutamentieconomici. Ciò permette alla BCE di formularela migliore politica monetaria possibile, tenen-do conto della natura degli shock economici e,nello stesso tempo, offre flessibilità ai singolisettori ed economie per adattarsi gradualmente aseguito di shock locali o asimmetrici.

La chiara e inequivocabile definizione quantitati-va della BCE della stabilità dei prezzi, il suo altogrado di credibilità e la sua grande attenzione alraggiungimento del suo obiettivo primario hannoconsentito alle aspettative di inflazione nell’areadell’euro di rimanere in linea con la definizione distabilità dei prezzi. Un importante effetto positi-vo è costituito dal fatto che le attese di inflazionea livello nazionale sono molto simili. La figura3 mostra che nei paesi dell’area dell’euro la di-spersione delle aspettative di inflazione a un anno

(parte sinistra) e tra due e dieci anni (parte destra),raccolte da Consensus Economics, è molto bassae di fatto notevolmente inferiore alla dispersionedell’inflazione effettiva. Data l’importanza delleaspettative sugli andamenti futuri nella fissazionedei salari e dei prezzi, ciò implica che è stato av-viato un potente meccanismo che sta contribuen-do a mantenere un alto grado di uniformità nelladinamica dei prezzi nei singoli paesi dell’area.

6 CONCLUS ION I

I differenziali di inflazione fra le regioni o isettori di un’unione monetaria sono il risultatonaturale del continuo aggiustamento dei prezzirelativi in un’economia di mercato. Tali aggiu-stamenti verso l’equilibrio nei mercati, che for-mano una parte integrante ed essenziale di ognieconomia di mercato, forniscono agli operatori isegnali e gli incentivi sia dal lato della domandasia da quello dell’offerta per allocare le risorse eavviare mutamenti economici.

I differenziali di inflazione nell’area dell’eurosono, come suggerito dall’evidenza e dalle ana-lisi descritte nelle precedenti sezioni, in parte unriflesso dei mutamenti dei prezzi relativi per ga-

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di inflazionein un’area

valutaria eterogenea

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 75

rantire l’equilibrio nei mercati. Essi sono ancheun elemento essenziale del processo di aggiusta-mento economico nel contesto delle fondamentalitrasformazioni strutturali in corso nell’area comeconseguenza dell’Unione economica e monetaria.In quanto tali, i differenziali di inflazione sono unfenomeno auspicabile e dovrebbero poter eserci-tare il loro ruolo equilibratore senza ostacoli.

Tuttavia, il persistere di differenziali di infla-zione nell’area dell’euro riflette anche una man-canza di flessibilità e adattabilità delle istituzio-

ni e delle strutture di mercato delle economienazionali. Tali differenze strutturali richiedonogrande determinazione da parte dei responsa-  bili delle politiche economiche nazionali chedovrebbero mirare a raggiungere un alto gradodi flessibilità e di adattabilità in tutte le regionidell’area dell’euro.

In linea con il suo mandato stabilito dal Tratta-to, la BCE si focalizza sul mantenimento della

stabilità dei prezzi nell’insieme dell’area del-l’euro e non cerca di influenzare i prezzi relativio i differenziali di inflazione. Il lavoro interno,l’analisi e la valutazione di informazioni econo-miche, il confronto sulle tematiche di politicaeconomica e le deliberazioni della BCE sonovolte al conseguimento del suo obiettivo prima-rio per il complesso dell’area dell’euro. Per rag-giungere questo obiettivo e, in particolare, per condurre la sua generale analisi dei rischi per lastabilità dei prezzi nel medio periodo, la BCE  prende in esame e analizza regolarmente non

solo le informazioni contenute negli aggregatimacroeconomici dell’area dell’euro, ma anchei dati a livello settoriale e nazionale. L’analisidelle informazioni disaggregate è indispensabileal fine di identificare le tendenze sottostanti e glishock strutturali che influenzano gli andamentinell’area dell’euro. Le informazioni settoriali enazionali sono pertanto un elemento fondamen-tale nella valutazione della BCE dei rischi per lastabilità dei prezzi nell’area.

F igura 3 Dispers ione de l tasso di in f laz ione a dodi c i mesi rea l izzato e atteso 1)

(deviazione standard non ponderata in punti percentuali)

inflazione basata sull’IAPC (EAl1)

aspettative di inflazione a un anno (EAl1)

0.0

0,5

1,0

1,5

2,0

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

1999 2001 20022000 2003 2004

inflazione basata sull’IAPC (EA5)

aspettative di inflazione a lungo termine (EA5)

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

1999 2001 20022000 2003 2004

Fonti: Eurostat, Consensus Economics ed elaborazioni della BCE.1) Le previsioni di inflazione di Consensus Economics per gli orizzonti più lontani sono disponibili solo per i 5 paesi più grandi (EA5; figura didestra).

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BCEBollettino mensileMaggio 200576

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BCEBollettino mensile

Maggio 2005 77

IL CONSOLIDAMENTO E LA DIVERSIFICAZIONENEL SETTORE BANCARIO DELL’AREA DELL’EURO

 Il presente articolo analizza il processo di consolidamento del settore bancario negli ultimi dieci

anni e ne propone alcune spiegazioni. Esso effettua una rassegna delle modalità con cui il con-

 solidamento ha influito sui risultati e sulle strategie di diversificazione geografica, di prodotto e

 settoriale delle banche. Esamina poi la tendenza delle banche a trasformarsi in conglomerati di

 grandi dimensioni che operano in più settori dell’attività finanziaria, soprattutto nella forma di

 gruppi bancario-assicurativi. Infine, vaglia alcune implicazioni per la stabilità finanziaria connes-

 se al processo di formazione dei conglomerati.

1 I L PROCESSO D I CONSOL IDAMENTODELLE BANCHE DELL ’AREA DELL ’EURO

Questa sezione presenta un quadro del processodi consolidamento verificatosi nel settore ban-cario dell’area dell’euro dagli inizi degli anninovanta. Essa si concentra, in particolare, sualcuni aspetti collegati alla crescita della diver-sificazione settoriale e dell’internazionalizza-zione della proprietà delle istituzioni creditizie; prosegue poi con una descrizione delle principa-

li determinanti di questi andamenti, ossia i cam-  biamenti nel contesto esterno e nelle strategiedelle banche.

1 .1 L ’ EVOLUZIONE DEL CONSOL IDAMENTOE DELLA D IVERS I F ICAZ IONE

Il numero delle istituzioni creditizie nell’areadell’euro è sceso da circa 9.500 nel 1995 a 6.400nel 2004 (cfr. figura 1). In altre parole, quasi unterzo delle istituzioni creditizie attive dieci anni

fa sono da allora scomparse. Questa tendenzagenerale non è stata tuttavia omogenea tra paesi;il consolidamento è stato più marcato nei paesiche annoveravano un maggior numero di istitu-zioni creditizie (cfr. tavola 1).

 Nonostante la flessione del numero delle banche,nella maggior parte dei paesi dell’area dell’euro ilnumero degli sportelli è rimasto relativamente sta- bile o è addirittura aumentato (cfr. tavola 1). Unaristrutturazione del settore bancario ha probabilità

di verificarsi o diventa evidente solo quando haavuto luogo un consolidamento della rete di spor-telli. L’evoluzione osservata finora suffraga l’ipo-tesi che il consolidamento sia riconducibile in ge-nerale all’attività di fusione e acquisizione (M&A)e non alla ristrutturazione (degli sportelli) 1).

I dati relativi all’attività di M&A forniscono ul-teriore sostegno a questa ipotesi 2). Nel 1991 si èassistito a un marcato incremento di tale attività(in concomitanza con la firma del Trattato sul-l’Unione europea), rimasta elevata fino al 2004

(cfr. figura 2). Per la maggior parte essa ha avutoun carattere locale: l’80 per cento delle operazio-ni hanno riguardato esclusivamente istituzioninazionali. È questo uno dei motivi per cui, ini-zialmente, le operazioni di M&A hanno in genereinteressato istituzioni minori. È solo nel perio-do 1998-2000 che vengono concluse operazionidi importo elevato fra grandi banche nonché fra banche e compagnie di assicurazione (cfr. infra).

1) Esiste solo un’evidenza episodica di chiusura di banche dovu-ta a problemi operativi. Un importante ridimensionamento delsettore si è verificato a seguito di una crisi bancaria nei paesi

nordici agli inizi degli anni novanta.2) Un’altra fonte di consolidamento, che però non ha conseguen-

ze dirette sul numero di istit uzioni sul mercato, è rappresentatadalle partecipazioni azionarie incrociate, ovvero l’acquisizionedi una quota di minoranza in un’altra i stituzione creditizia.

F igura 1 Consol idamento ne l settorebancar io de l l ’ a rea de l l ’ euro

(1985-2004)

5.000

6.000

7.000

8.000

9.000

10.000

11.000

12.000

5.000

6.000

7.000

8.000

9.000

10.000

11.000

12.000

1985 1990 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

Fonte: BCE. Nota: la figura mostra il numero in valore assoluto delle istituzioni cre-ditizie (IC) nel complesso dell’area dell’euro, sulla base delle statisti-che MFI. I dati per gli anni 1985 e 1990 sono solo indicativi.

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BCEBollettino mensileMaggio 200578

Dopo il 2000, l’andamento relativamente sfa-

vorevole della borsa e il protrarsi di un clima diincertezza sui mercati hanno comportato un calogenerale dell’attività di M&A e dei volumi delletransazioni, che sono però rimasti superiori ai li-velli dei primi anni novanta.

Benché inferiori di numero, le operazioni tran-sfrontaliere di M&A sono progressivamente

aumentate; queste operazioni hanno consenti-

to alle banche dell’area dell’euro di avere unamaggiore presenza transfrontaliera e quindi didiversificare i rischi relativi a paesi e regionispecifici nonché di incrementare le entrate. Inmedia, le succursali e le filiazioni estere co-  prono circa il 15 per cento del mercato ban-cario dell’area dell’euro (cfr. figura 3); questa  percentuale tuttavia varia sensibilmente da un

Tavola 1 Conso l idamento ne i paes i de l l ’ a r ea de l l ’ euro

(ordinati per numero di istituzioni creditizie (IC) nel 2004)

Paese Numero di IC

1995

Numero di IC

2004

Numero

di sportelli

1995

Numero

di sportelli

2003

Numero

di M&A

1995-2004

di cui M&A

transfrontalieri

(%)

DE 3.785 2.148 48.180 47.351 170 17,8

FR  1.469 897 25.581 25.789 157 21,3

AT 1.041 796 4.667 4.395 41 29,6

IT 970 787 23.493 30.502 275 12,2

 NL 648 461 6.802 3.671 23 57,7

ES 506 346 36.465 39.762 95 31,6

FI 381 363 1.941 1.252 16 25,0

PT 233 197 3.446 5.440 38 40,0

LU 220 165 348 269 10 92,9

BE 145 104 7.704 4.989 34 30,1

IE 56 80 1.043 924 8 62,5

GR  53 62 2.404 3.300 34 25,7

Area dell’euro 9.507 6.406 162.074 167.644 901 23,2

Fonti: BCE e Thompson Financial Securities Data Company. Nota: il numero stimato di M&A nel settore bancario nel periodo 1995-2004 può escludere alcune operazioni di piccole dimensioniche non sono state segnalate. I dati sulle M&A includono le acquisizioni di partecipazioni di maggioranza e di minoranza; le M&Atransfrontaliere si riferiscono ad acquirenti provenienti sia da paesi dell’area dell’euro sia da paesi terzi.

F igura 2 M&A ne l settore bancar iode l l ’ a rea de l l ’ euro

(numero di M&A; miliardi di euro)

1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003

domestiche (scala di sinistra)transfrontaliere (scala di sinistra)domestiche (scala di destra)transfrontaliere (scala di destra)

0

20

40

60

80

100

120

140

160

0

10

20

30

40

50

60

70

80

Fonte: Thomson Financial SDC. Nota: per un certo numero di operazioni non è stato segnalato il valore.Il termine “transfrontaliero” si riferisce alle operazioni di M&A all’in-terno dell’area dell’euro.

F igura 3 Quota di mercato de l le bancheestere ne i paes i membri de l l ’ a rea de l l ’ euro

(percentuale del totale degli attivi)

0

10

20

30

40

50

60

0

10

20

30

40

50

60

20031995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

Fonte: BCE. Nota: la figura mostra la distribuzione minima, massima e quella inter-quartile delle quote di mercato delle banche estere (succursali e filia-zioni) nei paesi dell’area dell’euro. Il Lussemburgo è stato escluso per ragioni di scala (la proprietà estera rappresenta quasi il 100%).

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ARTICOLI

Il consolidamento ela diversificazione

nel settore bancariodell’area dell’euro

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 79

3) Cfr. Dierick, F., The supervision of mixed financial services groups

in Europe, Occasional Paper della BCE, n. 20, agosto 2004.4) Cfr. anche il rapporto del Gruppo dei Dieci dal titolo Il processo

di consolidamento nel settore finanziario, gennaio 2001.

mercato all’altro, con una tendenza a un lieveincremento.

Questo andamento è altresì sostenuto da uncrescente ricorso alla prestazione a distanza diservizi bancari (prestiti e depositi) su base tran-sfrontaliera, che permette alle banche di coglie-re opportunità di diversificazione senza incor-rere negli elevati costi fissi di un insediamento

in loco. L’offerta di servizi bancari su base tran-sfrontaliera all’interno dell’area dell’euro haricevuto un forte impulso dall’introduzione del-l’euro nel 1999; ne hanno beneficiato soprattuttole attività bancarie all’ingrosso, come i prestitiinterbancari, i prestiti sindacati e le gestioni col-lettive del risparmio. Pur rimanendo su livellirelativamente contenuti, hanno continuato a cre-scere anche i prestiti e i depositi transfrontalierinel segmento al dettaglio.

Molte banche dell’area dell’euro fanno parte di

grandi gruppi o di conglomerati finanziari. Unconglomerato finanziario è un gruppo costituitoda soggetti la cui principale attività è di naturafinanziaria; le componenti del gruppo che sonosoggette a regolamentazione operano in misurasignificativa in almeno due dei tre settori del-l’attività finanziaria, quello bancario, quelloassicurativo o quello dell’intermediazione mo- biliare 3). La combinazione di attività bancariee assicurative in un’unica istituzione finanzia-ria ha avuto particolare successo e il numero diquesti soggetti ha registrato un forte incremento

a livello mondiale. Nel periodo 1985-2004 sonoemersi diversi gruppi di bancassurance nell’areadell’euro a seguito di una serie di operazioni diM&A (cfr. figura 4). Nel periodo 1999-2001, in particolare, sono state concluse numerose ope-razioni di ampia portata. Quasi il 70 per centodelle transazioni ha interessato banche e com-  pagnie di assicurazione dello stesso paese. Lamaggior parte delle operazioni transfrontalieresono state condotte da compagnie assicurativein cerca di sbocchi nel settore bancario per di-stribuire i propri prodotti e diversificare i flussi

di reddito. L’attività di M&A intersettoriale fraistituzioni finanziarie dello stesso paese è ca-ratterizzata spesso da operazioni di valore piùelevato rispetto a quelli delle operazioni tran-

sfrontaliere. Ciò sembra suggerire che la ricercadi nuovi sbocchi per la distribuzione di prodottirappresenta una motivazione più importante per l’attività di M&A rispetto alla diversificazionegeografica dei flussi di reddito.

1 .2 LE DETERMINANTIDEL CONSOL IDAMENTO

I cambiamenti del contesto esterno, in particolaregli sviluppi normativi, tecnologici e macroeco-nomici, hanno contribuito al consolidamento

del settore bancario4)

. A partire dalla metà deglianni ottanta il settore finanziario dell’UE è statooggetto di una significativa liberalizzazione ederegolamentazione (cfr. tavola 2). Tali misurehanno concorso a determinare un contesto piùcompetitivo, facilitando il consolidamento delleistituzioni creditizie.

In prospettiva, il nuovo statuto della societàeuropea potrebbe promuovere ulteriormenteil consolidamento consentendo alle banche di

Figura 4 Operazioni di M&A tra banchee compagnie di assicurazionedel l ’area del l ’euro(numero di M&A; miliardi di euro)

domestiche (scala di sinistra)transfrontaliere (scala di sinistra)domestiche (scala di destra)transfrontaliere (scala di destra)

1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 20030

5

10

15

20

25

30

35

0

5

10

15

20

25

30

35

Fonte: Thomson Finacial SDC.  Nota: le società bersaglio sono banche o compagnie di assicurazionicon sede nell’area dell’euro acquisite rispettivamente da compagnie diassicurazione e banche. Cfr. anche la nota alla figura 2.

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BCEBollettino mensileMaggio 200580

operare in base a un complesso di regole comu-ni per l’intera area dell’UE in aggiunta ai variregimi nazionali. Esso può inoltre fornire alle  banche uno strumento concreto per realizzareuna ristrutturazione su base transfrontaliera, adesempio un trasferimento di sede o una raziona-lizzazione delle strutture di gruppo.

Inoltre, a partire dalla metà degli anni ottanta,molti paesi dell’UE hanno progressivamenteliberalizzato i propri mercati finanziari; ciò haindotto le banche dell’area dell’euro a estenderela propria attività in settori quali l’investment 

banking , la gestione collettiva del risparmio ele assicurazioni, promuovendo in tal modo ilconsolidamento intersettoriale del comparto fi-nanziario.

La creazione dell’Unione economica e moneta-ria (UEM) ha obbligato le banche a riconsidera-

re il proprio orientamento strategico e ha porta-to ad un aumento dell’internazionalizzazione edella diversificazione geografica, rendendo piùuniformi le prassi bancarie e più trasparente ladeterminazione dei prezzi. Si sono inoltre ridottii costi ed è aumentata la liquidità dell’emissio-ne di titoli nell’area dell’euro; ciò ha favoritoil processo di disintermediazione. Anche questisviluppi hanno contribuito a stimolare il conso-lidamento del settore bancario dell’area.

Fra le principali determinanti del cambiamento

del settore bancario si annovera anche il progres-so tecnologico, che ha permesso alle banche diampliare l’ambito geografico dell’attività svoltaattraverso l’utilizzo di canali elettronici 5). I bene-

fici, tuttavia, si distribuiscono in modo asimme-trico, in quanto solo le banche più grandi hannole dimensioni minime necessarie per giustificareconsiderevoli investimenti in tecnologia. In una prospettiva strategica, ciò favorisce la tendenzaa costituire istituzioni sempre più grandi e con-centrate.

Infine, anche lo scenario macroeconomico hacontribuito al consolidamento: durante gli anninovanta un contesto di tassi di interesse favo-revole, le elevate quotazioni del mercato azio-nario e una crescita economica vigorosa hannoconsentito alle banche di registrare utili elevatie costituire riserve considerevoli, che sono ser-vite successivamente a finanziarne l’espansionenonché l’acquisizione di (più deboli) concorren-ti. Anche l’effetto in senso inverso è stato note-vole, in quanto il rallentamento economico del  periodo 2001-2003 ha implicato una riduzione

dell’attività di M&A.

Un importante fattore all’origine del consoli-damento bancario è insito nel settore stesso ederiva dalla necessità di mantenersi in continuaevoluzione.

Benché difficile da appurare con certezza, alcuniindicatori (come il numero di sportelli pro capite)suggeriscono che in alcuni paesi le banche hannointeso ridurre la capacità produttiva in eccesso eincrementare la quota di mercato. Ciò risulta evi-

dente da un’indagine sulle strategie delle grandi

Tavola 2 Quadro de l le p iù important i misure regolamentar i per i l settore f inanz iar iocomunitar io

Anno Descrizione

1977 Prima direttiva bancaria: coordinamento della normativa sulle banche; libertà di stabilimento per le banche

1988 Regolamentazione di Basilea sull’adeguatezza patrimoniale: coefficiente di solvibilità

1988 Liberalizzazione dei movimenti di capitale nei paesi partecipanti al SME

1989 Seconda direttiva bancaria: principi del controllo del paese d’origine, del mutuo riconoscimento delle norme e degli standard prudenziali

1993 Direttiva sui servizi d’investimento

1999 Varo del Piano d’Azione per i Servizi Finanziari (PASF)

2000 Direttiva sugli istituti di moneta elettronica

2001 Direttiva sul risanamento e la liquidazione delle banche

2001 Regolamento sullo Statuto della Società europea

2004  Nuova direttiva sulle OPA2006-8 Regolamentazione di Basilea II sull’adeguatezza patrimoniale: nuovo quadro per la solvibilità

5) Cfr. il rapporto della BCE The effects of technology on the EU 

banking systems, luglio 2004.

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Il consolidamento ela diversificazione

nel settore bancariodell’area dell’euro

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 81

6) Cfr. la sezione 3.2 della pubblicazione della BCE Report on EU 

banking structure, novembre 2004.7) L’evidenza empirica sulle economie di scala nel settore bancario

offre risultati contrastanti: alcuni studi rilevano la presenza dieconomie di scala mentre altri no. Ciò nonostante, vi è consensonel rilevare la presenza di economie di scala in alcuni segmentidell’attività bancaria, in particolare nei servizi all’ingrosso enell’investment banking.

8) L’indice Herfindahl corrisponde alla somma del quadrato dellequote di mercato delle banche di un paese. Esso ha un valorecompreso fra 0 e 10.000. Un mercato è considerato “altamenteconcentrato” se tale indice supera 1.800 e “a concentrazione re-lativamente bassa” se l’indice è inferiore a 1.000.

 banche, condotta nel 2004, che ha identificato nelmantenimento della quota di mercato un impor-tante obiettivo strategico che ha portato al conso-lidamento del settore bancario a livello sia nazio-nale sia del complesso dell’area dell’euro 6).

Gli studi sulle caratteristiche delle società coin-volte nell’attività di M&A del settore finanziariosuffragano in generale la tesi che la ricerca di

una maggiore efficienza spinge al consolida-mento, purché gli amministratori della societàacquirente siano capaci di contenere i costi conmaggiore efficacia rispetto a quelli della societàacquisita. Molti studi hanno riscontrato che lesocietà acquirenti tendono ad ottenere una mag-giore efficienza sul fronte dei costi rispetto allesocietà acquisite.

L’evidenza empirica suggerisce che negli anninovanta le economie di scala possono aver co-stituito uno stimolo al consolidamento fra inter-

mediari finanziari di piccole e medie dimensio-ni: esse infatti consentono alle istituzioni finan-ziarie di realizzare sinergie operative e di costononché di potenziare il proprio valore di avvia-mento. Mentre in un mercato di ridotte propor-zioni solo un numero limitato di banche pos-sono riuscire a raggiungere una scala adeguata per sostenere un insieme ampio e diversificatodi attività, in un mercato più ampio dimensionirelative più modeste possono essere sufficienti aoperare con efficienza (cfr. sezione 2.1) 7).

Potrebbero aver contribuito a dare impulso alconsolidamento anche le economie di diversifi-cazione, che si conseguono quando un gruppoconsolidato è in grado di ampliare la gamma di prodotti e servizi offerti o di fornire prodotti eservizi che non possono essere offerti da unasingola unità (ad esempio in ragione degli ele-vati costi di commercializzazione che rendono il prodotto non competitivo).

2 LE CONSEGUENZE DEL PROCESSO

DI CONSOL IDAMENTO

Il processo di consolidamento aumenta le di-mensioni di un intermediario medio: il totale a

 bilancio di una banca media nell’area dell’euroè cresciuto da meno di 1,5 miliardi di euro nel1995 a quasi 3 miliardi nel 2003. Questo effettodel consolidamento è particolarmente evidente  per le istituzioni maggiori: la quota di attivitàdetenuta dalle 25 banche più grandi dell’area èaumentata dal 45 per cento nel 1997 a quasi il60 nel 2003. In questa sezione viene esaminatol’impatto del processo di consolidamento sulla

concentrazione e sui risultati delle banche del-l’area, nonché le possibili implicazioni per lastabilità finanziaria.

2 .1 LA CONCENTRAZIONEE LA CONCORRENZA

Il livello di concentrazione fornisce un’indi-cazione sulle condizioni di concorrenza in unmercato poiché dà una misura del potere dimercato delle grandi banche. La concentrazio-ne è aumentata in tutti i paesi dell’area del-

l’euro a partire dalla metà degli anni novanta.In particolare nei paesi più piccoli dell’area laquota di mercato detenuta dalle cinque mag-giori istituzioni creditizie supera in genere il60 per cento. Anche l’indice Herfindahl 8) sug-gerisce strutture di mercato concentrate, seb-  bene in misura inferiore (cfr. figura 5). Tut-tavia, la definizione del mercato rilevante stagradualmente cambiando dal mercato naziona-le a quello dell’area dell’euro, per effetto dellacrescente integrazione finanziaria. Nonostantela maggior concentrazione, tuttavia, le condi-

zioni di concorrenza nel settore bancario del-l’area non sembrano essere state influenzatein modo negativo. I margini di interesse nettisono diminuiti sensibilmente, anche nei mer-cati più concentrati, il che parrebbe suggerire

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BCEBollettino mensileMaggio 200582

che i mercati bancari sono rimasti contendi- bili 9).

Una questione importante riguarda la possibilitàche una concentrazione più elevata e un mag-giore consolidamento comportino una riduzionedei prestiti alle piccole imprese, dal momentoche l’economia dell’area dell’euro dipende inmisura considerevole dal buon andamento delsettore delle PMI. In realtà, l’evidenza empiri-ca indica che gli effetti negativi sono quasi deltutto assenti, sia perché si sviluppano fonti difinanziamento alternative, in quanto entrano nelmercato altri soggetti appartenenti a diversi set-

tori, sia perché le M&A migliorano la capacitàdelle banche di valutare il rischio potenziale dei prenditori di fondi 10).

Forse ancora più rilevante è la considerazioneche il consolidamento e la concentrazione po-trebbero riflettersi sul meccanismo di trasmis-sione della politica monetaria qualora determi-nassero cambiamenti nel comportamento delle banche o nell’operatività dei mercati finanziari.Il consolidamento transfrontaliero e la maggioreintegrazione dei mercati finanziari, in aggiunta

ad altri fattori, potrebbero aumentare la velocitàe la prevedibilità del meccanismo di trasmissio-ne, il che andrebbe a beneficio sia della politicamonetaria sia dei consumatori. Tuttavia, il con-

solidamento può anche generare un maggiorerischio di liquidità e aumentarne il fabbisognoa livello aggregato qualora la liquidità venga amancare sul mercato interbancario e le banchesoddisfino le proprie necessità di approvvigio-namento attraverso le riserve interne, even-tualità che potrebbe verificarsi in caso di costidi rifinanziamento molto elevati 11). Inoltre, sele banche più grandi fossero in grado di eser-

citare un maggior potere di mercato, i tassi diinteresse potrebbero diventare più volatili. Tut-tavia, poiché l’UEM e l’introduzione dell’eurohanno portato a mercati monetari e dei capitalisempre più integrati, in realtà gli effetti del con-solidamento sulla concorrenza sono attenuatidall’incremento delle dimensioni del mercatoe dall’aumento del numero degli operatori. Lecondizioni di concorrenza e la contendibilità deimercati finanziari nell’area dell’euro, nondime-no, dovrebbero essere tenute sotto stretta osser-vazione.

2 .2 I R I SULTATI

 Negli ultimi dieci anni le banche dell’area del-l’euro hanno mostrato una buona capacità ditenuta a fronte di una serie di shock esterni 12),anche se singole banche hanno occasionalmentesperimentato delle difficoltà. In media, il ren-dimento del capitale (return on equity, ROE)del settore è rimasto abbastanza stabile e gliaccantonamenti si sono mantenuti largamenteentro i limiti storici. In qualche misura, il con-

solidamento ha contribuito alla solidità del set-tore bancario dell’area dell’euro, in quanto le

Figura 5 Quota di mercato e concentrazionenel settore bancario del l ’area del l ’euro

Attivi del settore bancario (miliardi di euro)

2.000

4.000

6.000

0

2.000

4.000

6.000

01.000 2.000

dati 2003dati 1997

Indice Herfindahl

1.800

DE

FR 

IT

LU

IE

ES

AT

PT GR FI

BE

 NL

PTAT BE

FI

 NL

GR IE

ES

LU

IT

FR 

DE

0

altamenteconcentrato

relativamentenon concentrato

abbastanzaconcentrato

Fonte: BCE.

9) Supponendo che la concorrenza rafforzi l’efficienza e riduca imargini di interesse, questi ultimi possono essere consideratiun indicatore aggiuntivo delle condizioni di concorrenza. Vaosservato, tuttavia, che alcuni segmenti sono generalmente con-siderati meno aperti di altri, soprattutto le attività bancarie aldettaglio (rispetto a quelle all’ingrosso), per effetto dell’impor-tanza degli sportelli, degli effetti di reputazione, degli elevaticosti fissi, ecc.

10) Cfr. Bonaccorsi di Patti, E., Gobbi, G., The effects of bank mer-

 gers on credit availability: evidence from corporate data, Temidi discussione della Banca d’Italia, n. 479, giugno 2003.

11) Cfr. Carletti, E., Hartmann, P., Spagnolo, G.,   Bank mergers,

competition and liquidity, Working Paper della BCE, n. 292,novembre 2003.

12) Cfr. l’articolo   Analisi della solidità del settore bancario del-

l’Unione europea dal 2000 nel numero di luglio 2004 di questoBollettino.

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Il consolidamento ela diversificazione

nel settore bancariodell’area dell’euro

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 83

istituzioni più deboli sono state acquisite gene-ralmente da concorrenti più forti e di maggioridimensioni. Nell’area dell’euro, le banche piùgrandi sembrano registrare una maggiore effi-cienza sul fronte dei costi e risultano avere unaredditività più elevata di quelle più piccole. Adesempio, nel 2003 il rapporto tra costi operativie margine di intermediazione è stato pari al 66 per cento per le grandi banche e al 69,8 per le

 piccole

13)

, analogamente, il ROE si è collocatoal 7,93 per cento per le prime e solo al 5,83 per le seconde. Tali differenze sembrano suggerireche, con il tempo, il consolidamento può con-tribuire a una maggiore efficienza del sistemafinanziario 14).

Il consolidamento intersettoriale, in partico-lare l’attività di bancassurance, sembrerebbefavorire un miglioramento della performance,misurata in base al ROE, rispetto al settore bancario dell’area dell’euro nel suo comples-

so. Sebbene alcuni studi abbiano rilevato uno“sconto da conglomerato”, ovvero una situa-zione in cui la performance dei conglomeratifinanziari è peggiore di quella delle banche,delle compagnie di assicurazione o delle im-  prese d’investimento considerate separata-mente, altri studi più recenti suggeriscono checiò potrebbe essere dovuto a un effetto stati-stico 15).

Studi empirici suggeriscono che la bancassu-

rance può contribuire a diversificare i rischi di

reddito16)

. Il riquadro fornisce alcune argomen-tazioni a sostegno di questa tesi. Inoltre, la di-versificazione delle fonti di reddito si verificaanche all’interno del settore bancario: nel 1997i ricavi diversi dal margine di interesse hannoinciso per il 33 per cento ricavi totali, nel 2003 per oltre il 40 per cento 17).

2 .3 LE POSS IB IL I IMPL ICAZ ION IPER LA STABIL ITÀ F INANZIAR IA

  Nel valutare i possibili effetti del processo di

consolidamento e dello sviluppo di conglomeratifinanziari sulla stabilità complessiva del sistemafinanziario, occorre prendere in considerazionedue aspetti principali:

  – l’impatto sul profilo di rischio delle istitu-zioni stesse;

 – l’impatto sul profilo di rischio del settore fi-nanziario nel suo complesso.

Il profilo di rischio delle singole istituzioni è in-fluenzato in senso sia positivo sia negativo dalconsolidamento intra- e intersettoriale. Per le

ragioni indicate in precedenza riguardo alla per-formance, gli intermediari di grandi dimensionie con attività diversificate sembrano in grado diassorbire più facilmente gli shock non sistemi-ci. I rischi o le perdite in un settore di attivitàtendono a essere compensati dai profitti in altrisettori non connessi al primo. Pertanto, una con-centrazione più elevata, che può riflettere, anchese non necessariamente, un contesto meno con-correnziale, può accompagnarsi a una riduzionedel rischio per le singole banche 18). Tuttavia, lacreazione di conglomerati può porre di per sé

 problemi specifici: in particolare, le strutture digruppo complesse possono essere più difficilida gestire, meno trasparenti e più facilmentesoggette a conflitti di interesse e ad arbitraggionormativo. È difficile misurare l’effetto netto

13) Cfr. la pubblicazione della BCE Financial Stability Review deldicembre 2004.

14) Cfr. Altunbas, Y., Marqués Ibáñes, D., Mergers and acquisi-

tions and bank performance in Europe: the role of strategic

 similarities”, Working Paper della BCE, n. 398, ottobre 2004.Gli autori hanno riscontrato che, in media, le fusioni di banchenell’UE hanno condotto a un maggior rendimento del capita-

le.15) Per un elenco degli studi recenti cfr. la sezione “Financial Con-glomerates” del documento   Financial Stability Review 2002,

 pubblicato dalla Nationale Bank van België / Banque nationalede Belgique.

16) Per un compendio sugli studi condotti in questo ambito cfr.Genetay, Molyneux (1998),  Bancassurance, Macmillan Press,London. Il documento Study on the risk profile and capital 

adequacy of financial conglomerates di Oliver, Wyman andCompany, pubblicato nel febbraio 2001, riporta una stima dei

 benefici incrementali derivanti dalla diversificazione fra banchee compagnie di assicurazione, pari a una riduzione compresa frail 5 e il 10 per cento dei requisiti patrimoniali, a seconda dellacombinazione delle attività.

17) La diversificazione tende anche ad aumentare i ricavi. Tale tesiè confortata dalla correlazione positiva e significativa (0,60) frai ricavi diversi dal margine di interesse, misurati in percentuale

sui ricavi totali, e il ROE per il settore bancario dell’area del-l’euro nel periodo 1997-2003.

18) Cfr. Bikker,Wesseling (2003),   Intermediation, integration and 

internationalisation: a survey on banking in Europe, Occasio-nal Paper della De Nederlandsche Bank, n. 3.

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BCEBollettino mensileMaggio 200584

19) Cfr. la sezione VII della 73a Relazione annuale della Banca deiregolamenti internazionali, Basilea, 30 giugno 2003.

20) Cfr. Berger, Demsetz e Strahan (1999), “The consolidation of the

financial services industry: Causes, consequences, and implicationsfor the future”, Journal of Banking and Finance, Volume 23.

21) Il consolidamento può anche porre la questione se alcune istitu-zioni non siano divenute “too big to fail” e, quindi, se un falli-mento possa destabilizzare l’intero sistema finanziario.

complessivo perché l’aggregazione di questi ri-schi è un compito arduo, anche se in teoria lacombinazione di diverse attività finanziarie inun’unica istituzione permette di conseguire eco-nomie di scopo nella gestione del rischio.

L’effetto del consolidamento sul profilo di ri-schio del sistema finanziario nel suo complesso,o rischio sistemico, dipende fondamentalmente

dalla risposta alla domanda se la diversifica-zione del rischio possa essere conseguita piùefficacemente dalle grandi banche e dai con-glomerati piuttosto che dalle banche minori. Èevidente che l’importanza sistemica di una ban-ca o di un conglomerato cresce in proporzionealle sue dimensioni e al suo raggio d’azioneattraverso mercati e confini geografici; è chia-ro anche che le grandi banche o i conglomeratiaumentano la propria capacità di tenuta a frontedi shock specifici a determinati settori o atti-vità (idiosincratici) con l’aumentare delle loro

dimensioni o del loro campo d’azione. Ciò è ri-conducibile alla realizzazione dei vantaggi delladiversificazione all’interno dell’impresa comerisultato dalle operazioni di crescita. Tuttavia,l’eventuale fallimento di una grande istituzionefinanziaria potrebbe avere un impatto maggioree geograficamente più esteso e interessare piùcampi di attività. Pertanto, il settore finanzia-rio nel suo complesso potrebbe diventare menodiversificato via via che i singoli conglomeratifinanziari diventano più diversificati nelle lineedi attività e più simili fra loro nelle esposizioni

al rischio19)

.

Per illustrare questo punto si consideri un esem- pio estremo. Se un unico soggetto offre servizifinanziari in diversi settori, la sua gestione delrischio diventa di fatto quella dell’intero com- parto, con tutti i suoi vantaggi e svantaggi. Seuno shock sufficientemente esteso colpisce que-sto importante gruppo finanziario e ne determi-na l’insolvenza, ciò si traduce di fatto in un pro- blema sistemico. Resta da chiarire, tuttavia, selo stesso shock si sarebbe diffuso in un sistema

con istituzioni più piccole e con profili diversiuna dall’altra. In qualche misura, questi proble-mi sistemici possono essere compensati se il nu-mero più contenuto di grandi istituzioni agevola

il monitoraggio dei rischi da parte delle autoritàdi vigilanza o delle controparti 20).

 Non esiste quindi una chiara risposta al quesito suquali siano gli effetti prevalenti prodotti dai grandigruppi finanziari sulla stabilità finanziaria 21). Unruolo importante a questo riguardo è svolto dal-l’esistenza di sistemi di controllo e gestione delrischio solidi e da una vigilanza pubblica efficace.

3 CONCLUS ION I

Il consolidamento del settore finanziario, favo-rendo l’attività di M&A e riducendo il numero diistituzioni creditizie, ha costituito un principalefattore di impulso al cambiamento strutturale nelsettore bancario dell’area dell’euro negli ultimidieci anni. Esso sembra destinato a proseguire,soprattutto alla luce del fatto che l’integrazionefinanziaria può portare a una maggiore attività

di M&A su base transfrontaliera da parte del-le principali banche che intendono istituire unarete di distribuzione paneuropea.

In una certa misura, il consolidamento si è attua-to anche attraverso il processo di formazione deiconglomerati finanziari. La principale determi-nante di tale processo è stata la realizzazione disinergie di ricavi e l’adozione di strategie compe-titive comuni. La bancassurance è stata una delle più diffuse forme di conglomerato che hanno inte-ressato il settore bancario dell’area dell’euro.

Il consolidamento e la diversificazione interset-toriale sono potenti fattori di cambiamento nel  panorama finanziario dell’area dell’euro. Seb- bene questo processo appare in grado di miglio-rare l’efficienza complessiva del sistema finan-ziario, è necessario comunque mantenere sottostretta osservazione le possibili implicazioni per la stabilità finanziaria.

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ARTICOLI

Il consolidamento ela diversificazione

nel settore bancariodell’area dell’euro

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 85

R iquadro

LA DIVERSIFICAZIONE DEL RISCHIO NEL SETTORE BANCARIO E NEL SETTORE ASSICURATIVO

Un’analisi delle correlazioni fra l’indice bancario e quello assicurativo dell’area dell’euro sug-gerisce che dalla formazione di conglomerati potrebbero derivare alcuni vantaggi collegati alladiversificazione: le correlazioni variabili nel tempo fra indici settoriali del mercato azionario ri-velano considerevoli fattori idiosincratici fra i diversi comparti (cfr. figura A). La figura A illustrala correlazione, su una finestra mobile trimestrale, fra i rendimenti degli indici azionari di banche

e di compagnie di assicurazione dell’area dell’euro, denominata correlazione piena. Essa riportaaltresì una correlazione corretta, non depurata dell’impatto dei movimenti sul mercato. Mentre lacorrelazione piena è molto elevata, quella corretta tende a essere di gran lunga inferiore e spessoè vicina allo zero. Pertanto, ciascun settore sembra essere fortemente influenzato dai movimentisul mercato ma non altrettanto dagli sviluppi nell’altro settore.

Inoltre, sono stimati i beta variabili nel tempo, che misurano la sensibilità dei rendimenti del set-tore bancario e di quello assicurativo alle variazioni dei rendimenti di mercato (cfr. figura B). Èevidente un grado elevato di parallelismo nella reazione di tali settori agli andamenti del mercato.Tuttavia, le sensibilità non sono dello stesso ordine di grandezza, il che suggerisce una reazionelievemente diversa tra i due settori alle variazioni del mercato 1).

Un altro modo di valutare i possibili benefici della diversificazione è quello di utilizzare il coefficientedi Sharpe, un’unità di misura del trade-off rischio/rendimento. Le simulazioni con diverse ponderazio-ni degli indici dei corsi azionari nel settore assicurativo e bancario mostrano coefficienti di Sharpe piùfavorevoli per le attività combinate che per i settori considerati singolarmente. Il maggior rendimento per unità di rischio nel periodo 1990-2004 si ottiene quando le attività bancarie sono combinate a quel-le assicurative diverse dal ramo vita. Ciò nonostante, sembrerebbe che il settore bancario abbia avutouna performance a fronte al deterioramento del valore azionario migliore rispetto a ogni altra combi-nazione simulata fra il 2000 e il 2002, periodo di risultati modesti del mercato azionario. Tuttavia, lacreazione di valore per gli azionisti dovrebbe essere valutata a più lungo termine, poiché ciò consente

di tener conto del verificarsi di brevi e temporanei arretramenti nella performance.

1) In termini statistici, i beta dei due settori differiscono in maniera significativa al livello dell’1 per cento.

F igura A Corre laz ione tra g l i indic i

de i prezz i az ionar i de l le banchee de l le ass icuraz ion i de l l ’ a rea de l l ’ euro

F igura B Beta deg l i indic i de i prezz i

az ionar i de l le banche e de l le ass icuraz ion ide l l ’ a rea de l l ’ euro

correlazione pienacorrelazione corretta

-0,5

0,0

0,5

1,0

-0,5

0,0

0,5

1,0

1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003

 beta delle assicurazioni beta delle banche

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003

Fonti: Datastream (da gennaio 1990 a agosto 2004) ed elaborazioni BCE.

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BCEBollettino mensileMaggio 200586

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BCEBollettino mensile

Maggio 2005 87

L’EVOLUZIONE DEL QUADRO ISTITUZIONALEIN TEMA DI CORPORATE GOVERNANCE 

 Negli ultimi anni la disciplina della corporate governance ha subito importanti modifiche. Una

 serie di iniziative sono state intraprese nell’Unione europea, negli Stati Uniti e sul piano interna-

 zionale per rafforzare leggi, regole e principi in tale ambito. Questo articolo passa in rassegna le

misure adottate e traccia le grandi linee del quadro che si sta profilando.

 La prima sezione analizza i motivi alla base delle molteplici, recenti iniziative in questo campo;

oltre a considerare le implicazioni economiche e finanziarie più ampie della corporate governance , si concentra sugli effetti provocati dai recenti scandali societari, dai cambiamenti strutturali, dalla

 globalizzazione e dalle innovazioni sui mercati finanziari. Seguono una descrizione degli elementi fondamentali della corporate governance – con particolare riferimento ai tre pilastri ( governance 

interna, governance esterna e informativa al pubblico) che, interagendo, si rafforzano a vicenda

 – e un’illustrazione dell’importanza di individuare idonei strumenti di regolazione. Una volta de-

lineato il contesto, l’articolo richiama le principali misure adottate nell’UE, negli Stati Uniti e

 sul piano internazionale per rafforzare il quadro relativo alla corporate governance. La sezione

conclusiva si sofferma sulle problematiche ancora irrisolte.

1 MOTIVAZION I ALLA BASEDELLA CRESCENTE IMPORTANZADELLA CORPORATE GOVERNANCE 

Le iniziative intraprese per rafforzare il quadronormativo sulla corporate governance costitui-scono in parte una risposta alla serie di scandaliche negli ultimi anni hanno interessato impresequali Enron (2001), WorldCom (2002) e Par-malat (2003) (cfr. riquadro 1). Benché nessunassetto di governo possa essere totalmente im-mune dal pericolo di frodi societarie, esistonochiare indicazioni del fatto che – nei casi citati  – il complessivo sistema dei controlli non hafunzionato a sufficienza. Scarso monitorag-

gio da parte degli organi di amministrazione econtrollo; inadeguatezza dei controlli sul ma-

nagement  da parte degli azionisti; carenze dei  processi di controllo interno e di gestione deirischi; insufficiente trasparenza e informazioneal mercato: a ciò si è aggiunta l’inefficacia deicontrolli svolti dai revisori esterni. Il fatto chequeste lacune siano per lo più sfuggite all’at-tenzione degli analisti finanziari, delle impresedi investimento e delle società di rating ha resoancora più difficile l’individuazione precoce del peggioramento della situazione finanziaria delle

imprese. Di conseguenza, è divenuto evidenteche gli amministratori avevano fornito una rap- presentazione notevolmente distorta della realesituazione economica e finanziaria delle loro so-

cietà solo quando queste ultime si trovavano giàsull’orlo dell’insolvenza.

La crescente valenza politica dei temi connessicon la corporate governance andrebbe inoltreinserita nel contesto dei cambiamenti strutturaliche hanno interessato il sistema finanziario e, in particolare, del crescente ricorso al mercato, da  parte delle imprese europee, per il reperimentodelle fonti di finanziamento. Mentre il sistemafinanziario degli Stati Uniti è tradizionalmentestato “market-based ”, in Europa il finanziamentotramite emissioni di azioni e titoli di debito ha ini-ziato a svilupparsi soltanto negli ultimi anni 1). Aseguito di questa evoluzione, una platea più am-

 pia di soggetti ( stakeholders) – oltre ai creditorie ai dipendenti delle società – è interessata allacorporate governance; tra questi, non solo gliazionisti ma anche un numero sempre maggio-re di piccoli investitori. Una quota crescente delrisparmio è indirizzata verso i mercati finanziarida investitori istituzionali, ad es. fondi comunidi investimento e, alla luce delle recenti riforme previdenziali, fondi pensione. Per la loro accre-sciuta importanza nel finanziamento alle imprese,le forze di mercato devono assumere nei confron-ti di queste un ruolo disciplinare più attivo.

1) Si veda l’articolo intitolato Sviluppi recenti nelle strutture fi-

nanziarie dell’area dell’euro nel numero di ottobre 2003 diquesto Bollettino mensile.

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BCEBollettino mensileMaggio 200588

PRINCIPAL I SCANDALI SOCIETARI NEGLI ULT IMI ANNI

Società Origini dello scandalo

Parmalat (2003)

Multinazionale

italiana del settore

alimentare

e lattiero-caseario

• Nel novembre 2003 Parmalat non rimborsa un’emissione obbligazionariada 150 milioni di euro nonostante la disponibilità apparentemente ampiadi contante e attività liquide che traspare dai suoi bilanci.

• Il 19 dicembre 2003 Bank of America comunica che il documento at-

testante l’esistenza di un cospicuo conto acceso presso di essa da unacontrollata della Parmalat è falso. Di conseguenza, nei bilanci del gruppoemerge un ammanco di 3,95 miliardi di euro.

• Il 27 dicembre 2003 viene dichiarato lo stato di insolvenza di Parmalat.• Nel gennaio 2004 i nuovi amministratori ammettono che il reale livello

di indebitamento del gruppo è di oltre 14 miliardi di euro, una cifra quasiotto volte superiore a quella dichiarata in precedenza.

Ahold (2003)

Terzo operatore

mondiale nel settore

della grande

distribuzione

alimentare, con sede

nei Paesi Bassi

• Fra il 2002 e il 2003 si intensificano i dubbi circa l’attendibilità dei bilan-ci di Ahold.

• Nel febbraio 2003 Ahold ammette di avere gonfiato per almeno 463 mi-lioni di euro gli utili del 2001 e del 2002. Ciò induce un crollo dellequotazioni, che scendono del 63 per cento.

• Tra la fine del 2001 e febbraio 2003 Ahold perde il 90 per cento del suo

valore di mercato.

WorldCom (2002)

Società statunitense

attiva nel settore delle

telecomunicazioni e

 principale fornitore

mondiale di servizi

 Internet e per il 

commercio elettronico

• Nel giugno 2002 WorldCom ammette di avere pesantemente manipolatoi propri bilanci, in particolare contabilizzando scorrettamente alcuni costicome spese in conto capitale. Nel solo periodo a partire dal 2001, 3,8 mi-liardi di dollari di presunti utili avrebbero dovuto invece essere dichiaraticome perdite.

• Nel luglio 2002 WorldCom richiede l’ammissione alla procedura falli-mentare: è il dissesto più grave nella storia degli Stati Uniti.

Vivendi Universal

(2002)

Secondo gruppo

al mondo nel settore

dei media, con sede

in Francia

• Nella primavera del 2002 Vivendi dichiara livelli sorprendentemente ele-vati di indebitamento (19,1 miliardi di euro alla fine del 2001) e di perdite(12,6 miliardi nel 2001 e 12,3 miliardi nel primo semestre del 2002).

• Gli operatori di mercato si rendono conto di essere stati fuorviati dalricorso aggressivo, da parte di Vivendi, a pratiche contabili non traspa-renti.

• Nel giugno 2002 le quotazioni di Vivendi scendono a 30 euro, dai 141 delmarzo 2000, portando la società sull’orlo del tracollo.

Enron (2001)

Settima società

 statunitense

 per dimensioni,

attiva nel settore

dell’intermediazione

di energia

• Nell’ottobre 2001 Enron comunica una svalutazione da 1 miliardo di dol-lari per investimenti di qualità deteriore e una riduzione di capitale di 1,2miliardi di dollari. Le autorità statunitensi avviano un’indagine.

• Nel novembre 2001 Enron rettifica i bilanci relativi al periodo 1997-2001contabilizzando perdite per quasi 600 milioni di dollari che erano statein precedenza dissimulate mediante complesse transazioni finanziarie.Standard & Poor declassa le emissioni obbligazionarie di Enron al livello

di junk bond .• Nel dicembre 2001 Enron richiede l’ammissione alla procedura fallimen-

tare.

R iquadro 1

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ARTICOLI

L’evoluzionedel quadro

istituzionalein tema

di corporate  governance 

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 89

Le maggiori implicazioni economiche e finan-ziarie della corporate governance accresconoanche da un punto di vista macroeconomico piùampio l’importanza di disporre di un sistema digoverno efficace. Incentivando l’allocazione ef-ficiente delle risorse, un sano governo societa-rio promuove la crescita economica e influiscein senso positivo sulla stabilità finanziaria (inquanto un’efficiente allocazione delle risorse ri-

duce anche la probabilità che vengano a crearsiampi squilibri finanziari). Per contro, un assettocarente potrebbe mettere a repentaglio la stabi-lità finanziaria minando la fiducia complessivadel mercato. Questo impatto potenziale sullastabilità finanziaria motiva l’interesse dellaBCE all’introduzione di un quadro adeguato intema di corporate governance 2).

Infine, anche le nuove strutture e prassi socie-tarie conseguenti alla globalizzazione e all’in-novazione finanziaria hanno reso necessaria la

modifica del sistema esistente. Ad esempio, per la crescente complessità delle transazioni finan-ziarie delle imprese connessa all’utilizzo deiderivati e delle operazioni di cartolarizzazione,i principi contabili in uso non sono più apparsiin grado di informare adeguatamente gli inve-stitori dei risultati e del profilo di rischio di unadeterminata impresa. Analogamente, strutturesocietarie complesse fondate su società veicolo( special purpose vehicles) e sottoposte a giuri-sdizioni diverse fra cui quelle di centri offshorehanno determinato l’esigenza di potenziare le

 procedure di gestione dei rischi e di accrescerel’informativa.

2 ELEMENTI FONDAMENTAL IDELLA CORPORATE GOVERNANCE  

LOGICA GENERALE

La corporate governance trova la sua ragiond’essere fondamentale nella separazione fra proprietà e controllo nelle società ad azionariato

diffuso. Gli interessi dei proprietari non coin-cidono necessariamente con quelli degli ammi-nistratori, in quanto questi ultimi non risentonoappieno né in positivo né in negativo del loro

operato. Esiste pertanto il rischio che insorgano problemi cd. di delega, vale a dire che le azionie le decisioni del delegato (amministratori) nonsiano sufficientemente in linea con gli interessidel delegante (proprietari). La corporate gover-

nance intende affrontare questa difficoltà isti-tuendo un sistema di controlli incrociati internied esterni sul comportamento delle imprese. Per essere efficace, il sistema deve poggiare su tre

  pilastri fondamentali:  governance interna,  go-vernance esterna e trasparenza e informativa al pubblico. I TRE P ILASTR I

GOVERNANCE  INTERNAPer  governance interna si intendono i meccani-smi che consentono agli azionisti di esercitareun controllo sugli amministratori. Fra questifigurano l’adeguata organizzazione dei consi-gli di amministrazione, disposizioni efficaci

  per l’esercizio dei diritti degli azionisti e unafunzione di controllo interno ben articolata.Con riferimento al ruolo del consiglio di am-ministrazione, è necessario che un organo in-dipendente espresso al suo interno promuova esorvegli nel tempo la competenza e l’efficaciadella gestione. A seconda del diritto societarioapplicabile, la separazione funzionale fra ge-stione e controllo può essere garantita in modidiversi. Nel modello dualistico, il consiglio diamministrazione si occupa delle attività corren-ti mentre quello di sorveglianza nomina, con-

trolla e revoca gli amministratori avvalendosiall’occorrenza di comitati specifici (ad esempiodi quelli per le nomine, la remunerazione e ilcontrollo interno). Nel sistema monistico, la di-stinzione fra membri esecutivi e non esecutividel consiglio di amministrazione e l’affidamen-to della funzione di controllo a questi ultimicostituisce lo strumento principale della gover-

nance interna. Anche il ruolo di presidente delconsiglio di amministrazione può essere tenutoseparato da quello di amministratore delegato.

2) Ai sensi dell’articolo 105, paragrafo 5, del Trattato che istitui-sce la Comunità europea il SEBC contribuisce a una buona con-duzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la stabilità del sistema fi nanziario.

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BCEBollettino mensileMaggio 200590

Per consentire agli azionisti di esercitare effica-cemente i loro diritti, è indispensabile garantireun accesso adeguato a tutte le informazioni per-tinenti e prevedere meccanismi efficaci di deci-sione e di comunicazione. Infine, la funzione direvisione interna deve sottoporre a un adeguatoscrutinio i processi e i controlli interni. A dif-ferenza dei revisori esterni, quelli interni nonhanno un ruolo e un mandato stabiliti per legge:

spetta di conseguenza agli amministratori defi-nirne le responsabilità e dotarli degli strumentiadeguati.

GOVERNANCE ESTERNAL’espressione “ governance esterna” si riferiscealla funzione di controllo svolta dai mercati fi-nanziari. I mercati primari fanno parte del siste-ma di corporate governance in quanto offronoalle imprese un accesso diretto al finanziamen-to. Per la loro possibile riluttanza a investire innuove emissioni azionarie od obbligazionarie

di società carenti sotto il profilo della  gover-nance, gli operatori utilizzano i prospetti pub-  blicati dalle società al momento della solleci-tazione all’investimento come fonte fondamen-tale di informazioni in materia. L’adeguatezzadelle comunicazioni agli investitori costituisceun aspetto importante anche sui mercati se-condari, nel contesto dei prospetti relativi aglistrumenti finanziari ammessi alla negoziazione.Un ulteriore contributo importante alla  gover-

nance proviene dagli intermediari finanziari eda quelli che forniscono informazioni e servi-

zi di consulenza agli investitori (reputational intermediaries) 3). Poiché hanno il compito divalutare e definire il prezzo degli strumenti fi-nanziari, essi possono allertare gli investitorinei confronti delle imprese con sistemi di con-trollo interno di dubbia efficacia e contribuirea metterne precocemente in evidenza le lacune.Il corretto operato di questi cd.“ gatekeepers”richiede una serie di norme che assicurino unasolida base metodologica nonché la capacitàdi prevenire e/o gestire i conflitti di interesse.Anche i mercati per il controllo societario (sui

quali si realizzano le operazioni di fusione e ac-quisizione) promuovono una buona corporate

 governance, in quanto premiano i buoni ammi-nistratori e penalizzano quelli meno efficienti.

Il segmento delle offerte pubbliche di acquistoriveste particolare importanza in questo conte-sto dal momento che – a differenza delle fusioni – le acquisizioni non richiedono l’approvazionedegli amministratori. Di conseguenza, l’effica-ce funzionamento del mercato per il controllosocietario presuppone regole adeguate per leoperazioni di acquisizione.

TRASPARENZA E INFORMATIVAAL PUBBLICOLa trasparenza e l’informativa al pubblico rap-  presentano l’elemento di connessione fra la governance interna e quella esterna. In questosenso è fondamentale adottare principi contabi-li adeguati e fare in modo che i revisori esterni,il cui compito consiste nel verificare la confor-mità di tutta la documentazione finanziaria coni principi contabili adottati, operino all’internodi un quadro efficace. Risulta pertanto essen-ziale garantire la competenza e l’indipendenza

dei revisori esterni nonché l’esistenza di mec-canismi intesi a prevenire o gestire eventualiconflitti di interesse. La disciplina di corporate governance non èavulsa dal più ampio contesto normativo e re-golamentare del paese di riferimento. Le dispo-sizioni che regolano la  governance interna e ilmercato per il controllo societario si inserisco-no nel più vasto ordinamento societario nazio-nale, mentre le norme che riguardano i mercati  primari e secondari e la trasparenza e l’infor-

mativa al pubblico rientrano nella disciplinadei mercati mobiliari. L’efficace funzionamen-to della corporate governance dipende inoltredalla presenza di adeguati meccanismi per veri-ficare e imporre l’osservanza delle regole.

3) L’espressione si riferisce agli operatori di mercato – quali glianalisti finanziari, le banche di investimento e le agenzie di ra-

ting – che forniscono ragguagli in merito alla situazione e alle prospettive finanziarie di una determinata i mpresa avvalendosidella loro reputazione come parti indipendenti. I reputational 

intermediaries offrono un servizio importante sia alle impresesia agli  stakeholders in quanto “prestano” la loro reputazione

alle prime, svolgendo nel contempo una funzione di sorveglian-za per conto dei secondi e contribuiscono pertanto a evitare

 problemi di azione collettiva di categorie – quali gli azionisti,gli investitori e gli altri  stakeholders – che sono estremamenteframmentate.

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ARTICOLI

L’evoluzionedel quadro

istituzionalein tema

di corporate  governance 

BCEBollettino mensile

Maggio 2005 91

LA SCELTA DEGLI STRUMENTI REGOLAMENTARI

Poiché la corporate governance promuove sial’efficienza sia l’integrità delle imprese, è fon-damentale che poggi su strumenti regolamentariadeguati. Le disposizioni adottate in questo con-testo devono garantire un’opportuna tutela degliinteressi degli azionisti e degli altri stakeholders

senza tuttavia imporre oneri eccessivi o com-

 promettere la flessibilità e la competitività delleimprese. Risulta dunque importante trovare uncorretto equilibrio fra queste due esigenze. I possibili strumenti di regolazione spaziano dasoluzioni interamente basate sul mercato, a for-me di autoregolamentazione soggette al vagliodi organismi esterni, a sistemi di regolamenta-zione pubblica basati su principi generali, finoall’adozione di disposizioni normative di detta-glio. L’individuazione dello strumento ottimalerichiede un’attenta analisi dell’ambito specifico

da disciplinare. Nel campo della revisione ester-na, ad esempio, i recenti scandali societari hannoindotto numerosi osservatori a ritenere ormai in-sufficiente il ricorso esclusivo all’autodisciplinadella professione. Ciò ha contribuito in larga mi-sura all’introduzione, prima negli Stati Uniti e in prospettiva anche nell’UE, di forme di controllo pubblico sui revisori. Analogamente, è opinionecondivisa tra UE e Stati Uniti che per agevolare icontrolli sulle imprese sia necessario accrescerela trasparenza e imporre criteri di informativa al pubblico più rigorosi. Pertanto, sono state adot-

tate o sono in corso di adozione norme dettaglia-te su questa materia. Con riferimento ai reputa-

tional intermediaries, un grado maggiore di fles-sibilità delle regole è considerato necessario per evitare rigidità inopportune che potrebbero de-rivare dalla previsione di nuove norme. Benchéanche in questo ambito – soprattutto per quantoriguarda la prevenzione o la gestione dei conflittidi interesse – i requisiti di legge previsti nell’UEe negli Stati Uniti siano diventati più stringen-ti, essi sono stati di conseguenza maggiormentefondati su principi di carattere generale.

La scelta degli strumenti di regolazione dipendealtresì dal contesto politico e istituzionale com-  plessivo. Ad esempio, organismi internazionali

quali l’Organizzazione per la cooperazione e losviluppo economico (OCSE), il Comitato di Ba-silea per la vigilanza bancaria (CBVB) e l’Inter-national Organization of Securities Commissions(IOSCO) sono composti da un numero di mem- bri elevato ed estremamente eterogeneo. Inoltre,si fondano su una modalità di cooperazione nonvincolante nel cui contesto le decisioni sono as-sunte all’unanimità e attuate su base volontaria.

Eventuali disposizioni in materia di corporate governance adottate da questi organismi assu-mono quindi la forma di principi più che di nor-me specifiche e lasciano di conseguenza spaziosufficiente per un’applicazione in linea con i variordinamenti giuridici e istituzionali vigenti. Ilquadro sulla corporate governance definito a li-vello di UE richiede invece un’infrastruttura attaa sostenere il mercato unico, per il quale è neces-sario un maggior grado di convergenza normati-va. Ciò nonostante, anche all’interno dell’Unio-ne il livello adeguato di armonizzazione varia a

seconda dell’ambito di riferimento specifico. In particolare, le notevoli differenze fra gli ordina-menti giuridici dei diversi Stati membri rendonoimpraticabile e non auspicabile una piena armo-nizzazione delle norme in materia di governance interna. Per contro, un’elevata convergenza delleregole in materia di  governance esterna, di tra-sparenza e informativa al pubblico viene ritenutaun elemento fondamentale del quadro giuridico asostegno del mercato finanziario unico.

3 INIZIATIVE RECENTIDI RAFFORZAMENTO DEL QUADROISTITUZIONALE IN TEMADI CORPORATE GOVERNANCE  

 Negli ultimi anni sono state intraprese diverseiniziative importanti volte a migliorare il quadroistituzionale in tema di corporate governance.Le sezioni che seguono offrono una breve pa-noramica dei provvedimenti adottati nell’UE 4),negli Stati Uniti e in ambito internazionale.

4) Misure regolamentari tese a migliorare la corporate governance

all’interno dell’UE sono state adottate sia da vari Stati membrisia dalla Commissione europea. Questo articolo riferisce soltan-to sulle iniziative intraprese a livello comunitario.

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BCEBollettino mensileMaggio 200592

3 .1 IN IZ IAT IVE DELL ’UE

P IANO D ’AZ IONE PER I SERV IZ I F INANZIAR IIl Piano d’azione per i servizi finanziari (PASF) 

5) adottato nel 1999 ha modificato in modo signi-ficativo la regolamentazione dei servizi finan-ziari al fine di promuovere lo sviluppo di merca-ti realmente integrati. Il Piano – che si concentrasulla disciplina dei mercati mobiliari – contiene

 provvedimenti che interessano il governo socie-tario, nelle aree della governance esterna e dellatrasparenza e informativa al pubblico.

Per quanto riguarda la  governance esterna, ilfunzionamento dei mercati primari risulta raf-forzato dalla nuova direttiva sui prospetti infor-mativi 6) che uniforma gli obblighi iniziali di co-municazione al pubblico imposti agli emittenti.Il ruolo degli intermediari finanziari e dei repu-

tational intermediaries sui mercati secondari èinvece potenziato dalla direttiva sugli abusi di

mercato7)

(la quale prescrive fra l’altro la cor-retta presentazione delle raccomandazioni di in-vestimento alla clientela nonché la divulgazionedell’esistenza di interessi specifici o di conflittidi interesse) e da quella relativa ai mercati de-gli strumenti finanziari 8) (che impone regoledi comportamento e requisiti più severi per lagestione dei conflitti di interesse). Nel PASFrientra inoltre la tredicesima direttiva societariarelativa alle offerte pubbliche di acquisto 9), checontribuisce in misura importante a migliorareil funzionamento dei mercati per il controllo so-

cietario.

In materia di trasparenza e informativa al pub- blico, un nuovo regolamento 10) impone a tuttele società quotate in borsa di applicare i prin-cipi contabili internazionali nella redazione dei propri bilanci consolidati entro il 2005, mentrela direttiva sulla trasparenza 11) inasprisce signi-ficativamente gli obblighi di informativa perio-dica al pubblico per gli emittenti.

PIANO D ’AZ IONE SUL D IR ITTO

DELLE SOC IETÀ E I L GOVERNO SOC IETAR IOUn’ulteriore tappa fondamentale nel processodi rafforzamento del quadro comunitario sullacorporate governance è rappresentata dal Piano

d’azione della Commissione europea per il dirit-to delle società e il governo societario, pubblica-to nel maggio 2003 12); esso ha seguito da vicinole raccomandazioni contenute nel rapporto delGruppo ad alto livello di esperti in materia didiritto societario istituito dalla Commissione 13).Il Piano prevedeva un programma completo diinterventi volti sia ad ammodernare il diritto so-cietario europeo alla luce del grado crescente di

integrazione dei mercati finanziari e dei nuovisviluppi di mercato, sia a migliorare la  gover-

nance interna dopo i recenti scandali societari.Più specificamente, nell’ambito della  gover-

nance interna il Piano evidenzia quattro ambitid’azione volti a:

i. migliorare il funzionamento dei consigli diamministrazione mediante interventi tesifra l’altro a rafforzare il ruolo degli ammi-nistratori non esecutivi (o dei membri del

5) Comunicazione della Commissione dell’11 maggio 1999, Mes-

  sa in atto del quadro di azione per i servizi finanziari: piano

d’azione (COM/1999/232/def.).6) Direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio

del 4 novembre 2003 relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumen-ti finanziari e che modifica la direttiva 2001/34/CE (GU L 345,del 31.12.2003, pag. 64).

7) Direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privile-giate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) (GUL 96, del 12.4.2003, pag. 16).

8) Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari,che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio

e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consi-glio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU L145, del 30.4.2004, pag. 1).

9) Direttiva 2004/25/CE del Parlamento Europeo e del Consigliodel 21 aprile 2004 concernente le offerte pubbliche di acquisto(GU L 142, del 30.4.2004, pag. 12).

10) Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e delConsiglio, del 19 luglio 2002, relativo all’applicazione di prin-cipi contabili internazionali (GU L 243, del 11.9.2002, pag. 1).

11) Direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consigliodel 15 dicembre 2004 sull’armonizzazione degli obblighi di tra-sparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valorimobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato rego-lamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE (GU L 390,del 31.12.2004, pag. 38).

12) Comunicazione della Commissione del 21 maggio 2003,Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo

  societario nell’Unione europea - Un piano per progredire (COM/2003/284/def.).

13) Rapporto del gruppo ad alto livello di esperti in materia di dirit-to societario, A modern regulatory framework for company law

in Europe, 4 novembre 2002.

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BCEBollettino mensile

Maggio 2005 93

consiglio di sorveglianza), stabilire regoleminimali in materia di remunerazione degliamministratori e sancire la responsabilitàcollettiva di tutti i membri del consiglio diamministrazione per le informazioni fornitein bilancio;

ii. potenziare il ruolo degli azionisti miglioran-do l’accesso alle informazioni pertinenti e

agevolando l’esercizio dei diritti, in partico-lare quando essi devono essere esercitati su base transfrontaliera;

iii. accrescere la trasparenza in materia di go-verno societario;

iv. promuovere la convergenza delle regole digoverno nazionali verso le migliori prassiattraverso l’istituzione di un Forum europeosul governo societario.

Facendo seguito al Piano d’azione, nell’ottobre2004 la Commissione ha adottato una racco-mandazione sulla remunerazione degli ammini-stratori 14), una raccomandazione sul ruolo degliamministratori indipendenti 15) e una propostadi revisione delle direttive contabili esistenti 16).Quest’ultima è volta a: sancire la responsabili-tà collettiva di tutti i membri del consiglio diamministrazione per le informazioni fornite in bilancio; accrescere la trasparenza delle opera-zioni fuori bilancio e delle transazioni con particorrelate; imporre a tutte le società quotate la

redazione di una dichiarazione annuale sul go-verno societario. La Commissione ha inoltreistituito il Forum europeo sul governo societa-rio, composto da 15 esperti della materia e pre-sieduto dalla Commissione 17).

COMUNICAZIONE SUL RAFFORZAMENTODELLA REV IS IONE LEGALE DE I CONTILa comunicazione della Commissione sul raf-forzamento della revisione legale dei conti nel-l’UE, pubblicata nel maggio 2003 18), è intesaspecificamente a potenziare la funzione di revi-

sione esterna nell’Unione europea. La principa-le proposta in essa contenuta mira ad aggiornaree ampliare sostanzialmente l’ambito di applica-zione dell’ottava direttiva societaria, stabilen-

do fra l’altro nuovi requisiti di indipendenzadei revisori, la necessità di un vaglio esternosulla qualità dei controlli effettuati e sanzionidisciplinari, nonché imponendo la conformitàcon i principi di revisione internazionali ( Inter-

national Standards on Auditing , ISA) entro il2005. Essa inoltre prevede l’introduzione di unsistema pubblico di vigilanza sui revisori, cheverrà esercitata da un nuovo comitato di regola-

mentazione per la revisione contabile compostoda rappresentanti di tutti gli Stati membri. Pre-sentata dalla Commissione nel marzo 2004, la proposta per una nuova direttiva sulla revisionelegale dei conti 19) è attualmente in fase di di-scussione presso il Consiglio UE e il Parlamen-to europeo.

PROVVEDIMENTI ADOTTATIDOPO IL CASO PARMALATLa dichiarazione di insolvenza del gruppo Par-malat nel dicembre 2003 ha segnato la fine del

 più grave scandalo societario mai verificatosi inEuropa (cfr. riquadro 2). Prima di tale scandaloerano state intraprese (ma non ancora adottate oattuate) varie iniziative importanti volte a raf-forzare il quadro sulla corporate governance inEuropa, alcune delle quali sono state successi-vamente oggetto di lievi modifiche volte a re-cepire gli insegnamenti specifici tratti dal caso

14) Raccomandazione della Commissione del 14 dicembre 2004 re-lativa alla promozione di un regime adeguato per quanto riguar-da la remunerazione degli amministratori delle società quotate

(2004/913/CE).15) Raccomandazione della Commissione del 15 febbraio 2005sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi o deimembri del consiglio di sorveglianza delle società quotate esui comitati del consiglio di amministrazione o di sorveglianza(2005/162/CE).

16) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio chemodifica la direttiva 78/660/CEE del Consiglio relativa ai contiannuali di taluni tipi di società e la direttiva 83/349/CEE delConsiglio relativa ai conti consolidati (COM/2004/725/def.).

17) Il ruolo principale del Forum, la cui istituzione è stata annun-ciata dalla Commissione il 18 ottobre 2004, consiste nell’indi-viduare le migliori prassi per il governo societario nei vari Statimembri e fornire consigli alla Commissione. Le sue competenzeconsultive non si estendono tuttavia agli aspetti regolamentari.

18) Comunicazione della Commissione del 21 maggio 2003,  Raf-

 forzare la revisione legale dei conti nella UE  (COM/2003/286/

def.).19) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio

sulla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati eche modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consi-glio (COM/2004/177/def.).

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BCEBollettino mensileMaggio 200594

Parmalat. Ad esempio, nella sua proposta per 

una nuova direttiva sulla revisione legale deiconti, la Commissione ha introdotto un principioin base al quale il revisore principale è piena-mente responsabile della relazione di revisionesui conti consolidati di un gruppo di imprese, haimposto alle società quotate in borsa di dotarsidi un comitato interno per la revisione conta-  bile e ha inasprito le sanzioni previste in casodi inosservanza. La proposta di revisione del-le direttive contabili aggiunge invece l’obbligo per le imprese di fornire informazioni completesu tutte le operazioni fuori bilancio, comprese

quelle riguardanti società veicolo.

In una comunicazione del settembre 2004 20), laCommissione ha dichiarato che il suo impegno

verso il miglioramento della corporate gover-

nance si inseriva in una strategia più ampia dilotta contro le pratiche societarie e finanziariescorrette alla luce dei recenti scandali. Finali-tà generale della strategia è il rafforzamento diquattro linee fondamentali di difesa: controlliinterni, terzi indipendenti (compresi i revisoriesterni), vigilanza ed effettivo rispetto dellalegge. Fra i temi affrontati nella comunicazio-ne figurano le politiche in materia di servizi fi-nanziari, giustizia e affari interni, fiscalità. Conriferimento ai servizi finanziari, non vengono proposte nuove misure in quanto si ritiene che

20) Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamen-to europeo sulla prevenzione e la lotta alle pratiche societarie efinanziarie scorrette (COM/2004/ 611/def.).

DISFUNZ IONI NEL S I STEMA DI CORPORATE GOVERNANCE DI PARMALAT

 

Oltre ad aver rappresentato soprattutto un esempio classico di frode contabile, il caso Parmalatha evidenziato alcune gravi carenze in materia di corporate governance.

• Per quanto riguarda la  governance interna, i problemi principali sono stati determinati dal-l’insufficiente tutela degli interessi degli azionisti di minoranza e degli altri  stakeholders inun’impresa a proprietà per lo più famigliare; dall’assenza di componenti realmente indipen-denti negli organi di amministrazione e controllo; dalla mancanza di un’efficace funzione direvisione interna.

• In termini di governance esterna, sono stati sollevati dubbi circa l’adeguatezza delle funzio-ni, svolte dai revisori esterni, di sorveglianza e controllo sugli amministratori Parmalat. Ilfatto che le responsabilità fossero ripartite fra due società di revisione diverse è stato ritenutouna grave debolezza, in quanto ha ostacolato una chiara visione del gruppo nel suo insieme.L’esistenza di alcuni segnali indicativi della reale situazione finanziaria dell’impresa (qualiad esempio il fatto che Parmalat continuasse a indebitarsi nonostante la dichiarata disponibi-lità di ampi quantitativi di contante e attività liquide) ha inoltre indotto alcuni a ipotizzare unatteggiamento poco vigile da parte degli intermediari finanziari e dei reputational interme-

diaries. È stata infine ravvisata la presenza di un possibile conflitto di interessi nei rapportiintrattenuti da alcune banche con il gruppo; l’accusa, che è stata tuttavia contestata dalle banche interessate e resta ancora da dimostrare, ha determinato l’avvio di azioni legali controle banche in questione.

• Con riferimento alla trasparenza e all’informativa al pubblico, un problema specifico diParmalat è stato rappresentato dalla scarsa trasparenza in ordine alla complessa strutturasocietaria e finanziaria del gruppo, cui ha contribuito in misura rilevante il ricorso a societàveicolo aventi sede in centri offshore.

R iquadro 2

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quelle in corso siano per il momento sufficientie che occorra piuttosto garantirne tempestivitànell’adozione e rigore nell’applicazione.

IN IZ IAT IVE CONCERNENTILE AGENZIE D I RAT ING 

A differenza di altri reputational intermediaries,quali le imprese di investimento e gli analistifinanziari, le agenzie di rating non sono tenute

al rispetto di specifiche norme comunitarie. Ciònonostante, dopo lo scandalo Enron la Commis-sione ha proposto al Consiglio Ecofin riunitosiinformalmente ad Oviedo nell’aprile 2002 diesaminare il ruolo delle agenzie di rating  neimercati finanziari e di valutare l’eventuale op- portunità di disciplinare la materia. Un ulterioreslancio in questo senso è stato impresso da svi-luppi recenti quali:

  – il nuovo ruolo di ECAI (“external credit as-

  sessment institutions”) attribuito alle agen-

zie di rating dalla nuova disciplina pruden-ziale delle imprese di investimento e deglienti creditizi 21) di prossima introduzione;

 – l’adozione della direttiva sugli abusi di mer-cato e delle relative misure di attuazione inmateria di conflitti di interesse e corretta in-formazione 22) (che si applicherà agli analistifinanziari ma non alle agenzie di rating );

  – il caso Parmalat, nel quale le agenzie di ra-

ting non hanno segnalato con tempestività il

deterioramento della situazione finanziariadell’impresa.

La questione è stata affrontata anche in seno alParlamento europeo che, in una risoluzione sulruolo e i metodi delle agenzie di rating adottatail 10 febbraio 2004, ha incaricato la Commis-sione di presentare entro il 31 luglio 2005 la suavalutazione sulla necessità e l’eventuale ambitodi applicazione di una disciplina comunitariadelle agenzie di rating  23). Nel luglio 2004 laCommissione ha chiesto al Comitato europeo

delle autorità di vigilanza nel settore dei valo-ri mobiliari (Committee of European Securities

 Regulators, CESR) di presentare, entro aprile2005, un parere tecnico sulla possibile rego-

lamentazione delle agenzie di rating  da partedell’UE.

3 .2 IN IZ IAT IVE NEGL I STAT I UN IT I

I L SARBANES-OXLEY ACT  

Il Sarbanes-Oxley Act  (SOX), promulgato nelluglio 2002, ha introdotto rilevanti modifiche alquadro sulla corporate governance negli Stati

Uniti. Applicato alle società con oltre 500 azio-nisti (  public companies) e a quelle quotate in  borsa, esso contiene disposizioni che devonoessere in gran parte rispettate anche dagli emit-tenti esteri soggetti a obblighi di registrazioneo segnalazione alla Securities and Exchange

Commission (SEC) statunitense nonché dai re-visori esterni che offrono i loro servizi a talisocietà.

Uno degli ambiti principali disciplinati dal SOXè la  governance interna. Nello specifico, la leg-

ge richiede agli amministratori delegati e aidirettori finanziari di certificare personalmentei bilanci annuali e le relazioni trimestrali, pre-vede norme più rigorose per l‘individuazionedegli illeciti societari e finanziari (compreso uninasprimento delle sanzioni) e accresce gli ob- blighi di informativa sui controlli interni. Essainoltre proibisce operazioni di insider trading ;vieta ogni forma di finanziamento da parte dellasocietà a favore degli amministratori; imponealle società quotate l’istituzione di un comitatointerno per la revisione dei conti completamen-

te indipendente. Un’ulteriore caratteristica dirilievo è rappresentata dal potenziamento del-

21) Proposta di direttive del Parlamento europeo e del Consiglioche rifondono la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo edel Consiglio del 20 marzo 2000 relativa all’accesso all’attivitàdegli enti creditizi ed al suo esercizio e la direttiva 93/6/CEdel Consiglio, del 15 marzo 1993, relativa all’adeguatezza pa-trimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi(COM/2004/486/def.).

22) Direttiva 2003/125/CE della Commissione, del 22 dicembre2003, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6/CEdel Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda lacorretta presentazione delle raccomandazioni di investimentoe la comunicazione al pubblico di conflitti di interesse (GU L

339, del 24.12.2003, pag. 73).23) La risoluzione si fondava sulla  Relazione sul ruolo e i meto-

di delle agenzie di rating del 29 gennaio 2004 elaborata dallaCommissione per i problemi economici e monetari del Parla-mento europeo.

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BCEBollettino mensileMaggio 200596

la disciplina della revisione legale dei conti. In particolare, nell’istituire il Public Company Ac-

counting Oversight Board (PCAOB) il SOX se-gna il passaggio da un approccio basato sull’au-toregolamentazione a uno contraddistinto dalla presenza di un organo indipendente cui vengonoassegnate funzioni di vigilanza. Di conseguen-za, tutte le società di revisione che certificano iconti delle public companies sono tenute a con-

formarsi alle disposizioni del PCAOB in mate-ria di qualità dell’audit , registrazione, ispezioni periodiche e possibili sanzioni. Il SOX prevedealtresì misure in materia di conflitti di interessedegli analisti finanziari; inasprisce, inoltre, gliobblighi di informativa continua degli emitten-ti, ad esempio rafforzando la trasparenza sul-le operazioni fuori bilancio e imponendo agliemittenti di rendere note eventuali variazionidella propria situazione finanziaria e gestionale“su base tempestiva e regolare”.

Benché alcune disposizioni del SOX siano en-trate in vigore con effetto immediato, la mag-gior parte di esse ha richiesto l’adozione dinorme specifiche da parte della SEC. Il SOXha inoltre occasionato la modifica dei requisi-ti per l’ammissione alla quotazione sul NYSE(  New York Stock Exchange) e sul NASDAQ( National Association of Securities Dealers Au-

tomated Quotation), i due principali operatoridi mercato.

IN IZ IAT IVE CONCERNENTI

LE AGENZIE D I RAT ING Il SOX invitava la SEC a rivedere il ruolo delleagenzie di rating negli Stati Uniti concentran-dosi sui seguenti elementi: importanza com- plessiva di tali soggetti per i mercati mobiliari,  possibili ostacoli all’efficiente assolvimentodelle loro funzioni, barriere all’ingresso nelsettore e potenziali conflitti di interesse. Dopoaver presentato la sua relazione al Congressodegli Stati Uniti nel gennaio 2003, a giugnodello stesso anno la SEC ha emesso un pare-re (concept release) su vari aspetti relativi alle

agenzie di rating , compreso l’utilizzo a finiregolamentari delle valutazioni del merito dicredito e le possibili disposizioni in materia divigilanza 24), e ha invitato gli operatori a fornire

le loro reazioni entro la fine del mese succes-sivo. Da allora, la SEC non ha varato ulterioriiniziative.

3.3 INIZIATIVE SUL PIANO INTERNAZIONALE

ORGANIZZAZIONE PER LA COOPERAZIONEE LO SV ILUPPO ECONOMICO Nel maggio 1999 l’OCSE ha emesso i  Princi-

 ples of Corporate Governance, successivamen-te adottati dal Forum per la stabilità finanziariacome uno dei 12 standard fondamentali per lastabilità finanziaria internazionale. Nel 2002è stato poi avviato un processo di valutazionecomplessiva di tali principi alla luce di variscandali societari, dei nuovi sviluppi e delle ri-chieste di maggiore regolamentazione avanzatein molti paesi. A seguito di questo ampio pro-cesso di revisione, che ha comportato fra l’altroun esame degli sviluppi in materia di corporate

 governance negli Stati membri dell’organiz-

zazione e una serie di consultazioni pubblichesu scala mondiale, nell’aprile 2004 l’OCSE ha  pubblicato una versione rivista dei Principles

del 1999.

Come la versione precedente, anche quella ri-vista pone l’accento sulla  governance internae sulla trasparenza affrontando cinque ambiti:diritti degli azionisti, trattamento equo degliazionisti, ruolo degli  stakeholders, trasparenzae informativa al pubblico, responsabilità degliamministratori. Le rispettive disposizioni sono

tuttavia ampliate e rese più specifiche nel nuovotesto. Ad esempio, con riferimento ai diritti de-gli azionisti, viene riconosciuto esplicitamenteil loro diritto di revocare i membri del consigliodi amministrazione e di partecipare all’adozio-ne di decisioni fondamentali come quelle con-cernenti la candidatura, l’elezione e la remune-razione degli amministratori. Maggiore enfasiè inoltre posta sulle condizioni necessarie per l’esercizio effettivo di tali diritti e sulla tuteladegli azionisti di minoranza. Con riferimentoal ruolo degli  stakeholders, viene introdotto

24) SEC Concept Release n. 33-8236 del 4 giugno 2003 dal titolo Rating Agencies and the Use of Credit Ratings under the Fede-

ral Securities Laws.

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BCEBollettino mensile

Maggio 2005 97

un nuovo principio a tutela dei cd. “whistle-

blowers” (vale a dire gli  stakeholders che desi-derino comunicare al consiglio di amministra-zione i propri timori in ordine a comportamentisocietari illeciti o non etici). La sezione sullatrasparenza e l’informativa al pubblico accre-sce gli obblighi di comunicazione e sottolineal’importanza dell’indipendenza dei revisori. Unulteriore principio stabilisce che il lavoro del-

le agenzie di rating  e degli analisti finanziarinon debba essere compromesso dall’esistenzadi conflitti di interesse. Infine, i nuovi princi- pi in materia di responsabilità del consiglio diamministrazione sottolineano in particolare ilruolo fiduciario di quest’ultimo e la necessitàdi garantirne l’indipendenza e l’obiettività.

COMITATO D I BAS ILEAPER LA V IG ILANZA BANCAR IARispetto ad altri settori, la presenza di adegua-ti sistemi di governo societario è ancora più

importante per quello bancario in considera-zione del ruolo fondamentale che esso svolgenel processo di intermediazione tra risparmio einvestimenti all’interno dell’economia nonchédel rischio relativamente più elevato di conta-gio cui è esposto. Un sano governo societarioaccresce notevolmente la capacità delle banchedi individuare, misurare e seguire nel tempo inmodo adeguato i propri rischi finanziari.

 Nel settembre 1999 il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato alcune li-

nee guida dal titolo   Rafforzamento del gover-no societario nelle organizzazioni bancarie.Questo documento, che si inserisce nel conte-sto del costante impegno del Comitato verso ilmiglioramento della gestione dei rischi e dellatrasparenza nel settore bancario, costituisceinoltre una risposta alle iniziative in materia di governance adottate sul piano nazionale e in-ternazionale e in particolare allo sviluppo dei  Principles on Corporate Governance pubbli-cati dall’OCSE. Tenendo conto dell’esperienzamaturata nell’ambito della vigilanza su pro-

  blemi specifici di corporate governance nelle banche, le linee guida individuano una serie di  principi fondamentali volti a garantirne un’ef-ficace governance interna. Il Comitato sta at-

tualmente vagliando l’opportunità e l’entità diun eventuale aggiornamento del documento.

INTERNAT IONAL ORGANIZAT ION 

OF SECURIT IES COMMISS IONS 

A seguito dei recenti scandali societari, a feb-  braio 2004 l’  International Organization of 

Securities Commissions (IOSCO) ha avviatoun’iniziativa di vasta portata volta a rafforzare

le linee di difesa dei mercati internazionali deicapitali contro le frodi finanziarie e gli abusi dimercato. In tale contesto, ha istituito una task 

 force ad alto livello incaricata di individuare le principali linee di intervento e valutare l’oppor-tunità e l’entità di un’eventuale risposta norma-tiva da parte dell’Organizzazione. Sulla base diquesto lavoro, il 1° marzo 2005 lo IOSCO ha  pubblicato una relazione dal titolo   Report on

Strengthening Capital Markets against Finan-

cial Fraud in cui riassume i principali risultatiottenuti dalla task force e delinea un piano di

azione per migliorare l’attuale quadro regola-mentare. La relazione individua vari ambiti(quali la governance interna, la revisione ester-na, la trasparenza e l’informativa al pubblicoda parte degli emittenti, il ruolo e gli obblighidegli intermediari finanziari e dei reputational 

intermediaries e l’utilizzo di strutture societa-rie complesse) che sono risultati rilevanti neirecenti scandali societari. Per ciascuno di questiambiti vengono analizzati gli standard e i prin-cipi IOSCO esistenti nonché l’eventuale neces-sità di misure volte a migliorarne l’attuazione

e il grado di effettiva applicazione e/o fornireulteriori orientamenti. Particolare attenzioneviene prestata alla scelta dei meccanismi piùidonei per accrescere l’efficacia dell’attuazionee del rispetto degli standard e dei principi IO-SCO nei vari paesi.

In precedenza lo IOSCO aveva già adottatoaltre iniziative importanti volte a migliorare ilquadro sulla corporate governance. Come as-sociazione che riunisce le Autorità di vigilanzasui mercati mobiliari, lo IOSCO ha in partico-

lare messo a punto alcuni principi guida e best  practices in materia di  governance esterna, ditrasparenza e informativa al pubblico che af-frontano aspetti quali: il ruolo delle agenzie di

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BCEBollettino mensileMaggio 200598

rating e degli analisti finanziari nei mercati mo- biliari; la revisione esterna 25).

4 SF IDE FUTURE

Assicurare un buon quadro di riferimento per lacorporate  governance presuppone un impegnocostante. Gli sviluppi del mercato potrebbero

richiedere un adeguamento del quadro esistenteed è possibile che emergano nuovi problemi di governance. Negli ultimi anni è stata adottataun’ampia serie di iniziative importanti volte arafforzare i tre pilastri su cui si fonda il gover-no societario in modo da far fronte alle diffi-coltà emerse. Iniziative sono ancora in corso inalcune aree; ad esempio, l’attuazione del Pianod’azione della Commissione europea per il di-ritto societario e la corporate governance e le possibili iniziative in tema di agenzie di rating . Nel futuro immediato, le autorità pubbliche do-

vrebbero pertanto concentrarsi prioritariamentesull’attuazione delle misure già adottate. So-  prattutto, prima di prevedere ulteriori provve-dimenti per la disciplina della materia, risulta ingenerale opportuno permettere alle disposizionigià emanate di dispiegare i loro effetti. È altresìnecessario soppesare con grande attenzione i co-sti e i benefici di ulteriori interventi normativi.

Un’attuazione efficace non dipende soltanto dalrigore con cui i nuovi principi e le nuove di-sposizioni in materia di corporate governance 

vengono applicati e fatti rispettare. È ovvio cheanche le migliori regole possono essere aggiratee non consentono mai di prevenire completa-mente i casi di frode. È quindi importante chesi diffonda un’etica degli affari e una maggioreconsapevolezza da parte degli azionisti del pro- prio ruolo. Ad esempio, la  governance internanon si basa esclusivamente sul rispetto formaledelle regole inerenti la struttura e il funziona-mento del consiglio di amministrazione e deidiritti degli azionisti, ma richiede anche la pro-mozione di un’adeguata cultura aziendale da

 parte dell’alta direzione e del consiglio nonchélo svolgimento di un ruolo attivo da parte degliazionisti. Analogamente, benché regole più ri-gorose in materia di trasparenza e informativa

al pubblico agevolino la disciplina di mercato,tutti gli  stakeholders devono assumersi le pro-  prie responsabilità nella vigilanza attiva sulleimprese.

Alla luce dell’accresciuta integrazione dei mer-cati finanziari, il perseguimento di un elevatogrado di convergenza tra i diversi paesi costi-tuisce un’altra importante questione attuativa a

livello sia europeo sia internazionale.  Nel contesto dell’UE, l’attuazione tempestiva ecoerente delle nuove norme comunitarie nei variStati membri è un requisito preliminare essenzia-le per l’efficienza e l’integrità del mercato finan-ziario unico. Occorre inoltre verificare costante-mente e attentamente se le varie misure comuni-tarie non vincolanti, soprattutto nell’ambito della governance interna, riescono a indurre un’effet-tiva convergenza verso le migliori prassi.

Sul piano internazionale, una priorità consistenel garantire che gli standard e i parametri diriferimento comuni per un buon governo socie-tario trovino adeguato riflesso nelle norme enelle prassi nazionali. Benché i principi interna-zionali debbano essere rigorosamente osservati

25) Per quanto riguarda le agenzie di rating , nel dicembre 2004 loIOSCO ha pubblicato i “Principi fondamentali del codice dicondotta per le agenzie di rating” (Code of Conduct Funda-

mentals for Credit Rating Agencies). Tali principi, che vertonoessenzialmente su tre aree (qualità e integrità del processo di

rating , indipendenza e prevenzione dei conflitti di interesse, re-sponsabilità delle agenzie di rating nei confronti di investitoried emittenti), sono stati elaborati sulla base di precedenti lavorisvolti dallo IOSCO in materia e in particolare dei “Principi con-cernenti le attività delle agenzie di rating ” ( Principles Regar-

ding the Activities of Credit Rating Agencies) e della “Relazionesulle attività delle agenzie di rating” ( Report on the Activities

of Credit Rating Agencies), entrambi pubblicati nel settembre2003. Con riferimento agli analisti finanziari, nel settembre2003 lo IOSCO ha presentato una “Relazione sui conflitti diinteresse degli analisti” ( Report on Analyst Conflicts of Int erest )e una “Dichiarazione di principi per la soluzione dei conflitti diinteresse degli analisti finanziari sell-side” (Statement of Prin-

ciples for Addressing Sell-Side Securities Analyst Conflicts of 

 Interest ). Nell’ambito della revisione esterna, sono disponibilidue documenti IOSCO – “Principi in materia di indipendenzadei revisori e il ruolo della corporate governance nell’indipen-

denza dei revisori” (  Principles of Auditor Independence and 

the Role of Corporate Governance in Monitoring an Auditor’s

 Independence) e “Principi in materia di vigilanza sui revisoricontabili” ( Principles for Auditor Oversight ) – entrambi pubbli-cati nell’ottobre 2002.

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nei vari paesi, le sostanziali differenze esistentia livello nazionale nei sistemi finanziari, negliordinamenti giuridici e negli assetti proprietaridelle imprese rendono impossibile l’adozione diun approccio totalmente omogeneo alla norma-tiva in materia di corporate governance. Questedifferenze rendono essenziale uno scambio pe-riodico di informazioni a livello transfrontalie-ro fra le autorità competenti, in particolare con

riferimento alle iniziative di regolamentazionein corso o programmate. Il dialogo concorreràa promuovere una migliore comprensione re-ciproca dei rispettivi sistemi di corporate go-

vernance; agevolerà inoltre il coordinamentointernazionale delle misure regolamentari, ne-

26) Varato in occasione del vertice tra l’UE e gli Stati Uniti delmaggio 2002, esso prevede la partecipazione della Commis-sione europea, della SEC, del Board of Governors del FederalReserve System e del Tesoro statunitense.

cessario per ridurre il rischio di una possibileduplicazione degli obblighi o di distorsionidella concorrenza. Un esempio significativo diquesta cooperazione è rappresentato dal Dialo-go UE-USA sulla disciplina dei mercati finan-ziari (  EU-US Financial Markets Regulatory

 Dialogue) 26), che prevede lo scambio informalesu base bilaterale di informazioni concernentiaspetti regolamentari e di vigilanza di interesse

comune.

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