Arthur Schopenhauer Aforismi AFORISMI SULLA … · OSCAR D. CHILESOTTI MILANO FRATELLI DUMOLARD...

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Arthur Schopenhauer Aforismi sulla saggezza nella vita ARTURO SCHOPENHAUER AFORISMI SULLA SAGGEZZA NELLA VITA (dall•fopera PARERGA UND PARALIPOMENA) TRADUZIONE OSCAR D. CHILESOTTI MILANO FRATELLI DUMOLARD 1885 4 AL LETTORE ______ Q. HOHATII FLACCI. Odarum, Liber III, Ode I Non per giovarti o per darti piacere, lettore, non per averne lode o guadagno (che di tutto cio non mi cale) tradussi questo libro, ma cosi feci perche cosi mi piacque fare. Vale. DOTT. OSCAR CHILESOTTI. 5 INDICE

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Arthur Schopenhauer

Aforismi

sulla

saggezza nella vita

ARTURO SCHOPENHAUER

AFORISMI

SULLA

SAGGEZZA NELLA VITA

(dall•fopera PARERGA UND PARALIPOMENA)

TRADUZIONE

OSCAR D. CHILESOTTI

MILANO

FRATELLI DUMOLARD

1885

4

AL LETTORE

______

Q. HOHATII FLACCI. Odarum, Liber III, Ode I

Non per giovarti o per darti piacere,

lettore, non per averne lode o guadagno

(che di tutto cio non mi cale) tradussi questo

libro, ma cosi feci perche cosi mi piacque

fare.

Vale.

DOTT. OSCAR CHILESOTTI.

5

INDICE

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INTRODUZIONE

la felicita non e facile a

conquistare; e molto difficile

trovarla in noi . impossibile

altrove.

CHAMFORT.

Prendo qui nel suo significato immanente la nozione di saggezza nella vita, cioe

intendo con cio l•farte di rendere la vita quanto meglio e possibile piacevole e felice. Questo

studio potrebbe egualmente chiamarsi l•fEudemonologia; sarebbe dunque un trattato sulla

vita felice. Questa potrebbe a sua volta essere definita una esistenza che, considerata dal

punto di vista puramente esteriore, o piuttosto (trattandosi d•fun apprezzamento soggettivo)

che dopo fredda e matura riflessione e preferibile alla non-esistenza. La vita felice, cosi

definita, ci attrarrebbe per se stessa, e non solo per il timore della morte; ne risulterebbe

inoltre che noi desidereremmo vederla durare senza fine. Se la vita umana corrisponda, o

possa solamente corrispondere alla nozione d•funa tale esistenza, e questione a cui si sa che

ho risposto con una negativa nella mia Filosofia; l•feudemonologia invece presuppone una

risposta affermativa. Infatti questa si fonderebbe sopra tale errore innato, errore che ho

combattuto in principio del capitolo XLIX, vol. II, della mia opera principale1. In

conseguenza, per poter nondimeno trattare la questione, dovetti allontanarmi interamente

dal punto di vista elevato, metafisico e morale a cui conduce la mia vera filosofia. Lo

sviluppo che segue e stabilito adunque, in una certa misura, sopra una convenzione, nel

senso che esso si mette sotto il punto di vista usuale ed empirico, e ne conserva l•ferrore. Il

suo valore inoltre non puo essere che condizionato, dal momento che la parola

eudemonologia non e che un eufemismo. Di piu esso non ha la minima pretesa di esser

completo, sia perche il tema e inesauribile, sia perche io avrei dovuto ripetere cio che altri

ha gia detto.

Io non ricordo che il libro di Cardano: De utilitate ex adversis capienda (dell•futilita

che si puo cavare dalle disgrazie), lavoro degno d•fesser letto, che tratti lo stesso argomento

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dei presenti aforismi; esso potra servire a completare quanto io qui presento. Aristotele, e

vero, ha intercalato una breve eudemonologia nel capitolo V, libro I, della sua Rettorica, ma

non ha fatto che un•fopera assai meschina. Io non ricorsi a questi miei predecessori; che non

e affar mio il compilare; tanto meno lo feci perche in tal modo si perde quell•funita di vedute

che e l•fanima delle opere di si fatta specie. Insomma, certamente i saggi di tutti i tempi

hanno sempre detto lo stesso, e gli sciocchi, cioe l•fincommensurabile maggioranza di tutti i

tempi, hanno sempre fatto lo stesso, ossia l•fopposto, e sara sempre cosi. Anche Voltaire

dice; Noi lascieremo questo mondo tanto stupido e tanto cattivo quanto lo abbiamo trovato

venendoci.

1 Schopenhauer intende con cio il suo trattato; Il mondo come volonta e come fenomeno

(rappresentazione). (N. del Trad.).

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CAPITOLO PRIMO

Divisione fondamentale.

Aristotele (Etica a Nicomaco, I, 8) ha diviso i beni della vita umana in tre classi: beni

esteriori, dell•fanima e del corpo. Non conservando che la divisione in tre io dico che cio

che distingue le sorti dei mortali puo essere ridotto a tre condizioni fondamentali. Esse

sono:

1.•‹ Cio che si e: dunque la personalita nel suo senso piu lato. Per conseguenza qui si

comprende la salute, la forza, la bellezza, il temperamento, il carattere morale, l•fintelligenza

ed il suo sviluppo.

2.•‹ Cio che si ha: dunque proprieta e ricchezza d•fogni natura.

3.•‹ Cio che si rappresenta: e noto che con questa espressione s•fintende la maniera

colla quale altri si figura un individuo, quindi cio che questi e nell•faltrui rappresentazione.

Tutto cio consiste dunque nell•fopinione altrui a suo riguardo, e si divide in onore, grado e

gloria.

Le differenze della prima categoria, di cui abbiamo da occuparci, sono quelle che la

natura stessa ha posto fra gli uomini; d•fonde si puo gia inferire che la loro influenza sulla

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felicita o sull•finfelicita sara piu essenziale e piu penetrante che quella delle differenze che

derivano dalle convenzioni umane e che noi abbiamo ricordato nelle due rubriche seguenti.

I veri vantaggi personali, quali una gran mente o un gran cuore, sono in rapporto ad ogni

vantaggio di grado, di nascita, pur anche regale, di ricchezza, ecc., cio che i re veri sono

rispetto ai re sul teatro. Gia Metrodoro, il primo discepolo d•fEpicuro, aveva intitolato un

capitolo; Le cause che vengono da noi contribuiscono alla felicita piu di quelle che

nascono dalle cose.

E, senza dubbio, per la felicita dell•findividuo, pur anche in tutto il suo modo di

essere, la cosa principale sara evidentemente quello che si trova o si produce in lui. Infatti e

la che risiede immediatamente il suo benessere o la sua infelicita; insomma e sotto questa

forma che si manifesta da bel principio il risultato della sua sensibilita, della sua volonta,

del suo pensiero; tutto cio che si trova al di fuori non ha che un•finfluenza indiretta. Percio

le medesime circostanze, i medesimi avvenimenti esterni impressionano ogni individuo in

modo affatto differente, e, quantunque tutti siano posti nello stesso mezzo, ognuno vive in

un mondo differente. Perche ciascuno non ha direttamente a che fare se non colle sue

proprie sensazioni, e coi movimenti della sua propria volonta: le cose esterne non hanno

influenza su lui che in quanto determinino questi fenomeni interni. Il mondo in cui si vive

dipende dal modo d•fintenderlo, che e differente per ogni testa; secondo la natura delle

intelligenze esso sembrera povero, scipito e volgare, o ricco, interessante ed importante.

Mentre un tale, per esempio, invidia un tal altro per le avventure interessanti toccategli

nella sua vita, dovrebbe piuttosto invidiargli il dono di concezione che ha dato a questi

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avvenimenti l•fimportanza che assumono nella sua descrizione, perche il medesimo fatto che

si presenta in un modo cosi interessante nella testa d•fun uomo di spirito, non offrirebbe piu,

concepito da un cervello grossolano e triviale, che una scena insipida della vita d•fogni

giorno. Cio si manifesta al piu alto grado in molte poesie di Goethe e di Byron, il fondo

delle quali sta evidentemente sopra un dato reale; uno sciocco, leggendole, e capace

d•finvidiare al poeta la graziosa avventura in luogo d•finvidiargli la potente immaginazione

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che d•fun avvenimento abbastanza comune, ha saputo fare qualche cosa di cosi grande e di

cosi bello. Egualmente il melanconico vedra una scena di tragedia la dove il sanguigno non

vede che un conflitto interessante, ed il flemmatico un caso insignificante.

Tutto questo proviene dal fatto che ogni realta, cioe ogni attualita compita, si

compone di due meta, il soggetto e l•foggetto, ma cosi necessariamente e cosi strettamente

unite come l•fossigeno e l•fidrogeno nell•facqua. Identica la meta oggettiva, e differente la

soggettiva, o viceversa, la realta attuale sara tutt•faltra; la piu bella e la migliore meta

oggettiva, quando la soggettiva e grossolana, di trista qualita, non dara mai che una cattiva

realta ed attualita, simile ad un bel sito visto col brutto tempo o riflesso da una camera

oscura difettosa. Per parlare piu volgarmente ognuno e ficcato nella sua coscienza come

nella sua pelle, e non vive immediatamente che in essa; cosi dal di fuori vi sara da portargli

ben poco aiuto. Sulle scene Tizio rappresenta i principi, Caio i magistrati, Sempronio i

lacche, o i soldati, o i generali, e cosi di seguito. Ma queste differenze non esistono che

all•festerno; all•finterno, come nocciuolo del personaggio, e sepolto in tutti lo stesso essere,

vale a dire un povero commediante colle sue miserie e coi suoi affanni.

Nella vita succede lo stesso. Le differenze di grado e di ricchezza danno a ciascuno la

parte da rappresentare, a cui non corrisponde affatto una differenza interna di felicita e di

benessere; anche qui e posto in ciascheduno lo stesso povero bietolone colle sue miserie e

coi suoi fastidi che possono differire presso i singoli individui quanto al fondo, ma che

quanto alla forma, cioe in rapporto all•fessere proprio, sono presso a poco gli stessi per tutti;

havvi certo differenza nel grado, ma questa non dipende minimamente dalla condizione o

dalla ricchezza, vale a dire dalla parte da rappresentare.

Come tutto cio che succede, tutto cio che esiste per l•fuomo, non succede e non esiste

immediatamente che nella sua coscienza, evidentemente la qualita della coscienza sara

l•fessenziale prossimo, e nella maggior parte dei casi tutto dipendera da questa meglio che

dalle imagini che vi si presentano. Tutti gli splendori, tutte le gioie son povere, riflesse dalla

coscienza appannata d•fun imbecille, rispetto alla coscienza d•fun Cervantes che in una

squallida prigione scrive il Don Chisciotte.

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La meta oggettiva dell•fattualita e della realta e fra le mani della sorte e quindi

mutabile; la meta soggettiva la siamo noi stessi, in conseguenza essa e immutabile nella sua

parte essenziale. Cosi malgrado tutti i cambiamenti esterni la vita d•fogni uomo porta da un

capo all•faltro lo stesso carattere; la si puo paragonare ad un seguito di variazioni sul

medesimo tema. Nessuno puo sortire dalla propria individualita. Per l•fuomo avviene come

per l•fanimale; questo, qualunque siano le condizioni in cui lo si mette, resta confinato nel

piccolo cerchio che la natura ha irrevocabilmente tracciato intorno al suo essere, cio che

spiega perche, per esempio, tutti i nostri sforzi per la felicita dell•fanimale che amiamo,

devono mantenersi per forza fra confini assai ristretti, precisamente in causa di questa

limitazione del suo essere e della sua coscienza; del pari l•findividualita dell•fuomo si trova

fissata anticipatamente la misura della sua possibile felicita. Sono in special modo i confini

delle facolta intellettuali che determinano una volta per sempre l•fattitudine alle gioie

d•fordine superiore.

Se tali facolta sono limitate, tutti gli sforzi esterni, tutto quanto gli uomini o la fortuna

facessero in suo favore, tutto sara impotente a trasportare l•findividualita oltre la misura

della felicita e del benessere ordinario, mezzo animale; essa dovra contentarsi dei piaceri

sensuali, d•funa vita intima ed allegra in famiglia, d•funa societa di bassa lega o di

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passatempi volgari. L•fistruzione stessa, quantunque abbia una certa azione, non saprebbe

insomma allargare di molto questo cerchio, perche i piaceri piu elevati, piu varii e piu

durabili sono quelli dello spirito, per quanto falsa possa essere in gioventu la nostra

opinione su tale argomento; e questi piaceri dipendono sopratutto dalla forza intellettuale. E

dunque facile veder chiaramente quanto la nostra felicita dipenda da cio che siamo, dalla

nostra individualita, mentre non si tiene conto il piu delle volte che di cio che abbiamo o di

cio che rappresentiamo. La sorte pero puo migliorarsi, inoltre chi possiede la ricchezza

interna non le domandera gran cosa; ma lo sciocco restera sciocco, lo scimunito sara

scimunito fino alla fine, foss•fanche in paradiso fra mezzo le Uri. Goethe dice: Popolo, e

lacche, e conquistatori in ogni tempo riconoscono che il bene supremo dei figli della terra

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e solamente la personalita. (W. O. Divan).

Che il soggettivo sia incomparabilmente piu essenziale alla nostra felicita ed alle

nostre gioie dell•foggettivo ci viene provato in tutto, dalla fame che e la miglior cucina, dal

vegliardo che guarda con indifferenza la deita che il giovine idolatra, fino all•festremo

vertice ove troviamo la vita dell•fuomo di genio e del santo. La salute sopratutto prevale

talmente sui beni esteriori che in verita un mendicante sano e piu felice di un re malato. Un

temperamento calmo e giocondo, proveniente da una salute perfetta e da una eccellente

organizzazione, una mente lucida, viva, acuta e giusta, una volonta moderata e dolce, e

come risultato una buona coscienza, ecco i vantaggi che nessun grado, nessuna ricchezza

saprebbero surrogare. Cio che un uomo e per se stesso, cio che l•faccompagna nella

solitudine, e cio che nessuno saprebbe dargli o togliergli, e evidentemente piu essenziale

per lui che tutto quello ch•fegli puo possedere o che puo essere per gli occhi altrui. Un uomo

di spirito, nella solitudine la piu assoluta, trova nei suoi pensieri e nella sua fantasia di che

spassarsi dilettevolmente, mentre l•findividuo povero di spirito potra variare all•finfinito le

feste, gli spettacoli, i passeggi e i divertimenti senza riuscire a scacciar la noia che lo

tortura. Un buon carattere, moderato e dolce, potra esser contento nell•findigenza mentre

tutte le ricchezze del mondo non saprebbero soddisfare un carattere avido, invidioso e

malvagio. In quanto all•fuomo dotato in permanenza d•funa individualita straordinaria,

intellettualmente superiore, puo far senza della maggior parte di quei piaceri a cui

generalmente aspira la gente; anzi questi non sono per lui che un disturbo ed un peso.

Orazio dice parlando di se; V•fe chi possede gemme, marmi, avorj, statuette etrusche,

quadri, argento, vesti tinte di porpora di Getulia; v•fe chi non si cura d•faverne (Ep. II, L. II,

v. 180 e seg.).

E Socrate alla vista d•foggetti di lusso esposti per la vendita diceva: Quante cose vi

sono di cui non ho bisogno!

Cosi la condizione prima e piu essenziale per la felicita della vita e cio che noi siamo,

la personalita; a spiegarlo basterebbe il fatto che essa agisce costantemente ed in ogni

circostanza, che inoltre non e soggetta a peripezie come i beni delle altre due categorie, e

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che non puo esserci tolta. In questo senso il suo valore puo esser considerato come assoluto,

in opposizione al valore solamente relativo degli altri beni. Ne risulta che l•fuomo e molto

meno suscettibile d•fesser modificato dal mondo esterno di quello che non si sarebbe

disposti a crederlo. Solo il tempo, nel suo potere sovrano, esercita egualmente anche qui i

suoi diritti; le facolta fisiche ed intellettuali s•finfiacchiscono sotto i suoi colpi: il carattere

morale solo rimane inattaccabile.

Sotto questo rapporto i beni delle due ultime categorie avrebbero un vantaggio sui

beni della prima, siccome quelli che il tempo non toglie direttamente. Un altro vantaggio

sarebbe che, essendo posti fuori di noi, sono accessibili di loro natura, e che ciascuno ha per

lo meno la possibilita di acquistarseli, mentre cio che e in noi, il soggettivo, e sottratto al

nostro potere; stabilito per diritto divino, esso si conserva invariabile per tutta la vita. Cosi

l•fidea seguente contiene una inesorabile verita:

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•áCome nel giorno che t•fha dato al mondo, il sole era la per salutare i pianeti, tu

sei cresciuto senza interruzione secondo la legge con cui cominciasti. Tale e il tuo

destino; tu non puoi sfuggire a te stesso; cosi parlavano gia le Sibille, cosi i Profeti;

ne tempo, ne potenza alcuna spezza l•fimpronta che si sviluppa nel corso della vita.•â

•áGOETHE.•â

Quanto possiamo fare in questo riguardo si e d•fimpiegare la personalita,

quale ci fu data, al nostro maggior profitto; in conseguenza non coltivare che le

aspirazioni che le si confanno, non cercare che lo sviluppo che le e appropriato

evitandone qualunque altro, non sceglier quindi che lo stato, l•foccupazione, il genere di vita

che le convengono.

Un uomo erculeo, dotato d•funa forza muscolare straordinaria, costretto dalle

circostanze esterne a darsi ad un•foccupazione sedentaria, ad un lavoro manuale, paziente e

penoso, o peggio ancora allo studio ed a lavori di mente, occupazioni che reclamano forze

differenti, non sviluppate in lui, e che lasciano precisamente senza impiego le forze che gli

sono caratteristiche, un tal uomo sara infelice tutta la vita; sara anche molto piu infelice

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colui nel quale le facolta intellettuali prevalgono di molto, e che e obbligato a lasciarle

senza sviluppo e senza impiego per occuparsi di faccende volgari che non domanda,

oppure, e sopratutto, d•fun lavoro corporale per cui la sua forza fisica non e sufficiente.

Tuttavia, nel caso, bisogna anche evitare, specialmente nell•feta giovane, lo scoglio della

presunzione e non attribuirsi un eccesso di forze che non si abbia.

Dalla preponderanza bene stabilita della nostra prima categoria sulle altre due, risulta

ancora che e piu saggio adoprarsi per conservare la salute e per sviluppare le proprie facolta

che non per acquistare ricchezze, cio che non bisogna pero interpretare nel senso che

occorra trascurare l•facquisto delle cose necessarie e convenienti. Ma la ricchezza

propriamente detta, vale a dire un grande superfluo, contribuisce poco alla nostra felicita;

per questo molti ricchi si sentono infelici perche sono sprovveduti di una vera coltura dello

spirito, di cognizioni e quindi di ogni interesse oggettivo che potrebbe renderli atti ad

un•foccupazione intellettuale. Perocche quanto la ricchezza puo fornire al di la della

soddisfazione dei bisogni reali e naturali ha un•finfluenza piccolissima sul nostro vero

benessere; questo e piuttosto turbato dalle numerose ed inevitabili cure che porta con se la

conservazione d•funa grande fortuna. Tuttavia gli uomini sono mille volte piu occupati ad

acquistar la ricchezza che la coltura intellettuale, quantunque cio che si e contribuisca di

certo alla nostra felicita piu di cio che si ha.

Quante persone non vediamo noi diligenti come formiche ed occupate da mattina a

sera ad accrescere una ricchezza gia acquistata! Essi non conoscono nulla al di fuori del

ristretto orizzonte che racchiude i mezzi di riuscire al loro scopo; il loro spirito e vuoto, e

quindi inaccessibile a tutt•faltra occupazione. I piaceri i piu elevati, i diletti intellettuali sono

per costoro impossibili; invano essi cercano di sostituirli con divertimenti fugaci, sensuali,

facili ma costosi, che si permettono di tempo in tempo. Al termine della loro vita essi

trovansi davanti come risultato, quando la sorte fu loro propizia, un gran monte d•foro, di

cui lasciano allora agli eredi la cura di aumentare oppure di dissipare. Una tale esistenza,

benche condotta con apparenza seriissima ed importantissima, e dunque tanto insensata

come un•faltra che inalberasse apertamente per insegna la mazza della follia2.

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Cosi l•fessenziale per la felicita della vita e cio che si ha in se stessi. E unicamente

perche la dose ne e d•fordinario cosi piccola che la maggior parte di coloro che sono gia

sortiti vittoriosi dalla lotta contro il bisogno, si sentono in fondo tanto infelici come chi si

trova ancora nella mischia. La vacuita del loro interno, la scipitezza della loro intelligenza,

la poverta del loro spirito, li spingono a cercare la compagnia, ma una compagnia composta

2 Narrenkolbe (mazza da pazzo) in tedesco, Marotte in francese, in italiano non v•fha parola

corrispondente. (Nota del Trad.).

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di persone a loro simili, perche similis simile gaudet. Allora comincia in comune la caccia

ai passatempi ed ai divertimenti, ch•fessi cercano da principio nei godimenti sensuali, nei

piaceri d•fogni specie, ed alla fine nelle orgie. La sorgente di questa funesta dissipazione, la

quale in un tempo incredibilmente breve fa disperdere grosse eredita a tanti figli di famiglia

entrati ricchi nella vita, non e altra davvero che la noia risultante da questa poverta e da

questo vuoto dello spirito che abbiamo or ora descritto. Un giovane lanciato cosi nel

mondo, ricco al di fuori ma povero al di dentro, si sforza inutilmente di supplire al difetto

della ricchezza interna coll•festerna; ei vuole ricever tutto dal di fuori, simile a quei vecchi

che cercano d•fattinger nuove forze nel fiato delle giovinette. In tal modo la poverta interna

ha finito col produrre anche la poverta esterna.

Non credo occorra metter in rilievo l•fimportanza delle due altre categorie dei beni

della vita umana, perche le ricchezze sono oggidi troppo universalmente in pregio per aver

bisogno d•fesser raccomandate. La terza categoria e di una natura molto eterea a confronto

della seconda, visto che essa non consiste che nell•fopinione altrui. Tuttavia e ammesso che

ciascuno possa aspirare all•fonore, cioe ad un buon nome; ad un grado puo aspirare

unicamente chi serve lo Stato, e in quanto concerne la gloria non ve n•fha che infinitamente

pochi che possano pretendervi. L•fonore e considerato come un bene inapprezzabile, e la

gloria come la cosa piu eccellente che l•fuomo possa acquistare; essa e il toson d•foro degli

eletti; invece solo gli sciocchi preferiranno il grado alle ricchezze. La seconda e la terza

categoria hanno inoltre una sull•faltra cio che si dice un•fazione reciproca; quindi l•fadagio di

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Petronio; •áHabes, haberis•â3 e vero, e, in senso inverso, la buona opinione altrui, sotto tutte

le forme, ci aiuta soventi volte ad acquistar la ricchezza.

_____

3 Altre traduzioni riportano •gHabes, habeberis•h. [Nota per l•fedizione elettronica Manuzio]

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CAPITOLO II

___

Di cio che si e.

Noi abbiamo gia conosciuto in modo generale che cio che si e contribuisce alla nostra

felicita piu di cio che si ha o di cio che si rappresenta. La cosa principale e sempre cio che

un uomo e, in conseguenza cio che possede in lui stesso, perocche la sua individualita

l•faccompagna dappertutto e dovunque, e colora di sua tinta tutti gli avvenimenti della vita.

In ogni cosa, ed in ogni occasione quello che a bella prima gli fa impressione e lui stesso.

Questo e gia vero per i piaceri materiali, e, a piu forte ragione, per quelli dell•fanima. Cosi

l•fespressione inglese: To enjoy one•fs self e molto ben trovata; non si dice mica in inglese:

Parigi gli piace, si dice invece: egli si piace a Parigi (He enjoys himself at Paris).

1. La salute dello spirito e del corpo.

Ma se l•findividualita e di qualita cattiva, tutte le gioie saranno come un vino squisito

in una bocca impregnata di fiele. Cosi dunque, nella buona come nella cattiva fortuna, e

salvo il caso di qualche grande disgrazia, cio che tocca ad un uomo nella sua vita e

d•fimportanza piu piccola che la maniera con cui egli lo sente, vale a dire la natura ed il

grado della sua sensibilita sotto tutti i rapporti. Cio che abbiamo in noi stessi e da noi stessi,

in una parola la personalita ed il suo valore, ecco il solo fattore immediato della nostra

felicita e del nostro benessere. Tutti gli altri agiscono indirettamente; la loro azione quindi

puo essere annullata, ma quella della personalita mai.

Di qui viene che l•finvidia piu irreconciliabile e nello stesso tempo nascosta colla

massima cura e quella che ha per oggetto i vantaggi personali. Inoltre la qualita della

coscienza e la sola cosa permanente e persistente; l•findividualita agisce costantemente,

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continuamente, e piu o meno, in ogni momento; tutte le altre condizioni non hanno che

un•finfluenza temporanea, passaggera, d•foccasione, e possono anche cangiare o sparire.

Aristotele dice: La natura e eterna, non le cose (Mor. a Eudemo, VII, 2). E per questo che

noi sopportiamo con piu rassegnazione la sventura la cui causa e tutta esterna, piuttosto che

quella che ci colpisce per nostra colpa; perche la sorte puo cangiare, ma la nostra propria

qualita e immutabile. Quindi i beni soggettivi, quali un carattere nobile, una testa possente,

un umore gaio, un corpo bene organizzato ed in perfetta salute, o, in generale, mens sana in

corpore sano (Giovenale sat. X, 355), sono beni supremi, ed importantissimi alla nostra

felicita; percio dovremmo attendere molto piu al loro sviluppo ed alla loro conservazione

che non al possesso dei beni esterni e dell•fonore esterno.

Ma cio che sopra tutto contribuisce piu direttamente alla nostra felicita e un umore

allegro, perocche questa buona qualita trova subito la ricompensa in se stessa. Infatti chi e

gaio ha sempre motivo d•fesserlo per la stessa ragione ch•fegli lo e. Niente puo sostituire cosi

13

completamente tutti gli altri beni come questa qualita, mentre essa stessa non puo esser

surrogata da cosa alcuna. Che un uomo sia giovane, bello, ricco e stimato, per poter

giudicare sulla sua felicita sara questione di sapere se, oltre a cio, egli sia gaio; in cambio

s•fegli e gaio, poco importa che sia giovane o vecchio, ben fatto o gobbo, povero o ricco;

egli e felice. Nella mia prima giovinezza ho letto un giorno in un vecchio libro la frase; Chi

ride molto e felice, chi piange molto e infelice; l•fosservazione e molto sciocca, ma a causa

della sua verita cosi semplice non ho potuto dimenticarla, quantunque essa sia il superlativo

d•fun truism (in inglese verita triviale). Cosi dobbiamo, ogni volta che si presenta, aprire

alla gaiezza porte e fenestre, giacche essa non giunge mai di contrattempo, e non esitare a

riceverla, come facciamo di sovente, volendo prima renderci conto se abbiamo bene in ogni

riguardo motivo d•fesser contenti, od anche per paura che essa non ci distragga da serie

meditazioni o da gravi cure quando e molto incerto che queste possano migliorare la nostra

condizione, mentre la gaiezza, e un beneficio immediato. Essa sola e, per cosi dire, il

danaro contante della felicita; tutto il resto non ne e che il biglietto di banca; perocche essa

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sola puo darci la felicita in un presente immediato; cosi e la gaiezza il supremo bene per

esseri la cui realta ha la forma di un•fattualita indivisibile tra due tempi infiniti. Noi

dovremmo dunque aspirare anzitutto ad acquistare ed a conservare questo bene. E certo

d•faltronde che niente contribuisce alla gaiezza meno della ricchezza, e che niente vi

contribuisce meglio della salute: si e nelle classi inferiori, fra i lavoranti e particolarmente

fra i contadini che troviamo i visi allegri e contenti; nei ricchi e nei grandi dominano le

sembianze melanconiche. Dovremmo percio applicarci sopratutto a conservare questo stato

perfetto di salute di cui la gaiezza appare come fioritura. Per ottener questo si sa che

bisogna fuggire ogni eccesso ed ogni disordine, evitare ogni emozione violenta e penosa,

come pure ogni applicazione dello spirito soverchia o troppo prolungata; bisogna ancora

prendere ogni giorno due ore d•fesercizio rapido all•faria libera, bagni frequenti d•facqua

fredda, ed altre misure dietetiche dello stesso genere. Non v•fe salute se non ci si da ogni

giorno abbastanza movimento; tutte le funzioni della vita per compiersi regolarmente

esigono il movimento degli organi per cui si compiono, e dell•finsieme del corpo.

Aristotele ha detto con ragione: la vita e nel movimento. Infatti la vita consiste

essenzialmente nel movimento. All•finterno d•fogni organismo regna un movimento

incessante e rapido: il cuore nel suo doppio movimento di sistole e diastole, batte

impetuoso ed instancabile; 28 pulsazioni gli bastano per mandare la massa intiera del

sangue nel torrente della grande e della piccola circolazione; il polmone aspira senza mai

smettere come una macchina a vapore; gl•fintestini si contraggono senza posa d•fun

movimento peristaltico; tutte le glandule assorbono e danno secrezioni incessantemente; il

cervello stesso ha un doppio movimento per ogni battito del cuore e per ogni aspirazione

del polmone. Se, come succede nel genere di vita interamente sedentario di tante persone, il

movimento esterno manca quasi totalmente, ne risulta una sproporzione innaturale e

dannosa tra il riposo esterno ed il tumulto interno. Perche questo perpetuo moto all•finterno

richiede anche d•fesser aiutato qualche poco dal moto all•festerno; tale stato sproporzionato e

analogo a quello che nascerebbe quando fossimo tenuti a non lasciar scorgere al di fuori

segno visibile di un•femozione che ci fa bollire il sangue internamente. Gli alberi stessi, per

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prosperare, hanno bisogno d•fesser agitati dal vento. E questa una regola assoluta che si puo

esprimere nel modo piu conciso in latino: Omnis motus, quo celerior, eo magis motus

(quanto piu celere, tanto piu ogni movimento e movimento).

Per meglio renderci conto quanto la nostra felicita dipenda da una disposizione

all•fallegria, e questa dallo stato di salute, non abbiamo che a confrontare l•fimpressione che

producono su noi le stesse circostanze esterne o gli stessi avvenimenti, nei giorni di salute e

di forza con quella che e prodotta, quando uno stato di malattia ci dispone ad esser di

cattivo umore ed inquieti. Non e gia cio che sono oggettivamente ed in realta le cose, ma

cio che esse sono per noi, nella nostra percezione, che ci rende felici o infelici. E quanto

14

esprime assai bene questa sentenza d•fEpitteto: Cio che commuove gli uomini non son le

cose, ma l•fopinione sulle cose. In tesi generale i nove decimi della nostra felicita riposano

esclusivamente sulla salute. Con essa tutto doventa sorgente di piacere; senza di essa invece

noi non sapremmo gustare un bene esterno di qual si sia natura; pur anche gli altri beni

soggettivi, come le qualita dell•fintelligenza, del cuore, del carattere, sono diminuite e

guastate dallo stato di malattia. Cosi non e senza ragione che noi prendiamo notizia

scambievolmente sullo stato della nostra salute e che ci desideriamo reciprocamente di star

bene, perche proprio in cio v•fha quanto e piu essenzialmente importante per la felicita

umana. Ne segue adunque che e insigne pazzia sacrificare la propria salute a checchessia,

ricchezza, carriera, studii, gloria e sopra tutto alla volutta, ed ai piaceri fuggittivi. Al

contrario tutto deve cedere il passo alla salute.

Per quanto grande sia l•finfluenza della salute su questa gaiezza cosi essenziale alla

nostra felicita, non di meno questa non dipende unicamente dalla prima, perche con una

salute perfetta si puo avere un temperamento melanconico ed una disposizione

predominante alla tristezza. Ne risiede certamente la causa nella costituzione originaria,

quindi immutabile, dell•forganismo e piu specialmente nel rapporto piu o meno normale

della sensibilita con l•firritabilita e con la riproduttivita. Una preponderanza anormale della

sensibilita produrra l•fineguaglianza d•fumore, una gaiezza periodicamente esagerata ed un

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predominio della melanconia. Siccome il genio e determinato da un eccesso della forza

nervosa, vale a dire della sensibilita, Aristotele ha osservato con ragione che tutti gli uomini

illustri ed eminenti sono melanconici: Tutti gli uomini che sono nati o alla filosofia, o alla

politica, o alla poesia o alle arti si mostrano melanconici (Prob. 30, 1). Cicerone ebbe

senza dubbio in vista questo passaggio nella relazione tanto citata: Aristotele disse tutti gli

uomini d•fingegno esser melanconici (Tusc. I, 33). Shakespeare ha dipinto molto

piacevolmente questa grande diversita del temperamento generale; La natura si diverte

qualche volta a formare esseri curiosi. V•fha chi si da a fare continuamente gli occhietti

piccoli e che si mette a ridere come un pappagallo davanti un semplice suonator di

cornamusa, e v•fha chi tiene una tale fisonomia d•faceto che non scoprirebbe i suoi denti,

pur per sorridere, quand•fanche il grave Nestore giurasse ch•fei ha udito or ora uno scherzo

dei piu ameni. (Il Mercante di Venezia, scena I).

E questa stessa diversita che Platone disegna colle parole ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÍ. (d•fumore

difficile), ed ƒÃƒÒƒÈƒÍƒÉƒÍ. (d•fumore facile). Essa puo esser ridotta alla suscettibilita, molto

diversa nei diversi individui, per le impressioni piacevoli o disaggradevoli, in conseguenza

della quale Tizio ride ancora di cio che mette Cajo in disperazione. E di piu la suscettibilita

per le impressioni piacevoli e d•fordinario tanto piu piccola quanto quella per le impressioni

disaggradevoli e piu forte, e viceversa. A probabilita eguali di buono o cattivo esito in un

affare, il ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÍ. si stizzera o si affliggera dell•finsuccesso, e non si rallegrera per la

riuscita; l•fƒÃƒÒƒÈƒÍƒÉƒÍ. invece non sara ne stizzito ne afflitto per il cattivo esito, e sara contento

per il buon successo. Se, nove volte su dieci, il ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÍ. riesce ne•f suoi progetti, ei non si

rallegrera per le nove volte riescite a bene, ma sara triste per il cattivo esito della decima;

nel caso inverso l•fƒÃƒÒƒÈƒÍƒÉƒÍ. sara consolato e contento per l•funico successo felice. Pero non e

facile trovare un male che non abbia alcun compenso; cosi succede che i ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÍ., cioe i

caratteri cupi ed inquieti, avranno, e vero, a sopportare alla fin fine piu disgrazie e dolori

immaginari che non i caratteri allegri e spensierati, ma in cambio incontreranno meno

sventure effettive, perche chi vede tutto nero, chi teme sempre il peggio e prende le sue

misure in conseguenza, non avra delusioni cosi frequenti come colui che da colore e

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prospettiva ridente ad ogni cosa. Nondimeno quando un•faffezione morbosa del sistema

nervoso o dell•fapparecchio digestivo viene a dar forza ad una ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÇƒ¿ innata, allora

questa puo giungere a quell•falto grado in cui un malessere permanente produce il disgusto

della vita, d•fonde proviene l•finclinazione al suicidio. Il quale puo allora esser provocato

dalle piu piccole contrarieta; ad un grado molto elevato del male non havvi nemmeno

15

bisogno di motivo, per risolvervisi basta la sola permanenza del malessere. Il suicidio si

compie allora con si fredda riflessione e con si inflessibile risoluzione che a questo stadio il

malato, posto d•fordinario sotto custodia, profitta, lo spirito costantemente fisso su questa

idea, del primo momento in cui la sorveglianza sia rilassata per ricorrere senza esitazione,

senza lotta e senza paura, a questo mezzo di sollievo per lui cosi naturale in questo

momento, e cosi ben venuto. Esquirol ha descritto molto a lungo tale stato nel suo Trattato

delle malattie mentali. E certo che l•fuomo il piu sano, e fors•fanco il piu gaio, potra,

capitando il caso, determinarsi al suicidio; cio succedera quando l•fintensita dei dolori o

d•funa sventura prossima ed inevitabile sara piu forte dei terrori della morte. Non v•fe

differenza che nella potenza piu o meno grande del motivo determinante, potenza che e in

rapporto inverso colla ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÇƒ¿. Quanto piu questa e grande, tanto piu il motivo potra esser

piccolo; al contrario piu l•fƒÃƒÒƒÈƒÍƒÉƒÇƒ¿, come pure la salute che ne e la base, e grande, piu grave

dovra essere motivo. Vi saranno dunque gradi innumerevoli tra questi due casi estremi di

suicidio, tra quello cioe provocato puramente da una recrudescenza morbosa della ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÇƒ¿

innata, e quello dell•fuomo sano ed allegro, proveniente da cause affatto oggettive.

2. La bellezza.

La bellezza e analoga in parte alla salute. Questa qualita soggettiva, benche non

contribuisca che indirettamente alla felicita coll•fimpressione che produce sugli altri, ha

nondimeno una grande importanza anche per il sesso mascolino. La bellezza e una lettera

aperta di raccomandazione che ci guadagna i cuori anticipatamente; specie ad essa

s•fapplicano i versi di Omero; Non bisogna sdegnare i doni gloriosi degli immortali che soli

possono dare e che nessuno puo accettare o rifiutare a suo piacere.

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3. Il dolore, e la noia. L•fintelligenza.

Un semplice colpo d•focchio ci fa scoprire due nemici della felicita umana; il dolore e

la noia. Inoltre possiamo osservare che a misura che riusciamo ad allontanarci dall•funo, ci

avviciniamo al secondo, e reciprocamente; di maniera che la nostra vita rappresenta in

realta una oscillazione piu o meno forte tra i due. Cio deriva dal doppio antagonismo in cui

ciascuno di essi si trova verso l•faltro, antagonismo esterno od oggettivo, ed antagonismo

interno o soggettivo. Infatti esteriormente il bisogno e la privazione generano il dolore; per

contraccambio, gli agi e l•fabbondanza fanno nascere la noia. Si e per questo che vediamo la

classe inferiore del popolo lottare incessantemente contro il bisogno, dunque contro il

dolore, ed al contrario, la classe ricca ed altolocata alle prese permanentemente, spesso

disperatamente, contro la noia.

Internamente, o soggettivamente, l•fantagonismo si fonda sul fatto che in ogni

individuo la facilita ad esser impressionato da uno di questi mali e in rapporto inverso colla

facilita ad esser impressionato dall•faltro; perocche tale suscettibilita e determinata dalla

misura delle forze intellettuali. Infatti una mente ottusa e sempre accompagnata da

impressioni grossolane e da una certa mancanza d•firritabilita, cio che rende l•findividuo

poco accessibile ai dolori ed ai dispiaceri d•fogni specie e d•fogni grado; ma questa stessa

qualita ottusa dell•fintelligenza produce d•faltronde quel vuoto interno che e stampato su

tanti visi e che si lascia scorgere per un•fattenzione sempre svegliata su tutti gli avvenimenti,

anche piu insignificanti, del mondo esterno; questo vuoto e appunto la vera sorgente della

noia, e chi ne soffre aspira con avidita ad eccitamenti esterni, allo scopo di mettere in

movimento lo spirito ed il cuore non importa con qual mezzo. Cosi egli non e difficile nella

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scelta dei mezzi; lo si vede abbastanza alla miserabile meschinita di svaghi a cui si

abbandonano gli uomini, al genere di societa e di conversazioni che cercano, non meno che

al numero immenso di fannulloni e di balordi che vanno pel mondo. E principalmente

questo vuoto interno che li spinge alla ricerca d•fogni specie di riunioni, di divertimenti, di

piaceri e di lusso, ricerca che conduce tanta gente alla dissipazione e finalmente alla

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miseria.

Nessuna cosa mette in guardia contro tali traviamenti piu sicuramente della ricchezza

interna, la ricchezza dello spirito, perche questo lascia tanto meno posto alla noia quanto

piu avvicina alla superiorita. L•fattivita incessante dei pensieri, il loro continuo avvicendarsi

in presenza delle diverse manifestazioni del mondo interno ed esterno, la potenza e la

capacita di combinazioni sempre variate mettono una testa eminente, salvo nei momenti di

fatica, fuori affatto dall•fattacco della noia. Ma d•faltronde un•fintelligenza superiore ha per

condizione immediata una sensibilita piu viva, e per radice un piu grande impeto della

volonta e per conseguenza della passione; dall•funione di queste due condizioni deriva una

intensita piu considerevole di ogni emozione ed una sensibilita esagerata per i dolori morali

ed eziandio pei fisici, come pure una grande intolleranza di faccia al minimo ostacolo, od

anche al minimo sconcerto.

Cio che contribuisce altresi potentemente a questi effetti si e la vivacita prodotta dalla

forza dell•fimmaginazione. Quanto dicemmo si applica, mantenuta ogni proporzione, a tutti

i gradi intermediari che dividono il vasto intervallo compreso tra l•fimbecillita la piu ottusa

ed il piu gran genio. In conseguenza, oggettivamente come pure soggettivamente, ogni

individuo si trova tanto piu vicino ad una delle sorgenti delle umane sventure quanto piu e

lontano dall•faltra. La sua inclinazione naturale lo portera dunque, sotto questo rapporto, ad

accomodare quanto meglio possibile l•foggettivo col soggettivo, vale a dire a premunirsi

come meglio potra contro quella sorgente di dolori che lo attacca piu facilmente. L•fuomo

intelligente aspirera prima d•fogni altra cosa a fuggire qualunque dolore, qualunque contesa,

ed a trovare riposo ed agi; cerchera dunque una vita tranquilla, modesta, riparata per quanto

e possibile contro gl•fimportuni; dopo aver mantenuto per qualche tempo relazioni con cio

che si chiama gli uomini, ei preferira una esistenza ritirata, e, se sara uno spirito

assolutamente superiore, scegliera la solitudine. Perocche piu un uomo possiede in se

stesso, meno ha bisogno del mondo esterno, e meno gli altri possono essergli utili. Cosi la

superiorita dell•fintelligenza conduce all•finsociabilita. Ah! se la qualita della societa potesse

esser surrogata dalla quantita, varrebbe la pena di vivere pur anche nel gran mondo; ma, pur

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troppo, cento pazzi messi in mucchio non fanno un uomo ragionevole. L•findividuo

collocato all•festremo opposto, non appena il bisogno gli da tempo di riprendere fiato,

cerchera ad ogni prezzo passatempi e societa; e s•faccomodera con tutto, non fuggendo che

se stesso. Si e nella solitudine, la dove ciascuno e ridotto alle sue sole risorse, che si scorge

quanto si ha per se stessi; la l•fimbecille, sotto la porpora, sospira schiacciato dal peso della

sua miserabile individualita, mentre l•fuomo altamente dotato, popola ed anima co•f suoi

pensieri la contrada la piu deserta. Seneca (Ep. 9) disse con ragione: La stupidita da fastidio

a se stessa, come pure Gesu figlio di Sirach; La vita dello stolto e peggior della morte. Cosi

in conclusione si vede che ogni individuo e tanto piu socievole quanto e piu povero di

spirito ed in generale piu volgare. Perocche nel mondo non si ha guari la scelta che tra

l•fisolamento e la societa. Si pretende che i negri sieno di tutti gli uomini i piu socievoli,

come sono senza dubbio i piu limitati nelle facolta intellettuali; rapporti mandati

dall•fAmerica del Nord, e pubblicati da giornali francesi (Le Commerce, 19 oct. 1837)

raccontano che i negri, senza distinzione fra liberi e schiavi, si uniscono in gran numero nel

locale piu ristretto, perche non saprebbero vedere mai abbastanza spesso ripetute le loro

faccie nere e camuse.

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Nello stesso modo che il cervello ci sembra esser in certo qual modo il parassita od il

dozzinante dell•fintero organismo, cosi gli agi4 acquistati da chicchessia, dandogli il libero

godimento della sua coscienza e della sua individualita, sono a questo titolo il frutto e la

rendita di tutta la sua esistenza, la quale, per il resto, non e che pena e fatica. Ma vediamo

un po•f cosa producono gli agi della maggior parte degli umani!: noia e sgarbatezza, ogni

qual volta l•fuomo non trova da occuparsi in piaceri sensuali od in balordaggini. Cio che

dimostra abbastanza che tali agi non hanno alcun valore si e il modo con cui sono

impiegati; essi non sono letteralmente che

Ozio lungo d•fuomini ignoranti

di cui parla l•fAriosto. L•fuomo volgare non si preoccupa che di passare il tempo, l•fuomo di

talento che d•fimpiegarlo. La ragione per cui le teste povere sono tanto esposte alla noia, si e

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che il loro intelletto non e assolutamente altra cosa che l•fintermediario dei motivi per la loro

volonta. Se, in un dato momento, non vi sono motivi da cogliere, allora la volonta si riposa

e l•fintelletto resta inerte, perche la prima, non meglio del secondo, non puo entrare in

attivita di suo proprio impulso; il risultato e uno spaventevole stagnamento di tutte le forze

nell•findividuo intero . la noia. Per combatterla si suggerisce piano piano alla volonta dei

motivi piccoli, provvisori, scelti indistintamente, allo scopo di stimolarla, e di metter con

cio in attivita anche l•fintelletto che deve coglierli: questi motivi sono dunque in rapporto ai

motivi reali e naturali cio che la carta-moneta e in rapporto al danaro, perche il loro valore

non e che convenzionale. Tali motivi sono i giuochi di carte ed altri, inventati precisamente

allo scopo che abbiamo indicato. In loro mancanza l•fuomo povero di se si mettera a

stamburare sui vetri, od a dar colpi con tutto quanto gli cade sotto mano. Anche il sigaro

porge facilmente di che supplire ai pensieri.

Si e per questo che in tutti i paesi i giuochi di carte sono arrivati ad essere

l•foccupazione principale d•fogni societa; cosa che fornisce la misura di cio che valgono

queste riunioni e che costituisce la bancarotta dichiarata d•fogni pensiero. Non avendo idee

da scambiare, si scambiano carte cercando di sottrarsi vicendevolmente alquanti fiorini. O

razza miserabile! Tuttavia, per non esser ingiusto nemmeno qui, non voglio ommettere

l•fargomento che si puo invocare in giustificazione del giuoco delle carte: si puo dire che

esso e una preparazione alla vita del mondo e degli affari, nel senso che vi si impara a

profittare con saggezza da circostanze immutabili, essendo stabilite le carte dalla sorte, per

trarne tutto il partito possibile; a tal fine si apprende a serbare un contegno corretto facendo

buon viso a cattivo giuoco. Ma, d•faltra parte, per questo stesso fatto, i giuochi di carte

esercitano un•finfluenza demoralizzatrice. In fatti lo spirito del giuoco consiste nel sottrarre

ad altri cio che possiede, non importa con quale gherminella o con quale astuzia. Ma

l•fabitudine di procedere cosi, contratta al giuoco, prende radici, fa invasione nella vita

privata, e il giocatore arriva quindi insensibilmente a proceder nella stessa guisa quando si

tratta del tuo e del mio, ed a considerare come lecito ogni vantaggio che si ha in mano al

momento, poiche lo si puo fare legalmente. La vita ordinaria ne fornisce prove ogni giorno.

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Giacche gli agi sono, come dicemmo, il fiore o piuttosto il frutto dell•fesistenza di

ciascuno, perciocche solamente essi lo mettono al possesso del suo proprio io, noi

dobbiamo stimare felici coloro che, guadagnando se stessi, guadagnano cosa che ha prezzo,

mentre gli agi non apportano alla maggior parte degli uomini che uno scioccone di cui non

sanno che fare, uno scioccone che s•fannoia a morte, e che e di peso a se stesso.

Congratuliamoci dunque o fratelli d•fesser figli non di schiave, ma di madri libere (Paolo,

Ep. ai Galati, 4, 31).

4 Prendo qui ed in altri punti la parola agi nel senso di ozi, vale a dire per l•fopportunita di poter disporre

come meglio aggrada del proprio tempo. In francese avremmo loisirs, parola che esprime magnificamente il

concetto. (Nota del Trad.).

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Inoltre come e piu felice quel paese che ha meno bisogno o non ha affatto bisogno

d•fimportazione, cosi e felice l•fuomo a cui basta la ricchezza interna, e che pei suoi

divertimenti non domanda che poco, od anche nulla, al mondo esterno, attesoche una tale

importazione e costosa, obbligante, pericolosa; essa espone a disgusti, e, in conclusione, e

sempre un cattivo succedaneo alle produzioni del proprio suolo. Perocche non dobbiamo, a

nessun titolo, aspettarci gran cosa dagli altri, e in generale dal di fuori. Cio che un individuo

puo essere per un altro e molto strettamente limitato; ciascuno finisce col restar solo, e chi e

solo? diventa allora la grande questione. Goethe ha detto in proposito, parlando in modo

generale, che in ogni cosa ciascuno, in conclusione, e ridotto a se stesso (Poesia e verita,

vol. III). Oliviero Goldsmith dice egualmente: Intanto da per tutto, ridotti a noi stessi,

siamo noi che facciamo o troviamo la nostra propria felicita (Il Viaggiatore, v. 431 e seg.).

Ognuno deve adunque essere e fornire a se stesso cio che v•fha di migliore e di piu

importante. Quanto piu succedera cosi, tanto piu per conseguenza l•findividuo trovera in se

stesso le sorgenti dei suoi piaceri, e tanto piu sara felice. Si e quindi con ragione che

Aristotele ha detto: La felicita appartiene a chi basta a se stesso (Mor. ad Eudemo, VII, 2).

Infatti tutte le sorgenti esterne della felicita e del piacere sono di lor natura eminentemente

incerte, equivoche, fuggevoli, aleatorie, quindi soggette ad arrestarsi facilmente pur anche

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nelle circostanze piu favorevoli, e questo e pure inevitabile, attesocche noi non possiamo

averle sempre alla mano. Anzi, con l•feta, quasi tutte fatalmente si esauriscono; perche

allora amore, voglia di divertirsi, passione pei viaggi e per cavalcare, attitudine a far figura

nel mondo, tutto questo ci abbandona; la morte ci toglie perfino amici e parenti. A questo

momento, piu che mai, e importante sapere cio che si ha da se stessi. Non v•fha che questo,

infatti, che resistera piu lungamente. Intanto in ogni eta, senza differenza, cio e e resta la

sorgente vera, e sola permanente della felicita. Perocche non vi e molto da guadagnare a

questo mondo: la miseria ed il dolore lo empiono, e per quelli che hanno sfuggiti questi

mali, la noia e la che li insidia da ogni banda. Inoltre d•fordinario e la perversita che regna, e

la stoltezza che parla piu forte. Il destino e crudele, e gli uomini sono miserabili. In un

mondo siffatto colui che ha molto in se stesso e simile ad una camera dell•falbero di Natale,

illuminata, calda, gaia, in mezzo alle nevi ed ai ghiacci d•funa notte di dicembre. Per

conseguenza, aver un•findividualita ricca e superiore, e sopratutto molta intelligenza

costituisce senza dubbio la sorte piu felice sulla terra, per quanto cio possa esser differente

dalla sorte la piu brillante. Sicche quanta saggezza nell•fopinione emessa su Descartes dalla

regina Cristina di Svezia in eta di appena diciannov•fanni: Il signor Descartes e il piu felice

di tutti i mortali, e la sua condizione mi sembra degna d•finvidia (Vie de Descartes par

Baillet, l. VII, c. 10). Descartes a quell•fepoca viveva da vent•fanni in Olanda nella piu

profonda solitudine, e la regina lo conosceva solamente per quanto le era stato raccontato e

per aver letto una delle sue opere. Bisogna solo, e ne era precisamente il caso in Descartes,

che le circostanze esterne sieno abbastanza favorevoli per permettere di possedersi, e

d•fesser contenti di se stessi; per questo l•fEcclesiaste diceva gia: La saggezza e buona con

un patrimonio e ci aiuta a rallegrarci alla vista del sole (7, 12).

L•fuomo cui, per un favore della natura o della fortuna, questa sorte e stata accordata,

stara attento con cura gelosa perche questa sorgente interna di felicita gli resti sempre

accessibile; per cio occorrono indipendenza ed agi.

Li acquistera dunque ben volentieri colla moderazione e col risparmio, e tanto piu

facilmente perche egli non e ridotto, come gli altri uomini, alle sole sorgenti esterne dei

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piaceri. Ed e per questo che la prospettiva delle cariche, dell•foro, dei favori regali, e

l•fapprovazione del mondo non lo indurranno a rinunziare a se stesso per adattarsi alle

vedute meschine od al cattivo gusto degli uomini. Al caso, ei fara come Orazio nella

epistola a Mecenate (L. 1, ep. 7). E una gran pazzia perdere all•finterno per guadagnare

all•festerno, in altri termini abbandonare, in tutto o in parte, il proprio riposo, gli agi e

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l•findipendenza per il fasto, il grado, le pompe, i titoli, gli onori. Goethe pero l•fha fatto. In

quanto a me, il mio genio mi ha tratto energicamente nella via opposta.

La verita, qui esaminata, che la sorgente principale della felicita vien dall•finterno, si

trova confermata da una giusta osservazione di Aristotele nella Morale a Nicomaco (I, 7; e

VII, 13, 14); egli dice che ogni piacere suppone un•fattivita, quindi l•fimpiego di una forza, e

che non puo esistere senza di questa. Tale dottrina aristotelica di far consistere la felicita

dell•fuomo nel libero esercizio delle sue facolta saglienti e riprodotta egualmente da Stobeo

nell•fEsposizione della morale peripatetica (Eclogoe ethicoe, II, c. 7); eccone un passo: La

felicita consiste nell•fesercitare le proprie facolta (ƒ¿ƒÏƒÃƒÑƒÅƒË) in lavori capaci di risultato; egli

spiega pure che ƒ¿ƒÏƒÃƒÑƒÅ indica ogni facolta non comune. Ora la destinazione primitiva delle

forze di cui la natura ha dotato l•fuomo, e la lotta contro la necessita che l•fopprime da per

tutto. Quando la lotta lascia un momento di tregua, le forze senza impiego divengono un

peso per lui; ei deve allora giuocare con esse, cioe impiegarle senza uno scopo, altrimenti si

espone all•faltra sorgente dell•fumana infelicita, alla noia. Sicche e la noia che tortura i

grandi ed i ricchi piu che gli altri, e Lucrezio ha fatto della loro miseria un quadro, di cui si

ha ogni giorno nelle grandi citta l•foccasione di riconoscere la meravigliosa verita: Questi

sorte spesso dal ricco palazzo, ove si annoia, ma vi fa ritorno un momento dopo non

trovandosi piu felice altrove; un altro corre a briglia sciolta in villa, quasicche dovesse

portare aiuto a spegnerne l•fincendio; appena toccata la soglia e colpito dalla noia, e si

abbandona gravemente al sonno e cerca di dimenticar se stesso, oppure d•fimprovviso

desidera di nuovo la citta e vi ritorna (L. III, v. 1073 e seg.).

Presso questi signori, finche sono giovani, devono far le spese le forze muscolari e

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genitali. Ma piu tardi non restano piu che le forze intellettuali; in loro mancanza, od in

difetto di sviluppo o di materiali per servire alla loro attivita, la miseria e grande. La

volonta essendo la sola forza inesauribile, si cerca allora di stimolarla coll•feccitare le

passioni; si ricorre, per esempio, ai giuochi d•fazzardo in grande, a questo vizio in vero

degradante. Del resto ogni individuo sfaccendato scegliera, secondo la natura delle forze in

lui predominanti, un divertimento che le impieghi, come il giuoco delle palle o degli

scacchi, la caccia o la pittura, le corse di cavalli o la musica, i giuochi di carte o la poesia,

l•faraldica o la filosofia, ecc.

Possiamo anche trattare questa materia con metodo, riportandoci alla radice delle tre

forze fisiologiche fondamentali: abbiamo dunque da studiarle qui nel loro esercitarsi senza

scopo; esse ci si presentano allora come sorgenti di tre specie di piaceri possibili, fra le

quali ciascuno scegliera quelle che gli sono proporzionate secondo che l•funa o l•faltra di

queste forze predominano in lui.

Cosi troviamo anzi tutto le gioie della forza riproduttiva: esse consistono nel

mangiare, nel bere, nella digestione, nel riposo e nel sonno. Vi sono intere popolazioni a cui

si attribuisce di fare gloriosamente di tali gioie uno spasso nazionale. In secondo luogo i

piaceri dell•firritabilita; essi sono i viaggi, la lotta, il salto, la danza, la scherma, il cavalcare

ed i giuochi atletici d•fogni specie, come pure la caccia, e veramente anche i combattimenti

e la guerra. In terzo luogo i piaceri della sensibilita, quali contemplare, pensare, sentire,

creare nella poesia o nell•farte plastica, far musica, studiare, leggere, meditare, inventare,

filosofare, ecc. Vi sarebbero da fare molte osservazioni sul valore, sull•faltezza e sulla

durata di queste differenti specie di piaceri; noi ne lasciamo la cura al lettore. Ma ciascuno

comprendera che il piacere nostro, motivato costantemente dall•fimpiego delle nostre

proprie forze, come pure la nostra felicita, risultato del frequente rinnovarsi di questo

piacere, saranno tanto piu grandi quanto piu la forza produttrice sara di nobile specie.

Nessuno potra inoltre negare che il primo posto, sotto questo rapporto, tocchi alla

sensibilita il cui predominio deciso stabilisce la distinzione tra l•fuomo e le altre specie

animali; le due altre forze fisiologiche fondamentali, che esistono presso l•fanimale nello

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stesso grado, od in un grado anche piu alto che presso l•fuomo, non vengono che in seconda

20

linea. Alla sensibilita appartengono le nostre forze intellettuali; ed e per cio che il suo

predominio ci rende atti a gustare i piaceri che hanno sede nell•fintelletto, i piaceri dello

spirito; piaceri che sono tanto piu grandi quanto il predominio della sensibilita e piu

accentuato5. L•fuomo normale, l•fuomo ordinario non puo prendere vivo interesse ad una

cosa se questa non eccita la sua volonta, se non gli presenta un interesse personale. Ora

ogni eccitamento persistente della volonta e, per lo meno, di natura mista, quindi combinato

col dolore. I giuochi di carte, occupazione abituale della buona societa di ogni paese6, sono

un mezzo per eccitare intenzionalmente la volonta, e cio mediante interessi tanto minimi

che non possono che occasionare dolori momentanei e leggeri, non gia dolori permanenti e

seri: cosicche si puo considerarli come un semplice solletico della volonta. L•fuomo dotato

di forze intellettuali predominanti, invece e capace d•finteressarsi vivamente alle cose per

via dell•fintelligenza pura, senza immistione alcuna del volere; ne prova anzi il bisogno.

Tale interesse lo trasporta allora in una regione in cui il dolore e essenzialmente straniero,

nell•fatmosfera per cosi dire, degli dei dalla vita facile, ƒ¦ƒÃ.ƒË ƒÏƒÃ.ƒ¿ ƒÄƒÖ.ƒËƒÑƒÖƒË. Mentre

l•fesistenza del resto degli uomini passa cosi nel torpore, e che i sogni e le aspirazioni di essi

sono dirette verso i meschini interessi del benessere personale colle loro miserie d•fogni

sorte; mentre una noia insopportabile li coglie appena non sono piu occupati a coltivare tali

progetti, e che restano ridotti a se stessi; mentre l•fardore selvaggio della passione puo solo

scuotere questa massa inerte, l•fuomo dotato di facolta intellettuali preponderanti possiede

un•fesistenza ricca di pensieri, sempre animata, e sempre importante; oggetti degni ed

5 La natura va elevandosi costantemente dall•fazione meccanica e chimica del regno inorganico fino al

regno vegetale nella sua tacita soddisfazione di se stessa; di qui al regno animale con cui si mostra l•faurora

dell•fintelligenza e della coscienza; poi, partendo da questi deboli principi, sale di grado in grado sempre

piu

alto per arrivare finalmente con un ultimo e supremo sforzo all•fuomo, nel cui intelletto raggiunge il punto

culminante e lo scopo delle sue creazioni, dando cosi quanto essa puo produrre di piu perfetto e di piu

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difficile. Tuttavia pur nella specie umana, l•fintelletto presenta ancora delle graduazioni numerose e

sensibili, e

molto di raro arriva fino al grado piu elevato, sino all•fintelligenza effettivamente superiore. Questa

dunque,

nel senso piu ristretto e piu rigoroso, e il prodotto piu difficile, il prodotto supremo della natura; e quindi

essa

e cio che il mondo puo offrire di piu raro e di piu prezioso, si e in una tale intelligenza che appare la

conoscenza piu lucida e che il mondo si riflette quindi piu chiaramente e piu completamente che altrove.

Sicche l•fessere che ne e dotato possede cio che v•fha di piu nobile e di piu squisito sulla terra, una

sorgente di

piacere al cui confronto tutte le altre sono meschinissime, talmente che egli non avra a chiedere al mondo

esterno se non agi per godere del suo bene senza molestie, e per finire la sfaccettatura del suo diamante.

Perocche tutti gli altri piaceri, non intellettuali, sono di natura volgare; essi tutti hanno in vista movimenti

della volonta, quali desideri, speranze, timori, aspirazioni realizzate, qualunque ne sia la natura; tutto

questo

non puo compiersi senza dolori, ed inoltre, una volta raggiunto lo scopo, s•fincontrano d•fordinario

disinganni

in maggior o minor numero secondo il caso; mentre nelle gioje intellettuali la verita si presenta sempre piu

chiara. Nel dominio dell•fintelligenza non regna alcun dolore! tutto e cognizione. Ma i piaceri intellettuali

non

sono accessibili all•fuomo che per la via e nella misura dell•fintelligenza. Perche •átutto lo spirito che v•fha

al

mondo e inutile a chi non ne possede.•â Tuttavia uno svantaggio non manca mai d•faccompagnare questo

privilegio ed e che in tutta la natura, la facilita ad esser impressionato dal dolore aumenta nel tempo stesso

che

si alza il grado dell•fintelligenza, e che in conseguenza essa arrivera al suo massimo nell•fintelligenza piu

elevata. (Nota di Schopenhauer).

6 La volgarita consiste in sostanza nel fatto che il volere la vince totalmente, nella coscienza,

sull•fintelletto, per cui le cose arrivano ad un tal punto che l•fintelletto non appare piu che per il servizio

della

volonta: quando questo servizio non reclama intelligenza, quando non esistono motivi ne piccoli, ne grandi,

l•fintelletto cessa completamente, e sopraggiunge una vacuita assoluta di pensieri. Ora il volere sprovvisto

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d•fintelletto e cio che v•fha di piu basso; ogni tronco lo possede e lo manifesta, non foss•faltro quando

cade. Si e

dunque un tale stato che costituisce la volgarita. In essa gli organi dei sensi ed una minima attivita

intellettuale, necessari a fermare i loro dati, rimangono soli in azione; ne risulta che l•fuomo volgare resta

sempre aperto a tutte le impressioni, e percepisce istantaneamente tutto quanto succede intorno a lui, al

punto

che il suono piu leggero per esempio, o qualunque circostanza per quanto insignificante, sveglia tosto la sua

attenzione, proprio come succede negli animali. Tutto cio apparisce dal suo viso e dal suo esteriore, ed e da

cio che proviene l•fapparenza volgare, apparenza la cui impressione e tanto piu ributtante in quanto che,

come

succede molto spesso, la volonta, la quale allora occupa tutta la coscienza, e bassa, egoista e cattiva. (Nota

di

Schopenhauer).

21

interessanti lo occupano non appena ha l•fagio di darsi a loro, ed ei porta con se una

sorgente di gioie le piu nobili. L•fimpulso esterno gli e fornito dalle opere della natura e

dall•faspetto dell•fattivita umana, ed inoltre dalle produzioni cosi svariate delle menti piu

elevate di tutti i tempi e paesi, produzioni che egli solo puo realmente gustare per intero,

perche egli solo e capace di comprenderli e di sentirli interamente. Si e dunque per lui, in

realta, che costoro hanno vissuto; si e dunque a lui, in fatto, che essi hanno indirizzato le

loro parole, mentre gli altri, come uditori d•foccasione, non comprendono che qualche poco

qua e la, e solamente a mezzo, E certo che appunto per questo l•fuomo superiore acquista un

bisogno di piu che gli altri uomini, il bisogno d•fimparare, di vedere, di studiare, di

meditare, di applicarsi; il bisogno quindi di aver tempo disponibile. Ora, come Voltaire ha

giustamente osservato, non essendovi veri piaceri se non in seguito a veri bisogni, questo

bisogno dell•fuomo intelligente e precisamente la condizione che mette alla sua portata

piaceri il cui accesso resta interdetto per sempre agli altri; per costoro le bellezze della

natura e dell•farte, le opere dell•fintelletto d•fogni specie, anche quando se ne circondano, non

sono in fondo se non cio che le cortigiane sono per un vecchio. Un ente cosi privilegiato, a

lato della sua vita personale, vive d•funa seconda esistenza, d•funa esistenza intellettuale che

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arriva grado a grado ad essere il suo vero scopo, l•faltra non essendo piu considerata che

come mezzo; per il resto degli uomini si e la loro stessa esistenza, insipida, vuota e desolata

che deve loro servire di scopo. La vita intellettuale sara l•foccupazione principale dell•fuomo

superiore; aumentando senza mai cessare il suo tesoro di senno e di scienza, essa cosi

acquista costantemente una connessione ed una gradazione, una unita ed una perfezione

sempre piu spiccate, come un•fopera d•farte in via di formazione. In cambio che penoso

contrasto fa con questa la vita degli altri, puramente pratica, diretta solo al benessere

personale, vita che non ha aumento possibile se non in lunghezza senza poter guadagnare in

profondita, e destinata nondimeno a servir loro di scopo per se stessa, mentre per l•faltro

essa e un semplice mezzo!

La nostra vita pratica, reale, dal momento che le passioni non la tengono in

agitazione, e noiosa e scipita; quando esse la turbano diventa ben presto dolorosa; si e per

questo che sono felici solamente coloro cui e toccato in sorte una somma d•fintelletto

eccedente quella misura che il servizio della loro volonta reclama. Cosi a lato della vita

effettiva essi possono vivere d•funa vita intellettuale che li occupa e li ricrea senza dolore, e

tuttavia con vivacita. Il semplice agio, vale a dire un intelletto non occupato al servizio

della volonta, non basta, abbisogna per cio un eccedente positivo di forza che solo ci rende

atti ad un•foccupazione puramente spirituale e non legata al servizio della volonta. Per lo

contrario l•fozio senza lo studio e morte e sepolcro dell•fuomo vivo (Seneca, Ep. 82). Nella

misura di questo eccedente, la vita intellettuale esistente a lato della vita reale presentera

gradazioni innumerevoli, dai lavori del raccoglitore che descrive insetti, uccelli, minerali,

monete, ecc., fino alle piu alte produzioni della poesia e della filosofia.

Una tal vita intellettuale protegge non soltanto contro la noia, ma anche contro le sue

perniciose conseguenze. Essa infatti ripara dalla cattiva compagnia e dai molti pericoli,

disgrazie, perdite, e dissipazioni a cui si espone chi cerca interamente la sua felicita nella

vita reale. Volendo parlare di me, per esempio, diro che la mia filosofia non m•fha fruttato,

ma mi ha risparmiato molto.

L•fuomo normale invece o limitato, nei piaceri della vita, alle cose esterne, quali le

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ricchezze, il grado, la famiglia, gli amici, la societa, ecc.; su esse egli stabilisce la felicita

della sua vita, cosicche tale felicita crolla, quando le perde, o quando incontra qualche

disinganno. Per disegnare questo stato dell•findividuo possiamo dire che il suo centro di

gravita cade fuori di lui. Si e per cio che le sue voglie ed i suoi capricci sono sempre

variabili: quando i suoi mezzi glielo permettono ei comprera talora una villa, talora dei

cavalli, oppure dara feste, poi intraprendera dei viaggi, ma sopra tutto condurra una vita

fastosa, e tutto cio precisamente perche cerca, non importa dove, una soddisfazione che

22

venga dal di fuori; cosi un uomo consumato spera trovare nel brodetto e nelle droghe di

farmacia la salute ed il vigore la cui vera fonte e la forza vitale propria. Per non passare

immediatamente all•festremo opposto, prendiamo ora un uomo dotato di una potenza

intellettuale che senza esser eminente, oltrepassi tuttavia la misura ordinaria e strettamente

sufficente. Vedremo quest•fuomo, quando le sorgenti esterne dei piaceri venissero a

mancare o piu non lo soddisfacessero, coltivare da dilettante qualche ramo delle belle arti,

oppure qualche scienza, come la botanica, la mineralogia, la fisica, l•fastronomia, la storia,

ecc., e trovarvi un gran fondo di piacere e di ricreazione. A questo titolo possiamo dire che

il suo centro di gravita cade gia in parte dentro di lui. Ma il semplice dilettantismo

nell•farte e ancora ben lontano dalla facolta creatrice; d•faltra parte le scienze non

oltrepassano i rapporti dei fenomeni tra loro, esse non possono assorbire l•fuomo tutto

intero, colmare tutto il suo essere, ne per conseguenza intrecciarsi cosi strettamente nel

tessuto della sua esistenza da renderlo incapace di prender interesse a tutto il resto. Cio

resta riservato esclusivamente alla suprema altezza intellettuale, a quell•faltezza che si

chiama comunemente genio; essa sola puo prender per tema, interamente ed assolutamente,

l•fesistenza e l•fessenza delle cose; dopo di che tende, secondo la sua direzione individuale,

ad esprimere i suoi profondi concetti coll•farte, colla poesia o colla filosofia.

Non e che per un uomo di tal tempra che l•foccupazione permanente con se stesso, coi

suoi pensieri e colle sue opere riesce un bisogno irresistibile; per lui la solitudine e la ben

venuta, gli agi sono il bene supremo; in quanto al resto egli puo farne senza, e quando lo

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possede esso gli doventa ben di frequente un peso. Di quest•fuomo possiamo dire che il suo

centro di gravita cade tutto intero dentro di lui. Questo ci spiega nello stesso tempo come

succede che tali uomini d•funa specie cosi rara non portano ai loro amici, alla loro famiglia,

al bene pubblico, l•finteresse intimo ed illimitato di cui molti fra gli altri sono capaci,

perocche alla fin fine essi possono farne a meno possedendo se stessi. Esiste adunque di piu

in essi un elemento isolante, la cui azione e tanto piu energica in quanto che gli altri uomini

non possono soddisfarli pienamente; cosi essi non saprebbero vedere affatto negli altri degli

eguali, ed anzi, sentendo continuamente la dissomiglianza della loro natura in tutto e da per

tutto, si abituano adagio adagio ad essere fra gli umani come individui di una specie

differente, ed a servirsi, quando le loro riflessioni si portano su di essi, della terza persona

plurale in luogo della prima.

Considerato sotto un tal punto di vista l•fuomo il piu felice sara dunque colui che la

natura ha riccamente dotato dal lato intellettuale, tanto cio che e in noi ha piu importanza di

cio che e al di fuori; questo, vale a dire l•foggettivo, in qualunque modo agisca, non agisce

mai se non per l•fintermediario dell•faltro, vale a dire del soggettivo; l•fazione dell•foggettivo

e quindi secondaria. E quanto espresse in bei versi Luciano: La ricchezza dell•fanima e la

sola vera ricchezza; tutti gli altri beni sono fecondi di dolori (Ant. I, 67).

Un uomo ricco siffattamente all•finterno non domanda al mondo esteriore che un dono

negativo, cioe gli agi per poter perfezionare e sviluppare le facolta del suo spirito, e per

poter godere delle sue ricchezze interne; ei reclama dunque unicamente la liberta di potere,

per tutta la sua vita esser se stesso ogni giorno, ed ogni ora. Per l•fuomo destinato ad

imprimere la traccia del suo spirito sull•fumanita intera, non esistono che una sola felicita ed

una sola infelicita, e sono di poter perfezionare il suo ingegno e completar le sue opere,

oppure esserne impedito. Tutto il resto per lui non ha importanza. Ed e per questo che

vediamo le grandi menti d•fogni epoca attribuire il prezzo piu alto agli agi, perocche tanto

vale l•fuomo, tanto valgono i suoi agi. Credo invero che la felicita stia negli agi (ozii), dice

Aristotele (Mor. a Nic. X, 7). Anche Diogene Laerzio riporta che Socrate vantava gli agi

come la piu bella ricchezza (II, 5, 31). Si e sempre cio che intende Aristotele (Mor. a Nic.

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X, 7, 8, 9), quando dichiara che la piu bella vita e quella del filosofo. Egli dice egualmente

nella Politica (IV, 11): Esercitare liberamente il proprio genio, ecco la vera felicita. E

23

Goethe nel Wilhelm Meister; Chi e nato con un genio, per un genio, trova in esso la sua

piu bella esistenza.

Ma posseder agi non e solo fuori della sorte ordinaria, ma anche fuori della natura

ordinaria dell•fuomo, perocche sua destinazione naturale si e d•fimpiegare il suo tempo ad

acquistare il necessario per la esistenza sua e per quella della famiglia. Egli e figlio della

miseria, non un•fintelligenza libera. Cosi gli ozi riescono ben presto ad essere di peso, poi si

fanno tortura per l•fuomo ordinario dal momento che egli non puo occuparli con mezzi

artificiali e fittizi d•fogni specie, coi giuochi, con passatempi, e con bagattelle d•fogni forma.

Anzi per questo gli ozi gli procurano anche dei danni, perocche si e detto con ragione:

•ádifficilis in otio quies•â e difficile esser tranquilli nell•fozio. D•faltra parte pero una

intelligenza che oltrepassi di molto la misura normale e parimenti un fenomeno

straordinario, quindi contro natura. Tuttavia, quando essa e data, l•fuomo che ne e fornito,

per trovare la felicita, ha precisamente bisogno di quegli agi che per gli altri sono qualche

volta importuni e qualche volta funesti; in quanto a lui, senza agi sara un Pegaso sotto il

giogo; in una parola sara infelice. Nondimeno se queste due anomalie, l•funa esterna e l•faltra

interna, si trovano riunite, la loro unione produce un caso di suprema felicita, perocche

l•fuomo cosi favorito condurra allora una vita d•fun ordine superiore, la vita d•fun essere

sottratto alle due sorgenti opposte dei dolori umani; il bisogno e la noia; che egli e del pari

sollevato e dalla cura penosa di affaccendarsi per provvedere alla sua esistenza e

dall•fincapacita di sopportare gli ozi (vale a dire l•fesistenza libera propriamente detta);

altrimenti un uomo non puo scappare da questi due mali se non se per il fatto che essi si

neutralizzino e si annullino reciprocamente.

Di fronte a tutto cio che precede, bisogna considerare d•faltra parte che, in seguito ad

un•fattivita preponderante dei nervi, le grandi facolta intellettuali producono un aumento

eccessivo dell•fattitudine a sentire il dolore sotto tutte le forme; che inoltre il temperamento

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passionato che ne e la condizione, come pure la vivacita e la perfezione piu grande di ogni

percezione, che ne sono inseparabili, danno alle emozioni cosi prodotte una violenza senza

confronto piu forte; ora si sa che le emozioni dolorose sono molto piu frequenti che le

piacevoli; finalmente bisogna anche ricordare che le alte facolta intellettuali fanno di chi le

possiede un uomo straniero agli altri uomini ed alle loro agitazioni, visto che piu questi

possede in se stesso, meno puo trovare in altrui. Mille oggetti per i quali costoro prendono

un piacere infinito, a lui sembrano insipidi e ripugnanti. Forse in tal maniera la legge di

compensazione che regna dovunque, domina egualmente qui pure. Non si e forse preteso

bene spesso e non senza qualche apparenza di ragione, che in fondo l•fuomo piu povero di

spirito e il piu felice? Comunque si sia, nessuno gl•finvidiera questa felicita. Io non voglio

antecipare sul lettore per la soluzione definitiva di tale questione, tanto piu perche Sofocle

stesso ha espresso su cio giudizi diametralmente opposti: Il sapere e di molto la porzione

piu considerevole della felicita (Antigone). Un•faltra volta disse: La vita del saggio non e la

piu piacevole (Ajace). I filosofi dell•fAntico Testamento non vanno meglio d•faccordo tra

loro; Gesu, figlio di Sirac, ha detto: La vita dello stolto e peggior della morte (22, 12);

l•fEcclesiaste invece (1, 18): Dove molta sapienza, ivi molto dolore.

Frattanto ci tengo a ricordar qui che cio che si disegna piu particolarmente con una

parola propria esclusivamente della lingua tedesca, Philister (borghese, droghiere, filisteo),

si e precisamente l•fuomo che, in seguito alla misura limitata e strettamente sufficente delle

sue forze intellettuali, non ha bisogni spirituali; tale espressione appartiene alla vita da

studenti, ed e stata messa in uso piu tardi in un rispetto piu elevato, ma analogo ancora al

suo senso primitivo, per qualificare colui che e l•fopposto d•fun figlio delle Muse, vale a dire

un uomo affatto prosaico. Costui infatti e e resta l•fƒ¿ƒÊƒÍƒÒƒÐƒÍ. ƒ¿ƒËƒÅƒÏ (l•fuomo non iniziato alle

Muse). Ponendomi ad un punto di vista piu alto ancora vorrei definire i filistei dicendo che

sono gente costantemente occupata, e cio colla piu gran serieta del mondo, d•funa realta che

non e realta. Ma questa definizione, gia d•funa natura trascendentale, non sarebbe in

24

armonia col punto di vista popolare a cui mi son messo in questa dissertazione; potrebbe

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quindi non esser compresa da tutti i lettori. La prima invece ammette piu facilmente un

commento specifico, e disegna abbastanza l•fessenza e la radice delle proprieta

caratteristiche tutte del filisteo. Costui e dunque, come dicemmo, un uomo senza bisogni

spirituali.

Da cio derivano molte conseguenze: la prima, in rapporto a lui stesso, si e che non

avra mai gioje spirituali, secondo la massima gia citata che non vi sono veri piaceri se non

con veri bisogni. Nessuna aspirazione ad acquistar conoscenze e giudizi nuovi per le cose in

se stesse anima la sua esistenza: e nessuna aspirazione ai piaceri estetici, perocche queste

due aspirazioni sono strettamente legate assieme. Quando la moda o qualche altro stimolo

gl•fimpone tali piaceri ei se ne sbriga nel modo piu breve possibile, come un galeotto si

sbriga del suo lavoro forzato. Soli piaceri per lui sono i sensuali, su di essi egli prende il suo

compenso. Mangiar ostriche, bever vino di Champagne, ecco per lui l•fapice dell•fesistenza;

procurarsi tutto quanto contribuisce al benessere materiale, ecco lo scopo della sua vita.

Troppo felice quando tale scopo lo occupa abbastanza! Perocche se questi beni gli sono

stati gia concessi antecipatamente, ei diventa preda della noia; per cacciarla prova tutto cio

che si puo immaginare; balli, teatri, societa, giuochi di carte, giuochi d•fazzardo, cavalli,

donne, ebbrezza, viaggi, ecc. E nullameno tutto questo non basta quando l•fassenza di

bisogni intellettuali rende impossibili i piaceri dello spirito. Cosi una serieta fosca e secca,

molto simile a quella dell•fanimale, e propria del filisteo e lo caratterizza. Niente lo diverte,

niente lo scuote, niente risveglia il suo interesse. I piaceri materiali sono presto esauriti; la

societa, composta di filistei suoi pari, gli viene ben tosto a noia; il giuoco delle carte finisce

collo stancarlo. Gli restano rigorosamente parlando le soddisfazioni della vanita alla sua

maniera: esse consisteranno a sorpassare gli altri nelle ricchezze, nel grado, nell•finfluenza o

nel potere, cio che allora gli vale la loro stima; oppure anche ei cerchera di potersi almeno

fregare intorno a coloro che brillano per tali vantaggi, e di riscaldarsi ai riflessi del loro

splendore (in inglese questo si chiama snob).

La seconda conseguenza che risulterebbe dalla proprieta fondamentale che abbiamo

riscontrata nel filisteo, si e che in rapporto agli altri, siccome e privo di bisogni intellettuali,

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e limitato ai soli materiali, cerchera gli uomini che potranno soddisfare questi ultimi, e non

coloro che potrebbero provvedere ai primi. Sicche non sono certamente le alte qualita

intellettuali che chiede loro; che anzi quando le incontra eccitano la sua antipatia, e

fors•fanche il suo odio, perocche ei non prova in loro presenza se non un sentimento

importuno d•finferiorita ed un•finvidia sorda, secreta, che nasconde colla piu gran cura, che

cerca di dissimulare a se stesso, ma che giusto per questo cresce talora fino ad una rabbia

muta. Non e mica sulle facolta dello spirito che costui pensera mai a misurare la sua stima o

la sua considerazione; ei le riservera esclusivamente al grado ed alla ricchezza, al potere ed

all•finfluenza, cose che passano a•f suoi occhi come le sole qualita vere, le sole in cui puo

aspirare di eccellere. E tutto cio perche il filisteo e un uomo privo di bisogni intellettuali. Il

suo estremo soffrire deriva dal fatto che le idealita non gli portano alcun divertimento, e

che, per sfuggire la noia, ei deve sempre ricorrere alle realta. Ora queste da una parte sono

ben presto esaurite, ed allora in luogo di far piacere, stancano; e dall•faltra portano con se

sciagure d•fogni fatta, mentre le idealita sono inesauribili e per se stesse innocue.

In tutta questa dissertazione sulle condizioni personali che contribuiscono alla nostra

felicita, ebbi in vista le qualita fisiche, e principalmente le qualita intellettuali. Si e nella

mia memoria sul Fondamento della morale (•˜ 22) che ho esposto come la perfezione

morale, a sua volta, influisca direttamente sulla felicita: a quest•fopera invito il lettore.

_____

25

CAPITOLO III.

___

Di cio che si ha.

Epicuro, il grande maestro di felicita, ha mirabilmente e giudiziosamente diviso i

bisogni umani in tre classi. Primo, i bisogni naturali e necessari: quelli che non soddisfatti

producono dolore; essi dunque non comprendono che il victus e l•famictus (cibo e vesti).

Sono facili da soddisfare. . Secondo, i bisogni naturali, ma non necessari: cioe il bisogno

di soddisfazione sessuale, quantunque Epicuro non lo dica nell•fopera di Diogene Laerzio

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(del resto riproduco qui, in generale, tutta questa dottrina leggermente modificata e

corretta). Tale bisogno e gia piu difficile da soddisfare. . Terzo, quelli che non sono ne

naturali, ne necessari: e sarebbero i bisogni del lusso, dell•fabbondanza, del fasto e della

splendidezza; il loro numero e infinito, e la loro soddisfazione molto difficile (Vedi

Diogene Laerzio L. X, c. 27, •˜ 149 e 127; . Cicerone, De fin. I, 13).

Il limite dei nostri desideri ragionevoli riferendosi ai beni di fortuna, e difficile, se

non impossibile, determinarlo. Perocche la soddisfazione di ciascuno a tale riguardo si

fonda non sopra una quantita assoluta, ma sopra una quantita relativa, vale a dire sul

rapporto tra le sue brame e le sue ricchezze; cosi queste ultime, considerate in se stesse,

sono tanto prive di significato quanto il numeratore di una frazione senza denominatore. La

mancanza di beni a cui un uomo non ha mai sognato d•faspirare, non puo affatto privarlo di

qualche cosa; ei sara perfettamente pago senza di essi, mentre un altro che possede cento

volte di piu si sentira infelice perche gli manca il solo oggetto che brama. Ciascuno ha pure,

riguardo i beni a cui gli e permesso aspirare, un orizzonte tutto proprio, e le sue pretese non

vanno oltre i limiti di quest•forizzonte. Quando un oggetto, collocato entro questi limiti, gli

si presenta in modo ch•fei possa esser certo di raggiungerlo, si trovera felice; al contrario si

sentira infelice se, sopravvenendo ostacoli, tale prospettiva gli e tolta. Cio che e posto al di

la non ha alcuna azione su di lui. Si e per questo che la immensa fortuna del ricco non da

molestia al povero, e per questo pure, d•faltra parte, che tutte le ricchezze gia possedute non

consolano il ricco quando e deluso in un•faspirazione. (La ricchezza e come l•facqua salata:

piu se ne beve, piu cresce la sete; lo stesso succede della gloria).

Il fatto che dopo la perdita della ricchezza o dell•fagiatezza, appena vinto il primo

dolore, il nostro umore abituale non sara molto diverso da quello che era per lo avanti, si

spiega riflettendo che, il fattore del nostro avere essendo stato diminuito dalla sorte,

riduciamo subito, da noi stessi, considerevolmente il fattore delle nostre pretese. Ecco dove

sta quanto havvi di veramente doloroso in una disgrazia; una volta compiuta questa

operazione, il dolore si fa sempre meno sensibile, e finisce collo sparire; la piaga si

cicatrizza. Nell•fordine inverso, in presenza d•fun avvenimento felice, il peso che comprime

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le nostre pretese s•finnalza e permette loro di dilatarsi: in cio consiste il piacere. Ma questo

pure non dura che il tempo necessario perche l•foperazione si compia; noi ci avvezziamo poi

alla scala cosi aumentata delle pretese, e diveniamo indifferenti al possesso corrispondente

della ricchezza. E quanto esprime un passo di Omero (Odissea, XVIII, 130-137) di cui

presentiamo gli ultimi versi: Tale invero e lo spirito degli uomini terrestri, simile ai giorni

mutevoli che adduce il padre degli uomini e degli dei.

La fonte dei nostri dispiaceri sta negli sforzi da noi sempre rinnovati per elevare il

fattore delle aspirazioni, mentre l•faltro fattore colla sua immobilita vi si oppone.

Non bisogna stupirsi di vedere, nella specie umana, povera e piena di bisogni, la

ricchezza piu altamente e piu sinceramente apprezzata, fors•fanco piu venerata, di qualunque

26

altra cosa; il potere stesso non e tenuto in conto se non perche conduce alla fortuna; e

neppure bisogna maravigliarsi nel vedere gli uomini metter da parte, o passar sopra a

qualunque considerazione quando si tratta d•facquistar ricchezze, nel veder per esempio i

professori di filosofia far buon mercato della loro scienza per guadagnar danaro. Si fa

spesso rimprovero agli uomini di volgere i loro voti specialmente al danaro e di amarlo piu

d•fogni altra cosa al mondo. Pure e ben naturale, quasi inevitabile, di amare cio che, simile

ad un Proteo instancabile, e pronto ad assumere in ogni momento la forma dell•foggetto

attuale delle nostre voglie si mobili, o dei nostri bisogni si diversi. Ogni altro bene, infatti,

non puo soddisfare che un solo desiderio, che un solo bisogno: le vivande hanno valore

solamente per chi ha fame, il vino per chi sta bene, i medicamenti per chi e malato, una

pelliccia durante l•finverno, le donne per la gioventu, ecc. Tutte queste cose non sono

dunque che ƒ¿ƒÁƒ¿ƒÆƒ¿ ƒÎƒÏƒÍ. ƒÑƒÇ, vale a dire relativamente buone. Il solo danaro e il bene

assoluto, perche esso non provvede unicamente ad un solo bisogno •áin concreto,•â ma al

bisogno in generale •áin abstracto.•â

I beni di fortuna di cui si puo disporre devono dunque esser considerati come un

riparo contro il gran numero di mali e di disgrazie possibili, e non come un permesso, e

meno ancora come un obbligo di aversi da procurare i piaceri del mondo. Le persone che,

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senza aver un patrimonio, giungono col loro ingegno, qualunque esso sia, al punto di

guadagnare molto danaro, cadono quasi sempre nell•fillusione di credere che il loro ingegno

sia un capitale stabile, e che il danaro che frutta loro l•fingegno sia per conseguenza

l•finteresse del detto capitale. Cosi non mettono da canto alcun poco di cio che guadagnano

per farsene una rendita certa, ma spendono nella stessa misura che prendono. Ne segue che

d•fordinario essi cadono in miseria quando i loro guadagni ristanno o cessano

completamente; infatti il loro talento stesso, passaggero di sua natura, come lo e per

esempio il genio per quasi tutte le belle arti, si esaurisce, oppure le circostanze speciali o le

occasioni che lo rendevano produttivo spariscono. Gli artigiani possono a tutto rigore

menar una tal vita, perche la capacita richiesta per il loro mestiere non si perde facilmente,

o puo esser surrogata dal lavoro dei loro operai; inoltre i loro prodotti sono oggetti di

necessita il cui smercio e sempre assicurato; un proverbio tedesco dice con ragione: •áEin

Handwerk hat einen goldenen Boden7•â vale a dire un buon mestiere vale molto oro.

Cosi non avviene degli artisti e dei virtuosi d•fogni specie. Ed e giusto per questo che

sieno pagati a prezzi cosi alti; ma anche per la stessa ragione dovrebbero essi capitalizzare

il danaro che guadagnano; nella loro presunzione lo considerano invece come se non fosse

che l•finteresse e vanno incontro cosi alla loro rovina.

In cambio la gente che possiede un patrimonio sa molto bene fin da principio

distinguere tra capitale ed interessi. Sicche la maggior parte cerchera d•finvestire il suo

capitale nel modo piu sicuro, ne lo rosicchiera in alcun caso, anzi riservera, possibilmente,

sugl•finteressi l•fottava parte almeno per prevenire ad una crisi eventuale. Costoro si

mantengono cosi soventi volte nell•fagiatezza. Niente di quanto diciamo si applica ai

commercianti; per essi il danaro e per se stesso l•fistromento del guadagno, l•futensile di

professione per cosi dire: d•fonde segue che anche quando lo hanno acquistato col loro

lavoro, cercheranno nel suo impiego i mezzi di conservarlo e di aumentarlo. Cosi la

ricchezza e abituale in questa classe piu che in qualunque altra.

In generale, si trovera che ordinariamente quelli che hanno gia lottato colla vera

miseria e col bisogno, li temono incomparabilmente meno, e sono piu portati alla

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dissipazione di coloro che non conoscono questi mali se non per averne sentito parlare. Alla

prima categoria appartengono tutti coloro che; non importa per qual colpo della sorte, o per

qualunque talento speciale, sono passati rapidamente dalla poverta all•fagiatezza; alla

seconda quelli che, nati con beni di fortuna, li hanno conservati. Costoro stanno in

apprensione per l•favvenire piu dei primi e sono piu economi. Se ne potrebbe dedurre che il

7 Letterale: Un mestiere ha un fondo d•foro.

27

bisogno non e cosa tanto brutta come sembrerebbe visto da lontano. Pero la ragione vera

dev•fessere piuttosto la seguente: all•fuomo nato con un patrimonio, la ricchezza appare

come qualche cosa d•findispensabile, come l•felemento della sola esistenza possibile, allo

stesso titolo dell•faria; cosi ei ne avra cura come della sua vita istessa, e sara, in generale,

ordinato, previdente ed economo. Al contrario a colui che fin dalla nascita visse in poverta,

si e questa che sembrera la condizione naturale; le ricchezze che gli potranno toccare piu

tardi, non importa come, gli pareranno un superfluo, buono solo per goderne e farne

baldoria; egli dira a se stesso che quando saranno nuovamente sparite, sapra cavarsela senza

di esse come per lo avanti, e che, per per di piu, sara sollevato da un fastidio. E proprio il

caso di dire con Shakespeare: Bisogna che il proverbio si verifichi: il mendicante a cavallo

fa galoppare la bestia fino alla morte (Enrico VI, P. 3, A. 1).

Aggiungiamo ancora che questa gente possede, non tanto nella testa quanto nel cuore,

una ferma ed eccessiva confidenza da una parte nella sua buona fortuna e dall•faltra nelle

sue proprie risorse, che le hanno di gia dato aiuto per cavarsi dalle strettezze e

dall•findigenza; questa gente non considera la miseria, come fanno i ricchi di nascita, quale

un abisso senza fine, ma la crede un basso-fondo che basta battere col piede per rimontarne

alla superficie. Con questa stessa particolarita umana si puo spiegare perche le donne,

povere prima del loro matrimonio, sieno molto spesso piu esigenti e piu prodighe di quelle

che hanno portato con se una grossa dote; infatti, quasi sempre, le ragazze ricche non

possedono solamente beni di fortuna, ma anche uno zelo, o, per cosi dire, un certo istinto

ereditario di conservarli che fa difetto alle povere. Tuttavia coloro che volessero sostenere

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la tesi opposta troveranno autorita nella satira prima dell•fAriosto; in cambio il dottor

Johnson si mette dalla parte mia: •áUna donna ricca, essendo abituata a maneggiar monete,

le spende con giudizio; ma quella che per il suo matrimonio si trova per la prima volta in

possesso della ricchezza, trova tanto gusto nello spendere che getta il danaro con grande

profusione.•â (Vedi Boswell, life of Johnson, vol. III, pag. 199, ediz. del 1821). Io

consiglierei per ogni evento, a chi sposa una ragazza povera, di affidarle non gia un

capitale, ma una semplice rendita, e sopratutto di vegliare perche il patrimonio dei figli non

cada nelle sue mani.

Non credo proprio far cosa indegna della mia penna raccomandando qui la cura di

conservar la propria fortuna, guadagnata od avuta in eredita; perocche e un vantaggio

inapprezzabile il possedere tutta fatta una sostanza quand•fanche essa non bastasse a

lasciarci vivere agiatamente solo e senza famiglia, in una vera indipendenza, vale a dire

senza aver bisogno di lavorare; ecco cio che costituisce il privilegio che affranca dalle

miserie e dai tormenti propri della vita umana; ecco l•femancipazione della servitu generale

che e il destino dei figli della terra. Non e che con questo favore della sorte che siamo

veramente uomini nati liberi; a questa sola condizione si e realmente sui juris, padroni del

proprio tempo e delle proprie forze, e si potra dire ogni mattina: La giornata m•fappartiene.

Sicche tra chi ha una rendita di mille scudi e chi ne ha una di centomila la differenza e

infinitamente piu piccola che tra il primo e chi non ha nulla. Ma la fortuna patrimoniale

arriva al suo piu alto valore quando tocca a colui che, dotato di forze intellettuali superiori,

intende ad uno scopo la cui realizzazione non mira ad un lavoro per vivere; messo in tali

condizioni quest•fuomo e doppiamente dotato dalla sorte; ei puo ora vivere a suo genio, e

paghera al centuplo il suo debito all•fumanita producendo cio che nessun altro potrebbe

produrre, e creando cose che formeranno il bene e nello stesso tempo l•fonore della

comunita umana. Un altro, posto in una situazione altrettanto favorevole, sara benemerito

dell•fumanita per le sue opere filantropiche. Quanto a chi possedendo un patrimonio, non

produce alcunche di simile, in qualunque misura si sia, fosse pure a titolo di saggio, o che

con studi seri non si crea almeno la possibilita di far progredire una scienza, costui non e

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che un fannullone spregievole. E nemmeno questi sara felice perche il fatto d•fesser liberato

dal bisogno lo trasporta all•faltro polo della miseria umana, alla noia, che lo tortura in tal

28

maniera ch•fei sarebbe assai piu contento se il bisogno gli avesse imposto un•foccupazione.

La noia lo fara cadere piu facilmente in quelle stravaganze che gli toglieranno la fortuna di

cui non e degno. In realta una folla di persone non e nell•findigenza se non per aver speso il

suo danaro, finche ne aveva, a fine di procurarsi un sollievo momentaneo alla noia che la

opprimeva.

Le cose succedono in tutt•faltro modo quando lo scopo a cui si tende e quello di

elevarsi altamente nel servizio dello Stato; quando si tratta, per conseguenza, d•facquistare

favore, amici, relazioni per mezzo dei quali potersi alzare di grado in grado e giungere forse

un giorno ai posti piu eminenti: in tal caso val meglio, in sostanza, esser venuto al mondo

affatto senza beni di fortuna. Per un individuo sopratutto che non e della nobilta, e che ha

qualche talento, essere un povero cialtrone costituisce un vantaggio reale ed una

raccomandazione. Perocche cio che ognuno cerca ed ama anzitutto, non solo nella semplice

conversazione, ma anche a fortiori nel servizio pubblico, si e l•finferiorita degli altri. Ora

non v•fha che un pitocco che sia convinto e penetrato della sua profonda, intera,

indiscutibile, onnilaterale 8 inferiorita, della sua totale dappocaggine e della sua nullita al

punto voluto dalla circostanza. Un pitocco solamente si china abbastanza spesso ed

abbastanza a lungo, e sa piegare la schiena a riverenze di 90 gradi ben contati; egli solo

soffre tutto col sorriso sulle labbra; egli solo riconosce che i meriti non hanno alcun valore;

egli solo vanta pubblicamente, ad alta voce od a grosso carattere, come capolavori le inezie

letterarie dei suoi superiori, od in generale degli uomini influenti; egli solo sa l•farte di

mendicare; per conseguenza egli solo puo esser iniziato a tempo, vale a dire fin dalla prima

giovinezza, a quella verita nascosta che Goethe ci ha svelato in questi termini: Che nessuno

si lagni della bassezza, perche essa e la potenza, checche se ne dica (W. O. Divan).

Chi invece ebbe dai genitori una fortuna sufficiente per vivere sara d•fordinario

recalcitrante; egli e uso a camminare colla testa alta; egli non ha imparato tutti questi

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giuochi di flessibilita; fors•fanche egli pensa di giovarsi di quel certo talento che possede e

di cui dovrebbe piuttosto comprendere l•finsufficienza in faccia a cio che succede con il

mediocre e lo strisciante 9; egli e pure capace di notare l•finferiorita di coloro che sono posti

al di sopra di lui, e finalmente, quando le cose toccano l•findegnita, egli doventa restio ed

ombroso. Non si va avanti nel mondo cosi; alla fine potra accadergli di dire con Voltaire,

quell•fimpudente: Non abbiamo che due giorni da vivere, non vale la pena di passarli

strisciando davanti spregevoli bricconi. Disgraziatamente, sia detto strada facendo,

spregevole briccone e un attributo per il quale esiste in questo mondo un numero

maledettamente grande di soggetti. Possiamo dunque vedere che cio che dice Giovenale

(Sat. II, v. 164): Non facilmente emergono coloro al cui merito pone ostacolo la poverta, si

applica piuttosto alla carriera delle persone eminenti che a quella degli uomini di mondo.

Tra le cose che si possede non ho annoverato moglie e figli perche si e piuttosto

posseduti da loro. Si potrebbe piu ragionevolmente comprendervi gli amici, ma qui pure il

proprietario deve nella stessa misura essere anche proprieta dell•faltro.

_____

8 Mi si permetta il neologismo. (Nota del Trad.).

9 Mediocre et rampant nell•foriginale. (N. del Trad.).

29

CAPITOLO IV

___

Di cio che si rappresenta.

1. Dell•fopinione altrui.

Cio che rappresentiamo, o, in altri termini, la nostra esistenza nell•fopinione altrui e

generalmente, in conseguenza di una debolezza particolare della nostra natura, troppo

apprezzata, benche la piu piccola riflessione possa insegnarci che tutto questo per se stesso

non ha importanza alcuna per la nostra felicita. Sicche si dura fatica a spiegarsi la grande

soddisfazione interna che prova un uomo quando s•faccorge d•funa prova di stima datagli

dagli altri, e quando viene lusingata la sua vanita, non ne importa il come. Tanto

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infallibilmente il gatto si mette a ronfare quando gli si carezza il dorso, altrettanto

sicuramente si vede una dolce estasi dipingersi sulla figura dell•fuomo che vien lodato,

sopratutto quando la lode tocca il dominio delle sue pretese, e quand•fanche essa fosse una

menzogna palpabile. I segni dell•fapprovazione altrui lo consolano spesso d•funa sventura

reale o della parsimonia colla quale stillano per lui le due fonti principali di felicita, di cui

abbiamo trattato finora. Dall•faltro lato fa stupore il vedere quanto egli sia infallantemente

angosciato e molte volte dolorosamente ferito da ogni lesione alla sua ambizione, in

qualunque senso, a qualunque grado, o sotto qualunque rapporto si sia, da ogni sdegno, da

ogni trascuranza, dalla piu piccola mancanza di riguardi. Servendo di base al sentimento

dell•fonore, questa proprieta puo avere un•finfluenza salutare sulla buona condotta di

moltissime persone, a guisa di succedaneo della loro moralita; ma in quanto alla sua azione

sulla felicita reale dell•fuomo, e sopratutto sulla quiete dell•fanimo e sull•findipendenza, le

due condizioni si necessarie alla felicita, essa e piuttosto perturbatrice e dannosa che

favorevole. Si e per questo, che, dal nostro punto di vista, e prudente metterle un limite e,

con saggie riflessioni e con un giusto apprezzamento del valore dei beni, moderare questa

grande sensibilita riguardo l•fopinione altrui tanto nel caso che carezzi quanto nel caso che

ferisca, perocche in tutti e due pende dal medesimo filo. Altrimenti restiamo schiavi

dell•fopinione e del sentimento degli altri:

Sic leve, sic parvum est, animum quod laudis avarum

Subruit ac reficit.

(Talmente tenue, talmente piccolo e cio che perturba e riconforta un•fanima avida di

lode).

Per conseguenza un giusto apprezzamento del valore di cio che si e in se stesso e per

se stesso confrontato con cio che si e solamente agli occhi altrui contribuira molto alla

nostra felicita. Il primo termine del confronto comprende quanto riempie il tempo della

nostra esistenza, il contenuto intimo di questa, e quindi tutti i beni che abbiamo esaminati

nei capitoli intitolati Di cio che si e e Di cio che si ha. Perocche il luogo dove si trova la

sfera d•fazione di tutto questo e proprio la coscienza dell•fuomo. Invece il luogo di tutto cio

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che siamo per gli altri e la coscienza altrui; e la figura sotto la quale noi vi appariamo,

come pure le nozioni che vi si riferiscono 10. Ora queste sono cose che, direttamente, non

10 Le classi piu eminenti nel loro lustro, splendore e fasto, nella loro magnificenza ed ostentazione d•fogni

natura possono dire a se stesse: La nostra felicita e posta interamente fuori di noi; il suo luogo e nella testa

30

esistono affatto per noi; tutto cio non esiste che indirettamente, vale a dire se non in quanto

stabilisce la condotta degli altri verso di noi. Ed anche questo non entra realmente in

considerazione che in quanto influisce su cio che potrebbe modificare quello che siamo in

noi e per noi stessi. Cio posto, quanto succede in una coscienza straniera ci e, a tal titolo,

perfettamente indifferente, e, a nostra volta, noi vi diverremo indifferenti a misura che

conosceremo abbastanza la superficialita e la futilita dei pensieri, i ristretti limiti delle

nozioni, la piccolezza dei sentimenti, l•fassurdita delle opinioni e il numero considerevole di

errori che s•fincontra nella maggior parte dei cervelli umani . a misura che impareremo per

esperienza con qual disprezzo si parla, all•foccasione, di ciascuno di noi quando non si teme

o non si crede che lo sapremo . ma sopratutto allorquando avremo inteso una sol volta con

qual disdegno una dozzina d•fimbecilli parla dell•fuomo il piu degno di stima.

Comprenderemo allora che attribuire un alto valore all•fopinione degli uomini e far loro

troppo onore.

In ogni caso, e proprio esser ridotti ad una meschina risorsa il non trovare la felicita

nelle due classi di beni di cui abbiamo gia parlato, ed il doverla cercare in questa terza, o,

con altre parole, in cio che si e non realmente, ma nell•fimmaginazione altrui. In tesi

generale e la nostra natura animale che costituisce la base del nostro essere, e per

conseguenza anche della nostra felicita.

L•fessenziale per il benessere e dunque la salute, e poi i mezzi necessari al nostro

mantenimento, e per conseguenza una vita libera da cure moleste. L•fonore, il fasto, la

grandezza, la gloria, qualunque valore si attribuisca loro, non possono entrar in concorrenza

con questi beni essenziali, ne surrogarli; ben altrimenti, toccando il caso, non si esiterebbe

un momento solo a cangiarli con gli altri. Sara dunque molto utile per la nostra felicita il

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conoscere per tempo questo fatto cosi semplice che ognuno vive anzitutto ed effettivamente

nella sua propria pelle e non nell•fopinione degli altri, e che allora naturalmente la nostra

condizione reale e personale, quale la determinano la salute, il temperamento, le facolta

intellettuali, le rendite, la moglie, i figli, l•fabitazione, ecc., e cento volte piu importante per

la nostra felicita di cio che piace agli altri fare di noi. L•fillusione contraria rende infelice.

Esclamare con enfasi: •áL•fonore vale piu della vita•â e dire realmente: •áLa vita e la salute

sono niente; cio che gli altri pensano di noi, ecco l•fimportante•â. Tutt•fal piu questa massima

puo esser considerata come una iperbole in fondo alla quale si trova la prosaica verita che

per mantenersi e per andar avanti fra gli nomini, l•fonore, vale a dire la loro opinione a

nostro riguardo, e spesso d•fun•futilita indispensabile: ritornero piu avanti su tale questione.

Quando si vede invece come quasi tutto cio che gli uomini cercano durante l•fintera loro

vita, a prezzo di sforzi incessanti, di mille pericoli e di mille amarezze, ha per iscopo finale

di elevarli nell•fopinione altrui, perocche non solo le cariche, i titoli e le onorificenze, ma la

ricchezza ancora, o pur anche la scienza11 e le arti sono, in sostanza, ricercate

principalmente a questo fine, quando si vede che il risultato definitivo a cui si tende e di

ottenere piu rispetto da parte degli altri, tutto cio non prova, ahime! se non la grandezza

dell•fumana follia.

Annettere troppo valore all•fopinione altrui e una superstizione universalmente

dominante; che essa abbia le sue radici nella nostra stessa natura, o che abbia seguito la

nascita della societa e della civilta, egli e certo che esercita in ogni caso sulla nostra

condotta un•finfluenza smisurata ed ostile alla nostra felicita. Possiamo seguire tale

influenza dal punto in cui si mostra sotto la forma d•funa deferenza ansiosa e servile per il

che se ne dira? fino al punto in cui pianta il pugnale di Virginio in petto alla figlia, oppure

in cui trascina l•fuomo a sacrificare alla gloria postuma il suo riposo, la sua fortuna, la sua

salute e perfino la sua vita. Questo pregiudizio offre, e vero, a chi e chiamato a regnare

degli altri. (Nota di Schopenhauer).

11 Scire tuum nihil est, nisi te scire hoc sciat alter (Che tu sappi e niente, se non sai che gli altri lo sanno).

(Nota di Schopenhauer).

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sugli uomini od, in generale, a dirigerli, una risorsa comodissima; sicche il precetto d•faver

da tenere svegliato o stimolato il sentimento dell•fonore occupa il posto principale in ogni

ramo dell•farte dell•feducazione; ma riguardo alla felicita dell•findividuo, ed e questo che qui

ci occupa, succede tutt•faltra cosa, e noi dobbiamo dunque dissuaderci dall•fattribuire un

valore troppo alto all•fopinione altrui. Se nondimeno, come ce lo insegna l•fesperienza, il

fatto si presenta ogni giorno; se cio che la maggior parte degli uomini stima di piu si e

precisamente l•fopinione altrui a loro riguardo, e se essi se ne preoccupano piu che di

quanto, succedendo nella loro propria coscienza, esiste immediatamente per loro; se

dunque, per un rovesciamento dell•fordine naturale, si e l•fopinione altrui che sembra loro

esser la parte reale dell•fesistenza, l•faltra non apparendo esserne che la parte ideale; se fanno

di cio che e derivato e secondario l•foggetto principale, e se l•fimmagine del loro essere nella

testa degli altri sta loro piu a cuore che il loro essere stesso; tale apprezzamento diretto di

cio che direttamente non esiste per alcuno costituisce quella follia a cui si e dato il nome di

vanita, •ávanitas•â per indicare con questa parola il vuoto ed il chimerico di tale tendenza. Si

puo facilmente comprendere anche, per quanto dicemmo piu indietro, che essa appartiene

alla categoria di quegli errori che consistono nell•fobliare lo scopo per i mezzi, come

l•favarizia.

In fatti il prezzo che noi annettiamo all•fopinione altrui e la nostra costante

preoccupazione a questo riguardo passano quasi ogni limite ragionevole, talmente che tale

preoccupazione puo esser considerata come una specie di mania generalmente diffusa, o

piuttosto innata. In tutto cio che facciamo, come in tutto cio che ci asteniamo di fare, noi

prendiamo in considerazione l•fopinione altrui quasi prima d•fogni altra cosa, e si e da una tal

cura che in seguito ad un esame profondo vedremo nascere la meta circa dei tormenti e

delle angoscie che abbiamo provato. Perocche e davvero questa preoccupazione che

troviamo in fondo di ogni nostro amor proprio, cosi spesso offeso perche e cosi

morbosamente sensibile, al fondo di ogni nostra vanita e di ogni nostra pretesa, come pure

al fondo del nostro fasto e della nostra ostentazione. Senza una tale preoccupazione, senza

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una tal rabbia, il lusso non sarebbe il decimo di cio che e. Su essa e stabilito tutto il nostro

orgoglio, punto d•fonore e puntiglio12, di qualunque specie si sia ed a qualunque sfera

appartenga, . e quante vittime non fa di frequente! Essa si mostra gia nel fanciullo poi in

ogni stadio della vita, ma raggiunge tutta la sua forza nell•feta avanzata, perche allora,

l•fattitudine ai piaceri sensuali essendo esaurita, vanita ed orgoglio non hanno piu a divider

l•fimpero che con l•favarizia. Un tale furore si osserva piu chiaramente nei Francesi presso i

quali essa regna endemicamente e si manifesta spesso per mezzo dell•fambizione la piu

sciocca, della vanita nazionale la piu ridicola, e della millanteria la piu spudorata; ma le

loro pretese per cio stesso si annullano perche li espongono al riso delle altre nazioni, ed

hanno fatto un nomignolo grottesco del titolo di grande nation.

Per spiegare piu chiaramente tutto cio che abbiamo esposto fin qui sulla stoltezza di

preoccuparsi fuor di misura dell•fopinione altrui voglio ricordare un esempio davvero

maraviglioso di questa follia radicata nella natura umana; questo esempio e favorito da un

effetto di luce che deriva da circostanze speciali e d•fun carattere appropriato; ciocche ci

permettera di ben valutare la forza di questo bizzarro motore delle azioni umane. Ecco un

brano del rapporto dettagliato pubblicato dal Times del 31 marzo 1846 sulla recente

esecuzione di un certo Thomas Wix, operaio che aveva assassinato il suo padrone per

vendetta: •áNella mattina del giorno fissato per l•fesecuzione, il reverendo cappellano delle

carceri si porto presso di lui. Ma Wix, quantunque assai calmo, non ascoltava le esortazioni

del ministro di Dio; sua sola preoccupazione era quella di far mostra d•fun coraggio estremo

in presenza della folla che stava per assistere alla sua brutta fine. E vi e riuscito. Arrivato

nel cortile che doveva traversare per giungere al patibolo, innalzato di contro alla prigione,

esclamo: •áEbbene, come diceva il dottor Dodd, conoscero fra poco il gran mistero!•â

12 Point d•fhonneur und puntiglio nel testo. (Nota del Trad.).

32

Quantunque avesse le braccia legate, sali senza aiuto la scala della forca; giunto alla cima,

fece a dritta e a manca saluti agli spettatori, e la moltitudine assembrata vi corrispose, in

ricompensa, con formidabili acclamazioni, ecc.•â

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Aver davanti gli occhi la morte, sotto la forma piu spaventosa, coll•feternita dopo di

essa, e non preoccuparsi se non dell•feffetto che si produrra su quella massa di balordi

accorsi e dell•fopinione che si lasciera dopo morte nelle loro teste, non e forse un saggio

unico d•fambizione? Lecomte che, lo stesso anno, fu ghigliottinato a Parigi per tentato

regicidio, si rammaricava principalmente, durante il processo, di non potersi presentare

davanti la Camera dei pari, vestito convenientemente, ed anche al momento dell•fesecuzione

era suo gran dolore che non gli si avesse permesso di radersi la barba prima di salire il

patibolo.

Lo stesso succedeva per lo passato, cio che potremo vedere nell•fintroduzione

(declaracion) da cui Mateo Aleman fa precedere il suo celebre romanzo Guzman

d•fAlfarache; in essa e detto che molti delinquenti dal cervello sconcertato tolgono le loro

ultime ore alle cure della salute eterna, a cui dovrebbero impiegarle esclusivamente, per

terminare ed imparare a mente un piccolo discorso che vorrebbero recitare dall•falto della

forca.

Possiamo trovare la nostra propria immagine in simili tratti; perocche sono gli esempi

di taglia colossale che forniscono le spiegazioni piu evidenti in ogni materia. Per noi tutti,

ben di sovente, le nostre preoccupazioni, i nostri affanni, le cure angosciose, le nostre

collere, le nostre inquietudini, i nostri sforzi, ecc., hanno in vista quasi interamente

l•fopinione altrui e sono tanto assurde quanto quelle dei poveri diavolacci ricordati piu

indietro. L•finvidia e l•fodio partono egualmente, in gran parte, dalla stessa radice.

Nessuna cosa evidentemente contribuirebbe meglio alla nostra felicita, composta

principalmente di calma dello spirito e di soddisfazione, del limitare la potenza di un tale

motore, e dell•fabbassarla a un grado che la ragione potesse giustificare (a 1/50 per esempio)

estraendo cosi dalle nostre carni questa spina che le strazia. Ma la cosa e molto difficile;

abbiamo a che fare con una bizzarria naturale ed innata: Anche i saggi si spogliano per

ultimo dalla passion della gloria, dice Tacito (Hist. IV, 6). Il solo mezzo di liberarci da

questa follia universale sarebbe di riconoscerla distintamente per una follia, e, a tale scopo,

renderci conto ben chiaramente fino a qual punto le opinioni, nelle teste degli uomini, sieno

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in massima parte e molto di frequente false, storte, erronee ed assurde; quanto l•fopinione

altrui abbia poca influenza reale su noi nella maggior parte dei casi e delle cose; quanto in

generale essa sia cattiva, talmenteche non vi sarebbe chi non si ammalerebbe dalla collera

se sentisse in che tono si parla e cosa si dice di lui; quanto infine l•fonore istesso non abbia,

propriamente parlando, che un valore indiretto e non immediato, ecc. Se potremo riuscire

ad ottenere la guarigione di questa pazzia generale, guadagneremo infinitamente in calma di

spirito ed in soddisfazione, ed acquisteremo nel tempo stesso un contegno piu fermo e piu

sicuro, e un portamento molto piu sciolto e piu naturale. L•finfluenza affatto benefica d•funa

vita ritirata sulla nostra tranquillita d•fanimo e sulla nostra soddisfazione proviene in gran

parte perche essa ci sottrae all•fobbligo di vivere costantemente sotto lo sguardo altrui e, per

conseguenza, ci toglie la preoccupazione incessante sulla loro possibile opinione: cio che ha

per effetto di renderci a noi stessi. In tal maniera sfuggiremo egualmente a molti mali

effettivi la cui causa unica e questa aspirazione puramente ideale, o, per dire piu

correttamente, questa deplorabile demenza; ci restera pure la facolta di prestare maggior

cura ai beni reali, che potremo allora gustare senza essere disturbati. Ma •áƒ´ƒ¿ƒÉƒÃƒÎƒ¿ ƒÑƒ¿ ƒÈƒ¿ƒÉƒ¿•â

(moleste le cose buone) lo abbiamo gia detto.

Dalla follia della natura umana or ora descritta, germogliano tre rampolli principali:

l•fambizione, la vanita e l•forgoglio. Tra i due ultimi la differenza consiste in cio che

l•forgoglio e la convinzione gia fermamente acquistata del nostro alto valore sotto ogni

rapporto; la vanita invece e il desiderio di far nascere questa convinzione negli altri e,

33

d•fordinario, colla secreta speranza di poter in seguito appropriarsela. Cosi l•forgoglio e l•falta

stima di se, procedente dall•finterno, dunque diretta; la vanita invece e la tendenza ad

acquistarla dal di fuori, dunque indirettamente. Per cio la vanita rende loquaci, l•forgoglio

taciturni. Ma il vanitoso dovrebbe sapere che l•falta opinione degli altri, a cui aspira, si

ottiene molto piu presto e piu sicuramente serbando un continuo silenzio che parlando,

quand•fanche s•favesse da dire le piu belle cose del mondo. Non e orgoglioso chiunque lo

voglia; tutt•fal piu puo affettare orgoglio chiunque lo voglia; ma quest•fultimo si tradira ben

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presto nella parte che vuol rappresentare, siccome in ogni parte presa a prestito. Perocche

cio che rende realmente orgoglioso si e la ferma, l•fintima, l•fincrollabile convinzione di

meriti eminenti e d•fun valore straordinario. Tale convinzione puo essere erronea, oppure

basarsi su meriti semplicemente esterni e convenzionali . cio poco importa all•forgoglio,

purche essa sia reale e sincera. Poiche l•forgoglio ha le sue radici nella convinzione, sara,

come ogni idea, al di fuori della nostra libera volonta. Il suo peggior nemico, voglio dire il

suo maggior ostacolo, e la vanita che briga l•fapprovazione altrui per fondar poi su questa la

propria alta stima di se stessa, mentre l•forgoglio suppone un•fopinione gia fermamente

stabilita.

Quantunque l•forgoglio sia generalmente biasimato ed infamato, nondimeno sono

tentato di credere che cio venga principalmente da coloro che non hanno di che

insuperbirsi. Vista l•fimpudenza, e la stupida arroganza della maggior parte degli uomini,

ogni persona che possede meriti di qualsivoglia specie fara molto bene a metterli in chiara

luce da se stesso, allo scopo di non lasciarli cadere in un completo oblio; perocche colui che

benevolmente, non cerca di approfittarsene e si conduce con la gente come se fosse affatto

suo simile, non tardera ad esser considerato da essa in tutta sincerita come un suo pari.

Vorrei raccomandare di condursi in siffatta guisa a coloro sopratutto i cui meriti sono

dell•fordine il piu elevato, meriti reali, in conseguenza puramente personali, attesoche essi

non possono esser richiamati ad ogni momento alla memoria, come le decorazioni e i titoli,

da una impressione dei sensi; altrimenti facendo, vedranno realizzarsi troppo spesso il sus

Minervam (il maiale che ammonisce Minerva).

Un eccellente proverbio arabo dice: Scherza collo schiavo, ed ei ti mostrera ben tosto

il deretano. Anche la massima di Orazio: Sume superbiam quaesitam meritis (Assumi la

superbia richiesta dai meriti) non e da disdegnare. La modestia e proprio una virtu inventata

principalmente per uso e consumo dei mariuoli, perocche esige che ciascuno parli di se

come se fosse un mariuolo: ciocche stabilisce un•feguaglianza di livello ammirabile e

produce la stessa apparenza come se non vi fosse in generale che della canaglia.

Intanto l•forgoglio a piu buon mercato e l•forgoglio nazionale. Esso tradisce presso chi

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ne e tocco l•fassenza di ogni qualita individuale di cui potesse andar fiero, perocche, se cosi

non fosse, questi non sarebbe ricorso ad una qualita che divide con tanti milioni d•findividui.

Chiunque possede meriti personali distinti riconoscera invece piu chiaramente i difetti della

sua nazione, poiche l•fha sempre sotto gli occhi. Ma ogni miserabile imbecille, che non ha al

mondo cosa di cui possa andar superbo, si getta su quest•fultima risorsa, d•fesser fiero cioe

della nazione alla quale si trova appartenere per azzardo; si e con cio che vuol rifarsi, e,

nella sua gratitudine, e pronto a difendere ƒÎƒËƒÇƒÌ ƒÈƒ¿ƒÇ ƒÉƒ¿ƒÌ (a pugni ed a calci) tutti i difetti e

tutte le sciocchezze proprio alla sua nazione.

Cosi, su cinquanta inglesi, per esempio, se ne trovera appena uno solo che levera la

voce per approvarvi quando parlerete con giusto disprezzo del bigottismo stupido e

degradante della sua nazione; ma questo solo individuo sara certamente una buona testa. I

Tedeschi non hanno orgoglio nazionale e provano cosi quell•fonesta di cui hanno la fama;

invece provano tutto il contrario coloro fra i Tedeschi che professano ed affettano in modo

ridicolo tale orgoglio, come fanno principalmente i deutschen Bruder (fratelli tedeschi) ed i

democratici che adulano il popolo allo scopo di sedurlo. Si pretende bene che i Tedeschi

abbiano inventato la polvere, ma io non sono di quest•fopinione. Lichtenberg presenta la

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seguente questione: •áPerche un uomo che non e tedesco si fa molto di rado passare per

tale? e perche quando vuol farsi passare per qualche cosa, si dira ordinariamente francese o

inglese?•â13. Del resto l•findividualita, in ogni persona, e cosa ben altrimenti importante della

nazionalita, e merita mille volte piu di questa d•fesser presa in considerazione. Onestamente

non si potra mai dire gran bene d•fun carattere nazionale, poiche nazionale significa che

appartiene al volgo. Si e piuttosto la meschinita dello spirito, la demenza e la perversita

della specie umana che sole spiccano in ogni paese sotto forma differente, ed e questo che

si chiama carattere nazionale. Stomacati di uno, ne lodiamo un altro, fino a che anche

questo c•fispira lo stesso sentimento. Una nazione si ride dell•faltra, e tutte hanno ragione.

La materia di questo capitolo puo esser classificata, come dicemmo, in onore, grado e

gloria.

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2. Il grado.

In quanto al grado, per importante che sembri agli occhi del volgo e dei filistei, e per

grande che possa essere la sua utilita come roteamento nella macchina dello Stato, avremo

finito con esso in poche parole per raggiungere il nostro scopo. Si tratta d•fun valore di

convenzione, o, piu correttamente, d•fun valore di simulazione; la sua azione ha per risultato

una stima simulata, e il tutto e una commedia per la folla. Le decorazioni sono cambiali

tirate sull•fopinione pubblica; il loro valore si basa sul credito del traente. Intanto, senza

parlare del danaro non indifferente che risparmiano allo Stato sostituendo le ricompense

pecuniarie, esse sono nondimeno un•fistituzione delle piu felici, dato che la loro

distribuzione sia fatta con discernimento ed equita. Infatti la folla ha occhi ed orecchie, ma

nient•faltro; sopratutto il senno le e infinitamente scarso, e corta pure la memoria. Certi

meriti sono affatto fuori della portata del suo comprendimento; e ve n•fha di quelli che essa

comprende ed acclama al loro apparire, ma che ben presto dimentica. Cio essendo, trovo

convenientissimo di gridare, ovunque e sempre, alla folla coll•forgano d•funa croce o d•funa

stella: •áL•fuomo che vedete non e vostro pari, egli ha dei meriti!•â Per altro con una

distribuzione ingiusta, non ragionevole od eccessiva, le decorazioni perdono il loro prezzo;

sicche un principe dovrebbe mettervi tanta circospezione ad accordarle, quanta un

commerciante a segnar cambiali. L•fiscrizione •áAl merito•â sopra una croce e un pleonasmo;

ogni decorazione dovrebbe essere •ápour le merite, ca va sans dire•â14.

3. L•fonore.

La discussione sull•fonore sara molto piu difficile e molto piu lunga di quella sul

grado. Prima di tutto dovremo definirlo. Se a tal uopo dicessi: •áL•fonore e la coscienza

esterna, e la coscienza e l•fonore interno•â, la definizione potrebbe forse piacere a qualcuno,

ma avremmo una spiegazione piuttosto brillante che netta e ben fondata. Sicche direi:

13 Vedemmo cosa dice lo Schopenhauer dei Francesi, degli Inglesi e dei Tedeschi; vediamo ora come parla

degli Italiani: •áQualita dominante nel carattere nazionale degli Italiani si e un•fimpudenza assoluta che

proviene da cio che eglino si considerano come se non fossero ne al di sopra ne al di sotto di chicchessia,

vale

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a dire che sono a vicenda arroganti e sfrontati, oppure vili ed abbietti. Chiunque, invece, ha pudore e per

certe

cose troppo timido, per altre troppo fiero. L•fitaliano non e ne l•funo ne l•faltro, ma secondo le circostanze

poltrone od insolente.•â Dei Tedeschi scrisse pure: •áIn previsione della mia morte faccio questa

confessione:

che disprezzo la nazione tedesca a causa della sua infinita stupidezza, e che arrossisco di appartenerle.•â Si

veda in proposito: A. SCHOPENHAUER. Von ihm. Ueber ihn, von Lindner; Memorabilien, von Frauenstaedt

(Berlino, 1863). (Nota del Trad.).

14 In francese nell•foriginale.

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•áL•fonore e, oggettivamente, l•fopinione che hanno gli altri del nostro valore, e,

soggettivamente, il timore che c•fispira tale opinione.•â In quest•fultima qualita esso ha di

sovente un•fazione molto benefica, quantunque in morale pura niente affatto fondata,

sull•fuomo d•fonore.

La radice e l•forigine del sentimento dell•fonore e della vergogna, inerente ad ogni

uomo che ancora non sia interamente corrotto, ed il motivo dell•falto prezzo attribuito

all•fonore, saranno messi in mostra colle considerazioni seguenti. L•fuomo non puo, da se

solo, che assai poca cosa: egli e un Robinson abbandonato; unicamente in societa cogli altri

e, e puo molto. Ei si rende conto di questa condizione fino dall•fistante in cui la sua

coscienza comincia a svilupparsi un po•f, che subito si sveglia in lui il desiderio di esser

annoverato come un membro utile della societa, capace di concorrere •ápro parte virili•â

all•fazione comune, con diritto cosi di partecipare ai vantaggi della comunita umana. Vi

riesce soddisfacendo da prima a cio che si esige e si aspetta da qualunque uomo in

qualunque posizione, e poi a cio che si esige e si aspetta da lui nella posizione speciale che

occupa. Ma egli conosce ben presto che cio che importa non e d•fesser un uomo di tal

tempra nella sua propria opinione, ma bensi in quella degli altri. Ecco l•forigine dell•fardore

con cui egli briga favorevole l•fopinione altrui, e dell•falto prezzo che vi annette.

Queste due tendenze si manifestano colla spontaneita d•fun sentimento innato che si

chiama sentimento dell•fonore e, in certe circostanze, sentimento del pudore (verecundia).

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Ecco cio che caccia il sangue sulle guancie all•fuomo non appena ei si crede minacciato di

perdere nell•fopinione altrui, benche si sappia innocente, od ancorche il fallo svelato non sia

che un•finfrazione relativa, vale a dire non concerni che un obbligo assunto gentilmente.

D•faltra parte nessuna cosa fortifica in lui il coraggio di vivere meglio della certezza

acquistata o rinnovellata della buona opinione degli altri, perocche essa gli assicura la

protezione ed il soccorso delle forze riunite dell•finsieme, ciocche costituisce un riparo

contro i mali della vita infinitamente piu gagliardo delle sue sole forze.

Dalle diverse relazioni in cui un uomo puo trovarsi con altri individui e che mettono

costoro nel caso di accordargli fiducia, in conseguenza di avere, come si dice, buona

opinione di lui, nascono diverse specie di onore. Di esse le principali sono il mio ed il tuo, i

doveri a cui si ha preso impegno, e in fine il rapporto sessuale; vi corrispondono l•fonore

borghese, l•fonore dell•fofficio e l•fonore sessuale, ciascuno dei quali presenta ancora delle

suddivisioni.

L•fonore borghese occupa la sfera la piu estesa: consiste nella presupposizione che noi

rispetteremo assolutamente i diritti di ciascuno e che, per conseguenza, non impiegheremo

mai a nostro vantaggio mezzi ingiusti od illeciti. Esso e la condizione richiesta per

partecipare al commercio pacifico cogli uomini. Basta, per perderlo, una sola azione che gli

sia fortemente e manifestamente contraria; come conseguenza ogni pena criminale ce lo

toglie egualmente, a condizione pero che la pena sia giusta. Tuttavia l•fonore si basa sempre,

in ultima analisi, sulla convinzione dell•fimmutabilita del carattere morale, in virtu della

quale una sola cattiva azione garantisce una qualita identica di senso morale in tutte le

azioni ulteriori, non appena si presenteranno ancora circostanze simili; cio che indica pure

l•fespressione inglese •ácharacter•â che vuoi dire stima, riputazione, onore. Ed ecco perche la

perdita dell•fonore e irreparabile, a meno che non sia dovuta alla calunnia od a false

apparenze. Percio v•fhanno leggi contro la calunnia, i libelli, e di piu contro le ingiurie;

perocche l•fingiuria, l•finsulto semplice, e una calunnia sommaria, senza indicazione di

motivi: in greco si potrebbe esprimere questo pensiero cosi: •áƒÃƒÐƒÑƒÇ . ƒÉƒÍƒÇƒÂƒÍƒÏƒÇƒ¿ ƒÂƒÇƒ¿ƒÀƒÍƒÉƒÅ

ƒÐƒÒƒËƒÑƒÍƒÊƒÍ.•â (L•fingiuria e la calunnia abbreviata); tuttavia questa massima non si trova

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espressa in alcun luogo.

E un fatto che chi ingiuria non ha niente di reale ne di vero da produrre contro l•faltro,

altrimenti lo esprimerebbe come premessa e lascierebbe tranquillamente a chi ascolta la

cura di tirare la conclusione; ma invece da la conclusione e resta in debito della premessa

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contando sulla presupposizione nello spirito degli uditori ch•fegli proceda in siffatta guisa

solamente per brevita.

L•fonore borghese prende, e vero, il nome dalla classe borghese; ma la sua autorita si

estende sopra tutte le classi indistintamente, senza eccezione pure per le piu alte; nessuno

puo farne senza; si e proprio un affare dei piu serj, e bisogna guardarsi dal prenderlo alla

leggera. Chiunque viola la fede e la legge rimane per sempre uomo senza fede e senza

legge, checche faccia e checche possa essere; i frutti amari che porta con se la perdita

dell•fonore non tarderanno a mostrarsi.

L•fonore ha, in un certo senso, carattere negativo, in opposizione alla gloria il cui

carattere e positivo, perche l•fonore non e quell•fopinione che si riferisce a qualita speciali,

appartenenti ad un solo individuo, ma e l•fopinione che si riferisce a qualita d•fordinario

presupposte, e che l•findividuo e tenuto di possedere egualmente agli altri. L•fonore dunque

si accontenta di far testimonianza che questo soggetto non fa eccezione, mentre la gloria

afferma che esso e un•feccezione. La gloria deve quindi esser acquistata; l•fonore al contrario

non abbisogna che di non esser perduto. Per conseguenza la mancanza di gloria e l•foscurita,

una negazione; la mancanza d•fonore e l•fonta, una positivita. Non bisogna pero confondere

questa condizione negativa con la passivita; tutto all•fopposto l•fonore ha un carattere

interamente attivo. Infatti esso procede unicamente dal suo soggetto; esso e fondato sulla

condotta propria di questi e non sulle azioni d•faltri, o su fatti esterni; esso e dunque �áƒÑƒÖƒË

ƒÅƒÊƒÇ ƒË•â (una qualita interna). Vedremo bentosto che questo e il marchio distintivo fra il

vero onore, e l•fonore cavalleresco o falso onore. Dal di fuori non v•fha attacco possibile

contro l•fonore che colla calunnia; il solo mezzo di difesa ne e il respingerla colla pubblicita

necessaria per smascherare il calunniatore.

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Il rispetto che si accorda all•feta sembra fondarsi sul fatto che l•fonore dei giovani,

quantunque accordato per supposizione, non e ancora stato messo alla prova e per

conseguenza non esiste, propriamente parlando, che a credito, mentre per gli uomini maturi

si e potuto constatare nel corso della vita se colla loro condotta hanno saputo serbarlo.

Perocche ne gli anni per se stessi . gli animali raggiungendo essi pure un•feta avanzata e

forse piu avanzata che l•fuomo . ne l•fesperienza quale semplice conoscenza piu intima

dell•fandamento delle cose umane giustificherebbero abbastanza il rispetto dei giovani per

chi conta maggior numero d•fanni, rispetto che tuttavia si esige universalmente; la pura

fiacchezza senile darebbe diritto ai riguardi piuttosto che alla considerazione. Nondimeno e

da notare che vi e nell•fuomo un certo rispetto innato, realmente istintivo, per i capelli

bianchi. Le grinze, segno ben piu certo di vecchiezza, non lo ispirano minimamente. Non si

e mai fatto menzione di grinze rispettabili, si e sempre detto: i venerabili capelli bianchi.

L•fonore non ha che un valor indiretto. Perocche, come spiegai al principio del

capitolo, l•fopinione degli altri a nostro riguardo non puo aver valore per noi che in quanto

determini o possa determinare eventualmente la loro condotta verso di noi. E vero che cio

succede sempre per quanto a lungo si viva cogli uomini o fra essi. Infatti, siccome nello

stato di civilta dobbiamo solo alla societa la nostra sicurezza e il nostro avere, siccome

inoltre in ogni impresa abbiamo bisogno degli altri e ci occorre avere la loro confidenza

perche essi entrino in relazione con noi, l•fopinione loro avra un alto prezzo agli occhi

nostri; ma questo prezzo sara sempre indiretto, ed io non saprei ammettere che essa potesse

avere un valore diretto. Tale e pure il parere di Cicerone (Fin., III, 17): Della buona fama

poi Crisippo e Diogene invero dicevano che, messa da parte l•futilita, per essa certo non

sarebbe da muovere un dito; cio che io pure affermo altamente. Anche Elvezio nel suo

capolavoro Dello spirito (Disc. III, cap. 13), sviluppa a lungo questa verita, e giunge alla

conclusione: Noi non amiamo la stima per se stessa, ma, unicamente per i vantaggi che

procura. Ora il mezzo non potendo valere piu del fine, la massima pomposa: Prima della

vita l•fonore, non sara mai, come gia dicemmo, che un•fiperbole.

Ecco quanto sull•fonore borghese.

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L•fonore dell•fofficio e l•fopinione generale che un uomo investito d•fun impiego

posseda effettivamente tutte le qualita richieste, e adempia appuntino ed in ogni circostanza

agli obblighi della sua carica. Quanto piu nello Stato la sfera d•fazione di un uomo e

importante ed estesa, quanto piu il posto ch•fegli occupa e elevato e potente, tanto piu

grande deve essere l•fopinione che si ha delle qualita intellettuali e morali che ne lo rendono

degno; per conseguenza dovra alzarsi il grado dell•fonore che gli si accorda e che si

manifesta coi titoli, colle decorazioni, ecc., e l•fumilta nella condotta degli altri a suo

riguardo s•faccentuera progressivamente. Si e la posizione di un uomo che, misurata sulla

stessa scala, determina costantemente il grado particolare dell•fonore che gli e dovuto;

questo grado tuttavia puo esser modificato dalla facilita piu o meno grande delle masse a

comprendere l•fimportanza della posizione. Ma si concedera sempre maggior onore a chi

avra obblighi affatto speciali da disimpegnare, come quelli d•fun officio, per esempio, che al

semplice borghese, il di cui onore e stabilito principalmente su qualita negative.

L•fonore dell•fofficio esige inoltre che colui che tiene una carica, la faccia rispettare a

causa dei suoi colleghi e dei suoi successori; per riuscirvi deve, come dicemmo, soddisfare

puntualmente a•f suoi doveri, ma di piu non deve lasciare impunito nessun attacco contro il

posto o contro lui stesso, come funzionario: non permettera dunque giammai che si dica

ch•fegli non disimpegna scrupolosamente ai doveri del suo officio, o che questo non e di

alcuna utilita per il paese, dovra invece, facendo punire il colpevole dai Tribunali, provare

che tali attacchi erano ingiusti.

Come sotto-ordini di questo onore troviamo quelli dell•fimpiegato, del medico,

dell•favvocato, di ogni pubblico professore, e pur anco di ogni graduato, in poche parole, di

chiunque in virtu d•funa dichiarazione officiale e stato proclamato capace di un qualche

lavoro intellettuale, e per cio si e impegnato ad eseguirlo; l•fonore finalmente in quella

qualita che si puo comprendere sotto la designazione di obbligati pubblici. In tale categoria

bisogna dunque mettere anche il vero onore militare, che consiste nell•fopinione che

chiunque si e impegnato a difender la patria comune, possede realmente le qualita volute,

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fra le quali e prima d•fogni altra il coraggio, il valore e la forza, e che costui e pronto a

difenderla risolutamente fino alla morte, ed a non abbandonare per nessun prezzo la

bandiera a cui ha prestato giuramento. Ho dato all•fonore dell•fofficio un significato molto

largo, perocche ordinariamente quest•fespressione significa il rispetto dovuto dai cittadini

all•fofficio stesso.

Mi pare che l•fonore sessuale richiegga d•fesser esaminato piu da vicino, e che i suoi

principi debbano esser rintracciati fino nella radice; cio che verra a confermare nel tempo

stesso che ogni onore si fonda, alla fin fine, sopra considerazioni di utilita. Considerato

nella sua natura l•fonore sessuale si divide in onore delle donne ed in onore degli uomini, e

costituisce d•fambe le parti uno spirito di corpo bene inteso. Dei due il primo e molto piu

importante perche nella vita della donna il rapporto sessuale e l•faffare principale. Cosi

dunque l•fonore femminile e, quando si parla di una ragazza, l•fopinione generale che ella

non si sia data all•fuomo, e, per la donna maritata, che ella si sia data a quello solo a cui e

unita in matrimonio. L•fimportanza di questa opinione si fonda sulle considerazioni

seguenti. Il sesso femminile invoca e si aspetta dal sesso mascolino assolutamente tutto;

tutto cio che desidera e tutto cio che gli e necessario; il sesso mascolino non domanda

all•faltro, prima di tutto e direttamente, che un•funica cosa. Si dovette quindi acconciarsi in

maniera tale, che il sesso mascolino non potesse ottenere questa unica cosa se non a

condizione di prendersi cura di tutto, e per soprammercato dei nascituri; su tale

disposizione di cose e basato il benessere di tutto il sesso femminile. Perche la disposizione

possa eseguirsi conviene necessariamente che tutte le donne tengano fermo insieme, e che

mostrino uno spirito di corpo. Esse si presentano allora come un solo tutto, a schiere

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serrate, dinanzi la massa intera del sesso mascolino, come contro un nemico comune che,

avendo dalla natura ed in virtu della preponderanza delle forze fisiche ed intellettuali, il

possesso di tutti i beni terrestri, deve esser vinto e conquistato allo scopo di giungere,

essendone padrone, a godere nello stesso tempo dei beni terrestri. A tal fine la massima

d•fonore di tutto il sesso femminile, si e che la vita in comune fuori del matrimonio sara

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assolutamente interdetta agli uomini, affinche ognuno di essi sia costretto al matrimonio

come ad una specie di capitolazione, e che cosi siano provvedute tutte le donne. Tale

risultato non puo essere ottenuto per intero che coll•fosservanza vigorosa della massima or

ora esposta; sicche il sesso femminile tutto intero veglia con vero spirito di corpo a che tutti

i suoi membri l•feseguiscano fedelmente. Per conseguenza ogni ragazza che col concubinato

si rende colpevole di tradimento verso il suo sesso, e scacciata dal corpo intero e notata

d•finfamia, perocche il benessere della comunita correrebbe pericolo se questo modo di

procedere si generalizzasse; allora si dice: Ella ha perduto il suo onore. Nessuna donna deve

piu frequentarla; la si sfugge come un•fappestata. La stessa sorte tocca alla donna adultera,

perche essa ha violato la capitolazione consentita dal marito, e tale esempio distoglie gli

uomini dal conchiudere si fatte convenzioni, mentre ne dipende la salute di tutte le donne.

Ed inoltre, siccome una tale azione comprende una frode ed un volgare mancamento di

parola, la donna adultera perde non solo l•fonore sessuale, ma anche l•fonore borghese. Per

cio si puo dire, come per scusarla: •áuna ragazza e caduta•â; non si dira mai: •áuna donna e

caduta•â; il seduttore puo rendere l•fonore alla prima col matrimonio, ma giammai l•fadultero

alla sua complice, in seguito a divorzio. Dopo una esposizione cosi chiara si riconoscera

che la base del principio dell•fonor femminile e uno spirito di corpo salutare, necessario

anzi, ma tuttavia calcolato giustamente e fondato sull•finteresse; si potra bene attribuirgli la

piu alta importanza nella vita della donna, si potra accordargli un grande valore relativo, ma

non mai un valore assoluto che oltrepassi quello della vita colle sue sorti; ne si ammettera

in alcun caso che questo valore arrivi al punto d•fesser pagato a prezzo dell•fesistenza stessa.

Non si potra dunque approvare Lucrezia, ne Virginio nel loro esaltamento degenerante in

una buffonata tragica. La peripezia nel dramma Emilia Galotti (di W. Lessing), per la stessa

ragione ha qualche cosa talmente ributtante, che si sorte dallo spettacolo affatto mal

disposti. In cambio ed a dispetto dell•fonor sessuale non si puo astenersi dal simpatizzare

colla Clarchen dell•fEgmont. Tale maniera di spingere agli estremi il principio dell•fonore

femminile appartiene, come tante altre, all•foblio del fine per i mezzi; si attribuisce, con tali

esagerazioni, all•fonore sessuale un valore assoluto, quando, non altrimenti d•fogni altro

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onore, non ha che un valore relativo; fors•fanche si potrebbe esser condotti a dire che questo

valore e puramente convenzionale, quando si legga •áThomasius, De concubinato•â; si

scorge in quest•fopera che, fino alla riforma di Lutero, in quasi tutti i paesi e in ogni tempo,

il concubinato fu uno stato di cose permesso e riconosciuto dalla legge e che la concubina

non cessava d•fesser onorevole: senza parlare di Militta Babilonese (vedi Erodoto, I, 199),

ecc. Vi hanno pure convenienze sociali che rendono impossibile la formalita esterna del

matrimonio, sopratutto nei paesi cattolici ove non e ammesso il divorzio; ma in ogni paese

tale ostacolo esiste per i sovrani; a mio avviso, intanto, aver un•famante e da parte loro

un•fazione molto piu morale di un matrimonio morganatico; i figli nati da simili unioni

possono levar pretese nel caso in cui la discendenza legittima venisse ad estinguersi, d•fonde

risulterebbe la possibilita, benche assai lontana, d•funa guerra civile. Di piu il matrimonio

morganatico, concluso cioe a dispetto di ogni convenienza esterna, e alla fin fine una

concessione fatta alle donne ed ai preti, due classi di persone a cui si deve guardarsi, per

quanto si puo, dal concedere qualche cosa. Consideriamo ancora che ciascuno, nel suo

paese, puo sposare la donna da lui desiderata; ve n•fha uno solo a cui questo diritto naturale

e tolto: questo pover•fuomo e il sovrano. La sua mano appartiene al paese; non la si accorda

che in vista di una ragione di Stato, vale a dire dell•finteresse del paese. E tuttavia questo

principe e un uomo che, come gli altri, vorrebbe una volta seguire l•finclinazione del suo

39

cuore. E ingiustizia ed ingratitudine, quanto volgarita borghese, il proibire o il rimproverare

al sovrano di vivere colla sua amante, bene inteso pero quando ei non le accordi influenza

alcuna sugli affari del paese. Dal suo lato pure quest•famante, in rapporto all•fonore sessuale,

e per cosi dire una donna eccezionale, fuori della regola comune, ella non si e data che ad

un sol uomo, lo ama e ne e amata, ed egli non potra mai prenderla per moglie. Cio che

prova sopratutto che il principio dell•fonore femminile non ha un•forigine puramente naturale

si e il gran numero di sacrifizi sanguinosi che gli vengono fatti dall•finfanticidio e dal

suicidio delle madri. Una ragazza che si da fuori della legge viola, e vero, la fede verso il

suo sesso; ma da lei questa fede e stata solo tacitamente accettata, non giurata. E siccome

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nella maggior parte dei casi e precisamente il suo stesso interesse che ne soffre nel modo

piu diretto, la sua follia e infinitamente piu grande della sua depravazione.

L•fonore sessuale degli uomini e provocato da quello delle donne a titolo di spirito di

corpo opposto; ogni uomo che si adatta al matrimonio, vale a dire ad una capitolazione cosi

vantaggiosa per la parte avversaria, contrae l•fobbligo di vegliare ormai a che si rispetti la

capitolazione, affinche un tal patto non venga a perdere della sua saldezza se si prendesse

l•fabitudine di non osservarlo che assai negligentemente; non bisogna che gli uomini, dopo

aver accordato tutto, giungano al punto di non esser nemmeno sicuri della sola cosa che

hanno stipulato d•faver in cambio, cioe del possesso esclusivo della sposa. L•fonore del

marito esige che questi vendichi l•fadulterio della moglie, e lo punisca almeno colla

separazione. Se egli lo tollera quando ne sia a conoscenza, la comunita mascolina lo copre

di vergogna; ma questa non e, presso a poco, cosi profonda come quella della donna che ha

perduto l•fonore sessuale. Essa e tutt•fal piu una levioris notae macula (una macchia di lieve

impronta), perocche le relazioni sessuali sono per l•fuomo un affare secondario, vista la

moltiplicita e l•fimportanza delle altre sue relazioni. I due grandi poeti drammatici dei tempi

moderni hanno preso, ciascuno due volte, per soggetto l•fonore maschile: Shakespeare

nell•fOtello e nel Racconto d•funa notte d•finverno, e Calderon in El medico de su honra (Il

medico del suo onore) e in A secreto agravio secreta venganza (Ad oltraggio secreto,

secreta vendetta). Del resto questo onore non chiede che il castigo della donna, e non quello

dell•famante; la punizione di quest•fultimo non e che opus superogationis (affare di

soprammercato), cio che conferma molto bene che la sua origine sta nello spirito di corpo

dei mariti.

L•fonore, quale lo considerai fin qui nelle varie specie e nei suoi principi, lo si trova

regnare in generale presso tutti i popoli ed in tutte le epoche, quantunque si possa scoprire

qualche modificazione locale o temporanea sui principi dell•fonor femminile. Ma esiste pure

un genere di onore interamente diverso da quello che ha corso generalmente e dovunque, un

genere di onore di cui ne i Greci ne i Romani avevano la menoma idea, come non l•fhanno

pure fino ad oggi ne i Chinesi, ne gl•fIndiani, ne i Maomettani. In fatti esso e nato nel medio

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evo, e non si e climatizzato che nell•fEuropa cristiana; qui pure non e penetrato che in una

frazione minima della popolazione, cioe fra le classi superiori della societa e fra gli emuli di

esse. Il suo nome e onore cavalleresco, o punto d•fonore. La base di esso e totalmente

diversa da quella dell•fonore di cui abbiamo trattato finora; su alcuni punti ne e anzi

l•fopposto, poiche l•funo fa l•fuomo onorevole, e l•faltro invece l•fuomo d•fonore. Vengo

dunque ora ad esporne separatamente i principi sotto forma di codice o specchio

cavalleresco.

1.•‹ L•fonore non consiste nell•fopinione altrui sul nostro merito, ma unicamente nelle

manifestazioni di quest•fopinione; poco importa che l•fopinione manifestata esista realmente,

o non esista, e meno che sia o non sia fondata. Per conseguenza il mondo puo avere la piu

cattiva opinione sul nostro conto a causa della nostra condotta; esso puo disprezzarci

quanto gli accomoda; tutto cio non nuoce per niente al nostro onore fino a che qualcuno

non si permette di dirlo ad alta voce. Ma viceversa se pure le nostre qualita e le nostre

40

azioni forzassero l•funiverso mondo a stimarci altamente (perocche cio non dipende dal

libero arbitro di esso), bastera che un solo individuo, fosse pure il piu cattivo od il piu

stupido, dimostri disprezzo a nostro riguardo, ed ecco d•fun tratto leso, fors•fanche perduto

per sempre il nostro onore se noi non lo ripariamo. Un fatto che mostra esuberantemente

non trattarsi minimamente dell•fopinione per se stessa, ma solo della sua manifestazione

esterna, si e che le parole offensive possono esser ritirate, che al caso si puo domandarne

perdono, e che allora avviene come se non fossero state pronunziate; la questione di sapere

se l•fopinione che le aveva provocate cangio nel tempo istesso e perche si e cangiata, non ha

a che fare; non si annulla che la manifestazione, ed allora tutto e in regola. Il risultato che si

ha in vista non e dunque di meritare il rispetto, ma di estorcerlo.

2.•‹ L•fonore di un uomo non dipende da cio che egli fa, ma da cio che gli vien fatto, da

cio che gli succede. Abbiamo studiato piu sopra l•fonore che regna da per tutto; i suoi

principi ci hanno dimostrato che esso dipende esclusivamente da cio che un uomo fa o dice;

invece l•fonore cavalleresco risulta da cio che un altro dice o fa. Esso e dunque posto nella

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mano, o semplicemente attaccato all•festremita della lingua del primo venuto: per poco che

questi vi accenni l•fonore e ad ogni istante in pericolo di perdersi per sempre, a meno che

l•foffeso non se lo riprenda colla forza. Parleremo fra poco delle formalita da compiere per

rimetterlo a posto. Per altro questa procedura non puo esser seguita che con pericolo della

vita, della liberta, della fortuna e della quiete dello spirito. La condotta di un uomo, fosse

pure la piu onorevole e la piu nobile, la sua anima la piu pura e la sua testa la piu eminente,

tutto cio non impedira che il suo onore non possa esser perduto non appena piacera ad un

individuo qualunque d•fingiuriarlo; e, sotto la sola riserva di non aver ancora violato i

precetti dell•fonore in questione, questo individuo potra essere il piu vile briccone, il bruto

piu stupido, uno scioperato, un giocatore, un uomo ingolfato nei debiti, in poche parole un

cialtrone nemmeno degno che l•faltro lo guardi. E ordinariamente sara ad una creatura di

siffatta specie che piacera insultare, perocche come Seneca ha giustamente osservato (De

Constantia, 11), quanto piu un uomo e dispregiato e schernito, tanto piu ha la lingua

sciolta, ed e contro l•fuomo eminente di cui parlammo or ora che un vile briccone, si

scagliera di preferenza, perche caratteri opposti si odiano e perche la vista di qualita

superiori risveglia di solito una rabbia sorda nell•fanima dei tristi; per questo dice Goethe:

(W. O. Divan) Perche lagnarti de•f tuoi nemici? Potrebbero mai esser tuoi amici, uomini

pei quali una natura come la tua e secretamele un eterno rimprovero?

Si vede bene quanta riconoscenza tale genia deve al principio dell•fonore, principio

che la solleva allo stesso livello di coloro i quali le sono infinitamente superiori sotto ogni

aspetto. Che un individuo siffatto scagli un•fingiuria, vale a dire attribuisca ad un altro

qualche brutta qualita; se questi non lava tosto nel sangue l•finsulto, questo passera

provvisoriamente per un giudizio oggettivamente vero e fondato, per un decreto avente

forza di legge; l•faffermazione potra anche restare per sempre vera e valevole. In altri

termini l•finsulto rimane (agli occhi di tutti gli •áuomini d•fonore•â) come l•finsultatore (fosse

pur l•fultimo degli uomini) lo ha detto, perche l•finsultato ingoio l•faffronto (e questo il

•áterminus technicus•â). Da allora gli •áuomini d•fonore•â lo sprezzeranno profondamente, lo

fuggiranno come se avesse la peste; rifiuteranno, per esempio, altamente e pubblicamente

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di andare in una societa ove lo si riceve, ecc. Credo poter con certezza far risalire al medio

evo l•forigine di questo lodevolissimo sentimento. Infatti C. W. de Wachter (Contributo alla

storia tedesca particolarmente sul diritto penale, 1845) c•finsegna che fino al XV secolo nei

processi criminali non spettava al denunciatore provare la reita, ma che toccava all•faccusato

provare la sua innocenza. Questa prova poteva darsi col giuramento di purgazione, per il

quale occorrevano all•faccusato i consacramentales che giurassero esser convinti ch•fegli

fosse incapace d•funo spergiuro. Se l•faccusato non poteva trovare garanti, o se l•faccusatore

li ricusava, interveniva il giudizio di Dio che consisteva ordinariamente nel duello.

Perocche •ál•faccusato•â diveniva allora un •áinsultato•â e doveva purgarsi dall•finsulto. Ecco

41

dunque l•forigine della nozione dell•f•áinsulto•â e di tutta quella procedura che viene praticata,

salvo il giuramento, anche oggigiorno fra gli •áuomini d•fonore.•â

Tutto questo ci spiega anche la profonda indignazione d•fobbligo che commuove gli

•áuomini d•fonore•â quando si sentono accusar di menzogna, e cosi pure la sanguinosa

vendetta che ne tirano; cio che pare tanto piu strano in quanto che la menzogna e cosa

d•fogni giorno. In Inghilterra sopra tutto la faccenda si leva all•faltezza d•funa superstizione

fortemente radicata (chiunque minaccia di morte colui che lo accusa di menzogna

dovrebbe, in realta, non aver mai mentito in tutta la sua vita). Nei processi criminali del

medio evo v•fera una procedura ancor piu sommaria, e consisteva nel replicare dell•faccusato

all•faccusatore: •áTu hai mentito•â, dopo di che si faceva appello immediatamente al giudizio

di Dio; da cio deriva nel codice dell•fonor cavalleresco l•fobbligo di ricorrere senza ritardo

alle armi quando si abbia ricevuto l•faccusa d•faver mentito. Ecco quanto concerne l•fingiuria.

Ma esiste qualche cosa molto peggiore dell•fingiuria, qualche cosa talmente orribile che

devo domandar perdono agli •áuomini d•fonore•â d•fosare unicamente ricordarla in questo

codice dell•fonor cavalleresco; non ignoro che solo a pensarvi essi ne avranno i brividi e che

i capelli si drizzeranno loro sulla testa, perocche questa cosa e il summum malum, di tutti i

mali della terra il piu grande, piu spaventevole della morte e dell•feterna dannazione. Puo

succedere infatti, horribile dictu, puo succedere che un individuo dia uno schiaffo od una

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percossa ad un altro individuo: con cio una spaventevole catastrofe! La morte dell•fonore e

allora cosi completa che, se si puo guarire con un semplice salasso ogni altra lesione

dell•fonore, questa per la radicale guarigione esige che si debba uccidere completamente.

3.•‹ L•fonore non si da pensiero di cio che possa esser l•fuomo in se e per se, e

nemmeno della questione di sapere se la condizione morale d•fun individuo possa

modificarsi coll•fandar del tempo o d•faltre simili pedanterie da scolaretti. Quando l•fonore e

stato per un momento intaccato o perduto, esso puo esser prontamente ed interamente

ristabilito, ma alla condizione che vi si provveda al piu presto: la panacea ne e il duello. Se

pero l•fautore dell•faffronto non appartiene alle classi che professano il codice dell•fonor

cavalleresco, o s•fegli lo ha violato in qualche occasione, havvi, sopratutto quando l•faffronto

e stato prodotto da vie di fatto, ma pur anco quando lo fu solamente da parole, havvi,

diciamo, un•foperazione infallibile da intraprendere, ed e, se si ha un•farma addosso, di

passargliela immediatamente od anche, a rigore, un•fora dopo, attraverso il corpo; in tal

maniera l•fonore e riparato. Ma qualche volta si vuole evitare quest•foperazione perche si

teme gl•fimpicci che ne potrebbero derivare; allora se non si e ben sicuri che l•foffensore si

sottometta alle leggi dell•fonore cavalleresco, si ricorre ad un rimedio palliativo che si

chiama pigliar l•favvantaggio. Consiste questo, quando l•favversario e stato villano,

nell•fesser notabilmente piu villano di lui; se per cio le ingiurie non bastano si viene alle

percosse: e qui pure v•fha un climax, una gradazione nella cura dell•fonore: gli schiaffi sono

guariti colle bastonate, queste colle scudisciate; per le scudisciate poi v•fe qualcuno che

raccomanda, come rimedio d•fefficacia garantita, lo sputare nel viso. Ma nel caso in cui non

si arrivi a tempo con questi rimedi, bisogna senza fallo ricorrere alle operazioni sanguinose.

Un tal metodo di cura palliativa e basato in sostanza sulla massima seguente:

4.•‹ Nella stessa maniera che esser insultato e un•fonta, insultare e un onore. Cosi, che

la verita, il diritto e la ragione sieno pure dalla parte del mio avversario, e che io lo ingiuri,

sull•fistante egli non ha che da andare al diavolo con tutti i suoi meriti: il diritto e l•fonore

sono dalla mia parte, ed egli al contrario ha provvisoriamente perduto l•fonore fino a che

non lo ristabilisca . col diritto e colla ragione, direte voi? niente affatto!: colla pistola o

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colla spada. Dunque dal punto di vista dell•fonore la rozzezza e una qualita che supplisce o

domina tutte le altre: il piu villano ha sempre ragione: quid multa? Qualunque sciocchezza,

qualunque sconvenienza, qualunque infamia si abbia potuto commettere, una villania

grossolana toglie loro questo carattere, e le legittima seduta stante. Che in una discussione,

od in una semplice conversazione una persona mostri una conoscenza piu esatta della

42

questione, un amore piu severo della verita, una mente piu vasta, un raziocinio piu giusto,

in una parola ch•fegli metta in luce tali meriti intellettuali che facciano cader nell•fombra i

nostri, nondimeno noi potremo d•fun sol colpo annullare tutte queste superiorita, nascondere

la nostra pochezza di mente, ed esser superiori a nostra volta divenendo villani ed offensivi.

Perocche una villania volgare atterra qualunque argomento ed eclissa qualunque grande

ingegno. Se dunque il nostro avversario non vuol entrare in partita, e non replica con una

villania ancora piu grande, nel qual caso verremo a nobile tenzone per pigliar

l•favvantaggio, saremo noi i vincitori e l•fonore restera dal nostro lato: verita, istruzione,

raziocinio, intelligenza, ingegno, tutto cio deve far fagotto, e fuggire davanti l•farte divina

dello svillaneggiare. Cosi gli •áuomini d•fonore•â, non appena qualcuno manda fuori una

opinione differente dalla loro, o fa mostra di ragioni migliori di quelle che essi possono

mettere in campo, faranno vista immediatamente d•finforcar gli arcioni di un tal cavallo da

guerra; quando in una controversia mancano di argomenti da opporre, essi cercheranno

qualche insulto grossolano, cio che fa lo stesso officio ed e piu facile a trovare: dopo di che

se ne andranno tutti trionfanti. Dopo quanto abbiamo esposto, non si ha forse ragione di

dire che il principio dell•fonore nobilita il tono della societa?

La massima di cui ci siamo or ora occupati e fondata a sua volta sulla seguente, che e,

a dir vero, il fondamento e l•fanima del presente codice.

5.•‹ La corte suprema di giustizia, quella davanti a cui, in ogni contesa concernente

l•fonore, si puo appellarsi di qualunque altro giudizio, si e la forza fisica, vale a dire

l•fanimalita. Perocche qualunque villania e, propriamente parlando, un appello all•fanimalita

nel senso che essa dichiara l•fincompetenza della lotta delle forze intellettuali o del diritto

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morale e la surroga con quella delle forze fisiche; nella specie uomo, che Franklin definisce

a toolmaking animal (un animale che fabbrica degli arnesi), questa lotta si effettua col

duello, per mezzo di arme costruite espressamente allo scopo, e porta una decisione senza

appello. Questa massima fondamentale e disegnata, come si sa, coll•fespressione diritto

della forza, espressione che implica un•fironia come in tedesco la parola Aberwitz (delirio,

demenza), che indica una specie di •áWitz•â (spirito) che e ben lungi dall•fessere del •áWitz•â;

nello stesso ordine d•fidee l•fonore cavalleresco dovrebbe chiamarsi l•fonore della forza.

6.•‹ Trattando dell•fonore borghese, lo abbiamo trovato molto scrupoloso circa i

capitoli del tuo e del mio, degli obblighi contratti e della parola data, invece il codice in

questione professa su tutti questi punti i principi piu nobilmente liberali. Infatti v•fha una

sola parola a cui non si deve mancare: •ála parola d•fonore•â vale a dire la parola dopo la

quale si ha detto: •ásul mio onore•â, donde risulta la presunzione che si puo mancare ad ogni

altra parola. Ma anche nel caso in cui si avesse violato la parola d•fonore, l•fonore, a un

bisogno, puo esser salvato per mezzo della nota panacea, il duello: siamo tenuti a batterci

con chi sostenesse che abbiamo data la nostra parola d•fonore. Inoltre non esiste che un solo

debito che occorra pagare immancabilmente: il debito di giuoco, che, per questo motivo, si

chiama •ádebito di onore•â. In quanto agli altri debiti si rubi pure ad Ebrei ed a Cristiani, che

cio non nuoce minimamente all•fonore cavalleresco15.

15 Nei manoscritti di Schopenhauer Adversaria, cominciati nel marzo del 1828 a Berlino, nei quali si

contiene la prima idea di un trattato dal titolo: Schizzo d•funa dissertazione sull•fonore, si legge: Ecco

dunque

questo codice! Ed ecco l•feffetto strano e grottesco che producono, quando sono stabiliti su nozioni

precise ed

enunciati chiaramente, questi principi, a cui obbediscono ancora oggidi nell•fEuropa cristiana tutti coloro

che

appartengono alla cosi detta buona societa od al cosi detto bon ton. Vi sono pure molte persone, fra coloro

a

cui questi principi sono stati inoculati fin dalla prima gioventu colla parola e coll•fesempio, che credono in

essi

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piu fermamente che nel loro catechismo; che portano loro la venerazione piu profonda e piu sincera; che

sono

pronti in ogni momento a sacrificar loro felicita, riposo, salute e vita; che sono convinti che la loro radice

stia

nella natura umana, che sieno innati, che esistano a priori e che sieno posti al di sopra di qualunque esame.

Io

sono ben lontano dal voler portar colpi al loro cuore, ma devo dichiarare che tutto cio non fa testimonianza

in

favore della loro intelligenza. Di piu questi principi dovrebbero convenire meno che a tutt•faltra, a quella

classe sociale destinata a rappresentare l•fintelligenza, a diventare il sale della terra, e che per conseguenza

si

43

Qualunque mente di buona fede riconoscera a prima vista che un tal codice strano,

barbaro e ridicolo dell•fonore non puo aver la sua origine nell•fessenza della natura umana o

in una maniera sensata di considerare i rapporti degli uomini fra loro. E questo e quanto

conferma pure il dominio molto ristretto della sua autorita: tale dominio, che ebbe principio

solamente nel medio evo, e limitato all•fEuropa, ed anche qui non comprende che la nobilta,

la classe militare ed i loro emuli16. Perocche ne i Greci, ne i Romani, ne le popolazioni

eminentemente civilizzate dell•fAsia, non meglio nell•fantichita che nei tempi moderni,

hanno saputo e sanno una parola di un siffatto onore e dei suoi principi. Tutti questi popoli

non conoscono che cio che noi abbiamo chiamato l•fonore borghese. Presso di loro l•fuomo

non ha altro valore che quello conferitogli dalla sua intera condotta, e non quello fattogli

dalle parole che una mala lingua si diverte a proferire sul suo conto. Presso tutti questi

popoli cio che dice o fa un individuo puo benissimo annientare il suo proprio onore, ma

non mai quello di un altro. Una percossa, presso tutti questi popoli, non e altra cosa che una

percossa, eguale e forse meno pericolosa del calcio che puo tirare un cavallo od un asino:

una percossa potra, al caso, suscitar la collera o spingere immediatamente alla vendetta, ma

non ha niente di comune coll•fonore. Queste nazioni non tengono registri ove notare a conto

le percosse o le ingiurie, oppure le soddisfazioni che si ebbe cura, o si trascuro di ottenere.

Per bravura, e per disprezzo della vita esse non la cedono affatto affatto17 all•fEuropa

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cristiana. I Greci ed i Romani erano certo eroi perfetti, ma ignoravano completamente il

•ápunto d•fonore•â. Il duello, presso di loro, non era privilegio delle classi nobili, ma affare di

vili gladiatori, di schiavi abbandonati, di rei condannati che erano eccitati a battersi,

alternativamente colle bestie feroci, per divertimento del pubblico. Col Cristianesimo i

giuochi dei gladiatori furono aboliti, ma al loro posto, e regnando sovrana la religione di

Cristo, si istitui il duello, coll•fintermedio del giudizio di Dio. Se i primi erano un sacrifizio

crudele offerto alla pubblica curiosita, il duello e un sacrifizio non meno crudele al

pregiudizio generale, sacrifizio in cui non sono immolati colpevoli, schiavi o prigionieri,

ma uomini liberi e nobili.

Moltissimi tratti che la storia ci ha conservato provano che gli antichi ignoravano

assolutamente questo pregiudizio. Quando, per esempio, un capo teutono invito Mario ad

un duello, l•feroe gli fece rispondere che •áse era stanco della vita non aveva che da

appiccarsi per la gola•â, proponendogli tuttavia un gladiatore dei piu valenti con cui

potrebbe combattere a suo piacere (Freinsheim, Supplementi a Tito Livio, 1. LXVIII, c.

12). Leggiamo in Plutarco (Temistocle, 11) che Euribiade, comandante della flotta, in una

discussione con Temistocle, avrebbe alzato il bastone per batterlo; non si scorge mica che

questi abbia snudata la spada, ma che disse: •áBatti, ma ascolta•â. Quale indegnazione il

lettore •áuomo di onore•â deve provare non trovando menzione in Plutarco che il corpo degli

prepara a quest•falta missione: intendo parlare della gioventu accademica, la quale in Germania, ohime!

obbedisce a questi precetti piu che qualunque altra classe di persone. Qui io non vengo a richiamare

l•fattenzione dei giovani studenti sulle conseguenze funeste od immorali di tali massime; lo si deve aver

fatto

ben di sovente. Mi limitero dunque a dir loro cio che segue: Voi, la cui gioventu e stata nutrita colla lingua e

colla saggezza dell•fEllade e del Lazio, voi, per cui si ebbe la cura inapprezzabile d•filluminare di buon•fora

la

giovane intelligenza coi raggi splendidi emanati dalle menti nobili e saggie del bel tempo antico, come mai

volete voi esordire nella vita prendendo per regola di condotta questo codice della demenza e della

brutalita?

Vedetelo, questo codice, quando, come ho fatto io, lo si stabilisce su nozioni chiare, come e spiegato, la,

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davanti i vostri occhi, nella sua miserabile nullita; fatene la pietra di paragone non del vostro cuore, ma

della

vostra ragione. Se questa non lo respinge, allora la vostra mente non e atta a coltivare un campo per cui

qualita indispensabili sono una forza energica di raziocinio che spezzi facilmente i legami del pregiudizio, ed

una ragione chiaroveggente che sappia distinguere nettamente il vero dal falso anche la dove la differenza

e

profondamente nascosta, e non solamente dove, come qui, e palpabile; se cosi fosse, miei buoni amici,

cercate

qualche altro mezzo onesto per tirar avanti nel mondo: fatevi soldati, o imparate qualche mestiere, che una

buona arte e sempre un podere d•foro. (Nota dell•feditore tedesco).

16 Cioe chi vuole scimiottare i nobili ed i militari. (Nota del Trad.).

17 •gaffatto•h ripetuto nel testo. (Nota dell•fedizione elettronica Manuzio)

44

ufficiali ateniesi non abbia immediatamente dichiarato di non voler piu servire sotto

Temistocle! Percio uno scrittore francese dei nostri giorni dice con ragione: •áSe qualcuno

s•fimmaginasse di dire che Demostene fu un uomo d•fonore si riderebbe per compassione.....

Neppur Cicerone era uomo d•fonore.•â (Soirees litteraires, par C. Durand; Rouen, 1828, vol.

II, pag. 300). Inoltre il passo di Platone (De leg., IX, le sei ultime pagine e XI, pag. 131,

ediz. Bipont) sopra le ƒ¿ƒÇƒÈƒÇƒ¿, vale a dire sulle ingiurie con vie di fatto, prova abbastanza che

in quest•fargomento gli antichi non supponevano nemmeno tale sentimento del punto

d•fonore cavalleresco. Socrate, in seguito alle sue numerose controversie, si espose molte

volte alle percosse, che sopportava con tutta calma; un giorno, avendo ricevuto un calcio,

non ne fece caso e disse a qualcuno che si maravigliava di cio: •áSe me lo avesse dato un

asino ne porterei querela?•â (Diogene Laerzio, II, 21). Un•faltra volta, siccome qualcuno gli

diceva: •áQuest•fuomo vi biasima; non vi ingiuria forse?•â rispose: •áNo, perche cio che dice

non si riferisce a me•â (Ibid. 36). . Stobeo (Florilegium, ediz. Gaisford, vol. I, pag. 327-

330) ci ha conservato un lungo brano di Musonio, brano che ci lascia scorgere la maniera

con cui gli antichi consideravano le ingiurie: essi non conoscevano altra soddisfazione che

quella da ottenersi per mezzo dei magistrati, e i saggi disdegnavano pur questa. Si puo

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vedere nel Gorgia di Platone (pag. 86, ediz. Bipont) che in fatti cosi aveva luogo l•funica

riparazione che si potesse pretendere per uno schiaffo; noi vi troviamo anche (pag. 133)

riportata l•fopinione di Socrate in proposito. E cio spicca pure da quanto racconta Aulo

Gellio (XX, 1) di un certo Lucio Verazio il quale si divertiva, per malizia e senza motivo

alcuno, a dare uno schiaffo ai cittadini romani che incontrava per istrada; allo scopo di

evitare lunghe formalita egli si faceva accompagnare da uno schiavo che portava un sacco

di moneta di bronzo e che era incaricato di pagare immediatamente al passeggiero stupito

l•fammenda legale di 25 assi. Crate, il celebre cinico, avendo ricevuto dal musicista

Nicodromo uno schiaffo cosi forte che il viso gli si era gonfiato con larga echimosi, si

attacco alla fronte una tavoletta coll•fiscrizione: Nicodromo fece, cio che coperse di

vergogna il suonatore di flauto che si era lasciato trasportare ad una tale brutalita (Diogene

Laerzio, VI, 89) contro un uomo che tutta Atene riveriva al pari d•fun Dio Lare (Apulejo,

Flor. pag. 126, ediz. Bipont). Abbiamo in argomento una epistola di Diogene di Sinope a

Melesippo nella quale, dopo avergli detto d•fesser stato battuto da alcuni Ateniesi ubbriachi,

aggiunge che di cio non gli cale (Nota Casaub. ad Diog. Laert., VI, 33). Seneca nel libro De

constantia sapientis, dal capitolo X fino alla fine, tratta in dettaglio de contumelia per

stabilire che il savio la sprezza. Al capitolo XIV dice: •áMa il saggio percosso da uno

schiaffo che fara? Cio che fece Catone, il quale percosso nel viso non si adiro, non vendico

l•fingiuria e neppure la perdono, ma nego che gli fosse stata fatta•â.

•áSta bene, esclamerete, ma erano savi!•â

E voi altri, siete pazzi voi altri? . Ve lo accordo.

Noi vediamo dunque che ogni principio d•fonore cavalleresco era ignoto agli antichi

precisamente perche consideravano, sotto ogni punto di vista, le cose nel loro aspetto

naturale senza prevenzioni e senza lasciarsi raggirare da ciance empie o funeste. Sicche in

uno schiaffo non vedevano altra cosa se non cio che e in realta, un piccolo danno fisico,

mentre per i moderni esso e una catastrofe ed un tema da tragedia, come per esempio nel

Cid di Corneille ed in un dramma tedesco piu recente intitolato La forza delle circostanze,

ma che dovrebbe piuttosto chiamarsi La forza del pregiudizio. Se un di fosse dato uno

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schiaffo nell•fAssemblea nazionale a Parigi, l•fEuropa intera ne rimbomberebbe. Le

reminiscenze classiche, e gli esempi dell•fantichita or ora ricordati devono aver mal disposto

gli •áuomini d•fonore•â; noi raccomandiamo loro come antidoto di leggere in Jacques le

fataliste, capolavoro di Diderot, la storia di Monsieur Desglands18; vi troveranno un tipo

18 Nel gia ricordato •áSchizzo di una dissertazione sull•fonore•â Schopenhauer cosi racconta questa storia:

Due uomini d•fonore, l•funo dei quali si chiamava Desglands, corteggiano la stessa donna: essi sono seduti

a

tavola vicini, e dirimpetto alla dama, di cui Desglands cerca fissar l•fattenzione con discorsi vivaci; ma cio

45

nobilmente straordinario dell•fonore cavalleresco moderno che potra dilettarli e nel tempo

stesso edificarli a maraviglia.

Da quanto precede resta provato abbastanza che il principio dell•fonore cavalleresco

non e un principio primitivo, basato sulla natura stessa dell•fuomo; invece esso e artificiale,

e la sua origine e facile a scoprire. L•fonore cavalleresco e il figlio di quei secoli in cui i

pugni erano esercitati piu che le teste, ed in cui i preti tenevano incatenata la ragione, del

medio evo insomma, del medio evo tanto vantato, e della sua cavalleria. Allora infatti il

buon Dio non aveva la sola missione di vegliare su noi, ei doveva anche giudicare per noi.

Percio le cause giudiziarie d•findole delicata si decidevano per mezzo delle Ordalie o giudizi

di Dio, che consistevano, meno qualche piccola eccezione, in combattimenti singolari, non

solamente tra cavalieri, ma anche tra borghesi come viene provato da un bel passo

dell•fEnrico VI di Shakespeare (2a parte, atto 2�‹, scena 3a). Il combattimento singolare o

giudizio di Dio era un•fistanza suprema a cui si poteva appellarsi contro ogni sentenza

giudiziaria. In tal modo, invece della ragione, si era la forza e la destrezza fisica, altramente

detta la natura animale, che si erigeva a tribunale, e non era mica cio che un uomo aveva

fatto, ma cio che gli era accaduto che decideva se egli aveva torto o ragione, precisamente

come procede il principio dell•fonore cavalleresco oggigiorno in vigore. Se qualcuno

conservasse ancora dei dubbi su tale origine del duello e delle sue formalita non avrebbe,

per levarseli intieramente, che a leggere l•feccellente opera di J. G. Mellingen, The history of

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duelling, 1849. Ai nostri giorni ancora, fra le persone che regolano la loro vita su questi

precetti, . gia si sa che ordinariamente non sono ne le piu istruite, ne le piu ragionevoli .

ve n•fha di quelle per le quali l•fesito del duello rappresenta effettivamente la sentenza divina

nelle conseguenze che ha portato il combattimento; opinione nata evidentemente da una

lunga trasmissione ereditaria e tradizionale.

Fatta astrazione dalla sua origine, il principio dell•fonore cavalleresco ha per iscopo

immediato di farsi accordare, colla minaccia della forza fisica, le testimonianze esterne di

quella stima che si crede troppo difficile, o superfluo d•facquistare realmente. Presso a poco

e la stessa cosa come se qualcuno scaldasse colla mano il bulbo d•fun termometro e volesse

provare, perche la colonna di mercurio sale, che la sua camera e bene riscaldata. Volendo

considerare la cosa piu da vicino, eccone il principio: nello stesso modo che l•fonore

borghese, avendo in vista i rapporti pacifici degli uomini tra loro, consiste nell•fopinione che

noi meritiamo piena fiducia perche rispettiamo scrupolosamente i diritti altrui, del pari

l•fonore cavalleresco consiste nell•fopinione che noi siamo da temere perche decisi a

difendere ad oltranza i nostri diritti. La massima che val meglio ispirar timore che fiducia

non sarebbe cosi falsa, visto il pochissimo conto che si puo fare sulla giustizia degli uomini,

se vivessimo nello stato di natura in cui ciascuno deve da se stesso difendere la sua persona

e i suoi diritti. Ma essa non trova applicazione nella nostra epoca di civilta, in cui lo Stato si

e preso l•fincarico di proteggere persone e proprieta; essa non esiste piu che come quei

castelli e quei torrioni dell•fepoca del diritto feudale, inutili ed abbandonati, frammezzo

campi ben coltivati, quartieri animati, e fors•fanche strade ferrate. L•fonore cavalleresco, per

la ragione stessa che professa la massima precedente, e andato a ficcarsi necessariamente in

tutte quelle offese alla persona che lo Stato non punisce che leggermente, o non punisce

durante, gli occhi della persona amata carezzano costantemente il rivale di Desglands, ed ella non presta a

quest•fultimo che un orecchio distratto. La gelosia provoca in Desglands, che tiene in mano un uovo a bere,

una contrazione spasmodica; l•fuovo scoppia, e il suo contenuto salta sul viso del rivale. Questi fa un gesto

colla mano, ma Desglands gliela afferra e gli dice nell•forecchio: •áLo tengo per dato•â. Si fa un profondo

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silenzio. L•findomani comparisce Desglands colla guancia destra coperta da un gran tondo di taffeta nero.

Ha

luogo il duello e il rivale di Desglands riceve una ferita grave, ma non mortale. Desglands diminuisce allora

di

alcune linee il suo taffeta. Alla guarigione del rivale, secondo duello; Desglands gli cava sangue nuovamente

e impiccolisce ancora il noto circoletto. E cosi per cinque o sei volte di seguito: dopo ogni duello Desglands

riduce sempre piu stretta la circonferenza dell•fimpiastro, che finalmente fa sparire alla morte

dell•favversario.

(Nota dell•feditore tedesco).

46

affatto in virtu del principio: De minimis lex non curat, tali delitti non producendo che un

danno insignificante, e non essendo il piu delle volte che semplici puntigli. Per mantenere il

suo dominio in una sfera molto elevata, esso ha attribuito alla persona un valore la cui

esagerazione e affatto sproporzionata con la natura, la condizione ed il destino dell•fuomo;

spinge questo valore fino al punto di fare qualche cosa di sacro dell•findividuo, e, trovando

del tutto insufficienti le pene pronunziate dallo Stato contro le piccole offese alla persona, si

prende la briga di punirle esso stesso con punizioni sempre corporali, ed anche colla morte

dell•foffensore. Havvi evidentemente, in sostanza, l•forgoglio piu smisurato e l•foltracotanza

piu ributtante nell•fobbliare la natura reale dell•fuomo e nel pretendere di rivestirlo d•funa

inviolabilita e d•funa irreprensibilita assolute. Ma ogni uomo che e deciso a mantenere simili

principi colla violenza, e che professa la massima: chi m•finsulta o mi tocca deve morire,

merita per cio solo d•fessere espulso dal paese19. E vero che si mette avanti ogni sorta di

pretesti per inorpellare questo orgoglio smisurato. Di due uomini intrepidi, si dice, nessuno

cedera; nella piu leggera collisione essi verranno subito alle ingiurie, poi alle percosse e

finalmente all•fomicidio: e dunque preferibile, in riguardo alle convenienze, di sorpassare i

gradi intermedi, e ricorrere immediatamente alle armi. I dettagli della procedura sono stati

allora formulati in un sistema di rigido pedantismo, sistema che ha le sue leggi e le sue

regole, e che e davvero la buffonata piu lugubre del mondo; vi si puo scorgere, nessuno lo

neghi, il Panteon glorioso della follia. Ma il punto di partenza istesso e falso; nelle cose

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d•fimportanza minima (gli affari gravi restano sempre deferiti alla decisione dei tribunali) di

due uomini intrepidi ve n•fha sempre uno, il piu saggio, che cede: quando non si tratta che di

opinioni non si vorra nemmeno occuparsene. Ne troviamo la prova nel popolo, o, per

meglio dire, in tutte quelle numerose classi sociali che non ammettono il principio

dell•fonore cavalleresco; quivi le contese seguono il loro corso naturale e tuttavia l•fomicidio

vi e cento volte meno frequente che nella frazione minima, l/1000 appena, che lo accetta;

anche le risse vi sono rare. Si pretende inoltre che questo principio, coi suoi duelli, sia la

pietra angolare che mantiene il bon ton e le belle maniere nella societa, che sia un baluardo

che mette al riparo dall•furto della brutalita e della rozzezza. Per altro in Atene, a Corinto, a

Roma c•fera della buona ed anche della buonissima societa, delle maniere eleganti, del bon

ton, senza che vi fosse bisogno d•fimpiantarvi l•fonore cavalleresco a guisa di spauracchio. E

19 L•fonore cavalleresco e figlio dell•forgoglio e della follia (la verita opposta a questi precetti si trova

nettamente espressa nella commedia El Principe constante colle parole: Esa es la herencia de Adan, gli

affanni sono il retaggio dei figli di Adamo). (*)

Reca stupore che questo orgoglio estremo non s•fincontri che in seno di quella religione che impone ai suoi

aderenti l•fumilta estrema; ne le epoche anteriori, ne le altre parti del mondo conoscono tale principio

dell•fonore cavalleresco. Tuttavia non e alla religione che bisogna attribuirne la causa, ma al regime

feudale

durante il quale ogni nobile si considerava come un piccolo sovrano; egli non riconosceva fra gli uomini

alcun

giudice che fosse messo al di sopra di lui; imparava cosi ad attribuire alla sua persona una inviolabilita ed

una

santita assolute; ed e per questo che qualunque attentato contro la sua persona, una percossa, una

ingiuria, gli

sembrava un delitto meritevole di morte. Per cio il principio dell•fonore ed il duello non erano in origine

che

un affare concernente i nobili; essi si estesero piu tardi agli officiali, a cui si unirono poi qualche volta, ma

giammai d•fun modo costante, le altre classi piu eminenti, nello scopo di non perdere in considerazione. Le

ordalie, quantunque abbiano fatto nascere il duello, non sono l•forigine del principio dell•fonore

cavalleresco;

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esse non ne sono che la conseguenza e l•fapplicazione: chiunque non riconosce in altro uomo il diritto di

giudicarlo ricorre al giudice divino. . Le ordalie stesse non appartengono esclusivamente al Cristianesimo; le

troviamo spesso nel Brahmanismo, benche piu di sovente nelle epoche piu antiche; ne esistono pero vestigi

anche oggigiorno. (Nota dell•fAutore).

(*) Le parole sopra citate fra parentesi, si leggono cosi nel Principe costante (Jorn. III, Esc. 8, ed.

Hartzenbusch).

(Don Giovanni entra con un pane)

Don Giovanni Per portarti questo pane io fui inseguito dai Mori e le loro spade mi ferirono; arrivo or ora

fieramente minacciato.

Fernando La miseria (gli affanni) e il retaggio d•fAdamo (dei figli d•fAdamo).

(Nota dell•feditore tedesco).

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giusto pero il dire che le donne non regnavano nella societa antica come presso di noi. Oltre

il carattere frivolo e puerile che assume con esse la conversazione, poiche se ne bandisce

qualunque soggetto serio ed ampliamento trattato, la presenza delle donne nella nostra

societa contribuisce di certo per una gran parte ad accordare al coraggio personale il

primato su ogni altra qualita, mentre in realta esso non e che un merito molto subordinato,

una semplice virtu da sotto-tenente nella quale gli animali stessi ci sono superiori; infatti

non si dice forse: •ácoraggioso come un leone?•â Ma v•fha di piu: all•fopposto dell•fasserzione

precedentemente riportata, il principio dell•fonore cavalleresco e di sovente il rifugio sicuro

della disonesta e della scelleratezza negli affari gravi, e nello stesso tempo l•fasilo

dell•finsolenza, della sfacciataggine e della rozzezza nelle cose di lieve momento, per la

semplicissima ragione che nessuno si vuol prender la briga di castigare queste brutte qualita

a rischio della vita. In prova vediamo il duello rigogliosamente in fiore, e praticato colla piu

sanguinaria serieta, precisamente presso quella nazione la quale, nelle sue relazioni

politiche e finanziarie, ha mostrato mancanza di vera onesta: a chi ne ha fatto la prova

bisognerebbe domandare di che natura sieno le relazioni private cogli individui di quella

nazione; in quanto poi alle loro maniere civili ed alla loro coltura sociale, sono cose che da

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lunga data hanno grande celebrita come modelli negativi.

Tutti questi motivi che vengono allegati sono adunque privi di fondamento. Si

potrebbe affermare con piu ragione che, come il cane brontola quando lo si irrita e fa vezzi

quando lo si carezza, nello stesso modo e proprio della natura dell•fuomo il rendere ostilita

per ostilita e l•fessere esacerbato ed irritato per le manifestazioni dello sprezzo o dell•fodio.

Cicerone l•fha gia detto: •áL•fingiuria ha un certo aculeo che gli stessi uomini saggi e

prudenti difficilmente possono tollerare•â, ed infatti in nessuna parte del mondo (fatta

eccezione di alcune sette divote) si sopportano con calma le ingiurie, o, a piu forte ragione,

le percosse. Ma la natura c•finsegna di non andar al di la d•funa rappresaglia equivalente

all•foffesa, non ci dice mica di punir colla morte colui che ci accusasse di menzogna, di

stupidita, o di codardia. L•fantica massima tedesca: •áAd uno schiaffo con uno stile•â e un

pregiudizio cavalleresco che muove a sdegno. In qualunque caso si e alla collera che tocca

rendere o vendicare le offese, e non all•fonore od al dovere, ai quali il principio dell•fonore

cavalleresco ne impone l•fobbligo. E certo d•faltronde che un rimprovero non offende che

nella misura con cui ci colpisce; cio che lo prova si e che la piu piccola allusione, che batta

giusto, ferisce molto piu profondamente di un•faccusa assai piu grave ma che non sia

fondata. Per conseguenza chiunque ha la coscienza sicura di non aver meritato un

rimprovero, puo disdegnarlo e non gliene calera. Il principio dell•fonore invece gli impone

di mostrare una irritazione che non prova e di vendicare col sangue offese che non lo hanno

colpito. Eppure e veramente aver pochissima opinione del proprio valore il cercar di

soffocare ogni parola che mostrasse di metterlo in dubbio! La vera stima di se stesso dara la

calma ed il disprezzo reale delle ingiurie; in mancanza di essa, la prudenza e la buona

educazione ci comandano di salvare l•fapparenza e di dissimulare la nostra collera. Se

inoltre noi giungessimo a spogliarci dal pregiudizio del principio cavalleresco; se nessuno

piu ammettesse che un insulto fosse capace di togliere o di restituire checchessia all•fonore;

se si fosse convinti che un torto, una brutalita, una villania non possono essere giustificati

all•fistante colla sollecitudine che si vorra mettere a darne soddisfazione, cioe a battersi,

allora ognuno arriverebbe a comprendere che quando si tratta d•finvettive e d•fingiurie, si e il

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vinto che sorte vincitore dal combattimento, e che, come dice Vincenzo Monti, delle

ingiurie avviene lo stesso come delle processioni sacre, le quali ritornano sempre al loro

punto di partenza. Allora non basterebbe piu, come attualmente, spacciare una insolenza per

mettere il diritto dalla nostra parte; allora il senno e la ragione avrebbero ben altra autorita,

mentre oggidi devono, prima di parlare, vedere se non urtano in checchessia l•fopinione

delle menti meschine e degli imbecilli che irrita ed allarma gia la loro sola apparizione, che

altrimenti l•fintelligenza puo trovarsi nel caso di giuocare in un colpo di dadi, la testa ove

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risiede contro il cervello grossolano ove e alloggiata la stupidita. Allora la superiorita

intellettuale occuperebbe realmente nella societa il primo posto che gli e dovuto e che si da

oggi, benche in modo mascherato, alla superiorita fisica ed al coraggio alla ussara; di piu

allora vi sarebbe, per gli uomini eminenti, un motivo di meno per fuggire la societa, cio che

fanno attualmente. Un mutamento tanto radicale farebbe nascere il vero bon ton e

fonderebbe la vera buona societa nella forma in cui, senza dubbio, ha esistito a Roma, a

Corinto ed in Atene. A chi volesse averne saggio raccomando di leggere il Banchetto di

Senofonte.

L•fultimo argomento in difesa del codice cavalleresco sara senza dubbio concepito

cosi: •áAndiamo dunque! ma allora un uomo potrebbe, Dio ce ne guardi, percuotere un

altro!•â A cio potrei rispondere, senza frasi reboanti, che il caso si e presentato ben di

frequente in quei 999/1000 della societa presso i quali tale codice non e ammesso, senza che

un solo individuo ne sia morto, mentre che presso coloro che ne seguono i precetti, ogni

percossa, per regola, diventa una faccenda mortale.

Ma voglio esaminare la questione piu in dettaglio. Io mi sono molto di sovente affaticato

la mente per trovare nella natura animale od intellettuale dell•fuomo una qualche ragione

valida od anche solamente plausibile, fondata non su semplici modi di dire, ma su nozioni

distinte, una qualche ragione, ripeto, che possa giustificare la convinzione, profondamente

radicata in una parte della specie umana, che una percossa e una orribile cosa: tutte le mie

ricerche riescirono vane. Una percossa non e e non sara mai che un piccolo male fisico che

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ogni uomo puo cagionare ad un altro, senza provare con cio altra cosa se non che egli e piu

forte o piu destro, oppure che l•faltro non stava in guardia. Dall•fanalisi di piu non abbiamo.

Inoltre io vedo questo stesso cavaliere per il quale, una percossa ricevuta dalla mano di un

uomo sembra il piu grande di tutti i mali, ricevere un colpo dieci volte piu forte dal suo

cavallo ed assicurare, trascinando la gamba e dissimulando il dolore, che non e niente.

Allora ho supposto che cio dipendesse dalla mano dell•fuomo. Vedo pero il nostro cavaliere

in un combattimento, ricever dalla mano di un uomo colpi di punta e di taglio ed assicurare

ancora che sono bagattelle di cui non vale la pena di parlare. Imparo inoltre che i colpi di

lama piatta non sono a un dipresso tanto terribili come i colpi di bastone, sicche molto di

recente gli allievi delle scuole militari erano ancora passibili dei primi, e giammai degli

altri. Ma v•fha di piu: nella iniziazione di un cavaliere il colpo col piatto della lama e un

grandissimo onore. Ed ecco esauriti tutti i miei motivi psicologici e morali; ora non mi resta

piu che a considerare la cosa come un•fantica superstizione, profondamente radicata, come

un nuovo esempio, a lato di tanti altri, di quanto si puo dare ad intendere agli uomini. Cio

che e provato anche dal fatto ben noto che in China i colpi di bastone sono una punizione

civile impiegata assai frequentemente anche riguardo a funzionari d•fogni grado; la qual

cosa dimostra che cola la natura umana, pur anco fra le persone piu civili, non parla come

da noi20.

Inoltre un esame imparziale della natura umana c•finsegna che il battere e tanto

naturale all•fuomo quanto il mordere agli animali carnivori e il dar colpi di testa alle bestie

cornute; l•fuomo e, propriamente parlando, un animale percuotitore. Per questo siamo mossi

a sdegno quando sentiamo che un uomo ha morsicato un altro uomo: dare o ricever colpi

invece e per esso un effetto tanto naturale quanto frequente. Si comprende facilmente come

le persone d•funa educazione finita cerchino di sottrarsi a tali effetti dominando

reciprocamente la loro naturale inclinazione. Ma havvi invero della crudelta nel voler far

credere ad una intera nazione, od anche solo ad una classe d•findividui, che ricevere una

percossa sia una disgrazia spaventevole, che dev•fessere seguita dall•fomicidio. Ci sono

troppi veri mali a questo mondo perche sia permesso d•faumentarne il numero e crearne

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20 Venti o trenta colpi di canna sulle natiche sono, per cosi dire, il pane quotidiano dei Chinesi. E questa

una correzione paterna del mandarino, correzione che non ha niente d•finfamante, e che viene ricevuta

con vivi

ringraziamenti (Lettres edifiantes et curieuses, ediz. del 1819, voi XI, pag. 454). (Citazione dell•fAutore).

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d•fimmaginari che ne portano pur troppo di reali seco loro, cio che fa tuttavia questo sciocco

e scellerato pregiudizio. Come conseguenza io non potrei che disapprovare quei governi e

quei corpi legislativi che gli vengono in aiuto affaticandosi con ardore per far abolire, tanto

nel codice civile che nel militare, le punizioni corporali. Cosi facendo essi credono di agire

nell•finteresse dell•fumanita, quando, al contrario, lavorano cosi a consolidare questo

traviamento snaturato e funesto a cui sono gia state sacrificate tante vittime. Per ogni colpa,

salvo le piu gravi, infliggere alcune bastonate e la punizione che nell•fuomo si presenta per

prima alla mente; dunque e la piu naturale; chi non si sottomette alla ragione, si

sottomettera ai colpi. Punire con una leggera bastonatura colui che non puo esser colpito

nelle ricchezze quando non ne ha, e che non puo esser privato della liberta, quando si ha

bisogno de•f suoi servigi, e un atto tanto giusto quanto naturale. Percio non viene presentata

alcuna buona ragione contro questo principio; gli oppositori si contentano d•finvocare la

dignita dell•fuomo, maniera di parlare che non si appoggia sopra una nozione veramente

chiara, ma ancora e sempre sul fatale pregiudizio di cui abbiamo parlato piu in alto. Un

fatto recente dei piu comici viene a confermare tale stato di cose: molti Stati hanno or ora

sostituito nell•farmata le stangate alle bastonate; le stangate come ogni altro colpo,

producono senza dubbio un dolore fisico, e nondimeno sono tenute per non infamanti, ne

disonoranti.

Stimolando cosi il pregiudizio che ci tien servi, s•fincoraggia nello stesso tempo il

principio dell•fonore cavalleresco e quindi del duello, mentre d•faltra parte si fanno sforzi, o

piuttosto si pretende di sforzarsi per abolire colle leggi il duello21. Cosi vediamo questo

frammento del diritto del piu forte, trasportato attraverso il tempo dal medio-evo al XIX

secolo, fare oggi ancora scandalosa mostra di se in pieno giorno; e tempo alla fin fine di

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cacciarlo vergognosamente. Oggidi, quando e proibito di addestrare con metodo cani e galli

a battersi gli uni contro gli altri (in Inghilterra almeno questi combattimenti sono puniti), ci

e dato veder creature umane eccitate loro malgrado a lotte mortali: si e da questo ridicolo

pregiudizio, da questo principio assurdo dell•fonore cavalleresco, si e da questi stupidi

rappresentanti e da questi campioni che, per la prima bagattella insorta, viene imposto agli

uomini l•fobbligo di battersi fra loro come gladiatori. Propongo ai nostri puristi tedeschi di

rimpiazzare la parola duell, derivata probabilmente non dal latino duellum, ma dallo

spagnuolo duelo (danno, querela, pena), colla parola Ritterhetze (lotta di cavalieri, come si

dice lotta di galli o di bull-dogs). Si ha certamente amplio soggetto al riso nel vedere le

formalita pedanti con cui si compiono tutte queste follie. Non si e per cio meno mossi a

sdegno, riflettendo che questo principio, col suo codice assurdo, costituisce nello Stato uno

Stato che, non riconoscendo altro diritto se non quello del piu forte, tiranneggia le classi

sociali che sono sotto il suo dominio collo stabilire un tribunale permanente della Santa-

Vehme; ognuno puo esser citato da chichessia a comparirvi; i motivi della citazione, facili a

trovare, fanno l•fofficio di sbirri del tribunale, e la sentenza pronunzia la pena di morte

contro le due parti. E questo naturalmente il rifugio dal fondo del quale l•findividuo piu

spregevole, alla sola condizione di appartenere alle classi soggette alle leggi dell•fonore

21 Ecco, secondo me, qual•fe il vero motivo per cui i governi non si sforzano che in apparenza a proscrivere

i duelli, cosa ben facile, sopra tutto nelle Universita, e d•fonde viene che essi pretendano non potervi

riuscire;

lo Stato non e in grado di pagare con danaro i servigi dei suoi officiali e dei suoi impiegati civili al loro giusto

valore; percio fa consistere l•faltra meta dei loro emolumenti in onore, rappresentato dai titoli, dalle

uniformi e

dalle decorazioni. Per mantenere tale prezzo ideale dei loro servigi ad un corso elevato, bisogna, con ogni

mezzo, sostenere, avvivare ed anche esaltare un po•f il sentimento dell•fonore; siccome a tal uopo

l•fonore

borghese non basta per la semplice ragione che e proprieta comune di tutti, si chiama in aiuto l•fonore

cavalleresco che si stimola, come abbiamo gia dimostrato. In Inghilterra, ove il soldo dei militari e degli

impiegati civili e molto maggiore che sul continente, non si ha bisogno d•fun tale espediente; sicche, da

una

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ventina d•fanni specialmente, il duello vi e quasi affatto caduto in disuso; e nelle rare occasioni in cui vi si

ricorre ancora, il pubblico ne ride come d•funa pazzia. E certo che la grande Anti-duelling Society, che conta

fra i suoi membri una folla di lord, d•fammiragli e di generali, ha contribuito assai a questo risultato, e il

Moloch deve cosi far a meno di vittime. (Nota dell•fAutore).

50

cavalleresco, potra minacciare, od anche uccidere gli uomini piu nobili e migliori, che sono

precisamente quelli che odia di necessita. Poiche al giorno d•foggi la giustizia e la polizia

hanno guadagnato presso a poco abbastanza autorita perche un briccone non possa piu

arrestarci per la strada gridandoci: la borsa o la vita!, sarebbe tempo che il buon senso

assumesse altrettanta autorita affinche la prima canaglia venuta non possa piu venirci a

turbare nel bel mezzo della nostra esistenza piu pacifica esclamando: l•fonore o la vita!

Bisogna finalmente liberare le classi superiori dal peso che le opprime, bisogna affrancarci

tutti dall•fangoscia di sapere che possiamo ad ogni momento essere chiamati a pagare colla

nostra vita la brutalita, la rozzezza, la balordaggine o la cattiveria di tale individuo cui avra

piaciuto scaricarla contro di noi. E ingiusto, e vergognoso che due giovani inesperti e senza

cervello sieno tenuti ad espiare col loro sangue la piu piccola contesa. Ecco un fatto che

prova a quale altezza si sia levata la tirannia di questo Stato nello Stato, ed a qual punto sia

arrivato il potere di questo pregiudizio: si e visto spesso persone uccidersi per la

disperazione di non aver potuto ristabilire il loro onore cavalleresco offeso, sia perche

l•foffensore era di troppo alta o di troppo bassa condizione, sia per tutt•faltra causa di

disproporzione che rendeva il duello impossibile; una tal morte non e proprio tragicomica?

Tutto quanto e falso ed assurdo si rivela alla fine per cio che, giunto al suo sviluppo

perfetto, porta come fiore una contraddizione; egualmente nel caso nostro la contraddizione

sboccia sotto la forma della piu ingiusta antinomia; infatti il duello e proibito all•fufficiale, e

nondimeno questi e punito colla destituzione se, dandosene il caso, si rifiutasse di battersi.

Poiche ci sono, voglio andare ancora piu avanti col mio parlar franco. Esaminata con

cura e senza prevenzioni, la grande differenza, che si fa risuonare tanto forte, tra l•fuccidere

il proprio avversario in una lotta alla piena luce del sole e ad armi eguali oppure in un

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agguato, e fondata semplicemente su quanto abbiamo gia detto che cioe questo Stato nello

Stato non riconosce altro diritto che quello del piu forte e ne fa la base del suo codice dopo

averlo elevato all•faltezza di un giudizio di Dio. Infatti, cio che si chiama un combattimento

leale non prova altra cosa se non che si e o il piu forte o il piu abile. La giustificazione che

si cerca colla pubblicita del duello presuppone dunque che il diritto del piu forte sia

realmente un diritto. Ma la circostanza che il mio avversario sa difendersi male mi da

effettivamente la possibilita, e non il diritto di ucciderlo; questo diritto, altrimenti detto la

mia giustificazione morale, non puo derivare che dai motivi che io ho di togliergli la vita.

Ammettiamo ora che questi motivi esistino e che sieno soddisfacenti; allora non v•fha piu

alcuna ragione di cercar prima chi di noi due maneggia meglio la pistola o la spada, allora e

indifferente che io lo uccida in tale o tal•faltra maniera, per davanti o per di dietro. Perocche,

moralmente parlando, il diritto del piu forte non ha piu peso del diritto del piu scaltro, ed e

di quest•fultimo che si fa uso quando si ammazza a tradimento: qui il diritto del pugno vale

esattamente il diritto della testa. Osserviamo inoltre che anche nel duello sono messi in

pratica i due diritti, perche ogni finta nella scherma e un inganno. Se io mi credo

moralmente autorizzato a toglier la vita ad un uomo, farei una sciocchezza col rimettermi

alla sorte s•fegli sapesse maneggiare le armi meglio di me, perocche in questo caso sara lui

che dopo avermi offeso mi uccidera per soprammercato. Rousseau e d•favviso che bisogna

vendicar un•foffesa non col duello, ma coll•fassassinio; egli presenta tale sua opinione con

molte precauzioni nella 21.a nota, concepita in termini cosi misteriosi, del IV libro

dell•fEmilio22. Ma egli e ancora cosi fortemente imbevuto dal pregiudizio cavalleresco che

22 Ecco la famosa nota: Ma se altri cercasse di altercare con lui, come dovra egli comportarsi? Rispondo

ch•fegli non avra mai alterchi, se non si prestera abbastanza per averne. Ma infine, si seguitera a chiedere,

chi

sara salvo da uno schiaffo o da una smentita da parte d•fun brutale, d•fun ubbriaco, o d•fun bravaccio

briccone

che per avere il piacere di uccidere un uomo comincia col disonorarlo? Allora e un•faltra cosa: e necessario

che l•fonore dei cittadini e la loro vita non sieno in balia d•fun brutale, d•fun ubbriaco o d•fun bravaccio

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briccone, e non si puo preservarsi da un tale accidente meglio che dalla caduta di una tegola. Uno schiaffo

ed

una smentita ricevuti e sofferti hanno effetti civili che nessuna saggezza puo prevenire, e di cui nessun

tribunale puo vendicare l•foffeso. L•finsufficienza della legge gli rende dunque in cio l•findipendenza; egli e

51

considera il rimprovero d•funa menzogna come giustificazione dell•fassassinio, mentre

dovrebbe sapere che ogni uomo ha meritato questo rimprovero innumerevoli volte, egli

stesso per primo ed al piu alto grado. E evidente che il pregiudizio che autorizza ad

uccidere l•foffensore a condizione che il combattimento succeda di pieno giorno e ad armi

eguali, considera il diritto della forza come se fosse realmente un diritto, e il duello come

un giudizio di Dio. Almeno l•fitaliano che bollente di collera assalta senza complimenti, a

colpi di coltello, l•fuomo che lo ha offeso, agisce in modo logico e naturale: egli e piu

scaltro, ma non piu cattivo del duellista. Se si volesse oppormi che cio che mi giustifica

dell•fuccisione del mio avversano in duello si e che da parte sua egli cerca di fare altrettanto,

risponderei che provocandolo l•fho messo nel caso di legittima difesa. Mettersi cosi

mutuamente e con intenzione nel caso di legittima difesa non significa altro, in conclusione,

se non cercare un pretesto plausibile per l•fomicidio. Si potrebbe meglio trovare una

giustificazione nella massima: •áVolenti non fit injuria•â (Non si fa torto a chi v•facconsente),

poiche si e di comune accordo che si rischia la vita; ma a cio si potrebbe replicare che

volens non e parola esatta, perocche la tirannia del principio dell•fonore cavalleresco e del

suo codice assurdo e l•falguazilo che ha trascinato i due campioni, o per lo meno uno di essi,

davanti questo tribunale sanguinario della Santa-Vehme.

Mi sono fermato a lungo sull•fonore cavalleresco, ma lo feci con una buona intenzione

e perche la filosofia e l•fErcole che solo puo combattere sulla terra le mostruosita morali ed

intellettuali. Due cose principalmente distinguono lo stato della societa moderna da quello

della societa antica, e cio a detrimento della prima a cui danno una tinta seria, tetra, sinistra

da cui non era velata l•fantichita, cio che la fa apparir candida e serena come il mattino della

vita. Queste due cose sono: il principio dell•fonor cavalleresco e la sifilide, par nobile

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fratrum. A loro due hanno avvelenato ƒËƒÃ.ƒÈƒÍ. ƒÈƒ¿ƒÇ ƒÇƒÉ.ƒ¿ della vita (i contrasti e le amicizie

della vita). Infatti l•finfluenza della sifilide e molto piu estesa che non sembri a prima vista

per cio che tale influenza non e solamente fisica ma anche morale. Dappoiche la faretra

d•famore porta anche freccie avvelenate s•fe introdotto nelle mutue relazioni dei sessi un

elemento eterogeneo, ostile, direi quasi diabolico, il quale fa che esse sieno pregne d•funa

tetra e paurosa diffidenza: gli effetti indiretti d•funa tale alterazione nel fondamento d•fogni

comunita umana si fanno sentire egualmente, a gradi diversi, in tutte le altre relazioni

sociali; ma la loro analisi dettagliata mi trarrebbe troppo lungi. Analoga, benche di tutt•faltra

natura, e l•finfluenza del principio d•fonore cavalleresco, questa forza di grave conseguenza

che rende la moderna societa rigida, cupa ed inquieta poiche ogni parola fuggitiva vi e

scrutata e discussa. Ma non e tutto. Questo principio e un Minotauro universale a cui

bisogna sacrificare ogni anno un gran numero di figli di famiglie nobili, presi non in un

solo Stato, come per il mostro antico, ma in tutti i paesi d•fEuropa. Sicche e tempo alla fine

d•fattaccare coraggiosamente corpo a corpo la chimera, come ho fatto or ora. Possa il XIX

secolo sterminare questi due mostri dei tempi moderni! Noi non disperiamo di vedere i

medici riuscirvi circa uno di essi col mezzo della profilassia. Ma appartiene alla filosofia

l•fannientar la chimera raddrizzando le idee; i governi non hanno potuto aver buon esito

colle leggi, che il solo ragionamento filosofico puo attaccare il male nella radice. Fino a che

questo avvenga, se i governi vogliono seriamente abolire il duello, e se il piccolissimo

successo dei loro sforzi non dipende che dalla loro impotenza, io vengo a proporre loro una

legge di cui garantisco l•fefficacia e che non reclama operazioni sanguinose, ne patiboli, ne

allora il solo magistrato, il solo giudice tra l•foffensore e se stesso: egli e il solo interprete e il solo ministro

della legge naturale, egli si deve giustizia e solo puo rendersela e non v•fha sulla terra governo tanto

insensato

per punirlo di essersela fatta in caso tale. Non dico che debba andare a battersi, sarebbe una stravaganza;

dico

ch•fegli si deve giustizia e che ne e il solo esecutore. Senza tanti vani editti contro il duello, se io fossi

sovrano,

garantisco che non sarebbero mai dati schiaffi ne smentite nel mio regno, e cio con un mezzo molto

semplice,

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con cui i tribunali non avrebbero a che fare. Checche ne sia Emilio conosce la giustizia che in tal caso deve a

se stesso, e l•fesempio che deve alle persone d•fonore. Non dipende dall•fuomo il piu risoluto l•fimpedire

che lo

si insulti; ma dipende da lui l•fimpedire che si possa vantarsi a lungo di averlo insultato. (N. del Trad.).

52

forche, ne prigioni perpetue. Si tratta invece di un piccolo, di un piccolissimo rimedio

omeopatico dei piu facili; eccolo: •áChiunque mandera o accettera una sfida ricevera alla

chinese, di pieno giorno, davanti il corpo di guardia dodici colpi di bastone per mano del

caporale; chi porto la sfida, e cosi pure i testimoni ne riceveranno sei cadauno23. Per le

conseguenze eventuali del duello succeduto si seguira la procedura criminale ordinaria•â.

Qualche cavaliere mi porra forse l•fobiezione che dopo aver subito un tale castigo molti

•áuomini d•fonore•â saranno capaci di bruciarsi le cervella; a cio rispondo: Val meglio che un

pazzo uccida se stesso, piuttosto che un altro uomo. Ma so molto bene che in sostanza i

governi non cercano seriamente l•fabolizione dei duelli. Gli stipendi degli impiegati civili,

ma sopra tutto quelli degli ufficiali (salvo nei gradi elevati) sono molto inferiori al valore di

cio che producono. Quindi si paga loro la differenza in onore. Questo e rappresentato dai

titoli e dalle decorazioni, e, sotto un punto di vista piu largo e piu generale, dall•fonore della

funzione. Ora per tale onore il duello e un eccellente cavallo da maneggio il cui

ammaestramento comincia gia nelle Universita. Si e col loro sangue che le vittime pagano il

deficit dello stipendio.

Per non fare alcuna ommissione ricordiamo qui ancora l•fonore nazionale. E desso

l•fonore di tutto un popolo considerato come membro della comunita dei popoli. Questa

comunita non riconoscendo altro foro che quello della forza, e ciascun membro avendo per

conseguenza da difendere da se stesso i suoi diritti, l•fonore di una nazione non consiste solo

nell•fopinione fermamente stabilita che essa merita fiducia (il credito), ma di piu che essa e

abbastanza forte perche la si tema; percio una nazione non dovrebbe lasciar impunita la piu

piccola offesa ai suoi diritti. L•fonore nazionale combina dunque il punto d•fonore borghese

col punto d•fonore cavalleresco.

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4. La gloria.

In cio che si rappresenta ci resta da esaminare per ultimo la gloria. Onore e gloria

sono gemelli, ma alla maniera dei Dioscuri di cui uno, Polluce, era immortale e l•faltro,

Castore, mortale: l•fonore e il fratello mortale della gloria immortale. E evidente che cio non

si deve intendere che della gloria la piu alta, della gloria vera e di buona lega, perocche

v•fhanno pure molte specie effimere di gloria. Inoltre l•fonore non si applica che a qualita

che il mondo esige da tutti coloro i quali si trovano in condizioni simili, la gloria invece si

applica a qualita che non si possono pretendere da alcuno; l•fonore si riferisce a meriti che

ciascuno puo attribuirsi pubblicamente, la gloria a meriti che nessuno puo attribuirsi da se

stesso. Mentre l•fonore non va oltre i limiti in cui siamo personalmente conosciuti, la gloria,

tutto all•fopposto, precede nel suo volo la conoscenza dell•findividuo e se la porta dietro

tanto lontano quanto arrivera ella stessa. Ognuno puo pretendere all•fonore; alla gloria le

sole eccezioni, perocche non la si acquista che con produzioni eccezionali. Tali produzioni

possono essere atti od opere: da cio due strade per giungere alla gloria. Un animo grande

sovra ogn•faltra cosa ci apre la via degli atti; una mente grande ci rende capaci di seguir

quella delle opere. Ciascuna delle due ha vantaggi ed inconvenienti suoi propri. La

differenza capitale si e che le azioni passano, e le opere rimangono. L•fazione la piu nobile

ha sempre un•finfluenza solamente temporanea, l•fopera del genio invece sussiste ed agisce,

benefica e nobilitante, a traverso i tempi. Delle azioni non resta che la memoria che diventa

sempre grado a grado piu piccola, svisata e indifferente; essa e pur anco destinata a sparire

affatto se la storia non la raccoglie per trasmetterla, pietrificata, alla posterita. Le opere in

cambio sono immortali da per se stesse, e le opere scritte sopra tutto possono vivere in ogni

tempo. Il nome e la memoria di Alessandro il Grande sono soli viventi oggidi; ma Platone,

23 E il medico che assiste al duello, come andrebbe trattato? (domanda il traduttore).

53

Aristotele, Omero ed Orazio sono presenti essi stessi, vivono ed agiscono direttamente. I

Veda, colle loro Upanishadi sono la, davanti a noi; ma di tutte le azioni compite nel loro

tempo, non la piu piccola nozione e giunta fino a noi24 W. Un altro svantaggio delle azioni

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si e che esse dipendono dalla occasione che, prima di ogn•faltra cosa, deve dar loro la

possibilita di prodursi: d•fonde risulta che la grandezza della loro gloria non e regolata

unicamente dal loro valore intrinseco, ma anche dalle circostanze che danno loro

importanza e splendore. La gloria delle azioni deriva inoltre, quando queste sono puramente

personali, come in guerra, dalla relazione d•fun piccolo numero di testimoni oculari; ora puo

succedere che non vi sieno stati testimoni, o che questi sieno ingiusti o mal prevenuti.

D•faltra parte le azioni, essendo qualche cosa di pratico, hanno il vantaggio d•fesser alla

portata delle facolta che intendono e giudicano presso tutti gli uomini; percio si rende loro

immediatamente giustizia non appena i dati sono esattamente prodotti, a meno che tuttavia i

motivi non ne possano esser nettamente conosciuti o giustamente apprezzati che piu tardi,

perocche, per ben comprendere un•fazione, bisogna conoscerne il motivo.

Per le opere la cosa e affatto diversa; la loro produzione non dipende dall•foccasione,

ma unicamente dal loro autore, ed esse restano quello che sono in se stesse e da per se

stesse per quanto a lungo durino. Qui, in cambio, la difficolta consiste nella facolta di

giudicarle, e la difficolta e tanto piu grande quanto piu le opere sono di qualita eminente; di

sovente mancano giudici competenti; di sovente pure mancano giudici imparziali ed onesti.

Di piu non e un tribunale solo che decide della loro gloria, havvi sempre luogo ad appello.

Infatti se, come abbiamo detto, la memoria delle azioni giunge alla posterita sola, e quale i

contemporanei l•fhanno trasmessa, le opere al contrario vanno ai posteri da per se stesse, e

quali sono, salvo i frammenti perduti: qui dunque non v•fha la possibilita di snaturare i dati,

e se al loro apparire l•fambiente ha potuto esercitare qualche influenza dannosa, questa piu

tardi sparisce. Anzi, per meglio dire, si e il tempo che produce, uno ad uno, il piccolo

numero di giudici veramente competenti, chiamati, come esseri eccezionali quali sono, a

giudicarne di piu eccezionali ancora: eglino depongono successivamente nell•furna i loro

voti significativi, e con cio si stabilisce, qualche volta dopo secoli, un giudizio pienamente

fondato e che il progredire del tempo non puo invalidare. Si vede quindi che la gloria delle

opere e assicurata, infallibile. Occorre un concorso di circostanze esterne ed un azzardo

perche l•fautore arrivi alla gloria durante la vita; il caso sara tanto piu raro quanto piu il

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genere delle sue opere sara difficile ed elevato. Percio Seneca ha detto (Ep. 79), in un

linguaggio incomparabile, che la gloria segue tanto infallantemente il merito quanto

l•fombra il corpo, benche essa cammini, come l•fombra, ora davanti ed ora di dietro. Dopo

aver sviluppato questa idea egli aggiunge: •áAncorche l•finvidia imponesse silenzio su di te

a tutti i viventi verra chi giudichera senza odio, senza amore;•â questo passo ci mostra nel

tempo stesso che l•farte di soffocare malignamente i meriti col silenzio e con una finta

ignoranza, allo scopo di nascondere al pubblico cio che e buono a profitto di cio che e

cattivo, e stata gia messa in pratica dalla canaglia fin dall•fepoca di Seneca, come lo si fa

dalla canaglia ai nostri giorni, e che all•funa e all•faltra e l•finvidia che chiude la bocca.

24 Percio si fa un brutto complimento quando, come e di moda oggidi, credendo render onore ad opere, le

si chiama atti. E cio perche le opere sono, per la loro essenza, d•funa specie superiore. Un atto e sempre

un•fazione basata sopra un motivo, per conseguenza, qualche cosa d•fisolato, di transitorio, ed

appartenente

all•felemento generale e primitivo del mondo, alla volonta. Una grande e bella opera e cosa durevole,

perocche

la sua importanza e universale, ed ella stessa procede dall•fintelligenza, da quell•fintelligenza innocente e

pura

che si leva come un profumo al di sopra del basso mondo della volonta.

Fra i vantaggi della gloria delle azioni v•fha pur quello di prodursi ordinariamente d•fimprovviso con

grande

splendore, cosi grande che talvolta l•fEuropa intera ne e abbarbagliata, mentre la gloria delle opere non

giunge

che con lentezza od insensibilmente debole da bel principio, poi cresce piu e piu, e di sovente non arriva a

tutta la sua potenza che dopo un secolo; ma allora rimane cosi per migliaia d•fanni, perche anche le opere

rimangono. L•faltra gloria, passata la prima esplosione, s•findebolisce gradatamente, e sempre meno

conosciuta, e finisce col non esister piu che nella storia allo stato di fantasma. (Nota dell•fAutore).

54

D•fordinario la gloria e tanto piu tardiva quanto piu sara durevole, perocche tutto cio

che e squisito matura adagio. La gloria chiamata ad esser eterna e pari alla quercia che

cresce lentamente dal seme; la gloria facile, effimera somiglia alle piante annuali, rapide a

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crescere; in quanto poi alla gloria falsa essa e come quelle cattive erbaccie che nascono a

vista d•focchio e che si cerca in tutta fretta di estirpare. E questo perche quanto piu un uomo

appartiene alla posterita, o con altre parole all•fumanita intiera in generale, tanto piu e

straniero alla sua epoca; perocche cio che egli crea non e destinato specialmente a questa

come tale, ma come parte dell•fumanita collettiva; percio queste opere non essendo tinte del

color locale del loro tempo, succede ben di sovente che i contemporanei le lascino passare

inosservate. Cio che costoro apprezzano sono piuttosto le opere che trattano delle cose

fuggevoli del giorno, o che servono al capriccio del momento; queste appartengono loro

completamente, vivono e muoiono con essi. Cosi la storia dell•farte e della letteratura

c•finsegna generalmente che le piu alte produzioni della mente umana sono state accolte, di

regola, con disfavore e sono rimaste in abbandono disdegnate fino al giorno in cui spiriti

elevati, attratti da esse, hanno riconosciuto il loro valore ed hanno assegnato loro una

considerazione che da quel momento conservarono costantemente. In ultima analisi tutto

questo ha fondamento sul fatto che ciascuno non puo realmente comprendere ed apprezzare

se non quanto gli e omogeneo. Ora l•fomogeneo per l•fuomo d•fingegno limitato si e cio che e

limitato; per l•fuomo triviale cio che e triviale; per una mente vasta cio che e vasto, e per

l•finsensato l•fassurdo; quello che ciascuno preferisce e l•fopera sua propria, essendo cosa

della stessa natura.

Gia il vecchio Epicarmo, il poeta favoloso, cantava cosi: •áNon e cosa ammirabile

ch•fio parli cosi, e che un simile piaccia al suo simile, e gli sembri esser nato bello;

imperocche il cane par cosa bellissima al cane, ed il bue al bue, l•fasino all•fasino sembra una

maraviglia, il porco al porco•â. Val bene la pena di tradurre questi versi, affinche quanto

esprimono non sia perduto per nessuno25.

Lo stesso braccio piu vigoroso quando lancia un corpo leggero, non puo comunicargli

abbastanza moto perche vadi lontano e colpisca fortemente; il corpo cadra inerte da vicino

perche, mancando di massa materiale propria, non puo ricevere forza dall•festerno; tale sara

la sorte dei pensieri grandi e belli, dei capolavori del genio, quando, per esser compresi, non

incontrano che cervelli piccoli, teste deboli o balzane. Ecco quanto i saggi di tutti i tempi

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hanno ad una voce e senza posa deplorato. Gesu, figlio di Sirach, per esempio dice: •áChi

parla ad uno stolto parla ad un addormentato; quando ha finito di parlare l•faltro

domanda: che hai?•â . In Amleto: •áUn discorso sagace dorme nell•forecchio di uno

sciocco•â. . Goethe a sua volta: •áLa parola piu felice perde il suo valore quando chi

l•fascolta ha l•forecchio di traverso•â. Ed anche: •áTu non puoi agire, tutto sta inerte (ottuso);

non te ne affliggere! Il sasso gettato nella palude non fa cerchi•â.

Ecco Lichtenberg: •áQuando una testa ed un libro urtandosi danno un suono fesso,

dipende cio sempre dal libro?•â Lo stesso autore disse altrove: •áTali opere sono specchi;

quando vi si mira una scimmia non possono riflettere le sembianze d•fun apostolo•â.

Riportiamo pure il bello e toccante lamento del vecchio papa Gellert, che ben lo

merita: •áQuante volte le migliori qualita trovano scarsi ammiratori, e quante volte la

maggior parte degli uomini prende il cattivo per buono! E questo un male che si vede ogni

giorno. Ma come evitare tale pestilenza? Dubito che questa calamita possa esser bandita dal

mondo. Non vi sarebbe a tal uopo che un solo mezzo sulla terra, ma e infinitamente

difficile: che cioe i matti diventassero savi. Ma che! Cio non sara mai. Essi non conoscono

il valore delle cose, giudicano cogli occhi, non colla ragione. Lodano costantemente cio che

e vile perche non hanno mai conosciuto il buono.•â

25 Per ben comprendere il senso delle parole di Schopenhauer bisogna sapere che il grande pessimista, non

traduce mai le citazioni latine, e che delle greche da solamente, e non sempre, la traduzione in latino. Per

Epicarmo fa un•feccezione in favore degl•fignoranti sempre da lui profondamente dispregiati. (Nota del

Trad.).

55

A questa incapacita intellettuale degli uomini la quale fa che, come disse Goethe, sia

meno raro veder nascere un•fopera eminente che non di vederla conosciuta ed apprezzata,

viene ad aggiungersi ancora la loro perversita morale che si manifesta coll•finvidia.

Perocche colla gloria che si acquista, havvi un uomo di piu che si leva sopra gli altri della

sua specie; costoro sono dunque abbassati altrettanto, di modo che ogni merito straordinario

ottiene la sua gloria a spese di coloro che non hanno meriti: •áQuando noi rendiamo onore

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agli altri dobbiamo abbassar noi stessi•â, scrive Goethe (W. O. Divan).

Ecco cio che spiega perche, non appena appare un•fopera superiore, di qual genere

non importa, tutte le innumerevoli mediocrita fanno alleanza, e congiurano per impedirle

che sia conosciuta e per soffocarla se e possibile. Loro tacita parola d•fordine si e: •áabbasso

il merito•â. Coloro stessi che hanno meriti e che sono gia al possesso della lor parte di

gloria, non vedono volentieri sorgere una gloria novella di cui lo splendore diminuira

d•faltrettanto lo splendore della gloria loro. Goethe stesso ha detto: •áSe per nascere avessi

atteso che mi si dasse la vita, non sarei ancora di questo mondo; potete ben comprenderlo

vedendo come si arrabattano coloro che, pur di parer qualche cosa, mi rinnegherebbero

volentieri•â.

Sicche, mentre l•fonore trova molto di sovente giudici retti, mentre l•finvidia non lo

attacca e lo si accorda anzi ad ognuno per antecipazione od a credenza, la gloria, tutto al

contrario, deve esser conquistata con seria lotta, a dispetto dell•finvidia, ed e un tribunale di

giudici decisamente sfavorevoli che decreta la palma. Possiamo e vogliamo divider l•fonore

con tutti, ma la gloria acquistata da un altro diminuisce la nostra o ce ne rende la conquista

piu penosa. Inoltre la difficolta d•farrivare alla gloria colle opere e in ragione inversa del

numero d•findividui di cui si compone il pubblico dedicatosi ad esse, e cio per motivi facili

a comprendere. Sicche la fatica e piu grande per le opere che hanno per iscopo l•fistruire che

non per quelle che son fatte solo per dilettare. Per i lavori di filosofia la difficolta e ancora

piu grande perche l•finsegnamento che promettono, dubbio da una parte, senza profitto

materiale dall•faltra, s•findirizza, fin da bel principio, ad un pubblico di concorrenti.

Da quanto dicemmo sulle difficolta di giungere alla gloria deriva che il mondo

vedrebbe nascere molto poche opere immortali, od anche nessuna, se coloro che possono

produrne non lo facessero per amore stesso di queste opere, per loro propria soddisfazione,

e se avessero bisogno dello stimolante della gloria. Anzi, chiunque puo produrre il buono

ed il vero, e fuggire il male, sfidera l•fopinione delle masse e dei loro organi, dunque li

disprezzera. Percio si e fatto giustamente osservare, da Osorio fra gli altri (De gloria), che

la gloria fugge davanti coloro che la cercano e segue coloro che non se ne curano, perche i

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primi si piegano al gusto dei loro contemporanei, mentre gli altri lo affrontano.

Tanto e difficile acquistar la gloria quanto e poi facile conservarla. Anche su cio essa

e in opposizione coll•fonore. Questo e accordato a tutti, anche a credito, e basta saperlo

conservare. Ma l•faffare e arduo perche una sola azione vituperevole lo fa perdere

irrevocabilmente. Al contrario la gloria non puo realmente esser mai perduta, perocche

l•fazione o l•fopera che l•fha data resta sempre compita, e la gloria ne va sempre all•fautore

quand•fanche questi non aggiungesse nuovi meriti a quelli gia acquistati. Se nondimeno essa

si estingue, se l•fautore le sopravvive, vuol dire che si trattava di gloria falsa, vale a dire non

meritata; essa proveniva da una valutazione esagerata e momentanea del merito; era una

gloria del genere di quella di Hegel, di quella gloria che Lichtenberg descrive, dicendo che

era stata •áproclamata a suono di tromba da una brigata di amici e di discepoli e ripercossa

dall•feco dei cervelli vuoti; ma come devono ridere i posteri quando un giorno, battendo

alla porta di questi castelli di parole smaglianti, di questi avanzi incantevoli d•funa moda

svanita, di queste stanze di convenzioni finite, troveranno tutto, assolutamente tutto vuoto, e

non un pensiero che risponda con fiducia: ENTRATE•â.

In conclusione, la gloria e fondata su cio che un uomo e in confronto degli altri. E

dunque in essenza qualche cosa di relativo, e non puo quindi avere che un valore relativo.

56

Essa sparirebbe totalmente se gli altri divenissero cio che e gia l•fuomo celebre. Una cosa

non puo avere un valore assoluto se non se conservando il suo prezzo in ogni circostanza;

nel caso presente cio che avra un valore assoluto sara dunque cio che un uomo e per se

stesso direttamente: ecco per conseguenza la cosa che costituira necessariamente il valore e

la felicita d•fun gran cuore e d•funa gran mente. Cio che v•fha di prezioso invero non e la

gloria, ma il meritarsela. Le condizioni che ne rendono degni sono, per cosi dire, la

sostanza; la gloria non e che l•faccidente; questa agisce sull•fuomo celebre come sintomo

esterno che viene a confermare a•f suoi occhi l•falta stima ch•fegli ha di se stesso; si potrebbe

dire che, simile alla luce che non diviene visibile se non riflessa da un corpo, ogni mente

superiore non acquista la piena coscienza di se che colla gloria. Ma il sintomo istesso non e

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infallibile, visto che esiste pure gloria senza merito, e merito senza gloria. Su questo

argomento disse Lessing in modo graziosissimo: •áVi sono uomini celebri, ve ne sono che

meriterebbero di esserlo•â. Sarebbe invero un•fesistenza ben miserabile quella il cui valore o

svilimento dipendesse da cio che essa appare agli occhi altrui, e tale sarebbe la vita

dell•feroe e dell•fuomo di genio se il prezzo della loro esistenza consistesse nella gloria, vale

a dire nell•fapprovazione altrui. Ogni individuo vive ed esiste prima di tutto per suo proprio

conto, di conseguenza principalmente in se e per se stesso. Quello che un uomo e, non ne

importa il come, lo e a bella prima e sopra tutto in se stesso; se, cosi considerato, il valore

ne e minimo vuol dire che esso e pure minimo considerato in generale. L•fimmagine invece

del nostro essere, quale si riflette nella testa degli altri uomini, e qualche cosa di secondario,

di derivato, di eventuale, non riferendosi che molto indirettamente all•foriginale. Inoltre le

teste delle masse sono un locale troppo miserabile perche la vera felicita vi possa trovare il

suo posto. Non vi si puo trovare che una felicita chimerica. Quale ibrida societa non si vede

riunita in questo tempio della gloria universale! Capitani, ministri, ciarlatani, espilatori,

ballerini, cantanti, milionari ed ebrei: precisamente cosi; i meriti di questa gente sono molto

piu sinceramente apprezzati, trovano molto maggior sentita stima che non i meriti

intellettuali, sopra tutto quelli d•fordine superiore, che non ottengono dalla grande

maggioranza che una stima sulla parola. Dal punto di vista eudemonologico la gloria non e

che il boccone piu raro e piu squisito presentato al nostro orgoglio ed alla nostra vanita. Ma

si trova una straordinaria soprabbondanza d•forgoglio e di vanita presso la maggior parte

degli uomini benche queste due condizioni sieno dissimulate; e fors•fanco le s•fincontra in

piu alto grado presso coloro che possedono, non importa a qual titolo, diritti alla gloria, e

che piu di sovente devono portare ben a lungo nell•fanimo la coscienza incerta del loro alto

valore, prima d•faver occasione di metterlo alla prova e di farlo poi conoscere; fino allora

essi hanno il sentimento di subire una secreta ingiustizia26. In generale, e come dicemmo in

principio del capitolo, il prezzo annesso all•fopinione e del tutto sproporzionato e fuor di

ragione, a tal punto che Hobbes ha potuto dire in termini molto energici ma giustissimi:

•áOgni piacere dell•fanimo, ogni soddisfazione viene dal poter avere, mettendosi a confronto

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cogli altri, un•falta opinione di se stesso. (De Cive, I, 5)•â. Cosi si spiega il prezzo

grandissimo che si annette alla gloria, e i sacrifizi che si fa nella sola speranza di arrivarvi

un giorno: •áLa fama e lo sprone che spinge le menti superiori (ultima debolezza delle

anime nobili) a sdegnare i piaceri ed a consacrare la loro vita al lavoro•â.

Come anche:

•áQuanto e faticoso l•farrampicarsi su quelle cime ove brilla il tempio della fama•â.

Percio la piu vanitosa di tutte le nazioni ha sempre in bocca la parola •ágloria•â e la

considera come il motore delle grandi azioni e delle grandi opere. Solo, siccome la gloria

non e incontestabilmente che il semplice eco, l•fimmagine, l•fombra, il sintomo del merito, e

26 Siccome il nostro maggior piacere consiste nell•fammirazione degli altri verso di noi, ma siccome

d•faltra

parte gli altri non consentono che assai difficilmente ad ammirarci anche quando l•fammirazione sarebbe

giustificata appieno, ne risulta che piu felice e colui che e giunto, non importa come, ad ammirare

sinceramente se stesso. Solamente ei non deve lasciarsi sviare dagli altri. (Nota dell•fAutore).

57

siccome in ogni caso cio che si ammira deve valere piu dell•fammirazione, ne segue che

quello che rende veramente felice non sta nella gloria ma in cio che ce la procura, nel

merito stesso, o, per parlare piu esattamente nel carattere e nelle facolta che fondano il

merito sia nell•fordine morale, sia nell•fordine intellettuale. Perocche cio che un uomo puo

essere di piu eccellente, e necessariamente per lui stesso che deve esserlo; quanto del suo

avere si riflette nella testa degli altri, quanto egli vale nella loro opinione non e per lui che

accessorio e d•fun interesse subordinato. Per conseguenza colui che non fa che meritare la

gloria, quand•fanche non la ottenga, possede ampiamente la cosa principale ed ha di che

consolarsi se gli manca l•faccessorio, vale a dire la gloria stessa. Cio che rende l•fuomo

degno d•finvidia non e l•fesser tenuto per grande da quel pubblico cosi incapace di giudicare

e di sovente cosi cieco, ma e l•fesser grande; e neppur si e felicita suprema vedere il proprio

nome passar alla posterita, bensi produrre pensieri che meritino di esser raccolti e meditati

in ogni epoca. Ecco quanto non puo esser tolto •áƒÑƒÖƒË . ƒÅƒÊ.ƒË�â; il resto e �áƒÑƒÍƒË ƒÍ.ƒÈ .

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ƒÅƒÊ.ƒË•â.

Quando invece l•fammirazione stessa e l•foggetto principale, si e il soggetto che non ne

e degno. Tale infatti e il caso della falsa gloria, vale a dire della gloria non meritata. Chi la

possede deve contentarsene per ogni suo pasto, poiche ei non ha quelle qualita di cui questa

gloria non dovrebbe esser che il sintomo, il semplice riflesso. Ma tal gloria gli verra molto

di sovente a noia: giunge finalmente il momento in cui a dispetto dell•fillusione sul proprio

conto che la vanita gli procura, ei sara preso dalle vertigini su quelle altezze per cui non e

fatto, od anche si risvegliera in lui un vago sospetto di non essere che di bronzo dorato;

allora e preso dal timore di essere conosciuto ed umiliato come lo merita, sopratutto quando

gia puo legger sulla fronte dei saggi il giudizio dei posteri. Ei rassomiglia ad un uomo che

possede una eredita in virtu d•fun testamento falso.

Il rimbombo della gloria vera, di quella gloria che vivra a traverso i tempi che

verranno, non arriva mai alle orecchie di chi ne e l•foggetto, e nondimeno lo si vede felice.

Egli e che sono le facolta eminenti a cui deve la gloria, l•fagio di poterle svolgere, cioe di

agire in conformita della propria natura, il poter occuparsi degli oggetti che ama o che lo

dilettano, egli e tutto cio che lo rende felice; e solo in tali condizioni sono create le opere

che condurranno alla gloria. Si e dunque la sua anima grande, si e la ricchezza della sua

intelligenza, l•fimpronta della quale nelle sue opere costringera all•fammirazione le eta

future, sono queste cose che formano la base della sua felicita; vi si aggiungono ancora i

suoi pensieri la cui meditazione sara soggetto di studio e sorgente di delizia ai piu nobili

spiriti attraverso secoli innumerevoli. Aver meritato la gloria, ecco cio che ne costituisce il

valore e nel tempo istesso la propria ricompensa. Che lavori chiamati a gloria immortale

l•fabbiano qualche volta gia ottenuta dai contemporanei, e tal fatto dovuto a circostanze

fortuite e che non ha grande importanza. Perocche gli uomini mancano ordinariamente di

giudizio proprio, e sopra tutto non hanno le facolta volute per apprezzare le produzioni di

un ordine superiore e difficile; percio essi seguono sempre su queste materie l•fautorita

altrui, e la gloria suprema e accordata di pura fiducia da novantanove ammiratori su cento.

Per questo l•fapprovazione dei contemporanei, per quanto numerose sieno le voci loro, ha un

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prezzo assai basso per il pensatore; questi vi distingue solo l•feco di qualche voce che non e

ella stessa che un effetto del momento. Un virtuoso si sentirebbe molto lusingato dal plauso

approvatore del pubblico se sapesse che, salvo uno o due individui, l•fuditorio e composto

affatto da sordi, i quali per dissimulare scambievolmente la loro infermita, applaudiscono a

tutta forza non appena vedono muover le mani la sola persona che ha le orecchie sane? Che

sarebbe dunque s•fegli sapesse pure che i capi della claque sono stati spesso comprati per

procurare il piu splendido successo al piu infelice raschiatore di violino! Questo ci spiega

perche la gloria contemporanea subisca cosi di rado la metamorfosi in gloria immortale:

d•fAlembert espone la stessa idea nella sua magnifica descrizione del tempio della gloria

letteraria: •áL•finterno del tempio non e abitato che dai morti che non vi erano mentre

58

vivevano, e da pochi viventi che sono messi alla porta, nella maggior parte, non appena

hanno cessato di vivere•â.

Strada facendo possiam dire che elevare un monumento ad un uomo ancora in vita e

lo stesso che dichiarare che su quanto lo concerne non si ha fidanza nella posterita. Quando

ad onta di tutto un uomo arriva durante la vita ad una gloria che le generazioni future

confermeranno, cio non succedera mai se non in eta avanzata; v•fha bene qualche eccezione

a questa regola in favore degli artisti e dei poeti, ma molto di rado per i filosofi. I ritratti di

uomini celebri per le loro opere, fatti generalmente in un•fepoca in cui la loro celebrita era

gia stabilita, confermano la regola precedente; essi ce li presentano ordinariamente vecchi e

canuti, sopratutto i filosofi. Tuttavia dal punto di vista eudemonologico la cosa e

perfettamente giustificata. Aver gloria e gioventu in una volta sarebbe troppo per un

mortale; la nostra esistenza e cosi povera che i suoi beni devono essere ripartiti con piu

risparmio. La gioventu possede abbastanza ricchezze sue proprie; essa puo tenersene paga.

Si e nella vecchiezza, quando i piaceri e le gioie sono morte, come gli alberi durante la

fredda stagione, che l•falbero della gloria viene a germogliare molto a proposito, come

verdura d•finverno; si puo anche paragonare la gloria a quelle pere tardive che si sviluppano

nell•festate, ma che non sono mangiate che d•finverno. Non havvi piu bella consolazione per

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il vegliardo che di vedere tutta la forza de•f suoi giovani anni incorporarsi in opere che non

invecchieranno come la sua gioventu.

Esaminiamo ora piu davvicino la strada che conduce alla gloria colle scienze, essendo

queste maggiormente a nostra portata; a loro riguardo potremo stabilire la regola seguente.

La superiorita intellettuale di cui fa testimonianza la gloria scientifica si manifesta sempre

per una combinazione nuova di certi dati. Questi possono essere di specie assai differenti,

ma la gloria annessa alla loro combinazione sara tanto piu grande e piu estesa quanto piu

essi stessi saranno piu generalmente conosciuti e piu accessibili a tutti. Se questi dati sono,

per esempio, cifre, linee curve, questioni speciali di fisica, di zoologia, di botanica o di

anatomia, passi corrotti di antichi autori, iscrizioni quasi cancellate o di cui ci manca

l•falfabeto, o punti oscuri della storia, in tutti questi casi la gloria che si acquistera nel

combinarli giudiziosamente non si estendera piu lontano della conoscenza stessa di tali dati

e per conseguenza non oltrepassera il cerchio d•fun piccolo numero di uomini che

d•fordinario vivono ritirati, e che sono gelosi della gloria nella loro speciale professione. Se

invece i dati sono di tale specie che tutto il mondo conosce, per esempio sulle facolta

essenziali ed universali della mente o del cuore umano, oppure sulle forze naturali la cui

azione succede costantemente sotto i nostri occhi, od anche sull•fandamento, noto a tutti,

della natura in generale, allora la gloria di averli messi maggiormente in luce con una

combinazione nuova, importante ed evidente, si spargera col tempo quasi da per tutto fra

l•fumanita civilizzata. Perocche se i dati sono accessibili a tutti, lo sara pure in generale la

loro combinazione. Nondimeno la gloria stara sempre in rapporto colle difficolta che

saranno da superare per conquistarla. Infatti quanto piu gli uomini, a cui i dati sono

famigliari, saranno numerosi, tanto piu sara difficile combinare questi dati in modo nuovo e

giusto ad un tempo, poiche una infinita di menti vi si saranno gia provate ed avranno

esaurito ogni possibile risultato. In cambio i dati inaccessibili al pubblico volgare, la

conoscenza dei quali non si acquista che con lunghe e faticose ricerche, ammetteranno

ancora ben di sovente una nuova combinazione; studiandoli con mente fredda e con sano

criterio, si puo con facilita aver la sorte di arrivare a cose inaspettate e tuttavia razionali. Ma

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la gloria cosi ottenuta avra, presso a poco, per limite il cerchio stesso della conoscenza di

questi dati. Perocche la soluzione dei problemi di siffatta natura esige per verita molto

lavoro e molto studio; d•faltra parte i dati per i problemi della prima specie, con cui si puo

acquistare precisamente la gloria piu alta e piu vasta, sono da tutto il mondo conosciuti

senza sforzo; ma se basta poca fatica per conoscerli, occorrera tanto piu talento e fors•fanche

59

il genio per combinarli. Ora non v•fha lavoro che, per valore proprio o per quello che gli si

attribuisce, possa sostenere il confronto col talento o col genio.

Da tutto cio risulta che coloro i quali si sanno dotati di una ragione solida e di un

raziocinio giusto, senza aver pertanto il sentimento di possedere un•fintelligenza fuori

dell•fordinario, non devono indietreggiare di fronte a lunghi studi ed a faticose ricerche; essi

potranno con cio levarsi sopra quegli uomini alla cui portata stanno i dati universalmente

noti, e raggiungere quelle regioni discoste, che sono accessibili solamente all•fattivita del

dotto. Imperocche quivi il numero dei concorrenti e infinitamente piu piccolo, ed una mente

un po•f superiore trovera ben presto l•foccasione di una combinazione nuova e razionale; il

merito della sua scoperta potra pure aver per base la difficolta di giungere alla conoscenza

dei dati. Ma la moltitudine sentira solamente da lontano lo strepito degli applausi che questi

lavori procureranno all•fautore da parte de•f suoi confratelli di scienza, soli conoscitori nella

materia. Seguitando fino alla fine la strada qui indicata, si puo anche determinare il punto in

cui i dati, per l•festrema difficolta di acquistarli, bastano a se stessi, senza bisogno di

combinazione, per stabilire una gloria. Tali sono i viaggi in paesi molto lontani e poco

visitati: cosi si diviene celebri per quello che si e veduto, non per quello che si e pensato.

Questo sistema ha pure un grande vantaggio, il poter cioe comunicare agli altri piu

facilmente le cose vedute che non quelle pensate, mentre il pubblico stesso comprende le

prime meglio delle seconde; si trova pure in tal modo un numero piu grande di lettori.

Perocche, come disse gia Asmus: •áDopo un lungo viaggio si hanno molte cose da

raccontare•â.

Ma ne risulta pure che quando si fa conoscenza personale cogli uomini celebri per

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siffatte gesta, si ricorda spesso l•fosservazione di Orazio:

Coelum, non animum, mutant qui trans mare corrunt

(Cangiano cielo, ma non cangiano l•fanimo coloro che vanno al di la dei mari).

(Ep. I, 11, v. 27).

Su quanto concerne l•fuomo dotato di alte facolta, diro che solamente chi puo osare di

darsi alla soluzione di quei grandi e difficili problemi che trattano di cose generali ed

universali, fara bene da una parte di allargare quanto piu sia possibile il proprio orizzonte,

ma d•faltra parte dovra estenderlo egualmente in tutte le direzioni, senza abbandonarsi

troppo addentro in qualcuna di quelle regioni speciali note solo a pochi; in altre parole, non

andar troppo avanti nei dettagli speciali d•funa sola scienza, e molto meno ancora far della

micrologia in qualsivoglia ramo della scienza. Perche non occorre che egli si dedichi a cose

difficilmente accessibili per innalzarsi sopra la folla dei concorrenti; cio che e alla portata di

tutti gli fornira precisamente materia a risultati nuovi, importanti e veri. Ma anzi per questo

il suo merito potra esser apprezzato da tutti coloro che conoscono i dati, vale a dire dalla

maggior parte del genere umano. Ecco la ragione dell•fimmensa differenza tra la gloria

serbata ai poeti ed ai filosofi e quella accessibile agli eruditi in fisica, chimica, anatomia,

geologia, zoologia, filologia, storia ed altre scienze.

________________

60

CAPITOLO V.

Parenesi e massime.

Qui meno che altrove ho la pretesa d•fesser completo, che altrimenti dovrei ripetere le

numerose ed in parte eccellenti regole per la vita date dai pensatori di tutte le epoche da

Teognide e dal pseudo-Salomone27 fino a La Rochefoucault, e non potrei evitare di ripetere

molte cose volgari, notissime, gia ampiamente trattate. Ho pure rinunziato quasi

interamente a qualunque ordine sistematico. Che il lettore se ne consoli, perocche in

materie siffatte un trattato completo e ordinato rigorosamente sarebbe riuscito senza dubbio

noiosissimo. Ho messo giu quello che mi e venuto in mente alla bella prima, quello che mi

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parve degno d•fesser comunicato, e quello che, per quanto me ne ricordava, non era ancora

stato detto, od almeno non era stato detto cosi completamente, e sotto questa forma; non

faccio dunque che spigolare nel vasto campo ove altri ha gia mietuto.

Tuttavia per mettere un po•f d•fordine nella grande varieta d•fopinioni e di consigli

relativi al mio soggetto, li classifichero in massime generali ed in massime concernenti la

nostra condotta verso noi stessi da prima, poi verso gli altri e finalmente di faccia

all•fandamento delle cose ed alla sorte in questo mondo.

27 L•fEcclesiaste.

61

1. Massime generali.

1.•‹ Considero regola suprema d•fogni saggezza nella vita la proposizione espressa da

Aristotele nella Morale a Nicomaco (VII, 12): •á. ƒÏƒÍƒËƒÇƒÊƒÍ. ƒÑƒÍ ƒ¿ƒÉƒÒƒÎƒÍƒË ƒÂƒÇƒÖƒÈƒÃƒÇ, ƒÍƒÒ ƒÑƒÍ

.ƒÂƒÒ,•â cio che si puo tradurre: Il saggio cerca l•fassenza del dolore, non il piacere. La verita

di tale sentenza e basata sul fatto che ogni piacere ed ogni felicita sono negativi per natura,

mentre e positivo il dolore. Ho svolta e provata questa tesi nella mia opera principale, vol I,

•˜ 58. Voglio nondimeno spiegarla ancora con un fatto d•fosservazione giornaliera. Quando

il nostro corpo tutto intero e sano ed intatto, salvo una piccola parte ferita o dolorosa, la

coscienza cessa dal sentire la salute del tutto; l•fattenzione si dirige interamente sul dolore

della parte lesa, ed il piacere, determinato dal sentimento totale dell•fesistenza, sparisce.

Similmente quando tutti i nostri affari vanno a gonfie vele, salvo uno solo che riesce a

male, si e proprio questo, fosse pure di minima importanza, che ci gira continuamente per il

cervello, si e su questo che si portano sempre i nostri pensieri, e di rado su altre cose di

maggior rilievo che vanno a seconda dei nostri desideri. In ambo i casi e lesa la volonta, la

prima volta come si oggettiva nell•forganismo, la seconda negli sforzi dell•fuomo; noi

vediamo nei due casi che il suo soddisfacimento e sempre negativo, e che per conseguenza

non e provato direttamente dall•findividuo intero; tutto al piu arrivera alla coscienza per

riflessione. Cio che v•fha di positivo invece si e l•fimpedimento della volonta, il quale si

manifesta pure direttamente. Ogni piacere consiste nel sopprimere tale impedimento, nel

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liberarsene, e non puo esser quindi che di breve durata.

Ecco dunque ov•fe basata l•feccellente regola d•fAristotele or ora citata, d•faver cioe da

dirigere la nostra attenzione non sulle gioie e sui divertimenti della vita, ma sui mezzi di

sfuggire per quanto e possibile ai mali innumerevoli di cui e seminata. Se questa via non

fosse la vera, l•faforismo di Voltaire: •áLa felicita non e che un sogno e il dolore e reale•â

sarebbe cosi falso come e giusto in realta. Pero quando si vuole far il bilancio della propria

esistenza dal punto di vista eudemonologico bisogna stabilire le partite non sui piaceri

gustati, ma sui mali a cui si pote sottrarsi. Inoltre l•feudemonologia, vale a dire un trattato

sulla vita felice, deve cominciare dall•finsegnarci che il suo nome stesso e un eufemismo, e

che per •ávita felice•â bisogna intender solo una •ávita meno infelice•â, in poche parole

un•fesistenza sopportabile. E infatti havvi la vita non perche se ne goda, ma perche la si

subisca, perche si soddisfi ai doveri che impone; cio che indicano molto bene le

espressioni: •ádegere vitam, vitam defungi•â in latino; •ási scampa cosi28•â in italiano; •áman

muss suchen durchzukommen•â, •áer wird schon durch die Welt kommen•â in tedesco, ed altre

simili. Si! e una consolazione per la tarda eta l•faver dietro di se una vita laboriosa. L•fuomo

piu felice e dunque colui che conduce un•fesistenza senza dolori troppo forti sia nel morale,

sia nel fisico, e non colui che ebbe per sua parte le gioie piu vive ed i piaceri piu grandi.

Voler misurare su questi la felicita di un•fesistenza si e ricorrere ad una scala falsa. Perocche

i piaceri sono e rimangono negativi: credere che essi rendano felici e una illusione che

l•finvidia tien viva e colla quale punisce se stessa. I dolori invece sono sentiti positivamente,

ed e la loro assenza che forma la scala della felicita nella vita. Se ad uno stato libero dal

dolore viene ad aggiungersi ancora l•fassenza della noia, allora si raggiunge sulla terra la

felicita in cio che v•fha di essenziale, perocche il resto non e piu che una chimera. Ne segue

che non bisogna mai procurarsi piaceri a prezzo di dolori, anzi nemmeno a prezzo della loro

sola minaccia, visto che sarebbe pagare cose negative e chimeriche con cose positive e

reali. In cambio havvi vantaggio nel sacrificare i piaceri allo scopo di evitare dolori.

28 Qual modo di dire ha voluto citare Schopenhauer con queste parole? Forse il campar la vita? (Nota del

Trad.).

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62

Nell•funo e nell•faltro caso e indifferente che i dolori seguano o precedano i piaceri. Non

v•fha davvero maggior follia del voler trasformare questo teatro di miserie in un luogo di

delizie, e dell•f andar cercando gioie e piaceri in luogo di procurar di sfuggire alla maggior

somma possibile di dolori. Quanta gente per altro non cade in tale follia! L•ferrore e

infinitamente piu piccolo presso colui che, con occhio troppo triste, considera questo

mondo come una specie d•finferno e non si occupa se non di procurarsi una stanza a prova

di fuoco. Il pazzo corre dietro ai piaceri della vita e non trova che disinganni; il saggio evita

i mali. Se ad onta de•f suoi sforzi non raggiunge lo scopo, la colpa e del destino, non della

sua follia. Ma per poco che vi riesca non avra mai delusioni perche i mali a cui sara

sfuggito sono sempre reali. Nel caso stesso in cui avesse fatto per evitarli un giro troppo

grande, od avesse sacrificato inutilmente qualche piacere, egli in realta nulla ha perduto

perocche i piaceri sono chimerici, e desolarsi per la perdita di essi sarebbe una meschinita o

piuttosto una ridicolaggine.

Disconoscendo tale verita in favore dell•fottimismo, la sorgente di molte calamita e

aperta. Infatti, nei momenti in cui siamo liberi da dolori, inquiete brame fanno brillare a•f

nostri occhi le chimere d•funa felicita che non ha esistenza reale, e c•finducono ad andarne in

cerca; con cio ci procuriamo il dolore che e incontestabilmente reale. Allora rimpiangiamo

quello stato franco da dolori che abbiamo perduto e che si trova ormai dietro di noi come un

paradiso che abbiamo lasciato scappare, e vorremmo inutilmente che non fosse accaduto

quanto noi stessi abbiamo fatto succedere. Pare cosi che un cattivo demonio sia

costantemente occupato a toglierci coi miraggi ingannatori dei nostri desideri, da quello

stato senza dolore, che e vera e suprema felicita. Il giovane s•fimmagina che quel mondo

ch•fegli non ha ancora veduto esista perche lo si goda, che sia la sede d•funa felicita positiva

la quale sfugge solo a coloro che non hanno l•fabilita di saperla afferrare. Lo fortificano

nella sua credenza i romanzi e le poesie, e quell•fipocrisia che governa il mondo, sempre e

dovunque, colle apparenze esterne. Ritornero fra breve su tale argomento. D•fora innanzi la

sua vita sara una caccia alla felicita positiva, caccia condotta piu o meno prudentemente; e

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questa felicita positiva e calcolata, ad un tal titolo, esser composta di piaceri positivi. In

quanto ai pericoli a cui si rischia di esporsi, ebbene, che fare? bisogna bene adattarvisi!

Questa caccia trascina in cerca di selvaggina che non esiste in alcun modo, e finisce

d•fordinario col condurre ad una infelicita troppo reale e positiva. Dolori, sofferenze,

malattie, perdite, passioni, affanni, poverta, disonore e mille altre pene, ecco sotto quali

forme si presenta il risultato di essa. Il disinganno giunge sempre troppo tardi. Se invece si

obbedisce alla regola da noi qui riportata, se si stabilisce il piano della propria vita in modo

da evitare i dolori, vale a dire di allontanare il bisogno, le malattie ed ogni altro affanno,

allora lo scopo e reale; si potra cosi ottener qualche cosa, e tanto piu facilmente perche il

piano sara stato meno disturbato dalla ricerca di quella chimera che e la felicita positiva.

Cio si accorda con quello che Goethe, nelle affinita elettive, fa dire a Mittler il quale e

sempre occupato della felicita degli altri: •áChi vuole liberarsi da un male sa sempre cosa

vuole: invece chi cerca quello che non ha e cieco come colui che e affetto da cateratta•â.

Queste parole ricordano il bell•fadagio: •áil meglio e nemico del bene•â Da tutto cio si puo

anche dedurre l•fidea fondamentale del cinismo, come l•fho esposta nella mia grande opera,

tomo II, capitolo 16•‹. Cosa e infatti che portava i cinici a respingere tutti i piaceri, se non il

pensiero dei dolori che tosto o tardi li accompagnano? Evitare questi sembrava loro molto

piu importante che non procurarsi i primi. Profondamente penetrati e convinti della

condizione negativa di ogni piacere e positiva di ogni dolore, essi dirigevano ogni loro

sforzo allo scopo di sfuggire ai mali, e per cio giudicavano necessario di respingere

interamente ed intenzionalmente i piaceri che consideravano insidie tese per mettere l•fuomo

in balia del dolore.

Certamente noi nasciamo tutti in Arcadia, come dice Schiller, vale a dire cominciamo

la nostra vita pieni di aspirazioni alla felicita, al piacere, e coltiviamo la folle speranza di

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giungervi. Ma, regola generale, arriva ben presto il destino il quale ci afferra rozzamente e

c•finsegna che niente e nostro, che tutto e suo, nel senso che egli ha diritto incontestabile

non solamente su quanto possediamo ed acquistiamo, sopra moglie e figli, ma anche sopra

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le nostre braccia e le nostre gambe, sopra i nostri occhi e le nostre orecchie, e perfino sopra

quel naso che portiamo in mezzo alla faccia. In qualunque caso non passa gran tempo che

l•fesperienza verra a farci comprendere che felicita e piacere sono una •áfata morgana•â la

quale, visibile solo da lontano, sparisce quando la si avvicina, ma che in cambio pena e

dolore hanno una realta, e che si presentano immediatamente e per se stessi senza prestarsi

ad illusioni o ad aspettazioni lusinghiere. Se la lezione porta i suoi frutti, allora cessiamo

dal correr dietro alla felicita ed al piacere, e ci mettiamo piuttosto a chiudere, per quanto e

possibile, ogni accesso al dolore ed agli affanni. Conosciamo cosi che cio che il mondo puo

offrirci di migliore si e un•fesistenza senza pene, tranquilla, sopportabile e ad una tal vita

limiteremo le nostre esigenze allo scopo di poterne godere piu sicuramente. Perocche per

non diventare infelicissimi, il mezzo piu certo si e di non domandare d•fesser felicissimo. E

quanto riconobbe Merck, l•famico di giovinezza di Goethe, quando scrisse: •áQuesta brutta

pretesa alla felicita, sopra tutto nella misura in cui la sogniamo, rovina tutto in questo

basso mondo. Chi puo liberarsene non domandando che cio che ha davanti a se, potra farsi

strada nella mischia•â (Corrispondenza di Merck). E dunque cosa prudente abbassare ad

una misura assai modesta le proprie pretese ai piaceri, alle ricchezze, al grado, agli onori,

ecc., perocche le disgrazie piu grandi sono attirate su di noi precisamente da essi, da questa

lotta per la felicita, per lo splendore e per il piacere. Ma una tale condotta e gia saggia ed

accorta per cio solo che e molto facile essere estremamente infelice, e che e invece, non

difficile, ma affatto impossibile essere molto felice. Il cantore della saggezza ha detto con

ragione: •áColui che ama un•faurea mediocrita, sta lontano, sagace, dal tetto frusto per

sordidezza, sta lontano, prudente, dai palazzi che destano invidia. Piu forte e scosso dai

venti il pino gigante: e le alte torri cadono con piu fragore: le folgori poi colpiscono le

cime piu elevate•â (Orazio, Libro II, ode 10).

Colui il quale essendosi imbevuto degli insegnamenti della mia filosofia, sa che la

nostra esistenza e una cosa che dovrebbe meglio non essere e che la suprema saggezza

consiste nel negarla, e nel francarsene, costui non fondera mai grandi speranze sopra

soggetto, ne situazione alcuna, non agognera con passione ad una cosa qualunque in questo

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mondo, e non alzera grandi lamenti in seguito a qualche delusione, ma conoscera la verita

di cio che disse Platone (Rep. X, 604): •áNessuna cosa umana e degna di considerazione•â, e

l•faltra verita enunciata dal poeta persiano: •áHai tu perduto l•fimperio del mondo? Non te ne

affliggere; che non e niente. Hai tu acquistato l•fimperio del mondo? Non te ne rallegrare;

che non e niente. Dolore e felicita, tutto passa, passa nel mondo (nel tempo) e non e niente•â

(Anwari Soheili). (Si veda il motto del Gulistan di Saadi, trad. ted. di Graf.).

Cio che aumenta particolarmente la difficolta di assimilare idee tanto saggie, si e

quell•fipocrisia di cui ho parlato piu sopra, e nessuna cosa sarebbe piu utile che lo svelarla

per tempo alla gioventu. La magnificenza e quasi sempre cosa di pura apparenza, come le

decorazioni dei teatri; le manca l•fessenza. Cosi e i vascelli ornati a festa, e i colpi di

cannone, e le illuminazioni, e le musiche, e i gridi d•fallegrezza, ecc., tutto cio e l•finsegna, la

mostra, il geroglifico della gioia; ma il piu delle volte la gioia non c•fe: essa sola ha mancato

d•fintervenire alla festa. Laddove e presente in realta, la gioia arriva e non si fa invitare, ne

annunciare, viene da se senza cerimonie, introducendosi in silenzio, spesso per motivi i piu

insignificanti e i piu futili, nelle occasioni piu comuni, qualche volta anche in circostanze

che sono tutt•faltro che brillanti o gloriose. Come l•foro in Australia, essa si trova

sparpagliata qua e la secondo il capriccio del caso, senza regola e senza legge, piu di

sovente in fina polvere, molto di raro in grandi masse. Ma pure, di tutto le manifestazioni di

cui abbiamo or ora parlato, solo scopo si e il far credere agli altri che nella festa c•fe la gioia,

e solo intento il produrre l•fillusione nel cervello altrui.

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Come della gioia, cosi della tristezza. Con quale andamento melanconico s•favanza

questo lungo e lento convoglio! La fila delle vetture e interminabile. Ma guardate un po•f

nell•finterno: esse sono tutte vuote, e il defunto non e realmente condotto al cimitero che dai

cocchieri della citta. O immagine parlante dell•famicizia e della considerazione a questo

mondo! Ecco quello che io chiamo falsita, vanita ed ipocrisia dell•fumana condotta. Noi

abbiamo anche un esempio nei ricevimenti solenni con numerosi invitati in abito da festa;

questi sono l•finsegna della nobile e dell•falta societa: ma in luogo suo si avra malessere,

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affettazione, riservatezza, noia: perocche ove son molti convitati v•fha sempre della

canaglia, fossero pure tutti i petti coperti da decorazioni. Infatti la vera buona societa e, da

per tutto e necessariamente, assai ristretta. In generale le feste, le solennita portano sempre

con se qualche cosa che da un suono vuoto, o per dir meglio un suono falso, precisamente

perche contrastano colla miseria e colla poverta della nostra esistenza e perche ogni

confronto fa meglio spiccare la verita. Ma visto dal di fuori tutto cio produce bell•feffetto, e

cosi e raggiunto lo scopo. Chamfort dice in modo graziosissimo: •áLa societa, i circoli, i

saloni, cio che si chiama il mondo, sono una meschina commedia, un povero melodramma

senza interesse che si sostiene un momento per i meccanismi, i costumi, e le decorazioni.•â

Le accademie e le cattedre di filosofia sono egualmente l•finsegna, il simulacro esterno della

saggezza; ma il piu delle volte essa non e della festa, e, a cercarla, la si troverebbe in ben

altri luoghi. Lo sbatacchiare delle campane, i vestimenti sacerdotali, il contegno pietoso, le

smorfie da bacchettone, sono la mostra, la falsa apparenza della devozione, e cosi di

seguito. Ed e per cio che a questo mondo tutte le cose possono esser dette nocciuole vuote;

la mandorla e rara per se stessa, e piu raramente ancora e posta nel suo guscio. Occorre

cercarla in tutt•faltra parte, e d•fordinario non la si trova che per caso.

2.•‹ Quando si volesse valutare la condizione di un uomo dal punto di vista della sua

felicita, bisognerebbe prender notizie non su cio che lo diverte, ma su cio che lo attrista,

perocche quanto piu saranno insignificanti per se stesse le cose che lo affliggono, tanto piu

l•fuomo sara felice; occorre un certo stato di benessere per divenir sensibile a bagattelle che

nella sventura non si sentirebbero affatto.

3.•‹ Bisogna guardarsi dallo stabilire il benessere della propria vita sopra una base

larga coll•felevare alte pretese alla felicita: posto sopra un tale fondamento esso crolla piu

facilmente, perocche in allora fa nascere senza fallo molte sventure. L•fedificio della felicita

si comporta dunque sotto tale rapporto alla rovescia degli altri che sono tanto piu solidi

quanto piu la loro base e grande. Tenere le pretese il piu basso possibile in proporzione

colle proprie risorse d•fogni specie, ecco la via piu sicura per evitare grandi guai.

In generale e una follia delle piu grandi e delle piu diffuse il prendere, in qualunque

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maniera si sia, vaste disposizioni per la propria esistenza. Perocche prima di tutto, per farlo,

si conta sopra una durata della vita piena ed intera, a cui invece arrivano molto pochi.

Inoltre quand•fanche si vivesse tanto a lungo, l•fesistenza sarebbe sempre troppo corta in

relazione ai piani prestabiliti; la loro esecuzione reclama sempre piu tempo che non si

avesse supposto; essi sono talmente soggetti, come tutte le cose umane, alle vicende della

sorte e ad ostacoli d•fogni natura, che si puo ben di rado condurli a compimento. Finalmente

anche allora che si e riusciti a conseguire tutto quello che si desiderava, si scorge che si e

trascurato di tener conto delle modificazioni che il tempo produce in noi stessi; non si e

riflettuto che, ne per creare ne per godere, le nostre facolta non restano invariabili

nell•fintera vita. Ne risulta che lavoriamo sovente per acquistare cose che, una volta

ottenute, non si trovano piu adatte alla nostra taglia; succede pure che nei lavori preparatori

di un•fopera impieghiamo anni che nel frattempo ci tolgono le forze necessarie per arrivare a

buon fine. Medesimamente le ricchezze acquistate a prezzo di lunghe fatiche e di numerosi

pericoli non possono piu esserci utili, e troviamo di aver lavorato per gli altri; ed avviene

ancora che non siamo piu in caso di occupare un posto ottenuto finalmente dopo avervi

aspirato ed ambito per lunghi anni. Le cose sono giunte troppo tardi per noi, o, viceversa,

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siamo noi giunti troppo tardi per esse, sopratutto allorche si tratta di opere o di produzioni;

il gusto dell•fepoca ha cangiato; si e maturata una nuova generazione che non prende alcun

interesse a queste materie; oppure altri ci ha preceduto per strade piu corte, e cosi di

seguito. Quanto abbiamo esposto in questo terzo paragrafo era gia stato compendiato da

Orazio nei versi:

Quid aeternis minorem

Consiliis animum fatigas?

(L. II, O. 11, v. 11 e 12).

(Perche stanchi una mente debole con eterni progetti?)

Tale errore cosi comune e determinato dall•finevitabile illusione ottica degli occhi

dello spirito, illusione che ci fa apparire la vita come senza fine, o come troppo corta

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secondo che la vediamo dall•fingresso o dal termine della nostra carriera. Essa pero ha il suo

buon lato: senza di lei produrremmo difficilmente qualche cosa di grande.

Ma in generale ci succede nella vita cio che succede al viaggiatore: a misura che egli

avanza, gli oggetti prendono forme differenti da quelle che mostravano da lungi e si

modificano per cosi dire di mano in mano che va loro vicino. Cosi avviene dei nostri

desideri. Troviamo spesso ben altra cosa, qualche volta anche meglio che non cerchiamo; di

sovente pure incontriamo quanto desideriamo per tutt•faltra via di quella inutilmente

percorsa fino allora. Certe volte laddove crediamo trovare un piacere, una gioia, una

soddisfazione, in loro luogo ci si presenta un ammaestramento, una spiegazione, una

cognizione, vale a dire un bene duraturo e reale che si offre a noi invece di un bene

passaggero e fallace. Si e un tale pensiero che corre, come base fondamentale, a traverso

tutto il Wilhelm Meister, romanzo intellettuale, superiore precisamente per cio a tutti gli

altri, anche a quelli di Walter Scott, che sono tutti solamente opere morali, ossia che non

osservano la natura umana che dal lato della volonta! Nel Flauto magico, geroglifico

grottesco, ma espressivo e molto significante, ci si presenta egualmente questo stesso

pensiero fondamentale simbolizzato a grandi e larghi tratti come quelli delle decorazioni

teatrali; il simbolo sarebbe anzi perfetto se nello scioglimento Tamino, invece d•fessere

spronato dal desio di posseder Tamina, non domandasse e non ottenesse che l•finiziazione

nel tempio della Saggezza; in cambio Papageno, l•fopposto necessario di Tamino, otterrebbe

la sua Papagena. Gli uomini superiori e veramente nobili assimilano subito questo

ammaestramento del destino e vi si adattano con sommessione e con riconoscenza:

comprendono che a questo mondo si puo bene trovare istruzione, ma non felicita; si

abituano a cambiare le speranze colle cognizioni; ne vanno contenti e dicono alla fin fine

col Petrarca

Altro diletto che •fmparar non provo.

Possono anche arrivare al punto di non dar seguito ai loro desideri ed alle loro aspirazioni

che in apparenza per cosi dire, e per ischerzo, mentre in realta e nella serieta del loro

interno non attendono che all•fistruzione; cio che li adorna di una tinta pensosa, geniale e

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nobile. In questo senso si puo dire che succede di noi come degli alchimisti, i quali mentre

non cercavano che oro, hanno trovato la polvere da fuoco, la porcellana, le medicine e

perfino molte leggi naturali.

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2. Circa la nostra condotta verso noi stessi.

4.•‹ Il manovale che aiuta a fabbricare un edifizio, non ne conosce il progetto, o non

l•fha sempre sotto gli occhi; tale e pure la posizione dell•fuomo mentre e occupato a dividere

uno per uno i giorni e le ore della sua esistenza in rapporto all•finsieme della sua vita ed al

carattere fondamentale di essa. Quanto piu questo carattere sara nobile, considerevole,

espressivo e individuale, tanto piu sara necessario e benefico per l•findividuo il gettare di

tempo in tempo uno sguardo sul piano prestabilito della propria vita. E vero che per cio ei

deve aver fatto gia un primo passo col •áconosci te stesso•â: deve dunque sapere cio che

vuole realmente, principalmente e prima d•fogni altra cosa; deve conoscere quello che e

essenziale alla sua felicita, e quello che viene solo in seconda o terza linea; deve rendersi

conto sommariamente della sua vocazione, della parte che ha da rappresentare nel mondo, e

de•f suoi rapporti colla gente. Se tutto cio sara importante ed elevato, allora l•faspetto del

piano prestabilito della sua vita gli dara forza, lo sosterra, lo innalzera piu che qualunque

altra cosa; questo esame lo incoraggiera al lavoro e lo terra lontano da quei sentieri che

potrebbero fargli smarrire la dritta via.

Solamente quando arriva sopra un•faltura il viaggiatore abbraccia a colpo d•focchio e

riconosce l•finsieme del cammino percorso, colle sue svolte e co•f suoi giri; cosi pure non e

che al termine d•fun periodo della nostra esistenza, e qualche volta sul finir della vita, che

conosciamo il vero nesso delle nostre azioni, dei nostri lavori, e delle nostre produzioni, il

loro preciso legame, il loro concatenamento e il loro valore. Infatti fino a che siamo

immersi nella nostra attivita noi operiamo solo secondo le proprieta inconcusse del nostro

carattere, sotto l•finfluenza dei motivi e nella misura delle nostre facolta, vale a dire per

assoluta necessita; noi non facciamo in un dato momento che quello che in quel momento

ci sembra giusto e conveniente. Solamente in seguito ci sara permesso d•fapprezzare il

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risultato, e lo sguardo gettato sulle cose passate ci dara contezza del come e del perche. Per

questo quando compiamo le piu grandi azioni, o quando diamo al mondo opere immortali,

non abbiamo coscienza della loro vera natura: esse non ci sembrano che quello che v•fha di

piu appropriato al nostro scopo d•fallora, e di meglio corrispondente alle nostre intenzioni;

non riceviamo altra impressione se non quella d•faver fatto precisamente cio che bisognava

fare in quel momento; non e che piu tardi che il nostro carattere e le nostre facolta spiccano

in piena luce da quell•finsieme e dal suo concatenamento; per mezzo dei dettagli vediamo

allora come abbiamo preso la sola vera fra tante strade false quasi per ispirazione e guidati

dal nostro genio. Tutto quanto abbiamo detto or ora e vero e in teoria e in pratica, e si

applica egualmente ai fatti inversi, vale a dire al male ed alla falsita.

5.•‹ Un punto di molta importanza per la saggezza nella vita si e la proporzione con

cui dobbiamo dividere la nostra attenzione tra il presente e l•favvenire affinche l•funo non

porti nocumento all•faltro. V•fhanno molte persone che vivono troppo nel presente: le

frivole; altre troppo nell•favvenire: le timorose e le inquiete. Di rado si conserva la giusta

misura. Quegli uomini che, mossi dai loro desideri o dalle loro speranze, vivono

unicamente nell•favvenire, gli occhi sempre diretti in avanti, che corrono con impazienza

incontro al futuro, perocche, pensano, questo e per portar loro fra breve la vera felicita,

mentre intanto lasciano passare il presente, che non curano, senza goderlo: costoro

somigliano a quegli asini a cui in Italia si fa sollecitare il passo per mezzo d•fun fascetto di

fieno attaccato ad un bastone davanti la testa: essi vedono il fieno davanti e sempre vicino

ed hanno ognora la speranza d•farrivarvi. Tali persone infatti s•fingannano da se stesse per

tutta la loro esistenza non vivendo perpetuamente che ad interim fino alla morte. Percio

invece di occuparci incessantemente ed esclusivamente di piani e di progetti per l•favvenire,

o, viceversa, abbandonarci a rimpiangere il passato, dovremmo non dimenticar mai che il

presente solo e reale e certo, e che l•favvenire, al contrario, si presenta quasi sempre ben

diverso da quello che pensavamo, come pure fu del passato; cio che in conclusione fa che

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avvenire e passato hanno molto minor importanza che non sembri. Perocche la lontananza

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che impiccolisce gli oggetti per l•focchio, li ingrandisce per il pensiero. Il presente solo e

vero ed effettivo; esso e il tempo realmente impiegato, e su di esso esclusivamente e

fondata la nostra esistenza. Percio deve meritar sempre agli occhi nostri benevole

accoglienza; noi dovremmo gustare, con la piena coscienza del suo valore, ogni ora

sopportabile e libera da affanni e da dolori attuali, vale a dire non turbarla col viso

rattristato dalle speranze cadute per lo passato o dalle apprensioni per l•favvenire. Si puo

dare stoltezza piu grande del respingere una buona ora presente o di guastarla malamente

coll•finquietudine dell•favvenire o coi dispiaceri del passato? Diamo il tempo dovuto alle

cure, se non al pentimento; ma poi, in quanto ai fatti compiuti, bisogna dirsi:

•áAbbandoniamo, benche a malincuore, tutto cio che e passato all•fobblio; e necessario

soffocar l•fira nel nostro seno.•â E in quanto all•favvenire: •áTutto cio sta sulle ginocchia

degli dei•â29. In cambio circa il presente e bene pensare come Seneca: Singulas dies,

singulas vitas puta (Considera ciascun giorno come una vita separata), e rendersi questo

solo tempo reale tanto gradevole quanto meglio e possibile.

I soli mali futuri che devono con ragione preoccuparci sono quelli il cui arrivo ed il

cui momento di arrivo sono certi. Ma v•fha ben poca gente che si trovi in questo caso,

perocche i mali sono o semplicemente possibili o tutt•fal piu verosimili, oppure sono certi,

ma e incerto il tempo del loro arrivo. Ad allarmarsi per queste due specie di mali non si

avrebbe un solo istante di riposo. In conseguenza, allo scopo di non perdere la tranquillita

della nostra vita per mali la cui esistenza o la cui epoca sono ignote, conviene abituarci a

riguardare gli uni come se non dovessero mai arrivare, e gli altri come se non dovessero di

certo arrivare in un tempo vicino.

Ma quanto piu la paura ci lascia in riposo, tanto piu siamo agitati da desideri, da

voglie sfrenate e da strane pretese. La canzone, cosi nota, di Goethe: •áIo ho collocato le mie

brame nel nulla•â significa, in fondo, che solo quando si sara liberato da tutte le sue pretese

e si sara ridotto all•fesistenza tale quale e realmente nuda e spoglia, l•fuomo potra acquistare

quella calma di spirito che e la base dell•fumana felicita, perocche tale calma e

indispensabile per godere del presente della vita, e dell•favvenire. A tal uopo dovremmo

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pure ricordarci che il giorno d•foggi non viene che una sola volta, e piu mai. Ma invece noi

c•fimmaginiamo che ritornera domani: pero domani e un altro giorno che anch•fesso non

viene che una volta. Dimentichiamo che ciascun giorno e una porzione integrante, dunque

irreparabile, della vita, e lo consideriamo come contenuto nella vita, nello stesso modo che

gl•findividui sono contenuti nella nozione dell•finsieme. Di piu apprezzeremmo e

gusteremmo molto meglio il presente se nei giorni di benessere e di salute conoscessimo a

qual punto, durante la malattia o l•fafflizione, il ricordo ci presenta come infinitamente

invidiabile ogni ora libera da dolori o da privazioni; che questa ci appare quale un paradiso

perduto, od un amico disconosciuto. Ma al contrario noi viviamo i nostri bei giorni senza

prestar loro alcuna attenzione, e solamente quando arrivano i cattivi vorremmo richiamare

gli altri. Lasciamo passare da canto, senza goderne e senza accordar loro un sorriso, mille

ore serene e piacevoli, e piu tardi nel tempo triste, portiamo verso di esse le nostre vane

aspirazioni. In luogo di condurci cosi, dovremmo rendere omaggio a quelle attualita

sopportabili, fossero pure le piu comuni, che lasciamo fuggire con tanta indifferenza, che

fors•fanche respingiamo con impazienza; dovremmo ricordarci sempre che questo presente

precipita ad ogni momento in quell•fapoteosi del passato in cui ormai, risplendente della

luce delle cose non periture, e conservato dalla memoria, per ripresentarsi agli occhi nostri

come l•foggetto della nostra piu ardente aspirazione allorquando, sopratutto nelle ore

d•faffanno, il ricordo viene ad alzare il velo dinanzi le cose che furono.

6.•‹ Il limitarsi rende felici. Quanto piu il nostro cerchio di visione, di azione e di

contatto e ristretto, tanto piu siamo felici; e piu esso e vasto, piu ci troviamo tormentati ed

29 Da Omero.

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inquieti. Perocche insieme ad esso aumentano e si moltiplicano le pene, i desideri e le

apprensioni. Ed e per tale motivo che i ciechi non sono tanto infelici come potremmo

crederlo a priori; e facile convincersene all•faspetto della calma dolce, quasi allegra, delle

loro sembianze. Questa regola ci spiega anche in parte perche la seconda meta della nostra

vita sia piu triste della prima. Infatti nel corso dell•fesistenza, l•forizzonte delle nostre vedute

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e delle nostre relazioni va allargandosi. Nell•finfanzia esso e limitato ai dintorni piu prossimi

ed alle relazioni piu strette; nell•fadolescenza si estende in modo considerevole; nell•feta

virile abbraccia tutto il corso della nostra vita ed arriva anche a relazioni lontanissime,

perfino con Stati e con popoli diversi; nella vecchiezza comprende le generazioni future.

Ogni limitazione invece, anche nelle cose dello spirito, giova alla nostra felicita. Perocche

quanto meno sara eccitata la volonta, tanto meno vi saranno dolori, e noi sappiamo che il

dolore e positivo e la felicita semplicemente negativa. Il limitare il cerchio d•fazione toglie

alla volonta le occasioni esterne d•feccitamento; il limitare lo spirito, le occasioni interne.

Quest•fultimo ha solo l•finconveniente di aprir l•faccesso alla noia che diviene sorgente

indiretta d•finnumerevoli patimenti perche si ricorre a qualunque mezzo per scacciarla; si

mette a prova infatti e riunioni, e divertimenti, e il giuoco, e il lusso, e la crapula, e mille

altre cose; da cio danni, rovine e disgrazie d•fogni specie. Difficilis in otio quies (e difficile

la pace nell•fozio). In cambio, per dimostrare quanto il limitarsi esternamente giovi alla

felicita umana, per quello, bene inteso, che puo giovare una cosa qualunque, non abbiamo

che da ricordarci come il solo genere di poesia che intende a dipingere le genti felici,

l•fidillio, le rappresenti sempre poste essenzialmente in una condizione ed in un ambiente

dei piu ristretti. Questo stesso sentimento produce pure il piacere che troviamo in cio che si

chiama quadri di genere. Per conseguenza avremo felicita nella maggior possibile

semplicita delle nostre relazioni ed anche nella uniformita del genere di vita fino a che una

tale uniformita non ci dia in braccio alla noia: a questa condizione sopporteremo piu

facilmente la vita ed il suo peso inseparabile; l•fesistenza scorrera, come un ruscello, senza

tempeste e senza vortici.

7.•‹ Quello che importa, in ultima analisi, per la nostra felicita o per la nostra infelicita

si e cio che riempie ed occupa la coscienza. Ogni lavoro puramente intellettuale apportera

in totalita alla mente capace di dedicarvisi risorse maggiori che non le apporterebbe la vita

reale colle sue alternative costanti di buono e cattivo esito, colle sue scosse e co•f suoi

tormenti. E vero d•faltronde che cio esige disposizioni di spirito non comuni. Conviene

inoltre osservare che da una parte l•fattivita esterna della vita ci distrae e ci allontana dallo

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studio, e toglie allo spirito la tranquillita ed il raccoglimento all•fuopo necessari, e che

d•faltra parte l•foccupazione continua dello spirito ci rende piu o meno incapaci di star in

mezzo all•fandamento ed al tumulto della vita reale; e dunque saggia cosa sospendere una

tale occupazione quando una circostanza qualunque necessita un•fattivita pratica ed

energica.

8.•‹ Per vivere con prudenza perfetta e per trarre dalla propria esperienza tutti

gl•finsegnamenti ch•fessa contiene, e necessario portarsi spesso indietro col pensiero e

ricapitolare cio che nella vita si e veduto, fatto, appreso e sentito nello stesso tempo;

bisogna pure confrontare il proprio giudizio d•faltre volte colle idee, progetti ed aspirazioni

attuali, col loro risultato, e colla soddisfazione dataci da tale risultato. L•fesperienza ci serve

cosi da maestro speciale che viene a darci lezione privatamente. La si puo anche

considerare come il testo, costituendone il commento le cognizioni e il raziocinio. Molto

raziocinio e copiose cognizioni somiglierebbero a quei libri le cui pagine presentano due

linee di testo e quaranta di chiose. Molta esperienza accompagnata da poco raziocinio e da

scarso sapere ricorda quelle edizioni di Deux-Ponts che non hanno annotazioni e che

lasciano cosi molti passi del testo inintelligibili.

Si e a tali precetti che si riferisce la massima di Pitagora, di passare in rivista cioe, la

sera, prima di addormentarsi, quanto si ha fatto nella giornata. L•fuomo che se ne va nel

69

tumulto degli affari e dei piaceri senza mai rinvangare il suo passato, e che si contenta di

aggomitolare la matassa della vita, perde ogni ragione chiara delle cose; il suo spirito

diventa un caos, e ne•f suoi pensieri s•finfiltra una certa confusione di cui fa testimonianza il

suo modo di conversare sconnesso, a scatti, a frammenti, e, per cosi dire, sottilmente

sminuzzato. Tale stato sara messo tanto piu in rilievo quanto piu sara grande l•fagitazione

esterna, la somma delle impressioni, e quanto piu sara piccola l•fattivita interna dello spirito.

Qui osserviamo pure come dopo un certo periodo di tempo da che le relazioni e le

circostanze che agirono su noi sono sparite, non possiamo piu far ritornare e rivivere la

disposizione e la sensazione prodotte gia in noi; ma cio che possiamo benissimo ricordarci

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si e le nostre manifestazioni in quell•foccasione. Ora queste sono il risultato, l•fespressione e

la misura delle sensazioni e dello stato che esse produssero in noi. La memoria quindi, o la

carta dovrebbero conservare con ogni cura le traccie delle epoche importanti della nostra

vita. Percio tener un giornale sara cosa molto utile.

9.•‹ Bastare a se stesso, esser per se stesso tutto in tutto, e poter dire: •áOmnia mea

mecum porto•â (porto con me tutte le cose mie), ecco certamente la condizione piu

favorevole per la nostra felicita; percio non si sapra mai ripeter abbastanza la massima di

Aristotele: •áLa felicita e per coloro che bastano a se stessi•â (Mor. ad Eud. 7, 2). (In fondo

e lo stesso pensiero, presentato in modo graziosissimo, che esprime la sentenza di Chamfort

messa per epigrafe a questo trattato: •áLa felicita non e cosa facile a conquistare: e difficile

trovarla in noi, affatto impossibile poi trovarla altrove•â). Perocche da una parte non si puo

contare con sicurezza che sopra se stessi; e d•faltra parte le fatiche e gl•finconvenienti, i

pericoli e gli affanni che la societa porta seco, sono innumerevoli ed inevitabili.

Non v•fha strada che piu ci allontani dalla felicita della vita alla grande, della vita dei

conviti e dei festini, di quella vita che gl•finglesi chiamano high life, perocche cercando di

trasformare la nostra miserabile esistenza in una successione continua di gioie, di piaceri e

di divertimenti, non si puo mancare d•fincontrar il disinganno, senza tener conto delle

menzogne reciproche di cui si fa scambio in quel mondo e che ne sono l•faccompagnamento

obbligato30.

Ed anzitutto qualunque societa esige necessariamente un adattamento reciproco, un

temperamento: quindi quanto piu sara numerosa, tanto piu diverra scipita. Non si puo esser

veramente se stesso, se non quando si e solo; dunque chi non ama la solitudine non ama la

liberta, perche non si e liberi che essendo soli. Ogni societa ha per compagna inseparabile la

riservatezza e reclama sacrifizi che costano tanto piu cari quanto piu la propria individualita

e spiccata. Per conseguenza ognuno fuggira, sopportera o cerchera la solitudine in

proporzione esatta del valore del suo io. Perocche e proprio qui che il povero sente tutta la

sua poverta, ed una gran mente tutta la sua grandezza; in breve, ciascuno vi si pesa al suo

giusto valore. Inoltre un uomo e tanto piu essenzialmente e necessariamente isolato quanto

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piu alto e il posto che occupa nel libro genealogico della natura. Allora per un tal uomo si e

una vera gioia che l•fisolamento fisico sia in rapporto col suo isolamento intellettuale: se cio

non puo essere il frequente avvicinarglisi di persone eterogenee turba, gli diviene

fors•fanche funesto, perocche gli toglie il suo io, e non ha niente da offrirgli in compenso.

Di piu mentre la natura ha messo la piu grande dissomiglianza, nel morale come

nell•fintelletto, fra gli uomini, la societa non ne tiene alcun conto, li fa tutti eguali, o

piuttosto alla diversita naturale sostituisce distinzioni e gradi artificiali di condizione e di

rango, che stanno sempre diametralmente in opposizione con quell•fordine scalare stabilito

dalla natura. Coloro che la natura ha posto in basso, si trovano molto bene vantaggiati da un

tale accomodamento sociale, ma il piccolo numero degli individui che stanno in alto non ci

30 Come il nostro corpo e avvolto nei vestiti, cosi il nostro spirito e inviluppato di menzogne. Le nostre

parole, le nostre azioni, tutto il nostro essere sono bugiardi, e non e che a traverso questo intonaco che si

puo

qualche volta intravvedere il nostro vero pensiero, come a traverso i vestiti le forme del corpo. (Nota

dell•fAutore).

70

ha il suo tornaconto; percio costoro si tolgono ordinariamente dalla societa: d•fonde risulta

che non appena questa diventa numerosa vi predomina la volgarita. Cio che agli animi

grandi fa venir a noia la societa si e l•fuguaglianza dei diritti e delle pretese che ne deriva, di

fronte alla disparita delle facolta e delle produzioni (sociali) degli altri. La cosi detta buona

societa apprezza i meriti di qualsivoglia specie, salvo i meriti intellettuali; questi anzi non

vi entrano che di contrabbando. Essa impone l•fobbligo di dimostrare una pazienza senza

limiti per ogni sciocchezza, per ogni follia, per ogni assurdita, per ogni stupidezza; i meriti

personali invece devono mendicare il loro perdono o nascondersi, perche la superiorita

intellettuale, senza concorso della volonta, offende colla sua sola esistenza. Inoltre, questa

pretesa buona societa non ha solo l•finconveniente di metterci in contatto con gente che non

possiamo approvare ne amare, ma di piu non ci permette d•fesser noi stessi, d•fesser quali

conviene alla nostra natura; essa ci obbliga piuttosto, allo scopo di metterci allo stesso

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diapason degli altri, a raggrinzarci per cosi dire, se non a difformarci addirittura. Discorsi

sanamente spiritosi o motti arguti non convengono che ad una societa di persone d•fingegno;

nella societa ordinaria essi sono cordialmente detestati, perocche per piacere alle persone

che la compongono bisogna essere assolutamente triviali e dappoco. In tali riunioni si deve,

con penosa annegazione di se stessi, abbandonare tre quarti della propria personalita per

assomigliarsi agli altri. E vero che in cambio si guadagna tutti costoro, ma quanto piu si ha

di valore in se tanto piu si scorgera che il guadagno non copre la perdita e che il contratto

finisce a nostro danno, perocche le persone generalmente sono insolvibili, vale a dire non

hanno cosa alcuna nel loro magazzino che possa indennizzarci delle noie, delle fatiche e dei

fastidi che esse procurano, e del sacrificio di se che impongono; d•fonde risulta che quasi

tutta la societa e di tale qualita che chi la baratta colla solitudine fa un affare eccellente. A

cio si aggiunge che la societa, allo scopo di supplire alla superiorita vera, vale a dire

all•fintellettuale, che essa non vuol sopportare e che e rara, ha adottato senza motivo una

superiorita falsa, convenzionale, fondata su leggi arbitrarie, una superiorita che si propaga

per tradizione fra le classi alte, e che nello stesso tempo si cambia come una parola

d•fordine: vogliam dire il bon ton •áfashionableness•â. Tuttavia quando succede che siffatta

specie di superiorita entra in collisione colla superiorita genuina, la meschinita di essa non

tarda a mostrarsi. Inoltre •áquand le bon ton arrive, le bon sens se ritire•â31.

In tesi generale non si puo essere in perfetto unisono che con se stessi; non si puo

esserlo coll•famico, non si puo esserlo con la donna amata, perche le differenze

dell•findividualita e dell•fumore producono sempre una dissonanza, sia pur piccolissima.

Cosi la pace del cuore vera e profonda, e la perfetta tranquillita dello spirito, beni supremi

sulla terra dopo la salute, non si trovano che nella solitudine, e non saranno permanenti se

non nell•fisolamento assoluto. Allora, quando l•fio e grande e ricco, si gusta la condizione

piu felice che sia possibile trovare in questo povero mondo. Si! diciamolo apertamente: per

quanto strettamente l•famicizia, l•famore e il matrimonio uniscano gli umani, non si vuol

bene, interamente e di buona fede, che a se stessi, o tutt•fal piu al proprio figlio. Meno si

avra bisogno, in seguito a condizioni oggettive e soggettive, di mettersi a contatto cogli

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uomini, meglio ci troveremo. La solitudine, l•fisolamento permettono d•fabbracciare d•fun

solo sguardo tutti i propri mali, od anche di non provarli in un colpo solo; la societa invece

e insidiosa; essa nasconde mali immensi, di sovente irreparabili, dietro un•fapparenza di

passatempi, di conversazioni, di divertimenti di societa, e d•faltre simili cose. Sarebbe per

gli uomini uno studio importante l•fimparar di buon•fora a sopportare la solitudine, questa

sorgente di felicita e di quiete intellettuale.

Da quanto abbiamo esposto deriva che ha una parte molto migliore colui che non

conta che su se stesso e che puo in tutto esser tutto a se stesso. Cicerone ha detto •áColui che

basta a se stesso e che mette in se solo tutte le cose sue non puo non esser felicissimo•â

(Paradox. II). Inoltre piu un uomo ha in se, meno gli altri possono essergli qualche cosa. Si

31 In francese nell•foriginale. (Nota del Trad.).

71

e un tal sentimento, di poter esser sufficiente a se stesso, che impedisce all•fuomo di vaglia e

ricco all•finterno, di fare alla vita comune quei grandi sacrifizi che essa esige, e molto meno

ancora di ricercarla a prezzo d•funa notevole annegazione di se stesso. Si e il sentimento

opposto che rende gli uomini ordinari cosi socievoli e cosi trattabili: infatti e loro piu facile

sopportar gli altri che se stessi. Notiamo pure che cio che ha un valore reale non e

apprezzato nel mondo, e che cio che e apprezzato non ha valore. Ne troviamo la prova e la

conseguenza nella vita ritirata d•fogni persona di merito e di distinzione. Ne segue che sara

per l•fuomo eminente far atto positivo di saggezza il limitare, se occorre, i bisogni, non fosse

altro per poter conservare ed estendere la propria liberta, e il contentarsi del meno possibile

per la propria persona quando il contatto cogli altri individui fosse inevitabile.

Cio che d•faltra parte rende gli uomini sociabili si e che essi sono incapaci di

sopportare la solitudine e di sopportare se stessi quando sono soli. Ed e dal loro vuoto

interno e dalla stanchezza di se stessi che sono spinti a cercare la societa, a correre paesi

stranieri e ad intraprendere viaggi continuamente. Il loro spirito, mancando della forza

necessaria per comunicarsi un movimento proprio, cerca di accrescersela col vino, e molti

cosi finiscono col divenire ubbriaconi. A questo scopo essi hanno pure bisogno

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dell•feccitamento continuo che viene dal di fuori e specialmente di quello prodotto da

individui della loro specie, che e il piu energico fra tutti. In mancanza di tale irritazione

esterna il loro spirito si accascia sotto il proprio peso e cade in grave letargia32. Si potrebbe

dire egualmente che ciascuno di essi non e che una piccola frazione dell•fidea dell•fumanita,

e che ha quindi bisogno di essere addizionato con molti de•f suoi simili per costituire in

certo modo una coscienza umana intera; invece l•fuomo completo, l•fuomo per eccellenza,

non e una frazione, ma rappresenta una unita intera e di conseguenza basta a se stesso. Si

puo, in questo senso, paragonare la societa ordinaria a quell•forchestra russa composta

esclusivamente di corni, nella quale ogni stromento non da che una nota; non e che colla

loro coincidenza precisa che si produce l•farmonia musicale. Infatti lo spirito della maggior

parte delle persone e monotono come quel corno che non produce che un suono solo:

costoro sembrano in realta non aver mai che un solo e medesimo soggetto nella mente, ed

essere incapaci di contenerne un altro. Cio spiega dunque in una volta come succeda che

essi siano tanto nojosi e tanto sociabili, e perche vadino ben volentieri in gregge: •áThe

gregariousness of mankind•â. La monotonia della loro propria natura e insopportabile a

ciascuno di essi: •áOmnis stultitia laborat fastidio sui•â. (Qualunque stupidezza opprime

colla nausea di se stessa). Non e che uniti e colla loro riunione che essi sono qualche cosa

precisamente come i sonatori di corno russo. L•fuomo intelligente invece puo esser

paragonato ad un virtuoso che eseguisce da se solo il suo concerto, oppure anche ad un

pianoforte. Simile a questo, che e da per se una piccola orchestra, egli e un piccolo mondo,

e cio che gli altri non sono che nell•fazione dell•finsieme, ei lo presenta nell•funita d•funa sola

coscienza. Come il pianoforte, ei non e una parte della sinfonia, ma e fatto per l•fa solo e per

la solitudine; quando deve prender parte al concerto cogli altri cio non puo essere che come

voce principale con accompagnamento, ancora come il pianoforte, o per dare il tono nella

32 Tutti sanno che i mali si sentono meno sopportandoli in comune: pare che fra questi mali gli uomini

contino la noja, ed e per questo che si riuniscono allo scopo di annojarsi insieme. Nello stesso modo che

l•famore della vita non e alla fin fine che la paura della morte, cosi l•fistinto sociale degli uomini non e un

sentimento diretto, vale a dire non e fondato sull•famore della societa, ma sulla paura della solitudine,

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perocche non e in verita la benefica presenza degli altri che si cerca, ma si fugge piuttosto l•faridita e la

desolazione dell•fisolamento, e cosi pure la monotonia della propria coscienza; per togliersi alla solitudine

ogni compagnia e buona, anche la cattiva, e ciascuno si sottomette volontieri alla fatica ed alla riservatezza

forzata che qualunque societa porta necessariamente con se. . Ma quando il disgusto di tuttocio ha preso il

sopravvento, quando, come conseguenza, la solitudine si ha caparrata la nostra simpatia e noi abbiamo

vinto

quella prima impressione che essa produce, in modo da non provar quegli effetti che piu in alto abbiamo

descritti, allora si puo a bell•fagio restar sempre soli; non si rimpiangera di certo il mondo, perche non si

avra

bisogno diretto di esso, e perche ormai si sara avvezzi alle conseguenze benefiche dell•fisolamento. (Nota

dell•fAutore).

72

musica vocale, sempre come il pianoforte. Chi ama andar di tempo in tempo nel mondo

potra cavare dalla comparazione precedente la regola che cio che manca in qualita alle

persone con cui si e in relazione deve esser supplito fino ad un certo punto dalla quantita.

La societa di un solo uomo intelligente potra bastargli, ma se non trova che mercanzia di

qualita ordinaria sara buona cosa averne in abbondanza, perche la varieta e l•fazione

combinate producano qualche effetto, in analogia coll•forchestra dei corni russi, gia

ricordata: e che il cielo gli accordi la pazienza di cui avra bisogno!

Egli e ancora a questo vuoto interno ed a questa nullita della gente che si deve

attribuire il fatto che quando gli uomini di miglior stoffa si uniscono in vista di qualche

scopo nobile ed ideale, il risultato sara quasi sempre il seguente: si trovera qualche membro

di quella plebe dell•fumanita che, simile agl•finsetti schifosi, pullula ed invade ogni cosa in

ogni luogo, sempre pronta ad impadronirsi di tutto indistintamente per alleviare la propria

noja, o qualche volta la propria miseria, . si trovera, dico, qualcuno che s•finsinuera

nell•fassemblea, o vi entrera a forza di molestie, ed allora o distruggera ben presto tutta

l•fopera, oppure la modifichera al punto che l•fesito ne verra presso a poco all•festremo

opposto dello scopo prefisso.

Si puo ancora considerare la sociabilita presso gli uomini come un mezzo per

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scaldarsi reciprocamente lo spirito, analogo al modo con cui si riscaldano scambievolmente

il corpo quando, nei grandi freddi, si ammucchiano e si serrano gli uni contro gli altri. Ma

chi possede in se molto calorico intellettuale non ha bisogno di tali accumulamenti. Si

trovera nel 2•‹ vol. di questa raccolta33, nel capitolo finale, un apologo immaginato da me su

questo soggetto. Conseguenza di tutto cio si e che la sociabilita di ciascuno e in ragione

inversa del valore intellettuale; dire di qualcuno: •áEgli e •ámolto insociabile•â significa

press•fa poco: •áCostui e un uomo dotato di facolta eminenti•â.

La solitudine offre all•fuomo altolocato intellettualmente due vantaggi: il primo

d•fesser con se, il secondo di non esser con gli altri. Si apprezzera grandemente quest•fultimo

riflettendo a tutto cio che il commercio col mondo porta seco in fatto di riservatezza

forzata, di tormenti, ed anche di pericoli. •áOgni nostro male deriva dal non poter esser

soli•â ha detto La Bruyere. La sociabilita appartiene ai caratteri pericolosi e perniciosi,

perocche ci mette in contatto con individui i quali in grande maggioranza sono moralmente

cattivi ed intellettualmente limitati o pervertiti. L•fuomo insociabile e colui che non ha

bisogno di siffatta gente. Aver abbastanza in se per poter fare a meno della societa e gia una

grande felicita, per cio stesso che quasi tutti i nostri mali derivano dal mondo, e perche la

tranquillita dello spirito, che dopo la salute forma l•felemento piu essenziale del nostro

benessere, vi e messa in pericolo e non puo esistere senza lunghi periodi di solitudine. I

filosofi cinici rinunziarono ai beni d•fogni specie per godere la felicita che procura la quiete

intellettuale: rinunziare alla societa allo scopo, di arrivare allo stesso risultato, si e scegliere

il mezzo piu saggio. Bernardin de Saint-Pierre dice con ragione ed in modo graziosissimo:

•áLa dieta degli alimenti ci da la salute del corpo, e quella degli uomini la tranquillita

33 Gli aforismi sulla saggezza nella vita fanno parte di una raccolta di scritti pubblicata da Schopenhauer

sotto il titolo di Parerga und Paralipomena. Ecco l•fapologo di cui l•fautore parla nel testo: •áIn una rigida

giornata d•finverno una truppa di porcospini si era messa in mucchio serrato per salvarsi scambievolmente

dal

freddo col loro proprio calore. Ma subito sentirono le offese delle loro punte, cio che li fece allontanare gli

uni

dagli altri. Quando il bisogno di riscaldarsi li avvicino di nuovo, si rinnovo lo stesso inconveniente,

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dimodoche essi furono ballonzolati di qua e di la tra i due patimenti fino a che non ebbero trovato una

distanza media che rese loro sopportabile la situazione. Cosi il bisogno di societa, nato dalla vacuita o dalla

monotonia del loro interno, spinge gli uomini gli uni verso gli altri; ma le numerose loro qualita ributtanti e i

loro insopportabili difetti li disperdono nuovamente. La distanza media che essi finiscono collo scoprire, e

nella quale la vita in comune diventa possibile, si e la pulitezza e le belle maniere. In Inghilterra si grida a chi

non mantiene la dovuta distanza: Keep your distance! . Con questo mezzo il bisogno di mutuo

riscaldamento

non e invero soddisfatto che a meta, ma in cambio non si sente la puntura delle spine. . Chi pero possede

molto calorico suo proprio preferisce rimanere fuori della societa per non provare ne cagionare

sofferenze.•â

(Nota del Trad.).

73

dell•fanima•â. Percio colui che si e assuefatto di buon•fora alla solitudine, e che vi ha preso

gusto, possiede una miniera d•foro. Ma questo non e dato a tutti. Perocche nella stessa guisa

che la miseria, da prima, avvicina gli uomini, cosi, piu tardi allontanato il bisogno, vi e la

noja che li raccoglie. Senza questi due motivi, ciascheduno resterebbe probabilmente in

disparte, non foss•faltro perche solo nell•fisolamento l•fambiente che ci circonda corrisponde

a quell•fimportanza esclusiva che ognuno possede a•f suoi occhi, ma che l•fandazzo

tumultuoso del mondo riduce a niente, visto che ad ogni passo riceve una dolorosa

smentita. In questo senso la solitudine e anzi lo stato naturale a ciascuno; essa lo rimette,

novello Adamo, nella condizione primitiva di felicita, nella condizione appropriata alla sua

natura.

Si! ma Adamo non aveva padre ne madre! Ed e per questo, d•faltra parte, che la

solitudine non e naturale all•fuomo, poiche al suo arrivo nel mondo ei non si trova solo, ma

in mezzo a parenti, a fratelli, a sorelle, con altre parole in seno d•funa vita in comune.

Per conseguenza l•famore della solitudine non puo esistere come inclinazione

primitiva; esso deve nascere come risultato dell•fesperienza e della riflessione, e prodursi

sempre in rapporto collo sviluppo della forza intellettuale ed in proporzione col progredire

degli anni: ne segue che alla fin fine l•fistinto sociale d•fogni individuo sara in rapporto

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inverso dell•feta sua. Il bambino strilla dalla paura e si lamenta non appena e lasciato solo,

fosse pure per qualche momento. Per i fanciulli il dover starsene soli e un severo castigo. I

giovani si uniscono volentieri fra loro; non v•fhanno che quelli dotati d•funa natura piu

nobile e d•funo spirito piu elevato che cercano gia qualche volta la solitudine; nondimeno

passar soli tutta la giornata e loro ancora difficile. Per l•fuomo fatto la cosa e facile; ei puo

rimanere a lungo isolato, e tanto piu a lungo quanto piu progredisce nella vita. Al vecchio

poi, unico sopravvivente delle generazioni sparite, morto da una parte alle gioje della vita, e

dall•faltra ormai al di sopra di esse, la solitudine e il vero suo elemento. Ma, in ogni

individuo considerato separatamente, i progressi dell•finclinazione al ritiro ed all•fisolamento

saranno sempre in ragione diretta del valore intellettuale. Perocche, come gia dicemmo, non

e questa un•finclinazione puramente naturale, provocata in modo diretto dalla necessita, e

piuttosto solamente l•feffetto dell•fesperienza acquistata e meditata; vi si arriva soprattutto

dopo essersi bene convinti della miserabile condizione morale ed intellettuale della maggior

parte degli uomini, e cio che v•fha di peggio in tale condizione si e che le imperfezioni

morali dell•findividuo cospirano colle imperfezioni intellettuali e si ajutano a vicenda; si

producono allora i fenomeni piu schifosi che rendono ripugnante, e fors•fanco

insopportabile, il commercio colla grande maggioranza degli uomini. Ecco perche, sebbene

vi siano tante brutte cose a questo mondo, la societa e ancora piu brutta: lo stesso Voltaire,

francese sociabile, si spinse fino a dire: •áLa terra e coperta da gente tale che non

meriterebbe nemmeno che le si rivolgesse la parola•â. Il tenero Petrarca, che ha cosi

vivamente e con tanta costanza amato la solitudine, ce ne spiega egualmente il perche:

Cercato ho sempre solitaria vita

(Le rive il sanno, e le campagne, e i boschi),

Per fuggir quest•fingegni storti e loschi

Che la strada del ciel hanno smarrita.

Ei ci presenta gli stessi motivi nel suo bel libro De vita solitaria, che sembra aver

servito di modello a Zimmermann per la celebre opera Della solitudine. Chamfort, co•f suoi

modi sarcastici, esprime precisamente questa origine secondaria e indiretta

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dell•finsociabilita quando scrive: •áSi dice qualche volta di un uomo che vive solo: Ei non

ama la societa. Spesso e la stessa cosa come se si dicesse d•fun uomo che egli non ama il

passeggiare perche non va a spasso volentieri la sera nella foresta di Bondy•â. Saadi nel

Gulistan parla nel medesimo senso: •áDa questo momento, prendendo congedo dal mondo,

noi abbiamo seguito la via dell•fisolamento, perocche la sicurezza sta nella solitudine•â.

74

Angelo Silesius, anima dolce e cristiana, dice la stessa cosa nel suo linguaggio speciale e

affatto mistico: •áErode e un nemico, Giuseppe e la ragione a cui Dio rivela in sogno (in

ispirito) il pericolo. Il mondo e Betleme, l•fEgitto la solitudine: fuggi, anima mia! fuggi, o tu

muori di dolore•â. Egualmente Giordano Bruno: •áTanti uomini che in terra hanno voluto

gustare vita celeste, dissero ad una voce: ecce elongevi fugiens et mansi in solitudine•â

(ecco, m•fallontanai fuggendo, e rimasi nella solitudine). Saadi, il persiano, parlando di se

nel Gulistan dice anche: •áStanco degli amici a Damasco mi ritirai nel deserto vicino a

Gerusalemme per cercare la societa degli animali•â. In poche parole tutti coloro che

Prometeo ha fabbricato colla migliore argilla si sono espressi nello stesso senso. Quali

piaceri infatti possono provare questi esseri privilegiati nel commercio con creature colle

quali non possono aver relazioni per stabilire una vita in comune se non per mezzo della

parte piu bassa e piu vile della loro natura, vale a dire di tutto cio che v•fha in essa di

volgare, di triviale, d•fignobile? Tali individui ordinari non potendosi levare all•faltezza dei

primi, non hanno altra risorsa, come non si prenderanno altro compito, se non quello di

abbassarli al loro livello. Da questo punto di vista si e davvero un sentimento aristocratico

quello che alimenta l•finclinazione all•fisolamento ed alla solitudine. Tutti i cialtroni sono

tanto sociali da far pieta: in cambio, a cio solo si vede che un uomo e di qualita piu nobile,

quando non trova alcun piacere cogli altri, quando alla loro societa preferisce ognor piu la

solitudine, acquistando insensibilmente coll•feta la convinzione che salvo rare eccezioni non

v•fha scelta nel mondo tra l•fisolamento e la volgarita. Per quanto dura sembri, questa

massima e stata espressa da Angelo Silesius stesso, ad onta di tutta la sua carita e tenerezza

cristiana: •áLa solitudine e penosa: pero non esser volgare, e tu potrai isolarti in qualunque

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luogo•â.

Specialmente in quanto concerne gli spiriti eminenti, e ben naturale che questi veri

educatori del genere umano provino anche tanta poca inclinazione a mettersi di frequente in

rapporto cogli altri, quanta ne puo sentire il pedagogo ad unirsi ai giochi rumorosi della

schiera di fanciulli che lo contorna. Perocche, nati per guidare gli altri uomini sull•fOceano

dei loro errori verso la verita, per trarli dall•fabisso della loro rozzezza e della loro volgarita,

per innalzarli verso la luce della civilizzazione e del progresso, essi devono, e vero, vivere

in mezzo a gente siffatta, ma senza pero appartenerle realmente; si sentono quindi fino dalla

giovinezza creature sensibilmente differenti; ma in questo riguardo la convinzione ben

chiara non giunge loro che insensibilmente a misura che vanno avanti cogli anni; allora

hanno cura di aggiungere la distanza fisica alla distanza intellettuale che li separa dal resto

degli uomini, e vegliano perche nessuno, a meno che non sia piu o meno affrancato dalla

volgarita generale, li accosti troppo da vicino.

Da tutto cio si deduce che l•famore della solitudine non apparisce direttamente ed allo

stato d•fistinto primitivo, ma che si sviluppa indirettamente e progressivamente specie negli

spiriti eminenti, non senza dover vincere l•finclinazione naturale alla socialita, ed anche

combattere all•foccasione qualche suggerimento mefistofelico: •áCessa dal giocare col tuo

cordoglio che, pari ad un avoltojo, ti rode la vita: la piu vile compagnia ti fa sentire che sei

uomo con gli uomini.•â

La solitudine e il retaggio delle menti superiori; qualche volta succedera loro che se

ne rammarichino, ma la sceglieranno sempre come il minore dei mali. Col progresso

dell•feta nondimeno il sapere aude doventa in questo riguardo sempre piu facile ed

omogeneo; verso la sessantena l•finclinazione alla solitudine arriva ad essere affatto

naturale, e quasi istintiva. Infatti tutto si unisce allora per favorirla. Le forze che spingono

piu gagliardamente alla socialita, cioe l•famor delle donne e l•fistinto sessuale, non agiscono

piu a quel momento; anzi lo sparire del sesso fa nascere nel vecchio una certa capacita di

bastare a se stesso, che a poco a poco assorbe totalmente l•finclinazione alla societa. Si e

ormai ritornati in se da mille illusioni e da mille stoltezze; d•fordinario la vita d•fazione e

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cessata; non si ha piu cosa alcuna da aspettare, nessun piano o progetto da concepire; la

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generazione a cui si appartiene realmente non esiste piu; attorniati da una razza straniera si

e di gia oggettivamente ed essenzialmente isolati. Con tutto cio il cammino del tempo si e

accelerato, e lo si vorrebbe inoltre impiegare per l•fintelletto. Perocche a quell•fora, ammesso

che la testa abbia conservato tutte le sue forze, gli studi d•fogni sorta sono resi piu che mai

facili ed interessanti dalla grande somma di esperienza e di conoscenze acquistate, dalla

meditazione progressivamente piu approfondita di qualunque pensiero, come pure dalla

maggior attitudine all•fesercizio di tutte le facolta intellettuali. Si vede chiaro in molte cose

che altra volta erano in certo modo avviluppate da densa nebbia, si ottiene eccellenti

risultati, e si sente interamente la propria superiorita. In seguito alla lunga esperienza si ha

cessato dall•faspettarsi gran cosa dagli uomini, poiche, tutto considerato, essi non

guadagnano ad esser conosciuti piu da vicino; si sa piuttosto che, eccettuata qualche rara

probabilita favorevole, non s•fincontreranno nella natura umana se non esemplari molto

difettosi che e meglio non toccare. Non si e piu esposti alle illusioni ordinarie, si vede a

colpo d•focchio cio che un uomo vale, e non si provera che molto di rado la voglia di entrare

in piu intimi rapporti con lui. Infine, quando nella vita solitaria si riconosce un•famica

d•finfanzia, l•fabitudine dell•fisolamento e del commercio con se stesso prende piede, e

diventa una seconda natura. Percio l•famor della solitudine, qualita che fino a quel punto

bisognava conquistare con la lotta contro l•fistinto della socialita; e ormai semplice e

naturale; si sta perfettamente bene da soli come il pesce nell•facqua. Ogni uomo superiore,

quindi, che ha un•findividualita non somigliante all•faltrui, e che per conseguenza occupa un

posto a parte, si sentira beato da vecchio in tale posizione interamente isolata, benche abbia

potuto trovarsene infastidito durante la sua gioventu.

Certamente ciascuno non possedera la sua parte di questo privilegio reale dell•feta se

non nella misura delle sue forze intellettuali; si e dunque lo spirito eminente che lo

acquistera prima d•fogni altro, ma ad un grado minore tutti vi arriveranno. Non v•fha che le

nature le piu povere e le piu volgari che saranno nella vecchia eta cosi socievoli come per lo

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innanzi: esse stanno allora a carico di quella societa a cui non sono piu adatte; ma tutt•fal piu

arriveranno a farsi tollerare, e non saranno mai cercate come altre volte.

Si puo ancora trovare un lato teleologico in questo rapporto inverso di cui or ora

tenemmo parola, tra il numero degli anni e il grado di socialita. Quanto piu l•fuomo e

giovane tanto piu ha da imparare ancora in tutte le direzioni; ora la natura non gli ha

riservato che quel mutuo insegnamento che ciascheduno riceve dalle relazioni co•f suoi

simili, quell•finsegnamento reciproco per cui la societa umana potrebbe chiamarsi una

grande casa d•feducazione Bell-Lancasteriana, visto che i libri e le scuole sono istituzioni

artificiose, ben lontane dal piano della natura. E molto utile all•fuomo il frequentare l•fistituto

naturale di educazione tanto piu assiduamente quanto piu e giovane.

•áNihil est ab omni parte beatum•â

non v•fha in questa vita beatitudine perfetta, dice Orazio, e •áNessun loto senza stelo•â ripete

un proverbio indiano; similmente la solitudine a lato di tanti vantaggi ha pure i suoi leggeri

inconvenienti e i suoi piccoli fastidi, che pero sono minimi riguardo a quelli della societa, a

tal punto che colui il quale ha un valore proprio, trovera sempre cosa piu facile far senza

degli uomini, piuttostoche mantenersi in relazione con essi. Fra gl•finconvenienti ve n•fha

uno del quale non si puo facilmente rendersi conto come degli altri; ed e il seguente: nello

stesso modo che a forza di starsene continuamente in una camera il nostro corpo diventa

cosi sensibile ad ogni impressione esterna che la piu piccola corrente d•faria lo colpisce

morbosamente, cosi il nostro umore si fa talmente sensibile nella solitudine e

nell•fisolamento prolungato che ci sentiamo inquieti, afflitti od offesi dai fatti piu

insignificanti, da una parola, fors•fanco dalla semplice apparenza, mentre chi e

costantemente in mezzo al tumulto del mondo non presta affatto attenzione a tali bagattelle.

76

Potrebbe darsi che un uomo, specialmente in gioventu, e ad onta che la giusta

avversione per i suoi simili l•fabbia gia fatto fuggire di sovente nell•fisolamento, non sappia

a lungo andare sopportarne il vuoto; io gli consiglio di abituarsi a portar seco nella societa

una parte della sua solitudine; apprenda cosi ad esser solo, fino ad un certo punto, anche fra

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la gente, per conseguenza non comunichi subito agli altri cio che pensa, d•faltra parte non

annetta troppo valore a cio che dice il mondo, e meglio ancora non si aspetti da esso gran

cosa, sia dal lato morale sia dall•fintellettuale, e quindi attenda a fortificare in se questa

indifferenza riguardo all•fopinione altrui, mezzo sicurissimo per praticare costantemente una

lodevole tolleranza. In siffatta guisa, benche in mezzo agli uomini, ei non sara interamente

nella loro societa, ed avra riguardo ad essi un•fattitudine piu puramente oggettiva, cio che lo

proteggera contro un contatto troppo intimo colla gente, e quindi contro ogni

contaminazione, e meglio ancora contro ogni offesa. Esiste una descrizione drammatica

degna di nota d•funa tale societa attorniata da barriere e da trinceramenti, nella commedia

•áEl cafe, o sea la comedia nueva•â di Moratin; la si trovera nel personaggio di Don Pedro,

sopratutto nelle scene 2a e 3a del primo atto.

In quest•fordine d•fidee possiamo paragonare la societa ad un fuoco innanzi a cui il

saggio si riscalda senza pero toccarlo come fa il pazzo il quale, dopo essersi scottato, fugge

nella fredda solitudine e si lamenta perche il fuoco brucia.

10•‹ L•finvidia e naturale all•fuomo, e tuttavia costituisce in un tempo stesso un vizio ed

un•finfelicita34. Dobbiamo dunque considerarla come un nemico della nostra felicita, e

cercar di soffocarla come un cattivo demone. Seneca ce lo comanda con queste belle parole:

•áLe cose nostre ci dilettano senza confronto: non sara mai felice quegli a cui dara

angoscia il desio di maggior bene•â (De ira, III, 30). Ed altrove: •áQuando poni mente a

quanta gente ti precede, pensa pure a quanta gente sta dietro di te•â (Ep. 15); bisogna

dunque considerare piuttosto coloro la cui condizione e peggiore della nostra che non quelli

che ci pare stieno meglio di noi. Quando ci colpiscono disgrazie reali, la consolazione piu

efficace, quantunque derivata dalla stessa sorgente dell•finvidia, sara la vista di mali piu

grandi dei nostri, ed a lato di cio il frequentare persone che si trovino nello stesso caso

nostro, i nostri compagni di sventura.

Ecco quanto sul lato attivo dell•finvidia. Circa il lato passivo havvi da osservare che

nessun odio e cosi implacabile come l•finvidia; percio invece d•fesser incessantemente

occupati ad eccitarla, faremmo assai meglio di rifiutarci, come molti altri, anche questo

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piacere, viste le sue funeste conseguenze.

Si danno tre aristocrazie: la quella della nascita e del rango; 2a quella del danaro; 3a

quella dello spirito. Quest•fultima e realmente la piu nobile, e si fa anche conoscere per tale

dato che gliene si lasci il tempo: lo stesso Federico il Grande non ha detto: •áLe anime

privilegiate stanno al medesimo livello dei sovrani•â? Egli indirizzava queste parole al suo

maresciallo di Corte, il quale si trovava offeso perche Voltaire era chiamato a prender posto

in una tavola riservata unicamente ai sovrani ed ai principi della famiglia, mentre i ministri

ed i generali pranzavano a parte con lui. Ognuna di queste aristocrazie e attorniata da

un•farmata speciale d•finvidiosi, segretamente stizziti contro ciascuno de•f suoi membri, ed

occupati, quando credono non aver da temere, a fargli capire in tutti i modi: •áTu non sei

niente piu di noi•â. Ma tali sforzi tradiscono precisamente la loro convinzione del contrario.

La linea di condotta che devono scegliere gl•finvidiati consiste nel tenere a distanza tutti

coloro che compongono tali bande, e nell•fevitare qualunque contatto con essi in modo da

restarne separati da un largo abisso; quando la cosa non e fattibile devono tollerare colla

maggior calma possibile gli sforzi dell•finvidia, la cui sorgente si trovera cosi esaurita.

Questo e quanto vediamo succedere ogni giorno. In cambio, i membri di una delle

aristocrazie nominate s•fintenderanno ordinariamente molto bene e senza provar invidia

34 L•finvidia, negli uomini, dimostra quanto si sentono infelici, e la continua attenzione che portano a tutto

cio che fanno o non fanno gli altri, prova quanto si annojano. (Nota dell•fAutore).

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colle persone che fanno parte d•fognuna delle altre due, e questo perche ciascheduno mette

nella bilancia il proprio merito come equivalente a quello degli altri.

11•‹ E necessario meditare maturatamente ed a molte riprese un progetto avanti di

metterlo in esecuzione, e, dopo averlo pesato scrupolosamente, bisogna pure calcolare la

parte debole per l•finsufficienza di ogni sapere umano; visti i limiti delle nostre cognizioni,

possono sempre esservi circostanze che e stato impossibile scrutare o prevedere, e che

potrebbero venir ad alterare il risultato di tutte le nostre speculazioni. Tale riflessione

mettera sempre un peso nel piatto negativo della bilancia, e ci portera negli affari importanti

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a non muover cosa senza necessita: •áQuieta non movere.•â Ma, una volta presa la decisione

e messo mano all•fopera, quando ogni cosa puo seguire il suo corso, e quando noi non

abbiamo piu che da aspettare il risultato, non bisogna ormai tormentarsi con replicate

considerazioni su cio che e fatto, e con sempre nuove inquietudini sui possibili pericoli; e

necessario invece scaricarsi completamente lo spirito da tale affare, chiudere affatto questo

scompartimento del pensiero, e rimaner tranquilli nella convinzione d•faver tutto pesato

maturamente a suo tempo. Cio e quanto consiglia pure di fare il proverbio italiano: •áLegala

bene e poi lasciala andare35•â. Se, ad onta di tutto, l•fesito non corrisponde, si e perche tutte

le cose umane sono soggette alla sorte ed all•ferrore. Socrate, il piu saggio degli uomini,

aveva bisogno d•fun demone tutelare per discernere il vero, od almeno per evitare il falso

ne•f suoi affari personali; non e questa una prova che la ragione umana non vi basta? Percio

questa sentenza, attribuita ad un papa, che siamo noi stessi, almeno in parte, colpevoli delle

disgrazie che ci colpiscono, non e vera, ne sempre, ne senza riserve, quantunque lo sia nella

maggior parte dei casi. Si e un tal sentimento che sembra condurre gli uomini a nascondere

per quanto e possibile i loro mali, ed a cercare, come meglio possono riuscirvi, di

aggiustarsi un aspetto soddisfatto. Essi temono che la sventura sia attribuita alla colpa.

12.•‹ In faccia d•fun avvenimento funesto, gia compito, che per conseguenza non si

puo piu modificare, bisogna non abbandonarsi nemmeno all•fidea che forse avrebbe potuto

succedere altrimenti, e meno ancora riflettere a quanto avrebbe avuto la possibilita di

stornarlo; perocche si e questo precisamente che porta la gradazione del dolore fino al

punto in cui diviene insopportabile, e fa dell•fuomo un �á.ƒ¿ƒÒƒÑƒÍƒËƒÑƒÇƒÊƒÍ ƒÏƒÍƒÒƒÊƒÃƒËƒÍ.�â.

Facciamo piuttosto come il re Davide, che assediava incessantemente Jehova con preghiere

e suppliche durante la malattia di suo figlio, e che, non appena questi fu morto, fece

scoppiettare le dita e non vi penso piu oltre. Colui che non ha un carattere abbastanza

leggero per condursi nello stesso modo, deve rifugiarsi sul terreno del fatalismo, e

convincersi pienamente di quest•falta verita che tutto quello che succede, succede

necessariamente, dunque e inevitabile.

Tuttavia questa regola non ha valore che in un solo senso. Essa giova a consolarci ed

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a calmarci immediatamente in caso di sventura; ma quando, come avviene piu di sovente,

devesi attribuire la colpa, almeno in parte, alla nostra negligenza od alla nostra temerita,

allora la meditazione ripetuta e dolorosa dei mezzi che avrebbero potuto prevenire il

funesto avvenimento e una mortificazione salutare, propria a servirci di lezione e di

ammendamento per l•favvenire. Sopratutto non bisogna cercar di scusare, colorire o

impiccolire ai propri occhi i falli di cui si e colpevoli evidentemente; e necessario

confessarseli e presentarseli in tutta la loro estensione, allo scopo di poter prendere la ferma

decisione di evitarli in seguito. E vero pero che cosi si viene a procurarsi il dolorosissimo

sentimento della scontentezza di se, ma •ál•fuomo impunito non s•finstruisce.•â

13.•‹ In tutto cio che concerne la nostra felicita o la nostra miseria bisogna imbrigliare

la fantasia: quindi, anzitutto non fabbricare castelli in aria: essi ci costano troppo cari,

perocche ci e forza, subito dopo, demolirli con molti sospiri. Ma dobbiamo guardarci ben di

piu dal darci angoscia rappresentandoci vivacemente mali che sono solamente possibili.

35 In italiano nell•foriginale.

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Che se essi poi fossero completamente immaginari od anche possibili solo in una

eventualita molto lontana, sapremmo immediatamente al nostro svegliarci da tal sogno, che

tutto questo non era che illusione; in conseguenza ci sentiremmo assai piu contenti della

realta che si trova esser migliore, e ne trarremmo forse avvertimento per accidenti lontani,

quantunque possibili. Ma la nostra fantasia non gioca facilmente con simili immagini; essa

non fabbrica mai per puro divertimento se non prospettive ridenti. La stoffa de•f suoi sogni

foschi e fornita dai mali che, quantunque lontani, ci minacciano effettivamente in una certa

misura; ecco gli oggetti che essa ingrandisce, ecco gli oggetti di cui avvicina la possibilita

alla verita e che dipinge coi colori piu terribili. Allo svegliarci, non possiamo scuotere un

tal sogno come facciamo delle visioni ridenti, perche queste sono smentite senza indugio

dalla realta, e non lasciano dietro di se che una debole speme di realizzazione. In cambio,

quando ci abbandoniano ad idee nere (blue devils), avviciniamo immagini che non si

staccano da noi tanto facilmente, perocche la possibilita dell•favvenimento, in generale, e

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vera, e noi non siamo sempre in istato di misurarne con esattezza il grado; essa allora si

trasforma ben presto in probabilita ed eccoci cosi in preda all•finquietudine. Si e per questo

che dobbiamo considerare cio che interessa il nostro bene o la nostra infelicita coi soli occhi

della ragione e del raziocinio; bisogna riflettere prima seccamente e freddamente, e poi non

operare che su nozioni ed in abstracto. L•fimmaginazione non deve entrar in giuoco, perche

non sa giudicare; essa non puo che presentare agli occhi immagini che commuovono

l•fanima senza vero motivo, e spesso molto dolorosamente. Si e alla sera che questa regola

dovrebbe essere piu strettamente osservata. Perocche se l•foscurita ci rende paurosi e ci fa

veder da per tutto figure spaventevoli, l•findecisione delle idee, che le e analoga, produce lo

stesso risultato; infatti l•fincertezza genera la mancanza di sicurezza: percio gli oggetti della

nostra meditazione, quando riguardano i nostri interessi, prendono facilmente di sera

un•fapparenza minacciosa e diventano spauracchi; a quell•fora la fatica ha rivestito lo spirito

ed il raziocinio d•foscurita soggettiva, l•fintelletto e accasciato e �áƒÆƒÍƒÏƒÒƒÀƒÍƒÒƒÊƒÃƒËƒÍ.�â (turbato), e

non e capace d•fun esame profondo. Questo succede piu di sovente la notte, a letto; lo spirito

essendo interamente allentato, il raziocinio non ha piu la sua piena potenza d•fazione,

mentre la fantasia e ancora attiva. La notte allora copre ogni essere ed ogni cosa della sua

tinta fosca. Quindi i nostri pensieri, nel momento d•faddormentarci o se ci svegliamo

durante la notte, ci fanno apparire gli oggetti sfigurati ed inverosimili come in sogno; li

vedremo cosi tanto piu neri e terribili quanto piu riguardano davvicino circostanze

personali. Al mattino tali spauracchi svaniscono, proprio come i sogni: e quanto significa il

proverbio spagnuolo: Noche tinta, blanco ed dia (La notte e colorata, bianco il giorno). Ma

di sera, non appena e acceso il lume, la ragione, del pari dell•focchio, vede meno

chiaramente che nel giorno; percio quell•fora non e favorevole a meditazioni su soggetti

seri, e specialmente su soggetti spiacevoli. Si e il mattino favorevole a cio, come in

generale, senza eccezione, ad ogni lavoro: lavoro dell•fintelletto o lavoro manuale. Perche il

mattino e la giovinezza del giorno: tutto e gaio, fresco e facile al mattino e noi ci sentiamo

vigorosi in quell•fora, e possiamo disporre di tutte le nostre facolta. Non bisogna abbreviarlo

levandosi tardi, ne sprecarlo in occupazioni od in discorsi volgari; ma invece e necessario

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considerarlo come la quintessenza della vita e, per cosi dire, come qualche cosa di sacro. In

cambio la sera e la vecchiezza del giorno: noi siamo abbattuti, ciarlieri e storditi. Ciascun

giorno e una piccola vita, lo svegliarsi e l•falzarsi una piccola nascita, ogni fresco mattino

una piccola giovinezza, e il coricarsi colla sua notte di sonno una piccola morte.

Ma, generalmente parlando, lo stata di salute, il sonno, il cibo, la temperatura, il

tempo, l•fambiente, e mille altre condizioni esterne influiscono considerevolmente sulla

nostra disposizione, e questa, a sua volta, sui nostri pensieri. Ne viene che il nostro modo di

considerar le cose, come pure l•fattitudine a produrre qualche opera, sono fino ad un certo

punto subordinate al tempo ed anche al luogo. Goethe ha detto: •áAfferrate la buona

disposizione perocche essa viene di rado•â. Non e solo per le concezioni oggettive e per i

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pensieri originali che ci e necessario attendere se e quando piaccia loro di venir a noi, ma

anche la meditazione profonda d•funa faccenda personale non riesce mai nell•fora fissata

precedentemente e nel momento in cui vogliamo dedicarvici; essa pure sceglie da se il suo

tempo, e lo fa quando una conveniente figliazione delle idee si sviluppa spontanea, e

quando possiamo seguirla con intera efficacia.

Per meglio tener in freno la fantasia, come noi lo raccomandiamo, occorre non

permetterle di ricordare e di colorire vivamente i torti, i danni, le perdite, le offese, le

umiliazioni, le vessazioni, ecc., subite per lo passato, perocche con questo agitiamo

nuovamente l•findegnazione, la collera, e tante altre odiose passioni assopite da lungo

tempo, passioni che tornano ad imbrattare l•fanima nostra. Secondo un bel confronto del

neoplatonico Proclo, come in ogni citta a lato dei nobili e della gente civile s•fincontra la

plebaglia d•fogni specie (ƒÍƒÔƒÉƒÍ.), cosi in qualunque uomo, fosse pure il piu nobile ed il piu

eminente, si trova l•felemento basso e volgare della natura umana, anzi qualche volta si

potrebbe dire della natura bestiale. Questa plebaglia non deve esser eccitata al tumulto; ne

bisogna permetterle di mostrarsi alla finestra, perche la vista ne e molto brutta. Ora quelle

produzioni della fantasia, di cui parlammo adesso, sono i demagoghi del popolaccio.

Aggiungiamo che la piu piccola contrarieta, provenga pure dagli uomini o dalle cose, se ci

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occuperemo costantemente a ruminarla ed a dipingerla sotto colori vistosi ed a grossa scala,

puo ingrandirsi fino a diventare un mostro che ci faccia perdere il senno. E necessario

invece accogliere molto prosaicamente e molto freddamente tutto cio che e dispiacevole

allo scopo di affliggersene il meno possibile.

Nella stessa guisa che gli oggetti piccoli tenuti troppo da presso all•focchio

diminuiscono il campo della visione e nascondono il mondo, cosi gli uomini e le cose che

ci contornano piu da vicino, quand•fanche fossero dappoco ed indifferenti al piu alto grado,

occuperanno spesso la nostra attenzione ed i nostri pensieri al di la d•fogni convenienza, e

svieranno idee ed affari d•falta importanza. Conviene reagire contro una tale tendenza.

14.•‹ Alla vista di beni che noi non possediamo, ci diciamo molto volentieri: •áAh! se

questa cosa fosse mia!•â ed un tal pensiero ce ne rende sensibile la privazione. Invece

dovremmo spesso domandarci: •áChe succederebbe se questa cosa non mi appartenesse?•â

Con cio intendo che dovremmo qualche volta sforzarci d•fimmaginare i beni che

possediamo come ci apparirebbero dopo averli perduti; e parlo dei beni d•fogni specie:

ricchezze, salute, amico, amante, sposa, figlio, cavallo e cane, perocche il piu di sovente si

e la perdita delle cose che ce ne insegna il valore. Al contrario il metodo che

raccomandiamo avra per primo risultato di fare che il loro possesso ci rendera

immediatamente piu felice che per lo avanti, ed in secondo luogo c•findurra a premunirci

con tutti i mezzi contro la loro perdita; sicche non rischieremo i nostri averi, non irriteremo

gli amici, non esporremo alla tentazione la fedelta della moglie, avremo la massima cura

della salute dei figli, e cosi di seguito. Noi cerchiamo spesso di rallegrare la tinta smorta del

presente con speculazioni sulla possibilita di buona fortuna, ed immaginiamo ogni sorta di

speranze chimeriche ciascuna delle quali e piena di delusioni; percio queste non mancano di

arrivare non appena le speranze vengono a rompersi contro la dura realta. Bisognerebbe

piuttosto sceglier per tema delle nostre speculazioni la cattiva sorte; cio che ci porterebbe a

prendere disposizioni allo scopo di allontanarla, e ci procurerebbe talora gradite sorprese

quando essa non si realizza. Non si e forse piu allegri dopo sortiti da qualche angoscia? E

anche salutare rappresentarci in mente certe grandi sventure che potrebbero eventualmente

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venire a colpirci; questo giovera a farci sopportare piu facilmente mali meno gravi quando

in fatto siano su di noi, perocche allora ci consoliamo ritornando col pensiero su quelle

disgrazie ben piu terribili che non si sono realizzate. Ma praticando questa regola bisogna

aver cura di non trascurare la precedente.

15.•‹ Gli avvenimenti e gli affari che ci risguardano si producono e si succedono

isolatamente, senza ordine, e senza mutuo rapporto, in sorprendente contrasto gli uni cogli

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altri, e senza altro legame che quello di riferirsi a noi; ne risulta che i pensieri e le cure

necessarie dovrebbero essere altrettanto nettamente distinte, al fine di corrispondere agli

interessi che le hanno provocate. In conseguenza quando intraprendiamo una cosa, bisogna

condurla a termine facendo astrazione da qualunque altro affare, allo scopo di compiere,

gustare o subire ogni cosa a suo tempo senza cure moleste di tutto il resto; dobbiamo avere

nei nostri pensieri, per cosi dire, degli scompartimenti per non aprirne che un solo mentre

gli altri resteranno chiusi. Vi troveremo il vantaggio di non guastare ogni piccolo piacere

attuale e di non perdere il riposo per la preoccupazione di qualche grande affanno;

guadagneremo ancora perche un pensiero non ne cacciera un altro, e perche la cura d•fun

affare importante non ce ne fara dimenticare molti di piccoli, ecc. Ma sopratutto l•fuomo

capace di pensieri nobili ed elevati non deve lasciare che il suo spirito sia assorbito dagli

affari personali e preoccupato da basse cure al punto che sia chiuso l•faccesso alle piu alte

meditazioni, perocche sarebbe veramente •ápropter vitam, vivendi perdere causas•â (per la

vita perdere le cause del vivere). E indubitato che per far eseguire al nostro spirito tutte

queste manovre e contromanovre ci abbisogna, come in molte altre circostanze, esercitare

una violenza su noi stessi; tuttavia dovremmo attingerne la forza nella riflessione che

l•fuomo subisce dal mondo esterno numerose e potenti tirannie alle quali nessuna esistenza

puo sottrarsi, ma che un piccolo sforzo esercitato su se stessi ed applicato a tempo e luogo

opportuno, puo ovviare sovente ad una grande pressione esterna; allo stesso modo nel

cerchio un piccolo taglio vicino al centro corrisponde ad un•fapertura talvolta centupla alla

periferia. Nessuna cosa ci sottrae alla tirannia del di fuori meglio della nostra soggezione a

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noi stessi: ecco il significato della sentenza di Seneca: •áSe vuoi che le cose tutte sieno a te

sottomesse, sottometti te stesso alla ragione•â (Ep. 37). Inoltre una tale soggezione a noi

stessi e sempre in nostro potere, e in un caso estremo, o quando essa posasse sovra il punto

piu sensibile, noi abbiamo la facolta di rallentarla un poco, mentre la pressione esterna non

ci risparmia mai, ed e per noi senza riguardi e senza pieta. Per cio e cosa saggia prevenir

questa con quella.

16.•‹ Limitare i propri desideri, frenare le brame, domare la collera, ricordandoci

incessantemente che ogni individuo non puo conseguir mai se non una parte infinitamente

piccola di cio che e desiderabile, e che in cambio mali senza fine devono colpire tutti gli

umani; in una parola •áƒ¿ƒÎƒÃƒÔƒÃƒÇƒË ƒÈƒ¿ƒÇ ƒ¿ƒËƒÃƒÔƒÃƒÇƒË, abstinere et sustinere•â (contenersi e

sostenersi),

ecco la regola senza l•fosservanza della quale ne ricchezza ne potere potranno impedirci di

sentire la nostra miserabile condizione. Orazio disse in proposito: •áIn ogni cosa leggi ed

interroga i dotti; in tal modo cerca di condur vita felice, affinche non ti agiti e non ti strazi

la cupidigia sempre povera, oppure il timore e la speranza di cose invero mediocremente

utili•â. (Ep. I, 18, 96-99).

17.•‹ ƒ­ ƒÀƒÇƒÍ. .ƒË ƒÑƒÅ ƒÈƒÇƒËƒÅƒÐƒÃƒÇ .ƒÐƒÑƒÇ, la vita sta nel movimento, ha detto con ragione

Aristotele: come la nostra vita fisica consiste unicamente nel movimento, cosi la nostra vita

interna, intellettuale, richiede un•foccupazione costante, un•foccupazione in qualunque cosa,

sia per mezzo dell•fazione, sia per mezzo del pensiero; ecco quanto prova quella mania che

ha la gente oziosa di mettersi a stamburare colle dita o col primo oggetto che cade loro sotto

mano. L•fagitazione infatti e l•fessenza della nostra vita; una inazione completa diviene ben

presto insopportabile perocche genera la noia piu orribile. E regolando tale istinto si puo

soddisfarlo metodicamente e con piu frutto. L•fattivita e indispensabile per esser felici; e

necessario che l•fuomo agisca, che compia, se cio gli e possibile, qualche lavoro, od almeno

che impari qualche cosa; le sue forze domandano il loro impiego ed egli stesso non chiede

che di vederle produrre un risultato qualsiasi. In questo rapporto la sua soddisfazione piu

grande consiste nel lavorare a qualche cosa, paniere o libro; ma cio che gli apporta una

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felicita immediata si e il vedere, giorno per giorno, crescere l•fopera propria sotto le mani

facendosi grado a grado piu perfetta. Una creazione artistica, uno scritto od anche un

semplice lavoro manuale producono interamente questo effetto; bene inteso che quanto piu

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la natura dell•fopera e nobile tanto piu il piacere e elevato. A questo riguardo i piu felici

sono gli uomini altamente dotati che si sentono capaci di produrre le opere piu importanti,

piu grandiose e piu fortemente ragionate. Cio sparge su tutta la loro esistenza un interesse

d•fordine superiore e le comunica un sapere che fa difetto negli altri uomini; ne viene che la

vita di questi ultimi e insipida in confronto dell•faltra. Infatti per le persone eminenti la vita

ed il mondo, a lato dell•finteresse comune, materiale, ne hanno un altro piu elevato e

formale, che e quello di contenere la stoffa delle loro opere; si e quindi a raccoglier questi

materiali che esse attivamente si occupano durante il corso del viver loro, non appena la

loro parte di miserie terrestri le lascia un momento in riposo. Il loro intelletto e anche, fino

ad un certo punto, doppio: una parte giova per gli affari ordinari (oggetti della volonta) e

somiglia a quella comune a tutti; l•faltra invece serve per la concezione puramente oggettiva

delle cose. Questi uomini vivono cosi d•funa vita doppia, spettatori ed attori in una volta,

mentre gli altri non sono che attori. Bisogna tuttavia che ciascheduno si occupi in qualche

cosa, nella misura delle sue facolta. Si puo constatare l•finfluenza perniciosa dell•fassenza

d•fattivita regolare, d•fun lavoro qualsiasi, durante i lunghi viaggi di piacere, quando di

tempo in tempo ci sentiamo infelici per la sola ragione che, privati di qualunque

occupazione reale, ci troviamo, per cosi dire, strappati dal nostro elemento naturale.

Faticare e lottare contro le resistenze e un bisogno per l•fuomo, come per la talpa scavar

buchi. L•fimmobilita che sarebbe prodotta dalla soddisfazione completa d•fun godere

continuo gli riescirebbe insopportabile. Vincere gli ostacoli costituisce il colmo del piacere

nell•fesistenza umana, sieno gli ostacoli di natura materiale come nell•fazione e

nell•fesercizio, oppure si riferiscano allo spirito come nello studio e nelle ricerche: si e la

lotta e la vittoria che rendono l•fuomo felice. Se l•foccasione gli manca, ei se la crea come

puo: secondo lo comporta la sua individualita andra a caccia o giuochera alla trottola,

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oppure, spinto dall•finclinazione inconscia della sua natura, suscitera contese, ordira intrighi,

macchinera inganni o non importa quale altra disonesta, al solo scopo di mettere un termine

allo stato d•fimmobilita che non puo sopportare. •áDifficilis in otio quies•â (E difficile la

calma nell•fozio).

18.•‹ Non sono le immagini della fantasia, ma nozioni nettamente concette che

bisogna prendere per guida nei propri lavori. Il contrario succede molto di frequente. Bene

esaminando, si scorge che cio che nelle nostre determinazioni viene in ultima istanza a

render decisiva la sentenza, non sono ordinariamente le nozioni ed i giudici, ma lo e bensi

un•fimmagine della fantasia che le rappresenta e le sostituisce. Non so piu in quale romanzo

di Voltaire o di Diderot la virtu appare sempre all•feroe, posto come Ercole adolescente al

bivio della vita, sotto l•faspetto del suo vecchio ajo che moralizza tenendo la tabacchiera

nella mano sinistra ed una presa di tabacco nella destra; il vizio invece colle sembianze

della cameriera di sua madre. Si e particolarmente durante la giovinezza che lo scopo della

nostra felicita si fissa sotto la forma di certe immagini che volteggiano davanti noi e che

persistono spesso durante la meta, e qualche volta durante tutto il corso della vita. Sono

esse veri folletti che ci tormentano, perche appena raggiunte svaniscono e l•fesperienza

viene ad insegnarci che non mantengono affatto cio che promettevano. Di questo genere

sono le scene speciali della vita domestica, civile, sociale o rurale, le idee sull•fabitazione e

sulla nostra societa, le decorazioni cavalleresche, le testimonianze di rispetto, ecc., ecc.;

•áchaque fou a sa marotte•â36 (ogni pazzo ha la sua impresa); anche l•fimmagine

dell•finnamorata ne e una. E ben naturale che sia cosi, perocche cio che si vede, essendo

l•fimmediato, agisce sulla nostra volonta piu facilmente della nozione, il pensiero astratto,

che non da che il generale senza il particolare; ora e proprio quest•fultimo che contiene il

reale: la nozione non puo dunque agire sulla volonta se non mediatamente. E tuttavia non

v•fha che la nozione che mantenga quanto promette: e quindi prova di coltura intellettuale

36 In francese nell•foriginale. Si veda a proposito di questo motto la nota a pag. 10. (Nota del Trad.) . (Nota

2 nella presente edizione elettronica Manuzio)

82

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porre in essa sola tutta la propria fede. Di tratto in tratto si fara certamente sentire il bisogno

di dare una spiegazione o di fare una parafrasi col mezzo di qualche immagine, ma soltanto

•ácum grano salis.•â

19.•‹ La regola precedente fa parte di quest•faltra massima piu generale che bisogna

sempre saper dominare l•fimpressione di tutto cio che e presente e visibile. Questo in

riguardo al semplice pensiero, alla conoscenza pura, e incomparabilmente piu forte, non in

virtu della materia e del valore, che sono spesso insignificanti, ma in virtu della forma, vale

a dire della visibilita e dell•fattualita diretta le quali penetrando nello spirito ne turbano il

riposo o ne rendono incerte le risoluzioni. Infatti ciocche e presente, ciocche e visibile,

potendo facilmente esser abbracciato d•funo sguardo, agisce sempre d•fun colpo solo, e con

tutta la sua potenza; invece i pensieri e le ragioni, dovendo esser meditate pezzo per pezzo,

richiedono e tempo e tranquillita, e non possono essere ad ogni momento ed interamente

presenti allo spirito. Si e per questo che una cosa gradevole a cui la riflessione ci ha fatto

rinunziare ci alletta ancora colla sua vista; cosi pure una opinione di cui conosciamo

l•fassoluta incompetenza tuttavia ci offende; un oltraggio ci irrita benche sappiamo che esso

non merita se non disprezzo, nello stesso modo dieci ragioni contro l•fesistenza d•fun

pericolo, sono vinte dalla falsa apparenza della sua comparsa, ecc. In tutte queste

circostanze prevale la irragionevolezza originale del nostro essere. Le donne sono ben di

frequente soggette a tali impressioni, e pochi uomini hanno una ragione abbastanza

preponderante per non aver a soffrire dai loro effetti. Quando non possiamo dominarle

interamente col solo pensiero, cio che di meglio possiamo fare si e di neutralizzare

un•fimpressione coll•fimpressione contraria: per esempio l•fimpressione di un•foffesa con

visite alle persone che ci stimano, l•fimpressione di un pericolo che ci minaccia colla vista

reale dei mezzi propri ad allontanarlo. Un italiano, di cui Leibnitz ci racconta la storia,

(Saggi critici, L. I, c. II, •˜ 11), riesci perfino a resistere ai dolori della tortura: a cio, con

ferma risoluzione presa prima, impose alla sua immaginazione di non perdere di vista un

solo istante la figura della forca a cui lo avrebbe senza dubbio condannato qualunque sua

confessione; sicche ei gridava di tratto in tratto: •áTi vedo•â, parole che, come spiego piu

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tardi, si riferivano al patibolo. Per la stessa ragione quando tutti intorno a noi sono

d•fun•fopinione differente della nostra e si conducono conseguentemente ad essa, e difficile

non lasciarsi smuovere dalle nostre idee quand•fanche si fosse convinti che gli altri sono

nell•ferrore. Per un re fuggitivo, inseguito e che viaggia seriamente incognito, il cerimoniale

di ossequio che il suo compagno e confidente osservera quando sono a quattr•focchi deve

essere un cordiale quasi indispensabile perche lo sventurato non giunga a dubitare della sua

stessa esistenza.

20.•‹ Dopo aver fatto spiccare fino dal secondo capitolo l•falto valore della salute come

condizione prima, ed importantissima fra tutte, della nostra felicita, voglio indicare alcune

regole di condotta molto generali per conservarla e fortificarla.

Per farsi robusti e necessario, finche si e in buona salute, sottoporre il corpo nel suo

insieme, come pure in ciascuna delle sue parti, a sforzi ed a fatiche, e abituarsi a resistere a

tutto quello che puo male impressionarlo, per quanto bruscamente cio possa succedere. Non

appena, invece, si manifesta uno stato morboso sia del tutto, sia d•funa parte, si dovra

ricorrere immediatamente al procedimento contrario, vale a dire risparmiare e curare in

ogni maniera il corpo o la parte malata: perocche chi e sofferente o snervato non e

suscettibile di esser aspramente invigorito.

I muscoli si fortificano; al contrario i nervi s•findeboliscono per un forte uso.

Conviene dunque esercitare i primi con tutti gli sforzi convenienti e risparmiare invece

qualunque sforzo ai secondi; in conseguenza difendiamo gli occhi dalla luce troppo viva

specialmente quando e riflessa, dalla fatica della semioscurita e del guardare a lungo oggetti

troppo piccoli; preserviamo egualmente le orecchie dagli strepiti troppo forti, ma sopratutto

evitiamo al cervello qualunque applicazione forzata, sostenuta troppo a lungo od

83

intempestiva; lo si lasci quindi riposare durante la digestione perocche allora quella stessa

forza vitale che, nella testa, forma i pensieri, lavora con tutti i suoi sforzi nello stomaco e

negli intestini a preparare il chimo ed il chilo; esso deve egualmente riposare durante e

dopo un lavoro muscolare considerevole. Perocche per i nervi motori come per i nervi

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sensitivi le cose procedono nello stesso modo, e, come il dolore provato in un membro leso

ha la vera sua sede nel cervello, cosi non sono le braccia e le gambe che faticano e

camminano, ma il cervello, cioe quella parte di esso che, per mezzo della midolla allungata

e della midolla spinale, eccita i nervi di questi membri e li fa muovere. Percio la fatica che

proviamo alle gambe od alle braccia ha la sua sede reale nel cervello; ed e per questo che le

membra il cui movimento e sottomesso alla volonta, ossia ha impulso dal cervello, sono i

soli che si stancano, mentre quelli il cui lavoro e involontario, come per esempio, il cuore,

sono instancabili. Evidentemente adunque sara nuocere al cervello l•fesiger da esso

un•fattivita muscolare energica e una grande tensione dello spirito, sia simultaneamente, sia

soltanto dopo un intervallo di tempo troppo corto. Cio non e per nulla in contraddizione col

fatto che al termine d•funa passeggiata od in generale dopo un breve cammino si prova un

aumento nell•fattivita dello spirito, perocche in questo caso non v•fha per anco fatica delle

parti respettive del cervello, e d•faltra parte una leggera attivita muscolare, accelerando la

respirazione, favorisce il salire del sangue arterioso, per di piu meglio ossigenato, al

cervello. Ma bisogna sopratutto dare ad esso la piena misura del sonno necessario al suo

ristoro, perche il sonno e per la macchina umana cio che il caricamento della molla e per

l•foriuolo. (Si veda Il mondo come volonta e come fenomeno II, 217. . 3a ed. II, 240). Tale

misura dovra esser tanto piu grande quanto piu il cervello sara sviluppato ed attivo; pero

oltrepassarla sarebbe semplicemente uno sprecare il tempo, perocche allora il sonno perde

in intensita cio che guadagna in estensione. (Si veda Il mondo come volonta e come

fenomeno II, 247. . 3a ed. II, 275).37 In generale persuadiamoci bene del fatto che il nostro

pensare non e altro che la funzione organica del cervello, e che quindi esso si conduce, in

quanto riguarda la fatica e il riposo, in modo analogo a quello di qualunque altra attivita

organica. Uno sforzo eccessivo stanca il cervello come stanca gli occhi. Si e detto con

ragione: Il cervello pensa come lo stomaco digerisce. L•fidea di un•fanima immateriale,

semplice, essenzialmente e costantemente pensante, quindi instancabile, che sarebbe come

allogata a pigione nel cervello, e che non avrebbe bisogno di cosa alcuna al mondo, una tale

idea ha certamente spinto piu di qualcheduno ad una condotta insensata, condotta che ha

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rintuzzato le sue forze intellettuali; Federico il Grande, per esempio, non ha tentato una

volta di disavvezzarsi totalmente dal sonno? I professori di filosofia dovrebbero bene non

incoraggiare simili illusioni, dannose anche in pratica, col loro sistema ortodosso di

filosofia da connocchia (Katechismusgerechtseynwollende Rocken-Philosophie). Bisogna

apprendere a considerare le forze intellettuali quali funzioni fisiologiche allo scopo di

saperle usare, risparmiare od affaticare a proposito; si deve ricordarsi che ogni dolore, ogni

disagio, ogni disordine in una parte qualunque del corpo, impressiona lo spirito. Per

convincersi pienamente di tale verita bisogna leggere: Cabanis, I rapporti del fisico e del

morale nell•fuomo.

Si e per aver trascurato di seguire questo consiglio che molte menti sublimi e molti

grandi scienziati, sono caduti da vecchi nell•fimbecillita, nell•finfanzia e insino nella follia.

Se, per esempio, celebri poeti inglesi del nostro secolo, quali Walter Scott, Wordsworth,

Southey, e vari altri, giunti a tarda eta, e pur anche fino dalla sessantina, sono divenuti

37 Il sonno e una piccola porzione di morte che noi prendiamo a prestito anticipando (*) e col cui mezzo

riguadagniamo e rinnovelliamo la vita consumata nello spazio di un giorno. Le sommeil est un emprunt fait

a

la mort. Il sonno prende a prestito dalla morte per mantenere la vita. Oppure esso e l•finteresse pagato

provvisoriamente alla morte, che rappresenta il pagamento completo del capitale. Il rimborso totale e

chiesto

con un ritardo tanto piu lungo quanto piu l•finteresse e alto e pagato regolarmente. (Nota di

Schopenhauer).

(*) In italiano nel testo originale. (Nota del Trad.).

84

intellettualmente ottusi ed inetti, e talvolta imbecilli, senza dubbio bisogna attribuirlo al

fatto che sedotti da stipendi elevati, hanno tutti esercitato la letteratura come un mestiere

scrivendo per del danaro. Un tal mestiere conduce ad una fatica contro natura: chiunque

sottomette il proprio Pegaso al giogo e spinge avanti la Musa colla frusta dovra espiarne la

colpa nella stessa maniera di colui che ha reso un culto forzato a Venere. Io credo che lo

stesso Kant, in eta avanzata, gia divenuto celebre, si sia dato ad un lavoro eccessivo ed

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abbia provocato cosi quella seconda infanzia in cui passo i suoi ultimi quattro anni di vita.

Ogni mese dell•fanno ha un•finfluenza speciale e diretta, vale a dire indipendente dalle

condizioni meteorologiche, sulla nostra salute, sullo stato generale del nostro corpo, ed

insino sullo stato del nostro spirito.

3. Circa la nostra condotta verso gli altri.

21.•‹ Per mettersi fra la gente e utile portar seco una buona provvista di circospezione

e d•findulgenza; la prima ci garantira dai danni e dalle perdite, l•faltra dalle contese e dagli

alterchi.

Chi e chiamato a vivere fra gli uomini non deve respingere in modo assoluto alcuna

individualita dal momento che essa e gia determinata e data dalla natura, fosse pure

l•findividualita la piu malvagia, la piu miserabile o la piu ridicola. Ei deve piuttosto

accettarla come una immutabilita che, in virtu d•fun principio eterno e metafisico, deve

essere quale e; e nel peggior dei casi dira a se stesso: •áBisogna bene che vi sia pure

qualcuno di questa specie.•â Che se prendesse la cosa altrimenti, commetterebbe

un•fingiustizia e provocherebbe l•faltro ad una lotta di vita e morte. Perocche non v•fha uomo

che possa modificare la propria individualita, vale a dire il carattere morale, le facolta

intellettuali, il temperamento, la fisonomia, ecc. Se dunque condanniamo senza eccezione il

suo essere, non gli restera che a combattere in noi un nemico mortale dal momento che noi

non vogliamo riconoscergli il diritto di esistere se non alla condizione di diventare altra

cosa da cio che e immutabilmente. Ed e per questo che, quando si vuol stare fra gli uomini,

bisogna lasciar vivere ciascheduno ed accettarlo coll•findividualita, qualunque essa sia, che

gli e toccata in sorte, occupandosi unicamente di utilizzarla in quanto la sua qualita e la sua

organizzazione lo permettono, ma senza sperare di modificarla e senza condannarla

puramente e semplicemente cosi come e. Ecco il vero significato del detto: •áVivere e

lasciar vivere,•â Tuttavia il compito non e cosi facile come e giusto; si chiami felice colui al

quale e dato di poter evitare per sempre certe individualita. Intanto, per imparar a

sopportare gli uomini, e buona cosa esercitare la pazienza sugli oggetti inanimati che, in

virtu d•funa necessita meccanica o di qualunque altra necessita fisica, contrariano

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ostinatamente la nostra azione; a cio fare abbiamo occasione ogni giorno. Si apprende poi a

trasportare sugli uomini la pazienza cosi acquistata, e si finisce coll•favvezzarsi all•fidea che

anch•fessi, tutte le volte che ci sono di ostacolo, lo sono per forza maggiore, in virtu d•funa

necessita naturale cosi rigorosa come quella per cui agiscono le cose inanimate: che per

conseguenza e cosa tanto insensata sdegnarsi della loro condotta quanto stizzirsi contro la

pietra che viene a rotolare sui nostri passi. Riguardo molte persone sara piu saggio dirsi:

•áNon le cambierei, dunque voglio utilizzarle•â.

22.•‹ E sorprendente il vedere a qual punto si manifesti nella conversazione

l•fomogeneita o l•feterogeneita di spirito e di carattere fra gli uomini; esse divengono

sensibili alla piu piccola occasione. Tra due persone, di natura essenzialmente diversa, che

discorreranno sopra soggetti i piu indifferenti, i piu strani, ogni frase dell•funa dispiacera piu

o meno all•faltra, e forse un solo detto la fara montare in collera. Quando esse invece si

rassomiglino, sentono immediatamente ed in ogni cosa un certo accordo che, quando

l•fomogeneita e molto spiccata, si fonde in un•farmonia perfetta, e puo giungere insino

all•funissono. Con cio si spiega in primo luogo perche gl•findividui molto triviali sono tanto

85

sociabili e trovano cosi facilmente dappertutto quell•feccellente compagnia che chiamano

•ábuona e brava gente amabilissima•â. Succede precisamente il contrario agli uomini che non

sono volgari, ed essi saranno tanto meno sociabili quanto piu sono eminenti, talmente che

qualche volta nel loro isolamento potranno provare un vero piacere nello scoprire presso

un•faltra persona una fibra qualunque, fosse pur piccolissima, della loro stessa natura.

Perocche ogni uomo non puo essere per un altro se non cio che questi stesso e per lui.

Come l•faquila, gli spiriti realmente superiori vagano per le altezze, solitari. Cio spiega, in

secondo luogo, come gli uomini che hanno le stesse inclinazioni si trovino cosi presto

riuniti assieme, come si attirino magneticamente: le anime sorelle si salutano da lontano. Si

potra osservar questo piu di frequente presso gl•findividui di sentimenti bassi o di scarsa

intelligenza; ma e unicamente perche costoro si chiamano legione, mentre gli animi buoni e

nobili sono e si chiamano esseri d•falta rarita. Sicche succedera, per esempio, che in qualche

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vasta associazione fondata in vista di risultati effettivi, due bricconi matricolati si

riconosceranno scambievolmente tanto presto come se portassero una coccarda, e si

avvicineranno subito per immaginare qualche abuso o qualche tradimento. Medesimamente

supponiamo, per impossibile38, una societa numerosa composta affatto da uomini

intelligenti e di spirito, ma della quale facessero parte pure due imbecilli; questi ultimi si

sentirebbero attratti simpaticamente l•funo verso l•faltro, e ben presto ciascuno di loro

sarebbe contento nel suo cuore d•faver finalmente trovato almeno una persona ragionevole.

E in verita degno di nota il vedere coi propri occhi come due esseri, principalmente fra

coloro che stanno ad un basso livello dal lato morale ed intellettuale, si conoscono a prima

vista, tendono ardentemente ad avvicinarsi, si salutano con amore e con gioia, e corrono

uno incontro all•faltro siccome vecchie conoscenze; tutto questo e tanto maraviglioso che si

e tentati d•fammettere, secondo la dottrina buddistica della metempsicosi, che costoro si

erano gia legati d•famicizia in una vita anteriore.

V•fha pero un fatto che, anche nel caso della massima armonia, mantiene gli uomini

lontani gli uni dagli altri e che giunge fino a creare tra loro una dissonanza transitoria:

sarebbe esso la differenza della disposizione del momento, disposizione che e quasi sempre

diversa per ogni persona secondo la sua situazione momentanea, l•foccupazione, l•fambiente,

lo stato del corpo, il corso attuale dei pensieri, ecc. Ecco quanto produce dissonanze fra

individualita che pure vanno d•faccordo magnificamente bene. Sforzarsi continuamente a

correggere cio che fa nascere questi dissensi ed a stabilire l•feguaglianza della temperatura

ambiente, sarebbe l•feffetto di una suprema coltura intellettuale. Si avra la misura di cio che

puo produrre per la societa l•feguaglianza dei sentimenti dal fatto che i membri d•funa

riunione, anche molto numerosa, saranno portati a comunicarsi reciprocamente lo loro idee,

a prender parte sinceramente all•finteresse ed al sentimento generale, non appena qualche

causa esterna, un pericolo, una speranza, una notizia, la vista d•funa cosa straordinaria, uno

spettacolo, un trattenimento musicale, o non importa quale altra cosa, viene ad

impressionarli tutti nel medesimo istante e nella stessa maniera. Perocche questi motivi

soggiogano qualunque interesse particolare e creano in cotal guisa l•funita perfetta di

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disposizione. In mancanza d•funa tale influenza oggettiva si ricorre d•fordinario a qualche

espediente soggettivo, ed allora si e la bottiglia che viene chiamata abitualmente a

procurare una disposizione comune alla compagnia. Il te ed il caffe sono del pari impiegati

a tale effetto. Ma quello stesso disaccordo che la diversita d•fumore introduce cosi

facilmente in ogni societa, porge anche la spiegazione parziale del fatto che ciascuno

apparisce come idealizzato, qualche volta anzi trasfigurato nel ricordo, quando questo non e

piu sotto l•fimpero dell•finfluenza momentaneamente perturbatrice di cui tenemmo parola, o

di qualunque altra consimile. La memoria agisce nello stesso modo della lente convergente

nella camera oscura: essa riduce tutte le dimensioni, e produce cosi un•fimmagine molto piu

bella dell•foriginale. Ogni assenza ci procura parzialmente il vantaggio d•fesser veduti sotto

38 Cosi nell•foriginale. (Nota del Trad.).

86

un tale aspetto. Perocche sebbene il ricordo idealizzatore richieda un tempo considerevole,

nondimeno il suo lavoro comincia immediatamente. Per questo sara buona e saggia cosa

non mostrarsi ai propri conoscenti ed amici che a lunghi intervalli; si osservera, nel

rivedersi, che il ricordo ha gia lavorato.

23.•‹ Nessuno puo vedere al di la di se stesso. Voglio dire con cio che non si puo

scorgere in altri piu di quello che si e in se stessi, perocche ciascuno capisce e comprende

un altro solamente nella misura della sua propria intelligenza. Se questa e della specie piu

bassa, tutti i doni intellettuali piu eminenti non lo impressioneranno affatto, ed egli non

vedra nell•fuomo cosi altamente dotato se non cio che v•fha di piu basso nell•findividualita,

cioe tutte le debolezze e tutti i difetti di temperamento e di carattere. Ecco di che il

grand•fuomo sara composto agli occhi suoi. Le alte facolta intellettuali dell•funo esistono

cosi poco per l•faltro come i colori per i ciechi. E cio viene perche qualunque genio resta

invisibile per chi ne e privo; e perche qualunque valutazione rappresenta il prodotto del

valore dello stimato per la sfera d•fapprezzamento dello stimatore. Ne segue che quando si

discorre con qualcuno si va a mettersi sempre al suo livello, poiche tutto cio che si ha al di

sopra sparisce, e di piu il sacrifizio di se stesso che esige un tale aggiustamento rimane

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perfettamente disconosciuto. Se dunque si riflettera quanto la maggior parte degli uomini

abbia sentimenti e facolta di bassa lega, in una parola quanto essi sieno triviali, si vedra che

e cosa impossibile parlare con loro senza diventare a sua volta triviale durante questo

intervallo (in analogia colla distribuzione dell•felettricita); si comprendera allora il

significato effettivo e la verita dell•fespressione tedesca •ásich gemein machen•â (rendersi

famigliare), e si cerchera di evitare qualunque compagnia colla quale non si possa

comunicare se non mediante la partie honteuse (la parte piu brutta) della propria natura. Si

capira egualmente che in presenza di imbecilli o di pazzi non v•fha che una sola maniera di

mostrare che si e forniti di ragione: cioe non parlare con essi. Ma e pur vero che allora, in

societa, piu di qualcheduno potrebbe trovarsi nella situazione di un ballerino che entrasse in

un ballo ove non ci fossero che degli attrappiti: con chi danzerebbe egli?

24.•‹ Io accordo tutta la mia stima, come ad un eletto fra cento individui, a colui che

essendo disoccupato, perche aspetta, non si mette immediatamente a dar colpi od a battere

il tempo con tutto cio che gli viene in mano, bastone, coltello, forchetta od altro oggetto

qualunque. E probabile che quest•fuomo pensi a qualche cosa. Si conosce alla cera della

maggior parte degli uomini che presso di essi la vista surroga interamente il pensiero;

costoro cercano di accertarsi della loro esistenza facendo strepito, a meno che non abbiano

in bocca un sigaro, cio che rende loro lo stesso servizio. Si e per la medesima ragione che

essi stanno costantemente cogli occhi e colle orecchie tese per attendere a tutto quello che

succede loro d•fintorno.

25.•‹ La Rochefoucauld ha molto giustamente osservato che e difficile nello stesso

tempo stimare ed amare assai un uomo. Avremo dunque la scelta di brigare l•famore o la

stima della gente. L•famore e sempre interessato, benche a titoli diversi. Di piu le condizioni

con cui lo si acquista non sono sempre tali da rendercene fieri. E prima di tutto ci faremo

amare nella misura a cui abbasseremo le nostre pretese di trovare spirito e cuore presso gli

altri, ma cio seriamente, senza finzioni, e non in virtu di quell•findulgenza che ha la sorgente

nel disprezzo. Per completare le premesse che ajuteranno a tirar la conclusione, ricordiamo

anche la sentenza cosi vera di Helvetius: •áIl grado di spirito necessario per piacerci e una

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misura assai precisa del grado di spirito che abbiamo noi stessi•â. Succede tutto il contrario

quando si tratta della stima degli uomini: non la si puo ottenere che loro malgrado, quasi

strappandola; essi la tengono anche il piu delle volte nascosta. Ed e per tale ragione che

questa ci procura una soddisfazione interna molto piu grande; essa e in proporzione col

nostro valore, cio che non e vero direttamente dell•famore della gente, perocche l•famore e

soggettivo, mentre e oggettiva la stima. Ma il primo ci e di certo piu utile.

87

26.•‹ Gli uomini, nella maggior parte, sono talmente personali che, in sostanza,

nessuna cosa ha interesse agli occhi loro se non essi stessi, e cio affatto esclusivamente. Ne

risulta che, qualunque sia l•fargomento di cui si parla, essi pensano tosto a se stessi, e che

tutto quello che, per azzardo e pur lontanamente, si riferisce a cosa che li riguardi, attira e si

cattiva tanto completamente la loro attenzione che essi non hanno piu la liberta di capire la

parte oggettiva del discorso; medesimamente non v•fhanno per loro ragioni valevoli dal

momento che queste contrariano il loro interesse o la loro vanita. Percio sono costoro cosi

facilmente distratti, cosi facilmente feriti, offesi ed afflitti che, quando pure si parlasse con

essi dal punto di vista soggettivo, non importa su cosa, non si sapra mai guardarsi

abbastanza da tutto cio che potrebbe nel discorso aver un rapporto possibile, forse ingrato,

col prezioso e delicato io che si ha davanti; niente fuori di questo io, li interessa, e mentre

non hanno sensi ne sentimento per quanto v•fha di vero e di notevole, o di bello, di fine, di

spiritoso nelle parole altrui, possedono la piu squisita sensibilita per tutto cio che, pur da

lontano ed in modo indiretto, puo toccare la loro meschina vanita o riferirsi

svantaggiosamente, in qualsivoglia modo, al loro inapprezzabile io. Somigliano davvero,

nella loro suscettibilita, a quei botoli sulle cui zampe e cosi facile camminare per

inavvertenza e di cui bisogna poi sopportare il guaire, od anche ad un malato coperto di

piaghe e di lividure che si deve con ogni cura evitar di toccare. Ve n•fha di quelli presso i

quali la cosa arriva ad un tal punto che sentono precisamente come un•foffesa lo spirito ed il

senno che si mostra o che non si nasconde abbastanza nel parlar con loro; non lo danno a

vedere, e vero, al momento, ma in seguito colui che non ha abbastanza esperienza riflettera

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e si lambicchera inutilmente il cervello per sapere con che si abbia potuto attirare il rancore

e l•fodio loro. Pero e altrettanto facile carezzarli e guadagnarseli. La loro sentenza quindi e

d•fordinario comperata: essa non e che un decreto in favore del loro partito o della loro

classe, e non un giudizio oggettivo ed imparziale. Cio viene perche presso di essi la volonta

sorpassa di molto l•fintelligenza, e perche il loro debole intelletto e affatto sommesso al

servigio della volonta da cui non puo francarsi un solo istante.

Tale miserabile soggettivita degli uomini che li fa riferire tutto a se stessi, e ritornare

immediatamente e in dritta linea da qualunque punto di partenza alla loro persona, e provata

sovrabbondantemente dall•fastrologia, che rapporta il cammino dei grandi corpi

dell•funiverso al vilissimo io e che trova una certa relazione tra le comete in cielo e le

contese e le miserie sulla terra. Ma cosi fu sempre, anche nei tempi piu antichi (si veda per

esempio Stobeo, Egloghe, L. I, c. 22, 9, pag. 478).

27.•‹ Non bisogna disperare ad ogni assurdita che si dice in pubblico o in societa, che

si stampa nei libri e che e bene accolta od almeno che non e confutata; e nemmeno bisogna

credere che essa rimarra accettata per sempre. Si sappia, a propria consolazione, che piu

tardi e insensibilmente la cosa sara ruminata, lucidata, meditata, pesata, discussa, e il piu

delle volte finalmente giudicata, di modo che, dopo uno spazio di tempo variabile in

ragione della difficolta della materia, la gente quasi tutta finira col capire cio che una mente

chiara aveva scorto a prima vista. E certo che nell•fintervallo bisogna pazientare. Perocche

l•fuomo di senno fra persone che sono nell•ferrore somiglia a colui che avesse l•forologio

perfettamente giusto in una citta in cui tutti gli orologi fossero mal regolati. Ei solo conosce

l•fora precisa, ma che giova? Tutti prenderanno sempre norma dai pubblici quadranti che

indicano un•fora falsa: tutti, anche colui che sapesse per caso come solamente l•forologio del

primo segni l•fora vera.

28.•‹ Gli uomini somigliano ai fanciulli che prendono brutte maniere quando sono

viziati; non si deve quindi esser troppo indulgenti o troppo amabili verso alcuno. Come

ordinariamente non si perdera un amico per avergli rifiutato un prestito, ma piuttosto per

averglielo accordato, cosi non lo si perdera per un atteggiamento altero e per un po•f di

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negligenza, ma piuttosto per un eccesso d•famabilita e di cortesia: con cio ei diviene

arrogante, insopportabile, e la rottura non tarda a predarsi. E sopratutto l•fidea che si ha

88

bisogno di loro che gli uomini non possono assolutamente sopportare; essa e sempre

seguita inevitabilmente da arroganza e da presunzione. Presso alcuni tale idea nasce gia per

questo solo che una persona e in relazione e discorre di sovente e famigliarmente con loro:

s•fimmaginano tosto che bisogna mostrarsi condiscendenti, e cercheranno di estendere i

limiti della gentilezza. Per questo havvi cosi scarsa gente da poter frequentare con un po•f

d•fintimita; sopratutto poi si deve guardarsi da qualunque domestichezza con esseri di basso

grado. Che se per disgrazia un individuo di questa specie s•fimmagina che io abbia bisogno

di lui assai piu che egli non ne abbia di me, provera immediatamente un sentimento quale

se io gli avessi rubato qualche cosa: allora cerchera di vendicarsi e di riacquistare la sua

proprieta. Non aver mai ed in alcun modo bisogno degli altri e farlo veder loro, ecco

assolutamente la sola maniera di mantenere la propria superiorita nelle relazioni. Per

conseguenza e cosa saggia far sentire a tutti, uomini e donne, che si puo benissimo star

senza di loro; cio fortifica l•famicizia: e anche utile di lasciar qualche volta introdursi un

granellino di disdegno nel nostro atteggiamento verso la maggior parte degli amici; essi non

faranno che valutare a piu alto prezzo la nostra amicizia. •áChi non istima vien stimato•â39

dice finemente un proverbio italiano. Ma se qualcuno avesse realmente un gran valore ai

nostri occhi bisognerebbe dissimularglielo come un delitto. Cio che davvero non e proprio

piacevole, ma in cambio e verissimo. A mala pena i cani sopportano una grande

benevolenza; ben altrimenti gli uomini.

29.•‹ Le persone della specie piu nobile e dotate delle piu alte facolta tradiscono,

specialmente in gioventu, una mancanza sorprendente di conoscenza degli uomini e di

saper fare; si lasciano anche facilmente ingannare o traviare, mentre esseri inferiori sanno

molto meglio e molto piu prontamente vivere nel mondo; cio succede perche, in mancanza

d•fesperienza, si deve giudicare a priori e perche in generale nessuna esperienza vale l•fa

priori. Alla gente di calibro ordinario questo a priori e fornito dal loro stesso io, mentre non

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lo e a coloro che hanno una nobile e degna natura, perocche e precisamente in questo che

costoro differiscono dagli altri. Valutando quindi i pensieri e gli atti degli uomini ordinari

secondo i loro propri, il conto non torna.

Ma anche quando un tal uomo avra finalmente imparato a posteriori, vale a dire dalle

lezioni altrui e dalla propria esperienza, cio che deve aspettarsi dagli uomini; anche quando

avra compreso che i cinque sesti di essi, tanto dal lato morale quanto dal lato intellettuale,

sono fatti in modo che chi non e forzato dalle circostanze ad entrar in relazione con loro,

fara cosa molto buona evitandoli fin da bel principio e tenendosi per quanto e possibile

lontano dal loro contatto, anche allora quest•fuomo non potra, ad onta di tutto, avere una

conoscenza sufficiente della loro piccolezza e della loro meschinita; egli avra per tutta la

vita da estendere e da completare questa nozione, ma fino allora fara pur sempre calcoli

falsi a suo svantaggio. Inoltre, benche imbevuto degli insegnamenti ricevuti, gli succedera

qualche volta ancora, trovandosi in una societa di persone che non conosce, di sentirsi

meravigliato nello scorgere che tutti paiono ragionevoli, leali, sinceri, onesti e virtuosi, e

fors•fanco intelligenti e spiritosi. Ma che cio non lo tragga dalla buona strada, perche deriva

semplicemente dal fatto che la natura non procede come i cattivi poeti i quali, quando

devono presentare un briccone od un pazzo, lo fanno cosi goffamente e con un•fintenzione

cosi accentuata che si vede spuntare, per cosi dire, dietro ognuno di questi personaggi

l•fautore a sconfessarne costantemente il carattere e i discorsi, ed a gridar forte in modo

d•favvertimento: •ácostui e una canaglia, quest•faltro e un matto; non prestate fede a quello

che dicono•â. La natura invece agisce alla maniera di Shakespeare e di Goethe: nelle opere

di costoro, ogni personaggio, fosse pure il diavolo stesso, per tutto il tempo in cui sta sulla

scena, parla come ragione vuole che parli; esso e concepito in modo cosi oggettivamente

reale che ci attrae e ci costringe a prender parte a•f suoi interessi; simile alle creazioni della

natura, e lo sviluppo di un principio interno in virtu del quale i suoi discorsi e i suoi atti

39 In italiano nel testo. (Nota del Trad.).

89

appariscono come naturali e per conseguenza necessari. Colui che crede che nel mondo i

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diavoli non vadano mai senza corna e i pazzi senza sonagli sara sempre loro preda o loro

zimbello. Aggiungiamo ancora a tutto questo che nelle loro relazioni, gli umani fanno come

la luna ed i gobbi, non ci mostrano, cioe, che una sola faccia; essi hanno un talento innato

per trasformare con abile mimica il viso in una maschera che rappresenta molto esattamente

cio che dovrebbero essere in realta; questa maschera tagliata esclusivamente sulla misura

della loro individualita, si adatta e conviene cosi perfettamente bene ad essi che l•fillusione e

completa. Ciascuno se l•fapplica ogni qual volta gli possa giovare per insinuarsi con arti

lusinghiere. Non bisogna fidarsi di essa piu che d•funa maschera di tela cerata ricordando

quell•feccellente proverbio italiano: •áNon e si tristo cane che non meni la coda•â.40

Guardiamoci bene, in ogni caso, dal formarci un•fopinione molto favorevole di un

uomo appena fattane la conoscenza; saremmo d•fordinario disingannati a nostra confusione

e forse pure a nostro danno. Ancora una osservazione degna di nota: si e precisamente nelle

piccole cose, nelle quali non pensa a badare al proprio contegno, che l•fuomo svela il suo

carattere; si e nelle azioni insignificanti, qualche volta nelle semplici maniere, che si puo

facilmente osservare quell•fegoismo illimitato, senza riguardo per alcuno, che non si

smentira mai in seguito nelle cose grandi, ma che solamente sara dissimulato. Che

occasioni simili non sieno perdute per noi! Quando un individuo si conduce senza

discrezione alcuna nei piccoli incidenti giornalieri, nei piccoli affari della vita, ai quali si

applica il motto: •áDe minimis lex non curat•â (La legge non si occupa di piccolezze),

quando ei non cerca nelle occasioni che il suo interesse o i suoi comodi a danno degli altri,

o si appropria cio che deve servire a tutti, ecc., questo individuo, siatene pur certi, non ha in

cuore il sentimento del giusto; ei sara un furfante anche nelle grandi circostanze ogni qual

volta la legge o la forza non gli legheranno le braccia; non permettete a quest•fuomo di

passare la soglia di casa vostra. Si, lo affermo, colui che viola senza scrupolo le regole del

suo club, violera egualmente le leggi dello Stato non appena potra farlo senza pericolo.41

Quando un uomo col quale siamo in rapporti piu o meno stretti ci fa qualche cosa che

ci dispiace o ci sdegna, noi non abbiamo che da chiederci se egli ha o se non ha agli occhi

nostri abbastanza valore perche accettiamo da parte sua una seconda volta ed a riprese

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sempre piu frequenti un trattamento simile, e fors•fanco piu accentuato (perdonare o

dimenticare significano gettare dalla finestra l•fesperienza acquistata a caro prezzo). Nel

caso affermativo, tutto e detto; perocche semplicemente parlare non servirebbe a nulla:

bisogna allora lasciar passare la cosa con o senza ammonizione; ma dobbiamo ricordarci

che in tal modo ce ne attireremo benevolmente la ripetizione. Nella seconda alternativa e

necessario, immediatamente e per sempre, rompere ogni relazione col caro amico, o, se si

tratta d•fun servo, congedarlo. Imperciocche ei fara, rinnovandosi il caso, inevitabilmente ed

esattamente la stessa cosa, o qualche cosa affatto analoga, quand•fanche al momento ci

giurasse ben altamente e sinceramente il contrario. Si puo tutto dimenticare, tutto, eccetto

se stessi, eccetto il proprio essere. Infatti il carattere e assolutamente incorreggibile, perche

tutte le azioni umane partono da un principio intimo, in virtu del quale un uomo deve

sempre agire nella stessa guisa trovandosi nelle stesse circostanze, e non puo condursi

altrimenti. Leggete la mia memoria, premiata, sulla pretesa liberta della volonta e cacciate

ogni illusione. Riconciliarsi con un amico col quale si aveva rotta l•famicizia e dunque una

debolezza che si dovra espiare quando, alla prima occasione, questi ricominciera a fare

precisamente cio che aveva determinato la rottura, e lo fara per di piu con maggior

sicurezza, perche ha la coscienza secreta di esserci indispensabile. Tutto questo si applica

40 In italiano nel testo originale. (Nota del Trad.).

41 Se negli uomini, tali quali sono nella maggior parte, il lato buono superasse il cattivo, sarebbe cosa

saggia fidarsi alla loro giustizia, alla loro equita, alla loro fedelta, alla loro affezione od alla loro carita

piuttosto che al loro timore; ma siccome succede affatto il contrario, fare il contrario sara piu saggio. (Nota

dell•fAutore).

90

egualmente ai domestici congedati che riprendiamo al nostro servizio. Dobbiamo ancor

meno, e per gli stessi motivi, aspettarci di veder che un uomo si comporti nello stesso modo

della volta precedente quando le circostanze sono cangiate. Che invece la disposizione e la

condotta degli uomini cangiano altrettanto presto quanto il loro interesse: le intenzioni che

li muovono tirano le loro lettere di cambio a vista cosi corta che bisognerebbe veder corto

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ben di piu per non lasciarle protestare.

Supponiamo ora che volessimo sapere come si condurra una persona in una

situazione in cui abbiamo intenzione di metterla; per cio non bisognera contare sulle sue

promesse e sulle sue asserzioni. Perocche anche ammettendo che ne parli sinceramente,

essa parla pur sempre di una cosa che ignora. Si e dunque dall•fapprezzamento delle

circostanze in cui sara per trovarsi, e del conflitto di queste col suo carattere, che noi

potremo renderci conto del suo agire futuro.

In tesi generale per acquistare la comprensione netta, profonda e cosi necessaria della

vera e triste condizione degli uomini, e eminentemente istruttivo l•fimpiegare, qual

commentario della condotta e dei raggiri loro sul terreno della vita pratica, la condotta ed i

raggiri loro nel dominio della letteratura e viceversa. Cio e molto utile per non cadere in

errore su se stessi, ne su loro. Ma nel corso di tale studio qualunque tratto di grande infamia

o stoltezza che potessimo incontrare sia nella vita, sia in letteratura, non dovra prestarci

soggetto per affliggerci o per metterci in collera; esso dovra servire unicamente alla nostra

istruzione offrendoci un lato complementare del carattere della specie umana, che sara

buona cosa non dimenticare. In tal maniera osserveremo la faccenda come il mineralogista

esamina un saggio bene caratterizzato d•fun minerale cadutogli sotto la mano. V•fha delle

eccezioni, ve n•fha pure di incomprensibilmente grandi, e le differenze tra le individualita

sono immense; ma, preso in massa, lo si e detto da lungo tempo, il mondo e cattivo; i

selvaggi si mangiano tra loro, e i popoli civili s•fingannano a vicenda, e questo si chiama

l•fandamento delle umane cose. Gli Stati, coi loro ingegnosi meccanismi diretti contro il di

fuori e il di dentro, e coi loro mezzi di coazione, cosa sono dunque se non misure stabilite

per mettere un limite alla illimitata perversita degli uomini? Non vediamo forse in ogni

storia, ciascun re, non appena e solidamente assiso sul trono e non appena il suo paese gode

di qualche prosperita, profittarne per piombare colla sua armata, come una banda di

briganti, sugli Stati vicini? Tutte le guerre non sono forse in sostanza atti di brigantaggio?

Nella remota antichita e cosi pure durante una parte del medio evo, i vinti diventavano

schiavi dei vincitori, cio che, alla fin fine, vuol dire che quelli dovevano lavorare per questi;

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ma coloro che pagano contribuzioni di guerra devono fare altrettanto, ossia dare il prodotto

del lavoro gia fatto: In tutte le guerre non si tratta che di rubare, scrisse Voltaire, e che i

Tedeschi se lo tengano per detto.

30.•‹ Nessun carattere e tale che si possa abbandonarlo a se stesso e lasciarlo andare

liberamente; esso ha bisogno di esser guidato con nozioni e massime. Che se, spingendo la

cosa all•festremo, si volesse fare del carattere non il risultato della natura innata, ma

unicamente il prodotto d•funa deliberazione ragionata, per conseguenza un carattere del tutto

acquisito ed artificiale, si vedrebbe tosto verificarsi la sentenza latina:

Naturam expelles furca, tamen usque recurret.

(Caccia a forza la natura, nullameno essa ritornera sempre di volo).

Infatti si potra molto bene vedere od anche scoprire e formulare perfettamente una regola di

condotta verso gli altri, e nondimeno nella vita reale si pecchera fin dal bel principio contro

di essa. Tuttavia non si deve per cio perdere coraggio e credere che sia impossibile il

dirigere la propria condotta nella vita sociale secondo regole e massime astratte, e che

quindi valga meglio lasciarsi andare alla buona. Perocche di queste succede come di tutte le

91

istruzioni e direzioni pratiche; comprendere la regola e una cosa, e saperla applicare

un•faltra. La prima si acquista ad un tratto per mezzo dell•fintelligenza, la seconda a poco a

poco per mezzo dell•fesercizio. All•fallievo si son fatti vedere i tasti dell•fistromento, le parate

e i colpi di fioretto; ma in pratica egli s•finganna immediatamente malgrado la piu buona

volonta e s•fimmagina allora che ricordarsi queste lezioni nella rapidita della lettura

musicale o nell•fardore d•fun assalto sia cosa quasi impossibile. E tuttavia un po•f per volta, a

forza d•finciampare, di cadere e di rialzarsi, l•fesercizio finisce coll•finsegnargliele; lo stesso

succede per le regole della grammatica quando si apprende a leggere ed a scrivere in latino.

Non e altrimenti che un mascalzone diviene cortigiano; una testa calda, un personaggio

eminente; l•fuomo aperto, abbottonato; il nobile, sarcastico. Tuttavia questa educazione di

se, ottenuta siffattamente con lunga abitudine, agira sempre come uno sforzo venuto dal di

fuori, cui la natura non cessera mai dall•fopporsi, e ad onta del quale finira qualche volta

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coll•firrompere da un varco inaspettato. Perocche qualunque condotta che abbia per motore

massime astratte si riferisce ad una condotta decisa dalla inclinazione primitiva ed innata,

come un meccanismo alla mano dell•fuomo: per esempio un orologio, ove la forma e il

movimento sono imposti ad una materia che e estranea ad essi, si riferisce ad un organismo

vivente in cui forma e materia si compenetrano scambievolmente e non formano che una

cosa sola. Tale rapporto tra il carattere acquisito e il carattere naturale conferma il pensiero

espresso dall•fimperatore Napoleone: •áTutto cio che non e naturale e imperfetto.•â Questo e

vero in tutto e per tutti, sia nel fisico che nel morale; e la sola eccezione che io ricordi alla

regola si e la venturina naturale che non vale l•fartificiale.

Guardiamoci quindi da qualunque affettazione. Essa provoca sempre il disprezzo:

prima di tutto e un inganno e come tale una vigliaccheria, perche si fonda sulla paura; e in

secondo luogo implica condanna di se stesso per mezzo di se stesso, imperocche si vuol

parere cio che non si e, e si crede questo esser migliore di cio che si e. Il fatto d•faffettare

una qualita, di vantarsene, e confessare di non possederla. Quanta gente si gloria, di

coraggio o di dottrina, d•fintelligenza o di spirito, di successi colle donne o di ricchezze o di

nobilta o d•faltro, e si potra invece concludere che e precisamente su tale capitolo che manca

loro qualche cosa! Perocche colui che possede realmente e completamente una qualita non

si pensa di farne mostra e di affettarla; egli e perfettamente tranquillo su tale rapporto. E

questo che vuol dire il proverbio spagnuolo: •áHerradura que chacolotea clavo le falta•â (A

ferratura crocchiante manca un chiodo). Non si deve certo, l•fabbiamo gia detto,

abbandonare affatto le redini e mostrarsi interamente quali si e; perche la parte cattiva e

bestiale della nostra natura e considerevole ed ha bisogno d•fesser velata; ma cio non

legittima che l•fatto negativo, la dissimulazione, e niente affattissimo il positivo, la

simulazione. Bisogna pure sapere che si scopre l•faffettazione in un individuo prima ancora

di capir chiaro cio ch•fegli voglia precisamente affettare. Infine la cosa non puo durare a

lungo, e la maschera un giorno finira col cadere: •áNessuno puo portare per lungo tempo la

maschera; le cose finte ben presto ritornano alla propria natura•â (Seneca, De clementia,

L. I, c. 1).

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31.•‹ Nella stessa guisa che si porta il peso del proprio corpo senza avvertirlo mentre

si sentirebbe il peso di qualunque oggetto estraneo che si volesse muovere, cosi non si

scorgono che i difetti e i vizi degli altri e non i propri. In cambio pero ciascuno possede in

altrui uno specchio nel quale puo vedere distintamente i suoi propri vizi, i suoi difetti, e le

sue maniere grossolane e antipatiche. Ma d•fordinario si fa come il cane che abbaja contro lo

specchio perche non sa esser se stesso ch•fei vede e s•fimmagina invece d•faver davanti un

altro cane. Chi critica gli altri lavora alla correzione di se medesimo. Coloro dunque che

hanno una tendenza abituale a sottoporre tacitamente nel loro foro interno ad una critica

attenta e severa le maniere degli uomini, ed in generale tutto cio che questi fanno o non

fanno, costoro intendono a correggere ed a perfezionare se stessi: perocche avranno

abbastanza equita od almeno abbastanza orgoglio e vanita per evitare cio che hanno tante

92

volte e cosi rigorosamente biasimato in altrui. L•fopposto succede per i tolleranti, cioe:

•áHanc veniam damus petimusque vicissim.•â (Concediamo il perdono e lo chiediamo a

nostra volta). Il vangelo moralizza mirabilmente bene su coloro che scorgono la pagliuzza

nell•focchio del vicino, e che non vedono la trave nel proprio; ma la natura dell•focchio non

gli permette di guardare che al di fuori ed esso non puo quindi veder se medesimo; per

questo, notare e biasimare i difetti degli altri e un mezzo opportunissimo per farci sentire i

nostri. Ci occorre uno specchio per correggerci. Questa regola e buona ugualmente quando

si tratta dello stile e del modo di scrivere; chi in tali materie ammira qualunque nuova

pazzia, anziche biasimarla, finira col farsene imitatore. Percio in Germania siffatto genere

di follia si diffonde tanto presto. I Tedeschi sono tolleranti: lo si scorge benissimo. Hanc

veniam damus petimusque vicissim, ecco la loro impresa.

32.•‹ L•fuomo di specie nobile, in gioventu, crede che le relazioni essenziali e decisive,

che creano veri legami tra gli uomini, sieno quelle di natura ideale, vale a dire quelle

fondate sulla conformita del carattere, della piega dello spirito, del gusto, dell•fintelligenza,

ecc.; ma si avvede piu tardi che sono invece le reali, cioe quelle che sono stabilite su

qualche interesse materiale. Sono esse che formano la base di tutti i rapporti, e la

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maggioranza degli uomini ignora che ve ne sieno d•faltra specie. Per conseguenza ciascuno

e scelto in ragione del suo ufficio, della sua professione, del suo paese o della sua famiglia,

in generale dunque secondo la posizione e la parte attribuitagli dalla convenzione; si e con

tale concetto che viene scompartita e classificata, come articoli di fabbrica, la gente. Invece

cio che un individuo e in se e per se, come uomo, in virtu delle qualita sue, non e preso in

considerazione se non a piacimento, per eccezione; ciascuno mette queste cose da un lato

non appena gli convien meglio, e le dimentica. Quanto piu un uomo avra un valore

personale, tanto meno potra convenirgli una tale classificazione; cerchera quindi di

sottrarvisi. Osserviamo tuttavia che tale maniera di trattare e fondata sul fatto che nel

mondo, in cui regnano la miseria e l•findigenza, i mezzi che servono a tenerle lontane sono

la cosa essenziale e necessariamente predominante.

33.•‹ Come la carta monetata circola sul mercato in luogo del danaro, cosi invece della

stima e dell•famicizia genuine sono la loro dimostrazione esterna ed il loro atteggiamento

imitati quanto piu naturalmente e possibile, che hanno corso nel mondo. Si potrebbe, e

vero, domandarsi se havvi proprio gente che meriti stima ed amicizia. Checche ne sia ho

piu fiducia in un bravo cane quando dimena la coda che in tutte queste dimostrazioni e

cerimonie. La vera, la sincera amicizia presuppone che, fra amici, l•funo prenda una parte

vivissima, puramente oggettiva ed affatto disinteressata, alla felicita ed alle disgrazie

dell•faltro, e tale associazione suppone a sua volta un reale identificarsi con l•famico.

L•fegoismo della natura umana e talmente opposto a questo sentimento che l•famicizia vera

fa parte di quelle cose circa le quali s•fignora, come per il gran serpente di mare, se

appartengano al regno delle favole o se esistano in qualche luogo. Tuttavia si danno qualche

volta fra gli uomini certe relazioni le quali, benche fondate in essenza su motivi

segretamente egoistici di molteplice natura, sono condite nullameno d•fun grano di amicizia

genuina e sincera, cio che basta a dar loro una tale impronta di nobilta che possono, in

questo mondo delle imperfezioni, portare con qualche diritto il nome d•famicizia. Tali

relazioni si levano altamente sopra gli avvicinamenti d•fogni giorno; questi sono di tale

natura che noi non rivolgeremmo piu mai la parola alla maggior parte delle nostre buone

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conoscenze se intendessimo cio che esse dicono di noi in nostra assenza.

A lato dei casi nei quali si ha bisogno di seri soccorsi e di sacrifizi considerevoli, la

migliore occasione per mettere alla prova la sincerita d•fun amico si e il momento in cui gli

annunciate una disgrazia che vi ha improvvisamente colpito. Vedrete allora dipingersi sul

suo viso un•fafflizione vera, profonda e schietta, od al contrario colla sua calma

imperturbabile, con uno sberleffo d•fun istante confermera la massima di La Rochefoucauld:

•áNelle sventure dei nostri migliori amici troviamo sempre qualche cosa che non ci

93

dispiace.•â Coloro che sono detti abitualmente amici possono appena, in tali occasioni,

reprimere il piccolo fremito, il leggero sorriso di soddisfazione. V•fhanno poche cose che

mettano la gente cosi indubitatamente di buon umore come il racconto di qualche calamita

che ci ha colpito recentemente od anche la confessione sincera che si fa loro di qualche

debolezza personale. E cosa invero caratteristica.

La lontananza e la lunga assenza portano danno a qualunque amicizia, sebbene non lo

si confessi volentieri. Le persone che non vediamo piu, fossero pure nostri carissimi amici,

insensibilmente col passar del tempo svaniscono fino allo stato di nozioni astratte, cio che

fa che il nostro interesse per loro diventi sempre piu un semplice affare di ragionamento,

anzi di tradizione; il sentimento vivo e profondo resta serbato per coloro che abbiamo

davanti gli occhi, quand•fanche non fossero che gli animali prediletti. Siffattamente la natura

umana e guidata dai sensi. Qui ancora Goethe ha ragione di dire: Il presente e una divinita

grandissima (Tasso, atto IV, scena IV).

Gli amici di casa sono d•fordinario ben chiamati con questo nome, perche sono piu

attaccati alla casa che al padrone di essa; costoro somigliano ai gatti piuttosto che ai cani.

Gli amici si dicono sinceri: solamente i nemici sono sinceri; percio si dovrebbe, per

imparare a conoscere se stesso, approffittarsi del loro biasimo come d•funa medicina amara.

Sono rari gli amici nel bisogno? Al contrario! Appena si e fatto amicizia con un

uomo, ecco che questi e tosto in bisogno e che vi chiede a prestito denaro.

34.•‹ Come bisogna esser novizi per credere che il far mostra di spirito e di senno sia

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un mezzo per riescire ben visti in societa! Che, ben al contrario, cio suscita presso la

maggior parte della gente un sentimento di odio e di rancore tanto piu amaro in quanto che

chi lo prova non e autorizzato a dichiararne il motivo; anzi lo dissimula pure a se stesso.

Ecco dettagliamente come succede la faccenda: fra due interlocutori non appena uno

osserva e sente una grande superiorita nell•faltro, ne conchiude tacitamente e senza averne la

coscienza ben chiara che costui pure osserva e sente nel medesimo grado l•finferiorita e lo

spirito limitato di chi gli sta davanti. Tale contrasto eccita al piu alto grado il suo odio, il

suo rancore, la sua rabbia.42 Percio Graciano dice con ragione: •áIl solo mezzo che valga per

rimaner tranquilli si e il vestire la pelle del piu semplice fra gli animali43•â. Mettere in luce

spirito e senno e un modo indiretto di rimproverare agli altri l•fincapacita e la stupidezza.

Una natura volgare s•firrita all•faspetto della natura opposta; motore secreto dello stizzirsi e

l•finvidia. Perocche soddisfare alla propria vanita e, come lo si puo scorgere ogni momento,

un piacere che presso gli uomini passa avanti ogni altro, ma che pero non e possibile se non

in virtu d•fun confronto fra se stessi e gli altri. E non si danno meriti di cui gli uomini sieno

piu fieri che di quelli dell•fintelligenza, visto che su di essi e fondata la loro superiorita

riguardo gli animali. E dunque una grandissima temerita il mostrar loro una spiccata

superiorita intellettuale, sopratutto davanti testimoni. Cio provoca la loro vendetta, e

d•fordinario essi cercheranno d•fesercitarla colle ingiurie, perocche passano cosi dal dominio

dell•fintelligenza a quello della volonta nel quale siamo tutti eguali. Se dunque la posizione

e le ricchezze possono sempre contare in societa sulla considerazione, le qualita intellettuali

non devono aspettarsela; cio che puo loro toccare di meglio si e che non si faccia loro

attenzione; che altrimenti saranno considerate come una specie d•fimpertinenza o come un

bene che e stato acquistato per vie illecite e di cui il proprietario ha l•faudacia di gloriarsi;

per questo ciascuno si propone tacitamente di infliggergli in appresso qualche umiliazione

su tale proposito, e allo scopo non attende che l•foccasione favorevole. Appena con

umilissimo atteggiamento si riescira a strappare, come una elemosina, il perdono della

propria superiorita intellettuale. Dice Saadi nel Gulistan: •áSappiate che si trova presso

l•fuomo irragionevole cento volte piu d•favversione per il ragionevole di quello che questi

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42 Cfr. nell•fop. Il mondo come volonta e come rappresentazione, 3a ed., vol. II, p. 256 le toccanti parole

del

D. Johnson e di Merk, l•famico di gioventu di Goethe.

43 Vedi Oraculo manual y arte de prudencia, 240 (Obras, Amberes 1702, P. II, p. 287).

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non ne provi per il primo.•â L•finferiorita intellettuale invece equivale ad un vero titolo di

raccomandazione. Perocche il sentimento benefico della superiorita e per lo spirito cio che

il calore e per il corpo; ciascuno s•favvicina all•findividuo che gli procura tale sensazione per

lo stesso istinto che lo spinge ad avvicinarsi alla stufa o ad andarsi a mettere sotto i raggi

del sole. Ora a cio non v•fha che l•findividuo assolutamente inferiore, nelle facolta

intellettuali per gli uomini, in bellezza per le donne. Conviene confessare che per lasciar

scorgere, in presenza di certa gente, una inferiorita non simulata bisogna possederne una

buona dose. In cambio vedete con quale amabile cordialita una ragazza mediocremente

bella va incontro ad una essenzialmente brutta. Il sesso maschile non annette grande valore

ai vantaggi fisici, benche si preferisca meglio trovarsi a lato d•funa persona piu piccola

piuttosto che di una piu grande di se stessi. Per conseguenza fra gli uomini sono gli sciocchi

e gl•fignoranti che riescono graditi e cercati dovunque, fra le donne le brutte; si fa loro

immediatamente la riputazione d•faver un cuore eccellente, visto che ciascheduno ha

bisogno d•fun pretesto per giustificare le proprie simpatie agli occhi di se stesso e degli altri.

Per la medesima ragione qualunque superiorita di spirito ha la proprieta d•fisolare: la si

fugge, la si odia e per aver un pretesto a cio si prestano a chi la possede difetti d•fogni

sorta44. La bellezza produce esattamente lo stesso effetto tra le donne; le ragazze, quando

sono molto belle, non trovano amiche e nemmeno compagne. Che esse non s•fimmaginino

di cercare in qualche parte un posto di damigella di compagnia; non appena si

presenteranno, il viso della dama presso la quale sperano entrare si fara scuro; perocche, sia

per suo conto, sia per le sue figlie, essa non ha affatto bisogno del risalto d•funa bella figura.

Avviene invece ben altrimenti quando si tratta dei vantaggi del grado, perche questi non

agiscono, come i meriti personali, per effetto del contrasto e del rilievo, ma per riverbero,

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come i colori circonvicini quando si riflettono sul viso.

35.•‹ La pigrizia, l•fegoismo e la vanita hanno molto spesso la parte piu grande nella

confidenza che noi concediamo ad altri: la pigrizia, quando per non esaminare, curare,

operare da noi stessi, preferiamo confidarci ad un•faltra persona; l•fegoismo, quando il

bisogno di parlare degli affari nostri ci porta a fare qualche confidenza ad alcuno; la vanita

quando questi affari sono tali da rendercene gloriosi. Ma ad onta di cio non pretendiamo

meno che si apprezzi la nostra confidenza. Noi al contrario non dovremmo mai essere

irritati per la diffidenza, perche essa racchiude un complimento all•findirizzo della probita

ed e la confessione sincera della sua estrema scarsezza la quale fa si che essa appartenga a

quelle cose di cui si mette in dubbio l•fesistenza.

36.•‹ Ho presentato nella mia Morale, p. 201 (2a ed. 198). una delle basi della

compitezza, virtu cardinale presso i Chinesi; l•faltra e la seguente. La compitezza e stabilita

sopra una convenzione tacita di non osservare gli uni presso gli altri la miseria morale ed

intellettuale della condizione umana e di non rinfacciarsela reciprocamente; d•fonde risulta

che essa appare meno facilmente con vantaggio d•fambo le parti.

Compitezza e prudenza; scortesia dunque e balordaggine; farsi dei nemici senza

necessita e senza motivo colla rozzezza e follia: la stessa cosa come se si dasse fuoco alla

propria casa. Perocche la cortesia e, come i gettoni, moneta notoriamente falsa: risparmiarla

e prova di demenza, usarne con liberalita, di senno. Tutte le nazioni terminano le lettere

colla formola: •áVotre tres-humble serviteur, Your most obedient servant, Suo devotissimo

44 Per tirar avanti nel mondo amicizie e camerate sono, fra tutti, il mezzo piu potente. Ma le grandi

capacita danno fierezza; si e allora disadatti per adulare coloro che ne sono privi e davanti ai quali,

precisamente a causa di questo, si devono dissimulare le proprie qualita eminenti. La coscienza di non

avere

che mezzi limitati agisce in senso opposto; essa si accorda perfettamente coll•fumilta, l•faffabilita, la

condiscendenza ed il rispetto per cio che e cattivo; giova quindi per farsi amici e protettori.

Tutto questo non si applica solamente alle funzioni dello Stato, ma pure alle cariche onorifiche, alla

dignita, ed anche alla gloria nel mondo della scienza; cio che produce, per esempio, che nelle accademie la

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buona e brava mediocrita occupa sempre il primo posto e che la gente di merito non vi entra che tardi o

forse

mai: lo stesso succede da per tutto. (Nota dell•fAutore).

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servo•â; solo i Tedeschi sopprimono il •áDiener•â (servo), perche non e vero, dicono. Chi

invece spinge la compitezza fino al sacrifizio d•finteressi reali, somiglia all•fuomo che desse

monete d•foro per gettoni. Nella stessa guisa che la cera dura e fragile per sua natura,

diviene per mezzo d•fun po•f di calore cosi malleabile da prendere quella forma qualunque

che piacera darle, cosi pure si puo, con un granellino di cortesia e di amabilita, render

pieghevoli e compiacenti perfino uomini burberi ed ostili. La compitezza e dunque per

l•fuomo cio che il calore e per la cera. Pero davvero e questo un grave compito, nel senso

che c•fimpone testimonianze di stima per tutti, quando la maggior parte della gente non ne

merita punto; esige inoltre che abbiamo da fingere il piu vivo interesse, quando dovremmo

invece starcene beati di non sentirne affatto. Mettere insieme la politezza e la dignita e un

colpo da maestro.

Le offese, consistendo sempre alla fin fine in manifestazioni di mancanza di

considerazione, non ci metterebbero cosi facilmente fuori di noi se, da una parte, non

nutrissimo una opinione molto esagerata del nostro alto valore e della nostra dignita, cio

che e proprio d•fun orgoglio smisurato, e se, d•faltra parte, ci rendessimo conto di quello che

ordinariamente ognuno, in fondo al cuore, crede e pensa riguardo gli altri. Quale stonante

contrasto pertanto tra la suscettibilita della maggior parte degli uomini per la piu leggera

allusione critica diretta contro di loro, e cio che i medesimi dovrebbero udire se potessero

sorprendere quanto dicono di essi le loro conoscenze! Faremmo ottima cosa ricordandoci

sempre che la compitezza non e che una maschera beffarda; in tal modo non ci metteremmo

a strillare come pavoni ogni volta che la maschera si sposta un po•f, o che viene smessa per

un momento. Quando un individuo diventa apertamente villano e la stessa cosa come se si

spogliasse delle sue vesti e si mostrasse in puris naturalibus. Certamente apparirebbe molto

brutto, come la maggior parte della gente in tale stato.

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37.•‹ Non bisogna modellarsi sopra un altro per quello che si vuol fare o non fare,

perche le situazioni, le circostanze, le relazioni non sono mai le stesse e perche anche la

differenza di carattere da tutt•faltra tinta all•fazione; per questo •áduo cum faciunt idem, non

est idem•â (quando due persone fanno la stessa cosa, questa tuttavia non risulta la stessa).

Occorre, dopo matura riflessione, dopo seria meditazione, agire conformemente al proprio

carattere. L•foriginalita e dunque indispensabile anche nella vita pratica; senza di essa cio

che si fa non s•faccorda con cio che si e.

38.•‹ Non combattete l•fopinione altrui; pensate che se si volesse correggere la gente di

tutte le assurdita a cui crede non si avrebbe finito quand•fanche si vivesse gli anni di

Matusalem.

Asteniamoci inoltre nel conversare da qualunque osservazione critica, quando pure

questa fosse fatta nella migliore intenzione, perciocche offendere gli uomini e cosa facile,

difficile invece, se non impossibile, correggerli.

Quando in una conversazione le assurdita che sentiamo cominciano a metterci in

collera, dobbiamo immaginare d•fassistere ad una scena di commedia tra due pazzi:

•áProbatum est.•â L•fuomo nato per istruire il mondo sugli argomenti piu importanti e piu

seri puo chiamarsi fortunato quando se ne tira sano e salvo.

39.•‹ Chi vuole che la sua opinione trovi credito deve enunciarla freddamente e

spassionatamente. Perocche qualunque impeto procede dalla volonta; e dunque a questa,

non alla ragione, che e fredda di sua natura, che sarebbero attribuiti i giudizi espressi. Infatti

essendo la volonta nell•fuomo il principio radicale, ed essendo la ragione solo secondaria e

venuta accessoriamente, si considerera il raziocinio come nato dalla volonta eccitata,

piuttosto che l•feccitazione della volonta come prodotta dal raziocinio.

40.•‹ Non si deve abbandonarsi a lodare se stessi, quand•fanche se ne avesse tutto il

diritto. Imperocche la vanita e cosa tanto comune, e il merito tanto raro, che ogni qual volta

sembrera che ci lodiamo, per quanto indirettamente cio avvenga, ciascuno scommettera

cento contro uno che per mezzo della nostra bocca ha parlato solo la vanita, perche essa non

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ha abbastanza buon senso per capire la ridicolaggine della millanteria. Nondimeno Bacone

da Verulamio potrebbe non affatto aver torto quando pretende che il •ásemper aliquid

haeret•â (ne resta sempre qualche cosa) non sia vero solamente della calunnia, ma anche

della lode di se, e quando raccomanda quest•fultima a dosi moderate45.

41.•‹ Quando sospettate qualcuno di menzogna, fingete credulita; allora ei diverra

sfrontato, mentira piu spudoratamente, e sara smascherato. Se invece scorgete che una

verita che vorrebbe dissimulare, gli sfugge in parte, fate l•fincredulo affinche, provocato

dalla contraddizione, ei metta fuori tutta la riserva.

42.•‹ Consideriamo tutti i nostri affari personali quali secreti; al di la di cio che i nostri

buoni conoscenti veggono coi propri occhi, conviene restar loro del tutto ignoti.

Imperciocche quello che essi saprebbero circa le cose le piu innocenti puo, a tempo ed a

luogo, esserci funesto. In generale val meglio manifestare il proprio senno con cio che si

tace piuttosto che con cio che si dice. Effetto di prudenza nel primo caso, di vanita nel

secondo. Le occasioni di tacersi e quelle di parlare si presentano in numero eguale, ma noi

preferiamo spesso la momentanea soddisfazione che procurano le ultime al profitto durabile

che ricaviamo dalle prime. Si dovrebbe rifiutarsi perfino quel sollievo che si prova parlando

qualche volta ad alta voce con se stessi, cio che tocca facilmente alle persone di gajo

umore, per non prenderne l•fabitudine; perocche con questo il pensiero diventa l•fanima ed il

fratello della parola a tal punto che insensibilmente arriviamo a parlare anche cogli altri

come se pensassimo ad alta voce, mentre la prudenza raccomanda di mantenere un largo

fosso sempre aperto tra il pensiero e la parola.

Ci sembra talora che gli altri non possano assolutamente credere ad una cosa che ci

riguarda, mentre invece non pensano minimamente a dubitarne; se pero ci avviene di

risvegliare in essi un tal dubbio, allora infatti non potranno piu prestarvi fede. Ma noi ci

tradiamo unicamente coll•fidea che e impossibile che non lo si noti; ci precipitiamo cosi da

noi stessi da un•faltezza per effetto del capogiro vale a dire del pensiero che non sia

possibile di restare solidamente a quel posto e che l•fangoscia di esser la sia cosi straziante

che valga meglio abbreviarla: tale illusione si chiama vertigine.

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D•faltra parte bisogna tener a mente che tutti, anche coloro che altrove non fanno

mostra di perspicacia, sono eccellenti algebristi quando si tratta degli affari personali altrui;

su quest•fargomento, data una sola quantita, essi sciolgono i piu complicati problemi. Se,

per esempio, si racconta loro una storia passata sopprimendo i nomi e tutte le altre

indicazioni sulle persone, bisogna guardarsi bene dall•fintrodurre nella narrazione il piu

piccolo dettaglio positivo e speciale, come la localita, o la data, o il nome d•fun personaggio

secondario, o qualunque cosa che avesse connessione anche lontanissima coll•faffare,

perocche essi troverebbero subito una grandezza stabilita positivamente, per mezzo della

quale il loro talento algebrico dedurrebbe tutto il resto. L•fesaltamento della curiosita in

questo caso e tale che col suo ajuto la volonta mette gli sproni sui fianchi dell•fintelletto, il

quale, spinto in siffatta guisa, giunge ai risultati piu lontani. Perciocche tanto gli uomini

45 Bacone da Verulamio dice cosi: •áNon e piccola prerogativa di prudenza se alcuno con una certa arte e

grazia possa presso gli altri far mostra di se, col millantare opportunamente le sue virtu, i meriti ed anche la

fortuna (quando cio possa esser fatto senza arroganza o fastidio), e all•fopposto coll•foccultare

artificiosamente

i vizi, i difetti, gl•finfortuni e i disonori; in quelle trattenendosi e volgendole come contro a luce, in questi

cercando sotterfugi o purgandoli coll•finterpretarli destramente, e altre cose di simil fatta. Cosi Tacito

intorno a

Muziano, uomo della sua eta prudentissimo e ad operare prontissimo, disse: Di tutte le cose che aveva

dette e

fatte, con una certa arte vantatore. Questa cosa abbisogna senza dubbio di un qualche artifizio, onde non

generi noja o spregio: cosicche, nondimeno, una certa millanteria, benche fino al primo grado della vanita,

sia

piuttosto vizio in Etica che in Politica. Imperciocche siccome suol dirsi della calunnia, arditamente

calunniando sempre qualche cosa rimane affissa (semper aliquid haeret), cosi possa dirsi della jattanza (se

pur

non sia stata brutta e ridicola) con audacia va gloriando te stesso, che sempre qualche cosa resta attaccata

(semper aliquid haeret). Stara impressa di certo presso il popolo, abbenche i piu savi sorridano. Dunque la

stima ottenuta appresso i piu compensera in gran copia il fastidio dei pochi•â. (De augmentis scientiarum,

Lugd. Batav. 1645. L. VIII, C. 2, p.644 e seg.). (Nota dell•fEditore tedesco)

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hanno scarsa attitudine e curiosita per le verita generali, quanto sono avidi delle verita

individuali.

Ecco perche il silenzio e stato cosi istantemente raccomandato da tutti i maestri di

saggezza cogli argomenti piu svariati in appoggio. Non occorre quindi che io insista piu a

lungo; mi limitero a riportare alcune massime arabe molto efficaci e poco note: •áNon dire

all•famico cio che non deve sapere il nemico•â. . •áE necessario che io custodisca il mio

secreto, esso e mio prigioniero; non appena me lo lascio sfuggire, divento io suo

prigioniero•â. . •áDall•falbero del silenzio pende per frutto la tranquillita•â.

43.•‹ Non v•fha danaro meglio impiegato di quello che ci siamo lasciato rubare,

imperciocche esso ci ha servito immediatamente a comperare della prudenza.

44.•‹ Non conserviamo, per quanto sia possibile, animosita contro alcuno;

contentiamoci di notar con cura il •áprocedere•â di chi ci avvicina, e ricordiamocene per

stabilire con cio il valore di ciascheduno almeno su quanto ci riguarda, e per regolare in

conseguenza il nostro atteggiamento e la nostra condotta verso la gente; si sia sempre ben

convinti che il carattere non cangia mai: dimenticare un tratto villano e un gettare dalla

finestra danaro guadagnato penosamente. Ma seguendo la mia raccomandazione si sara

protetti contro la pazza confidenza, e contro la pazza amicizia.

•áNon aver amore ne odio•â compendia meta della piu alta saviezza; •ánon dir verbo e

non credere in cosa alcuna•â, ecco l•faltra meta. Davvero che si voltera ben volentieri la

schiena ad un mondo che rende necessarie regole come queste e come le seguenti.

45.•‹ Mostrar odio o collera nelle parole o nelle fattezze e inutile, e dannoso,

imprudente, ridicolo, volgare. Non si deve palesare odio o collera che cogli atti. In questa

seconda maniera si otterra un effetto tanto piu sicuro quanto meglio si seppe guardarsi dalla

prima. Gli animali a sangue freddo soli sono velenosi.

46.•‹ •áParler sans accent•â: questa vecchia regola della gente di mondo insegna che si

deve lasciare all•fintelligenza altrui la cura di decifrare cio che si e detto; la facolta di

comprendere e lenta, e, prima che si sia svolta interamente, voi siete lontani. Invece •áparler

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avec accent•â significa indirizzarsi al sentimento, e allora tutto e rovesciato. Havvi tal gente

a cui, con gesto cortese ed in tuono amichevole, si puo dire in realta delle sciocchezze senza

pericolo immediato.

4. Circa la nostra condotta

di faccia all•fandamento del mondo ed alla sorte.

47.•‹ Qualunque aspetto presenti l•fumana esistenza, gli elementi ne sono sempre

eguali; percio l•fessenza rimane la stessa si viva pure in una capanna od alla Corte, in

convento o nell•farmata. Ad onta della loro varieta gli avvenimenti, le avventure, i casi lieti

o tristi della vita somigliano agli articoli del confettiere; le figure sono svariate e numerose,

ve n•fha di circolari o di screziate, ma tutto esce dalla stessa pasta, e gli accidenti toccati ad

una persona sono molto piu simili a quelli avvenuti ad un•faltra che questa sentendone il

racconto non pensi. I casi della nostra vita hanno anche simiglianza colle figure del

caleidoscopio: ad ogni giro vediamo qualche combinazione nuova mentre in realta abbiamo

sotto gli occhi sempre la stessa cosa.

48.•‹ Tre potenze dominano il mondo, dice molto acutamente un antico: �áƒÐƒÒƒËƒÃƒÐƒÇ.,

ƒÈƒÏƒ¿ƒÑƒÍ., ƒÈƒ¿ƒÇ ƒÑ.ƒÔƒÅ,•â prudenza, fortezza e fortuna. Io credo che quest•fultima sia la maggiore.

Imperciocche il cammino della vita possa esser paragonato al corso di un bastimento. La

sorte, la ƒÑ.ƒÔƒÅ, la secunda aut adversa fortuna, fa la parte del vento che rapidamente spinge

da lontano, avanti o indietro, mentre contro di essa poco valgono i nostri sforzi e le nostre

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cure. Si e ufficio di queste il servire da remi; quando, dopo molte ore di lungo lavoro ci

hanno portato in avanti d•fun tratto di via, ecco che un colpo improvviso di vento ci respinge

indietro d•faltrettanto. Se all•fincontro il vento e favorevole, ci manda avanti cosi bene che

possiamo fare a meno di remo. Un proverbio spagnuolo esprime con energia incomparabile

questa potenza della sorte: •áDa ventura a tu hijo, y echa lo en el mar•â (da fortuna al

figliuolo tuo e buttalo in mare).

Ma il caso e una malvagia potenza, cui dobbiamo fidarci il meno possibile. Eppure

qual•fe, fra tutti i dispensatori di beni, il solo che quando ci da, ci dimostra nel tempo stesso

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chiaramente che non abbiamo diritto ai doni suoi e che non ne dobbiamo render grazie al

nostro merito, ma alla sua bonta ed al suo favore, e che in conseguenza ci e permesso di

nutrire la gioconda speranza di ottenere in seguito, umilmente sottomessi, nuovi regali,

altrettanto poco meritati? E il caso: il caso che sa l•farte sovrana di far comprendere

luminosamente che di faccia al suo favore ed alla sua grazia qualunque merito e privo di

forza e di valore.

Quando si getta indietro uno sguardo sul cammino della vita, e quando, abbracciando

nell•finsieme il suo corso tortuoso e perfido come un laberinto, si scorge la felicita tante

volte fallita, la sventura tante volte tirataci addosso, allora si sara facilmente condotti a

passar la misura dei rimproveri verso se stessi. Perocche il corso della nostra esistenza non

e unicamente semplice opera nostra; bensi il prodotto di due fattori, cioe la serie degli

avvenimenti e la serie delle nostre decisioni, che si compenetrano e si modificano

scambievolmente. Di piu avviene che in ambedue questi fattori il nostro orizzonte e sempre

assai circoscritto, non potendo noi di lontano predire le nostre decisioni, ne ancor meno

prevedere gli avvenimenti, ma solo di questi e di quelle conoscere veramente cio che e

presente al momento. Ne segue che non possiamo, finche la meta e lontana, nemmeno una

volta dirigere diritto su essa il nostro timone; ma solo in via approssimativa e dietro

congetture volgere per quel verso la nostra direzione; spesso dunque ci conviene

bordeggiare. Infatti tutto quello che ci e dato di poter fare si e di deciderci ogni volta

secondo le circostanze presenti, nella speranza di coglier abbastanza giusto per raggiungere

lo scopo principale. In questo senso gli avvenimenti e le nostre risoluzioni piu importanti

sono ordinariamente da paragonare a due forze che agiscono in direzioni differenti e di cui

la diagonale rappresenta il corso della vita nostra. Terenzio ha detto: •áSuccede della vita

degli uomini come di una partita di dadi: se non si ottiene il punto di cui si ha bisogno, e

necessario saper tirar partito da quello che la sorte ha dato•â; Terenzio in questo punto

deve aver avuto in vista una specie di tric-trac. Piu brevemente possiamo dire: la sorte

distribuisce le carte e noi giuochiamo. Ma l•fesempio che segue e il piu adatto a spiegare la

presente mia osservazione. Nella vita le cose passano come nel giuoco degli scacchi; noi ci

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facciamo un piano: questo pero rimane subordinato a quanto piacera fare nella partita

all•favversario, e nella vita al destino. Le modificazioni che il nostro piano subisce sono,

molto spesso, cosi grandi che nell•fesecuzione esso e appena riconoscibile da qualche linea

fondamentale.

Del resto nel corso della nostra vita havvi qualche cosa ancora che sta sopra a tutto

cio. E infatti una verita volgare e troppo sovente confermata che noi siamo spesso piu pazzi

che non si creda; in cambio l•fessere piu savi che non si supponga e tale scoperta che solo

possono fare, e per di piu ben tardi, coloro che si sono trovati in questo caso. Qualche cosa

c•fe in noi di piu accorto della testa. Vale a dire che nei grandi momenti, nei passi piu

importanti della nostra vita noi operiamo non tanto secondo la nozione chiara del giusto

quanto in virtu di un impulso interno, impulso che potremmo chiamare istinto proveniente

dalle profondita intime dell•fesser nostro: dopo di che il nostro operare viene alterato da un

concetto delle cose chiaro bensi, ma meschino, anzi accattato da regole generali, da esempi

altrui, e cosi di seguito, senza che sia ponderato il detto: •áquello che giova ad uno non

giova a tutti•â; in siffatta guisa diveniamo facilmente ingiusti verso noi medesimi. Alla fine

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si conosce chi ha avuto ragione, e solo la vecchiaia raggiunta felicemente e soggettivamente

ed oggettivamente in condizione di giudicare la quistione.

Forse cotesto impulso interno e diretto, senza che noi ce ne avvediamo, da sogni

profetici, dimenticati allo svegliarci, sogni che appunto cosi danno alla nostra vita

quell•fintonazione armonica e quell•funita drammatica che non le potrebbe procurare la

coscienza cerebrale cosi spesso vacillante e fallace, e cosi facilmente variabile; per cio forse

avviene, per esempio, che l•fuomo chiamato a produrre grandi opere in un ramo speciale, ne

ha, fino dalla giovinezza, il sentimento intimo e secreto, e lavora in vista di tale risultato

come l•fape alla costruzione del suo alveare. Ma per ogni uomo, cio che lo spinge si e quella

forza che Baldassare Graciano chiama •ála grande sinderesi•â, vale a dire la cura istintiva ed

energica di se stesso, senza di cui l•fessere va a rovina. Agire secondo principi astratti e

cosa malagevole, e non riesce che dopo lunga pratica, e non sempre; spesso anche tali

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principi sono insufficienti. All•fincontro ognuno possede certi principi innati e concreti, che

sono per lui sangue e vita, perche risultato di tutto il suo pensare, del suo sentire e del suo

volere. Il piu delle volte non li conosce in abstracto; solamente portando lo sguardo sulla

sua vita passata, scorge che ha sempre obbedito loro, e che fu da essi guidato come da un

filo invisibile. Secondo le loro qualita, essi lo condurranno al bene suo, od al suo male.

49.•‹ Bisognerebbe aver sempre davanti gli occhi l•fazione del tempo e la mutabilita

delle cose; per conseguenza in tutto quello che accade attualmente, poter immaginare

l•fopposto: rappresentare dunque a se con vivi colori nella sventura la felicita, nell•famicizia

la nimista, nel tempo sereno la cattiva stagione, nell•famore l•fodio, nella fiducia e

nell•fespansione il tradimento e il pentimento, e viceversa. Troveremmo cosi una fonte

perenne di vera filosofia pratica su questa terra, perocche saremo sempre cautamente

avveduti, ne cosi facilmente soggetti ad inganni. Del resto nei casi piu frequenti non

avremo con cio che anticipato sull•fazione del tempo. Ma forse per nessun•faltra conoscenza

umana e tanto necessaria l•fesperienza quanto per il giusto apprezzamento dell•finstabilita e

del mutare delle cose. Siccome ogni situazione, nel tempo della sua durata, esiste

necessariamente e quindi di pieno diritto, sembra che ogni anno, ogni mese ed ogni giornata

varranno finalmente a conservarci un tale diritto per l•feternita. Ma nessuna cosa dura, la

mutabilita sola e veramente esistente e positiva. Saggio e colui che non e ingannato

dall•fapparente stabilita delle cose, e che inoltre sa prevedere il nuovo indirizzo che sara

preso nel prossimo cambiamento46. Che gli uomini in via ordinaria tengano come

permanente lo stato momentaneo delle cose o la direzione del loro corso, deriva da cio, che

essi pure avendo sotto gli occhi l•feffetto non ne comprendono le cause; eppure sono queste

che racchiudono in se il germe dei mutamenti futuri, mentre gli effetti, che soli esistono per

costoro, non contengono nulla di simile. Si tengono al risultato nella presupposizione che le

cause ignote che ebbero il potere di produrlo, saranno pure in condizione di mantenerlo.

Hanno in questo il vantaggio, quando sbagliano, di sbagliare all•funisono; ne segue dunque

che la sventura, da cui sono colpiti in conseguenza dell•ferrore, e sempre generale, mentre il

pensatore, quando s•finganna, si trova per di piu isolato. Incidentalmente diro come si abbia

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in questo una conferma della mia massima che l•ferrore procede sempre da una conclusione

di effetto a causa. (Si veda Il mondo come volonta e come rappresentazione, v. I, p. 90).

Tuttavia solo in via teoretica, e prevedendo la sua azione, dobbiamo anticipare sul

tempo: non in via pratica; ciocche vuol dire che non si deve commettere usurpazioni

sull•favvenire domandando prima del tempo quello che solamente col tempo ci puo esser

46 Il caso ha in ogni cosa umana un campo d•fazione cosi vasto che se noi cerchiamo subito di prevenire

per

mezzo di sacrifici un pericolo che ci minaccia di lontano, spesso questo pericolo per un nuovo indirizzo

impreveduto degli avvenimenti scompare, ed ecco che non solo vanno perduti i sacrifici fatti, ma ancora i

cambiamenti che da questi risultarono, riescono, per la mutata condizione delle cose, a dirittura di

pregiudizio.

Non dobbiamo quindi, prendendo le nostre misure, andar troppo avanti nell•fabbracciare l•favvenire,

bensi

calcolare anche sul caso ed audacemente affrontare qualche pericolo, sperando che esso, come tante nere

nuvole di temporale, passi oltre. (Nota di Schopenhauer).

100

dato. Chiunque agisce cosi, esperimentera presto che non v•fha davvero peggior usuraio, ne

piu irremissibile del tempo; e che esso, se costretto ad imprestiti, esige interessi piu gravi

che forse non farebbe un ebreo. Si puo, ad esempio, con calce viva e calore spingere la

vegetazione d•fun albero per modo che nel termine di pochi giorni metta foglie, fiori e

frutta; ma poi esso muore. Se il giovinetto vuole esercitare, anche solo per pochi giorni, la

potenza virile dell•fuomo, e fare a dicianov•fanni cio che gli sarebbe facile a trenta, il tempo

gliene concedera bene il prestito, ma una parte della forza degli anni avvenire, forse una

parte della sua stessa vita, servira d•finteresse. Vi sono malattie dalle quali radicalmente non

si guarisce se non lasciando ad esse il loro corso naturale; dopo di che spariscono da se

medesime senza lasciar traccia. Ma se si esige pronta guarigione, proprio sul momento

preciso, anche in questo caso il tempo dovra dare a prestito; la malattia sara vinta, ma il

frutto da pagare sara costituito da debolezza e da mali cronici per tutta la vita. Allorche in

tempo di guerra o di agitazioni popolari, si vuole valersi di danaro, e subito, proprio nel

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momento stesso, si e costretti a vendere per il terzo del loro valore, e forse per meno

ancora, i beni immobili o le carte dello Stato, di cui si avrebbe l•fintero prezzo se si lasciasse

tempo al tempo, ossia se si volesse aspettare qualche anno; ma invece si costringe il tempo

ad un imprestito. Ovvero si abbisogna di una somma per un viaggio lontano: in capo ad uno

o due anni si potrebbe avere il danaro necessario risparmiando sulle proprie rendite. Ma non

si vuole aspettare: si cerchera dunque quanto occorre a credenza, o lo si togliera dal

capitale; in altre parole ecco il tempo costretto ad un nuovo prestito. Qui l•finteresse sara un

disordine di cassa sempre maggiore, un deficit permanente e crescente da cui non ci

libereremo mai. Tale l•fusura del tempo; tutti coloro che non sanno aspettare saranno sue

vittime. Non havvi impresa piu arrischiata del voler affrettare il corso misurato del tempo.

Guardiamoci dunque dall•fessergli debitori d•finteressi.

50.•‹ Tra i cervelli ordinari ed i sensati havvi una differenza caratteristica che si

produce assai spesso nella vita privata, ed e che i primi quando riflettono sopra un pericolo

possibile di cui vogliono apprezzare la grandezza, non cercano e non considerano se non

cio che puo gia esser avvenuto di simile; mentre gli altri pensano da se stessi cio che puo

accadere, ricordandosi del proverbio spagnuolo che dice: •áQuello che non succede nel

termine di un anno, succede in capo a pochi momenti•â. Del resto la differenza di cui parlo e

affatto naturale, perocche per abbracciare collo sguardo quanto puo accadere, si richiede

l•fintelletto, e per vedere quello che e successo bastano i sensi.

Sia nostra massima: Sacrifichiamo agli spiriti maligni! Il che significa che non

dobbiamo indietreggiare di fronte ad un certo consumo di cure, di tempo, d•fincomodi, di

difficolta, di danaro o di privazioni, quando si puo cosi chiudere l•faccesso alla eventualita

d•funa disgrazia e fare che quanto piu il pericolo e grave tanto piu la possibilita ne divenga

piccola, lontana ed inverosimile. La dimostrazione piu evidente di questa regola e il premio

d•fassicurazione. Esso e un sacrifizio pubblico e generale sull•faltare degli spiriti cattivi.

51.•‹ Nessun avvenimento deve farci prorompere in grida esagerate d•fallegrezza o di

lamento, in parte a cagione della mutabilita delle cose che puo ad ogni momento cangiarne

l•faspetto, e in parte a cagione della fallacia dei nostri giudizi su cio che per noi puo riescire

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di vantaggio o di pregiudizio; cosi succede a tutti, almeno una volta in vita, di gemere per

cio che piu tardi fu provato essere loro vero e maggior bene, ovvero di rallegrarsi di cio che

divenne poi per essi fonte di immensi guai. Il sentimento raccomandato or ora o presentato

da Shakespeare nella bella espressione: •áHo provato tante scosse di gioja e di dolore che

mai, al primo aspetto di essi, mi lascio trasportare qual femminuccia verso l•funo o l•faltro•â

(Tutto e bene.... atto 3•‹, scena 2a).

In generale colui che rimane serenamente tranquillo dinanzi ad ogni sventura, mostra

di conoscere quanto colossali e moltiformi sieno i mali possibili della vita, per cui

considera la disgrazia sopraggiuntagli come una piccolissima parte di cio che potrebbe

accadergli: e questo il sentimento stoico conformemente al quale l•fuomo non deve esser

101

mai conditionis humanae oblitus (dimentico della condizione umana), ma invece aver

sempre in mente quanto sia triste e deplorevole il destino dell•fumana vita, quanto

innumerevoli i guai a cui e esposta. A tener vivo tale sentimento basta gettare dovunque

uno sguardo solo intorno a se; e da per tutto si avra tosto sotto gli occhi lotte, angoscie,

crucci per un•fesistenza misera, nuda, insignificante. Allora s•fimparera a moderare le

proprie esigenze, allora si sapra adattarsi all•fimperfezione di tutte le cose e di ogni stato, ed

aspettare le disgrazie per poterle scansare o sopportarne il peso. Perocche le sventure,

grandi e piccole, sono l•felemento della nostra vita. Ecco cio che dovremmo sempre aver

presente allo spirito senza per questo, da veri ƒÂƒÒƒÐƒÈƒÍƒÉƒÍ. (uomini difficili), lamentarsi e

andar in convulsioni con Beresford in causa delle miseries of human life, e meno ancora in

pulicis morsu Deum invocare (invocar Dio per la puntura d•funa pulce); bensi, da ƒÃƒÒƒÉƒ¿ƒÀƒÅ.,

(uomini circospetti) spingere tanto oltre la prudenza nel prevenire o nel metter argine alle

sventure, sia che vengano dalle persone sia dalle cose, e perfezionarsi siffattamente in

quest•farte, che si possa, quali volpi astute, scansare gentilmente qualunque piccolo o grande

accidente (che ordinariamente non e che un•finettitudine mascherata).

La ragione principale per cui un avvenimento doloroso ci riesce meno grave a

sopportare quando lo abbiamo gia considerato come possibile, e che, come si dice, vi ci

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siamo preparati, deve esser la seguente: quando pensiamo con calma ad una disgrazia prima

che ci colga, come ad una semplice possibilita, ne abbracciamo l•festensione chiaramente e

da ogni lato, e cosi la riconosciamo circoscritta e definibile; di maniera che, quando essa

succede, non potra esercitare i suoi effetti oltre la sua vera ed intrinseca gravita. Se

all•fincontro non abbiamo preso queste precauzioni, se saremo colti all•fimpensata, allora lo

spirito turbato non puo, al primo momento, misurare esattamente la grandezza della

disgrazia, e siccome non la vede a colpo d•focchio, se la rappresenta immensurabile, od

almeno molto maggiore che in fatto non sia. Nella stessa guisa l•foscurita e l•fincertezza

ingrandiscono ogni pericolo. Naturalmente a cio si aggiunge che noi, prevedendo come

possibile una sventura, abbiamo nel tempo stesso considerato i motivi di conforto ed i

rimedi, o per lo meno ci siamo abituati all•fimmagine di essa.

Ma nulla vale a renderci meglio atti a sopportare tranquilli e dignitosi i casi tristi che

ci colgono, quanto il convincimento di quella verita che ho fermamente stabilito, e svolta

fino ne•f suoi primi principi, nella mia opera premiata sopra Il libero arbitrio, dove dissi a

pag. 62 (60 della 2a ed.): •áTutto quello che accade, dalle piu grandi alle piu piccole cose,

accade necessariamente•â. Perocche nell•finevitabile necessita l•fuomo sa raccapezzarsi

presto, e la conoscenza della nozione or ora esposta fa si che egli consideri tutti gli

avvenimenti, anche quelli prodotti dai casi piu strani, come altrettanto necessari quanto

quelli che derivano da leggi notissime e che si conformano alle piu esatte previsioni.

Rimando dunque il lettore a cio che ho detto (si veda Il mondo come volonta e come

rappresentazione. V. I, pag. 345 e 346 [361 della 3a ed.]) sull•finfluenza calmante che

esercita la nozione dell•finevitabile e del necessario. Chiunque se ne sara ben penetrato fara

da prima tutto cio che puo fare, soffrira poi coraggiosamente cio che deve soffrire.

Le piccole traversie che ad ogni ora ci molestano, si possono considerare come

destinate a tenerci in esercizio perche la forza necessaria a sopportare le grandi sventure

non abbia da infiacchirsi nei giorni felici. Contro gl•fimpicci quotidiani, i disgusti leggeri

del commercio cogli uomini, le difficolta insignificanti, le sconvenienze sgarbate, le

chiacchere e simili cose ancora, si deve essere invulnerabili, vale a dire non solamente non

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curarsene e non macchinarci sopra, ma nemmeno avvertirli; non lasciamoci toccare da essi,

cacciamoli col piede come i sassi della strada, e non ammettiamoli in nessun modo

nell•fintimo secreto delle nostre riflessioni e deliberazioni.

52.•‹ D•fordinario sono semplicemente le loro stesse stupidaggini che la gente chiama

destino. Dunque non si potra mai prendere abbastanza in seria considerazione il bel passo di

Omero (Iliade, XXIII, v. 313 e seg.), la dove ei raccomanda la ƒÊƒÅƒÑƒÇ., cioe la circospezione.

102

Perocche se anche le malvagita nostre venissero espiate soltanto nell•faltro mondo, si e

proprio in questo che si paga il fio delle balordaggini, benche di tempo in tempo possa

accadere che ci venga fatta grazia in luogo di giustizia.

Non e il carattere violento, ma la prudenza che fa apparire terribili e minacciosi; tanto

il cervello dell•fuomo e arma piu formidabile dell•fartiglio del leone.

L•fuomo di mondo piu perfetto sarebbe colui che non rimanesse mai paralizzato

nell•findecisione, ne mai si lasciasse vincere dalla precipitazione.

53.•‹ Il coraggio e, dopo la prudenza, una condizione essenziale per la felicita nostra.

Certamente non si puo dare a se medesimi ne l•funa ne l•faltra di queste qualita, che si eredita

la prima dal padre, e la seconda dalla madre; tuttavia con proponimenti fermamente presi e

coll•fesercizio si arriva ad aumentare quella parte che gia si possede. In questo mondo in cui

Cadon qual ferro della sorte i dadi,

e necessario un carattere di ferro, corazzato contro il destino ed armato contro gli uomini.

Perche tutta la vita e lotta, ogni passo ci viene disputato, e Voltaire dice con ragione: •áA

questo mondo non si va avanti che colla punta della spada, e si muore coll•farma in mano•â.

E quindi anima codarda quella che al primo accavallarsi di nuvole, od anche solo al loro

presentarsi sull•forizzonte, si ripiega sopra di se, sbigottisce, e si querela. Sia piuttosto

nostra impresa:

Tu ne cede malis, sed contra audentior ito.

(Non ceder all•favversita, ma va arditamente contro di essa).

Finche l•fesito di una cosa pericolosa e ancora dubbio, finche rimane la possibilita

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d•fun risultato favorevole, non vi disanimate, ma pensate alla resistenza, nello stesso modo

che non si deve disperare del bel tempo fino a che resta ancora un lembo azzurro nel cielo.

Occorre saper dire:

Si fractus illabatur orbis,

Impavidum ferient ruinae.

(Se il mondo crollasse infranto, le sue ruine (mi) colpirebbero impavido).

Ne l•fintera vita istessa, ne con piu ragione, i suoi beni, meritano alla fin fine tanto

codardo timore e tante angoscie:

Quocirca vivite fortes,

Fortiaque adversis opponite pectora rebus,

(Per la qual cosa vivete da forti, ed opponete gagliardo il petto all•favversita).

Eppure anche qui l•feccedere e possibile: il coraggio puo degenerare in temerita. Pero

il timore, in una certa misura, e necessario alla conservazione della nostra esistenza sulla

terra; la codardia non e che l•fesagerazione di esso. Cio ha espresso acutamente Bacone da

Verulamio nella sua spiegazione etimologica del terror panicus, spiegazione che si lascia

molto addietro l•faltra piu antica dovuta a Plutarco (De Iside et Osir., c. 14). Bacone fa

derivare il terror panicus da Pane, come dalla natura personificata, ed aggiunge: •áLa

103

natura ha messo il sentimento della paura e del terrore in tutto cio che e vivo per

conservare la vita e la sua essenza, e per evitare ed allontanare i pericoli. Pero questa

stessa natura non sa conservare la misura: ma confonde sempre le paure salutari colle

vane ed inutili, talmente che troveremmo (se ci fosse dato di vederne l•finterno) tutti gli

esseri, e specialmente le creature umane, invasi sempre da timori panici•â (De sapientia

veterum, VI). Del resto cio che caratterizza il timor panico si e che esso non e chiaramente

consapevole della sua causa; la presuppone piu che non la conosca, e, occorrendo, fa valere

la paura stessa come fondamento alla paura.

_________

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CAPITOLO VI.

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Sulla differenza delle eta della vita.

Voltaire ha detto mirabilmente bene:

Qui n•fa pas l•fesprit de son age

De son age a tout le malheur.

Converra dunque che, per chiudere queste considerazioni eudemonologiche, gettiamo

uno sguardo sulle modificazioni che l•feta porta in noi.

In tutto il corso della nostra vita, possediamo soltanto il presente, e niente di piu, colla

sola differenza che, in primo luogo, da principio vediamo un lungo avvenire dinanzi a noi e

verso la fine un lungo passato dietro di noi; e che, in secondo luogo, il nostro

temperamento, mai il carattere, percorre una serie di modificazioni conosciute, ciascuna

delle quali da al presente una tinta differente.

Ho esposto nella mia opera principale (V. II, C. 31, p. 394 [451 della 3a ediz.]) come

e perche nell•finfanzia siamo assai piu portati verso la conoscenza che non verso la volonta.

Precisamente su cio e stabilita quella felicita del primo quarto della vita la quale lo fa

apparire piu tardi dietro di noi come un paradiso perduto. Noi non abbiamo, durante

l•finfanzia, che relazioni poco numerose e bisogni limitati, quindi scarsa eccitazione della

volonta: la parte maggiore del nostro essere e impiegata a conoscere. L•fintelletto, come il

cervello, che a sette anni raggiunge tutta la sua grandezza, si sviluppa di buon•fora, benche

non diventi maturo che piu tardi, e studia questa esistenza ancora nuova in cui tutto,

assolutamente tutto, e rivestito della brillante vernice che gli e data dall•fincanto della

novita. Per questo i nostri anni d•finfanzia sono poesia non interrotta. Perocche l•fessenza

della poesia, e cosi di tutte le arti, consiste nello scorgere in ogni cosa isolata l•fidea

platonica, vale a dire l•fessenziale, cio che e comune a tutta la specie; ciascun oggetto ci

appare cosi come il rappresentante di tutto il suo genere, e un caso ne vale mille.

Quantunque sembri che nelle scene della nostra giovane eta noi non siamo occupati se non

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dell•foggetto o dell•favvenimento attuale, e cio anche solamente perche la nostra volonta del

momento vi si e interessata, in sostanza non e cosi. Infatti la vita, con tutta la sua

importanza, si offre a noi ancora cosi nuova, cosi fresca, con impressioni cosi poco

affievolite da un frequente rinnovarsi, che, con tutto il nostro fare infantile, ci occupiamo,

in silenzio e senza marcata intenzione, a scoprire nelle scene e negli avvenimenti isolati,

l•fessenza stessa della vita, i tipi fondamentali delle sue forme e delle sue immagini. Noi

vediamo, come lo esprime Spinoza, gli oggetti e le persone sub specie aternitatis. Quanto

piu siamo giovani, tanto piu ogni cosa isolata rappresenta per noi il suo genere tutto intero.

Tale effetto va diminuendo gradatamente di anno in anno; ed e per questo che si determina

quella differenza cosi considerevole fra l•fimpressione che e prodotta su noi dagli oggetti

nell•finfanzia e quella che ne riceviamo nell•feta avanzata. Le esperienze e le cognizioni

105

acquistate durante l•finfanzia e la prima gioventu divengono poi i tipi costanti e le rubriche

di tutte le esperienze e cognizioni ulteriori, le categorie, per cosi dire, alle quali

aggiungiamo, senza averne sempre coscienza precisa, tutto cio che incontriamo piu tardi.

Cosi si forma, fino dai primi anni di vita la base solida del nostro modo, superficiale o

profondo, di concepire il mondo; in seguito si sviluppa e si completa, ma non cangia piu ne•f

suoi punti principali. In virtu dunque di questa maniera di veder le cose, puramente

oggettiva, per conseguenza poetica, essenziale all•finfanzia, in cui e mantenuta dal fatto che

la volonta e ancora ben lontana dal manifestarsi con tutta la sua energia, il fanciullo si

occupa molto piu a conoscere che a volere. Da cio quello sguardo serio, contemplativo, di

certi ragazzi, dal quale Raffaello ha tratto partito cosi felicemente per i suoi angeli, sopra

tutto nella Madonna della Cappella Sistina. Per cio egualmente gli anni d•finfanzia sono

tanto felici che il loro ricordo va sempre unito ad un doloroso rimpianto. Mentre da una

parte noi ci consacriamo cosi, con tutta serieta, alla conoscenza intuitiva delle cose,

dall•faltra parte l•feducazione si occupa a procurarci nozioni. Ma le nozioni non ci danno

l•fessenza stessa delle cose; questa, che costituisce il fondo e il vero contenuto di tutte le

nostre cognizioni, e stabilita sulla comprensione intuitiva del mondo. La quale pero puo

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essere acquistata soltanto da noi stessi, e non potrebbe in alcuna guisa esserci insegnata. Ne

deriva che il nostro valore intellettuale, proprio come il morale, non entra in noi dal di fuori,

ma sorte dal nostro proprio essere, e che tutta la scienza pedagogica d•fun Pestalozzi non

arrivera mai a fare un pensatore di un uomo nato imbecille: no! mille volte no! chi e nato

imbecille, imbecille deve morire. Tale comprensione contemplativa del mondo esterno

esposto di recente alla nostra vista, spiega anche perche tutto quello che si e veduto ed

appreso in giovinezza s•fimprima cosi fortemente nella memoria. In fatti vi ci siamo

occupati esclusivamente, niente ci ha distratti, ed abbiamo considerate le cose che

vedevamo come uniche della loro specie, anzi come le sole esistenti. Piu tardi il numero

considerevole di cose conosciute ci toglie il coraggio e la pazienza. Se si vorra ricordar cio

che ho esposto nel secondo volume della mia opera principale (p. 372 [423 della 3a ediz.]),

cioe che l•fesistenza oggettiva di tutte le cose, vale a dire nella rappresentazione pura, e

sempre gradevole, mentre la loro esistenza soggettiva, che sta nel volere, e unita in buona

dose a dispiaceri e dolori, allora si ammettera facilmente, come espressione riassuntiva del

fatto, la proposizione seguente: Tutte le cose sono belle a vedersi e orribili nel loro essere

(alle Dinge sind herrlich zu sehn, also schrecklich zu seyn). Da quanto precede risulta che,

durante l•finfanzia, gli oggetti ci sono ben piu noti dal lato della vista, della rappresentazione

cioe, dell•foggettivita, che non dal lato dell•fessere, che e nello stesso tempo quello della

volonta. Siccome il primo e il lato gradevole, e che il soggettivo ed orribile ci resta ancora

ignoto, il giovane intelletto prende tutte le immagini che la realta e l•farte gli presentano per

altrettante cose eccellenti: egli s•fimmagina che come sono belle a vedersi, cosi ed anche di

piu, lo sieno nel loro essere. Percio la vita gli appare come un eden: e questa quell•farcadia

in cui noi tutti siamo nati. Ne deriva un po•f piu tardi la sete della vita reale, il bisogno

urgente di agire e di soffrire che ci caccia irresistibilmente nel tumulto del mondo. Quivi

impariamo a conoscere l•faltra faccia delle cose, quella dell•fessere, vale a dire della volonta,

che tutto viene ad attraversare ad ogni passo. Allora a poco a poco s•favvicina il grande

disinganno; quando e giunto si dice: •áL•feta delle illusioni e passata•â, e pure il disinganno si

fa sempre piu grande e diventa sempre piu completo. Sicche possiamo dire che

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nell•finfanzia la vita si presenta come una decorazione da teatro veduta da lontano, nella

vecchiaia come la stessa decorazione veduta da vicino.

Ecco pure un sentimento che contribuisce alla felicita dell•finfanzia: come nei primi

giorni di primavera qualunque fogliame ha lo stesso colore e quasi la stessa forma, cosi

nella prima giovinezza ci rassomigliamo tutti, e andiamo d•faccordo perfettamente. Non e

che colla puberta che comincia la divergenza, la quale va sempre aumentando, pari a quella

dei raggi d•fun cerchio.

106

Cio che turba, cio che rende infelici gli anni di giovinezza, il rimanente di questa

prima meta della vita tanto preferibile alla seconda, si e la caccia alla felicita intrapresa nel

fermo convincimento che la si possa trovare nell•fesistenza. Ecco la fonte della speranza

sempre delusa, che genera a sua volta lo scontento. Le immagini ingannatrici d•fun vago

sogno di felicita volano davanti gli occhi nostri sotto forme capricciosamente scelte, e noi

cerchiamo invano il loro tipo originale. Percio siamo durante la giovinezza quasi sempre

mal soddisfatti del nostro stato e del nostro ambiente qualunque si siano, perocche ad essi

attribuiamo cio che dovremmo sempre riferire alla inanita od alla miseria della vita umana,

colle quali allora facciamo conoscenza per la prima volta, dopo esserci aspettati ben altra

cosa. Si guadagnerebbe molto nel toglier di buon•fora, con adatti insegnamenti, questa

illusione, propria alla gioventu, che vi siano grandi cose da trovare nel mondo. Ma succede

invece che la vita si fa conoscere a noi per mezzo della poesia prima di rivelarsi colla realta.

All•faurora della nostra giovinezza le scene che l•farte ci dipinge si spiegano brillanti sotto i

nostri occhi, ed eccoci tormentati dal desiderio di vederle realizzate, di afferrare l•farco

baleno. Il giovane si aspetta la vita sotto la forma d•fun romanzo interessante. Cosi nasce

quell•fillusione che ho descritta nel secondo volume della mia opera gia citata (p. 374 [428

della 3a ediz.]). Perocche cio che presta il loro incanto a tutte queste immagini si e il fatto

che esse sono precisamente immagini e non realta, e che contemplandole noi ci troviamo

nello stato di calma e di soddisfazione perfetta della conoscenza pura. Realizzarle vuol dire

essere occupato dalla volonta, e questa porta con se infallibilmente il dolore. Qui pure devo

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rimandar il lettore, cui l•fargomento interessa, al secondo volume del mio libro (p. 427 [488

della 3a ediz.]).

Se dunque carattere della prima meta della vita e un•faspirazione insaziata alla felicita,

carattere dell•faltra meta e il timore della sventura. Perocche a quell•fora si ha conosciuto piu

o meno nettamente che ogni bene e chimerico, ogni dolore, invece, reale. Allora gli uomini,

quelli almeno il cui giudizio e sensato, in luogo d•faspirare al piacere non cercano piu che

uno stato franco da dolori e da inquietudini47. Quando nei miei anni di gioventu sentiva

battere alla mia porta, io era tutto allegro perche mi dicevo: •áAh! finalmente!•â Piu tardi,

nella medesima situazione, ne ricevevo un•fimpressione piuttosto vicina al terrore, e

pensavo: •áAhime ! di gia!•â Gli esseri eminenti e largamente dotati, coloro che, per cio

stesso, non appartengono del tutto al resto degli uomini e si trovano piu o meno isolati in

proporzione dei loro meriti, provano pure riguardo la societa umana questi due sentimenti

opposti: in giovinezza spesso quello di esserne abbandonati, nell•feta matura quello

d•fesserne liberati. Il primo, che e penoso, deriva dalla loro ignoranza: il secondo,

gradevole, dalla conoscenza del mondo. Ne segue che la seconda meta della vita, come la

seconda parte d•fun periodo musicale, ha meno foga e piu quiete della prima: e succede cosi

perche la gioventu s•fimmagina meraviglie immense circa la felicita ed i piaceri che si

possono incontrare sulla terra e crede che la difficolta stia solo nel raggiungerli, mentre la

vecchiezza sa che non v•fha cosa alcuna da cercare; tranquilla su tale proposito, essa gusta

qualunque attualita sopportabile, e prende piacere perfino alle cose piu piccole.

L•fuomo maturo coll•fesperienza della vita ha guadagnato anzitutto l•fassenza di

prevenzioni, per cui vede il mondo in una maniera diversa dall•fadolescente e dal giovane.

Egli, per la prima volta, comincia a veder le cose semplicemente ed a prenderle per quello

che sono, mentre agli occhi di lui giovane e fanciullo un•fillusione formata da

vaneggiamenti creati da se stessi, da pregiudizi ereditati, e da strane fantasticherie, velava o

deformava il mondo reale. Primo lavoro che l•fesperienza trova da compiere si e quello di

liberarci dalle chimere e dalle false nozioni accumulate durante la giovinezza. Garantirne i

giovani sarebbe certamente la migliore educazione che si potesse dar loro, benche essa sia

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semplicemente negativa; ma e questo un affare assai difficile. Occorrerebbe a questo scopo

cominciare col mantener l•forizzonte del fanciullo ristretto quanto piu e possibile, non

47 Nell•feta matura si sa meglio guardarsi dall•finfelicita, in giovinezza a sopportarla. (Nota dell•fAutore).

107

procurargli in questo limite che nozioni chiare e giuste, e non allargarglielo che

gradatamente quando egli avesse la conoscenza esattissima di tutto quello che vi e

compreso, avendo cura che non vi resti all•foscuro, o che non sia intesa incompletamente o

falsamente cosa alcuna. Ne risulterebbe che le sue nozioni sulle faccende e sulle relazioni

umane, benche ancora ristrette e semplicissime, sarebbero tuttavia distinte e vere in modo

da richiedere ormai solamente estensione e non indirizzo; si continuerebbe cosi fino a che il

fanciullo non si fosse fatto uomo. Questo metodo esige sopra tutto che non si permetta la

lettura di romanzi; vi saranno sostituite biografie scelte con giusti criteri, come per esempio

la vita di Franklin, o la storia di Antonio Reiser di Moritz, ed altri simili libri.

Finche siamo giovani c•fimmaginiamo che avvenimenti e personaggi importanti

appariranno nella nostra esistenza coi tamburi e colle trombe; nell•feta matura uno sguardo

al passato ci fa scorgere che essi vi sono entrati senza strepito, per la porta secreta, e quasi

inavvertiti.

Si puo anche, sotto il punto di vista che ci occupa, paragonare l•fesistenza ad un

drappo ricamato di cui ciascuno vedrebbe, nella prima meta della vita, il solo diritto, e,

nella seconda, il solo rovescio; questo lato e meno bello, ma piu istruttivo perche permette

di conoscere l•fintreccio dei fili.

La superiorita intellettuale, anche la piu grande, non fara valere pienamente la sua

autorita nel conversare che dopo il quarantesimo anno. Perocche la maturita propria dell•feta

ed i frutti dell•fesperienza possono essere benissimo sorpassati di molto, ma giammai

surrogati dall•fintelligenza; queste condizioni forniscono, anco all•fuomo piu volgare, un

contrappeso da opporre alla forza della mente piu grande, fino a che questa e giovane. Parlo

qui solamente della personalita, non delle opere.

Nessun uomo un po•f superiore, nessuno di coloro che non appartengono alla

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maggioranza dei 5/6 degli umani cosi scarsamente dotati dalla natura, potra andar franco da

una certa tinta di melanconia quando avra passato la quarantina. Perocche, come era

naturale, egli aveva giudicato gli altri secondo se stesso, ed e ora uscito d•finganno; ha

compreso che essi sono ben indietro rapporto a lui sia per il cervello, sia per il cuore, molto

spesso anzi per l•funo e l•faltro, e che non potranno mai equilibrare il conto; evitera quindi

ogni commercio con essi, come del resto qualunque uomo amera oppure odiera la

solitudine, vale a dire la societa, in proporzione del suo valore intellettuale. Kant tratta pure

di questo genere di misantropia nella sua Critica della ragione verso la fine della nota

generale al •˜ 29 della prima parte.

E un brutto sintomo, cosi dal lato morale come dall•fintellettuale, per un giovane il

raccapezzarsi facilmente in mezzo alla confusione delle vicende umane, il trovarvisi bene, e

il mettervisi dentro quasi vi fosse stato preparato anticipatamente; cio indica volgarita.

Invece un•fattitudine confusa, esitante, imbarazzata e a controsenso e in tale circostanza

indizio di nobile specie.

La serenita e il coraggio in cui si rimane vivendo durante la gioventu dipendono

anche in parte dal fatto che salendo il monte non possiamo scorgere la morte, la quale sta ai

piedi dell•faltro versante. Una volta passata la cima, la vediamo coi nostri occhi, mentre fino

allora non la conoscevamo che per bocca altrui, e, siccome in quel momento le forze vitali

cominciano a declinare, il nostro coraggio s•finfiacchisce nel tempo stesso; una serieta

pensosa scaccia allora la petulanza giovanile, e s•fimprime sulle nostre sembianze. Finche

siamo giovani crediamo senza fine la vita, checche ce ne venga detto, ed usiamo del tempo

in conseguenza. Quanto piu invecchiamo, tanto piu facciamo economia di esso. Perocche,

in eta avanzata ogni giorno che vola via, produce in noi quel sentimento che prova un

condannato ad ogni passo che lo avvicina al patibolo.

Considerata dal punto di vista della gioventu l•fesistenza e un avvenire infinitamente

lungo: da quello della vecchiezza un passato assai corto, cosicche essa si offre ai nostri

sguardi, sul principio come le cose guardate dalla parte dell•fobbiettivo d•fun cannocchiale

108

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da teatro, e sul finire come quando sono viste dall•foculare. Occorre esser vecchi, vale a dire

aver vissuto lungamente, per conoscere come la vita sia corta. Quanto piu si va avanti

coll•feta, tanto piu le cose umane, qualunque si siano, ci appariscono piccole; la vita, che

durante la gioventu era la, davanti a noi, ferma e quasi immobile, ci sembra ora una rapida

fuga d•fapparizioni effimere, e ci diventa manifesta la nullita d•fogni cosa su questa terra. Il

tempo stesso, nella giovinezza, cammina d•fun passo piu lento; sicche il primo quarto della

vita e non solamente il piu felice, ma anche il piu lungo; esso lascia dunque molti piu

ricordi, e ciascuno potrebbe all•foccasione raccontare di questo primo quarto maggiori

avvenimenti che non degli altri due. Nella primavera della vita come nella primavera

dell•fannata i giorni finiscono talvolta col divenire d•funa lunghezza molesta. Nell•fautunno

della vita, come nell•fautunno dell•fannata, i giorni sono corti, ma sereni e piu costanti.

Perche mai in vecchiaja la vita che si ha dietro di se, pare cosi breve? Si e perche noi

la stimiamo cosi corta come il ricordo che ne conserviamo. Infatti tutto cio che in essa vi fu

d•finsignificante ed una gran parte di cio che vi fu di penoso, sfuggirono dalla nostra

memoria; vi e dunque rimasto ben poca cosa. Perocche nella stessa guisa che la nostra

mente e in generale molto imperfetta, cosi succede pure della nostra memoria: bisogna che

teniamo in esercizio le nostre cognizioni e che rinvanghiamo il nostro passato, senza di che

tutto cio sparira nell•fabisso dell•foblio. Ma noi non ritorniamo volentieri col pensiero sulle

cose insignificanti, ne, ordinariamente, sulle sgradevoli, cio che tuttavia sarebbe

indispensabile per conservarle nella memoria. Ora le cose insignificanti divengono sempre

piu numerose, perche molti fatti che a prima vista ci sembrano importanti perdono

qualunque interesse ripetendosi; il ripetersi, da principio, non e frequente, ma in seguito

succede spessissimo. Per questo ricordiamo i nostri giovani anni meglio di quelli che

vennero poi. Quanto piu lungamente viviamo, tanto meno si danno avvenimenti che ci

sembrino abbastanza gravi od abbastanza significanti per meritare d•fessere ripassati col

pensiero, ciocche e l•funico mezzo per conservarne il ricordo; appena trascorsi, li

dimentichiamo. Ed ecco perche il tempo fugge lasciando di meno in meno traccia dietro di

se.

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Ma neppure ritorniamo volentieri sulle cose sgradite, sopra tutto quando esse

feriscono la nostra vanita; ed e questo il caso piu frequente, perocche pochi disgusti ci

toccano senza nostra colpa. Noi dimentichiamo dunque egualmente molte cose penose. Si e

coll•feliminazione di queste due categorie d•favvenimenti che la nostra memoria diviene cosi

corta, e lo diviene, in proporzione, quanto piu la stoffa e lunga. Come gli oggetti situati

sulla riva si fanno sempre piu piccoli, indeterminati e indistinti a misura che la nostra barca

se ne allontana, cosi svaniscono gli anni passati, colle nostre avventure e colle nostre azioni.

Succede inoltre che la memoria e l•fimmaginazione ci presentino talora una scena della

nostra vita, obliata da lungo tempo, con tanta vivacita che ci sembri avvenuta il giorno

prima, e ci apparisca affatto vicina. E cio perche ci e impossibile rappresentarci in una volta

il lungo spazio di tempo che e scorso tra il passato e il presente, ed abbracciarlo collo

sguardo in un solo quadro; di piu gli avvenimenti compiti in questo intervallo sono in gran

parte dimenticati, e non ce ne resta piu che un•fidea generale, in abstracto, una semplice

nozione e non un•fimmagine. Allora questo passato lontano ed isolato si presenta tanto

vicino da parer successo jeri; il tempo intermedio e sparito, e la nostra intera esistenza ci

sembra d•funa brevita incomprensibile. Qualche volta pure, nella vecchiaja, il lungo passato

che abbiamo dietro di noi puo ad un certo momento parerci favoloso; cio che viene

principalmente perche vediamo sempre davanti a noi lo stesso presente immobile. In

sostanza tutti questi fenomeni interni sono fondati non su cio che e il nostro essere per se

stesso, ma sulla sua immagine visibile, che esiste sotto la forma del tempo, e sul fatto che il

presente e il punto di contatto tra il mondo esterno e noi, tra l•foggetto e il soggetto.

Si puo ancora domandarsi perche, in gioventu, la vita sembri estendersi davanti noi a

perdita d•focchio. Cio dipende da prima perche ci occorre il posto da mettere le speranze

109

illimitate di cui la popoliamo, e per la cui realizzazione Matusalem sarebbe morto troppo

giovane; poi perche prendiamo per scala della sua misura il piccolo numero d•fanni che

abbiamo gia dietro a noi; ma il ricordo di essi e ricco in materiali, e per conseguenza lungo,

perche la novita ha dato importanza a tutti gli avvenimenti che vi si compierono; percio vi

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ritorniamo volentieri col pensiero, li richiamiamo spesso in mente, e finiamo col fissarveli.

Ci sembra qualche volta di desiderare ardentemente di trovarci in un luogo lontano,

mentre in realta non facciamo che rimpiangere il tempo che vi abbiamo passato quando

eravamo piu giovani e piu freschi. Ecco in qual maniera il tempo ci trae in inganno sotto la

maschera dello spazio. Portiamoci sul luogo tanto bramato e ci renderemo conto

dell•fillusione.

Vi sono due vie per arrivare ad un•feta avanzata, a condizione sine qua non tuttavia di

possedere una costituzione senza difetto; per spiegarci, prendiamo l•fesempio di due

lampade che ardono: una bruciera a lungo perche, con poco olio, ha lo stoppino assai

sottile; l•faltra perche anche avendo un lucignolo molto grosso ha pure molto olio: l•folio e la

forza vitale, lo stoppino ne e l•fimpiego applicato a qualsivoglia uso.

Sotto il rapporto della forza vitale possiamo paragonarci, fino al nostro

trentesimosesto anno, a coloro che vivono coll•finteresse d•fun capitale; cio che si spende

oggi, si trova rimesso l•findomani. A partire di qui, somigliamo ad un capitalista che

comincia a toccare il suo capitale. In sul principio la cosa non e sensibile; la piu gran parte

della spesa viene ancora a supplire a se stessa, e il piccolissimo deficit che ne risulta passa

inosservato. Ma a poco a poco esso ingrandisce, diviene apparente e il suo stesso

accrescimento cresce ogni giorno, e c•finvade di continuo in grado maggiore; l•foggi e

sempre piu povero del giorno che lo precedette, e non v•fha speranza che la faccenda si

arresti. Come la caduta dei corpi, la perdita si accelerera velocemente fino alla scomparsa

totale. Il caso piu triste e quello in cui tutte e due, forza vitale e ricchezza, questa non come

termine di confronto, ma in realta, sono in via di sparire simultaneamente; per questo

l•famore al danaro aumenta coll•feta. In cambio nei nostri primi anni fino alla eta maggiore,

ed anche un po•f al di la, noi siamo, sotto il rapporto della forza vitale, simili a coloro che

sugl•finteressi aggiungono ancora qualche cosa al capitale: non solo cio che si spende si

rimette da se, ma il capitale stesso aumenta. Questo succede qualche volta anche per il

danaro in grazia delle cure previdenti d•fun tutore galantuomo. O gioventu fortunata! O

triste vecchiaja! Bisogna, ad onta di tutto cio, risparmiare le forze della gioventu. Aristotele

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osserva (Politica, Libro ultimo, Cap. 5) che fra i lottatori ai giuochi Olimpici, non se ne

sono trovati che due o tre i quali, vincitori una volta da giovani, abbiano trionfato anche

come uomini, perche gli sforzi prematuri che esigono gli esercizi preparatori, esauriscono

talmente le forze che piu tardi, nell•feta virile, esse fanno difetto. Se cio e vero per la forza

muscolare lo e assai maggiormente per la forza nervosa, manifestazione della quale sono

tutte le produzioni intellettuali: ecco perche gli ingenia praecocia, i fanciulli-prodigio,

questi frutti d•fun allevamento di serra calda, che fanno stupire nella loro prima eta,

diventano . in seguito . teste perfettamente volgari. E anche possibilissimo che un

eccesso d•fapplicazione precoce e forzata nello studio delle lingue antiche sia la causa che

ha fatto cadere piu tardi tanti eruditi in uno stato di paralisia e d•finfanzia intellettuale.

Ho notato che presso la maggior parte degli uomini il carattere sembra essere piu

particolarmente adattato ad una delle eta della vita, di modo che in tale eta essi presentansi

sotto la luce piu favorevole. Gli uni sono giovanotti amabili, e poi e finito; altri nella loro

maturita si mostrano uomini energici ed attivi, ma in tarda eta perderanno ogni valore; e

altri infine appariscono piu vantaggiosamente in vecchiaja, durante la quale sono piu cari

perche hanno maggior esperienza e maggior calma: e questo il caso piu frequente presso i

Francesi. Cosi deve avvenire perche il carattere ha per se stesso un certo che di giovanile, di

virile o di senile in armonia coll•feta corrispondente, o corretto da essa.

110

Nella stessa guisa che sopra una nave non ci rendiamo conto del suo cammino se non

perche vediamo gli oggetti situati sulla riva allontanarsi e quindi farsi piu piccoli, cosi non

ci avvediamo di divenir vecchi, sempre piu vecchi, se non per il fatto che persone d•funa eta

ognora piu avanzata ci sembrano giovani.

Abbiamo gia esaminato piu indietro come e perche, a misura che si entra nella

vecchiaja, tutto cio che si ha veduto, e tutte le azioni e tutti gli avvenimenti della vita

lascino nello spirito traccie sempre meno numerose. Cosi considerata la giovinezza e la sola

eta in cui si viva con intera coscienza; la vecchiezza non ha che una mezza coscienza della

vita. Col progredire dell•feta tale coscienza diminuisce gradatamente; gli oggetti passano

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rapidamente davanti a noi senza farci impressione, simili a quelle produzioni artistiche che

non ci colpiscono piu quando le abbiamo viste parecchie volte; si fa cio che si aveva da

fare, e non si sa poi nemmeno d•faverlo fatto. Mentre la vita diviene sempre piu automatica,

mentre cammina a gran passi verso l•fincoscienza completa, per questo stesso fatto la fuga

del tempo si accelera. Durante l•finfanzia la novita delle cose e degli avvenimenti fa si che

tutto s•fimprima nella nostra coscienza; percio i giorni sono d•funa lunghezza immensa. Per

la medesima ragione lo stesso ci succede in viaggio, che un mese ci pare piu lungo di

quattro passati a casa nostra. Malgrado la novita, il tempo, che ci sembra piu lungo

nell•finfanzia ed in viaggio, molto spesso ci diviene anche in fatto piu lungo che non nella

tarda eta o nel nostro paese. Ma a poco a poco l•fintelletto s•fintorpidisce talmente colla

lunga abitudine delle stesse percezioni che di grado in grado tutto finisce col passare sopra

di esso senza lasciarvi impressione; ne viene che i giorni diventano sempre piu

insignificanti e per conseguenza sempre piu corti; le ore del fanciullo sono piu lunghe delle

giornate del vecchio. Vediamo adunque che il tempo della vita possede un movimento

accelerato come quello d•funa sfera che rotola sopra un piano inclinato; e, nella stessa guisa

che sopra un cerchio girante un punto qualunque corre tanto piu veloce quanto piu e lontano

dal centro, cosi per ogni uomo il tempo passa piu presto e sempre piu presto nella

proporzione della sua distanza dal principio dell•fesistenza. Si puo dunque ammettere che la

lunghezza di un anno, quale e valutata dalla nostra disposizione del momento, sia in

rapporto inverso del quoziente di esso per l•feta; quando per esempio l•fanno e la quinta parte

dell•feta, ci sembrera dieci volte piu lungo di quando non ne sia che la cinquantesima. Tale

differenza nella rapidita del tempo ha un•finfluenza assai decisiva su tutto il nostro modo di

essere in ogni eta della vita. Prima d•fogni altra cosa per essa l•finfanzia, quantunque non

comprenda che quindici anni appena, e il periodo piu lungo dell•fesistenza, e

conseguentemente anche il piu ricco di memorie; per essa poi noi siamo soggetti in tutto il

corso della vita alla noja nel rapporto inverso dell•feta. I fanciulli hanno sempre bisogno di

passare il tempo sia nel gioco, sia nel lavoro; se l•foccupazione manca, essi sono tosto

assaliti da immensa noja. Gli adolescenti vi sono pure fortemente esposti, e temono assai le

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ore d•fozio. Nell•feta virile la noja sparisce ognora piu: e per i vecchi il tempo e sempre

troppo breve e i giorni volano colla rapidita d•funa freccia. Bene inteso che io parlo di

uomini e non di bruti invecchiati. L•faccelerarsi del cammino del tempo sopprime dunque il

piu delle volte la noja nell•feta avanzata; d•faltra parte le passioni coi loro tormenti

cominciano a tacersi; ne viene che in sostanza, dato che la salute sia in buono stato, il peso

della vita e realmente piu leggero che durante la gioventu: per questo l•fintervallo che

precede l•fapparizione della debolezza e delle infermita proprie alla vecchiaja e chiamato gli

anni migliori. E forse lo e in fatto dal punto di vista del nostro contento; ma in cambio gli

anni di giovinezza, quando tutto fa impressione, quando ogni cosa entra nella coscienza,

hanno il vantaggio d•fessere la stagione fertilizzante dello spirito, la primavera che fa

spuntare i germogli. Infatti le verita profonde si acquistano per intuizione e non colla

speculazione, vale a dire che la loro prima percezione e immediata e provocata

dall•fimpressione momentanea: essa non puo dunque prodursi che fino a quando

l•fimpressione e forte, viva e profonda. Tutto dunque dipende, sotto tale rapporto,

111

dall•fimpiego dei giovani anni. Piu tardi possiamo agire meglio sugli altri, fors•fanco sul

mondo intero, perocche noi stessi siamo finiti e completi, e non apparteniamo piu

all•fimpressione; ma il mondo agisce meno su noi. Questi anni sono dunque l•fepoca

dell•fazione e della produzione: i primi invece quelli della comprensione e della conoscenza

intuitiva.

In gioventu domina la contemplazione, e nell•feta matura la riflessione; l•funa e il

tempo della poesia, l•faltra piuttosto quello della filosofia. In pratica egualmente si e per

mezzo della percezione e della sua impressione che ci determiniamo a qualunque cosa

durante la giovinezza; piu tardi invece per mezzo della riflessione. Cio succede in parte

perche nell•feta matura le immagini si sono presentate e riunite intorno a nozioni abbastanza

numerose per dar loro importanza, peso e valore e cosi pure per moderare nello stesso

tempo coll•fabitudine l•fimpressione delle percezioni. Al contrario l•fimpressione di tutto cio

che e visibile, dunque del lato esterno delle cose, e talmente preponderante in gioventu,

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specialmente nelle menti vivaci e ricche d•fimmaginazione, che i giovani considerano il

mondo come un quadro; e si preoccupano della figura e dell•feffetto che vi fanno piuttosto

che della disposizione interna che esso risveglia in loro. Lo si scorge dalla vanita della loro

persona, e dal loro civettare.

La piu grande energia e la piu alta tensione delle forze intellettuali si manifestano

senza dubbio durante la gioventu e fino al trentacinquesimo anno alla piu lunga: poi

decrescono, quantunque insensibilmente. Nondimeno l•feta virile ed anche la vecchiezza

non sono senza compensi intellettuali. Allora l•fesperienza e l•fistruzione hanno acquistato

tutta la loro ricchezza: allora si e avuto il tempo e l•foccasione di considerare le cose sotto

tutti gli aspetti e di meditarvi sopra; avendole avvicinate le une alle altre si e scoperto i

punti in cui si toccano, le parti in cui si uniscono; allora, per conseguenza, si puo

comprenderle bene e nel loro concatenamento completo. Tutto si mette in piena luce. Per

questo si conoscono piu a fondo quelle stesse cose che erano mal note quando si era

giovani, perche si ha per ogni nozione maggior numero di dati. Ciocche si credeva sapere

durante la giovinezza, si comprende realmente nell•feta matura; inoltre si sa effettivamente

di piu, e si possedono conoscenze ragionate in tutte le direzioni, e per cio stesso

solidamente concatenate, mentre in gioventu la nostra scienza e difettosa e frammentata.

L•fuomo che e giunto ad una eta molto avanzata avra solo un•fidea completa e giusta della

vita, perche l•fabbraccia collo sguardo nel suo insieme e nel suo corso naturale, e sopratutto

perche non la vede piu, come gli altri, unicamente dalla parte dell•fingresso, ma anche dalla

parte dell•fuscita; cosi collocato ei ne comprende pienamente la nullita, mentre gli altri sono

ancora il trastullo dell•fillusione costante che •áe proprio adesso che sta per succedere quanto

v•fha di veramente buono•â. In cambio nell•feta giovanile e maggiore la facolta di concepire;

ne segue che si e in caso di produrre di piu col poco che si sa; piu tardi v•fha maggior dose

di raziocinio, di penetrazione e di fondo. Durante la giovinezza si raccolgono i materiali

delle proprie nozioni, delle proprie vedute originali e fondamentali, vale a dire di tutto cio

che uno spirito privilegiato deve per destino dare in dono al mondo; ma non e che dopo

molti anni che esso diviene padrone del suo soggetto. Si trovera che il piu delle volte i piu

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grandi scrittori non hanno creato i loro capolavori che verso il cinquantesimo anno. Ma non

per questo la gioventu non resta pur sempre la radice dell•falbero della conoscenza, benche

sia la corona dell•falbero che porta i frutti. Ma nella stessa guisa che ogni epoca, anche la

piu miserabile, si crede piu saggia di tutte quelle che la precedettero, cosi l•fuomo in ogni

eta si crede superiore a quello che era per lo avanti; tutti e due sono spesso in errore.

Durante gli anni di crescimento fisico, quando noi aumentiamo egualmente le forze

intellettuali e le cognizioni, l•foggi per costume guarda con disprezzo l•fieri. Tale abitudine

prende radice, e persiste anche quando e cominciata la decadenza delle forze mentali,

allorche l•foggi dovrebbe piuttosto guardare l•fieri con rispetto: a quell•fora sono troppo

disprezzate le produzioni e i giudizi degli anni giovanili.

112

Conviene osservare sopra tutto che quantunque la testa e l•fintelletto siano, circa le

loro proprieta fondamentali, altrettanto innati quanto il cuore o il carattere, nondimeno

l•fintelligenza, non resta cosi invariabile come il carattere: essa, e soggetta a molte

modificazioni le quali, alla grossa, si producono pur anche regolarmente, perocche derivano

dal fatto che da una parte la base dell•fintelligenza e fisica, e che dall•faltra la sua stoffa e

empirica. Cio essendo, la sua forza propria cresce continuamente fino al punto culminante,

e diminuisce poi di grado in grado fino all•fimbecillita. Ma d•faltronde la stoffa su cui si

esercita tutta questa forza e che la mantiene in attivita, vale a dire il contenuto dei pensieri e

del sapere, l•fesperienza, le cognizioni, l•fesercizio del raziocinio e la perfezione che ne

deriva, tutta questa materia e una quantita che aumenta costantemente fino al momento in

cui, sopravvenendo la fiacchezza definitiva, l•fintelletto lascia scappare ogni cosa. Tale

condizione dell•fuomo d•fesser composto d•funa parte assolutamente immutabile (il carattere)

e d•fun•faltra che varia regolarmente e in due direzioni opposte (l•fintelletto), spiega la

diversita d•faspetto sotto cui egli si manifesta, e la differenza del suo valore nelle varie eta

della vita.

In un senso piu largo si puo anche dire che i quaranta primi anni di vita danno il testo,

e i trenta seguenti il commento, che solo ce ne fa ben comprendere il vero senso, e la

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connessione, unitamente alla morale con tutte le sue sottigliezze.

Ma particolarmente verso la sua fine la vita somiglia ad un ballo mascherato, quando

sono tolte le maschere. A quell•fora si vede cosa erano in realta coloro con cui si ebbe

contatto durante la vita. In fatti i caratteri si sono messi in piena luce, le azioni hanno

portato i loro frutti, le opere hanno trovato il loro giusto apprezzamento, e tutte le

fantasmagorie sono svanite. Perocche ci abbia voluto il tempo a cio. Ma quello che v•fha di

piu strano si e che non si comprende bene e se stesso, e il proprio scopo, e le proprie

aspirazioni, sopra tutto in cio che riguarda i rapporti col mondo e cogli uomini, se non verso

il finire dell•fesistenza. Spesso, non sempre pero, si dovra classificarsi piu basso che non si

credesse per lo avanti, ma qualche volta si accordera a se stesso un posto superiore: il qual

ultimo caso succede perche non si aveva una conoscenza sufficente della bassezza del

mondo, e perche lo scopo della vita si trovava in tal modo collocato troppo in alto.

S•fimpara a conoscere, presso a poco, cio che valga ciascuno.

Si usa chiamar la giovinezza il tempo beato, e la vecchiaja il tempo triste della vita.

Cio sarebbe vero se le passioni rendessero felici. Ma sono esse che tengono trabalzata la

gioventu con poca gioja e molto dolore. Non agitano invece la fredda eta, la quale assume

tosto una tinta contemplativa: perocche la conoscenza diviene libera ed ha il sopravvento.

Ora la conoscenza e da per se stessa esente da dolori; per conseguenza quanto piu

predominera nella coscienza, tanto piu questa sara felice. Non si ha che da riflettere che

ogni gioja e negativa di sua natura, mentre e positivo il dolore, per comprendere che le

passioni non saprebbero rendere felici e che la tarda eta non e da compiangere perche alcuni

piaceri le sono vietati; qualunque piacere non e che la soddisfazione d•fun bisogno, e non si

e piu disgraziati perdendo il piacere nello stesso tempo del bisogno, di quello che non lo si

sia per non poter piu mangiare dopo aver pranzato, o dormire dopo una notte di sonno

profondo. Platone (nell•fintroduzione alla Repubblica) ha ben ragione di stimar felice la

vecchiaja perche e liberata dall•fistinto sessuale che per lo innanzi turbava l•fuomo senza

tregua. Si potrebbe quasi sostenere che le fantasie diverse ed incessanti generate dall•fistinto

sessuale, e cosi pure le emozioni che ne derivano, mantengono nell•fuomo una pazzia

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benigna e costante per tutto quel tempo in cui egli e sotto l•finfluenza di questo incentivo, o

di questo diavolo da cui e continuamente invasato, al punto da non essere affatto

ragionevole se non dopo essersene liberato. Tuttavia e cosa positiva che, in generale e senza

tener conto delle circostanze tutte e delle condizioni individuali, un•faria di melanconia e di

tristezza e propria della gioventu, ed una certa serenita della vecchiaja; e cio perche il

giovane e ancora sotto la potesta, o piuttosto sotto la tirannia di questo demonio che

113

difficilmente gli accorda un•fora di liberta e che e anzi l•fautore, diretto od indiretto, di quasi

tutti i mali che colpiscono o minacciano l•fuomo. L•feta matura ha la serenita di colui che,

liberato da catene portate lungamente, gode ormai della liberta de•f suoi movimenti. D•faltra

parte pero si potrebbe dire che una volta estinte le voglie sessuali, il vero midollo

dell•fesistenza e consumato, e che non ne resta piu che l•finvolucro, oppure che la vita

somiglia ad una commedia, la rappresentazione della quale, cominciata da uomini vivi,

sarebbe finita da automi rivestiti dei medesimi costumi.

Checche ne sia, la giovinezza e il momento dell•fagitazione, l•feta matura quello del

riposo: cio basta per giudicare dei loro rispettivi piaceri. Il bambino tende avidamente le

mani nello spazio dietro quegli oggetti, cosi screziati e cosi vari, che si vede davanti gli

occhi; tutto questo lo eccita perocche il suo sensorio e ancora tanto fresco e tanto nuovo. Lo

stesso avviene, ma con maggior energia, per il giovane. Il mondo dai colori smaglianti, e

dalle figure moltiformi lo eccita del pari, ed anzi egli ben presto nella sua immaginazione vi

annette piu valore che esso non abbia. Per questo la gioventu e piena di esigenze e di

aspirazioni a cose vaghe, ciocche le toglie quel riposo senza di cui non v•fha felicita.

Coll•feta tutto si calma, sia perche il sangue si e raffreddato e perche l•feccitabilita del

sensorio e diminuita, sia perche l•fesperienza, illuminandoci sul valore delle cose e

sull•fessenza dei piaceri, ci ha francati a poco a poco dalle illusioni, dalle chimere e dai

pregiudizi che velavano o deformavano fino allora l•faspetto libero e netto delle cose, che

ormai sono conosciute tutte piu giustamente e piu chiaramente; a quell•fora noi le prendiamo

per quello che sono, ed acquistiamo in maggior o minor grado, la convinzione della nullita

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d•fogni cosa sulla terra. Da cio quasi tutti i vecchi, anche coloro d•fun•fintelligenza assai

volgare, ricevono una certa tinta di saggezza che li distingue dalle persone piu giovani. Ma

tutto questo produce principalmente la calma intellettuale che e l•felemento importante, direi

anzi la condizione e l•fessenza della felicita. Mentre l•fuomo giovane crede di poter

conquistare in questo mondo immense meraviglie se solamente sapesse ove trovarle, il

vecchio e penetrato dalla massima dell•fEcclesiaste:•áTutto e vanita•â, e sa bene che le noci

sono vuote quantunque dorate.

Solo in un•feta avanzata l•fuomo arriva interamente al nil admirari di Orazio, vale a

dire alla convinzione diretta, sincera e ferma della vanita d•fogni cosa quaggiu, e della

inanita di qualunque pompa: le chimere sono svanite. Ei non si pasce piu dell•fillusione che

in qualche parte, palazzo o capanna, risieda una felicita speciale piu grande di quella di cui

gode egli stesso dovunque, quando e per l•fappunto libero da ogni dolore fisico e morale. A•f

suoi occhi non v•fha piu distinzione tra le cose grandi e le piccole, tra le nobili e le vili,

misurate sulla scala del nostro mondo. Cio da al vecchio una calma di spirito affatto

particolare, la quale gli permette di guardare sorridendo il vano prestigio di quaggiu. Egli e

completamente disingannato; sa che la vita umana, checche si faccia per adornarla e

metterla in arnese, non tarda a mostrarsi in tutta la sua miseria a traverso i suoi orpelli da

fiera; sa che, qualunque sforzo si faccia per dipingerla ed abbellirla, essa e in sostanza

sempre la stessa cosa, vale a dire un•fesistenza di cui bisogna stimare il valore effettivo

sull•fassenza del dolore e non sulla presenza del piacere, e meno ancora del fasto (Orazio,

Epist., L. I, 12, v. 1-4). Carattere fondamentale della vecchiaja e il disinganno; in essa non

piu di quelle illusioni che davano alla vita una bellezza incantevole ed all•fattivita uno

stimolo; si ha conosciuto la nullita e la vanita in questo basso mondo di qualunque

magnificenza, specialmente della pompa, dello splendore e d•fogni apparenza di grandezza:

si ha avuto prova dell•finfimita di cio che sta in fondo di quasi tutte queste cose che destano

cosi vivo il desiderio, e di questi piaceri a cui si aspira con tanto ardore; e cosi a poco a

poco si e giunti a convincersi della poverta e della vacuita dell•fesistenza. Soltanto nel

settantesimo anno di vita sono ben compresi i primi versi dell•fEcclesiaste. Ma e anche

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questo che da alla vecchiaja una certa tinta di tristezza.

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Si crede comunemente che infermita e noja sieno la condizione dell•feta. La prima non

le e essenziale, particolarmente quando si ha la prospettiva di arrivare ad una vecchiaja

molto avanzata, perocche crescente vita, crescit sanitas et morbus. E in quanto alla noja ho

dimostrato piu indietro come la vecchiezza abbia a temerla meno della gioventu: e neppure

la noja e la compagna necessaria della solitudine, verso la quale infatti ci spinge l•feta per

motivi facili a comprendere; essa non segue che coloro i quali hanno conosciuto solamente

le gioje dei sensi ed i piaceri della societa e che non hanno avuto cura di arricchire il loro

spirito, e di sviluppare le loro facolta. E vero che in un•feta avanzata anche le forze

intellettuali s•fintorpidiscono; ma laddove furono potentemente copiose, ne restera sempre

abbastanza per combattere la noja. Inoltre, come abbiamo dimostrato, la ragione guadagna

forza coll•fesperienza, colle cognizioni, coll•fesercizio e colla riflessione; la mente diviene

piu acuta, e il concatenamento delle idee piu chiaro; in ogni materia si acquista, in grado

sempre maggiore, vedute d•finsieme sulle cose: le combinazioni poi sempre variate delle

cognizioni che gia si possedono, i nuovi acquisti che vengono ad aggiungervisi, favoriscono

il progresso continuo in tutte le direzioni del nostro sviluppo intellettuale, in cui lo spirito

trova in una volta la sua occupazione, il suo soddisfacimento e la sua mercede. Tutto questo

compensa fino ad un certo punto l•findebolimento delle facolta mentali di cui abbiamo

parlato. Sappiamo inoltre che nella vecchiezza il tempo corre piu rapidamente; cosi e

neutralizzata la noja. In quanto poi allo infiacchirsi delle forze fisiche, cio non e un danno,

salvo il caso in cui si avesse bisogno di esse per la professione che si esercita. La poverta in

vecchiaja e una immensa disgrazia. Se si ha saputo tenerla lontana e se si ha conservato la

salute, la tarda eta puo essere una parte sopportabilissima della vita. L•fagiatezza e la

sicurezza sono i suoi principali bisogni: per questo si ama allora piu che mai il danaro

perocche esso supplisce alle forze che mancano. Abbandonati da Venere, si cerchera

volentieri di confortarsi con Bacco. Il bisogno di vedere, di viaggiare, d•fapprendere e

sostituito dal bisogno di insegnare e di parlare. E una felicita per il vecchio l•faver

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conservato l•famore dello studio, o della musica, o del teatro, e in generale la facolta di

essere impressionato fino ad un certo grado dalle cose esterne: questo succede per qualcuno

fino all•feta piu avanzata. Cio che l•fuomo ha da per se stesso non gli profitta mai meglio che

nella vecchiaja. Ma e vero d•faltronde che nella maggior parte le persone essendo state in

ogni tempo ottuse di mente, diventano ognora piu automi avanzando in eta: pensano,

dicono e fanno sempre nella stessa guisa, e nessuna impressione esterna puo cangiare il

corso delle loro idee, o far loro produrre qualche cosa di nuovo. Parlare a vecchi siffatti si e

scrivere sulla sabbia: l•fimpressione si cancella quasi istantaneamente. Una vecchiaja di tale

natura non e piu, senza dubbio, che il caput mortuum della vita. Pare che la natura abbia

voluto simbolizzare la venuta di tale nuova infanzia con quella terza dentizione, che si

dichiara in qualche raro caso nei vecchi. L•findebolimento progressivo di tutte le forze a

misura che s•finvecchia e certamente una cosa tristissima, ma necessaria ed anche benefica:

altrimenti la morte, di cui e il preludio, sarebbe troppo penosa. Percio il principale

vantaggio che procura un•feta avanzata e l•feutanasia, vale a dire la morte eminentemente

facile, senza malattia che la preceda, senza convulsioni che l•faccompagnino, una morte per

la quale non si sente di morire. Ne ho dato una descrizione nel secondo volume della mia

opera, al capitolo 41, pag. 470 (536 della 3a ed.)48. Perocche per quanto a lungo si viva non

48 La vita umana, propriamente parlando, non puo esser detta lunga ne corta, perocche, in sostanza, e la

scala su cui misuriamo tutte le altre lunghezze di tempo. Le Upanishadi dei Veda (Oupnekhat, Vol. II, p. 53)

danno 100 anni per durata naturale della vita, e con ragione, a mio credere; perocche ho notato che coloro

solamente che passano i 90 anni finiscono coll•feutanasia, cioe muojono senza malattia, senza apoplessia,

senza convulsioni, senza rantolo, qualche volta anche senza pallore, il piu di sovente seduti, specialmente

dopo aver preso cibo: sarebbe piu esatto dire non che muojono, ma che cessano soltanto di vivere. In

qualunque altra eta anteriore a questa non si muore che di malattia, dunque prematuramente. . Nel

Vecchio

Testamento (Salmo 90, 10) la durata della vita umana e valutata di 70 anni, tutto al piu di 80; e, cosa piu

importante, Erodoto (I, 32 e III, 22) dice lo stesso. Ma cio non e vero, e non e che il risultato di una maniera

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si possede niente al di la del presente indivisibile; ma anzi la memoria perde ogni giorno

coll•fobblio piu che non si arrichisca per l•faggiungervisi di cose nuove.

La differenza fondamentale tra la gioventu e la vecchiaja rimane sempre questa: la

prima ha in prospettiva la vita, la seconda la morte; per conseguenza una possede un

passato corto ed un lungo avvenire, e l•faltra l•fopposto. Senza dubbio il vecchio non ha piu

che la morte davanti a se, quando il giovane ha la vita; ora si tratta di sapere quale delle due

prospettive offra maggiori inconvenienti, e se, tutto calcolato, sia preferibile aver la vita

dietro di se o davanti; non ha gia detto l•fEcclesiaste: •áIl giorno della morte val meglio che

•fl giorno della nascita•â (7, 1)? In qualunque caso domandare di vivere lungamente e un

desiderio temerario. Perocche •áquien larga vida vive mucho mal vide•â (chi vive a lungo

vive molto male) dice un proverbio spagnuolo.

Non e, come pretendeva l•fastrologia, la esistenza individuale, ma bensi l•fandamento

della vita umana in generale che si trova scritto nei pianeti, nel senso che, nel loro ordine,

ognuno corrisponde ad un•feta, e che quindi la vita e governata successivamente da ciascuno

di essi. . MERCURIO regge il decimo anno. Come questo pianeta, l•fuomo si muove con

rapidita e facilita in un•forbita molto limitata; la piu piccola bagattella e per lui causa di

perturbazione; ma egli apprende molto e facilmente, sotto la direzione del dio dell•fastuzia e

dell•feloquenza. . Col ventesimo anno comincia il regno di VENERE: l•famore e le donne

possedono interamente l•fuomo. . Nel trentesimo anno domina MARTE: a quell•feta l•fuomo

e violento, forte, audace, bellicoso e fiero. . A quarantanni governano i quattro piccoli

pianeti: il campo della vita aumenta: e frugi, cioe consacrato all•futile per virtu di CERERE;

ha il suo focolare domestico da VESTA; sa cio che deve sapere per influenza di PALLADE, e,

simile a GIUNONE, presso di esso regna sovrana la sposa49. . Nel cinquantesimo anno

domina GIOVE: l•fuomo e gia sopravvissuto alla maggior parte de•f suoi contemporanei, e si

sente superiore alla generazione attuale. Mentre possede il pieno godimento delle sue forze,

e ricco di esperienza e di cognizioni: ha pure (nella misura della sua individualita o della

sua posizione) un•fautorita su coloro che lo avvicinano. Non intende piu di lasciarsi

ordinare: vuole comandare a sua volta. Si e proprio adesso che nella sua sfera egli e

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maggiormente atto ad esser guida e dominatore. Cosi culmina GIOVE e, come lui, l•fuomo di

cinquant•fanni. . Ma dopo, nel sessantesimo anno, giunge SATURNO e con lui la

pesantezza, la lentezza e la tenacita del PIOMBO: •áMa molti vecchi hanno l•faria d•fesser gia

morti; essi sono pallidi, lenti, pesanti ed inerti come il piombo•â (Shakespeare, Romeo e

Giulietta, Atto 2•‹, Scena 5a). . Finalmente viene URANO: e il momento di volare in cielo,

come si dice. . Non voglio tener conto di NETTUNO (cosi pur troppo lo si e chiamato con

grave spensieratezza) dal momento che non posso dargli il suo vero nome, che sarebbe

EROS. Se cosi non fosse avrei voluto dimostrare come il principio si lega colla fine, e in

qual maniera Eros sia misteriosamente in connessione colla Morte, connessione in virtu

della quale l•fORCO, o l•fAMENTI degli Egiziani (secondo Plutarco, De Iside et Osir., C. 29),

e il •áƒÉƒ¿ƒÊƒÀƒ¿ƒËƒÖƒË ƒÈƒ¿ƒÇ ƒÂƒÇƒÂƒÍƒÒ.•â, per conseguenza non solo •áColui che prende•â ma anche

•áColui che da•â e la MORTE il grande reservoire (serbatojo) della vita. Da li, dunque, da li,

grossolana e superficiale d•finterpretare l•fesperienza giornaliera. Perche, se la durata naturale della vita

fosse

di 70-80 anni, gli uomini tra 70 e 80 anni dovrebbero morire di vecchiaja; ciocche non succede: essi

muojono

di malattia, come i loro cadetti; ora la malattia, essendo essenzialmente una cosa anormale, non costituisce

la

fine naturale. Non e che tra 90 e 100 anni che diventa normale morir di vecchiaja, senza malattia, senza

lotte,

senza rantolo, senza convulsioni, qualche volta senza impallidire, in una parola di eutanasia. . Anche sopra

questo punto le Upanishadi hanno dunque ragione fissando a 100 anni la durata naturale della vita. (Nota

di

Schopenhauer).

49 Circa 62 nuovi pianeti sono stati scoperti ancora, ma e questa una innovazione di cui non voglio sentir

parlare. Cosi tratto con essi come i professori di filosofia hanno trattato a mio riguardo; non ne voglio

sapere,

perocche cio discrediterebbe la mercanzia che ho in negozio. (Nota dell•fAutore).

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dall•fORCO viene ogni cosa, e li e stato tutto cio che adesso ha vita: . se solamente fossimo

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capaci di comprendere il giuoco50 con cui succede la faccenda, allora tutto sarebbe chiaro.

FINE.

50 Taschenspielerstreich, colpo di giuocatore di bussolotti. (Nota dei Trad.).

1 AFORISMI E DISCORSI DEL BUDDHA 2 AFORISMI E DISCORSI DEL BUDDHA PREFAZIONE E SCELTA A CURA DI MARIO PIANTELLI TRADUZIONI DI EUGENIO FROLA E PIO FILIPPANI-RONCONI EDIZIONI TEA Canone Buddhista appartenenti alla Collezione dei Classici delle religioni sezione I ""Le religioni orientali"" diretta da Oscar Botto 1988 Editori Associati S.p.A., Milano " per la Prefazione Prima edizione TEA ottobre 1988 Stampa: Officine Grafiche Stianti, Sancasciano-Firenze PREFAZIONE "La scelta di testi buddhistici che il lettore si trova fra le mani è un po' diversa da quelle correnti, in cui all'esigenza di presentazione dottrinale si sovrappongono variamente preoccupazioni apologetiche, tentativi di ricostruzione ""biografica"" della vicenda terrena del Buddha, pregiudizi in sintonia con la ""demitizzazione"" caratteristica dell'orizzonte culturale d'Occidente negli ultimi due secoli. In sé rispettabilissime e non prive d'interesse, siffatte antologie tendono tuttavia ad ingenerare nei non ""addetti ai lavori"" un duplice equivoco. Da un lato, infatti, i passi - pervenutici attraverso un secolare lavoro di correzioni e messe a punto più o meno standardizzate secondo l'ottica dell'una o dell'altra scuola - sono suscettibili d'esser recepiti dal lettore non avvertito come veridica testimonianza del pensiero stesso dell'antico asceta sulle cui labbra son posti gli insegnamenti ch'essi trasmettono, che - tutti - saranno così ritenuti in sostanza esenti da alterazioni ed elaborazioni. Dall'altro lato, il contenuto di tali insegnamenti, ridotto all'osso e spogliato di tutta la variopinta ricchezza della visione del mondo indiana che fa da sfondo alla predicazione buddhistica, appare, nella sua stringatezza e nella sua tecnicità, al tempo stesso singolarmente ""moderno"" e insopportabilmente arido ciò che in realtà non è. Ci siamo sforzati, attingendo alle versioni già portate a termine da Eugenio Frola e Pio Filippani-Ronconi, di mettere a disposizione di chi

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nutra qualche interesse per il Buddhismo antico una immagine di esso abbastanza fedele da evitare letture ingenuamente ""fondamentaliste"" e da mostrarne insieme la complessità e l'articolazione mitica. La nostra cura di rispettare l'integrità dei materiali, forniti senza tagli né adattamenti (al di fuori delle ripetizioni espunte già nei testi dell'edizione in lingua pali, in base ad ovvie esigenze editoriali!), ha in qualche misura limitato la vastità della selezione di ""aforismi e discorsi del Buddha"" che proponiamo in questo volume, ma restano sufficienti elementi al quadro per alimentare questa ambizione." "Colui che sarebbe stato in futuro oggetto come Buddha, del culto di milioni di uomini, Gautama l'asceta (muni, ""silenzioso"", o sramana, ""sforzantesi"" in vista della purificazione e del conseguimento della liberazione dal ciclo delle rinascite) trascorse la sua esistenza, elemosinando il vitto quotidiano e predicando i suoi precetti, nella piana gangetica orientale qualche tempo prima dell'invasione da parte d'Alessandro il Macedone della provincia del Sindh (327-325 a.C.) La sua datazione è oggetto di controversie e dipende dalla correlazione che s'intende stabilire con la consacrazione dell'imperatore Asoka della dinastia dei 3 Maurya, la quale sembra aver avuto luogo verso il 270 a. Cristo. Fonti indiane, a noi pervenute anche in versione tibetana e cinese, pongono la morte del fondatore del Buddhismo un secolo innanzi tale data mentre la tradizione singalese la spinge a duecentodiciott'anni prima di essa. Altre testimonianze, che parlano di centosedici anni tra i due eventi, o pongono Gautama verso la metà del VI secolo a.C., godono di minor considerazione. I fatti di cui possiamo esser sicuri - o quasi quanto a lui e al suo entourage sono relativamente esigui: nei decenni della sua vita itinerante (si sarebbe spento verso l'ottantina), egli ottenne un certo prestigio presso la ""borghesia"" urbana ed esponenti dell'aristocrazia dei regni locali, tra cui primeggiavano quello dei Magadha, allora retto da Bimbisara della dinastia Haryanka, deposto e fatto uccidere dal figlio Ajatasatru, e quello dei Kosala governato da Prasenajit, a sua volta detronizzato dal figlio Virudhaka. La politica espansionistica di quest'ultimo finì per assoggettare, ancor vivo Gautama, la piccola repubblica aristocratica degli Sakya, nella terra dei Kosala settentrionali (Uttarakosala), oggi a cavallo del confine indonepalese. Gautama stesso era probabilmente originario di quella zona, come attesta il suo epiteto di Sakyamuni (""Asceta degli Sakya""). Il nome simbolico di Siddhartha (""Che ha raggiunto il suo

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scopo""), la nascita in una famiglia principesca o addirittura regale, i nomi dei genitori (Suddhodana e Mayadevi), la conquista della bellissima sposa Yasodhara, l'abbandono del palazzo paterno a seguito del turbamento insorto dall'incontro traumatizzante con la realtà del male nel mondo, esemplificato in un vegliardo, un infermo e un morto, sono tratti d'una leggenda atemporale che si sovrappone ad una biografia certo meno nota nei suoi inizi che nel suo esito, esattamente come avverrà per Gesù nei racconti evangelici. Invero la qualità del meraviglioso che circonda il Buddha ricorda sotto alcuni rispetti, quella che in tali racconti ci è familiare. Lo vediamo misurarsi con il Maligno (Mara, ""l'uccisore"", divino e demoniaco principe del mondo dominato dal desiderio) in una serie di tentazioni simboleggianti le possibili deviazioni dalla sua vocazione di maestro spirituale - la sfida a tramutare una montagna in oro l'offerta della regalità e del dominio sul mondo... e, più insinuante di tutte, la tentazione ad abbandonare subito la vita e le sue pene, senza giungere ai fastigi dell'insegnamento e ai suoi mille scacchi e delusioni. Lo vediamo camminare sulle acque, discendere dal cielo su una scala d'oro e di gemme con ai fianchi gli dei Brahma ed Indra, dichiarare solennemente ""chi vede me, vede il Dharma"", la legge universale che, nella visione buddhista, prende in qualche modo il posto di Dio... Insomma, si direbbe che una sorta di archetipo comune sia sotteso alle narrazioni indiane e a quelle fiorite sulle rive del Mediterraneo. Le prime sono probabilmente più antiche, e meglio inquadrate - nei loro elementi straordinari - di quelle che circondano il Cristo. Così la nascita del Buddha dal fianco materno, senza passare per la via umiliante dei comuni mortali, riprende il mito della nascita del dio Indra, già noto fin dall'epoca dei Veda, mentre il docetismo occidentale riproduce con minor convinzione - e minor successo - il discorso sul corpo ultraterreno (lokottara) del Buddha, destinato a divenire, con i maestri del ""Grande Veicolo"" (Mahayana), un corpo fantasmatico (Nirmanakaya) proiettato dall'eterna Realtà che fa tutt'uno con il Dharma (Dharmakaya) e destituito d'ogni funzione al di là dell'impartir la dottrina agli esseri umani prigionieri dell'illusione cosmica. Ben più concreti sono i tratti relativi alla morte, avvenuta (dopo aver consumato un indigesto piatto di ""delizie porcine"", offerto a Gautama dal fabbro Cunda) nel parco presso Kuginagara, a qualche distanza dall'attuale Patna. Altrettanto attendibili sembrano i dati relativi ai parenti di cui Gautama si circondava (la zia Gautami, che lo avrebbe

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allevato, posta, non senza resistenze e perplessità, a capo d'una comunità di ascete; i cugini di Ananda e Devadatta, il quale ultimo avrebbe tentato di alienargli una parte dei discepoli e addirittura d'assassinarlo; il figlio Rahula), così come ad altri personaggi di varie condizioni sociali che gli erano specialmente vicini, dal barbiere Vaisalin ai due brahmani rispettivamente designati col matronimico Sariputra e con l'appellativo del gotra o clan brahmanico d'appartenenza, Kasyapa. Il caso di quest'ultimo, succeduto al fondatore come capo della comunità (sangha), è identico a quello dello stesso Gautama, il cui nome è quello d'un gotra originato dal saggio Gotama, veggente di alcuni inni del Rgveda. Ciò sembrerebbe indicare che il Buddha fosse in realtà anch'egli un brahmano, i tentativi di conciliare la tradizione, che lo fa invece appartenere alla stirpe guerriera degli ksatriya, con questo fatto sono poco convincenti. Che i nobili Sakya si fregiassero di un epiteto derivato dal loro guru familiare Kapila, il quale era un Gautama, è una notizia che non pare trovare 4 conferme al di là del testo del poema Saundarananda di Agvaghosa (che - a corroborare la sua asserzione - ascrive erroneamente all'eroe divino Krsna l'appartenenza a un gotra diverso da quello del fratello Balarama!). Siamo intorno al I secolo d.C.: in quest'epoca i tratti biografici leggendari sono già definitivamente consolidati. La ricerca dell'appoggio delle dinastie regnanti nel subcontinente indiano, molto spesso d'origine ksatriya, e la polemica sempre più accesa con i brahmani - e la loro eredità culturale - possono aver giocato nella confezione di tali tratti." "Il primo testo che si propone qui al lettore, il Mahapadanasuttanta, registra puntualmente la versione in discorso; ma il suo interesse sta piuttosto nella grandiosa cornice che fornisce alla vicenda, ormai fissata canonicamente del principe Siddhartha. Questa vi viene toccata, in effetti, soltanto per sommi capi, mentre si narra il suo archetipo eternamente ripetentesi, esemplificato dalla biografia d'un Buddha del remoto passato, chiamato Vipascit (in pali Vipassi ""L'intelligente"")." "In un mondo destinato a ripresentare periodicamente le stesse situazioni, salvo dettagli accidentali di minore importanza, Gautama perde la sua unicità: la trama del suo destino si scopre costituire semplicemente un momento dell'avvicendarsi delle età cosmiche, ciascuna con il suo uomo-Dio (questo è il senso abituale dell'epiteto Bhagavat, ""Possessore di maestà divina"", piuttosto che ""Beato"", come tradizionalmente si traduce nelle lingue occidentali). Vengono sottolineate discrepanze e concordanze fra i vari Buddha, ma le

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seconde contano, evidentemente, ben più delle prime: esse obbediscono ad una legge eterna che il pio buddhista è invitato a contemplare con rapita meraviglia." "Sempre gli stessi sono i momenti della nascita, gl'incontri che scatenano l'angoscia del futuro Buddha, ""Colui la cui mente è naturata di comprensione"" (Bodhisattva, in pali Bodhisatta), sempre gli stessi sono i trentadue segni prodigiosi che contraddistinguono il suo corpo impareggiabile, soprattutto sempre la stessa è la verità ch'egli giunge ad esperire al culmine della sua meditazione, nel ""risveglio"" che ne fa, a pieno titolo, il ""Desto"" (Buddha) della sua epoca. Tutto ciò, nella storia di Vipascit, si svolge su uno sfondo che ripete, ingigantendoli, i caratteri del mondo indiano contemporaneo ai redattori del testo: in questa preistoria - in cui il fatale declino delle cose ancora non incide nel tessuto stesso dell'esistere umano - si vive ottantamila anni, i discepoli sono contati a milioni, le regge hanno la bellezza e il fasto d'una fiaba. Occorre tenere presente come una siffatta visione sia solidale con i dati della biografia di Siddharta, ed anzi tragga, alla stessa stregua, la sua legittimazione da un discorso posto sulle labbra del Buddha in persona, come è uniformemente il caso dei diversi sutra (""fili"" onde si dipana l'insegnamento) contenuti nei Canoni delle varie scuole buddhistiche. Quello da cui i nostri testi son tratti, unico a sopravvivere nella sua intera estensione e in redazione ""popolare"" (nella lingua pali, basata sulla parlata stessa dei tempi del Buddha, anziché nel sanscrito - più o meno artificialmente regolarizzato - adottato per tempo dagli altri indirizzi dottrinali), appartiene alla ""setta"" affermatasi come ortodossia di stato nell'isola di Ceylon a metà del XII secolo d.C., quella che faceva capo al ""Gran cenobio"" (Mahavihara), affermatasi in un definitivo trionfo contro le rivali grazie al favore del re Parakkama Bahu I. Essa, che reclama per sé l'antico titolo di ""Dottrina degli Anziani"" (Theravada) - già portato dal partito conservatore nato con lo scisma della comunità buddhista consumatosi in occasione del Concilio di Pataliputra, tenutosi sotto Agoka -, fornisce oggi una guida spirituale ai popoli di tutta l'Indocina, là dove la repressione non ne ha indebolito la presa, ed è la sola sopravvissuta tra le numerose consorelle della più antica stagione del Buddhismo indiano. Nella loro struttura attuale, i diversi testi che compongono il Canone in lingua pali furono messi per iscritto all'epoca di Gesù, in occasione d'un Concilio tenutosi nella capitale di Ceylon, Anuradhapura, dominato dalla figura del

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re Vattagamam, poi più volte rimaneggiati nei secoli successivi, fino alla revisione in concomitanza con il Concilio tenutosi in Birmania tra il 1868 e il 1871, sotto il re Mindonmin. Dove il confronto con le corrispondenti parti dei Canoni d'altre ""sette"", come i Mahisasaka e i Sarvastivadin, è possibile, questo lavoro di alterazione emerge limpidamente, come hanno dimostrato in particolare le ricerche di André Bareau. Il fondo comune ai diversi Canoni comprendeva sia testi orali direttamente risalenti alla comunità attorno a Gautama, sia pie leggende, talora adattate da altra fonte, che dovevano specialmente esser diffuse 5 nei centri, meta di pellegrinaggio, ricollegati all'una o all'altra tappa importante della carriera del Buddha: l'illuminazione, a Gaya, la prima predicazione, a Varanasi (Benares), la morte, a Kuginagara... In origine dovette trattarsi di passi brevi o brevissimi, concatenati soltanto in seguito dalla paziente fatica dei diascheuasti." "Il secondo testo che figura nella nostra scelta è appunto un saggio di quella che poté essere tale primitiva consistenza delle testimonianze confluite poi nei grandi sutra. Si tratta delle parole ""profferite"" dal Buddha (Udana), in forma poetica e spesso oscura, in occasione di determinate circostanze. L'asceta Gautama, negli altri testi solitamente impassibile e impersonale, privo di qualsiasi profilo individuale plausibile (a differenza della sua cerchia, in cui il carattere dei vari discepoli è spesso lumeggiato in modo verisimile - e coerente - dal punto di vista delle loro diverse reazioni agli incidenti narrati), qui invece effonde, trasportato dall'emozione, l'animo suo e ci appare molto più umano e vicino alla ""storicità"" dei personaggi dell'agiografia occidentale. Non mancano, invero, nelle ottantadue brevissime porzioni del testo, strutturate come altrettanti sutra, elementi mirabili e apparizioni ultraterrene, che danno ai ""fioretti"" del Buddha un profumo affine a quello dei racconti francescani che c'incantano nelle nostre pagine trecentesche. La sistemazione semicronologica dei passi, così come l'uso di epiteti invalsi relativamente tardi, quali quello di Tathagata (""Colui ch'è in tal guisa pervenuto""), mostrano, beninteso, che anche qui è intervenuto un certo lavoro d'adattamento, ma la natura stessa dei materiali depone a favore della loro sostanziale antichità." Il terzo testo, che con le sue parti in versi sembra riecheggiare le strutture espositive del precedente, è un compendio di norme per l'uomo che vive nel mondo,

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"dettate al giovane Sirigalaka, da cui il suo titolo (Singalovadasuttanta). Esso apre una serie d'insegnamenti che segnaliamo qui in quanto si presentano come non strettamente indirizzati agli asceti. Tali materiali costituiscono un aspetto del Buddhismo antico generalmente poco valutato: accade persino di leggere che le scuole del cosiddetto ""Grande Veicolo"" (Mahayana) avrebbero esse sole volto ai ""laici"" un interesse che era prima interamente concentrato sulla prassi dei ""monaci"". La rivalutazione della figura del Bodhisattva rispetto a quella dell'Arhat (Il ""rispettabile"" asceta che ha raggiunto la perfetta comprensione della dottrina ed è certo di aver messo fine al meccanismo delle rinascite), centrale nel Buddhismo antico, starebbe a testimoniare tale evoluzione. In realtà non soltanto ritroviamo nei testi canonici tutta una precettistica indirizzata ai ""laici"" in quanto privati, ma anche una teoria della regalità e dei suoi compiti specifici. Le è sottesa una visione della storia del mondo, dell'umanità e del viver sociale che appare saldamente radicata nella visione indiana del tempo ciclico, con il suo progressivo degenerare, da epoche auree di rispetto del Dharma e di paradisiaca pace universale, fino alla dura realtà quotidiana del matsyanyaya, la sinistra legge del pesce grande che divora il pesce piccolo, fondamento della politica e legittimazione del contratto sociale che affida al monarca la gestione esclusiva della violenza (danda, ""il bastone"") che accompagna il potere." "Il quarto testo, l'Agannasuttanta, si occupa appunto di tale tematica, con un'esposizione di notevole interesse diretta a due brahmani, del gotra Vasistha e del gotra Bharadvaja rispettivamente. Le caratteristiche dei quattro grandi gruppi sociali indiani, ksatriya (che, significativamente, sono posti innanzi a tutti gli altri!), brahmani, vaisya (""quelli del popolo"", produttori di ricchezze) e sudra (""servitori"") sono passate in rivista, in quanto suscettibili di biasimo o di lode, senza far distinzione tra le tradizionali incombenze e i corrispondenti profili deontologici, che tanta parte prendono nella letteratura non buddhistica, mentre si censura espressamente la dottrina del primato dei brahmani, fondamento della prospettiva ortodossa dell'ordinamento castale. L'origine di quest'ultimo è poi rintracciata, assieme a quella della società nel suo complesso, in una catena d'eventi che inizia con un vero e proprio mito del peccato originale, posto come causa di ogni tipo di differenziazione, a cominciare dall'apparire del tempo segnato dalle evoluzioni dei corpi celesti. Nutrizione, rapporti sessuali e proprietà compaiono via via, progressivamente inquinando l'originaria

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purezza di esseri tutti eguali tra loro, fino a render necessaria l'espropriazione della libertà individuale con la 6 scelta di un detentore della regalità. Quasi a far da contraltare a questo culmine negativo, ecco sorgere la prassi ascetica, fondata su un'esigenza di recupero della primitiva condizione beata, superando ogni differenziazione in una sorta di ""regressione all'utero"" pre-sociale. L'alternarsi dei cicli cosmici provvede, ovviamente, una alternativa a questa fuga all'indietro individuale, garantendo la fine dei mali del mondo attuale, allorché esso avrà toccato l'estremo della sua parabola d'abbiezione e di sofferenza, con il ritorno automatico all'età dell'oro." "È quanto si discute nel quinto testo della nostra scelta, il Cakkavattisihanadasuttanta, che prende nome dal ""ruggito leonino dell'Imperatore"". La figura di questi è designata con l'epiteto di a Colui che fa girare la ruota"" (Cakravartin), ma anche il Buddha (che - potenzialmente - era destinato al ruolo di monarca universale, ove non avesse perseguito la via della conoscenza liberatrice) è ""Quegli che mette in moto la ruota"" del Dharma! In effetti, l'ideologia del dominio imperiale propria della dinastia dei Maurya, in cui il simbolismo della ruota è centralissimo, pervade ancora la prima parte di questa analisi del declino della società e della qualità della vita, in concomitanza con l'eclissarsi via via della funzione regale. Si direbbe quasi che il disagio conseguente al crollo dei Maurya e alla frammentazione del quadro politico indiano nei secoli immediatamente precedenti l'era cristiana pesi sulla visione espressa nella narrazione, qui diretta ad un'assemblea di discepoli. Invece di assistere ad un brusco rivolgimento, come avviene nella dottrina non buddhistica delle età cosmiche, il lettore si trova innanzi, una volta giunto al punto di assoluta negatività sociale, ad un lento ritorno ai valori già abbandonati e al conseguente miglioramento della qualità della vita, che ripercorre, con una sorta di moto pendolare, l'arco del declino dianzi tratteggiato. Ciò che l'asceta, con il suo deciso e coerente invertire la tendenza negativa, compie nello spazio d'una sola esistenza, la società attinge con una lenta e faticosa riforma dei costumi fino al ritorno all'assoluta positività delle origini. Alla figura messianica di Kalkin, il futuro avatara del dio Visnu, che con il suo bianco destriero e la sua spada invincibile riporterà, per l'ortodossia brahmanica, il secolo aureo, subentra qui la promessa del Buddha futuro, Maitreya (""Il compassionevole""), destinato a venire quando i tempi saranno maturi, piuttosto che a

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provocarne egli stesso, drammaticamente, la fine. Scomparso il ruolo divino di direzione della vicenda del mondo, il suo dipanarsi resta affidato alle leggi impersonali del divenire. Ad esse non sfuggono gli stessi dèi, a cominciare da Brahma, che la tradizione non buddhista vuole manifestatore delle cose tutte. Costui, che ha larga parte nei miti accentrati nella carriera del Buddha, viene spogliato della sua funzione cosmogonica e ricondotto nel novero degli esseri soggetti al ciclo delle rinascite." "Il sesto testo documenta, tra l'altro, gli esiti di questo processo. Brahma, venuto in esistenza per un processo spontaneo e legato soltanto al consumarsi del deposito di meriti accumulati in un precedente ciclo cosmico, ignora la propria origine ed identità, è convinto, in buona fede, d'essere il Signore e l'Origine degli esseri. La sua posizione ci rammenta irresistibilmente quella dello Yhwh veterotestamentario nella rilettura operata dagli gnostici: demiurgo all'oscuro delle più profonde realtà che, atemporalmente, lo precedono, costui dichiara con le parole di Isaia (XLV, 5): ""Io sono il Signore e non c'è alcun altro; fuori di me non c'è dio"", esattamente come qui, nel Patikasuttanta, Brahma proclama: ""Io sono Brahma, il Gran Brahma, l'onnipotente, il padrone, il fattore, il creatore, l'altissimo, l'ordinatore, il possente padre di ciò che fu e sarà!"" Si tratta di un passo abbastanza rilevante, da venir riprodotto in più versioni: la più nota è nel lunghissimo Brahmajalasutta (II, 3, 5)." "Invero il Buddhismo antico ha molti tratti in comune con le scuole della gnosi mediterranea: ciò vale specialmente per la valutazione sostanzialmente negativa dell'esistenza mondana in sé, dominata da forze ciecamente protese al suo perpetuarsi (ipostatizzate nel sinistro Mara), contrapposta ad una Realtà assolutamente altra, trascendente e ineffabile (che qui è, naturalmente, rappresentata dal concetto-limite del Nirvana). Non sappiamo se vi sia stata una effettiva connessione tra le due gnosi, ma molto porta a supporlo: così apprendiamo da un'iscrizione di Asoka ch'egli aveva spedito missionari a diversi sovrani ellenistici, mentre Clemente Alessandrino mostra di conoscere l'esistenza del Buddha e il nome di sua madre, Maya, 7 sembra figurare nelle aretalogie isiache. In ogni caso, la nozione dell'ignoranza del presunto manifestatore del mondo s'inserisce chiaramente nel disegno della vicenda spirituale indiana: vi si allude in forma enigmatica già nella chiusa del famoso Nasavyasukta del Rgveda (X, 129, 6-7): ""Chi davvero sa, chi qui

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potrebbe enunciare dond'è stata generata, dond'è questa manifestazione?... Se invero la stabilì o se invero no, Colui ch'è di questo mondo l'eccelso Supervisore, nel sublime spazio celeste, Costui soltanto lo sa, se pure non l'ignora!"", mentre nella Brhadaranyakopanisad (I, 4) troviamo uno sviluppo del tema come fondamento del timore, oscuro e ingiustificato, provato dal Sé (Atman) venuto in esistenza al principio dei tempi. Al contrario, nelle cosmogonie mediterranee degli antecedenti significativi alla dottrina in discorso non sono facilmente reperibili! Il Patikasuttanta ha anche altri motivi d'interesse: le rivalità fra gli antichi asceti, a colpi di prodigi e di straordinarie operazione di potenza, vi appare vividamente, e porta con sé un meraviglioso tutto indiano. Non manca neppure la favola con animali per protagonisti, un genere accolto largamente nei racconti delle vite anteriori del Buddha (Jataka), e diffusosi nei secoli in tutto l'antico Oriente, dove se ne constata l'impiego per ammaestramento e per diletto come nei racconti d'Esopo e Fedro che ci sono familiari." "Il settimo testo apre il discorso sugl'insegnamenti centrali del Buddhismo antico, orientati a guidare la prassi ascetica e a fornire ad essa le basi teoretiche indispensabili all'attingimento dei suoi frutti più elevati. Appunto da tali frutti prende nome il Samannaphalasutta, che introduce quale interlocutore del Buddha il possente e sinistro monarca dei Maghada, Ajatasatru ("" Colui il cui nemico scilicet capace di vincerlo - non è ancora nato""), designato col matronimico Vaidehiputra (""Figlio di [Cellana, principessa] dei Videha""). Ancorché la narrazione non vi faccia esplicitamente riferimento, gravano sullo sfondo del dialogo cupe vicende, che ne coinvolgono entrambi i protagonisti. Su consiglio del malvagio cugino di Gautama, Devadatta, Ajatasatru avrebbe organizzato una congiura contro l'anziano genitore e, una volta ottenutane l'abdicazione, l'avrebbe messo a morte - otto anni prima della estinzione del Nirvana di Gautama stesso. Quando si consideri che il defunto re, Bimbisara, era ritenuto assai favorevole al Buddha, e che, sempre per istigazione di Devadatta, Ajatasatru avrebbe consentito a un attentato contro il maestro (lasciando libero sulla sua strada il feroce elefante da battaglia Dhanapala), l'impeccabile cortesia con cui questi già si rivolge permetterà d'apprezzarne vieppiù il distacco dal mondo e l'equanimità. L'autocrate ci appare - secondo un modello ideale di regalità attenta alle speculazioni più sottili dei maitres-à-penser contemporanei

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testimoniato da numerosi testi dell'India antica, a cominciare dalle famose a Domande di re Menandro"" (Milindapanha) - curioso degl'insegnamenti eterodossi rispetto alla tradizione brahmanica e ne riassume concisamente i principali. Si tratta di un prezioso repertorio di notizie sulla predicazione di guide spirituali contemporanee a Gautama, che consente di cogliere lo sfondo su cui egli viene a situarsi, sebbene la presentazione delle dottrine rivali sia - qua e là - deformata quasi ai limiti della caricatura. Così, se è ancora possibile riconoscere i tratti del severo fatalismo di Gopala ""il Bardo"" (Maskarin), fondatore della ""setta"" degli Allvika, la complessa etica del Tainismo, fondata quanto quella buddhistica - e più di essa! - sulla nonviolenza (ahimsa), non emerge affatto dalle parole riportate del suo iniziatore, Vardhamana ""il Vincitore"" (Jina, epiteto dello stesso Gautama), a il Grande Eroe"" (Mahavira), ""il Facitore del guado"" dell'oceano delle rinascite (Tirthamkara). Designato con l'epiteto di a Libero da nodi"" (Nirgrantha) e col patronimico Nayaputra (""Figlio del [principe Siddhartha della schiatta dei] Naya""), questi è presentato da Ajatasatru che era suo parente! - discettante sulla figura dell'asceta in oscuri rapporti con le ""acque"" (vari), forse metafora del flusso di materia entro la coscienza - in concomitanza con la condotta egoisticamente motivata - (asrava), o allusione alla rappresentazione mentale dell'alluvione destinata a spazzar via le contaminazioni mentali (varunidharana), importante momento dello yoga jainistico. In contrasto con l'inconcludente caos delle esposizioni a suo tempo ascoltate da Ajatasatru, il Buddha gli spiega con persuasiva eloquenza l'ascesi e i suoi frutti. Dapprima egli lo conduce ad ammettere - in un linguaggio sorprendentemente ""democratico""! - la promozione di status goduta nella società indiana da ogni asceta, prescindendo dalla sua prassi e dalle dottrine ad essa soggiacenti, poi traccia, sullo sfondo quasi picaresco dei costumi poco 8 dignitosi o troppo liberi della massa degli yogin itineranti dei suoi tempi, un quadro delle regole di vita per i propri seguaci, in termini prevalentemente negativi. Segue la precettistica positiva, che vien dipanando, in termini standardizzati costantemente ripresi nel Canone pali, il percorso meditativo seguito dall'asceta buddhista, gradino per gradino. Gli stati di consapevolezza via via attinti sono descritti e illustrati con attraenti similitudini, ma Ajatasatru, pur favorevolmente impressionato dalla lunga serie d'istruzioni, si limita ad una professione di rifugio nel Buddha ed alla confessione del proprio parricidio, senza deporre le insegne

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regali per la veste ocra del rinunciatario. Gautama commenta che la macchia contratta col parricidio stesso gli ha precluso la comprensione ultima del Dharma così pazientemente insegnatogli." Ancora una volta si respira il meraviglioso nell'ottavo testo, il Kevaddhasutta, dove una classificazione delle varie capacità paranormali attingibili mediante l'ascesi è seguita dalla narrazione dei viaggi celesti di un praticante, che riprende un tema caro alla letteratura apocalittica in Occidente. La ricerca d'un substrato unitario dei quattro elementi che formano il mondo, mentre spinge alla sua ascesa in reami paradisiaci l'asceta, animato da un astratto spirito d'indagine intellettualistica, offre il destro al redattore della narrazione per porre in rilievo al solito la nescienza di Brahma. Essa sbocca in ultimo nella scoperta del fine, ben più esistenzialmente significativo, del Nirvana. Su questo sfondo s'inserisce nuovamente la presentazione standardizzata dell'iter ascetico del perfetto discepolo del Buddha. "La pratica meditativa, fondata sull'esercizio continuato dell'attenzione non coinvolta portata sui diversi momenti della vita psicofisiologica, è, anzitutto, resa attraente, nell'esposizione diretta ai ""laici"", attraverso l'elenco dei suoi sottoprodotti, appartenenti alla sfera del folklore yogico, mentre agli ""addetti ai lavori"" essa interessa come via di superamento delle false identificazioni dell'""io"" con l'uno o l'altro settore dell'esistenza esteriore Si tratta di utilizzare la consapevolezza (vyjana, lett. ""conoscenza comprensiva""), momento culminante del processo di percezione dell'universo oggettuale e ubi consistam del senso d'identità personale, come strumento di indebolimento e poi di negazione di questa stessa identità, identificata dal pensiero buddistico (ma non sappiamo se dallo stesso Gautama!) con l'Atman del lessico brahmanico, il Sé imperituro ed atemporale che funge, appunto, da testimone della vita dei sensi e della mente. ""Questo non sono io, questo non è il mio Atman"", ripete il meditante buddhista, prendendo in considerazione i vari strati della propria struttura corporea e dei propri flussi e riflussi sensoriali e psichici, sistemati in cinque skandha (""complessi"", ""aggregati"") via via più intimi. La conclusione è che non vi è da nessuna parte un Atman suscettibile d'essere scoperto. Fino a qui l'indagine buddhistica riproduce, mutatis mutandis, quella vedantica, fondata negli antichi insegnamenti delle Upanisad. Ma mentre quest'ultima sbocca nella presa di coscienza di un Atman ch'è il puro soggetto immanente nell'indagatore, irriducibile al mondo oggettuale su cui la ricerca s'era esercitata fino a quel momento, il procedere buddhistico s'arresta alla disidentificazione e proclama che

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l'Atman stesso è uno pseudo-concetto. Questa comprensione liberatrice è possibile soltanto quando gl'""ingorghi"" impuri della vita mentale (asrava) sono stati vinti dalla paziente fatica di riorientamento di essa, cui la prassi ascetica in primissimo luogo mira." "Il nono testo, fondamentale per la comprensione di tale prassi, è chiamato Mahasatipatthanasuttanta, dai quattro ""pilastri dell'attenzione/memoria"" (smrtyupasthana) su cui esso particolarmente indugia. Di notevole rilievo vi è la presentazione delle quattro Nobili Verità (Aryasatya) legate alla predicazione buddhistica fin dalle origini, che ripropongono la scoperta del disagio esistenziale (duhkha; il termine non designa soltanto il dolore e la sofferenza, ma più in generale ogni forma di esperienza negativa e traumatizzante) seguendo il formalismo dell'antica medicina indiana: a) individuazione della presenza del morbo in base alla constatata presenza dei sintomi di esso; b) ricerca dell'eziologia del morbo; c) accertamento dell'efficacia della rimozione delle cause del morbo, in quanto producente la scomparsa dei sintomi; d) prescrizione della cura vera e propria. Questa consiste nell'Ottuplice Sentiero (Astangamarga), probabilmente la più antica sistematizzazione dell'iter ascetico buddhistico, le cui tappe sono qui chiaramente 9 descritte. Il nesso tra disagio esistenziale e coinvolgimento involontario nel rapporto con l'oggetto, sentito come sete (trsna) nei confronti dell'oggetto medesimo, è il punto forte della struttura delle Nobili Verità, e la sua scoperta è tutt'uno con il ""risveglio"" che fa di Gautama il Buddha della sua epoca. Tale nesso viene esplicitato per tempo - in stretta associazione con una teoria del ciclo delle rinascite che si sforza di fare a meno della nozione di un Atman trasmigrante di corpo in corpo - attraverso l'analisi del processo del pratityasamutpada (""sorgere in concomitanza con il verificarsi di condizioni date""). Si tratta del momento teoretico sentito come di maggiore importanza nel Buddhismo antico, rivalutato poi anche dalle scuole del ""Grande Veicolo"", in ispecie da quella che fa capo al maestro Nagarjuna (II secolo d.C.), che fonda in esso la sua dottrina della vacuità (sunyata) di tutti i momenti del divenire, in quanto destituiti di autonomia ontologica." "Ad esso è dedicato il decimo testo, che prende il nome di Mahanidanasuttanta dalle tappe del processo in discorso, presentate come altrettante cause/condizioni (nidana) nei confronti delle tappe immediatamente

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successive. Vi si trova anche una critica articolata delle teorie relative all'Atman (reso con ""anima"" dal Frola) che mostra ancora una volta l'attenzione degli ambienti buddhistici alle componenti del pensiero indiano diverse dal loro indirizzo. Giova ricordarlo, il Buddhismo è anche una ""filosofia""! Segnaliamo altresì la corrispondenza stabilita tra i diversi stati di meditazione ed una serie di condizioni paradisiache sempre più elevate. Si tratta di una nota caratteristica della riflessione indiana sullo yoga fin dall'epoca preclassica, che ritroviamo tanto in testi tecnici come il commento agli Yogasutra ascritto a Vyasa, quanto nelle dominanti sillogi puraniche ed agamiche che ispirano la più matura visione induistica. Del resto, la tradizione assegna una visione siffatta già ai maestri di Gautama, che l'avrebbero guidato rispettivamente all'attingimento del settimo ed ottavo stato sopracosciente: Arada Kalama di Vaisall, nel territorio della repubblica aristocratica di Vrjji, e il meno caratterizzato Udraka Ramaputra di Rajagrha, l'antica capitale dei Magadha. Di fatto, la capacità di accedere via via a queste stazioni sempre più rarefatte di esercizio dell'attenzione, fino ai gradi di attenzione vuota in cui la pratica culmina, sono condizione necessaria, ma non sufficiente alla esperienza terminale del Nirvana. Allorché il Buddha stesso si spegne, tale esperienza è detta comportare dapprima l'ascesa fino alla condizione più elevata, quella in cui non v'è più presenza né assenza d'attenzione (naivasamjnanasamjnayatana), indi la ridiscesa graduale allo stato di consapevolezza empirico. Come un pendolo che abbia descritta in tal modo interamente la propria curva, acquistando movimento ed energia, la coscienza del movente riparte poi verso gli stati più elevati fino a raggiungere la quarta esperienza. Qui, a metà tra il mondo delle forme (rupadhatu) e quello dell'informe (arupyadhatu), quasi aprendosi uno spazio interstiziale per uscire definitivamente dal cosmo, il Buddha si estingue (Mahaparinibbanasuttanta, VI, 8-9). A parte il ricorso al motivo ""pendolare"", che già avevamo notato a proposito delle età cosmiche, questo passo (in cui concordano sostanzialmente le varianti della narrazione appartenenti ai diversi Canoni in lingua diversa dalla pali sopravvissuti fino a noi, mostrandone l'antichità!) rivela l'importanza tutta particolare della ""via di mezzo"" fra affermazione e negazione, tanto spesso reperibile nelle fonti buddhistiche. Val la pena di segnalare che, appunto in corrispondenza della divisione fra i due mondi accennati, i maestri del ""Grande Veicolo"" pongono il ""corpo fruitivo"" del Buddha

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(Sambhogakaya), sempre risplendente innanzi alla visione trascendente dei bodhisattva. L'estinzione dell'asceta Gautama viene così a configurarsi come una sorta di riassorbimento nella sua realtà archetipale..." L'undicesimo testo ci trasporta ancora una volta nei mondi divini, con maggior vividezza del consueto e una certa rivalutazione del ruolo di Brahma (o almeno di un Brahma!). La narrazione della entità celestiale dalla quale trae nome il Janavasabhasuttanta, ancorché destinata, ancora una volta, a servir da quadro ad un'esposizione di temi dottrinali, folgora di luci trascendenti e anticipa le vivaci visioni dei sutra mahayanici. "Terminata la visitazione di questi materiali, si spera che il lettore, ormai edotto dei contenuti e del tono degl'insegnamenti buddhistici, sia in grado di apprezzare e gustare la gemma dell'apoftegmatica in lingua 10 pali, che chiude la scelta propostagli: Il dodicesimo testo è, infatti il famoso Dhammapada (""Impronta del Dharma""), raccolta di 423 strofe, molte delle quali reperibili, con le circostanze in cui furono pronunciate, in altre porzioni del Canone. L'elevatezza dei precetti, la sobria dignità dell'espressione, l'uso sapiente delle similitudini, la vigorosa impostazione stilistica, là dove le ripetizioni veicolano l'appassionata convinzione del poeta-maestro, fanno di questa breve eppur grande opera un classico degno di figurare nella biblioteca spirituale dell'umanità." MARIO PIANTELLI NOTA BIBLIOGRAFICA Nella presente edizione, si sono conservate le annotazioni dei curatori, P. Filippani-Ronconi ed E. Frola, contenute nella più vasta edizione del Canone Buddhista (2 Voll., UTET, Torino 1967-68) cui il lettore è rimandato per approfondimenti e per una sommaria bibliografia ragionata. "Più vasta è la bibliografia che correda il bel saggio di 0. BOTTO, Buddha, Esperienze, Fossano 1974, PP. 209-221 (ristampato per i tipi di Mondadori nella collana ""Uomini e religioni"", 1984) e quella in appendice alla Storia del Buddhismo, di A. PEZZALI (EMI, Bologna 1983, PP.391-433). Vale la pena di ricordare, comparsi più di recente, Der buddhistische Kanon: eine Bibliographie, di G. GRONBOLD (Harassowitz, Wiesbaden, 1984), di speciale interesse per rendersi conto dell'imponente letteratura che fa da sfondo ai testi qui presentati, e En suivant Bouddha, di A. BAREAU (Lebaud, Paris 1985), con una vasta scelta dai Canoni delle diverse ""sette"" del Buddhismo antico, ordinata biograficamente e colma di preziose annotazioni.

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Degna di nota è anche la bibliografia sparsa nelle note del Buddhismo e Cristianesimo in dialogo, di M. ZAGO (Città nuova, Roma 1985), che contiene più di quanto non prometta il titolo. Recente è la traduzione italiana del saggio di H.W. SCHUMANN, Der Histortsche Buddha, Diederichs, Koln 1982 (trad. it., Il Buddha storico, Salerno, Roma 1986), con una bibliografia circostanziata, cosa come La spiritualità buddhista, ancora di M. ZAGO (Studium, Roma 1986), con piccola bibliografia alle pp. 7579 e scelta di testi in appendice. Da ultimo, si possono segnalare le traduzioni italiane dei classici The Central Philosophy of Buddhismo, di T.V.R. MURTI (Allen & Unwin, London 1955; it., La filosofia centrale del Buddhismo, Ubaldini, Roma 1983), Buddhism Thought in India, di E. CONZE (Allen 8, Unwin, London 1962; trad. it., il pensiero del Buddhismo indiano, Ed. Mediterranee, Roma 1988) e Buddhist Philosophy in Theory and Practice, di H. GUEETHER (Shambala, Berkeley 1971; trad. it., La filosofia buddhista nella teoria e nella pratica, Ubaldini, Roma 1975), che aiuteranno il lettore ad orientarsi nei labirinti delle diverse scuole di pensiero buddhistiche." M.P. Aforismi e discorsi del Buddha 11 MAHAPADANASUTTANTA (LA GRANDE LEGGENDA) PRIMA PARTE Così ho sentito: "1. Un tempo il Sublime dimorava a Savatthi nel Jetavana, il parco di Anathapindika, in una piccola capanna di Rosa Muschiata. Allora a molti monaci, tornati dal giro di elemosina, dopo il pasto, nel rotondo padiglione di Rosa Muschiata, insieme seduti, insieme riuniti, sorse una conversazione sui tempi passati: ""Così erano i tempi passati, così erano i tempi passati""." 2. Udì il Sublime col divino orecchio purificato, sorpassante la condizione umana, la conversazione di quei monaci. Allora il Sublime, sorto da sedere, si diresse al rotondo padiglione di Rosa Muschiata ed entratovi si sedé su di un apprestato sedile. Sedutosi il Sublime si rivolse ai monaci: Ajatasatru Per quale conversazione, o monaci, siete ora insieme seduti, quale era il mutuo discorso ora interrotto? . "Così essendo stato detto, un monaco disse al Sublime così: ""Ecco, o signore, a noi, tornati dal giro di elemosina, dopo il pasto, nel rotondo padiglione di Rosa Muschiah, insieme seduti, insieme riuniti, sorse una

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conversazione sui tempi passati: "" così erano i tempi passati, così erano i tempi passati"". Questa la mutua conversazione interrotta allorquando comparve il Sublime ""." "3. ""Non desiderereste voi, o monaci, udire un discorso sui tempi passati ? ""." Di ciò è tempo , o sublime, di ciò è tempo, o Benvenuto, ciò che il sublime vorrà dire sui tempi passati i monaci, udendo dal Sublime, lo ricorderanno. Pertanto udite , o monaco, o ponete ben mente: io parlerò Sì, o signore, assentirono i monaci al Sublime. Il Sublime così disse: "4. ""Fu nel 9l° evo, o monaci, che Vipassi il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sorse nel mondo; fu nel 31° evo, o monaci, che Sikhi il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sorse nel mondo; fu nel medesimo 31° evo che Vessabhu il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sorse nel mondo. Fu nel nostro felice evo, o monaci, che Kakusandha il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato sorse nel mondo. E fu nel nostro felice evo che Konagamana il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato sorse nel mondo. E fu nel nostro felice evo che Kassapa il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sorse nel mondo. E fu nel nostro felice evo, o monaci, che io attuale Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, son sorto nel mondo." 5. Vipassi, o monaci, il Sublime, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di nascita nobile, sorse nella classe dei nobili. Sikhi, o monaci, il Sublime, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di nascita nobile, sorse nella classe dei nobili. Vessabhu, o monaci, il Sublime, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di nascita nobile, sorse nella classe dei nobili. Kakusandha, o monaci, il Sublime, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di nascita brahmano, sorse nella classe dei brahmani. Konagamana, o monaci, il Sublime, 12 Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di nascita brahmano, sorse nella classe dei brahmani. Kassapa, o monaci, il Sublime, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di nascita brahmano, sorse nella classe dei brahmani. Io, o monaci, attuale Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sono di nascita nobile, sorsi nella classe dei nobili. 6. Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di famiglia Kondanna. Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di famiglia Kondanfia. Vessabhu, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di famiglia Kondanna. Kakusandha, o monaci, il

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Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di famiglia Kassapa. Konagamana, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di famiglia Kassapa. Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di famiglia Kassapa. Io, o monaci, attuale Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sono di famiglia Gotama. 7. Di Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, la durata della vita fu di 80.000 anni. Di Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, la durata della vita fu di 70.000 anni. Di Vessabhu, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, la durata della vita fu di 60.000 anni. Di Kakusandha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, la durata della vita fu di 40.000 anni. Di Konagamana, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, la durata della vita fu di 30.000 anni. Di Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, la durata della vita fu di 20.000 anni. A me, o monaci, attuale Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, è un breve insignificante tempo di vita, facilmente danneggiabile, colui che ora vive a lungo vive cent'anni o poco più. 8. Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, raggiunse l'illuminazione al tronco di una bignonia. Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, raggiunse l'illuminazione al tronco di un loto bianco. Vessabhu, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto. perfettamente Svegliato, raggiunse l'illuminazione al tronco di un albero di sala. Kakusandha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, raggiunse l'illuminazione al tronco di una acacia. Konagamana, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, raggiunse l'illuminazione al tronco di una ficus glomerulata. Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, raggiunse l'illuminazione al tronco di una ficus indica. Io, o monaci, attuale Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, raggiunsi l'illuminazione al tronco di una ficus religiosa. 9. A Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una coppia di discepoli di nome Kanda e Tissa, eccelsa nobile coppia. A Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una coppia di discepoli di nome Abhibhu e Sambhava, eccelsa nobile coppia. A Vessabha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una coppia di discepoli di nome Son e Uttara, eccelsa nobile coppia. A Kakusandha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una

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coppia di discepoli di nome Vidhura e Sarijiva, eccelsa nobile coppia. A Konagamana, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una coppia di discepoli di nome Bhiyyos e Uttara, eccelsa nobile coppia. A Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato fu una coppia di discepoli di nome Tissa e Bharadvaja, eccelsa nobile coppia. A me, o monaci, è ora una coppia di discepoli di nome Sariputta e Moggallana, eccelsa nobile coppia. 10. A Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, furono tre classi di discepoli. Una di queste classi fu di 6.800.000 monaci, una di queste classi fu di 100.000 monaci, una di queste classi fu di 80.000 monaci. A Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, le tre classi furono di discepoli tutti liberi dagli asava. A Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, furono tre classi di discepoli. Una di queste classi fu di 100.000 monaci, una di queste classi fu di 80.000 monaci, una di queste classi fu di 70.000 monaci. A Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, le tre classi furono di discepoli tutti liberi dagli asava. A Vessabhu, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, furono tre classi di discepoli. 13 Una di queste classi fu di 80.000 monaci, una di queste classi fu di 70.000 monaci, una di queste classi fu di 60.000 monaci. A Vessabha o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, le tre classi furono di discepoli tutti liberi dagli asava. A Kakusandha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una sola classe di discepoli, di 40.000 monaci. A Kakusandha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, questa classe fu di discepoli tutti liberi dagli asava. A Konagamana, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una sola classe di discepoli di 30.000 monaci. A Konagamana, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, questa classe fu di discepoli tutti liberi dagli asava. A Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una sola classe di discepoli di 20.000 monaci. A Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, questa classe fu di discepoli tutti liberi dagli asava. A me, o monaci, attualmente è una sola classe di discepoli di 1350 monaci. A me, o monaci, questa classe è di discepoli tutti liberi dagli asava.

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I l. A Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Asoka. A Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Khemankara. A Vessabhu o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Upasannaka A Kakusandha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Buddhija. A Konagamana, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Sotthija. Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Sabbamitta. A me, o monaci, è ora personale attendente, nobile personale attendente, il monaco Ananda. 12. A Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu padre il re di nome Bandhuma, la divina Bandhumati fu madre e genitrice. La città di nome Bandhumati fu capitale del re Bandhuma. A Sikhi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu padre il re di nome Aruna, la divina Pabhavati fu madre e genitrice. La città di nome Arunavati fu capitale del re Aruna. A Vessabhu, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu padre il re di nome Suppatita, la divina Yasavati fu madre e genitrice. La città di nome Anopama fu capitale del re Suppatita. A Kakusandha, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu padre il brahmano di nome Aggidatta, la brahmana Visakha fu madre e genitrice. In quel tempo, o monaci, era re Khema. La città Khemavati era la capitale del re Khema. A Konagamana, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu padre il brahmano Yannadatta, la brahmana Uttara fu madre e genitrice. In quel tempo, o monaci, era re Sobha. La città di nome Sobhavati era la capitale del re Sobha. A Kassapa, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu padre il brahmano Brahmadata, la brahmana Dhanavati fu madre e genitrice. In quel tempo, o monaci, fu re Kiki. La città di nome Baranasi (1) fu la capitale del re Kiki. "A me, o monaci, è padre il re Suddhodana, la divina Maya fu madre e genitrice. Capitale la città di Kapilavatthu""." Così parlò il Sublime. Così avendo parlato, il Benvenuto sorse da sedere e rientrò nella dimora.

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13. Allora, ai monaci, dopo la dipartita del Sublime, sorse questa conversazione: "È meraviglioso, o amici, è straordinario, o amici, la grande potenza, la grande maestà del Compiuto. Infatti certamente il Compiuto ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno superato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spenta l'agitazione; li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda 14 nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nei principali discepoli, li ricorda nelle classi di discepoli: così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni. Proprio così furono questi Sublimi"". E che, o amici? Al Compiuto non è forse presente una suprema forza, tale che essendo a lui ben presente questa suprema forza, il Compiuto ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno superato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spenta l'agitazione; li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nelle classi di discepoli, li ricorda nei principali discepoli: "" così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni. Proprio così furono questi Sublimi""""." Questa era la mutua conversazione dei monaci. 14. Allora il Sublime, fattasi sera, uscito dalla meditazione, si diresse al rotondo padiglione di Rosa Muschiata. Entrato sedé sull'apprestato sedile, sedutosi così il Sublime si rivolse ai monaci: Per quale conversazione, o monaci, siete assieme seduti, quale era la mutua conversazione ora interrotta?. Così essendo stato detto, i monaci dissero al Sublime così: " Ecco, o signore, a noi, dopo la dipartita del Sublime, sorse questa conversazione: è meravigliosa, o amici, è straordinaria, o amici, la grande potenza, la grande maestà del Compiuto. Infatti certamente il Compiuto ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno superato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spenta l'agitazione; li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nei principali discepoli, li ricorda nelle classi di discepoli: ' così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni. Proprio così furono questi Sublimi'. E che, o amici? Al Compiuto non è forse presente una suprema forza, tale che essendo a lui ben presente questa suprema forza,

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il Compiuto ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno superato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spenta l'agitazione; li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nelle classi di discepoli, li ricorda nei principali discepoli: ' così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni. Proprio così furono questi Sublimi '. Forse che gli dèi diedero al Sublime questa possibilità con cui il Compiuto ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno superato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spenta l'agitazione, li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nei principali discepoli, li ricorda nelle classi di discepoli: ' così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni Proprio così furono questi Sublimi'?"". Questa era la mutua conversazione interrotta allorquando comparve il Sublime""." "15. o Proprio, o monaci, così è dal Compiuto ben conosciuta una regola universale per la conoscenza della quale il Compiuto, ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno troncato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spinta l'agitazione; li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nei principali discepoli, li ricorda nelle classi di discepoli: "" così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni"". Proprio così furono questi Sublimi. Gli dèi (2) diedero questa possibilità al Sublime, colla quale il Sublime ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno troncato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spenta l'agitazione; li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nei principali discepoli, li ricorda nelle classi di discepoli: "" così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni. Proprio così furono questi Sublimi"". Non desidereste voi, o monaci, 15 udire un altro discorso sui tempi passati? ""." Di ciò è tempo, o Sublime, di ciò è tempo, o Benvenuto. Quell'ulteriore discorso sui tempi passati, che il

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Sublime ci farà, i monaci avendolo udito lo ricorderanno . Pertanto udite, o monaci, e ponete ben mente: io parlerò . Sì, o signore, assentirono i monaci al Sublime. Il Sublime così disse: "16. ""Fu proprio, o monaci, il 91° evo quello in cui Vipassi il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sorse nel mondo. Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di nascita nobile, sorse nella classe dei nobili. Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu di famiglia Kondanna. Di Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, la durata della vita fu di 80.000 anni. Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, raggiunse l'illuminazione, al tronco di una bignonia. A Virassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu una coppia di discepoli, di nome Khanda e Tissa, eccelsa nobile coppia. A Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, furono tre classi di discepoli. Una di queste classi fu di 6.800.000 monaci, una di queste classi fu di 100.000 monaci, una di queste classi fu di 80.000 monaci. A Virassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, le tre classi furono di discepoli tutti liberi dagli asava. A Virassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Asoka. A Vipassi, o monaci, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, fu padre il re di nome Bandhuma, la divina Bandhumati fu madre e genitrice, la città di nome Bandhumati fu capitale del re Bandhuma." "17. Ecco o monaci, il Bodhisatta (3) Vipassi, trapassando dal coro degli dèi Tubista (4) entrò consapevole, cosciente nel grembo della madre. E questa è una regola. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta, trapassando dalla classe degli dèi Tubista, entra nel grembo della madre, allora nel mondo, coi suoi dèi, colle sue schiere di Mara, colle sue schiere di Brahma, coi suoi asceti e brahmani, colle sue generazioni di dèi e di uomini, un immenso eccelso splendore si manifesta, sorpassante il divino splendore degli dèi. Ed anche nei mondi intermedi, infelici, disordinati, bui, oscuri, nei quali questo sole e questa luna, così potenti, così magnifici, non penetrano colla loro luce, anche là si manifesta un immenso, eccelso splendore sorpassante la divina magnificenza degli dèi. E gli esseri, colà sorti, per quello splendore mutuamente si riconoscono: "" Vi sono certo altri esseri qui sorti "". E questo universo di 10.000 mondi

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freme, trema, si muove. Un immenso, eccelso splendore si manifesta nel mondo sorpassante la divina magnificenza degli dèi. Questa è una regola. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta è entrato nel grembo della madre, allora quattro figli di dèi sopravvengono dalle quattro regioni per protezione: "" Non il Bodhisatta, non la madre del Bodhisatta, o uomo, o non uomo, o chicchessia offenda"". Questa è una regola." 18. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta è sceso nel grembo della madre, la madre rimane naturalmente (5) osservante le regole di comportamento: si astiene dall'uccidere, si astiene dal non dato, si astiene da [cattivo stato per] brama, si astiene da menzogna, si astiene da vino, liquore, bevande eccitanti. Questa è una regola. 19. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta è scese nel grembo della madre, nella madre del Bodhisatta non sorge più pensiero di desiderio vincolante nei riguardi di uomini e, senza pensiero pungente, la madre del Bodhisatta non è con mente passionale verso alcun uomo (6). Questa è una regola. 20. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta è sceso nel grembo della madre, la madre del Bodhisatta, pur nel possesso dei cinque tronchi del desiderio, pur dotata e provvista dei cinque tronchi del desiderio, li domina. Questa è una regola. "21. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta è sceso nel grembo della madre, alla madre del Bodhisatta non sorge alcuna tristezza. Beata è la madre del Bodhisatta, sana di corpo. La madre del Bodhisatta vede il Bodhisatta nella parte sinistra dell'utero, con ogni, anche pur minimo, organo. Come, o monaci, vi fosse un gioiello prezioso, puro, eccellente, a otto facce, ben tagliato, trasparente, chiaro, 16 provvisto di ogni qualità, ed in questo vi fosse infilato un filo azzurro, o giallo, o rosso, o bianco, e vi fosse un uomo di buona vista che avendolo preso in mano lo guardasse: ""questo è un gioiello prezioso, puro, eccellente, a otto facce, ben tagliato, chiaro, trasparente, provvisto di ogni qualità, in cui è infilato un filo azzurro, o giallo, o rosso, o bianco (7)"". Proprio così, o monaci, quando il Bodhisatta è sceso nel grembo della madre, alla madre del Bodhisatta non sorge alcuna tristezza. Beata è la madre del Bodhisatta, sana di corpo. La madre del Bodhisatta vede il Bodhisatta nella parte sinistra dell'utero con ogni pur minimo organo. Questa è una regola."

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22. E vi è, o monaci, questa regola: sette giorni dopo la nascita del Bodhisatta, la madre del Bodhisatta compie il suo tempo, e risorge nel coro degli dèi Tubista. Questa è una regola. "23. E vi è, o monaci, questa regola: mentre le altre donne partoriscono dopo aver portato nel loro ventre nove o dieci mesi, non così la madre del Bodhisatta partorisce il Bodhisatta; infatti la madre del Bodhisatta porta nel suo ventre il Bodhisatta dieci mesi. Questa è una regola (8)." "24. E vi è, o monaci, questa regola: mentre le altre donne partoriscono sedute o giacenti, non così la madre del Bodhisatta partorisce il Bodhisatta; in piedi la madre del Bodhisatta partorisce il Bodhisatta. Questa è una regola." 25. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta esce dal grembo della madre per primi lo accolgono gli dèi, posai gli uomini. E questa è una regola. "26. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta esce dal grembo della madre non tocca la terra e quattro figli di dèi si pongono, sorreggendolo, di fronte alla madre: "" Sii felice, o divina, un figlio molto potente ti è nato "". Questa è una regola." 27. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta esce dal grembo della madre, esce mondo, immacolato di siero, immacolato di muco, immacolato di sangue, immacolato di ogni impurità, deterso, puro. Come, o monaci, ponendo una gemma preziosa su una stoffa di Casi la gemma preziosa non macchia la stoffa di Casi, né la stoffa di Casi macchia la gemma preziosa, perché l'una e l'altra sono pure, proprio così, o monaci, allorquando il Bodhisatta esce dal grembo della madre esce mondo, immacolato di siero, immacolato di muco, immacolato di sangue, immacolato di ogni impurità, deterso, puro. Questa è una regola. 28. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta esce dal grembo della madre, due sorgenti d'acqua, sgorganti dal cielo, una di fredda, l'altra di calda acqua, sono lavacri al Bodhisatta ed alla madre. Questa è una regola. "29. E vi è, o monaci, questa regola: appena nato il Bodhisatta, rizzandosi su entrambi i piedi, girandosi verso settentrione, compie sette passi, riparato da un bianco ombrello, scruta tutti i punti cardinali e con voce di toro dice: "" Il primo io sono del mondo, il supremo io sono del mondo, l'eccelso io sono del mondo, questa è l'ultima nascita, non vi sarà più per me ripetersi di vita "". Questa è una regola." "30. E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisatta esce dal grembo della madre, allora nel mondo coi suoi dèi, colle sue schiere di Mara, colle sue schiere di Brahma, coi suoi asceti e brahmani, colle

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sue generazioni di dèi e di uomini, un immenso, eccelso splendore si manifesta sorpassante il divino splendore degli dèi. Ed anche nei mondi intermedi, infelici, disordinati, bui, oscuri, nei quali questo sole e questa luna, così potenti, così magnifici, non penetrano colla loro luce, anche là sì manifesta un immenso, eccelso splendore sorpassante la divina magnificenza degli dèi. E gli esseri, colà sorti, per quello splendore mutuamente si riconoscono: "" Vi sono certo altri esseri qui sorti "". E questo universo di 10.000 mondi freme, trema, si muove. Un immenso, eccelso splendore si manifesta nel mondo sorpassante la divina magnificenza degli dèi. Questa è una regola." "31. Essendo, o monaci, nato il fanciullo Vipassi, fu annunciato al re Bandhuma: ""Un fanciullo, o divino, ti è nato, guardalo, o divino"". Il re Bandhuma, o monaci, visto il fanciullo Vipassi, fatti chiamare i brahmani astrologi, disse: "" Guardino, o signori, i brahmani astrologi questo fanciullo "". E guardarono, o monaci, i brahmani astrologi il fanciullo Vipassi, indi dissero così al re Bandhuma: "" Felice tu sei, o divino, un molto potente figlio ti è nato. Un gran tesoro tu hai, o gran re, una buona fortuna tu hai, o gran re, se nella tua famiglia un tale figlio è nato. Questo fanciullo, o divino, è provvisto dei trentadue segni di grande uomo, ed a 17 colui che è provvisto dei trentadue segni di grande uomo due destini sono possibili: se rimane nella casa è un re giratore della ruota, giusto legittimo re, conquistatore delle quattro regioni, stabilizzatore della sicurezza del regno, possessore dei sette reali tesori. I sette reali tesori sono: il tesoro della ruota, il tesoro dell'elefante, il tesoro del cavallo, il tesoro del gioiello, il tesoro della donna, il tesoro del ministro di palazzo, il tesoro della guida. Questi sette. Inoltre egli avrà mille figli valorosi, di bell'aspetto, vincitori dei nemici. Egli la terra, sino al confine dell'oceano, senza mazza, senza spada conquistata, colla legge governerà. Se invece abbandona la casa per l'anacoretismo, diventa un Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato e per lui il mondo è libero da ogni velame." 32. E di quali, o divino, trentadue segni (9) questo fanciullo è provvisto, ed a chi è così provvisto, due destini sono possibili, se rimane nella casa è un re giratore della ruota, giusto legittimo re, conquistatore delle quattro regioni, stabilizzatore della sicurezza del regno, possessore dei sette reali tesori ? I sette reali tesori sono: il tesoro della ruota, il tesoro dell'elefante, il tesoro del cavallo, il tesoro del gioiello, il tesoro della

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donna, il tesoro del ministro di palazzo, il tesoro della guida. Questi sette. Inoltre egli avrà mille figli valorosi, di bell'aspetto, vincitori dei nemici. Egli la terra, sino al confine dell'oceano, senza mazza, senza spada conquistata, colla legge governerà. Se invece abbandona la casa per l'anacoretismo, diventa un Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato e per lui il mondo è libero da ogni velame. Questo giovane, o divino, ha piedi ben fatti, e che il fanciullo, o divino, abbia i piedi ben fatti ciò ad un grande uomo e proprio segno di grande uomo. A questo fanciullo, o divino, sono tracciate sotto le piante dei piedi delle ruote con mille raggi, col loro cerchio, col loro mozzo, complete in ogni particolare, e che al fanciullo, o divino, siano tracciate sotto le piante dei piedi delle ruote, con mille raggi, col loro cerchio, col loro mozzo, complete in ogni particolare ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha snello il calcagno e che il fanciullo, o divino, abbia snello il calcagno ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha lunghe dita e che il fanciullo, o divino, abbia lunghe dita ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha morbidi e snelli mani e piedi e che il fanciullo, o divino, abbia morbidi e snelli mani e piedi ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha netti e proporzionati mani e piedi e che il fanciullo, o divino, abbia netti e proporzionati mani e piedi ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha le caviglie centrate sui piedi e che il fanciullo, o divino, abbia le caviglie centrate sui piedi ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, è muscoloso come un'antilope e che il fanciullo, o divino, sia muscoloso come una antilope ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ritto, senza flettersi, tocca e ricopre con ambo le mani le ginocchia e che il fanciullo, o divino, ritto, senza flettersi, tocchi e ricopra con ambo le mani le ginocchia ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha il pene interamente coperto dalla sua guaina e che il fanciullo, o divino, abbia il pene interamente coperto dalla sua guaina ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha la pelle coloro dell'oro che il fanciullo, o divino, abbia la pelle coloro dell'oro ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha la pelle liscia, e per la levigatezza della pelle la polvere e la sozzura non gli

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attaccano e che il fanciullo, o divino, abbia la pelle liscia, per la levigatezza della pelle la polvere e la sozzura non gli si attacchino ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha peli solitari, ciascun pelo nasce da ciascun poro e che il fanciullo, o divini, abbia peli solitari, ciascun pelo nasca da ciascun poro ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha i peli ricci, un pelo ricci nasce da ogni poro e che il fanciullo, o divino, abbia i 18 peli ricci, un pelo riccio nasca da ogni poro ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha peli neri, di colora scuro, avvolti su sé stessi, rivolti verso destra e che il fanciullo, o divino, abbia peli neri, di colora scuro, avvolti su sé stessi, rivolti verso destra ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha nelle membra la schiettezza di Brahma e che il fanciullo, o divino, abbia nelle membra la schiettezza di Brahma ciò ad un grande uomo è proprio segni di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha sette bozze e che il fanciullo, o divino, abbia sette bozze ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha il corpo simile a quello di vecchio leone e che il fanciullo, o divino, abbia il corpo simile a quello di vecchio leone ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha ampie le spalle e che il fanciullo, o divino, abbia ampie le spalle ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha le proporzioni del fico bagnano: quale di lui l'altezza tale l'apertura delle braccia, quale di lui l'apertura delle braccia tale l'altezza e che il fanciullo, o divino, abbia le proporzioni del fico bagnano: quale di lui l'altezza tale l'apertura delle braccia, quale di lui l'apertura delle braccia tale l'altezza ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha rotonde le spalle e che il fanciullo, o divino, abbia rotonde le spalle ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha sensi assai acuti e che il fanciullo, o divino, abbia sensi assai acuti ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha la mascella leonina e che il fanciullo, o divino, abbia la mascella leonina ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha 40 denti e che il fanciullo, o divino, abbia 40 denti ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo.

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Questo fanciullo, o divino, ha i denti piani e che il fanciullo, o divino, abbia i denti piani ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha i denti intatti e che il fanciullo, o divino, abbia i denti intatti ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha i denti bianchi e che il fanciullo, o divino, abbia i denti bianchi ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha lunga la lingua e che il fanciullo, o divino, abbia lunga la lingua ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha la voce di Brahma e che il fanciullo, o divino, abbia la voce di Brahma ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha soave la voce quale di cucolo e che il fanciullo, o divino, abbia soave la voce quale di cucolo ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha nerissimi gli occhi e che il fanciullo, o divino, abbia nerissimi gli occhi ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha gli occhi bovini e che il fanciullo, o divino, abbia gli occhi bovini ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha tra le vellose sopraciglia un bianco ciuffo di morbidi peli, e che al fanciullo, o divino, sia tra le vellose sopraciglie un bianco ciuffo di morbidi peli ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. Questo fanciullo, o divino, ha il capo pari ad un turbante, e che al fanciullo, o divino, il capo sia pari ad un turbante ciò ad un grande uomo è proprio segno di grande uomo. "33. Proprio di questi trentadue segni di grande uomo è provvisto, o divino, questo fanciullo, ed a colui che è provvisto dei trentadue segni di grande uomo due destini sono possibili: se rimane nella casa è un re giratore della ruota, giusto, legittimo re, conquistatore delle quattro regioni, stabilizzatore della sicurezza del regno, 19 possessore dei sette reali tesori. I sette reali tesori sono: il tesoro della ruota, il tesoro dell'elefante, il tesoro del cavallo, il tesoro del gioiello, il tesoro della donna, il tesoro del ministro di palazzo, il tesoro della guida. Questi sette. Inoltre egli avrà mille figli valorosi, di bell'aspetto, vincitori dei nemici. Egli la terra, sino al confine dell'oceano, senza mazza, senza spada conquistata, colla legge governerà. Se invece abbandona la casa per l'anacoretismo, diventa un Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato e per lui il mondo è libero da ogni velame""."

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Allora, o monaci, il re Bandhuma, fatti rivestire i brahmani astrologi di nuove vesti li soddisfò di tutti i loro desideri. "34. Allora o monaci, il re Bandhuma al fanciullo Vipassi procurò una nutrice. Alcuni lo dissetavano, alcuni lo lavavano, altri lo portavano, altri ancora lo curavano nelle sue membra. Dalla nascita, o monaci, sul fanciullo Vipassi fu steso giorno e notte un candido ombrello. "" Non il freddo, né il caldo, né la polvere, né l'impurità, né la rugiada gli siano di noia'. Appena nato, o monaci, il fanciullo Vipassi fu caro e gradito a molte persone. Come, o monaci, il loto azzurro, od il loto rosso, od il loto bianco sono cari e graditi a molte persone, proprio così, o monaci, il fanciullo Vipassi fu caro e gradito a molte persone. Così egli era portato di grembo in grembo." 35. Appena nato, o monaci, il fanciullo Vipassi, era piacevolissimo, amabilissimo, dolcissimo, bellissimo. Come, o monaci, sul monte Himavant vi è l'uccello di nome Kararika il cui canto è piacevolissimo, amabilissimo, dolcissimo, bellissimo, proprio così, o monaci, il fanciullo Vipassi appena nato era piacevolissimo, amabilissimo, dolcissimo, bellissimo. Così egli era portato di grembo in grembo. 36. Appena nato, o monaci, al fanciullo Vipassi, in conseguenza delle sue [precedenti] azioni si rese manifesto l'occhio divino col quale vedeva giorno e notte per un intero yojana. "37. Appena nato, o monaci, il fanciullo Vipassi attento vedeva come vedono i trentatré dèi. "" Desto il fanciullo vede "", o monaci,"" Vipassi, Vipassi, Vipassi (10), così sorse questo nome al fanciullo. Allora, o monaci, il re Bandhuma quando sedeva in giudizio, preso sulle ginocchia il fanciullo Vipassi lo istruiva nel diritto. Dunque, o monaci, il fanciullo Vipassi, seduto sulle ginocchia del padre, osservando, riosservando, progredì con metodo nel diritto: "" osservando, riosservando il fanciullo progredisce con metodo nel diritto "". E dunque, o monaci, al fanciullo Vipassi, essendo stato molte volte detto "" Vipassi, Vipassi "", così sorse il nome." 38. Allora, o monaci, il re Bandhuma al fanciullo Vipassi fece costruire tre palazzi. Uno per la stagione delle piogge, uno per l'inverno, uno per l'estate, e lo soddisfò nei cinque tronchi del desiderio. Allora proprio, o monaci, il fanciullo Vipassi, nel palazzo per la stagione delle piogge, rimaneva i quattro mesi della pioggia, circondato da donne e da strumenti musicali, né mai scendeva a terra dal suo palazzo. SEZIONE DELLA NASCITA FINE SECONDA PARTE

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l. Dunque, o monaci, il giovane Vipassi, passati molti anni, molte centinaia di anni, molte migliaia di anni, si rivolse al maestro di scuderia: Appresta, caro maestro di scuderia, un ben domo equipaggio, andremo attraverso il parco per vederne il territorio . " Sì, o divino ed il maestro di scuderia, o monaci, obbedendo al giovane Vipassi, fatto apprestare un ben domo equipaggio, annunciò al giovane Vipassi: ""È pronto, o divino, il ben domo equipaggio, e pertanto è 20 tempo ""." Allora, o monaci, il giovane Vipassi, montato sul domo equipaggio, fu portato attraverso il territorio del parco. "2. Vide, o monaci, il giovane Vipassi, mentre era portato attraverso il parco, un uomo decrepito, chino come la trave di un tetto, appoggiato al bastone, tremulo, che andava malfermo per la tarda età; allora si rivolse al maestro di scuderia:" Com'è, caro maestro di scuderia, quest'uomo: i suoi capelli non sono come quelli degli altri, il suo corpo non è come quello degli altri?. Quest'uomo, o divino, è vecchio . E perché, caro maestro di scuderia, costui è vecchio. Egli, o divino, è vecchio perché ormai non gli resta più lunga vita . E che forse, caro maestro di scuderia, sono io stesso soggetto all'invecchiare, incontrerò io stesso la vecchiaia?. Tu, o divino, ed io, tutti noi siamo soggetti ad invecchiare, ad incontrare la vecchiaia. Pertanto, caro maestro di scuderia, sùbito riportami dal territorio del parco al palazzo reale. " Sì, o divino . Così, o monaci, il maestro di scuderia, ubbidendo al giovane Vipassi, lo ricondusse al palazzo reale. Allora, o monaci, il giovane Vipassi, rientrato al palazzo reale, addolorato, triste, meditò: ""Ecco è ora ben nota la nascita: certamente in conseguenza della nascita si sperimenta la vecchiaia""." 3. Allora, o monaci, il re Bandhuma, fatto chiamare il maestro di scuderia, così disse: Si è, caro maestro di scuderia, divertito il giovane nel territorio del parco, è stato felice, caro maestro di scuderia, il giovane nel territorio del parco?. Di certo, o divino, il giovane non si è divertito nel territorio del parco, di certo, o divino, il giovane non è stato felice nel territorio del parco. E che vide, caro maestro di scuderia, il giovane mentre era portato attraverso il territorio del parco? . "Vide, o divino, il giovane, mentre era portato-attraverso il territorio del parco, un uomo decrepito, curvo come la trave di un tetto, appoggiato al bastone, tremulo, che andava malfermo per la tarda età; allora così mi

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disse: ' com'è, caro maestro di scuderia, quest'uomo: i suoi capelli non sono come quelli degli altri, il suo corpo non è come quello degli altri ? '. ' Quest'uomo, o divino, è vecchio '. ' E perché, caro maestro di scuderia, costui è vecchio?'. 'Egli, o divino, è vecchio perché ormai non gli resta più lunga vita'. ' E che forse, caro maestro di scuderia, sono io stesso soggetto ad invecchiare, incontrerò io stesso la vecchiaia? '. ' Tu, o divino, ed io, tutti noi siamo soggetti ad invecchiare, ad incontrare la vecchiaia '. ' Pertanto, caro maestro di scuderia, sùbito riportami dal territorio del parco al palazzo reale '. ' Sì, o divino'. Così, o divino, ubbidendo al giovane Vipassi lo ricondussi al palazzo reale. Allora, o divino, il giovane Vipassi, rientrato al palazzo reale, addolorato, triste, meditò: ' ecco è ora ben nota la nascita: certamente in conseguenza della nascita si sperimenta la vecchiaia ' ." "4. Allora, o monaci, al re Bandhuma così fu: "" Che il giovane Vipassi per questo non abbandoni il regno, che per questo non esca dalla casa per l'anacoretismo, che non si avveri la parola dei brahmani astrologi ! ""." Allora, o monaci, il re Bandhuma procurò con molta abbondanza al giovane Vipassi soddisfazioni nei cinque tronchi del desiderio, affinché il giovane Vipassi avesse da assumere il regno, affinché il giovane Vipassi non uscisse di casa per l'anacoretismo, affinché non si avverasse la parola dei brahmani astrologi. Quindi, o monaci, il giovane Vipassi, nel possesso e nel godimento dei cinque tronchi del desiderio, si dilettò. 5. Dunque, o monaci, il giovane Vipassi, passati molti anni, molte centinaia di anni, molte migliaia di anni, si rivolse al maestro di scuderia: Appresta, caro maestro di scuderia, un ben domo equipaggio, andremo attraverso il parco per vederne il territorio . " Sì, o divino ed il maestro di scuderia, o monaci, obbedendo al giovane Vipassi, fatto apprestare un ben domo equipaggio, annunciò al giovane Vipassi: ""È pronto, o divino, il ben domo equipaggio, e pertanto è tempo""." 21 Allora, o monaci, il giovane Vipassi, montato sul domo equipaggio, fu portato attraverso il territorio del parco. "6. Vide, o monaci, il giovane Vipassi, mentre era portato attraverso il parco, un uomo afflitto, dolente, gravemente infermo, giacente sui suoi escrementi, in condizioni di dover esser mosso da altri, portato da altri; allora si rivolse al maestro di scuderia:"

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Come è, caro maestro di scuderia, quest'uomo: i suoi occhi non sono come quelli degli altri, il suo aspetto non è come quello degli altri ? . Quest'uomo, o divino, è ammalato . E perché, caro maestro di scuderia, costui è ammalato ? . Egli, o divino, per le sue afflizioni è divenuto ammalato . E che forse, caro maestro di scuderia, sono io stesso soggetto all'ammalarmi, incontrerò io stesso la malattia?. Tu, o divino, ed io, tutti noi siamo soggetti ad ammalarci, ad incontrare la malattia. Pertanto, caro maestro di scuderia, sùbito riportami dal territorio del parco al palazzo reale. " Sì, o divino . Così, o monaci, il maestro di scuderia, ubbidendo al giovane Vipassi, lo ricondusse al palazzo reale. Allora, o monaci, il giovane Vipassi, rientrato al palazzo reale, addolorato, triste, meditò: ""Ecco è ora ben nota la nascita: certamente in conseguenza della nascita si sperimenta la vecchiaia, si sperimenta la malattia ""." 7. Allora, o monaci, il re Bandhuma, fatto chiamare il maestro di scuderia, così disse: Si è, caro maestro di scuderia, divertito il giovane nel territorio del parco, è stato felice, caro maestro di scuderia, il giovane nel territorio del parco? . Di certo, o divino, il giovane non si è divertito nel territorio del parco, di certo, o divino, il giovane non è stato felice nel territorio del parco. E che vide, caro maestro di scuderia, il giovane mentre era portato attraverso il territorio del parco?. " Vide, o divino, il giovane, mentre era portato attraverso il parco, un uomo afflitto, dolente, gravemente infermo, giacente sui suoi escrementi, in condizioni di dover essere mosso da altri, portato da altri; allora così mi disse: ' Com'è, caro maestro di scuderia, quest'uomo: i suoi occhi non sono come quelli degli altri, il suo aspetto non è come quello degli altri ? '. ' Quest'uomo, o divino, è ammalato '. ' E perché, caro maestro di scuderia, costui è ammalato? '. ' Egli, o divino, per le sue afflizioni è divenuto ammalato '. ' E che forse, caro maestro di scuderia, sono io stesso soggetto ad ammalarmi, incontrerò io stesso la malattia? '. ' Tu, o divino, ed io, tutti noi siamo soggetti ad ammalarci, ad incontrare la malattia'. ' Pertanto, caro maestro di scuderia, sùbito riportami dal territorio del parco al palazzo reale '. ' Sì, o divino '." "Così, o divino, ubbidendo al giovane Vipassi lo ricondussi al palazzo reale. Allora, o divino, il giovane Vipassi, rientrato al palazzo reale, addolorato, triste, meditò: ' ecco è ora ben nota la nascita: certamente in conseguenza della nascita si sperimenta la vecchiaia, si sperimenta la malattia ' ""." "8. Allora, o monaci, al re Bandhuma così fu: "" Che il giovane Vipassi per questo non abbandoni il regno,

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che per questo non esca dalla casa per l'anacoretismo, che non si avveri la parola dei brahmani astrologi!""." Allora, o monaci, il re Bandhuma procurò con molta abbondanza al giovane Vipassi soddisfazioni nei cinque tronchi del desiderio, affinché il giovane Vipassi avesse da assumere il regno, affinché il giovane Vipassi non uscisse di casa per l'anacoretismo, affinché non si avverasse la parola dei brahmani astrologi. Quindi, o monaci, il giovane Vipassi, nel possesso e nel godimento dei cinque tronchi del desiderio, si dilettò. 9. Dunque, o monaci, il giovane Vipassi, passati molti anni, molte centinaia di anni, molte migliaia di anni, si rivolse al maestro di scuderia: Appresta, caro maestro di scuderia, un ben domo equipaggio, andremo attraverso il parco per vederne il territorio . "Si, o divino ed il maestro di scuderia, o monaci, obbedendo al giovane Vipassi, fatto apprestare un ben domo equipaggio, annunciò al giovane Vipassi: "" È pronto, o divino, il ben domo equipaggio, e pertanto è tempo""." 22 Allora, o monaci, il giovane Vipassi, montato sul domo equipaggio, fu portato attraverso il territorio del parco. "10. Vide o monaci, il giovane Vipassi, mentre era portato attraverso il parco, una moltitudine di uomini riuniti, dai molti aspetti, che portava un uomo di pelle oscura, flaccido; allora si rivolse al maestro di scuderia: ""Chi è, caro maestro di scuderia, colui che quella moltitudine di uomini riuniti, dai molti aspetti, porta, di pelle oscura, flaccido? ""." Costui, o divino, è uno che ha compiuto il suo tempo . Verso costui, che ha compiuto il suo tempo, caro maestro di scuderia, dirigi il cocchio . Sì, o divino . E, o monaci, il maestro di scuderia, obbedendo al giovane Vipassi, diresse il cocchio verso colui che aveva compiuto il suo tempo. Vide così, o monaci, il giovane Vipassi il morto che aveva compiuto il suo tempo. Allora disse al maestro di scuderia: E come, caro maestro di scuderia, costui ha compiuto il suo tempo? . Egli ha compiuto il suo tempo, né più lo vedranno la madre ed il padre, né gli altri parenti, né più egli vedrà la madre ed il padre, né gli altri parenti. " E che forse, caro maestro di scuderia, anche io sono soggetto alla morte, incontrerò la morte, e più me non vedranno il divino, la divina, né gli altri parenti; né io più vedrò il divino, la divina, né gli altri parenti? ." " Tu, o divino, ed io, tutti noi siamo soggetti alla morte, incontreremo la morte, te più non vedranno il divino, la divina, né gli altri parenti; tu più non vedrai il divino, la divina, né gli altri parenti."

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Pertanto, caro maestro di scuderia, sùbito riportami dal territorio del parco al palazzo reale. " Sì, o divino . Così, o monaci, il maestro di scuderia, obbedendo al giovane Vipassi, lo condusse al palazzo reale. Allora, o monaci, il giovane Vipassi, rientrato nel palazzo reale, addolorato, triste, meditò: "" Ecco ora ben nota è la nascita: certamente in conseguenza della nascita si sperimenta la vecchiaia, si sperimenta la malattia, si sperimenta la morte""." I l. Allora, o monaci, il re Bandhuma, fatto chiamare il maestro di scuderia, così disse: Si è, o caro maestro di scuderia, divertito il giovane nel territorio del parco, è stato felice, caro maestro di scuderia, il giovane nel territorio del parco? . Di certo, o divino, il giovane non si è divertito nel territorio del parco, di certo, o divino, il giovane non è stato felice nel territorio del parco. E che vide, caro maestro di scuderia, il giovane mentre era portato attraverso il territorio del parco? . " Vide, o divino, il giovane, mentre era portato attraverso il parco, una moltitudine di uomini, riuniti, dai molti aspetti, che portavano un uomo di pelle oscura, flaccido; allora mi disse: ' Chi è, caro maestro di scuderia, colui che quella moltitudine di uomini riuniti, dai molti aspetti, porta, di pelle oscura, flaccido? '. ' Costui, o divino, è uno che ha compiuto il suo tempo '. ' Verso costui, che ha compiuto il suo tempo, caro maestro di scuderia, dirigi il cocchio '. ' Sì, o divino' ed io, o divino, obbedendo al giovane Vipassi, diressi il cocchio verso colui che aveva compiuto il suo tempo. Vide così, o divino, il giovane il morto che aveva compiuto il suo tempo. Allora mi disse: ' E come, caro maestro di scuderia, costui ha compiuto il suo tempo? '. ' Egli ha compiuto il suo tempo, né più lo vedranno la madre ed il padre, né gli altri parenti, né più egli vedrà la madre ed il padre, né gli altri parenti '. ' E che forse, o caro maestro di scuderia, anche io sono soggetto alla morte, incontrerò la morte, e più me non vedranno il divino, la divina, né gli altri parenti, né io più vedrò il divino, la divina, né gli altri parenti ? '. ' Tu, o divino, ed io, tutti noi siamo soggetti alla morte, incontreremo la morte te più non vedranno il divino, la divina, né gli altri parenti; tu più non vedrai il divino, la divina, né gli altri parenti '. ' Pertanto, caro maestro di scuderia, sùbito riportami dal territorio del parco al palazzo reale '. ' Sì, o divino '." "Così, o divino, obbedendo al giovane Vipassi lo condussi al palazzo reale. Allora, o divino, il giovane Vipassi, rientrato nel palazzo reale, addolorato, triste, meditò: ' Ecco ora ben nota è la nascita: certamente in conseguenza della nascita, si sperimenta la vecchiaia, si sperimenta la malattia, si sperimenta la morte'""."

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"12. Allora, o monaci, al re Bandhuma così fu: "" Che il giovane Vipassi per questo non abbandoni il regno, che per questo non esca dalla casa per l'anacoretismo, che non si ; avveri la parola dei brahmani 23 astrologi!""." Allora, o monaci, il re Bandhuma procurò con molta abbondanza al giovane Vipassi soddisfazioni nei cinque tronchi del desiderio, affinché il giovane Vipassi avesse da assumere il regno, affinché il giovane Vipassi non uscisse di casa per l'anacoretismo, affinché non si verificasse la parola dei brahmani astrologi. Quindi, o monaci, il giovane Vipassi, nel possesso e nel godimento dei cinque tronchi del desiderio, si dilettò. 13. Dunque, o monaci, il giovane Vipassi, passati molti anni, molte centinaia di anni, molte migliaia di anni, si rivolse al maestro di scuderia: Appresta, caro maestro di scuderia, un ben domo equipaggio, andremo attraverso il parco per vederne il territorio . " Sì, o divino , ed il maestro di scuderia, o monaci, obbedendo al giovane Vipassi, fatto apprestare un ben domo equipaggio, annunciò al giovane Vipassi: "" È pronto, o divino, il ben domo equipaggio, e pertanto è tempo""." Allora, o monaci, il giovane Vipassi, montato sul domo equipaggio, fu portato attraverso il territorio del parco. "14. Vide, o monaci, il giovane Vipassi, mentre era portato attraverso il parco, un uomo raso il capo, errante, vestito di giallo; allora si rivolse al maestro di scuderia:" Com'è, caro maestro di scuderia, quest'uomo: la sua testa non è come quella degli altri, le sue vesti non sono come quelle degli altri?. Quest'uomo, o divino, è uno che ha abbandonato . E perché, caro maestro di scuderia, costui è uno che ha abbandonato ? . Egli, o divino, è uno che ha abbandonato, virtuoso per aver realizzata la dottrina, virtuoso per aver realizzata la calma, virtuoso per aver realizzati gli elementi salutari, virtuoso per aver realizzate azioni propiziatrici, virtuoso per mancanza di astio, virtuoso per la compassione verso gli esseri . Virtuoso è certo colui che ha abbandonato, caro maestro di scuderia, virtuoso per avere realizzata la dottrina, virtuoso per avere realizzata la calma, virtuoso per avere realizzati gli elementi salutari, virtuoso per avere realizzate azioni propiziatrici, virtuoso per mancanza di astio, virtuoso per la compassione verso gli esseri. Pertanto verso questo anacoreta, caro maestro di scuderia, dirigi il cocchio. Sì, o divino , così, o monaci, il maestro di scuderia, obbedendo al giovane Vipassi, diresse il cocchio verso

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l'anacoreta. Allora, o monaci, il giovane Vipassi disse all'anacoreta: Tu, o caro, chi sei, il tuo capo non è come quello degli altri, le tue vesti non sono come quelle degli altri? . Io, o divino, sono un anacoreta . E come, o caro, tu sei un anacoreta? . Io sono, o divino, un anacoreta, virtuoso per aver realizzata una dottrina, virtuoso per aver realizzata la calma, virtuoso per aver realizzati gli elementi salutari, virtuoso per aver realizzate azioni propiziatrici, virtuoso per mancanza di astio, virtuoso per la compassione verso gli esseri . 15. Allora, o monaci, il giovane Vipassi disse al maestro di scuderia: Pertanto, caro maestro di scuderia, ritorna con il cocchio al palazzo reale, io invece rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, abbandonerò la casa per l'anacoretismo. Sì, o divino . E così il maestro di scuderia, obbedendo al giovane Vipassi, ritornò col cocchio al palazzo reale. Invece il giovane Vipassi, proprio, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, abbandonò la casa per l'anacoretismo. "16. Allora, o monaci, nella capitale Bandhumati una grande moltitudine, 84.000 uomini, udì: "" certo il giovane Vipassi, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, ha lasciata la casa per l'anacoretismo"" ed a coloro che udivano così fu: ""o certo allora la dottrina e la regola non sono l'ultima cosa, l'abbandonare la casa non è l'ultima cosa, se il giovane Vipassi, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, ha lasciata la casa per l'anacoretismo. E se il giovane Vipassi, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, ha lasciato la casa per l'anacoretismo, perché non lo faremo anche noi ? ""." Allora, o monaci, quella grande moltitudine, 84.000 uomini, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, 24 seguirono il Bodhisatta Vipassi, che aveva lasciato la casa per l'anacoretismo. Allora circondato da quella schiera, il Bodhisatta Vipassi percorse elemosinando i villaggi, la campagna e la capitale del regno. "17. Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, mentre rimaneva appartato in solitudine, sorse nella mente questa considerazione: ""proprio così, in questo mondo io vivo in un ambiente troppo affollato, forse io dovrei vivere da solo, separato dalla schiera""." Allora, o monaci, il Bodhisatta Vipassi dopo qualche tempo visse solo, separato dalla schiera. E da una parte andarono gli 84.000 pellegrini, dall'altra il Bodhisatta Vipassi. "18. Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che si era ritirato in una casa, appartato in solitudine, sorse nella mente questo pensiero: "" Miseramente, certo, è costruito questo mondo: sorge, declina, muore, trapassa e

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risorge. Né invero si conosce uno scampo al dolore, alla vecchiaia ed alla morte. Ma non potrà essere trovato lo scampo al dolore, alla vecchiaia ed alla morte? "". Ed, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove risiede il perdurare della vecchiaia e della morte, dove il fondamento della vecchiaia e della morte?"". Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" nella nascita è il perdurare della vecchiaia e della morte, la nascita è il fondamento della vecchiaia e della morte""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il perdurare della nascita, quale è il fondamento della nascita ? ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" nell'esistenza è il perdurare della nascita, l'esistenza è il fondamento della nascita""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il perdurare dell'esistenza, quale è il fondamento dell'esistenza ? ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" nell'attaccamento è il perdurare dell'esistenza, attaccamento, è fondamento dell'esistenza""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il perdurare dell'attaccamento, quale è il fondamento dell'attaccamento? ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" nella sete è il perdurare dell'attaccamento, la sete è il fondamento dell'attaccamento""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il perdurare della sete, quale è il fondamento della sete ? ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" nella sensazione è il perdurare della sete, la sensazione è il fondamento della sete""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il perdurare della sensazione, quale è il fondamento della sensazione? ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante, certezza: "" nel contatto è il perdurare della sensazione, il contatto è il fondamento della sensazione""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: ""dove è il perdurare del contatto, quale è il fondamento del contatto ? ""."

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"Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò con centrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" nei sei organi del senso è il perdurare del contatto, i sei organi del senso sono il fondamento del contatto""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: ""dove è il perdurare dei sei organi del senso, quale è il fondamento dei sei organi del senso?""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" in nome e forma è il perdurare dei sei organi del senso, nome e forma sono il fondamento dei sei organi del senso ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così su: "" dove è il perdurare di nome e forma, quale è il fondamento di nome e forma?""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò con centrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante 25 certezza: "" in vinnana è il perdurare di nome e forma, vinnana è il fondamento di nome e forma""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il perdurare di vinnana quale è il fondamento di vinnana ? ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" in nome e forma è il perdurare di vinnana, nome e forma è il fondamento di vinnana''." "19. Allora al Bodhisatta Vipassi così fu: ""da nome e forma si ritorna a vinnana e avanti non si va. Proprio per questo si sorge, si declina, si muore, si trapassa, si risorge: nome e forma è fondamento a vinnana, vinnana è fondamento a nome e forma: nome e forma è fondamento ai sei organi del senso, i sei organi del senso sono fondamento a contatto, contatto è fondamento a sensazione, sensazione è fondamento a sete, sete è fondamento ad attaccamento, attaccamento è fondamento ad esistenza, esistenza è fondamento a nascita, nascita è fondamento a vecchiaia e morte, vecchiaia, morte, angoscia, lamento, dolore, sofferenza, agitazione si perpetuano, così è l'origine dell'intero complesso del dolore ""." Origine, origine, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, in questi non prima uditi elementi, sorse l'occhio, sorse la certezza, sorse la chiarezza, sorse il sapere, sorse la visione. "20. Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il non perdurare di vecchiaia e morte, con la fine di che è la fine di vecchiaia e morte? ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante

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certezza: "" per la nascita non vi è il non perdurare di vecchiaia e morte. Colla fine della nascita è la fine di vecchiaia e morte""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il non perdurare di nascita, con la fine di che è la fine di nascita?"". Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" per l'esistenza non vi è il non perdurare della nascita, colla fine dell'esistenza vi è la fine della nascita ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il non perdurare di esistenza, con la fine di che è la fine di esistenza?"". Allora o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza "" per attaccamento non vi è il non perdurare di esistenza, con la fine di attaccamento vi è la fine di esistenza ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu "" dove è il non perdurare di attaccamento, con la fine di che è la fine di attaccamento ? "". Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" per la sete non vi è il non perdurare di attaccamento, con la fine della sete vi è la fine dell'attaccamento ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: ""do è il non perdurare di sete, con la fine di che è la fine di sete?"". Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" per la sensazione non vi è il non perdurare di sete, con la fine di sensazione vi è la fine di sete""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: ""dove è il non perdurare di sensazione, con la fine di che è la fine di sensazione?""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: i' per il contatto non vi è il perdurare di sensazione, con la fine del contatto vi è la fine di sensazione ""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: ""dov'è il non perdurare di contatto, con la fine di che è la fin di contatto? "". Allora o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" per i sei organi del senso non vi è il non perdurare di contatto, con la fine dei sei organi del senso vi è la fine del contatto""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" dove è il non perdurare dei sei organi del senso, con la fine di che è la fine dei sei organi del senso?"". Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò

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concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" per nome e forma non vi è il non perdurare dei sei organi del senso, con la fine di nome e forma vi è la fine dei sei organi del senso""." 26 "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, così fu: "" dove è il non perdurare di nome e forma, con la fine di che è la fine di nome e forma?""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" per vinnana non vi è il non perdurare di nome e forma, con la fine di vinnana vi è la fine di nome e forma""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: ""dove è il non perdurare di vinnana, con la fine di che è la fine di vinnana?""." "Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi, che su ciò concentrava la sua attenzione, sorse chiara, realizzante certezza: "" per nome e forma non vi è il non perdurare di vinnana, colla fine di nome e forma vi è la fine di vinnana""." "21. Allora, o monaci, al Bodhisatta Vipassi così fu: "" raggiunta è da me una interiore via per l'illuminazione; per essa dalla fine di nome e forma è fine a vinnana, dalla fine di vinnana è fine a nome e forma, dalla fine di nome e forma è fine ai sei organi del senso, dalla fine dei sei organi del senso è fine al contatto, dalla fine del contatto è fine a sensazione, dalla fine della sensazione è fine a sete, dalla fine della sete è fine ad attaccamento, dalla fine dell'attaccamento è fine ad esistenza, dalla fine dell'esistenza è fine a nascita, dalla fine della nascita sono finiti vecchiaia, morte, angoscia, lamento, sofferenza, agitazione, e proprio così è la fine dell'intero complesso del dolore""." Fine, fine , o monaci, al Bodhisatta Vipassi in questi non prima uditi elementi, sorse l'occhio, sorse la certezza, sorse la chiarezza, sorse il sapere, sorse la visione. "22. Allora, o monaci, il Bodhisatta Vipassi dimorò sperimentando (12) il sorgere e lo sparire del quintuplo complesso dell'attaccamento "" questa è la forma, questo il sorgere della forma, questo lo sparire della forma; questa la sensazione, questo il sorgere della sensazione, questo lo sparire della sensazione, questa la coscienza, questo il sorgere della coscienza, questo lo sparire della coscienza; questi i sankhara, questo il sorgere dei sankhara, questo lo sparire dei sankhara; questo vinnana, questo il sorgere di vinnana, questo lo sparire di vinnana." E dimorando nell'osservazione del quintuplo complesso dell'attaccamento, dopo non molto con la liberazione da ogni asava emancipò la mente.

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SECONDA PARTE FINE TERZA PARTE "1. Allora, o monaci, a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, così fu: "" e se io ora esponessi la Dottrina? ""." "Allora, o monaci, a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, così fu: "" raggiunta fu da me una dottrina profonda, ardua a conoscersi, ardua a comprendersi, sottile, percepibile dai saggi. Attaccate al piacere invece sono le genti, intente al piacere, dilettantisi di piacere; ora dalle genti attaccate al piacere, intente al piacere, dilettantisi di piacere, ardua a realizzare è una posizione come quella del fondamento e dell'origine del risorgere, pure ardua a realizzare è la posizione per cui cessa ogni sankhara, la posizione di distacco da ogni attaccamento, di esaurimento della sete, di compimento, di fine, di estinzione. E se io esponessi queste dottrine, e non fossi compreso, ciò per me sarebbe una fatica, ciò per me sarebbe una noia""." 27 2. Allora, o monaci, a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, vennero naturalmente in mente questi versi mai prima sentiti: Con difficoltà certo esporrei ciò che raggiunsi. Gli immersi nella passione e nella ripulsione da questa dottrina non sono ben illuminabili. Ciò che va contro corrente (13), sottile, profondo, nascosto, Gli infocati dalla passione, gli avvolti dall'elemento della [tenebra, non vedono. "Così, o monaci, la mente di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, propendeva alla inazione, non all'esposizione della Dottrina. Allora, o monaci, ad un Maha Brahma fu nota questa riflessione della mente di Vi. passi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato: "" perirà certo il mondo, perirà certo il mondo se la mente; di Vipassi propende all'inazione, non all'esposizione della Dottrina ""." 3. Allora, o monaci, il Maha Brahma, come un uomo forte distende un braccio piegato, o piega un braccio disteso,: proprio così scomparendo dal mondo di Brahma, apparve innanzi a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Allora, o monaci, il Maha Brahma, toccando il mantello sulla spalla destra, umiliando a terra le ginocchia innanzi a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, giunte le mani così parlò a Vipassi il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato: Esponga, o signore, il Sublime la Dottrina, esponga i Benvenuto la Dottrina: vi sono degli esseri che sono di

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natura poco passionale, che, non applicati alla Dottrina, potranno perdersi: essi diverranno conoscitori della Dottrina . 4. Così essendo stato detto, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, disse al Maha Brahma così: " A me o Brahma così fu: ' e se io esponessi la Dottrina ' e allora, o Brahma, a me così fu: ' Raggiunta fu da me una dottrina profonda, ardua a conoscersi, ardua a comprendersi, sottile, percepibile dai saggi. Attaccate al piacere invece sono le genti, intente al piacere, dilettantisi di piacere; ora dalle genti attaccate al piacere, intente al piacere, dilettantisi al piacere, ardua a realizzare è una posizione come quella del fondamento e dell'origine del risorgere, pure ardua a realizzare è la posizione per cui cessa ogni sankhara, la posizione di distacco da ogni attaccamento, di esaurimento della sete, di compimento, di fine, di estinzione. E se io esponessi queste dottrine, e non fossi compreso, ciò per me sarebbe una fatica, ciò per me sarebbe una noia'. Allora, o Brahma, mi vennero naturalmente in mente questi versi mai prima sentiti:" Con difficoltà certo esporrei ciò che raggiunsi. Gli immersi nella passione e nella ripulsione da questa dottrina non sono ben illuminabili. Ciò che va contro corrente, sottile, profondo, nascosto, Gli infocati dalla passione, gli avvolti dall'elemento della tenebra, non vedono. "Così, o Brahma, la mia mente propende all'inazione, non all'esposizione della Dottrina""." 5. Per la seconda volta, o monaci, il Maha Brahma così disse a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato: "Esponga, o signore, il Sublime la Dottrina, esponga il Benvenuto la Dottrina; vi sono degli esseri che sono di natura poco passionale, che, non applicati alla Dottrina, potranno perdersi: essi diverranno conoscitori della Dottrina ." 6. Per la terza volta, o monaci, il Maha Brahma così disse a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato: "Esponga, o signore, il Sublime la Dottrina, esponga il Benvenuto la Dottrina; vi sono degli esseri che sono di natura poco passionale, che, non applicati alla Dottrina, potranno perdersi: essi diverranno conoscitori della Dottrina ." 28 "Allora, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sentita la richiesta del Brahma, mosso da compassione per gli esseri, osservò con l'occhio rischiarato il mondo. E vide, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, osservando il mondo con occhio rischiarato,

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esseri poco passionali, esseri molto passionali, di facoltà acute, di facoltà ottuse, con buoni attributi, con cattivi attributi, di buona coscienza, di cattiva coscienza, e di alcuni si accorse che erano timorosi di essere privati dell'altro mondo. Come in un lago con loti azzurri, o rossi, o bianchi, alcuni loti azzurri, o rossi, o bianchi, nati nell'acqua, sviluppati nell'acqua, sono immersi nell'acqua e dentro immersi si nutrono; altri loti azzurri, o rossi, o bianchi, nati nell'acqua, sviluppati nell'acqua stanno a fior d'acqua; ed altri loti azzurri, o rossi, o bianchi, nati nell'acqua, sviluppati nell'acqua emergono dall'acqua, non bagnati dall'acqua, proprio così, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, osservando il mondo con l'occhio rischiarato, vide esseri poco passionali, esseri molto passionali, di facoltà acute, di facoltà ottuse, con buoni attributi, con cattivi attributi, di buona coscienza, di cattiva coscienza e di alcuni si accorse che erano timorosi di essere privati dell'altro mondo." 7. Allora, o monaci, il Maha Brahma, osservati questi pensieri nella mente di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, si rivolse a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, coi versi: Come chi dall'asceso picco, dalla cima del monte le genti intorno guarda, così, o saggio, dall'ascesa vetta della Dottrina, occhio onniveggente, tu che non ardi, le infocate genti, soggette al nascere e all'invecchiare, osserva, e nel mondo, eroe vittorioso, opera, e, guida immacolata, conduci. Esponga il Sublime la Dottrina, vi sarà chi ben la impara. Allora, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, rispose al Maha Brahma con i versi: Aperta è a costoro la porta del non più morire. La varchino coloro che vogliono rettamente sapere. Conscio della repulsione delle umane genti prima non volli enunciare la verace, profonda Dottrina, o Brahma. "Allora, o monaci, il Maha Brahma disse: "" mi diede la promessa Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, di esporre la Dottrina "". E salutato Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, girato sulla destra di là disparve." "8. Allora, o monaci, a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, così fu: ""a chi io dunque per primo esporrò la Dottrina, chi facilmente imparerà la Dottrina ? ""." "Allora, monaci, a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, così fu: "" Khanda, figlio di re, Tissa, figlio del brahmano di corte, abitano a Bandhumati; la capitale, colti, pieni d'esperienza,

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intelligenti, maturi, di natura poco passionale. E se io esponessi la Dottrina per primi a Khanda figlio di re e a Tissa figlio del brahmano di corte, questi rapidamente imparerebbero la Dottrina""." Allora, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, come un uomo forte distende un braccio piegato o piega un braccio disteso, proprio così, sparendo dal tronco dell'albero dell'illuminazione, apparve presso la capitale Bandhumati, in Khema, nel parco delle Antilopi. 9. Allora, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, si rivolse al guardiano del parco: Ehi tu caro guardiano del parco, va nella capitale Bandhumati e a Khanda, figlio di re, a Tissa, figlio del brahmano di corte, così parla: Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o signori, venuto nella capitale Bandhumati, dimora in Khema, nel parco delle Antilopi. Egli desidera vedervi. Sì, o signore e, o monaci, il guardiano del parco, obbedendo a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, 29 perfettamente Svegliato, si recò nella capitale Bandhumati, ed a Khanda, figlio di re, a Tissa, figlio del brahmano di corte, così disse: Vipassi, o signori, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, venuto nella capitale Bandhumati, dimora in Khema, nel parco delle Antilopi. Egli desidera vedervi . 10. Allora, o monaci, Khanda, figlio di re, e Tissa, figlio del brahmano di corte, fatto apprestare un ben domo equipaggio, saliti sul ben domo equipaggio, si mossero dalla capitale Bandhumati e andarono per il parco delle Antilopi, col ben domo equipaggio, sin dove il terreno era carrozzabile, indi, scesi dal cocchio, proseguendo a piedi, si diressero là dove era Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, salutatolo si sedettero accanto. "11. Ad essi Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, tenne un regolare discorso, cioè un discorso sull'elemosina, un discorso sulla condotta, un discorso sulla trascendenza e lo svantaggio, la vanità, il decadere, la rinunzia dei desideri profittevolmente loro illustrò. Ed il Sublime fece loro nota la mente chiara, la mente duttile, la mente impregiudicante, la mente beata, la mente serena, ed illustrò in breve la Dottrina insegnata dai Buddha: il dolore, l'origine, la fine, la via. E come una chiara veste, rimossa l'oscurità, il suo giusto colore riceve, proprio così a Khanda, figlio di re, a Tissa, figlio del brahmano di corte, mentre là erano seduti, sorse limpido e chiaro l'occhio della Dottrina: ""questa è proprio la Dottrina dell'origine, questa è la Dottrina della totale estinzione ""." 12. Ed essi, osservata nell'insegnamento del maestro la Dottrina, accettata la Dottrina, imparata la Dottrina,

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penetrati nella Dottrina, superata l'incertezza, superato il dubbio, raggiunta l'autosufficienza, liberi da ogni dipendenza, così dissero a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato: "È meraviglioso, o signore, è meraviglioso, o signore! Come, o signore, si raddrizzasse ciò che era rovesciato, si scoprisse ciò che era coperto, ad uno smarrito di mostrasse la strada, si portasse una lampada nell'oscurità: chi ha gli occhi vedrà le forme; così con più di un argomento fu dal Sublime esposta la Dottrina, e noi, o signore, prendiamo rifugio nel Sublime e nella Dottrina. Forse potremo ottenere presso il Sublime l'ordinazione, potremo ottenere l'ammissione ." I3. E, o monaci, Khanda, figlio di re, e Tissa, figlio del brahmano di corte, ottennero presso Vipassi il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, l'ordinazione, ottennero l'ammissione. E Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, con discorsi sulla Dottrina li istruì, incitò, rallegrò, rasserenò e lo svantaggio, la vanità, il decadere, la rinunzia dei desideri profittevolmente loro illustrò. Ed a costoro, da Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, con discorsi sulla Dottrina, istruiti, incitati, rallegrati e rasserenati, dopo non molto fu libera la mente. "14. Allora, o monaci, nella capitale Bandhumati una grande folla di circa 84.000 uomini udì: ""Vipassi, certo, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, è apparso nella capitale Bandhumati e dimora in Khema, nel parco delle Antilopi. Khanda, figlio di re, e Tissa, figlio del brahmano di corte, al séguito di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, rasi capelli e barba indossato il giallo mantello, hanno lasciata la casa per l'anacoretismo"". A coloro che udivano così fu: "" questa non è una inferiore dottrina e regola, non è un'inferiore ordinazione, se Khanda, figlio di re, e Tissa, figlio del brahmano di corte, rasi capelli e barba, indossato il giallo mantello, hanno lasciata la casa per l'anacoretismo. E se Khanda, figlio di re, e Tissa, figlio del brahmano di corte, al séguito di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, rasi capelli e barba, indossato il giallo mantello, hanno lasciata la casa per l'anacoretismo, perché non sarà anche per noi così ? ""." Allora, o monaci, una grande folla di circa 84.000 uomini uscita dalla capitale Bandhumati si diresse a Khema, al parco delle Antilopi, la dove era Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, ed avvicinatasi a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, si sedette accanto. "15. A costoro Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, tenne un regolare discorso, cioè

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un discorso sull'elemosina, un discorso sulla condotta, un discorso sulla trascendenza, e lo svantaggio, la vanità, il decadere, la rinunzia dei desideri profittevolmente illustrò. Ed il Sublime fece loro nota la mente 30 chiara, la mente duttile, la mente impregiudicante, la mente beata, la mente serena, ed illustrò in breve la Dottrina segnata dai Buddha; il dolore, l'origine, la fine, la via. E come una chiara veste, rimossa l'oscurità, il suo giusto colore riceve, proprio così a questi 84.000 uomini, mentre là s'erano seduti, sorse limpido e chiaro l'occhio della Dottrina : "" questa è proprio la Dottrina dell'origine, questa; è la Dottrina della totale estinzione""." "l6. E costoro, osservata nell'insegnamento del maestro la Dottrina, accettata la Dottrina, imparata la Dottrina, penetrati nella Dottrina, superata l'incertezza, superato il dubbio, raggiunta l'autosufficenza, liberi da ogni dipendenza, così a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato dissero: ""È meraviglioso, o signore, è meraviglioso, o signore! Come, o signore, si raddrizzasse ciò che era rovesciato, si scoprisse ciò che era coperto, ad uno smarrito si mostrasse la strada, si portasse una lampada nell'oscurità: chi ha gli occhi vedrà le forme; così con più di un argomento fu dal Sublime esposta la Dottrina, e noi, o signore, prendiamo rifugio nel Sublime e nella Dottrina. Forse potremo ottenere presso il Sublime l'ordinazione, potremo ottenere l'ammissione ""." "17. E, o monaci, gli 84.000 uomini ottenne."" presso Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, l'ordinazione, ottennero l'ammissione. E Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, con discorsi sulla Dottrina, li istruì, incitò, rallegrò, rasserenò e lo svantaggio, la vanità, il decadere, la rinunzia dei desideri profittevolmente loro illustrò. Ed a costoro, da Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, con discorsi sulla Dottrina, istruiti, mutati, rallegrati, rasserenati, dopo non molto fu loro libera la mente." "18. Udirono i primi 84.000 pellegrini 14: "" certo Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, apparso nella capitale Bandhumati, dimora in Khema nel parco delle Antilopi ed espone la Dottrina "". Allora, o monaci, gli 84.000 pellegrini si diressero alla capitale Bandhumati, in Khema, nel parco delle Antilopi, là dove era Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, si sedettero accanto."

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"19. Ad essi Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, tenne un regolare discorso, cioè un discorso sulla elemosina, un discorso sulla condotta, un discorso sulla trascendenza e lo svantaggio, la vanità, il decadere, la rinunzia dei desideri profittevolmente illustrò. Ed il Sublime fece loro nota la mente chiara, la mente duttile, la mente impregiudicante, la mente beata, la mente serena, ed illustrò in breve la Dottrina insegnata dai Buddha: il dolore, l'origine, la fine, la via. E come una chiara veste, rimossa l'oscurità, il suo giusto colore riceve, proprio così agli 84.000 pellegrini, mentre là erano seduti, sorse limpido e chiaro l'occhio della Dottrina: "" questa è proprio la Dottrina dell'origine, questa è la Dottrina della totale estinzione ""." "20. Ed essi, osservata nell'insegnamento del maestro la Dottrina, accettata la Dottrina, impara la Dottrina, penetrati nella Dottrina, superata l'incertezza, superato il dubbio, raggiunta l'autosufficenza, liberi da ogni dipendenza, così a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, dissero: ""È meraviglioso, o signore, è meraviglioso, o signore! Come, o signore, si raddrizzasse ciò che era rovesciato, si scoprisse ciò che era coperto, ad uno smarrito si mostrasse la strada, si portasse una lampada nell'oscurità: chi ha gli occhi vedrà le forme; così con più di un argomento fu dal Sublime esposta la Dottrina, e noi, o signore, prendiamo rifugio nel Sublime e nella Dottrina. Forse potremo ottenere presso il Sublime l'ordinazione, potremo ottenere l'ammissione ""." 21. E, o monaci, questi 84.000 pellegrini, ottennero presso Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, l'ordinazione, ottennero l'ammissione. E Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, con discorsi sulla Dottrina istruì, incitò, rallegrò, rasserenò e lo svantaggio, la vanità, il decadere, la rinunzia dei desideri profittevolmente loro illustrò. Ed a costoro, da Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, con discorsi sulla dottrina, istruiti, mutati, rallegrati, rasserenati, dopo non molto fu loro libera la mente. "22. Dunque così in quel tempo, o monaci, nella capitale Bandhumati venne a trovarsi una grande schiera di monaci, 6.800.000 monaci. Allora, o monaci, a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, 31 ritirato in solitudine, sorse questo pensiero: ""ora nella capitale Bandhumati si trova una grande schiera di monaci, 6.800.000 monaci, e se io prescrivessi ai monaci: ' aggiratevi, o monaci, a propiziare il vantaggio di

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molti, la gioia di molti, per la compassione del mondo, per il vantaggio, la gioia degli dèi e degli uomini. Non da soli, ma in due andate, esponete la Dottrina, letificante nel principio, letificante nel mezzo, letificante nella fine, nella lettera e nello spirito, la completa totalmente perfetta condizione di purezza. Vi sono degli esseri, di natura poco passionale, che, privi della Dottrina, perirebbero, essi saranno dei buoni discepoli della Dottrina. Così dopo sei anni ritornate nella capitale Bandhumati per esporre il patimokkha (15)'""." 23. Allora, o monaci, ad un Maha Brahma fu nota questa riflessione della mente di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. E come un uomo forte distende un braccio piegato, o piega un braccio disteso, proprio così, scomparendo dal mondo di Brahma, apparve innanzi a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Allora, o monaci, il Maha Brahma, denudando dal mantello la spalla destra, umiliando a terra le ginocchia, giunte le mani, così parlò a Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato: Proprio così, o Sublime, proprio così, o Benvenuto. Una grande, o signore, schiera di monaci si trova nella capitale Bandhumati, 6.800.000 monaci. Annunci, o signore, il Sublime ai monaci: ' aggiratevi, o monaci, a propiziare il vantaggio di molti, la gioia di molti, per la compassione del mondo, per il vantaggio, la gioia degli dèi e degli uomini. Non da soli, ma in due andate, esponete la Dottrina, letificante nel principio, letificante nel mezzo, letificante nella fine, nella lettera e nello spirito, la completa totalmente perfetta condizione di purezza. Vi sono degli esseri, di natura poco passionale, che, privi della Dottrina, perirebbero, essi saranno dei buoni discepoli della Dottrina. Così dopo ogni sei anni ritornate nella capitale Bandhumati per esporre il patimokkha. Così disse il Maha Buddha. E così avendo detto, salutato Vipassi il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, girando sulla destra di là sparì. 24. Allora, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sul far della sera, uscito dal ritiro, si muove ai monaci: Proprio a me, ritirato in solitudine, sorse questo pensiero: 'ora nella capitale Bandhumati si trova una grande schiera di monaci, 6.800.000 monaci, e se io prescrivessi ai monaci: aggiratevi o monaci, a propiziare il vantaggio di molti, la gioia di molti, per la compassione del mondo, per il vantaggio, la gioia degli dèi e degli uomini. Non da soli, ma in due andate, esponete la Dottrina, letificante nel principio, letificante nel mezzo,

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letificante nella fine, nella lettera e nello spirito, la completa totalmente perfetta condizione di purezza. Vi sono degli esseri, di natura poco passionale, che, privi della Dottrina, perirebbero, essi saranno dei buoni discepoli della Dottrina. Così dopo sei anni ritornate nella capitale Bandhumati per esporre il patimokkha. 25. Allora, o monaci, ad un Maha Brahma fu nota questa riflessione della mia mente. E come un uomo forte distende un braccio piegato, o piega un braccio disteso, proprio così, scomparendo dal mondo di Brahma, mi apparve innanzi. Allora, o monaci, il Maha Brahma, denudando dal mantello la spalla destra, umiliando a terra le ginocchia innanzi a me, giunte le mani così mi parlò: ' Proprio così, o Sublime, proprio così, o Benvenuto. Una grande, o signore, schiera di monaci si trova nella capitale Bandhumati, 6.800.000 monaci. Annunci, o signore, il Sublime ai monaci: aggiratevi o monaci, a propiziare il vantaggio di molti, la gioia di molti per la compassione del mondo, per il vantaggio, la gioia degli dèi e degli uomini. Non da soli, ma in due andate, esponete` la Dottrina, letificante nel principio, letificante nel mezzo, letificante nella fine, nella lettera e nello spirito, la completa totalmente perfetta condizione di purezza. Vi sono degli esseri, di natura poco passionale, che, privi della Dottrina, perirebbero, essi saranno dei buoni discepoli della Dottrina. Così dopo sei anni ritornate nella capitale Bandhumati per esporre il patimokkha'. Così disse il Maha Brahma. E così avendo detto, salutatomi, girando sulla destra di là sparì. 26. Ed io annuncio, o monaci: ' aggiratevi, o monaci, a propiziare il vantaggio di molti, la gioia di molti, per la compassione del mondo, per il vantaggio, la gioia degli dèi e degli uomini. Non da soli, ma in due andate, esponete la Dottrina letificante nel principio, letificante nel mezzo, letificante nel fine, nella lettera e nello spirito, la completa totalmente perfetta condizione di purezza. Vi sono degli esseri, ,li natura poco 32 passionale, che, privi della Dottrina, perirebbero, essi saranno dei buoni discepoli della Dottrina. Così dopo sei anni ritornate nella capitale Bandhumati per esporre " il patimokkha'""." Così, o monaci, i monaci proprio da quel giorno andarono in giro per il paese. "27. In quel tempo, o monaci, vi erano 84.000 dimore (per i monaci) nel Jambudipa (16). E come finì la prima stagione delle piogge gli dèi fecero udire una voce: finita, o venerabili, la prima stagione delle piogge. Ora rimangono cinque stagioni delle piogge, dopo la quinta stagione delle piogge dovrete dirigervi alla capitale Bandhumati per esporre il patimokkha""."

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"Ed essendo finita la seconda stagione delle piogge, gli dèi fecero udire una voce: ""È finita, o venerabili, la seconda stagione delle piogge. Ora rimangono quattro stagioni delle piogge, dopo la quarta stagione delle piogge dovrete dirigervi alla capitale Bandhumati per esporre il patimokkha""." " Ed essendo finita la terza stagione delle piogge, gli dèi fecero udire una voce: ""È finita, o venerabili, la terza stagione delle piogge. Ora rimangono tre stagioni delle piogge, dopo la terza stagione delle piogge dovrete dirigervi alla capitale Bandhumah per scoprire il patimokkha""`" " Ed essendo finita la quarta stagione delle piogge, gli dèi fecero udire una voce: ""È finita, o venerabili, la quarta stagione delle piogge. Ora rimangono due stagioni delle piogge, dopo la seconda stagione delle piogge dovrete dirigervi alla capitale Bandhumati per esporre il patimokkha""" "Ed essendo finita la quinta stagione delle piogge, gli dèi fecero udire una voce: ""È finita, o venerabili, la quinta stagione delle piogge. Ora rimane una sola stagione delle piogge." Dopo la prima stagione delle piogge dovrete dirigervi alla capitale Bandhumati per esporre il patimokkha "Ed essendo finita la sesta stagione delle piogge, gli dèi fecero udire una voce: "" È finita, o venerabili, la sesta stagione delle piogge. Ora è tempo che ritorniate, dirigendovi alla capitale Bandhumati, per esporre il patimokkha""." Allora, o monaci, i monaci e per i poteri soprannaturali di ciascuno, e per i poteri soprannaturali degli dèi, dirigendosi alla capitale Bandhumati, in un solo giorno quivi convennero. "28. Dunque, o monaci, Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, espose innanzi alla schiera dei monaci il patimokkha"":" "Sopportazione, autocontrollo e perseveranza, estinzione supremamente insegnano i Buddha; colui che è uscito nessuno ingiurii;" l'asceta non sia ad alcuno ostile. Non esser causa di alcun male, ma origine di cose salutari, purificare la mente, questo è il messaggio dei Buddha. Non essere insolenti, non ingiurianti, ma dal patimokkha essere moderati e soli nel cibo e nel riposo, frenati, frenati alla concentrazione della mente, questo è il messaggio dei Buddha. "29. Io stesso, o monaci, un tempo dimoravo ad Ukkatthaya, nel bosco di Subhaga, al tronco di un albero di sala. Allora, o monaci, mentre ero ritirato in meditazione sorse questo pensiero nella mia mente: "" la dimora degli dèi Suddhavasa (17) non fu da me precedentemente abitata e da lungo tempo lo è solo dagli dèi Suddhavasa e se io ora mi dirigessi verso gli dèi Suddhavasa?""." Allora, o monaci, come un uomo forte distende un braccio piegato, o piega un braccio disteso, proprio così

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da Ukkatthaya, dal bosco di Subhaga, dal tronco di un albero di sala sparito comparvi agli dèi Aviha. Qui un'assemblea di dèi, alcune migliaia di dèi si diresse verso di me, ed essendosi avvicinata, salutatomi si sedette accanto. Accanto seduti, o monaci, gli dèi mi dissero: Fu nel 91° evo, o Venerabile, che Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sorse nel mondo Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu di nascita nobile, sorse nella classe dei nobili. Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu di famiglia Kondanna. Di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, la durata della vita fu di 80.000 anni. Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, raggiunse l'illuminazione al tronco di una bignonia. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente 33 Svegliato, o Venerabile, fu una coppia di discepoli di nome Khanda e Tissa, eccelsa nobile coppia. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, furono tre classi di discepoli. Una di queste classi fu di 6.800.000 monaci, una di queste classi fu di 100.000 monaci, una di queste classi fu di 80.000 monaci. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, le tre classi furono di discepoli tutti liberi dagli asava. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Asoka. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu padre il re di nome Bandhuma, la divina Bandhumati fu madre e genitrice. La città di nome Bandhumati fu capitale del re Bandhuma. Così, o Venerabile, fu la rinuncia di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, così l'uscita, così la concentrazione, così la suprema illuminazione, così la messa in moto della ruota della dottrina E noi, o signore, avendo realizzata la condizione di purezza, ed essendoci liberati dai desideri di attaccamento sensoriali, presso Vipassi il Sublime qui siamo risorti. 30. E qui, o monaci, un'assemblea di dèi, di alcune migliaia di dèi, di alcune centinaia di dèi si diresse verso di me, ed essendosi avvicinata, ed avendomi salutato, si sedette accanto. Accanto seduti, o monaci, gli dèi mi dissero: "In questo felice evo, o Venerabile, l'attuale Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato è apparso nel mondo. Il Sublime, o Venerabile, è di nascita nobile, sorto nella classe dei nobili. Il Sublime, o Venerabile, è

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di famiglia Gotama. Al Sublime, o Venerabile, è un breve, insignificante tempo di vita, facilmente danneggiabile; colui che ora vive a lungo vive cent'anni o poco più. Il Sublime, o Venerabile, raggiunse l'illuminazione al tronco di una ficus religiosa. Al Sublime, o Venerabile, è una coppia di discepoli di nome Sariputta e Moggallana, eccelsa nobile coppia. Al Sublime, o Venerabile, è una sola classe di discepoli di 1350 monaci. Al Sublime, o Venerabile, questa classe è di discepoli tutti liberi dagli asava. Al Sublime, o Venerabile, è ora attendente personale, nobile personale attendente, il monaco Ananda. Al Sublime, o Venerabile, è padre il re Suddhodana, la divina Maya fu madre e genitrice. Capitale la città Kapilavatthu. Così, o Venerabile, fu la rinuncia del Sublime, così l'uscita, così la concentrazione, così la suprema illuminazione, così la messa in moto della ruota della Dottrina. E noi, o signore, avendo realizzato la condizione di purezza, ed essendoci liberati dai desideri di attaccamento sensoriale, presso il Sublime qui siamo risorti." 3l. Allora, o monaci, cogli dèi Aviha mi diressi verso gli dèi Atappa, poi cogli dèi Atappa e cogli dèi Aviha mi diressi verso gli dèi Sudassa. Poi cogli dèi Sudassa, cogli dèi Atappa, cogli dèi Aviha mi diressi verso gli dèi Sudassa. Poi cogli dèi Sudassi, cogli dèi Sudassa, cogli dèi Atappa, cogli dèi Aviha mi diressi dagli dèi Akanittha. Quivi, o monaci, un'assemblea di dèi, alcune migliaia di dèi si diressero verso di me, ed essendosi avvicinata, e salutatomi si sedettero accanto. Accanto seduti, o monaci, gli dèi mi dissero: Fu nel 9l° evo, o Venerabile, che Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sorse nel mondo. Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu di nascita nobile, sorse nella classe dei nobili. Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu di famiglia Kondanna. Di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, la durata della vita fu di 80.000 anni. Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, raggiunse l'illuminazione al tronco di una bignonia. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu una coppia di discepoli di nome Khanda e Tissa, eccelsa nobile coppia. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, furono tre classi di discepoli. "Una di queste classi fu di 6.800.000 monaci, una di queste classi fu di 100.000 monaci, una di queste classi

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fu di 80.000 monaci. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, le tre classi furono di discepoli tutti liberi dagli asava. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu personale attendente, nobile personale attendente, un monaco di nome Asoka. A Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, o Venerabile, fu padre il re di nome Bandhuma, 34 la divina Bandhumati fu madre e genitrice. La città di nome Bandhumati fu capitale del re Bandhuma. Così, o Venerabile, fu la rinuncia di Vipassi, il Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, così l'uscita, così la concentrazione, così la suprema illuminazione, così la messa in moto della ruota della Dottrina. E noi, o signore, avendo realizzata la condizione di purezza, ed essendoci liberati dai desideri di attaccamento sensoriali, presso Vipassi il Sublime qui siamo risorti""." 32. Quivi, o monaci, un'assemblea di dèi, alcune migliaia di dèi, alcune centinaia di dèi si diressero verso di me ed avendomi avvicinato, ed avendomi salutato si sedettero accanto. Accanto seduti gli dèi così mi dissero: " In questo felice evo, o Venerabile, l'attuale Sublime, Sublime Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, è apparso nel mondo. Il Sublime, o Venerabile, è di nascita nobile, sorto nella classe dei nobili. Il Sublime, o Venerabile, è di famiglia Gotama. Al Sublime, o Venerabile, è un breve, insignificante tempo di vita, facilmente danneggiabile; colui che ora vive a lungo vive cent'anni o poco più. Il Sublime, o Venerabile, raggiunse l'illuminazione al tronco di una ficus religiosa. Al Sublime, o Venerabile, è una coppia di discepoli di nome Sariputta e Moggalana, eccelsa nobile coppia. Al Sublime, o Venerabile, è una sola classe di discepoli di 1350 monaci. Al Sublime, o Venerabile, questa classe è di discepoli tutti liberi dagli asava. Al Sublime, o Venerabile, è ora attendente personale, nobile personale attendente, il monaco Ananda. Al Sublime, o Venerabile, è padre il re Suddhodana, la divina Maya fu madre e genitrice. Capitale la città Kapilavatthu. Così, o Venerabile, fu la rinuncia del Sublime, così l'uscita, così la concentrazione, così la suprema illuminazione, così la messa in moto della ruota della Dottrina. E noi, o signore, avendo realizzato la condizione di purezza, ed essendoci liberati dai desideri di attaccamento sensoriale, presso il Sublime qui siamo risorti ." "33. Così, o monaci, questa regola universale è ben nota al Sublime. Il Compiuto per la conoscenza di questa

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regola universale ricorda gli antichi Buddha, totalmente estinti, che hanno troncato gli impedimenti, interrotto l'andare, esausto il circolo, spenta l'agitazione; li ricorda nella stirpe, li ricorda nel nome, li ricorda nella famiglia, li ricorda nella durata della vita, li ricorda nei principali discepoli, li ricorda nelle classi di discepoli: "" così furono durante la vita quei Sublimi, questi i nomi, queste le famiglie, questi i comportamenti, queste le dottrine, questi i saperi, queste le dimore, queste le liberazioni. Proprio così furono questi Sublimi """"." Così disse il Sublime. Contenti i monaci si rallegrarono alla parola del Sublime. MAHAPADANA SUTTANTA FINE NOTE 1) Benares "2) Il Sublime non può penetrare la mente degli antichi Svegliati perché totalmente estinti; è solo attraverso agli dei del mondo di Brahma, che, nella loro lunghissima esistenza, furono contemporanei degli antichi Svegliati, che il Sublime viene a sapere ogni cosa su costoro." 3) Colui che possiede l'elemento Bodhi od illuminazione. Nome che compete coloro che stanno per diventare Buddha. 4) Una classe di dèi inferiori al mondo di Brahma. 5) Diviene cioè consustanziale al retto comportamento che necessariamente ti realizza in lei. 6) Anche qui la castità è necessaria ed assoluta conseguenza del portare nel ventre il Bodhisatta. 7) La madre del Bodhisatta raggiunge nei riguardi del proprio corpo e di quello del Bodhisatta la lucida chiarezza che si realizza colla pratica dei quattro jhana. 8) Anche le dee della Grecia avevano le loro gravidanza di 10 mesi. 35 9) Sulle mani, sui piedi, sulle spalle, e sulla schiena. 10) Vipassi = Vi + passi = buon veggente. 11) Intesa come possibilità quasi necessità di esistere. 12) Sperimentando, realizzando su piano ontologico. Cioè non solo riconoscendo la logicità, veridicità dell'asserzione, ma vivendola in tutti i piani che tanti mano gli si andavano schiudendo. 13) La corrente del Samsara. 14) I primi che avevano seguìto Vipassi, prima della sua illuminazione. 15) Pubblico esame cui ciascun monaco sottopone il suo comportamento. 16) L'Isola del Melograno, l'India propriamente detta. 17) Una classe di dèi del mondo di Brahma comprendenti più cori. UDANA(1) (DETTI ISPIRATI O VERSI DI ESALTAZIONE) CAPITOLO I BODHI (IL RISVEGLIO) "Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava, sulla riva del fiume Neranjara, ai piedi

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dell'albero della Bodhi, avendo proprio allora conseguito la perfetta illuminazione. Ora, in quella occasione, il Beato rimase assiso per sette giorni (2) in una particolare posizione (3) sperimentando la beatitudine della Liberazione. Quindi il Beato, trascorsi quei sette giorni, durante la prima vigilia della notte, riprendendosi da quell'estasi meditativa (samadhi), volse attentamente il pensiero alla nascita delle cause l'un l'altra condizionate (paticca-samuppdda), secondo l'ordine diretto, così: ""in questa [condizione di] essere, ciò si verifica; per il fatto che ciò nasce, quest'altro nasce, cioè: condizionati dall'ignoranza (avijja), gli elementi dell'esistenza (sankhara); condizionato dagli elementi dell'esistenza, [lo stato di] coscienza (vinnana); condizionati dallo stato di coscienza, nome-e-forma (nama-rupa); condizionate da nome-e-forma, le sei sfere d'azione sensoria (salayatana = i cinque sensi più il mentale), condizionata dalle sei sfere di azione sensoria la percezione (phassa); condizionata dalla percezione, la sensazione (vedana); condizionata dalla sensazione, la sete [di esistenza] (tanha); condizionato dalla sete [di esistenza] il legame [verso una particolare vita] (upadana); condizionata dal legame, l'esistenza (bhava); condizionata dall'esistenza, la nascita (jati); condizionati dalla nascita, vengono ad esistere vecchiaia-e-morte (jara-marana), dolore, lamento, sofferenza, tormento e disperazione. Così avviene la nascita di tutto questo insieme di Male""." Quindi il Beato, avendo intuito il significato di ciò, proferì in quel momento questo verso ispirato: Quando, invero, si rivelano gli elementi della realtà (dhamma) "al brahmana ardente di ascesi, meditante, allora svaniscono i suoi dubbi, dacché egli già conosce la contingente realtà e le sue cause""." 2. Così da me è stato udito. In una certa occasione..... (ecc., come sopra) "Quindi il Beato, sorgendo da quell'estasi meditativa, durante la vigilia di mezzo della notte, volse attentamente il pensiero alla nascita condizionata delle cause in senso inverso, così: ""non essendovi questa [condizione di] essere, ciò non si verifica: per il fatto che ciò cessa, [quest'altro] cessa di essere, e cioè: cessando l'ignoranza, si ha la cessazione degli elementi dell'esistenza: cessando gli elementi dell'esistenza, cessa [lo stato di] coscienza: cessando lo stato di coscienza, cessano nome-e-forma: cessando nome-e forma, cessano le sei sfere di azione sensoria: cessando le sei sfere di azione sensoria, cessa la percezione: cessando la percezione, cessa la sensazione: cessando la sensazione, cessa la sete: cessando la 36

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sete, cessa il legame: cessando il legame, cessa l'esistenza: cessando l'esistenza, cessa la nascita; cessando la nascita, cessano vecchiaia-e-morte, dolore, lamento, sofferenza, tormento e disperazione. Così avviene la cessazione di tutto questo insieme di Male"". Quindi il Beato, avendo intuìto il significato di ciò profferì in quel momento questo verso ispirato:" Quando, invero, si rivelano gli elementi della realtà al brahmana che, ardente di ascesi, medita, allora svaniscono tutti i suoi dubbi, dacché egli ha conosciuto il dileguarsi delle cause. 3. Così da me è stato udito. In una certa occasione, il Beato (ecc., come sopra) ....Quindi il Beato, riprendendosi da quell'estasi meditativa, durante l'ultima vigilia della notte, considerò attentamente la nascita condizionata delle concause in entrambo i sensi, quello diretto e quello indiretto, così: " ""Quando c'è questo, si verifica questo. Quando questo non c'è, questo altro non c'è; quando questo cessa, quest'altro cessa, e cioè: condizionato dalla Ignoranza" "(ecc., come nel precedente paragrafo)...Così viene ad esistere tutto questo insieme di Male. Quando, invece, si dilegua e cessa senza residui l'Ignoranza, si ha la cessazione degli elementi dell'esistenza (ecc., come nel precedente paragrafo) In tale modo si ha la cessazione di tutto questo complesso di Male""." Perciò il Beato, avendo intuito il significato di tutto ciò, in quel momento proferì questo verso ispirato: Allorché, invero, si rivelano gli elementi della realtà al brahmana ardente di ascesi, meditante, allora egli si erge, avendo messo in rotta l'esercito di Mara, come il sole quando irraggia nel cielo. 4. Così da me è stato udito. In una certa occasione, il Beato dimorava ad Uruvela, sulla sponda del fiume Neranjara, ai piedi dell'albero della bodhi, avendo proprio allora conseguito l'Illuminazione. Ora, in quell'occasione, il Beato rimase assiso per sette giorni in quella particolare posizione, sperimentando la beatitudine della Liberazione. Indi il Beato, trascorso il periodo di sette giorni, si riprese da quell'estasi meditativa. "Avvenne che un certo brahmana della Huhumka-jajati venne dove si trovava il Beato e, avvicinandosi a lui, lo salutò amichevolmente, e, dopo che i due si furono scambiati saluti e convenevoli, si pose accanto a lui. Stando in piedi [in segno di rispetto] presso di lui, quel brahmana interpellò il Beato, dicendo: "" Ti prego, caro (5) Gotama, in che misura [si può dire che] uno è brahmana e, inoltre, quali sono gli elementi che costituiscono un brahmana?"". Allora il Beato, avendo intuito il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato:"

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Quel brahmana che ha fugato da sé i cattivi elementi non dice " "" huhum""(4 a), " [ma] è privo di impurità e si controlla, è versato nei Veda (6) e vive una vita da brahmana (casta), un siffatto brahmana può "parlare del Brahman giustamente, proprio lui, nel quale non vi sono escrescenze (7) verso questo mondo!""." 5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, nel boschetto Jeta, nel parco di Anathapindika. In quella circostanza i venerabili Sariputta, 1 Mogallana il Grande, Kassapa il Grande, Kaccayana il Grande ed inoltre i venerabili Anuruddha, Revata, Devadatta ed Ananda vennero là dove si trovava il Beato. E quando il Beato "vide quei venerabili da lontano, mentre si avvicinavano, alla loro vista disse ai monaci: ""Monaci, costoro sono dei brahmana che vengono, sono brahmana, costoro che vengono!""" "A queste parole un certo monaco, brahmana di nascita, disse al Beato: ""O Signore, in che misura [si può dire che] uno sia brahmana, e, inoltre, quali sono gli elementi che costituiscono un brahmana?"". Allora il Beato, intendendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato:" 37 Avendo fugato da sé i cattivi elementi, coloro che procedono sempre consapevolmente, "i Risvegliati che hanno distrutto i legami, costoro sono certamente nel mondo i brahmana!""." "6. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato dimorava presso Rajagaha nel Bosco dei Bambù (Veluvana), nella Radura ove si nutrono gli Scoiattoli (Kalandakanivapa). Ora, in quell'occasione, il venerabile Maha-Kassapa stava nella Grotta del Fico (Pipphala-guha), malato, afflitto e colpito da dura sofferenza. Più tardi, essendosi sollevato da quella malattia, il venerabile Maha-Kassapa disse: "" Che sarebbe se io andassi a Rajagaha per elemosinare?"". In quello stesso momento più di cinquecento dèi si occuparono intensamente per provvedere al cibo che Maha-Kassapa voleva questuare. Ma il venerabile Maha-Kassapa rifiutò i servizi di quei cinquecento dèi e, apprestandosi all'uscita mattutina, indossata la veste e presa la ciotola, entrò in Rajagaha per la questua, attraverso le strade ove abitavano i poveri ed i bisognosi, nel quartiere dei tessitori. Allora il Beato, intendendo il senso di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato:" Chi non deve nutrire altri, che è ignorato, domo, ben stabilito nell'essenza [delle cose], "la cui adesione [al mondo] è distrutta, i cui difetti sono espulsi, costui io chiamo un brahmana""" 7. Così da me è stato udito. In una certa occasione, il "Beato si trovava a Patali, presso il tempio di Ajakatapa, dimora dello yakkha (8) Ajakalapa. Ora, in quella

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occasione, il Beato se ne stava seduto all'aria aperta in una notte scurissima e il dio del cielo gli faceva piovere addosso goccia a goccia. Allora lo yakkha Ajakalapa, volendo ispirare al Beato paura, costernazione ed orrore, avvicinatosi al Beato per ben tre volte gli urlò vicino il suo ululato, dicendo: ""Vi è un lemure per te, monaco!"". Però il Beato, avendo intuito il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato:" quando ha superato tutti gli elementi della realtà che è in lui stesso, "il brahmana è di là da questo lemure, con tutto il suo frastuono!""." "8. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. In quella circostanza il venerabile Sangamaji (9) era venuto a Savatthi per vedere il Beato. Ora, colei che precedentemente era stata la moglie di Sangamaji, senti che si diceva: ""Il nobile Sangamaji è venuto a Savatthi"". Allora prese il suo bambino e se ne andò al bosco Jeta. Ora, in quella occasione, il venerabile Sahgamaji se ne stava assiso sulla radice di un certo albero per il riposo meridiano. Allora colei che era stata in precedenza la moglie del venerabile Sahgamaji gli andò incontro, gli si avvicinò e gli disse questo: ""O monaco, nutri questo piccolo bimbo e me del pari""." "A queste parole il venerabile Sahgamaji rimase silenzioso. Così, ancora una seconda volta colei che era stata in precedenza la moglie del venerabile Sahgamaji ripeté: ""O monaco. nutri questo piccolo bimbo e me del pari !""." A queste parole il venerabile Sahgamaji rimase silenzioso ed essa ripeté una terza volta la stessa domanda "ed il venerabile Sangamaji rimase silenzioso. Allora lei pose il bimbo di fronte al venerabile Sangamaji e se ne andò dicendo: ""Questo è tuo figlio, o monaco, nutrilo!"", ma il venerabile Sangamaji né lo guardò né gli disse verbo. E lei, che si era di poco allontanata, voltatasi, vide che il venerabile Sangamaji né guardava il bambino né gli parlava. Vedendo ciò essa pensò: ""Questo monaco non ha neppure bisogno del suo bambino"". Allora tornò indietro, prese il bambino e se ne andò via." Ora il Beato, col suo occhio divino, purificato tanto più di quello che è proprio agli esseri umani, contemplando una tale improprietà, come quella compiuta da colei che era stata in precedenza la moglie di Sangamaji (10), ed intuendo il significato di ciò, in quel momento profferì questo verso ispirato: 38 Non si rallegra quando essa arriva né soffre quando se ne

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"va via. Sangamaji lo svincolato, questi io chiamo un brahmana"" ." "9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Gaya, al Capo di Gaya. In quella circostanza un gran numero di asceti con la crocchia(11), nelle fredde notti d'inverno fra gli ottavi [giorni prima e dopo il plenilunio] (12) all'epoca in cui cade la neve, s'immergevano ed emergevano dalle acque del Gaya, aspergendosi reciprocamente, e versavano l'oblazione sul fuoco sacrificale, [intendendo:] ""per questo mezzo si ottiene la purità"". Ora il Beato, vedendo un tale numero di asceti che agiva così e, allo stesso tempo, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso ispirato:" Non per l'acqua si diventa puri, anche se tanta gente ivi si bagna. "Colui nel quale è Verità e Buona Legge, costui è puro, costui un brahmana"" ." "l0. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. In questa stessa epoca Bahiya, dalla Veste di Scorza (? - Daruclriyo), risiedeva a Supparaka (13) in riva al mare, dove era stimato, onorato, considerato, venerato e trattato con deferenza, per cui aveva ricevuto grande quantità di vesti, cibo, giacigli e seggi, conforti e medicamenti per malattie. Ora, nella mente di Bahiya dalla Veste di Scorza, sorse questa considerazione: ""Chissà che io sia uno di coloro che in questo mondo sono Arhat, oppure che abbia conseguito la via degli Arhat?"". Allora una devota(14), che in una sua esistenza precedente era stata un consanguineo di Bahiya dalla Veste di Scorza, presa da compassione e dal desiderio di beneficarlo, venne ove egli si trovava e disse a Bahiya dalla Veste di Scorza: ""Bahiya, tu non sei un Arhat, né hai raggiunto la via degli Arhat. Questa non è la strada per la quale puoi divenire Arhat oppure raggiungere la via degli Arhat""." Ma allora - disse Baniya - a chi sono coloro che, nel mondo con i suoi deva, sono Arhat oppure hanno raggiunto la via degli Arhat?. "(""Vi è una città, Bahiya, nelle regioni settentrionali, detta Savatthi. Ivi risiede quel Beato che è un Arhat, un vero Risvegliato (samma-sambuddha). Egli è davvero, o Bahiya, un Arhat e insegna la Legge che permette di raggiungere la condizione di Arhat""." "Allora Bahiya dalla Veste di Scorza, incitato da quella devata, lasciò Supparaka e, fermandosi una sola notte [in ogni posto - ?] durante il viaggio (15), giunse dove il Beato si trovava, presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella occasione, un gran numero di monaci passeggiava all'aria aperta. Quando Bahiya dalla Veste di Scorza fu giunto presso quei monaci, chiese loro: ""Di grazia, Signori,

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dove si trova ora il Beato, che è un Arhat, che è il vero Risvegliato ? Noi desideriamo vedere questo Arhat che è un Vero Risvegliato!"". ""Il Beato, o Bahiya, è andato per le case a fare la questua di cibo"". Allora Bahiya dalla Veste di Scorza si voltò in fretta, lasciò il bosco Jeta ed entrò in Savatthi, dove vide il Beato che questuava: egli era pieno di grazia, piacevole a guardarsi, con i sensi calmati, tranquillo di spirito, pieno di compostezza per il controllo su se medesimo, simile ad un elefante domo, attento e perfettamente addestrato. Appena vide il Beato gli si avvicinò, cadde [toccandogli] i piedi con la testa e gli disse: ""O Signore, possa il Beato insegnarmi la Buona Legge! Possa Colui che è Bene Andato (Sugata) insegnarmi la Buona Legge, di modo che ne abbia beneficio e felicità per lungo tempo!""." "A queste parole il Beato disse a Bahiya dalla Veste di Scorza: ""Sei venuto fuori tempo, Bahiya. Io sono ora entrato [in questa città] per la questua"". Indi una seconda volta Bahiya dalla Veste di Scorza [si rivolse] al Beato [e] gli disse: ""Questa cosa (= il Phamma) è difficile a conoscersi e pericolo di vita (= morte) sovrasta il Beato e me" "Possa il Beato insegnarmi la Buona Legge! Possa il Bene Andato insegnarmi la Buona Legge, di modo che ne riceva beneficio e felicità per lungo tempo!"". Allora, per la seconda volta, il Beato disse: ""Sei venuto fuori tempo, Bahiya. Io sono entrato ora per la questua""." "Ancora una terza volta Bahiya dalla Veste di Scorza disse al Beato: ""Questa cosa, o Signore, è difficile a 39 conoscersi, e pericolo di vita sovrasta il Beato e me. Possa il Beato insegnarmi la Buona Legge! Possa il Bene Andato insegnarmi la Buona Legge, di modo che riceva beneficio e felicità per lungo tempo!"". ""Allora, Bahiya, tu devi esercitarti: in ciò che vedi ci deve essere solo ciò che [da te] è stato visto, in ciò che odi solo Ciò che è stato udito, in ciò che pensi solo ciò che è stato pensato in ciò che conosci solo ciò che è stato conosciuto (16). Così invero Bahiya, tu ti devi esercitare." "Quando, Bahiya, in ciò che hai visto ci sarà soltanto ciò che è stato visto, in ciò che hai udito ci sarà soltanto ciò che hai udito, in ciò che hai pensato ci sarà soltanto ciò che hai pensato in ciò che hai conosciuto ci sarà soltanto ciò che hai conosciuto allora, o Bahiya, poiché non esisterà per te un quindi"" non ci sarà neppure un ""perciò"". E quando O Bahiya, tu non avrai più un ""perciò"", ne deriva che per te non ci sarà né un "" qui "" né un "" di là "" e neppure un"" di mezzo ad entrambo "". Questa sarà la fine del Male""." Quindi Bahiya dalla Veste di Scorza in seguito a questo insegnamento conciso della Buona Legge del Beato,

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mediante l'atto di non aderire (16a) sciolse la mente dai vincoli. Così il Beato, dopo aver ammonito Bahiya con il suo insegnamento conciso, se ne andò via. "Ora avvenne che, non molto tempo dopo la partenza del Beato, un vitello assalì Bahiya dalla Veste di Scorza, privandolo della vita. Il Beato dopo aver girato per Savatthi in cerca di cibo, ritornato dalla sua questua ed avendo mangiato mentre lasciava la città con un grande seguito di monaci, vide che Bahiya dalla Veste di Scorza era giunto al termine della sua vita. Vedendolo, disse ai monaci: ""Monaci, raccogliete il corpo di Bahiya dalla Veste di Scorza. Portate una barella, portatelo via, bruciatelo e innalzate [sulle sue ceneri] un thupa (17), poiché uno che ha Compiuto la brahmanica disciplina assieme a voi è giunto al termine dei suoi dì""." "Sì Signore, risposero i monaci al Beato. Raccolsero il corpo, chiamarono per una barella, ve lo caricarono sopra e lo bruciarono e, quando ebbero innalzato un jthupa, vennero dal Beato, lo salutarono e si sedettero da una parte. Seduti che furono quei monaci da parte dissero al Beato: ""Signore il corpo di Bahiya dalla Veste di Scorza è stato arso ed un thupa è stato innalzato. Quale è la sua sorte, quale è il suo destino?""." "Un saggio o monaci fu Bahiya dalla Veste di Scorza;" "egli praticava il Dhamma inferiore in vista del Dhamma e non mi ha assillato per quanto intimamente riguarda l'insegnamento del Dhamma. Ha raggiunto il Nibbana, O monaci Bahiya dalla Veste di Scorza""." Allora il Beato, intuendo il senso di ciò, proferì in quel particolare momento questo verso ispirato: Laddove acqua, terra, fuoco ed aria non hanno fondamenti dove non risplendono le stelle né rifulge il sole, ivi non brilla la luna ivi non si conosce tenebra. Allorché l'asceta, il brahmana, mediante [La scienza di] se stesso " e mediante il silenzio ha saputo, allora si libera da forma e non-forma da piacere e dolore!""." CAPITOLO II MUCALINDA (18) "Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Uruvela, sulla riva del fiume Nerarijara, assiso sulla radice di un [albero] mucalinda (18), avendo proprio allora col seguito il Perfetto Risveglio. Ora, in quell'occasione, il Beato rimase assiso per sette giorni in una particolare posizione, sperimentando la beatitudine conseguentemente alla Liberazione. Ora, in quella circostanza, scoppiò una tempesta di pioggia fuori stagione, sicché per sette giorni vi fu pioggia, venti freddi e cattivo tempo. Allora Mucalinda, re dei Naga, uscendo dalla sua tana, si ravvolse sette volte attorno al corpo del Beato con le sue

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spire e rimase a coprire col suo grande cappuccio il capo del Beato, [ pensando]: ""Non disturbino il Beato calore, freddo, contatto di mosche, zanzare ed esseri striscianti!"". Quindi, trascorsi sette giorni, il Beato si riprese da quell'estasi meditativa e Mucalinda, re dei Naga, vedendo che il cielo era terso e libero da nuvole, sciolse le sue spire dal corpo del Beato, [indi,] ritirando la sua propria forma, assunse la forma di un giovane, 40 che si pose dinanzi al Beato rendendogli omaggio con le mani giunte (19)." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, proferì in quel momento questo verso ispirato: a Felice la solitudine di colui che si rallegra, avendo appreso la Buona Legge ed avendo acquistato la Visione! Felice la libertà dalla sofferenza nel mondo ed il ritegno [dal danneggiare] le creature! Felice la libertà dalle passioni in questo mondo, ed il superamento dei desideri! "Che ci si sciolga dalla vanità dell""' ego "", questa è la suprema felicità""." "2. Così da me è stato udito. In una certa occasiona, il Beato se ne stava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, fra un gran numero di monaci che, dopo il pasto, erano tornati dalla questua e si erano riuniti e seduti assieme nella sala di servizio, si venne casualmente a parlare [di questo argomento]: ""Quale, o fratelli, di questi due re, il re di Magadha Seniya Bimbisarà e Pasenadi di Kosala (20), è il più ricco, ha le più grandi proprietà, ha i maggiori tesori, ha le maggiori province, ha maggior numero di carri, è il più forte, il più potente, il più autorevole?"". Questo discorso casuale non era ancora finito quando il Beato, alzandosi dal suo ritiro, verso sera se ne venne a quella sala di servizio e, entrato, sedette su un sedile che gli era stato apprestato. Una volta seduto il Beato domandò ai monaci: ""Ditemi, o monaci, in quale conversazione vi stavate intrattenendo, qui seduti e radunati, e quale è il vostro discorso casualmente incompiuto?"". ""Qui, o Signore, dopo il pasto, ritornati dalla questua" Si è venuti casualmente a parlare quale dei due re fosse il più ricco, il più potente, eccetera Questo è il discorso casuale restato "incompiuto allorché giunse il Beato"". ""O monaci, non è" degno, per voi, o figli di famiglia (21), che con fede avete lasciato la casa per una vita senza casa, di impegnarvi in simili chiacchiere. Allorché sediamo qui tutti assieme, bisogna compiere una delle due azioni, o parlare riguardo la Buona Legge, o praticare il Silenzio Ario (22). Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: La beatitudine [del soddisfacimento] dei piaceri e la beatitudine del mondo celeste non valgon la sedicesima parte (23) della beatitudine conseguente alla

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"distruzione della brama!""." 3. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato risiedeva a Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, un gran numero di giovani stavano tormentando un serpente con un bastone, fra Savatthi ed il bosco Jeta. Il Beato, di buon mattino, indossata la veste e presa la ciotola, entrò in Savatthi per la questua, quando vide fra Savatthi ed il bosco Jeta quella turba di giovani che stavano tormentando il serpente col bastone. Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il verso ispirato: Chi col bastone tormenta [creature] che cercano felicità, costui non trova la felicità, una volta che sia morto. Chi non tormenta col bastone creature che bramano felicità, mentre cerca la propria felicità, costui la conquista una volta che "sia morto!""." 4. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. In quell'epoca il Beato era stimato, onorato, considerato, venerato e trattato con deferenza, per cui aveva ricevuto grande quantità di vesti, cibo, giacigli e seggi, conforti e medicamenti per malattie. 41 Così pure l'Ordine dei monaci era stimato mentre asceti Erranti (24) di vedute diverse non erano stimati né avevano ricevuto grande quantità di vesti, cibo "In tal modo [avvenne che] gli asceti Erranti di diverse vedute, incapaci di sopportare la considerazione tributata al Beato ed all'Ordine dei monaci, quando scorgevano i monaci nel villaggio o nella foresta, li coprivano di improperi, sarcasmi ed ingiurie, li provocavano e li tormentavano. Allora un gran numero di monaci venne dal Beato e, dopo averlo salutato, sedette in un canto. Una volta sedutisi, questi monaci dissero al Beato: ""Signore, proprio ora che il Beato è stimato, onorato, considerato e venerato" mentre quegli Asceti Erranti di altre vedute non sono stimati [avviene che essi,] incapaci di sopportare le attenzioni tributate al Beato, sia nel villaggio che nella foresta, appena scorgono i "monaci... li provocano e li tormentano""." A quel punto il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il verso ispirato: Nel villaggio e nella foresta, se siete toccati dalla buona o dall'avversa sorte, non attribuite [ciò] a voi stessi o agli altri: i contatti si verificano perché esiste un substrato corporeo all'esistenza (25): " come potrebbe avvenire con chi è privo di substrato esistenziale?""." "5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, presso

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il parco di Anathapindika. In quella circostanza un devoto laico (upasaka) di Icchanangala era venuto a Savatthi per qualche affare... Indi il devoto, avendo finito il suo affare a Savatthi, venne a visitare il Beato. Venuto che fu da lui, lo salutò e sedette in un canto. Quando si fu seduto, il Beato gli disse: ""È lungo tempo, upasaka, che non hai colto l'occasione di venire da queste parti"". ""Per lungo tempo, o Signore, ho desiderato venire a visitare il Beato, ma, attratto da questo o da quell'affare, che dovevo compiere, non sono potuto venire"". Allora il Beato," intuendo il significato di questo, profferì in quel momento seguente verso ispirato: Per chi ha ben soppesato la Buona Legge, per chi ha molto appreso, "non v'è [alcun pensiero del genere:] ""ah, come sarebbe bene" [per me] ! . Guarda come è tormentato colui che ha qualche cosa! "Gli uomini sono l'un l'altro ben stretti da legami!""." "Così è stato da me udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora avvenne che in quel tempo la giovane moglie brahmana di un Errante era incinta e sul punto di partorire. La donna quindi disse al marito asceta: ""Vai, brahmana, procurami olio di tila che mi serva per il parto"". Al che l'Errante rispose: ""Ma dove potrò trovare olio per Vossignoria? "". Una seconda volta lei fece la medesima richiesta e ne ebbe la stessa risposta. Ed ancora una terza volta rivolse al marito la stessa domanda....." "Ora avvenne che in quel tempo, nel magazzino del Re Pasenadi di Kosala, si distribuiva ad ogni monaco o brahmana altrettanto burro fuso (sarpis) ed olio quanto ne poteva bere e non portare via con sé. Allora quell'Errante disse [ a se stesso]: ""Nel magazzino del Re Pasenadi di Kosala si distribuisce" "Ora io andrò al magazzino del Re Pasenadi di Kosala e berrò tanto olio quanto possa, indi ritornerò a casa, e lo vomiterò in modo che possa averlo costei per il parto""." [Con questa intenzione] l'Errante andò nel magazzino del Re Pasenadi di Kosala, bevve quanto olio poté e, ritornato a casa, non gli riuscì né di vomitarlo in su né di digerirlo in giù. Assalito da dolori acuti, aspri e taglienti, si rotolava qua e là. In quel tempo il Beato, apprestatosi per l'uscita mattutina, indossata la veste e presa la ciotola, entrò a Savatthi per la questua. Ivi vide l'Errante assalito da dolori acuti, aspri e taglienti, che si rotolava qua e là. 42 Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, proferì in quel momento il verso ispirato: "Beati coloro che nulla hanno; conoscitori dei Veda (26) sono invero" coloro che non posseggon nulla.

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Guarda come è torturato colui che ha qualcosa (27)! Gli uomini "sono l'un l'altro stretti da legami!""." 7. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora in quel tempo l'unico figlio, caro e grazioso, di un devoto laico, era venuto a morire. Ed un gran numero di devoti laici con le vesti ed i capelli ancora bagnati " [per il lavacro rituale] andò a visitare il Beato. Venuti che furono da lui, lo salutarono e sedettero in un canto. Quando essi si furono seduti il Beato disse a quegli upasaka: ""come mai, o upasada, siete venuti qui in un momento così importuno (28)?"". Quand'ebbe detto così, il devoto gli rispose ""Mi è morto, o Signore, l'unico figlio mio, caro e grazioso." Questa è la ragione per la quale noi veniamo da te con i "capelli e le vesti bagnati, in un'ora inopportuna""." " Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso di Esaltazione: ""Aderendo a ciò che è caro e grazioso, molti dèi, molti uomini, peccatori e dominati dalla decadenza, vanno in dominio al Re della Morte." Ma coloro che giorno e notte, pieni di vigile attenzione, pongono " in disparte ciò che è caro e grazioso, costoro svellono la radice stessa del peccato, la tentazione della Morte così difficile da superare!""." 8. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava a Kundiya (29), nel bosco Kundadhana. Ora, a quel tempo, Suppavasa, figlia del re dei Koliya, [che] per ben sette anni era stata incinta, si trovava in travaglio di parto da sette giorni. Essa, nonostante che fosse assalita da dolori "acuti, aspri e pungenti, mantenne il suo spirito fisso su tre pensieri: ""Rettamente Risvegliato è il Beato che insegna la Buona Legge per l'abbandono del dolore, come questo [mio];" "Rettamente Procedente sulla Via è invero l'Ordine dei discepoli del Beato, che avanza per l'abbandono del dolore, come questo [mio]; Retta Beatitudine è quella del Nibbana, ove è estinto il dolore, come questo [mio]." "Allora Suppavasa, figlia del re dei Koliya, così disse al suo signore: ""Va', o nobile signore, presso il Beato e, venerandolo in nome mio, col tuo capo ai piedi del Beato, chiedigli come sta di salute e benessere, vigore fisico, forza e comodità nel vivere, indi digli: "" Signore, Suppavasa, figlia del re dei Koliya, presenta i suoi omaggi ponendo la testa ai piedi del Beato e gli domanda come stia di salute e benessere, vigore fisico, forza e comodità nel vivere "", indi aggiungi: "" Signore, Suppavasa, figlia del re dei Koliya, è stata incinta per sette anni ed oggi si trova nel settimo giorno del travaglio del parto. Essa, nonostante che sia assalita da

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dolori acuti, aspri e pungenti, mantiene il suo spirito fisso su tre pensieri""""." " Molto bene , rispose quell'uomo dei Koliya a Suppavasa, e se ne andò a visitare il Beato. Entrato dal Beato lo salutò e sedette in un canto. Così sedutosi, ripeté le parole di sua moglie... E il Beato disse: ""che stia bene Suppavasa, figlia del re dei Koliya. Possa in buona salute partorire un robusto figliolo!""" Appena il Beato ebbe detto ciò Suppavasa, figlia del re dei Koliya, si sentì bene e, in buona salute, partorì un figlio robusto. "Così sia! , disse il Koliya, tutto contento alle parole del Beato, e, ringraziandolo, si alzò in piedi, salutò il Beato girandogli attorno verso destra (30) e se ne ripartì per la sua casa. Ivi il Koliya vide Suppavasa, figlia del re dei Koliya, bene ed in buona salute, avendo partorito un figlio robusto. Vedendo ciò egli pensò :u Questo è proprio meraviglioso! Questo è proprio un miracolo! Grande è il potere magico, grande la potenza 43 del Tathagata, dacché Suppavasa, alle solo parole del Beato, è ritornata in buona salute ed ha partorito un figlio robusto"". Perciò egli era contento e felice, pieno di gioia e di letizia." "Allora Suppavasa, figlia del re dei Koliya, disse al suo signore: ""Vieni tu, o mio signore, vai da quel Beato e, dopo avergli espresso venerazione in nome mio, ponendogli il capo sui piedi, digli: ""Signore, Suppavasa, la figlia del re dei Koliya, è stata incinta per sette anni ed ha avuto un travaglio durato sette giorni. Ma ora essa sta bene, e, in buona salute, ha partorito un figlio robusto, Lei ora invita l'Ordine dei monaci a mangiare da noi per sette giorni. O Signore, possa il Beato accettare il cibo per sette giorni da Suppavasa, figlia del re dei Koliya, assieme all'Ordine dei monaci! """"." Molto bene, rispose l'uomo Koliya a Suppavasa, e si recò dal Beato (al quale ripeté il messaggio dalla moglie)..... "Ora in quel periodo l'Ordine dei monaci, con a capo il Buddha, era stato invitato per il pranzo di quel giorno da un certo devoto laico e quel devoto era al servizio del venerabile Maha-Mogallana. Pertanto il Beato chiamò a sé Maha-Mogallana [e gli disse]: ""Vieni qui, Mogallana! Recati da quel tale devoto e digli: "" Mio caro Signore, Suppavasa, la figlia del re dei Koliya è stata incinta per sette anni e per sette giorni è stata in travaglio di parto (ripete tutta la storia). Ora essa ha invitato l'Ordine dei monaci, con a" capo il Buddha, a prendere cibo da lei per sette giorni. Permetti a Suppavasa di donare cibo per sette giorni all'Ordine "e successivamente tu offrirai il tuo""""." Signore, se il nobile Maha-Mogallana può garantirmi tre cose: ricchezza, vita e fede, allora Suppavasa, la

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figlia del re dei Koliya, conviti pure per sette giorni i monaci e poi io darò loro il mio cibo. Amico, per due delle tre cose posso esserti garante, ma, per quanto riguarda la fede, tu soltanto puoi essere garante a te stesso. Bene, Signore, se per due cose, cioè per la ricchezza e per la vita, il mio signore Maha-Mogallana si fa garante a me, allora inviti pure Suppavasa per sette giorni i monaci, e poi io darò loro il mio cibo. "Quindi il venerabile Maha-Mogallana convinse quel suo devoto laico ed andò dal Beato. Giunto che fu, gli disse: ""Signore, quel devoto è stato convinto da me. Dia pure Suppavasa, figlia del re dei Koliya, il suo cibo per sette giorni. Egli darà il suo dopo""." "Perciò Suppavasa, la figlia del re dei Koliya, per sette giorni servì l'Ordine dei monaci, con a capo il Buddha, di cibo scelto, vitale, sia solido che tenero, con le proprie mani soddisfacendoli fino a quando dissero: ""Grazie, basta!"". E fece anche riverire dal bambino il Beato e turno l'Ordine dei monaci. Allora il venerabile Sariputta disse a quel bambino: ""Ti trovi forse a tuo agio? Hai abbastanza da mangiare? Soffri di qualche dolore ?"". Al che il bimbo rispose: "" Come potrei, Sariputta, stare a mio agio? Come potrei avere abbastanza cibo? Io, che ho trascorso ben sette anni in una giara di sangue! (31)." "A questo punto Suppavasa, la figlia del re dei Koliya, [pensò]: "" Mio figlio sta conversando con il duce dell'esercito della Buona Legge (32)"". A questo [pensiero] essa si sentì compiaciuta, contenta, piena di gioia e di soddisfazione." "A questo punto il Beato disse a Suppavasa, la figlia del re dei Koliya: "" Ti piacerebbe, o Suppavasa, avere un altro simile figlio?"". [Lei rispose:] ""O Beato, mi piacerebbe aver sette altri simili figli! ""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, proferì in quella circostanza questo verso ispirato: "L'inessenziale sotto forma di essenziale, ciò che è spiacevole sotto forma di ciò che è piacevole, il dolore sotto forma di gioia travolgono colui che non è attento"" (33-33 a)" "9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava nei pressi di Savatthi, al parco orientale, nel palazzo a molti piani della Madre di Migara (34). In quello stesso tempo Visakha, la Madre di Migara, aveva a che fare con Pasenadi, il re del Kosala. Il re Pasenadi del Kosala, però, non condusse a conclusione quel tale affare secondo le intenzioni [di Visakha], così costei se ne venne ad un'ora importuna a fare visita al Beato, e, venendo da lui, lo salutò e si sedette in un canto. Una volta che si fu seduta, il Beato le disse: ""Ebbene, Visakha, come mai sei venuta ad un'ora fuori di tempo?"". ""Signore, avevo un affare con 44 Pasenadi, il re del Kosala, ma il re non ha condotto questo affare ad una conclusione""."

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A questo punto il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Doloroso è essere soggetto all'altrui volontà, piacevole è ogni dominio [su se stesso]. "Nell'aver [affari] in comune gli uomini si tormentano: è difficile sfuggire ai legami!""." "10. Così da me è stato udito. In una certa occasione, il Beato si trovava ad Anupiya, nella foresta degli alberi amba (mango). In quello stesso tempo il venerabile Bhaddiya, figlio dei Kaligodhas (35), usava rifugiarsi nella foresta, sedendosi su radici di alberi in luoghi solitari, ove di tanto in tanto profferiva questa esclamazione: ""Oh, la felicità! Oh, la felicità!""." Ora un gran numero di monaci aveva udito i versi di esaltazione frequentemente ripetuti dal venerabile Bhaddiya, che usava rifugiarsi nelle foreste "Udendo ciò, a loro venne di pensare: ""Non v'è dubbio che Bhaddiya, il figlio dei Kali godhas, pratica l'ascesi malcontento, ricordando come precedentemente godeva della beatitudine della regalità, vivendo nel suo palazzo. Quando gli capita di pensare a ciò, usando [ora] raccogliersi nei selvosi eremi, proferisce l'esclamazione:" " "" Oh, la felicità, oh, la felicità ! """". Così un gran numero di" monaci andò dal Beato e, giunti che essi furono, lo salutarono e sedettero in un canto. Una volta che furono seduti dissero: " ""O Beato, il venerabile Bhaddiya, figlio dei Kaligodhas....." " (eccetera) ""." "Allora il Beato chiamò un certo monaco: "" Vieni qui, monaco, convoca in nome mio Bhaddiya, il monaco, dicendogli: "" Signore, il Maestro desidera parlarti "" "". "" Così farò, Signore"", rispose il monaco al Beato, e si recò là dove si trovava il venerabile Bhaddiya, e, come fu giunto, gli disse: ""Signore, il Maestro desidera parlarti "". ""Molto bene, Signore"", disse Bhaddiya in risposta a quel monaco: andò dal Beato e, avvicinandoglisi, lo salutò, indi sedette in un canto." Quando si fu seduto, il Beato gli disse Ë vero che tu, o Bhaddiya, usando raccoglierti nella foresta esclami di " tanto in tanto "" Oh, la felicità, oh, la felicità! "" ?"". ""È vero," " o Signore !""." Ma, Bhaddiya, per quale motivo, tu, che hai l'abitudine di rifugiarti in selvoso eremo "esclami così ? "". ""Una volta," o Signore, quando godevo del benessere della regalità, nella condizione di padre di famiglia (36) erano poste guardie entro il mio palazzo, ed erano poste guardie fuori del mio palazzo. Così, o Signore, nonostante che fossi sorvegliato e protetto, io vi dimoravo timoroso, ansioso, tremante e pieno di paura. "Ma ora, o Signore, quando mi rifugio nella foresta, [siedo] sulle radici degli alberi in luoghi deserti, nonostante che io sia solo, sono senza paura, sicuro, fiducioso e non spaventato. Vivo a mio agio, senza

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soprassalti, di quello che gli altri mi danno, con lo spirito allo stato [naturale] come quello di qualche animale selvaggio. Questo è, o Signore, il motivo che mi induceva ad esclamare: "" Oh, la felicità, Oh, la felicità! "" ""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì, in quel momento, questo [verso di] Esaltazione: Colui nel quale non albergano moti di collera, che ha superato il divenire così e il non-divenire-così, costui, che ha sormontato ogni paura, felice, senza dolore, neppure gli dèi riescono a scorgerlo (= ad averlo in loro potere)! 45 CAPITOLO III NANDA l. Così da me è stato udito. In una certa occasione, il Beato se ne stava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. In quella particolare circostanza un monaco se ne stava seduto a breve distanza dal Beato, con le gambe incrociate (37) col corpo eretto, sopportando un dolore che era il frutto di una sua precedente esistenza, un dolore lacerante, tagliente ed amaro: ma egli se ne stava tutto raccolto in se stesso, composto e senza lamentarsi. Ed il Beato vide quel monaco così seduto e così intento sopportando il dolore, raccolto in sé, composto, senza lamentarsi. Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Per il monaco che ha lasciato dietro di sé ogni specie di karma, che ha scosso da sé la polvere precedentemente accumulata, "che sta saldo senza [ricoprire] "" io ' e "" mio"", per costui non v'è alcun senso a parlare della gente (= chiedere aiuto agli altri) ! ""." "2. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella occasione, il beato Nanda, germano del Beato, figlio dalla zia del Beato, si rivolse ad un gran numero di monaci, dicendo loro: ""Cari Signori, senza alcun piacere io pratico la castità. Io non posso sopportare la vita di asceta. Abbandonando la disciplina io ritorno in basso (= nel mondo) "". Allora un certo monaco andò dal" Beato e, quando gli fu seduto al fianco, gli ripeté le parole del venerabile Nanda. "Allora il Beato chiamò un monaco e gli disse: ""Vieni, monaco ! Convoca in nome mio il monaco Nanda, dicendogli: ""Nanda, caro amico, il Maestro ti convoca"" "". ""Sì, Signore "", rispose il monaco al Beato, ed andò (a ripetere il messaggio del Maestro a Nanda). "" Molto bene, caro amico ""," rispose Nanda, e venne dal Beato Quando si fu seduto in

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" un canto, il Beato gli disse: "" È vero, come mi hanno narrato, che tu, o Nanda, ti sei rivolto ad un gran numero di" " monaci, dicendo loro: ""Senza alcun piacere io pratico la" " castità, eccetera "" ? "". ""vero, Signore "". "" Ma come avviene," o Nanda, che tu non provi alcun piacere per la vita di asceta, " che non la puoi sopportare e vuoi ritornare in basso? "". "" Signore, quando lasciai la casa, una ragazza dei Sakya, la più" bella della regione, con i capelli mezzo pettinati, si voltò " guardandomi in tralice e mi disse: "" Possa tu tornare presto," " Giovane Signore!"". Signore, poiché sto sempre pensando a" questo, non provo alcun diletto per la castità, né posso più " sopportare la vita di asceta, [perciò] lascerò la disciplina e tornerò in basso"". Allora il Beato, prendendo il venerabile" Nanda per il braccio, proprio [nello stesso tempo in cui] un uomo forte può stendere il suo braccio piegato o piegarlo se lo ha disteso, proprio così il Beato sparì dal bosco Jeta e comparve in mezzo ai trentatré dèi (38). "Ora, in quel momento apparve un numero di circa cinquecento Apsaras (39) dette ""Pié di colomba"" per servire il Sakya, signore degli dèi. Allora il Beato disse al venerabile Nanda: ""Nanda, vedi queste 46 cinquecento ninfe, dette "" Pié di colomba""?"". "" Sì, Signore "". "" [Dimmi] ora, Nanda, che pensi ? Chi è più bello, più degno di essere guardato, più affascinante, la ragazza dei Sakya, la più bella della regione, o queste cinquecento Apsaras dette ""Pié di colomba""?"". ""O Signore, proprio come se lei fosse una scimmia mutilata, con le orecchie ed il naso mozzi, proprio così, o Signore, la ragazza dei Sakya, vicino a queste cinquecento Apsaras dette "" Pié di colomba "", non vale una frazione di loro, non può essere comparata con loro. Poiché queste cinquecento Apsaras sono di gran lunga più belle, molto più degne a vedersi, molto più affascinanti!""." "Fatto ciò il Beato, prendendo per il braccio il venerabile Nanda, proprio [nel tempo in cui] un uomo forte può stendere un braccio piegato o piegare un braccio disteso, proprio così si dileguò dal paradiso dei trentatré Deva e riapparve nel bosco Jeta. E corse la voce fra i monaci: "" Si dice che il venerabile Nanda, germano del Beato, il figlio della zia del Beato, conduca vita di austera ascesi per via delle Apsaras. Si dice che il Beato gli ha assicurato che potrà provvedersi di cinquecento Apsaras dette "" Pié di colomba "" "". Al]ora i monaci che erano compagni di Nanda presero a chiamarlo "" mercenario"" e ""domestico"", dicendo: ""un

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mercenario è certamente il venerabile Nanda. Un domestico è certamente il venerabile Nanda Egli pratica la castità in vista delle Apsaras. Si dice che il Beato sia garante al venerabile Nanda per la conquista di cinquecento Apsaras dette "" Pié di colomba """". Quindi il venerabile Nanda, sentendosi così infastidito, umiliato e di! sprezzato, da quando era stato chiamato ""mercenario"" e ""domestico"" dai suoi compagni, essendo andato a vivere solitario, remoto, attento, energico, distaccato, avendo rafforzato, e stesso, in breve tempo, pur stando in questo mondo realizzò lui stesso, con piena comprensione, il motivo per cui il figlio di nobile famiglia giustamente abbandona la casa per la vita errante, ed anche quell'insuperabile mèta della vita di ascesi, così intuendo: ""Distrutta è la nascitas, vissuta è la vita, compiuto è ciò che si doveva fare, non vi è più da essere qui"". Così il venerabile Nanda divenne uno degli Arhat." "Allora una certa devata, quando la notte si stava dileguando, illuminando tutto il bosco Jeta con splendore abbagliante, venne a vedere il Beato e, venendo da lui, lo salutò e restò ritta in un canto. Così stando, quella devata disse al Beato: ""Signore, il venerabile Nanda, il germano del Beato e figlio di sua zia, col porre fine all'attaccamento, egli, Beato, pur [stando] in questo mondo, ma comprendendolo pienamente così la visione interiore, ha inverato ed ha conquistato il non-attaccamento, la liberazione dello spirito, la liberazione che è propria alla Gnosi, e così si dimora""." Allora nel Beato apparve la conoscenza [che così era] e quando, alla fine della notte, il venerabile Nandavenne al Beato "e gli disse questo: ""Signore, per quanto riguarda" "la garanzia datami dal Beato circa la conquista delle cinquecento Apsaras dette "" Pié di colomba "", io lascio libero il Beato" "da tale promessa"". o Io pure, Nanda, afferrando il tuo pensiero col mio proprio, ho visto [che è così]. In ogni caso, una" "devata mi ha informato, dicendo: ""Signore, il venerabile" Nanda Avendo posto fine all'attaccamento ha conquistato la liberazione dello spirito "e così si dimora"". Ma da" quando, o Nanda, il tuo spirito è libero per il fatto che non "più si afferra ai vincoli, anche io sono libero dalla promessa"". Al che il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato:" a Colui dal quale è stata attraversato la palude, dal quale è stata distrutta la spina della brama, "che è giunto all'annientamento dell'illusione, questo monaco non è più scosso da felicità e dolore!""."

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"3. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, un numero di quasi cinquecento monaci, guidati da Yasaja (40), era giunto a Savatthi per vedere il Beato. I monaci che stavano arrivando, per il fatto che salutavano i monaci là residenti, si informavano di dove potevano alloggiare, consegnavano le scodelle e le 47 vesti, provocavano un grande rumore e frastuono. Fu così che il Beato chiamò il venerabile Ananda e gli disse: ""Che cosa è, o Ananda, tutto questo frastuono e rumore, si direbbe che vi siano pescatori intenti ad acchiappare pesce!"". ""Signore, sono questi cinquecento monaci, guidati da Yasoja, proprio ora arrivati a Savatthi per vedere il Beato. Sono costoro che, una volta arrivati" "hanno cagionato tanto rumore e frastuono"". ""Allora, Ananda, vai tu a nome mio e di' a quei monaci: "" Il Maestro chiama i Reverendi """". ""Molto" "bene, Signore"", rispose il venerabile Ananda al Beato (andò" "e fece così come gli era stato ordinato). "" Molto bene, Signore"", dissero quei monaci al venerabile Ananda, andarono" dal Beato e, ivi giunti, lo salutarono e sedettero da un lato. Quando si furono seduti, il Beato indirizzò le seguenti parole "ai monaci: ""Monaci, che cosa significa tutto questo gran rumore e frastuono? Si direbbe che vi siano pescatori intenti" "ad acchiappare pesce !""." A queste parole il venerabile Yasoja rispose al Beato: "Signore, questi cinquecento monaci sono giunti proprio ora a Savatthi per vedere il Beato. Questi nuovi arrivati, nel salutare i monaci residenti, chiedere dove fosse il loro alloggio e consegnare scodelle e vesti, hanno provocato tale rumore e frastuono. ""Andate, monaci, io vi congedo, voi non meritate di abitare con me! "" o Così sia, Signore! o, risposero quei monaci al Beato; si alzarono, lo salutarono girandogli attorno verso destra, misero in ordine i loro alloggiamenti, presero ciotole e vesti e se ne andarono via per la questua presso i Vajji (41). Finita la loro questua sul posto, se ne andarono al fiume Vaggumuda. Sulla sponda di questo fiume costruirono capanne di foglie e si disposero a trascorrere la stagione delle piogge. Or'ecco che il venerabile Yasoja, iniziata la stagione delle piogge, si rivolse ai monaci in questi termini: ""Venerabili amici, noi siamo stati congedati dal Beato per il nostro stesso bene, per compassione di noi, perché egli provò

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compassione di noi. Venite dunque, venerabili amici, dimoriamo qui in modo tale che il Beato si rallegri della maniera in cui ci comportiamo "". ""Così sarà, venerabile! "", risposero i monaci al venerabile Yasoja. Di conseguenza quei monaci, vivendo remoti dalla società, ardenti di ascesi, interiormente saldi, nello spazio della stagione delle piogge inverarono tutta la triplice conoscenza (42)." "Nel frattempo il Beato, dopo essere restato quanto gli piacque in Savatthi, iniziò il suo giro per Vesali e, più tardi, durante i propri giri, raggiunse Vesali Quindi il Beato prese dimora a Vesali, nel Grande Bosco, presso la Sala dal Tetto a Pinnacolo. Allora il Beato, afferrando col suo pensiero i pensieri di quei monaci che vivevano sui banchi in riva al fiume Vaggumuda, prestando attenzione a questo, chiamò il venerabile Ananda. a Ananda "", disse, ""quel quadrante del cielo mi sembra sia come illuminato. Tutto irraggiante mi sembra, Ananda, quel quadrante del cielo. Mi è gradito andare e pensare a quella zona ove, in riva al fiume Vaggumuda, quei monaci risiedono. Ananda, manda un messaggero a quei monaci, dicendo: "" Il Maestro chiama i reverendi. Il Maestro è desideroso di vedere le Vostre Signorie"" "". ""Così sia, signore"", rispose il venerabile Ananda al Beato: andò da un certo monaco e, giunto che fu presso di lui, gli disse: ""Vieni, caro amico! Va' dove quei monaci risiedono, sulla riva del fiume Vaggumuda e, giunto che vi sarai, di' loro: "" Il Maestro chiama le Vostre Signorie. Il Maestro è desideroso di vedere le Vostre Signorie "" "". ""Così sia, Signore"", rispose il monaco al venerabile Ananda, e, proprio [nel tempo che impiegherebbe] un uomo forte per stendere un braccio piegato o per piegare un braccio disteso, proprio così egli sparì dalla Sala del Tetto a Pinnacolo per riapparire di fronte a quei monaci sulla riva del fiume Vaggumuda (" ai quali trasmise il messaggio "). ""Molto bene, caro amico "", risposero quei monaci, e, dopo aver rassettato i loro alloggiamenti," prese la ciotola e le vesti, proprio [nel tempo che impiegherebbe] un uomo forte per stendere un braccio piegato...... proprio così essi sparirono dalla riva del fiume Vaggumuda per riapparire al Gran Bosco nella Sala dal Tetto a Pinnacolo, 48 faccia a faccia di fronte al Beato. In quel momento il Beato era seduto, sprofondato in uno stato di estatica meditazione, "di là [dal mondo delle forme]. Allora quei monaci considerarono: "" In che condizione si trova ora a risiedere il Beato ? ""." Quindi quei monaci conclusero che il Beato era sprofondato in estatica meditazione ed essi anche, tutti assieme, sederono

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rapiti in estatica meditazione. "Il venerabile Ananda, quando la notte era già scesa e la prima vigilia stava trascorrendo, rialzata la tunica su una spalla (43), congiunse le mani in gesto di venerazione e disse al Beato: ""Signore, la notte è ormai discesa, la prima vigilia sta trascorrendo. I monaci nuovamente arrivati sono seduti da lungo tempo. Signore, può il Beato scambiare i saluti con i monaci nuovamente arrivati?"". A queste parole il Beato rimase in silenzio." Indi, quando la notte era calata ancora di pi¢ e la seconda vigilia stava trascorrendo, il venerabile Ananda si alzò dal suo "sedile e (ripeté le stesse parole, aggiungendo): """ Signore, "la notte trascorre, la seconda vigilia sta per finire"". E, per la" seconda volta, il Beato rimase in silenzio. Indi ancora, quando la notte era tutta trascorsa e la terza vigilia stava finendo, mentre appariva già l'aurora e la notte rivestiva il volto di gioia (= dell'alba), il venerabile Ananda, alzandosi dal suo sedile "disse al Beato: "" Signore, la notte" è trascorsa, l'ultima vigilia sta finendo, l'aurora si annuncia, la notte riveste il volto di gioia, i monaci nuovamente arrivati "sono restati seduti da lungo tempo; voglia il Beato scambiare" "i saluti con loro "". Allora il Beato si riprese da quella meditazione estatica e disse al venerabile Ananda: "" Se tu in verità" sapessi o Ananda, non ti sarebbe occorso di chiedere tante volte (44). 0 Ananda, sia io che questi cinquecento monaci "siamo tutti restati seduti in estatica meditazione "". Quindi il" Beato, intuendo il significato di ciò, profferì, in quel momento, questo verso ispirato: Colui nel quale la spina della brama è stata vinta, come anche ingiuria, ferita e prigionia, che come una montagna sta, imperturbabile, questo monaco non è scosso da felicità e sventura. 4. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato se ne stava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, il venerabile Sariputta stava seduto a gambe incrociate non lungi dal Beato, tenendo il corpo diritto, avendo fissa dinanzi a sé la consapevolezza [di se stesso] (45). Il Beato vide il venerabile Sariputta che così faceva e, in quel momento, intuendo il significato di ciò, profferì il verso ispirato: Come una rupe montana si erge, incommovibile, ben fondata, così è il monaco, in cui l'illusione e stata annientata: come una "montagna non si scuote""." 5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella stessa circostanza il venerabile Maha-Mogallana era assiso, non lungi dal

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Beato, Con le gambe incrociate, tenendo il Corpo eretto. Con la consapevolezza riguardante il proprio Corpo 46 ben stabilita in. se medesimo. Il Beato vide il venerabile Maha-Mogallana assiso non lungi da sé ed allo stesso tempo, intuendo il significato di ciò, profferì questo Verso ispirato: 49 Allorché la consapevolezza riguardante il proprio corpo è ben "stabilita, ben controllate sono le sei sfere dei sensi (47), sempre ben composto, il monaco [avrà potuto] conoscere il proprio nibbana""." "6. In Una Certa occasione il Beato si trovava presso Rajagaha, nel Bosco di Bambù, nella Radura ove si nutrono gli Scoiattoli. Ora, proprio in quel tempo il venerabile Pilindavaccha aveva preso l'abitudine di rivolgere ai monaci l'appellativo di ""servi"" (48). Allora un gran numero di monaci....." venne dal Beato e, dopo averlo salutato, sedé e gli disse: Signore, il venerabile Pilindavaccha si avvicina ai monaci, "chiamandoli "" servi """". Al che il Beato chiamò un certo" "monaco, dicendogli: ""Vieni, monaco! Di' a nome mio al monaco Pilindavaccha: "" Caro Signore, il Maestro vi chiama """"." Così sia, Signore, rispose il monaco al Beato, se ne andò "e così fece. "" Molto bene, signore "", rispose il venerabile Pilindavaccha a quel monaco, e si recò dal Beato. Una" volta giunto, dopo aver salutato il Beato, sedette in un canto "e, avendolo salutato, il Beato così gli disse: ""È vero, Vaccha (49), come raccontano, che tu ti avvicini ai monaci, chiamandoli ""servi "" ? "". ""Così è, Signore "". Allora il Beato, avendo rivolto la sua attenzione alle precedenti esistenze di" "Pilindavaccha, disse ai monaci: "" Non siate irritati col monaco Vaccha. Non è per un senso interiore di disprezzo che" "Vaccha chiama i monaci "" servi "". Monaci, lungo la successione di cinquecento esistenze, Vaccha rinacque in una famiglia di casta brahmana. L'uso del termine "" servi "" gli si" è radicato per lunga abitudine. Questa è la ragione per cui "Vaccha dirige ai monaci il termine "" servo"" ""." Allora il Beato, intuendo il senso di ciò, proferì in quel momento questo verso ispirato: Colui nel quale non risiedono né illusione né orgoglio, che ha distrutto la cupidigia ed ha superato il senso di sé, in cui la collera è setta rigettata, questi è un asceta, questi è un "brahmana, questi è un monaco!""." "7. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Rajagaha, nel Bosco di Bambù, nella Radura in cui si nutrono gli Scoiattoli. Ora, in quella circostanza, il venerabile Maha-Kassapa si era

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ritirato nella Grotta del Fico, ove, per sette giorni, era rimasto assiso in una particolare postura. Ivi, raggiunto un determinato grado di meditazione, gli occorse di pensare: ""Se io adesso entrassi in Rajagaha per la questua, in tale occasione qualcosa come cinquecento deità sarebbero intente a raccogliere cibo elemosinato per il venerabile Maha-Kassapa "". Quindi il venerabile Maha-Kassapa, apprestatosi per la sua uscita mattutina, indossata la veste e presa la ciotola, entrò in Rajagaha per la questua." "Ora in quel tempo Sakka (50), signore degli dèi, desiderava procurare cibo elemosinato al venerabile Maha- Kassapa. Quindi prese l'aspetto di un tessitore che volgeva il filo [sulla rocca], mentre Suja, la figlia degli Asura (51), riempiva la spola. Ora il venerabile Maha-Kassapa, mentre andava girando di casa in casa, venne all'abitazione di Sakka, il signore degli dèi. E Sakka, il signore degli dèi, scorse da lontano Maha-Kassapa, mentre si avvicinava. Alla sua vista venne fuori di casa per incontrarlo, gli tolse di mano la ciotola, entrò in casa, prese dalla pentola riso con cui riempì la ciotola, che restituì a Maha-Kassapa. Questo cibo era condito 50 con diversi sughi, varie salse, misto di diversi intingoli, profumi e condimenti. Allora a Maha-Kassapa occorse di pensare: ""Mi immagino chi sia questa persona, che ha un simile potere magico "". Indi pensò: ""Deve essere Sakka, il signore degli dèi "". Sicuro di ciò disse a Sakka, il signore degli dèi:" "Questa è una tua azione, Kosiyas (52) ! Non la fare più!""." "Ma, venerabile Kassapa, anche noi abbiamo bisogno di [compiere] azioni meritevoli, anche noi dobbiamo operare meritevolmente! "". Indi Sakka, il signore degli dèi, salutando Maha-Kassapa gli girò attorno verso destra e, salendo in cielo, fece risuonare tre volte l'atmosfera con questo verso ispirato: "" Oh, il sublime dei doni, il dono è stato ben conferito a Kassapa! "". A questo punto il Beato, mediante il suo udito divino, purificato, e che oltrepassa [le possibilità di]" quello degli uomini, udì le parole di Sakka, signore degli dèi, e quindi, intuendo il significato di ciò, proferì, in quel momento, il verso ispirato: Il monaco che questua il cibo, che sostiene se stesso, che altri non nutre, un siffatto uomo, interiormente pacificato e consapevole, anche gli dèi lo invidiano!. "8. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, ai monaci, seduti assieme nell'àmbito dell'albero kereri, essendo ritornati dalla questua ed avendo consumato il pasto, capitò di fare questo discorso: ""Cari Signori, il

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monaco che gira per la questua, di tanto in tanto, ha l'occasione di vedere forme gradevoli all'occhio, di udire suoni gradevoli all'orecchio, di fiutare odori gradevoli al naso, di gustare sapori gradevoli alla lingua, di toccare oggetti gradevoli al tatto. Cari Signori, il monaco questuante è riverito, onorato, considerato, venerato e rispettato, allorché va in giro questuando cibo. Or dunque, Signori, anche noi andremo a questuare cibo, sicché di tempo in tempo ci capiterà l'occasione di vedere forme gradevoli" all'occhio, di udire , di fiutare , di gustare , di toccare , allorché percepiremo oggetti gradevoli all'occhio, all'orecchio, al naso, alla lingua ed al tatto. Anche noi saremo riveriti, onorati, considerati ", allorché andremo in giro questuando cibo""." Questa chiacchiera non era ancora finita, quando il Beato, al tramonto, lasciando il suo ritiro, venne verso il padiglione "dell'albero kareri e, giuntovi, sedette su un sedile apprestatogli. Nel sedersi chiese ai suoi monaci: ""Ditemi, monaci," in quale discorso vi stavate intrattenendo mentre eravate seduti assieme, e quale è la conversazione che non avete ancora "finito?"". ""Quando ci siamo seduti assieme, o Signore, ci" "capitò di fare questo discorso: ""Il monaco questuante, di" tanto in tanto, ha l'occasione di vedere forme gradevoli all'occhio, di udire suoni gradevoli all'orecchio egli è riverito, Onorato, considerato, venerato e rispettato, allorché va in giro questuando cibo Anche noi saremo riveriti .allorché andremo attorno questuando cibo . Tale era, o Signore, la conversazione che non avevamo finito, allorché è arrivato il "Beato "". "" Monaci, non mi sembra degno di voi, che siete" Figli di Famiglia, che per fede avete abbandonato la vita di casa per andare errando, di chiacchierare su di un argomento simile. Monaci, quando sedete qua radunati, una delle due si "deve fare: ""conversare riguardo alla Buona Legge o praticare" "il Silenzio Ariol""." A quel punto il Beato, intuendo il significato di ciò, proferì in quel momento questo verso ispirato: 51 Il monaco che questua Cibo, che sostiene se stesso, che altri non nutre, un siffatto uomo gli dèi invidiano, non se questi agisce per lode "o per fama!""." 9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava a Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella occasione, un gran numero di monaci si erano seduti assieme .(come nella narrazione precedente) "e capitò loro di fare il seguente discorso: ""Signore," chi conosce un'arte? Chi è stato addestrato in un'arte? Quale

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"è la migliore fra le arti?"". Qualcuno disse: "" L'arte di [addestrare] elefanti è la migliore delle arti"". Altri disse: ""L'arte" di [addestrare] cavalli ". Altri disse: L'arte di [guidare] carri è la migliore delle arti"". Altri disse: ""L'arte di" "tirar d'arco è la migliore delle arti"". Altri disse: ."" La" "scherma..."". Altri: ""L'arte delle muasra (53)" . Altri disse: "L'arte del computo . Altri: ""L'arte del calcolo (54)...""." "Altri: ""L'arte dell'incisione.... Altri: "" L'arte della poesia. Altri: ""L'arte di interpretare le cause (= filosofia" naturale) . Altri invece dissero che la massima fra le arti è quella dello statista. Tale era la discussione che casualmente era sorta fra i monaci, che non era giunta a conclusione. Ora il Beato, abbandonato il suo ritiro, verso sera, giunse colà e sedette su un sedile che gli era stato preparato. Una "volta seduto, chiese a quei monaci: ""Vi prego, monaci, su" quale argomento eravate impegnati a discorrere, qui seduti in "radunanza, e quale era la conversazione casuale lasciata in sospeso?"". (Ed essi gli narrarono l'oggetto della loro conversazione). Allora disse il Beato: "" Monaci, è disdicevole per" voi impegnarvi in simile conversazione. Monaci, quando sedete qui raduna, una delle due cose deve essere compiuta, o "conversare su argomenti riguardanti la Buona Legge, o praticare il Silenzio Ario ""." A tale proposito il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quella circostanza le parole ispirate: Colui che vive non per la sua arte, celato, intento all'oggetto, coi sensi domi, in ogni senso liberato, senza casa, senza egoismo, libero da speranza, avendo ucciso Mara, "quel monaco procede solo""." 10. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava ad Uruvela, sulle sponde del fiume Neranjara, avendo da poco consecutio l'illuminazione Suprema ai piedi dell'albero della Bodhi. Ora in quella circostanza il Beato rimase assiso per sette giorni nella medesima posizione, sperimentando la Beatitudine conseguente alla Liberazione. Allora il Beato, alla fine di quei sette giorni, uscendo da quello stato di meditazione estatica, contemplò il mondo con l'occhio del Risvegliato e scorse quanti esseri erano torturati da differenti tormenti e diversamente ardevano per brama, avversione ed ottundimento mentale. Allora il Beato, intuendo il significato di tutto ciò, proferì in quel momento le parole ispirate: Questo mondo, avvampato, mandato in perdizione dal contatto (= dal sentire), innalza il suo lamento. Ciò per cui uno si considera, proprio per questo diventa un altro (55). Diventare altro è iniziare ad esistere e la gente e caduta nel [ciclo dell'esistenza pur si compiace di esistere! Per il fatto stesso che vi si compiace, [ivi nasce] timore: e ciò per cui teme, questo è Dolore.

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Mediante il totale abbandono del Divenire (= esistere, bhava) 50, si vive nella condizione del Brahman (Brahmacariya). 52 Quei monaci, o brahmona, i quali hanno detto che mediante il divenire si giunge alla liberazione del divenire, tutti costoro io dichiaroýsono non-liberati dal divenire. Ma tutti quei monaci, o brahmana, i quali hanno detto che, interrompendo [il flusso del] divenire, si consegue un rifugio dal divenire, costoroýio dichiaroýnon sono liberi dal divenire. "No! È in seguito al substrato (57) che il Male viene ad essere; mediante la distruzione di tutti gli attaccamenti (upadana) non vi è più produzione di Dolore." Contempla questo mondo così vario: rovinati dalla Nescienza gli esseri, che si rallegrano di esistere, non raggiungono la Liberazione. Poiché, invero, tutte le esistenze, quali che siano e comunque siano, tutte le condizioni di esistenza sono impermanenti, dolorose e costituite da incessante mutamento. Colui che ha visto le cose come sono in realtà, mediante la retta conoscenza, abbandona la sete di esistere: egli si rallegra del fatto che la sete sia stata uccisa. L'Estinzione, però, è la distruzione di tutte le seti ed è la cessazione senza residui di ogni passione. "Per quell'asceta che si sia ""estinto"" non vi è più attaccamento," non esiste più rinascita. Sopraffatto è Mara. Egli (= l'asceta) ha vinto il combattimento. "Così egli è, avendo abbandonato ogni forma di esistere!""." CAPITOLO IV MEGHIYA "1. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava a Calika, sulla collina di Calika. Ora, in quella occasione, il venerabile Meghiya (58) si trovava al servizio del Beato. Quindi il venerabile Meghiya venne dal Beato e, venuto da Lui, lo salutò e rimase in piedi in un canto. Mentre così stava chiese al Beato: ""Signore, io desidero andare al villaggio Jantu per la questua "". ""Fa' quello che ti sembra il tempo adatto di fare, o Meghiya! "" Pertanto il venerabile Meghiya, apprestatosi alla sua uscita mattutina, indossato l'abito e presa la ciotola, entrò nel villaggio Jantu per la questua del cibo. Finita la questua e consumato il cibo se ne venne verso la riva del fiume Kimikala e, mentre si sgranchiva le gambe camminando avanti e indietro, vide un piacevole e delizioso boschetto di manghi." "Quella vista lo indusse a pensare: ""Veramente piacevole e delizioso è questo boschetto di manghi! Per un Figlio di Famiglia che voglia esercitarsi, questo è proprio adatto ad allenarsi alla concentrazione. Se il Beato mi dà licenza verrò in questo boschetto di manghi per esercitarmi "". Quindi il" venerabile Meghiya andò dal Beato e, sedutosi in un canto,

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gli narrò [del luogo che aveva trovato] e gli disse: Se il Beato me lo permette, andrei a quel boschetto di "manghi per esercitarmi"". A queste parole, il Beato disse al venerabile Meghiya: ""Attendi un poco, Meghiya, io sono solo fintanto che non arrivi un altro monaco "" (59)." "Più tardi il venerabile Meghiya disse per la seconda volta al Beato: "" Signore, il Beato non ha da compiere più nulla che debba essere compiuto, non ha più nulla da aggiungere a ciò che ha già fatto. Ma per me, o Signore, vi è ancora di più da compiere di ciò che deve essere compiuto, vi è ancora da aggiungere a ciò che ho già fatto. Se il Beato mi dà licenza, andrei a quel bosco di manghi per esercitarmi [alla concentrazione]"". Ancora, per seconda volta, il Beato rispose al venerabile Meghiya: "" Aspetta un po', Meghiya. Io sono solo, intanto che non arrivi un altro monaco ""." "Più tardi, per terza volta, il venerabile Meghiya presentò la sua richiesta ed il Beato gli rispose: "" Bene, 53 Meghiya, che possiamo noi dire ad un Meghiya che ci parla di esercitarsi nella concentrazione. Fa' ciò che ti sembra opportuno compiere in questo tempo! "". A queste parole il venerabile Meghiya si alzò dal luogo ove era assiso, salutò il Beato girandogli attorno verso destra e se ne andò al bosco di manghi; giuntovi, vi penetrò e sedette per il riposo meridiano ai piedi di un certo albero. Ora, mentre il venerabile Meghiya se ne stava in quel boschetto di manghi, soverchiarono [la sua mente] tre formo di pensiero cattive e malefiche, cioè pensieri concupiscenti, pensieri di odio, pensieri di uccisione. Allora il venerabile Meghiya così rifletté: ""È strano davvero, è stupefacente davvero che proprio io, che pieno di fede lasciai la casa per la vita errante, venga così assalito da tre forme di pensiero, cattive e malefiche, cioè pensieri concupiscenti, pensieri di odio, pensieri di uccisione!"". Così, venuta la sera, si alzò dal suo eremo ed andò dal Beato. Giunto che fu dal Beato lo salutò e, avendolo salutato, si sedette in un canto e gli disse: ""Signore, mentre me ne stavo nel boschetto di manghi sono stato assalito da tre forme di pensiero, cattive e malefiche" Allora, o Signore, ho riflettuto: è strano davvero, è stupefacente davvero, che io venga così assalito "!"". ""O Meghiya, cinque sono gli elementi che ostacolano la maturazione di un cuore (= dello spirito), allorché questo non è ancora maturo!" "1) Qui, o Meghiya, il monaco è [circondato da] buona amicizia, buona dimestichezza, buona confidenza. Questo è il primo elemento che conduce un cuore non ancora maturo alla maturazione. 2) Oltre a ciò,

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Meghiya, il monaco pratica le virtù (sila), dimora raffrenato mediante l'obbedienza ai precetti (60), è perfetto nella pratica della giusta condotta, considera temibili le mancanze più lievi, e intraprende ad allenarsi nelle diverse forme di ascesi. Quando il cuore non è ancora maturo, o Meghiya, questo è il secondo elemento che conduce alla sua maturazione. 3) Inoltre, o Meghiya, il monaco pratica la conversazione con piacere, senza pena e senza limite, soltanto in quanto purifica ed è adatta ad aprire il cuore [all'autoanalisi] e conduce alla revulsione [degli ostacoli], al distacco, alla calma, alla quiete, alla perfetta intuizione, all'estinzione, cioè, la conversazione riguardante l'aver necessità di poco, l'essere contento del proprio stato, lo stato solitario, l'essere schivi della società, il porre in atto virile energia. Quando il cuore non è ancora maturo, questo, o Meghiya, è il terzo elemento che conduce alla sua maturazione. 4) Inoltre ancora, o Meghiya, il monaco permane risoluto nell'operare, nell'abbandonare le cose non benefiche e nell'acquistarsi quelle benefiche; è forte e costante nello sforzo e non scarica il fardello quando si tratta [di intraprendere] azioni meritorie. Quando il cuore non è ancora maturo, questo, o Meghiya, è il quarto elemento che conduce alla sua maturazione. 5) Oltre a ciò, o Meghiya, il monaco possiede la gnosi (61), quella gnosi che gli permette di intuire lo sviluppo e la decadenza [degli elementi della realtà], con la penetrazione arya, che fa discernere la fine del Male. Quando il cuore non è ancora maturo, o Meghiya, questo è il quinto elemento che conduce alla sua maturazione." Ora, Meghiya, questo deve essere atteso da un monaco che ha buona amicizia, buona dimestichezza, buona confidenza - cioè, che egli praticherà virtù, dimorerà raffrenato mediante l'obbedienza ai precetti, sarà perfetto nella pratica della giusta condotta, considererà temibili le mancanze più lievi, si allenerà nelle diverse forme di ascesi. Questo, o Meghiya, deve essere atteso da un monaco che pratica virtù...... cioè, che egli praticherà con piacere la conversazione soltanto in quanto purifica ed è adatta ad aprire il cuore, a condurre alla revulsione, al distacco, alla calma, alla perfetta gnosi, all'estinzione Questo, o Meghiya, deve essere atteso dal monaco che pratica con piacere la conversazione soltanto in quanto purifica , cioè che permarrà risoluto nell'operare, nell'abbandonare le cose non benefiche e nell'acquistarsi quelle benefiche, che sarà forte e costante nello sforzo e non scaricherà il fardello quando si tratterà di intraprendere azioni meritorie (62). Questo, o Meghiya, sarà atteso dal monaco che

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permarrà risoluto nell'operare , cioè, che possiederà la gnosi, quella gnosi che gli permetterà di intuire lo sviluppo e la decadenza [degli elementi della realtà], con la penetrazione 54 arya che fa discernere la fine del Dolore. "Inoltre, o Meghiya, il monaco che ha ben stabilito se stesso, in queste cinque condizioni, da costui altri quattro elementi devono essere sviluppati: il senso di disgusto deve venir sviluppato per giungere all'abbandono della concupiscenza; l'amorevolezza deve venir sviluppata per giungere all'abbandono dell'avversione [per il prossimo]; la consapevolezza nell'inspirare e nell'espirare (anapana-sati) deve venir sviluppata per giungere alla soppressione del pensiero discorsivo (viitakka); la coscienza dell'impermanenza deve venire sviluppata per giungere allo sradicamento dell'egoismo. In chi e cosciente dell'impermanenza, o Meghiya, si stabilisce la coscienza di ciò che non è il Sé. Chi è cosciente di ciò che non Ë il Sé conquista l'annientamento della vanità dell'egoismo (63) in questa stessa vita, cioè conquista l'Estinzione (nibbana)"", A questo punto il Beato, intuendo questo significato, profferì in quel momento queste parole ispirate:" "Piccoli, sottili pensieri, prendendo forma, rendono il mentale elato (54); coloro che ciò non sanno, con lo spirito vagante, errano mentalmente qua e là; coloro che ciò sanno, ardenti di ascesi e consapevoli, domano il mentale nel pensiero; superata l'elazione della mente, il Risvegliato abbandona questi pensieri e nulla più rimane! ." 2. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Kusinara, ad Upavattana, nel bosco di alberi sala. In quella circostanza una turba di monaci abitava in capanne nella foresta, non lontano dal Beato, superbi, insolenti, incostanti, maldicenti, ciarloni, privi di controllo, scomposti, dalla mente non raccolta, dai sensi non raffrenati. Ora il Beato, vedendo quei monaci che erano di tale specie, viventi non lungi da lui, ed intuendo il significato di ciò, profferì, in quel momento, le parole ispirate: Col corpo (= mente) non custodito, dedito a false teorie, dominato da indolenza e torpore, si soccombe al potere di Mara. Perciò il monaco che agisce seguendo giuste vedute, che ha conosciuto crescita e decadenza, superati indolenza e torpore, abbandona tutte le cattive vie!. 3. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato compiva il suo giro in mezzo alle genti del Kosala, seguito da gran numero di monaci. In quella occasione il Beato, uscito dalla via maestra, andò verso la radice di un certo albero, ove sedette su un sedile che gli era stato preparato.

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"Poco dopo un certo vaccaro giunse presso il Beato, lo salutò e sedette [presso di lui] ad un lato. Una volta che fu seduto, il Beato istruì, incitò, infiammò e rallegrò quel vaccaro con conversazione attinente alla Buona Legge. Ed il vaccaro, così istruito, incitato, infiammato e rallegrato dal Beato, gli disse: ""Signore, voglia il Beato accettare da me il pasto di domani assieme all'Ordine dei monaci o. Ed il Beato accettò tacendo. Quindi il vaccaro, vedendo l'assenso del Beato, si alzò, lo salutò girandogli attorno verso destra e se ne andò. Poi, quando fu trascorsa la notte, quel vaccaro preparò nella sua casa una buona quantità di latte-e-riso con poca acqua (= sostanzioso) e burro fresco fuso: indi annunciò il tempo al Beato, dicendogli: "" Signore, il riso è cotto "". Così il Beato, apprestatosi ad uscire nel mattino, presa la ciotola ed indossata la veste, andò con tutto l'Ordine dei monaci alla casa di quel vaccaro, ove, giunto, si sedé in un posto preparatogli. Allora quel vaccaro, con le sue stesse mani, soddisfece e nutrì fino alla sazietà l'Ordine dei monaci, a cominciare dal Beato, con latte e riso ben sostanzioso e burro fresco fuso. E quel vaccaro, vedendo che il Beato aveva mangiato a sazietà ed aveva lavato sia la ciotola che le mani, prendendo un basso sedile gli si sedette accanto. Quando si fu seduto così il Beato lo istruì, lo incitò, lo infiammò e lo rallegrò con la sua conversazione attinente alla Buona Legge. Indi si alzò ed andò via. Non molto tempo dopo che il Beato se ne fu andato un certo uomo uccise il vaccaro nelle vicinanze del villaggio ""(65)." "Ed i monaci, in gran numero accorsi presso il Beato.... e gli dissero: ""Signore, dicono che il vaccaro dal quale l'Ordine dei monaci, con a capo il Beato, è stato proprio oggi soddisfatto e totalmente nutrito con le sue stesse mani" è stato 55 "ucciso da un certo uomo nelle vicinanze del villaggio"". Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel" momento le parole ispirate: Qualunque male possa fare un nemico ad un nemico o l'odio "a chi odia, male molto maggiore viene compiuto dalla mente mal diretta""." 4. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava a Rajagaha, nel Bosco di Bambù, presso la Radura ove si nutrono gli Scoiattoli. In quella circostanza i venerabili Sariputta e Maha-Mogallana vivevano nella Grotta dei Piccioni, ed il venerabile Sariputta, in una notte illuminata dalla luna, proprio quando si era rasato i capelli, sedeva [in raccoglimento], avendo conquistato l'accesso ad un certo grado di meditazione estatica.

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"Proprio allora si trovavano a passare per quelle parti due yakkha (66) amici, i quali viaggiavano dal nord verso il sud per qualche cosa che avevano da fare. Alla vista del venerabile Sariputta così assiso, l'uno disse all'altro: ""Mi viene in mente di dare a quel monaco un colpo in testa"". A queste parole l'altro yakkha rispose: ""Guardatene, amico, un asceta è un essere elevato, di grande potere [magico] e di grande maestà! 1). Indi il primo yakkha ripeté le medesime parole" e l'amico di nuovo lo dissuase Così pure una terza volta allora quello yakkha, non tenendo conto del consiglio dell'altro, diede un colpo in testa al venerabile Sariputta. Così forte fu il colpo, che avrebbe potuto abbattere un elefante alto da sette a otto cubiti, e spaccato la cima di una montagna. "Istantaneamente lo yakkha, gridando: ""Brucio, brucio!""," cadde entro il grande inferno. "Ora il venerabile Maha-Mogallana, con purificato occhio divino, che di molto supera quello umano, vide il colpo che era stato assestato dallo yakkha alla testa di Sariputta. A quella vista, avvicinatosi a Sariputta, gli chiese: "" Caro mio Signore, spero che lo abbiate sopportato, spero che lo possiate reggere, spero che non ne abbiate avuto male ! "". "" Sì, Mogallana, lo sto sopportando; sì, mio Signore, lo reggo, però sento soltanto un piccolo dolore alla testa"". ""È meraviglioso, Sariputta, mio caro Signore! È veramente una meraviglia il grande potere magico e la grande maestà del venerabile Sariputta! Perché proprio ora un certo yakkha vi ha dato un colpo sulla testa: tanto potente era il colpo che avrebbe potuto abbattere un elefante" "o spaccare la cima di un monte: ed il venerabile Sariputta dice: "" Lo sopporto, Mogallana, caro amico" "però sento un leggero dolore al capo "" "". [E Sariputta soggiunse:] "" Ma questo è meraviglioso! il miracoloso, Mogallana, caro amico, il gran potere e la grande maestà" del venerabile Mogallana, che egli possa addirittura vedere uno Yakkha, addirittura! Quanto a me, non riuscirei a vedere "in questo posto neppure uno spirito folletto (67)! """ Allora il Beato, con purificato orecchio divino, che di molto supera quello umano, udì i due saggi che in tal modo conversavano e, intuendo il significato di ciò, proferì in quel momento il verso ispirato: Colui il cui spirito, simile ad una roccia, sta fermo e non vacilla, "Libero dalle passioni non si agita per ciò che dovrebbe turbarlo, a questi, il cui spirito è così [concentrato], donde potrebbe venirgli male ? "" ." "5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava a Kosambi, nel parco Ghosita. Ora, in quel]a circostanza il Beato era infastidito da monaci e monache, devoti laici e devote laiche, re e ministri

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reali, settari e loro seguaci, e viveva In mezzo alla confusione, non a suo agio. Allora il Beato pensò: ""Io sto qui vivendo infastidito da" monaci e monache da settari e da loro seguaci. Io vivo 56 scomodo, non a mio agio. Vivessi romito e solo, lontano dalla "folla"". Quindi il Beato, rassettatosi di buon mattino, indossa" la veste, prese la scodella ed entrò in Kosambi per la questua del cibo: compiuto il suo giro per la questua del cibo ritornò e se ne nutrì, pose in ordine il suo alloggio ed il suo giaciglio, prese la scodella e la veste senza informare il monaco che lo serviva o darne notizia all'Ordine dei monaci, solo e senza seguaci iniziò il suo giro diretto al villaggio Parileya, che raggiunse successivamente. Ivi il Beato si fermò a risiedere nella radura della Fitta Foresta Custodita, presso la radice di un bell'albero sala. Ora, un certo elefante maschio viveva infastidito dagli elefanti e dalle elefantesse, dagli elefantini e dagli elefanti lattanti, e doveva nutrirsi ove l'erba era stata già raccolta per loro. Essi mangiavano i fasci di rami che egli aveva spezzato. Egli doveva bere l'acqua infangata e, quando attraversava un guado, le elefantesse lo seguivano spingendo il suo corpo. Così il grande elefante maschio viveva scomodo, non a "suo agio. Quindi il grande elefante maschio pensò: "" Qui io" vivo infastidito da elefanti e da elefantesse, da elefantini e da elefanti lattanti, debbo nutrirmi laddove l'erba è già stata raccolta. Gli altri mangiano i fasci di rami che io spezzo, io devo bere acqua infangata e, quando attraverso un guado, le elefantesse mi spingono premendo il mio corpo: così vivo "scomodo, non a mio agio "". Quindi il grande elefante maschio" abbandonò il branco e partì per il villaggio di Parileya, verso la radura della Fitta Foresta Custodita, e verso quell'albero alla cui radice stava assiso il Beato. Quando vi fu giunto, tenne il luogo, ove il Beato dimorava, pulito da erba, e, con la sua proboscide, portava acqua per uso del Beato. Così al Beato, "che viveva in ritiro e meditazione, sorse il pensiero: ""Io" vivevo prima infastidito da monaci e monache vivevo scomodo, non a mio agio. Ma ora vivo non infastidito da monaci e monache settari e loro seguaci. Non infastidito, vivo "tranquillo e a mio agio "". Egualmente il grande elefante" "maschio pensava: "" Prima io vivevo infastidito da elefanti ed" elefantesse "ora, invece, dimoro tranquillo ed a mio agio ""." Quindi il Beato, considerando il suo ritiro e con la sua mente penetrando nel pensiero di quel grande elefante maschio, proferì in quell'occasione il verso ispirato: Su questo concordano, mente con mente, il Naga (68) col naga "dalle zanne a vomere: poiché entrambi si rallegrano della solitudine della foresta! ""."

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6. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato se ne stava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, il venerabile Pindolabharadhvaja sedeva non lungi dal Beato, con le gambe incrociate, tenendo il corpo eretto, essendo egli un abitatore delle foreste, un questuante, uno vestito di panni rappezzati, uno che porta addosso le tre robe (69), che aveva bisogno di poco, contento del suo stato, eremita, schivante la società, di ardente energia, che seguiva le pratiche ascetiche, dedito alle più alte meditazioni. Ora il Beato, vedendo il venerabile Pindolabharadhvaja così assiso in quel momento proferì il verso ispirato: 57 Non ingiuriare, non danneggiare, vivi contenuto dalla disciplina, prendi poco cibo, dormi e giaci solo. Mantieni la mente dedita alla meditazione suprema: questo è "l'insegnamento dei Risvegliati!""." 7. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora in quella stessa circostanza il venerabile Sariputta sedeva non lungi dal Beato, con le gambe incrociate, tenendo il corpo eretto. Egli era uno di quelli che hanno bisogno di poco, contento del suo stato, un monaco, che schiva la società, di ardente energia, dedito alle più alte meditazioni. Ora il Beato, vedendo Sariputta così assiso in quel momento profferì il verso ispirato: Di alti pensieri, gravemente attento, silente ed allenato nelle "discipline ascetiche, i dolori non sopravvengono ad uno tale, calmo e sempre attento ""." 8. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, nel bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora in quel tempo il Beato era molto stimato, onorato, considerato e venerato. Lo trattavano con deferenza e non gli facevano mancare vesti, cibo elemosinato, giaciglio e alloggio, comodità e medicine per le malattie, e così pure l'Ordine dei monaci. Ma gli Erranti (70), che sostenevano altre dottrine, non erano stimati ed onorati non ottenevano viveri, eccetera Allora quegli Erranti, che sostenevano altre dottrine, incapaci di sopportare l'onore che veniva reso al Beato ed all'Ordine dei monaci, andarono da Sundan, donna "degli Erranti, e le dissero: "" Sorella, tu puoi fare una buona" "azione ai tuoi confratelli "". "" Che cosa posso io fare, fratelli ? Che cosa mi è possibile fare ? La mia stessa vita è offerta" "in sacrificio per i miei parenti [spirituali] !"". "" Allora, sorella," "va' frequentemente al bosco Jeta "". ""Bene, fratelli "", rispose" "Sundar; a quegli Erranti di altra dottrina, e prese ad andare" ogni momento al bosco Jeta.

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"Allora, quando quegli Erranti di altra dottrina furono sicuri che correva voce che ""Sundari, la donna-asceta, era stata chiaramente veduta da molta gente andare ogni momento al bosco Jeta "", allora l'uccisero e la seppellirono nel cavo di un fosso, indi si recarono da Pasenadi, dal re del Kosala, e gli dissero:""Maharaja, quella Sundari, donna-asceta, non si vede più in nessun luogo "". ""E dove sospettate che possa trovarsi? "". "" Nel bosco Jeta, Maharaja "". ""Allora setacciate il bosco Jeta per trovarla "". Così quegli Erranti di altra dottrina, dopo aver frugato il bosco Jeta, trassero il corpo dell'uccisa dal fosso dove l'avevano sepolta, lo misero su un palanchino e lo portarono a Savatthi, dove lo fecero girare [per tutta la città] di strada in strada, di crocicchio in crocicchio e, quando incontravano gente, ne accendevano l'indignazione dicendo: ""Guardate, fratelli, ciò che hanno fatto i figli del Sakya! Svergognati sono quei monaci! I figli del Sakya sono perversi, malvagi, mentitori, non viventi secondo castità ! Essi pretenderanno di vivere secondo la Buona Legge, di vivere in pace, di vivere secondo castità, veritieri, virtuosi, uomini di vita commendevole. Ma, presso di loro, non vi è monachesimo, non brahmanica condotta. Il loro monachesimo è perduto, la loro condotta brahmanica è perduta. Come potrebbero praticare il monachesimo? Come potrebbero praticare la brahmanica condotta? Essi hanno abbandonato il monachesimo, essi hanno abbandonato la brahmanica condotta. Dico, come può un uomo, dopo aver fatto la parte dell'uomo (= giacendosi con donna), privare di vita la donna? ""." "In quel tempo, pertanto, allorché la gente di Savatthi scorgeva i monaci, li assaliva, li insultava, li vilipendeva ed angariava con ingiurie ed improperi, dicendo: ""Svergognati sono" questi monaci dico, come potrebbe un uomo, dopo aver 58 "fatto la parte dell'uomo, privare di vita la donna? ""." "Allora un gran numero di monaci, preparatisi per l'uscita mattutina, presa la ciotola ed indossata la veste, entrò in Savatthi per la questua e, dopo aver girato per Savatthi ed aver mangiato il cibo questuato, andò dal Beato. Quei monaci, presentatisi al Beato, dopo averlo salutato si sedettero in un canto e dissero ""Ora, a Savatthi, o Signore, quando la gente vede i monaci, li assale con ingiurie ed improperi, dicendo:" " Svergognati sono i monaci (eccetera) "". ""O monaci," "questo rumore non durerà a lungo: durerà solo sette giorni;" alla fine dei sette giorni dileguerà. Pertanto, o monaci, quando incontrate quelle persone che, alla vista dei monaci, li assale con ingiurie ed improperi, riprendetele con questo verso:

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Chi dice menzogna va all'inferno, così pure chi nega di "aver fatto ciò che egli compì. Tutti e due, trapassando, diventano uguali, gente d'azione spregevole, nell'altro mondo! "" ""." Quindi quei monaci appresero a memoria quella strofa e, allorché incontravano la gente che li assaliva con ingiurie ed improperi, le rispondevano con quella strofa. Allora la "gente pensò: "" Questi monaci, i figli del Sakya, sono consacrati da giuramento"". Così il rumore non durò a lungo: durò" esattamente sette giorni. Alla fine dei sette giorni esso svanì. Allora molti monaci si recarono dal Beato e dissero: Straordinario è, o Signore, meraviglioso è, o Signore, come "sono state veraci le parole dette dal Beato, e cioè: "" Questo" rumore, o monaci, non durerà molto. Durerà soltanto sette "giorni. Alla fine dei sette giorni dileguerà!"""". Allora il" Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: La gente priva di controllo colpisce gli altri (71) con parole, come elefanti in combattimento. "Udendo proferire crudeli parole. resti il monaco imperturbabile""." "9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Rajagaha, nel Bosco di Bambù, nella Radura ove si nutrono gli Scoiattoli. Ora, in quel medesimo tempo, il venerabile Upasena (72), figlio di Vanganta, ""a andato in ritiro spirituale e raccoglimento, per cui gli era occorso di pensare: ""Un acquisto è questo mio"" un buon guadagno per me che il mio maestro sia il Beato, l'Arhat, il Pienamente Risvegliato (samma-sam-buddha)! Che io abbia abbandonato la casa per la vita errante nella ben proclamata disciplina della Buona Legge! È un acquisto per me, che i miei compagni nella vita brahmanica siano virtuosi e di amabile natura; che io sia uno che ha soddisfatto ai precetti di virtù (sila), che io sia composto, che sia uno con la mente concentrata in un punto solo (73), un Arhat che ha distrutto ogni attaccamento; che io sia uno di grandi poteri e di grande potenza! Felice è stata la mia vita e felice sarà la mia morte!""." Ora il Beato, afferrando con la sua mente il pensiero del venerabile Upasena, figlio di Vahganta, intuendo il senso di tutto ciò profferì in quel momento questo verso ispirato: Colui che la vita non arde, lui non cruccia la fine [allorché giunge] la morte. Se questo Costante ha visto il sentiero, non s'addolora in mezzo al dolore. Per il monaco che ha troncato la sete di vivere, il cui spirito è placato, "in cui è annientato l'errare di nascita in nascita, per costui non esiste più altro divenire! ""." 10. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel 59 parco di Anathapindika. In quella circostanza il venerabile Sariputta era assiso non lungi dal Beato, con le

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gambe incrociate, col corpo eretto, contemplando il proprio stato di conquistata calma interiore (upasama). Ed il Beato, vedendo il venerabile Sariputta così meditante, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Per il monaco la cui mente è calma, che ha spezzato la serie delle vite, "è annichilito il flusso delle nascite: egli è libero dal vincolo di Mara!""." CAPITOLO V L'ANZIANO (74) SONA "1. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella stessa occasione, il re Pasenadi dei Kosala era andato con la regina Mallika al piano rialzato del suo palazzo. Allora il re Pasenadi dei Kosala disse a Mallika, la regina: ""Dimmi, o Mallika, esiste qualcuno che ti sia più caro che il Sé (75)?"". ""Per me, maharaja, non vi è alcuno più caro del Sé. Ma per te, o maharaja, vi è alcuno che ti sia più caro del Sé? "". ""Anche per me, Mallika, non vi alcuno che mi sia più caro del Sé"". Quindi il re Pasenadi dei Kosala scese dal palazzo e se ne andò presso il Beato. Giunto che fu al suo cospetto lo salutò e, avendolo salutato, sedette in un canto. Così seduto, il re Pasenadi dei Kosala disse al Beato: "" Signore, sono andato con la regina Mallika al piano rialzato del palazzo ed ho detto a Mallika, la regina, quanto segue" "(e narrò della conversazione avuta con la moglie) ""." Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel tempo questo verso ispirato: "Si attraversino con la mente tutte le direzioni dello spazio, nulla si troverà di più caro [a sé] che il Sé;" "poiché anche per gli altri ad ognuno il sé è caro, non danneggi altri, chi il sé ha caro! ""." "2. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora il venerabile Ananda, alzandosi verso sera dal suo eremo, andò dal Beato: essendo giunto presso di lui lo salutò e si pose a sedere in un canto. Sedutosi, così il venerabile Ananda interpellò il Beato: "" È meraviglioso, o Signore, è straordinario, o Signore, come è vissuta poco la madre del Beato! Quando il Beato era nato da appena sette giorni, sua madre pose termine [alla sua vita], rinascendo presso gli dèi del Tubista (76) "" proprio così, Ananda, breve è la vita delle madri dei Boddisattva (77). Quando i Bodhisattva sono nati da sette giorni, le loro madri pongono fine all'esistenza e rinascono presso gli dèi del Tubista ""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, proferì in quell'occasione questo verso ispirato: Che tutte le creature verranno ad essere e che tutte, abbandonando il corpo, se ne dipartiranno,

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"il Bennato, vedendo tutto questo, procederà ardente nella brahmanica ascesi! ""." "3. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Rajagaha, nel Bosco dei Bambù. presso la Radura ove si nutrono gli Scoiattoli. Ora, in quel tempo vi era a Rajahaga un lebbroso di nome Suppabuddha, un pover'uomo, una creatura misera e disgraziata; ed avvenne che, in quell'occasione, il Beato sedesse in mezzo ad una grande moltitudine, insegnando la Buona Legge. E Suppabuddha, il lebbroso, 60 avendo visto da lontano tutta quella turba riunita assieme, pensò a tale vista: "" Certamente laggiù vi sarà da ricevere cibo, vuoi duro vuoi morbido. Che sia il caso che io vada vicino a quella folla? Potrei ottenere qualcosa da mangiare, sia duro sia morbido! "". Fu così che Suppabuddha, il lebbroso, si avvicinò alla moltitudine e contemplò il Beato che sedeva in mezzo alla grande folla, insegnando la Buona Legge e, vedendolo, pensò: "" No! Qui non si ottiene nulla da mangiare, né di duro né di morbido. Questi è Gotama, l'asceta, che insegna la Buona Legge all'assemblea. Che sia il caso che anche io ascolti la Buona Legge? "" Così sedette anche lui in un canto, pensando: ""Voglio anche io ascoltare la Buona Legge ""." "Ora il Beato, afferrando in ispirito i pensieri di tutta quella assemblea, concepì il pensiero: ""Chi dei presenti è perfettibile sì da conoscere la Buona Legge ? "". E il Beato vide Suppabuddha, il lebbroso, seduto in mezzo alla folla e, a tale vista, pensò: "" Questi è uno evoluto sì da comprendere la Buona Legge "" Così, proprio tenendo presente Suppabuddha, il lebbroso, iniziò una conversazione riguardante, nell'ordine dovuto, i seguenti argomenti: il dono, la virtù morale, il mondo celeste, gli svantaggi, la bassezza e la corruzione della sfera dei desideri ed il vantaggio che si consegue rendendosene libero. E, allorché il Beato riconobbe che lo spirito di Suppabuddha, il lebbroso, era pronto, docile, privo di inciampi, elevato ed in istato di grazia, allora Egli sviluppò quegli insegnamenti sul Dhemma che soltanto i Risvegliati hanno scoperto da soli, cioè: il Dolore, il Sorgere, l'Estinzione, la Vita (78)." "Proprio come una veste bianca, senza macchie, è pronta ad assorbire la tintura, così pure in Suppabuddha, il lebbroso, proprio allorché sedette in quel luogo, sorse in lui la pura, immacolata intuizione del Dhamma, la conoscenza del fatto che, in tutto ciò che è soggetto al nascere, è implicita la natura dell'estinguersi. E [così pure] Suppabuddha, il lebbroso, vide la Buona Legge, comprese la Buona Legge, si immerse nella Buona Legge, passò di là da ogni dubbio, fu libero da ogni [necessità di] chiedere, conquistò fiducia e, non avendo

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più bisogno di altro [che della Buona Legge], si alzò dal luogo ove sedeva, avanzò verso il Beato e, essendoglisi avvicinato, lo salutò e sedette in un canto. Come si fu così seduto Suppabuddha, il lebbroso, disse al Beato: "" Benissimo, Signore! Benissimo, Signore! Proprio come si dovrebbe sollevare ciò che è caduto, scoprire ciò che è nascosto, indicare la via a chi è stordito, mostrare una luce nelle tenebre, dicendo: "" Ora coloro che hanno occhi per vedere possono vedere le forme"", così pure il Beato ha spiegato in diverse maniere la Buona Legge. Così proprio io, o Signore, prendo rifugio nel Beato, nella Buona Legge e nell'Ordine (79). Possa il Beato accettarmi come suo seguace (80), come uno che da quest'ora in avanti, fino alla fine della sua vita, prende rifugio in lui "". Dopo di ciò Suppabuddha, il lebbroso, istruito nella Buona Legge dall'esposizione del Beato, [da Lui] accolto, e reso felice da quanto aveva ascoltato, rallegrato e contentato, ringraziò, si sollevò da dove era seduto e salutò il Beato girandogli attorno verso destra, e se ne andò via." [Più tardi] un giovane vitello, assalito Suppabuddha, gli tolse la vita. Allora un gran numero di monaci venne dal Beato, essendo venuto lo salutò, e disse ": ""Signore, quel" lebbroso chiamato Suppabuddha, dopo essere stato istruito, accolto, sollevato e reso felice dall'esposizione della Buona Legge fatta dal Beato, è giunto al termine della sua vita. Quale sorte gli è toccata [dopo questa vita] ? Quale è la sua "vita successiva? """ " Monaci, Suppabuddha, il lebbroso, era un saggio (pandita). Egli è vissuto secondo la Buona Legge. Egli non mi ha infastidito domandandomi [tante cose] circa la Buona Legge. Suppabuddha, il lebbroso, o monaci, avendo spezzato tre vincoli, è ormai uno-che-è-entrato nella corrente (sotapanno), uno che oramai non è più destinato a ricadere in basso: egli è ormai destinato a conquistare la Suprema Illuminazione (abhisambodhi) . A queste parole un certo monaco disse al Beato: ""Dimmi, o Signore, quale è la ragione, quale è la causa per la quale Suppabuddha, il lebbroso, fu un povero, miserabile e disgraziato essere ? "". ""Una volta, o monaco, il lebbroso Suppabuddha era [, in una sua vita trascorsa,] il figlio di un ricco, in questo stesso Rajagaha. Un giorno, attraversando un giardino, vide Tagara-sikkhi, un Pacceka-buddha (81) che entrava in città per la 61 questua. Vedendolo, egli pensò: "" Chi è quel lebbroso che va in giro?"". E, sputando e volgendoglisi a

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sinistra (82), se ne andò. In seguito alla maturazione di tale fatto egli soffrì tormento nel purgatorio per molti secoli, per molti millenni, per molte centinaia di millenni (83). Ma, per l'ulteriore maturazione di quell'atto, egli venne a nascere in questo stesso Rajagaha come una povera, miserabile, inferma creatura. Ma, incontratosi con la disciplina della Buona Legge resa nota dal Così-Venuto (Tathagata), egli accolse in sé la fede, accolse in sé la virtù, accolse in sé l'insegnamento udito, accolse in sé il distacco, accolse in sé la suprema saggezza" (panna). Così agendo quando il suo corpo fu disfatto, dopo la morte, egli ha conquistato un buon destino, rinascendo nel "mondo celeste, in compagnia dei Trentatré Deva. Egli supera in isplendore, colà, gli altri Deva, in bellezza e gloria""." Indi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Come chi ha occhi, con forza e conoscenza, evita di cadere nei fossi, "così, in questo mondo, scansi il saggio le cattive azioni! ""." "4. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quel tempo, gran numero di ragazzi, fra Savatthi ed il bosco Jeta, [si divertiva] a tormentare i pesci. Il Beato, [in quella occasione,] apprestatosi per la sua uscita mattutina, indossata la veste e presa la ciotola, stava entrando in Savatthi per la questua. Allora il Beato vide tutti quei ragazzi che tormentavano i pesci, fra il bosco Jeta e Savatthi. A quella vista Egli andò da loro e disse: ""avete paura, ragazzi, del male ? Vi è gradito il dolore ? "". "" Proprio così, abbiamo paura del male, il dolore ci è sgradito ""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il verso ispirato: [Se temete il male,] (84) se il dolore vi è sgradito, non compite una mala azione palesemente o nascostamente: "se farete il male, o già lo fate, non sfuggirete al male, comunque andiate o tentiate di sfuggirlo! ""." "5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, nel parco orientale, presso la casa a piani della madre di Migara. Ora, in quel tempo, il Beato se ne stava seduto, circondato dall'assemblea dei monaci, in un giorno che era uposatha (85). Il venerabile Ananda, entrata la notte, quando la prima vigilia stava trascorrendo, si alzò da dove sedeva e, buttandosi la veste sulla spalla destra, congiunse le palme [salutando] il Beato, e gli disse: ""signore, la notte è bene entrata, la prima veglia è trascorsa." "L'assemblea dei monaci è stata già seduta a lungo. Signore, voglia il Beato pronunciare i voti (86) per i monaci ! ""."

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A queste parole il Beato restò silenzioso. Una seconda volta il venerabile Ananda, alla veglia mediana, (ripeté la richiesta) Indi, una terza volta, quando la notte era ormai alla fine e la terza veglia stava trascorrendo, mentre l'alba sbiancava la notte rallegrandone il volto, il venerabile Ananda si alzò da dove era seduto e, buttandosi la veste sulla spalla, "congiunse le palme di fronte al Beato, dicendogli: ""Signore," la notte è trascorsa. L'ultima veglia sta finendo. È giunta l'alba e la notte mostra il volto dell'allegrezza. L'ordine dei monaci è restato seduto per lungo tempo. Signore, voglia il "Beato pronunciare i voti per i monaci ! "". ""Ananda, L'assemblea non è totalmente pura! ""." "Allora al venerabile Maha-Mogallana occorse di pensare: ""Riguardo quale persona il Beato ha detto: "" 62 Ananda, l'assemblea non è totalmente pura ! "" ? "" . Perciò il venerabile Maha-Mogallana, afferrando questo [detto] con la mente, rivolse la sua attenzione a tutta quell'assemblea di monaci. Ed il venerabile Maha- Mogallana si accorse di una persona che era immorale, di perversa natura, che era un impuro, di condotta sospetta, di azioni nascoste, che non era un vero monaco, pur pretendendo di esserlo, né viveva castamente, pur pretendendo di vivere così, marcio di dentro, pieno di brame, sporco mucchio di immondizia, ivi sedente in mezzo all'Ordine dei monaci. Dopo averlo scorto, si alzò dal suo seggio ed andò incontro a tale persona, e, essendo giunto, le disse: "" Alzatevi, caro signore! Siete stato visto dal Beato! Non vi è società per voi, qui, fra i monaci! "". Ma quella persona se ne ristette silenziosa. Allora una seconda volta ed una terza il venerabile Maha-Mogallana ripeté le stesse parole, ed [ancora] quella persona rimase zitta. Allora il venerabile MahaMogallana prese quella persona per il braccio, la cacciò fuori dal portone, attraverso il quale pose la sbarra, venne dal Beato e disse: ""Signore, quella persona è stata cacciata da me. La compagnia è totalmente pura. Signore, si degni il Beato di pronunciare i voti per i monaci!"". "" è strano, Mogallana, è meraviglioso, Mogallana, come quell'imbecille abbia dovuto aspettare finché non venne afferrato per il braccio! "". Allora il Beato ammonì i monaci, dicendo: "" Da questo giorno in poi, o monaci, io non osserverò più l'uposatha, né pronuncerò i voti [per i monaci]. Pronunciateli voi, i voti [ai quali siete astretti]. È fuor di luogo, o monaci, è inopportuno che il Tathagata debba osservare l'uposatha, debba pronunciare i voti, quando l'assemblea non è totalmente pura. Monaci, vi sono le seguenti otto cose nel grande Oceano,

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meravigliose e strane, contemplando le quali gli Asura (87) di volta in volta, si deliziano nel vasto Oceano:" I) Monaci, il grande Oceano defluisce, scorre e tende verso il basso gradualmente. Non vi è un improvviso precipitare. Questa è, o monaci, la prima circostanza meravigliosa e strana, contemplando la quale, di tempo in tempo, gli Asura si rallegrano. II) Monaci, il grande Oceano è, inoltre, di natura stabile, esso non sorpassa la spiaggia. Questa è, o monaci, la seconda circostanza meravigliosa e strana contemplando la quale, di tempo in tempo, gli Asura si rallegrano. "III) Monaci, il grande Oceano, inoltre, non coabita con un corpo morto; poiché, quando nel grande Oceano vi è un cadavere, ben presto lo sospinge verso la sponda e lo butta" sulla spiaggia. Questa è La terza circostanza meravigliosa e strana "IV) Monaci, quali che siano i grandi fiumi - cioè la Gariga, Aciravati, Sarabhu e Mahi - tutti costoro, allorché raggiungono il grande Oceano, abbandonano gli antichi nomi, le famiglie, ma procedono avanti col solo nome di "" grande" "Oceano "". Questa è, o monaci" La quarta circostanza meravigliosa e strana V) Monaci, quanti che siano i fiumi che scorrono verso il grande Oceano, e quanta sia la pioggia che vi cade dal cielo, non si osserva nel grande Oceano né ritirarsi né trabordare. Questa è, o monaci La quinta circostanza meravigliosa e strana VI) Monaci, il grande Oceano è di un solo sapore, il sapore salato. Questa è, monaci .La sesta circostanza meravigliosa e strana VII) Monaci, il grande Oceano, inoltre, contiene molte gemme, differenti gemme, fra le quali se ne trovano di queste specie perle, cristalli, berillo, madreperla, quarzo, corallo, argento, pepite d'oro, rubini, agate Questa è, o monaci La settima circostanza meravigliosa e strana..... "VIII) Monaci, il grande Oceano, inoltre, è sede di grandi creature, fra le quali si annoverano balene (?), pescicani (?"" orche (?) (88) asvra, naga (89) gandharva (90). Vi sono, nel grande Oceano, animali lunghi uno yojana (91) due, tre quattro, cinque" yojena. Questa è, o monaci L'ottava circostanza meravigliosa e strana Così pure, o monaci, in questa disciplina della Buona Legge vi sono anche otto circostanze meravigliose e strane, contemplando le quali, di volta in volta, i monaci si deliziano in questa disciplina della Buona Legge. 63 I) Proprio come, o monaci, il grande Oceano defluisce, scorre e tende verso il basso gradualmente, e non vi è

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un improvviso precipitare, così pure, o monaci, in questa disciplina della Buona Legge l'allenamento è graduale, L'azione è graduale, il procedimento è graduale. Questa è, o monaci, la prima circostanza meravigliosa e strana, vedendo la quale i monaci, di volta in volta, si rallegrano(92), II) Proprio come, o monaci, il grande Oceano è di natura stabile e non sorpassa mai la spiaggia, così pure, o monaci, i miei discepoli non trasgrediscono mai, dovesse loro costare la vita, L'allenamento a cui io li astringo. Questa è la seconda circostanza meravigliosa e strana..... III) Proprio come, o monaci, il grande Oceano non coabita con un corpo morto, poiché, quando nel grande Oceano vi è un cadavere, ben presto esso lo sospinge verso la sponda e lo butta sulla spiaggia, così pure, o monaci, qualunque persona che sia immorale, di perversa natura, impura, di condotta sospetta, di azioni nascoste, che non sia un vero monaco, pur pretendendo di esserlo, che non viva castamente, pur pretendendo di vivere così, marcia di dentro, piena di brame, sporco mucchio di immondizia - con una tale persona l'Ordine non convive, ma, allorché si raccoglie, ben presto la butta fuori. Nonostante che essa sia assisa in mezzo all'Ordine, essa è ben lontana dall'Ordine. Questa è la terza circostanza meravigliosa e strana..... "IV) Proprio come, o monaci, quali che siano i fiumi - cioè la Gariga, Aciravati, Sarabhu e Mahl - tutti costoro, allorché raggiungono il grande Oceano, abbandonano gli antichi nomi e le famiglie, e procedono avanti col solo nome di ""grande Oceano"", così pure, o monaci, [gli appartenenti al]le quattro caste: khattiya (khasatriya), brahmana, vessa (vais'ya) e sudda (sudra) (93), procedendo dalla vita in casa alla vita errante nella disciplina della Buona Legge insegnata dal Tathagata, abbandonano i loro nomi e le loro famiglie e vanno solo col nome di ""monaci figli del Sakya"". Questa è la quarta circostanza meravigliosa e strana....." V) Proprio come, o monaci, quanti siano i fiumi che scorrono verso il grande Oceano, quanta sia la pioggia che vi cade dal cielo, non si osserva nel grande Oceano né ritirarsi né trabordare, così pure, o monaci, nonostante che molti siamo i monaci che alla fine passano nella condizione del nibbana che non lascia residui, non vi è né ritirarsi né trabordare nella condizione di nibbana ivi sperimentata. Questa è la quinta circostanza meravigliosa e strana..... VI) Proprio come, o monaci, il grande Oceano è di un sapore, di sapore salato, così pure, o monaci, questa Buona Legge è di un solo sapore, del sapore della Liberazione. Questa è la sesta circostanza meravigliosa e strana.....

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VII) Proprio come, o monaci, il grande Oceano contiene molte gemme, differenti gemme, fra le quali se ne trovano di queste specie: perle, cristalli, berillo, madreperla, quarzo, corallo, argento, pepite d'oro, rubini, agate, così pure, in questa Buona Legge, vi sono molte gemme, diverse gemme: in essa vi sono le quattro sorgenti di Rammemoramento (satipatthana), i quattro Retti Sforzi (sammappadhana), la quadruplice Base per i Poteri [psichici] (iddhipada), le cinque Facoltà (indriyani), le cinque Forze (balani), le sette membra dell'Illuminazione (bojjhangant), il Nobile Ottuplice Sentiero (ariyo attangiko, maggo). Questa è la settima circostanza meravigliosa e strana..... VIII) Proprio come, o monaci, il grande Oceano è la sede di grandi creature, fra le quali si annoverano balene, pescicani ed orche, asura, naga e gandhana così pure, o monaci, "questa disciplina della Buona Legge è la sede di grandi creature. In lei sono queste creature: Colui che è Entrato nella Corrente (sotapanno), che procede realizzando i frutti nascenti dal vincere la Corrente; Quello che ritorna una sola volta (sakadagamin), il quale procede realizzando i frutti del fatto che deve ritornare [ancora] una volta [sola sulla terra]; il Non-ritornante, il quale procede realizzando i frutti del fatto che non ritorna [più sulla terra]; il Degno (Arha), che procede in virtù [della sua condizione di Arhat. Questa è l'ottava circostanza meravigliosa e strana, o monaci, di questa disciplina della Buona Legge, contemplando la quale, di volta in volta, i monaci si rallegrano di questa disciplina della Buona Legge." "Tutte queste, o monaci, sono le otto meravigliose e strane circostanze in questa disciplina della Buona Legge, contemplando le quali, ancora ed ancora, i monaci si deliziano [di praticare] questa disciplina della Buona Legge ""." 64 A questo punto il Beato intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Piove attraverso il coperto, non piove laddove è aperto (94): quindi aprite il coperto: non vi pioverà più attraverso! . "6. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quel medesimo tempo, il venerabile MahaKaccana stava fra la gente di Avanti presso Kururaghara, nel monte [detto] "" Precipite "" (Pavatta), mentre il devoto laico (upasaka) Sona, ""dalle orecchie appuntite (kofi-kanna)"", era al suo servizio. Mentre il devoto Sona koti-kanna si

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trovava in ritiro e meditazione, gli capitò di pensare: ""Secondo quanto spiega il signore Maha-Kaccana non è facile per chi vive in famiglia seguire la disciplina brahmanica (brahmacariya = castità, meditazione e studio) in un modo totalmente puro e totalmente levigato. Non sarebbe il caso che mi facessi radere i peli della barba, rivestissi l'abito colora zafferano e mutassi la vita casalinga per la vita errante?"". Di conseguenza il devoto laico Sona, detto ""dalle orecchie appuntite "", andò dal venerabile Maha-Kaccana. Giunto da lui lo salutò e sedette in un canto. Sedutosi, gli disse: ""Signore, quando mi trovavo in ritiro e meditazione, mi capitò di pensare" "(gli narra la sua riflessione) e, quindi, voglia il venerabile Maha-Kaccana conferirmi gli ordini di monaco! ""." "A queste parole il venerabile Maha-Kaccana rispose: ""Non è cosa facile praticare la brahmanica disciplina per tutto il resto della vita, con la sua unica refezione quotidiana ed il solitario giaciglio. Orsù, o Sona, continua a praticare, assolvendo egualmente i tuoi doveri domestici, così ed oltre, gli insegnamenti del Buddha, mangiando un pasto una volta sola [al giorno] e giacendo solo "". Così si placò in Sona, detto "" dalle orecchie appuntite "", il desiderio di adottare la vita errante." Ma, in una seconda occasione, mentre Sona si trovava in ritiro e meditazione, gli venne la medesima idea ed anche una terza volta fece la medesima richiesta al venerabile Maha-Kaccana Quindi, allora, il venerabile Maha-Kaccana conferì gli ordini [provvisori] al devoto laico Sona, detto "a dalle orecchie appuntite "". In quel tempo, nel distretto di" Avanti, vi era scarsezza di monaci, di modo che il venerabile Maha-Kaccana, alla fine di tre stagioni delle piogge, riuscì a radunare, con difficoltà e fatica, i dieci monaci [necessari] per il capitolo e diede la ordinazione completa a Sona (95). "Indi, dopo aver trascorso una stagione delle piogge in solitudine e raccoglimento, al venerabile Sona venne di pensare: "" Il Beato non è mai stato visto faccia a faccia da me, nonostante che io abbia sentito che il Beato è una persona così e così. Se il mio maestro (uspajjhaya) me lo permettesse, andrei a vedere il Beato, che è un Arhat rettamente Risvegliato ,)." "Pertanto il venerabile Sona, alzandosi, al tramonto, dalla sua solitaria meditazione, andò dal venerabile Maha-Kaccana. Giunto che fu da lui lo salutò e si sedette in un canto. Una volta seduto, gli riferì circa il suo desiderio di vedere il Beato ed aggiunse: "" Se Vostra Beatitudine lo consente vorrei, o signore, andare a

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vedere il Beato, che è un Arhat ed uno rettamente Risvegliato "". "" Molto bene, molto bene! Vai," Sona! Tu vedrai quel Beato, che è sereno e rasserenante, calmo nelle sue facoltà e calmo nella sua mente: che ha raggiunto la massima pace e controllo su se stesso: quell'elefante (naga) domo, custodito e controllato nei suoi sensi. Quando Lo vedrai, venera in nome mio, col tuo capo, i piedi (96) del Beato, interrogalo circa la Sua salute e benessere, circa la Sua "leggerezza [d'umore], il Suo vigore e le Sue buone condizioni di vita. Ed aggiungi: ""Signore, il mio 65 maestro, il" venerabile Maha-Kaccana, venera col suo capo i piedi del Beato e chiede notizie circa la Sua salute e benessere . "o Molto bene, Signore "", rispose il venerabile Sona, rallegrandosi alle parole del venerabile Maha- Kaccana, e, ringraziandolo, si alzò da dove era seduto, lo salutò girandogli attorno verso destra, pose in ordine il suo giaciglio ed il suo" alloggio, prese la ciotola e la veste, indi iniziò il suo cammino verso Savatthi. Dopo aver compiuto il viaggio nell'ordine dovuto, raggiunse il bosco Jeta, nel parco di Anathapindika, a Savatthi. Indi venne dove si trovava il Beato, lo salutò... e gli riferì il messaggio del venerabile Maha-Kaccana... Il "Beato allora gli chiese: ""Dimmi, o monaco, sopporti [la vita" ascetica] ? Hai da mangiare? Ti ha un po' affaticato il "viaggio? Sei stanco della questua per il cibo?"". ""Sì, Signore, sopporto [la vita ascetica]. Ho da mangiare. Sono" un po' affaticato del viaggio. Non sono stanco di questuare "il cibo""." "Allora il Beato chiamò il venerabile Ananda, dicendo: ""Ananda, fai preparare letto ed alloggio per questo monaco giunto or ora!"". Ed il venerabile Ananda pensò: ""Per quanto riguarda l'ordine del Beato, che io debba far preparare letto ed alloggio per questo monaco arrivato or ora, il Beato desidera certamente avere lo stesso alloggio col venerabile Sona""." "Quindi egli preparò letto ed alloggio per il venerabile Sona nello stesso luogo ove dimorava il Beato. Ora il Beato, dopo aver trascorso gran parte della notte assiso all'aria aperta, si lavò i piedi e rientrò nel suo alloggio. Così pure fece il venerabile Sona. Quindi, alzandosi ancora di notte, verso l'alba, il Beato disse al venerabile Sona: ""Ti piaccia, o monaco, di recitarmi la dottrina!"". ""Molto bene, Signore"", disse il venerabile Sona, e, obbedendo al Beato, recitò a memoria tutte le sedici sezioni delle Ottave (atthakavaggikani), da capo a fondo. Quando il venerabile Sona ebbe finito di recitare il Beato lo ringraziò,

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dicendo: ""Bene, bene, o monaco! Ben apprese a mente, ben considerate e riflettute, o monaco, sono queste sedici sezioni delle Ottave. Tu sei benedetto da una buona favella distintamente e chiaramente profferita, sì da rendere chiaro ciò che intendi dire. Quante stagioni di pioggia hai tu trascorso, monaco, [a studiare] ?"". ""Una soltanto, Signore"". ""Come mai hai rimandato tanto [il pronunciare i voti], o monaco?"" ""Da lungo tempo, Signore, avevo scorto il pericolo insito nelle passioni, ma la vita domestica, con tutti i suoi vincoli e le sue necessità, mi aveva trattenuto""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, proferì in quel momento il verso ispirato: Vedendo la sofferenza nel mondo, avendo riconosciuto la Buona Legge come priva di substrato, "L'Ario non gode del male, nel male non si rallegra il Puro""." 7. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora avvenne che, in quella medesima circostanza, il venerabile Revata il Dubbioso (Kankha-Revata) stesse seduto non lungi dal Beato, con le gambe incrociate, il corpo eretto, contemplando la propria purificazione nel passare di là da dubbio. Ed il Beato, vedendo lui che così operava e, allo stesso tempo, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso ispirato: Qualunque siano i dubbi su questo mondo o sull'altro, o siano dubbi propri o altrui, i meditanti li abbandonano tutti, ardendo d'ascesi e conducendo " brahmanica esistenza!""." 66 8. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Rajagaha, nel Bosco di Bambù, presso la Radura ove si nutrono gli Scoiattoli. Ora avvenne che, in quella medesima circostanza, il venerabile Ananda, [pur] "essendo quello il giorno uposatha (97) (quindi festivo), apprestatosi ad uscire il mattino, presa la ciotola ed indossata la veste, entrò in Rajagaha per la questua. E Devadatta (98), vedendo il venerabile Ananda che così faceva, gli venne incontro e gli disse: ""Da questo giorno in avanti, Ananda, mio" caro, indipendentemente dal Beato e indipendentemente dal "l'Ordine dei Monaci, osserverò [la prescrizione di ogni attività nel]l'uposatha e la Disciplina dell'Ordine"". Il venerabile" Ananda, finito il giro della questua e ritornatone, dopo aver consumato la sua refezione, andò dal Beato e gli disse: a Ecco, Signore, apprestatomi questa mattina ad uscire, presa la ciotola e indossata la veste, entrai in Rajagaha. Devadatta, che mi aveva visto questuare il cibo in Rajagaha, è venuto da "me dicendomi: "" Da questo giorno in avanti, Ananda, mio" "caro, indipendentemente dal Beato e indipendentemente dall'Ordine dei monaci, osserverò l'uposatha e la

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disciplina dell'Ordine "". Oggi, o Signore, Devadatta cagionerà lo scisma" nell'Ordine ed osserverà [il proprio] uposatha e la disciplina "dell'Ordine""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il seguente verso ispirato: a Facile per il buono è la buona azione, difficile per il cattivo è la buona azione. "Facile per il cattivo è la mala azione, difficile per gli Arii è la mala azione"" (99)." 9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato compiva il suo giro presso le genti di Kosala, accompagnato da una grande turba di monaci. Ora avvenne che, in tale circostanza, molti ragazzi, non lungi dal Beato, si facessero beffe [di loro]. Ed il Beato, vedendoli agire così, ed intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Gli scimuniti, sapienti a chiacchiere, spaziano nel campo delle parole, "si sgolano quanto vogliono: non conoscono, però, chi li conduce!""(100)." 10. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, accadde che il venerabile Culapanthaka stesse seduto a gambe incrociate non lungi dal Beato, mantenendo il corpo eretto e con la consapevolezza ben stabilita di fronte a sé (101). E il Beato, vedendo lui che così operava e, allo stesso tempo, intuendo il significato di ciò, profferì allora questo verso ispirato: Col corpo ben stabilito, con la mente ben stabilita, in piedi, seduto o giacente, quando un monaco risieda nella consapevolezza, ha già conquistato la prima e L'ultima eccellenza. "Conquistata la prima e l'ultima eccellenza, proceda invisibilmente per il Re della Morte""." 67 CAPITOLO VI JACCANDHA (102) "1. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Vesali, nel Grande Bosco, al Palazzo dal Tetto Appuntito. Ora avvenne che il Beato, apprestatosi ad uscire nel mattino, presa la ciotola e indossata la veste, entrò in Vesali per la questua del cibo. Ritornato dal suo giro in Vesali e consumata la refezione, chiamò il venerabile Ananda, dicendo ""Ananda, prendimi una stuoia; andrò al santuario (cetsya) Capala per il riposo del pomeriggio"". ""Benissimo, Signore"", rispose il venerabile Ananda, e, presa una stuoia, seguì passo a passo il Beato." "Quando ebbe raggiunto il santuario Capala, il Beato si sedette sulla stuoia preparatagli. (E il venerabile Ananda, salutato il Beato, gli sedette accanto). Una volta sedutosi [anche] il venerabile Ananda, il Beato gli disse questo: ""Deliziosa," o Anelnda, è Vesali! Piacevoli sono i santuari di Udena, ed il santuario Gotamaka! Gradevole è il santuario

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dei Sette Manghi (Sattamba), il santuario dei Molti Figli (Bahuputta), piacevole quello di Sarandada! Gradevole è il santuario Capala! Chiunque, o Ananda, si sia allenato [nella meditazione], si sia [interiormente] dilatato, si sia fatto un veicolo [della meditazione], si sia fatto una base, si sia applicato strenuamente, abbia accresciuto e pienamente intrapreso i quattro fondamenti dei poteri miracolosi (103), una tale persona, se lo desiderasse, potrebbe rimanere [sulla terra] tutto un eone (104) o quanto ne rimane! Ora, Ananda, il Tathagata si è allenato e così, se scegliesse [di rimanere], potrebbe restare [sulla terra] un eone, o quanto ne rimane o. Però, nonostante che un'allusione così fosse stata avanzata dal Beato, nonostante che il suo significato fosse così chiaro e ovvio, Ananda non poté penetrarne il significato. Così egli non pregò il Beato, "dicendo: "" Signore, possa il Beato restare per tutto un" eone. Possa il Beato restare per il resto di un eone, per il vantaggio di molta gente, per la felicità di molta gente, per compassione verso il mondo, per il benessere, il profitto e la "felicità degli dèi e dell'umanità"", tanto la sua mente era" sviata da Mara. Indi una seconda volta il Beato disse al venerabile Ananda: "o Deliziosa, o Ananda, è Vesal;" "(eccetera); chiunque, o" Ananda, si sia allenato una siffatta persona, se lo desiderasse, potrebbe rimanere [sulla terra] un eone, o quanto ne rimane! Ora il Tathagata si è allenato .e così, se scegliesse, potrebbe restare [sulla terra] un eone o quanto ne rimane! l). Ed una seconda volta il venerabile Ananda non poté penetrare il significato dell'allusione Ancora una terza volta il Beato ripeté le medesime parole ed una terza volta Ananda non riuscì a penetrare il significato dell'allusione..... tanto era stato sviato da Mara. "Allora il Beato disse al venerabile Ananda: ""Vai pure, Ananda, e fai quello che adesso ti sembri opportuno"". ""Così farò, Signore"", rispose il venerabile Ananda al Beato; si alzò da dove stava seduto e salutò il Beato girandogli attorno verso destra, e se ne andò via, per sedersi ai piedi di un albero non molto distante." "Poco dopo che Ananda se ne fu andato, Mara, il Malefico, venne dal Beato e, venuto che fu, Gli disse: ""Si estingue, ora, il Beato! Si estingue ora Colui che è Bene Andato (sugata)! È già tempo, per il trapasso del 68 Beato! Così era stato detto, Signore, dal Beato: "" Non mi estinguerò, o Malefico, fintanto che i miei monaci non siano discepoli bene esercitati, disciplinati e pieni di fede, che abbiano conquistato la sicurezza

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(yogakkhema), che abbiano udito molto, che conoscano la Buona Legge a memoria, che procedano secondo la Buona Legge, che procedano secondo il dovere, che vivano secondo la Buona Legge, accogliendo ciò che abbiano appreso dal loro proprio maestro, finché non saranno in condizione di proclamare, insegnare, dimostrare ulteriormente, stabilire, rivelare, analizzare e rendere facile [la Buona Legge]: fino a che non saranno capaci di confutare ogni errata dottrina che sorga e che possa essere ben confutata con giusto ragionamento, finché non insegneranno la Buona Legge, che porta con sé la Liberazione"". Ora, Signore, i monaci del Beato sono [ormai tali] discepoli bene esercitati, disciplinati, pieni di fede..... capaci di proclamare ed insegnare la Buona Legge, che porta con sé la Liberazione. Quindi ora, o Signore, si estingua il Beato! Si estingua Colui che è Bene Andato! Questo è il tempo, Signore, per l'estinzione del Beato! Perché fu detto, con la parola stessa del Beato: "" Non mi estinguerò, o Malefico, fintanto che i miei monaci, devoti laici, sia maschi" che femmine (eccetera) . Inoltre, questo fu detto dal "Beato: "" Io non mi estinguerò totalmente, o Maligno (105), fintanto che questa mia brahmanica disciplina non sia potente e prospera, diffusa ed ampiamente nota, resa popolare e proclamata lontano da dèi e da uomini"". Ed ora, Signore, questa brahmanica disciplina del Beato è potente e prospera, diffusa ed ampiamente nota, resa popolare e proclamata lontano da dèi e da uomini. Pertanto, voglia il Beato estinguersi totalmente! Voglia Colui che è Bene Andato estinguersi totalmente! È tempo, ormai, per la totale estinzione del Beato!""." "A queste parole così replicò il Beato a Mara, il Maligno: ""Non ti contristare troppo, tu, o Maligno! Fra non molto tempo avverrà la totale estinzione del Tathagata. Alla fine di tre mesi, a partire da oggi, il Tathagata si estinguerà totalmente""." Di conseguenza il Beato, nel santuario di Capala, pieno di consapevolezza e di dominio su se stesso, rigettò l'insieme delle strutture vitali (107). E, quando il Beato ebbe rigettato le strutture vitali, avvenne un grande terremoto, e si sentì dal cielo un formidabile tuono, tale da far rizzare i capelli. Ed il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Quanto era venuto ad essere, di misurabile e di non misurabile, "rigettò l'asceta; raccolto in se stesso, composto, egli spezzò, come una cotta a" "maglia, ciò che si era connaturato in lui"" (107)." 2. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, nel parco orientale, nel

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palazzo a molti piani della madre di Migara. In quel tempo, verso sera, il Beato, essendosi alzato dal suo raccoglimento, sedeva fuori di casa, sotto il portico. Allora giunse il re Pasenadi, il kosalese, per visitare il Beato, che lo salutò e gli si sedette accanto. In quella stessa occasione passarono non lungi dal Beato sette asceti dai lunghi capelli, sette Nigantha (Nirgrantha), sette nudi asceti, sette di quelli che portano addosso solo uno straccio e sette Erranti (paribbajaka), con le unghie lunghe, le ascelle pelose, portando il fardello in cima ad un palo, sulla spalla(105). "Ora quando il kosalese, il re Pasenadi, vide tutti quei gruppi di sette, si alzò da dove era seduto e, gettando il lembo della veste sulla spalla, piegando il ginocchio destro a terra, alzò le palme congiunte verso quei gruppi di sette e pronunciò tre volte il suo nome, dicendo così: "" Signori, io sono il re Pasenadi, il kosalese! "". Quindi, non molto tempo dopo che erano passati quei sette asceti dai lunghi capelli, i sette Nigantha, i sette asceti nudi, i sette asceti vestiti di un cencio solo" ed i sette erranti il re Pasenadi, il kosalese, tornò dal Beato e, avendolo nuovamente salutato, gli sedette accanto e gli "disse: ""Signore, vi è forse qualcuno, fra coloro, che possa" 69 essere annoverato fra quelli che nel mondo sono Arhat o "hanno raggiunto la via degli Arha?. ""Questa cosa, maharaja, è ben difficile che venga conosciuta da uno come te," che vive la vita delle passioni, che vive una vita assillata da moglie e figlio, che gode nell'uso del legno di sandalo di Benares, coperto di ghirlande ed unguenti, maneggiando oro "e argento - è difficile per te il dire: "" Costoro sono Arhat""," "o "" quegli altri hanno raggiunto il sentiero degli Arhat""." E trattando da vicino un uomo, o maharaja, che se ne conosce la virtù, e questo anche dopo molto tempo! Non certo da parte di qualcuno che ci pensi di sfuggita, o non ci pensi "affatto; da parte di un uomo saggio, non da parte di uno stupido. È vivendoci assieme, maharaja, che si conosce l'integrità morale di un uomo" è in tempo di sventure, maharajah, che la sua forza può essere conosciuta, è conversando con lui, maharaja, che si conosce la sua saggezza, e anche questo dopo lungo tempo, ma non da chi vi dedichi un pensiero fuggitivo, o non ci pensi affatto: da un saggio, non da "uno stupido!"" . È meraviglioso, Signore!: meraviglioso" "come questo è stato detto bene dal Beato: "" Questo, maharaja, è difficile che venga conosciuto da te" "[può venir conosciuto] da un saggio, non da uno stupido "" (109). Tutte queste"

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persone sono miei informatori. Essi percorrono ed investigano una provincia, indi vengono da me. Ciò che essi hanno prima investigato, giudico io dopo (?). Però ora, o signore, quando si saranno mondati dalla polvere e dal sudiciume, quando avranno fatto un bagno, si saranno unti ed avranno raso la barba, rivestiti di bianchi indumenti, forniti e dotati [come "sono] dei cinque sensi, si daranno al piacere""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il verso ispirato: Ci si rafforzi in tutti i sensi, non si sia uomo appartenente ad un altro. Non si viva dipendendo da un altro, non si faccia mercato della "Buona Legge!""." 3. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella occasione, il Beato se ne stava assiso contemplando tutte le proprie condizioni non giovevoli, che egli aveva abbandonato, e tutte le varie condizioni giovevoli, che egli aveva portato a compimento, coltivandole pienamente. Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il verso ispirato: "Vi era all'inizio, poi non vi fu; non vi era all'inizio, poi vi fu. Non Vi era, non vi sarà e nemmeno ora appare! ." "4. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, una grande folla di monaci e di brahmana, che erano degli Erranti, seguaci di varie dottrine, entrò in Savatthi per la questua di cibo. Essi sostenevano differenti vedute; erano tolleranti in alcune cose [ad in altre no], favorivano differenti idee ed erano inclini a credere a questa o a quella teoria. Alcuni, fra i monaci ed i brahmana, parlavano a favore di una particolare teoria o 70 affermavano un altro punto di vista, [dicevano, ad esempio,] che il mondo è eterno, che questa è la verità, e che ogni altra" teoria è vana. Altri monaci ed altri brahmana sostenevano invece che il mondo non è eterno, che questa è la verità, e che ogni altra teoria è vana. Altri che il mondo è limitato altri che è illimitato altri affermavano che il principio vivente (jiva) è il corpo, altri che il principio vivente è una cosa, e che il corpo è un'altra cosa Alcuni sostenevano che il Tathagata è di là dalla morte altri che questo non è di là dalla morte altri che non è né non è di là dalla morte: che questa è la verità ed ogni altra teoria è vana. "Così tutti costoro, già per natura litigiosi, rissosi e disputanti, si ferivano l'un l'altro con le armi della lingua, affermando: ""il Dhamma è così e così, non è così e così; esso è,"

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"esso non è...."". Ora avvenne che un gran numero di monaci," apprestatosi ad uscire di mattina, presa la ciotola ed indossata la veste, entrò a Savatthi per la questua del cibo e, dopo aver compiuto il suo giro e mangiato il cibo mendicato, andò dal Beato "e Gli disse: ""Signore, si trova attualmente a" Savatthi una turba di monaci e di brahmana, che sono degli Erranti, ognuno dei quali sostiene teorie differenti, così congegnate "(si enunciano le teorie di quegli asceti)......"". Allora disse il Beato: ""Monaci, gli Erranti che sostengono altre teorie sono ciechi, non veggenti. Essi non conoscono ciò che è profittevole, essi non conoscono ciò che non è profittevole. Essi non conoscono affatto il Dhamma, essi non conoscono nemmeno ciò che non è il Dhamma. Nella loro ignoranza di queste cose [permangono nella] loro natura litigiosa, rissosa e disputante, sostenendo [tutte queste teorie e punti di vista]." ..... "Anticamente, o monaci, vi fu in questa stessa Savatthi; un" "certo re. Dunque, o monaci, il re chiamò un uomo dicendogli: "" Vieni, brav'uomo, va' e raduna assieme in un solo luogo tutti i nati ciechi che vi sono in Savatthi ! "". "" Così farò," "Sire"", rispose l'uomo, che, obbedendo al re, radunò assieme" tutti i nati ciechi di Savatthi. Fatto ciò, andò dal re e gli "disse: "" Sire, tutti i nati ciechi presenti in Savatthi; sono stati" "riuniti "". "" Allora, brav'uomo, mostra ai ciechi un elefante ""." Così farò, Sire , disse l'uomo. Fece come gli era stato detto, "indi disse ai ciechi: "" O ciechi, questo è un elefante! "", e ad" uno di loro presentò la testa dell'elefante, ad un altro l'orecchia, ad un altro la zanna, ad un altro la proboscide, ad un altro la zampa, ad un altro la schiena, ad un altro la coda e ad un altro il ciuffo terminale della coda, dicendo ad ognuno che quello era l'elefante. Ora, o monaci, quell'uomo, dopo aver presentato l'elefante ai ciechi in tale maniera, venne dal "re e gli disse: "" Sire, L'elefante è stato presentato ai ciechi." "Fa' ora quello che ti pare"". Allora, o monaci, quel re andò" "dai ciechi e disse ad ognuno di loro separatamente "" Bene," "cieco, hai ' visto ' L'elefante ? "". "" Sì, Maestà "". "" Allora" "dimmi, o cieco, che specie di cosa è l'elefante ? "". Allora quello" "a cui era stata presentata la testa disse: ""Sire, l'elefante è" "simile ad un orcio"". Quelli che avevano percepito solamente" "l'orecchio risposero: "" Sire, l'elefante è simile ad un crivello"". Quelli che avevano toccato la zanna 71 dissero" che l'elefante è un vomere. Quelli che avevano toccato solo la proboscide dissero "che l'elefante è un aratro; quelli che I" "avevano toccato solo il tronco dissero che l'elefante è un granaio; quelli che avevano toccato la zampa

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dissero che è una" "colonna; quelli che avevano toccato la schiena, che è un mortaio; quelli che avevano toccato la coda, che è un pestello; quelli che avevano toccato il ciuffo terminale della coda, che è una scopa. Indi [i ciechi] cominciarono a disputare, gridando: "" Sì, è questo!"", "" No, non lo è! "", "" L'elefante non è quello! "", "" Ma sì, è proprio questo! "", e così continuarono, finché giunsero a picchiarsi per tale ragione. Allora, o monaci, il re si divertì alla scena. Proprio così sono quegli Erranti asceti che sostengono altre teorie, ciechi, non vedenti, ignoranti di ciò che è vantaggioso, ignoranti di ciò che è svantaggioso. Essi non conoscono affatto il Dhamme. Essi non conoscono che cosa non è il Dhamma. Nella loro ignoranza di queste cose essi sono di natura litigiosi, rissosi e disputanti, ognuno sostenendo che le cose stanno così e così"" (111)" Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il verso ispirato: Come sono attaccati a queste [teorie] quei diversi monaci e brahmana! "Così, immersi [nel loro particolare], litigano gli uomini che vedono un solo lato [della realtà] !""." 5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato se ne stava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, una grande folla di monaci e di brehmene, che erano degli Erranti, seguaci di varie dottrine, entrò in Savatthi per la questua del cibo..... (eccetera, come nel sutta precedente) Essi sostenevano differenti vedute ad esempio, che il mondo è eterno e che questa è la verità e che ogni diversa teoria è vana. Altri, invece, affermavano che il mondo non è eterno e che ogni diversa teoria è vana (eccetera, come nel precedente sutta). Allora un gran numero di monaci, recatosi dal Beato riferì questi discordanti punti di vista al Beato, il quale rispose: Monaci, quegli asceti Erranti, che sostengono altri punti di vista, sono ciechi, non vedenti: essi non conoscono ciò che è vantaggioso, né conoscono ciò che non arreca vantaggio: essi non conoscono il Dhamma né conoscono ciò che non è il Dhamma. Nella loro ignoranza di queste cose essi sono di "natura litigiosi, rissosi e disputanti, perché affermano in contrasto queste e queste teorie (eccetera)....""." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso ispirato: "Oh, come sono attaccati a queste [teorie] quei diversi monaci e brahmana! mezzo [al guado] sprofondano, senza avere il piede fermo sulla sponda!""" 6. Come il precedente sutta, eccetto il verso ispirato

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finale) "Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso ispirato: ""Gli uomini, dediti all'idea di" essere agenti (112), vincolati all'idea che anche gli altri uomini sono agenti, non afferrano il senso di questo, non vedono la spina. Per colui che attentamente consideri questo come una 72 "spina non esiste più l'idea "" io sono quello che agisce "", "" è" "l'altro quello che agisce! "" (113)." Questa gente, guidata dalla vanità, dalla vanità è legata, dalla vanità è vincolata. Protesa ad affermare le sue teorie non sorpassa il flusso del samsara! 7. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. In quella circostanza il venerabile Subhuti stava seduto non lungi dal Beato, con le gambe incrociate, tenendo il corpo eretto, avendo conseguito quello stadio di estasi meditativa (samadhi) che è privo di concezioni mentali. Ora il Beato, vedendo il venerabile Subhuti così assiso non lungi da lui, con le gambe incrociate, tenendo il corpo eretto, avendo conseguito quello stadio di estasi meditativa che è privo di concezioni mentali (114), avendo il Beato intuito il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Colui il cui intimo sé ha disperso i pensieri, ben enucleati [da "sé], senza residui, superato questo attaccamento diventa conscio dell'informale: trasceso il quadruplice vincolo egli non più rinasce!""." 8. Così da me è stato udito. In una certa occasione, il Beato si trovava presso Rajagaha, nel Bosco di Bambù, presso la Radura ove si nutrono gli Scoiattoli. In quel tempo due bande, in Rajagaha, erano innamorate, infatuate di una certa prostituta. Per causa sua si abbassavano a litigi, chiassate ed ingiurie: si prendevano reciprocamente a pugni, si attaccavano gettandosi zolle di terra, battendosi con bastoni ed armi, sicché, per tale ragione [alcuni] incontrarono la morte, o dolore come la morte. "Ora un gran numero di monaci, apprestatosi ad uscire il mattino, presa la ciotola ed indossata la veste, entrò in Rajagaha per la questua del cibo. Fatti i loro giri in Rajagaha, consumato il cibo mendicato, i monaci vennero dal Beato, lo salutarono e, avendolo salutato, sedettero in un canto. Una volta seduti, dissero al Beato: ""Signore, in Rajagaha vi sono" due bande "(eccetera)"", e spiegarono tutto ciò che accadeva." Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, in quel momento profferì il verso ispirato: Ciò che è stato ottenuto, ciò che si vuole ottenere - entrambe le direzioni sono infette di passione (115) per quel malato che è intento a loro, che per loro si affanna.

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Coloro che attribuiscono valore al vivere secondo virtù, al seguire la castità - questa è una direzione. "Coloro che, invece, dicono: "" non c'è danno nei desideri sensuali "" - questa è una seconda direzione." Tutte e due le direzioni fanno crescere i carnai: i carnai, a loro volta, accrescono le teorie. Non riconoscendo queste due direzioni alcuni soggiacciono, altri oltrepassano i limiti. . Quanto a coloro, però, che, pienamente riconoscendo entrambe ` . " le direzioni, non hanno seguito tale modo di pensare, né se ;" ne sono vantati, per costoro non vi è bisogno di insegnare il . " giro [della ruota delle esistenze] "" (116)." 9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. In quella circostanza il Beato se ne stava seduto all'aria aperta, in una notte assolutamente buia, per cui erano state accese lampade ad olio. E proprio per questo sciami di insetti alati cadevano continuamente in quelle lampade ad olio, e perciò trovavano la loro fine, si distruggevano e continuavano a distruggersi. E il Beato vide quegli sciami di insetti alati che così facevano e, in quel momento, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso ispirato: 73 Si affrettano e passano oltre, ma falliscono a cogliere l'essenza: un vincolo sempre nuovo essi crescere fanno, "e cadono come moscerini nella lampada. Così sono intenti alcuni a ciò che odono e vedono! ""." 10. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Avvenne che il venerabile Ananda andò dal Beato "e gli disse questo: "" Signore, fintanto che i Tathagata non sorgono nel mondo, essi che sono Arhat rettamente" e pienamente risvegliati, gli asceti Erranti che sostengono differenti dottrine sono stimati, considerati, venerati, rispettati e tenuti in grande onore, ricevendo provviste di vesti, cibo questuato, giacigli e seggi, conforti e medicine in caso di malattia. Ma, Signore, allorché i Tathagata appaiono nel mondo, essi che sono Arhat, rettamente e pienamente risvegliati, allora codesti Erranti, che sostengono altre dottrine, non sono più stimati, non più considerati, non più venerati, non più rispettati e tenuti in considerazione (eccetera). Così ora, o Signore, il Beato è stimato, considerato e così "pure l'Ordine dei monaci "". ""è proprio così, Ananda! Fintanto che i Tathagata non sorgono, nel mondo [avvengono" i fatti che hai detto] ma, allorché un Tathagata viene ad

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essere quei fatti cessano. Così ora il Beato è stimato, considerato e venerato (eccetera) e così pure l'Ordine dei "monaci""." A tale proposito il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Brilla l'insetto finché non sorge il Portatore di Luce. Quando lo Splendente è sorto, uccisa è la sua luce, esso più non brilla. Tale è la luce dei settari: fintanto che non appaiono nel mondo "Coloro che sono rettamente e pienamente Risvegliati, i meri speculatori non danno luce e neppure i loro seguaci, né quelli dalle false teorie possono liberarsi dal Dolore!""." CAPITOLO VII CULA-VAGGA (IL CAPITOLO BREVE) l. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Avvenne che, in quella circostanza, il venerabile Sariputta stesse, in modo crescente ed in diverse maniere, erudendo, incitando, rallegrando e deliziando il venerabile Bhaddiya-il-nano (Lakunthaka- Bhaddiya), con un discorso riguardante il Dhamma. Allora lo spirito di Lakunthaka-Bhaddiya, essendo stato così istruito, incitato, rallegrato e deliziato, ebbe lo spirito liberato da [ogni] attaccamento senza il minimo sforzo (an-upadaya). E il Beato vide il venerabile Lakunthaka-Bhaddiya che era stato così istruito ..... dal venerabile Sariputta con lo spirito liberato da ogni 74 attaccamento senza il minimo sforzo: pertanto, in quel momento, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso ispirato: "In alto, in basso (117), ovunque liberato, non più si riguarda come: io sono questi "";" "così liberato attraversò la fiumana mai traghettata, per non tornare mai più a rinascere!""." 2. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora proprio in quella circostanza, il venerabile Sariputta stava, in modo crescente ed in diverse maniere, istruendo, incitando, rallegrando e deliziando il venerabile Lakunthaka-Bhaddiya, con un discorso riguardante il Dhamma, tutto ciò nel modo più serio, perché lo considerava un allievo. E il Beato vide il venerabile Sariputta che così faceva ed in quel momento, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso ispirato: "Spezzato ha il vortice, conquistato il non-desiderio; prosciugata, non più fluisce la fiumana; infranta, non gira più la ruota (118) Questa è la fine del Dolore!."

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3. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quel tempo, vi erano in Savatthi uomini in gran parte disordinatamente attaccati ai desideri, che vivevano gaudenti, bramosi, desiderosi, infatuati, impacciati ed avvelenati dai desideri. Ed un gran numero di monaci dopo aver compiuti i giri per la questua, in Savatthi, venne dal Beato e gli descrisse tali condizioni. Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì questo verso spirato: Vivendo [immersi] nel desiderio, aderendo alle brame, senza percepire errore in questo legame, così vincolati ed attaccati, non potranno mai attraversare l'onda così grande e possente! 4. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quel tempo, vi erano in Savatthi molti uomini disordinatamente attaccati ai desideri, ..(come nel sutta precedente) avvelenati ed acciecati dai desideri. Allora il Beato, apprestatosi ad uscire il mattino, indossata la veste e presa la ciotola, entrò in Savatthi per la questua del cibo. Ed in Savatthi il Beato contemplò quegli uomini che vivevano disordinatamente, attaccati ai desideri avvelenati ed acciecati dai desideri. Allora, intuendo il significato di ciò, Egli profferì in quel momento questo verso ispirato: "I ciechi di desiderio sono come presi in una rete, coperti dalla cappa della brama;" quelli legati col vincolo della distrazione sono come pesci nella "rete ad imbuto; vanno verso la vecchiaia-e-morte come un vitello da latte verso la" "madre ""." "5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, il venerabile Bhaddiya-il-nano se ne veniva camminando dietro ad un gran numero di monaci, per visitare il Beato. Ed il Beato vide il venerabile Bhaddiya-il-nano venire seguendo un gran numero di monaci, ancorché da lontano - brutto, sgradevole a vedersi, gobbo e 75 generalmente disprezzato dai monaci - . Guardando lui, il Beato si rivolse ai monaci, dicendo: ""Monaci," vedete voi venire da laggiù quel monaco "che è generalmente disprezzato dai monaci? "". ""Sì, Signore"" ""Ebbene," monaci, quel monaco è dotato di grande potere, di grande energia. Non è certamente facile da conquistare ciò che egli non aveva precedentemente conquistato, anche ciò per cui i figli di famiglia giustamente lasciano la casa per la vita errante, anche quel supremo fine della vita brahmanica che egli ha conquistato, nel quale egli dimora sicuro, essendo giunto a "conoscerlo pienamente per se stesso e ad inverarlo!"""

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Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Dalle membra pure, immacolato, procede il carro con una ruota (119), "Guardalo, com'egli viene! Senza macchia, avendo tagliato la corrente, svincolato! ""." 6. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Avvenne che, in quella circostanza, il venerabile Anna[ta] Kondariria (120) stesse seduto a breve distanza dal Beato, con le gambe incrociate e col tronco eretto, contemplando il proprio svincolamento conseguente alla distruzione della brama. E il Beato contemplò il venerabile Arina Kondarir-La che così operava e, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento il seguente verso ispirato: Colui la cui radice non è in terra, non ha foglie: quindi dove le liane? Quel forte, svincolato da ogni legame, chi è degno di lodarlo? "Non son soli gli dei a lodarlo: anche da Brahma egli è fondato! ""." 7. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, il Beato se ne stava seduto contemplando il proprio abbandono delle concezioni e delle idee [concomitanti] allo sviluppo [degli ostacoli] (121), Allora il Beato, riconoscendo come egli avesse abbandonato le proprie idee e concezioni concomitanti allo sviluppo [degli ostacoli], profferì in quel momento il verso spirato: Colui nel quale sviluppo e permanenza [dell'ostacolo] non esistono, che ha superato vincolo ed ostruzione, "questo silenzioso che, privo di brama, procede, lui non conosce il mondo con tutti gli dèi! ""." 8. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika Ora, in quella circostanza, non lungi dal Beato stava seduto il venerabile Maha-Kaccana, con le gambe incrociate, tenendo il corpo eretto, con la consapevolezza della sua entità corporea (121) ben stabilita di fronte a se stesso. E il Beato contemplò il venerabile Kaccana così operante e, quindi, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Colui la cui consapevolezza è in ogni senso e perennemente ben stabilita riguardo al corpo [mentre pensa]: " ciò non sia e per me non sarebbe , "" ciò non sarà e per me non avverrà"" (123), così dimorando di stato in istato, a suo tempo sarà di là da ogni attaccamento!""" "9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato, compiendo i suoi giri fra i Malla, assieme ad una grande comitiva di monaci, giunse a Thuna, un villaggio brahmana della gente Malla. Ed i brahmana capifamiglia udirono la novella: "" Si dice, amici, che Gotama il monaco, uscito dalla stirpe dei Sakya, stia compiendo i suoi giri in mezzo ai Malla con una grande comitiva di monaci, ed abbia raggiunto Thuna "". 76

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[Di conseguenza] colmarono il pozzo fino all'orlo con ogni sorta di erbacce e paglia [, pensando]: "" Non attingano acqua quei monaci dal capo raso "". Ora il Beato, uscendo dalla strada principale, andò verso la radice di un certo albero: giunto colà sedette in un luogo apprestatogli e, una volta assiso, si rivolse al venerabile Ananda, dicendogli: ""vieni, Ananda, fammi avere un sorso da questo pozzo ),. A queste parole il venerabile Ananda rispose al Beato: "" Proprio adesso, signore, quel pozzo è stato ostruito fino all'orlo da erbacce di ogni sorta e paglia da quei brahmana capifamiglia [, col pensiero]: "" non attingano acqua quei monaci dal capo raso "" "". Più tardi il Beato ripeté la richiesta una seconda volta ed il venerabile Ananda diede la" "medesima risposta. Una terra volta ancora il Beato ripeté la richiesta e, allora, il venerabile Ananda rispose: ""Così sia, Signore"", prese la ciotola e si diresse verso il pozzo. Ora, appena il venerabile Ananda si fu avvicinato a quel pozzo, esso vomitò tutta quell'erbaccia e paglia, rimanendo pieno fino all'orlo di acqua trasparente, limpida e tranquilla, che persino trabordava. A questo fatto il venerabile Ananda pensò: ""Meraviglioso è questo ! Un vero miracolo è stato operato dal grande potere e dalle grandi facoltà sovrannaturali del Beato! Perché mai questo pozzo, appena mi sono avvicinato, ha vomitato tutte quelle erbacce e paglia, ed ora rimane pieno fino all'orlo di acqua trasparente, limpida e tranquilla, che persino traborda.....? "". Così, empita d'acqua la" ciotola, se ne tornò al Beato e, giunto che fu da lui, gli disse: Che meraviglia! Un miracolo invero è stato operato dal grande potere e dalle grandi facoltà sovrannaturali del Beato ! Voglia il Beato bere l'acqua! Voglia il Beato bere "l'acqua ! """ Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: " Perché si dovrebbe costruire un pozzo, se le acque sono ovunque? Una volta troncata la sete"" alla radice, cosa si dovrebbe andare" "a cercare? ""." 10. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava a Kosambi, nel parco Ghosita. Ora, in quella occasione, il gineceo del re Udena, che era andato al [padiglione] del parco, prese fuoco, e cinquecento donne vi incontrarono la morte, prima fra di loro Samavati. Quindi un gran numero di monaci, che, al mattino, indossata la veste e presa la ciotola, erano entrati a Kosambi per la questua e, dopo, avevano consumato la loro refezione vennero dal Beato e, venuti che furono, lo salutarono, sedettero in un "canto e gli chiesero "" Qui il gineceo del re Udena" ha

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preso fuoco Dicci, Signore, quale è il destino, a quale "forma di esistenza andranno incontro quelle devote laiche? ""." Monaci, fra quelle devote alcune sono entrate-in-corrente, altre dovranno ritornare sulla terra una volta sola, altre ancora non avranno bisogno di ritornare più. Non è senza frutto, monaci, che quelle devote laiche abbiano incontrato la loro fine! Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: " Legato all'illusione è il mondo, il suo essere appare un [continuo] divenire; lo stolto, condizionato al substrato"" (125) dalle tenebre è ravvolto; [il mondo gli] appare come eterno: per chi veramente guarda" " esso è nulla! """ CAPITOLO VIII 77 PATALIGAMA (125) 1. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nel parco di Anathapindika. Ora, in quella circostanza, il Beato istruiva, incitava, illuminava e rallegrava i monaci con un discorso d'accordo col Dhamma che riguardava il Nibbana. E quei monaci, prestando intensa attenzione, tutto afferrando nel loro spirito, stavano ad ascoltare la Buona Legge con orecchie attente. Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Vi è, o monaci, quella condizione ove non è ne terra, né acqua, né fuoco, né aria, ove non è né la sede dello spazio infinito né quella dell'infinita coscienza, né quella della nullità, né quella " propria a "" né-coscienza-né-non-coscienza"", ove non è né questo mondo né un mondo di là da questo, né entrambo assieme," "né luna, né sole. Da là, o monaci, io dichiaro, non si viene a nascere: ivi non si va [In quella condizione] non v'è permanenza, non v'è decadenza, non v'è nascita. Non è fissa, non si muove, non è fondata su cosa alcuna. Quella è, invero, la fine del Dolore ""." 2 (Ripetizione del precedente sutta, cui segue :) Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò (= di questa conversazione), profferì questo verso ispirato: "Difficile da vedere è il non-sé: non è facile certamente da vedere il Vero;" "trafitta è la "" sete "" per chi conosce: per chi vede, nulla v'è! ""." 3 (Ripetizione del sutta precedente, cui segue :) Quindi il Beato profferì questo verso ispirato: Vi è, o monaci, il non-nato, il non-divenuto, il non-fatto, il non-composto. Monaci, se questo non-nato, nondivenuto, non-fatto, non-composto non fossero, non si conoscerebbe modo di sfuggire a questo nato, divenuto, fatto, composto. Perciò, o monaci - dato che vi è un non-nato - si conosce rifugio " da questo nato, divenuto, fatto, composto """ 4 (Ripetizione dei primi tre sutta, cui si aggiunge :) Quindi il Beato profferì questo verso ispirato:

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"Per chi dipende [da altro] che sé vi è il vacillare, per chi non dipende non vi è vacillare. Non esistendo vacillare vi è calma; essendovi calma non vi è piacere [in cosa diversa da sé]: non essendovi piacere, non v'è andare-e-venire; non essendovi andare-e-venire, non v'è decesso e-rinascita; non essendovi decesso-erinascita non vi è né qui"" né "" [al di] là "", né alcunché di mezzo ai due. Questa è, invero, la fine del Dolore """ 5. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato stava compiendo i suoi giri fra i Malla, assieme ad una grande comitiva di monaci, quando giunse a Pava. Ed avvenne che il Beato si allogasse nel bosco di manghi di Cunda, il (figlio del) fabbro (kammdra-putta) (126), in Pava. Ora, a Cunda, "al fabbro capitò di sentire: "" Si dice che il Beato, nel compiere i suoi giri con una grande comitiva di monaci, sia giunto a Pava "", [e, aggiunse lui,] a si sia trattenuto nel mio bosco di manghi "". Quindi Cunda, il fabbro, andò a visitare il Beato e, giunto che fu, lo salutò e sedette in un canto. Come egli si fu così seduto, 78 il Beato lo istruì, incitò, illuminò e lo rese felice con un discorso d'accordo con la Buona Legge." "Allora Cunda il fabbro, in tale maniera istruito, incitato, illuminato e reso felice, disse questo al Beato: "" O Signore, consenta il Beato ad accettare il mio cibo, domani, assieme all'Ordine dei monaci! "" Il Beato accettò, rimanendo silenzioso. Allora Cunda, il fabbro, vedendo che il Beato accettava, si alzò da dove stava seduto, salutò il Beato girandogli attorno verso destra e se ne andò. Indi Cunda, il fabbro, passata che fu la notte, preparò in casa sua del cibo scelto, sia duro che morbido, assieme ad un abbondante piatto di funghi porcini (127): indi annunciò al Beato che era giunto il tempo [di mangiare], dicendo: "" Signore, è preparato il desinare "". Allora il Beato, apprestatosi all'uscita mattutina, indossata la veste e presa la ciotola, uscì assieme all'Ordine dei monaci, diretto alla casa di Cunda, il fabbro, e, giuntovi, sedette in un posto apprestatogli. Al momento di sedersi il Beato disse a Cunda il fabbro: "" Cunda, quel piatto di porcini servilo a me. Quanto all'altro cibo, sia duro sia morbido, che tu hai preparato, servilo all'Ordine dei monaci "". "" Così sarà, signore "", rispose Cunda, il fabbro, al Beato, e fece come gli era stato detto....." "Più tardi il Beato disse a Cunda, il fabbro: ""Cunda, quanto ai resti del piatto di porcini, seppelliscili in un fosso. Poiché io non vedo alcuno, o Cunda, in tutto questo mondo con i suoi deva, i suoi Brahma, con tutta la schiera degli asceti e dei brahmana, io non vedo alcuno che, una volta mangiato questo cibo, possa digerirlo,

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altro che il Tethagete "". "" Così sia o, rispose Cunda, il fabbro, prestando orecchio a quanto gli diceva il Beato; quindi, dopo aver seppellito in un fosso i resti del piatto di boleti porcini, tornò dal Beato e, avendolo salutato, sedette in un canto. Quando si fu seduto il Beato lo istruì, lo incitò, lo illuminò e lo rese felice con un discorso d'accordo con la Buona Legge, indi si alzò da dove era seduto e se ne andò. Avvenne che, dopo che il Beato ebbe mangiato il pranzo offertogli da Cunda, il fabbro, gli venne una violenta malattia, con dolorose sofferenze accompagnate da flusso di sangue, sì da condurre a morte. Tali dolori, invero, il Beato sostenne, sempre concentrato e composto, senza venirne angustiato." "Indi il Beato chiamò Ananda, [dicendo]: ""Ananda, andiamo ! Voglio giungere a Kusinara "". a Va bene, Signore"", rispose il venerabile Ananda al Beato." "(""Quand'ebbe ingerito il cibo di Cunda - così io ho udito - quel Costante patì un duro malanno, che a morte lo condusse." "Poi che ebbe mangiato ""la delizia porcina "", atroce malanno" " crebbe al Maestro ""." "Finito è il flusso , disse il Beato, ""io vado, dunque, a Kusinara "")." "Quindi il Beato, uscendo dalla via maestra, si diresse verso la radice di un certo albero, giunto al quale chiamò a sé il venerabile Ananda, dicendogli: "" Vieni, Ananda. Piegami in quattro la roba (= veste). Sono stanco, siederò"". ""Sì, Signore "", rispose il venerabile Ananda. E il Beato sedette sul posto preparatogli. Dopo essersi seduto, si rivolse al venerabile Ananda, e gli disse "" Vieni, Ananda, vammi a prendere dell'acqua; sono assetato, vorrei bere""!" "A queste parole il venerabile Ananda rispose al Beato: "" Proprio ora, Signore, circa cinquecento carri sono passati per qua. L'acqua agitata dalle ruote, essendo poco fonda, scorre torbida e fangosa. Ma non molto lontano, Signore, vi è il lume Kukuttha, con acqua spumeggiante e gradevole, fresca e chiara, di facile accesso, deliziosa. Ivi il Beato può bere e rinfrescare le Sue membra "". Una seconda volta il Beato fece la medesima richiesta e ricevette la stessa risposta" Una terza volta, ancora, il Beato fece la medesima "richiesta. Quindi il venerabile Ananda, dicendo: ""Così sia," "Signore"", in obbedienza al Beato, prese la ciotola e andò" verso quel ruscello [vicino]. Il ruscello, agitato dalle ruote ed essendo poco fondo, scorreva torbido e fangoso. Ma, appena si fu avvicinato il venerabile Ananda, esso prese a scorrere chiaro e puro, fresco e trasparente. E il venerabile Ananda 79 "pensò: "" Che meraviglia! Un miracolo, invero, è stato compiuto dal Tathagata! Perché questo ruscello che,

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agitato dalle" ruote dei carri, essendo poco fondo, scorreva torbido e fangoso, quando mi sono avvicinato si è messo a scorrere chiaro "e puro, fresco e trasparente ? "". Così, presa l'acqua con la ciotola, andò dal Beato e, avvicinandosi a Lui, disse: "" Signore," è meraviglioso, è un miracolo compiuto dal grande potere e dalle grandi facoltà del Tathagata! questo ruscello scorre "ora fresco e puro! Ne beva il Beato l'acqua!"". Ed il Beato" bevve quell'acqua. Indi il Beato, con una gran comitiva di monaci, venne al fiume Kukuttha, giunto che fu vi si immerse e, dopo essersi lavato, aver bevuto ed essere uscito dall'acqua, andò al boschetto di manghi e si rivolse al venerabile "Cundaka: "" Vieni, Cundaka! Preparami la mia roba piegata" "in quattro! Sono stanco, mi siederò"". "" Sì, Signore"", rispose" il venerabile Cundaka, e, obbedendo al Beato, preparò la roba piegata in quattro. Indi il Beato giacque sul lato destro, nella posizione del leone (128), posando un piede sul[la pianta della altro, consapevole, conoscente, volgendo la mente alla coscienza di energia (? - utthana-sannam) (129). Tuttavia il venerabile Cundaka sedette allora di fronte al Beato. Giunto che fu il Beato al lume Kukuttha, dall'acqua tersa, fresca, trasparente, vi si immerse, ben stanco, il Maestro, quaggiù nel mondo impareggiabile Tathagata. Lavato e dissetato [che fu], ne venne fuori, il Maestro, in mezzo alla scorta dei monaci. Il Maestro, Istruttor della Legge, Beato - il Possente Signore andò al bosco di manghi. "Un monaco chiamò, detto Cundaka: "" Piegami in quattro la veste per giaciglio ""." Da Quegli-che-ha-se-stesso-conseguito (bhavitattena) così comandato, Cunda presto [obbedì], stendendo la veste piegata in quattro come giaciglio, sul quale si stese il Maestro affaticato. E Cunda (130) di fronte a lui si pose a sedere o). "Indi il Beato si rivolse al venerabile Ananda, dicendo: ""Può darsi, Ananda, che qualcuno faccia sorgere rimorso in" "Cunda, il fabbro, dicendo: "" è una pecca per te, caro Cunda," è una disgrazia per te, caro Cunda, che il Tathagata sia trapassato definitivamente dopo aver mangiato il suo ultimo "cibo, offerto dalle tue mani! "". Tale rimorso per Cunda deve" "venire impedito, o Ananda, [col dire]: "" È un prodotto per" te, caro Cunda. È una grazia per te, caro Cunda, che il Beato sia definitivamente trapassato dopo aver mangiato il suo ultimo cibo offerto dalle tue mani. Faccia a faccia con Lui, caro Cunda, io ho udito questo: faccia a faccia con Lui, caro Cunda, ho accolto questo detto: ' Questi due doni di cibo sono esattamente di eguale merito, di eguale risultato, e sono ben più fruttuosi e profittevoli di qualsivoglia altro dono di cibo. Quali due? Quel dono di cibo, dopo aver consumato il quale il Tathagata si è risvegliato alla Suprema Illuminazione (anutaram

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sambodhim ) e quel dono di cibo, dopo aver consumato il quale il Tathagata trapassa finalmente in quella sfera di Estinzione (nibbana-dhatu) che è senza residuo. Questi due doni di cibo sono di merito esattamente eguale, di eguale risultato, e sono ben più profittevoli di qualsiasi altro dono di 80 cibo'. Per il venerabile Cunda il fabbro il kamma è stato accumulato sì da condurlo a vivere una lunga vita .a godere della bellezza ad essere felice al mondo celeste ed alla fama. È stato messo in moto il kamma che porta alla "supremazia"". Così è, o Ananda, come si deve impedire il" "rimorso di Cunda il fabbro ""." Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì il verso ispirato: Per colui che dà li merito cresce: per chi si raffrena non si accumula l'ira. "L'uomo retto abbandona le cattive azioni; avendo distrutto brama," "avversione ed ottundimento, egli trapassa nell'Estinzione!""." "6. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava a compiere i suoi giri fra i Magadhi e, con una grande comitiva di monaci, arrivò a Pataligama. Ed i devoti laici di Pataligama udirono novella: ""Il Beato, invero, assieme ad una grande comitiva di monaci" è giunto "a Pataligama "". Così quei devoti laici andarono a visitare il" Beato. Venuti che furono da lui, lo salutarono e sedettero in "disparte. Così seduti, dissero al Beato: "" Prenda alloggio il" "Beato nella nostra sala comunale! "". E il Beato accettò mediante il suo silenzio. Quindi quei devoti laici, vedendo che" il Beato acconsentiva, si alzarono dai posti ove erano seduti, lo salutarono girandogli attorno verso destra e se ne andarono alla sala comunale. Giunti che furono alla sala comunale la apprestarono in ogni modo e in ogni lato, prepararono seggi, collocarono un bacile d'acqua ed appesero una lampada ad olio. Indi ritornarono dal Beato, lo salutarono [di nuovo] ..... "e, stando in piedi, gli dissero: "" Signore, la sala del consiglio è pronta in ogni particolare. I seggi sono stati preparati, un bacile d'acqua è stato collocato, una lampada a olio" è stata appesa. Voglia il Beato fare ora ciò che Gli sembri più "opportuno ""." Quindi il Beato, apprestatosi ad uscire di mattina, indossata la veste e presa la ciotola, andò con una grande comitiva di monaci alla sala comunale: giunto che vi fu ebbe i piedi lavati, entrò nella sala e si assise addossato al pilastro centrale, volto ad oriente. L'Ordine dei monaci si lavò pure i piedi, entrò nella sala

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comunale e sedette addossato alla parete occidentale, guardando quindi ad oriente, col Beato di fronte a tutti. I seguaci laici di Pataligama si lavarono pure i piedi, entrarono nella sala del consiglio e sedettero col dorso appoggiato alla parete orientale, volti quindi ad occidente, ed avendo il Beato di fronte. "Allora il Beato si diresse ai devoti laici di Pataligama, dicendo: "" Capifamiglia, cinque sono le cattive conseguenze (adinava) alle quali va incontro l'uomo immorale, in conseguenza del suo essere caduto fuori dalla virtù. Quali sono queste cinque conseguenze?" 1) In questo mondo, o capifamiglia, l'uomo immorale, caduto fuori della virtù, in conseguenza del suo essere dedito alla distrazione (131) patisce una grande perdita di ricchezza. Questa è la prima delle cattive conseguenze che patisce l'uomo immorale in seguito all'essere caduto fuori del cammino della virtù. 2) Inoltre, o capifamiglia, per l'uomo immorale, caduto fuori della via della virtù, nasce una cattiva fama. Questa è la seconda cattiva conseguenza..... 3) Inoltre, o capifamiglia, l'uomo immobile, che è caduto fuori della via della virtù, qualunque sia la società nella quale si introduce, sia di guerrieri, di brahmana, di capifamiglia o di asceti, vi si appressa timido e vergognoso. Questa è la terza cattiva conseguenza..... 4) Inoltre, o capifamiglia, l'uomo immorale, che è caduto fuori della via della virtù, finisce la sua vita 81 stralunato, paralizzato (sammulha). Questa è la quarta cattiva conseguenza..... 5) Infine, o capifamiglia, l'uomo immorale, che è caduto fuori della via della virtù, alla distruzione del corpo, quando morte sopravviene, procede verso un cattivo destino, cadendo in basso, nel Purgatorio. Questa è la quinta cattiva conseguenza e tutte queste sono le cinque cattive conseguenze che colpiscono l'uomo immorale, che è caduto fuori della via della virtù. Queste sono le cinque buone conseguenze, o capifamiglia, che toccano agli uomini virtuosi, poiché hanno praticato virtù (132). Quali sono? I ) In questo mondo, o capifamiglia, l'uomo virtuoso, dotato di virtù, in conseguenza del suo essere dedito al l'attenzione consapevole, consegue una grande porzione di ricchezze. E questa è la prima buona conseguenza a cui va incontro l'uomo virtuoso, per il fatto che segue la via della virtù. 2) Inoltre, o capifamiglia, attorno all'uomo virtuoso, per il fatto che segue la via della virtù, si diffonde una buona fama. Questa è la seconda buona conseguenza..... 3) Ed ancora, o capifamiglia, l'uomo virtuoso, che segue la via della virtù, in qualunque compagnia egli entri, sia di guerrieri che di brahmana, o di capifamiglia o di asceti, vi entra fiducioso in se stesso e non confuso. Questa è la terza buona conseguenza.....

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4) Oltre a ciò, o capifamiglia, l'uomo virtuoso, che segue la via della virtù, finisce la propria vita in piena coscienza. Questa è la quarta buona conseguenza. 5) Infine, o capifamiglia, l'uomo virtuoso, che segue la via della virtù, alla distruzione del corpo, quando morte sopravviene, procede verso un buon destino, rinascendo nel mondo celeste. Questa è la quinta buona conseguenza..... e tutte queste sono le cinque buone conseguenze che toccano all'uomo virtuoso, a cagione della sua pratica della virt¢ "Così il Beato, dopo aver istruito, incitato, illuminato e rallegrato i devoti laici di Pataligama con un discorso consono alla Buona Legge fino a tarda notte, li licenziò dicendo: ""Ora, capifamiglia, la notte è bene avanzata, fate adesso ciò che vi sembri bene "". Quindi i devoti laici di Pataligama, rallegrati dalle parole del Beato, lo ringraziarono, si alzarono da dove erano seduti, salutarono il Beato girandogli attorno verso destra e se ne andarono. Avvenne che il Beato, non molto tempo dopo la partenza dei devoti laici di Pataligama, entrò nel suo alloggio (sunnagaram). Circa in quello stesso tempo Sumdha e Vassakara, grandi ministri del Magadha, costruivano una città sul sito di Pataligama, allo scopo di contenere i Vajji (133). E, nello stesso tempo, un gran numero di devatas (134), in gruppi di un migliaio, si era stabilito nei luoghi delle costruzioni in Pataligama. Ora, accade che, quando devatas di grande potere occupano un luogo, esse rendono inclini le menti dei re e dei grandi ministri dei re a costruire abitazioni. Quando, invece, devatas di minore potere occupano un luogo, esse rendono inclini le menti dei minori governanti e dei loro ministri a costruire abitazioni. Il Beato, allora, contemplò con la sua vista divina e sovrumana quelle devatas schierate per migliaia che occupavano siti in Pataligama. Egli vide che, ovunque le devatas occupino un sito, esse rendono inclini le menti dei re e dei grandi ministri ad edificare" abitazioni Ed alzandosi, alla fine di quella notte, quando "l'alba rischiarava il cielo, si rivolse al venerabile Ananda, dicendo: ""Dimmi, Ananda, chi sta costruendo una città in" "Pataligama?"". ""Signore, sono Sunidha e Vassakara, grandi" "ministri di Magadha, che stanno costruendo una città a Pataligama per tenere lontani i Vajji""." Certamente, dopo essersi consultati coi deva dei Trentatré (135) Ananda, si saranno messi a fabbricare la città sul sito di Pataligama per tener lontani i Vajji. Io ho visto, Ananda, con lo sguardo celeste, purificato, sovrumano, un gran numero di devatas, in schiere di mille, che occupavano luoghi in Pataligama. In

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qualunque luogo devatas di grande potere occupano un sito, esse rendono inclini le menti dei re e dei grandi ministri dei re a costruire abitazioni. Quando, invece, devatas, di minore potere, occupano un luogo, esse rendono inclini le menti dei minori governanti e dei loro ministri a costruire edifici (ripetuto tre volte). O Ananda, per quanto si stende la sede degli Arii, per quanto lungi i mercanti viaggino, questa sarà la 82 capitale delle città, il luogo ove gli uomini apriranno le balle di mercanzia. Però, Ananda, tre sventure colpiranno Pataligama - cioè - a causa di fuoco, a causa di acqua e a causa di discordia (136). "Ora Sunidha e Vassakara, grandi ministri del Magadha, vennero a visitare il Beato. Venuti che furono lo salutarono cortesemente e, dopo lo scambio di saluti e convenevoli, restarono in piedi in un canto. Standosene così in piedi, in un canto, i grandi ministri del Magadha, Sumdha e Vassakara, dissero questo al Beato: ""Voglia il venerando signore Gotama accettare oggi il nostro invito a pranzo assieme all'Ordine dei monaci "". Ed il Beato acconsentì con il silenzio." Quindi Sunidha e Vassakara, vedendo che il Beato acconsentiva, se ne tornarono a casa e, giuntivi, fecero preparare nella loro magione cibo scelto, sia duro che morbido, indi annunciarono il tempo [di mangiare] al Beato, dicendo: il tempo, Signore Gotama, il cibo è stato preparato! . Allora il Beato, apprestandosi all'uscita mattutina, indossata la veste e presa la ciotola, si recò in casa di Sumdha e Vassakara, i grandi ministri del Magadha. Giunto che vi fu si assise in un seggio preparatogli. Indi Sumdha e Vassakara servirono e soddisfecero l'Ordine dei monaci, diretto dal Buddha, con cibo scelto, vuoi tenero vuoi duro. Poi Sumdha e Vassakara vedendo che il Beato aveva mangiato quanto gli soddisfaceva ed aveva ritirato la mano [destra] dalla ciotola [e lavato entrambe], presero uno sgabello e sedettero in un canto. Come si furono seduti, il Beato espresse loro il suo ringraziamento con questi versi: In qualunque regione l'uomo saggio ponga la [sua] dimora, nutra i virtuosi controllati, praticanti il brahmacariya, propizii con l'offerta tutti gli dèi ivi viventi: così venerati, lo venereranno, così onorati, lo onoreranno. "Come la madre ha compassione del figlio che essa ha portato, chi delle deità ha compassione vedrà sempre la buona fortuna ""."

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Così il Beato, dopo aver ringraziato con questi versi Sunidha e Vassakara, grandi ministri del Magadha, si alzò dal suo seggio e se ne andò. Ora, in quel tempo, Sunidha e Vassakara seguivano i "passi del Beato, passo a passo, con questa idea: ""Quale sarà" la porta di città per la quale uscirà Gotama l'asceta, quella diverrà la porta di Gotama. Quale sarà il guado per il quale Gotama l'asceta attraverserà il Gange, quello sarà il [Sacro] Guado (137) di Gotama o. Per questa ragione la porta per la quale il Beato uscì di città prese il nome di Porta di Gotama. Indi il Beato giunse al fiume Gange. In quel tempo il Gange era in piena, giungendo all'altezza dei banchi rivieraschi, in modo tale che perfino un corvo vi avrebbe potuto bere. E alcune persone andavano alla ricerca di un'imbarcazione, altre erano intente a cercare una zattera, altre ancora legavano assieme fasci di canne, desiderose di giungere all'opposta sponda. Ma il Beato, proprio come un uomo forte potrebbe distendere il suo braccio piegato o piegare il suo braccio disteso - allo stesso modo sparì da questa sponda del fiume per ritrovarsi, assieme a tutto l'Ordine dei monaci, sulla sponda opposta. E il Beato vide alcune persone che andavano alla ricerca di un'imbarcazione, altre intente a cercare una 83 zattera, altre ancora che legavano assieme fasci di canne, desiderose di giungere alla sponda opposta. Quindi il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Hanno L'atto un ponte per attraversare l'oceano e la corrente "per passare la palude: la gente intreccia una cesta, perfino. I saggi hanno già guadato!"" (138)." "7. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato viaggiava sulla strada maestra nel territorio dei Kosali, assieme al venerabile Nagasamala come suo attendente personale. Mentre essi procedevano, il venerabile Nagasamala vide una biforcazione e, avendola scorta, disse al Beato: "" O Beato, vi è un'altra] strada: andiamo per quella! "". A questo detto il Beato rispose al venerabile Nagasamala: "" Questa [qui] è la strada, Nagasamala, andiamo per questa strada! "". Una seconda volta il venerabile Nagasamala disse al Beato" "e ancora una terza volta, ed il Beato rispose: ""Questa [qui] è la strada, Nagasamala, andiamo per questa strada ! "". A questo punto il venerabile Nagasamala lasciò proprio là per terra la ciotola e la veste del Beato, e se ne andò dicendo: ""Eccovi, Beato, la vostra veste e la vostra ciotola ""." "Ora capitò che, mentre il venerabile Nagasamala se ne andata per quella via secondaria, dei ladroni lo

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sorprendessero: lo picchiarono, lo presero a calci, gli ruppero la ciotola e gli stracciarono la veste. Allora il venerabile Nagasamala, con la ciotola spezzata e le vesti stracciate, se ne ritornò dal Beato e, giunto che fu presso di Lui, Lo salutò e sedette in un canto. Come si fu così seduto il venerabile Nagasamala disse al Beato: ""Signore, mentre andavo per quella strada i ladri mi hanno assalito, picchiato e preso a calci, mi hanno rotto la ciotola e stracciato le vesti ""." A questo punto il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Camminando adagio con lo sciocco il saggio perde soltanto tempo (?). Quando scopre che è un mariuolo, subito lo abbandona, come un "airone nutrito con latte abbandona l'acqua (139)""." "8. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, nel parco orientale, nella casa a più piani della Madre di Migara. In quel tempo avvenne che l'amata e graziosa nipote di Visakha, madre di Migara, venne a morire. Così Visakha, la madre di Migara, con le vesti ed i capelli ancora umidi (140) venne a visitare il Beato ad un'ora impropria. Venuta che fu lo salutò e sedette in un canto. Una volta che si fu seduta, il Beato disse a Visakha, la madre di Migara: "" Orbene, Visakha, come mai sei venuta qui, con gli abiti ed i capelli ancora umidi, in un'ora impropria? ""." " O Signore, la mia cara e graziosa nipote è morta! Questa è la ragione per la quale sono venuta qui coi capelli e le vesti ancora umidi in un'ora impropria . "" Ti piacerebbe, Visakha, aver tanti figli e tanti nipoti quanti uomini ci sono a Savatthi? "". "" Desidererei davvero, Signore, aver tanti figli e nipoti quanti uomini ci sono a Savatthi! "". "" [Dimmi, allora,] Visakha, quante persone pensi che muoiano quotidianamente a Savatthi? "". "" Dieci, Signore, saranno le persone che muoiono quotidianamente a Savatthi, o forse nove, o" otto Forse, invece, sette sei, cinque, o quattro o tre, o due. Forse è una sola persona quella che muore giornalmente in Savatthi, Signore. Savatthi non è mai priva di gente "che muore, Signore "". "" E allora, Visakha, che pensi ? In tal" caso potresti tu stare qualche volta senza i capelli e le vesti "bagnate? "". "" No di certo: basta, Signore, con tanti figli e" "tanti nipoti! "". "" Visakha, coloro i quali hanno cento cose" care, hanno altrettanti cento dolori. Coloro che hanno novanta cose care hanno altrettanti novanta dolori. 84 Coloro che hanno ottanta trenta ..venti dieci cose care,

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hanno altrettanti ottanta trenta venti dieci dolori. Chi, però, ha una sola cosa cara, ha un solo dolore. E chi nulla ha di caro (141), costui non patisce alcun dolore. Costoro sono senza dolore e senza passione: essi sono sereni, "io dichiaro! ""." Quanti sono i dolori, i lamenti ed i malanni in questo mondo, innumerevoli, per quello che vi è di caro, questi divengono [tali]: se non vi è ciò che è caro, essi non sono. Perciò felici, liberi da dolore sono tutti coloro per i quali nulla è caro al mondo. "Se, quindi, ricerchi il non-dolore e il non-soffrire, non renderti caro nulla in questo mondo!""." "9. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Rajagaha, nel Bosco di Bambù, alla Radura ove si nutrono gli Scoiattoli. Ora, in quella circostanza, il venerabile Dabba (142), della stirpe dei Malla, venne a visitare il Beato. Venuto che fu lo salutò e, salutatolo, sedette in un canto. Quando si fu così seduto, il venerabile Dabba disse al Beato: ""O Bene-Andato (Su-gattl), è giunto il tempo della mia Finale Estinzione (parinibbana) "". "" Fa' pure ciò che ti sembri tempo di fare, Dabba! ?). Allora il venerabile Dabba, alzandosi dal suo seggio, salutò il Beato girandogli attorno verso destra, indi si sollevò in aria e, seduto a gambe incrociate nell'atmosfera, raggiunse la sfera del calore, superando la quale si estinse totalmente (143). Quindi, allorché il venerabile Dabba della gente Malla, sollevatosi" nell'aria si fu totalmente estinto, il suo corpo fu consumato, arso fino in fondo, sicché di lui non rimase visibile né un atomo di cenere né uno di fuliggine. Proprio come quando burro fuso o olio è consunto ed arso totalmente e non ne rimane visibile né un atomo di cenere né uno di fuliggine, così pure, allorché il venerabile Dabba fu sollevato in aria..... non un atomo di cenere né di fuliggine ne rimase visibile. Allora il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Spezzato è il corpo, estinto l'ideare, arso ogni sentire, disciolti "i componenti, giunta è la coscienza al suo fine!""." "10. Così da me è stato udito. In una certa occasione il Beato si trovava presso Savatthi, al bosco Jeta, nei parco di Anathapindika. Ivi il Beato chiamò i monaci, dicendo: ""Monaci! "" ""Sì, Signore, [eccoci] "", risposero i monaci al Beato." "Il Beato disse questo: "" Monaci, allorché Dabba della gente" Malla si sollevò nell'aria (come nel sutta precedente) non un atomo di cenere o di fuliggine rimase visibile. Proprio come, per esempio, quando burro fuso o olio viene consumato, arso totalmente "così è avvenuto con Dabba dei Malla """ A questo punto il Beato, intuendo il significato di ciò, profferì in quel momento questo verso ispirato: Come un'ardente favilla di fuoco - sprigionata da incudine battuta,

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di essa non si conosce il destino, mentre si va estinguendo, così è per quelli rettamente Liberati, che ha.... della brama che lega [alla vita], "che sono giunti alla feliciti incommovibile rintracciare la via!""" (Traduzione di Pio Filippani Ronconi) 85 NOTE "1) Udana significa propriamente ""elevazione"", ""esaltazione""." "Nella teoria fisio-psicologica delle Upanisad si denota la principale forma dello spirito vitale (prana), quella che esso assume ""ascendendo"" (udana) dal plesso laringeo alla sutura sagittale, o ""foro del Brahman"" (brahma-randhra), ove si ricongiunge con lo Spirito Universale ." "2. La permanenza di sette giorni nel luogo dell'illuminazione è un elemento rituale caratteristico, nell'antica India, dei sovrani consacrati dal battesimo regale (abhisaka). Il Buddha, infatti, venne considerato alla stregua di un Sovrano Universale (cakra-vartin, ""volgitore di ruota"") e, come tale, vennero tributati onori funebri regali alla sua salma." "3) Il testo denota unicamente tale posizione e posa a palanchino (-pallanka, sanscrito - poryanka), che probabilmente è la posizione yoghica di ""fiore di loto"", padmasana cioè con le palme dei piedi volte in su, piede sinistro su coscia destra, piede destro - al di sopra del malleolo sinistro, posato sulla coscia opposta, posizione nella quale si rappresenta il Buddha meditante." "4-4a) Huhumka-jati, o humhumka-iati, ""della gente che dice hum- hum"" Hum è una giaculatoria mistica (mantra), la cui ripetizione meditata è ritenuta aprire il varco verso esperienze superiori. A parte questo significato più evidente, il termine hjtiko può significare ""individuo che borbotta è, ""che si dà arie""' ecc., come appare nel verso seguente.." "5) F. L. WOODWARD, Cfr. bibl., pag. 4, traduce ""Master Gotama, cioè l'espressione bho Gotama, ciò che non sembra preciso, poiché bho è un termine familiare adoperato dai bradhmana per parlare con quelli di casta inferiore, tanto è vero che nel Canone essi vengono spesso designati come bho-vadin, gente che dice [agli altri] "" bho """"." 6) Il verso dimostra, contro coloro che ritengono il Buddha una specie di rivoluzionario anticastrale, come egli considerasse naturale e giusta la funzione dei brahmana nella società indiana, purché il loro rango corrispondesse ad una qualificazione interiore (v. i versi 363-423 del Dhammapada). 7) Ciò: brama, avversione, torpidità mentale orgoglio e false teorie (raga, dosa, moha, mana, ditthi). 8) Creatura sovrannaturale (sanscrito yaksa) di carattere demoniaco, ritenuta abitare nei boschi, generalmente

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nemica degli uomini, talvolta invece benevola. Buddha è ritenuto aver convertito alla Buona Legge alcuni di questi fauni. 9) Figlio di un setthi, o capo di una corporazione di banchieri, che aveva ottenuto dal Buddha, il permesso di farsi monaco sebbene già ammogliato e padre, a condizione che i suoi genitori avessero acconsentito, il che era avvenuto. Insistere, per il ritorno allo stato di padre di famiglia presso uno che aveva lasciato il mondo costituiva, per gli Indiani, addirittura una ingiuria. Jatila, segno distintivo degli asceti ortodossi indiani. 12) Dei mesi Magha e Phalguna, che corrispondono circa ai nostri Gennaio e Febbraio. "13) Sanscrito Surparak, attualmente Sopara, a nord di Bombay; città successivamente nota ai mercanti greci e romani." 14) Secondo lo scol. deità del Brahma-loka, che in epoca precedente era stata e famosi monaci, cinque dei quali si reincarnarono all'epoca dei, come preminenti suoi discepoli. Uno di essi è lo stesso Bahiya. 15) Il testo è anche interpretabile nel senso che Bahiya compì il viaggio - di circa, un migliaio di chilometri - nello spazio di un. sola notte. 16-16 a) Il punto è di un'importanza capitali, perché il Buddha vi impartisce l'essenza del suo insegnamento. che, nel caso esposto, consiste nell'isolare le percezioni - puramente obbiettive - dalla risonanza soggettiva delle sensazioni, il che libera l'uomo dal complesso delle tendenze innata, sankhdra, e dalle abitudini contratte, vasana, restituendogli la coscienza della sua primordiale trasparenza. 17) Sanscrito steppa (o cetiva), classico edificio buddhista destinato a raccogliere le reliquie di qualche santo neppure oggetti e libri sacri, consistente - nella su forma più elaborata - di un cubo arrotondato e svasato in 86 alto, posato su una base e sormontato da un cono a sei o dieci gradini (quante sono le Perfeziona, paramitah). Però, in questo caso, si intende, naturalmente, un semplice tumulo di sassi sovrapposti. 18) Nome di un albero della specie Asoka (Barringtonia actutangula) e nome del re di quei genii serpiformi conosciuti dalla tradizione indiana come Naga (cfr. lat. Anguis). 19) Si tratta del gesto classico (mudrà) delle preghiera o della venerazione, simile a quello della preghiera cristiana occidentale. Consiste nel portare davanti al viso, o, meglio, davanti all'intercilio, le due mani con le palme unite (anjali), inchinando (namas) contemporaneamente il tronco in segno di devozione. 30) I due re contemporanei di Buddha. 21) Kuluputta (sanscrito kula-putra), figlio di famiglia, cioè nobile per antonomasia. 22) Ariyo tunihibhavo, il nobile silenzio, cioè la meditazione: così lo scoliaste.

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"23) Solesim kalam, per antonomasia la ""sedicesima parte o, indica il giorno di luna nuova, in cui gli asceti brahmanici compiono il digiuno completo, raggiungendo quindi lo stato di massima purità sacrale. Il termine, pertanto, significa ""la quiescenza"", o la parte migliore""." 24) Paribbajaka (sanscrito parivrajaka), qui non indica i monaci dell'Ordine, altrove anch'essi denotati con lo stesso nome, bensì gli asceti loro avversari, probabilmente jaina e saiva seguaci delle varie discipline yoghiche. 25) Upalhi, substrato e base per l'aggregazione dei cinque khandha (sanscrito skhandha) che costituiscono - secondo il Buddhismo - la base della transeunte personalità umana. "26) Vada-gu, ""conoscitore dei Veda"", intendendo per ""Veda"", la sapienza in generale. Nell'espressione pali è implicita l'armonia verso coloro che conoscevano un sapere puramente rituale e letterale, ignorando la sorgente donde questo eternamente sgorga, secondo forme sempre diverse." "27) A-kincand, ""che non hanno ""qualcosa"", intendendo per "" qualcosa ciò che resta irrimediabilmente confinato nella sfera dell'esteriorità, non essendo posseduto realmente dallo spirito." 28) Di regola l'ora della visita ad monaco è immediatamente dopo il patto di mezzogiorno. 29) Città nella regione abitata dai Koliya. 30) Padakkhina (sanscrito pradaksina), circumambulazione a destra che gli Indiani seguono ritualmente attorno ad altri templi, luoghi consacrati o personaggi divini. "31) Lohita-kumbhi: vi è un'allusione ironica all'inferno della ""caldaia di rame"" lolla-kumbha, Ove vengono bolliti i dannati Il fatto di dover [ri]nascere" è implicitamente concepito come una maledizione. "32) Il termine militaresco dhamma-sena-pati richiama all'espressione medioironica di ""generale"", ""duce di esercito"" ispdhbad, attribuita ai capi religiosi ed agli Arcangeli" "33-33 a) cioè l'invocazione alla suona Legge da parte di Suppavasa ha avuto come scopo la creazione di un nuovo anello nella catena delle nascite-morti-rinascite, cioè di qualcosa che è in contrasto col Dhamma. Tanto più lo è il desiderio di altri sette figli e l'attaccamento ad una tale previsione. Secondo i jadaka (1, 407), Suppavasa sarebbe invece stata regina di senares da dove, assieme a suo figlio, Sarebbe stata cacciata da ""quelli del Kosala"". Per riprendere la città essa consigliò al figlio di bloccarne i viveri per sette giorni, affamando la popolazione come punizione, s., in una vita successiva dove sopportare" sette anni ed un travaglio di sette giorni "34) La madre di Migara "" era, in realtà, la nuora di questo potente signore Madre"" o ""Piccola Madre"" (matrkd) si dice, ancor oggi, in India a qualunque donna propria parente, anche se non sposata con un sottinteso riferimento religioso alla funzione femminile nel mondo divino."

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35) Monaco di nobile stirpe, la cui madre era una principessa (raja-devi) degli Saltya, contribale, quindi, del Buddha. "36) Il secondo stadio della vita dell'Indiano ario, dopo il discepolato (brahma-carya), consiste nel ""vivere in casa"" (graha-stha), cioè formarsi una famiglia e far parte della società attiva." 87 37) V. nota 3. 38) Gli dèi (deva) del paradiso vedico, che i Buddhisti considerano come uno dei tanti stadi transitori di esistenza. 39) Pali ucchara (sanscr. Apsaras). Ninfa celeste, dispensatrice di piaceri, che la mitologia indiana considera generalmente come una tentatrice inviata dagli dèi per distogliere dalla meditazione quei saggi la cui ascesi mette in pericolo la supremazia degli dei stessi. Le a. sono le compagne dei Gandharva (v. Dhammapuda, nota 34). "40) Il padre di Yasoja era il capo di ""cinquecento famiglie di pescatori"" (così lo scol.). L'illusione successiva ai pescatori non è, quindi, casuale." 41) Sanscrito Vrjji, potente ed irrequieta drya del Magdha, che ebbe notevole peso nelle vicende politiche contemporanee. 42) Tisso vijja. La conoscenza della nascita precedenti, la chiaroveggenza e la conoscenza del fatto che i legami erano finiti. Per avere le braccia libere per salutarlo. 44) Ananda, essendosi occupato per tutta la vita delle minute necessità del Beato, non aveva mai potuto sviluppare in sé quelle facoltà di chiaroveggenza e di intuito proprie agli Arhae Cosa che gli fu rimproverata dopo la morte del Maestro e lo indusse a percorrere immediatamente il cammino interiore trascurato prima. "45) Quasi certamente allude ad una fase della meditazione sul respiro (anapenasati), durante la quale l'asceta assiste ""dal di fuori"" all'alterno flusso del proprio respiro, sì da concepire che non è lui a respirare, bensì ""in lui il respiro viene respirato"", e così pure ""in lui viene pensato), ecc. Questa operazione, che conduce a pi¢ alte forme di chiaroveggenza, sembra chiaramente espressa dal contesto parimukham satim upatthapetva, test.: avendo stabilito la consapevolezza davanti alla propria faccia""." "46) Kaya-geta-sati (sanscrito keya-gate-smrti), consapevolezza riguardante l'assenza o, meglio, la nonessenza del corpo. Uno dei sedici ""rammemoramenti"" di Sasipatthana (V. Dhammapadia, note 6 e 79)." 47) I cinque sensi più il mentale. 48) Vasala (sanscrito vrsala), appartenente alla casta dei servi, gli sudra. "49) Sanscrito vatsa, ""vitulus"", termine affettivo o nome tribale del monaco."

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"Sanscrito Sakra, ""il Potente "", sinonimo di Indra, re dei Trentatrè Dèi. " Dèi di una classe opposta ai Deva, che nei Veda rivestono frequentemente carattere magico e malvagio. I Buddhisti. Però, li accomunano ai Deva al servizio della Buona Legge. "52) Sanscrito Kausika, ""civetta"", nome totemico o tribale di Indra." "53) Mudra significa gesto magico, ""sphragís"", la cui corretta esecuzione evoca superiori potenze dello spirito e dota l'operatore di magici poteri. A meno che qui si intenda il linguaggio a gesti praticato ancor oggi da alcuni mercanti singhalesi di gioielli per non fare ascoltare le contrattazioni (v. ""Journal Asiatique"", avril-septembre 1937)." 54) Sankhana è l'arte di calcolare a colpo d'occhio un numero sconosciuto di oggetti radunati in un luogo il numero delle foglie di un albero ecc. "55) L'entrata nel ciclo delle esistenze è concepita come un alterarsi di una primordiale identità, per il fatto che ci si identifica a questa o a quella ""persona"" con il suo carico di possibilità, di limitazioni e di difetti frutto di una sua adesione""" (assava, asrava) passionale all'azione. 56) In questo e nei passi seguenti vi è un costante gioco di parole, imperniato sui vari significati del vocabolo bhava: divenire, esistenza, vivere essere. 57) Upadhi, il quadruplice substrato all'esistere i cinque Khandha, kama, kilesa e kamma. 58) Monaco della stirpe regale dei Sakya. Evidentemente, essendo il Buddha diventato vecchio i monaci lo servano a turno nelle sue necessità quotidiane, eccetto la questua, che compì da solo fino alla fine dei suoi giorni. 88 "Pattimokka. È l'insieme delle regole disciplinari e morali di stretta osservanza; per estensione del concetto, p. è venuto a significare il codice dei peccati e delle pene relative e la ""confessione dei peccati""." Panna (sanscrito prajna) non è soltanto la conoscenza trascendentale, ma la percezione dell'operare del vero Sé entro la compagine umana. 62) Allusione evidente al rifiuto di Meghiya di servire il Buddha, quando gli toccava tale incombenza. "63) Asmi-mena-samugghata, lett. ""l'annientamento delle idee io sono """" riferita, naturalmente, alla compagine umana. Nella ""non-condizione"" di nirvana non è più questione di ""io sono"" o ""io non sono""." 64) Allude all'impercettibile depositarsi nelle zone oscure della coscienza dei "sottili impulsi prodotti dal pensiero discorsivo (vitekka, sanscrito vitarka), i quali, loro volta risorgono come abitudini aquisite, ""complessi"" (vasana) sfera istintiva. A queste abitudini l'uomo, inconsciamente, si identifica."

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65) Secondo il commento, il vaccaro era un certo Nanda, ricco proprietario, e la sua uccisione, avvenuta per mano di un cacciatore era stata motivata, da una disputa circa i diritti di abbeverata in una certa fonte. 66) V. nota 5. "Pamsu-pisaca, lett. ""lemure del fango"" spirito elementare della terra, alla cui visione si accade nei primi gradi della chiaroveggenza." 68) Naga, in pali e sanscrito significa contemporaneamente serpente cobra elefante e Saggio nonché una particolare specie di esseri sovrannaturali anguiformi che, nelle viscere della Terra, custodiscono una Sapienza primordiale (v. nota 18). "La veste di panni rappezzati civara, avuta in dono raccolta in un cimitero o nella spazzatura, in tre pezze, è l'indumento classico del monaco buddhista. Si noti per incidenza come in ambiente mussulmano il vestito rappezzato (hirga sia caratteristico degli appartenerti agli ordini mistici o gnostici, sufi di Persia e l'abito formato di tre strisce di tela sia prescritto durante le cerimonie del pellegrinaggio alla Mecca come simbolo dell'entrata in ""istato sacro "" (haram)." Puhhajaka (sanscrito parivrajaka) asceti erranti dediti a varie forme di Yoga, non appartenenti all'ordine del Buddha, né qui meglio identificati. Sono comuni anche all'India attuale. "71) Il Chieders (cfr bibl.) preferisce la lettura sarehi/sayakehi = ""con i dardi""; lo STEINIHAL (cfr. bibl.) la lettura parehi = ""[con] gli altri""." 72) Fratello di Sariputta. "73) Ekaggacitta (sanscrito ekagracitta) è il requisito fondamentale nella meditazione estatica raccogliere la mente su ""un punto solo"" (sanscrito eka-agra), fino a raggiungere l'identificazione psichica con l'oggetto meditato." "74) Thera (sanscrito sthavira) è l'appellativo corrente per gli anziani ed i capi di comunità nel Buddhismo meridionale. Thera-vada, o ""Dottrina degli Anziani, è la denominazione della Scuola più importante del Buddhismo Hinayana." "75) La teoria del ""Sé"" (atman) che sperimentando se stesso attraverso gli oggetti della conoscenza ama questi perché in loro si riconosce, è stata sintetizzata del celebre passo upanisadico (""... Non e certo per amore del marito che il marito è caro: è per amore di sè [dello atmaa] che è caro il marito. Non è certamente per l'amore della sposa che la sposa è cara; è per l'amore del sé che la sposa è cara. Non è certamente per l'amore dei figli che i figli sono cari: è per l'amore del sé che i figli sono cari. Non è certamente per l'amore

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delle ricchezze che le ricchezze sono care: è per l'amore del sé che le ricchezze sono care. Non è per l'amore del Brahman che si ama Brahman: è per l'amore del sé che si ama il Brahman... "" Brh.-up., II, 4 5. nostra traduzione in upanisad Antiche e Medie, vol. Il Torino 1961 pag. 63). È importante osservare come il Buddhismo pur affermando l'inessenzialità (anatta) del Sé trasponga proprio in questa inessenzialità il significato autocosciente dell'esperienza umana." "76) (Sanscr. Tubista, o Tusitah, [degli dèi] ""Deliziati"" paradiso ove dimorano i Buddha, prima di discendere sulla Terra." 89 "77) ""Coloro la cui essenza (sattva) è illuminazione (bodhi)"". Esseri allo stadio anteriore a quello della Buddheità vera e propria." 78) Cioè le Quattro Nobili Verità. E la formula classica mediante la quale si entra nella Chiesa buddhista. La leggenda narra che Suppabuddha chiese di entrare come semplice devoto laico (upasaka) e non come monaco, probabilmente per giustificare la proibizione successiva che vietava di accogliere nell'Ordine - quali monaci - i malati di malattie inguaribili i minorenni ecc. "81) Sanscrito Pratyeka-buddha, ""Buddha di per sé"", un essere illuminatosi per la propria salvezza non un Maestro Universale." 82) In segno di disprezzo. La circumambulazione a destra intendendo imitare il corso del sole attorno alla terra è, come si è visto in altri passi, l'espressione di omaggio verso luoghi immagini e personaggi sacri. 83) Si tratta naturalmente di un tempo interiormente, concepito, non di quello cronologicamente misurato sulla terra. 84) Variante generalmente espunta metri causa. "85) Sanscrito upavasarha; giorno di digiuno astinenza e confessione patimokkha, oltre che di festa, Della comunità buddhista. Si celebra nei quattro giorni cardinali del mese lunare: luna piena, quarto, ottavo e luna nuova." "86) Si tratta del patimokhha (sanscrito pratimoksa), già citato nel quale vengono elencati e rammentati i voti ai quali i monaci debbono sottostare trasgredendo i quali soggiacciono a varie pene, fino all'espulsione dall'Ordine. In tale occasione i monaci compiono collettivamente una specie di "" confessione dei peccati""." 87) Gli Asura sono dèi primordiali di carattere piuttosto magico che la religione, vedico-brahmanica considera generalmente nemici dei Deva, gli dèi propriamente detti luminosi e giusti. "88) Interpretazione incerta di termini favolosi (timi timngalo, timirapingilo), appartenenti oltre tutto ad una

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civiltà ""non marinara""." 89)V. nota 68. "90) Geni di sostanza iperfisica, che sovraintendono al mondo degli impulsi passionali specialmente amorosi. Ritenuti ora musici celesti, ora medici miracolosi ora custode della bevanda dell'immortalità, i gandharva sono i compagni delle ninfe apsaras, seduttrici di quei saggi la cui ascesi mette in pericolo la sovranità degli dèi. Son detti anche Kinnara (cfr. i "" Centauri "" della mitologia greco-latina)." 91) Misura di circa 8-9 miglia. "92) Il Buddha precisa qui polemicamente la differenza fra la sua disciplina che si fonda su un graduale allenamento, commisurato alle possibilità di un uomo normale e gli esercizi dello Yoga ""violento"" (hathayoga ecc.), già si suoi tempi seguiti dai vari asceti degli ordini settari." 93) Le quattro caste dell'India tradizionale: guerrieri. sacerdoti agricoltori allevatori-mercanti e servi (indigeni non Arii). Come in alcune upanisad antiche, il Buddha pone in primo luogo i guerrieri, anziché i sacerdoti forse perché gli stesso come anche Jina ed altri innovatori appartengono a quella casta. "94) Cioè là dove si è inverato il nibbana, scompaiono le limitazioni e le reciproche opposizioni (dolorepiacere male-bene vincolo-liberazione): non vi è quindi più bisogno di ""coprire"" di un solido tetto la casa della mente (v. Dhammapada, 13), onde non vi penetri la pioggia dei pensieri distraenti, ecc." "95) Pabbajjd (sanscrito pravrajya = dipartita). È una semplice cerimonia per la quale il devoto presentandosi all'abate di un monastero assistito dal capitolo di almeno cinque (o dieci) monaci con la veste di monaco chiede di venire ordinato. Egli recita quindi il Credo (Saranattaya) ed i Dieci Comandamenti (Dassasila), viene raso, rivestito dalla veste, e diventa membro attivo del Sangha, come novizio (samanera) o diacono. Il grado superiore è quello di ""anziano "" (thera) (V. nota 74)." 96) In tutte le sette indiane il discepolo usa onorare i piedi del Maestro. Le stesse prime raffigurazioni del 90 Buddha, puramente simboliche, lo rappresentavano con due piante dei piedi entro le quali era tracciata lo svastika, simbolo della Buona Legge. 97) L'uposatha essendo giorno festivo era implicitamente dedicato alle attività religiose come il sabbath ebraico. La questua ed il lavoro ne erano esclusi. 98) Il celebre cugino discepolo e poi rivale del Buddha, iniziatore di una setta rigorista . 99) Cioè: per il simile è facile il simile o meglio comunque agisce - anche violando la legge esteriore - il Buono resta sulla retta via mentre il cattivo, anche se segue apparentemente la Legge (v. il caso dell'uposatha), agisce implicitamente seguendo la propria malvagia natura.

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100) Cioè Mara. V. nota 46. " Sanscrito Jaty-andha, cieco di nascita "". Vedi la storia 4." "103) Iddhi-pada (sanscrito rddhi-pddah): sono generalmente dieci, delle quali quattro principali; attraversare l'aria in volo, prendere la forma che si vuole, creare e fare apparire ciò che si vuole (nimmalla)." 104) Kappa (sanscrito kalpa), evo, nel quale, secondo le tradizioni indiana buddhista, un cosmo viene creato, mantenuto e distrutto, attraverso un certo numero di periodi (generalmente quattro) detti yuga, o arankheyyahappa. Cioè effettua il cosiddetto parinibbano (sanscrito parinirvana), che consiste nel supplemento anche dell'insieme delle azioni che hanno condotto al nibbana. Per il rigetto delle strutture vitali (oyulonkhoro-osojjano) "Atta sam-bhavar., ""ciò che era divenuto [di] lui "", cioè la stessa personalità psico-fisica, come si era venuta formando in quella particolare esistenza." "108) In questo brano è raffigurato più o meno il campionario degli asceti fachiri mistici e lunatici dell'india di tutti i tempi. L'asceta dal lungo ciuffo (jatila) è probabilmente un sadhu di una scena dedita alle liturgie della a ""mano sinistra"" il Nirgrantha, ""svincolato"", è un Jaino, l'asceta nudo è forse anch'esso un Jaino ortodosso o, piuttosto, un adepto di qualche culto proto-scivaita. Dei porivrajaka o ""Erranti"", si è già accennato." 109) Si osservi la franchezza, da pari a pari con la quale il Buddha tratta Pasenadi dandogli dello sciocco. Franchezza dovuta non solo alla superiorità spirituale ma anche al rango regale che il Gotamide aveva per nascita. 110) È detto contro gli asceti a metà i quali, per vivere fanno mercato della fiducia loro tributata dal popolo. 111) L'apologo è molto importante perché illustra una delle caratteristiche fondamentali del Buddhismo: l'atteggiamento apofatico di fronte a qualunque questione, ritenendosi che solo L'esperienza diretta, totale, ineffabile, di tutta la realtà - che in sé è inessenziale - possa illuminare circa i suoi particolari aspetti, non già il pensiero discorsivo che coi suoi risultati si sovrappone alla serie degli eventi, senza peraltro risolverli. "112) Ahan-kara, qui non ha il Senso Sankhya di ""organo di individuazione"", bensì quello di idea per la quale lo ""io"" (aham) si ritiene ""agente"" (hara). " "Cioè la insostanzialità di tutti gli elementi dell'esistenza conduce a concepire i ""fatti"" di cui l'uomo è protagonista, come meri ""accadimenti"", nei quali egli tesse il karma universale. uno non e più ""agente o,

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ma ""occasionale"" per il verificarsi di un avvenimento, che egli stesso, con una sua precedente azione si è meritato." Avitakka samaddhi lo stato cioè nel quale si realizza l'insostanzialità di tutte le cose, in seguito allo svanire delle concezioni mentali per mezzo delle quali esse si presentano alla coscienza. "115) Rajanukinna può anche significare ""offuscato dalla polvere"", così il WOODWARD, op. cit., pag. 85, rajas, rajo significando passione, polvere, agitazione, eccetera." "116) Con ciò il Buddha allude alla funzione ""mediana"" del suo insegnamento, detto appunto madhyamapratipad, ""via di mezzo"", non perché stia a metà strada tra ascesi e godimento, bensì perchè rifugge la 91 ""mortificazione della carne come fine a sé, e la ricerca del godimento come soluzione al problema del dolore." 117) Nel mondo informale (in alto), e in quello delle forme (in basso). 118) Delle nascite e delle morti. 119) Il simbolo del carro, a significare il complesso psico-fisico umano, il proprio anche alle Upanisad antiche e medie (v. Katha-up., I, 3, 3, tradotta nelle nostre Upanisad antiche e medie, op. cit., vol. 2, pag. 195). "La ""ruota sola"" Ë indica lo stato di equilibrio di chi si fonda non sulla natura costituzionale, bensì sull'energia che lo spinge verso a mèta." Sanscrito Ajnata-Kaundinya, il primo dei cinque discepoli del Buddha. "Papanca-sanna-sankhd-pahanam (sanscrito prepanca-samjna-sankhya-apahdnam). Secondo lo scol., papanca, ""sviluppo "", indica i sei ""ostacoli"": ragadosa-moha-ditthi-tanha-mana (passione-avversioneottundimento dottrina-""sete"" orgoglio)" 122) Ajjhattam (sanscrito adhyatmam) corrisponde chiaramente alla kaya-gata-sati, la consapevolezza meditativa del proprio corpo e della sua alterità rispetto alla coscienza che lo pone come oggetto. È la prima delle quattro consapevolezze (V. note 45 e 46). 123) Il verso allude alla disidentificazione rispetto ai processi psico-fisici, ottenuta mediante la consapevolezza a cui si accennerà nella nota precedente. "124) Upadhi, il ""substrato"" all'essere apparente dell'esperienza del mondo. Gli upadi sono, oltre ai cinque khanda, kama, kilesa e kamma." 125) Nome originario (sanscrito Pataligranna) della città nel Magadha, più tardi nota come Pataliputta (sanscrito Pataigranna). V. anche nota 136. 126) Pi¢ che di un fabbro pare che si truccasse di un ricco orefice. "127) Sukara-maddavam, ""tenerume da cinghiale"". Ritengo da respingersi l'interpretazione di ""carne di

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maiale"", data anche la dieta vegetariana seguita dagli asceti indiani (v. RHYS DAVIDS, Budda. Sut., 71). I sintomi del malore che colse il Buddha sembrano, invece, quelli classici di un avvelenamento o indigestione di boletus satanas o boletus felleus, che producono una sindrome acre-resinoide, la quale induce ad emolisi e altri disturbi gastro-enterici (v. CAVARA F., Funghi e Tartufi, pagg. 30-39, Milano, 1934; MACCANI A., Avvelenamento da funghi, Trento, 1915). I fenomeni colerici (visucika) ai quali, secondo l'Anguttara-nikaya, andò soggetto il Buddha, farebbero pensare anche a funghi di diversa natura, che producono una sindrome tossica, come l'Amanita Phalloides e l'Amanita Verna (vomito, sete, ecc.)." 128) Simha-asana, consistente nello star sdraiato e disteso sul fianco destro braccio destro piegato si che la mano regga la testa, gamba sinistra, distese sulla destra in modo che il piede superiore posi sulla pianta di quello inferiore a posizione generalmente adottata dai monaci buddhisti durante il riposo. La locuzione sembra alludere all'evocazione dell'energia spirituale. Qui il monaco Cundaka si identifica a Cunda il fabbro come a far risaltare la provvidenzialità del cibo avvelenato da lui offerto al Buddha per dischiudergli inconsapevolmente la Suprema Estinzione. I due responsabili della morte del R,, Ananda - che non capì l'allusione contenuta nella narrazione (Cap. VI, I) - e Cunda, sono qui prescritti negli ultimi momenti del Buddha. 131) Pamada. contrario all'appamoda (v. Dhammapado, nota 6), distrazione, o, meglio, mancanza di consapevolezza e di cosciente attenzione per tutto ciò che si pensa, si dice e si compie, il che, per la disciplina buddhista, e il peccato capitale, sorgente di tutti gli altri. 132) Si tratta dei dassasjíaní, le dieci virtù, che fanno la pratica dell'Ottuplice Sentiero. 133) Sanscrito Vrjji, stirpe drya del Magadha, dominata dal clan dei Licchavi (v. nota 41). 134) Deità non meglio identificate, del rango dei genii loci, ecc. 135) I Trentatré deva dell'Olimpo vedico. 92 136) La profezia è stata, naturalmente, interpretata come una profezia a posteriori dagli studiosi occidentali, inserita nel Canone al tempo dell'imperatore Asoka, allorché Pataliputra (greco oggi Patna) primeggiava fra le città indiane. "137) Titthe (sanscrito tirtha), ""guado"". Considerato sacro in India, come nell'antica Roma, il ponte è, pertanto, sinonimo di ""tempio""." 138) Il senso del verso e che, mentre chi non è illuminato si adopera a traversare il flusso del samsara, colui che, invece, è illuminato, si trova implicitamente ad avere di già attraversato tale condizione. Condizione la quale, nella conoscenza esteriore, corrisponde all'esperienza dello spazio, nascente da un moto interiore del

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quale non si afferrato, comunemente, le dimensioni ideali. 139) La credenza popolare indiana affermava che se un airone, o una gru (kraunca), veniva nutrito con latte misto ad acqua, il volatile avrebbe separato i due componenti, bevendo solo il latte. 140) Cioè, il lavacro illustratorio dopo il funerale. "141) L'aver qualcosa di caro (piyam, sanscrito priyam) significa qui l'identificazione ""dolorosa"" all'oggetto o alla persona amata. Il distacco (vairagya) predicato dal Buddha non contrasta, quindi, col precetto dell'Amorevolezza Universale (metta, maitri)." 142) Discepolo del Buddha famoso per la sua affinità meditativa con l'elemento fuoco Si diceva, infatti, che nelle notti senza luna illuminasse la strada col suo pollice risplendente (Vin., III, pagg. 76-80, 124). 143) Si tratta invero di un processo yoghico che avviene sul piano del forze causanti spirituali. La realizzazione esteriore, fisica, è il simbolo della realtà che interiormente si invera. SINGALOVADASUTTANTA (ISTRUZIONE A SINGALAKA) Così ho sentito: 1. Un tempo il Sublime dimorava a Rajagaha nel bosco . bambù, nel pascolo degli scoiattoli. In quel tempo Singalaka, figlio di famiglia, che dimorava a Rajagaha per la stagione delle piogge, mondo nelle vesti, mondo nei capelli 1, giunte le mani, onorava tutte le regioni: la regione del levante, la regione del mezzodì, la regione del ponente, la regione del settentrione, la regione del nadir, la regione dello zenit. 2. Allora il Sublime, levatosi di buon mattino, presi scodella e mantello, entrò in Rajagaha per l'elemosina. Vide allora il Sublime Singalaka, figlio di famiglia, che dimorava a Rajagaha per la stagione delle piogge, mondo nelle vesti, mondo nei capelli, giunte le mani, onorare tutte le regioni: la regione del levante, la regione del mezzodì, la regione del ponente, la regione del settentrione, la regione del nadir, la regione dello zenit. Allora disse a Singalaka, figlio di famiglia, così: Perché tu, o figlio di famiglia, mentre dimori a Rajagaha per la stagione delle piogge, mondo nelle vesti, mondo nei capelli, giunte le mani, onori tutte le regioni: la regione del levante, la regione del mezzodì, la regione del ponente, la regione del settentrione, la regione del nadir, la regione dello Zenit? . " Mio padre, o signore, mentre compiva il suo tempo così mi disse: Possa tu, o caro, onorare le regioni "". Ed io, o signore, onorando, venerando, stimando, ossequiando la parola del padre, mentre dimoro a Rajagaha per la stagione delle piogge, mondo nelle vesti, mondo nei capelli, giunte le mani, onoro tutte le regioni: la regione del levante, la regione del mezzodì, la regione del ponente, la regione del settentrione, la regione del nadir, la regione dello zenit""." "a Non così, o figlio di famiglia, nelle regole del nobile si onorano le sei regioni ""."

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E come, o signore, nella regola del nobile si onorano le sei regioni? Il Sublime, o signore, mi esponga quella dottrina per la quale, nella regola del nobile, si onorano le sei regioni . 93 Pertanto, o figlio di famiglia, odi e poni ben mente, io parlerò . Sì, o signore assentì Singalaka, il figlio di famiglia, al Sublime. Il Sublime così disse: "3. "" Pertanto, o figlio di famiglia, un nobile discepolo deve eliminare quattro cattivi elementi, in quattro modi non compie azioni dannose, non pratica sei cattive fonti di piacere. Egli così quattordici cose cattive rimuove e nelle sei regioni è protetto, ottiene la vittoria in entrambi i mondi, per lui e questo e l'altro mondo sono senza pericoli. Colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, felicemente risorge in mondo beato." "Quali sono, o figlio di famiglia, i quattro cattivi elementi da eliminare ? La distruzione della vita, o figlio di famiglia, è cattivo elemento, il prendere il non dato è cattivo elemento, il non retto comportamento per brame è cattivo elemento, il dire menzogna è cattivo elemento. Questi sono i quattro cattivi elementi da eliminare ""." Così disse il Sublime. 4. Così avendo detto il Benvenuto, soggiunse il Maestro così: Distruggere la vita, prendere il non dato, mentire, si dice, l'andar coll'altrui donna, ciò i saggi non approvano. "5. In quali quattro modi non si compie azione dannosa? Chi cammina sulla via della passione compie azione dannosa, chi cammina sulla via dell'ira compie azione dannosa, chi cammina sulla via del torpore compie azione dannosa, chi cammina sulla via della paura compie azione dannosa. In conseguenza, o figlio di famiglia, un nobile discepolo non cammina sulla via della passione, non cammina sulla via del l'ira, non cammina sulla via del torpore, non cammina sulla via della paura, ed in questi quattro modi non compie azione dannosa ""." Così disse il Sublime. 6. Così avendo detto il Benvenuto, soggiunse il Maestro così: Per passione, per ira, per torpore e paura colui che trascura la legge la sua libertà distrugge, faccia nera della luna. Per passione, per ira, per torpore e paura colui che non trascura la legge aumenta la sua gloria, faccia lucente della luna. "7. Quali sei cattive fonti di piacere non pratica? Essere abitualmente e supinamente dedito a bevande spiritose, eccitanti è, o figlio di famiglia, una cattiva fonte di piacere; l'essere dedito a frequentare le strade in tempo non opportuno è una cattiva fonte di piacere; l'essere dedito a frequentare le feste è una cattiva fonte di

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piacere; l'essere abitualmente e supinamente dedito ai giochi è una cattiva fonte di piacere; essere dedito a cattive compagnie è una cattiva fonte di piacere; essere dedito alla pigrizia è una cattiva fonte di piacere." 8. Sei danni, o figlio di famiglia, vi sono nell'essere abitualmente e supinamente dedito a bevande spiritose, eccitanti: immediata perdita di denaro, incremento di dispute, occasione di malattie, perdita di stima, scostumatezza, indebolimento dell'intelligenza. Questi sono i sei danni, o figlio di famiglia, nell'essere abitualmente e supinamente dedito a bevande spiritose, eccitanti. 9. Sei danni, o figlio di famiglia, vi sono nell'essere dediti a frequentare le strade in un tempo non opportuno: non si è né sicuri né protetti, non sono né sicuri né protetti la moglie ed i figli, non è sicura né protetta la proprietà, ci si trova in spiacevoli situazioni, si provocano non buone dicerie, e si è soggetti a molti cattivi elementi. Questi sono i sei danni, o figlio di famiglia, nell'essere dediti a frequentare le strade in tempo non opportuno. 10. Sei danni, o figlio di famiglia, vi sono ad essere dediti a frequentare le feste: dove è la danza? Dove è il canto? Dove è la musica? Dove è la rappresentazione? Dove è il suono delle mani ? Dove è il tamburo? Questi sono i sei danni, o figlio di famiglia, nell'essere dediti a frequentare le feste. 11. Sei danni, o figlio di famiglia, vi sono nell'essere abitualmente e supinamente dediti al gioco: la vittoria 94 implica la rivincita, il vincitore non si accontenta della sua vittoria, vi è manifesta perdita di denaro, [del giocatore] non si ascolta la voce ove intervenga in assemblea, è disprezzato da compagni ed amici, non è ricercato tra i possibili sposi, chi ha il vizio del gioco è marito mal gradito alla moglie. Questi sono i sei danni, o figlio di famiglia, nell'essere abitualmente e supinamente dediti al gioco. 12. Sei danni, o figlio di famiglia, vi sono nell'essere dediti a cattive compagnie: giocatori, libertini, bevitori, fraudolenti, falsi, violenti, tra costoro sono i suoi amici e compagni. Questi sono i sei danni, o figlio di famiglia, nell'essere dedito a cattive compagnie. "13. Sei danni, o figlio di famiglia, vi sono nell'essere dedito alla pigrizia: ""È troppo freddo"", e non fa ciò che deve fare. "" ""È troppo caldo"", e non fa ciò che deve fare. ' "" È troppo tardi "", e non fa ciò che deve fare. "" È troppo presto "", e non fa ciò che deve fare. "" Ho troppo appetito "", e non fa ciò che deve fare. "" Sono troppo sazio "", e non fa" "ciò che deve fare. Così a costui, che così dimora colmo di ragioni di debito, mai non giunge la ricchezza. Questi sono i sei danni, o figlio di famiglia, nell'essere dediti alla pigrizia""."

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Così disse il Sublime. "14. Così avendo detto il Benvenuto, soggiunse il Maestro così: ""vi è il compagno del bicchiere, e costui è tutta gentilezza, ma colui che, al momento del bisogno è compagno, costui è amico. Sin dopo l'alba con l'altrui donna, pronto al litigio, cattivi affari, cattive amicizie, durezza di cuore, questi sei rovinano l'uomo. Cattivo amico, cattivo compagno, non retto comportamento in questo mondo e nell'altro entrambi rovinano l'uomo. Gioco, donne, liquori, danza e canto, il giorno dormire, uscire di notte, cattivi compagni, durezza di cuore, questi sei rovinano l'uomo. Chi beve liquori è povero e miserabile, assetato frequenta le osterie. Come in acqua, così affonda nei debiti, rovina la famiglia, e presto mal finisce. Per l'abitudine di dormire il giorno, di veder, la notte, sorgere l'alba, per perpetua intossicante ebrietà non è possibile rimanere in casa. Troppo freddo, troppo caldo, troppo tardi, così dice, e vivendo rilassato fugge dal suo vantaggio." Chi il freddo ed il caldo non valuta più d'un filo d'erba, adempie al suo umano dovere e più la gioia non lo abbandona. 15. Quattro, o figlio di famiglia, sono i falsi amici, da riconoscere come nemici. Chi sempre solo accetta è un falso amico, da riconoscere come nemico. Chi eccede nelle chiacchiere è un falso amico, da riconoscere come nemico. L'adulatore è un falso amico, da riconoscere come nemico. Il compagno in dissolutezze è un falso amico, da riconoscere come nemico. 16. In quattro modi, o figlio di famiglia, chi solamente accetta è un falso amico, da riconoscere come nemico: solamente accetta, per poco chiede molto, solo per paura compie ciò che deve, fa solo ciò che gli è di vantaggio. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, chi sempre solo accetta è un falso amico, da riconoscere come nemico. 17. In quattro modi, o figlio di famiglia, chi eccede nelle chiacchiere è falso amico, da riconoscere come nemico: si professa amico nel passato, si professa amico nel futuro, vano è il suo aiuto, nelle necessità presenti è di completo danno. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, chi eccede nelle chiacchiere è falso amico, da ben riconoscere come nemico. 18. In quattro modi, o figlio di famiglia, l'adulatore è un falso amico, da riconoscere come nemico: egli favorisce le cose cattive, non favorisce le buone, di fronte dice cose piacevoli, in assenza dice cose spiacevoli. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, l'adulatore è un falso amico, da ben riconoscere come nemico.

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"19. In quattro modi, o figlio di famiglia, il compagno in dissolutezza è un falso amico, da riconoscere come nemico: è abitualmente e supinamente dedito a bevande spiritose, eccitanti, è dedito a frequentare le strade fuori tempo, è dedito a frequentare le feste, è abitualmente e supinamente dedito al gioco. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, il compagno in dissolutezza è un falso amico, da ben riconoscere come nemico ""." Così disse il Sublime. 95 20. Così avendo detto il Benvenuto, soggiunse il Maestro ff L'amico che solo accetta, quello che nelle chiacchiere eccelle, quello che con lusinga parla, ed il compagno di dissolutezza, questi quattro sono nemici. Così chi è dotto nella regola, da lungi li fugge come una strada di spavento. 21. Quattro, o figlio di famiglia, sono gli amici da riconoscere come amici: l'amico servizievole è da riconoscere come amico, l'amico sempre uguale nella gioia e nel dolore è da riconoscere come amico, l'amico che indica ciò che è profittevole è da riconoscere come amico, l'amico compassionevole è da riconoscere come amico. 22. In quattro modi, o figlio di famiglia, l'amico servizievole è da riconoscere come amico: ti difende quando sei in pericolo, difende la tua proprietà quando è in pericolo, è rifugio nel timore, in forti obblighi d'affari ti appresta doppio aiuto. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, l'amico servizievole è da riconoscere come amico. 23. In quattro modi, o figlio di famiglia, l'amico, sempre uguale nella gioia e nel dolore, è da riconoscere come amico: ti manifesta i suoi segreti, tiene nascosti i tuoi segreti, nella disgrazia non ti abbandona, sacrifica la vita al tuo vantaggio. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, l'amico, sempre uguale nella gioia e nel dolore, è da riconoscere come amico. 24. In quattro modi, o figlio di famiglia, l'amico, che indica ciò che è profittevole, è da riconoscere come vero amico indica ciò che è profittevole, ti impedisce il male, ti favorisce il bene, ti fa udire ciò che non odi, ti indica la via della felicità. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, l'amico che indica ciò che è profittevole è da riconoscere come amico. 25. In quattro modi, o figlio di famiglia, l'amico compassionevole è da riconoscere come vero amico: non si diletto, in ciò che a te non è di diletto, si diletta in ciò che a te è di diletto, confuta chi parla male di te, incoraggia chi parla bene di te. In questi quattro modi, o figlio di famiglia, "l'amico compassionevole è da riconoscere come amico""."

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Così disse il Sublime. 26. Così avendo detto il Benvenuto, soggiunse il Maestre così: L'amico servizievole, chi è amico nella gioia e nel dolore, l'amico che indica il profittevole, ehi è amico compassionevole, proprio questi quattro amici il dotto nella regola accudisce con amore, come madre il proprio figlio. Il dotto che segue la regola splende come fuoco sull'acqua. A ehi ammassa ricchezze, come sempre volante ape, le ricchezze vanno al cumulo, come alle schiere gli armati. Così, riunendo ricchezze, il laico è di molto vantaggio alla famiglia. Se in quattro parti divide il suo avere a sé gli amici lega: con una parte vive, con due prosegue i suoi affari, la quarta risparmia per eventuali sciagure. 27. E come, o figlio di famiglia, un nobile discepolo onora le sei regioni ? Queste sei regioni, o figlio di famiglia, sono così da individuare: la regione del levante è da individuare in madre e padre, la regione del mezzodì è da individuare nel Maestro, la regione di ponente è da individuare nei figli e nella moglie, la regione di mezzanotte è da individuare negli amici e compagni, la regione del nadir è da individuare nei seni ed operai, la regione dello zenit è da individuare negli asceti e brahmani. "28. In cinque modi, o figlio di famiglia, nella regione del levante un figlio deve onorare madre e padre: da loro fui nutrito, ora li nutrirò; li sostituirò nelle loro incombenze; manterrò la tradizione di famiglia; accudirò l'eredità; infine offrirò offerte espiatorie agli spiriti dei defunti. Madre e padre, o figlio di famiglia, onorati nella regione del levante in questi cinque modi dal figlio, dimostrano la loro gratitudine al figlio a in cinque modi: lo difendono dal male, ne favoriscono il bene, lo istruiscono, lo sposano opportunamente, e a suo tempo gli lasciano l'eredità. Così madre e padre, onorati nella regione del levante in cinque modi dal figlio, 96 dimostrano al figlio gratitudine in questi cinque modi. E così a lui nella regione del levante è sicura tranquillità, mancanza di timore." 29. In cinque modi, o figlio di famiglia, nella regione di mezzodì un discepolo deve onorare il Maestro: col levarsi in piedi, col servirlo, coll'obbedirlo, con l'onorarlo, con accoglierne rispettosamente l'insegnamento. Un maestro, o figlio di famiglia, onorato nella regione di mezzodì in questi cinque modi dal discepolo, dimostra la sua gratitudine al discepolo in cinque modi: lo educa con buona educazione, gli procura un buon sapere, gli comunica tutto ciò che sa, lo mette in buona luce tra gli amici ed i compagni, provvede a difenderlo da ogni pericolo. Così un maestro, onorato nella regione di mezzodì in cinque modi dal discepolo,

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dimostra al discepolo gratitudine in questi cinque modi. E così a lui nella regione di mezzodì è sicura tranquillità, mancanza di timore. 30. In cinque modi, o figlio di famiglia, nella regione di ponente un marito deve onorare la moglie: colla stima, colla mancanza di sospetto, col non tradirla, col non concederle autorità, col provvedere al suo ornamento. Una moglie, o figlio di famiglia, onorata nella regione di ponente in questi cinque modi dal marito, dimostra la sua gratitudine al marito in cinque modi: ben adempie al suo debito, ben dirige la servitù, non lo tradisce, ben conserva le provviste, è diligente e sollecita nei suoi doveri. Così una moglie, onorata nella regione del ponente in cinque modi dal marito, ! dimostra al marito gratitudine in questi cinque modi. E così a lui nella regione di ponente è sicura tranquillità, mancanza di timore. "31. In cinque modi, o figlio di famiglia, nella regione` di settentrione un figlio di nobile famiglia deve onorare gli amici: con doni, con cortesi parole, coll'agire a loro vantaggio, con imparzialità, con onestà. I compagni e gli amici, o figlio di famiglia, onorati nella regione di settentrione in questi cinque modi da un figlio di nobile famiglia, dimostrano la loro gratitudine al figlio di nobile famiglia in cinque modi: lo difendono se è in pericolo, ne difendono la proprietà se è in pericolo, gli sono di rifugio nel timore, non lo abbandonano nella sventura, e ne onorano la famiglia. Così compagni ed amici, onorati nella regione del settentrione in cinque modi da un figlio di nobile famiglia, dimostrano al figlio di nobile famiglia gratitudine in questi cinque modi. E così a lui nella regione di settentrione è sicura tranquillità, mancanza di timore""." 32. In cinque modi, o figlio di famiglia, nella regione del nadir un nobile signore deve onorare i servi e gli operai: col distribuire il lavoro secondo la forza, col distribuire cibo e stipendio, col curarli se ammalati, col concedere piaceri straordinari, con lasciare loro, a tempo debito, libertà. Servi ed operai, o figlio di famiglia, onorati nella regione del nadir in questi cinque modi da un nobile signore, dimostrano la loro gratitudine al nobile signore in cinque modi: si alzano presto, si coricano tardi, prendono solo quanto loro è dato, fanno bene il lavoro, e diffondono intorno a lui buona fama. Così servi ed operai, onorati nella regione del nadir in cinque modi da un nobile signore, dimostrano al nobile signore gratitudine in questi cinque modi. E così a lui nella regione del nadir è sicura tranquillità, mancanza di timore. "33. In cinque modi, o figlio di famiglia, nella regione dello zenit un figlio di nobile famiglia deve onorare asceti e brahmani: con amichevole comportamento nelle opere, con amichevole comportamento nelle parole,

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con amichevole comportamento nei pensieri, col tener loro aperta la porta [della propria casa], col provvedere alla loro vita. Asceti e brahmani, o figlio di famiglia, onorati nella regione dello zenit in questi cinque modi da un figlio di nobile famiglia, dimostrano la loro gratitudine al figlio di famiglia in cinque modi: gli tengono lontano il male, gli propiziano il bene, gli fanno udire ciò che non ha udito, gli rendono chiaro ciò che ode, gli indicano la via della beatitudine. Così asceti e brahmani, onorati nella regione dello zenit in cinque modi da un figlio di nobile famiglia, dimostrano al figlio di nobile famiglia gratitudine in questi cinque modi. E così a lui nella regione dello zenit è sicura tranquillità, mancanza di timore""." Così disse il Sublime. 34. Così avendo detto il Benvenuto, soggiunse il Maestro così: Madre e padre, la regione del levante, il maestro, la regione del mezzodì, figli e moglie, la regione del ponente, compagni ed amici, la regione del settentrione, servi ed operai, la regione del nadir, e lo zenit, asceti e brahmani. 97 Queste regioni onorando, il laico ha molto profitto nella famiglia, dotto, seguace di retta condotta, gentile ed intelligente, senza passione, non ostinato sicuramente diviene così. Alacre, sano, senza timore di sciagura, integro e comprensivo, sicuramente diviene così. Cortese, amichevole generoso, non invidioso, guida, istruttore, maestro, sicuramente diviene così. Munifico e di cortesi parole, di profittevole comportamento, . equanime nelle vicende, proprio così merita lode. Per il mondo la cortesia è come l'asse per il giro della ruota. Se cortesia non vi fosse, la madre dai suoi figli non avrebbe rispetto ed onore, né il padre dai suoi figli. Quanto più alla cortesia - è intento il savio, tanto più ottiene grandezza, " tanto più è glorificato""."

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35. Così essendo stato detto, Singalaka, il figlio di fami glia, disse al Sublime così: . È meraviglioso, o signore, è meraviglioso, o signore. "Come, o signore, si raddrizzasse ciò che era rovesciato, come si scoprisse ciò che era coperto, come ad uno smarrito si mostrasse la strada, come nell'oscurità si portasse una lampada: "" Chi ha gli occhi vedrà le forme "", proprio così dal Sublime con più di un argomento fu esposta la Dottrina. Ed io, o signore, prendo rifugio nel Sublime, nella Dottrina, nell'ordine dei monaci. Devoto seguace il Sublime voglia accogliermi quale prendente rifugio da oggi per la vita """ SINGALO VADA SUTTANTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) Così ho sentito: 1. Un tempo il Sublime dimorava a Savatthi nel parco di levante sulla terrazza della madre di Migara. In quel tempo Vasettha e Bharadvaja abitavano tra i monaci, ponendo quesiti ai monaci. Allora il Sublime, sul far 98 della sera, uscito dalla meditazione, disceso dal terrazzo, camminava all'aperto all'ombra del terrazzo. 2. Vide allora Vasettha il Sublime che, sul far della sera, uscito dalla meditazione, disceso dal terrazzo, camminava all'aperto all'ombra del terrazzo. Allora si rivolse a Bharadvaja: Quegli, o amico Bharadvaja, il Sublime, sul far della sera, uscito dalla meditazione, disceso dal terrazzo, cammina all'aperto all'ombra del terrazzo. O amico, noi ci accosteremo al Sublime e così forse riusciremo ad udire dal Sublime un discorso sulla dottrina. Sì, o amico assentì Bharadvaja a Vasettha. Allora Vasettha e Bharadvaja si accostarono al Sublime, ed avendolo salutato, camminarono accanto al Sublime che camminava 3. Allora il Sublime si rivolse a Vasettha. Voi, o Vasettha, siete di nascita brahmani, figli di brahmani, di stirpe brahmana, ed avete lasciata la casa per l'anacoretismo. E, o Vasettha, i brahmani non vi rimproverano, non vi criticano?. Certo, o signore, i brahmani ci rimproverano, ci criticano, con una riprovazione completa, senza mezzi termini . E per qual ragione, o Vasettha, i brahmani vi rimproverano, vi criticano con una riprovazione completa, senza mezzi termini ?. " I brahmani, o signore, così dicono: Eccelsa è la casta brahmana, basse le altre caste; pura è la casta brahmana, nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahma, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahma, creati da Brahma, consustanziali a

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Brahma. Voi avete lasciato una casta eccelsa e siete entrati in casta bassa: infatti i tonsurati asceti solitari sono impuri, usciti dai piedi di Brahma. Così non è bene, non è bello che voi, abbandonando una casta eccelsa, siate entrati in una casta bassa: infatti i tonsurati asceti solitari sono impuri, usciti dai piedi di Brahma"". Proprio così i brahmani, o signore, ci rimproverano, ci criticano con una riprovazione completa, senza mezzi termini""." "4. ""Ordunque, o Vasettha, i brahmani pur ignorando le origini, così dicono: ""eccelsa è la casta brahmana, basse le altre caste; pura è la casta brahmana, nere le altre caste I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahma, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahma, creati da Brahma, consustanziali a Brahma "". Ma si vedono, o Vasettha, brahmane gestanti e partorienti, fecondate e gravide di brahmani, e questi brahmani, pur nati da ventre di donna, così dicono: "" eccelsa è la casta brahmana, basse le altre caste; pura è la casta brahmana, nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahma, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahma, creati da Brahma, consustanziali a Brahma"". Costoro così bestemmiano Brahma, dicono menzogne e producono molto demerito." 5. Quattro, o Vasettha sono le caste: i nobili, i brahmani, i borghesi, i servi. Ecco, o Vasettha, un nobile è un uccisore, uno che prende il non dato, che mal si comporta per le brame, un menzognero, un insolente, un ciarliero, un avido, è di mente astiosa, di non retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi non salutari sono chiamati (1) non salutari, ciò che è biasimevole, è chiamato biasimevole, ciò che è da non seguirsi è chiamato da non seguirsi, ciò che è non nobile è chiamato non nobile, e le cose oscure producono frutti oscuri e sono da biasimarsi con intelligenza. Proprio, o Vasettha, alcuni nobili vivono in tal modo. Ecco, o Vasettha, un brahmano è un uccisore, uno che prende il non dato, che mal si comporta per le brame, un menzognero, un insolente, un ciarliero, un avido, è di mente astiosa, di non retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi non salutari sono chiamati non salutari, ciò che è biasimevole è chiamato biasimevole, ciò che non è da seguirsi è chiamato da non seguirsi, ciò che non è nobile è chiamato non nobile, e le cose oscure producono frutti oscuri e sono da biasimarsi con intelligenza. Proprio,

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o Vasettha, alcuni brahmani vivono in tal modo. Ecco, o Vasettha, un borghese è un uccisore, uno che prende il non dato, che mal si comporta per le brame, un menzognero, un insolente, un ciarliero, un avido, è di mente astiosa, di non retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi non salutari sono chiamati non salutari, ciò che è biasimevole è chiamato biasimevole, ciò che non è da seguirsi è 99 chiamato da non seguirsi, ciò che non è nobile è chiamato non nobile, e le cose oscure producono frutti oscuri e sono da biasimarsi con intelligenza. Proprio, o Vasettha, alcuni borghesi vivono in tal modo. Ecco, o Vasettha, un servo è un uccisore, uno che prende il non dato, che mal si comporta per le brame, un menzognero, un insolente, un ciarliero, un avido, è di mente astiosa, di non retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi non salutari sono chiamati non salutari, ciò che è biasimevole è chiamato biasimevole, ciò che è da non seguirsi è chiamato da non seguirsi, ciò che è non nobile è chiamato non nobile, e le cose oscure producono frutti oscuri e sono da biasimarsi con intelligenza. Proprio, o Vasettha, alcuni servi vivono in tal modo. 6. Un nobile, o Vasettha si astiene dall'uccidere, si astiene dal prendere il non dato, si astiene da cattivo comportamento per le brame, si astiene da menzogna, si astiene da insolenza, si astiene da ciarla, non è avido, è di mente non astiosa, di retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi salutari sono chiamati salutari, ciò che è lodevole è chiamato lodevole, ciò che è da seguirsi è chiamato da seguirsi, ciò che è nobile è chiamato nobile, gli elementi gioiosi producono frutti gioiosi e sono da lodarsi con intelligenza. Proprio, o Vasettha, alcuni nobili vivono in tal modo. Un brahmano, o Vasettha, si astiene dall'uccidere, si astiene dal prendere il non dato, si astiene da cattivo comportamento per le brame, si astiene da menzogna, si astiene da insolenze.., si astiene da ciarla, non è avido, è di mente non astiosa, di retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi salutari sono chiamati salutari, ciò che è lodevole è chiamato lodevole, ciò che è da seguirsi è chiamato da seguirsi, ciò che è nobile è chiamato nobile, gli elementi gioiosi producono frutti gioiosi e sono da lodarsi con intelligenza. Proprio, o Vasettha, alcuni nobili vivono in tal modo. Un borghese, o Vasettha, si astiene dall'uccidere, si astiene dal prendere il non dato, si astiene da cattivo comportamento per le brame, si astiene da menzogna, si astiene da insolenza,

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si astiene da ciarla, non è avido, è di mente non astiosa, di retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi salutari sono chiamati salutari, ciò che è lodevole è chiamato lodevole, ciò che è da seguirsi è chiamato da seguirsi, ciò che è nobile è chiamato nobile, gli elementi gioiosi producono frutti gioiosi e sono da lodarsi con intelligenza. Proprio, o Vasettha, alcuni borghesi vivono in tal modo. Un servo, o Vasettha, si astiene dall'uccidere, si astiene dal prendere il non dato, si astiene da cattivo comportamento per le brame, si astiene da menzogna, si astiene da insolenza, si astiene da ciarla, non è avido, è di mente non astiosa, di retta opinione. Allora, o Vasettha, quelli che in costui sono gli elementi salutari sono chiamati salutari, ciò che è lodevole è chiamato lodevole, ciò che è da seguirsi è chiamato da seguirsi, ciò che è nobile è chiamato nobile, gli elementi gioiosi producono frutti gioiosi e sono da lodarsi con intelligenza. Proprio, o Vasettha, alcuni servi vivono in tal modo. "7. Proprio così, o Vasettha, nelle quattro caste l'elemento puro ed impuro, insieme mescolati sono con intelligenza da biasimare, o con intelligenza da lodare. Ma che i brahmani dicano: "" eccelsa è la casta bramana, basse le altre caste, pura è la casta bramana, nere le altre caste. I brahmani ben si purificano, non coloro che non sono brahmani. I brahmani sono figli di Brahma, legittimi, nati dalla sua fronte, fatti da Brahma, creati da Brahma, consustanziali a Brahma""; ciò non si deve loro concedere. E quale di ciò la ragione? Su queste quattro caste, un monaco santo, che ha esausto gli asava, che ha raggiunta la perfezione, che ha compiuto ciò che era da compiersi, che ha deposto il fardello, che ha raggiunto la meta, che ha infranto i legami dell'essere, perfettamente libero da alterità, costui giustamente, non ingiustamente è da proclamarsi il primo su tutti. La dottrina, o Vasettha, è eccelsa ad ogni essere e in questo visibile mondo e nel mondo futuro." 8. Ed è, o Vasettha, per il seguente argomento che si può affermare: la dottrina è eccelsa ad ogni essere e in questo visibile mondo e nel mondo futuro. "Ben sa, o Vasettha, il re Pasenadi del Kosala: "" l'asceta Gotama a nessuno secondo ha lasciato la stirpe dei Sakya"". I Sakya, o Vasettha, sono vassalli del re Pasenadi del Kosala. I Sakya, o Vasettha, prestano aiuto, rispetto, riverenza, ossequio, omaggio al re Pasenadi del Kosala. E proprio quell'aiuto, quel rispetto, quella riverenza, quell'ossequio, quell'omaggio che i Sakya portano al re Pasenadi del Kosala, proprio lo stesso,

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aiuto, lo stesso rispetto, la stessa riverenza, lo stesso ossequio, lo stesso omaggio il re Pasenadi del Kosala 100 porta al Compiuto: "" forse non è ben nato l'asceta Gotama ?" "Allora anch'io sono mal nato, non è forte l'asceta Gotama? Allora debole io sono, non amabile l'asceta Gotama? Spiacevole io sono, non molto potente è l'asceta Gotama? Poco potente io sono "". E siccome onora la dottrina, venera la dottrina, rispetta la dottrina, stima la dottrina, il re Pasenadi del Kosala porta al Compiuto aiuto, rispetto, riverenza, ossequio, omaggio. È per questo argomento, o Vasettha, che si può affermare: la dottrina è eccelsa ad ogni essere e in questo visibile mondo e nel mondo del futuro." "9. Voi ora, o Vasettha, avete lasciato la casa per l'anacoretismo, non siete più della stessa nascita, dello stesso nome, della stessa famiglia, della stessa stirpe di prima. "" Chi siete voi?"". Essendo così interrogato: ""Siamo asceti del figlio dei Sakya "" voi affermerete. E colui che nel Compiuto ha fiducia certa, radicata, stabile, solida, non distruggibile, ad un asceta o brahmano, ad un dio, a Mara, od a Brahma, a chiunque nel mondo, sempre così deve affermare: "" Io sono figlio del Sublime, legittimo, nato dalla sua fronte, fatto di dottrina, creato dalla dottrina, consustanziale alla dottrina "". E perché ciò ? Il Compiuto, o Vasettha, così afferma, un corpo accordato colla dottrina è un corpo accordato con Brahma, chi diviene dottrina, diviene Brahma." 10. Vi è, o Vasettha, un certo momento, o questo o quello, in cui dopo lungo lasso di tempo il mondo si evolve. Evolvendosi il mondo praticamente gli esseri si evolvono come dèi raggianti (2). Essi allora sono fatti di pensiero, nutriti di beatitudine, da sé irradiano luce, sono di struttura aerea, costantemente gloriosi, a lungo, per lungo tempo, rimangono. Vi è, o Vasettha, un certo momento, questo o quello, in cui, dopo lungo lasso di tempo, questo mondo si involve. Nel mondo involutosi gli esseri, trapassando dal coro degli dèi raggianti, sorgono. Costoro sono fatti di pensiero, nutriti di beatitudine, da sé irradiano luce, sono di struttura aerea, costantemente gloriosi, a lungo, per lungo tempo, rimangono. 11. Una natura acquea, o Vasettha, fu a quel tempo, circondata dal buio, dal buio delle tenebre. Non erano apparsi né luna né sole, non apparse le costellazioni, né la luce delle stelle, non apparsi la notte ed il giorno, non plenilunio, né novilunio, non il ciclo delle stagioni, non femmina, né maschio. Gli esseri solo come esseri erano conosciuti. Allora a questi esseri, dopo lungo spazio di tempo, la terra come sapore emerse (3)

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dalle acque. Come sopra latte bollito e poi raffreddato si forma una pelle, proprio così si manifestò, e fu dotata di colore, dotata di odore, dotata di consistenza (4), il suo sapore fu quale di burro chiarificato, di burro fresco. Quale il chiaro miele di api tale fu la sua dolce consistenza. "12. Allora, o Vasettha, un certo essere che viveva in agitazione: "" oh che sarà mai ciò ? "" saggiò col dito la terra come sapore. Ecco che la, saggiata col dito (5), terra come sapore ricoprì costui, e la sete entrò in lui. Allora altri esseri, o Vasettha, vollero imitare quell'essere e saggiarono col dito la terra come sapore. E la, saggiata col dito, terra come sapore ricoprì costoro, e la sete entrò in loro. Allora, o Vasettha, gli esseri incominciarono per sostenersi a nutrirsi a piene mani della terra come sapore, e così cessò loro la facoltà di emettere luce. Cessata agli esseri la facoltà di emettere luce, ecco apparire il sole e la luna (6). Apparsi sole e luna, apparvero le costellazioni e la luce delle stelle. Apparse le costellazioni e la luce delle stelle, si conobbero il giorno e la notte, noti giorno e notte, si conobbero il plenilunio ed il novilunio, noti plenilunio e novilunio si conobbe il ciclo delle stagioni (7)." "13. Allora, o Vasettha, gli esseri che si erano nutriti della prima terra, in tale nutrimento, in tale cibo, rimasero per lungo lasso di tempo. E man mano che quegli si nutrivano di tale nutrimento, di tale cibo, entrava nel loro corpo la: grossolanità e così furono noti il bello ed il brutto. Alcuni esseri, o Vasettha, erano belli, ed alcuni esseri erano brutti: gli esseri belli disprezzano gli esseri brutti. "" Noi siamo più, belli di costoro, costoro sono più brutti di noi"". Allora, o Vasettha, agli esseri, a causa di coloro che erano sprezzanti per alta opinione della loro bellezza, venne a mancare la terra come sapore. E per la mancanza della terra come sapore si riunirono, si lamentarono: ""oh il sapore! oh il sapore!"" E così, o Vasettha, anche ora gli uomini, quando hanno gustato un buon sapore a loro è: "" oh il sapore ! oh il sapore ! "". E così pronunciano un'antica primordiale frase senza conoscerne il significato." "14. Allora, o Vasettha, agli esseri, cui era venuta a man care la terra come sapore, si manifestò sulla terra la capacità di germogliare. E come i funghi si manifestano, proprio così si manifestò. E ciò che germogliava fu 101 dotato di colore, fu dotato di odore, fu dotato di consistenza. Il suo sapore fu quale di burro chiarificato, di burro fresco. Quale il chiaro miele di api tale fu la sua dolce consistenza. Allora gli esseri si avvicinavano a ciò che germogliava dalla terra per nutrirsene. E costoro, o Vasettha, in tale nutrimento, in tale cibo rimasero

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per lungo lasso di tempo. E man mano che quegli esseri si nutrivano di tale nutrimento, di tale cibo, entrava nel loro corpo la grossolanità: e così furono noti il bello ed il brutto. Alcuni esseri, o Vasettha, erano belli, ed alcuni esseri erano brutti: gli esseri belli disprezzarono gli esseri brutti "" Noi siamo più belli di costoro, costoro sono più brutti di. noi"". Allora, o Vasettha, agli esseri, a causa di coloro che erano sprezzanti per l'alta opinione della loro bellezza, venne a mancare ciò che germogliava dalla terra. Venuto a mancare ciò che germogliava dalla terra apparvero le piante rampi canti. E come il bambù, proprio così apparvero. E furono dotate di colore, di odore, di consistenza. Ed il loro sapore fu quale di burro chiarificato, fu quale di burro fresco. Quale il chiaro miele di api, tale fu la loro dolce consistenza." "15. Allora, o Vasettha, gli esseri si avvicinarono alle piante rampicanti per nutrirsi. E costoro, o Vasettha, in tale nutrimento, in tale cibo, rimasero per lungo lasso di tempo. E man mano che quegli esseri si nutrivano di tale nutrimento, di tale cibo, entrava nel loro corpo la grossolanità: e così furono noti il bello ed il brutto. Alcuni esseri, o Vasettha, erano belli ed alcuni esseri erano brutti: gli esseri belli disprezzarono gli esseri brutti. "" Noi siamo più belli di costoro, costoro sono più brutti di noi "". Allora, o Vasettha, agli esseri, a causa di coloro che erano sprezzanti per l'alta opinione della loro bellezza, vennero a mancare le piante rampicanti. Essendo venute a mancare le piante rampicanti, gli esseri si radunarono e si lamentarono: ""a noi prima erano, ma ora sparirono le piante "". E così, o Vasettha, anche ora gli uomini quando a loro vien a mancare qualcosa a loro così è: "" a noi prima era, ma ora sparì ciò "". E così pronunciano un'antica primordiale frase senza conoscerne il significato." "16. Allora, o Vasettha, agli esseri, cui erano venute a mancare le piante rampicanti si manifestò il riso che non richiedeva aratura e cottura, libero da polvere, libero da loppa, ben odorante, in grani. E quanto alla sera consumavano per il loro pasto serale, altrettanto al mattino rigermogliava pronto. E quanto al mattino consumavano per il pasto mattutino altrettanto alla sera rigermogliava pronto. E così non era noto il pilare. E, o Vasettha, allora quegli esseri che si cibavano di quel riso che non richiedeva aratura e cottura, in tale nutrimento, in tale cibo rimasero per lungo lasso di tempo. E man mano che gli esseri si cibavano di tale nutrimento di tale cibo entrava nel loro corpo la grossolanità, e così furono noti il bello ed il brutto. E nelle donne apparve la matrice, e negli uomini la verga. E la donna troppo a lungo ammirò l'uomo, l'uomo troppo a

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lungo ammirò la donna. Ed in costoro, che troppo a lungo l'un l'altra si ammiravano, sorse affatto ed entrò nei corpi la passione. Costoro a causa della passione indulsero all'elemento sessuale. Ed in quel tempo si videro gli esseri che avevano indulto all'elemento sessuale, alcuni cospargersi di polvere, altri cospargersi di cenere, altri cospargersi di sterco vaccino: "" scompaia l'impuro, scompaia l'impuro. E che un essere così può fare ad un altro essere? "". Ed ora, in certe province, allorquando gli uomini conducono in sposa una fanciulla, alcuni si cospargono di polvere, altri si cospargono di cenere, altri si cospargono di sterco vaccino. Ed essi così ripetono un antico primordiale gesto, ma non ne conoscono il significato." "17. In quei tempi, o Vasettha, erano considerate non giuste cose che ora sono considerate giuste. Gli esseri, che in quel tempo avevano indulto all'elemento sessuale, per un mese, o per due mesi, non potevano abitare il villaggio o la città. E siccome gli esseri in quel tempo compivano molti falli nei rapporti sessuali, presero così a costruire delle città, in cui si potessero nascondere i rapporti sessuali. Allora, o Vasetthai, ad un certo essere particolarmente debole così fu: "" certo io sono oppresso dal cibarmi di riso ed alla sera nel pasto serale, ed alla mattina nel pasto mattutino. E se io ora mangiassi il riso solo una volta, al mattino, nel pasto mattutino?"". Allora, o Vasettha, quell'essere mangiò il riso solo una volta (8), al mattino, nel pasto mattutino. Allora, o Vasettha, un altro essere si accostò a quell'essere ed essendosi accostato così gli disse: ""Caro essere, andiamo a mangiare il riso "". "" Orsù, o caro essere, io mangio il riso una sola volta, al mattino, al pasto mattutino "". Allora, o Vasettha, quest'essere per emulare quello si cibò di riso una sola volta ogni due giorni: "" così certo è bene "". Allora, o Vasettha, un altro essere si accostò a quest'ultimo, ed essendosi accostato, così gli disse: "" Caro essere, andiamo a mangiare il riso "". "" Orsù," 102 "o caro essere, io mangio il riso una sola volta ogni due giorni "". Allora, o Vasettha, quest'altro essere per emulare quell'altro si cibò di riso una sola volta ogni quattro giorni: "" così certo è bene "". Allora, o Vasettha, un altro essere ancora si accostò a quell'altro, essendosi accostato, così gli disse: "" Caro essere, andiamo a mangiare il riso "". "" Orsù, o caro essere, io mangio il riso una sola volta ogni quattro giorni "". Allora, o Vasettha, l'ultimo essere per emulare l'altro si cibò di riso una sola volta ogni o""o giorni. "" Così certo è bene "". Pertanto, o Vasettha, gli esseri poco alla volta cominciarono a mangiare del riso i cui grani

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erano coperti di polvere, erano coperti di loppe, del riso che, colto, più non rigermogliava. Ed ecco che si rese noto il pilare, e rimasero le stoppie." "18. Allora, o Vasettha, gli esseri si radunarono e così si lamentarono: "" Certo degli elementi non salutari sono comparsi tra gli esseri. Una volta eravamo fatti di pensiero, ci nutrivamo di beatitudine, irradiavamo luce, eravamo di struttura aerea, costantemente gloriosi, e così restammo per lungo lasso di tempo. Indi, dopo un lungo lasso di tempo la terra come sapore apparve sulle acque, ed era dotata di colore, di odore, di consistenza. Allora noi cominciammo a prendere a piene mani la terra come sapore per nutrirci. Ed a noi, che avevamo cominciato a prendere a piene mani la terra come sapore per nutrirci, sparve la luminosità. Collo sparire della nostra luminosità apparvero la luna ed il sole, apparsi la luna ed il sole, apparvero le costellazioni e la luce delle stelle. Apparse le costellazioni e la luce delle stelle conoscemmo il giorno e la notte. Noti il giorno e la notte, conoscemmo i pleniluni ed i noviluni, noti pleniluni e noviluni, conoscemmo il corso delle stagioni. Così ci nutrimmo della terra come sapore e con tal cibo, tal nutrimento, rimanemmo per lungo lasso di tempo. Ma comparvero elementi oscuri e non salutari, ed a noi venne a mancare la terra come sapore. Venuta a mancare la terra come sapore si manifestò ciò che germogliava sul suolo. E ciò fu dotato di colore, di odore e consistenza. E noi cominciammo a nutrirsi di ciò che germogliava" "sul suolo. Noi dunque ci cibammo di ciò che germogliava sul suolo e con tale cibo, con tale nutrimento, dimorammo per lungo lasso di tempo. Ma comparvero elementi oscuri e non salutari, ed a noi venne a mancare ciò che germogliava sul suolo. Venuto a mancare ciò che germogliava nel suolo si manifestarono a noi le piante rampicanti. Ed erano dotate di colore, di odore, e di consistenza. E noi incominciammo a nutrirci delle piante rampicanti. Noi dunque ci cibammo delle piante rampicanti e con tal cibo, con tal nutrimento, dimorammo per lungo lasso di tempo. Ma comparvero elementi oscuri e non salutari, ed a noi vennero a mancare le piante rampicanti. Venute a mancare le piante rampicanti si manifestò il riso che non richiedeva aratura né cottura, libero da polvere, libero da loppa, ben odorante, in grani. E quanto alla sera consumavamo per il pasto serale, altrettanto era pronto al mattino. E quanto al mattino consumavamo per il pasto mattutino, altrettanto era pronto alla sera. Così noi ci cibammo di quel riso che non richiedeva aratura né cottura, e con tal cibo, con tal nutrimento, dimorammo per lungo lasso di tempo. Ma comparvero elementi

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oscuri e non salubri, e si manifestarono a noi i grani di riso coperti di polvere, coperti di loppa, che colti più non rigermogliano. Ed ecco che si rende noto il pilare e rimangono le stoppie di riso. E se noi ora dividessimo il riso, stabilendo i confini ? ""." Allora, o Vasettha, gli esseri si divisero il riso stabilendo i confini. "19. Allora, o Vasettha, un essere per conservare la sua parte mangiò, prendendola, la non data parte altrui. E sorpresero costui, e avendolo sorpreso, così gli dissero: "" tu, o caro essere, hai compiuta una cattiva azione: infatti per conservare la tua parte hai mangiata, prendendola, la non data parte altrui. Che ciò più non accada ""." "Sì assentì, o Vasettha, costui agli altri esseri. Una seconda volta, o Vasettha, un essere per conservare la sua parte mangiò, prendendola, la non data parte altrui. E sorpresero costui, e avendolo sorpreso, così gli dissero: "" tu, o caro" "essere, hai compiuta una cattiva azione: infatti per conservare la tua parte hai mangiata, prendendola, la non data parte altrui. Che ciò più non accada"". Una terza volta, o Vasettha, un essere per conservare la sua parte mangiò, prendendola, la non data parte altrui. E sorpresero costui, e avendolo sorpreso, così gli dissero: "" tu, o caro essere, hai compiuta una cattiva azione: infatti per conservare la tua parte hai mangiata, prendendola, la non data parte altrui. Che ciò più non accada "". Alcuni colpirono esseri viventi, alcuni colpirono con 103 ciotoli, alcuni con bastoni. Infine, o Vasettha, si conobbe il furto, si conobbe la rampogna, si conobbe la menzogna, si conobbe la percossa." "20. Allora, o Vasettha, gli esseri si riunirono e si lamentarono: "" cattivi dementi sono apparsi tra gli esseri, se si è potuto conoscere il furto, se si è potuta conoscere la rampogna, se si è potuta conoscere la menzogna, se si è potuta conoscere la percossa. Se noi ora delegassimo un essere, che possa colpire chi è giustamente da colpire, rimproverare chi è giustamente da rimproverare, cacciare chi è giustamente da cacciare. Noi gli potremmo cedere una parte del riso ""." "Allora, o Vasettha, gli esseri si accostarono a quello che tra loro era il più bello, il più mirabile, il più piacevole, il più forte, ed accostatisi così gli dissero: "" oh, o essere, colpisci chi è giustamente da colpire, rimprovera chi è giustamente da rimproverare, caccia chi è giustamente da cacciare "". "" Proprio così "", e, o Vasettha, quell'essere assentendo agli altri esseri, colpì chi giustamente era da colpire, rimproverò chi

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giustamente era da rimproverare, cacciò chi giustamente era da cacciare. E gli esseri diedero a costui una parte di riso." 21. Da molta gente onorato, molto onorato, o Vasettha, maha-sammata, questo primo vocabolo venne usato. Signore delle terre (khetta), o Vasettha, nobile (khattiya) questo secondo vocabolo venne usato. Inoltre per la sua abitudine a dilettarsi (ranjati), o Vasettha, re (raja) questo terzo vocabolo venne usato. E così, o Vasettha, queste le antiche origini dei nomi del cerchio dei nobili. E tra gli esseri alcuni furono di questo cerchio, proprio così, non diversamente. Ma la dottrina, o Vasettha, è eccelsa per ogni essere sia nel visibile mondo, sia nel mondo futuro. "22. Ad alcuni tra gli esseri, o Vasettha, così fu: "" cattivi elementi sono certo comparsi tra gli esseri: sono noti il furto, la rampogna, la menzogna, la percossa, l'esilio. E se noi ora tenessimo lontani gli elementi cattivi, non salutari ? "". E costoro tennero lontani gli elementi cattivi, non salutari. "" Tengono lontani (bahenti) gli elementi cattivi, non salutari "". Quindi, o Vasettha, brahmani, questo primo vocabolo venne usato. E costoro abitarono nelle foreste e avendo costruito delle capanne di fronde meditarono arsero '. Ed erano senza focolare, senza fumo, senza foglie o legno. Visitarono paesi, città e capitali in cerca di cibo, al mattino per il pasto mattutino, alla sera per il pasto serale. Costoro avendo ricevuto il cibo meditavano ardevano nella foresta, nelle capanne di fronde. E di essi gli uomini così dicevano: "" costoro abitano nella foresta, avendo costruite capanne di fronde, nelle capanne di fronde meditano ardono, e sono senza focolare, senza fumo, senza foglie e legna; visitano i paesi, le città e le capitali in cerca di cibo, al mattino per il pasto mattutino, alla sera per il pasto serale. E dopo aver ricevuto il cibo, nella foresta, nelle capanne di fronde, meditano ardono "". "" Meditano ardono"" (jhayanti). Così, o Vasettha, meditanti ardenti (jhayaka) e questo è il secondo vocabolo che venne usato." "23. Ma, o Vasettha, alcuni tra quelli esseri viventi nella solitudine delle selve, nelle capanne di fronde pur non erano abili a raggiungere la meditazione, ma ugualmente, visitarono le vicine città, i vicini paesi, stettero scrivendo dei libri. Costoro non meditano ardono: "" costoro ora non meditano ardono "" così, o Vasettha, non meditano ardono (ajjhayaka gli studiosi dei Veda e così ajjhayaka questo terzo vocabolo fu usato. E quella, o Vasettha, allora era una bassa qualifica," ora invece è un'eccelsa qualifica. Questa, o Vasettha, è dunque l'antica origine dei nomi del cerchio dei

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brahmani. E tra gli esseri alcuni furono di questo tipo, proprio così, non diversamente. Ma la dottrina, o Vasettha, è eccelsa per ogni essere sia nel visibile mondo, sia nel mondo futuro. "24. Tra gli esseri, o Vasettha, alcuni assunsero l'elemento sessuale e crearono diverse (vissu) occupazioni. E allora, o Vasettha, "" borghesi "" (vessa) questo vocabolo sorse. Questa è dunque l'antica origine del nome del cerchio dei borghesi. E degli esseri alcuni furono di questo tipo, proprio così, non diversamente. Ma la dottrina, o Vasettha, è eccelsa, per ogni essere sia nel visibile mondo, sia nel mondo futuro." "25. E, o Vasettha, tra gli esseri, gli altri vissero di caccia. "" Vivono di caccia "" (luddacara). "" Conducono bassa esistenza "" (khuddacara). "" Servi "" (sudda) così questo vocabolo venne usato. E questo è dunque l'antica origine del nome del cerchio dei servi. Così fu per gli esseri di questo tipo, proprio così, non diversamente. Ma la dottrina, o Vasettha, è eccelsa per ogni essere sia nel visibile mondo, sia nel mondo 104 futuro." "26. Ma venne, o Vasettha, il tempo, in cui un nobile non contento della sua sorte abbandonò la casa per l'anacoretismo: "" sarò un asceta "". Ed anche un brahmano non contento della sua sorte abbandonò la casa per l'anacoretismo: "" sarò un asceta"". Ed un borghese non contento della sua sorte abbandonò la casa per l'anacoretismo: ""sarò un asceta"". Ed un servo non contento della sua sorte abbandonò la casa per l'anacoretismo: "" sarò un asceta "". E così sorse accanto agli altri quattro cerchi il cerchio degli asceti. Ma la dottrina, o Vasettha, è eccelsa per ogni essere sia nel visibile mondo, sia nel mondo futuro." 27. Il nobile, o Vasettha, che mal si comporta nelle opere, mal si comporta nelle parole, mal si comporta nei pensieri, di non retta opinione, a causa della cattiva opinione e del cattivo comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge malamente, su cattivo sentiero, in rovina, in mondo infernale. Il brahmano, o Vasettha, che mal si comporta nelle opere, mal si comporta nelle parole, mal si comporta nei pensieri, di non retta opinione, a causa della cattiva, opinione e del cattivo comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge malamente, su cattivo sentiero, in rovina, in mondo infernale. Il borghese, o Vasettha, che mal si comporta nelle opere, mal si comporta nelle parole, mal si comporta nei pensieri, di non retta opinione, a causa della cattiva opinione e del cattivo comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge malamente, su cattivo sentiero, in rovina, in mondo infernale. Il servo, o Vasettha, che mal si comporta nelle opere, mal si comporta nelle parole, mal si comporta nei pensieri, di non retta opinione, a causa della cattiva opinione e del cattivo comportamento,

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colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge malamente, su cattivo sentiero, in rovina, in mondo infernale. L'asceta, o Vasettha, che mal si comporta nelle opere, mal si comporta nelle parole, mal si comporta nei pensieri, di non retta opinione a causa della cattiva opinione e del cattivo comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, risorge malamente, su cattivo sentiero, in rovina, in mondo infernale. 28. Il nobile, o Vasettha, che ben si comporta nelle opere, che ben si comporta nelle parole, che ben si comporta nei pensieri, di retta opinione a causa della retta opinione e del retto comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge beatamente in mondo beato. Il brahmano, o Vasettha, che ben si comporta nelle opere, che ben si comporta nelle parole, che ben si comporta nei pensieri, di retta opinione a causa della retta opinione e del retto comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge beatamente in mondo beato. Il borghese, o Vasettha, che ben si comporta nelle opere, che ben si comporta nelle parole, che ben si comporta nei pensieri, di retta opinione a causa della retta opinione e del retto comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge beatamente in mondo beato. Il servo, o Vasettha, che ben si comporta nelle opere, che ben si comporta nelle parole, che ben si comporta nei pensieri, di retta opinione a causa della retta opinione e del retto comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorge beatamente in mondo beato. L'asceta, o Vasettha, che ben si comporta nelle opere, che ben si comporta nelle parole, che ben si comporta nei pensieri, di retta opinione, a causa della retta opinione e del retto comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, risorge felicemente, in mondo beato. 29. Il nobile, o Vasettha, che si comporti nei due modi nelle opere, che si comporti nei due modi nelle parole, che si comporti nei due modi nei pensieri, retta e non retta opinione, a causa della retta e non retta opinione e del duplice comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, sperimenta gioia e dolore. Il brahmano, o Vasettha, che si comporti nei due modi nelle opere, che si comporti nei due modi nelle parole, che si comporti nei due modi nei pensieri, retta e non retta opinione, a causa della retta e non retta opinione e del duplice comportamento colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, sperimenta gioia e dolore. Il borghese, o Vasettha, che si comporti nei due modi nelle opere, che si comporti nei due modi nelle parole,

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che si comporti nei due modi nei pensieri, retta e non retta opinione, a causa della retta e non retta opinione e del duplice comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, sperimenta gioia e dolore. Il servo, o Vasettha, che si comporti nei due modi nelle opere, che si comporti nei due modi nelle parole, che si comporti nei due modi nei pensieri, retta e non retta opinione, a causa della retta e non retta opinione e del 105 duplice comportamento colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, sperimenta gioia e dolore. L'asceta, o Vasettha, che si comporta in due modi nelle opere, che si comporta in due modi nelle parole, che si comporta in due modi nei pensieri, di retta e non retta opinione, a causa della retta e non retta opinione e del duplice comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, sperimenta gioia e dolore. 30. Il nobile, o Vasettha, controllato nelle azioni, controllato nelle parole, controllato nei pensieri, che attua e realizza le sette componenti del risveglio già in questo visibile mondo . | completamente si estingue. Il brahmano, o Vasettha, controllato nelle azioni, controllato nelle parole, controllato nei pensieri, che attua e realizza le sette componenti del risveglio ` già in questo visibile mondo completamente si estingue. Il borghese, o Vasettha, controllato nelle azioni, controllato nelle: parole, controllato nei pensieri, che attua e realizza le sette componenti del risveglio già in questo visibile mondo completamente si estingue. Il servo, o Vasettha, controllato nelle azioni, controllato nelle parole, controllato nei pensieri, che attua e realizza le sette componenti del risveglio già in questo visibile mondo completamente si estingue. L'asceta, o Vasettha, controllato nelle azioni, controllato nelle parole, controllato nei pensieri, che attua e realizza le sette componenti del risveglio già in questo visibile mondo si estingue. 31. Da qualunque, o Vasettha, di queste quattro caste uscito, un monaco santo, che ha esausto gli asava, che ha raggiunta la perfezione, che ha compiuto ciò che era da compiersi, che ha deposto il fardello, che ha raggiunta la meta, che ha infranto i legami dell'essere, perfettamente libero da alterità, costui giustamente, non ingiustamente, è proclamato il primo su tutti. La dottrina, o Vasettha, è eccelsa per ogni essere, sia in questo visibile mondo, sia nel futuro. 32. A Brahma Sanamkumara si cantano questi versi: Il nobile è alto su ogni essere che si attacchi ad una stirpe, il possessore del cibo della sapienza è alto sugli dèi e sugli "[uomini ""."

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Questi versi, o Vasettha, sono ben cantati a Brahma Sanamkumara, non mal cantati, ben detti, non mal detti, profittevoli, non mal profittevoli. Io stesso, o Vasettha, dico: Il nobile è alto su ogni essere che si attacchi ad una stirpe, il possessore del cibo della sapienza è eccelso sugli dèi e sugli "[uomini""""." Così disse il Sublime. Contenti Vasettha e Bharadvaja si rallegrarono alle parole del Sublime. AGGANNA SUTTANTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) CAKKAVATTISIHANADASUTTANTA (IL GIRATORE DELLA RUOTA) Così ho sentito: "l. Un tempo il Sublime dimorava nel Magadha in Matula. Allora il Sublime si rivolse ai monaci: "" O 106 monaci "". "" Signore "" i monaci assentirono al Sublime così" disse: In voi isolati, o monaci, dimorate, null'altro rifugiati, in null'altro rifugiati , nella dottrina isolati, nella dottrina rifugiati, in null'altro rifugiati (1). E come, o monaci, un monaco dimora in sé isolato, in sé rifugiato, in null'altro rifugiato, nella dottrina isolato, nella dottrina rifugiato, in null'altro rifugiato? "Ecco, o monaci, un monaco nel corpo, osservando il corpo, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza, nella sensazione isolato, nella sensazione rifugiato, nella mente isolato, nella mente rifugiato; tra gli elementi osservando gli elementi dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. Così, o monaci, un monaco in sé isolato dimora, in sé rifugiato, in null'altro rifugiato, nella dottrina isolato, nella dottrina rifugiato, in null'altro rifugiato?" Secondo le vostre consuetudini, o monaci, vivete. E su voi che vivete, o monaci, secondo le vostre consuetudini, Mara non ha presa, Mara non ha aderenza. E così, o monaci, vi è origine di acquisto di elementi salutari, accrescimento di cose favorevoli. 2. Una volta, o monaci, vi era un re di nome Dalhanemi, giratore della ruota, legittimo, giusto re, che nelle quattro direzioni il paese aveva sicuramente conquistato, possessore dei sette tesori. A lui erano i sette tesori, cioè: il tesoro della ruota, il tesoro dell'elefante, il tesoro del cavallo, il tesoro del gioiello, il tesoro della donna, il tesoro del ministro, il tesoro della guida, questi sette. A lui poi erano più di mille figli valorosi, di virile aspetto, vincitori dei nemici. Egli la terra sino ai confini dell'oceano senza mazza, senza spada, con la

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legge conquistata, governava. 3. Allora, o monaci, il re Dalhanemi dopo molti anni, molte centinaia di anni, molte migliaia di anni si rivolse ad un certo uomo: Allorché tu, o caro uomo, vedrai il divino tesoro della ruota tramontare, offuscarsi, allora avvertimi (2). Sì, o divino così quell'uomo, o monaci, assentì al re Dalhanemi. E quell'uomo, o monaci, vide dopo molti anni, dopo molte centinaia di anni, dopo molte migliaia di anni tramontare, I offuscarsi il divino tesoro della ruota. Allora si recò dal re Dalhanemi, ed accostatolo, così disse al re Dalhanemi: Orsù, o divino, sappi che il divino tesoro della ruota "tramonta, si offusca ""." I Allora, o monaci, il re Dalhanemi, fatto chiamare il giovane suo figlio primogenito, così disse: Ecco, o caro giovane, il divino tesoro della ruota per me tramonta, si offusca. Invero io così udii: ' A quel re, giratore della ruota, cui tramonta, si offusca il divino tesoro della ruota, non è più lungo tempo di vita '. Mi nutrii dei piaceri umani, è tempo ora di cercare piaceri divini. Orsù tu, o caro giovane, governa la terra sino ai confini dell'oceano, io invece rasi i capelli e barba, indossato il giallo mantello, lascerò la casa per l'anacoretismo. Allora, o monaci, il re Dalhanemi dopo aver ben istruito il giovane figlio primogenito nell'arte del regno, rasi capelli e barba, indossato il giallo mantello, lasciò la casa per l'anacoretismo. E dopo sette giorni, o monaci, il divino tesoro della ruota sparì dal vecchio re. 4. Allora, o monaci, un certo uomo si accostò al re guerriero, unto nel capo, ed avendolo accostato così disse al re guerriero unto nel capo: Sai tu, o divino, che il divino tesoro della ruota è sparito ? (3). Allora, o monaci, il re guerriero unto nel capo per la dipartita del divino tesoro della ruota si dispiacque, provò dispiacere. E si diresse dal vecchio re, il vecchio re, avvicinato così gli disse: Tu, o caro, non essere spiacente per la dipartita del divino tesoro della ruota, non provarne dispiacere. Il divino tesoro della ruota non è, o caro, eredità paterna. Orsù, o caro, procedi nella nobile virtù del giratore della ruota: si conosce la possibilità che, a chi procede nella nobile virtù di un giratore della ruota, un dì festivo, il quindicesimo, compiute le abluzioni, celebrata la festa, salito sull'alta nobile terrazza, si manifesti 107 sul capo il divino tesoro della ruota, coi suoi mille raggi, col suo mozzo, perfetta in ogni sua parte . "5. "" E quale è, o divino, la nobile virtù di un giratore della ruota ? ""."

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Pertanto, o caro, vivi secondo la legge, onorando la legge, stimando la legge, venerando la legge, riverendo la legge, rispettando la legge, sii il simbolo della legge, lo splendore della legge, il supremo regolatore della legge, il legittimo vigile custode e difensore della legge, tutore del singolo e della collettività, dei nobili vassalli, dei brahmani, dei padri di famiglia, nelle città e nelle province, degli asceti e brahmani, dei quadrupedi e degli uccelli. E mai nel territorio del tuo regno, o caro, non ti voler comportare secondo illegittimi desideri. Ed a coloro che nel regno sono privi di beni, tu distribuisci beni. E coloro, o caro, che nel regno sono asceti o brahmani, che vigili si astengono dagli eccessi, nella pazienza e tolleranza sicuri, che da loro si correggono, che da loro si conoscono, che da loro si emancipano, di tempo in tempo costoro avvicina, e così interrogali: ' Questo, o signore, è salutare, questo è non salutare, questo è biasimevole, è non biasimevole, è da seguire, è da non seguire, da questa azione me ne verrà per lungo tempo danno e dolore, od invece da quest'azione me ne verrà per lungo tempo vantaggio e gioia?'. E avendo da costoro apprese le cose non salutari, da queste astienti, e avendo da costoro apprese le cose salutari, queste sempre pratica ed esercita. Ecco, o caro, la nobile virtù di un giratore della ruota . " Sì, o divino ed il re guerriero, unto nel capo, obbedendo al vecchio re praticò la nobile virtù di un giratore della ruota. Ed a lui che praticava la nobile virtù di un giratore della ruota, un dì di festa, il quindicesimo, dopo aver compiute le abluzioni e dopo aver celebrata la festa, salito sulla nobile alta terrazza gli si manifestò sul capo il divino tesoro della ruota, coi suoi mille raggi, col suo mozzo, perfetta in ogni sua parte: "" Ora io sono un re giratore della ruota ""." "6. Allora, o monaci, il re guerriero, unto nel capo, sorse da sedere, aggiustatosi il manto, presa con la mano sinistra una coppa, con la mano destra asperse il tesoro della ruota: "" Gira, o tesoro della ruota, conquista, o tesoro della ruota "". Allora, o monaci, il tesoro della ruota girò verso la regione di levante ed il re giratore della ruota lo seguì con un quadruplice esercito. E quelli, che nella regione del levante erano gli avversari del re, si accostarono al re giratore della ruota e così gli dissero:" " Vieni, o gran re, benvenuto, o gran re; ogni cosa è tua, o gran re; istruiscici, o gran re." "Il re giratore della ruota così disse: "" il vivo non si uccida, il non dato non si prenda, con desiderii torbidi non si viva, menzogna non si dica, bevande inebrianti non si bevano, si mangi secondo il" "bisogno"". E coloro, che nella regione del levante erano stati avversari del re, divennero vassalli del re giratore della ruota."

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7. Allora, o monaci, il tesoro della ruota dalla regione del levante, dopo essere giunti sino all'oceano, ritornò indietro, e girò verso la regione di mezzodì ed il re giratore della ruota lo seguì con un quadruplice esercito. E quelli, che nella regione del mezzodì erano gli avversari del re, si accostarono al re giratore della ruota e così gli dissero: " Vieni, o gran re, benvenuto, o gran re; ogni cosa è tua, o gran re; istruiscici, o gran re." "Il re giratore della ruota così disse: "" Il vivo non si uccida, il non dato non si prenda, con desiderii torbidi non si viva, menzogna non si dica, bevande inebrianti non si bevano, si mangi secondo il bisogno"". E coloro, che nella regione del mezzodì erano stati gli avversari del re, divennero vassalli del re giratore della ruota. Allora, o monaci, il tesoro della ruota dalla regione di mezzodì, dopo essere giunto sino all'oceano, ritornò indietro e girò verso la regione di ponente ed il re giratore della ruota lo seguì con un quadruplice esercito. E quelli, che nella regione di ponente erano gli avversari del re, si accostarono al re giratore della ruota e così gli dissero:" " Vieni, o gran re, benvenuto, o gran re; ogni cosa è tua, o gran re; istruiscici, o gran re." "Il re giratore della ruota così disse: "" Il vivo non si uccida, il non dato non si prenda, con desiderii torbidi non si viva, menzogna non si dica, bevande inebrianti non si bevano, si mangi secondo il bisogno "". E coloro, che nella regione di ponente erano stati gli avversari del re, divennero vassalli del re giratore della ruota. Allora, o monaci, il tesoro della ruota dalla regione di ponente, dopo essere giunto sino" all'oceano, ritornò indietro e girò verso la regione di mezzanotte ed il re giratore della ruota lo seguì con un 108 quadruplice esercito. E quelli, che nella regione di mezzanotte erano gli avversari del re, si accostarono al re giratore della ruota e così gli dissero: " Vieni, o gran re, benvenuto, o gran re; ogni cosa è tua, o gran re; istruiscici, o gran re." "Il re giratore della ruota così disse: "" Il vivo non si uccida, il non dato non si prenda, con desiderii torbidi non si viva, menzogna non si dica, bevande inebrianti non si bevano, si mangi secondo il bisogno"". E coloro, che nella regione di mezzanotte erano stati gli avversari del re, divennero vassalli del re giratore della ruota. Allora, o monaci, il tesoro della ruota, avendo conquistato la terra sino ai confini dell'oceano, ritornò nella capitale e sulla porta del reale palazzo, nella corte dei giudizi, si fermò splendendo bellissima." 8. Il secondo, o monaci, re giratore della ruota...* Il terzo, o monaci, re giratore della ruota...* Il quarto, o monaci, re giratore della ruota...* Il quinto, o monaci, re giratore della ruota...* Il settimo, o monaci, re

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giratore della ruota dopo molti anni, molte centinaia d'anni, molte migliaia d'anni si rivolse ad un certo uomo: Allorché tu, o caro uomo, vedrai il divino tesoro della ruota tramontare, offuscarsi, allora avvertimi. Sì, o divino così quell'uomo, o monaci, assentì al settimo re giratore della ruota. E quell'uomo, o monaci, vide, dopo molti anni, dopo molte centinaia di anni, dopo molte migliaia di anni, tramontare, offuscarsi il divino tesoro della ruota. Allora si recò dal re giratore della ruota, ed accostatolo così disse al re giratore della ruota: Orsù, o divino, sappi che il divino tesoro della ruota tramonta, si offusca. Allora, o monaci, il re giratore della ruota fatto chiamare il giovane suo figlio primogenito così disse: Ecco, o caro giovane, il divino tesoro della ruota per me tramonta, si offusca. Invero io così udii: ' A quel re giratore della ruota, cui tramonta, si offusca il divino tesoro della ruota, non è più lungo tempo di vita '. Mi nutrii di piaceri umani, è tempo ora di cercare piaceri divini. Orsù tu, o caro giovane, governa la terra sino ai confini dell'oceano, io invece, rasi capelli e barba, indossato il giallo mantello, lascerò la casa per l'anacoretismo . Allora, o monaci, il re giratore della ruota, dopo aver ben istruito il giovane figlio primogenito nell'arte del regno, rasi capelli e barba, indossato il giallo mantello, lasciò la casa per l'anacoretismo. E dopo sette giorni, o monaci, il divino tesoro della ruota sparì dal vecchio re. 9. Allora, o monaci, un certo uomo si accostò al re guerriero unto nel capo, ed avendolo accostato così disse al re guerriero unto nel capo: Sai tu, o divino, che il divino tesoro della ruota è sparito ? . "Allora, o monaci, il re guerriero unto nel capo per la dipartita del divino tesoro della ruota si dispiacque, provò dispiacere, ma non si diresse dal vecchio re, né lo interrogò sulla virtù di un re giratore della ruota. Ed egli, di testa propria, governò il paese; e le città e le province, da lui così governate di testa propria, diversamente da quanto accadeva prima, più non prosperarono, non essendo più esercitate le nobili virtù degli antichi re giratori della ruota." Allora, o monaci, gli amici, i consiglieri, i ministri, le guardie reali, che vivevano secondo le tradizioni, essendosi riuniti si accostarono al re guerriero unto nel capo, e così gli dissero: Ora tu, o divino, governi il paese di tua testa, e le province più non prosperano, non essendo più esercitate le nobili virtù dei re giratori della ruota. Nel regno gli amici, "i consiglieri, i ministri, le guardie reali, che vivono secondo le tradizioni sono turbati; ma tutti noi e molti

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altri ancora conserviamo memoria delle nobili virtù dei re giratori della ruota, orsù interrogaci, o divino, sulle nobili virtù dei re, giratori della ruota e noi, interrogati, ti esporremo le nobili virtù dei re giratori della ruota "". I" "10. Allora, o monaci, il re guerriero unto nel capo interrogò gli amici, i consiglieri, i ministri, le guardie reali, che vivevano secondo le tradizioni, che si erano riuniti, sulle nobili virtù dei re giratori della ruota. E a costoro, dopo averli uditi, apprestò giusta protezione e difesa, ma non distribuì ai ricchezze ai poveri, e, non avendo distribuito ricchezze ai poveri, la miseria ovunque dilagò. Dilagando ovunque la miseria, un certo uomo di soppiatto prese ad altri il non dato. E costui fu preso; ed avendolo preso lo mostrarono al re 109 guerriero unto nel capo: ""Quest'uomo, o divino, di soppiatto prese ad altri il non dato""." Così essendogli stato detto, o monaci, il re guerriero unto nel capo disse a quell'uomo così: È vero, o caro uomo, che tu di soppiatto prendesti ad altri il non dato?. È vero, o divino . " ""E perché facesti ciò? ""." Io, o divino, non ho di che vivere . "11. Allora, o monaci, il re guerriero unto nel capo diede a quell'uomo del denaro: "" Con questo denaro, o caro uomo, vivi, sostieni padre e madre, sostieni figli e moglie, prosegui i tuoi affari ed offri ad asceti e brahmani propiziatorie elemosine che ti fruttino celesti gioie""." Sì, o divino e quell'uomo, o monaci, ubbidì al re guerriero unto nel capo. "Un altro uomo, o monaci, di soppiatto prese ad altri il non dato. E costui fu preso; ed avendolo preso, lo mostrarono al re guerriero unto nel capo: ""Quest'uomo, o divino, di soppiatto prese ad altri il non dato ""." Così essendogli stato detto, o monaci, il re guerriero unto nel capo disse a quell'uomo così: È vero, o caro uomo, che tu di soppiatto prendesti ad altri il non dato?. È vero, o divino . E perché facesti ciò? . Io, o divino, non ho di che vivere "Allora, o monaci, il re guerriero unto nel capo diede a quell'uomo del denaro: "" Con questo denaro, o caro uomo, vivi, sostieni padre e madre, sostieni figli e moglie, prosegui i tuoi affari ed offri ad asceti e brahmani propiziatorie elemosine che ti fruttino celesti gioie""." Sì, o divino e quell'uomo, o monaci, ubbidì al re guerriero unto nel capo. "12. Allora, o monaci, gli uomini udirono: ""A coloro, che di soppiatto prendono ad altri il non dato, il re guerriero unto nel capo offre denaro "". Avendo ciò udito a costoro così fu: "" E se noi ora prendessimo di soppiatto ad altri il non dato ? ""." "Allora, o monaci, un altro uomo di soppiatto prese ad altri il non dato. E costui fu preso, ed avendolo preso,

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lo mostrarono al re guerriero unto nel capo: "" quest'uomo, o divino, di soppiatto prese ad altri il non dato""." Così essendogli stato detto, o monaci, il re guerriero unto nel capo disse a quell'uomo così: È vero, o caro uomo, che tu di soppiatto prendesti ad altri il non dato?. È vero, o divino . E perché facesti ciò ? . Io, o divino, non ho di che vivere . "Allora, o monaci, al re guerriero unto nel capo così fu: "" Se io all'uno ed all'altro, che di soppiatto ad altri prendono il non dato, dò denaro, proprio così aumentano i furti; e se" "ora invece con un castigo esemplare, punissi quest'uomo, lo togliessi di mezzo, gli facessi tagliare la testa?""." "Allora, o monaci, il re guerriero unto nel capo ordinò ai suoi uomini: "" Pertanto quest'uomo, da robuste corde le mani avvinte dietro la schiena, con forti catene legato, completamente rasato, con aspro suono di tamburi, strada per strada, piazza per piazza sia condotto, e fatto uscire dalla porta di mezzogiorno (4), a mezzogiorno della città con castigo esemplare sia punito, sia tolto di mezzo, gli si tagli la testa""." Sì, o divino , ed, o monaci, gli uomini ubbidendo al re guerriero unto nel capo, avvinte con robuste corde le mani dietro la schiena a quest'uomo, con forti catene legato, completamente rasato, con aspro suono di tamburo, strada per strada, piazza per piazza lo condussero, e fattolo uscire per la porta di mezzogiorno, a mezzogiorno della città con un esemplare castigo lo punirono, lo tolsero di mezzo, gli tagliarono la testa. "13. Udirono allora, o monaci, gli uomini: "" Coloro, che di soppiatto prendono ad altri il non dato, il re guerriero unto nel capo con un esemplare castigo punisce, toglie radicalmente di mezzo, taglia loro la testa"". Così avendo udito, a loro così fu: "" e se ora noi, fatte fare acute spade, coloro cui prendiamo furtivamente il non dato con un buon colpo colpissimo, togliessimo radicalmente di mezzo, tagliassimo loro la testa? ""." E costoro fecero fare acute spade, e fatte fare acute spade, coloro cui prendevano furtivamente il non dato 110 con un buon colpo colpivano, li toglievano radicalmente di mezzo, tagliavano loro la testa, si accostavano ai villaggi per porli a sacco, si accostavano alle città per porle a sacco, si accostavano per rapinare. 14. Proprio così, o monaci, non essendo stato dato denaro ai poveri, si diffuse una grande miseria, essendosi diffusa la miseria, si diffusero i latrocinii, essendosi diffusi i latrocinii, si diffusero le spade, essendosi diffuse le spade, si

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diffusero gli assassinii, essendosi diffusi gli assassinii si diffuse la menzogna, essendosi diffusa la menzogna decadde la durata della vita, decadde la bellezza degli esseri, ed i figli di coloro cui decadde la durata della vita, che prima era di 80.000 (5) anni, cui decadde la bellezza, ebbero una durata della vita di 40.000 anni. "E tra gli uomini, o monaci, la cui durata della vita era di 40.000 anni un certo uomo prese altrui furtivamente il non dato, e lo presero, ed avendolo preso, lo portarono dal re guerriero unto nel capo: "" Quest'uomo, o divino, prese altrui furtivamente il non dato""." Così essendo stato detto, o monaci, il re guerriero unto nel capo così disse a quell'uomo: È vero, o caro uomo, che tu prendesti altrui furtivamente il non dato? . No, o signore disse e fu deliberata menzogna. 15. Proprio così, o monaci, non essendo stato dato denaro ai poveri, si diffuse una grande miseria, essendosi diffusa la miseria si diffusero i latrocinii, essendosi diffusi i latrocinii si diffusero le spade, essendosi diffuse le spade si diffusero gli assassinii, essendosi diffusi gli assassinii si diffuse la menzogna, essendosi diffusa la menzogna decadde la durata della vita, decadde la bellezza degli esseri, ed i figli di coloro cui decadde la durata della vita, che prima era di 40.000 anni, cui decadde la bellezza, ebbero una durata della vita di 20.000 anni. "E tra gli uomini, o monaci, la cui durata della vita era di 20.000 anni un certo uomo prese altrui furtivamente il non dato. E quell'uomo denunciò al re guerriero unto nel capo: "" L'uomo di tal nome, o divino, prese altrui furtivamente il non dato "". E fu una calunnia." 16. E proprio così, o monaci, non essendo stato dato denaro ai poveri si diffuse una grande miseria, essendosi diffusa la miseria si diffusero i latrocinii, essendosi diffusi i latrocinii si diffusero le spade, essendosi diffuse le spade si diffusero gli assassinii, essendosi diffusi gli assassinii si diffuse la calunnia, essendosi diffusa la calunnia decadde la durata della vita, decadde la bellezza degli esseri, ed i figli di coloro, cui decadde la durata della vita, che prima era di 20.000 anni, cui decadde la bellezza, ebbero una durata della vita di 10.000 anni. E tra gli uomini, o monaci, la cui durata della vita era di 10.000 anni alcuni erano di bello, altri di brutto aspetto. Allora gli esseri di brutto aspetto desiderando ardentemente gli esseri di bello aspetto, si ebbero contatti colle mogli altrui. 17. E proprio così, o monaci, non essendo stato dato denaro ai poveri, si diffuse una grande miseria, essendosi diffusa la miseria si diffusero i latrocinii, essendosi diffusi i latrocinii si diffusero le spade,

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essendosi diffuse le spade si diffusero gli assassinii, essendosi diffusi gli assassinii dilagarono i cattivi costumi, ed essendo dilagati i cattivi costumi, decadde la durata della vita, decadde la bellezza degli esseri, ed i figli di coloro cui decadde la durata della vita, che prima era di 10.000 anni, cui decadde la bellezza, ebbero una durata della vita di 5.000 anni. E, o monaci, tra gli uomini, la cui durata della vita era di 5.000 anni dilagarono due elementi: le parole aspre ed i discorsi frivoli, e per la diffusione di questi due elementi a quegli esseri decadde la durata della vita, decadde la bellezza. Ed i figli di coloro, cui decadde la durata della vita, che era di 5.000 anni, cui decadde la bellezza, alcuni ebbero la durata della vita di 2.500 anni, altri ebbero la durata della vita di 2.000 anni. E, o monaci, tra gli uomini, la cui durata della vita era di 2.500 anni, si diffusero la brama e l'astio, ed essendosi diffusi brama ed astio, decadde la durata della vita, decadde la bellezza degli esseri. E i figli di coloro, cui decadde la durata della vita, che prima era di 2.500 anni, cui decadde la bellezza, ebbero la durata della vita di 1.000 anni e, o monaci, tra gli uomini la cui durata della vita era di 1.000 anni si diffuse la falsa opinione, ed essendosi diffusa la falsa opinione decadde la durata della vita, decadde la bellezza di quegli esseri. Ed i figli di coloro, cui decadde la durata della vita, che prima era di l.000 anni, cui 111 decadde la bellezza, ebbero la durata della vita di 500 anni. "E, o monaci, tra gli uomini, la cui durata della vita era di 500 anni, si diffusero tre elementi: non giusta passione 6, disordinata ingordigia, falsità; ed essendosi diffusi questi tre elementi, decadde la durata della vita, decadde la bellezza di quegli esseri. Ed i figli di coloro, cui decadde la durata della vita, che prima era di 500 anni, cui decadde la bellezza, alcuni ebbero la durata della vita di 250 anni, altri ebbero la durata della vita di 200 anni." E, o monaci, tra gli uomini, la cui durata della vita era di 250 anni, si diffusero questi elementi: la mancanza di rispetto per la madre, la mancanza di rispetto per il padre, la mancanza di rispetto per gli asceti, la mancanza di rispetto per i brahmani, la mancanza di rispetto per i capi famiglia (7). 18. Proprio così, o monaci, non essendo stato dato denaro ai poveri, si diffuse la miseria, essendosi diffusa la miseria si diffuse il latrocinio, essendosi diffuso il latrocinio si diffusero le spade, essendosi diffuse le spade si diffuse l'assassinio, essendosi diffuso l'assassinio si diffuse la menzogna, essendosi diffusa ]a menzogna si diffuse la calunnia, essendosi diffusa la calunnia si diffuse il cattivo comportamento per brame, essendosi

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diffuso il cattivo comportamento per brame si diffusero due elementi: parole aspre e discorsi frivoli, essendosi diffusi questi due elementi si diffusero brama ed astio, essendosi diffusi brama ed astio, si diffusero tre elementi: non giusta passione, disordinata ingordigia e falsità, essendosi diffusa questi tre elementi si diffusero la mancanza di rispetto per la madre, la mancanza di rispetto per il padre, la mancanza di rispetto per gli asceti, la mancanza di rispetto per i brahmani, la mancanza di rispetto per i capi famiglia, per la diffusione di questi elementi la durata della vita decadde, decadde la bellezza degli esseri, ed i figli di quegli uomini, cui decadde la durata della vita, che prima era di 250 anni, cui decadde la bellezza, ebbero la durata della vita di 100 anni. 19. E vi sarà, o monaci, un tempo in cui i figli degli uomini avranno la durata della vita di 10 anni, e tra gli uomini la cui durata della vita sarà di 10 anni, le fanciulle a 5 anni saranno da marito. E, o monaci, agli uomini, la cui durata della vita sarà di 10 anni, spariranno questi cibi: il burro chiarificato, il burro fresco, l'olio di sesamo, lo zucchero di canna ed il sale (8). E, o monaci, agli uomini, la cui durata della vita sarà di 10 anni, il principale alimento sarà il kudrusaka (9). Come oggi riso e curry è il principale alimento, così, o monaci, agli uomini, la cui durata della vita sarà di 10 anni, il kudrusaka sarà il principale alimento. E agli uomini, la cui durata della vita sarà di 10 anni, completamente, totalmente avranno fine i dieci salutari modi di agire, e dieci non salutari modi di agire saranno celebrati. E tra gli uomini la cui durata della vita sarà di 10 anni la parola salutare più non vi sarà. E chi invero sarà ancora seguace delle cose salutari? Tra gli uomini, la cui durata della vita sarà di 10 anni, coloro che non onorano la madre, che non onorano il padre, che non onorano gli asceti, che non onorano i brahmani, che non onorano i capi famiglia saranno stimati e rispettati. E come oggi coloro che onorano la madre, che onorano il padre, che onorano gli asceti, che onorano i brahmani, che onorano i capi di famiglia sono stimati e rispettati, proprio così tra gli uomini, la cui durata della vita sarà di 10 anni, coloro che non onorano la madre, che non onorano il padre, che non onorano gli asceti, che non onorano i brahmani, che non onorano i capi di famiglia saranno stimati e rispettati. 20. E tra gli uomini, o monaci, la cui durata della vita sarà di 10 anni non varrà madre, né zia materna, né zio materno, non moglie del maestro, né moglie del guru 10 E il mondo cadrà in una promiscuità come quella

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delle capre, dei polli, dei maiali, dei cani, e degli sciacalli. E tra gli uomini, o monaci, la cui durata della vita sarà di 10 anni, sarà presente un confuso reciproco astio tra gli esseri, una confusa malevolenza, una confusa ostilità, una confusa tendenza all'assassinio: alla madre verso i figli, ai figli verso la madre, al padre verso i figli, ai figli verso il padre, al fratello verso il fratello, al fratello verso la sorella, alla sorella verso il fratello sarà presente confuso reciproco astio, una confusa malevolenza, una confusa ostilità, una confusa tendenza all'assassinio. E come, o monaci, al cacciatore verso la preda è presente un confuso reciproco astio, una confusa malevolenza, una confusa ostilità, una confusa tendenza all'assassinio, proprio così alla madre verso i figli, ai figli verso la madre, al padre verso i figli, ai figli verso il padre, al fratello verso il fratello, al fratello verso la sorella, alla sorella verso il fratello, tra quegli esseri la cui durata della vita sarà di 10 anni, 112 sarà presente un confuso reciproco astio, una confusa malevolenza, una confusa ostilità, una confusa tendenza all'assassinio. "21 . Agli uomini, o monaci, la cui durata della vita sarà di 10 anni, verrà l'èra della spada, di sette giorni 11, e costoro riceveranno coscienza l'un contro l'altro belluina, e sul capo di costoro appariranno pungenti spade, e costoro: "" Costui è una belva; costui è una belva "" l'un l'altro toglieranno la vita Allora, o monaci, ad alcuni tra questi esseri così sarà: "" Noi non dobbiamo essere in tali condizioni, tale condizione non deve essere di noi; e se noi ora, ritirati nella giungla, nella selva, nel bosco, tra inguadabili fiumi, su impervi monti ci" "nutrissimo di radici e frutti selvaggi? "". E costoro rifugiati nella giungla, nella selva, nel bosco, tra inguadabili fiumi, su impervi monti si nutriranno di radici e frutti selvaggi. E costoro, per quell'èra di sette giorni, dimorando nella giungla, nella foresta, nel bosco, tra inguadabili fiumi, su impervi monti l'un l'altro abbracciandosi ove si troveranno, si ripeteranno confortandosi: ""Finalmente, o amico, vivi in pace. Finalmente, o amico, vivi in pace"". Allora a questi esseri così sarà:" Noi a causa dell'attaccamento a cose non salutari abbiamo percorso una lunga via, e se noi ora compissimo cose salutari? E che di salutare potremmo compiere? Noi potremo astenerci dall'uccidere, e procedere con questo elemento salutare. E costoro si asterranno dall'uccidere, e così con questo elemento salutare procederanno. E costoro, a causa della compagnia di questo elemento salutare, aumenteranno in durata di

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vita, aumenteranno in bellezza. Ed i figli di coloro la cui durata della vita sarà stata di 10 anni e che saranno stati aumentati in durata di vita, aumentati in bellezza, avranno una durata di vita di 20 anni. "22. Allora, o monaci, a questi esseri così sarà: "" Noi a causa della compagnia di elementi salutari aumentammo in durata della vita, aumentammo in bellezza. E se noi ora compissimo delle cose ancor più salutari? E se noi ora vivessimo astenendosi dal non dato, vivessimo astenendoci da cattivi desideri, vivessimo astenendoci da menzogne, vivessimo astenendoci da calunnia, vivessimo astenendoci da parole aspre, vivessimo astenendoci da parole frivole, vivessimo astenendoci da astio, vivessimo astenendoci da ira, vivessimo astenendoci da falsa opinione, vivessimo astenendoci da questi tre elementi: non giusta passione, disordinata ingordigia e falsità, se noi ora fossimo rispettosi verso la madre, fossimo rispettosi verso il padre, fossimo rispettosi verso gli asceti, fossimo rispettosi verso i brahmani, fossimo rispettosi verso i capi famiglia, e procedessimo in compagnia di questi elementi salutari ? ""." E costoro saranno rispettosi della madre, del padre, degli asceti, dei brahmani, dei capi famiglia e procederanno in compagnia di elementi salutari, e aumenteranno in durata della vita, aumenteranno in bellezza. Ed i figli di coloro che aumenteranno in durata della vita che allora sarà stata di 20 anni, che aumenteranno in bellezza, avranno la durata della vita di 40 anni. I figli di coloro, la cui durata della vita sarà stata di 40 anni, avranno la durata della vita di 80 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà di 80 anni avranno la durata della vita di 160 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà stata di 160 anni, avranno la durata della vita di 320 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà stata di 320 anni, avranno la durata della vita di 640 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà di 640 anni, avranno la durata della vita di 2.000 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà di 2.000 anni, avranno la durata della vita di 4.000 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà stata di 4.000 anni, avranno la durata della vita di 8.000 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà stata di 8.000 anni, avranno la durata della vita di 20.000 anni. E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà Stata di 20.000 anni, avranno la durata della vita di 40.000 anni E i figli di coloro, la cui durata della vita sarà stata di 40.000 anni, avranno la durata della vita di 80.000 anni. 23. Coloro, la cui durata della vita sarà di 80.000 anni, potranno sposarsi al 500° anno. Coloro, la cui durata

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della vita sarà di 80.000 anni, saranno afflitti da tre afflizioni: l'appetito, il desiderio e la vecchiaia. Agli uomini, la cui durata della vita sarà di 80.000 anni, l'isola del melograno sarà prospera e ricca: i paesi, le città, e la capitale vicini l'un l'altro ad un volo di gallo. Agli uomini, la cui durata della vita sarà di 80.000 anni, l'isola del melograno sarà piena di gente come Avici (12), come una macchia di canne, come una macchia di canne da zucchero. Agli uomini, la cui durata della vita sarà di 80.000 anni, sarà capitale l'attuale 113 Baranasi, il cui nome sarà Ketumati, prosperosa e ricca, densamente popolata, ben provvista di cibo. Agli uomini, la cui durata i della vita sarà di 80.000 anni, nell'isola del melograno saranno 40.000 città, oltre la capitale Ketumati. 24. Agli uomini, o monaci, la cui durata della vita sarà di 80.000 anni, nella capitale Ketumati sorgerà un re di nome Sankha, giratore della ruota, giusto legittimo re, che nelle quattro direzioni il paese avrà sicuramente conquistato, possessore dei sette tesori. A lui saranno i sette tesori, cioè: il tesoro della ruota, il tesoro dell'elefante, il tesoro del cavallo, il tesoro del gioiello, il tesoro della donna, il tesoro del ministro, il tesoro della guida, questi sette. A lui poi saranno più di mille figli valorosi, di virile aspetto, vincitori dei nemici. Egli la terra sino ai confini dell'oceano senza mazza, senza spada, con la legge conquistata, governerà. 25. Tra gli uomini, o monaci, la cui durata della vita sarà di 80.000 anni sorgerà nel mondo il Sublime di nome Metteyya Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, possessore del cibo di sapienza, benvenuto, del mondo conoscitore, incomparabile guida delle genti umane, maestro degli dèi e degli uomini, Svegliato, Sublime, come oggi io son sorto nel mondo Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, possessore di cibo di sapienza, benvenuto, del mondo conoscitore, incomparabile guida alle genti umane, maestro degli dèi e degli uomini, Svegliato, Sublime. Costui questo mondo coi suoi dèi, con ciò che appartiene a Mara, con ciò che appartiene a Brahma, con quanti in lui sorgeranno asceti o brahmani, cogli dèi e cogli uomini, avendolo da se stesso appreso, realizzato, renderà noto, proprio come io oggi questo mondo, con suoi dèi, con quanto appartiene a Mara, con quanto appartiene a Brahma, con quanti in lui sorgono asceti o brahmani, cogli dèi e cogli uomini, avendolo da me stesso appreso, realizzato, rendo noto. Egli esporrà una Dottrina letificante nel principio, letificante nel mezzo, letificante nel fine,

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nello spirito e nella lettera, soddisfacente nella sua completezza, e farà nota una perfetta condizione di purezza, proprio come io ora espongo una dottrina, letificante nel principio, letificante nel mezzo, letificante nel fine, nello spirito e nella lettera, soddisfacente nella sua completezza, e faccio nota una perfetta condizione di purezza. Egli sarà circondato da una schiera di alcune migliaia di monaci, come io oggi sono circondato da una schiera di alcune centinaia di monaci. 26. Allora il re di nome Sankha, là dove il re Maha Panada fece costruire un palazzo, farà costruire un palazzo, avendolo abitato, ed essendo stato generoso e munifico in elemosine con asceti, brahmani, poveri, mendicanti, bisognosi, alla presenza del Sublime Metteyya Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, lascerà la casa per l'anacoretismo. Ed egli, dimorando solo, isolato, di poco soddisfatto, zelante, risoluto, non molto tempo dopo la sua uscita, come i figli di nobile famiglia che per il loro profitto lasciano la casa per l'anacoretismo, già tra gli elementi visibili l'incomparabile fine della condizione di purezza, da sé realizzato, posseduto, raggiunto dimorerà. 27. In voi isolati, o monaci, dimorate, in voi rifugiati, in null'altro rifugiati, nella dottrina isolati, nella dottrina rifugiati, in null'altro rifugiati. E come, o monaci, un monaco dimora in sé isolato, in sé rifugiato, in null'altro rifugiato, nella dottrina isolato, nella dottrina rifugiato, in null'altro rifugiato? Ecco, o monaci, un monaco nel corpo, osservando il corpo, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza, nella sensazione... nella mente... tra gli elementi, osservando gli elementi, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. Così, o monaci, un monaco in sé isolato dimora, in sé rifugiato, in null'altro rifugiato, nella dottrina isolato, nella dottrina rifugiato, in null'altro rifugiato. 28. Secondo le vostre consuetudini, o monaci, vivete. Coloro, o monaci, che vivono secondo le loro consuetudini progrediscono in durata della vita, progrediscono in bellezza, progrediscono in gioia, progrediscono in ricchezza, progrediscono in forza. Che è, o monaci, ad un monaco lunga vita? Ecco, o monaci, un monaco è possessore della base del potere, del sankhara di ben diretto sforzo di concentrazione, di potente concentrazione... di mentale concentrazione, del sankhara di esaminante sforzo di concentrazione. Ed egli, equilibrato, esercitato in queste quattro basi del potere, può, se richiesto, rimanere un kalpa o sino alla fine del kalpa. Ecco, o monaci, cos'è ad un monaco la lunga vita.

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114 E che è, o monaci, ad un monaco la bellezza? Ecco, o monaci, ad un monaco è retto comportamento, egli dimora controllato da interiore controllo, è possessore di retto controllo di vita, di ogni sia pur piccolo fallo realizza il danno, I seguendo le regole di esercizio, si esercita. Ecco, o monaci, cosa è ad un monaco la bellezza. E cosa è, o monaci, ad un monaco la gioia? Ecco, o monaci, un monaco, lungi da brame, lungi da elementi non salutari, raggiunta la riflettente ed osservante, nata da distacco, beata gioia, la prima esperienza dimora. Riflessione ed osservazione quietate, l'interna tranquillità della mente, l'unità dell'essere, la non riflettente, non osservante, beata gioia, la seconda esperienza raggiunta dimora. Ecco, o monaci, cos'è ad un monaco la gioia. E cosa è, o monaci, ad un monaco la ricchezza? Ecco, o monaci, un monaco, con mente intonata ad amicizia una regione irradiando dimora, così una seconda, così una terza, così la quarta, così in alto, in basso, di traverso, totalmente ovunque, interamente il mondo con mente intonata ad amicizia, ampia, espansa, non limitata, tranquilla, libera di astio irradiando dimora. Con mente intonata a compassione... con mente intonata a distacco... con mente intonata ad equanimità, ampia, espansa, non limitata, tranquilla, libera da astio, irraggiando dimora. Ecco cosa è, o monaci, ad un monaco la ricchezza. E come, o monaci, ad un monaco è forza? Ecco, o monaci, un monaco colla rimozione degli asava, privo di ajava, la libertà della mente, la libertà del sapere, già tra questi visibili elementi sperimentando, avendola da sé realizzata, dimora. Ecco, o monaci, cosa è ad un monaco la forza. "Io non vedo, o monaci, che esista anche una sola altra forza capace di soverchiare la forza di Mara, e capace, in compagnia di cose salutari, di raggiungere il sapere ""." Così disse il Sublime. Contenti i monaci si rallegrarono alla parola del Sublime, CAKKAVATTI SIHANADA .SUTTANTA (Traduzione di Eugenio Frolla) PATIKASUTTANTA (PATIKAPUTTA L'ASCETA D'ALTRA DOTTRINA) l PRIMA PARTE Così ho sentito "l. Un tempo il Sublime dimorava tra i Malla, in una città di nome Anupya. Allora il Sublime, levatosi di buon mattino, presi mantello e scodella, andò ad Anupya per l'elemosina. Ma al Sublime così fu: ""È troppo presto per girare per Anupya per l'elemosina, e se io mi dirigessi al parco di Bhaggava-gotta il pellegrino, mi accostassi a Bhaggava-gotta il pellegrino, mi accostassi a Bhaggava-gotta il pellegrino? . Allora il Sublime si

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diresse al parco di Bhaggava-gotta il pellegrino, si accostò a Bhaggava-gotta il pellegrino." 2. Allora Bhaggava-gotta il pellegrino disse al Sublime così: "Venga, o signore, il Sublime; benvenuto, o signore, il Sublime. Da lungo tempo io desidero, o signore, 115 l'occasione della venuta del Sublime. Si segga, o signore, il Sublime, questo sedile è pronto." Sedé il Sublime sull'apprestato sedile, Bhaggava-gotta il pellegrino poi, preso un più basso sedile, gli sedé accanto. Accanto seduto Bhaggava-gotta il pellegrino disse al Sublime così: Alcuni giorni or sono, o signore, proprio alcuni giorni or sono, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi (1), mi si accostò, "ed essendosi accostato così mi disse: È stato ora, o Bhaggava-gotta, da me abbandonato il Sublime, più ora io non dimoro presso il Sublime"". Cosa vi è, di vero, o signore, in - in ciò che disse Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi? ""." a Proprio quello che, o Bhaggava-gotta, disse Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi. "3. Alcuni giorni or sono, proprio alcuni giorni or sono, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi, mi si avvicinò. Avvicinatosi, avendomi salutato, si sedé accanto; accanto seduto, o Bhaggavagotta, Sunakkhatta il figlio dei Licchavi così mi disse: ""Ora io abbandono, o signore, il Sublime, non più d'ora innanzi io dimorerò presso il Sublime"". " "Così avendo detto, o Bhaggava-gotta, io dissi a Sunakkhatta, figlio dei Licchavi, così: ""Forse che io, o Sunakkhatta, così ti dissi: ' Ehi tu, o Sunakkhatta, dimora presso" "di me?'""." No di certo, o signore . O forse tu mi dicesti: ' Io, o signore, dimorerò presso il Sublime?'. No di certo, o signore . Così certo, o Sunakkhatta, io non ti dissi: ' Ehi tu, o Sunakkhatta, dimora presso di me', né tu certo a me dicesti: ' Io, o signore, dimorerò presso il Sublime '. E così essendo le cose, o uomo stolto, proprio così essendo, che abbandoni ? Vedi, o uomo stolto, quale è il tuo errore . "4. "" Il Sublime, o signore, con me non usò elementi sovrumani, straordinari poteri ""." Forse che io, o Sunakkhatta, così ti dissi: 'Ehi tu, ' o Sunakkhatta, dimora presso di me ed io con te userò elementi sovrumani, straordinari poteri? '. No di certo, o signore . Forse che tu, o Sunakkhatta così mi dicesti: ' Io, o signore, dimorerò presso il Sublime, ed il Sublime con me userà elementi sovrumani, straordinari poteri?'. No di certo, o signore . Così certo, o Sunakkhatta, io non ti dissi: 'Ehi tu, o Sunakkhatta, dimora presso di me ed io con te userò elementi sovrumani, straordinari poteri ', né tu mi dicesti: ' Io, o signore, dimorerò presso il Sublime, ed il

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Sublime con me userà elementi sovrumani, straordinari poteri '. E così essendo le cose, o uomo stolto, proprio così essendo, che abbandoni? Che pensi, o Sunakkhatta? Che siano usati elementi sovrumani, straordinari poteri, o che non siano usati elementi sovrumani, straordinari poteri, non è da me forse esposta una dottrina, menante chi la segue, alla totale distruzione del dolore ? . Che siano usati elementi sovrumani, straordinari poteri, che non siano usati elementi sovrumani, straordinari poteri, è dal Sublime esposta una dottrina, menante chi la segue, alla totale distruzione del dolore. Così è certo, o Sunakkhatta, che siano usati elementi sovrumani, straordinari poteri, o che non siano usati elementi sovrumani, straordinari poteri, è da me esposta una dottrina, menante chi la segue, alla totale distruzione del dolore. Allora, o Sunakkhatta, che importa l'uso di elementi sovrumani, straordinari poteri? Vedi, o uomo stolto, quale è il tuo errore . "5. "" Il Sublime, o signore, non mi annunciò le verità fondamentali ""." Forse che io, o Sunakkhatta, così ti dissi: 'Ehi tu, o Sunakkhatta, dimora presso di me ed io ti annuncerò le verità fondamentali? '. No di certo, o signore . Forse che, o Sunakkhatta, così mi dicesti: ' Io, signore, dimorerò presso il Sublime, ed il Sublime mi annuncerà le verità fondamentali?'. No di certo, o signore . 116 Così certo, o Sunakkhatta, io non ti dissi: ' Ehi tu, o Sunakkhatta, dimora presso di me ed io ti annuncerò le verità fondamentali ', né tu mi dicesti: ' Io, o signore, dimorerò presso il Sublime, ed il Sublime mi annuncerà le verità fondamentali '. E così essendo le cose, o uomo stolto, proprio così essendo, che abbandoni ? Che pensi, o Sunakkhatta ? Che siano annunciate le verità fondamentali, o che non siano annunciate le verità fondamentali, non è da me forse esposta una dottrina, menante chi la segue, alla totale distruzione del dolore ? . Che siano annunciate le verità fondamentali, o che non siano annunciate le verità fondamentali, è dal Sublime esposta una dottrina, menante chi la segue, alla totale distruzione del "dolore "". . "" Così è certo, o Sunakkhatta, che siano annunciate le ' verità fondamentali, o che non siano annunciate le verità fondamentali, è da me esposta una dottrina, menante chi la segue, alla totale distruzione del dolore. Allora, o Sunakkhatta, che importa l'annuncio di verità fondamentali ? Vedi, o uomo stolto, quale è il tuo errore""." "6. "" Con più di un argomento, o Sunakkhatta, ti furono dette nel paese dei Vajji le mie qualità: Costui è il

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Sublime, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, possessore del cibo di sapienza, benvenuto, del mondo conoscitore, incomparabile guida delle umane genti, maestro degli dèi e degli uomini, Svegliato, Sublime. Proprio così, o Sunakkhatta, con più di un argomento ti furono dette nel paese dei Vajji le mie qualità." Con più di un argomento, o Sunakkhatta, ti furono dette nel paese dei Vajji le qualità della dottrina: Ben esposta fu dal Sublime una dottrina, attuale, immediata, invitante all'introspezione, conducente all'estinzione, direttamente realizzabile dagli intelligenti. Proprio così, o Sunakkhatta, con più di un argomento ti furono dette nel paese dei Vajji le qualità della dottrina. Con più di un argomento, o Sunakkhatta, ti furono dette nel paese dei Vajji le qualità dell'ordine: Ben regolato fu dal Sublime l'ordine dei discepoli, sapientemente regolato fu dal Sublime l'ordine dei discepoli, propriamente regolato fu dal Sublime l'ordine dei discepoli, cioè: quattro assemblee di uomini ed otto assemblee di spiriti. L'ordine dei discepoli del Sublime è degno di venerazione, degno di onore, degno di omaggio, ed è nel mondo incomparabile sorgente di merito. Proprio così, o Sunakkhatta, con più di un argomento ti furono dette nel paese dei Vajji le qualità dell'ordine. "Allora, o Sunakkhatta, io così affermo, o Sunakkhatta, io così concludo: di te si dirà, o Sunakkhatta, così: ' Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi, non fu capace di dimorare in purezza presso l'asceta Gotama, non essendo capace di esercitarsi, evidentemente, ricadde in basso '. Così, o Sunakkhatta, di te si dirà""." Proprio così, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta figlio dei Licchavi fu da me riconosciuto immaturo per questa dottrina e regola, destinato alla rovina, all'inferno. 7. Un tempo, o Bhaggava-gotta, io dimoravo tra i Bumu, in una città dei Bumu di nome Uttaraka. Allora, levatomi di buon mattino, o Bhaggava-gotta, presi scodella e mantello, mi recai a Uttaraka per elemosina con Sunakkhatta figlio dei Licchavi, aspirante asceta. In quel tempo vi era il penitente Korakkhattiya, che imitava il cane (2), rimanendo su quattro gambe, pronto a prendere colla bocca, a mangiare colla bocca per terra il cibo. Vide, o Bhaggavagotta, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi, il penitente Korakkhattiya, che imitava il cane, rimanendo su quattro gambe, pronto a prendere colla bocca, a mangiare colla bocca per terra il cibo. Allora a lui così fu " E degno di rispetto, è un santo asceta chi imita il cane; rimanendo su quattro gambe, pronto a prendere colla bocca, a mangiare colla bocca per terra il cibo." Allora io, o Bhaggava-gotta, assunta con la mente la mente di Sunakkhatta figlio dei Licchavi, così gli dissi:

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Tu, o stolto uomo, stimi il figlio dei Sakya?. Perché, o signore, ora il Sublime mi dice: ' Tu, o stolto uomo, stimi il figlio dei Sakya?'. Non forse a te, o Sunakkhatta, nei riguardi del penitente Korakkhattiya, che imita il cane rimanendo su quattro gambe, pronto a prendere colla bocca, a mangiare colla bocca per terra il cibo, ora così fu: È degno di rispetto, è un santo asceta chi imita il cane, rimanendo su quattro gambe, pronto a prendere colla bocca, a mangiare colla bocca per terra il cibo ? ' . 117 Sì, o signore, forse che il Sublime disprezzerebbe un 3 santo ? . " Non certo io, o uomo stolto, disprezzo un santo. Orsù a questa cattiva opinione sorga in te rinuncia, affinché a te non sia per lungo tempo di danno e di dolore. E costui di cui, o Sunakkhatta, pensi: ' Degno di rispetto, certo, e santo asceta è il penitente Korakkhattiya ', costui, fra sette giorni, . per languore compirà il suo tempo e risorgerà quale asura di nome Kalakanja nel più basso coro asurico (3), ed il suo corpo sarà abbandonato in un mucchio d'erbacce in un cimitero. Se i, I tu lo vuoi, va da Korakkhattiya e così interrogalo: ' Conosci, o amico Korakkhattiya, la tua sorte?'. Può darsi il caso, o Sunakkhatta, che il penitente Korakkhattiya risponda: ' Conosco, o amico Sunakkhatta, la mia sorte: io risorgerò quale .b; asura di nome Kalakanja nel più basso coro asurico ' ." "8. Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta figlio dei Licchavi andò dal penitente Korakkhattiya ed essendoglisi accostato, disse a costui così: "" Fu detto dall'asceta Gotama, amico Korakkhattiya: ' Il penitente Korakkhattiya tra sette giorni, per languore compirà il suo tempo e sorgerà quale asura di nome Kalakanja nel più basso coro asurico, ed il suo corpo sarà abbandonato in un mucchio d'erbacce al cimitero ' pertanto, o amico Korakkhattiya, nutriti di cibo in quantità sufficiente, bevi in quantità sufficiente delle bevande, a che risultino false le parole dell'asceta Gotama"". Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta contò uno per uno i giorni di una settimana sperando che fosse smentito il Compiuto. Ma, o Bhaggava-gotta, il penitente Korakkhattiya, al settimo giorno, per languore compì il suo tempo e risorse quale asura di nome Kalakanja, nel più basso coro asurico, ed il suo corpo fu abbandonato in un mucchio d'erbacce in un cimitero." "9. Udì, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta: "" Il penitente Korakkhattiya per languore compì il suo tempo ed il suo corpo fu abbandonato in un mucchio d'erbacce in un cimitero"". Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi, si recò, presso il mucchio di erbacce nel cimitero, accanto al penitente Korakkhattiya,

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ed essendoglisi accostato per tre volte batté con la mano Korakkhattiya: ""Conosci, amico Korakkhattiya, la tua sorte?""." "Allora, o Bhaggava-gotta, il penitente Korakkhattiya appoggiandosi sulle mani sollevò il dorso: "" Conosco, amico Sunakkhatta, la mia sorte: io sono sorto quale asura Kalakanja nel più basso coro asurico "". E così avendo parlato ricadde supino." 10. Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi, mi si avvicinò, essendosi avvicinato mi salutò e si sedette accanto. A lui, che mi era accanto seduto, dissi così: Che tu pensi, o Sunakkhatta? Ciò che ti dissi nei riguardi del penitente Korakkhattiya si è verificato così, oppure diversamente? . Ciò, o signore, che il Sublime mi disse nei riguardi del penitente Korakkhattiya, così si è verificato, non diversamente . E che tu pensi, o Sunakkhatta, così essendo è stato usato un elemento sovrumano, uno straordinario potere, oppure non è stato usato?. Così essendo, o signore, è stato usato un elemento sovrumano, uno straordinario potere. E così tu, o uomo stolto, pur essendo stato usato un elemento sovrumano, straordinario potere, così dici: ' Il Sublime, o signore, non usa con me l'elemento sovrumano, straordinario potere'. Vedi, o uomo stolto, quale è il tuo i errore . Proprio così, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta figlio dei Licchavi fu da me riconosciuto immaturo per questa dottrina e regola, è destinato alla rovina, all'inferno. "11. Un tempo, o Bhoggava-gotta, io dimoravo a Vesali nella grande foresta, nella casa dall'acuto tetto. In quel tempo, l'asceta d'altra dottrina Kandaramasuka abitava a Vesali e per. conseguire alto profitto, alta fama praticava e coltivava nella città dei Vajji queste sette virtù: ""Sinché a me sarà vita,: sarò asceta non coperto da veste; sinché a me sarà vita, sarò puro, non indulgerò all'elemento sessuale; sin che a me sarà vita, mi nutrirò di eccitante carne (4) e non mangerò riso e giuncata; non oltrepasserò a mezzodì di Vesali il tumulo di Udena; non oltrepasserò a settentrione di Vesali il tumulo di Gotama; non oltrepasserò a levante di Vesali il tumulo di Sattamba; non oltrepasserò a ponente di Vesali il tumulo di Bahuputta (5). E proprio, per ottenere alto profitto, alta fama, praticava e coltivava nella città dei Vajji queste sette virtù." 118 "12. Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta figlio dei Licchavi si accostò all'asceta Kandaramasuka, ed essendosi accostato, pose all'asceta Kandaramasuka un problema. A lui l'asceta Kandaramasuka, interrogato

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su quel problema, non fu capace di rispondere. Non essendo capace di rispondere, manifestò dispiacere, disgusto, scontento. Allora a Sunakkhatta figlio dei Licchavi, o Bhaggavagotta, così fu: "" Che io non offenda un santo asceta così degno di onore, che ciò non mi sia per lungo tempo di danno e dolore""." 13. Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi mi si accostò, accostatosi, dopo avermi salutato si sedé accanto. A lui, o Bhaggava-gotta, che mi era accanto seduto, così dissi: Tu, o uomo stolto stimi il figlio dei Sakya ? . Perché, o signore, ora il Sublime mi dice: ' Tu, o uomo stolto, stimi il figlio dei Sakya? '. Non forse tu, o Sunakkhatta, avendo accostato l'asceta Kandaramasuka, gli ponesti un problema? A te l'asceta Kandaramasuka, interrogato su quel problema, non fu capace di rispondere. Non essendo capace di rispondere, manifestò dispiacere, disgusto, scontento. Allora a te, così fu: ' Che io non offenda un santo asceta così degno di onore, che ciò non mi sia per lungo tempo di danno e di dolore'. Sì, o signore, forse che il Sublime disprezzerebbe un santo ? . Non certo io, o uomo stolto, disprezzo un santo. Orsù a questa cattiva opinione sorga in te rinuncia, affinché a te non sia per lungo tempo di danno e di dolore. E costui di cui, o Sunakkhatta, pensi: ' Degno di rispetto certo, e santo asceta è l'asceta Kandaramasuka ', costui, fra non molto, vestito ed in compagnia, mangiando riso e giuncata, oltrepassati tutti i tumuli di Vesali, intento alla sua gloria, compirà il suo tempo . Allora, o Bhaggava-gotta, l'asceta Kandaramasuka, dopo non molto, vestito, in compagnia, mangiando riso e giuncata, oltrepassati tutti i tumuli di Vesali, intento alla sua gloria, compì il suo tempo. "14. Udì allora Sunakkhatta figlio dei Licchavi: "" Certo l'asceta Kandaramasuka rivestito, in compagnia, mangiando riso e giuncata, oltrepassati tutti i tumuli di Vesali, intento alla sua gloria, compì il suo tempo"" (6). Allora, o Bhaggavagotta, Sunakkhatta mi si accostò, ed essendosi accostato, avendomi salutato, sedette accanto. A lui, che mi era accanto seduto, o Bhaggava-gotta, così dissi:" Che tu pensi, o Sunakkhatta? Ciò che ti dissi nei riguardi dell'asceta Kandaramasuka si è verificato così, oppure diversamente ? . Ciò, o signore, che il Sublime disse nei riguardi dell'asceta Kandaramasuka così si è verificato, non diversamente . E che tu pensi, o Sunakkhatta, così essendo è stato usato un elemento sovrumano, straordinario potere, oppure non è stato usato? . Così essendo, o signore, è stato usato un elemento sovrumano, straordinario potere. E così, o uomo stolto, pur essendo stato usato un elemento sovrumano, straordinario potere, così dici: ' il

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Sublime, o signore, non usa con me l'elemento sovrumano, straordinario potere'. Vedi, o uomo stolto, quale è il tuo errore. Proprio così, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta figlio dei Licchavi fu da me riconosciuto immaturo per questa dottrina e regola, destinato alla rovina, all'inferno. "15. Un tempo, o Bhaggava-gotta, io dimoravo a Vesali, nella grande foresta, nella casa dall'acuto tetto. In quel tempo l'asceta di altra dottrina Patikaputta si era stabilito a Vesali; per conseguire alto profitto, alta fama nella città dei Vajji. E costui, in Vesali, diceva così: è" L'asceta Gotama ha raggiunta la sapienza, io ho raggiunta la sapienza, colui che ha raggiunta la sapienza è atto, per la raggiunta sapienza, ad insegnare l'elemento sovrumano, straordinario potere. L'asceta Gotama percorra mezzo cammino, anch'io percorrerò mezzo cammino. Così insieme potremo usare l'elemento sovrumano, straordinario potere. Se l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due. Se l'asceta Gotama farà uso di due elementi sovrumani, straordinari poteri, io ne farò uso di quattro. Se l'asceta Gotama farà uso di quattro elementi sovrumani, straordinari poteri, io ne farò uso di otto. Ogni qualvolta l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due. 119 16. Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi, si avvicinò a me, essendosi avvicinato ed avendomi salutato si sedé accanto. Accanto seduto, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta, il figlio dei Licchavi, così mi disse: L'asceta, o signore, Patikaputta dimora a Vesali per conseguire alto profitto, alta fama nella città dei Vajji. Egli in Vesali così dice: ' L'asceta Gotama ha raggiunta la sapienza, io ho raggiunta la sapienza, colui che ha raggiunto la sapienza è atto per la raggiunta sapienza ad insegnare l'elemento sovrumano straordinario potere. L'asceta Gotama percorra mezzo cammino, io anche percorrerò mezzo cammino. Così insieme potremo usare l'elemento sovrumano, straordinario potere. Se l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due. Se l'asceta Gotama farà uso di due elementi sovrumani, straordinari poteri, io ne farò uso di quattro. Se l'asceta Gotama farà uso di quattro elementi sovrumani, straordinari poteri, io ne farò uso di otto. Ogni qualvolta l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due ' . Così essendo stato detto, o Bhaggava-gotta, dissi a Sunakkhatta figlio dei Licchavi così:

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Non è capace, o Sunakkhatta, l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se viene a confronto con me. Se a lui così fosse: ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama' la sua testa sarebbe allora fatta in pezzi . "17. ""Controlli, o signore, il Sublime la parola, controlli, o signore, il Benvenuto la parola ""." Perché, o Sunakkhatta, tu dici: ' Controlli, o signore, il Sublime la parola, controlli, o signore, il Benvenuto la parola ? ' . Dal Sublime, o signore, queste parole furono pronunciate come una sentenza: ' Non è capace l'asceta Patikaputta "a confermare questa sua parola a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto con me. Se a lui così fosse: io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa : È opinione, allorquando verrò a confronto coll'asceta Gotama', la sua testa sarebbe allora fatta in pezzi. L'asceta Patikaputta, o signore, in un modo o nell'altro può venire a confronto col Sublime e allora ciò sarebbe menzogna al Sublime""" "18. "" Forse che, o Sunakkhatta, allorquando il Compiuto" "parla dice parole non vere?""." . E che forse, o signore, il Sublime, avendo colla sua mente assunta la mente dell'asceta Patikaputta, sa: non è capace l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto con me. Se a lui così fosse: ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto coll'asceta Gotama ' la sua testa allora sarebbe fatta in pezzi. Oppure gli dèi, o signore, così annunciarono al Compiuto: ' Non è capace l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto con me. Se a lui così fosse: ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrà (5) a confronto coll'asceta Gotama' la sua testa allora sarebbe fatta in pezzi ? ' . Avendo, o Sunakkhatta, proprio colla mia mente assunta la mente dell'asceta Patikaputta, così di lui io so: 'non è capace l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto con me. Se a lui così fosse: ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto coll'asceta Gotama

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' la sua testa sarà fatta in pezzi. E proprio gli dèi mi annunciarono: ' Non è capace l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto con me. Se a lui così fosse: ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto coll'asceta Gotama, la sua testa sarà fatta in pezzi'. Infatti Ajita, il condottiero dei Licchavi, or non è molto, compiuto il suo tempo, sorse nel coro dei trentatré dèi. Costui, essendosi accostato, così mi annunciò: 'non prudente è l'asceta Patikaputta, bugiardo è 120 l'asceta Patikaputta: su di me l'asceta Patikaputta spiegò nei paesi dei Vajji: - Ajita, il condottiero dei Licchavi, sorgerà in un grande inferno - . Io non sono sorto in un grande inferno, ma sono sorto nel coro dei trentatré dèi. Non prudente è l'asceta Patikaputta, bugiardo è l'asceta Patikaputta, non è capace l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto con me. Se a lui così fosse: ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto coll'asceta Gotama ' la sua testa sarebbe allora fate in pezzi. Proprio così, o Sunakkhatta, avendo colla mia mente assunta la mente dell'asceta Patikaputta, io so: ' non è capace l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto con me. Se a lui così fosse: - Io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto coll'asceta Gotama - la sua testa allora sarebbe fatta in pezzi'. E proprio gli dèi mi annunciarono: ' non è capace l'asceta Patikaputta a confermare questa sua parola, a confermare questo suo pensiero, a non rinunciare a questa sua opinione, se verrà a confronto col Sublime. Se a lui così fosse: - io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto coll'asceta Gotama - . La sua testa allora sarebbe fatta in pezzi'. "Io, o Sunakkhatta, dopo aver girato per elemosina in Vesali, essendo tornato dall'elemosina, dopo il pasto, mi recherò nel parco là dove si trova l'asceta Patikaputta. O Sunakkhath, annuncia pure ciò a chi tu desideri""." "19. Allora, o Bhaggava-gotta, di prima mattina, presi mantello e scodella, andai in Vesali per l'elemosina,

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dopo aver girato per elemosina in Vesali, ritornato dall'elemosina, dopo il pasto, mi recai nel parco dove l'asceta Patikaputta si trovava per passare il giorno. Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhath, il figlio dei Licchavi, di furia entrò in Vesali si accostò ai più noti Licchavi, e a tutti i più noti Licchavi disse: "" O amico, il Sublime, dopo aver girato per elemosina in Vesali, essendo tornato dall'elemosina, dopo il pasto, si recherà nel parco dove l'asceta Patikaputta si trova per passare il giorno. Vengano gli onorevoli, vengano gli onorevoli, useranno gli elementi sovrumani, straordinari poteri due famosi asceti"". Allora, o Bhaggava-goth, a tutti i più noti Licchavi così fu: "" Certo useranno gli elementi sovrumani, straordinari poteri due famosi asceti. Or noi andremo""." "Ed ai più noti ricchi brahmani, ai più facoltosi padri di famiglia, ad asceti e brahmani di varie scuole costui si accostò, ed essendosi accostato a costoro, così disse: "" O amico, il Sublime, dopo aver girato per elemosina in Vesali, essendo tornato dall'elemosina, dopo il pasto, si recherà nel parco dove l'asceta Patikaputh si trova per passare il giorno. Vengano gli onorevoli, vengano gli onorevoli, useranno gli elementi sovrumani, straordinari poteri due famosi asceti"". Allora, o Bhaggava-gotta, agli asceti e brahmani di varie scuole così fu: ""Certo useranno gli elementi sovrumani, straordinari poteri due famosi asceti. Or noi andremo "". Allora, o Bhaggava-goth, i più noti Licchavi, i più noti ricchi brahmani, i facoltosi padri di famiglia, gli asceti o brahmani di varie scuole si recarono al parco dove si trovava l'asceta Patikaputta. E così, o Bhaggava-gotta, si radunò una grande assemblea di più di un centinaio di persone, di più di un migliaio di persone." "20. Allora udì, o Bhaggava-gotta, l'asceta Patikaputta: "" Certo ora vengono i più noti Licchavi, vengono i più noti" "ricchi brahmani, i facoltosi padri di famiglia, gli asceti e brahmani di varie scuole, e viene l'asceta Gotama nel parco dove io dimoro durante il giorno"". Avendo ciò udito, in lui sorse terrore, costernazione, e gli si rizzarono i capelli. Allora, o Bhaggava-gotta, l'asceta Patikaputha terrorizzato, costernato, coi capelli ritti, se ne andò nel parco dei pellegrini Tindukkhanu." "Udì, o Bhaggava-goth, l'assemblea: "" Certo l'asceta Patikaputta, terrorizzato, costernato, coi capelli ritti, se ne è andato nel parco dei pellegrini Tindukkhanu "". Allora, o Bhaggava-goth, l'assemblea si rivolse ad un uomo:"

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Ehi tu, o uomo, va al parco dei pellegrini Tindukkhanu, là dov'è l'asceta Patikaputta, è colà giunto di' all'asceta Patikaputta così: ' vieni, o amico Patikaputta, nel parco dove l'onorevole è solito passare il giorno, 121 sono ora giunti i più noti Licchavi, i più noti ricchi brahmani, i facoltosi padri di famiglia, gli asceti o brahmani di varie scuole e l'asceta Gotama ' O amico Patikaputh, tu pronunciasti innanzi a tutta Vesali queste parole: ' l'asceta Gotama ha raggiunge la sapienza, io ho raggiunta la sapienza, e colui che ha raggiunta la sapienza è atto, per la raggiunta sapienza, ad insegnare l'elemento sovrumano straordinario potere. L'asceta Gotama percorra mezzo cammino, io anche percorrerò mezzo cammino. Così insieme potremo usare l'elemento sovrumano, straordinario potere. Sc l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due. Se l'asceta Gotama farà uso di due elementi sovrumani, straordinari poteri, io ne farò uso di quattro. Se l'asceta Gotama farà uso di quattro elementi sovrumani, straordinari poteri, io ne farò uso di otto. Ogni qualvolta l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due '. Vieni, o amico Patikaputh, per mezzo cammino, l'intero cammino ha già percorso l'asceta Gotama, che ora siede nel parco dove l'onorevole suole passare il giorno. 21. Allora, o Bhaggava-gotta, quell'uomo ubbidendo all'assemblea, si recò al parco dei pellegrini Tindukkhanu dove "si trovava l'asceta Patikaputta, accostatosi all'asceta Patikaputta, così gli disse: "" Vieni, o amico Patikaputta, nel parco dove l'onorevole suole passare il giorno, sono ora giunti i più noti Licchavi, i più noti ricchi brahmani, i facoltosi padri di famiglia, gli asceti o brahmani di varie scuole e l'asceta Gotama. O, amico Patikaputta, tu pronunciasti innanzi a tutta Vesali queste parole: 'l'asceta Gotama ha raggiunta la sapienza, io ho raggiunto la sapienza, colui che ha raggiunto la sapienza è atto per la raggiunta sapienza ad insegnare l'elemento sovrumano, straordinario potere. L'asceta Gotama percorra mezzo cammino, io anche percorrerò mezzo cammino. Così insieme potremo usare l'elemento sovrumano, straordinario potere. Se l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere io ne farò uso di due '. Vieni, o amico Patikaputta, per mezzo cammino, l'intero cammino ha già percorso l'asceta Gotama, che ora siede nel parco dove l'onorevole suole passare il giorno""."

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"Così essendo stato detto l'asceta Patikaputta: ""Vengo, o amico; vengo, o amico"" pur così dicendo si agitava e non poteva levarsi da sedere. Allora, o Bhaggava-gotta, quell'uomo così disse all'asceta Patikaputta: ""che è, di grazia, o amico Patikaputta? Forse che i peli ti si sono attaccati alla sedia, o che la sedia ti si è attaccata ai peli ? Tu dici: ' Vengo, o amico, vengo, o amico ', e tuttavia ti agiti e non puoi levarti da sedere""." "Così essendogli stato detto, o Bhaggava-gotta, l'asceta Patikaputta: ""Vengo, o amico; vengo, o amico"", pur così dicendo si agitava ma non poteva levarsi da sedere." "22. Allora, o Bhaggava-gotta, quell'uomo riconobbe è una cosa straordinaria: l'asceta Patikaputta, ' Vengo, o amico, vengo, o amico' pur così dicendo si agita ma non riesce a levarsi da sedere"". E ritornato all'assemblea così riferì:" " È una cosa straordinaria: l'asceta Patikaputta ' Vengor o amico; vengo, o amico ' pur così dicendo si agita ma non riesce a levarsi da sedere." "Così essendo stato detto, o Bhaggava-gotta, io dissi all'assemblea così: "" Non è capace, o amici, l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola, a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione se viene a confronto con me. Se a lui così fosse: ' Io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama' la sua testa allora sarebbe fatta in pezzi""." PRIMA PARTE FINE 122 SECONDA PARTE 1. Allora, o Bhaggava-gotta, un tale, gran ministro dei Licchavi, sorse da sedere e disse all'assemblea: Pertanto attendete qui un istante ed io sicuramente condurrò qui, all'assemblea, l'asceta Patikaputta . Allora, o Bhaggava-gotta, il gran ministro Licchava andò nel parco dei pellegrini Tindukkhanu, là dove era l'asceta Patikaputta, ed essendosi avvicinato all'asceta Patikaputta, disse così: Vieni, o amico Patikaputta, è meglio che tu venga: ! nel parco dove l'onorevole suole passare il giorno sono ora giunti i più noti Licchavi, sono ora giunti i più noti ricchi brahmani, i facoltosi padri di famiglia, gli asceti ed i brahmani di varie scuole e l'asceta Gotama. Tu pronunciasti innanzi a tutta Vesali queste parole: 'L'asceta Gotama ha raggiunta la sapienza, io ho raggiunto la sapienza, colui che ha raggiunto la sapienza è

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atto per la raggiunta sapienza ad insegnare l'elemento sovrumano, straordinario potere. L'asceta Gotama percorra mezzo cammino, io anche percorrerò mezzo cammino. Così insieme potremo usare l'elemento sovrumano, straordinario potere. Se l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due '. Venga l'amico Patikaputta per mezzo cammino, l'asceta Gotama ha percorso l'intero cammino ed ora siede nel parco dove l'onorevole suole passare il giorno. L'asceta Gotama pronunziò innanzi all'assemblea queste parole: ' Non è capace, o amici, l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola, a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione se viene a confronto con me '. Se a lui così fosse: ' Io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama ' la sua testa sarebbe allora fatta in pezzi. Vieni, o amico Patikaputta, e colla tua venuta vi sarà il confronto con l'asceta Gotama. "2. Così essendo stato, l'asceta Patikaputta: ""Vengo, o amico; vengo, o amico "" pur così dicendo si agitava ma non poteva levarsi da sedere. Allora, o Bhaggava-gotta, il gran ministro dei Licchavi così disse all'asceta Patikaputta: "" Che è, di grazia, o amico Patikaputta? Forse che i peli ti si sono attaccati alla sedia, o che la sedia ti si è attaccata ai peli ? Tu dici: 'Vengo, o amico; vengo, o amico', e tuttavia ti agiti e non puoi levarti da sedere ""." "Così essendogli stato detto, o Bhaggava-gotta, l'asceta Patikaputta: ""Vengo, o amico; vengo, o amico"", pur così dicendo si agitava ma non poteva levarsi da sedere." "3. Allora, o Bhaggava-gotta, il gran ministro dei Licchavi riconobbe: "" È una cosa straordinaria: l'asceta Patikaputta, ' Vengo, o amico; vengo, o amico ' pur così dicendo si agita ma non riesce a levarsi da sedere"". E ritornato all'assemblea così riferì:" " È una cosa straordinaria: l'asceta Patikaputta, ' Vengo, o amico; vengo, o amico', pur così dicendo si agita ma non riesce a levarsi da sedere." "Così essendo stato detto, o Bhaggava-gotta, io dissi all'assemblea così: ""Non è capace, o amici, l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola, a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione se viene a confronto con me. Se a lui così fosse: 'io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama, la sua testa sarebbe fatta a pezzi'. Se agli onorevoli Licchavi così fosse: 'Legato l'asceta Patikaputta con una corda ad una coppia di

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buoi, lo trascineremo qui' si spezzerebbe la corda o l'asceta Patikaputta. Non è capace l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola! a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione se viene a confronto con me. Se a lui così fosse ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama' la sua testa sarebbe fatta in pezzi ""." 4. Allora, o Bhaggava-gotta, Jaliya discepolo portatore di scodella, sorto da sedere, così disse all'assemblea: Pertanto attendete qui un istante ed io certamente potrò condurre qui, all'assemblea, l'asceta Patikaputta. Allora, o Bhaggava-gotta, Jaliya (7), discepolo portatore di scodella, si recò al parco dei pellegrini Tindukkanu là dove era l'asceta Patikaputta, ed essendosi avvicinato all'asceta Patikaputta: "Vieni, o amico Patikaputta, è meglio che tu venga: nel parco dove l'onorevole suole passare il giorno sono 123 ora giunti i più noti Licchavi, sono ora giunti i più noti ricchi brahmani, i facoltosi padri di famiglia, gli asceti ed i brahmani di varie scuole e l'asceta Gotama. Tu pronunciasti innanzi a tutta Vesali queste parole: ' L'asceta Gotama ha raggiunta la sapienza, io ho raggiunta la sapienza, colui che ha raggiunta la sapienza è atto per la raggiunta sapienza ad insegnare l'elemento sovrumano, straordinario potere. L'asceta Gotama percorra mezzo cammino, io anche percorrerò mezzo cammino. Così insieme potremo usare l'elemento sovrumano, straordinario potere. Se l'asceta Gotama farà uso di un elemento sovrumano, straordinario potere, io ne farò uso di due ' Vieni, o amico Patikaputta per mezzo cammino; l'asceta Gotama ha percorso l'intero cammino ed ora siede nel parco dove l'onorevole suole passare il giorno. L'asceta Gotama pronunciò innanzi all'assemblea queste parole: ' Non è capace, o amici, l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola, a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione se viene a confronto con me. Se a lui così fosse - Io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama - se a lui così fosse: - io confermerò la parola, allora la sua testa sarebbe fatta in pezzi - . Se agli onorevoli Licchavi così fosse: - Legato asceta Patikaputta con una corda ad una coppia di buoi, lo trascineremo qui - si spezzerebbe la corda o l'asceta Patikaputta. Non è capace l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola, a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione se viene a confronto con me. Se a lui così fosse. - Io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non

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rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama - la sua testa sarebbe fatta in pezzi '. Vieni, o amico Patikaputta, e colla tua venuta vi sarà il confronto con l'asceta Gotama ." "5. Così essendo stato detto, l'asceta Patikaputta: "" Vengo, o amico; vengo, o amico "" pur così dicendo si agitava ma non poteva levarsi da sedere. Allora, o Bhaggava-gotta, Jaliya, discepolo portatore di scodella, così disse all'asceta Patikaputta: "" Che è, di grazia, o amico Patikaputta? Forse che i peli ti si sono attaccati alla sedia o che la sedia ti si è attaccata ai peli ? Tu dici: ' Vengo, o amico; vengo, o amico ' e tuttavia ti agiti e non puoi levarti da sedere ""." "Così essendogli stato detto, o Bhaggava-gotta, l'asceta Patikaputta: ""Vengo, o amico; vengo, o amico"", pur così dicendo si agitava ma non poteva levarsi da sedere." "6. Allora, o Bhaggava-gotta, Jaliya discepolo portatore di scodella riconobbe: "" È una cosa straordinaria: l'asceta Patikaputta: ' Vengo, o amico; vengo, o amico ' pur così dicendo si agita, ma non riesce a levarsi da sedere "". Allora a costui così disse: "" Un tempo, o amico Patikaputta, ad un leone, re degli animali, così fu: ' Se io ora mi preparassi un rifugio nella foresta e se, dopo averlo preparato, vi entrassi al mattino, e dopo esservi entrato, mi svegliassi, e dopo essermi svegliato, girassi nelle quattro direzioni lo sguardo, e dopo aver girato nelle quattro direzioni lo sguardo, per tre volte ruggissi col ruggito del leone, e dopo aver per tre volte ruggito col ruggito del leone, mi recassi al pascolo, e qui uccidessi tra il gregge degli animali quelli di migliore e più tenera carne, e dopo averne mangiata la tenera carne, raggiungessi così il rifugio? '." Allora, o amico, il leone, re degli animali, si preparò un rifugio nella folta foresta, e dopo esserselo preparato, vi entrò al mattino, e dopo esservi entrato, si svegliò, dopo essersi svegliato, girò nelle quattro direzioni lo sguardo, e dopo aver girato nelle quattro direzioni lo sguardo, per tre volte ruggì col ruggito del leone, e dopo aver per tre volte ruggito col ruggito del leone, si recò al pascolo e uccise tra il gregge degli animali quelli di migliore e più tenera carne, e avendone mangiate le teneri carni, raggiunse così il rifugio?'. 7. Dunque, amico Patikaputta, a Jara, lo sciacallo arrogante e sciocco, che si nutriva degli avanzi del leone, proprio a Jara lo sciacallo Così fu: ' Che sono io, che il leone, re degli animali? Se io ora mi preparassi un rifugio nella foresta e se, dopo averlo preparato, vi entrassi al mattino, e, dopo esservi entrato, mi svegliassi, e dopo essermi svegliato, girassi nelle quattro direzioni lo sguardo, e dopo aver girato nelle quattro direzioni

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lo sguardo, per tre volte ruggissi col ruggito del leone e dopo aver per tre volte ruggito col ruggito del leone, mi recassi al pascolo e qui uccidessi tra il gregge quelli di migliore e più tenera carne, e dopo averne mangiata la tenera carne, raggiungessi così il rifugio ? '. Allora, o amico, Jara lo sciacallo si preparò un rifugio nella folta foresta, e dopo esserselo preparato, vi entrò al mattino, e dopo esservi entrato, si svegliò, e dopo essersi svegliato, girò nelle quattro direzioni lo sguardo, e dopo aver girato nelle quattro direzioni lo sguardo: ' Per tre volte ruggirò col ruggito del leone ', ma lo 124 sciacallo non ruggì ed emise invece il suo urlo. E che è il vile urlo dello sciacallo, e che il ruggito "del leone ? Proprio così tu, o amico Patikaputta, vivendo cogli attributi del Benvenuto, nutrendoti col cibo del Benvenuto, pensi di poter competere col Compiuto, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Che sono i vili Patikaputta al confronto dei Compiuti, Santi, Perfetti, perfettamente Svegliati? ""." 8. Ma con ciò, o Bhaggava-gotta, Jaliya, discepolo portatore di scodella, con questo paragone, non fu in grado di trarre l'asceta Patikaputta dal suo sedile, allora così gli disse: Uno sciacallo pensa di poter essere scambiato da chi lo [guarda per un leone: ma ecco lo sciacallo ruggisce: ' che è il vile urlo dello scia [callo, e che il ruggito del leone? '. "Proprio così tu, amico Patikaputta, vivendo con gli attributi del Benvenuto, nutrendoti col cibo del Benvenuto, pensi di poter competere col Compiuto, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Che sono i vili Patikaputta al confronto dei Compiuti, Santi, Perfetti, perfettamente Svegliati? ""." 9. Con ciò, o Bhaggava-gotta, Jaliya, il discepolo portatore di scodella, con questo paragone, non fu in grado di trarre l'asceta Patikaputta dal suo sedile, e allora così gli disse: Colui che si aggirò cercando per sé gli avanzi dell'altrui cibo non vede se stesso e si crede simile ad una tigre, ma ecco lo sciacallo ruggisce: ' e che è il vile urlo dello scia[callo, e che il ruggito del leone?'. "Proprio così tu, o amico Patikaputta, vivendo cogli attributi del Benvenuto, nutrendoti col cibo del Benvenuto, pensi di poter competere col Compiuto, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Che sono i vili Patikaputta al confronto dei Compiuti, Santi, Perfetti, perfettamente Svegliati? ""." 10. Ma con ciò, o Bhaggava-gotta, Jaliya, discepolo portatore di scodella, con questo paragone, non fu in grado di trarre l'asceta Patikaputta dal suo sedile, allora così gli disse: Chi si nutrì di rane, di topi da grano, di crani, di ossa e [di rifiuti nella grande foresta, nell'inospitale foresta si crede stimabile: [' io sono il re degli animali ' ma ecco lo sciacallo ruggisce: ' che è il vile ruggito dello scia[callo, e che il ruggito del leone? '.

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"Proprio così tu, o amico Patikaputta, vivendo cogli attributi del Benvenuto, nutrendoti col cibo del Benvenuto, pensi di poter competere col Compiuto, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Che sono i vili Patikaputta al confronto dei Compiuti, Santi, Perfetti, perfettamente Svegliati?""." "I l. Con ciò, o Bhaggava-gotta, Jaliya, discepolo portatore di scodella, con questo paragone, non fu in grado di trarre l'asceta Patikaputta dal suo sedile. Allora tornato all'assemblea così riferì: ""è una cosa straordinaria: l'asceta Patikaputta, ' Vengo, o amico; vengo, o amico ' pur così dicendo si agita ma non riesce a levarsi da sedere""." Così essendo stato detto, o Bhaggava-gotta, così dissi all'assemblea: Non è capace, o amici, l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola, a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione, se viene a confronto con me. Se a lui così fosse: ' io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama' la sua testa allora sarebbe fatta in pezzi. Se agli onorevoli Licchavi così fosse: ' Legato l'asceta Patikaputta con una corda ad una coppia di buoi lo trascineremo qui' si spezzerebbe la corda o l'asceta Patikaputta. Non è capace l'asceta Patikaputta a confermare la sua parola, a confermare il suo pensiero, a non rinunciare alla sua opinione, se viene a confronto con me. Se a lui così fosse ' Io confermerò la parola, io confermerò il pensiero, io non rinuncerò a questa opinione, allorquando verrò a confronto con l'asceta Gotama' la sua testa sarebbe fatta in pezzi. 125 12. Allora io, o Bhaggava-gotta, istruii, incitai, rallegrai, rasserenai l'assemblea con un discorso sulla dottrina ed avendo istruita, incitata, rallegrata, rasserenata l'assemblea con un discorso sulla dottrina e avendo così liberato dai grandi legami, avendo rimosse le maggiori difficoltà a 84.000 esseri, raggiunto l'elemento fuoco, feci apparire sette palme nel cielo e avendo costruite di fuoco e di fumo altre sette palme, riapparvi nella grande selva, nel padiglione dall'acuto tetto. Allora, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta figlio dei Licchavi, mi si avvicinò, avvicinatomi ed avendomi salutato, sedette accanto. A lui che si era accanto seduto, o Bhaggavagotta, così dissi: Che tu pensi, o Sunakkhatta? Ciò che ti dissi nei riguardi dell'asceta Patikaputta si è verificato così oppure diversamente ? . Ciò, o signore, che il Sublime mi disse nei riguardi dell'asceta Patikaputta così si è verificato, non diversamente .

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E che tu pensi, o Sunakkhatta, così essendo è stato usato un elemento sovrumano, straordinario potere, oppure non è stato usato ? . Così essendo, o signore, è stato usato un elemento sovrumano, straordinario potere. E così tu, o uomo stolto, pur essendo stato usato un elemento sovrumano, straordinario potere, così dici: ' Il Sublime, o signore, non usa con me l'elemento sovrumano, straordinario potere'. Vedi, o uomo stolto, quale è il tuo errore ' . Proprio così, o Bhaggava-gotta, Sunakkhatta fu da me riconosciuto immaturo per questa dottrina e regola, destinato alla rovina, all'inferno. "13. Ed io, o Bhaggava-gotta, ho realizzato il sapere delle origini; questo ho realizzato e cose di queste più alte ho realizzato, ma da ciò che ho realizzato non sono vincolato; non essendo vincolato, solo, stabilita la pace ed il supremo sapere, il Compiuto consegue la liberazione dal destino. Vi sono, o Bhaggava gotta, alcuni asceti o brahmani che espongono un insegnamento sulle origini: il mondo di Issara, il mondo di Brahma. Essendomi loro avvicinato, così dissi: "" È vero che, onorevoli, esponete un insegnamento intorno alle origini, al mondo di Issara, al mondo di Brahma?"". Costoro, così da me interrogati: "" Sì "" risposero. E di conseguenza dissi loro: "" In che modo, onorevoli, voi avete stabilito il vostro sapere sulle origini, sul mondo di Issara, sul mondo di Brahma che insegnate, che esponete? "". Costoro da me così interrogati, non risposero, ma a loro volta mi interrogarono. Interrogato, a loro risposi così:" "l 4. "" Vi è, o amici, un certo momento, questo o quello, in cui dopo lungo lasso di tempo questo mondo si evolve. Evolvendosi il mondo, gli esseri praticamente si evolvono come dèi raggianti. Essi allora sono fatti di pensiero, nutriti di beatitudine, da sé irradiano luce, sono di struttura aerea, costantemente gloriosi, e così a lungo, per lungo tempo rimangono. Vi è, o amici, un certo momento, questo o quello, in cui, dopo lungo lasso di tempo, questo mondo si involve, nel mondo che si è involuto, una vuota regione di Brahma si rende manifesta. Allora un certo essere, o per l'esaurirsi del tempo, o per l'esaurirsi del merito, trapassando dal coro degli dèi raggianti, sorge nella vuota regione di Brahma. Costui allora è fatto di pensiero, nutrito di beatitudine, da sé irradia luce, è di struttura aerea, costantemente glorioso, ed a lungo, per lungo tempo rimane. A costui allora, da lungo tempo solitario, nella non soddisfatta mente, un'insoddisfazione, un desiderio sorge: Oh, certo, altri esseri possono venire in questo mondo! Allora altri esseri, per esaurirsi del

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tempo, o per esaurirsi del merito, trapassati dal coro degli dèi raggianti sorgono nella regione di Brahma in compagnia di quell'essere. Costoro allora sono fatti di pensiero, nutriti di beatitudine, da sé irradiano luce, sono di struttura aerea, costantemente gloriosi, a lungo, per lungo tempo rimangono." l S. Allora, o amici, a quell'essere per primo sorto così è: Io sono Brahma, il Gran Brahma, il Signore, il mai vinto, l'onniveggente, l'onnipotente, il padrone, il fattore, il creatore, l'altissimo, l'ordinatore, il possente padre di ciò che fu e sarà. Da me questi esseri furono creati. E quale ne è la ragione? Al principio a me così fu: Oh certo altri esseri possono venire in questo mondo! A quegli esseri, dopo sorti, invece così è: costui è il signore Brahma, il Gran Brahma, il signore, il mai vinto, l'onniveggente, l'onnipossente, il padrone, il fattore, il creatore, l'altissimo, l'ordinatore, il possente padre di ciò che fu e ciò che sarà. Da costui, dal signor 126 Brahma, noi fummo creati. E quale di ciò la ragione? Costui noi vedemmo qui primo sorto: noi qui sorgemmo dopo! "16. Allora, o amici, l'essere prima sorto è dotato di più lunga vita, di maggior splendore, di più grande potenza, mentre gli altri esseri, sorti dopo, sono dotati di men lunga vita, di scarsa bellezza, di minore potenza? Si conosce questa possibilità, o amici, che un certo essere, trapassando da quel coro, appaia in questo mondo. In questo mondo venuto, fatto asceta, abbandoni la casa per l'anacoretismo. Abbandonata la casa per l'anacoretismo, fatto asceta, realizzato lo zelo, realizzata l'attenzione, realizzato il controllo, realizzata la vigilanza, realizzata la giusta applicazione del pensiero, in modo da raggiungere la concentrazione della mente, nella sua mente raccolta sorge consapevolezza di una anteriore forma di esistenza, ma non sorge consapevolezza di altro. Ed egli così dice: ' Quegli certo è il signor Brahma, il gran Brahma, il signore, il mai vinto, l'onniveggente, l'onnipotente, il padrone, il fattore, il creatore, l'altissimo, l'ordinatore, il possente padre di ciò che fu e ciò che sarà. Da costui, dal signor Brahma noi fummo creati. Egli è permanente, perdurante, eterno, elemento immobile, così per sempre uguale sarà. Noi invece fummo creati dal Brahma, impermanenti, non perduranti, di corta vita, elementi mutabili venuti a questo mondo '. Così è l'origine, o amici, del mondo di Issara, del mondo di Brahma, del sapere delle origini, che voi esponete ""." "Costoro così dissero: ""Ecco, o amico Gotama, noi abbiamo udito ciò che disse l'onorevole Gotama "". Ed

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io, o Bhaggava-goth, ho realizzato il sapere delle origini; questo ho realizzato e cose di queste più alte ho realizzato, ma da ciò che ho realizzato non sono vincolato; non essendo vincolato, solo, stabilita la pace ed il supremo sapere, il Compiuto consegue la liberazione dal destino." "1 7. Vi sono, o Bhaggava-gotta, alcuni asceti o brahmani che espongono un insegnamento sul sapere delle origini per corruzione del piacere. Essendomi loro avvicinato, così dissi: "" È vero che, onorevoli, voi esponete un insegnamento sulle origini per corruzione del piacere?"". Costoro così da me interrogati: ""Sì"", risposero. Ed in conseguenza, dissi loro: "" In che modo, voi onorevoli, avete stabilito il sapere delle origini per corruzione del piacere, che esponete? "". Costoro da me così interrogati non risposero, ma a loro volta mi interrogarono. Interrogato, a loro risposi così:" Vi sono invero, o amici, gli dèi corrotti dal piacere. Essi avendo raggiunto l'elemento gioia-piacere a lungo attaccati dimorano, avendo a lungo dimorato attaccati al raggiunto elemento gioia-piacere, la loro consapevolezza si attenua, attenuata la consapevolezza, essi trapassano dal loro coro divino. Si conosce, o amici, questa possibilità, che un essere trapassato da quel coro, giunga in questo mondo. E, giunto in questo mondo, fatto asceta, abbandoni la casa per l'anacoretismo. Abbandonata la casa per l'anacoretismo, fatto asceta, realizzato lo zelo, realizzata l'attenzione, realizzato il controllo, realizzata la vigilanza, realizzata la giusta applicazione del pensiero, in modo da raggiungere la concentrazione della mente, sì che colla mente raccolta sorge in lui la consapevolezza di una precedente esistenza, ma non sorge consapevolezza di altro. Egli così dice: ' Vi sono i signori dèi non corrotti dal piacere. Essi non attaccati al raggiunto elemento gioiapiacere a lungo dimorano, e avendo dimorato a lungo non attaccati al raggiunto elemento gioia-piacere, la loro consapevolezza non si attenua e non trapassano dal loro coro, permanenti, perduranti, eterni, elementi immutabili, così per sempre uguali staranno. Invece noi fummo corrotti "dal piacere: a lungo dimorammo attaccati al raggiunto elemento gioia-piacere, e, avendo noi a lungo dimorato attaccati al raggiunto elemento gioia-piacere, la nostra consapevolezza si attenuò, attenuata la consapevolezza, trapassati da quel coro, impermanenti, imperduranti, di corta vita, elementi mutabili siamo venuti a questo mondo'. Così, o amici, si è stabilito il sapere delle origini per corruzione del piacere, che voi esponete ""." "Costoro così dissero: ""Ecco, o amico Gotama, noi abbiamo udito ciò che disse l'onorevole Gotama"". Ed

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io, o Bhaggava-gotta, ho realizzato il sapere delle origini; questo ho realizzato e cose di queste più alte ho realizzato, ma da ciò che ho realizzato non sono vincolato; non essendo vincolato, solo, stabilita la pace ed il supremo sapere, il Compiuto consegue la liberazione dal destino." "18. Vi sono, o Bhaggava-gotta, alcuni asceti o brahmani che espongono un insegnamento sul sapere delle 127 origini per corruzione della mente. Essendomi loro avvicinato così dissi: "" È vero che voi onorevoli esponete un insegnamento sulle origini per corruzione della mente? "". Costoro così da me interrogati: "" Sì "", risposero. Ed in conseguenza dissi loro: "" In che modo voi onorevoli avete stabilito il sapere delle origini per corruzione della mente, che esponete ? "". Costoro da me così interrogati non risposero, ma a loro volta mi interrogarono. Interrogato, a loro risposi così:" " Vi sono, o amici, gli dèi corrotti dal pensiero. Essi a lungo si pensano l'un l'altro, ed essendosi a lungo l'un l'altro pensati, si corrompono la mente. Essi corrotta l'un l'altro la mente, esauriscono la mente, esauriscono il corpo, trapassano dal loro coro divino. Si conosce, o amici, questa possibilità: che un essere trapassato da quel coro giunga in questo mondo. E giunto in questo mondo, fatto asceta, abbandoni la casa per l'anacoretismo. Abbandonata la casa per l'anacoretismo, fatto asceta, realizzato lo zelo, realizzata l'attenzione, realizzato il controllo, realizzata la vigilanza, realizzata la giusta applicazione del pensiero, in modo da raggiungere la concentrazione della mente, sì che colla mente raccolta sorge in è` lui consapevolezza di una precedente esistenza, ma non sorge consapevolezza di altro. Egli così dice: ' Vi sono, o signori, gli dèi non corrotti dal pensiero. Essi, non essendosi a lungo l'un l'altro pensati, non hanno corrotta la mente. Essi, non essendosi l'un l'altro corrotta la mente, non hanno esaurita la mente, non hanno esaurito il corpo. Questi dèi non trapassano dal loro coro, permanenti, perduranti, eterni, elementi immutabili, così per sempre eguali staranno. Noi invece fummo corrotti dal pensiero, a lungo l'un l'altro ci pensammo, ed essendoci a lungo l'un l'altro pensati, indebolimmo l'un l'altro la mente, corrotta l'un l'altro la mente esaurimmo la mente, esauriscono il corpo, e trapassati da quel coro, impermanenti,; imperduranti, di corta vita, elementi mutabili, siamo venuti a questo mondo'. Così, o amici, si è stabilito il sapere delle" "origini per corruzione della mente, che voi esponete ""." "Costoro, così dissero: "" Ecco, o amico Gotama, noi abbiamo udito ciò che disse l'onorevole Gotama"". Ed

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io, o Bhaggava-gotta, ho realizzato il sapere delle origini; questo ho realizzato e cose più alte ho realizzato, ma da ciò che ho realizzato non sono vincolato; non essendo vincolato, solo, stabilita la pace ed il supremo sapere, il Compiuto consegue la liberazione dal destino." "19. Vi sono, o Bhaggava-gotta, alcuni asceti o brahmani che espongono un insegnamento sul sapere dell'origine casuale. Essendomi loro avvicinato così dissi: ""È vero che voi onorevoli, esponete un insegnamento sull'origine casuale? "". Costoro così da me interrogati: "" Sì "", risposero. E di conseguenza dissi loro: ""In che modo voi, onorevoli, avete stabilito il sapere dell'origine casuale, che esponete?"". Costoro da me così interrogati, non risposero, ma a loro volta mi interrogarono. Interrogato risposi così:" Vi sono, o amici, gli dèi esseri inconsci, questi dèi raggiunta una coscienza trapassano dal loro coro. Si conosce questa possibilità, o amici, che un certo essere, trapassato da quel coro, appaia in questo mondo. Giunto in questo mondo, "fatto asceta, abbandoni la casa per l'anacoretismo. Abbandonata la casa per l'anacoretismo, fatto asceta, realizzato lo zelo, realizzata l'attenzione, realizzato il controllo, realizzata la vigilanza, realizzata la giusta applicazione del pensiero, in modo da raggiungere la concentrazione della mente, sì che colla mente raccolta sorge in lui consapevolezza di una precedente esistenza, ma non sorge consapevolezza di altro. Egli così dice: ' Origine casuale hanno l'anima ed il mondo. E quale di ciò la ragione? Io non esistevo prima che quest'io fosse maturato in esistenza'. Così, o amici, si è stabilito il sapere dell'origine casuale che voi esponete""." "Costoro così dissero: ""Ecco, o amico Gotama, noi abbiamo udito ciò che disse l'onorevole Gotama"". Ed io, o Bhaggava-gotta, ho realizzato il sapere delle origini, questo ho realizzato e cose di queste più alte ho realizzato, ma da ciò che ho realizzato non sono vincolato; non essendo vincolato, solo, stabilita la pace ed il supremo sapere, il Compiuto consegue la liberazione dal destino." "20. Così, o Bhaggava-gotta, avendo io detto, alcuni asceti o brahmani, vani, bugiardi, calunniano non secondo realtà: ""Non chiaro è l'asceta Gotama coi suoi monaci. L'asceta Gotama così dice: 'Nel tempo in cui un asceta ha raggiunta la splendente liberazione, in quel tempo egli percepisce solo oscurità ' "". Non io, o Bhaggava-gotta, così dico: "" Nel tempo in cui un asceta ha raggiunta la splendente liberazione, in quel 128

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tempo percepisce solo oscurità "". Ma così io dico: "" Nel tempo in cui un asceta, raggiunta la splendente liberazione, dimora, in quel tempo percepisce lo splendore""""." Pertanto, o signore, oscuri sono coloro che accusano il Sublime ed i monaci di oscurità, che io possa essere rischiarato dal Sublime, possa il Sublime insegnarmi la dottrina per mezzo della quale, raggiunta la splendente liberazione, si dimora. Difficile, o Bhaggava-gotta, a chi è di altra opinione, di altra credenza, a chi è sotto un altro influsso, ad altro aggiogato ad un altro insegnamento intento, poter dimorare "nella raggiunta splendente liberazione; ma a te, o Bhaggavagotta, quella certezza che hai in me ti serve di buona protezione ""." Se è difficile, o signore, a chi è di altra opinione, di altra credenza, a chi è sotto un altro influsso, ad altro aggiogato, ad un altro insegnamento intento, dimorare nella raggiunta splendente liberazione, certo la certezza che io ho nel Sublime mi sarà di buona protezione. Così disse il Sublime, contento Bhaggava-gotta il pellegrino si rallegrò alla parola del Sublime. PATIKA SUTTANTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) SAMANNAPHALASUTTA (SUL FRUTTO DELL'ASCESI) Così ho sentito: "1. Un tempo il Sublime dimorava a Rajagaha (1) nel boschetto di manghi di Jivaka il pediatra, con una schiera di monaci, milletrecentocinquanta monaci. quel tempo il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta (2) nei giorni della vigilia, al quindicesimo, alla festa della fine delle piogge, nelle notti di plenilunio (3), circondato dai suoi reali amici, era uso sedere sul terrazzo dell'eccelsa casa. E dunque il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta, una notte di vigilia così esclamò: ""bellissima, o amici, è questa notte di plenilunio; meravigliosa, o amici, è questa notte di plenilunio; splendida, o amici, è questa notte di plenilunio; mirabile, o amici, e questa notte di plenilunio; propizia, o amici" "questa notte di plenilunio. Quale asceta o brahmano potremmo onorare, che onorato possa di pace colmarci la mente ?"" ." "2. Così essendo stato detto, uno tra gli amici del re, al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta. così disse: ""tale," "o divino, è Purana Kassapa', capo di una scuola, con molti seguaci, celebre, famoso, fondatore di una dottrina, per la calma virtuoso, da molta gente onorato, grande anacoreta, vegliardo d'età veneranda. Proprio,

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o divino, si onori Purana Kassapa ed allora certamente, onorando Purana Kassapa, colma di pace verrà a noi la mente "". Ma, essendo stato così detto, il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta rimase in silenzio." "3. Un altro tra gli amici del re, al re dei Magadha Ajatasattu Vedehiputta, così disse: "" tale, o divino, è Makkhali - Gosala, capo di una scuola, con molti seguaci, celebre, famoso, fondatore di una dottrina, per la 129 calma virtuoso, da molta gente onorato, grande anacoreta, vegliardo d'età veneranda. Proprio, o divino, si onori Makkhali-Gosala ed allora certamente, onorando Makkhali-Gosala, colma di pace verrà a noi la mente"". Ma, essendo stato così detto, il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta rimase in silenzio." "4. Un altro tra gli amici del re, al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta, così disse: ""tale, o divino, è Ajita Kesakambala, capo di una scuola, con molti seguaci, celebre, famoso, fondatore di una dottrina, per la calma virtuoso, da. molta gente onorato, grande anacoreta, vegliardo d'età veneranda. Proprio, o divino, si onori Ajita Kesa-kambala ed allora certamente, onorando Ajita Kesa-kambala, colma di pace verrà a noi la mente "". Ma, essendo stato così è detto, il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta rimase in silenzio." "5. Un altro degli amici del re, al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta, così disse: ""tale, o divino, è Pakudha Kaccayana, capo di una scuola, con molti seguaci, famoso, fondatore di una dottrina, per la calma virtuoso, da molta gente onorato, grande anacoreta, vegliardo d'età veneranda. Proprio, o divino, si onori Pakudha Kaccayana ed allora certamente, onorando Pakudha Kaccayana, colma di pace verrà" "a noi la mente "". Ma, essendo stato così detto, il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta rimase in silenzio." "6. Un altro tra gli amici del re, al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta così disse: ""tale, o divino, è Sarijaya Belatthiputta, capo di una scuola, con molti seguaci, celebre, famoso, fondatore di una dottrina, per la calma virtuoso, da molta gente onorato, grande anacoreta, vegliardo d'età veneranda. Proprio, o divino, si onori Sanjaya Belatthiputta ed allora certamente, onorando Sanjaya Belatthiputta, colma di pace verrà a noi la mente "". Ma, essendo stato così detto, il del Magadha Ajatasattu Vedehiputta rimase in silenzio." "7. Un altro tra gli amici del re, al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta, così disse:""tale, o divino, è Nigantha Nataputta, capo di una scuola, con molti seguaci, celebre, famoso, fondatore di una dottrina, per la calma virtuoso, da molta gente onorato, grande anacoreta, vegliardo d'età veneranda. Proprio, o divino, si

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onori Nigantha Nataputta ed allora certamente, onorando Nigantha Nataputta, colma di pace verrà a noi la mente "". Ma, essendo stato così detto, il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta rimase in silenzio." "8. Durante questo tempo Jivaka il pediatra era rimasto seduto in silenzio accanto al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta. Allora il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta così disse a Jivaka il pediatra: ""Ma tu, o caro Jivaka, perché resti in silenzio? ""." " Il Sublime, o divino, il Santo Perfetto perfettamente Svegliato dimora nel mio boschetto di manghi con una grande schiera di monaci, con milletrecentocinquanta monaci, ed intorno a lui, al Sublime Gotama meravigliosa una voce di fama così si espande: Ecco, quegli è il Sublime Santo Perfetto perfettamente Svegliato, possessore del cibo della sapienza, benvenuto, del mondo conoscitore, insuperabile guida delle umane genti, maestro degli dèi e degli uomini, Svegliato, Sublime Il Sublime, o divino, si onori ed allora certamente onorando il Sublime, colma di pace verrà a noi la mente ""." Pertanto, caro Jivaka, fa preparare gli elefanti. "9. ""Sì, o divino"". E così Jivaka il pediatra, ubbidendo al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta, fece preparare cinquecento elefanti, ed il reale elefante da sella, ed al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta annunciò: ""Pronti, o divino, sono gli elefanti, ora è il tempo cui tu pensi "". Ed il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta sulle cinquecento elefantesse fatte salire a parte le dame, salito egli stesso sul reale elefante da sella, al lume delle torce, entrò in Rajagaha con magnifico reale splendore e si inoltrò nel boschetto di manghi di jivaka il pediatra." "10. Ma al re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta nel boschetto di manghi sorse meraviglia, sorse stupore, sorse spavento. E allora il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta agitato, stupito, spaventato a Jivaka il pediatra così disse: ""Mi hai tu forse, caro Jivaka, ingannato? Mi hai tu forse, caro jivaka, mentito? Mi hai tu forse, caro Jivaka, tradito? Per il tuo onore, dove è la grande schiera di monaci, i milletrecentocinquanta monaci? Ché qui non s'ode respiro, non sospiro, non voce"" (5)." Non spaventarti o gran re. Non ti ho, o divino, ingannato, non ti ho, o divino, mentito, non ti ho, o divino, tradito. Avvicinati, gran re. Avvicinati, gran re. Essi nel rotondo padiglione, in sé isolati, meditano . "11. E così il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta, fatto chinare a terra l'elefante, ne scese, lo legò, e a piedi raggiunse l'entrata del padiglione; raggiunta che ebbe l'entrata del padiglione così parlò a Jivaka il 130

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pediatra:" Quale è dunque, caro Jivaka, il Sublime?. Quello, o gran re, è il Sublime, o gran re, è il Sublime, che di fronte, nel mezzo, al posto d'onore siede tra la schiera dei monaci . "12. E dunque il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta si avvicinò al Sublime, ed avvicinatosi, si fermò presso un sedile, fermo presso il sedile il re, circondato dalla silenziosa e, come l'acqua di un lago, immobile schiera dei monaci, così esclamò: ""Di questa calma possa essere ricolmo il mio giovane Udayi-bhadda (6), della quale ora è ricolma la schiera dei monaci ""." "Mosso da affetto forse, o gran re, tu qui ti accostasti ? ""." Mi è caro il giovane Udayi-bhadda. Di questa calma, o signore, possa essere ricolmo il giovane Udayibhadda della quale ora è ricolma la schiera dei monaci . "13. E così il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta, reso omaggio al Sublime, inchinatosi con giunte le mani alla schiera dei monaci, si sedé sul sedile, seduto sul sedile il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta così disse al Sublime: è posso, o signore, interrogare il Sublime su una piccola questione, se il Sublime permette richieste di spiegazione? ""." Interroga, o gran re, su ciò che desideri o. "14. ""Per ciascuno che esercita delle attività, o signore, cioè per coloro che: cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi, sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, prìncipi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi, barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di ghirlande, lavandai, fabbricanti di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si manifestano sensibilmente in questo mondo, fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani le opere che promuovono spirituale benessere, le opere espiatorie dolcemente fruttificano, in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o signore, proprio qui in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi ? ""." "15. ""Non ricordi tu, o gran re, di aver già posta questa domanda ad altri asceti o brahmani? "" (7)." Sì, ricordo, o signore, di aver già posta questa domanda ad altri asceti o brahmani. Quanto, o gran re, ti risposero al riguardo, se a te non spiace, ripeti . Nulla mi è, o signore, sgradito, allorquando è presente il Sublime, la forma del Sublime . " ""Allora, o gran re, parla ""." "16. ""Un tempo, o signore, avvicinai di persona Parana Kassapa, e, avendo avvicinato Purana-Kassapa,

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dopo aver scambiato cortesi e amichevoli parole, presi posto su un sedile accanto a lui. Dopo essermi seduto, io, o signore, così dissi a Purana-Kassapa: ""Per ciascuno che esercita una attività, o Kassapa, cioè per coloro che: cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi, sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, prìncipi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi, barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di ghirlande, lavandai, fabbricanti di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si manifestano sensibilmente in questo mondo, fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani, le opere che promuovono spirituale benessere, le opere espiatorie dolcemente fruttificano in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o Kassapa, proprio qui in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi?""." "17. Avendo io così detto, o signore, Purana-Kassapa così mi rispose: ""Agire, o gran re, provocare azione, distruggere, provocare distruzione, incendiare, provocare incendi, far piangere, far stare in agitazione, palpitare, far palpitare, causare morte ad essere vivente, prendere il non dato, separare ciò che è unito, abitare sempre nella propria casa, rimanere nei villaggi, correre ai piaceri, mentire: nessuna azione produce male. Se con una affilata arma tagliente tu riducessi il mondo in una poltiglia di carne, non ne verrebbe male né origine di male. Se sulle rive settentrionali del Gange tu fossi andato uccidendo, incendiando, torturando, oh non per questo ne verrebbe male, né origine di male. Se su questa riva tu andassi beneficando, regalando, 131 facendo sacrifici, compiendo olocausti, non ne verrebbe bene, né origine di bene. Dalla generosità, dalla moderazione, dall'astinenza, dalla sincerità non nasce bene né origine di bene ""." "18. Così letteralmente, o signore, Purana-Kassapa, interrogato sul visibile frutto dell'ascesi, mi rispose sulla non causalità. Come interrogato sul mango mi parlasse dell'artocarpo, interrogato sull'artocarpo mi parlasse del mango, proprio così Purana-Kassapa interrogato sul visibile frutto dell'ascesi a proposito mi rispose. Allora, o signore, a me così fu: ""E come, di grazia, puoi pensare che vi sia un asceta o un brahmano dimorante vincitore a causa della rinuncia? "". Così io, o signore, dissi a Purana-Kassapa, ma non vi fu accettazione né ripulsa, e, non avendo costui né accettato né respinto, scontento, senza proferire parola di

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insoddisfazione, preso da disgusto per questo discorso, per nulla convinto, levatomi da sedere me ne andai." "19. Un tempo, o signore, avvicinai di persona MakkhaliGosala, e, avendo avvicinato Makkhali-Gosala, dopo aver scambiato cortesi e amichevoli parole, presi posto su un sedile accanto a lui. Dopo essermi seduto, io, o signore, così dissi a Makkhali-Gosala: "" Per ciascuno che esercita una attività, o Gosala, cioè per coloro che: cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi, sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, prìncipi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di ghirlande, lavandai, fabbricanti di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o" "esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si manifestano sensibilmente in questo mondo, fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani, le opere che promuovono spirituale benessere, le opere espiatorie dolcemente fruttificano in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o Gosala, proprio qui in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi?""." "20. Avendo io così detto, o signore, Makkhali-Gosala così mi rispose: "" Non vi è causa, o signore, non motivo per le impurità degli esseri, senza causa, senza motivo gli esseri diventano impuri, non vi è causa, non motivo della beatitudine degli esseri, senza causa, senza motivo gli esseri diventano beati. Non vi è un io personale, non vi è un'alterità, non vi è una condizione umana, non potenza, non virilità, non vi è potere umano, non energia umana. Tutti gli esseri, tutti i viventi, tutte le creature, tutti gli spiriti sono impotenti, non virili, piegati sotto la vincolante necessità dell'essere e sperimentano gioia e dolore. Un milionequattrocentoseimila e seicento modi fondamentali di esistere, cinquecento karma, cinque karma, tre karma, un solo Karma, mezzo karma, sessantadue linee di condotta, sessantadue stati intermedi, sei razze, od otto cori di spiriti, una conoscenza unica in cento modi di vivere, una conoscenza unica in cento modi di mendicare, una conoscenza unica in cento stati di perfezione, due pienezze della mente, tre fermezze della mente, i quattro elementi della terra, le sette generazioni animali, le sette generazioni inanimate, le sette generazioni svincolate, i sette dèi, i sette stati umani, i sette demoni, i sette colori, i sette nodi, i settecento nodi, i sette abissi, i settecento abissi, le sette visioni, le settecento visioni, gli ottantaquattro grandi kalpa, i

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centomila modi principali di esistere (8): gli ignoranti ed i dotti, trasmigrando e turbinando, porranno fine al dolore. Perciò non può dirsi: ' Costui con la condotta, con l'osservanza, con la castità, porterà a maturazione un immaturo karma, o realizzando porrà termine ad un maturo karma'. Non vi è possibilità di colmare la misura della gioia o del dolore, non di limitare il samsara, non di diminuzione, né di accrescimento, non di innalzamento né di abbassamento; come un gomitolo di filo gettato, dipanandosi si distende, così ignoranti e dotti, trasmigrando e turbinando, porranno fine al dolore""." "21. Così letteralmente, o signore, Makkhali-Gosala, interrogato sul visibile frutto dell'ascesi, mi rispose sulla non esistenza di alcunché al di fuori del samsara. Come interrogato sul mango mi parlasse dell'artocarpo, interrogato sull'artocarpo mi parlasse del mango, proprio così Makkhali-Gosala interrogato sul visibile frutto dell'ascesi a sproposito mi rispose. Allora, o signore, a me così fu: "" E come, di grazia, puoi pensare che vi sia un asceta o un brahmano dimorante vincitore a causa della rinuncia ? "". Così io, o signore, dissi a Makkhali-Gosala, ma non vi fu accettazione né ripulsa, e non avendo costui né accettato né respinto, scontento, senza proferire parola di insoddisfazione, preso da disgusto per questo discorso, per nulla convinto, levatomi da sedere, me ne andai." 132 "22. Un tempo, o signore, avvicinai di persona Ajita Kesakambala, e, avendo avvicinato Ajita Kesa-kambala, dopo aver scambiato cortesi e amichevoli parole, presi posto su un sedile accanto a lui. Dopo essermi seduto, io, o signore, così dissi ad Ajita Kesa-kambala: "" Per ciascuno che esercita una attività, o Ajita, cioè per coloro che: cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi, Sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, principi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi, barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di ghirlande, lavandai, fabbricanti di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si manifestano sensibilmente in questo mondo, fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani, le opere che promuovono spirituale benessere, le opere espiatorie dolcemente fruttificano in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o Ajita, proprio qui in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi? ""." "23. Avendo io così detto, o signore, Ajita Kesa-kambala così mi rispose: "" Non vi è, o gran re, elemosina,

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non vi è sacrificio, non vi è olocausto, non vi è frutto delle azioni piacevoli o dolorose, non vi è questo mondo, non vi è l'altro mondo, non vi è madre né padre, non vi è spontaneo rinascere degli esseri, non vi sono al mondo asceti e brahmani perfetti che, con retta conoscenza, da sé coi propri occhi conoscono questo mondo e l'altro mondo; allorquando l'uomo, composto dei quattro grandi elementi, raggiunge la morte, ciò che nel suo corpo è terra si dirige, va verso la terra, ciò che nel suo corpo è acqua si dirige, va verso l'acqua, ciò che nel suo corpo è fuoco si dirige, va verso il fuoco, ciò che nel suo corpo è aria si dirige, va verso l'aria, ciò che è causa di coscienza si dissolve nello spazio. Composti di cinque elementi gli uomini vanno verso la morte che li afferra. Allora essi sperimentano le caratteristiche dei cimiteri, diventano grige ossa, abbandonano la religione. Dottrine da stolti sono quelle sulla religiosità, sull'empietà e quelle che bugiardamente proclamano inesistenti profitti. Ignoranti e sapienti, colla distruzione del corpo, sono distrutti, annientati, non esistono dopo la morte""." "24. Così letteralmente, o signore, Ajita Kesa-kambala, interrogato sul visibile frutto dell'ascesi, mi rispose colla teoria dell'annientamento. Come interrogato sul mango mi parlasse dell'artocarpo, interrogato sull'artocarpo mi parlasse del mango, proprio così Ajita Kesa-kambala interrogato sul visibile frutto dell'ascesi a sproposito mi rispose. Allora, o signore, a me così fu: "" E come, di grazia, puoi pensare che vi sia un asceta o un brahmano dimorante vincitore a causa della rinuncia? "". Così io, o signore, dissi ad Ajita Kesa-kambala, ma non vi fu accettazione né ripulsa, e, non avendo costui né accettato né respinto, scontento, senza proferire parola di insoddisfazione, preso da disgusto per questo discorso, per nulla convinto, levatomi da sedere me ne andai." "25. Un tempo, o signore, avvicinai di persona Pakudha Kaccayana, e, avendo avvicinato Pakudha Kaccayana, dopo aver scambiato cortesi e amichevoli parole, presi posto su un sedile accanto a lui. Dopo essermi seduto, io, o signore, così dissi a Pakudha Kaccayana: "" Per ciascuno che esercita una attività, o Kaccayana, cioè per coloro che: cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi, sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, prìncipi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi, barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di ghirlande, lavandai, fabbricanti di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si

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manifestano sensibilmente in questo mondo, fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani, le opere che promuovono spirituale benessere, le opere espiatorie dolcemente fruttificano in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o Kaccayana, proprio qui in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi?""." "26. Avendo io così detto, o signore, Pakudha Kaccayana così mi rispose: "" I sette elementi, o gran re, sono originarii, assolutamente originarii, non creati, non generati, sterili, permanenti, immobili come pilastri. Essi non muovono, non mutano, non si urtano l'un contro l'altro, non causano l'un all'altro né gioia né dolore, né gioia e dolore. Quali sette? La Sostanza terra, la sostanza acqua, la sostanza fuoco, la sostanza aria, la gioia, il dolore, e settima la vita. Proprio questi" "sette elementi sono originarii assolutamente originarii, non creati, non generati, sterili, permanenti immobili 133 come pilastri, essi non muovono, non mutano, non si urtano uno con l'altro, non causano l'un all'altro né gioia né dolore, né gioia e dolore. Pertanto non vi è un separare, non un unire, non vi è sensazione né causa di sensazione, non vi è percezione né causa di percezione. Se con un'arma tagliente si troncasse ad alcuno la testa non per questo alcuno verrebbe privato della vita, ma il taglio della spada si introdurrebbe tra i setti elementi ""." "27. Così letteralmente, o signore, Pakudha Kaccayana, interrogato sul visibile frutto dell'ascesi, mi rispose sulla distinzione per la distinzione. Come interrogato sul mango mi parlasse dell'artocarpo, interrogato sull'artocarpo mi parlasse del mango, proprio così Pakudha Kaccayana interrogato sul visibile frutto dell'ascesi a sproposito mi rispose. Allora, o signore, a me così fu: "" E come, di grazia, puoi pensare che vi sia un asceta o un brahmano dimorante vincitore a causa della rinuncia? "". Così io, o signore, dissi a Pakudha Kaccayana, ma non vi fu accettazione né ripulsa, e, non avendo costui né accettato né respinto, scontento, senza proferire parola di insoddisfazione, preso da disgusto per questo discorso, per nulla convinto, levatomi da sedere me ne andai." "28. Un tempo, o signore, avvicinai di persona Nigantha Nataputta (9), e, avendo avvicinato Nigantha Nataputta, dopo aver scambiato cortesi e amichevoli parole, presi posto su un sedile accanto a lui. Dopo essermi seduto io, o signore, così dissi a Nigantha Nataputta: "" Per ciascuno che esercita una attività, o

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Aggi-Vessana, cioè per coloro che: cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi, sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, prìncipi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi, barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di" "ghirlande, lavandai, fabbricanti di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si manifestano sensibilmente in questo mondo, fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani, le opere che promuovono spirituale benessere, le opere espiatorie dolcemente fruttificano in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o Aggi-Vessana, proprio qui, in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi ? ""." "29. Avendo io così detto, o signore, Nigantha Nataputta così mi rispose: "" Ecco, o gran re, il Nigantha è quadruplice freno, controllo, limitazione. E come o gran re, il Nigantha è quadruplice freno, controllo, limitazione? Ecco, o gran re, il Nigantha di ogni acqua è limitazione, di ogni acqua è controllo, di ogni acqua è scrupolo, di ogni acqua è sazietà. Così, o gran re, è un quadruplice freno, controllo, limitazione; e siccome, o gran re, il Nigantha è questo quadruplice freno, controllo, limitazione, così svincolato viene chiamato colui che da sé è giunto, che da sé è controllato, da sé è calmato ""." "30. Così letteralmente, o signore, Nigantha Nataputta, interrogato sul visibile frutto dell'ascesi, mi rispose sul quadruplice freno, controllo, limitazione. Come interrogato sul mango mi parlasse dell'artocarpo, interrogato sull'artocarpo mi parlasse del mango, proprio così Nigantha Nataputta interrogato sul visibile frutto dell'ascesi a sproposito mi rispose. Allora, o signore, a me così fu: "" E come, di grazia, puoi pensare che vi sia un asceta o brahmano dimorante vincitore a causa della rinuncia? "". Così io, o signore, dissi a Nigantha Nataputta, ma non vi fu accettazione né ripulsa, e, non avendo costui né accettato né respinto, scontento, senza proferire parola di insoddisfazione, preso da disgusto per questo discorso, per nulla convinto, levatomi da sedere me ne andai." "31. Un tempo, o signore, avvicinai di persona Sanjaya Belatthiputta, e, avendo avvicinato Sanjaya Belatthiputta, dopo aver scambiato cortesi e amichevoli parole, presi posto su di un sedile accanto a lui. Dopo essermi seduto, io, o signore, così dissi a Sanjaya Belatthiputta: "" Per ciascuno che esercita un'attività, o Sanjaya, cioè per coloro che: cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi,

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sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, prìncipi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi, barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di ghirlande, lavandai, fabbricante di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si manifestano sensibilmente in questo mondo fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani, le opere che promuovono spirituale benessere, le opere 134 espiatorie dolcemente fruttificano in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o Sanjaya, proprio qui in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi ? ""." "32. Avendo io così detto, o signore, Sanjaya Belatthiputta così mi rispose: "" C'è l'altro mondo? - Che tu così possa chiedere, - c'è l'altro mondo, - che ciò per me abbia senso, - c'è l'altro mondo, - che così da qualcuno sia insegnato: il primo non può essere, il secondo non può essere, il terzo non può essere. Né può non essere, né non può non essere. - Non c'è l'altro mondo? - che tu così possa chiedere, - non c'è l'altro mondo, - che ciò per me abbia senso, - non c'è l'altro mondo, - che così da qualcuno sia insegnato: il primo non può essere, il secondo non può essere, il terzo non può essere. - C'è e non c'è l'altro mondo? Non c'è, né non c'è l'altro mondo? - Che tu così possa chiedere, - c'è e non c'è l'altro mondo non c'è né, - che ciò per me abbia senso, - c'è e non c'è l'altro mondo, non c'è l'altro mondo, - che così da qualcuno sia insegnato: il primo non può essere, il secondo non può essere, il terzo non può essere. - Vi è possibilità di risorgere per gli esseri? Non vi è possibilità di risorgere per gli esseri ? Vi è e non vi è possibilità di risorgere per gli esseri? Non vi è né non vi è possibilità di risorgere per gli esseri? - Che tu così possa chiedere, - c'è l'altro mondo, - che ciò per me abbia senso, - c'è l'altro mondo," - che così da qualcuno sia insegnato: il primo non può essere, il secondo non può essere, il terzo non può essere. - Vi è frutto e conseguenza delle azioni piacevoli e dolorose ? Non vi è frutto e conseguenza delle azioni piacevoli e dolorose ? Vi è e non vi è frutto e conseguenza delle azioni piacevoli e dolorose? Non vi è né non vi è frutto e conseguenza delle azioni piacevoli e dolorose? - Che tu così possa chiedere, - c'è l'altro mondo, - che ciò per me abbia senso, - c'è l'altro mondo, - che così da qualcuno sia insegnato: il primo non può essere, il secondo non può essere, il terzo non può essere. - Esiste il Compiuto dopo la morte ? Non

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esiste il Compiuto dopo la morte ? Esiste e non esiste il Compiuto dopo la morte? Non esiste né non esiste il Compiuto dopo la morte? - Che tu così possa chiedere, - non esiste né non esiste il Compiuto dopo la morte? - che ciò per me abbia senso, - non esiste, né non esiste il Compiuto dopo la morte ? - che così da qualcuno sia insegnato, il primo non può essere, il secondo non può essere, il terzo non può essere, né può non essere, né non può non essere è10. "Così letteralmente, o signore, Sanjaya Belatthiputta, interrogato sul visibile frutto dell'ascesi, mi rispose sull'ambivalenza. Come interrogato sul mango mi parlasse dell'artocarpo, interrogato sull'artocarpo mi parlasse del mango, proprio così Sanjaya Belatthiputta interrogato sul visibile frutto dell'ascesi a sproposito mi rispose. Allora, o signore, a me così fu: "" Costui è il più stolto, il più fatuo di questi asceti o brahmani. E come, di grazia potrà spiegare, essendo così confuso, la domanda sul visibile frutto dell'ascesi?"". Allora, o signore, a me così fu: "" E come, di grazia, costui può pensare che vi sia un asceta o un brahmano dimorante vincitore a causa della rinuncia?"". E queste parole, o signore, dissi a Sanjaya Belatthiputta, ma non vi fu né accettazione né ripulsa, e, non avendo costui né accettato né respinto, scontento, senza proferire parola d'insoddisfazione, preso da disgusto per questo discorso, per nulla convinto, levatomi da sedere, me ne andai." "34. Su questo, o signore, io interrogo il Sublime: ""Per ciascuno che esercita delle attività, o signore, cioè per coloro che cavalcano elefanti e cavalli, guidano i cocchi, tirano d'arco, portano stendardi, sono aiutanti di campo, distributori di vivande, nobili, prìncipi, che saltano sui grandi elefanti, eroi, catafratti, figli di servi, cuochi, barbieri, bagnini, sguatteri, preparatori di ghirlande, lavandai, fabbricanti di ceste, di vasi, contabili, scrivani, o esercitano quelle altre attività che esistono, i frutti si manifestano sensibilmente in questo mondo, fanno lieto e soddisfatto colui che si occupa, lieti e soddisfatti madre e padre, figli e figlie, compagni ed amici; per gli asceti e brahmani le opere che promuovono spirituale benessere, le opere espiatorie dolcemente fruttificano in mondi celesti, producono propensione ai cieli. Ora si possono, o signore, proprio qui in questo mondo riconoscere i frutti dell'ascesi ? "" (11)""." È possibile, o gran re, ma ora io ti porrò una domanda, se vuoi tu mi risponderai . "35. ""Che pensi tu, o gran re, se ci fosse un uomo, un plebeo, molto operoso, che presto si leva, che tardi giace, obbediente, ossequioso, riverente nel parlare, gradevole"" E così a lui fosse: "" è meraviglioso, è

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straordinario certamente l'andare verso il bene, l'operare bene. Quegli, il re del Magadha Ajatasattu 135 Vedehiputta è un essere umano, ed anch'io sono un essere umano. Quegli, il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta è nel possesso dei cinque tronchi del desiderio, gode nel possesso dell'esistenza, certamente, invece io sono un plebeo, molto operoso, presto mi levo, tardi giaccio, ubbidiente, ossequioso, riverente nel parlare, gradevole. E così facendo io ne trarrò bene. Ma se ora io, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, uscissi dalla casa verso l'anacoretismo ? (12). Allora costui, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, esce dalla casa verso l'anacoretismo. Così uscito col corpo vigilato dimora, colla parola vigilata dimora, colla mente vigilata dimora, soddisfatto di poco cibo e poca bevanda, in sé lieto isolato. Se a te alcuni, in riferimento a quest'uomo, dicessero: "" Di grazia, o divino, vorresti conoscere forse tu un uomo, un plebeo, operoso, che presto si leva, che tardi giace, obbediente, ossequioso, riverente nel parlare, gradevole: costui, o divino, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, è uscito dalla casa verso l'anacoretismo, così uscito, col corpo vigilato dimora, colla parola vigilata dimora, colla mente vigilata dimora, soddisfatto di poco cibo e poca bevanda, in sé lieto ed isolato"". Forse così tu risponderesti: ""Se ne vada questo mio caro uomo, egli tuttora rimane un plebeo, un plebeo molto operoso, che presto si leva, che tardi giace, obbediente, ossequioso, riverente nel parlare, gradevole """"." "36. ""No di certo, o signore, ma lui io saluterei, mi alzerei da sedere, lo inviterei, gli offrirei manto, scodella, medicine e, secondo la consuetudine, gli appresterei riparo, protezione, difesa ""." Che pensi, o gran re ? Proprio così essendo, vi è un visibile frutto dell'ascesi, o non vi è ? . Certamente, o signore, così essendo, vi e un visibile frutto dell'ascesi . Così, o gran re, ti ho indicato un primo, composto di visibili elementi, visibile frutto dell'ascesi . "37. "" Si può dunque, o signore, indicare ancora un altro, composto di visibili elementi, visibile frutto dell'ascesi? ""." "È possibile, o gran re; ma ora io ti porrò una domanda, se vuoi tu mi risponderai. Che pensi tu, o gran re ? Se ci fosse un uomo, un proprietario terriero, capo di casa, religioso, buon amministratore, e così a lui fosse: è meraviglioso, è straordinario certamente l'andare verso il bene, l'operare bene. Quegli, il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta è un essere umano, ed anch'io sono un essere umano. Quegli il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta è nel possesso dei cinque tronchi del desiderio, gode nel possesso dell'esistenza,

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certamente; invece io sono un proprietario di terre, capo di casa, religioso, buon amministratore. E così facendo io ne trarrò bene. Ma se ora io, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, uscissi dalla casa verso l'anacoretismo ? "". Allora costui abbandonata una piccola od una grande proprietà, una piccola od una grande cerchia di amici, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, esce dalla casa verso l'anacoretismo. Così uscito col corpo vigilato dimora, colla parola vigilata dimora, colla mente vigilata dimora, soddisfatto di poco cibo e poca bevanda, in sé lieto ed isolato. Se a te alcuni in riferimento a quest'uomo dicessero: ""di grazia, o divino, vorresti conoscere forse tu un uomo, proprietario di terra, capo di casa, religioso, buon amministratore: costui, o divino, rasi capelli e barba, indossato l'abito giallo, è uscito dalla casa verso l'anacoretismo, così uscito col corpo vigilato dimora, colla parola vigilata dimora, colla mente vigilata dimora, soddisfatto di poco cibo e poca bevanda, in sé lieto isolato"". Forse così tu risponderesti: "" se ne vada questo mio caro uomo, egli tuttora rimane un proprietario terriero, capo di casa, religioso, buon amministratore ? "" """ "38. "" No di certo, o signore, ma lui io saluterei, mi alzerei da sedere, lo inviterei, gli offrirei manto, scodella, medicine e, secondo la consuetudine, gli appresterei riparo, protezione, difesa ""." Che pensi o gran re? Proprio così essendo vi è un visibile frutto dell'ascesi, o non vi è? Certamente, o signore, così essendo vi è un visibile frutto dell'ascesi . Così, o gran re, ti ho indicato un secondo, composto di visibili elementi, visibile frutto dell'ascesi (13) "39. a Si può dunque, o signore, indicare ancora un altro, composto di visibili elementi, visibile frutto dell'ascesi, di questi visibili frutti più eccelso, più alto? ""." "o Si può o gran re; pertanto, ascolta attentamente e poni mente, io ti risponderò ""." 136 Sì, o signore , così al Sublime assentì il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta. Il Sublime così disse: "40. ""In questo mondo, o gran re, sorge il Compiuto, Santo, Perfetto, Perfettamente Svegliato, possessore del cibo della sapienza, benvenuto, conoscitore del mondo, incomparabile guida delle umane genti, maestro degli dèi e degli uomini, svegliato Sublime. Questo mondo, con ciò che vi è di divino, con ciò che appartiene a Mara, con ciò che appartiene a Brahma, con quanti in lui sorgono asceti e brahmani, con quanti in lui sono dèi e uomini, egli descrive, avendolo da sé stesso sperimentato, visto coi propri occhi. Egli insegna una dottrina letificante nel principio, letificante nel mezzo, letificante nel fine, nella lettera e nello spirito, palesa la condizione di isolata pienezza, di limpida purezza."

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"41 . E questa dottrina ode un padre di famiglia, o il figlio di un padre di famiglia, o chi sia nato in altro stato. Egli, udendo questa dottrina, si empie di fiducia nel Compiuto. Possessore della fiducia ottenuta in Lui, così riflette: ""oppressione è la vita comune, via regale, libero cielo l'andare errando. Non è possibile, abitando la casa, arrivare all'isolata pienezza, alla condizione di limpida, quasi lucida madreperla, purezza. E se io, rasi i capelli e barba, indossato l'abito giallo, uscissi di casa verso l'anacoretismo?"". Ed egli in séguito, una piccola proprietà, od una grande proprietà abbandonata, una piccola cerchia di amici, od una grande cerchia di amici abbandonata, rasi capelli e barba, esce di casa verso l'anacoretismo." "42. Così uscito, controllandosi da sé, secondo il controllo del patimokkha, dimora nutrendosi di retto comportamento, e di ogni pur minimo errore vede il danno, assumendoli si rende atto a realizzare una serie di precetti nel corpo, nell'azione, nella parola; in possesso di rettitudine, limpido di vita, perfetto nella condotta, vigilante alle porte dei sensi, in possesso della facoltà di autorealizzarsi nella propria consapevolezza, soddisfatto." 43. E come, o gran re, un monaco è perfetto nella condotta? Ecco, o gran re, un monaco ha rinunciato ad uccidere, si astiene dall'uccidere, senza mazza, senza spada, riguardoso, pieno di simpatia, amico, compassionevole con tutti gli esseri viventi, dimora. Così essendo egli è nella regola. Ha rinunciato al non dato, si astiene dal non dato, [solo] il dato ricevendo, [solo] il dato accogliendo, con puro animo non furtivo, in sé dimora. Così essendo egli è nella regola. Ha rinunciato alla condizione di impurità, è in condizione di purezza, in condizione di solitudine, si astiene dalla comune legge sessuale. Così essendo egli è nella regola. 44. Ha rinunciato alla menzogna, si astiene dalla menzogna, veritiero, tutt'uno col vero, fermo, conseguente, non adulatore del mondo. Così essendo egli è nella regola. Ha rinunciato a parole maligne, si astiene da parole maligne, quanto qua ode non riferisce là per la disunione di quelli, quanto là ode non riferisce qua per la disunione di questi, così è dei discordi conciliatore, dei concordi rafforzatore, nell'armonia lieto, nell'armonia giocondo, nell'armonia felice, parole che generano armonia egli parla. Così essendo egli è nella regola. Ha rinunciato a parole aspre, si astiene da parole aspre, parole non pungenti, dolci all'orecchio, amorevoli, che scendono al cuore, corrette, che molti allegrano, che molti sollevano, parole siffatte egli dice. Così essendo egli è nella regola. Ha rinunciato alle chiacchiere, si astiene da chiacchiere, interlocutore tempestivo, parla di cose reali, parla di

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cose profittevoli, secondo la Dottrina, secondo la Norma, dice parole ricche di contenuto, opportunamente adorne di paragoni, adeguate al soggetto, parole siffatte egli dice. Così essendo egli è nella regola. "45. Si astiene dal danneggiare gli esseri che nascono da semi; una sola volta [al giorno] si nutre. Di notte digiuna, si astiene da cibo fuori tempo, si astiene da danze, canti, giochi, spettacoli, si astiene da corone, profumi, unguenti, ornamenti, acconciature, addobbi. Si astiene da alti e grandi letti. Si astiene dall'accettare oro ed argento. Si astiene dall'accettare cereali crudi. Si astiene dall'accettare carne cruda. Si astiene dall'accettare donne e fanciulle. Si astiene dall'accettare servi e serve. Si astiene dall'accettare pecore e capre. Si astiene dall'accettare polli e maiali. Si astiene dall'accettare elefanti, buoi e cavalli. Si astiene dall'accettare proprietà terriere. Si astiene dall'assumere messaggi, commissioni, incarichi. Si astiene da compra-vendita. Si tiene lontano da falsa bilancia, falsa moneta, falsa misura. Si tiene lontano dalle tortuose vie dell'inganno, della frode, della bassezza. Si tiene lontano dai ferimenti, dalle risse, dalle baruffe, dai furti, dalle rapine, 137 dalle violenze. Così essendo egli è nella regola." "46. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano intenti a danneggiare semi e piante, quali: [le piante] che si propagano per rizomi, che si propagano per radici aeree, che si propagano per innesti, che si propagano per talee, che si propagano per semi; questi cinque, siffatti semi e piante si astiene dal danneggiare. Così essendo egli è nella regola." "47. Mentre vi sono asceti o brahmani, che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano intenti ad accumulare siffatte provviste, quali: provviste di cibo, provviste di bevande, provviste di abiti, provviste di carrozze, provviste di letti, provviste di profumi, provviste di denaro; siffatte provviste si astiene dall'accumulare. Così essendo egli è nella regola." "48. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano applicati ad assistere a siffatti spettacoli, quali: la danza, il canto, la musica, la rappresentazione, la recitazione di leggende, i ritmi colle mani, il canto dei bardi, il tamburo, il suono dei bicchieri, la scena incantata, il giuoco acrobatico dei fuori casta, lotte di elefanti, lotte di cavalli, lotte di bufali, lotte di tori, lotte di caproni, lotte di galli, lotte di quaglie, scherma coi bastoni, pugilato, tiro alla fune, finte battaglie, riviste, sfilate di truppe, ispezioni a truppe; da questi e siffatti generi di spettacolo si astiene. Così essendo egli è nella regola."

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"49. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano applicati all'[uso di] siffatti giacigli ricchi e comodi, quali, la sedia lunga, il divano, la coperta di lunga lana, la coperta a più colori, il lenzuolo, le varie specie di lenzuolo, il materasso, il copriletto con ricamo, il copriletto con frangia, con la frangia ad un orlo, il copriletto ricamato con gemme, [il tappeto di] seta, il tappeto di lana, la coperta da elefante, la coperta da cavallo, la coperta da carrozza, il lenzuolo di strisce intrecciate di pelle di antilope nera, la coperta di pelle di cervo; da questi e da simili giacigli biechi e comodi si astiene. Così essendo egli è nella regola." "50. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano applicati a siffatti divertimenti sedentari, quali: le otto pedine, le dieci pedine, in aria, la strada rotonda, santika, i dadi, i bastoni, la spazzola, l'occhio, i tubi, l'amo, la giostra, il mulino a vento, il bicchiere di foglia di palma, il piccolo carro, il piccolo arco, le lettere, indovinare il pensiero, imitare i difetti; da questi e siffatti divertimenti sedentari si astiene. Così essendo egli è nella regola." "51. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano applicati a siffatti acconciature e cosmetici, quali: il profumo, la lozione, il massaggio, il bagno, la frizione, lo specchio, il collirio, la ghirlanda, il cosmetico, la cipria per il volto, la crema per il volto, i nastri ai polsi, i nastri in capo, il bastone, la canna, la spada, il parasole, i sandali, il variopinto turbante, i gioielli, lo scacciamosche, l'abito bianco con lunghe frange; da questi e simili acconciature e cosmetici si astiene. Così essendo egli è nella regola." "52. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano applicati a siffatte chiacchiere, quali: chiacchiere su re, chiacchiere su ladri, chiacchiere su primi ministri, chiacchiere su eserciti, chiacchiere su cose spaventevoli, chiacchiere su guerre, chiacchiere su cibo, chiacchiere su bevande, chiacchiere sull'abito, chiacchiere sulle ghirlande, chiacchiere sui profumi, chiacchiere su parenti, chiacchiere su carrozze, chiacchiere su villaggi, chiacchiere su città, chiacchiere su piazzeforti, chiacchiere su province, chiacchiere su donne, chiacchiere su uomini, chiacchiere su eroi, chiacchiere da strada, chiacchiere da pozzo, chiacchiere su spiriti, chiacchiere vane sull'origine del mondo, sull'origine dell'acqua, sull'essere o non essere; da queste e simili chiacchiere si astiene. Così essendo egli è nella regola."

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"53. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano applicati a siffatte dispute, quali: "" Tu non conosci questa dottrina e regola: conosceresti forse tu questa dottrina e regola? Io conosco questa dottrina e regola "". "" Su cattiva strada tu sei, su buona strada io sono"". "" Conseguente sono io, non conseguente sei tu "". "" Quanto dovevi dire prima tu dici dopo, quanto dovevi dire dopo tu dici prima"". ""Tu sei oscuro ed involuto "". ""Ti è stata mossa una confutazione, tu sei disapprovato"". "" Tu divaghi, esci dal discorso, negalo se sei capace "";" da queste e simili dispute si astiene. Così essendo egli è nella regola. 138 "54. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, dimorano applicati ad assumere siffatti messaggi, commissioni, incarichi, quali: [messaggi] di re, di reali ministri, di nobili, di brahmani, di padri di famiglia, di fanciulli: "" va in questo luogo, va in quel luogo, prendi questo, prendi quello""; da questi e simili messaggi si astiene. Così essendo egli è nella regola." "55. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, sono ingannatori, mormorati, astrologi, prestigiatori, ardenti di desiderio per il guadagno; da questi e simili inganni e mormorazioni si astiene. Così essendo egli è nella regola." "56. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, con basso spirito si procurano vantaggi da siffatte oblique scienze, quali: la chiromanzia, la profezia, il miracolo, l'interpretazione dei sogni e delle erosioni dei topi nella stoffa, il rito del fuoco, il rito del cucchiaio, il rito della crusca, il rito della farina di riso, il rito del grano di riso, il rito del burro, il rito dell'olio, il rito della saliva, il rito del sangue, L'arte di [propiziare] i luoghi, L'arte della costruzione, l'arte del governo, la scienza auspicale, la demonologia, la geomanzia, la scienza dei serpenti, dei veleni, degli scorpioni, dei topi, degli uccelli, dei corvi, la previsione della morte, gli scongiuri, lo zodiaco; da queste e simili oblique scienze si astiene. Così essendo egli è nella regola." 57. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, con basso spirito si procurano vantaggi da siffatte oblique scienze, quali: la signatura della gemma, la signatura del bastone, la signatura del manto, la signatura della spada, la signatura della freccia, la signatura dell'arco, la signatura dello scudo, la signatura dell'uomo, la signatura della donna, la signatura del fanciullo, la signatura della fanciulla, la signatura del servo, la signatura della serva,

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"a signatura dell'elefante, la signatura del cavallo, la signatura del bufalo, la signatura del toro, la signatura del bue, la signatura della capra, la signatura del cervo, la signatura del gallo, la signatura della quaglia, la signatura dell'iguana, la signatura dell'orecchione, la signatura della tartaruga, la signatura dell'antilope; da queste e simili oblique scienze si astiene. Così essendo egli è nella regola." "58. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, con basso spirito si procurano vantaggi da siffatte oblique scienze, quali: "" vi sarà una successione di re "", "" non vi sarà una successione di re "", "" vi sarà la venuta di vicini re "", "" vi sarà la dipartita di lontani re "", "" vi sarà la venuta di lontani re "", "" vi sarà la dipartita di vicini re "", "" vi sarà la vittoria di vicini re "", "" vi sarà la sconfitta di lontani re "", "" vi sarà la vittoria di lontani re "", "" vi sarà la sconfitta di vicini re "", "" vi sarà vittoria di questo "", ""vi sarà sconfitta di quello""; da queste e simili oblique scienze si astiene. Così essendo egli è nella regola." "59. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, con basso spirito si procurano vantaggi da siffatte oblique scienze, quali: "" vi sarà una eclissi di luna "", "" vi sarà una eclissi di sole "", "" vi sarà una eclissi di stelle "", "" vi sarà l'ordinario corso della luna e del sole "", "" vi sarà uno straordinario corso della luna e del sole "", "" vi sarà l'ordinario corso delle stelle "", "" vi sarà uno straordinario corso delle stelle "", "" vi sarà un globo di fuoco "", "" vi sarà una luce zodiacale"", ""vi sarà un terremoto"", ""vi sarà il tamburo degli dèi (tuono) "", "" vi sarà il sorgere, il tramontare, L'offuscarsi della luna, del sole e delle stelle "", "" così sarà la conseguenza dell'eclissi di luna "", "" così sarà la conseguenza dell'eclissi di sole "", "" così sarà la conseguenza dell'eclissi di stelle "", "" così sarà la conseguenza dell'ordinario corso della luna e del sole "", "" così sarà la conseguenza dello straordinario corso della luna e del sole"", "" così sarà la conseguenza dell'ordinario corso delle stelle "", "" così sarà la conseguenza dello straordinario corso delle stelle "", "" così sarà la conseguenza di un globo di fuoco "", "" così sarà la conseguenza di una luce zodiacale "", "" così sarà la conseguenza di un terremoto "", "" così sarà la conseguenza del tamburo degli dèi "", "" così sarà la conseguenza del sorgere, tramontare, offuscarsi, schiarirsi della luna, del sole e delle stelle""; da queste e simili oblique scienze si astiene. Così essendo egli è nella regola." "60. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, con basso spirito si procurano vantaggi da siffatte oblique scienze, quali: "" vi sarà abbondante pioggia "", "" vi sarà scarsa pioggia "", "" vi

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sarà abbondante raccolto "", "" vi sarà scarso raccolto "", "" vi sarà pace "", "" vi sarà agitazione"", ""vi sarà malattia"", ""non vi sarà malattia"", talismani, calcoli magici, matematica, poetare, filosofare; da queste e 139 simili oblique scienze si astiene. Così essendo egli è nella regola." "61. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, con basso spirito si procurano vantaggi da siffatte oblique scienze, quali: lo sposare, dar marito alle fanciulle, causare simpatia, causare antipatia, causare unione, causare disunione, causare la buona sorte, causare la mala sorte, procurare aborto, paralizzare la lingua, paralizzare la mascella, paralizzare le mani, mormorare negli orecchi, divinare collo specchio, colla fanciulla, con gli dèi, L'adorazione del sole, L'adorazione della terra, il soffiare nel fuoco, L'invocare il nome; da queste e simili oblique scienze si astiene. Così essendo egli è nella regola." "62. Mentre vi sono asceti o brahmani che, pur nutrendosi di cibo elemosinato, con basso spirito si procurano vantaggi da siffatte oblique scienze: il placare [gli dèi], L'adempiere ai voti, le opere coi demoni della terra, procurare la virilità, procurare l'impotenza, la determinazione e la propiziazione dei riti, le abluzioni, le purificazioni, i sacrifici, L'emetico, la purga, L'acqua purgante, la purga inferiore, la purga superiore, L'unzione dell'orecchio, la medicazione del naso, il collirio, il lavaggio dell'occhio, la cura dell'occhio, L'estrazione dei dardi, la cura dei fanciulli, la cura colle radici, il somministrare [medicine], il confortare, i rimedi; da queste e simili oblique scienze si astiene. Così essendo egli è nella regola." 63. E quel monaco, o gran re, perfetto nella condotta, non conosce più timore perché è controllatore della condotta Come, o gran re, un re guerriero unto nel capo, vincitore del nemico non conosce più timore perché ha vinto il nemico, proprio così, o gran re, il monaco perfetto nella condotta non conosce più timore perché è controllatore della condotta. Così costui possessore delle nobili parti della condotta, sperimenta una interna giustamente ricercata gioia. Così, o gran re, un monaco è perfetto nella condotta. "64. E come, o gran re, un monaco vigila alle porte dei sensi? Ecco, o gran re, il monaco, se con l'occhio vede una forma, lascia cadere i riflessi mentali, lascia cadere ciò che ne consegue. E siccome in colui che dimora non possedendo questo controllo della facoltà visiva, desiderio e sofferenza, cattivi non salutari elementi si introducono, egli procede a questo controllo, vigila la facoltà visiva, esegue il controllo della facoltà visiva. Se egli coll'orecchio ode un suono, lascia cadere i riflessi mentali, lascia cadere ciò che ne

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consegue. E siccome in colui che dimora non possedendo questo controllo della facoltà uditiva, desiderio e sofferenza, cattivi non salutari elementi si introducono, egli procede a questo controllo, vigila la facoltà uditiva, esegue il controllo della facoltà uditiva; se col naso odora un odore, lascia cadere i riflessi mentali, lascia cadere ciò che ne consegue. E siccome in colui che dimora non possedendo questo controllo della facoltà olfattiva, desiderio e sofferenza, cattivi non salutari elementi si introducono, egli procede a questo controllo, vigila la facoltà olfattiva, esegue il controllo della facoltà olfattiva; se colla lingua gusta un sapore, lascia cadere i riflessi mentali, lascia cadere ciò che ne consegue. E siccome in colui che dimora non possedendo questo controllo della facoltà gustativa, desiderio e sofferenza, cattivi non salutari elementi si introducono, egli procede a questo controllo, vigila la facoltà gustativa, esegue il controllo della facoltà gustativa; se col corpo percepisce un contatto, lascia cadere i riflessi mentali, lascia cadere ciò che ne consegue. E siccome in colui che dimora non possedendo questo controllo della facoltà tattile, desiderio e sofferenza, cattivi non salutari elementi si introducono, egli procede a questo controllo, vigila la facoltà tattile, esegue il controllo della facoltà tattile; se colla mente è conscio di un pensiero lascia cadere i riflessi mentali, lascia cadere ciò che ne consegue. E siccome in colui che dimora non possedendo questo controllo della facoltà mentale, desiderio e sofferenza, cattivi non salutari elementi si introducono, egli procede a questo controllo, vigila la facoltà mentale, esegue il controllo della facoltà mentale." 65. E come, o gran re, un monaco è possessore di vigile consapevolezza? Ecco, o gran re, un monaco è chiaro e vigilante nell'andare e nel venire, è chiaro e vigilante nel guardare e nel riguardare, è chiaro e vigilante nell'alzarsi e nel muoversi, è chiaro e vigilante nel portare il manto dell'ordine e la ciotola dell'elemosina, chiaro e vigilante nel cibarsi e nel bere, nel masticare e nel gustare, chiaro e vigilante nello svuotarsi di sterco e d'urina, chiaro e vigilante nell'andare e nello stare, nel sedersi, nell'addormentarsi, nel destarsi, nel parlare e nel rimanere in silenzio. Così, o gran re, un monaco è possessore di vigile consapevolezza. 66. E come, o gran re, un monaco è soddisfatto? Ecco, o gran re, un monaco è soddisfatto del manto che 140 protegge il suo corpo, del cibo elemosinato che sostenta il suo ventre, e dovunque egli vada solo con sé

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stesso egli va. Come, o gran re, un alato uccello, ovunque egli voli, solo col peso delle sue penne egli vola, così proprio, o gran re, un monaco è soddisfatto del manto che protegge il suo corpo, del cibo elemosinato che sostenta il suo ventre, e ovunque egli vada solo con sé stesso egli va. Così, o gran re, un monaco è soddisfatto. 67. Così egli, possessore del nobile comportamento, possessore del nobile controllo dei sensi, possessore della nobile vigile consapevolezza, possessore della nobile soddisfazione, cerca una dimora appartata, una foresta, un piede di un albero, una grotta tra le rupi, una caverna di montagna, un cimitero, il mezzo della foresta, un giaciglio di strame nell'aperta pianura. Egli dopo aver mangiato, ritornato dalla elemosina, siede, piegando le incrociate gambe, drizzando l'eretto corpo, dispone di fronte a sé la sua consapevolezza. 68. Egli, rigettati i desideri del mondo, dimora colla mente priva di desideri, purifica di desideri la mente. Egli, rigettato l'astio, dimora con un animo privo di malevolenza, verso tutti gli esseri viventi amico e compassionevole, purifica la mente da astiosità. Egli, rigettati ignavia e torpore, dimora con coscienza chiara, consapevole e attenta, purifica la mente da ignavo torpore. Egli, rigettato il turbine dell'ira, dimora con non orgogliosa calma, colla mente interiormente calmata, purifica la mente dal turbine dell'ira. Egli, rigettato il dubbio, dimora libero dal dubbio, non incerto sulle cose salutari, purifica la mente dal dubbio. "69. Proprio come, o gran re, un uomo già carico di debiti, i suoi affari continuando, i suoi affari prosperando e le vecchie radici dei debiti e questi estinguesse, sicché a lui restasse più di quanto gli occorre, a lui così sarebbe: "" io dunque prima ero oppresso dai debiti, continuando i miei affari, gli affari prosperano e le vecchie radici dei debiti e questi ho abolito, sì che a me resta più di quanto mi occorra"". Egli in conseguenza di ciò acquisterebbe letizia, avrebbe piacere." "70. Proprio come, o gran re, un uomo colpito da malattia fosse dolente, affranto, non provasse piacere al cibo, il suo corpo non avesse più forza; egli poi, guarito dalla malattia, avesse di nuovo piacere di prendere cibo ed il corpo incominciasse a riacquistare in forza. A lui così sarebbe: "" io prima ero ammalato, dolente, affranto, non provavo piacere al cibo, il mio corpo non aveva più forza; ora sono guarito dal male, riprovo piacere al cibo, il corpo si rinforza"". Egli in conseguenza di ciò acquisterebbe letizia, avrebbe piacere." 71. Proprio come, o gran re, un uomo fosse imprigionato, legato, ed in séguito venutosi a liberare dai ceppi, sicuramente libero, non potesse più perdere questo vantaggio.

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"A lui così sarebbe: "" io prima ero imprigionato, legato, ora sono libero dai ceppi, sicuramente libero, e più da me non può essere perso questo vantaggio"". Egli in conseguenza di ciò acquisterebbe letizia, avrebbe piacere." "72. Proprio come, o gran re, un uomo fosse schiavo, non da sé dipendendo, da altri dipendendo, non libero di andare dove vuole, ed in séguito, libero dalla schiavitù, da sé dipendendo, non da altri dipendendo, fosse libero di andare dove vuole. A lui così sarebbe: "" io prima ero schiavo, non dipendevo da me, dipendevo da altri, non andavo dove volevo, ora invece non sono più schiavo, ma libero, da me dipendo, non da altri dipendo, sono padrone di andare dove voglio"". Egli in conseguenza di ciò acquisterebbe letizia, avrebbe piacere." "73. Proprio come, o gran re, vi fosse un uomo che, recando seco un tesoro, percorresse una pericolosa strada piena di insidie e di terrori, ma poi, fuori di pericolo, raggiungesse i dintorni di un villaggio tranquillo senza terrore. A lui così sarebbe: "" io prima, recando meco un tesoro, percorrevo una strada pericolosa, piena di insidie, di terrori; ora io sono uscito dal pericolo, sicuramente ho raggiunto i dintorni di un villaggio tranquillo, privo di terrore"". Egli in conseguenza di ciò acquisterebbe letizia, avrebbe piacere." 74. Proprio così, o gran re, il monaco quasi un debito, quasi una malattia, quasi il carcere, quasi la schiavitù, quasi una strada pericolosa, questi cinque impedimenti non ancora superati in sé riconosce dapprima. Poi, o gran re, come liberazione dai debiti, come guarigione da malattia, come liberazione dal carcere, come libertà da servitù, come superamento del pericolo, questi impedimenti superati, in sé riconosce. 75. In lui, che riconosce di avere in sé superati i cinque impedimenti, nasce letizia, dalla letizia nasce beatitudine, con la mente beata il corpo si calma, il corpo calmato sperimenta gioia, la mente gioiosa si 141 concentra. Egli così lungi da brame, lungi da elementi non salutari, raggiunta con vitakka e con vicara, la nata da distacco beata gioia, prima esperienza, dimora. Ed egli questo corpo di nata da distacco beata gioia empie, colma, permea ed intride, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di nata da distacco beata gioia. 76. E come, o gran re, un abile bagnino, o garzone di bagnino, in una conca di bronzo intridesse polvere da bagno spruzzandola d'acqua profumata, la mescolasse sì che la saponata profumata, intrisa di profumo entro

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e fuori, fosse pervasa di profumo e non gocciolasse, così, o gran re, un monaco questo corpo empie, colma, permea ed intride di nata di distacco beata gioia, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di nata di distacco beata gioia. Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo ed altissimo. 77. Ed inoltre ancora, o gran re, un monaco, superando vitakka e vicara, raggiunta l'interna tranquillità della mente, l'unità dell'essere, la priva di vitakka, priva di vicara, nata di concentrazione beata gioia, seconda esperienza, dimora. Ed egli questo corpo di nata da concentrazione beata gioia empie, colma, permea ed intride, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di nata di concentrazione beata gioia. 78. E come, o gran re, vi fosse un lago di acqua sorgiva in cui né dalla regione di levante, né dalla regione di ponente, né dalla regione di mezzanotte, né dalla regione di mezzodì sfociasse dell'acqua, né mai dal cielo cadesse scroscio di pioggia, ma in quel lago fresca acqua sgorgasse da una sorgente, sì che il lago di fresca acqua sorgente fosse pieno, colmo, pervaso, intriso, sì che la non pur minima parte del lago non rimanesse imbevuta di fresca acqua, così, o gran re, un monaco questo corpo, empie, colma, permea ed intride di nata di concentrazione beata gioia, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di nata da concentrazione beata di gioia. Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo ed altissimo. "79. Ed inoltre ancora, o gran re, un monaco superata la beatitudine, in assenza di ogni eccitamento, equanime, chiaro, consapevole dimora e sperimenta col corpo quella gioia di cui i nobili dicono: ""l'equanime consapevole dimora gioioso"", terza esperienza raggiunta, dimora. Ed egli questo corpo di sbeatificata gioia, empie, colma, permea ed intride, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di beatificata gioia." 80. E come, o gran re, vi fossero dei fiori di loto celesti, rossi, bianchi, ed alcuni di questi fiori di loto celesti, rossi, bianchi, nati dall'acqua, cresciuti nell'acqua, sbocciati nell'acqua, in questa vivono e le loro radici, le loro sommità di fresca acqua sono ripiene, colme, permeate ed intrise, sì che la non pur minima parte dei fiori di loto celesti, rossi, bianchi non rimane imbevuta di fresca acqua, così, o gran re, un monaco questo corpo di sbeatificata gioia empie, colma, permea ed intride, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di sbeatificata gioia.

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Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo ed altissimo. I 81. Ed inoltre ancora, o gran re, un monaco superando la gioia, superando il dolore, purificandosi da precedente piacere e sofferenza, raggiunta la priva di dolore, priva di gioia, equanime, consapevole, perfetta quarta esperienza, dimora. Ed egli posa ricoprendo questo corpo con la mente perfetta, trasparente, sè che la non pur minima parte del corpo non rimanga ricoperta dalla mente perfetta, trasparente. 82. E come, o gran re, un uomo seduto si copre di una chiara veste, sì che nessuna parte del suo corpo non rimanga ricoperta dalla chiara veste, così, o gran re, un monaco posa ricoprendo questo corpo con la mente perfetta, trasparente, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga ricoperta dalla mente perfetta, trasparente. Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo ed altissimo. "83. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge al chiaro sapere. Egli così realizza: "" questo è il mio corpo, formato dai quattro grandi elementi, nato da padre e madre, nutrito di cibo, soggetto alla legge di impermanenza, decadimento, dissoluzione, distruzione, 142 annientamento. Questo è vinnana qui in me localizzato, in me limitato ""." "E come, o gran re, vi fosse un gioiello, una pietra preziosa, bellissima, eccellente, a otto facce, ben lavorata, chiara, trasparente, senza macchie, dotata di piena perfezione, e in lei un filo che l'attraversa o azzurro, o giallo, o rosso, o bianco, o verde, ed un uomo vi fosse di chiara vista che, presala in mano, la contemplasse: "" questo è un gioiello, una pietra preziosa, bellissima, eccellente, a otto facce, ben lavorata, chiara, trasparente, senza macchie, dotata di piena perfezione ed in lei vi è un filo che l'attraversa o azzurro, o giallo, o rosso, o bianco, o verde"", così, o gran re, un monaco, essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge al chiaro sapere. Egli così realizza: "" questo è il mio corpo, formato dai quattro grandi elementi, nato da padre e madre, nutrito di cibo, soggetto alla legge di impermanenza, decadimento, dissoluzione, distruzione, annientamento. Questo è vinnana qui in me localizzato, in me limitato ""."

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Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo ed altissimo. 85. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge a costruire un corpo costituito di pensiero: egli cioè dal corpo ne costruisce un altro formale, costituito di pensiero, con ogni singolo membro, con facoltà sensorie supernormali. "86. E come, o gran re, un uomo da una canna di sakkara munja traesse il midollo. A lui così sarebbe: ""questo è il munja, questo è il midollo, altro il munja, altro il midollo, dalla munja ho tratto il midollo"". Ed inoltre come, o gran re, un uomo traesse dal fodero una spada. Così a lui sarebbe: "" questa è la spada, questo è il fodero, altra la spada, altro il fodero, dal fodero ho tratta la spada"". Ed inoltre come, o gran re, un uomo da un cesto traesse un serpente. Così a lui sarebbe: "" questo è il serpente, questo è il cesto, altro è il serpente, altro è il cesto, dal cesto ho tratto il serpente "". Così, o gran re, un monaco essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza e rivolge a costruire un corpo costituito di pensiero; egli cioè da questo corpo ne costruisce un altro formale, costituito di pensiero, con ogni singolo membro, con" facoltà sensorie supernormali. "87. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge alla varietà dei poteri. Egli realizza quel potere di apparire diverso: uno essendo egli [appare] molteplice, molteplice essendo egli [appare] uno; di essere trasferibile su altri piani di esistenza, o attraverso muri, ostacoli, montagne: spedito passa attraverso la terra come attraverso l'aria, ascende e discende nella terra come nell'acqua, spedito cammina sull'acqua come sulla terra, nel cielo colle sue gambe passeggia come un volante uccello, e la luna ed il sole, pur così potenti e così eccellenti egli accarezza e tocca colla palma della sua mano, e sino nel mondo di Brahma dispone del suo corpo." "88. E come, o grande, un abile vasaio, o garzone di vasaio, avendo ben preparata l'argilla, proprio quel particolare vaso che progetta, così quello fa e crea; inoltre come, o gran re, un abile scultore in avorio, o garzone di scultore in avorio, avendo ben preparato l'avorio, quella particolare scultura che progetta, proprio quella fa e crea; inoltre come, o gran re, un abile orefice, o garzone d'orefice, avendo ben preparato l'oro,

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quel particolare gioiello progettato proprio quello fa e crea, così, o gran re, un monaco essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge alla varietà dei poteri. Egli realizza quel potere di apparire diverso: uno secondo egli [appare] molteplice, molteplice essendo egli [appare] uno; di essere trasferibile in altri piani di esistenza, o attraverso muri, ostacoli e montagne: spedito passa attraverso la terra come attraverso l'aria, ascende e discende nella terra come nell'acqua, spedito cammina sull'acqua come sulla terra, nel cielo colle sue gambe passeggia come un volante uccello, e la luna ed il sole, pur così potenti e così eccellenti, egli accarezza e tocca colla palma della sua mano, e sino nel mondo di Brahma dispone del suo corpo." 143 Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo, altissimo. 89. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza e la rivolge all'organo dell'udito divino. Egli coll'organo dell'udito divino, eccelso, sovrumano, entrambe le voci ascolta, divine ed umane, remote e vicine. "90. Come, o gran re, un uomo percorrendo una grande strada udisse suoni di tamburi, suoni di crotali, suoni di trombe, suoni di cimbali, suoni di timpani, a lui così sarebbe: ""questo è il suono del tamburo"", "" questo è il suono del crotalo"", "" questo è il suono della tromba"", "" questo è il suono del cimbalo "", "" questo è il suono del timpano "", così, o gran re, un monaco essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza e la rivolge all'organo dell'udito divino. Egli coll'organo dell'udito divino, eccelso, sovrumano, entrambe le voci ascolta, divine ed umane, remote e viene." Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo, altissimo. 91. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza e la rivolge all'interiore conoscenza delle menti. Egli realizza ciò che è nella mente di altre persone, di altri esseri: la mente bramosa come mente bramosa realizza, la mente non bramosa come mente non bramosa realizza,

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la mente astiosa come mente astiosa realizza, la mente non astiosa come mente non astiosa realizza, la mente fatua come mente fatua realizza, la mente non fatua come mente non fatua realizza, la mente casta come mente casta realizza, la mente non casta come mente non casta realizza, la mente magnanima come mente magnanima realizza, la mente non magnanima come mente non magnanima realmente superiore come mente superiore realizza, [lizza, la mente non superiore come mente non superiore realizza, la mente attenta come mente attenta realizza, la mente non attenta come mente non attenta realizza, la mente libera come mente libera realizza, la mente non libera come mente non libera realizza. "92. E come, o gran re, una donna, od un uomo, od un fanciullo, od un giovane, amanti della propria bellezza in uno specchio purissimo, chiarissimo, trasparente, o in un vaso d'acqua il volto riflesso considerando, con un neo sa di avere un neo, senza neo sa di essere senza neo; così, o gran re, un monaco essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza e la rivolge all'interiore conoscenza delle menti. Egli realizza ciò che è nella mente di altre persone, di altri esseri: la mente bramosa come mente bramosa realizza," la mente non bramosa come mente non bramosa realizza, la mente astiosa come mente astiosa realizza, la mente non astiosa come mente non astiosa realizza, la mente fatua come mente fatua realizza, la mente non fatua come mente non fatua realizza, la mente casta come mente casta realizza, la mente non casta come mente non casta realizza, la mente magnanima come mente magnanima realizza, la mente non magnanima come mente non magnanima realmente superiore come mente superiore realizza, [lizza, la mente non superiore come mente non superiore realizza, la mente attenta come mente attenta realizza, la mente non attenta come mente non attenta realizza, la mente libera come mente libera realizza, la mente non libera come mente non libera realizza. Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo, altissimo. 144 "93. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge

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all'intelligenza di sorgente consapevolezza di anteriori forme di esistenza. A lui sorge consapevolezza di molte anteriori esistenze, come di un'esistenza, come di delle esistenze, di tre, di quattro, di cinque, di dieci, di venti, di trenta, di quaranta, di cinquanta, di cento esistenze, di mille esistenze, di centomila esistenze, delle esistenze durante epoche di molte formazioni di mondi, epoche di molte trasformazioni di mondi, epoche di molte formazioni e trasformazioni di mondi: "" in questo luogo, questo nome questa famiglia, questo stato, questa gioia e dolore sperimentati questa la fine della vita, e quanto qui sorse di qui trapassò. In quel luogo, quel nome, quella famiglia, quello Stato, quella gioia e dolore sperimentati, quella la fine della vita, e quanto là sorse di là trapassò"". Così a lui sorge consapevolezza di molte precedenti esistenze nelle loro caratteristiche, nelle loro circostanze." "94. E come, o gran re, un uomo andasse dal suo ad un altro villaggio, e da questo ad un altro ancora, e da quest'ultimo ritornasse al suo. Allora a lui così sarebbe: "" io andai dal mio villaggio ad un altro villaggio, là così sono stato, così mi sono seduto, così ho parlato, così ho taciuto, da quello poi sono andato in un altro villaggio, in quell'altro così sono stato, così mi son seduto, così ho parlato, così ho taciuto, e da quest'ultimo villaggio così sono tornato nel mio ""; così, o gran re, un monaco, essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, non oscillante, raggiungente l'impossibilità, la drizza, la rivolge a riconoscere la sorgente consapevolezza di anteriori forme di esistenza. A lui sorge consapevolezza di molte precedenti esistenze, come di un'esistenza, come di due esistenze, di tre, di quattro, di cinque, di dieci, di venti, di trenta, di quaranta, di cinquanta esistenze, di cento esistenze, di mille esistenze, di centomila esistenze, delle esistenze durante epoche di molte formazioni di mondi, epoche di molte trasformazioni di mondi, epoche di molte formazioni e trasformazioni di mondi: "" in questo luogo, questo nome, questa famiglia, questo stato, questa gioia e dolore sperimentati, questa la fine della vita, e quanto qui sorse di qui trapassò, In quel luogo, quel nome, quella famiglia, quello stato, quella gioia e dolore sperimentati, quella la fine della vita, e quanto là sorse di là trapassò"". Così a lui sorge consapevolezza di molte precedenti esistenze nelle loro caratteristiche, nelle loro circostanze." Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo, altissimo. "95. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di

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combustioni, ! malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge all'intelligenza del trapassare e del risorgere degli esseri. Egli, col divino occhio rischiarato, vede gli esseri divini ed umani trapassanti e sorgenti in basso, in alto, belli, brutti, felici, infelici, e come secondo le opere gli esseri riappaiono, realizza: "" Questi cari esseri sono seguaci di un non retto comportamento nelle opere, sono seguaci di un non retto comportamento nelle parole, sono seguaci di un non retto comportamento nei pensieri, disprezzano le cose nobili, stimano il cattivo, ed il cattivo stimato attuano colle opere. Essi, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, vanno così su cattiva strada, in cattive condizioni, in rovina. Questi cari esseri invece sono seguaci di un retto comportamento nelle opere, sono seguaci di un retto comportamento nelle parole, sono seguaci di un retto comportamento nei pensieri, non disprezzano ciò che è nobile, stimano il buono, ed il buono stimato attuano colle opere. Essi, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, felicemente risorgono in mondo beato"". Così col divino occhio rischiarato vede gli esseri divini ed umani trapassanti e risorgenti in alto, in basso, belli, brutti, felici, infelici, e come secondo le opere sempre gli esseri riappaiono realizza." "96. E come, o gran re, in mezzo ad una piazza vi fosse un terrazzo e quivi un uomo di buona vista vedesse gli uomini che nelle case entrano ed escono, per la via carreggiabile si avviano, o sostano in mezzo alla piazza, a lui così sarebbe: "" Questi uomini entrano ed escono di casa, per la via carreggiabile si avviano, o sostano in mezzo alla piazza""; così, o gran re, un monaco nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge all'intelligenza del trapassare e del risorgere degli esseri. Egli, col divino occhio rischiarato, vede gli esseri divini ed umani trapassanti e sorgenti in basso, in alto, belli, brutti, felici, 145 infelici, e come secondo le opere gli esseri riappaiono realizza: "" Questi cari esseri sono seguaci di un non retto comportamento nelle opere, sono seguaci di un non retto comportamento nelle parole, sono seguaci di" "un non retto comportamento nei pensieri, disprezzano le cose nobili, stimano il cattivo, ed il cattivo stimato attuano con le opere. Essi, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, vanno così su cattiva strada, in cattive condizioni, in rovina. Questi cari esseri invece sono seguaci di un retto comportamento nelle opere, sono

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seguaci di un retto comportamento nelle parole, sono seguaci di un retto comportamento nei pensieri, non disprezzano ciò che è nobile, stimano il buono, ed il buono stimato attuano colle opere. Essi, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte, felicemente risorgono in mondo beato "". Così, col divino occhio rischiarato vede gli esseri divini ed umani trapassanti e risorgenti in alto, in basso, belli, brutti, felici, infelici, e come secondo le opere sempre gli esseri riappaiono realizza." Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo, altissimo. "97. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge all'intelligenza distruggitrice degli asava. Egli: "" Ecco il dolore "" così secondo realtà realizza. "" Questa l'origine del dolore "" secondo realtà realizza. "" Questa la fine del dolore"" secondo realtà realizza. ""Questa la via che mena alla fine del dolore"" secondo realtà realizza. "" Questi gli asava "" secondo realtà realizza. ""Questa l'origine degli asava"" secondo realtà realizza. ""Questa la, fine degli asava "" secondo realtà realizza. "" Questa la via che mena alla fine degli asava "" secondo realtà realizza. Ed a lui, I che così sa, così vede, la mente si libera dall'asava del desiderio, si libera dall'asava dell'essere, si libera dall'asava del l'ignoranza. "" Nel redento è la redenzione "" in lui sorge questa intelligenza. "" Esausta la vita, estinta la condizione di purezza, fatto ciò che era da fare, non esiste altro stato condizionato"" realizza allora." "98. E come, o gran re, vi fosse un lago tra i monti trasparente, limpido, chiaro ed un uomo di buona vista fermo sulla sponda vedesse ostriche e conchiglie, cristalli e ghiaia, frotte di pesci che vanno e che stanno, a lui così sarebbe: "" Questo è un lago tra i monti trasparente, limpido, chiaro e quivi sono ostriche e conchiglie, cristalli e ghiaia e frotte di pesci che vanno e che stanno""; così, o gran re, un monaco essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge all'intelligenza distruttrice degli asava. Egli: "" Ecco il dolore "" così secondo realtà realizza. "" Questa è l'origine del dolore "" secondo realtà realizza. "" Questa la fine del dolore "" secondo realtà realizza. "" Questa la via che mena alla fine del dolore "" secondo realtà realizza. "" Questi gli asava "" secondo realtà realizza. "" Questa l'origine degli asava ""

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secondo realtà realizza. "" Questa la fine degli asava secondo realtà realizza. "" Questa la via che mena alla fine degli asava "" secondo realtà realizza. Ed a lui che così sa, che così vede la mente libera dall'asava del desiderio, si libera dall'asava dell'essere, si libera dall'asava dell'ignoranza. "" Nel redento è la redenzione "" in lui sorge questa intelligenza. "" Esausta la vita, estinta la condizione di purezza, fatto ciò che era da fare, non esiste altro stato condizionato "" realizza allora." Questo è, o gran re, un visibile frutto dell'ascesi, e tra i migliori frutti dell'ascesi eccellentissimo, altissimo. "Di questi, o gran re, visibili frutti dell'ascesi, un altro visibile frutto dell'ascesi più alto, più eccelso non vi è ""." "99. Così essendo stato detto il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta disse al Sublime così: "" È meraviglioso, o signore, è meraviglioso, o signore, come si raddrizzasse ciò che era rovesciato, si scoprisse ciò che era coperto, ad uno smarrito si mostrasse la strada, si portasse nel buio una lampada, chi ha gli occhi vedrà le forme, così dal Sublime con più di un argomento è stata esposta la Dottrina. Ed ecco, o signore, io prendo rifugio presso il Sublime, prendo rifugio presso la dottrina e l'Ordine dei monaci. Me fedele seguace voglia il Sublime accogliere prendente da oggi rifugio per la vita. Un errore mi vinse, o signore, come uno stolto, come un folle, come un insensato. Per desiderio di potere privai della vita il padre, giusto, legittimo re. Questo mio errore, o signore, accetti il Sublime in vista di futuro controllo ""." "100. ""Orsù, o gran re, un errore ti vinse come uno stolto, come un folle, come un insensato: tu per desiderio di potere I privasti della vita il padre, giusto, legittimo re. E perciò tu, o gran re, compisti un errore, un 146 duplice errore secondo la, dottrina e questo io accetto. Vi è miglioramento, o gran re, nella norma dei nobili a chi, pur avendo errato di un duplice errore, secondo la Dottrina, nel futuro si controllerà ""." 101. Così essendo stato detto il re del Magadha Ajatasattu "Vedehiputta disse al Sublime così: "" Ora è tempo, o signore, che io vada. Molti affari, molte incombenze ci attendono ""." Questo è il tempo, o gran re, a cui tu pensi . Allora il re del Magadha Ajatasattu Vedehiputta rallegrato, rasserenato dalle parole del Sublime sorse da sedere, avendo salutato il Sublime, girando sulla destra se ne andò. "102. Allora il Sublime, dopo la partenza del re del Majgadha Ajatasattu Vedehiputta, si rivolse ai monaci: "" Stroncato, o monaci, è il re, contaminato, o monaci, è il re. Se il re, o monaci, non avesse privato della vita il

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padre, giusto, legittimo re, libero da passione, senza macchia, su questo stesso sedile gli si sarebbe dischiuso l'occhio della Dottrina "" ." Così disse il Sublime, contenti i monaci si rallegrarono I alla parola del Sublime. SAMANNA PHALA SUTTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) KEVADDHASUTTA (KEVADDI LA IL FIGLIO DI FAMIGLIA) Così ho sentito " 1. Un tempo il Sublime dimorava a Nalanda nel bosco di manghi del mercante di vesti. Allora Kevaddha figlio di famiglia, si diresse là dove era il Sublime; accostatosi, salutato il Sublime, gli sedette accanto. Accanto seduto Kevaddha figlio di famiglia così disse al Sublime:" Nalanda, o signore, prosperosa, opulenta, molto popolata, densa di abitanti è devota al Sublime. Voglia il Sublime, o signore, ben ammaestrare un monaco che possa compiere cose sovrumane, meravigliosi miracoli, e così proprio Nalanda sarà ancor più devota al Sublime. "Così essendo stato detto il Sublime disse a Kevaddha figlio di famiglia così: ""Non così, o Kevaddha, io espongo la Dottrina: "" andate voi, o monaci, presso il laico bianco vestito e compite cose sovrumane, meravigliosi miracoli "" ""." "2. Per la seconda volta Kevaddha figlio di famiglia disse al Sublime così: "" Io non vorrei molestare il Sublime, però così dico: Nalanda, o signore, prosperosa, opulenta, molto popolata, densa di abitanti è devota al Sublime. Voglia il Sublime, o signore, ben ammaestrare un monaco che possa compiere cose sovrumane, meravigliosi miracoli, e così proprio Nalanda sarà ancor più devota al Sublime o." Per la seconda volta il Sublime disse a Kevaddha figlio di famiglia così: " Non così, o Kevaddha, io espongo la Dottrina: andate voi, o monaci, presso il laico bianco vestito e compite cose sovrumane, meravigliosi miracoli """ "3. Per la terza volta Kevaddha figlio di famiglia disse al Sublime così: "" Io non vorrei molestare il Sublime, però così dico: Nalanda, o signore, prosperosa, opulenta, molto popolata, densa di abitanti è devota al Sublime. Voglia il Sublime, o signore, ben ammaestrare un monaco che possa compiere cose sovrumane, meravigliosi miracoli, e così proprio Nalanda sarà ancor più devota al Sublime ""." 147 Questi tre elementi straordinari sono stati da me stesso realizzati, posseduti, resi noti: i poteri sovranormali, la penetrazione sovranormale dell'altrui mente e l'insegnamento sovranormale. "4. Qual è, o Kevaddha, il potere sovranormale? Ecco, o Kevaddha, un monaco realizza quel potere di

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apparire diverso: uno essendo egli appare molteplice, molteplice essendo egli appare uno; è trasferibile su altri piani di esistenza, attraverso muri, ostacoli, montagne; non impedito cammina, attraverso la terra come attraverso l'aria, ascende e discende nella terra come nell'acqua; spedito cammina sull'acqua come sulla terra; nel cielo colle sue gambe passeggia come un volante uccello, e il sole e la luna così potenti, così eccellenti accarezza e tocca col palmo della sua mano, e sino nel mondo di Brahma dispone del suo corpo. E se un tale assiste fiducioso e vede quel monaco che realizza il potere di apparire diverso: che uno essendo egli appaia molteplice, molteplice essendo appaia uno; di essere trasferibile su altri piani di esistenza, attraverso muri, ostacoli, montagne; che non impedito cammini attraverso la terra come attraverso l'aria, ascenda e discenda nella terra come nell'acqua; che spedito cammini sull'acqua come sulla terra; che nel cielo colle sue gambe passeggi come un volante uccello, e il sole e la luna così potenti, così eccellenti accarezzi e tocchi col palmo" della sua mano, e sino nel mondo di Brahma disponga del suo corpo. "5. E se quel tale che assistette fiducioso dice ad un altro che non assistette e non è fiducioso: "" È meraviglioso, o signore, è straordinario, o signore, il grande potere, la grande eccellenza di un asceta. Io stesso vidi un monaco che realizza il potere di apparire diverso: uno essendo egli appare molteplice, molteplice essendo egli appare uno; che è trasferibile su altri piani di esistenza, attraverso muri, ostacoli, montagne; che non impedito cammina attraverso la terra come attraverso l'aria, ascende e discende nella terra come nell'acqua; che spedito cammina sull'acqua come sulla terra; che nel cielo colle sue gambe passeggia come un volante uccello, e il sole e la luna così potenti, così eccellenti accarezza e tocca col palmo della sua mano, e sino nel mondo di Brahma dispone del suo corpo"". Allora colui che non ha assistito e non è fiducioso così potrebbe dire a colui che ha assistito fiducioso: ""Questo è certamente un incanto di Gandhari, per questo quel monaco realizza quel potere di apparire diverso: uno essendo egli appare molteplice, molteplice essendo egli appare uno; è trasferibile su altri piani di esistenza, attraverso muri, ostacoli, montagne; non impedito cammina, attraverso la terra come attraverso l'aria, ascende e discende nella terra come nell'acqua; spedito cammina sull'acqua come sulla terra; nel cielo colle sue gambe passeggia come un volante uccello e il sole e la luna così potenti, così eccellenti accarezza e tocca col palmo della sua mano, e

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sino nel mondo di Brahma dispone del suo corpo "". Che tu pensi, o Kevaddha ? Forse che colui che non ha assistito e non è fiducioso non direbbe così a colui che fiducioso ha assistito?""." " ""Così direbbe, o signore ""." E vedendo questo pericolo, o Kevaddha, del potere supernormale io non sono propenso, non sono disposto, non sono favorevole al potere sovranormale. "6. Qual è, o Kevaddha, la penetrazione sovranormale dell'altrui mente? Ecco, o Kevaddha, un monaco penetra la mente di altri esseri, di altre persone, penetra quanto appartiene alla mente, penetra il ragionamento, penetra le considerazioni: "" così è quel pensiero, così è quel pensiero, proprio in quella mente"". Ed ecco un tale assiste fiducioso e vede quel monaco che realizza il potere di penetrare le menti di altri esseri, di altre persone, che penetra quanto appartiene alla mente, penetra il ragionamento, penetra le considerazioni: "" così è quel pensiero, così è quel pensiero, proprio in quella mente ""." "7. E se quel tale che assistette fiducioso dice ad un altro, che non assistette e non è fiducioso: ""È meraviglioso, o signore, è straordinario, o signore, il grande potere, la grande eccellenza di un asceta. Io stesso vidi un monaco che penetra la mente di altri esseri, di altre persone, penetra quanto appartiene alla mente, penetra il ragionamento, penetra le considerazioni: ' così è quel pensiero, così è quel pensiero, proprio in quella mente'"". Allora colui che non ha assistito e non è fiducioso così potrebbe dire a colui che ha assistito fiducioso: "" Questo è certamente un incanto Manika, per questo quel monaco penetra la mente di altri esseri, di altre persone, penetra quanto appartiene alla mente, penetra il ragionamento, penetra le considerazioni: ' così è quel pensiero, così quel pensiero in quella mente ' ""." "Che tu pensi, o Kevaddha? Forse che colui che non ha assistito e non è fiducioso non direbbe così a colui 148 che fiducioso ha assistito ?""." Così direbbe, o signore E vedendo questo pericolo, o Kevaddha, nella penetrazione della mente io non sono propenso, non sono disposto, non sono favorevole alla penetrazione della mente. "8. E quale è, o Kevaddha, l'insegnamento supernormale? Ecco, o Kevaddha, un monaco così insegna: "" Così devi considerare, così non devi considerare, a questo devi por mente, a questo non devi por mente, questo raggiungi, questo raggiunto, dimora"". Questo si chiama, Kevaddha, l'insegnamento sovranormale." 9. Ed inoltre ancora, o Kevaddha, ecco in questo mondo sorge il Compiuto, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato *...

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44. In lui che ha riconosciuto di aver da sé superato i cinque impedimenti, nasce letizia, dalla letizia nasce beatitudine, colla mente beata il corpo si calma, col corpo calmato sperimenta gioia, la mente gioiosa si concentra ed egli così, lungi da brame, lungi da elementi non salutari, raggiunta, con vitakka e vicara, la nata da distacco beata gioia, prima esperienza, dimora. Ed egli questo corpo empie, colma, permea ed intride di nata di distacco beata gioia, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di nata di distacco beata gioia. 45. Come, o Kevaddha, un abile bagnino o garzone di bagnino, in una conca di bronzo intridesse polvere da bagno spruzzandola d'acqua profumata, la mescolasse sì che la saponata profumata, intrisa di profumo, entro e fuori fosse pervasa di profumo e non gocciolasse, così o Kevaddha, un monaco questo corpo empie, colma, permea ed intride di nata di distacco beata gioia, sì che la non pur minima parte del corpo non rimanga imbevuta di nata di distacco beata gioia. 50. *... La quarta esperienza raggiunta dimora *... Questo Si chiama, o Kevaddha, l'insegnamento sovranormale. 52. Egli così essendo nella mente raccolta, perfetta, trasparente, non affetta da scorie, senza resti di combustioni, malleabile, forgiabile, non oscillante, raggiungente l'impassibilità, la drizza, la rivolge al chiaro sapere *... Ciò si chiama, o Kevaddha, l'insegnamento sovranormale. "53. *... non esiste alcun altro stato condizionato così realizza allora"". E ciò si chiama, o Kevaddha, l'insegnamento sovranormale." 67. Questi, o Kevaddha, tre elementi sovranormali sono stati da me stesso, realizzati, posseduti, resi noti. Una volta, "o Kevaddha, in una certa schiera di monaci, ad un monaco sorse in mente una riflessione: "" in qual luogo i quattro elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?"". Allora, o Kevaddha, quel monaco concentrò la mente sicché nella sua mente raccolta fu visibile la via che mena agli dèi '." "68. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso gli dèi dei quattro grandi re, e avendoli raggiunti così disse loro: "" Dove, o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, gli dèi dei quattro grandi re dissero al monaco così: "" Noi, o monaco, non sappiamo dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il

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fuoco, l'aria. Ma vi sono, o, monaco, i quattro grandi re, di noi più eccelsi, più alti. Essi certamente sapranno dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." "69. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso i: quattro grandi re, e avendoli raggiunti così disse loro: ""Dove, . o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?"". Così essendo stato detto, o Kevaddha, i quattro grandi re dissero al monaco così: "" Noi, o monaco, non sappiamo dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il: fuoco, l'aria. Ma vi sono, o monaco, i trentatrè dèi, di noi più eccelsi, più alti. Essi certamente sapranno dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." "70. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso i Trentatrè dèi, e avendoli raggiunti così disse loro: ""Dove, o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria? ""." 149 "Così essendo stato detto, o Kevaddha, i trentatré dèi dissero al monaco così: "" Noi, o monaco, non sappiamo dove" "i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi è, o monaco, Sakka, re degli dèi, di noi più eccelso, più alto. Egli certamente saprà dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria""." "71. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso Sakka, re degli dèi, e avendolo raggiunto così gli disse: "" Dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria? ""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, Sakka re degli dèi disse al monaco così: ""Io, o monaco, non so dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi sono gli dèi dei Yama di me più eccelsi, più alti. Essi certamente sapranno dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria""." "72. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso gli dèi dei Yama, e avendoli raggiunti così disse loro: "" Dove, o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, gli dèi dei Yama dissero al monaco così: "" Noi, o monaco, non sappiamo dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma

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vi è, o monaco, Suyama-Devaputta di noi più eccelso, più alto. Egli certamente saprà dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." "73. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso Suyama Devaputta, e avendolo raggiunto così gli disse: "" Dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, Suyama-Devaputta disse al monaco così: "" Io, o monaco, non so dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, I acqua, il fuoco, l'aria. Ma, vi sono, o monaco, gli dèi Tubista, di me più eccelsi, più alti. Essi certamente sapranno dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." "74. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso gli dèi Tubista, e avendoli raggiunti così disse loro: ""Dove, o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, gli dèi Tubista dissero al monaco così: "" Noi, o monaco, non sappiamo dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi è, o monaco, Santusita-Devaputta, di noi più eccelso, più alto. Egli certamente saprà dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." "75. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso Santusita-Devaputta, e avendolo raggiunto così gli disse: "" Dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ? ""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, Santusita-Devaputta disse al monaco così: "" Io, o monaco, non so dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi sono, o monaco, gli dèi Nimmanarati, di me più eccelsi, più alti. Essi certamente sapranno dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria""." "76. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso gli dèi Nimmanarati, ed avendoli raggiunti, così disse loro: "" Dove, o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria? ""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, gli dèi Nimmanarati dissero al monaco così: "" Noi, o monaco, non sappiamo dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi è, o monaco, Sunimitta-Devaputta, di noi più eccelso, più alto. Egli certamente saprà dove i quattro grandi

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elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria""." "77. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso Sunimitta-Devaputta, e avendolo raggiunto così gli 150 disse: "" Dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, Sunimitta-Devaputta disse al monaco così: "" Io, o monaco, non so dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi sono, o monaco, gli dèi Paranimmita-Vasavatti, di me più eccelsi, più alti. Essi certamente sapranno dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." "78. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso gli dèi Paranimmita-Vasavatti, e avendoli raggiunti così disse loro: "" Dove, o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ? ""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, gli dèi Paranimmita-Vasavatti dissero al monaco così: "" Noi, o monaco, non sappiamo dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi è, o monaco, Vasavatti-Devaputta, di noi più eccelso, più alto. Egli certamente saprà dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." "79. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso Vasavatti Devaputta e avendolo raggiunto così gli disse: "" Dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ? ""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, Vasavatti-Devaputta disse al monaco così: "" Io, o monaco, non so dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ma vi sono, o monaco, gli dèi della schiera di Brahma, di me più eccelsi, più alti. Essi certamente sapranno dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria""." "80. Allora, o Kevaddha, quel monaco entrò in concentrazione sì che nella sua mente raccolta fu visibile la strada che conduce a Brahma (2). E allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso gli dèi della schiera di Brahma, e avendoli raggiunti così disse loro: "" Dove, o amici, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, gli dèi della schiera di Brahma dissero al monaco così: ""Noi, o monaco, non sappiamo dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il

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fuoco, l'aria. Ma vi è Brahma, il gran Brahma, signore, non divenuto, onnipresente, onnipotente, sommo fattore, creatore, eccelso reggitore, potente padre di ciò che fu e di ciò che sarà, di noi più eccelso, più alto. Egli certamente saprà dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria ""." Dove al presente, o amici, è il gran Brahma?. Noi non sappiamo, o monaco, donde viene Brahma, è` dove è Brahma, dove va Brahma. Ma, o monaco, dove appaiono dei segni, si produce una luce, si manifesta uno splendore, la sarà visibile Brahma. Quello è il segnale della manifestazione di Brahma: dove si produce una luce, si manifesta uno splendore. "81. Allora, o Kevaddha, dopo non molto si manifestò il gran Brahma. Allora, o Kevaddha, quel monaco si diresse verso il gran Brahma, e avendolo raggiunto così gli disse: "" Dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria? ""." "Così essendo stato detto, o Kevaddha, Brahma disse al monaco così: "" Io sono, o monaco, il gran Brahma, signore, non divenuto, onnipresente, onnipotente, sommo fattore, creatore, eccelso reggitore, potente padre di ciò che fu e di ciò che sarà""." "82. Per la seconda volta, o Kevaddha, quel monaco disse al gran Brahma così: "" Io, o amico, non ti ho chiesto se tu" "sei il gran Brahma, signore, non divenuto, onnipresente, onnipotente, sommo fattore, creatore, eccelso reggitore, potente padre di ciò che fu e di ciò che sarà, ma così io ti ho chiesto: dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria?""." "E per la seconda volta, o Kevaddha, il gran Brahma rispose a quel monaco così: "" Io sono Brahma, il gran Brahma, signore, non divenuto, onnipresente, onnipotente, sommo fattore, creatore, eccelso reggitore, potente padre di ciò che fu e di ciò che sarà""." 151 "83. Per la terza volta, o Kevaddha, quel monaco disse al gran Brahma così: "" Io, o amico, non ti ho chiesto se tu sei il gran Brahma, signore, non divenuto, onnipresente, onnipotente, sommo fattore, creatore, eccelso reggitore, potente padre di ciò che fu e di ciò che sarà, ma così ti ho chiesto: dove, o amico, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria? ""." "Allora, o Kevaddha, il gran Brahma prendendo per il braccio il monaco, ed accostandoglisi così disse: "" Certo, o monaco, gli dèi della schiera di Brahma credono che non vi sia alcunché non visto da Brahma, non vi sia alcunché non saputo da Brahma, non vi sia alcunché di impossibile a Brahma, e per questa ragione io

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non risposi di fronte a loro: io, o monaco, non so dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. E pertanto qui, o monaco, tu hai commesso un errore, tu hai commesso una colpa e, trasgredendo al Sublime, hai ricercato non rettamente la risposta a questa domanda. Va tu, o monaco, accostati al Sublime, e fagli questa domanda, quanto il Sublime risponderà, questo tu devi ricordare""." "84. Allora, o Kevaddha, il monaco, proprio come un uomo forte distende un braccio piegato o piega un braccio disteso, scomparso dal mondo di Brahma comparve dinnanzi a me. Allora, o Kevaddha, il monaco dopo avermi salutato mi si sedé accanto. Accanto, seduto, o Kevaddha, il monaco così mi disse: "" Dove, o signore, i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria? ""." "85. Così essendo stato detto, o Kevaddha, così io al monaco risposi: "" Da tempo, o monaco, i mercanti che viaggiano per mare si imbarcano, prendendo sulla nave un uccello ci indichi la terra. Essi dalla nave, non in vista della spiaggia, liberano l'uccello indicatore della terra. Quegli va verso il levante, va verso il mezzodì, va verso il ponente, va verso la mezzanotte, va sull'oceano, va in ogni direzione. Se di qualche parte vede la terra, verso quella parte e guida, se da nessuna parte vede la terra, egli ritorna alla nave. Proprio così tu, o monaco, desiderando una risposta a quella domanda non l'hai ottenuta neppure nel mondo di Brahma e sei ritornato presso di me. Tu desideri che questa domanda sia posta: ' dove i quattro grandi elementi scompaiono senza residuo, cioè la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria'. Così invece, o monaco, è da porsi la domanda""." Dove la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria non hanno pi¢ luogo ove posare il piede ? . Dove il lungo ed il corto, il sottile, lo spesso, il buono ed il cattivo?. Dove nome e forma totalmente sono distrutti? . Allora così è la risposta: " Là, senza attributi, l'infinito vinnena abbandonato;" "Allora acqua e terra, fuoco e aria, non han luogo ove posare il piede; " "Allora il lungo, il corto, il sottile, lo spesso, il buono, il cattivo; " "Allora nome e forma totalmente sono distrutti; " "Colla distruzione di vinnena queste cose sono distrutte """ Così disse il Sublime. Contento Kevaddha, figlio di famiglia, si rallegrò alle parole del Sublime. KEVADDHA SUTTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) MAHASATIPATTHANASUTTANTA (LA BASE DELLA CONSAPEVOLEZZA) 152

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Così ho sentito: "l. Un tempo il Sublime dimorava tra i Kuru in una città dei Kuru di nome Kammassadhamma. Allora il Sublime si rivolse ai monaci: ""O monaci "", ""Signore "", i monaci risposero al Sublime." Il Sublime così disse: La strada, o monaci, ad una unica meta, alla purificazione degli esseri, al superamento del pianto e del lamento, all'allontanamento del dolore e della sofferenza, al comparire del giusto metodo per la realizzazione dell'estinzione è quella dei quattro pilastri della consapevolezza. Quali quattro? Ecco, o monaci, un monaco nel corpo osservando il corpo, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. Nella sensazione, osservando la sensazione, dimora strenuo, attento, consapevole lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. Nella mente osservando la mente, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. Negli elementi osservando gli elementi, dimora strenuo, attento, consapevole lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. 2. E come, o monaci, un monaco nel corpo, osservando il corpo, dimora? "Ecco, o monaci, un monaco andato nella foresta, al piede di un albero, in un vuoto eremo, si siede, le gambe incrociate, diritto, erigendo il corpo presente, presente la consapevolezza. Consapevole egli inspira, consapevole egli espira. Se lungamente egli inspira realizza: ""Io inspiro lungamente"", se lungamente egli espira realizza: ""Io espiro lungamente"", se brevemente egli inspira realizza: "" Io inspiro brevemente "", se brevemente egli espira realizza: "" Io espiro brevemente "", ""Inspirerò sperimentando tutto il corpo"", egli si esercita, "" Espirerò sperimentando tutto il corpo "", egli si esercita "" Inspirerò calmando questo sankkare del corpo"", egli esercita. "" Espirerò calmando questo sankhare del corpo egli si esercita (1)." "Come, o monaci, un abile tornitore od allievo tornitor allorquando lungamente gira il tornio realizza: "" Io lungamente giro il tornio"", ed allorquando brevemente gira tornio realizza: "" Io brevemente giro il tornio "", proprio come un monaco se inspira lungamente realizza: "" Io inspiro lungamente"", se egli espira lungamente realizza: ""Io espira lungamente"", se brevemente egli inspira realizza: ""Io in spiro brevemente "", se brevemente egli espira, realizza: "" Io espiro brevemente "". "" Inspirerò sperimentando tutto il corpo "", egli si esercita, ""Espirerò sperimentando tutto corpo "", egli si esercita, "" Inspirerò calmando questo sankhar del corpo "", egli si esercita, "" Espirerò calmando questo saikhera del corpo"", egli si esercita."

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"Così egli dall'interno del corpo dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi del corpo. ""Così è il corpo "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è basso di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco, nel corpo dimora osservando il corpo." "3. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco allorquando va egli realizza "" Io vo "", allorquando egli sta egli realizza: ' Io sto ""; allorquando egli siede egli realizza: "" Io siedo""; allorquando egli giace egli realizza: "" Io giaccio "". E se a questo od a quello egli è applicato, col suo corpo, proprio quello egli realizza." "Così egli dall'interno del corpo dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi nel corpo. "" Così è il corpo "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco nel corpo dimora osservando il corpo." "4. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco che vada o che venga, egli realizza ciò che fa; che guardi o distolga lo sguardo, egli realizza ciò che fa; che si chini o si alzi, egli realizza ciò che fa; che porti il mantello 153 o la scodella, egli realizza ciò che fa; che mangi o che beva, che mastichi o che gusti, egli realizza ciò che fa; che si vuoti di feci o di urina, egli realizza ciò che fa; che vada, stia, sieda, si addormenti o si svegli, egli realizza ciò che fa." Così egli dall'interno del corpo dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo. Così è il corpo , e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così o monaci, un monaco, nel corpo dimora osservando il corpo. "5. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco considera questo corpo dal capo sino al basso della palma dei

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piedi: "" Ricoperto di peli, limitato esteriormente dalla pelle, composto di varie sostanze: vi sono in questo corpo capelli, peli, unghie, denti, pelle, carne, tendini, ossa, midollo osseo, reni, cuore, fegato, diaframma, milza, polmoni, intestini, pacco intestinale, stomaco, feci, bile, secrezioni, umori, sangue, sudori, linfa, lacrime, siero, saliva, muco, sinovia, urina""." "Come, o monaci, vi fosse un sacco legato da ambo le parti, ripieno di molte specie di grani, come di riso, riso di monte, fagioli, fave, sesamo, riso non brillato, ed un uomo di buona vista, slegatolo considerasse: "" Questo è riso, riso di monte, fagioli, fave, sesamo, riso non brillato"", proprio così, o monaci, un monaco questo corpo dal capo sino al basso della palma dei piedi, ricoperto di peli, limitato esteriormente dalla pelle, composto di varie sostanze considera: ""Vi sono in I questo corpo capelli, peli, unghie, denti, pelle, carne, tendini, ossa, midollo osseo, reni, cuore, fegato, diaframma, milza, ! polmoni, intestini, pacco intestinale, stomaco, feci, bile, secrezioni, umori, sangue, sudori, linfa, lacrime, siero, muco, ! sinovia, urina ""." "Così egli dall'interno del corpo dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi nel corpo. "" Così è il corpo "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco nel corpo dimora osservando il corpo." "6. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco esamina e considera questo corpo, sia che stia, sia che vada, in rapporto agli elementi: "" Vi è in questo corpo l'elemento terra, l'elemento acqua, l'elemento fuoco, l'elemento aria""." "Così come, o monaci, un'abile macellaio od allievo macellaio uccisa una mucca, portatala al [mercato del] quadrivio, avendola sezionata pezzo per pezzo, si siede, proprio così, o monaci, un monaco questo corpo, sia che stia, sia che vada, esamina e considera in rapporto agli elementi: ""Vi è in questo corpo l'elemento terra, l'elemento acqua, l'elemento fuoco, l'elemento aria ""." "Così egli dall'interno del corpo dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il

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sorgere ed il trapassare degli elementi nel corpo. "" Così è il corpo "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco nel corpo dimora osservando il corpo." "7. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco come vedesse un cadavere abbandonato in un cimitero un giorno, o due giorni, o tre giorni, dopo la morte, privo di colore, generante putrefazione, così focalizza questo corpo: "" Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo [destino]"" (2)." "Così egli dall'interno dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi nel corpo. "" Così è il corpo "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di 154 fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco nel corpo dimora osservando il corpo." "8. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco come vedesse un cadavere abbandonato in un cimitero, preda di corvi, poiane, ed avvoltoi, lamie, sciacalli, di diversi generi di esseri viventi, così focalizza questo corpo: "" Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo ""." "Così egli dall'interno del corpo dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel; corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi nel corpo. ""Così è il corpo"", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mando. Così, o monaci, un monaco nel corpo dimora osservando il corpo." "9. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco come vedesse un cadavere abbandonato in un cimitero: un insieme di ossa con sangue e carne legate dai tendini, così focalizza questo corpo: "" Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo"" un insieme di ossa prive di sangue e carne legate dai tendini, così focalizza questo corpo: "" Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo"" un insieme di ossa prive di legamenti qua e là sparse, qua un osso della

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mano, qua un osso del piede, là un osso della gamba, là un osso della coscia, là un osso dell'anca, qua una vertebra, là il cranio, così focalizza questo corpo: ""Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo ""." Così egli dall'interno dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno ! "e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi nel corpo. "" Così è il corpo "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco nel corpo dimora osservando il corpo." "10. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco come vedesse un cadavere abbandonato in un cimitero: le ossa candide come bianche conchiglie, così focalizza questo corpo: "" Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo"" le ossa ammucchiate, trascorso un anno, così focalizza questo corpo: ""Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo"" le ossa putride, così focalizza questo corpo: "" Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo"" le ossa ridotte in polvere, così focalizza questo corpo: "" Questo corpo è soggetto alla stessa legge, è della stessa natura, non può evitare questo ""." "Così egli dall'interno del corpo dimora osservando il corpo, dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo, dall'interno e dal di fuori del corpo dimora osservando il corpo. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nel corpo, dimora osservando il trapassare degli elementi nel corpo, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi nel corpo. "" Così è il corpo "" e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama del mondo. Così, o monaci, un monaco nel corpo dimora osservando il corpo." 11. E come, o monaci, un monaco, nelle sensazioni, osservando le sensazioni, dimora? "Ecco, o monaci, un monaco sperimentando una sensazione piacevole realizza: "" Sperimento una sensazione piacevole ""." "Sperimentando una sensazione dolorosa realizza: "" Speri. mento una sensazione dolorosa"". Sperimentando una sensazione né piacevole né dolorosa realizza: "" Sperimento una sensazione né piacevole né dolorosa"". Sperimentando una sensazione grossolana e piacevole realizza - "" Sperimento una sensazione

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grossolana e piacevole"". Sperimentando una sensazione sottile e piacevole realizza: "" Sperimento una sensazione sottile e piacevole"". Sperimentando una sensazione grossolana e dolorosa realizza: "" Sperimento una sensazione: grossolana e dolorosa "". Sperimentando una sensazione sottile e dolorosa 155 realizza: "" Sperimento una sensazione sottile e dolorosa"". Sperimentando una sensazione grossolana né piacevole né dolorosa realizza: "" Sperimento una sensazione grossolana né piacevole né dolorosa"". Sperimentando una sensazione sottile né piacevole né dolorosa realizza: "" Sperimento una sensazione sottile né piacevole né dolorosa ""." "Così egli dall'interno della sensazione dimora osservando la sensazione, dal di fuori della sensazione dimora osservando la sensazione, dall'interno e dal di fuori della sensazione dimora osservando la sensazione. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nella sensazione, dimora osservando il trapassare degli elementi nella sensazione, dimora osservando: il sorgere ed il trapassare degli elementi nella sensazione. "" Così è la sensazione "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco nella sensazione dimora osservando la sensazione." 12. E come, o monaci, un monaco nella mente, osservando la mente, dimora ? Ecco, o monaci, un monaco "Con mente passionale realizza: "" La mente è passionale"". Con mente non passionale realizza: "" La mente non è passionale "". Con mente ostile realizza: "" La mente è ostile ""." "Con mente non ostile realizza: ""La mente non è ostile""." "Con mente torpida realizza: "" La mente è torpida ""." "Con mente non torpida realizza: "" La mente non è torpida "". Con mente agitata realizza: "" La mente è agitata ""." "Con mente non agitata realizza: "" La mente non è agitata "". Con mente espansa realizza: "" La mente è espansa ""." "Con mente non espansa realizza: "" La mente non è espansa "". Con mente devota realizza: "" La mente è devota ""." "Con mente non devota realizza: "" La mente non è devota "". Con mente raccolta realizza: "" La mente è raccolta ""." "Con mente non raccolta realizza: "" La mente non è raccolta "". Con mente emancipata realizza: "" La mente è emancipata"". Con mente non emancipata realizza: "" La mente non è emancipata "" ."

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"Così egli dall'interno della mente dimora osservando la mente, dal di fuori della mente dimora osservando la mente, dall'interno e dal di fuori della mente dimora osservando la mente. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi nella mente, dimora osservando il trapassare degli elementi nella mente, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi nella mente. "" Così è la mente "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco nella mente dimora osservando la mente." 13. E come, o monaci, un monaco negli elementi osservando gli elementi, dimora? (3). Ecco, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei cinque impedimenti. E come, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei cinque impedimenti? "Ecco, o monaci, un monaco essendogli interiormente desiderio di brame realizza: "" Non a me interiormente desiderio" "di brame "". Non essendogli interiormente desiderio di brame realizza: "" Non è a me interiormente desiderio di brame "". E se a lui che dimora osservando, è sorgere di desiderio di brame egli ciò realizza; e se a lui che dimora osservando, è trapassare di desiderio di brame egli ciò realizza. E se a lui che dimora osservando, è non più sorgere di trapassati desiderii di brame egli ciò realizza." "Essendogli interiormente astio realizza: ""è a me interiormente astio "". Non essendogli interiormente astio realizza: "" Non è a me interiormente astio "". E se a lui che dimora osservando è sorgere di astio egli ciò realizza. E se a lui che dimora osservando è trapassare di astio egli ciò realizza. E se a lui che dimora osservando è non più sorgere di trapassato astio egli ciò realizza." "Essendogli interiormente inerte accidia realizza: ""è. a me interiormente inerte accidia "". Non essendogli 156 interiormente inerte accidia realizza: "" Non è a me interiormente inerte accidia"". E se a lui che dimora osservando è sorgere di inerte accidia egli ciò realizza. E se a lui che dimora osservando è non più sorgere di tramontata inerte accidia egli ciò realizza." "Essendogli interiormente turbante rimorso realizza: "" Vi è a me interiormente turbante rimorso"". Non essendogli interiormente turbante rimorso realizza: "" Non è a me interiormente turbante rimorso"". E se a lui che dimora osservando è non più sorgere di tramontata inerte accidia egli ciò a lui che dimora osservando è trapassare di turbante rimorso egli ciò realizza. E se a lui che dimora osservando è non più sorgere di

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tramontato turbante rimorso egli ciò realizza." "Essendogli interiormente dubbio egli realizza: "" È a me interiormente dubbio"". Non essendogli interiormente dubbio realizza: "" Non è a me interiormente dubbio "". E se a lui che dimora osservando è sorgere di dubbio egli ciò realizza. E se a lui che dimora osservando è trapassare di dubbio egli ciò realizza. E se a lui che dimora osservando è non più sorgere di trapassati dubbi egli ciò realizza." "Così egli dall'interno degli elementi dimora osservando gli elementi, dal di fuori degli elementi dimora osservando gli elementi, dall'interno e dal di fuori degli elementi dimora osservando gli elementi. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il trapassare degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il sorgere e il trapassare degli elementi tra gli elementi. "" Così sono gli elementi "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei cinque impedimenti." 14. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco negli elementi osservando gli elementi dimora nel quintuplo complesso dell'attaccamento. E come, o monaci, un monaco negli elementi osservando gli elementi dimora nel quintuplo complesso dell'attaccamento ? "Ecco, o monaci, un monaco [così realizza]: Questa la forma, questo il sorgere della forma, questo il trapassare della forma; questa la sensazione, questo il sorgere della sensazione, questo il trapassare della sensazione, questa la coscienza, questo il sorgere della coscienza, questo il trapassare della coscienza; questo il sankhara, questo il sorgere del sankhara, questo il trapassare del sankhara; questo vinnana, questo il sorgere di vinnana, questo il trapassare di vinnana." "Così egli dall'interno degli elementi dimora osservando gli elementi, dal di fuori degli elementi dimora osservando í gli elementi, dall'interno e dal di fuori degli elementi, dimora osservando gli elementi. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il trapassare degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi tre, gli elementi. "" Così sono gli elementi "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nel quintuplo complesso dell'attaccamento."

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l5. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco, negli elementi dimora osservando gli elementi nei sei dominii dell'interno-esterno. E come, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei sei dominii dell'internoesterno? "Ecco, o monaci, un monaco realizza l'occhio, realizza le forme, e la combinazione che da entrambi sorge anche questa realizza. E realizza allorquando è il sorgere di non ancor sorta combinazione, e realizza allorquando è il trapassare della sorta combinazione, e realizza allorquando non è più il sorgere della trapassata combinazione; realizza l'orecchio, realizza i suoni, realizza il naso, realizza gli odori, realizza la lingua, realizza i sapori, realizza il corpo, realizza le cose tangibili, realizza l'intelletto, realizza gli elementi e la combinazione che da entrambi sorge, anche questa realizza. E realizza allorquando è il sorgere della non ancor sorta combinazione, e realizza allorquando è il trapassare della sorta combinazione, e realizza allorquando non è più il sorgere della trapassata combinazione." "Così egli dall'interno degli elementi dimora osservando gli elementi, dal di fuori degli elementi dimora 157 osservando gli elementi, dall'interno e dal di fuori degli elementi dimora osservando gli elementi. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il trapassare degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi tra gli elementi. "" Così sono gli elementi "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo. Così, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei sei dominii dell'interno-esterno." 16. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei sette fattori del risveglio. E come, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei sette fattori del risveglio? "Ecco, o monaci, un monaco essendogli interiormente consapevolezza, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente vi è la consapevolezza, fattore del risveglio "". Non essendogli interiormente la consapevolezza, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente non vi è la consapevolezza, fattore del risveglio"". Sorgendogli interiormente non sorta consapevolezza, fattore del risveglio ciò realizza. Essendogli interiormente completo sviluppo della sorta consapevolezza, fattore del risveglio ciò realizza." "Essendogli interiormente in lui l'esame della Dottrina, fattore del risveglio, realizza: ""In me interiormente

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vi è l'esame della Dottrina, fattore del risveglio"". Non essendogli interiormente l'esame della Dottrina, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente non vi è l'esame della Dottrina, fattore del risveglio"". Sorgendogli interiormente non sorto esame della Dottrina, fattore del risveglio ciò realizza. Essendogli interiormente completo sviluppo del sorto esame della Dottrina, fattore del risveglio ciò realizza, essendogli interiormente la forza, fattore del risveglio realizza: ""In me interiormente vi è la forza, fattore del risveglio "". Non essendogli interiormente la forza, fattore del risveglio, realizza: "" In me interiormente non vi è la forza, fattore del risveglio "". Sorgendogli interiormente non sorta forza, fattore del risveglio ciò realizza. Essendogli interiormente completo sviluppo della sorta forza, fattore del risveglio ciò realizza, essendogli interiormente la beatitudine, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente vi è la beatitudine, fattore del risveglio"". Non essendogli interiormente la beatitudine, fattore del risveglio realizza: ""In me interiormente non vi è la beatitudine, fattore del risveglio "". Sorgendogli interiormente non sorta beatitudine, fattore del risveglio ciò realizza. Essendogli interiormente completo sviluppo della sorta beatitudine, fattore del risveglio ciò realizza, essendogli interiormente la calma, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente vi è la calma, fattore del risveglio"". Non essendogli interiormente la calma, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente non vi è la calma, fattore del risveglio"". Sorgendogli interiormente non sorta calma, fattore del risveglio ciò realizza. Essendogli interiormente completo sviluppo della sorta calma, fattore del risveglio ciò realizza, essendogli interiormente la concentrazione, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente vi è la concentrazione, fattore del risveglio "". Non essendogli interiormente la concentrazione, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente non vi è la concentrazione, fattore del risveglio"". Sorgendogli interiormente non sorta concentrazione, fattore del risveglio ciò realizza. Essendogli interiormente completo sviluppo della sorta concentrazione, fattore del risveglio ciò realizza, essendogli interiormente l'equanimità, fattore del risveglio realizza: ""In me interiormente vi è l'equanimità, fattore di risveglio "". Non essendogli interiormente l'equanimità, fattore del risveglio realizza: "" In me interiormente non vi è l'equanimità, fattore del risveglio"". Sorgendogli non interiormente sorta equanimità, fattore del risveglio ciò realizza. Essendogli completo sviluppo della sorta

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equanimità, fattore del risveglio ciò realizza." "Così egli dall'interno degli elementi osservando gli elementi, dal di fuori degli elementi dimora osservando gli elementi, dall'interno e dal di fuori degli elementi dimora osservando gli elementi. Egli dimora osservando il sorgere degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il trapassare degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi tra gli elementi. "" Così sono gli elementi"", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama nel mondo" 158 Così, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nei sette fattori del risveglio. 17. Ed inoltre ancora, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nelle quattro nobili verità. E come, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nelle quattro nobili verità? "Ecco, o monaci, "" Questo è il dolore"", secondo realtà realizza. "" Questa è l'origine del dolore "", secondo realtà realizza. "" Questa è la fine del dolore "", secondo realtà realizza. "" Questa è la via che mena alla fine del dolore "", secondo realtà realizza." 18. E cosa è, o monaci, la nobile verità sul dolore ? Nascita è dolore, vecchiaia è dolore, morte è dolore, angoscia, lamento, dolore, sofferenza, agitazione, sono dolore, non soddisfare un desiderio anche questo è dolore. In breve il quintuplo complesso dell'attaccamento è dolore. Cosa è, o monaci, la nascita? A questi od a quegli esseri, in questa od in quella classe di esseri, nascere, sorgere, apparire, divenire, manifestarsi di indicazioni, acquistare sfere, questo si dice, o monaci, nascita. Cosa è, o monaci, la vecchiaia ? A questi od a quegli esseri vecchiaia, decadenza, usura, incanutire, raggrinzirsi, diminuire di vitalità, decadere di sensibilità, questo si dice, o monaci, vecchiaia. Cosa è, o monaci, la morte? A questi od a quegli esseri, in questa o in quella classe di esseri, quanto è cessare, essere rimosso, dissolversi, svanire, sparire nella morte, compiere il tempo, dissolversi dei composti, distruzione del cadavere, questo, si dice, o monaci, morte. Cosa è, o monaci, angoscia? A chi, o monaci, è afflitto da una o da un'altra miseria, a chi è afflitto da uno o da un altro elemento doloroso, angoscia, tristezza, melanconia, angoscia della fine, tormento della fine, questo si dice, o monaci, angoscia. Cosa è, o monaci, lamento? A chi, o monaci, è afflitto da una o da un'altra miseria, a chi è afflitto da uno o da

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un altro elemento doloroso, è pianto e lamento, è lacrima e grido, è singhiozzo ed urlo, questo si dice, o monaci, lamento. Cosa è, o monaci, dolore? Ciò che, o monaci, è corporale dolore, corporale scontento, corporale contatto ed esperienza con dolore e scontento, questo si dice, o monaci, dolore. Cosa è, o monaci, sofferenza? Ciò che, o monaci, è intellettuale dolore, intellettuale scontento, intellettuale contatto ed esperienza con dolore e scontento, questo si dice, o monaci, sofferenza. Cosa è, o monaci, agitazione? A chi, o monaci, è afflitto da una o da un'altra miseria, a chi è afflitto da uno o da un altro elemento doloroso, turbamento, agitazione, spavento, terrore, questo si dice, o monaci, agitazione. "E come, o monaci, il non soddisfare al desiderio è dolore ? Agli esseri, o monaci, soggetti all'elemento della nascita il desiderio così sorge: "" Oh, a noi non fosse più l'elemento della nascita, a noi non spettasse più nascita"". Ed invece questo desiderio non è soddisfatto, e così il non soddisfare questo desiderio è dolore. Agli esseri, o monaci, soggetti all'elemento malattia il desiderio così sorge: ""Oh, a noi non fosse più l'elemento della malattia, a noi non spettasse più malattia"". Ed invece questo desiderio non è soddisfatto, e così il non soddisfare questo desiderio è dolore. Agli esseri, o monaci, soggetti all'elemento vecchiaia il desiderio Così sorge: "" Oh, a noi non fosse più l'elemento della vecchiaia, a noi non spettasse più vecchiaia"". Ed invece questo desiderio non è soddisfatto, e così il non soddisfare questo desiderio è dolore. Agli esseri, o monaci, soggetti all'elemento morte il desiderio così sorge: "" Oh, a noi non fosse più l'elemento della morte, a noi non spettasse più morte "". Ed invece questo desiderio non è soddisfatto, e Così il non soddisfare questo desiderio è dolore. Agli esseri, o monaci, soggetti agli elementi angoscia, lamento, dolore, sofferenza, agitazione, così il desiderio sorge: "" Oh, a noi non fossero più gli elementi angoscia, lamento, dolore, sofferenza, agitazione"". Ed invece questo desiderio non è soddisfatto, e così il non soddisfare questo desiderio è dolore." E come, o monaci, in breve, il quintuplo complesso dell'attaccamento è dolore ? Cioè la componente dell'attaccamento alla forma, la componente dell'attaccamento alla sensazione, la componente dell'attaccamento alla percezione, la componente dell'attaccamento all'indicazione, la componente 159 dell'attaccamento alla coscienza, queste, in breve, il quintuplo complesso dell'attaccamento al dolore, sé dicono dolore. Questa, o monaci, vien detta la nobile verità sul dolore.

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l9. Cosa è, o monaci, la nobile verità sull'origine del dolore ? Vi è la sete, legante alla nascita, accompagnata da passione per i diletti, qua e là molto dilettevole, come sete di brama, sete di esistere, sete di riesistere. E col sorgere di che, o monaci, sorge la sete? E con lo stabilirsi di che si stabilisce la sete? Vi sono nel mondo le forme piacevoli, le forme gradevoli, e col sorgere di queste sorge la sete, collo stabilirsi di queste si stabilisce la sete. "Cosa è nel mondo forma piacevole, forma gradevole? Nel mondo l'occhio è forma piacevole, forma gradevole, col suo sorgere sorge la sete, col suo stabilirsi si stabilisce la sete; nel mondo l'orecchio, il naso, la lingua, il corpo (4), la mente sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete." Nel mondo le forme (5), i suoni, gli odori, i gusti, le cose tangibili, i pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Nel mondo vinnana (5) visivo, vinnana uditivo, vinnana olfattivo, vinnana gustativo, vinnana tattile, vinnana mentale, sono forme piacevoli, forme gradevoli, col sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Nel mondo il contatto visivo, il contatto uditivo, il contatto olfattivo, il contatto gustativo, il contatto tattile, il contatto mentale sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. ! Nel mondo la sensazione per contatto visivo, la sensazione per contatto uditivo, la sensazione per contatto olfattivo, la sensazione per contatto gustativo, la sensazione per contatto tattile, la sensazione per contatto mentale sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Nel mondo la coscienza delle forme, la coscienza dei suoni, la coscienza degli odori, la coscienza dei gusti, la coscienza dei contatti, la coscienza dei pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Nel mondo il giudizio sulla forma, il giudizio sul suono, il giudizio sull'odore, il giudizio sul gusto, il giudizio su cose tangibili, il giudizio sul pensiero sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Nel mondo la sete di forme, la sete di suoni, la sete di odori, la sete di gusti, la sete di cose tangibili, la sete di

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pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Nel mondo la riflessione sulle forme, la riflessione sui í suoni, la riflessione sugli odori, la riflessione sui gusti, la riflessione sui contatti, la riflessione sui pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Nel mondo l'osservazione (7) delle forme, l'osservazione dei suoni, l'osservazione degli odori, l'osservazione dei gusti, l'osservazione dei contatti, l'osservazione dei pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro sorgere sorge la sete, col loro stabilirsi si stabilisce la sete. Questa, o monaci, vien detta la nobile verità sull'origine del dolore. 20. Cosa è, o monaci, la nobile verità sulla fine del dolore ? Quando vi è fine della sete per completa indifferenza, rinuncia, abbandono, liberazione, disabitudine [vi è la fine del dolore] . E dunque, o monaci, con lo svanire di che la sete svanisce, col cessare di che la sete cessa ? Vi sono nel mondo forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. E cosa è nel mondo forma piacevole, forma gradevole? Nel mondo l'occhio, l'orecchio, il naso, la lingua, il corpo, la mente sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare 160 cessa la sete. Nel mondo le forme, i suoni, gli odori, i gusti, le cose tangibili, i pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo vinnana visivo, vinnana uditivo, vinnana olfattivo, vinnana gustativo, vinnana tattile, vinnana mentale sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo il contatto visivo, il contatto uditivo, il contatto olfattivo, il contatto gustativo, il contatto tattile, il contatto mentale sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo la sensazione per contatto visivo, la sensazione per contatto uditivo, la sensazione per contatto olfattivo, la sensazione per contatto gustativo, la sensazione per contatto tattile, la sensazione per contatto mentale sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo la coscienza delle forme, la coscienza dei Suoni, la coscienza degli odori, la coscienza dei gusti,

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la coscienza delle cose tangibili, la coscienza dei pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo il giudizio sulla forma, il giudizio sul suono, il giudizio sull'odore, il giudizio sul gusto, il giudizio sulle cose tangibili, il giudizio sul pensiero sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo la sete di forme, la sete di suoni, la sete di odori, la sete di gusti, la sete di cose tangibili, la sete di pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo la riflessione sulle forme, la riflessione sui suoni, la riflessione sugli odori, la riflessione sui gusti, la riflessione sui contatti, la riflessione sui pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Nel mondo l'osservazione delle forme, l'osservazione dei suoni, l'osservazione degli odori, l'osservazione dei gusti, l'osservazione dei contatti, l'osservazione dei pensieri sono forme piacevoli, forme gradevoli, col loro svanire svanisce la sete, col loro cessare cessa la sete. Questa, o monaci, vien detta la nobile verità sulla fine del dolore. 21. Cosa è, o monaci, la nobile verità sulla via che mena alla fine del dolore? Il nobile ottuplice sentiero, o monaci, cioè: retta opinione, retta intenzione, retta vita, retto esercizio, retta consapevolezza, retta concentrazione. Cosa è, o monaci, retta opinione? Quella che è, o monaci, conoscenza del dolore, conoscenza dell'origine del dolore, conoscenza della fine del dolore, conoscenza della via che mena alla fine del dolore. Questa, o monaci, vien detta retta opinione. Cosa è, o monaci, retta intenzione? Quella che è intenzione di astenersi da bramare, che è intenzione di astenersi da astio, che è intenzione di astenersi da crudeltà. Questa, o monaci, vien detta retta 161 intenzione. Cosa è, o monaci, retta parola? l'astenersi da parola falsa, l'astenersi da parola calunniosa, l'astenersi da parola aspra, l'astenersi da parola frivola. Questa, o monaci, vien detta retta parola. Cosa è, o monaci, retta azione? l'astenersi dall'uccidere, l'astenersi dal non dato, l'astenersi da cattivo comportamento per brame. Questo, o monaci, vien detta retta azione. Cosa è, o monaci, retta vita?

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Ecco, o monaci, un nobile discepolo, abbandonata una vita opposta, intraprende un modo di vivere secondo retta vita. Questa, o monaci, vien detta retta vita. Cosa è, o monaci, retto esercizio? Ecco, o monaci, un monaco dirige ed esercita la volontà a che non sorgano non sorti cattivi non salutari elementi, raggiunge la forza, applica ed esercita la mente. Dirige ed esercita la volontà ad abbandonare sorti cattivi non salutari elementi, raggiunge la forza, applica ed esercita la mente. Dirige ed esercita la volontà a far sorgere non sorti salutari elementi, raggiunge la forza, applica ed esercita la mente. Dirige ed esercita la volontà a far permanere, a non confondere, ad incrementare, a sviluppare, a coltivare, a perfezionare, sorti salutari elementi, raggiunge la forza, applica ed esercita la mente. Questa, o monaci, vien detta retto sforzo. Cosa è, o monaci, retta consapevolezza ? "Ecco, o monaci, un monaco dimora nel corpo osservando il corpo, strenuo, presente, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza; dimora nella sensazione osservando la sensazione, strenua, presente, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza; dimora nella mente osservando la mente, strenua, presente, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza; dimora tra gli elementi osservando gli elementi, strenuo, presente, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. Questa, o monaci, vien detta retta consapevolezza." Cosa è, o monaci, retta concentrazione? "Ecco, o monaci, un monaco lungi da elementi non salutari raggiunta la riflettente, osservante, nata da distacco beata serenità, prima esperienza raggiunta dimora. Riflessione ed osservazione quietate, l'interna tranquillità della mente, l'unità dell'essere, la non riflettente non osservante, nata di concentrazione, beata serenità, seconda esperienza raggiunta dimora. Superata la beatitudine, in assenza di ogni alterità, equanime dimora, e prova nel corpo quella serenità per cui i nobili dicono: ""l'equanime savio dimora sereno"", e terza esperienza raggiunta dimora. Ed ancora superando la gioia, superando il dolore, purificandosi da precedenti euforie o sofferenze, raggiunta la priva di dolore, la priva di gioia, equanime, consapevole, perfetta, quarta esperienza raggiunta dimora. Questa, o monaci, vien detta retta concentrazione." Questa, o monaci, vien detta la nobile verità sulla via che mena alla fine del dolore. "Così egli dall'interno degli elementi dimora osservando gli elementi, dal di fuori degli elementi dimora osservando gli elementi, dall'interno e dal di fuori degli elementi dimora osservando gli elementi. Egli

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dimora osservando il sorgere degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il trapassare degli elementi tra gli elementi, dimora osservando il sorgere ed il trapassare degli elementi tra gli elementi. "" Così sono gli elementi "", e pertanto in lui questa consapevolezza è di fondamento, perché a lui è base di sapere, è base di più alta consapevolezza. Ed egli vive libero e nulla brama al mondo. Così, o monaci, un monaco negli elementi dimora osservando gli elementi nelle quattro nobili verità." "22. E colui, o monaci, che questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per sette anni, di questi due frutti un frutto consegue: ""la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, sei anni. Chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per sei anni, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, cinque anni. Chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per cinque anni, di questi due frutti un frutto ne consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, quattro anni. Chi questi quattro 162 pilastri della consapevolezza così pratica per quattro anni, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, tre anni. Chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per tre anni, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, due anni. Chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per due anni, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimanga, o monaci, un anno. Chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per un anno, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza in una esistenza senza ritorno. Rimanga, o monaci, un anno, chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per sette mesi, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, sei mesi, chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per sei mesi, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, cinque mesi, chi

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questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per cinque mesi, di questi due frutti un frutto consegue o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, quattro mesi, chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per quattro mesi, di questi due frutti un frutto consegue o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, tre mesi, chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per tre mesi, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimangano, o monaci, due mesi, chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per un mese, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimanga, o monaci, un mese, chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per mezzo mese, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno. Rimanga, o monaci, mezzo mese, chi questi quattro pilastri della consapevolezza così pratica per sette giorni, di questi due frutti un frutto consegue: o la sapienza negli elementi visibili o la consapevolezza di una esistenza senza ritorno." "La via, o monaci, ad una unica meta, alla purificazione degli esseri, al superamento del pianto e del lamento, all'allontanamento del dolore e della sofferenza, al comparire del giusto metodo per la realizzazione dell'estinzione è quella dei quattro pilastri della consapevolezza. Questo è detto e questo è il motivo per cui è detto ""." Così parlò il Sublime. Contenti i monaci si rallegrarono alla parola del Sublime. MAHA SATIPATTHANA SUTTANTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) MAHANIDANASUTTANTA (GRANDE DIALOGO DELLE CAUSE) Così ho sentito: 1. Un tempo il Sublime dimorava tra i Kuru, in un villaggio dei Kuru di nome Kammassadhamma. Allora il 163 venerabile Ananda si diresse là dove era il Sublime e avvicinatolo, dopo averlo salutato, gli sedé accanto. Accanto seduto, il venerabile Ananda così disse al Sublime: È meraviglioso, o signore, è straordinario, o signore, come generalmente sia, o signore, difficile l'origine da precedenti, difficile a capire. Invece a me appare assai facile .

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Non dire, così, o Ananda, non dire così, o Ananda. Difficile, o Ananda, è l'origine da precedenti, difficile a capire. Senza la comprensione, senza l'approfondimento di questa dottrina, non si supera il ciclo delle generazioni, aggrovigliato come una matassa, immerso nelle tenebre, simile a cespugli di erba pungente e tagliente (1), sfuggente, doloroso, ruinoso samsara. "2. "" Esiste un presupposto a vecchiaia e morte? "". Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: ""Esiste"". ""Quale è il presupposto a vecchiaia ed a morte?"". Così può essere chiesto. ""Nascita è presupposto a vecchiaia e morte "". Così è da rispondere." " Esiste un presupposto a nascita? . Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste""." " Quale è il presupposto a nascita ? . Così può essere chiesto. "" Esistenza è il presupposto a nascita "". Così è da rispondere." " Esiste un presupposto ad esistenza? . Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste "". "" Quale è il presupposto ad esistenza ? "". Così può essere chiesto. "" Attaccamento è il presupposto ad esistenza "". Così è da rispondere." " Esiste un presupposto ad attaccamento ? . Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste "". "" Quale è il presupposto ad attaccamento?"". Così può essere chiesto. "" La sete è il presupposto ad attaccamento"". Così è da rispondere." "Esiste un presupposto a sete?. Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste "". ""Quale è il presupposto a sete?"". Così può essere chiesto. "" Sensazione è il presupposto a sete "". Così è da rispondere." " Esiste un presupposto a sensazione ? . Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste "". "" Quale è il presupposto a sensazione? "". Così può essere chiesto. "" Contatto è presupposto alla sensazione "". Così è da rispondere." "Esiste un presupposto a contatto?. Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste "". "" Quale è il presupposto a contatto ? "". Così può essere chiesto. "" Nome e forma è il presupposto a contatto "". Così è da rispondere." " Esiste un presupposto a nome e forma ? . Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste "". "" Quale è il presupposto a nome e forma ? "". Così può essere chiesto. "" Vinnana è il presupposto a nome e" "forma "". Così è da rispondere."

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"Esiste un presupposto a Vinnana?. Così, o Ananda, alla domanda in piena consapevolezza è da rispondere: "" Esiste "". "" Quale è il presupposto a vinnana? "". Così può essere chiesto. "" Nome e forma è il presupposto a vinnana "". Così è da rispondere." 3. Così, o Ananda, nome e forma è il presupposto a vinnana, vinnana è presupposto a nome e forma, nome e forma è presupposto a contatto, contatto è presupposto a sensazione, sensazione è presupposto a sete, sete è presupposto ad attaccamento, attaccamento è presupposto ad esistenza, esistenza è presupposto a nascita, nascita è presupposto a vecchiaia e morte, vecchiaia, morte, angoscia, lamento, dolore, sofferenza, agitazione, si perpetuano. Così è l'origine dell'intero complesso del dolore. "4. Nascita è presupposto a vecchiaia e morte. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" nascita è presupposto a vecchiaia e morte "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più nascita, cioè: agli dèi nei cieli, ai Gandhabba (2) nel loro regno, agli Yakka (3) nel loro regno, agli spiriti nel loro regno, agli uomini nel loro regno, ai quadrupedi nel loro regno, agli uccelli nel loro regno, ai serpenti nel loro regno e a questi ed a quegli esseri, o Ananda, ovunque, più non fosse nascita, se completamente vi fosse il cessare della nascita, colla distruzione della 164 nascita forse che si sperimenterebbe ancora vecchiaia e morte?""." " ""No di certo, o signore ""." Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto della vecchiaia e della morte: la nascita. "5. Esistenza è il presupposto di nascita. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" Esistenza è presupposto di nascita "". Se, o Ananda totalmente completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più esistenza; cioè: l'esistenza passionale, l'esistenza formale, l'esistenza priva di forma (4), se completamente vi fosse il cessare dell'esistenza, colla distruzione dell'esistenza forse che si sperimenterebbe ancora nascita? ""." " No di certo, o signore""." Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto della nascita: l'esistenza. "6. Attaccamento è presupposto ad esistenza. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" Attaccamento è presupposto ad esistenza"". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque, non fosse più attaccamento; cioè: l'attaccamento alla passione, l'attaccamento ai rituali, l'attaccamento all'opinione, l'attaccamento all'affermazione dell'io, se

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completamente vi fosse il cessare dell'attaccamento, colla distruzione dell'attaccamento forse che si sperimenterebbe ancora l'esistenza? ""." No di certo, o signore . Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto dell'esistenza: l'attaccamento. "7. Sete è il presupposto ad attaccamento. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" sete è il presupposto ad attaccamento "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più sete; cioè: la sete di forme, la sete di suoni, la sete di odori, la sete di sapori, la sete di cose tangibili, la sete di pensieri, se completamente vi fosse il cessare della sete, colla distruzione della sete forse che si sperimenterebbe ancora l'attaccamento? """ No di certo, o signore . Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto ad attaccamento: la sete. 8. Sensazione è il presupposto a sete. Così invero ciò si "dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" sensazione è il presupposto a sete "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più sensazione: cioè la sensazione attraverso il contatto dell'occhio, la sensazione attraverso il contatto dell'orecchio, la sensazione attraverso il contatto del naso, la sensazione attraverso il contatto della lingua, la sensazione attraverso il contatto del corpo, la sensazione attraverso il contatto della mente, se completamente, vi fosse il cessare della sensazione, colla distruzione della sensazione forse che si sperimenterebbe ancora la sete ? ""." No di certo, o signore. Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto della sete: la sensazione. 9. Così, o Ananda', la sensazione è origine della sete, la sete è origine della ricerca, la ricerca è origine dell'assunzione, l'assunzione è origine del gradimento, il gradimento è origine del desiderio turbante, il desiderio turbante è origine del possesso, il possesso è origine della proprietà, la proprietà è origine dell'avarizia, l'avarizia è origine della tesaurizzazione, a scopo di tesaurizzare l'armarsi di mazza, l'armarsi di spada, guerra, conquista, litigio, discussione, calunnia, menzogna e più di un elemento torbido, non salutare si manifesta. "10 A scopo di tesaurizzare è l'armarsi di mazza, l'armarsi di spada, la guerra, la conquista, il litigio, la

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discussione, la calunnia, la menzogna e più di un elemento torbido, non salutare si manifesta. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" a scopo di tesaurizzare è l'armarsi di 165 mazza, l'armarsi di spada, la guerra, la conquista, il litigio, la discussione, la calunnia, la menzogna e più di un elemento torbido, non salutare si manifesta"". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a" "ciascuno, ovunque non fosse più tesaurizzare forse che si manifesterebbe ancora l'armarsi di spada, l'armarsi di mazza, la guerra, la conquista, il litigio, la discussione, la calunnia, la menzogna e più di un elemento torbido, non salutare?""." No di certo, o signore . Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto dell'armarsi di mazza, dell'armarsi di spada, della guerra, della conquista, del litigio, della discussione, della calunnia, della menzogna e del manifestarsi di più di un elemento torbido, non salutare: la tesaurizzazione: "11. Avarizia è origine di tesaurizzazione. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" avarizia è origine di tesaurizzazione "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più avarizia, se completamente vi fosse il cessare dell'avarizia, colla distruzione dell'avarizia forse che si sperimenterebbe ancora tesaurizzazione ? ""." " ""No di certo, o signore ""." Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questo è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di tesaurizzazione: avarizia. "12. Proprietà è origine dell'avarizia. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" proprietà è origine di avarizia ""; Se, o Ananda, totale mente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse pi¢ proprietà, se completamente vi fosse il cessare di proprietà, colla distruzione di proprietà forse che si sperimenterebbe ancora avarizia? ""." No di certo, o signore . Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di avarizia: proprietà. "13. Possesso è origine di proprietà. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" possesso è origine di proprietà "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più possesso, se completamente vi fosse il cessare del possesso, colla distruzione del possesso forse che si sperimenterebbe ancora proprietà ? ""." No di certo, o signore.

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Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di proprietà: possesso. "14. Desiderio turbante ' è origine di possesso. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" desiderio turbante è origine di possesso "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più desiderio turbante, se completamente vi fosse il cessare di desiderio turbante, colla distruzione del desiderio turbante forse che si sperimenterebbe ancora possesso? ""." "No di certo, o signore ""." Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di possesso: desiderio turbante. "15. Compiacimento è origine di desiderio turbante. Così invero ciò si dice. Ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" compiacimento è origine di desiderio turbante"". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più compiacimento, se completamente vi fosse il cessare di compiacimento, colla distruzione di compiacimento forse che si sperimenterebbe ancora desiderio turbante ? "" ." No di certo, o signore . Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di desiderio turbante: compiacimento. "10. Assunzione "" è origine di compiacimento. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" assunzione è origine di compiacimento "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più assunzione, se completamente vi fosse il cessare di assunzione, colla 166 distruzione di assunzione forse che si sperimenterebbe ancora compiacimento? ""." "No di certo, o signore ""." Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di compiacimento: assunzione. "17. Ricerca (9) è origine di assunzione. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: "" ricerca è origine di assunzione "". Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse pi? ricerca, se completamente vi fosse il cessare di ricerca, colla distruzione di ricerca forse che si sperimenterebbe ancora assunzione ? ""." "No di certo, o signore . ""Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questo è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di assunzione ricerca. "

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"18. Sete è origine di ricerca. Così invero ciò si dice, ma in forza del seguente argomento che si può dire così: "" sette è origine di ricerca"". Se, o Ananda, totalmente, completo mente, a ciascuno, ovunque non fosse più sete, se completamente vi fosse il cessare della sete, colla distruzione della sete forse che si sperimenterebbe ancora ricerca? ""." No di certo, o signore . Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di ricerca: la sete. Così, o Ananda, queste due dottrine, sono ricondotte tutte e due alla sensazione. "19. Contatto (10) è presupposto di sensazione. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: contatto è presupposto di sensazione. Se, o Ananda, totalmente, completamente, a ciascuno, ovunque non fosse più contatto, cioè: il contatto dell'occhio, il contatto dell'orecchio, il contatto del naso, il contatto della lingua, il contatto del corpo, il contatto della mente, se completamente vi fosse il cessare di contatto, colla distruzione di contatto forse che si sperimenterebbe ancora sensazione? "". ""No di certo, o signore""." Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di sensazione: contatto. "20. Nome e forma è presupposto di contatto. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: ""nome e forma è presupposto di contatto"". O Ananda, da certi attributi, da certi organi, da certi fenomeni, da certe espressioni viene la facoltà conoscitiva dell'aggregato nominale (11). Ma se in questi attributi, in questi organi, in questi fenomeni, in queste espressioni fosse cessazione, forse che nell'aggregato formale si sperimenterebbe il contatto indicante? ""." No di certo, o signore . O Ananda, da certi attributi, da certi organi, da certi fenomeni, da certe espressioni viene la facoltà conoscitiva dell'aggregato formale: ma se in questi attributi, in questi organi in questi fenomeni, in queste espressioni, fosse cessazione forse che nell'aggregato nominale si sperimenterebbe il contatto reattivo ? . No di certo, o signore . O Ananda, da certi attributi, da certi organi, da certi fenomeni, da certe espressioni viene la facoltà conoscitiva dell'aggregato nominale e dell'aggregato formale: ma se in questi attributi, in questi organi, in questi fenomeni, in queste espressioni fosse cessazione, forse che si sperimenterebbe il contatto indicante ed il contatto reattivo?.

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"No di certo, o signore ""." O Ananda, da certi attributi, da certi organi, da certi fenomeni, da certe espressioni, viene la facoltà conoscitiva di nome e forma: ma se in questi attributi, in questi organi, in questi fenomeni, in queste espressioni fosse cessazione, forse che si sperimenterebbe il contatto? . No di certo, o signore. Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di contatto: nome e forma. "21. Vinnana è presupposto di nome e forma. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento 167 che si può dire così: "" vinnana è il presupposto di nome e forma "". Se, o Ananda, vinnana (12) non si introducesse nell'utero della madre, forse che nell'utero della madre, si determinerebbe nome e forma? ""." "No di certo, o signore ""." Se, o Ananda, vinnana, introdottosi nell'utero della madre, deviasse, forse che nome e forma si manifesterebbe alla stato normale? . . No di certo, o signore. Se, o Ananda, vinnana di un infante fosse strappato all bimbo od alla bimba, forse che nome e forma prosperamente, felicemente, favorevolmente si svilupperebbe? . No di certo, o signore . Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di nome e forma: vinnana. "22. Nome e forma è presupposto a vinnana. Così invero ciò si dice, ma è in forza del seguente argomento che si può dire così: ""nome e forma è presupposto di vinnana"". Se, o Ananda, vinnana non trovasse il suo supporto in nome e forma, forse che si sperimenterebbe il futuro, la nascita, la vecchiaia, la morte, il dolore, l'angoscia, l'esistenza? ""." " No di certo, o signore""." Pertanto, o Ananda, proprio questo è il motivo, questa è l'origine, questa è la radice, questo è il presupposto di vinnana: nome e forma. "Proprio così, o Ananda, si sorge, si declina, si muore, si trapassa, si risorge; proprio in conseguenza di ciò si sviluppa il processo semantico, il processo logico, il processo delle idee, il processo della conoscenza, proprio così turbina il ciclo del samsara nel normale stato del conoscere, così si unisce nome e forma a vinnana." "23. E come, o Ananda, coloro che definiscono l'anima la definiscono? Colui che definisce l'anima formale e finita proprio così definisce: ""formale e finita secondo me è l'anima"" Colui che definisce l'anima formale e

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infinita proprio così definisce: ""formale ed infinita secondo me è l'anima"" Colui che definisce l'anima priva di forma e finita proprio così definisce: "" priva di forma e finita secondo me è l'anima"" Colui che definisce l'anima priva di forma ed infinita proprio così definisce: ""priva di forma ed infinita secondo me è l'anima""." "24. Dunque, o Ananda, colui che definisce l'anima formale e finita proprio la definisce, e sia che la definisca immediatamente, sia che la definisca dietro deduzione, sempre in lui così è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità "". E così essendo, costui ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima formale e finita." "Dunque, o Ananda, colui che definisce l'anima formale ed infinita proprio la definisce, e sia che la definisca immediatamente, sia che la definisca dietro deduzione, sempre in lui così è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità"". E così essendo, costui ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima formale ed infinita." "Dunque, o Ananda, colui che definisce l'anima priva di forma e finita proprio la definisce, e sia che la definisca immediatamente, sia che la definisca dietro deduzione, sempre in lui così è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità"". E così essendo costui ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima priva di forma e finita." "Dunque, o Ananda, colui che definisce l'anima priva di forma ed infinita proprio la definisce, e sia che la definisca immediatamente, sia che la definisca dietro deduzione, sempre in lui così è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità"". E così essendo costui ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima priva di forma ed (1) infinita. Proprio così, o Ananda, definiscono coloro che definiscono l'anima." "25. E come, o Ananda, coloro che non definiscono l'anima non la definiscono? Colui che non definisce l'anima formale e finita non così definisce: "" formale e finita secondo me è l'anima "". Colui che non definisce l'anima formale ed infinita non così definisce: "" formale ed infinita secondo me è l'anima"". Colui 168 che non definisce l'anima priva di forma e finita non così definisce: "" priva di forma e finita secondo me è l'anima"". Colui che non definisce l'anima priva di forma ed infinita non così definisce: "" priva di forma ed infinita i secondo me è l'anima ""."

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"26. Dunque, o Ananda, colui che non definisce l'anima formale e finita proprio non la definisce, e sia che non la definisca immediatamente, sia che non la definisca dietro deduzione, mai in lui così non è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità"". E così essendo costui non ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima formale e finita." "Dunque, o Ananda, colui che non definisce l'anima formale ed infinita proprio non la definisce, e sia che non la definisca immediatamente, sia che non la definisca dietro deduzione, mai in lui così è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità "". E così essendo costui non ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima formale ed infinita." "Dunque, o Ananda, colui che non definisce l'anima priva di forma e finita proprio non la definisce, e sia che non la definisca immediatamente, sia che non la definisca dietro deduzione, mai in lui così è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità"". E così essendo costui non ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima priva di forma e finita." "Dunque, o Ananda, colui che non definisce l'anima priva di forma ed infinita proprio non la definisce, e sia che non la definisca immediatamente, sia che non la definisca dietro deduzione, mai in lui così è: "" se anche ciò non è certo, me ne servirò lo stesso come di verità "". E così essendo costui non ripete continuamente nel discorso la sua opinione sull'anima priva di forma ed infinita. Proprio così, o Ananda, non definiscono coloro che non definiscono l'anima." "27 . E come, o Ananda, coloro che introspezionano l'anima, la introspezionano? Vi è, o Ananda, chi introspezionando l'anima, introspeziona la sensazione: ""la sensazione secondo me è l'anima "". Oppure: "" non la sensazione secondo me è l'anima, la cessazione della sensazione secondo me è l'anima "". Oppure: "" non la sensazione secondo me è l'anima, non la cessazione della sensazione secondo me è l'anima, l'anima da me è sentita come la capacità di sentire, questo secondo me è l'anima"". Così, o Ananda, coloro che introspezionano l'anima introspezionano." "28. Dunque, o Ananda, a colui che così afferma: "" sensazione è l'anima "", è da rispondere: "" vi sono, o amico, queste tre sensazioni: la sensazione piacevole, la sensazione dolorosa, la sensazione indifferente. Quali di queste tre sensazioni tu introspezioni come anima'"". Nel momento, o Ananda, in cui ottenendola, percepisci sensazione piacevole, in quel momento non percepisci sensazione dolorosa, né percepisci

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sensazione indifferente. In quel momento in cui ottenendola percepisci sensazione dolorosa, in quel momento non percepisci sensazione piacevole, né percepisci sensazione indifferente. In quel momento in cui ottenendola percepisci sensazione indifferente, in quel momento non percepisci sensazione piacevole, né percepisci sensazione dolorosa." "29. La sensazione piacevole, o Ananda, è impermanente, condizionata, originata da precedenti, soggetta al decadere, soggetta al trapassare, soggetta allo svanire, soggetta alla distruzione. La sensazione dolorosa, o Ananda, è impermanente, condizionata, originata da precedenti, soggetta al decadere, soggetta al trapassare, soggetta allo svanire, soggetta alla distruzione. La sensazione indifferente, o Ananda, è impermanente, condizionata, originata da precedenti, soggetta al decadere, soggetta al trapassare, soggetta allo svanire, soggetta alla distruzione. Allora a colui che sperimenta sensazione piacevole dovrebbe essere: "" questa è l'anima "", ma collo sparire della sensazione piacevole così dovrebbe essere: "" a me sparì l'anima"". A colui che sperimenta sensazione dolorosa dovrebbe essere: "" questa è l'anima "", ma collo sparire della sensazione dolorosa così dovrebbe essere: ""a me spari l'anima"". A colui che sperimenta sensazione indifferente dovrebbe essere: "" questa è l'anima "", ma collo sparire della sensazione indifferente così dovrebbe essere: ""a me sparì l'anima "". Così coloro che affermano: "" sensazione per me è l'anima"", introspezionando nel campo della sensazione, introspezionano l'impermanenza, il dolore mescolato al piacere, la legge del sorgere e del trapassare. Pertanto, o Ananda, non si può introspezionando affermare: "" la sensazione per me è l'anima ""." 169 "30. Ecco, o Ananda, a colui che così afferma: ""non la sensazione secondo me è l'anima, la cessazione della sensazione secondo me è l'anima "", così è da rispondere: "" quando, o amico, totalmente manca il sentire, allora forse sussiste: ' io sono? ' "" ""." No di certo, o signore . " Pertanto, o Ananda, non si può introspezionando affermare: non la sensazione secondo me è l'anima, la cessazione della sensazione secondo me è l'anima ""." "31. Ecco, o Ananda, a colui che così afferma: "" non la sensazione secondo me è l'anima, né la cessazione della sensazione, l'anima è da me intesa come la facoltà di sentire"", così è da rispondere: "" se, o amico, la sensazione totalmente, completamente fosse distrutta, colla cessazione di ogni sensazione, colla distruzione

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della sensazione forse che sussisterebbe: ' io sono questo ? ' "" ""." No di certo, o signore. " Pertanto, o Ananda, non si può introspezionando affermare: non la sensazione secondo me è l'anima, non la cessazione della sensazione, l'anima è da me intesa come la facoltà senziente ""." "32. Ma, o Ananda, un monaco non così introspeziona l'anima nella sensazione, non introspeziona l'anima nella cessazione della sensazione, non così introspeziona: "" da me così è intesa l'anima: l'anima è la facoltà senziente"". Egli così non introspezionando, non è attaccato, è libero da attaccamento, non si agita, calmo, isolato, totalmente si estingue: "" Esausta la vita, estinta la condizione di purezza, fatto ciò che si doveva fare, non esiste più alcuno stato condizionato "", così comprende." "E se qualcuno interroga così un monaco dalla mente emancipata: ""esiste il Compiuto dopo la morte?"", ciò per lui l'opinione da scartare. "" Non esiste il Compiuto dopo la morte?"", ciò per lui è opinione da scartare. ""Esiste e non esiste il Compiuto dopo la morte? "", ciò per lui è opinione da scartare. "" Non esiste e non non esiste il Compiuto dopo la morte? "", ciò per lui è opinione da scartare. E quale è il motivo di ciò? Quanto è, o Ananda, nei confronti della semantizzazione e del processo semantico, nei confronti della logica, e del processo logico, nei confronti delle idee e del processo delle idee, nei confronti della conoscenza e del processo della conoscenza, nei confronti del ciclo del samsara e di ciò che gira il ciclo del samsara, ciò un monaco emancipato, possessore del sapere, non considera, non se ne occupa, per lui" opinione, cosa da scartare. 33. Vi sono, o Ananda, sette stazioni di vinnana e due dyatana, Quali sette? Vi sono degli esseri aventi corpo non semplice e coscienza non semplice. Cioè alcuni uomini cd alcuni dèi, ed i soggetti alla rovina. Questa è la prima stazione di vinnana. Vi sono, o Ananda, degli esseri aventi corpo non semplice e coscienza semplice, cioè gli dèi del coro di Brahma che sono alla loro prima esistenza. Questa è la seconda stazione di vinnana. Vi sono, o Ananda, degli esseri che hanno corpo semplice e coscienza non semplice: gli dèi Abhassara. Questa è la terza stazione di vinnana. Vi sono, o Ananda, degli esseri che hanno corpo semplice e coscienza semplice: gli dèi Subhakinna. Questa è la quarta stazione di vinnana. "Vi sono, o Ananda, degli esseri che hanno totalmente sorpassate le coscienze formali, che col tramontare delle coscienze dovute a reazioni sensorie, distolta la mente dalle coscienze non semplici, ""infinito è lo spazio"", vivono nel dominio dello spazio infinito. Questa è la quinta stazione di vinnana."

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"Vi sono, o Ananda, degli esseri che, superato il dominio dello spazio infinito, "" infinito è vinnana "", vivono nel dominio del vinnana infinito. Questa è la sesta stazione di vinnana." "Vi sono, o Ananda, degli esseri che, superato il dominio del vinnana infinito, "" non vi è alcunché "", vivono nel dominio del non vi è alcunché. Questa è la settima stazione di vinnana." Vi è l'ayatana degli esseri inconsci, e l'ayatana degli esseri non consci né inconsci: questi due. 34. Dunque, o Ananda, forse colui che è intento a giocare nella prima stazione di vinnana, con corpo non semplice, coscienza non semplice, cioè qualche uomo e qualche dio, forse che questa situazione realizza, forse che di questa 170 realizza il sorgere, di questa realizza il tramontare, di questa realizza la sazietà, di questa realizza il disgusto, da questa "realizza la salvezza? ""." " ""No di certo, o signore ""." o Dunque, o Ananda, vi sono degli esseri aventi corpo non semplice e coscienza semplice, cioè gli dèi del coro di Brahma che sono alla loro prima esistenza. Questa è la seconda stazione di vinnana. Dunque, o Ananda, vi sono degli esseri che hanno corpo semplice e coscienza non semplice: gli dèi Abhassara. Questa è la terza stazione di vinnana. Dunque, o Ananda, vi sono degli esseri che hanno corpo semplice e coscienza semplice: gli dèi Subhakinna. Questa la quarta stazione di vinnana. Vi sono, o Ananda, degli esseri che hanno totalmente sorpassate le coscienze formali, che col tramontare delle coscienze dovute a reazioni sensorie, distolta la mente dalle "coscienze non semplici, ""infinito è lo spazio"", vivono nel" dominio dello spazio infinito. Questa è la quinta stazione di vinnana. Dunque, o Ananda, vi sono degli esseri che, superato il "dominio dello spazio infinito, "" infinito è vinnana "", vivono" nel dominio del vinnana infinito. Questa è la sesta stazione di vinnana. Dunque, o Ananda, forse colui che è intento a giocare "nella settima stazione di vinnana "" non vi è alcunché "", forse" "che questa situazione realizza; forse che di questa realizza" ` il sorgere, di questa realizza il tramontare, di questa realizza la sazietà, di questa realizza il disgusto, da questa realizza "la salvezza? ""." No di certo, o signore . Dunque, o Ananda, forse colui che è nell'ayatana degli esseri inconsci, forse che questa situazione realizza, forse che di questa realizza il sorgere, di questa realizza il tramontare, di questa realizza la sazietà, di questa realizza il disgusto, da questa realizza la salvezza? . No di certo, o signore .

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Dunque, o Ananda, forse colui che è nell'ayatana degli esseri non consci, né inconsci, forse che questa situazione realizza, forse che di questa realizza il sorgere, di questa realizza il tramontare, di questa realizza la sazietà, di questa realizza il disgusto, da questa realizza la salvezza? . " ""No di certo, o signore ""." Invece, o Ananda, un monaco riconoscendo secondo realtà delle sette stazioni di vinnana, e dei due ayatana il sorgere, il tramontare, la sazietà, il disgusto e la salvezza, è libero da ogni attaccamento. 35. Otto, o Ananda, sono le liberazioni. Quali otto? Formale vede le forme. Questa è la prima liberazione. Internamente una coscienza non formale, vede esteriormente le forme. Questa è la seconda liberazione. Ë intento alla bellezza. Questa è la terza liberazione. "Col superamento totale delle coscienze formali, col tra montare delle coscienze dovute a reazioni sensorie, distolta la mente dalle coscienze non semplici, "" infinito è lo spazio"", il dominio dello spazio infinito raggiunto, dimora. Questa è la quarta liberazione." "Col superamento totale dello spazio infinito, "" infinito vinnana "", il dominio dell'infinito vinnana raggiunto, dimora. Questa è la quinta liberazione." 171 "Col totale superamento del dominio dell'infinito vinnana ""non vi è alcunché"", il dominio del ""non vi è alcunché"" raggiunto, dimora. Questa è la sesta liberazione." "Col totale superamento del dominio del "" non vi è alcunché"" il dominio della non coscienza né incoscienza raggiunto, dimora. Questa è la settima liberazione." Col totale superamento del dominio della non coscienza né incoscienza, la distruzione di coscienza ed esperienza raggiunta, dimora. Questa è l'ottava liberazione. Queste, o Ananda le otto liberazioni. "30. Dunque, o Ananda, un monaco, queste otto liberazioni, ordinatamente raggiunge, inversamente raggiunge, e l'una voluta e l'altra voluta raggiunge e ne esce. E coll'estinzione degli asava, privo di asava, colla mente libera, libero da sensazioni, da opinioni, da sé raggiunta nella Dottrina la sapienza e la potenza, dimora. Costui, o Ananda, si chiama un monaco d'ambo le parti libero, e di questa liberazione d'ambo le parti, o Ananda, non vi è altra liberazione d'ambo le parti più alta e più perfetta ""." Così disse il Sublime. Contento il venerabile Ananda si rallegrò alla parola del Sublime. MAHA NIDANA SUTTANTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) JANAVASBHAASUTTANTA (LO SPIRITO JANAVASABHA) Così ho sentito:

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"1. Un tempo il Sublime dimorava a Nadika, nella casa di mattoni. Proprio in quel tempo il Sublime, in giro per le province, indicava nella rinascita i discepoli morti trapassati: i Kahsi nel Kosala, i Vajji nel Malla, i Ceti nel Vansa, i Kuru nel Pancala, i Maecha nel Surasena: ""Costui costui è risorto, colui colà è risorto. Più d'uno, tra i discepoli di Nadika morti trapassati, i cinque vinelli mondani esausti, è risorto senza causa apparente, in attesa della totale estinzione, elemento non più ritornante in questo mondo. Più di novanta tra i discepoli di Nadika, morti trapassati, tre vinelli esausti: brama, astio, dubbio spariti, con un solo ritorno, tornando una sola volta a questo mondo porranno fine al dolore. Ben più di cinquecento discepoli di Nadika, morti trapassati, esausti tre vincoli, entrati nella corrente, sono elementi liberi da rovina, in attesa della finale illuminazione ""." "2. Dissero i discepoli di Nadika: ""Certo il Sublime in giro per le province indica nella rinascita i discepoli morti trapassati i Kahsi nel Kosala, i Vajji nel Malla, i Ceti nel Vansa, i Kuru nel Paricala, i Maccha nel Surasena: "" Costui Costà è risorto, colui colà è risorto. Più d'uno tra i discepoli di Nadika, morti trapassati, i cinque vincoli mondani esausti, è risorto senza causa apparente, in attesa della totale estinzione, elemento non più ritornante in questo mondo. Più di novanta tra i discepoli di Nadika, morti trapassati, tre vincoli esausti: brama, astio, dubbio spariti, con un solo ritorno, tornando una sola volta a questo mondo porranno fine al dolore. Ben più di cinquecento discepoli di Nadika, morti trapassati, esausti tre vincoli, entrati nella corrente, sono elementi liberi da rovina, in attesa della finale illuminazione "". E pertanto i discepoli di Nadika erano contenti, molto compiaciuti, pieni di gioia e soddisfazione, avendo udito l'esposizione, l'indicazione del Sublime." "Disse il venerabile Ananda: "" Il Sublime certo, in giro per le province, indica i discepoli morti trapassati nella rinascita: i Kahsi nel Kosala, i Vajji nel Malla, i Ceti nel Vansa, i Kuru nel Paricala, i Maccha nel 172 Surasena: "" Costui costà è risorto, colui colà è risorto. Più d'uno, tra i discepoli di Nadika morti trapassati, i cinque vincoli mondani esausti, è risorto senza causa apparente, in attesa della totale estinzione, elemento non più ritornante in questo mondo. Più di novanta, tra i discepoli di Nadika, morti trapassati, tre vinelli esausti: brama, astio, dubbio spariti, con un solo ritorno, tornando una sola volta a questo mondo porranno

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fine al dolore. Ben più di cinquecento discepoli di Nadika, morti trapassati, esausti tre vinelli, entrati nella corrente, sono elementi liberi da rovina, in attesa della finale illuminazione """". E pertanto i discepoli di Nadika erano contenti, molto compiaciuti, pieni di gioia e soddisfazione, avendo udito l'esposizione, l'indicazione del Sublime." "4. Allora così fu al venerabile Ananda: "" Vi sono molti discepoli del Magadha che, come è noto, sono morti trapassati, certamente una parte del Magadha è spopolata dei discepoli morti trapassati. Essi furono devoti al Buddha, devoti alla Dottrina, devoti all'ordine, perfetti nel comportamento. I morti trapassati furono indicati dal Sublime, e per essi fu buona l'indicazione, ed il popolo si rallegrò perché essi giunsero a buona meta. Colui invece che fu il re Seniya Bimbisara (1), giusto legittimo sovrano, benefico ai brahmani ed ai padri di famiglia, agli abitanti della città ed a quelli del contado, certo gli uomini così l'onorano: "" Ecco a noi è morto il giusto legittimo re che ci rendeva felici, noi che lietamente dimorammo nel regno di questo giusto legittimo re. Egli fu certo devoto al Buddha, devoto alla Dottrina, devoto all'ordine, perfetto nel comportamento. E gli uomini così dicono: ' Sino alla morte fu dal Sublime lodato il morto re del Magadha, Seniya Bimbisara '. Se egli morto e trapassato fosse dal Sublime indicato con buona indicazione, il popolo si rallegrerebbe per lui, che giunse a buona meta. Poi la perfetta illuminazione del Sublime si compì nel Magadha"". E se la perfetta illuminazione del Sublime si compì nel Magadha, perché allora il Sublime non indica nella loro rinascita i discepoli del Magadha morti trapassati? Invece il Sublime non indica nella loro rinascita i discepoli del Magadha morti trapassati, pertanto i discepoli del Magadha restano umiliati, e se i discepoli del Magadha sono umiliati, perché il Sublime non indica ciò? ""." 5. Allora il venerabile Ananda, dopo aver da solo interiormente meditato sui discepoli del Magadha, sul calare della notte si levò e si diresse là dove era il Sublime, avvicinatosi al Sublime salutatolo, si sedette accanto. Accanto seduto il venerabile Ananda così disse al Sublime: "a Ho udito questo, o signore: "" Certo il Sublime, in giro per le province, indica nella rinascita i discepoli morti trapassati: i Kahsi nel Kosala, i Vajji nel Malla, i Ceti nel Vansa, i Kuru nel Pancala, i Maccha nel Surasena: ' Costui costà è risorto, colui colà è risorto. Più d'uno, tra i discepoli di Nadika morti trapassati, i cinque vincoli mondani esausti, è risorto senza causa apparente in attesa della totale estinzione, elemento non

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più ritornante in questo mondo. Più di novanta, tra i discepoli di Nadika morti trapassati, tre vincoli esausti: brama, astio, dubbio spariti, con un solo ritorno, tornando una sola volta a questo mondo porranno fine al dolore. Ben più di cinquecento discepoli di Nadika morti trapassati, tre vincoli esausti, entrati nella corrente, sono elementi liberi da rovina, in attesa della finale illuminazione'. E pertanto i discepoli di Nadika sono contenti, molto compiaciuti, piedi di gioia e soddisfazione, avendo udito, l'indicazione del Sublime." "6. Vi sono molti discepoli del Magadha che, come è noto, sono morti trapassati: certamente una parte del Magadha è spopolata dei discepoli morti trapassati. Essi furono devoti al Buddha, devoti alla Dottrina, devoti all'ordine, perfetti nel comportamento. I morti trapassati furono indicati dal Sublime e per essi fu buona l'indicazione, ed il popolo si rallegrò perché essi giunsero a buona meta. Colui invece che fu il re Seniya Bimbisara, giusto legittimo sovrano, benefico ai brahmani e ai padri di famiglia, agli abitanti della città ed a quelli del contado, certo gli uomini così l'onorano: ' Ecco a noi è morto il giusto legittimo re che ci rendeva felici, noi che lietamente dimorammo nel regno di questo giusto legittimo re. Egli fu certo devoto al Buddha, devoto alla Dottrina, devoto all'ordine, perfetto nel comportamento'. E gli uomini così dicono: ' Sino alla morte fu dal Sublime lodato il morto re del Magadha, Seniya Bimbisara'. Se egli morto e trapassato fosse dal Sublime indicato con buona indicazione, il popolo si rallegrerebbe per lui che giunse a buona meta Poi la perfetta illuminazione del Sublime si compì nel Migadha. E se la perfetta illuminazione del Sublime si compì nel Magadha, perché allora il Sublime non indica i discepoli del Magadha morti trapassati nella loro rinascita? Invece il Sublime non indica i discepoli del Magadha morti trapassati nella loro rinascita, pertanto 173 i discepoli del Magadha restano umiliati, e se i discepoli del Magadha sono umiliati, perché i] Sublime non indica ciò? "" ""." Così il venerabile Ananda esposte al cospetto del Sublime le sue osservazioni intorno ai discepoli del Magadha, sorto da sedere salutato il Sublime, girando sulla destra se ne andò "7. Allora il Sublime, non molto dopo che il venerabile Ananda se ne era andato, di buon mattino, presi mantello e scodella, verso Nadika si avviò per il cibo. Ed avendo in cerca di cibo girato per Nadika, ed essendo tornato dal giro di elemosina, dopo il pasto, lavata la scodella, entrato nella casa di mattoni,

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concentrata l'unita mente alla conoscenza ed alla realizzazione dei discepoli del Magadha, sull'apprestato sedile sedé: "" la sorte conoscerò di costoro, lo stato dopo la morte, questa essendo la loro sorte questo il loro stato dopo la morte "". E vide il Sublime quale fosse dei discepoli del Magadha la sorte, quale lo stato dopo la morte." Allora il Sublime, sorto dalla meditazione serale, uscito dalla casa di mattoni e rientrato nella dimora, sull'apprestato sedile sedé. "8. Allora il venerabile Ananda si diresse là dove era il Sublime, ed avvicinatosi, salutato il Sublime si sedé accanto. Accanto seduto il venerabile Ananda così disse al Sublime: ""Calmo d'aspetto, o signore, appare il Sublime, radioso, l'aspetto del Sublime è piacevole a vedersi. Forse che il Sublime in pace oggi dimorò nel vihara? ""." "9. "" Siccome tu, o Ananda, hai al mio cospetto esposte le tue osservazioni intorno ai discepoli del Magadha, e sorto da sedere ti sei allontanato, io, dopo aver girato per cibo in Nadika, ed essere ritornato dal giro di elemosina, dopo il pasto, lavata la scodella, entrato nella casa di mattoni, concentrata l'unita mente alla conoscenza ed alla realizzazione dei discepoli del Magadha, sedei sull'apprestato sedile: "" La sorte conoscerò di costoro, lo stato dopo la morte, questa essendo la loro sorte questo il loro stato dopo la morte "". Ed io vidi, o .Ananda, proprio la sorte, proprio lo stato dopo la morte dei discepoli del Magadha. Ed ecco, o Ananda, che uno spirito evanescente esclamò: "" Io, o Sublime, sono Janavasabha Io, o Benvenuto, sono Janavasabha "". Ti ricordi forse, o Ananda, di aver già udito un tale nome? ""." " No, o signore, io non ricordo di aver di già udito un tal nome come questo di Janavasabha. Ma, o signore, mi si drizzano i capelli udendo il nome di Janavasabha. O signore, io penso: ahi forse sarà uno spirito infernale quello il cui nome è Janavasabha""""." "10. ""Immediatamente si manifestò di nuovo quello spirito, e con superbo splendore apparve al mio cospetto e per la seconda volta esclamò: "" lo sono, o Sublime, Bimbisara, io sono, o Benvenuto, Bimbisara. Questa è la settima volta che risorgo in compagnia del gran re Vessavana. Io che prima fui re uomo ora sono re non uomo:" "Qui sette, lì sette: quattordici nascite ben conosco l'esistenza, presto sarò esausto. Da lungo tempo senza rovina, ho realizzate il senza rovina, ed ora attendo l'ultimo ritorno""." " È meraviglioso ciò al venerabile spirito Janavasabha, è straordinario ciò al venerabile spirito Janavasabha: '

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da lungo tempo senza rovina, ho realizzato il senza rovina ed ora attendo l'ultimo ritorno'. Per qual motivo il venerabile spirito Janavasabha ha realizzato tale splendido personale guadagno? ""." "11. "" Non per altro insegnamento se non per i] tuo, o Sublime, non per altro insegnamento, se non per il tuo, o Benvenuto. Siccome estremamente, o signore, io fui devoto al Sublime, ecco che io, già da lungo tempo senza rovina, ho realizzato il senza rovina, ed ora attendo l'ultimo ritorno. Proprio io, o signore, inviato per certi affari dal gran re Vessavana alla presenza del gran re Virulhaka, vidi il Sublime che, entrato dalla strada nella casa di mattoni, i discepoli del Magadha oggettivando, osservando, rivolta la concentrata mente, sedeva: "" La sorte conoscerò di costoro, lo stato dopo la morte, questa essendo la loro sorte questo il loro stato dopo la morte "". E dopo non molto, o signore, mentre nell'assemblea del gran re Vessavana parlavo, proprio questo ho udito, proprio questo ho appreso: ""questa essendo la loro; sorte, questo il loro 174 stato dopo la morte "". Ed allora, o signore, così fu in me: "" vedrò il Sublime, e gli riferirò ciò"". Questi dunque, o signore, i due motivi per cui venni a vedere il Sublime." "12. I giorni precedenti, o signore, gli antiprecedenti, al tempo della vigilia, al quindicesimo, alla festa della fine delle piogge, nelle notti di plenilunio, per un intero kalpa, i trentatré dèi nella sala fatta d'ambrosia sono insieme seduti, e insieme riuniti; e sono tutti quanti seduti nella grande divina assemblea, ed i quattro grandi re sono seduti ai quattro punti cardinali. Nella regione del levante Dhatarattha, grande re, è seduto rivolto a ponente in onore degli dèi. Nella regione del mezzodì Virulhaka, grande re, è seduto rivolto a settentrione in onore degli dèi. Nella regione del ponente Virupakkha, grande re, è seduto rivolto verso levante in onore degli dèi. Nella regione del settentrione Vessavana, grande re, è seduto rivolto verso mezzodì in onore degli dèi. E proprio così, o signore, per un intero kalpa, i trentatré dèi nella sala fatta d'ambrosia sono insieme seduti, insieme riuniti; e sono tutti quanti seduti nella grande divina assemblea, ed i quattro grandi re sono seduti ai quattro punti cardinali ed ognuno di essi là è sul trono ed anche a noi è un più basso sedile. E quegli dèi, o signore, che sono vissuti secondo la purezza del Sublime e sono risorti nel coro dei trentatré dèi, gli altri dèi superano e per aspetto e per qualità. Pertanto proprio o signore, i trentatré dèi erano lieti, contenti, fatti felici e beati: i cori divini, certamente, aumentano, i cori degli Asura (2) diminuiscono." 13. Allora, o signore, Sakka re degli dèi, vedendo la gioia dei trentatré dèi, si compiacque con questi canti:

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" Si rallegrano certo, o cari, i trentatré dèi col loro re. ." Essi onorano il Compiuto e la buona realizzazione della Dottrina vedendo nuovi dèi, splendidi e gloriosi,: qui sorgere per aver praticato purezza nel Benvenuto. Costoro gli altri superano per aspetto e qualità, discepoli dell'Ampiveggente, eccellentemente qui sorti. giustamente si allietano i trentatré dèi col loro re. "Essi onorano il Compiuto e la buona realizzazione della Dottrina "" ." "Pertanto proprio, o signore, i trentatré dèi erano lieti, contenti, fatti felici e beati: "" i cori divini certamente aumentano, i cori asurici diminuiscono""." 14. Allora, o signore, i trentatré dèi gioiosamente nella sala d'ambrosia erano insieme seduti, insieme riuniti e risplendendo di questa gioia, considerando questa gioia essi pronunciavano le parole nelle quali si rallegravano i quattro grandi re. Erano enunciate parole nelle quali si rallegravano i quattro grandi re: quattro grandi re seduti immobili sui loro troni. Le sentenze pronunciate, i re eseguiscono gli ordini. Pura la mente, calmi siedono sui troni. 15. Allora, o signore, dalla regione del settentrione sorse una luce abbagliante e si manifestò uno splendore superante la divina magnificenza degli dèi. Allora, o signore, Sakka re degli dèi così disse ai trentatré dèi: Là dove, o venerabili, si vedono prodigi, sorge una luce, si manifesta uno splendore, là apparirà Brahma (3). Tale è il segno preannunciatore dell'apparire di Brahma: proprio là dove sorge una luce si rende manifesto uno splendore. "Se si vedranno prodigi: Brahma sarà manifesto, di Brahma questo è il segno: un grande esteso splendore""." "16. Allora, o signore, i trentatré dèi si sedettero sui loro seggi: "" Se conosceremo questa meraviglia vi sarà un effetto, sperimentando il quale progrediremo""." "I quattro grandi re sedettero sui loro seggi: "" Se conosceremo questa meraviglia vi sarà un effetto, sperimentando il quale progrediremo""." "Ciò avendo udito i trentatré dèi raggiunsero la calma: "" Se conosceremo questa meraviglia vi sarà un effetto, sperimentando il quale progrediremo""." 175 "17. E come, o signore, Brahma Sanamkumara si rese manifesto ai trentatré dèi, si rese manifesto creando una splendente immagine ma non assumendo, o signore, quello che è l'abituale aspetto di Brahma, fu agli occhi dei trentatré dèi. Ed essendosi, o signori, Brahma Sanamkumara manifestato ai trentatré dèi, li superava tutti in aspetto e qualità; e come la materia dell'oro supera la materia dell'uomo, così, o signore,

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Brahma Sanamkumara, manifestatosi ai trentatré dèi, li superava tutti in aspetto e qualità. Come, o signore, Brahma Sanamkumara si rese manifesto ai trentatré dèi, nessun dio dell'assemblea lo salutò, né sorto lo invitò a sedere: tutti rimasero in silenzio e giunte le mani si sedettero sui garretti: "" ora Brahma Sanamkumara si siederà sul trono di quel dio che vorrà "". Proprio, o signore, il dio sul cui trono siede Brahma Sanamkumara ottiene un'eccelsa consacrazione, ottiene un'eccelsa spirituale gioia. Come, o signore, un re guerriero, essendo stato unto nel capo, giustamente consacrato re, ottiene un'eccelsa consacrazione, una eccelsa spirituale gioia, proprio così quel dio, sul cui seggio siede Brahma Sanamkumara ottiene un'eccelsa consacrazione, ottiene una eccelsa spirituale gioia." 18. Allora, o signore, Brahma Sanamkumara si manifestò ai trentatré dèi assumendo la sua naturale forma, che è la forma del fanciullo Pancasikha. E, rimanendo in aria, sospeso tra cielo e terra, si sedé sui garretti. Come, o signore, un uomo robusto, aperte ed incrociate le gambe, in terra può sedersi sui garretti, proprio Così Brahma Sanamkumara, rimanendo in aria, sospeso tra cielo e terra, si sedé sui garretti e, conoscendo la gioia dei trentatré dèi, disse questo canto: Si rallegrano certo, o cari, i trentatré dèi col loro re. Essi onorano il Compiuto e la buona realizzazione della Dottrina vedendo nuovi dèi, splendidi e gloriosi, "qui sorgere per aver praticato purezza nel Benvenuto. Costoro gli altri superano per aspetto e qualità, discepoli dell'Ampiveggente, eccellentemente qui sorti. Giustamente si allietano i trentatré dèi col loro re. Essi onorano il Compiuto e la buona realizzazione della Dottrina ""." 19. Così felicemente parlò, o signore, Brahma Sanamkumara e proprio la voce con cui Brahma Sanamkumara parlò era dotata di otto qualità: chiara, ben udibile, piacevole, armoniosa, piena, raccolta, profonda, risonante. E mentre l'assemblea risonava per la voce di Brahma Sanamkumara nessun suono uscì dall'assemblea. Così, o signore, la voce era dotata di otto qualità, così parlò la voce di Brahma. 20. Allora, o signore, Brahma Sanamkumara, create trentatré forme si sedé su ciascuno dei seggi dei trentatré dèi, e così parlò ai trentatré dèi: Che pensano, o signori, i trentatré dèi? Che il Sublime insegna a beneficio di molti, a letizia di molti, per compassione del mondo, a beneficio, a letizia di uomini e dèi. Che coloro che prendono rifugio nel Buddha, rifugio nella Dottrina, rifugio nell'ordine, e sono perfetti nel comportamento, colla dissoluzione del corpo, dopo la morte risorgono alcuni per una sola volta compagni degli dèi Paranimmita Vasavatti, altri degli dèi Nimmanarati, altri degli dèi Tubista, degli dèi Yama, dei trentatré dèi, dei quattro grandi re risorgono in

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compagnia. E quelli che conseguono il più basso conseguono il coro dei Gandhabba. "21. Così felicemente parlò, o signore, Brahma Sanamkumara. Così felicemente avendo parlato, o signore, della voce di Brahma Sanamkumara ciascun dio allora credette: "" quegli che è sul mio sedile quegli solo ha parlato""." Per un solo che parla tutte parlano le immagini, per un solo che tace tutte tacciono le immagini. Ora ben pensano i trentatré dèi col loro capo quegli che è sul mio seggio quegli solo parla. 22. Allora, o signore. Brahma Sanamkumara si riunì in una sola entità, riunitosi in una sola entità, sedutosi sul seggio di Sakka (4), re degli dèi, così parlò: Che pensano, o signori, i trentatré dèi? Che ben sistemate furono dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, le quattro basi dei poteri, del potere comune, del potere diffuso, del potere miracoloso. Quali quattro? Ecco un monaco è dotato di volontà fortemente concentrata, di sforzo fortemente concentrato, di mente fortemente concentrata, di investigazione fortemente concentrata: queste sono le basi del potere. Queste sono le discipline ben sistemate del Sublime Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, sulle quattro basi del potere, del potere comune, del potere diffuso, del potere 176 miracoloso. E tutti quei molteplici insiemi di poteri, che nel passato asceti o brahmani realizzarono, furono conseguenza e pratica delle quattro basi del potere. E tutti quei molteplici insiemi di poteri, che nel futuro asceti o brahmani realizzeranno, saranno conseguenza e pratica delle quattro basi del potere. Non vedono forse, o signori, i trentatré dèi che proprio di siffatta origine è il mio grande potere?. Sì, o Brahma . Io proprio in conseguenza, per pratica delle quattro basi del potere sono molto potente, molto eminente. 23. Così felicemente parlò Brahma Sanamkumara. Così felicemente Brahma Sanamkumara avendo parlato si rivolse ai trentatré dèi: Che pensano, o signori, i trentatré dèi? I tre precetti opportuni costituiti di lunga gioia, scoperti dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Quali tre? Ecco, o signori, un tale dimora in mezzo alle brame, dimora in mezzo ad elementi non salutari. Egli ode quindi | la nobile Dottrina, ed attento vi pone mente e procede nella comprensione della Dottrina. Egli attento, posta mente alla udita nobile Dottrina, procedendo nella comprensione della Dottrina, dimora lungi da brame, lungi da elementi non salutari, ed a lui, che lungi da brame, lungi da elementi non salutari dimora,

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sorge gioia e dalla gioia una più alta serenità. Questo è il primo precetto opportuno scoperto dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, costituito di lunga gioia. 24. Inoltre, o signori, ecco un tale cui non son quietati i grossolani sankhara del corpo, non son quietati i grossolani sankhara della parola, non son quietati i grossolani sankhara della mente. Egli ode quindi la nobile Dottrina, attento vi pone mente e procede nella comprensione della Dottrina. Posta mente alla udita nobile Dottrina, procedendo egli attento nella comprensione della Dottrina, i sankhara grossolani del corpo si acquietano, i sankhara grossolani della parola si acquietano, i sankhara grossolani della mente si acquietano. E dall'acquietarsi dei sankhara grossolani del corpo, della parola, della mente, sorge in lui gioia e dalla gioia una più alta serenità. Come dal piacere è generata la soddisfazione proprio così i grossolani sankhara del corpo, i grossolani sankhara della parola, i grossolani sankhara della mente acquietati, sorge la gioia e dalla gioia una più alta serenità. Questo è il secondo precetto opportuno scoperto dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, costituito di lunga gioia. 25. Inoltre, o signori, ecco un tale ' questo è salutare' I secondo realtà non conosce, ' questo non è salutare ' secondo realtà non conosce, ' questo è biasimevole, questo non è biasimevole, questo è da praticarsi, questo è da non praticarsi, questo è basso, questo è alto, questo è composto di tenebra e di gioia', secondo realtà non conosce. Egli ode quindi la nobile Dottrina, attento vi pone mente e procede nella comprensione della Dottrina. Egli attento, posta mente alla udita _ nobile Dottrina, procedendo, nella comprensione della Dottrina, ' questo è salutare ' secondo realtà conosce, ' questo non è salutare ' secondo realtà conosce, ' questo è biasimevole, questo non è biasimevole, questo è da praticarsi, questo è da non praticarsi, questo è basso, questo è alto, questo è composto di tenebra e di gioia', secondo realtà conosce. In lui che così conosce, così vede, scompare l'ignoranza sorge la sapienza. In lui, colla distruzione dell'ignoranza, col sorgere della sapienza, sorge gioia e dalla gioia una più alta serenità. Come dal piacere è generata la soddisfazione proprio così colla distruzione dell'ignoranza, col sorgere della sapienza, sorge la gioia e dalla gioia una più alta serenità. Questo è il terzo precetto opportuno scoperto dal Sublime, Sapiente, Veggente,

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Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato, costituito di lunga gioia. "Questi dunque o signori, sono i tre precetti opportuni costituiti di lunga gioia, scoperti dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato ""." 177 26. Così felicemente, o signore, Brahma Sanamkumara parlò. Così avendo, o signore, felicemente parlato, Brahma Sanamkumara si rivolse ai trentatré dèi: " Che pensano, o signori, i trentatré dèi? Le quattro basi della consapevolezza costituite di lunga salute, ben insegnate dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Quali quattro? Ecco, un monaco, lungi nel mondo cupidigia e sofferenza, nell'interno del corpo attento ," al corpo, dimora strenuo chiaro consapevole. E dimorando all'interno del corpo attento al corpo, qui completamente si unifica, completamente si rasserena. E quegli, qui completamente unificato, completamente rasserenato, al di fuori, al di là del corpo si procura intelligenza e visione attento alla sensazione. All'interno della sensazione, della mente, lungi nel mondo cupidigia e sofferenza, all'interno degli elementi dimora attento agli elementi, dimora strenuo chiaro consapevole. E dimorando nell'interno degli elementi, attento agli elementi, qui completamente si unifica, completamente si rasserena. E quegli, qui completamente unificato, completamente rasserenato, al di fuori, al di là degli elementi, si procura intelligenza e visione. "Queste sono le quattro meditazioni costituite di lunga salute, ben insegnate dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato""." 27. Così felicemente, o signore, parlò Brahma Sanamkumara. Così avendo, o signore, felicemente parlato Brahma Sanamkumara si rivolse ai trentatré dèi: Che pensano, o signori, i trentatré dèi? I sette fattori della concentrazione, per lo sviluppo della retta concentrazione, per il completamento della retta concentrazione, insegnati dal Sublime, Sapiente, Veggente, Santo, Perfetto, perfettamente Svegliato. Quali sette ? Retta opinione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta vita, retto esercizio, retta consapevolezza. E quella, così apprestata, unificazione della mente in questi sette componenti, viene detta la nobile retta concentrazione nelle sue cause e conseguenze. Da retta opinione procede retta intenzione, da retta intenzione procede retta parola, da retta parola procede retta azione, da rettazione procede retta vita, da retta vita procede retto esercizio, da retto esercizio procede retta consapevolezza, da retta consapevolezza procede retta sapienza, da retta sapienza procede retta liberazione. E così parla chi rettamente parla: 'ben insegnata è dal Sublime la Dottrina, chiara non oscura, invitante

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all'introspezione, di guida a ciascuno, apprendibile dai saggi, porta aperta sul non più morire '. Proprio così parla chi rettamente parla ' Ben insegnata è dal Sublime la Dottrina chiara non oscura, invitante all'introspezione, di guida a ciascuno, apprendibile dai saggi, porta aperta sul non più morire '. E i due milioni quattrocentomila seguaci del Magadha per definitivo riposo seguaci del Buddha, per definitivo riposo seguaci della Dottrina, per definitivo riposo seguaci dell'ordine, seguaci del nobile lieto comportamento, educati eccelsamente alla Dottrina, morti trapassati, sono risorti senza visibile causa, ed estinti tre vincoli, entrati nella corrente, hanno raggiunto l'elemento privo di rovina, sicuri della banale totale illuminazione, e vi è colui che ritorna solo più una volta. "Questa è la seconda classe meritoria (5) che posso conoscere scrupoloso di menzogna""." "28. Così felicemente, o signore, parlò Brahma Sanamkumara e così al gran re Vessavana sorse nella mente questo pensiero è meraviglioso, è straordinario, certo un siffatto maestro sarà eccellentissimo, una siffatta esposizione della Dottrina, udita, sarà un eccellentissimo guadagno""." Allora, o signore, Brahma Sanamkumara avendo conosciuto il pensiero della mente del gran re Vessavana: Che pensa, o signore, il gran re Vessavana? Vi è stato un eccelso maestro, si è udita un'eccelsa esposizione della Dottrina, vi è stato un eccelso guadagno. E ancora vi sarà un eccelso maestro, sarà udita un'eccelsa esposizione della Dottrina, vi sarà un eccelso guadagno. "29. Così felicemente disse Brahma Sanamkumara ai trentatré dèi. Così felicemente il gran re Vessavana, udite le parole di Brahma Sanamkumara alla presenza dei trentatré dèi, avendole ritenute, le riferì alla sua 178 assemblea. Così felicemente lo spirito Janavasabha udite le parole del re Vessavana nella Sua assemblea, e avendole ritenute le riferì al Sublime. Così felicemente il Sublime, udite le parole dello spirito Janavasabha in sua presenza e avendole verificate da sé stesso per diretta osservazione le riferì al venerabile Ananda. Così felicemente il venerabile Ananda, udite le parole del Sublime e avendole ritenute, le riferì ai monaci, alle monache, ai seguaci, ed alle seguaci. E la condizione di purezza fu la spiegata, esposta per quanto si riferisce agli uomini, largamente a città popolose e grandi moltitudini di genti""." JANAVASASBHA SUTTANTA FINE (Traduzione di Eugenio Frola) DHAMMAPADA (I VERSI DELLA LEGGE) CAPITOLO I

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YAMAKA-VAGGA (STROFE A COPPIA 1. Gli elementi della realtà (dhamma) (1) hanno la mente come principio hanno la mente come elemento essenziale e sono costituiti di mente. Chi parli oppure operi con mente corrotta, lui segue la sventura come la ruota segue il piede [dell'animale che traina il veicolo]. 2. Gli clementi della realtà hanno la mente come principio, hanno la mente come elemento essenziale e sono costituiti di mente. Chi parli oppure operi con mente serena, lui segue la felicità come l'ombra che non si diparte. "3. "" Egli mi ha ingiuriato, egli mi ha battuto, egli mi ha vinto, egli mi ha derubato"": coloro che accolgono tali pensieri, in costoro l'odio non si placa." "4. ""Egli mi ha ingiuriato, egli mi ha battuto, egli mi ha vinto, egli mi ha derubato "": coloro che non accolgono tali pensieri, in costoro si placa l'odio." 5. Mai, invero, si placano quaggiù gli odii con l'odiare: col non-odiare si placano. Questa è legge eterna. "6. Gli altri non sanno: "" noi qui dobbiamo domarci"". Cessano le contese per coloro che in tal modo conoscono." 7. Chi trascorre la vita badando solo al piacere, non controllato nei sensi, senza conoscere misura nel cibo, pigro e fiacco, lui trascina via Mara 2 come il vento [svelle] l'albero debole. 8. Chi trascorre la vita senza badare al piacere, ben controllato nei sensi, che conosce misura nel cibo, che è fedele ed energico, lui non trascina Mara, come il vento [non scuote] una montagna di roccia. 9. Chi, non essendo spoglio di impurità, rivesta l'abito giallo 3, sprovvisto di dominio su se stesso e di sincerità, costui non è degno dell'abito giallo. 10. Chi si sia spogliato delle impurità, ben fondato nell'esercizio delle virtù, ed abbia conquistato dominio su se stesso e sincerità, costui è, invero, degno dell'abito giallo. 11. Coloro che si immaginano il reale nell'irreale e vedono l'irreale nel reale, costoro non pervengono al reale, ma restano campo d'azione di false immaginazioni. 12. Coloro che, invece, riconoscono l'essenziale nell'essenziale ed il non-essenziale nel non-essenziale, costoro invero conseguono l'essenziale, divenuti campo d'azione di giuste immaginazioni. 13. Come la pioggia penetra in una casa mal coperta,, così pure la passione (4) penetra in una mente non usa alla meditazione (5). 14. Come la pioggia non penetra in una casa ben coperta, così pure la passione non penetra nella mente 179 esperta alla meditazione 15. Il peccatore in questo mondo si affligge, una volta

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trapassato si affligge, in entrambo i mondi si affligge: costui si tormenta, vedendo il cattivo risultato di ciò che egli stesso ha compiuto. 16. Chi ha fatto il bene in questo mondo si rallegra, una volta trapassato si rallegra, in entrambo i mondi si rallegra: costui si rallegra, costui gioisce, contemplando la purità di ciò che egli stesso ha compiuto. 17. Il peccatore in questo mondo si tormenta, una volta trapassato si tormenta, in entrambo i mondi si tormenta. Egli "si tormenta [pensando]: "" ho compiuto il male""; tanto più" si tormenta quanto più procede sulla mala strada. 18. Chi ha fatto il bene in questo mondo è contento, una volta trapassato è contento, in entrambo i mondi è contento. "Pensando: ""io ho fatto il bene "" di nuovo è contento, e tanto" più è contento quanto più procede sulla buona strada. 19. Anche se uno reciti un lungo tratto di versi sacri, ma non operi conforme a loro, costui è uomo negligente (6): come un pastore che conti le vacche altrui, egli non partecipa alla condizione di asceta. 20. Anche se reciti un breve tratto di versi sacri, ma operi conforme a loro secondo la Legge, avendo abbandonato passione, odio ed ottundimento mentale, e possedendo retta conoscenza ed animo sereno, ormai distaccato in questo e nell'altro mondo, costui partecipa alla condizione di asceta. CAPITOLO II APPAMADA-VAGGA (L'ATTENZIONE) "21. L'attenzione è il sentiero conducente all'immortalità, la disattenzione è il sentiero della morte; gli attenti non muoiono, i disattenti sono già come morti." 22. Costoro che sono esperti nell'[esercizio dell'] attenzione, avendo ciò chiaramente riconosciuto, gioiscono di essere attenti, rallegrandosi di appartenere agli Eletti (7). 23. Questi uomini, forti, meditanti, costanti, sempre pieni di energia, sperimentano l'Estinzione (Nibbana), la Suprema Beatitudine. 24. Cresce la gloria dell'uomo attento, che ha rialzato se stesso, che è raccolto in sé (8) le cui azioni sono pure, che opera con ponderazione, che vive continente e secondo la Legge. Mediante l'elevazione interiore, il controllo ed il dominio di sé, il Saggio edifichi un'isola che l'alluvione non sommerga. 26. Gli sciocchi sono dediti alla distrazione, gente di poco intendimento! Il Saggio, invece, custodisce l'attenzione come la ricchezza [più] preziosa. 27. Non abbandonatevi alla distrazione, non abbiate dimestichezza coi piaceri ed i diletti (9). Il diligente che medita acquista felicità completa. 28. L'uomo accorto, allorché con l'attenzione scaccia la disattenzione, salito sull'alta terrazza della saggezza

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180 (10), sereno, contempla gli stolti, gente turbata dal dolore, come chi è salito in cima ad una montagna guarda la gente che sta in pianura. 29. Attento fra i disattenti, ben sveglio fra gli addormentati, egli, giudizioso, procede distanziando gli altri come un corriere [distanzia] il ronzino. "30. Fu mediante l'[esercizio dell'] attenzione che Maghavan "" giunse alla supremazia sugli dèi. L'attenzione è pregiata, la disattenzione sempre disprezzata." 31. L'asceta, che si diletta nell'essere attento ed alla disattenzione guarda con paura, procede come il fuoco, bruciando tutti i legami, grandi e piccoli. 32. L'asceta, che si diletta nell'attenzione ed alla disattenzione guarda con paura, non è fatto per perdersi, anzi è al vicino al Nibbana. CAPITOLO III CITTA-VAGGA (IL PENSIERO) (12) 33. Il pensiero tremulo, labile, difficile a custodire, difficile a contenere, esso raddrizza l'uomo accorto, come un fabbricatore di frecce il dardo. 34. Come un pesce tolto dalla sua acquatica dimora e gettato sul pavimento, trema questo [nostro] pensiero, allorchè deve rinunciare ad essere dominato da Mara. 35. È bene che si domini il pensiero, inafferrabile, leggero, che si getta su ciò che gli piace: il pensiero domato è portatore di felicità. 36. Custodisca l'uomo accorto il pensiero, difficile da percepire, guizzante, che si getta su ciò che gli piace: il pensiero ben guardato porta felicità. 37. Coloro che controllano il pensiero, che viaggia lontano, che cammina solo, incorporeo, che alloggia nella caverna [del cuore] (13) costoro si liberano dai vincoli di Mara. 38. Per colui il cui pensiero è instabile, che non conosce la Buona Legge, la cui calma mentale è turbata, per costui la conoscenza (14) non è completa. 39. Per colui il cui pensiero non divaga, la cui mente non è trascinata, che ha abbandonato bene e male (15), per colui che è vigilante, per costui non esiste paura. 40. Avendo riconosciuto questo corpo come simile ad una giara, avendo consolidato il pensiero come una fortezza, si assalga Mara con l'arma della conoscenza, vintolo lo si custodisca, e non si abbia mai luogo di riposo. 41. Fra non molto, ahimè, giacerà a terra questo corpo caduto, spregiato, senza conoscenza, come un pezzo di legno buttato via! 42. Di ciò che potrebbe fare un odiatore ad un odiatore, un nemico ad un nemico, molto più male fa

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[all'uomo stesso] il [suo] pensiero falsamente diretto. 43. Di ciò che potrebbero fare un padre ed una madre, i parenti stretti e le parenti, molto più bene fa [all'uomo] la mente ben diretta. CAPITOLO IV 181 PUPPHA-VAGGA (I FIORI) 44. Chi vincerà questa terra ed il mondo di Yama assieme a [quello degli] dèi? Chi coglierà il Dhammapada bene spiegato, come l'esperto [coglie] il [giusto] fiore? 45. Il discepolo vincerà la terra, il mondo di Yama, assieme a [quello de]gli dèi. Il discepolo coglierà il Dhammapada ben spiegato, come l'esperto [coglie] il [giusto] fiore. 46. Avendo conosciuto questo corpo come simile alla spuma, avendo compreso la sua natura di miraggio, spezzate le fiorite frecce di Mara (16), proceda egli invisibile al Re della Morte 47. La morte si porta via, invero, l'uomo che raccoglie fiori (17) e colui la cui mente è distratta, come un'alluvione [spazza via] il villaggio addormentato. 48. Mentre l'uomo raccoglie fiori, la sua mente è distratta, e non è sazio di piaceri, il Finitore lo prende in suo potere. 49. Come, invece, l'ape raccoglie il succo dei fiori, senza danneggiarne colore e profumo, così dimori l'asceta (18) nel villaggio. 50. Non badi ai torti altrui, non a ciò che altri avrebbe dovuto fare o non fare: osservi, piuttosto, ciò che egli ha fatto o non ha fatto. 51. Come un bel fiore smagliante [ma] privo di profumo, altrettanto belle ma prive di frutto sono le parole di colui che non agisca conforme a loro. 52. Come un bel fiore smagliante e profumato, altrettanto belle e fruttuose sono le parole di colui che agisca conforme a loro. 53. Come si possono intrecciare molte collane da un mucchio di fiori, così pure molte buone cose possono essere compiute da un mortale, una volta che sia nato. "54. Il profumo dei fiori non va controvento, non [quello di] sandalo, tagara, o gelsomino; il profumo dei buoni va controvento, in tutti i sensi lo effonde il virtuoso." 55. Sandalo, tagara, loto e vassikl: di tutte queste specie di profumo quello della virtù è maggiore. 56. Di poco valore è il profumo che viene dal fagara e dal sandalo: il profumo dei virtuosi sale, invece, altissimo fra gli dèi. 57. Di coloro che sono dotati di virtù, che risiedono nel l'attenzione e che si sono liberati mediante la perfetta conoscenza, di costoro Mara non trova la via.

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58. Come in un mucchio di spazzatura gettata sulla strada maestra può nascere un loto profumato e delizioso, così pure nel mucchio spregevole, nel volgo cieco, fra la gente bassa, risplende per conoscenza il discepolo del Buddha totalmente illuminato. CAPITOLO V BALA-VAGGA (LO STOLTO) 60. Lunga è la notte per chi veglia, lungo è un miglio per chi è stanco, lungo è il vivere-e-morire (19) per quegli sciocchi che ignorano la Buona Legge. 61. Il viaggiatore, se non incontra a tenergli compagnia uno migliore di lui o simile a lui, proceda decisamente da solo: con lo stolto non vi è compagnia. "62. "" Questi figli sono miei, questa ricchezza è mia!"", così [pensando] lo stolto è travagliato. Ma se egli stesso non appartiene a se stesso, quanto meno i figli, quanto meno la ricchezza !" 63. Lo stolto che conosce la propria stoltezza è saggio almeno per questo: lo sciocco che si ritiene un 182 saggio, quegli veramente [è ciò che] si chiama uno scemo! 64. Se anche per tutta la vita uno stolto si accompagnasse ad un saggio non arriverebbe a conoscere la Buona Legge (20), come il cucchiaio non conosce il sapore della zuppa. 65. Se anche un solo minuto l'intelligente si accompagna al saggio, ben presto viene a conoscere la Buona Legge, come la lingua il sapore della zuppa. 66. Gli sciocchi, privi di intendimento, vanno con se stessi come un nemico, compiendo azioni cattive che portano [loro]. frutti amari. 67. Non è un'azione ben fatta quella che una volta compiuta, cagiona pentimento, il cui compenso (21) si riceve con volto lacrimoso e pianto. 68. Ben fatta è quell'azione una volta compiuta la quale non ci si pente, il cui compenso si riceve contenti e di buon animo. 69 Fintanto che il male compiuto non giunge a maturazione (= non dà frutto) lo sciocco lo considera come se fosse miele, ma, quando esso matura, allora lo sciocco soggiace al dolore. 70. Lascia pur che lo sciocco mangi il cibo mese per mese con la punta di un filo di erba kusa (22) non vale egli sicuramente la sedicesima parte di quelli che si sono perfezionati nella Buona Legge. 71. Non di certo la cattiva azione commessa si rapprende tutta d'un tratto, come latte già fresco: bensì segue lo stolto, come fuoco che cova sotto le ceneri. 72. E se [un giorno] la coscienza dello stolto si risveglia, gli manda in rovina la sua buona fortuna, rompendogli il capo.

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73. Continui pure [lo stolto] a desiderare una vana reputazione e la precedenza fra i monaci, la padronanza sui monasteri e la venerazione fra l'altra gente! "74. "" Pensino che questo l'ho fatto io, sia i padri di famiglia che coloro che hanno lasciato il mondo: mi siano pure soggetti in ogni cosa, abbiano a fare ed a non fare! "" Questo è ciò che lo stolto si immagina, mentre crescono la cupidigia e l'orgoglio." "75. "" Altra è la via che mena al guadagno, altra è quella che conduce al Nibbana "" Avendo riconosciuto in questo modo, il monaco discepolo del Buddha non si compiaccia di essere onorato: coltivi la solitudine." CAPITOLO VI PANDITA-VAGGA (IL SAGGIO) 76. Se vedi un uomo che ti indica ciò che va evitato, che ti riprenda dai difetti, intelligente, segui questo saggio come se fosse un rivelatore di tesori: per colui che coltiva una simile persona viene il meglio, non il peggio. 77. Ammonisca, impartisca ordini, faccia evitare ciò che è improprio: costui diviene caro ai buoni, ai cattivi discaro. 78. Non si frequentino come amici i cattivi: non si frequenti la gente vile. Si abbia dimestichezza coi buoni amici è3, si frequentino i migliori fra gli uomini! 79. Chi si disseta con la Buona Legge vive a suo agio, con la mente completamente calma. Il Saggio sempre gioisce nella Legge resa nota dagli Eletti. 80. L'acqua incanalano i fontanieri, gli armaioli piegano i dardi, piegano il legno i falegnami, piegano se stessi i Saggi. 81. Come la rupe massiccia non si scuote per il vento, così pure non vacillano i Saggi in mezzo a biasimi e 183 lodi. 82. Come un lago profondo, completamente calmo e trasparente, altrettanto sereni divengono i Saggi, allorché hanno ascoltato [le verità del]la Legge. "83. In ogni circostanza procedono eguali gli uomini dabbene; i buoni non ciarlano perché desiderosi di piacere: toccati da gioia o da dolore, i Saggi non mostrano mutamento." "84. Non per sé, né per altrui, [il Saggio] desideri figli, ricchezza, dominio; non desideri la sua stessa prosperità mediante l'ingiusto operare: allora egli sarà virtuoso, sapiente e retto." 85. Pochi sono fra gli uomini quegli esseri che toccarlo l'altra sponda (24): tutta questa altra gente, invece, corre su e giù per la spiaggia. 86. Coloro i quali, essendo stata loro ben spiegata la Legge, diventano seguaci della Legge, costoro

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giungeranno all'altra riva, [di là dal] regno della morte, per quanto sia difficile ! da attraversare. 87. Avendo abbandonato la condizione oscura, permanga il Saggio in quella chiara, lasci la casa per la noncasa, [là,] nella solitudine ove non è piacere. 88. Ivi desideri il saggio la gioia eccelsa, avendo abbandonato il piacere, nulla considerando come suo, purificando se stesso dai turbamenti del pensiero. 89. Coloro il cui pensiero è ben concentrato sui [sette] elementi della perfetta illuminazione (25) che gioiscono del non ricevere nulla, nella libertà dall'attaccamento, che hanno domato gli appetiti, pieni di luce, costoro hanno raggiunto la Liberazione [pur vivendo] in questo mondo. CAPITOLO VII ARAHANTA-VAGGA (GLI ARHAT) (26) 90. Per colui che ha percorso la via, che è privo di dolore, I che in ogni senso si è liberato, per costui, che si è sciolto da ogni nodo, non esiste più febbre (27). Con la mente ben raccolta (28) [gli Arhat] si accingono alla via (29), né si allietano di starsene in casa: come cigni che hanno abbandonato lo stagno essi lasciano casa e dimora. 92. Coloro che nulla hanno accumulato, che conoscono quale sia il cibo [lecito], la sfera d'azione dei quali è Liberazione essenziata di Vuoto, priva di attributi, la via di costoro è difficile da seguire come quella degli uccelli nell'aria. 93. Coloro che hanno distrutto ogni attaccamento, che sono svincolati nel fruire (30), la sfera d'azione dei quali è Liberazione essenziata di Vuoto, priva di attributi, la via di costoro è difficile da seguire, come quella degli uccelli nell'aria. 94. Colui i cui sensi sono soggiogati, come cavalli ben domi dall'auriga, che ha abbandonato orgoglio e adesione al mondo, perfino gli dèi invidiano un siffatto [uomo]. "95. Simile alla terra, non si turba (31); simile ad una soglia è un tale devoto; egli è come un lago privo di fango; nascere-morire non esistono per costui." 96. Calma è la mente, calme sono le parole, calma è l'azione (32) di colui che, mediante il retto conoscere, ha conseguito la Liberazione e si è interiormente pacificato. 97. Quell'uomo che è libero dalla credulità, che conosce l'Increato 33, che ha tagliato tutti i legami, che ha cancellato tutte le tentazioni, che ha rinunciato ad ogni speranza, costui è davvero il supremo fra gli uomini. 98. Nel villaggio o nella foresta, sul mare profondo o sulla terraferma, ovunque dimorino gli Arhat, quello e un luogo ameno. 99. Piacevoli sono le foreste, ove l'uomo volgare non si diletta: ivi si rallegreranno i privi di passione, non

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184 certo coloro che vanno in cerca di piaceri. CAPITOLO VIII SAHASSA VAGGA (LE MIGLIAIA) 100. Di un discorso anche di mille [detti], composto & frasi prive di senso, meglio è una frase sola sensata, udita la quale l'uomo si calma. 101. Di un poema anche di mille [strofe], composto di frasi prive di senso, meglio è un verso solo, udito il quale l'uomo si calma. 102. [Per] chi reciti cento poemi composti di frasi prive di senso, meglio è un solo verso udito il quale egli si calma. 103. [Fra] chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui è il migliore dei vincitori di ogni battaglia. 104. Chi vince se stesso certamente è migliore delle altre creature. Dell'uomo che ha domato se stesso, che vive sempre controllandosi, 105. La vittoria di un essere siffatto non potrebbero mutarla in sconfitta né un dio, né un gandharva (34) e neppure Mara assieme a Brahma (35). 106. Se anche uno sacrifica mese per mese durante cento anni, [quando invece] per un solo momento rende omaggio a chi abbia lo spirito concentrato (36), questa sola onoranza è migliore di un'oblazione durata cent'anni. 107. Se un uomo per un secolo presta culto ad Agni (37) nella foresta (38), ma, per un solo momento, rende omaggio a chi ha lo spirito concentrato, questa sola onoranza è migliore di un'oblazione durata cent'anni. 108. Qualunque cosa si sacrifichi in questo mondo, come sacrificio od oblazione per un anno allo scopo di ottenere un beneficio, tutto questo non vale un quattrino: è meglio render onore a coloro che vivono rettamente. 109. Per colui che costantemente onora e riverisce gli Anziani, quattro cose prosperano: vita, bellezza, felicità, forza. "110. Viva un uomo cent'anni vizioso e distratto; vale più un giorno di vita di quegli che vive saggio e meditante." "111. Viva un uomo cent'anni ignorante e sbadato; vale più un giorno di vita di quegli che vive saggio e meditante." "112. Viva un uomo cent'anni indolente e fiacco; vale più un giorno di vita di quegli che opera con virile energia."

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"113. Viva un uomo cent'anni senza considerare il nascere e il perire [delle cose]; vale più un giorno di vita di quegli che li osserva." "114. Viva un uomo cent'anni senza mirare al Luogo Immortale (39); vale più un giorno di vita di quegli che lo considera." "115. Viva un uomo cent'anni senza considerare la Suprema Legge; vale più un giorno di vita di colui che la osserva." 185 CAPITOLO IX PAPA-VAGGA (IL PECCATO) 116. Si affretti l'uomo verso il bene, custodisca la mente dal male. Di chi fa il bene fiaccamente, la mente si delizia nel male. 117. Se qualcuno commette un male, non lo faccia di nuovo e di nuovo, non consenta interiormente al male. Il Dolore è cumulo di peccato. 118. Se qualcuno compie il bene, lo faccia di nuovo e di nuovo ed in esso si diletti. La Felicità è cumulo di bene. 119. Anche il peccatore se la passa bene, finché il male commesso non [gli] matura: allorché matura il peccatore sperimenta [ogni sorta di] mali. 120. Il Buono se la passa male, finché il bene commesso non [gli] matura: allorché matura, il virtuoso sperimenta [ogni sorta di] beni. "121. Non stimi da poco il peccato, pensando: "" non verrà sopra di me!"". L'acqua, cadendo goccia a goccia, riempie anche una giara. Lo stolto si colma di peccato, anche se lo accumula poco a poco." "122. Non stimi da poco il bene compiuto, dicendo: "" non verrà sopra di me!"". L'acqua, cadendo goccia a goccia, riempie anche una giara. L'uomo saldo si colma di bene, anche se lo accumula poco a poco." 123. Come di un mercante che, avendo molte ricchezze e poca scorta, evita la strada pericolosa, e come chi ama la vita evita il veleno, così si deve evitare il peccato. 124. Colui nella cui mano non sia ferita può prendere con la mano il veleno: il veleno non penetra ove non c'è ferita, né vi è peccato per chi non lo commetta. 125. Chi reca offesa ad un uomo innocente, puro e senza peccato, il male di ciò ricade su lui stolto, come sottile polvere gettata contro vento. "126. Alcuni [tornano] a nascere in un utero; vanno all'inferno coloro che fanno il male; vanno al cielo coloro che seguono la buona via; si sciolgono nel nibbana i privi di attaccamento." 127. Non nell'atmosfera, non in mezzo al mare e nemmeno se si penetra in un antro montano si potrà trovare un luogo terreno, stando nel quale il peccatore si liberi.

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128. Non nell'atmosfera, non in mezzo al mare e nemmeno se si penetra in un antro montano si potrà trovare un luogo terreno, stando nel quale non sovrasti la morte. CAPITOLO X DANDA-VAGGA IL BASTONE (= IL CASTIGO) (41) 129. Tutti tremano al castigo, tutti temono la morte: mettendoti al posto degli altri non uccidere, nè fa' uccidere. 130. Tutti tremano al castigo, tutti hanno cara la vita: mettendoti al posto degli altri non uccidere, né fa' uccidere. 131. Chi, volendo la propria felicità, colpisce (col castigo) esseri che bramano la felicità, una volta morto non consegue la felicità. 132. Chi, volendo la propria felicità, non colpisce (col castigo) esseri che bramano la felicità, costui, una volta morto, consegue la felicità. 186 133. Non parlare aspramente ad alcuno: coloro ai quali tu parli ti potrebbero rispondere: le contumelie sono sgradevoli: potrebbero coglierti, in cambio, bastonate su bastonate! 134. Se rendi te stesso silenzioso come un gong spezzato, allora hai raggiunto l'Estinzione, in te non si trova violenza. 135. Come il pastore sospinge le vacche col bastone verso il loro recinto, così Vecchiaia e Morte sospingono la vita di coloro che respirano. 136. È pur [vero che il malvagio] non è cosciente allorché commette cattive azioni: poi, [però,] è bruciato dalle proprie azioni, come se fosse arso da fuoco. 137. Chi col castigo colpisce coloro che sono immeritevoli di castigo, ben presto cade in una delle seguenti dieci condizioni. 138. Crudele sofferenza lo raggiunge, perdita di beni, o danno nel corpo, oppure grave malattia, o perdita di senno. 139. Persecuzione da parte di un re, una terribile accusa, perdita di parenti, rovina delle sostanze. 140. Oppure il fulmine gli incendierà la casa e, quando il suo corpo sarà distrutto, quel dissennato se ne andrà all'inferno. 141. Non il fatto di aggirarsi ignudo, o di portare i capelli attorti, non la sporcizia, non il digiuno o il giacersi per terra, non il sedere immobile, accosciato, o lo strofinarsi con polvere (42), possono purificare il mortale che non abbia superato il desiderio. 142. Colui che, pur essendo ben ornato (= ben vestito), sia equanime, calmo, domo, controllato, casto,

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deposto il bastone verso tutte le creature, costui è veramente un brahmana, un samana, un bhikkhu! 143. [Non] si trova al mondo un uomo così trattenuto nella vergogna, da [non voler] provocare il rimprovero, come un nobile cavallo la frusta? "144. Come nobile cavallo spronato dalla frusta siate strenui e zelanti; mediante fede, virtù, energia, meditazione e discernimento dovuto alla Legge, divenuti perfetti in conoscenza e condotta e raccolti nella memoria supererete questo male non piccolo." 145. Costringono le acque [nei tubi] i fontanieri, curvano i dardi i frecciaioli, piegano il legno i falegnami, domano se stessi i devoti. CAPITOLO XI JARA-VAGGA (LA VECCHIAIA) 146. Che ragione vi è di ridere, di essere contenti, quando tutto è in fiamme? Ravvolti dalle tenebre, non cercate una luce ? 147. Guarda questa variopinta figura, questo corpo piagato da ferite, tenuto su, malaticcio, pieno di fantasie, nel quale non v'è fermezza, non stabilità! "148. Questa forma è frusta, piena di malattie, fragile: questo assieme putrescente si disfa; la vita, infatti, confina con la morte." 149. Che piacere vi può essere, dopo aver guardato queste ossa grigiastre, simili a zucche che si buttano via in autunno ? "150. Di ossa è fatta la cittadella, rivestita di carne e sangue; in essa trovano ricetto vecchiaia, morte, orgoglio ed ipocrisia." 151. Si disfano anche gli splendenti cocchi regali e così pure il corpo si avvicina alla vecchiaia. La virtù dei buoni non diventa mai vecchia. Così i buoni riferiscono ai buoni. 187 152. L'uomo di poco sapere invecchia come un bove. Crescono le sue carni, ma non cresce la saggezza. 153. Lungo innumerevoli esistenze ho corso, cercando il costruttore della casa, né lo ho trovato: eppure è doloroso tornare a nascere di volta in volta. "154. O costruttore, Sei stato scoperto, non farai di nuovo la casa. Tutte le travi sono spezzate, la capriata è crollata; lo spirito, cancellata ogni concezione, ha estinto la sete." 155. Coloro che non esercitarono la disciplina, che in gioventù non fecero tesoro, periscono come vecchi aironi in un lago privo di pesci. 156. Coloro che non esercitarono la disciplina, che in gioventù non fecero tesoro, giacciono come archi spezzati, rimpiangendo il passato. CAPITOLO XII

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ATTA-VAGGA (SE STESSO) (43) 157. Chi riconosca il sé come cosa cara, con buona cura lo custodisca. Delle tre vigilie della notte, durante una vegli il Saggio. 158. In primo luogo indirizzi se stesso verso ciò che è proprio, indi ammaestri qualcun altro: così non avrà danno chi è saggio. 159. Renda se stesso in modo da poter insegnare ad altri: I domato [se stesso, gli altri] potrà domare. Il se stesso è ben difficile da domare. "160. Ognuno è padrone di se stesso (T. ""il Sé è padrone del Sé "") quale altro padrone ci dovrebbe essere? Avendo" domato se stesso si acquista un padrone difficile da conquistare. 161. Dal proprio sé è compiuto il male, [dal proprio sé] si è nati, [dal proprio sé] si è fatti crescere: esso sbriciola lo stolto, come un diamante stritola anche una pietra preziosa. 162. Colui che ha pessimi costumi, come un albero sala soffocato da rampicanti, rende se stesso come desidera il suo nemico. 163. Facili sono a farsi le cose non buone, dannose per noi stessi: ciò che, invece, è benefico, ciò che è buono, questo è davvero estremamente difficile a compiersi. 164. Quello sciocco che deride i precetti degli Arhat, degli Eletti, dei Virtuosi, seguendo false dottrine, porta frutti per la propria distruzione, come i frutti dalla canna katthaka. 165. Dal proprio sé è compiuto il male, mediante il proprio sé si giunge alla sofferenza, dal proprio sé il male non viene compiuto, mediante il proprio sé ci si purifica. Purità ed impurità [si generano] di per sé, nessuno può purificare un altro. 166. Non si scordi il proprio bene per quello altrui, per quanto grande esso sia: riconosciuto il proprio bene, si sia tutto intento a questo. CAPITOLO XIII LOKA-VAGGA (IL MONDO) 188 167. Non praticate un basso modo di vivere, non permanete nella distrazione, non seguite false dottrine, non incrementate il vivere mondano! 168. Alzati, non essere negligente! Applicati alla Legge di virtù! Chi si applica alla Buona Legge, la felicità lo segue in questo e nell'altro mondo. 169. Pratica la Legge di virtù, non seguire quella della mala condotta! Chi si applica alla Buona Legge, la felicità lo segue in questo e nell'altro mondo. 170. Contempla [questo mondo] come una bolla d'acqua, guardalo come un miraggio: colui che in tal mondo

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contempli il mondo, lui non vede il Re della Morte. "171. Venite, contemplate questo mondo splendente come un carro regale, nel quale si accomodano gli sciocchi; coloro che sono saggi non si attaccano a lui!" 172. Chi prima viveva immerso nella distrazione e poi si fa attento, costui illumina questo mondo, come luna liberata dalle nubi. 173. Chi ricopre la cattiva azione commessa mediante una buona, costui illumina questo mondo come luna liberata da nubi. 174. Questo mondo è coperto di tenebre, pochi vi possono veder chiaro: raro è chi si alza in volo verso il cielo come uccello sfuggito alla rete. 175. Vanno i cigni per la Via del Sole (44), vanno miracolosamente attraverso l'etereo spazio (45): procedono i costanti fuori dal mondo, avendo vinto Mara con tutta l'oste sua. 176. Per l'uomo che trasgredisce abitualmente ad una sola regola, per colui che dice menzogne e non si cura dell'altro mondo, non v'è male che egli non possa compiere. 177. Al cielo non salgono, certamente, gli avari: sono invero stolti coloro che non magnificano [la virtù] del donare. Chi è saldo si rallegra a donare e, per ciò, consegue felicità nel mondo di là. "178. Meglio che regnar da solo su tutta la terra, meglio che ascendere al cielo, meglio che aver la signoria su tutti i mondi è il frutto dell'o entrata in corrente"" (46)`." CAPITOLO XIV BUDDHA-VAGGA IL BUDDHA (= IL RISVEGLIATO) 179. Colui la cui vittoria non può essere nuovamente conquistata (= non può essere strappata), nel [campo del] la cui conquista non può entrare alcuno in questo mondo, questo Buddha che ha l'Infinito come suo dominio, che non ha via [da percorrere], su quale via vorreste guidarlo? 180. Colui che nessuna brama, con i suoi lacci velenosi, può condurre fuori di strada, questo Buddha che ha l'infinito come suo dominio d'azione, che non ha via [da percorrere], su quale via vorreste guidarlo? 181. Quei costanti, dediti alla meditazione, che godono nella pace dell'emancipazione! Perfino gli dèi hanno invidia di costoro, che sono risvegliati al Vero e che sono coscienti [di quel che fanno]. 182. Arduo a raggiungere è lo stato di uomo (47), arduo è vivere come mortale, arduo è che sorgano dei Buddha. 183. Non compiere alcuna specie di male, darsi alle buone azioni, purificarsi la mente, questo è l'insegnamento del Buddha. 184. I Buddha chiamano la pazienza suprema ascesi, la sopportazione eccelso Nibbana: non è anacoreta chi colpisce gli altri, non è asceta chi gli altri offende. 189

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185. Non biasimare, non colpire, vivere astretti alla regola, essere moderati nel cibo, dimorare e giacersi soli, essere intenti ad alti pensieri, questo è l'insegnamento dei Buddha. 186. Nemmeno con una pioggia di monete d'oro si consegue la sazietà dei desideri chi conosce che la soddisfazione dei desideri ha breve sapore e porta dolore, costui è un Saggio. "187. Nemmeno nei piaceri celesti trova soddisfazione il discepolo pienamente risvegliato: egli si diletta a distruggere la o sete "" [di esistenza]." "188. Uomini spinti da paura vanno a cercare asilo in montagne e foreste, alberi sacri e santuari;" "189. ma questi non sono asilo sicuro, non sono il Supremo Rifugio; non è accorrendo a questi rifugi che ci si libera da tutti i dolori." 190. Colui che, invece, cerca rifugio nel Buddha, nella Legge e nella Comunità, scorge con retta cognizione le quattro Nobili Verità: 191. il dolore, l'origine del dolore, la cessazione del dolore ed il nobile ottuplice sentiero che conduce all'acquietamento del dolore. 192. Questo è l'asilo sicuro, questo è il supremo rifugio, questo è il rifugio giungendo al quale si placano tutti i dolori. 193. Raro è l'Uomo Superiore, esso non nasce dovunque: dove nasce un simile saldo individuo, felice è la sua gente. 194. Felice è il sorgere dei Buddha, felice è la predicazione della Buona Legge, felice la concordia della Comunità, felice l'ascesi di coloro che sono concordi. 195. Chi venera i Buddha degni di venerazione, oppure i loro discepoli, che hanno trasceso la schiera delle illusioni ed hanno superato dolore e pianto, 196. chi onora costoro, che hanno estinto [le passioni], che nulla hanno da temere, di costui nessuno potrebbe calcolare il merito [che così acquista]. CAPITOLO XV SUKHA-VAGGA (LA FELICITA) 197. Viviamo dunque felici, senza inimicizia fra coloro che sono malevoli: fra gli uomini ostili, stiamocene senza inimicizia ! 198. Viviamo dunque ben felici, senza malanni fra gli ammalati: fra gli uomini ammalati, stiamocene senza malanni ! 199. Viviamo, dunque, ben felici liberi da brama fra i bramosi: fra gli uomini cupidi stiamocene senza cupidigia! 200. Viviamo, dunque, ben felici noi, che non possediamo nulla: nutrendoci della gioia [altrui] come gli dèi risplendenti !

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201. La vittoria alimenta inimicizia, perché chi è vinto giace dolente. Chi ha abbandonato vittoria e sconfitta, costui ristà tranquillo e felice. 202. Non esiste fuoco simile alla passione, non v'è perdita comparabile all'odio, non v'è dolore simile a quello di essere composto di aggregati (49), non v'è felicità pari alla calma interiore. "203. La fame è la peggiore delle malattie, le predisposizioni psichiche (50) sono le peggiori sventure; avendo riconosciuto le cose come realmente sono, l'Estinzione (= Nibbana) appare come la suprema felicità." 204. La salute è il migliore guadagno, la contentezza è la migliore ricchezza, la fiducia è il miglior parente, l'Estinzione è la suprema felicità. 205. Chi ha assaporato la dolcezza della solitudine, ed il succo della calma interiore, costui è senza dolori, senza peccato, avendo bevuto l'essenza gioiosa della Legge. "206. Buona è la vista degli Eletti, è sempre benefico lo stare assieme a loro; quando non si vedono stolti si 190 sta sempre bene." 207. Chi viaggia in compagnia degli stupidi si affligge lungamente sul cammino: la compagnia degli stupidi cagiona sempre dolore, come lo stare con un nemico: lo stare con un saggio cagiona felicità, come l'incontrarsi con un parente. Quindi, per ciò: 208. chi è saldo, intelligente, di molta dottrina, capace di molto sopportare, che compie il suo dovere, eletto, un siffatto uomo virtuoso e saggio seguite, come la luna segue il cammino delle stelle. CAPITOLO XVI PIYA-VAGGA (IL PIACERE) 209. Chi si applica alla distrazione e non si soggioga nella meditazione, avendo abbandonato l'utile per il diletto, invidierà coloro che si concentrano in se stessi. 210. Non ti attaccare a ciò che è piacevole e neppure mai a ciò che è sgradevole. Il non vedere ciò che è piacevole causa dolore, come pure il vedere ciò che è spiacevole. 211. Di conseguenza, non cercare diletto [in alcuna cosa]: dolorosa è la perdita di ciò che piace: non esistono legami per coloro che non hanno alcuna cosa piacevole e spiacevole. 212. Dal piacere nasce il dolore, dal piacere nasce il timore: per chi è libero dal piacere non esiste dolore: di che cosa [dovrebbe aver] timore ? 51 213. Dall'affetto nasce il dolore, dall'affetto nasce il timore: chi è libero da affetto non conosce dolore: di che cosa [dovrebbe aver] timore? 214. Dalla voluttà nasce il dolore, dalla voluttà nasce il timore. Per chi è libero da voluttà non v'è dolore: di che cosa [dovrebbe avere] paura?

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215. Dal desiderio nasce il dolore: dal desiderio nasce il timore: chi è libero da desiderio non conosce dolore: di che cosa [avrebbe, allora,] timore? "216. Dalla sete (52) [di vivere] nasce il dolore, dalla sete nasce il timore; chi è libero da sete non conosce dolore: di che cosa [dovrebbe avere] timore?" 217. Chi ha conseguito virtù ed intelligenza, che è giusto e veridico, che compie ciò che è suo dovere, costui la gente ha caro. "218. Colui il cui desiderio è rivolto all'Ineffabile, che in ispirito sia esultante, la cui mente non sia vincolata a desideri, costui è chiamato o quello che risale la corrente "" (53)." 219. Parenti, amici e compagni si rallegrano nell'accogliere un uomo che, da lungo tempo assente, ritorni da lontano sano e salvo. 220. Così pure chi ha fatto del bene in questo mondo, allorché va all'altro, le azioni meritorie lo accolgono come parenti il loro caro quando ritorna. CAPITOLO XVII KODHA-VAGGA (L 'IRA) 221. Abbandona l'ira, trascura l'orgoglio, passa oltre ogni vincolo: nessun dolore tocca l'uomo distaccato da nome e forma, e che non possiede nulla. "222. Colui che riesce a trattenere la collera come un cocchio precipitante, costui io chiamo "" auriga "", 191 l'altra gente" "o tienibríglie ""." "223. Con la mancanza di collera si vinca la collera; con la bontà si vinca la cattiveria. Con la generosità si vinca l'avarizia, con la verità si vinca il menzognero." "224. Di' la verità; non ti incollerire; dà, anche se poco, quando sei richiesto. Mediante queste tre condizioni salirai ben presto vicino agli dèi." 225. Quegli asceti che non fanno male ad alcuno, che sono sempre controllati nel corpo, costoro vanno alla sede imperitura, giunti alla quale non avranno più da soffrire. 226. Per coloro che sempre vegliano, che giorno e notte si educano intenti al Nibbana, per costoro tramontano gli attaccamenti. "227. È un vecchio detto, questo, o Atula, non è come uno dei nostri giorni: "" Biasimano chi se ne sta zitto, biasimano chi parla molto, biasimano anche chi parla poco: non v'è al mondo chi sia senza biasimo ""." 228. Non c'è mai stato, non ci sarà, né c'è adesso un uomo che sia sempre biasimato o un uomo che sia sempre lodato. 229. Ma colui che, esaminandolo giorno per giorno, è lodato da quelli che discriminano, che è di intemerata

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condotta, che è intelligente, che è dotato di sapienza e di buoni costumi, 230. pari ad una moneta d'oro, chi oserebbe dirne male ? Anche gli dèi lo lodano, perfino da Brahma egli è lodato. 231. Guardati da un atto di collera compiuto col corpo, sii controllato nel corpo. Avendo abbandonato la mala condotta del corpo, comportati bene col corpo. 232. Guardati da un atto di collera verbale, sii controllato nella parola. Abbandonata l'intemperanza di parola, comportati bene con la parola. 233. Guardati da un atto di collera mentale, sii controllato nella mente. Abbandonata la mala condotta verbale, comportati bene con la mente. "234. Controllati nel corpo sono i saldi, ed anche controllati nella parola; controllati nella mente sono i forti, essi che sono controllati in ogni senso (54)" CAPITOLO XVIII MALA-VAGGA (LE IMPURITÀ) (55) "235. Ora sei come una foglia ingiallita, ormai; i messaggeri di Yama 55 sono già vicino a te: la tua partenza è prossima, non si trova, però, ancora il viatico." 236. Fa' [quindi] un'isola di te stesso, opera celermente, sii saggio. Soffiate via le impurità, libero da macchia, andrai alla celeste terra degli Eletti. 237. La tua vita è giunta al termine. Sei giunto ben vicino a Yama, non v'è sosta sulla via e non si trova ancora il viatico. 238. Fa' [quindi] un'isola di te stesso, opera celermente, sii saggio. Soffiate via le impurità, non tornerai più a vivere e ad invecchiare. 239. L'intelligente soffi via da sé le impurità poco a poco, un momento dopo l'altro, come l'argentiere dall'argento. 240. Come ruggine affiorata dal ferro, [che, una volta apparsa, lo corrode,] così pure sono le proprie azioni a con. durre il trasgressore sulla via della perdizione. 241. Il non ripetere meditando è la ruggine delle giaculatorie, la mancanza di energia è la ruggine delle famiglie, Ë pigrizia è la ruggine della bellezza, la distrazione è la ruggine del guardiano. 192 242. Ruggine della donna è la cattiva condotta, ruggine del donatore è l'egoismo, ruggine sono i cattivi modi di essere (= dottrine), in questo e nell'altro mondo. 243. Ma vi è una macchia che è la maggiore delle macchie: la Nescienza (57), somma sozzura! Una volta che avrete distrutto questa macchia, restate puri da macchia, o monaci! 244. Facile è la vita per uno svergognato, eroe come una cornacchia, distruttore, prepotente, superbo e che viva una vita corrotta.

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245. Difficile è invece la vita di una persona modesta, che sempre ricerca la purezza, disinteressata, quieta, che vive onestamente e che è penetrante. 246. Colui che distrugge la vita, come mente parlando, che nel mondo prende ciò che non gli è stato dato, che va con la moglie altrui, 247. e quell'uomo che è dedito al bere liquori fermenta i o spiritosi, costui, già in questo mondo, svelle la propria radice. 248. Pertanto, o uomo, sappi! Cattiva è la condizione di coloro che non si controllano! Non ti costringano lungamente al dolore la mancanza di legge e la cupidigia. 249. La gente dà [l'elemosina] secondo la sua fede e secondo ciò che le piace: pertanto chi si preoccupa troppo circa il cibo o la bevanda che altri gli danno, costui non giungerà né di giorno né di notte all'estasi meditativa (samadhi). 250. Colui, invece, nel quale una tale preoccupazione è stroncata e divelta sin dalla radice, costui di notte e di giorno perviene sempre all'estasi meditativa. 251. Non vi è fuoco come la passione, non vi è artiglio simile all'odio, non vi è rete pari all'illusione, non vi è corrente [che trascini] come la cupidigia. 252. Facile a scorgere è l'errore altrui, difficile è, invece, il proprio. Gli errori altrui si vagliano come [si avventano] le spighe di grano: il proprio errore lo si nasconde come il baro nasconde il cattivo punto ai dadi al[l'altro] giocatore. 253. Chi scorge le mancanze altrui ed è sempre pronto ad irritarsi, di costui crescono le passioni ed egli è ben lungi dalla loro distruzione. 254. Non v'è strada attraverso l'aria, non v'è monaco fuori [dell'Ordine], la gente comune gode al dispiegarsi dei fenomeni, i Tathagata (58) sono di là dai fenomeni. 255. Non v'è strada attraverso l'aria, non v'è monaco fuori [dell'Ordine]: gli elementi dell'esistenza (sankhara) non sono eterni, per i Buddha non v'è agitazione. CAPITOLO XIX DHAMMATTHA-VAGGA (L'UOMO GIUSTO) 256. Un uomo non è giusto perché si occupa di una questione con violenza, ma quel saggio che discrimina fra le due cose: ciò che è reale e ciò che è irreale. 257. Colui che guida gli altri spassionatamente, secondo 1 la stessa legge, che è custode del diritto, intelligente, costa si dice un uomo giusto. 258. Non è saggio un uomo perché parla molto, quando è paziente, pacifico, intrepido, allora lo si chiama saggio.

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"259. Uno non è versato nella dottrina in quanto molto [ne] parla; anche se poco ha appreso, ma vede la legge come un corpo concreto, questi è uno che conosce la dottrina e giammai la trascura." 260. Non è Anziano un tale perché il capo gli è divenuto canuto: la sua età può [anche] essere matura, ma egli 193 "chiamato o vecchio invano"";" 261. ma colui nel quale sono verità, giustizia, rispetto della vita, temperanza e dominio su se stesso, che ha scosso da sé ogni macchia, costui si chiama forte e Anziano. 262. Un uomo invidioso, egoista, imbroglione non diventa bello solo per i discorsi che intesse o per la venustà del suo aspetto, "263. ma colui nel quale tali difetti siano stati stroncati e divelti sin dalla radice, che abbia rigettato ogni odio e che sia intelligente, costui si chiama giustamente a bello ""." 264. Mediante la tonsura non diventa asceta un uomo indisciplinato e bugiardo: come potrà essere asceta chi è do minato da desiderio e brama? 265. Colui il quale placa i mali grandi o piccoli, proprio per il fatto che acquieta (samittata) i malanni è chiamato asceta (samana). "266. Non per questo uno è monaco (bhikkhu), perché degli altri va mendicando (bhikkhate); avendo accolto in sé tutta quanta la Legge, egli diventa monaco, non per quell'[altro] solo." 267. Chi, avendo da sé rigettato il bene ed il male (59) praticando la castità operi cautamente nel mondo, questi in verità si chiama un monaco. 268. Non per il voto del silenzio (monam) diventa asceta (muni) lo scemo o l'ignorante, ma colui che, presa la bilancia e scelto il meglio, 269. evita i peccati, costui è un asceta ed è un asceta proprio per questo. Colui che nel mondo soppesa (munam) ambo i lati, proprio per questo è detto asceta (muni). "270. Un uomo non è un Eletto (ariya) perché uccide gli esseri viventi; perché si astiene dal far male a tutti gli esseri, perciò egli è chiamato Eletto." 271. Non per la sola disciplina e per i voti, e neppure per la molta erudizione, o per aver conseguito l'estasi meditativa, o per la solitaria dimora, 272. raggiunge la beatitudine nascente dalla rinuncia, insecchita dagli uomini non comuni. O Bhikkhu,[non fidarti!,] solo chi ha conseguito la distruzione dei vincoli, costui ha raggiunto la fiducia [in se stesso]. CAPITOLO XX MAGGA-VAGGA (LA VIA) "273. Delle vie, la Ottuplice (60) è la migliore, delle verità, le quattro parole (60a); l'assenza di passioni è la migliore delle dottrine e, fra i bipedi, il migliore è colui che ha occhi [per vedere] ."

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274. Questa è la Via, non ve ne è altra per purificare la visione. Voi, entrate in questa! Questa è la liberazione da Mara. 275. Una volta che sarete entrati in questa, avrete posto fine alla sventura. La Via è stata insegnata da me, una volta che ebbi riconosciuto che essa placa le fitte del dolore (61). 276. Lo sforzo dovete farlo voi: i Tathagata sono soltanto predicatori! meditatori che entrano [nella Via] si liberano dai lacci di Mara. "277. "" Tutti gli elementi dell'esistenza sono impermanenti "". Quando con intelligenza così si intuisce, ci si estingue rispetto al soffrire - questa è la via verso la purificazione." "278. ""Tutti gli elementi dell'esistenza sono dolorosi"". Quando con intelligenza così si intuisce ci si estingue rispetto" al soffrire - questa è la via verso la purificazione. I "279. "" Tutti gli elementi della realtà (dhamma) sono privi di essenza "". Quando con intelligenza così si intuisce, ci si estingue rispetto al soffrire - questa è la Via verso la purificazione." 194 280. Colui che non si leva al momento di alzarsi e che, pur giovane e forte, è provvisto [solo] di pigrizia, che è debole nell'immaginare e nel volere, questo uomo indolente ed inerte non trova la via verso la conoscenza. 281. Sorvegliando la parola, ben controllato nella mente, non compirà del male nemmeno col corpo. Purifichi questi tre sentieri per l'azione: percorra la via insegnata dai Veggenti (62). 282. Dall'Ascesi (Yoga) nasce la Saggezza: mediante la non-ascesi si perde la Saggezza. Avendo conosciuto questa duplice via, per l'acquisto e per la perdita, ognuno si disponga in modo tale da accrescere la Saggezza. 283. Abbattete l'intera foresta (63), non un albero solo! Dalla foresta nasce il timore (64). Quando avrete tagliato la foresta ed il sottobosco (= i diversi desideri), allora, o monaci, avrete conseguito l'estinzione. 284. Fintanto che non sarà reciso il desiderio, per quanto piccolo, dell'uomo verso la donna, altrettanto sarà vincolato il pensiero, come il vitello lattante verso la madre. 285. Recidi l'amore verso te stesso, come un loto di autunno, con la mano! Volgiti alla via della calma interiore! Il Nibbana è stato insegnato dal Sugata (65). "286. "" Qui trascorrerò la stagione delle piogge, costà l'inverno e colà l'estate"", così va almanaccando lo sciocco, senza riflettere alla fine della vita." 287. Questo uomo tutto indaffarato coi figli e col bestiame, e dalla mente dispersa, lui afferra la Morte passando, come un'alluvione porta via un villaggio addormentato. "288. Non gli sono d'aiuto i figli, non il padre, e neppure i parenti; per colui che è afferrato dal dio della Morte non v'è aiuto [che possano recargli i suoi] affini."

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289. Avendo riconosciuto il senso di questo, il saggio e virtuoso ben presto purifichi il cammino che conduce al Nibbana. CAPITOLO XXI PAKINNAKA-VAGGA (MISCELLANEA) 290. Se, abbandonando un piccolo piacere, si può esperimentare una felicità completa, tralasci il Forte il piccolo piacere contemplando la felicità completa. 291. Chi cerca la propria felicità cagionando dolore ad altri, afferrato nel legame dell'inimicizia non si libera dall'inimicizia. 292. Quando si respinge ciò che si deve fare e si compie ciò che non si deve fare, crescono i legami per gli insolenti e per i distratti. 293. Coloro, invece, che, bene intenti, volgono la consapevolezza a frenare il corpo, che non compiono ciò che non si deve fare e che sempre fanno ciò che è lecito, per costoro, che sono coscienti e saggi, tramontano i legami. 294. Avendo ucciso madre e padre e due re di casta guerriera, avendo distrutto il regno coi suoi soggetti, il brahmana se ne va senza colpa. 295. Avendo ucciso madre e padre e due re di casta sacerdotale ed una tigre come quinto, il brahmana se ne va senza colpa. 296. Vegliano sempre ben consci i discepoli di Gotama, I la consapevolezza dei quali giorno e notte è rivolta al Risvegliato (ó7) (Buddha). 297. Vegliano sempre ben consci i discepoli di Gotama, la consapevolezza dei quali giorno e notte è rivolta alla Legge (Dhamma). 298. Vegliano sempre ben consci i discepoli di Gotama, la consapevolezza dei quali giorno e notte è rivolta alla Comunità (Sangha). 299. Vegliano sempre ben consci i discepoli di Gotama, la consapevolezza dei quali giorno e notte è rivolta 195 al corpo (69). 300. Vegliano sempre ben consci i discepoli di Gotama, la mente dei quali giorno e notte gode nel non danneggiare alcuno (ahimsa). 301. Vegliano sempre ben consci i discepoli di Gotama, la mente dei quali giorno e notte gode nella meditazione (bhavane) (69). 302. È ben spiacevole abbandonare il mondo, ma la vita domestica è noiosa e dolorosa (70), è doloroso convivere con disuguali, l'itinerante [monaco] è preda di malanni, perciò non metterti in cammino e non sarai colpito da malanni (71).

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303. Il credente, dotato di virtù, che ha conseguito gloria e ricchezza, in qualunque luogo si trovi, ivi tutti gli recano omaggio. "304. Da lungi risplendono i buoni come le nevose montagne (= lo Himalaya); non si vedono, invece, i malvagi, come frecce scagliate nella notte." 305. Sedendo solo, giacendo solo, solitario, aggirandosi infaticabile, domando se stesso, goda [l'asceta] a starsene sul bordo della foresta. CAPITOLO XXII NIRAYA-VAGGA IL PRECIPIZIO (= L'INFERNO) "306. Chi dice il falso precipita nell'inferno, come colui che, avendo fatto qualcosa, disse: ""non feci o. Ambedue, una volta trapassati, sono uguali: nell'oltremondo sono uomini dalle azioni perdute." 307. Molti che indossano la veste gialla rappezzata [del monaco] sono di indole malvagia e non controllati. Essi, cattivi, conseguono l'inferno per le loro cattive azioni. 308. Meglio sarebbe inghiottire una palla di ferro arroventata, come fuoco avvampante, piuttosto che vivere, licenzioso e sfrenato, sull'elemosina del paese. 309. L'uomo incauto che si giace con la moglie altrui ottiene quattro condizioni: compie un male, non si giace a suo piacimento, in terzo luogo viene punito ed in quarto va all'inferno. 310. Conseguimento di peccato, una mala via, breve piacere per lui timoroso fra [le braccia di] una timorosa, il re lo punisce gravemente: perciò l'uomo non desideri la moglie altrui. 311. Come una foglia [affilata] di erba kusa, che, male afferrata, taglia la mano, l'ascesi male praticata mena all'inferno. 312. Azione compiuta fiaccamente, voto inficiato, castità incerta non conducono a grandi frutti. 313. Ciò che deve essere fatto venga fatto, con decisione ed energia. Il monaco fiacco solleva soltanto polvere [dalle sue passioni] (72). "314. È meglio che un'azione da non compiersi non venga compiuta: in seguito egli si pente del male fatto. Ciò che si deve fare è meglio che sia fatto per bene; una volta che è stato fatto non ci si pente." 315. Come una fortezza sorvegliata da tutte le parti, dentro e fuori, così si custodisca se stessi, non egli si distragga nemmeno un momento. Coloro che hanno lasciato trascorrere [quel tale] momento soffriranno poi, quando saranno scesi nell'inferno. 316. Le creature che si vergognano di ciò di cui non egli si deve vergognare e che non si vergognano, invece, di ciò di cui ci si deve vergognare, poiché hanno accolto false teorie, vanno per la mala via. 317. Le creature che temono ciò che non è temibile e che non temono ciò che, invece, bisogna temere, poiché hanno accolto false teorie, vanno per la mala via.

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318. Le creature che ritengono di dover evitare ciò che non si deve evitare e non riguardano come evitando ciò che, invece, si deve evitare, avendo accolto false teorie, vanno per la mala via. 196 319. Le creature che riconoscono da evitarsi ciò che si deve evitare e da non evitarsi ciò che non si deve evitare, avendo adottato la retta visione, vanno per la via che mena al bene. CAPITOLO XXIII NAGA-VAGGA (L 'ELEFANTE) 320. Io, come elefante colpito in battaglia dalla freccia scagliata da un acro, sopporterò silenziosamente. Il volgo è, invece, senza virtù. 321. Si conduce alla battaglia [l'elefante] domato, il re sale sull'elefante domato. Colui che è domo è il migliore fra gli uomini [ed è] colui che sopporta senza far parole. 322. Buoni sono i muli domati, o i purosangue di razza Sindhu e gli elefanti maestosi. Colui che ha domato se stesso è ancor meglio di loro. "323. Non si potrebbe, però, andare con quei quadrupedi nella regione "" non-calpestata "" (= il Nibbana), ove, invece, chi ha domato se stesso va, per mezzo del se stesso ben domato." 324. L'elefante detto Dhanapalaka, dalle tempie colanti umore acido, difficile da trattenere, quando è legato non mangia un boccone: il maestoso elefante ben si rammenta della selva degli elefanti! 325. Se [l'uomo] diventa pigro e gran mangiatore e, quando sonnecchia, si rivolta nel giaciglio, questo stupido, [invece,] simile ad un grasso maiale nutrito di avanzi, di nuovo e di nuovo rinasce in [nuova] matrice. 326. Una volta questo [mio] pensiero se ne andava errando, come desiderava, come gli piaceva, come gli accomodava. Ora io lo tratterrò con saggezza, come il guidatore [frena con l'uncino] l'elefante furioso. 327. Compiacetevi nell'essere attenti, controllate i pensieri ! Tirate fuori voi stessi dalla cattiva strada, come elefante affondato in un pantano! 328. Se uno trova un compagno prudente, che proceda insieme a lui [sulla Via], che sia virtuoso, sobrio e forte, sormontando tutti gli ostacoli vada con lui contento, [ma] consapevole. 329. Se uno non trova un compagno prudente, che proceda insieme [sulla Via], che sia virtuoso, sobrio e forte, vada pure solo, come un re che ha lasciato dietro di sè il regno conquistato, come un elefante nella foresta. 330. È meglio procedere da solo, non esiste compagnia con lo stupido: si vada da solo senza compiere peccati, con pochi desideri, come l'elefante nella foresta. 331. Quando capita l'occasione è piacevole la compagnia, è piacevole la contentezza, qualunque ne sia la

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causa. La buona azione [compiuta] è piacevole quando si dice addio alla vita: è piacevole abbandonare ogni dolore. 332. Nel mondo è piacevole lo stato di madre, è piacevole lo stato di padre, è piacevole lo stato di monaco, è piacevole lo stato di brahmana (73). 333. È piacevole la virtù che dura sino alla vecchiaia, è piacevole la fede ben radicata, è piacevole l'acquisto di superiore conoscenza, è piacevole non aver commesso malanni. CAPITOLO XXIV TANHA-VAGGA (LA SETE) (74) 334. Nell'uomo che vive con la mente distratta la sete cresce come una liana: egli guizza di vita in vita, come 197 la scimmia che desidera un frutto [salta di albero in albero]. 335. Colui che tale sete velenosa, difficile a superare in questo mondo, tormenta, le sofferenze di costui crescono come la folta erba birana. 336. Però colui che sopporta tale sete velenosa, difficile a superare in questo mondo, da lui scivolano via tutti i dolori, come goccia d'acqua dal [la foglia di] loto. I "337. Io vi dico questa buona parola, giacché siete qui riuniti: ""Svellete la radice della sete, come chi cerca l'usira [odorosa] strappa l'erba birana. Non possa schiantarvi Mara di nuovo e di nuovo, come la corrente del fiume [fa] con le canne !""." 338. Come un albero, anche quando è stato tagliato, cresce di nuovo finché non è stata divelta la salda radice, così pure, finché i vincoli della sete non siano troncati, questo dolore ricresce di nuovo e di nuovo. 339. Quando le trentasei correnti (75) scorrono impetuose verso il piacere, le onde trascineranno quell'uomo mal guidato, cioè i desideri diretti dalla passione. 340. Le correnti fluiscono ovunque lussureggiante si espande la liana. Se vedete che la liana è nata, tagliatene la radice con la conoscenza superiore. 341. Impetuosi ed inebrianti sono gli appetiti dell'uomo. Dediti ai piaceri ed alle gioie che ne derivano gli uomini soggiacciono [continuamente] a nascita e vecchiaia. 342. Dominati dalla sete, gli uomini balzano qua e 1è come lepri incappate nella rete. Soggetti a vincoli e legami continuamente ed a lungo vanno verso il dolore. 343. Dominati dalla sete, gli uomini balzano qua e là come lepri incappate nella rete. Di conseguenza cacci lontano da sé il monaco la sete, col volere il distacco interiore. 344. Chi, libero da desiderio, è intento al desiderio, liberatosi dalla foresta [dei desideri (76)] corre di nuovo verso la foresta, quell'uomo, deh, guardate: una volta liberato si getta nuovamente nei lacci.

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345. I Saggi non chiamano saldo legame quello che è fatto di ferro, di legno o di canapa: appassionatamente più forte è l'affetto per le gemme e gli anelli, per i figli e per la moglie. 340. Questo i Saggi chiamano saldo legame, che trascina in basso, che è molle, eppure difficile a sciogliere. Una volta che hanno tagliato anche questo, [i Saggi] se ne vanno, libri da pensieri, avendo abbandonato tutti i dolori. 347. Coloro che sono attaccati alle passioni scivolano giù nella corrente da loro stessi provocata, come il ragno nella rete. Una volta che hanno interrotta anche questa, [i Saggi] se ne vanno, liberi da pensieri, avendo abbandonato tutti i dolori. 348. Abbandona le cose passate, abbandona le cose avvenire, abbandona ciò che sta in mezzo (= il presente), quando tendi verso l'altra sponda dell'essere. Se la tua mente è libera in ogni senso, non ritornerai più nel [ciclo di] nascita e vecchiaia. 349. In quell'uomo che è agitato da dubbi, fortemente appassionato, che bada solo al piacere, cresce la sete: egli rende, invero, più forti i legami. 350. Colui che, invece, gode nel sedare i dubbi e, sempre memore, si rende consapevole di ciò che è impuro, costui allontanerà da sé, anzi troncherà, il legame di Mara. 351. Chi ha raggiunto la consumazione [dell'esistenza], che non trema più, la cui sete è scomparsa, che è senza macchia, che ha troncato i pungoli dell'esistenza [di costui questo qui è l'ultimo corpo [di cui si riveste]. 352. Colui la cui sete è scomparsa, che è privo di attaccamento, che conosce la composizione delle lettere e la loro collocazione (= che intende l'insegnamento e lo interpreta rettamente), costui, che ha ricevuto il suo ultimo corpo, lo si chiama Gran Saggio e Grande Uomo (77). "353. Io sono il Conquistatore Universale, il Conoscitore Universale, incontaminato in ogni condizione di vita; tutto ho abbandonato con la distruzione della sete: ora che ho conosciuto me stesso, chi potrei indicare [come mio maestro (78)] ?" "354. Il dono della Buona Legge supera ogni dono; il sapore della Buona Legge vince ogni sapore; la gioia 198 della Buona Legge sorpassa ogni gioia; l'estinzione della sete sormonta ogni dolore." "355. I godimenti uccidono lo stolto, non certo quelli che cercano l'altra sponda; per sete di godimento lo stolto uccide gli altri e se stesso." 356. I campi sono danneggiati dalle erbacce, le creature [sono guaste] da passione. Perciò il dono fatto a chi è privo di attaccamento reca gran frutto [al donatore]. 357. I campi sono danneggiati dalle erbacce, le creature [sono guaste] da avversione. Perciò il dono fatto a chi è privo 1

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di avversione reca [al donatore] gran frutto. 358. I campi sono danneggiati dalle erbacce, le creature [sono guaste] da torpidità mentale. Perciò il dono fatto a chi è privo di torpidità mentale reca gran frutto [al donatore]. 359. I campi sono danneggiati dalle erbacce, le creature [sono guaste] dal desiderio. Perciò il dono fatto a chi è privo di desiderio reca gran frutto [al donatore]. CAPITOLO XXV BHIKKHU-VAGGA IL MONACO (BHIKKHU) 360. È buona la continenza (79) nella vista, buona la continenza nell'udito, buona la continenza nell'olfatto, buona la continenza nel gusto. 301. è: buona la continenza nel corpo, buona la continenza nella parola, buona la continenza nel pensiero, buona la continenza in ogni cosa. Un bhikkhu contenuto in ogni cosa si libera da ogni dolore. 362. Colui che controlla la sua mano, che controlla il suo piede, che controlla la sua parola, che è il migliore dei controllati, che è felice di ripiegarsi in se stesso, che è intento, solitario, contento, costui chiamano bhikkhu. 363. Quel bhikkhu che, controllando la sua bocca, parla saggiamente e modestamente e chiarisce il significato della Buona Legge, la parola di costui è dolce. 364. Colui che riposa nella Buona Legge, che gode della Buona Legge, che riflette sulla Buona Legge e la ricorda, questo bhikkhu non devierà dalla Buona Legge. 365. Non disprezzi ciò che ha ricevuto [in elemosina], non invidii gli altri. Il bhikkhu che invidia gli altri non raggiunge di certo l'estasi meditativa. 366. Il bhikkhu che, anche se riceve poco, non invidia gli altri, costui anche gli dèi lodano, [se] la sua vita è pura ed egli non è pigro. 367. Colui il quale non si identifica col proprio nome-e-forma (80), che non si affligge per ciò che non è più, costui è chiamato bhikkhu. 368. Il bhikkhu che si comporta con amorevolezza (81), che è appagato dell'insegnamento del Buddha, raggiungerà la sede della pace (62), la felicità nascente dal dissiparsi degli elementi dell'esistenza. "369. O bhikkhu, vuota questa barca! Una volta vuotata correrà veloce; sradica passione ed avversione: andrai, quindi, al Nibbana." 370. Taglia i cinque [legami], abbandona i cinque [sensi]. D'un bhikkhu che ha sormontato i cinque legami si dice che ha attraversato l'oceano. "371. Medita, o bhikkhu, non essere disattento! Non lasciar vagare il pensi""o verso ciò che arreca piacere: che tu non debba, perchè [qui sei] disattento, inghiottire la palla di ferro [nell'inferno], né tu debba gridare,

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mentre brucerai: questo è dolore!""." 372. Non esiste meditazione ove non sia conoscenza, né vi è conoscenza ove non sia meditazione. Colui che 199 possiede meditazione e conoscenza, costui è ben vicino al Nibbana. 373. Il bhikkhu, una volta che è entrato nella casa vuota ed il cui spirito è totalmente calmo, prova una gioia non umana contemplando rettamente la Buona Legge. 374. Una volta che ha interiormente realizzato il senso dell'origine e della distruzione degli elementi costituenti la personalità (i khandha), egli raggiunge la gioia e la felicità che appartiene a coloro che conoscono l'immortale (il Nibbana). "375. E questo è l'inizio per un saggio bhikkhu, proprio qui: controllo sui sensi, contentezza, continenza secondo la regola; frequentazione di nobili amici, di vita pura, che non siano pigri." 376. Viva egli amichevole, sia di intemerata condotta: indi, nella pienezza di gioia, porrà fine alle sofferenze. 377. Come la pianta vassiki lascia cadere i fiori appassiti, i bhikkhu devono egualmente liberarsi di brama ed avversione. "378. Il bhikkhu il cui corpo è quieto, la cui parola è pacata, la cui mente è calma, che è in sè raccolto, che ha repudiato l'esca del mondo, costui chiamano ""un Essere Acquietato ""." 379. Levati in piedi da te stesso, esamina te stesso da te stesso, e così, custodito da te stesso e rammemorante, vivrai felicemente, o bhikkhu! 380. Poiché il Sé è il padrone del sé (= ciascuno è padrone di se stesso), il sé è rifugio per se stesso, perciò piega te stesso, come il mercante fa col buon cavallo. 3B1. Il bhikkhu che, pieno di gioia, è felice dell'insegnamento del Buddha, procede verso la sede della pace, verso la felicità dovuta allo svanire degli elementi dell'esistenza. 382. Quel bhikkhu che, pur essendo giovane, si esercita nell'insegnamento del Buddha, costui illumina questo mondo come la luna libera da nuvole. CAPITOLO XXVI BRAHMANA-VAGGA IL BRAHMANA (= LO ARHAT) 383. Interrompi la corrente del fiume con energia, o brahmana, disperdi le brame! Quando avrai compreso la distruzione degli elementi dell'esistenza riconoscerai Ciò che Non è stato Creato (= il Nibbana). 384. Allorché un brahmana ha raggiunto l'altra sponda mediante le due leggi (continenza e meditazione), tutti i legami svaniscono per lui che ha conosciuto. 385. Colui che non conosce [come esistenti di per sé] questa riva e l'altra riva ed entrambe, sciolto da timore e da ogni legame, lui chiamo brahmana. 386. Colui che è meditatore, incontaminato, raccolto, che

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compie ciò che si deve, spassionato, distaccato, che ha raggiunto il fine supremo, costui io chiamo brahmana. 387. Di giorno splende il sole, di notte splende la luna, splende il guerriero nell'armatura, splende il brahmane allorché medita. Però il Buddha rifulge di splendore sempre, di giorno e di notte. 388. Poiché si è liberato dal male (bahitapapo), perciò è "chiamato brahmana; poiché procede calmo (sama), perciò è" chiamato asceta (samana): avendo fatto dileguare (pabbajayam) da sé le sozzure, perciò è chiamato pellegrino (pabbajayam). 389. Nessuno faccia violenza ad un brahmana, ma non 200 fugga all'aggressore il brahmana! Guai a chi colpisce un brahmana, e, ancora di più, guai a chi sfugge all'aggressore! 390. Non è di poco vantaggio, per il brahmana, che trattenga la mente dalle cose gradite: a mano a mano che svanisce il pensiero di offendere, contemporaneamente si placa [in lui] ogni dolore (83). 391. Quegli il cui corpo, la cui parola e la cui mente non albergano cattiva azione, che permane ben contenuto in questi tre punti, costui io chiamo brahmana! 392. Colui dal quale si sia appresa la Buona Legge insegnata dal Ben Risvegliato (= Buddha), costui si veneri con zelo, come il brahmana [si inchina al] fuoco sacrificale. 393. Non si diventa brahmana a cagione della crocchia è, della stirpe o della nascita: colui nel quale vi è verità e rettitudine, questo benedetto, costui è davvero un brahmana! 394. Che te ne fai della crocchia, o sciocco? A che ti serve la pelle di capra (84 a) ? Dentro di te vi è la giungla, e tu ti ravvii di fuori! 395. L'uomo coperto di vesti polverose, emaciato, di cui si contano le vene, che se ne sta solitario a meditare nella foresta, costui io chiamo brahmana. 396. Non chiamo certamente brahmana un uomo a cagione della sua stirpe o della madre. Egli, invero, parla con arroganza ed è pure ricco. Ma quegli che non ha niente ed è privo di attaccamento, costui io chiamo brahmana. 397. Colui che, avendo tagliato ogni legame, non trema più ed è sciolto da ogni vincolo, costui io chiamo brahmana. 398. Colui che, avendo tagliato la cinghia, la fascia e la corda con tutti gli annessi, ha da sé rimosso ogni ostacolo, costui io chiamo brahmana. 399. Colui che, innocente, sopporta insulti, percosse e vincoli, avendo la pazienza come sua fortezza, forte

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come un esercito in campo, costui io chiamo brahmana. 400. Colui che ha deposto la collera, che è fedele ai voti, che è virtuoso, privo di attaccamenti, che è domo, che ha ricevuto il suo ultimo corpo, costui io chiamo brahmana. 401. Colui che, come l'acqua su un fiore di loto o come un seme di senape sulla punta di un ago, non aderisce ai desideri, costui io chiamo un brahmana. 402. Colui che, pur vivendo in questo mondo, conosce di già la fine del dolore, che ha deposto il carico, libero da ceppi, costui io chiamo un brahmana. 403. Colui che è dotato di profonda sapienza, che è saggio, che conosce la giusta via e quella errata, che ha conseguito la sublime meta, costui io chiamo brahmana. 404. Colui che si tiene in disparte sia dai laici che dai religiosi, che frequenta poche case, che ha pochi desideri, costui io chiamo un brahmana. 405. Colui che, avendo deposto ogni atteggiamento ostile verso le creature, sia forti che deboli, che non uccide né fa uccidere, costui io chiamo brahmana. 406. Colui il quale è tollerante con gli intolleranti, che è raffrenato verso coloro che usano il bastone, che è privo di brame fra coloro che ne sono pieni, costui io chiamo brahmana. 407. Colui dal quale passione, avversione, orgoglio, ipocrisia sono caduti, come un seme di senape dalla punta di un ago, costui io chiamo brahmana. 408. Colui il quale pronuncia parole veraci, prive di asprezza ed istruttive, con le quali non si offende alcuno, costui io chiamo brahmana. 409. Colui il quale nel mondo nulla prende che non gli sia stato dato, sia esso grande o piccolo, sottile o grosso, buono o cattivo, costui io chiamo brahmana. 410. Colui che non nutre speranze né per questo mondo né per quell'altro, privo di desideri e di legami, 201 costui io chiamo brahmana. "411. Colui del quale non si conoscono più interessi e, poiché sa, non dice ""come?"" , che ha toccato il fondo di ciò che è immortale, costui io chiamo brahmana." 412. Colui che ha abbandonato entrambo i legami, quello del bene e quello del male, che più non soffre, che non è preso da passione, che è puro, costui io chiamo brahmana. 413. Colui il quale è limpido come la luna, puro, sereno, assolutamente calmo, che ha distrutto la fonte di ogni allegrezza, costui io chiamo brahmana. "414. Colui che ha lasciato dietro di sé la via paludosa, che è il samsara difficile da attraversare, che ha raggiunto l'altra sponda, che è meditatore, che è irremovibile, che non domanda più a come? "", che è svincolato, che è Estinto, costui io chiamo brahmana."

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415. Colui che, in questo mondo, avendo abbandonato i desideri, erra senza casa, estinta la fonte di tutti i desideri, costui io chiamo brahmana. 416. Colui che, in questo mondo, avendo abbandonato la sete [di vivere], erra senza casa, estinta la fonte di tutti desideri, costui io chiamo brahmana. 417. Colui il quale, avendo abbandonato ogni vincolo umano, ha anche superato ogni legame proprio agli dèi, scioltosi da tutti i legami, costui io chiamo brahmana. 418. Colui che, avendo abbandonato piacere e dispiacere, divenuto ormai freddo, privo dei germi di una vita futura, che è l'Eroe (vira) che ha vinto tutti i mondi (= tutte le condizioni di esistenza), costui chiamo brahmana. 419. Colui che conosce lo svanire ed il riformarsi degli esseri ovunque, che è distaccato, che è il Ben Procedente (Sugata), che è il Risvegliato (Buddha), costui io chiamo brahmana. 420. Colui il cui sentiero non conoscono né gli dèi, né i Gandharva, né gli esseri umani, che è il Venerabile (Arhat), che ha annientato ogni adesione, costui io chiamo brahmana. 421. Colui che non possiede né passato, né avvenire, ne' presente, che non possiede nulla e nulla prende, costui io chiamo brahmana. 422. Il virile, il nobile, l'eroe, il Grande Saggio, il vincitore, l'imperturbabile, il compiuto, il Risvegliato, costui io chiamo brahmana. 423. Colui che conosce le vie precedenti dimore (= esistenze), che contempla cielo ed inferno, che è pervenuto alla estinzione delle nascite, che ha conseguito superiore conoscenza, che ha interamente compiuto ogni compimento, costui io chiamo brahmana. (Traduzione di Pio Filippani-Ronconi) GLOSSARIO (1) "A-bhava: ""[condizione di] assenza"" di qualunque elemento oggettivo, propria al nirvana (v.) o allo spazio etereo (akasa, v.)." "Abhidharma, Abhidhamma: "" Riferimento al Dharma "" o "" Metafisica "": nome del terzo pitaka (v.)." 202 "Abhisambodhi: "" supremo totale risveglio "": l'esperienza dell'illuminazione o del Risveglio (bodhi, v.), conseguita da Gautama Sakyamuni (v. nirvana)." Abhiseka, abhiseka: battesimo, consacrazione. Rito mediante il quale venivano consacrati ritualmente gli antichi re indiani. Nel vajrayana (v.) l'iniziazione è denominata a. "Acarya, Acarya: il maestro che, assieme al precettore (upadhyaya, upajjhdya"" guida per almeno dieci anni il novizio (sramanera, sumanera) nella Comunità (Sangha, v.)." "Acyuta sthana accuta thana: "" condizione immutabile "", sinonimo di nirvana (v.)."

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"adhisthana, adhitthana: I) ""risoluzione"" di dedicarsi all'ascesi: una delle Perfezioni (paramita, v.); 2) "" grazia "". Nelle scuole del Mahayana denota la libertà che ha il Buddha o, meglio, l'elemento buddhico presente in ognuno di risolvere il karman (v.), indipendentemente dal merito (punya-karmanta) accumulato." "A-himsa "" innocenza "", il non uccidere, precetto fondamentale nel Buddhismo e nel Jainismo (v. sila)." "Akasa: "" etere "", "" spazio"", "" aria "", "" luce "". Lo a., tradotto ordinariamente come ""spazio "", è concepito sotto le specie di "" ambito ideale "", in cui il nirvana si invera e, come tale, è una realtà "" non confezionata"" (a-samskrta, v.). Talvolta, invece, assume il significato di "" aria"", "" cielo""." "Alaya-vijnana: "" coscienza-ricettacolo "" (v. vijnana). Secondo la scuola Yogacara lo a. è la coscienza cosmica contenente, allo stato di seme (bija), tutti gli elementi possibili della realtà (v. dharma): tale coscienza è di là dalle forme empiriche di coscienza proprie ai cinque sensi, al mentale ed alla continuità di coscienza relativa all'entità egoica. Essa è il fondo su cui si depositano i risultati di tutte le azioni passate e dal quale scaturiscono tutti gli accadimenti presenti e futuri determinati da quelle." "A-mrta, a-mata: "" immortale"", "" ambrosia "": sinonimo di nirvana." Anapana-smrti, anapana-sati: v. smrti. "An-atmaka, anatta: ""privo di essere-in-sé"", definizione di tutte le cose (dharma, v.)." "Anitya, anicca: "" impermanenti"", carattere dei samskara(v.)." An-upadi-sesa [- nibbana]: v. Nirupadhi-sesa-nirvana. Apsaras, atthara: ninfe celesti, compagne dei Gandharva, i musici divini. Secondo la tradizione indiana vengono inviate dagli dei sulla terra onde sviare gli asceti dalla meditazione, che pone in pericolo il loro dominio. "Arhat, arhant: ""il Degno"", cioè il santo buddhista, ""colui che ha compiuto ciò che era da farsi"", (krtakaraniya kata-karaniya); ideale delle scuole hinayaniche; 4° stadio sulla via del Risveglio (v. srotapanna)." "Arya, ariya: "" nobile"" ""persona rispettabile"". Denominazione etnica propria agli Indiani portatori della cultura religiosa vedica, suddivisi nelle caste dei sacerdoti (brahmana"" guerrieri (ksatriya, khattia) ed agricoltori-allevatori (vaisya vesiyana). Nel Buddhismo a. ha il senso morale di ""seguace delle Nobili Verità"" (arya-satyani, v.)." 203 [Catudri] Aryasatyani, [Cattari] Ariyasaecani: le [Quattro] Nobili Verità, cioè: l'esistenza del dolore (duhkha, dukkha), la nascita del dolore (d.-samudaya), l'estinzione del dolore (d.-nirodha), la Via che mena all'estinzione (marga, magga). "A-samskrta: "" non-confezionato "", attributo di akasa (v.) e nirvana (v.); v. samskrta."

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"Astanga-marga, Attharigika-magga: l'""Ottuplice Sentiero"" in cui si riassume il metodo soteriologico buddhista. Consiste in - retta visione (samyag-drsti, samma ditthi), retta rappresentazione (o volizione) (s.- sankaipa, s. sarikappa), retta parola (s.-vac., s. vaca), retta attività (s.-karmanta, s. kammanta), retto modo di vivere (s.-apva), retta applicazione di energia (s.-vyavama, s. vayama), retta presenza di spirito (s.-smrti, s. sati, retto atteggiamento psichico o retta meditazione (s.-samadhi)." "Atman, atuma (atta): il "" se stesso"", l'""essere-in-sé "", nucleo fondamentale della personalità umana, la cui sussistenza è negata dal Buddhismo (v. an.-atmana, skandha, samana, dharma)." "Avadana: ""gesta"": pie leggende relative ad azioni meritorie compiute dai passati Buddha o dal Buddha presente in esistenze trascorse." "Avastha: ""condizione"", ""modo di essere"" (proprio ai dharma, v.), nel loro apparire nella tritemporalità di presente-passato-futuro." "A-vidya a-vijja: ignoranza, nescienza. Causa efficiente e formale dell'esistenza esteriorizzata (bahyartha) del mondo, in sé illusorio ed insostanziale (an-atmaka, v.), che, a causa di essa, viene sussunto come reale dall'individuo. Il Buddhismo posteriore, come il Vedanta ed i movimenti settari indiani concepirà l'a. come forza cosmica di "" Illusione"" (maya), per cui la sfera del Dharma (Dharmadhathu), simboleggiata dal Buddha Primordiale (Adi-Buddha), vela sé a se stessa per dare origine al mondo delle forme (rupadhatu), immaginario (parikalpita)e sottoposto al reciproco condizionamento (para-rantra) dei suoi dharma (v.)." "Ayatana: ""ricettacolo"" dominio di una facoltà sensibile. Gli a. sono sei interni, o soggettivi (adhyatmika, ajjhatika), relativi ai cinque sensi più il mentale, manas, e sei esterni (behira, bahya), relativi agli oggetti dei sensi ed alle cose in quanto ideabili (dharma, dhamma)." "Ayuhsamskara, ayusarikhara:""strutture vitali"", quelle che il Buddha rigetta alla vigilia dell'Estinzione totale (v. parinirvana)." "Bhava: "" esistenza"" (v. pratityasamutpada)." "Bhava: "" condizione di esistenza "", "" proprietà innata"" dei dharma" (v .). "Bhavana: "" meditazione"", "" conseguimento"": etimologicamente significa realizzare interiormente l'essenza dell'oggetto proposto alla contemplazione. Le b. sono tre (kaya-b., citta-b., prajna-b ), o cinque (quelle rivolte alle quattro virtù cardinali, maitri, mudita karuna, upeksa, più a-subha, le "" impurità"")." "Bhiksu, bhikkhu: "" mendico"", ""asceta"", sinonimo di sramana; femm. bhiksuni, bhikkhuni." "Bhumi: "" terra"", ""terreno"", "" grado di perfezione"". Le b. comprendono le sei paramita (v.), alle quali si

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aggiungono le quattro virtù; upaya-kausalya, ""abilità ne[lla scelta de]i mezzi""; pranidhana, "" risoluzione"" [nell'intraprendere la Via]; bala, "" forza"" jnana, ""conoscenza"". Le dieci b. indicano altrettante tappe della carriera di un Bodhisattva (v.), caratterizzate dal progressivo inverarsi del bodhicitta (v.)." "Bija: "" seme"" (v. alaya-vijnana)." "Bodhi: ""Risveglio"", ""Illuminazione"". Condizione di chiaroveggenza, in seguito alla quale si scorge, avendo sradicato "" sete"" di vivere (trsna, v.) ed "" ignoranza"" (avidya, v.), la concatenazione causale (pratityasamutpada, v.), per cui il samsara (v.) sussiste, e ci si scioglie dalla soggezione a questo, in attesa 204 che con la morte fisica avvenga la Totale Estinzione ([pari] nirvana, v.) degli elementi aggregati dell'esistenza (samskara, v.)." "Bodhi-citta: ""Consapevolezza, Pensiero dell'illuminazione"". Secondo il mahayana è la coscienza innata per cui ogni essere sa, più a meno oscuramente, di essere sostanziato di Bodhi ed a questa destinato per propria vocazione irresistibile. Il b. è, quindi, la causa teleologica e contemporaneamente l'effetto del Risveglio (Bodhi, v.)." "Bodhi-paksika, bodhipakkhika: ""le Ali dell'Illuminazione"": i 37 elementi psicologici o disposizioni che preparano l'avvento del Risveglio (Bodhi, v.)." "Bodhi-sattva, bodhisattva: ""colui la cui essenza è Bodhi"" (Buddha in potenza). Nel Buddhismo primitivo si indica con tale nome l'essere predestinato a divenire Buddha in una successiva esistenza. Nel posteriore Buddhismo per B. si intende un essere che, avendo percorso le 10 bhumi (v.), ed essendo ormai un Risvegliato, rimanda indefinitamente l'Estinzione per seguitare ad aiutare gli uomini Nel Mahayana i B. divengono figure teologali emanate dai Tathagata (v.), le quali, risiedendo nel sambhoga-kaya (v. kaya), cooperano spiritualmente alla missione del Buddha incarnato (Manusi Buddha) di ogni particolare epoca cosmica (kalpa, yuga)." "Bodhi-vrksa, bodhi-rukkha: ""albero della Bodhi"". Un pipal ai piedi del quale, meditando, il Buddha divenne un Risvegliato. sin dagli inizi a tale albero è stata attribuita una funzione cosmica, di asse del mondo e, simbolicamente, di polo di luce interiore." "Bodhy-anga, bojjhanga: ""membro della bodhi"". I 7 requisiti che preparano l'avvento della bodhi (consapevolezza, investigazione, energia, gioia, calma, contemplazione ed equanimità)." "Brahmana: ""bramino"", appartenente alla prima casta degli arya (V.), sacerdote. Nel Buddhismo il termine

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riacquista frequentemente il suo primitivo senso spirituale di "" Illuminato "", ""possessore della conoscenza"", arhat (v.)." "Buddha: "" il Risvegliato "" (dalla rad. budh, svegliarsi, conoscere), Colui che ha conseguito la Bodhi (v.) e ne è la perenne attuazione. Si dicono Buddha quegli esseri che, in ogni diversa epoca (yuga, kalpa), conquistano e talvolta rivelano all'Umanità una nuova formulazione del Dharma (v.), adatta alle mutate esigenze e facoltà spirituali degli uomini di quel tempo. L'ultimo Manusi-Buddha, o B. pienamente umano, fu Gautama Sakyamuni (Gotama Sakyamuni); il prossimo B. sarà Maitreya (Metteyya), attualmente bodhisattva nel cielo Tusita, Tusita. Vi sono anche i cosiddetti Pratyeka-B., "" i B. di per se stessi"", che, realizzato il Dharma, non lo rivelano con la predicazione (v. anche Tathagata)." "Ruddhi: la psiche, in quanto principio di riflessione e giudizio; talvolta ""intelletto"" (V. vijnana)." "Caitya, cetiya: ""ricettacolo""; reliquiario (v. stupa)." "Cakravartin, cakkhavattin: "" volgitore di Ruota"", nome attribuito ai" Sovrani Universali della tradizione indiana antica, la funzione dei quali, sulla terra, è approssimativamente parallela a quella spirituale dei Buddha umani (Manusi-Buddha) "Citta: ""coscienza"", nel senso di principio universale di intelligenza attiva. Nelle scuole del Buddhismo settentrionale, il c., o vijnana, è considerato il fondamento del reale (sarvam hi cittam, "" tutto è coscienza"")." Civara: la veste del monaco, costituita da tre pezze, abitualmente color zafferano. "Deva: ""essere celeste "", ""dio "", propriamente della mitologia indiana antica. Anche nel Buddhismo i d. mantengono la loro condizione, fintanto che perdura il frutto (phala) dell'azione meritoria (punyaskandha, v.) che li ha condotti a tale stato." "Dharma, Dhamma: 1 ) la Legge, in particolare quella rivelata dal Buddha, consistente nelle Quattro Nobili Verità (v, Arya-satyani); 2) la Realtà delle cose; 3) i minimi elementi della realtà fisica, psichica e noetica - di per sé vuoti (v. sunya) - l'aggregazione dei quali (samskara, v.), assunta soggettivamente, costituisce il tessuto dell'esistenza di ognuno, "" frutto"" (phala) determinato dalle azioni (karman, v.) compiute in 205 precedenza." Dharma-cakra-pravartana dhamma-cakka-pavattana: omessa in moto della Ruota della Legge n: la rivelazione del Dharma (v.) compiuta dal Buddha col discorso di Benares. "Dharmadhimukti ""vocazione [a seguire il] Dharma"" (v. bodhicitta)." Dharma-kaya: v. kaya.

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"Dharma-sunyata: "" vacuità dei dharma"". Il fatto che i d. non siano dotati di "" essere proprio"" (svatmika), ma sussistano solo in base alla reciproca relazione (v. sanya)." "Dhatu: ""base"". Le 18 ""sfere di azione"", tre per ogni facoltà (i cinque sensi più il mentale), cioè l'organo di percezione, l'oggetto relativo e la disposizione cognitiva (es.: occhio, forma, visione). V. anche ayatana; per d. si intendono anche le successive sfere in cui si ripartiscono gli esseri e le loro disposizioni psichiche secondo una crescente purificazione (kama-a., sfera della brama, rapa-d., sfera della forma, a-rapa-d., sfera informale), trascese dall'assoluto nirvana-d., nibbana-d. (v. nirvana)." "Dhyana, jhana: ""meditazione"" o estasi mistica (v. samadhi), divisa in quattro gradi di progressivo approfondimento. Il d. è la parte essenziale della meditazione buddhica, avente lo scopo di restituire il proprio essere alla sfera di inalterata coscienzialità (v. citta, v. alaya-vijnana"" che è il fondo di tutte le cose." Divyacaksus, dibba-cakkhu: l'occhio divino che si apre nel Buddha durante la seconda veglia nella notte della Bodhi (v.). Con il d. egli contempla la concatenazione dei dodici nidana (v.) e le relazioni fra tutti gli esseri, presenti passati e futuri. "Duhkha, dukkha: ""dolore, infelicità"", la realtà oggettiva del samsara (v.); la prima delle Quattro Nobili Verità (drya-satyani, v.)." "Dukkha-nirodha-ga-minipat-ipeda: ""la Via conducente all'Estinzione del Dolore"", la terza Nobile Verità (v. arya-satyani)." "Dvesa, dosa: ""odio"", avversione, una delle infezioni morali (klesa, v.)." "Garbhavakranti, gabbhavakkanti: ""discesa del germe"", atto di incarnazione fisica del Buddha presente (Gautama Sakyamuni) in Maya (v.), sposa del re Suddhodana." Gatha: canto, parte in versi dei sutra (v.). "Guru: ""maestro"", iniziatore ai sacri misteri delle sette indiane." "Hina-yana: "" Veicolo Inferiore"", denominazione corrente del Buddhismo meridionale, più intento all'ammaestramento morale ed alla disciplina monastica (vinaya) che alle speculazioni metafisicoreligiose ed alle realizzazioni mistiche, proprie al Maha-yana (v.)." "Jataka: "" nascimento "" Pia narrazione delle vite anteriori del Buddha" ad edificazione dei fedeli. Jati: V. pratityasamutpada. "Jnana nana: ""conoscenza"". Così detta la suprema delle dieci bhumi (v.). Nel senso di ""conoscenza superiore"" si adopera preferibilmente il termine prajna (v.)." Kalpa kappa grande evo cosmico, suddiviso a sua volta in 4 o 8 cicli (yuga, v.). "Kama [- raga]: la brama, in particolare l'amore sensuale (v. anche raga"" espressione massima della ""sete"" (v. trsna)."

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"Karman, kamma: orig. ""azione"". La legge per la quale ogni azione meritoria (punya-k.) o, al contrario, 206 peccaminosa (papa-k.), ha come frutto, in questa e nelle prossime vite, effetti di eguale qualità, rivolti verso il soggetto che compì l'azione. L'estinzione del k., sia buono che cattivo, è conseguente al nirvana (v.)." "Karuna: ""compassione"", una delle quattro virtù cardinali del Buddhismo (v. maitri, mudita, upeksa). Nel Maha-yana la k. è, per antonomasia, il "" mezzo "" (upaya, v.) per cui si acquista la bodhi, data la sua assoluta gratuità, essendo il mondo e gli atti che in esso si compiono totalmente insostanziali (v. sunya)." "Kaya: corpo, realtà concreta percepibile. Lo Hinayana conosce il nama-k. (corpo-nome) ed il rupa-k. (corpo-forma), l'unione dei quali costituisce l'essere umano senziente. Nel Mahayana si postulano tre k., o modalità, attraverso le quali si attua il Buddha come essere cosmico: il Dharma-k., quello della pura attualità del Daharma (v.), la Realtà Assoluta, priva di essere (sunya, v.); il Sambhoga-k., o corpo di "" compartecipazione "", "" fruimento"", che è il piano in cui si manifesta la funzione dei Bodhisattva (v.); il Nirmana-k., o corpo di ""manifestazione)"" che è il piano concreto sensibile ove si ha l'apparizione fisica dei Buddha e lo svolgersi del dramma esistenziale, di per sé illusorio ed apparente (maya, v.)." Kaya-vak-citta: corpo-parola-mente: nel Mahayana ciò costituisce i tre livelli della manifestazione: quello della modalità corporea, quello della condizione psichica o fonematica e quello della pura ideazione (cit-ta), o archetipo. Essi corrispondono alle tre gerarchie esemplificate dal [tri-] kaya (v.) del Mahayana. "Klesa kilesa: "" infezione morale"". I k. sono cinque o dieci (desiderio, odio, ottusità, inquietudine, eresia, dubbio, pigrizia, arroganza, impudicizia, insensibilità di cuore). Causa continua delle azioni peccaminose, mantengono l'uomo nel samsara. La condizione di Arhat (v.) risiede specialmente nello sradicarli." "Klista-mano-vijnana:"" coscienza di volontà intellettuale contaminata"". Oscuramento che la Nescienza (avidya, v.) attua attraverso le coscienze individuali, per cui nascono le coscienze sensorie e si perde la connessione universale data dall'alaya-vijnana (v.)." "Krta-karaniya katakaraniya: "" [Colui che ha] compiuto ciò che si doveva compiere "", sinonimo di arhat (v )." "Ksana, khana: ""istante""; infinitesima misura di tempo in cui sussistono i dharma (v.)." "Ksanti, khanti: "" sopportazione"", o pazienza"", una delle Perfezioni (paramita, v.)." Ksatriya, khattiya: casta dei guerrieri e dei re (v. drya). "Laksana, lakkhana (lancana) 1) ""caratteristica"" propria ai dharma che si muta nella tritemporalità; 2) ""

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segni "" fisici primari che contraddistinguono i Buddha, i Bodhisattva, i Cakra-vartin ed i Maha-purusa dalla comune umanità. (I segni secondari sono detti anuvyanjana)." Laukika: le cose di questo mondo (loka), alle quali è propria la verità empirica (samvrtti-satya). Lokottara, lokuttara: l'insieme delle realtà trascendenti (uttura) il mondo (loka), che appartengono alla sfera (dhatu, v.) della verità assoluta (paramartha-satya). "Madhyamaka: ""mediano"": nome dato al sistema mahayanico conciliante gli estremi della verità empirica (samvrtti-satya), per cui il mondo deve essere assunto praticamente come reale, e la verità assoluta (paramartha-satya), per cui esso è, invece, insostanziale (sunya, v.)." "Madhyama pratipad, majjhama patipada: ""Via di mezzo"", nome dato dal Buddha al proprio sistema, perché alieno dagli estremi dell'ascesi o della vita mondana." Madhyamika: scuola di coloro che sostengono la posizione madhyamaka (v.). "Maha-purusa, Mahapurisa: "" Grande Uomo "": modello cosmico per gli esseri umani: detto dei Buddha (Y.), Bodhisattva (v.) e Cakravartin (v )." "Maha-vira: ""Grande Eroe"", sinonimo di Buddha." 207 "Maha-yana: ""il Grande Veicolo"", denominazione attribuita al Buddhismo Settentrionale, nelle cui diverse scuole prevale l'aspetto mistico-religioso e metafisico, rispetto a quello etico e disciplinare. Le principali branche del M. sono rappresentate dalle scuole Madhyamika, o Sunyavada (v.), Vijnanavada, o Yogacara, da quelle tantriche del Vairayana e da quelle estremo-orientali del T'ien-t'ai Ch'ing t'u, Shingon e Zen. L'epicentro del M., dopo l'estinzione del Buddhismo in India, divenne il Tibet, ove si è sviluppato nella forma nota come Lamaismo (dal tib. bLa-ma, ""Superiore"" [monaco])." "Maitreya, Metteyya: ""l'Amichevole"", nome del Buddha umano che dovrà comparire sulla terra circa 5000 anni dopo il B. Gautama Sakyamuni ." "Maitri, metta: "" benevolenza universale o, "" amicizia"": una delle quattro virtù cardinali del Buddhismo, la fondamentale assieme alla karuna (v.)." "Manas, mano: il "" mentale "", o "" intelletto "": organo coordinante le funzioni sensorie. Diverso dalla "" coscienza "" (vijnana, citta, v.) che il Buddhismo identifica alla Realtà fondamentale delle cose." Mandala: raffigurazione simbolica del contenuto di un particolare insegnamento iniziatico (Tantra, v ), oggetto di contemplazione e meditazione estatica, onde realizzare intuitivamente lo speciale piano di coscienza che esso rappresenta. Consta generalmente di un quadrato inscritto in un cerchio (simbolo della

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sfera della libertà magica) contenente varie figure di Tathagata (v.), Bodhisattva (v.), ecc., ordinate simmetricamente attorno al centro. "Manta, manta: nel Buddhismo indicava "" testo sacro"" (in vedico "" deliberazione "", "" inno ""). Indi prevalse il significato di "" mistica giaculatoria "", che, nella letteratura dei Tantra (v.), simboleggia foneticamente un piano particolare di coscienza. La ripetizione (japa) del m. induce all'intuizione estatica delle verità esoteriche esposte da un particolare Tantra rappresentate dal m. e raffigurate nel mandala (v.) relativo." Manusi-Buddha: Buddha umano, pienamente incarnato sul piano terrestre, ove realizza la sua missione. "Mara: "" [Dio] Morte "": deità (deva,) avversaria del Buddha che regge il mondo delle brame (kamadoka"" massimo ostacolo alla Liberazione (moksa, v.)." "Maya: 1) originariamente (gioco di prestigio), indi ""illusione cosmica"". La m. è, nel Vajrayana, concepita come la potenza (sakti) cosmica che vela l'autotrasparente vacuità (sunyata, v.) dell'Assoluto (paramartha"" mediante la manifestazione del mondo delle forme; 2) nome della madre del Buddha." "Moha: "" infatuazione "", "" ottundimento "": una delle tre principali infezioni morali (le altre due sono raga, v., e dvesa, v )." "Moksa (mukti), mokkha: "" liberazione "" dall'esistenza condizionata: (samsara, v.), sinonimo di nirvana (v.)." "Mudita: la "" gioia "" per le gioie altrui: una delle quattro virtù cardinali del Buddhismo." "Mudra, mudda: 1) "" sigillo"", gesto compiuto con le dita per indicare una cifra (hattha-mudda-ganana); 2) gesto esoterico simboleggiante un particolare momento della vita del Buddha, la verità con questo espressa ed il Tathagata (v.) che ne rappresenta l'archetipo spirituale; 3) nel Vajrayana la m. è la "" sposa-potenza "" (sakti, v.) del Tathagata o del Bodhisattva (v.)." "Nama-rupa: ""nome-forma"": il terzo nirvana (v.) del pratityasamutpada (v.), indicante la particolare determinazione di un'individualità in seguito al karma "" accumulato"" (upacita) nell'esistenza precedente (v. rupa)" "Nidana: "" corda "", "" causa prima"": nome di ognuno dei dodici nessi causali del pratityasamutpada (v.)" "Nikaya: "" collezione"", "" mucchio "": nome di ciascuno dei cinque grandi gruppi che formano il Suttapitaka (V. sutra, sutta)." 208 Nirmana-kaya: v. kaya "Nirodha: ""arresto"", sinonimo di nirvana (v.)."

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"Nir-upadhi-s'esa-nirvana: sinonimo di pari-nirvana (v.): indica la condizione, che si avvera alla morte fisica di un Illuminato, per cui si estinguono "" senza rimanenza "" (a-sesa) anche i substrati (upadhi) di azioni meritorie che hanno condotto al Risveglio (bodhi) in vita. La locuzione denota il passaggio all'Assoluto incondizionato." "Nirvana, nibbana: "" estinzione "" della serie dei nessi causali (pratityasamutpada, v.) che determinano la esistenza condizionata (samsara, v ); esperienza della "" vacuità "" che trascende la contingenza dei dharma (v.). Liberazione dall'universale necessità del Dolore." "Paramartha-satya, paramatthasacca: ""Verità (satya) dell'Assoluto (paraminha""), trascendente la o verità empirica"" (samvrti-sarya)." "Paramita: ""perfezione"". Insieme di sei o dieci virtù al cui esercizio si dedica il bodhisattva per conseguire la piena illuminazione (abhisambodhi, v.). Le principali sono: dana ("" dono "", "" distacco da ciò che si possiede ""); sila, s'ila (""buoni costumi ""); ksanti, khanti ""( pazienza ""); v'irya, viriya (""energia virile ""); dhyana, jhana ""( meditazione ""); prajna, panna (""gnosi"", "" intuizione della Realtà"")." "Paratantra: ""eteronomo "": condizione per la quale i dharma (v.) sono reciprocamente determinati, e intuizione relativa a tale verità." "Parikalpita: ""assunzione immaginaria"" dei dharma (v.) come reali di per sé (v. paratantra, V. parinispanna)." "Parinama: ""trasferimento a favore di altri"" della maturazione del proprio karman da parte di un bodhisattva (v.), in virtù di una grazia (v. adhisthana)." "Pari-nirvana, parinibbana: "" Totale Estinzione"" (v. nirvana) dopo la morte del Buddha, per cui si estingue anche il frutto delle azioni meritorie che hanno condotto al nirvana." "Parinispanna: condizione "" trascendente"" le reciproche determinazioni dei dharma (v. paratantra), per cui si invera la loro assoluta "" vacuità "" (V. sunyata)." "Pra-vrajaka, paribbajaka: ""Errante"": monaco mendicante, generalmente buddhista." Patra, patta: ciotola per le elemosine. "Phala: "" frutto"" delle azioni (V. karman)." "Pitaka: ""Cesta "": le tre raccolte canoniche del Buddhismo primitivo (Sutta-p., "" Cesta"" delle Parole del Buddha, vinaya-p., ""Cesta"" della Regola Ascetica, abhidhamma-p, ""Cesta"" della Metafisica)." "Pra-daksina, padakkhina: ""girare attorno a destra"": circumambulazione rituale attorno ad un personaggio sacro o ad un altare." "Prajna, panna: ""gnosi"", ""saggezza"", ""mistica intuizione"": la massima delle ""perfezioni"" (paramita,

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v.). Nel Mahayana la p. diviene uno dei due poli cardinali per la bodhi, l'altro essendo il ""mezzo"" (upaya, V., karuna, V.); come tale viene simboleggiata da numerose figure divine nelle scuole Vajrayana (v.)." 209 "Prajnaparamita: ""Perfezione della Gnosi""- nome di testi costituenti la letteratura fondamentale della scuola Madhyamika. In essi prende forma la teoria della illusorietà e della ""vacuità di propria essenza"" (svabhava-sunyata) di tutti i dharma, iniziando da quelli che costituiscono i cinque skandha (v.) ed i dodici nirvana del pratityasamutpada (v.)." "Prana: ""respiro"", ""Spirito Vitale"", identificato dai sistemi ortodossi indiani alla funzione cosmica del Brahman. Il controllo del p., percepito nel suo aspetto sottile (saksma) è fondamentale nello yoga (v.). Tale disciplina è stata accolta dal Buddhismo fra le sue tecniche estatiche (cfr. anapanasmrti)." "Pranidhana: "" risoluzione "" o voto formale del bodhisattva ad operare affinché il massimo numero di creature vengano strappate dai vincoli del dolore." "Prapanca, papanca: ""estroversione"" ""espansione"": le illusorie apparenze fenomeniche del mondo, dovute all'avidya (v.)." "Pratimoksa, patimokkha: ""[Litanie della] Professione di Fede "": elenco dei 227 peccati e delle altrettante sanzioni che - a guisa di confessione - vengono recitate quattro volte al mese in occasione dell'Uposotha (sanscr. Upavasatha) dall'assemblea dei monaci e delle monache." "Pratitya-samutpada, paticca-samuppada: insieme dei 12 nessi causali che determinano il samsara (V.), finché la bodhi ed il nirvana non vi pongono fine. Essi sono: avidya, avijja (v.), samskara, sankhara (v.), vijnana, vinnana (V.), nama-rupa (v.), sad-ayatana, salayatana (v.), sparsa, phassa (v.), vedana (v.), trsna, tanha (v.), upadana (v.), bhava (v.), jati, jara-marana. cioè: la ""nescienza"" determina gli ""aggregati"" accidentali, i quali causano la ""coscienza "", in cui s'individuano "" nome e forma"", da cui derivano i "" sei ricettacoli"" (i cinque sensi più il mentale che li coordina), donde si ha il ""contatto "", o percezione di una realtà esteriorizzata, da cui deriva la "" sensazione "", che determina la ""sete"" verso l'oggetto, indi nasce il ""legame"" col mondo, per cui si ha ""esistenza"", ""nascita"", o vecchiaia e morte""." "Pravrajya, pabbajja: "" partenza"" dal mondo, che segna la rinuncia ad esso da parte del novizio (sramanera, samanera)." "Pudgala: "" individuo "", per i Thera o realtà solo per designazione verbale"" sussistente per quanto permane l'associazione dei 5 skandha (v.); per altre sette, come a.e. la Vaibhasika, realtà sussistente di fatto."

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Puja: atto esteriore di venerazione religiosa, diverso dal culto interiore consistente in meditazione e realizzazione estatica (v. dhyana, v. bhavana). "Punya-skandha, punna-khandha: "" porzione meritoria"", cioè l'insieme delle azioni meritorie (punyakarmanta) che facilitano l'evento della bodhi (v.)." "Raga: ""passione"" (v. anche kama), la principale delle infezioni morali (v. klesa), poiché estrinsecazione immediata della "" sete o di vivere (trsna, v.)." "Ratna-traya, ratanattaya (anche Triratna, tiratana): ""Triade delle Gemme"", cioè il Buddha, il Sangha (v.) e il dharma (v.), presso i quali il laico o il professo novizio ""prende rifugio "" (sarana)." "Rddhi, iddhi: ""poteri "" magici, generalmente dieci, che vengono conseguiti nel corso dell'ascesi. Il Buddha ne sconsigliava energicamente l'impiego." 210 "Rupa: ""forma"": il mondo della sostanzialità "" formale "", in particolare fisica, in quanto percepibile attraverso ""forma "" (v., in dhatu, r.-dhatu, in skandha, r.-skandha)." "Sad-ayatana, salayatana: "" sei ricettacoli "" (ayatana, v.), cioè le cinque facoltà più il mentale, correlate alle rispettive sfere d'azione (dhatu, v.); quarto nidana del pratityasamutpada (v.)." "Sakrd-agamin, sakadagdmin: ""colui che deve tornare [ancora] una volta [ad incarnarsi]""." "Sakti: ""potenza"", ""sposa"". Magica potenza (radhi, v.) di cui sono dotati i Buddha e i Bodhisattva. Nel Vajrayana, figure femminili divine, spose dei Tathagata e dei Bodhisattva, che simboleggiano l'aspetto dinamico della loro funzione teologale e l'""efficienza "" dei diversi aspetti del Dharma (v.)." "Sakya-muni, Sakya-m. (Sakiya-m.): ""L'Asceta degli Sakya"", soprannome del Buddha dell'attuale ciclo, Siddhartha Gautama (Siddhartha Gotama)." "Samadhi: "" meditazione estatica o, ""enstasi"". Condizione di profonda calma interiore, di adaequatio alla Realtà essenziale, che si accompagna all'acquisto della prajna, o jnana (v.); esercizio relativo all'acquisto di tale condizione." "Sambhoga-kaya: "" corpo di comunione "" o "" partecipazione "" (v. kaya). Condizione relativa all'esistenza preterfisica dei bodhisattva (v.); piano di coscienza su cui si svolge tale esistenza." "Samgha, o Sangha: ""Comunità"", ""Ordine"" buddhista, formato da laici (upasaka) e religiosi (bhiksu, sramana ecc.). Il terzo dei Tre Gioielli (Ratna-traya, v.)." "Samjna, sanna: "" ideazione"", ""appercezione"": uno dei cinque skandha (v.). In generale il rendersi conto di un fenomeno." "Samsara: il ""flusso "" la trasmigrazione attraverso ripetute e differenti esistenze, alla quale pone fine (nirodha, v.) il nirvana (v.)." "Samskara, sankhara: ""confezionato"", carattere di ogni elemento dell'esistenza in quanto la sua presente

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aggregazione è il risultato ""confezionato"" da atti (karman, V.) precedenti; il secondo dei 12 nidana (v. pratityasamutpada). I principali s. sono: sensazione (vedana, v.), [ap]percezione (samjna, v.), volizione (cetana), attenzione esclusiva (ckagrata, ckaggata, o samadhi, v.), mentalizzazione del dato obiettivo (manasi-kdra), riflessione (viedra), decisione (adhimoksa, adhimokkha), energia (virya, viriya, v.), ragionamento (vitarka, vitakka), intenzione (chanda), presenza di spirito (smrti, sati, v.), intelligenza (prajna, panna) e le ""costruzioni psichiche "" opposte." "Samskrta: l'essere ""combinato "", "" aggregato"", condizione propria ai dharma (v.). V. samskara." "Samtana (santana) o santati: ""nesso continuo"" fra i dharma, che è proprio al loro riflettersi nel vijnana (v.) ed al vijnana stesso." "Samvrtti-satya: ""verità relativa""; secondo la scuola Madhyamika la verità propria al livello empirico dell'esistenza, trascesa dalla verità assoluta (paramartha-satya, v.)." "Santa, santo: colui in cui si è inverata la condizione di santi (v.); definizione del nirvana (v.)." 211 Santi, santi: calma, pace suprema: nirvana (v.). "Siddha: ""Perfetto"", ""Realizzato"": appellativo dello yogin tantrico che ha conseguito l'incorruttibilità (vajra, v.) suprema e si è liberato in vita (I-ivan-mukta)." "Siddhi: poteri magici propri ai siddha (v.); Y. anche radhi." "Sila, sila: ""costume "", ""uso"", ""pratica morale )"" in particolare i ""precetti morali "" (cinque per i laici, dieci per i religiosi)." "Simha-nada, sihanada: "" ruggito del leone"": la predicazione del Buddha, in particolare il Discorso di Benares." "Skandha, khandha: "" aggregato"". Così si dicono le cinque categorie, l'associazione delle quali forma la transeunte personalità umana: rapa, forma, vedana, sensazione, samjna, sanna, ideazione o appercezione, samskarah, sankhara (pl.), costruzioni psichiche, vijdana, vinnana (vinnana), coscienza." "Smrti, sati: "" memoria"", "" consapevolezza"", attenzione volitiva rivolta a quanto si osserva o si compie. In particolare: anapana-s., attenzione profonda rivolta all'ispirazione (ana) ed espirazione (apana), connessa ad una serie di 16 contemplazioni; una delle principali pratiche meditative buddhiste (v. prana)." Smrty-upasthana, satipatthana: pratica della smrti, sati (V.), fondata sulla contemplazione assidua delle quattro realtà: kaya (v.), vedana (v.), citta (V.), dharma (v.). Una delle discipline principali del Buddhismo. "Sopadhi-sesa-nirvana savupadisesa-nibbana: la prima fase del nirvana, consistente nell'estinzione dei klesa e

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nell'acquisto della bodhi, senza però cancellare la ""rimanenza dei substrati "" (upadhi-sesa, upadisesa) karmici, che vengono invece sradicati nella seconda fase (v. nir-upadhisesa-n.)." "Sparsa, phassa: ""contatto"", ""percezione"": forma primaria del rapporto col mondo divenuto esteriore all'individuo; sesto nidana del pratityasamutpada (v .)." Sramana, samana (femm. sramani, samani): asceta o monaco buddhista (sinonimo di bhiksu). Sramanera, samanera: novizio buddhista. "Srotapanna, socapanna: ""entrato in corrente "", convertito, primo grado della via verso il nirvana." "Sthavira, Thera: "" Anziano o, nome degli immediati discepoli del Buddha e della scuola (Thera-vada, v.), originata dal loro insegna mento (v. Hinayana)." "Stupa, thapa: ""tumulo"", sacello generalmente di forma conica contenente sacre reliquie o ceneri di un Santo, oppure libri canonici buddhisti." "Sukhavati: ""la Felice [Dimora] "": paradiso di Occidente ove soggiorna il Tathagata Amitabha," "Sanya, sunna: ""vuoto"". In particolare, la ""mancanza di essere-in sé"", propria a tutti i dharma (v.) sussistenti per un istante solo (ksana) ed esistenti in base alla loro reciproca relazione (v. paratantra)." "Sunyata: ""vacuità"": condizione di sunya (V.). L'ineffabile realtà che trascende tutte le condizioni proprie ai dharma (v. anche tathata, vajra)." "Sunya-vada: ""Professione del Vuoto"", ""Teoria della Sunya"": denominazione della scuola Madhyamika." "Srtra (sutranta), sutta originariamente ""verso sintetico"", ""aforisma""; nel Buddhismo significa ""parola del Buddha""; seconda parte del Canone (Sutta-pitaka)." "Svabhava-sunya: ""Vuota di una propria essenza""; definizione della realtà assoluta (v. maya)." Tantra: opere esoteriche proprie al Vajrayana (V.), basate su presunte rivelazioni extracanoniche del Buddha storico, o di altri Buddha e Bodhisattva, oppure del Buddha primordiale e archetipo (AdiBuddha). I T. sono permeati di gnosi indiana e seguono una metodologia basata sullo Yoga (v.): alcuni sono anche influenzati da concezioni magiche dell'area culturale tibetana ed affini. 212 "Tathagata: ""il Così Venuto [ad essere]"", sinonimo di Buddha. Nel Buddhismo settentrionale i T. sono archetipi cosmici, da cinque a otto, manifestatisi sul piano del dharma-kaya (v. kaya) a guisa di colorazioni assunte dalla Luce Primordiale incolore, pura Coscienza autotrasparente (prabhasvaram cittam V. citta). Da loro sono stati emanati i Bodhisattva (v.) e i Manusi-Buddha (v.)." "Tathata: la "" quiddità "", "" l'esser-così"" ""tatha"" cioè l'inconcepibile (a-cintya) vuoto (sanya) che è la Realtà di là dalla contingenza del mondo."

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Thera: v. Sthavira. "Thera-vada: la ""Dottrina degli Anziani "", cioè la formulazione del Buddhismo secondo la tradizione antica, come è conservata presso lo Hinayana (v.) di Ceylon, Birmania, Siam e Indocina." Tipitaka: v. Pitaka. "Tri-kaya: ""Tre Corpi ""; v. kaya." "Trsna, tanha: "" la Sete"", la brama quale forza fondamentale del samsara (v.), che si esplica nell'attaccamento all'esistenza (bhava, v.), al godimento (kama, v.) e all'inesistenza (vibhava)." "Upadana: "" vincolo"" verso l'esistenza, nascente dalla o sete "" di vivere (v. tr. na), per cui si crea un nuovo karman, che fruttifica (v. phala) nella ""nascita "", jata; il nono nidana del pratityasamutpada ." "Upadana-skandha, upadanakkhanda: ""gli Insiemi di Acquisizione "", cioè nascita, malattia, morte, unione con ciò che non si ama, separazione da ciò che si ama, non-ottenimento di ciò che si desidera." "Upadhi: "" substrato"" all'esistenza. I quattro u. sono: i 5 skandha (v.), kama (v "" klesa (v.) e il karman (v.)." "Upadi: sinonimo pali per khandha (skandha, v.), frequentemente confuso col precedente upadhi. U. significa propriamente "" causa materiale"", ""atto di ricevere"" (cfr. an-upadisesa, sotto la voce anupadhisesa)." "Upadhyaya, upajjhdya: "" tutore"" del novizio (framanera, v.)." "Upanisad: "" Sessioni"" o ""Insegnamenti Esoterici""; nome dei testi di esegesi filosofica ai riti vedici e di meditazione, sui quali si fonda il sistema speculativo indiano del Vedanta," "UpaSaka: ""devoto"" laico, astretto all'obbedienza agli fila (v.) fondamentali femm. upasika." Upavasatha, uposatha: il giorno di digiuno, astinenza e confessione pratimoksa, v.) dei Buddhisti, che si celebra nel giorno iniziale della settimana lunare. "Upaya: il "" mezzo"" per il conseguimento della bodhi (v.); nel Buddhismo Settentrionale assurto a figura teologale e identificato alla karuna (v.) oppure alla sakti (v.) di ogni particolare Tathagata (v.) o Bodhisattva (v.); ivi esso costituisce metafisicamente il polo opposto alla prajna (v.)." "Upaya-kausalya [ta]: ""abilità nell'uso dei mezzi "": la capacità di adattare l'insegnamento del Dharma alle condizioni ambientali ed all'attitudine psichica ed intellettuale degli ascoltatori." 213 "Upeksa, upekkha: "" equanimità""; la quarta virtù cardinale buddhista." "Vaisya, vessa e vesiyana: terza casta degli Arya (v.), quella dei (I produttori di ricchezza"", formata da agricoltori ed allevatori." "Vajra: "" folgore"", ""diamante"", simbolo della quiddità. (tathata incorruttibile dello sunya (v.)." "Vaira-dhatu: "" sfera del vajra"" (v.): il livello incondizionato sul quale si invera l'esperienza dello sunya (v.)." "Vajra-sattva: ""Essenza-vajra"". Figura teologale del Mahayana, simbolo della incorruttibile ed assoluta condizione che è immanente in ogni essere umano."

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"Vajra-yana: ""via fulgurea"" o ""adamantina"" Insieme di sistemi gnostici derivati dal Mahayana e fondati sugli insegnamenti esoterici dei Tantra (v.), che tendono alla realizzazione dell'essenza-vaj-a (vajra-sattva, v.) in ogni essere umano." "Vasana: "" habitus"": impressione subconscia permanente in conseguenza delle azioni passate; complesso psicologico." "Veda: ""Scienza"": i sacri testi della tradizione indiana, la validità dei quali, ai fini della liberazione (v. moksa) è negata dal Buddhismo." "Vedana: ""sensazione"", cioè l'insieme dei 6 fenomeni psichici (afferenti ai cinque sensi pi¢ il mentale) che corrispondono alle percezioni (samjna, v.); uno dei cinque skandha (v.)." Vesakha (scrt. vaisakha): mese di aprile-maggio, alla cui luna piena si celebra la Nascita, l'illuminazione e l'Estinzione del Buddha. "Vadya, vijja: ""conoscenza"", ""gnosi"", sinonimo di jnana (v.)." "Vihara: ""residenza""; convento buddhista." "Vijnana, vinnana (vinnana): coscienza riflessa: la base psichica sulla quale si fonda la continuità cosciente (santana, santati) dell'individuo, l'elemento sul quale principalmente opera l'Ottuplice Sentiero (astangamarga, V.): il principale dei 5 skandha (v.). sinonimo di mente (manas), intelletto (buddhi) o coscienza in senso lato (citta); v. anche alaya-vijnana." "Vikalpa: ""concezioni"" o ""immagini"" che danno luogo alle impressioni latenti (vasana, v.)" "vinaya: "" Regola ""; nome di disciplina monastica, il primo dei tre Pitaka (v.)." Vipassana (pali): trasparenza cosciente, chiaroveggenza conseguente all'esperienza interiore dell'impermanenza (acyuta) dei dharma (v.) ed all'assenza (sunya, v.) di egoità (an-atmaka, v.). "Virya, viriya: "" virile energia"" "" forza ""; la quinta delle paramita (v.)." "Yoga: ""soggiogamento"": nome di un insieme di discipline psicofisiche, tradizionalmente volte alla 214 realizzazione piena e cosciente dell'Essere Totale (atman, brahman, purusa, ecc.) celato dai moti psichici della comune individualità Lo y. è fondato soprattutto sulla meditazione intensa (bhavana, dhyana, samadhi, ecc.) e su pratiche esoteriche poggianti sul respiro (prana) colto nell'aspetto "" sottile "" (suksma). I metodi dello y. sono stati accolti sin dal principio dal Buddhismo." "Yogacara: "" [Scuola della] Pratica dello Yoga"": nome della scuola professante la teoria secondo la quale la coscienza (citta, vijnana), è il fondo assoluto della realtà (vijnana-vada, cfr. alaya-vijnana)." Yogin: praticante lo yoga (v.). "Yuga: una delle 4 o 8 epoche nelle quali si suddivide un kalpa (v.); età di un mondo particolare."