Armando Cherici Etruria-Roma: per una storia del rapporto tra impegno militare e capienza politica...

23
ANNALI DELLA FONDAZIONE PER IL MUSEO «CLAUDIO FAINA» VOLUME XVI ORVIETO NELLA SEDE DELLA FONDAZIONE EDIZIONI QUASAR 2009 GLI ETRUSCHI E ROMA FASI MONARCHICA E ALTO-REPUBBLICANA Atti del XVI Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria a cura di Giuseppe M. Della Fina estratto

description

in Atti del Convegno "Gli Etruschi e Roma", in Annali della Fondazione per il Museo "Claudio Faina", XVI, 2009

Transcript of Armando Cherici Etruria-Roma: per una storia del rapporto tra impegno militare e capienza politica...

a n n a l id e l l a f o n d a z i o n e

p e r i l m u s e o « c l a u d i o f a i n a »

volume Xvi

orvietonella sede della fondazione

edizioni quasar2009

gli etruschi e roma

fasi monarchica e alto-repubblicana

atti del Xvi convegno internazionale di studi sulla storia e l’archeologia dell’etruria

a cura di giuseppe m. della fina

es trat to

nella cultura romana sembra esser radicata e diffusa la consa-pevolezza di una primitiva dipendenza dell’urbe dall’etruria anche in fatto di tecnica militare, per quanto inerente singoli aspetti oplo-logici come per specifici usi e costumi bellici o per sostanziali metodi tattici. di tale dipendenza esistono esplicite dichiarazioni nella sto-riografia romana, in brani ben noti ed esaminati da due contributi ormai classici e tutt’oggi essenzialmente validi per quanto concerne l’escussione di tal genere di fonti1. il contesto in cui tali passi sono inseriti può certo indurci ad attribuirne i contenuti a un enciclope-dismo di élite, patrimonio di eruditi, non condiviso perciò dalla sen-sibilità e dal sapere comune, ma ci sono nella cultura romana altre tracce - per così dire “indirette” - che ci attestano una iniziale diffusa e consapevole permeabilità romana.

prova indiretta dell’indebitamento “militare” di roma verso l’etruria è l’alto numero dei prestiti lessicali relativi al campo delle armi e degli armati: su 12 termini per i quali le fonti romane indica-no esplicitamente una derivazione etrusca (non importa qui appura-re se vera o presunta: stiamo tentando di ricostruire l’immaginario collettivo antico, non la verità filologica moderna), 5 sono equamente distribuiti nel campo dell’agricoltura (uorsum: TLE 857), dell’edili-zia (atrium: TLE

814), dello spettacolo (hister: TLE 837), dell’abbi-

gliamento (laena: TLE 840), del calendario (itus/idus: TLE 838), 2 in quello della religione (arseuerse e camillus2: TLE 812, 819), ben 3

1 Müller - Deecke 1877, p. 355 ss.; Mccartney 1917.2 vedi da ultimo WatMough 1997, pp. 65, 125.

armando cherici

etruria - roma: per una storia del rapporto

tra impegno militare e capienza politica nelle comunità antiche

156 armando cherici

sono i termini relativi alle armi e 2 quelli rapportabili al mondo mili-tare: balteum3, cassis / cassida4, hasta velitaris5, lanista6, subulo7.

Tutti e cinque sono significativamente riferibili al prender corpo di un’organizzazione militare tatticamente evoluta: l’adozione dei tre termini relativi alle armi indica il precisarsi e lo specializzarsi dell’ar-mamento, e quindi l’acquisizione - o il definirsi - di parole destinate a indicare non più un’arma di funzione generica, ma uno strumen-to bellico d’uso particolare all’interno di una classe più ampia, come l’hasta velitaris all’interno delle armi da lancio. Le figure del lanista e del subulo non sono invece estranee all’organizzazione, all’addestra-mento, al movimento coordinato di una schiera. com’è noto, il lanista è l’istruttore dei gladiatori, ed è stato autorevolmente ipotizzato che le scuole gladiatorie siano state il veicolo8 dell’introduzione a roma dall’etruria di un regolare addestramento militare: ipotesi senz’altro sostenibile, come quella inversa - che mi permetto qui di formulare - di vedere nelle scuole gladiatorie piuttosto la traccia fossile di un primo addestramento militare comune e normato, non affidato cioè - come nelle comunità meno evolute - alla capacità, possibilità, volontà o estro del singolo combattente9. la sfera dell’attività del subulo com-pete infine anche all’ordinato movimento di una schiera10.

studi moderni hanno aggiunto al lessico latino di origine etru-sca ancora due parole senz’altro riferibili alle sfere semantiche d’am-bito politico-militare: populus, inteso come popolo in armi, e satelles,

3 “Baltea […] tuscum vocabulum” (Varro apud caris. I, 77 = TLE 816), pro-prendono per l’effettiva origine etrusca della parola: ernout 1930, p. 115; ernout - Meillet, s.v.; collart 1954, p. 220.

4 “Cassidam autem a Tuscis nominatam. Illi enim galeam cassim nominant, credo a capite” (isiD., Orig. XVIII, 14 = TLE 822); cfr. Fraccaro 1975, p. 42.

5 “A civitate Etruscorum, quae Veles vocabatur” (Plin., Nat. Hist. VII, 56, 201; isiD., Orig. XVIII, 54). L’invenzione stessa di tale lancia è attribuita a Tirreno: Plin., cit.

6 “Lanista, gladiator, id est carnifex, Tusca lingua appellatus, a laniando scilicet corpora” (isiD., Orig. X, 159 = TLE 841).

7 “Subulo dictus, quod ita dicunt tibicines Tusci: quodcirca radices eius in Etruria, non Latio quaerundae” (Varro, l.l. VII, 35; Fest., p. 403 = TLE 851). Vedi da ultimo WatMough 1997, p. 53 ss.

8 cfr. Ville 1969; garlan 1985, p. 260.9 È in altre parole lo schema della guerra “eroica” dell’iliade e dell’odissea.10 Per comprendere l’importanza del flauto in uno schiera ordinata, riporto

un brano di aulo gellio (Noct. att. I, 11), che si rifà a thuk. V, 70: “Al momento dun-que in cui, predisposte le truppe e ordinate le schiere, si iniziava a marciare verso il nemico, i flautisti, disposti in mezzo all’esercito, cominciavano a suonare […] ‘Allora le due armate si spinsero l’una contro l’altra: quelli di argo avanzavano pieni di foga e di collera; gli Spartani procedevano lentamente, al suono di numerosi flauti posti in mezzo alle schiere […] lo scopo di questa usanza è che i soldati possano avanzare ver-so il combattimento con lo stesso passo, con ordine e cadenza, senza rompere le file, senza disperdersi, come avviene spesso ai grossi eserciti all’inizio dell’azione’ ”.

157etruria - roma

nella sua accezione di individuo parte di una cerchia strutturata in-torno alla figura di un capo11.

se, probabilisticamente parlando, il campione delle glosse di origine etrusca fino a noi sopravvissute rispecchia, pur nella sua ca-sualità, il diverso peso che tale cultura ha fatto sentire su quella ro-mana nei diversi aspetti della vita di un individuo o di uno stato, il settore prevalente sembra senz’altro quello della milizia.

abbiamo accennato sopra a due contributi ancora esausti-vi nell’escussione delle fonti letterarie che parlano esplicitamente dell’indebitamento di roma verso l’etruria in campo militare, a essi rimando senz’altro per un quadro completo di esse, con l’avvertenza che nuove possibilità di analisi sono oggi possibili combinando una lettura di tali fonti con le evidenze offerteci nel frattempo dalla mo-derna ricerca archeologica e storiografica.

sono stati ampiamente commentati dalla critica i passi che ricor-dano come roma abbia imparato dagli etruschi a combattere chal-kaspides kai phalanghedon12, prendendoli anche a prova in di retta dell’esistenza in Etruria di una tattica particolarmente raffinata ed evoluta quale quella oplitica13. esistono però anche altri spunti nelle fonti letterarie che indicano come l’etruria, nel ricordo storico roma-no, avesse precocemente sviluppato un combattimento con uno schie-ramento, se non ancora “oplitico”, almeno omogeneo e organizzato: è l’etrusco lygmon il primo ad adottare per l’esercito un accampamen-to regolare14, e l’uso bellico della tromba, essenziale nella trasmissio-ne degli ordini nella falange o comunque in un esercito che combatta in formazione - anche manipolare - è univocamente attribuita agli etruschi15, precisamente a piseo16 o al re maleo17. l’invenzione stes-sa della tromba (salpinx) è riferita a Tirseno18, o ai tirreni19, insie-

11 vedi WatMough 1997, pp. 69 ss., 103 ss.12 DioD. XXIII. 2, 2 e XXVIII. 2, 1; vedi anche Ined. Vat. III; athen. VI. 273F;

Fest. 39L; cfr. Müller - Deecke 1877, p. 365; snoDgrass 1965, p. 441; Pairault Mas-sa 1986, p. 32.

13 tattica di cui non esiste però prova certa a roma, vedi aMPolo 1988, p. 224; discussione più recente sul brano in Jannot 1991, p. 74 ss., con bibl.

14 ProP. IV. 1, 29; un accampamento d’assedio ben organizzato e realizzato con strutture lignee stabili dona porsenna ai romani, dopo aver concluso con loro la pace (Dion. hal. Ant. V, 34).

15 serV., Aen. VIII, 526; Poll., Onom. IV, 76; isiD., Etym. iii, 21, 3, Xviii, 4, ove è indicato per la tromba uno specifico ruolo di raccolta, seppur riferito alle navi; cfr. Müller - Deecke, II, p. 370 s. “Trombe tirreniche” sono ricordate in aischyl., Eum. 567, soPh., Ai. 17.

16 Plin., Nat. Hist. VII, 56.17 lact., Comm. in Stat. Theb. iv, 224, vi 404.18 Paus. II, 21, 3; hyg., Fab. 274, 20 gli attribuisce l’uso della buccina forata,

sul cui uso vedi anche isiD., Orig. Xviii, 4. 19 Poll. IV, 84; isiD., Orig. iii, 21, 3, Xviii, 4.

158 armando cherici

me a quella del corno20, il cui uso sarebbe loro tipico21. il suono del-la tromba del resto, inteso come segnale di guerra o comunque come accento minaccioso, finirà per esser, letteralmente e letterariamente, il “suono tirreno”22. e in effetti, probabilmente proprio come simbolo dell’imperium militare, la tromba appare, con scudo e scure, quale in-segna di un “principe tarquiniese” già nella prima metà del vii sec.23.

com’è noto, le fonti ci dicono anche della derivazione etrusca delle insegne stesse. qui occorre distinguere tra fasci e signa mani-polari. i primi, che abbinano le verghe di allenatori e giudici di gara con la scure del capo militare24, sono propri di momenti solenni e uf-ficiali: sono infatti visibili - e quindi utilizzabili - solo là dove esista una assemblea o uno schieramento ordinato; non possiamo negarne a priori una funzionalità offensiva, almeno in origine, ma diverranno assai presto insegne “magistratuali”, non trasmetteranno cioè ordini precisi nella concitazione di una battaglia, ma renderanno esplicita la presenza del potere in un momento in cui è richiesta e attesa la sua epifania. di origine etrusca o sabina erano anche, per le fonti, gli altri durevoli simboli della potenza romana, veri strumenti bellici stavolta, con un vero esclusivo e preciso uso militare; si tratta dei signa manipolari: insegne tattiche che localizzavano il punto di co-mando nelle schiere in battaglia, nel momento militare della funzio-ne regia prima, consolare poi, espressa direttamente o per delegati. originariamente tali signa erano costituiti da 12 lunghe lance in cui la munizione metallica era sostituita da un manipolo di fieno, donde poi il nome dell’unità tattica che, nel definirsi storico dello schiera-mento romano, prenderanno a comandare. questi vexilla, ci dicono le fonti, non erano tipici di roma, ma erano chiamati iubae dai ro-mani, tufae dai “barbari”25: ne troviamo una sicura rappresentazione in un bronzetto sardo di guerriero26, forse a indizio dei contatti tra le due realtà, a conferma comunque di un comune modus dimicandi in ampie aree del mondo antico, a parità di situazioni socio-economi-che.

anche le posteriori insegne tattiche degli eserciti romani di epo-ca repubblicana troveranno indiscutibili modelli fuori da roma: sta-volta nell’etruria padana, ove si affermano forse stimolate - se non

20 athen. IV, 187; in una anforetta a figure nere da Tarquinia, che esamine-remo più sotto, il corno guida una schiera di opliti.

21 Poll. IV, 76.22 Verg., Aen. VIII, 526 (cfr. serV., Ad. Aen.); stat. III, 648, VI, 404, VII, 630;

cfr. lact., Comm. in Stat. Theb. vi, 404.23 torelli 1988a, p. 139 s.; Bartoloni 1989, p. 212. 24 cherici 2000, p. 193 s.25 lyD., Mag. I, 8; serV., Aen. XI, 970; Perea yeBenes 2005, p. 195 s.26 cherici 2008, p. 213, fig. 69.

159etruria - roma

copiate - dall’attrito con la diversa organizzazione della milizia e del-lo scontro nel contiguo mondo celtico27.

le diverse fonti sopra citate ricordano dunque, dell’ordinamento militare etrusco, tutto ciò che è riferito al combattimento organizza-to: con armamento pesante (scudi, elmi), in linea, con identità d’armi di fila (scudi)28 o di singoli ruoli specializzati (lance e giavellotti dei veliti), l’ordine e il movimento univoco delle schiere regolato da se-gnali sonori (trombe) o visivi (insegne e vessilli), infine il movimento corale delle truppe e il modo ordinato di accamparsi: elementi tutti che tradiscono l’avvenuto formarsi in etruria di schieramenti e tatti-che ordinati e maturi, forse, ma non necessariamente, anche di tipo oplitico.

di tali evoluti e ben organizzati schieramenti in linea abbiamo in effetti per l’Etruria precoci testimonianze iconografiche: già dalla seconda metà del vii sec. appaiono scene con fanti omogeneamente armati, dotati di armatura pesante, anche se il tutto è ancora lonta-no dall’oplitismo propriamente detto: dove la scena è più esplicita, nell’oinochoe della tragliatella, nella pisside della pania e nell’uo-vo di struzzo dalla Grotta d’Iside come poi in talune lastre fittili, la schiera “oplitica” appare infatti marcatamente gerarchizzata: i fanti seguono sempre una figura principale, talvolta disarmata, più spesso armata e montata su carro. non possiamo così estendere a tali schie-re etrusche il valore politico, economico e sociale che il termine “opli-tismo” riveste nella patria di tale formazione, in grecia, dove è uno schieramento omogeneo che con omogeneità si muove e - soprattutto - è immagine e amalgama di una comunità politica in cui non trova posto la figura di un carrista, che è e rimarrà retaggio di schemi tat-tici e socio-politici senz’altro precedenti e comunque “altri” rispetto all’oplitismo propriamente detto29.

a ben vedere, quindi, l’unico punto di contatto delle scene so-pra elencate con l’“oplitismo” è la presenza di fanti omogeneamen-te armati: ma una schiera di uomini identicamente armati appare anche, già nell’viii sec., nel noto coperchio bronzeo da bisenzio30, e l’identità d’armi non è necessariamente sinonimo di schieramen-to oplitico. La figura del guerriero pesantemente armato, dotato di clipeo, cioè di scudo tondo, può esser del resto inserita in contesti

27 cherici 2008, p. 210 ss.28 Fraccaro 1975, p. 42.29 Musti 1988, p. 380 ss.; cfr. anche G. colonna, in Civiltà degli Etruschi,

Milano 1985, p. 242. Vede l’oplitismo legato all’apparizione del carro a due ruote Pe-roni 1971, p. 94.

30 cherici 2005a, p. 153 ss.: basandomi sulla letteratura definivo il vaso bronzeo come “cinerario”, l’amico f. delpino mi segnala che proviene in realtà da una tomba a inumazione.

160 armando cherici

socio-economici e tattici ancora aristocratici o principeschi, come di-mostrano tra l’altro i due guerrieri sui prometopidia del circolo della perazzetta a marsiliana: la società che esprime questa ricca deposi-zione è senz’altro ben distante da quella che esprimerà l’oplitismo e i fanti, benché chalkaspides, recano ancora uno scudo con telamon che, come nel duello eroico della stele di monte gualandro, lascia li-bere le due mani, tanto da poter qui impugnare arco e frecce, arma assolutamente non oplitica e come tale di bassa considerazione nella Grecia arcaica; e un fante pesantemente armato e probabilmente do-tato di arco troviamo del resto ancora alla fine del VI sec. a Orvieto, nella nota stele della cannicella31.

in etruria, la prima rappresentazione autoctona che possiamo propriamente ricondurre a una falange32 è della fine del VI sec. a.C.: una anforetta tarquiniese della bottega del pittore di micali33 mo-stra una schiera di armati, priva di una figura eminente, che avanza serrata e all’unisono seguendo il ritmo di un cornicen. occorre però ancora avvertire che scene di fanti clipeati, in linea, esibenti tutti un analogo armamento e uno stesso episema potrebbero esser sì testi-monianze di una reale classis clipeata censita in una realtà urbana - come di uno schieramento gentilizio, o di sodales - ma potrebbero però anche proporre semplicemente suggestioni iconografiche d’am-bito greco, mediate da monumenti già da tempo circolanti in etru-ria: ad esempio l’olpe chigi34, che documenta con cura e precisione quasi manualistica uno schieramento in linea, oplitico nella fattispe-cie, con il suo regolare incedere al suono del diaulos, con la lancia brandita sopramano che ritroveremo ancora e molto dopo negli opliti sulle cimase di candelabro da spina, a dimostrazione di come uno scontro codificato e quasi ritualizzato quale quello oplitico, immagi-ne bellica del peso politico di una precisa classe sociale, non avesse avuto cambiamenti in secoli e - probabilmente - mondi diversi.

contemporanee all’anforetta tarquiniese abbiamo anche al-tre evidenze, sia archeologiche che iconografiche, della presenza in etruria di una classe politica urbana che mette in linea fanti pesan-temente armati, e identifica le proprie prerogative nell’abilitazione

31 cherici 1995a.32 Maule sMith 1959, p. 53, n. 174, propone di vedere nei tre bronzetti di

guerriero da brolio una prima rappresentazione sicura di scudo oplitico con porpax centrale, ma tale interpretazione non è sicura: lo scudo è infatti scomparso, e il por-pax rimasto al gomito indica soltanto che l’arma aveva due prese, che potevano però esser ambedue eccentriche.

33 Tarquinia RC 1042; sPiVey 1987, p. 10, nr. 35.34 trattandosi di un prodotto greco, la scena non può esser presa a prova

dell’avvenuto sviluppo in etruria di una tattica oplitica, come pure proposto (cfr. ai-gner Foresti 2001, p. 97).

161etruria - roma

alla milizia, nei riti sociali del simposio, della caccia, della palestra, come in precise figure mitiche, in primis quella di Eracle35: elementi che poi torneranno nell’orizzonte cronologico dei bronzetti di spina assieme a dati non equivoci della presenza di una fanteria pesante di linea di tipo oplitico: nel v e iv sec. ci sono offerti dai numerosi clipei bronzei tripedali con porpax centrale dalle necropoli di peru-gia36 e dalla panoplia di settecamini presso orvieto. dirimente è la posizione del porpax che - imprigionando al gomito il braccio del fan-te - rende inutilizzabile il clipeo al di fuori di una formazione serrata che non preveda l’embricatura “scudo su scudo”, come appunto nella falange oplitica. una classis clipeata può esser quindi quella sotte-sa alle armerie / sale da banchetto rappresentateci nelle tombe de-gli scudi e giglioli a tarquinia, del triclinio e dei rilievi a caere, o in quella dei volumni a perugia37: ambienti che si richiamano a riti sociali arcaici e in cui potremmo ancora inserire i canti di alceo38, arsenali responsabili di un armamento con caratteristiche qualita-tive e d’uso omogenee non solo per classi oplologiche, ma anche per produzione, foggia, dimensionamento, peso delle armi stesse, come ci è testimoniato dallo svilupparsi e dal diffondersi in etruria, esat-tamente nell’arco cronologico sopra descritto, dell’elmo tipo negau. È questo un tipico elmo da arsenale, sia per la foggia chiaramente standardizzata - facilmente realizzabile in serie, con decorazione assente o ridotta, pensata per esser funzionale a un preciso tipo di schieramento - sia per la presenza in molti esemplari di segni alfabe-tici o numerici39 propri o di una produzione seriale o di un inventario in armeria; in proposito l’evidenza archeologica della loro esclusiva presenza in una armeria gentilizia ci è provata dalle decine di elmi tipo negau del “deposito” di vetulonia, tutti ascrivibili, grazie alle iscrizioni, a una stessa gens, tutti distrutti in una sorta di anathema che ha coinvolto anche lo strumento simbolo del simposio: il kotta-bos40.

l’archeologia conferma dunque quanto dichiarato dalle fonti letterarie: per un lungo periodo, in campo tecnico-militare, l’etru-

35 cherici 1995b; cherici 2001; cherici 2005b.36 tombe dal frontone, s. giuliana, monteluce, pantano di monte tezio:

cherici 1995b; iDeM 2002. 37 dobbiamo qui distinguere tra il clipeo tra machairai scolpito sul timpano

dell’accesso al triclinio e la panoplia, più antica dell’apertura della tomba, appesa a destra dell’ingresso al triclinio stesso: cherici 1993; iDeM 2002.

38 Il cui celeberrimo frammento 54D descrive le panoplie appese alla sala del banchetto.

39 sui segni alfabetici e numerali sugli elmi tipo negau vedi m. Martelli, in REE LXI, 1995, nr. 22; sul tipo da ultimo: Martelli 2009.

40 cherici 1995a; sull’appartenenza del gruppo di elmi a un piccolo esercito gentilizio: torelli 1988b, p. 246; Maggiani 1990, p. 48 s.

162 armando cherici

ria ha offerto modelli a roma, e tra essi anche quelli che saranno gli elementi cardine e i simboli della potenza romana: l’ordine delle schiere, la certezza nella trasmissione di ordini, l’identificazione del punto di comando, gli accampamenti, la logistica, gli arsenali non le sono immediatamente riconducibili, ma trovano spunti e prodromi in etruria e nel mondo italico.

anche le stesse armi-talismano dell’urbe, i pignora imperii, gli ancilia41, non sono del resto armi schiettamente romane, come ver-rebbe da supporre dato l’enorme valore magico-religioso da esse rivestito: sappiamo come scudi bilobati di tal foggia - invero assai poco funzionali e quindi essi pure, probabilmente, rivestiti di carat-tere simbolico-sacrale - siano presenti già dal X sec. a lavinio, forse a grottaferrata, quindi a norchia e a veio dove, nella tomba casal del Fosso 103642, li troviamo deposti a coprire un guerriero sepolto con ricchi ornamenti, in un rituale che al colini fece venire in mente il mito di tarpea43. e roma è consapevole di come la stessa danza saliare o il rito dei feziali - essenziali nel rapporto tra la città e la

41 colonna 1991; torelli 1997. Com’è noto, l’ancile cade dal cielo preceduto da tuoni e fulmini “sine nube” (oV., Fast. III, 369): pur con la cautela imposta da ogni tentativo di lettura in chiave storica di racconti mitistorici, è possibile pensare alla ca-duta di una tectite, accompagnata da schianti e scie luminose consueti in casi del gene-re. Tale meteorite ha spesso forma di scudo, tondo (Figg. 3-4) o bilobato (Fig. 2), spesso con la caratteristica convessità dell’arma e talvolta, come nel caso della pietra nera de La Mecca (pur essa oggetto di culto), con le dimensioni di un piccolo scudo di un piede di diametro (Figg. 5-6). Gli esemplari bilobati a noi noti non sono generalmente supe-riori alla dozzina di centimetri, ma avrebbero comunque potuto suggerire un ancile, vista la miniaturizzazione rituale delle armi propria del mondo laziale. la consisten-za, il colore, la superficie metallica della tectite ne completano un aspetto che, in un mondo povero di materiali quale quello protostorico, non poteva che esser paragonato al bronzo (sulle tectiti: PoVenMire 2003; kenkMann - hörz - Deutsch 2005). Spesso però sono dette “cadute dal cielo” cose rinvenute in realtà sottoterra, dove la caduta le avrebbe confitte: è il caso delle “pietre del fulmine”, punte o schegge di selce che vengo-no ritenute punta del fulmine o parte frantumata di esso; in questo caso il mito potreb-be adombrare il reale rinvenimento di uno scudo bilobato, forse appartenente a una sepoltura (come potrebbe esser avvenuto anche per i miti del Caput Oli e di Tarpea). L’artefice cui viene affidata la duplicazione degli ancilia, mamu rio veturio, è stato identificato da alcuni con Morrius, re di Veio, che pure avrebbe istituito i Salii nella sua città (serV., Aen. VIII, 285, vedi da ultimo torelli 2008, p. 176 s.): l’identifica-zione appare tutt’altro che certa (aMPolo 1980, p. 174 ss.; Franciosi 1988, p. 261), ma se fosse corretta avremmo in tale conferimento un’ulteriore conferma della suddi-tanza di roma rispetto all’etruria, visto che il primo maneggio di un pignus imperii sarebbe stato affidato a un armaiolo etrusco, e questo in un mondo in cui religione, magia e politica ancora si compenetrano, in cui per un oggetto sacro la collocazione, la possibilità di manipolarlo o anche solo di toccarlo, il possederlo (anche solo momenta-neamente), il vederlo o il menzionarlo, hanno in sé un valore assoluto che travalica la semplice maestria del demiurgo cui l’operazione è affidata.

42 colonna 1991, p. 69 ss.; F. Boitani, in Moretti sguBini 2001, p. 112. 43 NSc 1919, p. 12. Reinach (1908; reinach 1912, p. 43 ss.) pro poneva di ve-

dere all’origine del mito la reale esistenza di un an tichissimo trofeo costituito da un

163etruria - roma

guerra - fossero presenti nel lazio e in etruria prima che in roma stessa44.

di un altro rito pregnante della guerra romana, il trionfo, tro-viamo la prima chiara rappresentazione in etruria, nel sarcofa-go dello sperandio45, ma anche singoli episodi e immagini tra i più noti e simbolici della storia romana, allora come oggi, trovano spie-gazione e coerenza solo allargando un loro esame a confronti d’am-bito etrusco-italico o addirittura mediterraneo: così i pila horatia non saranno state colonne di una basilica46, ma armi-trofeo in cui la lancia rinnovava un universo simbolico che rintracciamo dall’etru-ria all’iberia, come nelle celeberrime forche caudine, che ben si com-prendono se estendiamo anche al sannio la prassi e la valenza del sub hasta vendere47.

come si è passati dunque da un rapporto di dipendenza, o co-munque da un orizzonte comune e condiviso tra roma e le realtà vi-cine, a quella evidente supremazia che porterà l’urbe a realizzare il suo impero, affermandosi prima sulle realtà politiche - e militari - della penisola, poi sui grandi stati del mediterraneo? l’argomento del nascere e dello svilupparsi del cosiddetto “imperialismo romano” è stato oggetto di attente analisi, come ampiamente indagato in tutti i suoi aspetti materiali e mentali è l’intero mondo romano; mi per-metto comunque di evidenziare alcune zone d’ombra che, forse per esser parte di argomenti apparentemente in piena luce - come la guerra romana - non sono state a mio parere adeguatamente appro-fondite e contengono forse indizi di un approccio romano alla guerra diverso rispetto alle realtà politiche circostanti, che segnerà l’inizio di una vera e duratura “rivoluzione”.

dapprima un dato antropologico e strategico insieme: roma prende a non combattere più guerre “rituali”, sentite nel mondo anti-co come normali e inevitabili espansioni dell’attività politico-economi-

tumulo di scudi, pinza (MAL XV, p. 777) lo metteva in relazione a quello del Caput Oli, a tradire la presenza di una antica necropoli sul campidoglio. in effetti il mito, che parla esplicitamente di una tomba e oscilla tra l’eroismo e il disonore (Plut., Rom. XVIII, 1; Dion. hal. II, 39-40d; ProP., El. IV, 4) potrebbe esser la traccia fossile del rinvenimento di una sepoltura sotto scudi, secondo un rito praticato alle porte di Roma, sia in ambito etrusco (la sopracitata tomba veiente) che laziale (tomba Castel di Decima 21), tenuto conto anche che in ambedue le deposizioni la copiosa presenza di monili può far pensare a una sepoltura femminile. credo siano in contiguità ideolo-gica con tale pratica funeraria i cinerari coperti da scudo presenti nell’etruria propria e Padana tra VIII e VII sec. a.C. (Bisenzio, tombe Olmo Bello X e XVI; Vetulonia, Tomba del Duce e lastre-coperchio a scudo o con scudi incisi; Casal Marittimo, tomba Casa Nocera G; Verucchio, tombe Lippi 89 e Pegge 16; Bologna, tomba Benacci 490).

44 cfr. serV., Aen. VII, 285; liV. I, 32, 5.45 cherici 1993, p. 19.46 Ball Platner 1929, p. 390 s.47 cherici 2007, p. 244 s., con bibl.

164 armando cherici

ca di contatto tra comunità diverse, eventi stagionali che si ripetono ogni anno a primavera “quando i re escono con gli eserciti a battaglia” (2 Samuele XI 1), finalizzati ad acquisizioni di bottino (captivi, prae-da, praeda pecoris, come nel citato sarcofago dello Sperandio). In un momento precoce della sua storia, Roma prosegue la guerra fino ad acquisizioni certe, soprattutto prende a distinguere la battaglia dalla guerra: nella roma delle origini esistono “guerre” che durano un gior-no, lo spazio appunto di una battaglia, ma “guerre” sono chiamate48. distinguere un atto ostile da una serie finalizzata di atti ostili è un fatto non immediatamente percepito nella geografia mentale di una comunità pre- o protourbana: lo avverte ancora tacito, che nella sua accurata analisi dei germani annota: “al di là dei mattiaci vengono […] i Catti; […] essi sanno scegliersi dei condottieri, ubbidire ai capi, mantenere il posto nelle file, cogliere il momento opportuno, frenare l’impeto, distribuire i vari compiti nel corso della giornata, trincerarsi di notte […] e infine, cosa assai rara e consentita solo alla disciplina romana, affidarsi più al comandante che all’esercito. La loro forza mi-litare sta nella fanteria, che essi caricano, oltre che di armi, anche di attrezzi di ferro e di vettovaglie: gli altri popoli paiono andare a bat-taglia, i catti alla guerra” (Germ. 30).

dal dato socio-antropologico a quello economico: probabile che, all’origine di un’insistente vocazione militare dell’urbe ci sia anche un diverso livello di sviluppo economico della società romana rispet-to alle realtà confinanti: la tradizione romana e la moderna ricerca archeologica hanno evidenziato come il primo formarsi dell’abitato sia connesso al controllo dell’attraversamento dell’isola tiberina, e che gli stessi primi meccanismi di accrescimento e integrazione de-mici - ratto di donne, diritto di asilo - siano propri di una comuni-tà in cui le attività primarie sono quelle di un mondo dedito più al prelievo che alla produzione, dove il saccheggio, la razzia, è base per l’economia del gruppo49: eloquente la derivazione, in latino, del verbo populare / populari, indicante appunto l’azione del saccheggio, dal sostantivo populus, la prima e duratura identificazione politica del corpo civico (in armi).

dall’economia alla politica: la guerra è un fattore sostanzialmen-te endemico nel mondo antico pre- o protourbano, ma finisce pro gres-siva mente per “costare” troppo a quelle realtà sociopolitiche in cui si sia sviluppata un’economia diversa da quella del prelievo e della raccolta: la guerra intralcia il commercio, mette a rischio magazzi-ni e laboratori, pregiudica le coltivazioni di pregio, quelle che non

48 “Nocte una audito perfectoque bello Sabino” (liV. II, 26, 4).49 cfr., tra i tanti possibili, liV. II, 25.

165etruria - roma

danno frutto immediato e richiedono una lunga cura pluriennale50: una comunità economicamente evoluta, soprattutto urbana, cerca progressivamente di mantenere la guerra lontana dai propri confini, e insieme cerca di filtrare l’accesso alle armi, sia per non distoglie-re manodopera alle attività produttive, sia per mantenere l’uso delle armi e della forza in mano alla classe egemone: si può armare quin-di non chi è abile alle armi, ma chi è abilitato alle armi. d’altronde però la guerra è l’unico motore economico che, nell’antichità, sia ca-pace di ridistribuire in poco tempo grandi quantità di beni51, secondo criteri solo parzialmente controllabili dallo stesso vincitore; è quindi un fattore economico che innesca e favorisce la complessità sociale e politica della comunità che sceglie di praticar la guerra stessa come sistema, e impone dei meccanismi di controllo nell’abilitazione alle armi che sono tanto più labili quanto più la comunità ha esigenza di fondarsi su un corpo militare necessariamente sempre più vasto. da un lato, quindi, la comunità che mantiene il prelievo, la guerra, tra i primi fattori economici, denuncia in questo una iniziale arretratezza socio-economica, dall’altra però può trovare nella guerra un motore di sviluppo non solo economico, ma anche socio-politico, che non han-no invece realtà urbane che, inizialmente più progredite, rinunciano alla guerra come elemento economico fondamentale.

troviamo indizi di questo e di altro nella prima storia di roma.sia che coinvolga in prima persona tutti gli elementi abili del-

la comunità, sia che divenga appannaggio di un gruppo, la guerra è nell’ambito di una comunità antica un grande compito sociale ed ha quindi un ruolo di rilievo nei processi prima di coesione del grup-po, poi di formazione dell’entità statale52, processi che re goleranno i modi, i tempi, le forme d’uso della forza nei rapporti interni ed ester-ni53: sono tappe che la storiografia romana sottolinea per i primi re di roma, con atti denuncianti una maturità politica particolarmen-te evoluta, lineare e coltivata nel tempo come nel caso di numa, che emancipa la comunità da una condizione di guerra permanente con la costruzione del tempio di giano, e del nipote anco marcio, che con i feziali ne codifica la dichiarazione. Se dunque il sorgere di un con-sapevole concetto di “guerra” è conseguenza e segno del formarsi di un’entità sta tale54, in questo roma si mostra precoce e non è forse uno

50 cherici 2009.51 WeBer 1961, p. 674; chaMoux 1963, p. 141 ss.; austin - ViDal naquet

1972, pp. 25, 56; heichelheiM 1979, p. 405 s. e passim.52 carneiro 1970, p. 733 ss.53 WeBer 1961, II, p. 205.54 un punto su cui concorda sia l’analisi storica liberale che quella marxista:

vedi la sintesi in Frankel 1979, con bibl.; carneiro 1970 vede nell’attività bellica uno dei motori per la formazione di uno stato. cfr. anche aristot., pol. 1291a.

166 armando cherici

stereotipo letterario il ricordo che il primo atto politico di romolo sia la divisione della popolazione in contingenti militari (Plut., Rom. 13).

a fronte di ciò la documentazione romana non documenta inve-ce per l’età orientalizzante, arcaica e sub arcaica aspetti che in re-altà urbane del vicino oriente, della grecia o dell’etruria troviamo strettamente associati all’abilitazione alle armi: caccia, palestra, simposio. È pur vero che il patrimonio iconografico, per Roma, è a lungo estremamente povero, ma nulla trapela in proposito neppure nella tradizione storica o mitica indigena. così sembra esser assente la caccia ideologizzata quale parte dell’educazione, della propedeu-tica e dell’allenamento dell’abilitato alle armi, e quindi quale status symbol di una classe politicamente capiente. possiamo rintracciarne tracce nella caccia di pico, attirato in un bosco da circe con il fanta-sma di un cinghiale, ma il racconto appartiene a un ambiente let-terario ormai ellenizzato (oV., Met. XIV, 358 ss.), come per tutti gli altri possibili esempi: così per enea, che caccia il cervo per due volte: allo sbarco in africa per nutrire i suoi (Verg. Aen. I, 184 ss.) e poi con didone, in una vera caccia reale (Verg., Aen. IV, 120 ss.)55; così per camilla, cacciatrice e guerriera insieme (Aen. XI, 686). Cacciano i figli di Anco Marcio (liV. I, 35, 2), ma tale attività appare acquisiti-va, comunque svincolata da un’attinenza o un riferimento all’eserci-zio militare.

il mondo della caccia, inteso come tirocinio guerriero, è infatti lontano dalla più antica ideologia romana, che giudica esser miglior guerriero il contadino, che trae dal lavoro manuale e da esercizi fi-sici utilitaristici - né di caccia, né di palestra - la propria prestanza fisica: “ex agricolis et viri fortissimi et milites strenuissimi gignun-tur” (cat., De re rust., praef. 4)56. uno dei primi nobili romani a im-pegnarsi nella caccia è il filelleno Scipione Emiliano, che la impara grazie a lucio emilio paolo nelle riserve reali in macedonia, e tale attività lo distingue nettamente dal resto della gioventù romana, im-pegnata semmai nell’attività forense (Pol. XXXII, 15), mentre sono i greci demetrio e polibio a dedicarsi alla caccia al cinghiale nel cir-ceo (Pol. XXXI, 22). In Cicerone la caccia è un piacevole diletto della vecchiaia (cic., De sen. XVI, 56), mentre in Sallustio è un servile of-ficium (Cat. IV, 1); solo in Orazio l’attività venatoria è accostata alla consumazione del vino e alla guerra, ma le tre attività sono distinte, svincolate l’una dall’altra, e la prima è ormai svolta a mo’ di scampa-gnata: il citarle insieme fa pensare a una non compresa suggestione letteraria (C. I, 1, 23-28).

55 altri brani in caMPoreale 1984, p. 9 ss. (ma riferiti a personaggi etruschi).56 Plut., Cat. IX, 20; cfr. nicolet 1976, p. 131 ss.

167etruria - roma

il potere evocativo e propedeutico alla guerra della caccia sarà percepibile solo nella società pienamente ellenizzata della roma im-periale, quando il principe può scendere nel circo per cacciare57, e nei rilievi sulla lorica dell’augusto di primaporta ai piedi del comandan-te vittorioso è accucciato il cane.

Negli stessi ambienti filelleni che abbiamo visto recepire l’uso aristocratico della caccia troviamo l’accostamento banchetto - virtus militare: nel tabernaculum di tito quinzio flaminino le armi pen-dono alle spalle del console durante il convivio (liV. XXXiX, 42, 10 s.); Emilio Paolo celebrerà la vittoria su Perseo organizzando egli stesso un magnifico convito, visto che “è proprio di chi ben organizza una schiera tremenda, saper organizzare anche un dolce banchetto” (Plut., Mor. 615f).

ancora delle distinzioni: l’esibizione in tempo di pace della pa-noplia è, in grecia come in etruria, segno di appartenenza politica, sia che le armi ornino la sala da banchetto di una eteria, sia che ven-gano consegnata dalla città al termine dell’efebia, a significare l’in-gresso nella comunità civica58, e solone segnala infatti il suo autoe-scludersi dalla comunità appendendo fuori di casa le proprie armi59. analogo valore politico hanno in etruria le armi esibite nelle tombe individuali o appese nei fregi reali o pittorici delle grandi tombe gen-tilizie. a roma sono sì documentate armi appese nelle case, ma non sono quelle, funzionali, attuali, che armeranno il guerriero, sono tro-fei (Pol. VI, 39): tali sono quelle che, dopo il disastro di Canne, nel 216, faranno accedere al senato 90 ex tribuni della plebe “quia spolia ex hoste fixa domi haberent” (liV. XXIII, 23, 6): a ribadirne il carat-tere sacrale, una legge ne impediva la rimozione, ove la casa avesse cambiato proprietario (Plin., Nat. hist. XXXV, 7)60.

l’analisi delle distinzioni che ho cercato sopra di delineare è cosa particolarmente complessa e forse non scientificamente percor-ribile, stante anche la diversa natura delle fonti cui possiamo attin-gere - essenzialmente iconografiche e archeologiche per l’Etruria, storico-letterarie per roma - in estrema sintesi però, sembra di po-ter dire che roma acquisisce - e sa di acquisire - tecniche e prassi dal mondo circostante, in particolare dall’etruria, ma sembra segui-re, da un punto di vista sociale, politico, economico, culturale, una propria strada, in cui il suo nascere e permanere come “società guer-riera”61 consente quel solido dinamismo interno che la manualistica

57 Maurin 1984, p. 108 s.58 aischin., Ctesif. 154; arist., Ath. pol. Xlii, 4.59 arist., Ath. pol. XIV:2; Plut., Sol. 30.60 cfr. Mora 1999, p. 145.61 hoPkins 1978, harris 1979, cornell 1988, p. 89.

168 armando cherici

riassume nella secolare lotta tra patrizi e plebei e che verte proprio sul rapporto tra abilitazione militare e capienza politica. già con tarquinio prisco e quindi con servio tullio ci sono i segni di un pro-gressivo allontanarsi della gestione del potere politico-militare dalle logiche dei “buoni” che prevalgono nelle altre società urbane contem-poranee: i figli di Anco Marcio, di sangue reale in quanto discendenti diretti di numa pompilio, cercano di contrastare l’ascesa di servio tullio in quanto “circa cento anni dopo che in quella stessa città ro-molo, nato da un dio e dio egli stesso, aveva tenuto il regno finché era rimasto al mondo, ora quel regno l’avrebbe avuto uno schiavo nato da una schiava” (liV. I, 40, 3), e Servio infatti sancirà l’acces-so alla milizia, e quindi alla piena capienza politica, non su criteri di nascita o di appartenenza, ma su basi censuarie. Se nel 504 l’im-misione di appio claudio nel senato e l’integrazione dei suoi clienti è un segno della vitalità dell’ordinamento gentilizio, poco dopo, nel 477, la disfatta dei Fabii al Cremera e l’enfasi con cui la storiografia romana segna la fine di un bellum privatum62, sono segnali del len-to sgretolarsi a roma delle prerogative oligarchiche e gentilizie63. a roma, necessitata dai meccanismi dell’impegno militare delineati in apertura, l’integrazione politica e sociale si compone con una precoce e progressiva adesione di fasce sempre più ampie di popolazione allo sforzo bellico e quindi alla partecipazione allo stato64. un cammino secolare che scardina le roccaforti gentilizie aprendo dapprima un accesso al potere politico-militare attraverso l’espediente dei tribuni militum consulari potestate (già all’inizio del V sec.), quindi abbatte nel divieto di matrimonio il massimo baluardo della società gentili-zia con la Lex Canuleia del 44565 e - passando per le Licinie-Sestie del 367 - si conclude nel 300 con la Lex Ogulnia. parallelamente l’esercito può evolversi dalla scarsa malleabilità e dalla scarsa base numerica della classis clipeata serviana (probabilmente una fanteria pesante di linea), per aprirsi alla turba scutatorum di una sempre più duttile formazione manipolare, basata su diverse abilità militari e abilitazioni politiche66.

l’etruria in questo rimane indietro rispetto a roma: l’immagine di tale gap politico-militare è ricostruibile combinando fonti archeolo-

62 torelli 1988, p. 245 s.63 vedi da ultimo richarD 1990, con bibl.64 Eloquente in merito, e meritevole di una specifica trattazione, il lungo bra-

no di aulo gellio, Noct. Att. XVI, 10, finora poco valorizzato dalla storiografia.65 anche se la gentis enuptio, il matrimonio al di fuori della gens, richiede

una specifica autorizzazione ancora nel 186, quando ne abbiamo notizia per una liber-ta.

66 sulla distinzione oplologica, tattica e politica clipeus / scutum: cherici 2007.

169etruria - roma

giche e fonti storico-letterarie in merito al contatto tra l’urbe e volsi-nii, una delle città etrusche che, nell’arcaismo, aveva maggiormente tratto profitto da una vitalità economica e politica che aveva tra l’altro portato a fenomeni politico-economici eclatanti, quali le necropoli pia-nificate e normate del Crocifisso del Tufo e della Cannicella.

nel 310 a.c., pochi anni dopo la sepoltura del guerriero della tomba di settecamini, espressione di una élite ormai esterna alla città, che si riconosce ancora nella panoplia clipeata e nel simposio, il console fabio rulliano varca la selva cimina e scende in terri-torio volsiniese dove trova ad affrontarlo “tumultuariae agrestium Etruscorum cohortes, repente a principibus regionis eius concitatae” (liV. IX, 36, 12)67. i principes della regione, gli oligarchi che pos-siamo immaginare ben rappresentati dal guerriero pesantemente armato di settecamini, non possono contrastare i manipoli roma-ni con la vecchia fanteria di linea, oppongono quindi a roma delle forze che Livio definisce con un termine specifico, relativo a un ben preciso istituto dell’ordinamento militare romano: la militia tumul-tuaria, una forma di arruolamento extra ordinem che, sulla base dell’urgenza, non costituisce presupposto per adire a diritti politici. gli arruolamenti di tipo tumultuario però, se salvano al momento il sistema politico-militare egemone, allontanando un pericolo ester-no, finiscono col rendere consapevoli della propria forza le militiae tumultuariae stesse. a roma il tumultus, adottato nell’ambito del sistema censuario serviano, sarà uno dei probabili fattori che deter-minaranno il progressivo abbassamento della soglia di censo dell’ul-tima classe, allargando di fatto il corpo civico68. non sappiamo cosa accade a volsinii, certo il progressivo degenerare dell’antico siste-ma politico - che porterà la città alla catastrofe del 264 - è segnato proprio dalla conquista, da parte delle classi subalterne, di un ruolo sempre maggiore nell’ordinamento militare (zon. VIII 7, D). Da tale posizione si penetrerà nel vivo delle strutture politiche69 o parapo-litiche70 dello stato oligarchico, fino ad assumere in esse una posi-zione egemone71, o porle al bando72. Si giungerà infine a penetrare

67 la narrazione liviana della guerra del 311-308 è stata giudicata confusa da certa storiografia, lo Harris (p. 49 ss.) la riporta nella verosimiglianza storica, accen-nando anche al fatto che livio si serve con attenzione di più di una fonte, marcandone le discrepanze.

68 gaBBa 1973, p. 11 ss.69 “Primum admodum pauci senatorium ordinem intrare ausi” ricorda Val.

Max. iX, 1 ext. 2; cfr. zon. VIII, 7, D; auct., vir. ill. XXXvi, 1.70 “Vulsinienses […] cum […] servos suos […] conviviis allegarent” (oros. iv,

5, 3), cfr. anche Hist. Misc. ii, 23.71 “Mox universam rem publicam occupaverent” (Val. Max., l.c.).72 “Convivia coetusque ingenuorum fieri vetabant” (Val. Max., l.c.): è evidente

come siano state smantellate quelle forme di aggregazione politica, quali il simposio,

170 armando cherici

nel vivo dei meccanismi più delicati ed essenziali del sistema genti-lizio: manipolando o liberalizzando le successioni testamentarie73 e ottenendo infine lo ius connubii74, in significativo ritardo rispetto a roma (ove la Lex Canuleia è del 445).

la realtà romana riesce dunque a mediare nel tempo l’allarga-mento del corpo civico, in una lotta aspra che non giunge mai a una insanabile spaccatura; questo non avviene a Volsinii, ove infatti i principes che invocano nel 264 l’intervento di Roma determinano la distruzione della compagine urbana che avevano da tempo abbando-nato75.

mentre roma si dota di un esercito basato su turbae scutato-rum, l’etruria continua a esibire i clipei anche nell’immaginario del guerriero delle età più tarde, quando nel repertorio delle urnette di età ellenistica ha l’assoluto dominio della scena il tondo scudo opliti-co, mentre lo scutum - arma più moderna e “popolare”, che roma ha adottato e inserito nell’iconografia ufficiale - continua a distinguere i barbari. alle soglie della romanizzazione, nelle ur nette chiusine a stampo con il mito del “demone dell’aratro” - il cui legame con i coevi fermenti sociali è stato da tempo proposto - l’uomo inerme brandisce l’aratro contro guerrieri soccombenti, clipeati.

aliene dalle possibilità e dai costumi della nuova classe egemone, oltre che non conso-ne al nuovo, più vasto, quadro politico.

73 “Testamenta ad arbitrium suum scribi iubebant” (Val. Max., l.c.); sono ovviamente i vincoli testamentari, uniti a quelli matrimoniali, le difese più rigorose dell’inaccessibilità di una casta.

74 i servi “filias (?) dominorum in matrimonium ducebant” (Val. Max. iX, 1ext. 2); oros. IV, 5, 3. In generale sulle fonti relative a Oinarea /Volsinii per i fatti del 265-264 vedi heurgon 1974. Concordo con torelli 1981 (p. 257 s.) nel collocare i fatti in esame all’inizio del iii sec. a.c.

75 vedi heurgon 1957, p. 70.

171etruria - roma

referenze bibliografiche

aigner Foresti 2001 = L. aigner Foresti, Aspetti della guerra presso gli Etruschi, in m. sorDi (a cura di), Il pensiero della guerra nel mondo anti-co, Milano, p. 87 ss.

aMPolo 1980 = C. aMPolo, Il Periodo IVB, in DialArch 2, 2, p. 164 ss.aMPolo 1988 = C. aMPolo, La città riformata e l’organizzazione cen-

turiata. Lo spa zio, il tempo, il sacro nella nuova realtà urbana, in Storia di Roma, p. 203 ss.

austin - ViDal naquet 1972 = M. austin - P. ViDal naquet (a cura di), Economies et Sociétés en Gréce ancienne, paris.

Ball Platner 1929, s. Ball Platner, A Topographical Dictionary of Ancient Rome, oxford.

Bartoloni 1989 = g. Bartoloni, La cultura villanoviana, roma.caMPoreale 1984 = G. caMPoreale, La caccia in Etruria, roma.carneiro 1970 = R.L. carneiro, A Theory on the Origin of the State, in

Science 169, p. 733 ss.chaMoux 1963 = F. chaMoux, La civilisation grecque à l’époque ar-

chaïque et classique, paris.cherici 1993 = A. cherici, Per una lettura del sarcofago dello Speran-

dio, in Xenia ii, p. 13 ss.cherici 1995a = A. cherici, Un arciere a Orvieto? Note in margine a

una stele etrusca, in Athenaeum, p. 487 ss.cherici 1995b = A. cherici, Vasellame metallico e tombe con armi in

Etruria, in REA 97, p. 115 ss.cherici 2000 = a. cherici, Armi e società a Chiusi. Con una nota

sull’origine del fascio littorio, in Chiusi dal villanoviano all’età arcaica, in AnnMuseoFaina VII, 2000, p. 185 ss.

cherici 2001 = a. cherici, Tombe con armi e società a Todi. Con note su simposio, tesserae lusoriae, strigili, in AnnMuseoFaina VIII, 2001, p. 179 ss.

cherici 2002 = a. cherici, Per una storia sociale di Perugia etrusca: le tombe con armi, in AnnMuseoFaina IX, 2002, p. 95 ss.

cherici 2005a = a. cherici, Armi e armati nella società visen tina: note sul carrello e sul cinerario dell’Olmo Bello, in AnnMuseoFaina XII, 2005, p. 125 ss.

cherici 2005b = a. cherici, Dinamiche sociali a Vulci: le tom be con armi, in Dinamiche di sviluppo delle città nell’Etruria Meri dio nale: Veio, Caere, Tarquinia, Vulci (atti del XXiii convegno di studi etruschi ed itali-ci), Pisa-Roma, p. 521 ss.

cherici 2007 = a. cherici, Sulle rive del Mediterraneo centro-occiden-tale: aspetti della circolazione di armi, mercenari e culture, in AnnMuseoFai-na XIV, 2007, p. 223 ss.

cherici 2008 = a. cherici, Armati e tombe con armi nella so cietà dell’Etruria Padana. Analisi di alcuni monumenti, in AnnMuseoFaina Xv, 2008, p. 187 ss.

cherici 2009 = a. cherici, Olivi, viti e fichi: una breve nota sulla ge-stione del territorio nell’antichità, in Etruria e Italia preromana, Studi in onore di Giovannangelo Camporeale, pisa-roma, p. 223 ss.

collart 1954 = J. collart, Varro, De Lingua Latina, paris.colonna 1991 = G. colonna, Gli scudi bilobati dell’Italia Centrale e

l’ancile dei Salii, in ArchCl XLIII, p. 55 ss. cornell 1988 = T.J. cornel, La guerra e lo stato in Roma arcaica (VII-

V sec.), in e. caMPanile (a cura di), Alle origini di Roma, pisa, p. 89 ss.

172 armando cherici

Crise et transformation 1990 = Crise et transformation des Sociétés Ar-chaïques de l’Italie Antique au V Siécle av. J.C., roma.

ernout 1930 = A. ernout, Les Eléments étrusques du voca bu laire latin, in Bulletin de la Société de Linguistique de Paris, XXX1, p. 82 ss.

ernout - Meillet 1932 = A. ernout - a. Meillet, Dictionnaire étymo-logique de la langue la tine, paris.

Fraccaro 1975 = P. Fraccaro, Della guerra presso i Romani (Opuscula IV), Pavia.

Franciosi 1988 = G. Franciosi, Ricerche sulla organizzazione gentilizia romana, napoli.

Frankel 1979 = J. Frankel, War, Theory of, in Encyclopaedia Britan-nica.

gaBBa 1973 = E. gaBBa, Esercito e società nella tarda repubblica roma-na, firenze.

garlan 1985 = Y. garlan, Guerra e società nel mondo antico, bologna.harris 1979 = W.V. harris, War and Imperialism in Republican Rome,

oxford. heichelheiM 1979 = F.M. heichelheiM, Storia economica del mondo

antico, bari.heurgon 1957 = J. heurgon, L’État étrusque, in Historia VI, p. 63 ss.heurgon 1974 = J. heurgon, Volsinii o Oinarea?, in MEFRA 86, p.

707ss.hoPkins 1978 = K. hoPkins, Conquerors and Slaves, cambridge.kenkMann - hörz - Deutsch 2005 = T. kenkMann - f. hörz - a.

Deutsch (edd.), Large Meteorite Impacts III, in Geological Society of Ameri-ca (Special Paper, 384).

Jannot 1991 = J.R. Jannot, Armement, tactique et société. Réflexions sur l’exemple de l’Etrurie archaïque, in b. santillo Frizell (ed.), Arte militare e architettura nuragica. Nuragic ar chitecture in its military, territorial and socio-economic context (proceeding of the first international colloquium on Nuragic Architecture at the Swedish Institute in Rome, 7-9 December, 1989) (skrifter utgivna av svenska institutet i rom, 4°, xlViii), Stockholm, p. 73 ss.

Maggiani 1990 = A. Maggiani, La situazione archeologica dell’Etruria Settentrionale nel V sec. a.C., in Crise et transformation 1990, p. 23 ss.

Magini 2003 = L. Magini, Astronomia etrusco-romana, roma.Martelli 2009 = M. Martelli, Un elmo tipo Negau olim Bar berini, in

Etruria e Italia preromana, Studi in onore di Gio van nangelo Camporeale, Pisa-Roma, p. 563 ss.

Maule - sMith 1959 = Q.F. Maule - h.r.W. sMith, Votive Religion at Caere: Prolegomena, berkeley-los angeles.

Maurin 1984 = J. Maurin, Les barbares aux arenes, in Ktema 9, p. 103 ss.

Mccartney 1917 = q.f. Mccartney, The military Indebtedness of ear-ly Rome to Etruria, in MAAR i, p. 121 ss.

MoMigliano - schiaVone 1988 = a. MoMigliano - a. schiaVone (a cura di), Storia di Roma, 1. Roma in Italia, torino.

Mora 1999 = F. Mora, Fasti e schemi cronologici: la riorganiz za zione annalistica del passato remoto romano, stuttgart.

Moretti sguBini 2001 = A.M. Moretti sguBini (a cura di), Veio, Cerve-teri, Vulci. Città d’Etruria a confronto, roma.

Müller - Deecke 1877 = k.o. Müller - W. Deecke, Die Etrusker, stuttgart.

173etruria - roma

Musti 1988 = D. Musti, Lotte sociali e storia della magistrature, in Mo-Migliano - schiaVone 1988, p. 367 ss.

nicolet 1976 = c. nicolet, Le métier de citoyen dans la Rome républi-caine, paris.

Pairault Massa 1986 = F.H. Pairault Massa, Notes sur le problème du citoyen en armes: cité romaine et cité étrusque, in a.M. aDaM - q. rouVeret (edd.), Guerre et Sociétés en Italie aux V et IV siecles avant J.C., paris, p. 29 ss.

Perea yeBenes 2005 = S. Perea yeBenes, Pervivencia de las institu-ciones militares romanas en una enciclopedia organica del sieglo VI: el De Magistratibus de Ioannes Lydus, in g. BraVo castaneDa - r. gonzalez sa-linero (edd.), La aportación romana a la formación de Europa: Naciones, lenguas y culturas, Zaragoza, p. 177 ss.

reinach 1908 = S. reinach, Tarpeia, in RA Xi, p. 42 ss.reinach 1912 = S. reinach, Cults, Myths and Religions, london.richarD 1990 = J.C. richarD, Les Fabii à la Crémère: grandeur et déca-

dence de l’organisation gentilice, in Crise et transformation 1990, p. 245 ss.snoDgrass 1965 = A.M. snoDgrass, L’introduzione degli opliti in Gre-

cia e in Italia, in RStIt lXXvii, p. 434 ss.sPiVey 1987 = N.J. sPiVey, The Micali Painter and his Followers,

oxford.torelli 1981 = M. torelli, Storia degli Etruschi, bari.torelli 1988a = M. torelli, Tarquinia: ricerche, scavi e prospet tive, in

m. Bonghi JoVino - c. chiaraMonte treré (a cura di), La Lombardia per gli Etruschi, roma, p. 129 ss.

torelli 1988b = M. torelli, Dalle aristocrazie gentilizie alla na scita della plebe, in MoMigliano - schiaVone 1988, p. 241 ss.

torelli 1997 = M. torelli, Appius Alce. La gemma fiorentina con rito saliare e la presenza dei Claudii in Etruria, in StEtr LXIII, p. 227 ss.

torelli 2008 = M. torelli, Roma e le città etrusche. Preistoria e storia di un rapporto, in M. torelli - a.M. Moretti sguBini, Etruschi. Le antiche metropoli del Lazio, Verona, p. 168 ss.

Peroni 1971 = R. Peroni, intervento a c. aMPolo, Su alcuni mutamenti sociali nel Lazio tra l’VIII e il V secolo, in DialArch IV, p. 37 ss.

Vernant 1968 = J.P. Vernant (ed.), Problèmes de la guerre en Grèce Ancienne, paris-la haye.

Ville 1969 = G. Ville, La guerre et le munus, in J.P. Brisson (ed.), Pro-bleme de la guerre a Rome, Paris-La Haye, p. 185 ss.

WatMough 1997 = M.M.T. WatMough, Studies in the etruscan Lo-anwords in Latin, firenze.

WeBer 1961 = M. WeBer, Economia e società, milano.PoVenMire 2003 = H. PoVenMire, Tektites: a Cosmic Enigma, indian

harbour beach.

174 armando cherici

fig. 2 - tectite bilobata.

fig. 1 - quinario di giulio cesare, verso: trofeo con ancile.

fig. 3 - tectite discoidale.

175etruria - roma

Fig. 6 - Maometto con la pietra nera de La Mecca, notare le dimensioni e la forma discoidale della tectite. da rashiD al-Din, Jami Al-Tawarikh, 1315; edinburgh, biblioteca dell’università.

fig. 4 - tectite discoidale. Fig. 5 - La “pietra nera” de La Mecca: notare la superficie me-tallica e la concavità della tectite.