architettura FIRENZE · 2020. 4. 30. · Segretaria di redazione e amministrazione - Gioi Gonnella...

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Periodico semestrale Anno V n.2 Lire 12.000 Euro 6,20 il progetto nella città d’arte architettura FIRENZE 2.2001

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Periodico semestraleAnno V n.2Lire 12.000 Euro 6,20

il progetto nella città d’arte

architetturaF I R E N Z E

2.2001

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presentazione

progetti e architetture

il progetto nella città d’arte

riflessi

eredità del passato

eventi

letture

Progetto e città anticaMarco Bini

Adolfo Natalini e Fabrizio NataliniRicostruzione di un isolato a FerraraValentina Baroncini

Paolo Zermani, Siro Veri, Mauro AlpiniNuovo cimitero di SansepolcroAndrea Volpe

Fabrizio Rossi ProdiCentro Incontri a FirenzeFabio Capanni

Alberto Breschi, Loris Macci, Sergio Mazzoni, Marco Sala, Luca Zevi, Bruno ZeviLa stazione dell’Alta Velocità a FirenzeClaudio Zanirato

Maria Grazia Eccheli e Riccardo CampagnolaNuovo Museo Lapidario a VeronaFrancesco Collotti

Aldo Rossi e VeneziaMaria Grazia Eccheli

Città e paesaggio, cicatrici della civiltàRoberto Berardi

Logge e/y lonjas, i luoghi del commercio nella storia della cittàGiancarlo Cataldi

ProgettareSergio Givone

Non si può migliorare la bellezzaVittorio Sgarbi

1953: Michelucci, Gardella e Scarpa agli Uffizi “un lavoro di muratore”Fabio Fabbrizzi

Modelli di luoghi teatrali per la Firenze dei MediciLuigi Zangheri

a cura di Tomaso Monestiroli

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Periodico semestrale del Dipartimento di Progettazione dell’Architetturaviale Gramsci, 42 Firenze tel. 055/20007222 fax. 055/20007236Anno V n. 2 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4725 del 25.09.1997Prezzo di un numero Lire 12.000 - Euro 6,20Direttore - Marco BiniDirettore responsabile - Marino MorettiCoordinamento comitato scientifico e redazione - Maria Grazia EccheliComitato scientifico - Maria Teresa Bartoli, Roberto Berardi, Giancarlo Cataldi, Loris Macci, Adolfo Natalini, Paolo ZermaniCapo redattore - Fabrizio Rossi Prodi,Redazione - Fabrizio Arrigoni, Fabio Capanni, Fabio Fabbrizzi, Giacomo Pirazzoli, Giorgio Verdiani, Andrea Volpe, Claudio ZaniratoInfo-grafica e Dtp - Massimo BattistaSegretaria di redazione e amministrazione - Gioi Gonnella tel. 055/20007222 E-mail: [email protected]à Università degli Studi di Firenze Progetto Grafico e Realizzazione Centro di Editoria Dipartimento di Progettazione dell’ArchitetturaFotolito Saffe, Calenzano (FI) Finito di stampare nel dicembre 2001 da Arti Grafiche Giorgi & Gambi, viale Corsica, 41r Firenze

architetturaF I R E N Z E

2.2001

In copertinaProgetto per la riorganizzazionedel Presbiterio della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze,prospettiva 1997Aldo Rossicon M. Kocher, F. Piattelli, scultore: B. Fresu

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE - DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURADirettore - Marco Bini - Sezione Architettura e Città - Gian Carlo Leoncilli Massi, Loris Macci, Piero Paoli, Alberto Baratelli, Giancarlo Bertolozzi,Andrea Del Bono, Paolo Galli, Bruno Gemignani, Alessandro Gioli, Marco Jodice, Maria Gabriella Pinagli, Mario Preti, Ulisse Tramonti, AntonellaCortesi, Renzo Marzocchi, Enrico Novelli, Valeria Orgera, Andrea Ricci - Sezione Architettura e Contesto - Roberto Maestro, Adolfo Natalini,Giancarlo Cataldi, Stefano Chieffi, Benedetto Di Cristina, Gian Luigi Maffei, Guido Spezza, Virginia Stefanelli, Paolo Vaccaro, Fabrizio Arrigoni, CarloCanepari, Gianni Cavallina, Pierfilippo Checchi, Piero Degl’Innocenti, Grazia Gobbi Sica, Carlo Mocenni, Paolo Puccetti - Sezione Architettura eDisegno - Marco Bini, Emma Mandelli, Maria Teresa Bartoli, Roberto Corazzi, Domenico Taddei, Barbara Aterini, Alessandro Bellini, Stefano Bertocci,Gilberto Campani, Marco Cardini, Marco Jaff, Giovanni Pratesi, Enrico Puliti, Paola Puma, Michela Rossi, Marcello Scalzo, Marco Vannucchi -Sezione Architettura e Innovazione - Antonio D’Auria, Alberto Breschi, Roberto Berardi, Remo Buti, Giulio Mezzetti, Mauro Mugnai, Laura Andreini,Lorenzino Cremonini, Enzo Crestini, Paolo Iannone, Flaviano Maria Lorusso, Pierluigi Marcaccini, Marino Moretti, Vittorio Pannocchia, Marco Tamino- Sezione I luoghi dell’Architettura - Maria Grazia Eccheli, Fabrizio Rossi Prodi, Paolo Zermani, Francesco Collotti, Giacomo Pirazzoli - Laboratoriodi rilievo - Mauro Giannini - Laboratorio fotografico - Edmondo Lisi - Centro di editoria - Massimo Battista - Centro di documentazione - LauraMaria Velatta - Centro web - Roberto Corona - Operatore Tecnico - Franco Bovo - Segretario Amministrativo - Manola Lucchesi - Amministra-zione contabile - Carletta Scano, Debora Cambi - Segreteria - Gioi Gonnella - Segreteria studenti - Grazia Poli

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presentazione

progetti e architetture

il progetto nella città d’arte

riflessi

eredità del passato

eventi

letture

Progetto e città anticaMarco Bini

Adolfo Natalini e Fabrizio NataliniRicostruzione di un isolato a FerraraValentina Baroncini

Paolo Zermani, Siro Veri, Mauro AlpiniNuovo cimitero di SansepolcroAndrea Volpe

Fabrizio Rossi ProdiCentro Incontri a FirenzeFabio Capanni

Alberto Breschi, Loris Macci, Sergio Mazzoni, Marco Sala, Luca Zevi, Bruno ZeviLa stazione dell’Alta Velocità a FirenzeClaudio Zanirato

Maria Grazia Eccheli e Riccardo CampagnolaNuovo Museo Lapidario a VeronaFrancesco Collotti

Aldo Rossi e VeneziaMaria Grazia Eccheli

Città e paesaggio, cicatrici della civiltàRoberto Berardi

Logge e/y lonjas, i luoghi del commercio nella storia della cittàGiancarlo Cataldi

ProgettareSergio Givone

Non si può migliorare la bellezzaVittorio Sgarbi

1953: Michelucci, Gardella e Scarpa agli Uffizi “un lavoro di muratore”Fabio Fabbrizzi

Modelli di luoghi teatrali per la Firenze dei MediciLuigi Zangheri

a cura di Tomaso Monestiroli

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Periodico semestrale del Dipartimento di Progettazione dell’Architetturaviale Gramsci, 42 Firenze tel. 055/20007222 fax. 055/20007236Anno V n. 2 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4725 del 25.09.1997Prezzo di un numero Lire 12.000 - Euro 6,20Direttore - Marco BiniDirettore responsabile - Marino MorettiCoordinamento comitato scientifico e redazione - Maria Grazia EccheliComitato scientifico - Maria Teresa Bartoli, Roberto Berardi, Giancarlo Cataldi, Loris Macci, Adolfo Natalini, Paolo ZermaniCapo redattore - Fabrizio Rossi Prodi,Redazione - Fabrizio Arrigoni, Fabio Capanni, Fabio Fabbrizzi, Giacomo Pirazzoli, Giorgio Verdiani, Andrea Volpe, Claudio ZaniratoInfo-grafica e Dtp - Massimo BattistaSegretaria di redazione e amministrazione - Gioi Gonnella tel. 055/20007222 E-mail: [email protected]à Università degli Studi di Firenze Progetto Grafico e Realizzazione Centro di Editoria Dipartimento di Progettazione dell’ArchitetturaFotolito Saffe, Calenzano (FI) Finito di stampare nel dicembre 2001 da Arti Grafiche Giorgi & Gambi, viale Corsica, 41r Firenze

architetturaF I R E N Z E

2.2001

In copertinaProgetto per la riorganizzazionedel Presbiterio della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze,prospettiva 1997Aldo Rossicon M. Kocher, F. Piattelli, scultore: B. Fresu

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE - DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURADirettore - Marco Bini - Sezione Architettura e Città - Gian Carlo Leoncilli Massi, Loris Macci, Piero Paoli, Alberto Baratelli, Giancarlo Bertolozzi,Andrea Del Bono, Paolo Galli, Bruno Gemignani, Alessandro Gioli, Marco Jodice, Maria Gabriella Pinagli, Mario Preti, Ulisse Tramonti, AntonellaCortesi, Renzo Marzocchi, Enrico Novelli, Valeria Orgera, Andrea Ricci - Sezione Architettura e Contesto - Roberto Maestro, Adolfo Natalini,Giancarlo Cataldi, Stefano Chieffi, Benedetto Di Cristina, Gian Luigi Maffei, Guido Spezza, Virginia Stefanelli, Paolo Vaccaro, Fabrizio Arrigoni, CarloCanepari, Gianni Cavallina, Pierfilippo Checchi, Piero Degl’Innocenti, Grazia Gobbi Sica, Carlo Mocenni, Paolo Puccetti - Sezione Architettura eDisegno - Marco Bini, Emma Mandelli, Maria Teresa Bartoli, Roberto Corazzi, Domenico Taddei, Barbara Aterini, Alessandro Bellini, Stefano Bertocci,Gilberto Campani, Marco Cardini, Marco Jaff, Giovanni Pratesi, Enrico Puliti, Paola Puma, Michela Rossi, Marcello Scalzo, Marco Vannucchi -Sezione Architettura e Innovazione - Antonio D’Auria, Alberto Breschi, Roberto Berardi, Remo Buti, Giulio Mezzetti, Mauro Mugnai, Laura Andreini,Lorenzino Cremonini, Enzo Crestini, Paolo Iannone, Flaviano Maria Lorusso, Pierluigi Marcaccini, Marino Moretti, Vittorio Pannocchia, Marco Tamino- Sezione I luoghi dell’Architettura - Maria Grazia Eccheli, Fabrizio Rossi Prodi, Paolo Zermani, Francesco Collotti, Giacomo Pirazzoli - Laboratoriodi rilievo - Mauro Giannini - Laboratorio fotografico - Edmondo Lisi - Centro di editoria - Massimo Battista - Centro di documentazione - LauraMaria Velatta - Centro web - Roberto Corona - Operatore Tecnico - Franco Bovo - Segretario Amministrativo - Manola Lucchesi - Amministra-zione contabile - Carletta Scano, Debora Cambi - Segreteria - Gioi Gonnella - Segreteria studenti - Grazia Poli

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Il rapporto tra la storia e il progetto si ma-nifesta nel dopoguerra a Firenze attraver-so una linea anomala. Se questo succe-de per le realizzazioni ex novo, si pensiagli equivoci della ricostruzione attorno aPonte Vecchio, non è però altrettantovero per alcuni interventi di ridefinizionedi luoghi esistenti, volti piuttosto a ricon-fermare la principale vocazione dell’ar-chitettura fiorentina, basata sull’interpre-tazione della spazialità interna.Questa città senza dei veri e propriprospetti, nata su una serie di perce-zioni “di musso”, per dirla alla Vasari, enella quale lo strumento per comporregli spazi è sempre stato la sezione, of-fre, proprio in questo periodo di incer-tezze e travisamenti, un’occasione diinternità a Giovanni Michelucci, Igna-zio Gardella e Carlo Scarpa.Il complesso degli Uffizi, pur coinvoltosoltanto marginalmente nelle distru-zioni belliche, viene interessato da unaserie di interventi di ripristino, protesi asostituire lo stantio umore ottocente-sco, con una serie di algidi frammentimodernisti, rivelando ben presto la ca-renza di una generale regia architetto-nica. Per questo al funzionario internoalla Soprintendenza Guido Morozzi,viene affiancata una commissione diprofessionisti di caratura internaziona-le. A tali presenze si unisce quella diRoberto Salvini, allora direttore dellaGalleria degli Uffizi, storico dell’arte al-l’Università di Trieste, nonché sosteni-tore di criteri di innovazione museale.Nasce con queste premesse, l’idea dicostruire un progetto che oltre a definirevalori spaziali ed estetici, potesse farsiespressione di una nuova idea di espo-sizione, in perfetta adesione con quantoda tempo era già stato innescato in Ita-

lia nel campo dell’allestimento e dellesistemazioni museali. Una idea in fondomolto semplice, basata sulla ricerca dimodalità di composizione e di espres-sione dello spazio, che potesse riporta-re le opere ad avvicinarsi il più possibilealla condizione di percezione originaria.Per questo vengono rivisti i criteri di si-stemazione degli oggetti d’arte, abban-donando l’ordinamento di anteguerra,che seguiva il rigido principio dellescuole, in favore di un più flessibile prin-cipio storico. Il criterio di esposizionebasato sul principio di corrispondenza edi identità tra artisti e opere della stessaterra, anche a distanza di secoli, vienesuperato, considerando che le premes-se, sulle quali si costruisce l’opera d’ar-te, sono molto più simili in una stessaepoca, anche in terre lontane. Questaconcezione induce a prediligere nell’or-dinamento il fattore tempo rispetto alfattore luogo, esaltando anche attraver-so inediti accostamenti, l’evolversi diuna contemporaneità di espressioni di-verse, che nasce indipendentementedal rapporto con uno stesso territorio.Dunque, per gli architetti si pone uncompito di interpretazione e di qualifi-cazione spaziale, più che un problemaformale, nel ricercare, attraverso il pro-getto, questa corrispondenza fra arte earchitettura: un problema che viene af-frontato lavorando sul potere evocativodell’allusione e non sullo scivoloso cri-nale della mimesi, un problema compli-cato ma vivificato dall’intervento in unambiente monumentale esistente.Le difficoltà più evidenti si presentanonel riordino delle prime sale, quelle de-stinate ad ospitare i dipinti dal Duecen-to fino alla metà del Quattrocento. Allavarietà dei soggetti delle opere di gran-

1953: Michelucci, Gardella e Scarpa agli Uffizi“un lavoro di muratore”

Fabio Fabbrizzi

1Planimetria dell’interventoa - Sala del Duecento e di Giotto (Primitivi)b - Sala del Trecento Senesec - Sala del Trecento Fiorentino (Giotteschi)d - Sala del Gotico Internazionalee - Sala del Primo Rinascimento Fiorentinof - Sala del Pollaiolo e del Botticell i

2Sala dei Primitivi

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Il rapporto tra la storia e il progetto si ma-nifesta nel dopoguerra a Firenze attraver-so una linea anomala. Se questo succe-de per le realizzazioni ex novo, si pensiagli equivoci della ricostruzione attorno aPonte Vecchio, non è però altrettantovero per alcuni interventi di ridefinizionedi luoghi esistenti, volti piuttosto a ricon-fermare la principale vocazione dell’ar-chitettura fiorentina, basata sull’interpre-tazione della spazialità interna.Questa città senza dei veri e propriprospetti, nata su una serie di perce-zioni “di musso”, per dirla alla Vasari, enella quale lo strumento per comporregli spazi è sempre stato la sezione, of-fre, proprio in questo periodo di incer-tezze e travisamenti, un’occasione diinternità a Giovanni Michelucci, Igna-zio Gardella e Carlo Scarpa.Il complesso degli Uffizi, pur coinvoltosoltanto marginalmente nelle distru-zioni belliche, viene interessato da unaserie di interventi di ripristino, protesi asostituire lo stantio umore ottocente-sco, con una serie di algidi frammentimodernisti, rivelando ben presto la ca-renza di una generale regia architetto-nica. Per questo al funzionario internoalla Soprintendenza Guido Morozzi,viene affiancata una commissione diprofessionisti di caratura internaziona-le. A tali presenze si unisce quella diRoberto Salvini, allora direttore dellaGalleria degli Uffizi, storico dell’arte al-l’Università di Trieste, nonché sosteni-tore di criteri di innovazione museale.Nasce con queste premesse, l’idea dicostruire un progetto che oltre a definirevalori spaziali ed estetici, potesse farsiespressione di una nuova idea di espo-sizione, in perfetta adesione con quantoda tempo era già stato innescato in Ita-

lia nel campo dell’allestimento e dellesistemazioni museali. Una idea in fondomolto semplice, basata sulla ricerca dimodalità di composizione e di espres-sione dello spazio, che potesse riporta-re le opere ad avvicinarsi il più possibilealla condizione di percezione originaria.Per questo vengono rivisti i criteri di si-stemazione degli oggetti d’arte, abban-donando l’ordinamento di anteguerra,che seguiva il rigido principio dellescuole, in favore di un più flessibile prin-cipio storico. Il criterio di esposizionebasato sul principio di corrispondenza edi identità tra artisti e opere della stessaterra, anche a distanza di secoli, vienesuperato, considerando che le premes-se, sulle quali si costruisce l’opera d’ar-te, sono molto più simili in una stessaepoca, anche in terre lontane. Questaconcezione induce a prediligere nell’or-dinamento il fattore tempo rispetto alfattore luogo, esaltando anche attraver-so inediti accostamenti, l’evolversi diuna contemporaneità di espressioni di-verse, che nasce indipendentementedal rapporto con uno stesso territorio.Dunque, per gli architetti si pone uncompito di interpretazione e di qualifi-cazione spaziale, più che un problemaformale, nel ricercare, attraverso il pro-getto, questa corrispondenza fra arte earchitettura: un problema che viene af-frontato lavorando sul potere evocativodell’allusione e non sullo scivoloso cri-nale della mimesi, un problema compli-cato ma vivificato dall’intervento in unambiente monumentale esistente.Le difficoltà più evidenti si presentanonel riordino delle prime sale, quelle de-stinate ad ospitare i dipinti dal Duecen-to fino alla metà del Quattrocento. Allavarietà dei soggetti delle opere di gran-

1953: Michelucci, Gardella e Scarpa agli Uffizi“un lavoro di muratore”

Fabio Fabbrizzi

1Planimetria dell’interventoa - Sala del Duecento e di Giotto (Primitivi)b - Sala del Trecento Senesec - Sala del Trecento Fiorentino (Giotteschi)d - Sala del Gotico Internazionalee - Sala del Primo Rinascimento Fiorentinof - Sala del Pollaiolo e del Botticell i

2Sala dei Primitivi

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di artisti come Giotto, Cimabue, Duc-cio, Simone Martini, Masaccio e tantialtri, si somma la varietà dimensionaledi questo materiale, che spazia dallepale di quasi cinque metri di altezza,alle piccole predelle di poche decine dicentimetri. Questa diversità induce iprogettisti a pensare l’intervento di rior-dino architettonico delle sale, come aduna sorta di grande tema di fondo, cheesalti e accomuni queste differenzesenza sovrapporsi ad esse, nel rispettodella loro carica emotiva e del loro con-tenuto retorico, legato alla posizione efunzione originaria. Al rispetto di questecaratteristiche doveva rispondere l’ideadi spazio della nuova sistemazione.A questo proposito gli architetti, a partealcune resistenze iniziali a certi aspettidell’intervento, decidono di non altera-re in maniera evidente l’impostazioneplanimetrica degli spazi esistenti, ripro-ponendone almeno apparentemente lastessa suddivisione, variandone invecela sezione. I controsoffitti piani vengonoeliminati ripulendo le soffitte da una sel-va di legname stratificatosi in seguito arimaneggiamenti successivi e viene de-ciso per la prima sala, di mettere a nudol’orditura principale della copertura acapanna con le grandi capriate origina-rie in legno, lasciate in vista ed esaltatedalla luce radente di un lungo lucerna-rio orizzontale, che stacca la massadella parete dal tetto.

Furono momenti molto belli e interessanti.

Ricordo che ci fu in un primo tempo una certa

opposizione verso noi progettisti all’apertura

di quella finestra in alto. D’altronde a nostro

favore c’era il fatto che rimaneva tutta

quell’altezza fra le opere e la finestra per cuila luce non può disturbare.1

Ne risulta un’imponente estensioneascensionale, una misura innegabil-mente gotica, che allude senza mimesialla severità di uno spazio francescano.È una caratteristica che si frattura nelpassaggio alle salette successive:quella del Trecento senese, con il soffit-to ribassato e un lucernario a capannasospeso sull’intero volume, oppurequella dei Giotteschi, o ancora del Tre-cento fiorentino. Discontinuità questa,che sottolinea il passaggio tra il diversocarattere linguistico delle opere espo-ste: all’ingresso solenne, ascensionale,monumentale, poi sempre più rarefatto,prezioso, intimista.Questa sorta di medievalizzazione dellediverse sale espositive, che in realtànon è solo tema di fondo, ma pare ele-varsi ad interpretazione artistica di tuttol’intervento, trova per adesione, affinità,ed elezione, un terreno particolarmentefertile nei personali percorsi dei tre ar-chitetti. A ben guardare nelle poetichedi ognuno, esistono i segni per indivi-duare un lavoro il più delle volte affron-tato in termini analoghi. Molte delle loroopere sono impostate su meccanismicompositivi che conducono alla costru-zione di quello che potremmo definireun “ordine casuale” o, piuttosto, una“casualità ordinata”, che si imposta elavora sulla disarticolazione, sullo scat-to, sulla cesura, sulla frattura e sulladissonanza: su tutte quelle modalitàche ricercano la rottura di un ordine,che rimane comunque legittimato, mache, attraverso piccole e impercettibilimodificazioni, viene infranto, scardina-to e di volta, in volta, evoluto. È la stes-sa sottrazione di ordine dello spaziomedievale, fatto di casualità, asimme-tria, funzione prima della forma.

L’invenzione dei tagli verticali tra le pa-reti delle varie sale, sorti per trasporta-re senza problemi le grandi opere, al-tera vigorosamente l’ordine, presentenel rigore della disposizione originariadelle sale stesse. Questa casualità ètuttavia ascrivibile anche all’astrazionedel Moderno: essa rimane trascrittanello stesso disegno planimetrico econduce al potere evocativo del gesto,vera icona della modernità, alla qualesi giunge solo attraverso un percorsodi ricognizione e di interpretazione deivalori della tradizione. Dal punto di vi-sta planimetrico si registra un’indipen-denza del perimetro esterno rispettoalla distribuzione interna. Gli stessi ta-gli verticali consentono di staccare lemurature di divisione tra le varie saleche vengono definite da setti murariortogonali tra loro. Questo permette lapenetrazione dello sguardo in tutte ledirezioni, cogliendo da molti punti divista la totalità degli ambienti, con unapproccio compositivo che contienel’interpretazione di una memoria lega-ta all’assenza di gerarchia nella visionedegli spazi, tipica ancora una voltadelle dinamiche medievali.Anche il tema della luce sottolinea la ri-cerca di una discontinuità più che diuna riunificazione. Una luce pensatacome criterio più conveniente per esal-tare le caratteristiche pittoriche delleopere, ma anche per mettere delle in-terpunzioni al percorso: nella doppiasala del Gotico Internazionale peresempio, la presenza del lucernario equella dell’alta finestra verticale, indica-no un tentativo di mediazione tra il tar-dogotico toscano segnato dalla figura-tività di un Lorenzo Monaco e quellosettentrionale, ben espresso nelle sce-

3Taglio nella parete tra la Sala dei Giotteschie la Sala dei Primitivi

Pagine successive:4La sistemazione del Crocifisso del Cimabuenella Sala dei Primitivi5Scorcio sulla Sala dei Giotteschi dalla Saladel Trecento Senese6Sala dei Giotteschi7Particolare degli inserti in pietraserena posti nei passaggi tra le sale8Sala del Gotico Internazionale 3

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di artisti come Giotto, Cimabue, Duc-cio, Simone Martini, Masaccio e tantialtri, si somma la varietà dimensionaledi questo materiale, che spazia dallepale di quasi cinque metri di altezza,alle piccole predelle di poche decine dicentimetri. Questa diversità induce iprogettisti a pensare l’intervento di rior-dino architettonico delle sale, come aduna sorta di grande tema di fondo, cheesalti e accomuni queste differenzesenza sovrapporsi ad esse, nel rispettodella loro carica emotiva e del loro con-tenuto retorico, legato alla posizione efunzione originaria. Al rispetto di questecaratteristiche doveva rispondere l’ideadi spazio della nuova sistemazione.A questo proposito gli architetti, a partealcune resistenze iniziali a certi aspettidell’intervento, decidono di non altera-re in maniera evidente l’impostazioneplanimetrica degli spazi esistenti, ripro-ponendone almeno apparentemente lastessa suddivisione, variandone invecela sezione. I controsoffitti piani vengonoeliminati ripulendo le soffitte da una sel-va di legname stratificatosi in seguito arimaneggiamenti successivi e viene de-ciso per la prima sala, di mettere a nudol’orditura principale della copertura acapanna con le grandi capriate origina-rie in legno, lasciate in vista ed esaltatedalla luce radente di un lungo lucerna-rio orizzontale, che stacca la massadella parete dal tetto.

Furono momenti molto belli e interessanti.

Ricordo che ci fu in un primo tempo una certa

opposizione verso noi progettisti all’apertura

di quella finestra in alto. D’altronde a nostro

favore c’era il fatto che rimaneva tutta

quell’altezza fra le opere e la finestra per cuila luce non può disturbare.1

Ne risulta un’imponente estensioneascensionale, una misura innegabil-mente gotica, che allude senza mimesialla severità di uno spazio francescano.È una caratteristica che si frattura nelpassaggio alle salette successive:quella del Trecento senese, con il soffit-to ribassato e un lucernario a capannasospeso sull’intero volume, oppurequella dei Giotteschi, o ancora del Tre-cento fiorentino. Discontinuità questa,che sottolinea il passaggio tra il diversocarattere linguistico delle opere espo-ste: all’ingresso solenne, ascensionale,monumentale, poi sempre più rarefatto,prezioso, intimista.Questa sorta di medievalizzazione dellediverse sale espositive, che in realtànon è solo tema di fondo, ma pare ele-varsi ad interpretazione artistica di tuttol’intervento, trova per adesione, affinità,ed elezione, un terreno particolarmentefertile nei personali percorsi dei tre ar-chitetti. A ben guardare nelle poetichedi ognuno, esistono i segni per indivi-duare un lavoro il più delle volte affron-tato in termini analoghi. Molte delle loroopere sono impostate su meccanismicompositivi che conducono alla costru-zione di quello che potremmo definireun “ordine casuale” o, piuttosto, una“casualità ordinata”, che si imposta elavora sulla disarticolazione, sullo scat-to, sulla cesura, sulla frattura e sulladissonanza: su tutte quelle modalitàche ricercano la rottura di un ordine,che rimane comunque legittimato, mache, attraverso piccole e impercettibilimodificazioni, viene infranto, scardina-to e di volta, in volta, evoluto. È la stes-sa sottrazione di ordine dello spaziomedievale, fatto di casualità, asimme-tria, funzione prima della forma.

L’invenzione dei tagli verticali tra le pa-reti delle varie sale, sorti per trasporta-re senza problemi le grandi opere, al-tera vigorosamente l’ordine, presentenel rigore della disposizione originariadelle sale stesse. Questa casualità ètuttavia ascrivibile anche all’astrazionedel Moderno: essa rimane trascrittanello stesso disegno planimetrico econduce al potere evocativo del gesto,vera icona della modernità, alla qualesi giunge solo attraverso un percorsodi ricognizione e di interpretazione deivalori della tradizione. Dal punto di vi-sta planimetrico si registra un’indipen-denza del perimetro esterno rispettoalla distribuzione interna. Gli stessi ta-gli verticali consentono di staccare lemurature di divisione tra le varie saleche vengono definite da setti murariortogonali tra loro. Questo permette lapenetrazione dello sguardo in tutte ledirezioni, cogliendo da molti punti divista la totalità degli ambienti, con unapproccio compositivo che contienel’interpretazione di una memoria lega-ta all’assenza di gerarchia nella visionedegli spazi, tipica ancora una voltadelle dinamiche medievali.Anche il tema della luce sottolinea la ri-cerca di una discontinuità più che diuna riunificazione. Una luce pensatacome criterio più conveniente per esal-tare le caratteristiche pittoriche delleopere, ma anche per mettere delle in-terpunzioni al percorso: nella doppiasala del Gotico Internazionale peresempio, la presenza del lucernario equella dell’alta finestra verticale, indica-no un tentativo di mediazione tra il tar-dogotico toscano segnato dalla figura-tività di un Lorenzo Monaco e quellosettentrionale, ben espresso nelle sce-

3Taglio nella parete tra la Sala dei Giotteschie la Sala dei Primitivi

Pagine successive:4La sistemazione del Crocifisso del Cimabuenella Sala dei Primitivi5Scorcio sulla Sala dei Giotteschi dalla Saladel Trecento Senese6Sala dei Giotteschi7Particolare degli inserti in pietraserena posti nei passaggi tra le sale8Sala del Gotico Internazionale 3

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ne dipinte da Gentile da Fabriano nellequattro tavolette disposte obliquamen-te, a bandiera, sul muro, in modo che lastessa luce della finestra non le inondidirettamente. Sono tratti di una disposi-zione acquisita, insieme a molti altriparticolari, da quel vocabolario di formee dettagli che la Scuola Italiana stavascrivendo, in quegli anni, in altri esempimuseali, grazie anche agli stessi autori.Il taglio orizzontale che increspa la ca-panna di copertura della prima sala, pro-ietta una luce eccentrica nello spazio, in-serendo un ulteriore vettore di sposta-mento e non un elemento di ordine.Questo taglio orizzontale che scarnificail punto di maggior tensione statica del-l’intervento, evidenziando il nodo tra ilmuro e la capriata, apre inoltre la possi-bilità di una ricognizione attorno al valo-re di costruttività che i progettisti hannovoluto evidenziare. Forse una costrutti-vità medievale, legata alla pratica arti-giana, alla dimensione corale e collettivadel cantiere. E questa dimensione arti-giana spiega anche quella totale assen-za di disegni tecnici, rivelando anche nelmetodo la natura collettiva e partecipati-va di un’esperienza progettuale in co-stante trasformazione, continuamentesoggetta a ricalibrature e verifiche.

Molto della progettazione avveniva così:

giorno per giorno sul cantiere, venivano fatte

delle proposte, le discutevamo tutti e tre e una

volta d’accordo si andava avanti col lavoro;

ma dei disegni non restava nulla, lo si dava al

fabbro per esempio, o a quell’artigiano che era

incaricato di eseguire quel certo lavoro.

Gli esecutivi erano spesso sui muri, cioè quei

segni che per il muratore servivano volta volta.

L’opera nasceva via via a contatto con queicapolavori. Si faceva eseguire, si controllava

l’esecuzione; l’architetto, secondo me, doveva

stare il più possibile da parte nel senso cheaveva il compito di vedere poi il risultato.2

Un risultato nel quale, se colto global-mente, affiorano preziose contraddizio-ni e sottili antinomie. È uno spazio neu-tro ma contemporaneamente denso disegni e significati fortissimi; è diversitàma unificazione, è semplificazione maal contempo complessità e i meccani-smi compositivi per raggiungerla sonodi una semplicità che sconcerta.

È certo che per me la presenza del progettista si

doveva sottrarre al massimo, noi dovevamo

sparire. Si trattava semplicemente di appropriare

le opere alle pareti con un lavoro di muratore.

Non c’è dubbio che la personalità di Scarpa era

difficile; era sempre attento ad avere la trovata,

giusta si, ma che mettesse l’opera dell’architetto

in evidenza e di questo se ne compiaceva.Io per principio mi ero posto di sparire di

fronte alle opere di quella portata meditando

moltissimo: l’idea di mettere un sostegno, per

esempio di ferro, lo sentivo come un fatto di

grande responsabilità, il risultato era far si che

l’opera quasi naturalmente si mostrasse.3

Ed è infatti questa naturalezza la cifrapiù evidente, una sorta di fluidità forma-le e non solo spaziale che contorna ivari frammenti che costituiscono la to-talità dell’intervento. Una naturalezzaraggiunta com’è logico anche attraver-so il confronto e lo scambio, forse nonsempre lineare, tra i tre protagonisti.4

La riunificazione visiva data dallo zoc-colo in ferro, la presenza dei tagli, ilconcepire le connessioni tra le variesale non come delle porte dotate di pie-dritti, ma come dei semplici passaggi,una sottrazione materica alla bianca

plasticità delle masse, costituisconocriteri che annullano il valore solido del-l’angolo per coinvolgere e lasciar intuirelo spazio della sala successiva.E ancora, l’avvolgente rivestimento ot-tenuto con la plafonatura in legno bru-ciato posta al di sopra delle antiche ca-priate, separa sintatticamente gli ele-menti della costruzione ma rimanda aquell’idea fluida e accomunante sottesanella singolare coincidenza fra la meta-fora michelucciana del “tetto-tenda” equella scarpiana del “tetto-carena”.

Si volle dare al soffitto un certo peso, un certo

valore, Scarpa pensò al disegno dei ferri delle

capriate e degli altri ferri presenti nelle sale come

i telai dei lucernari, le transenne, i battiscopa.

Poi ci fu l’invenzione della lastra di pietra con

il grande Cristo del Cimabue che risolse lo

spazio della sala in modo meraviglioso;

l’opera fu posta in modo che se ne potessevedere anche il retro, guardarla dava veramente

un senso di piacere.5

In realtà la collocazione quasi in bilico,sul centro della sala del grande crocifissodi Cimabue, sostenuta da un montanteverticale in ferro e da tiranti metallici, èispirata ad un affresco assisiate di Giotto,nel quale si descrive come questo tipo dicroci fossero poste nelle chiese fino a cir-ca la fine del Duecento; il progetto alludea quella sensibilità, senza ovviamenteforzarla con inutili ripescaggi stilistici.Anzi, la mimesi viene proprio fugata dallageniale trovata della sospensione. Tuttele opere d’arte, a ben guardare, sono co-niugate a questa generica memoria me-dievale, senza innescare però corrispon-denze dirette. Le tavole si staccano im-percettibilmente dalla massa muraria,grazie a sostegni a mensola ottenuti con

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ne dipinte da Gentile da Fabriano nellequattro tavolette disposte obliquamen-te, a bandiera, sul muro, in modo che lastessa luce della finestra non le inondidirettamente. Sono tratti di una disposi-zione acquisita, insieme a molti altriparticolari, da quel vocabolario di formee dettagli che la Scuola Italiana stavascrivendo, in quegli anni, in altri esempimuseali, grazie anche agli stessi autori.Il taglio orizzontale che increspa la ca-panna di copertura della prima sala, pro-ietta una luce eccentrica nello spazio, in-serendo un ulteriore vettore di sposta-mento e non un elemento di ordine.Questo taglio orizzontale che scarnificail punto di maggior tensione statica del-l’intervento, evidenziando il nodo tra ilmuro e la capriata, apre inoltre la possi-bilità di una ricognizione attorno al valo-re di costruttività che i progettisti hannovoluto evidenziare. Forse una costrutti-vità medievale, legata alla pratica arti-giana, alla dimensione corale e collettivadel cantiere. E questa dimensione arti-giana spiega anche quella totale assen-za di disegni tecnici, rivelando anche nelmetodo la natura collettiva e partecipati-va di un’esperienza progettuale in co-stante trasformazione, continuamentesoggetta a ricalibrature e verifiche.

Molto della progettazione avveniva così:

giorno per giorno sul cantiere, venivano fatte

delle proposte, le discutevamo tutti e tre e una

volta d’accordo si andava avanti col lavoro;

ma dei disegni non restava nulla, lo si dava al

fabbro per esempio, o a quell’artigiano che era

incaricato di eseguire quel certo lavoro.

Gli esecutivi erano spesso sui muri, cioè quei

segni che per il muratore servivano volta volta.

L’opera nasceva via via a contatto con queicapolavori. Si faceva eseguire, si controllava

l’esecuzione; l’architetto, secondo me, doveva

stare il più possibile da parte nel senso cheaveva il compito di vedere poi il risultato.2

Un risultato nel quale, se colto global-mente, affiorano preziose contraddizio-ni e sottili antinomie. È uno spazio neu-tro ma contemporaneamente denso disegni e significati fortissimi; è diversitàma unificazione, è semplificazione maal contempo complessità e i meccani-smi compositivi per raggiungerla sonodi una semplicità che sconcerta.

È certo che per me la presenza del progettista si

doveva sottrarre al massimo, noi dovevamo

sparire. Si trattava semplicemente di appropriare

le opere alle pareti con un lavoro di muratore.

Non c’è dubbio che la personalità di Scarpa era

difficile; era sempre attento ad avere la trovata,

giusta si, ma che mettesse l’opera dell’architetto

in evidenza e di questo se ne compiaceva.Io per principio mi ero posto di sparire di

fronte alle opere di quella portata meditando

moltissimo: l’idea di mettere un sostegno, per

esempio di ferro, lo sentivo come un fatto di

grande responsabilità, il risultato era far si che

l’opera quasi naturalmente si mostrasse.3

Ed è infatti questa naturalezza la cifrapiù evidente, una sorta di fluidità forma-le e non solo spaziale che contorna ivari frammenti che costituiscono la to-talità dell’intervento. Una naturalezzaraggiunta com’è logico anche attraver-so il confronto e lo scambio, forse nonsempre lineare, tra i tre protagonisti.4

La riunificazione visiva data dallo zoc-colo in ferro, la presenza dei tagli, ilconcepire le connessioni tra le variesale non come delle porte dotate di pie-dritti, ma come dei semplici passaggi,una sottrazione materica alla bianca

plasticità delle masse, costituisconocriteri che annullano il valore solido del-l’angolo per coinvolgere e lasciar intuirelo spazio della sala successiva.E ancora, l’avvolgente rivestimento ot-tenuto con la plafonatura in legno bru-ciato posta al di sopra delle antiche ca-priate, separa sintatticamente gli ele-menti della costruzione ma rimanda aquell’idea fluida e accomunante sottesanella singolare coincidenza fra la meta-fora michelucciana del “tetto-tenda” equella scarpiana del “tetto-carena”.

Si volle dare al soffitto un certo peso, un certo

valore, Scarpa pensò al disegno dei ferri delle

capriate e degli altri ferri presenti nelle sale come

i telai dei lucernari, le transenne, i battiscopa.

Poi ci fu l’invenzione della lastra di pietra con

il grande Cristo del Cimabue che risolse lo

spazio della sala in modo meraviglioso;

l’opera fu posta in modo che se ne potessevedere anche il retro, guardarla dava veramente

un senso di piacere.5

In realtà la collocazione quasi in bilico,sul centro della sala del grande crocifissodi Cimabue, sostenuta da un montanteverticale in ferro e da tiranti metallici, èispirata ad un affresco assisiate di Giotto,nel quale si descrive come questo tipo dicroci fossero poste nelle chiese fino a cir-ca la fine del Duecento; il progetto alludea quella sensibilità, senza ovviamenteforzarla con inutili ripescaggi stilistici.Anzi, la mimesi viene proprio fugata dallageniale trovata della sospensione. Tuttele opere d’arte, a ben guardare, sono co-niugate a questa generica memoria me-dievale, senza innescare però corrispon-denze dirette. Le tavole si staccano im-percettibilmente dalla massa muraria,grazie a sostegni a mensola ottenuti con

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semplici putrelle metalliche, gli inserti dipietra serena posti nei passaggi in corri-spondenza dei punti di maggiore usura,paiono galleggiare nel candore delle pa-reti, così come le leggerissime transennein metallo che orientano il percorso e lagrande lastra in pietra serena, che formail basamento per la croce, paiono sospe-se sul pavimento, realizzato in piastrelledi cotto pressato.In definitiva il riordino di questi ambientirimanda ad una disposizione musealedi impostazione classica a “stanze”,nella quale tutti gli interventi sono volti aintrodurre piccole anomalie, a sovverti-re cioè questa disposizione, ricercandonella fluidità il vero tema unificatore.Questo approccio, nel contenere unevidente tentativo di superamento delledue consuete impostazioni museogra-fiche, si pone come un esempio di me-diazione tra l’affascinante libertà delmuseo a spazio continuo e la rigiditàdel museo classico e segna un notevo-le passo avanti nella riforma italiana inquesto campo, innescando anche unrapporto, mediato e simbolico, con unaspazialità interna di carattere urbano.L’internità di questa realizzazione si in-terfaccia con la città attraverso unacomposizione pensata per cavità, unasorta di rovescio urbano costantemen-te rinnovato e vivificato da una perce-zione dinamica nel tempo. La sua nar-razione per frammenti, sottesa da unariunificazione solo allusa e mai mostra-ta, accenna a sua volta, in un sottilequanto inevitabile gioco di rimandi, aduna idea di complementarietà e di to-talità, propria di un qualunque fenome-no di trasformazione.Ed è in questo passaggio, il nucleo pre-zioso di tutto l’intervento; questo edifi-

cio che si fa città e questa città che si faedificio, consentono di smarginare icontorni della realizzazione per farla di-venire appunto un eccellente ragiona-mento sulla città. Una occasione di va-riabilità, che va oltre la ricerca di unasemplice tonalità impressionistica, perconcentrarsi sulla ridefinizione di unacomplessità che traduce nella formadello spazio, le necessità e le aspirazio-ni collettive e individuali dell’Uomo.

In piedi, di fronte ad una finestra del pri-mo corridoio della Galleria, sulla sogliadei 100 anni Michelucci ebbe a dire:

Io ci ho lasciato il cuore in questa costruzione,

l’ho sentita criticare nella scuola come cosa

non riuscita di Vasari, ma essa è una grande

opera di urbanistica: è la città stessa.6

Fonti bibliografiche

Aa. Vv., Giovanni Michelucci il pensiero e le opere.Università degli Studi di Bologna Istituto di Architet-tura e Urbanistica, Casa Editrice Riccardo Pátron,Bologna 1966Aa. Vv., Gli Uffizi. Studi e ricerche. 12. Interventi mu-seografici e progetti, Centro Di, Firenze 1994Amedeo Belluzzi, Claudia Conforti, Giovanni Michelucci,Electa Milano 1990Guido Beltramini, Galleria degli Uffizi e Gabinetto deidisegni e delle stampe. Firenze 1953-56, in Aa.Vv.Carlo Scarpa Mostre e musei 1944-1976. Case e pa-esaggi 1972-78, Electa, Milano 2000, pp. 154-159Bernard Berenson, Rivisitando Firenze, in Corrieredella Sera, 20 Settembre 1956Roberto Salvini, La sistemazione degli Uffizi, in Ulissen°27/1958Roberto Salvini, Sistemazione di alcune sale della Gal-leria degli Uffizi, in Casabella-Continuità n°214/1957Paolo Zermani, Ignazio Gardella, Laterza Roma-Bari 1991Bruno Zevi, Sale nuove agli Uffizi, in Cronache, 29Luglio 1956.

Tutte le immagini sono tratteda Casabella-Continuità n° 214/1957

1 Le lunghe citazioni di Michelucci riportate in corsivonel testo sono state riprese da una serie di dialoghi chel’attuale funzionario della Soprintendenza alla Galleriadegli Uffizi, Antonio Godoli, ha avuto con il Maestro nelsuo ultimo anno di vita (1990). Queste conversazionisono state poi sistemate in forma di intervista e pubbli-cate in: Antonio Godoli, Michelucci e gli Uffizi, inAa.Vv., Gli Uffizi. Studi e ricerche. 12. Interventi muse-ografici e progetti, Centro Di, Firenze 1994, pp. 51-55.2 Antonio Godoli, op. cit.3 Antonio Godoli, op. cit.4 “C’era indubbiamente una grande volontà di anda-re in accordo. C’è stato un momento difficile, nontanto con Gardella che tanto era accomodante. Ave-vano messo dietro le porte dei blocchi di pietra con-tro cui andava a picchiare la porta, quindi era unacosa assolutamente illogica. Allora ci fu un po’ di di-scussione che finì andando tutti a bere ma la pietra fulevata. Quando entrai la mattina e vidi la pietra chiesisubito risentito chi avesse fatto mettere questa cosa,allora c’erano gli operai che risposero ammiccando edicendo che era stato quello con la barba (Scarpa); ilDirettore era preoccupato che succedesse fra gli ar-chitetti qualcosa, ma per fortuna come ho detto, finìtutto subito.” In Antonio Godoli, op. cit.5 Antonio Godoli, op. cit.6 Antonio Godoli, op. cit.

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semplici putrelle metalliche, gli inserti dipietra serena posti nei passaggi in corri-spondenza dei punti di maggiore usura,paiono galleggiare nel candore delle pa-reti, così come le leggerissime transennein metallo che orientano il percorso e lagrande lastra in pietra serena, che formail basamento per la croce, paiono sospe-se sul pavimento, realizzato in piastrelledi cotto pressato.In definitiva il riordino di questi ambientirimanda ad una disposizione musealedi impostazione classica a “stanze”,nella quale tutti gli interventi sono volti aintrodurre piccole anomalie, a sovverti-re cioè questa disposizione, ricercandonella fluidità il vero tema unificatore.Questo approccio, nel contenere unevidente tentativo di superamento delledue consuete impostazioni museogra-fiche, si pone come un esempio di me-diazione tra l’affascinante libertà delmuseo a spazio continuo e la rigiditàdel museo classico e segna un notevo-le passo avanti nella riforma italiana inquesto campo, innescando anche unrapporto, mediato e simbolico, con unaspazialità interna di carattere urbano.L’internità di questa realizzazione si in-terfaccia con la città attraverso unacomposizione pensata per cavità, unasorta di rovescio urbano costantemen-te rinnovato e vivificato da una perce-zione dinamica nel tempo. La sua nar-razione per frammenti, sottesa da unariunificazione solo allusa e mai mostra-ta, accenna a sua volta, in un sottilequanto inevitabile gioco di rimandi, aduna idea di complementarietà e di to-talità, propria di un qualunque fenome-no di trasformazione.Ed è in questo passaggio, il nucleo pre-zioso di tutto l’intervento; questo edifi-

cio che si fa città e questa città che si faedificio, consentono di smarginare icontorni della realizzazione per farla di-venire appunto un eccellente ragiona-mento sulla città. Una occasione di va-riabilità, che va oltre la ricerca di unasemplice tonalità impressionistica, perconcentrarsi sulla ridefinizione di unacomplessità che traduce nella formadello spazio, le necessità e le aspirazio-ni collettive e individuali dell’Uomo.

In piedi, di fronte ad una finestra del pri-mo corridoio della Galleria, sulla sogliadei 100 anni Michelucci ebbe a dire:

Io ci ho lasciato il cuore in questa costruzione,

l’ho sentita criticare nella scuola come cosa

non riuscita di Vasari, ma essa è una grande

opera di urbanistica: è la città stessa.6

Fonti bibliografiche

Aa. Vv., Giovanni Michelucci il pensiero e le opere.Università degli Studi di Bologna Istituto di Architet-tura e Urbanistica, Casa Editrice Riccardo Pátron,Bologna 1966Aa. Vv., Gli Uffizi. Studi e ricerche. 12. Interventi mu-seografici e progetti, Centro Di, Firenze 1994Amedeo Belluzzi, Claudia Conforti, Giovanni Michelucci,Electa Milano 1990Guido Beltramini, Galleria degli Uffizi e Gabinetto deidisegni e delle stampe. Firenze 1953-56, in Aa.Vv.Carlo Scarpa Mostre e musei 1944-1976. Case e pa-esaggi 1972-78, Electa, Milano 2000, pp. 154-159Bernard Berenson, Rivisitando Firenze, in Corrieredella Sera, 20 Settembre 1956Roberto Salvini, La sistemazione degli Uffizi, in Ulissen°27/1958Roberto Salvini, Sistemazione di alcune sale della Gal-leria degli Uffizi, in Casabella-Continuità n°214/1957Paolo Zermani, Ignazio Gardella, Laterza Roma-Bari 1991Bruno Zevi, Sale nuove agli Uffizi, in Cronache, 29Luglio 1956.

Tutte le immagini sono tratteda Casabella-Continuità n° 214/1957

1 Le lunghe citazioni di Michelucci riportate in corsivonel testo sono state riprese da una serie di dialoghi chel’attuale funzionario della Soprintendenza alla Galleriadegli Uffizi, Antonio Godoli, ha avuto con il Maestro nelsuo ultimo anno di vita (1990). Queste conversazionisono state poi sistemate in forma di intervista e pubbli-cate in: Antonio Godoli, Michelucci e gli Uffizi, inAa.Vv., Gli Uffizi. Studi e ricerche. 12. Interventi muse-ografici e progetti, Centro Di, Firenze 1994, pp. 51-55.2 Antonio Godoli, op. cit.3 Antonio Godoli, op. cit.4 “C’era indubbiamente una grande volontà di anda-re in accordo. C’è stato un momento difficile, nontanto con Gardella che tanto era accomodante. Ave-vano messo dietro le porte dei blocchi di pietra con-tro cui andava a picchiare la porta, quindi era unacosa assolutamente illogica. Allora ci fu un po’ di di-scussione che finì andando tutti a bere ma la pietra fulevata. Quando entrai la mattina e vidi la pietra chiesisubito risentito chi avesse fatto mettere questa cosa,allora c’erano gli operai che risposero ammiccando edicendo che era stato quello con la barba (Scarpa); ilDirettore era preoccupato che succedesse fra gli ar-chitetti qualcosa, ma per fortuna come ho detto, finìtutto subito.” In Antonio Godoli, op. cit.5 Antonio Godoli, op. cit.6 Antonio Godoli, op. cit.

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